Medicina dell'étà prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche [2a ed, aggiornata e ampliata.] 8847006872, 9788847006874, 9788847006881 [PDF]

Sono descritte le tecniche di diagnosi prenatale dei difetti congeniti e delle principali patologie genetiche. Sono trat

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Italian Pages 582 [584] Year 2007

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Table of contents :
Indice......Page 12
Elenco degli Autori......Page 16
CAPITOLO 1: Sonoembriologia e studio ecografico dell'organogenesi embrio-fetale......Page 20
CAPITOLO 2: Difetti congeniti......Page 32
CAPITOLO 3: Malattie genetiche nella medicina prenatale......Page 47
CAPITOLO 4: Diagnostica prenatale dei difetti congeniti: tecniche invasive e non invasive......Page 73
CAPITOLO 5: Screening prenatale, ecografico e biochimico di cromosomopatie......Page 92
CAPITOLO 6: Malformazioni del sistema nervoso centrale......Page 103
CAPITOLO 7: Anomalie scheletriche......Page 119
CAPITOLO 8: Malformazioni facciali......Page 137
CAPITOLO 9: Cuore fetale normale e patologico......Page 149
CAPITOLO 10: Malformazioni gastrointestinali......Page 186
CAPITOLO 11: Anomalie dell'apparato urogenitale......Page 207
CAPITOLO 12: Utilizzo degli ormoni placentari e fetali in diagnosi prenatale......Page 223
CAPITOLO 13: Tumori fetali......Page 251
CAPITOLO 14: Terapia fetale......Page 260
CAPITOLO 15: Aborto spontaneo ricorrente: nuovi sviluppi patogenetici, diagnostici e terapeutici......Page 279
CAPITOLO 16: Malattie infettive in gravidanza......Page 306
CAPITOLO 17: Complicanze ipertensive della gravidanza......Page 326
CAPITOLO 18: Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale......Page 369
CAPITOLO 19: Idrope fetale non immunologica......Page 377
CAPITOLO 20: Diabete mellito e gravidanza......Page 392
CAPITOLO 21: Sorveglianza della gravidanza......Page 403
CAPITOLO 22: Monitoraggio delle condizioni fetali......Page 413
CAPITOLO 23: Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale......Page 439
CAPITOLO 24: Sofferenza fetale......Page 453
CAPITOLO 25: Patologia degli annessi fetali......Page 467
CAPITOLO 26: Parto pretermine......Page 489
CAPITOLO 27: Restrizione della crescita fetale......Page 504
CAPITOLO 28: Gravidanza ectopica......Page 509
CAPITOLO 29: Farmaci e gravidanza......Page 518
CAPITOLO 30: Tossicodipendenze e gravidanza......Page 550
CAPITOLO 31: Diagnosi prenatale: morale, deontologia e diritto......Page 555
A......Page 576
C......Page 577
E......Page 578
G......Page 579
M......Page 580
O......Page 581
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Medicina dell'étà prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche  [2a ed, aggiornata e ampliata.]
 8847006872, 9788847006874, 9788847006881 [PDF]

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Medicina dell’età prenatale Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

ANTONIO LUCIANO BORRELLI • DOMENICO ARDUINI ANTONIO CARDONE • VALERIO VENTRUTO

Medicina dell’età prenatale Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche 2a ed.aggiornata e ampliata

123

ANTONIO L. BORRELLI

ANTONIO CARDONE

Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

DOMENICO ARDUINI

VALERIO VENTRUTO Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica

Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi “Tor Vergata” Roma Ospedale Fatebenefratelli Roma

CNR Napoli

Disclaimer: This eBook does not include the ancillary media that was packaged with the original printed version of the book. In allegato: CD contenente 3.288 disordini genetici e 22 raggruppamenti delle principali patologie fetali, presentati in shorts reports

La prima edizione dell’opera è stata pubblicata da Idelson-Gnocchi nel 2002.

ISBN 978-88-470-0687-4 e-ISBN 978-88-470-0688-1 Springer fa parte di Springer Science+Business Media springer.com © Springer-Verlag Italia 2008 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo di illustrazioni e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione su microfilm o in database, o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La riproduzione di quest’opera, anche se parziale, è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d’autore ed è soggetta all’autorizzazione dell’editore. La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge. L’utilizzo in questa pubblicazione di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati, ecc. anche se non specificamente identificati, non implica che tali denominazioni o marchi non siano protetti dalle relative leggi e regolamenti. Layout di copertina: Simona Colombo, Milano Impaginazione: Graficando, Milano Stampa: Printer Trento, Trento Stampato in Italia Springer-Verlag Italia S.r.l., Via Decembrio 28, I-20137 Milano

Presentazione della Seconda Edizione La medicina dell’età prenatale è a pieno diritto diventata parte integrante della cultura ostetrica, assumendo un ruolo preminente, anche in considerazione dei progressi compiuti negli ultimi anni sia dalle tecniche di imaging fetale sia dalle metodiche biochimiche che di biologia molecolare. Cultura, ricerca, valutazione critica dei risultati insieme a esperienza maturata sul campo, intuizione clinica e audacia di voler osare sono gli strumenti necessari e indispensabili per raggiungere risultati importanti e a volte sorprendenti in tale ambito della medicina. È questo infatti un settore sul quale convergono le attenzioni della ricerca clinica e di base, e con cui, con pari dignità, si confrontano le arti mediche più varie, l’etica, le tradizioni popolari fatte spesso di antiche e sagge credenze, la giurisprudenza e la politica. La gestione della gravidanza, del travaglio, del parto e del puerperio sono sempre stati affidati al sapere e al saper fare del professionista ginecologo. Gli impressionanti progressi della tecnologia hanno sicuramente migliorato le possibilità di controllo del benessere fetale nel corso della gestazione e durante le varie fasi del travaglio e del parto. Il poter verificare in qualsiasi momento parametri come l’attività cardiaca fetale, la Doppler velocimetria e quindi le resistenze vascolari a livello del circolo materno e di quello placentare nonché la possibilità di avere dati sull’ossimetria fetale in corso di travaglio, insieme ai progressi delle tecniche di rianimazione e assistenza neonatale soprattutto nei prematuri estremi, rappresentano sicuramente passi in avanti impressionanti rispetto a quello che potevano fare i nostri predecessori, spesso costretti a vivere cocenti delusioni anche a fronte di un operato tecnicamente e culturalmente irreprensibile. Tuttavia, alcuni risultati e alcuni indici di rischio non sono cambiati nel tempo secondo le aspettative o, meglio ancora, non sempre il nostro deflagrante impatto culturale scientifico è in grado di cambiare la storia evolutiva di patologie caratteristiche dell’età perinatale e pediatrica. Un tempo era impensabile fare diagnosi in utero di cardiopatia congenita o di malformazione cerebrale o di ernia diaframmatica ecc., così come poco o nulla si sapeva circa il diabete e la sua caratteristica comparsa nel corso della gravidanza e ancora di patologie immunitarie, di genetica della trombofilia, di poliabortività, di malformazioni uterine ecc. Ma, riflettendo con attenzione, è realmente cambiata l’incidenza di queste patologie o siamo stati noi a spingere ad accanirsi verso il raggiungimento dell’“obiettivo vita” magari ad ogni costo o verso la selezione sistematica di soggetti affetti da patologia più o meno grave e più o meno com-

patibile con la vita stessa? E poi, magari dopo anni, siamo tornati sui nostri passi, alla luce di osservazioni ripetute sulla qualità di vita di neonati strappati alla morte con funambolismi tecnici ma segnati a vita da handicap enormi e devastanti o constatando che per alcune patologie esistono messaggi di speranza, di terapia e di guarigione prima impensabili. In tale contesto giunge attesa e gradita la seconda edizione ampliata e aggiornata del volume Medicina dell’età prenatale, arricchita di nuovi capitoli, rinnovata nella veste tipografica e nei contenuti, rianalizzati con equilibrio alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche. Un plauso quindi agli Autori e a tutti coloro che insieme a loro hanno collaborato fra mille impegni per voler ancora una volta riaffermare che la crescita culturale è segnata non solo da momenti di grande progresso tecnologico ma anche da riflessioni attente su quanto si può e si deve fare o a volte non fare. Roma, 13 luglio 2007

Prof. Massimo Moscarini Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia Direttore del Dipartimento di Scienze Ginecologiche Università di Roma “La Sapienza”

Prefazione alla Seconda Edizione Questa seconda edizione del testo di Medicina dell’età prenatale nasce sia per la necessità di aggiornare quanto già trattato nella prima edizione, sia dall’esigenza di inserire nel nuovo testo capitoli relativi ad argomenti in precedenza solo accennati. L’ampliarsi delle conoscenze nel campo della prevenzione e della diagnosi precoce delle affezioni embrio-fetali, studi sempre più approfonditi in specifici settori della patologia ostetrica, nonché il perfezionarsi delle tecniche di sorveglianza del benessere fetale, hanno reso necessario il prezioso aiuto di vari esperti nell’elaborazione e trattazione degli argomenti di loro competenza. A tal proposito un doveroso e sentito ringraziamento va ai Professori Moscarini (presidente dell’AGUI), Calabrò, Colacurci, D’Addario, Di Lieto, Di Meglio, Guaschino, Martinelli, Nicolini, Paladini, Palmieri, Petraglia,Vaquero, Zurzolo e ai loro collaboratori che, nella trattazione dei capitoli loro affidati, hanno profuso la loro esperienza e la loro specifica competenza. Si è dato così vita ad un nuovo testo che raccoglie in modo organico le molteplici problematiche della medicina prenatale, il cui obiettivo è la prevenzione, la diagnosi precoce e, ove possibile, il trattamento delle patologie materno-fetali. I primi 5 capitoli, dedicati allo studio ecografico dello sviluppo embriofetale, alle nozioni basilari della genetica medica e alla diagnosi prenatale delle cromosomopatie, sono stati aggiornati ed ampliati. I capitoli dal 6 all’11 sono stati trattati ex novo e riguardano lo studio delle malformazioni dei vari organi ed apparati fetali. I capitoli 12, 13 e 14, anch’essi elaborati ex novo, riguardano gli ormoni feto-placentari, i tumori fetali e le possibili terapie endouterine di talune patologie fetali. Nei capitoli successivi sono state trattate le principali patologie ostetriche e i metodi di monitoraggio delle condizioni fetali, con particolare riguardo alla diagnosi e al trattamento della sofferenza e della restrizione dell’accrescimento fetale. Gli ultimi 3 capitoli sono dedicati all’uso gravidico dei farmaci, alla tossicodipendenza in gravidanza e ai problemi etici e medico-legali in medicina prenatale. Quest’opera, certamente perfettibile, vuole essere un utile e pratico manuale di consultazione per specializzandi e specialisti in Ginecologia ed Ostetricia, per genetisti, neonatologi, infettivologi e soprattutto per quanti vogliano dedicarsi allo studio della medicina prenatale con l’obiettivo di ridurre, per quanto possibile, l’incidenza delle affezioni embriofetali. Un doveroso riconoscimento va ai Dottori Anna Di Domenico, Maria Felicetti, Giuseppe Feroce, Maria Borrelli, Claudio Ferrara e Simona Sorrentino

che hanno fattivamente contribuito alla correzione delle bozze. Va, inoltre, reiterato un ringraziamento particolare ai Sig.ri Francesco, Salvatore e Luigi Carbone della tipografia Alba di Napoli senza la cui disponibilità e pazienza sarebbe risultato molto difficile se non impossibile realizzare questo testo. La più viva gratitudine ed un elogio sentito merita, infine, la casa Editrice Springer-Verlag per aver accolto e curato in ogni sua parte l’opera con professionalità, efficienza ed affettuosa sollecitudine. Napoli-Roma, settembre 2007

Gli Autori

Presentazione della Prima Edizione L’Ostetricia era considerata un’Arte dai nostri Maestri, e probabilmente lo era, un’Arte empirica, affidata alla cultura, alle esperienze, alle intuizioni, all’ispezione critica della gestante da parte del ginecologo durante tutta la gravidanza sino alla gestione del travaglio e all’espletamento del parto. Il destino della gravida e del prodotto del concepimento era tutto nel sapere e nell’operare del ginecologo, affidato alla sua saggezza nel porsi di fronte ai problemi di una madre clinicamente nota e di un feto quasi sconosciuto. Nacque così negli anni ’60 sia da un punto di vista dottrinale sia clinicooperativo, una nuova area di interesse ostetrico: la Puericultura Prenatale, dizione piuttosto ambigua, che tanti malintesi ha generato in campo perinatale e pediatrico-neonatale, in seguito più opportunamente convertita in Medicina dell’età Prenatale, area di esclusivo interesse ostetrico, centrata sullo studio della simbiosi materno-fetale. Oggi con il progresso della scienza e delle tecniche, con l’approfondirsi della ricerca sperimentale e clinica, con l’apporto di sempre più sofisticate ed innovative tecnologie biofisiche e biochimiche, è possibile seguire lo sviluppo morfofunzionale e strutturale dell’innesto gravidico e del prodotto del concepimento fetale durante tutto l’arco gravidico, dall’impianto della blastocisti al travaglio di parto. Per uno come me che è stato da sempre un convinto propugnatore della necessità programmatica di definire l’area culturale “Medicina Fetale” da integrare nella più vasta area di Fisiopatologia Ostetrico-Ginecologica, è stato un vero piacere constatare la realizzazione di un volume di Medicina dell’Età Prenatale aggiornato, completo, dotato di una eccellente iconografia, di facile consultazione per laureandi in Medicina e Chirurgia, in Ostetrica/o, specializzandi in Ginecologia e Ostetricia, per Pediatri neonatologi, Genetisti, Cardiologi pediatri e quanti altri interessati a quest’area di alto interesse scientifico e clinico. Complimentandomi con i tre Autori, che hanno profuso il meglio del loro sapere, dimostrandosi veri cultori della materia, auguro al libro il successo editoriale che certamente merita.

Prof. Ugo Montemagno Ordinario di Ginecologia e Ostretricia fr Università degli Studi “Federico II” Napoli

Prefazione alla Prima Edizione La Medicina dell’Età Prenatale è certamente il campo dell’Ostetricia moderna in più notevole espansione. La rapida diffusione di tecnologie innovative per lo studio del feto in utero e nuove metodiche diagnostiche entrate nella pratica clinica hanno notevolmente ampliato le conoscenze sulla fisiologia e fisiopatologia fetale: il prodotto del concepimento fin dalle prime fasi del suo sviluppo è diventato un “paziente” raggiungibile ed esplorabile, venendosi a realizzare nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche del tutto insperate fino a poco tempo fa. Oltre che per l’attualità e il notevole interesse dell’argomento, questo testo nasce come risposta ad una effettiva necessità: quella di riunire in uno stesso manuale nozioni e dati di diversa estrazione, finora dispersi in pubblicazioni e trattati diversi. Si è voluto, quindi, dar vita ad un testo di facile consultazione che raccogliesse in modo organico, ma sintetico e pratico, i vari argomenti di questa nuova branca dell’Ostetricia i cui obiettivi sono la prevenzione, la diagnosi precoce e ove possibile il trattamento delle malattie fetali. I primi 2 capitoli del testo sono dedicati allo studio dello sviluppo embrio-fetale e all’inquadramento dei difetti congeniti. Nel 3° e 4° capitolo sono trattati, in modo semplice ma metodologicamente completo, argomenti talora misconosciuti e spesso dimenticati dai cultori della maleria e cioè i principi generali della genetica applicati alle eredopatie e l’importanza della citogenetica e della genetica molecolare in diagnosi prenatale. Sono successivamente trattate le varie tecniche invasive di diagnosi prenatale, i test di screening e i progressi attuali delle terapie fetali. Nell’8° capitolo, avvalendoci della competenza specifica del Prof. Michele Russo, infettivologo della nostra Facoltà, sono state trattate le malattie infettive di maggior interesse ostetrico, curando soprattutto i protocolli diagnostico-terapeutici. Nei capitoli successivi, accanto alla trattazione di patologie di particolare importanza (diabete in gravidanza, isoimmunizzazione e sofferenza fetale), notevole attenzione è stata dedicata al monitoraggio delle condizioni fetali e al conseguente trattamento ostetrico. Quest’opera certamente incompleta ed ancora perfettibile vuole essere un utile e pratico manuale di consultazione non solo per studenti, medici di base, per specializzandi e specialisti ostetrici, ma anche per genetisti, pediatri neonatologi, infettivologi, diabetologi etc. Nell’elaborazione del manuale ci si è avvalsi anche dell’opera dei colleghi che lavorano nel centro di Diagnosi Prenatale della II Università di Napoli, Carlo Alberto De Leo, Andrea Borrelli, Domenico Labriola, Antonio

Palagiano, Alfredo Laboccetta, Paola Salzano e della dottoressa Maria Luisa Ventruto del BIO. GE.M. di Napoli. Un ringraziamento particolare va ai colleghi Vito S. Zurzolo e Maria Felicetti che hanno fornito l’iconografia ultrasonica e hanno collaborato insieme alla dott.ssa Anna Di Domenico nella ricerca bibliografica e nella correzione delle bozze. Un grazie di cuore va ai Signori Francesco, Luigi e Salvatore Carbone della tipografia Alba di Napoli per la disponibilità e pazienza profuse nella realizzazione delle tabelle e degli schemi esplicativi presenti nel testo. Infine all’editore, dottor Guido Gnocchi, la più viva gratitudine per aver accolto e curato l’opera in ogni sua parte con somma cura e affettuosa sollecitudine.

Napoli-Roma, 2002

Gli Autori

Indice

...................................................

XVII

Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1

Elenco degli Autori

CAPITOLO 1

A.L. Borrelli, V.S. Zurzolo, M. Felicetti

CAPITOLO 2 Difetti congeniti

......................................................

13

A.L. Borrelli, V. Ventruto, P. Borrelli

CAPITOLO 3 ......................

29

Diagnostica prenatale dei difetti congeniti: tecniche invasive e non invasive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

55

Malattie genetiche nella medicina prenatale M.L. Ventruto, V. Ventruto

CAPITOLO 4

A.L. Borrelli, M. Felicetti, A. Di Domenico

CAPITOLO 5 Screening prenatale, ecografico e biochimico di cromosomopatie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

75

A.L. Borrelli, M. Felicetti, A. Di Domenico

CAPITOLO 6 Malformazioni del sistema nervoso centrale V. D’Addario, V. Pinto, L. Di Cagno

......................

87

XIV

Indice

CAPITOLO 7 Anomalie scheletriche

...............................................

103

...............................................

121

G. Vullo, A. Di Meglio

CAPITOLO 8 Malformazioni facciali

G. Vullo, A. Di Meglio, S. Sorrentino

CAPITOLO 9 Cuore fetale normale e patologico

..................................

133

D. Paladini, M.G. Russo, M. Felicetti, R. Calabrò

CAPITOLO 10 Malformazioni gastrointestinali

....................................

171

G. Vullo, A. Di Meglio

CAPITOLO 11 Anomalie dell’apparato urogenitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 V.S. Zurzolo, A. Di Domenico, P. Borrelli

CAPITOLO 12 Utilizzo degli ormoni placentari e fetali in diagnosi prenatale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209 G. Centini, L. Rosignoli, E. Faldini, F. Calonaci, F. Petraglia

CAPITOLO 13 Tumori fetali

..........................................................

237

D. Arduini, G. Barraco, I. Oronzi

CAPITOLO 14 Terapia fetale

..........................................................

247

U. Nicolini

CAPITOLO 15 Aborto spontaneo ricorrente: nuovi sviluppi patogenetici, diagnostici e terapeutici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 267 E. Vaquero, N. Lazzarin, G. Di Pierro, D. Arduini

XV

Indice

CAPITOLO 16 Malattie infettive in gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295 S. Guaschino, F. De Seta, S. Smiroldo, E. Bianchini, C. Piva

CAPITOLO 17 Complicanze ipertensive della gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315 L. Brienza, M.E. Pietrolucci, H. Valensise, D. Arduini

CAPITOLO 18 Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale

...

359

A.L. Borrelli, C. Ferrara, P. Borrelli

CAPITOLO 19 Idrope fetale non immunologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367 M.E. Pietrolucci, L. Brienza, D. Arduini

CAPITOLO 20 Diabete mellito e gravidanza

........................................

383

A.L. Borrelli, C. Ferrara, P. Borrelli

CAPITOLO 21 Sorveglianza della gravidanza

......................................

395

D. Arduini, I. Oronzi, G. Barraco, R. Mastrangeli

CAPITOLO 22 Monitoraggio delle condizioni fetali

...............................

405

A.L. Borrelli, A. Di Lieto, P. Borrelli

CAPITOLO 23 .........................

431

......................................................

445

Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale L. Caserta, V.S. Zurzolo

CAPITOLO 24 Sofferenza fetale

M. Moscarini, F. Torcia, T. Di Netta

XVI

Indice

CAPITOLO 25 Patologia degli annessi fetali

........................................

459

A.L. Borrelli, A. Cardone, P. De Franciscis

CAPITOLO 26 Parto pretermine

.....................................................

481

G. M. Maruotti, A. Agangi, L. Mazzarelli, P. Martinelli

CAPITOLO 27 .....................................

497

..................................................

503

Restrizione della crescita fetale A.L. Borrelli, P. Borrelli

CAPITOLO 28 Gravidanza ectopica

N. Colacurci, P. De Franciscis, C. Scaffa

CAPITOLO 29 Farmaci e gravidanza

................................................

513

A.L. Borrelli, M. Felicetti, G. Feroce

CAPITOLO 30 Tossicodipendenze e gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545 A.L. Borrelli, P. Borrelli, A. Di Domenico

CAPITOLO 31 Diagnosi prenatale: morale, deontologia e diritto

................

551

L. Palmieri, A.L. Graziussi

Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 573

Elenco degli Autori

ANNALISA AGANGI

RAFFAELE CALABRÒ

Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli

Unità Operativa Coronarica di Cardiologia Azienda Ospedaliera “Monaldi” II Università degli Studi di Napoli Napoli

DOMENICO ARDUINI Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Ospedale “Fatebenefratelli” Roma

GIANCARLO BARRACO Dipartimento di Chirurgia Università degli Studi di Roma“Tor Vergata” Roma

ERICA BIANCHINI Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS “Burlo Garofalo” Università degli Studi di Trieste Trieste

ANTONIO L. BORRELLI Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

PAOLA BORRELLI Department of Obstetrics and Gynaecology University College Hospital London, UK

LETIZIA BRIENZA Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Roma

FRANCESCO CALONACI Centro di Diagnosi Prenatale Clinica ostetrica e ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena

ANTONIO CARDONE Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

LUIGI CASERTA Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

GIOVANNI CENTINI Centro di Diagnosi Prenatale Clinica Ostetrica e Ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena NICOLA COLACURCI Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

XVIII

Elenco degli Autori

VINCENZO D’ADDARIO

ELISA FALDINI

Clinica Ostetrica e Ginecologica IV Università degli Studi di Bari Bari

Centro di Diagnosi Prenatale Clinica Ostetrica e Ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena

PASQUALE DE FRANCISCIS Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

FRANCESCO DE SETA Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS “Burlo Garofalo” Università degli Studi di Trieste Trieste

LUCA DI CAGNO Clinica Ostetrica e Ginecologica IV Università degli Studi di Bari Bari

ANNA DI DOMENICO Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

ANDREA DI LIETO Dipartimento di Scienze Ostetrico-Ginecologiche, Urologiche e Medicina della Riproduzione Università degli Studi “Federico II” Napoli

ANIELLO DI MEGLIO Diagnostica Ecografica e Prenatale Aniello Di Meglio srl - www.dimed.com Napoli

TIZIANA DI NETTA Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università degli Studi “La Sapienza” Roma

GIUSEPPE DI PIERRO Dipartimento di Chirurgia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Ospedale “Fatebenefratelli” Roma

MARIA FELICETTI Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

GIUSEPPE FEROCE Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

CLAUDIO FERRARA Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

ANNA LAURA GRAZIUSSI Medicina Legale delle Assicurazioni II Università degli Studi di Napoli Napoli

SECONDO GUASCHINO Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS Burlo Garofalo Università degli Studi di Trieste Trieste

NATALIA LAZZARIN AFaR, Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca Biomedica e Sanitaria Roma

PASQUALE MARTINELLI Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli

GIUSEPPE MARIA MARUOTTI Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli

XIX

Elenco degli Autori

ROBERTA MASTRANGELI

CATERINA PIVA

Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Roma

Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello sviluppo IRCCS Burlo Garofalo Università degli Studi di Trieste Trieste

LAURA LETIZIA MAZZARELLI Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli

MASSIMO MOSCARINI Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università degli Studi “La Sapienza” Roma

LUCIA ROSIGNOLI Centro di Diagnosi Prenatale Clinica ostetrica e ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena

MARIA GIOVANNA RUSSO UMBERTO NICOLINI Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia Ospedale “Vittore Buzzi” Milano

IRMA ORONZI Dipartimento di Chirurgia Università degli Studi di Roma“Tor Vergata” Roma

DARIO PALADINI Unità di Cardiologia Fetale Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli

Unità Operativa Coronarica Cardiologia Unità Operativa Semplice Cardiologia Pediatrica Azienda Ospedaliera “Monaldi” II Università degli Studi di Napoli Napoli

CONO SCAFFA Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

SILVIA SMIROLDO

Medicina Legale delle Assicurazioni II Università degli Studi di Napoli Napoli

Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS “Burlo Garofalo” Università degli Studi di Trieste Trieste

FELICE PETRAGLIA

SIMONA SORRENTINO

Centro di Diagnosi Prenatale Clinica ostetrica e ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena

Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

LUIGI PALMIERI

MARIA ELENA PIETROLUCCI Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma“Tor Vergata” Roma

VINCENZO PINTO Clinica Ostetrica e Ginecologica IV Università degli Studi di Bari Bari

FRANCESCO TORCIA Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università degli Studi “La Sapienza” Roma

HERBERT VALENSISE Dipartimento di Chirurgia Sezione di Ginecologia e Ostetricia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Roma

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Elenco degli Autori

ELENA VAQUERO

GABRIELLA VULLO

Dipartimento di Chirurgia Università degli studi di Roma “Tor Vergata” Ospedale “Fatebenefratelli” Roma

Diagnostica Ecografica e Prenatale Aniello Di Meglio srl - www.dimed.com Napoli

VITO S. ZURZOLO MARIA LUISA VENTRUTO Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica, CNR Napoli

VALERIO VENTRUTO Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica, CNR Napoli

Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli

CAPITOLO 1

Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale A. L. Borrelli • V. S. Zurzolo • M. Felicetti

PREMESSA La realizzazione di ecografie ad alta risoluzione e soprattutto di sonde trans-vaginali (TV) ad elevata frequenza (5,5-7,5 MHz) ha consentito uno studio sempre più approfondito della morfogenesi embrio-fetale [1]. Si è così definita la sonoembriologia o embriologia ultrasonica [2] che, attraverso il rilievo ecografico delle varie fasi dello sviluppo embrio-fetale, pone le basi non solo per una corretta datazione della gravidanza1, ma anche per la diagnosi di patologie embrio-fetali2 già nel I trimestre. Poiché un numero notevole di gravidanze (~3,5%) presenta anomalie fetali in epoca gestazionale precoce ed essendo ormai accertato che gran parte di dette anomalie può essere riconosciuta, da operatori esperti, mediante l’ecografia transvaginale tra la 10ª e la 14ª settimana di gestazione [2], può essere utile l’impiego di questo mezzo diagnostico per lo studio dell’anatomia embrio-fetale nella fase iniziale della gestazione.

neurale, i cui bordi successivamente si elevano a formare due pliche che delimitano la doccia o solco neurale. In una fase ulteriore di sviluppo la fusione delle pliche (creste neurali) sulla linea mediana determina la formazione del tubo neurale (Fig. 1.1) che inizialmente resta aperto alle due estremità dette neuropori. Solco neurale Cresta neurale

a

Cellula della cresta neurale

Tubo neurale Ectoderma

SONOEMBRIOLOGIA - SVILUPPO PRENATALE DEI VARI ORGANI E APPARATI Sistema nervoso centrale (SNC)

b Fig. 1a, b. a Gravidanza 2ª sett.di sviluppo.Solco neurale e cresta neurale. b Gravidanza 3a sett.di sviluppo.Tubo neurale

Embriogenesi A 2 settimane dalla fecondazione (4ª settimana di amenorrea) il sistema nervoso comincia a strutturarsi da un ispessimento dell’ectoderma embrionale, il piatto

1

A 3 settimane circa dal concepimento (5ª settimana di amenorrea) si chiude prima il neuroporo anteriore e due giorni dopo quello posteriore. In questa fase dello

La datazione della gravidanza può essere calcolata facendo riferimento alla data di inizio dell’ultima mestruazione regolare (età gestazionale o di amenorrea) che normalmente, in un ciclo di 28 giorni, si verifica 2 settimane prima dell’ovulazione e quindi del concepimento. Poiché non è sempre possibile stabilire la data esatta del concepimento e quindi l’età concezionale o di sviluppo, in quanto l’ovulazione può verificarsi tra l’8º e il 20º giorno del ciclo anche in donne regolarmente mestruate, la datazione della gravidanza in base alla amenorrea può risultare non corretta. Per una esatta datazione della gestazione, quindi, bisogna spesso ricorrere alla misurazione ecografica dell’embrione (lunghezza vertice-sacro o CRL - Crown Rump Lenght) tra l’8ª e la 11ª settimana (Fig. 1.28). 2Il prodotto del concepimento è definito pre-embrione dalla 2ª alla fine della 4ª settimana di amenorrea, embrione della 5ª alla fine della 10ª settimana di amenorrea; si parla di feto dalla 10ª settimana fino al termine della gravidanza.

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

sviluppo il SNC appare come una struttura tubulare la cui porzione cefalica darà luogo al cervello, mentre la porzione caudale diverrà il midollo spinale. Dalla fine della 6ª settimana di amenorrea la porzione anteriore o cefalica del tubo neurale si differenzia nelle tre vescicole primarie dell’encefalo: il proencefalo o cervello anteriore, il mesencefalo o cervello medio, il romboencefalo o cervello posteriore (Fig. 1.2). Mesencefalo o cervello medio

Romboencefalo o cervello posteriore

Fig. 1.4. Gravidanza alla 10a settimana. Ecografia TV in sezione sagittale paramediana si evidenziano le vescicole cerebrali:diencefalica, mesencefalica e romboencefalica

Proencefalo o cervello anteriore

Fig.1.2. 6ª settimana di amenorrea.Dalla porzione cefalica del tubo neurale si differenziano le 3 vescicole primarie dell’encefalo:il proencefalo,il mesencefalo e il romboencefalo

Entro l’8ª settimana di amenorrea il proencefalo si differenzia in telencefalo e diencefalo, il mesencefalo rimane unico, mentre il romboencefalo dà luogo al metencefalo e mielencefalo (Fig. 1.3). Regione del futuro ponte (metencefalo)

Superficie esterna del romboencefalo Regione del futuro midollo (mielencefalo)

Proencefalo

Mesencefalo

Successivamente, dalla 9ª settimana di amenorrea comincia la differenziazione delle principali strutture encefaliche e le flessure delimitano le vescicole mesencefalica e pontina. Dal telencefalo si formano gli emisferi e i ventricoli cerebrali con i plessi corioidei, mentre dal diencefalo si sviluppano il talamo, l’ipotalamo e il 3° ventricolo. L’acquedotto di Silvio trae origine dal mesencefalo, mentre il cervelletto, il ponte e il 4° ventricolo dal metencefalo. Il mielencefalo darà origine al midollo spinale. Nella 10ª settimana di amenorrea la cavità dei ventricoli laterali risulta quasi totalmente occupata dai plessi corioidei [3] che assumono un aspetto ad ali di farfalla separati dalla falce (Fig. 1.5).

diencefalo telencefalo Fessura pontina Peduncolo ottico

Fig. 1.3. 8ª settimana di amenorrea.Il proencefalo si differenzia in telencefalo e diencefalo,il romboencefalo in metencefalo e mielencefalo

Tra la 9ª e la 10ª settimana, utilizzando sonde transvaginali (TV) ad elevata risoluzione, è possibile riconoscere nel polo encefalico le vescicole cerebrali diencefalica, mesencefalica e romboencefalica come formazioni anecogene mediane (Fig. 1.4).

Fig. 1.5. Gravidanza alla 10a settimana.Plessi corioidei

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Capitolo 1 • Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale • A.L.Borrelli,V.S.Zurzolo,M.Felicetti

Tra la 11a e la 12a settimana è già possibile individuare le suture craniche, il 3° e 4° ventricolo, i talami. Successivamente, a partire dalla 18a settimana, le formazioni rilevanti dell’encefalo possono essere chiaramente identificate mediante scansioni assiali. I talami appaiono come strutture ipoecogene che circondano il 3° ventricolo (Fig. 1.6); il cervelletto e la cisterna magna sono visualizzati nella Figura 1.7.

Colonna vertebrale Nel corso della 6ª settimana di amenorrea comincia a strutturarsi la colonna vertebrale per la proliferazione di cellule somitiche intorno alla notocorda localizzata centralmente al tubo neurale. Successivamente si ha la formazione dei corpi e degli archi vertebrali per migrazione delle cellule somitiche intorno al tubo neurale (Fig. 1.8). La mineralizzazione della colonna comincia dall’8ª settimana, per cui è possibile individuarne ecograficamente la presenza come due linee ecogeniche parallele lungo l’asse maggiore dell’embrione (immagine a binario) (Fig. 1.9). Nelle settimane successive si distinguono i vari segmenti, ma solo dopo la 18ª settimana è possibile uno studio ecografico dettagliato (Fig. 1.10).

Arco neurale vertebrale in via di sviluppo

Placca dorsale embrionale

Arco neurale vertebrale in via di sviluppo

Fig. 1.6. Gravidanza alla 22ª settimana.Talami e 3º ventricolo.Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)

Lamina basale Pavimento del tubo neurale

Notocorda

Cellula somitica

Fig. 1.8. 6ª settimana di amenorrea. Iniziale sviluppo della colonna vertebrale per proliferazione delle cellule somitiche intorno alla notocorda

Fig.1.7. Gravidanza alla 22 ª settimana.Cervelletto e cisterna magna.Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)

Completatasi, nel I trimestre, la morfogenesi delle varie strutture encefaliche, l’accrescimento e la maturazione del cervello si realizza nell’ulteriore corso della gravidanza, completandosi soltanto dopo la nascita. Lo studio approfondito dell’anatomia cerebrale va effettuato nel corso dell’esame “morfologico” da realizzarsi tra la 20ª e la 22ª settimana di gestazione (vedi Capitoli 6 e 22).

Fig. 1.9. Gravidanza alla 8a settimana. Ecografia transvaginale, la colonna vertebrale appare come una struttura a binario

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

successivamente (3° trimestre) a livello epifisario (cartilagini) come aree ipoecogene. Tra la 13ª e la 16ª settimana si verifica l’ossificazione del massiccio facciale e delle ossa metacarpali e metatarsali; successivamente si avrà l’ossificazione del piede e del calcagno. Solo verso la fine del 2° trimestre è possibile, quindi, visualizzare con chiarezza le varie strutture ossee fetali e individuare eventuali anomalie scheletriche la cui diagnosi tuttavia, in taluni casi, rimane particolarmente difficoltosa.

Apparato cardiocircolatorio Fig. 1.10. Rachide in sezione longitudinale

Scheletro Dall’8ª settimana si può individuare, a mezzo dell’ecografia, la conformazione iniziale dei vari segmenti scheletrici e l’abbozzo degli arti, la cui struttura sarà meglio definita non prima della 12ª-13ª settimana, quando inizia l’ossificazione (Fig. 1.11).

L’intero sistema cardiovascolare (cuore, vasi, e cellule del sangue) trae origine dal foglietto germinale mesodermico. Inizialmente il cuore primitivo consta di strutture tubulari appaiate che a partire dalla 5ª settimana di amenorrea danno luogo ad un’unica struttura tubulare leggermente incurvata che consta di uno strato endocardico interno circondato da un mantello mioepicardico esterno. Tra la 5ª e la 7ª settimana di amenorrea, il cuore primitivo va incontro a molteplici e successive modifiche evolutive che danno luogo poi alla caratteristica struttura a quattro camere. In embrioni con CRL≥5 mm (6ª settimana di amenorrea) si può visualizzare l’attività cardiaca con sonda vaginale, però solo a partire dalla 11ª-12ª settimana è possibile riconoscere gli elementi principali dell’anatomia cardiaca (Fig. 1.12).

Fig. 1.11. Gravidanza 12a settimana. Con sonda vaginale si evidenziano femore e omero

Nel 2° trimestre, nelle diafisi delle ossa lunghe, sono visualizzabili ecograficamente i centri di ossificazione primaria che appaiono come aree iperecogene. I centri di ossificazione secondaria possono essere evidenziati

Fig. 1.12. Gravidanza 12a settimana.Strutture cardiache (ventricoli)

Capitolo 1 • Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale • A.L.Borrelli,V.S.Zurzolo,M.Felicetti

Tuttavia, è tra la 19ª e la 22ª settimana, mediante l’ecografia transaddominale con sonda da 3,5 MHz, che si ottengono le immagini migliori ed è possibile uno studio accurato del cuore fetale. Dopo aver individuato la posizione fetale e la normalità del situs (vedi Capitolo 9), la scansione “4 camere”, rendendo possibile lo studio dell’anatomia cardiaca (camere atriali e ventricolari, setto interventricolare ed interatriale e valvole atrio-ventricolari) (Fig. 1.13), consente di diagnosticare anche talune anomalie cardiache maggiori (difetti interventricolari, canale atrioventricolare, ecc.). In tali casi ed in presenza di quadri ecografici dubbi, va comunque sempre richiesto un approfondimento ecocardiografico di II livello multidisciplinare (cardiologo-pediatra, perinatologo). Posta la diagnosi sarà effettuato il counseling che servirà ad informare i genitori circa l’entità, le possibilità terapeutiche e la prognosi relative all’eventuale cardiopatia rilevata. A causa dell’ossificazione del torace fetale e della riduzione relativa del liquido amniotico, nel terzo trimestre peggiora la qualità delle immagini rendendo più difficile lo studio ecocardiografico del cuore.

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Fig. 1.14. Gravidanza alla 23a settimana.Stomaco,fegato e diaframma

dalla placenta al feto, penetra attraverso l’ombelico nell’addome fetale dove in parte raggiunge il fegato anastomizzandosi con la vena porta di sinistra e in parte si riversa nella cava inferiore attraverso il dotto venoso di Aranzio. L’inserzione ombelicale può essere visualizzata seguendo le strutture vascolari (arteria e vena ombelicale) che penetrano nell’addome fetale. Una scansione trasversa dell’addome fetale che visualizzi stomaco, punto di ingresso della vena ombelicale e colonna vertebrale si usa attualmente per determinare la circonferenza addominale (Fig. 1.15); detto parametro, rapportato alla circonferenza cranica e alla lunghezza del femore, fornisce utili elementi di valutazione circa l’accrescimento fetale (vedi Capitolo 22).

Fig. 1.13. Gravidanza alla 24a settimana.Cuore in proiezione “4 camere”

Apparato gastroenterico Il diaframma si forma tra la 6ª e la 14ª settimana di amenorrea, ma appare ben evidente nel secondo trimestre come una sottile stria ipoecogena che separa cuore e polmoni dai visceri addominali sottostanti; tra questi il fegato appare molto sviluppato ed ha un aspetto omogeneo ed uniformemente ecogeno (Fig. 1.14), al suo interno in epoche successive si possono evidenziare i vasi del circolo portale, le vene sovraepatiche, le arterie epatiche e i dotti biliari. La vena ombelicale, che veicola sangue ossigenato

Fig. 1.15. Gravidanza alla 25a settimana. Addome fetale in sezione trasversale.Si evidenziano stomaco,rachide e vena ombelicale

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Dopo la 20ª settimana al di sotto del fegato è visibile la colecisti come una struttura piriforme anecogena. Lo stomaco, che si struttura intorno alla 6ª settimana, può essere visualizzato dalla 9ª-10ª settimana come una formazione anecogena arrotondata o semilunare in rapporto al suo grado di riempimento. Nel secondo trimestre (15ª-16ª settimana) possono individuarsi diversi elementi dell’anatomia gastrica e la milza può essere evidenziata come una formazione triangolare in rapporto posteriormente e lateralmente con la parete addominale e medialmente con lo stomaco (Fig. 1.16). La visualizzazione ultrasonografica dell’intestino varia con l’epoca gestazionale. Nel II trimestre l’intestino tenue appare omogeneo ed iperecogeno e dotato di attività peristaltica che inizia generalmente già dall’11a settimana. La presenza di meconio ne altera l’omogeneità.Verso la fine del II trimestre le anse appaiono come formazioni tubulari ipoecogene localizzate al centro dell’addome di diametro non superiore a 7 mm. L’aumento abnorme dell’ecogenicità intestinale è stata associata a malattie genetiche (trisomia 21, fibrosi cistica) o ad infezioni da virus citomegalico. L’intestino crasso all’inizio del III trimestre può essere individuato come una struttura tubulare ipoecogena del diametro di 18-20 mm localizzata lungo il contorno dell’intestino tenue.

Arterie segmentali

Aorta dorsale Surrene

Glomerulo mesonefrico Mesonefro Gonade Blastema metanefrogenico Escrescenza ureterale

Fig. 1.17. Ontogenesi dell’apparato urinario

mana dal metanefro inizia lo sviluppo dei glomeruli , dei tubuli contorti e delle anse di Henle (vedi Capitolo 11). Ecograficamente i reni sono visualizzati dalla 10ª settimana come due strutture ovalari ecogene localizzate ai lati della colonna vertebrale in una sezione trasversa dell’addome; nel II trimestre (22-25 settimane) le varie componenti anatomiche sono più evidenti potendosi differenziare le piramidi midollari ipoecogene dalla corticale iperecogena (Fig. 1.18). Con l’evolvere della gestazione il grasso perirenale rende la capsula sempre più visibile contribuendo in tal modo alla migliore definizione dei reni dalle strutture circostanti. La produzione di urina inizia piuttosto precocemente (13ª settimana) tuttavia non influisce significativamente sul volume del liquido amniotico prima della 16ª-18ª settimana. Del sistema collettore l’unica formazione

Fig. 1.16. Gravidanza alla 25a settimana.Milza e stomaco

Apparato urinario L’ontogenesi dell’apparato urinario, che embriologicamente trae origine dal seno urogenitale, è caratterizzato dalla rapida regressione del pronefro e mesonefro e dello sviluppo verso il metanefro della gemma ureterale (Fig. 1.17) da cui traggono origine: pelvi renale, calici, tubuli collettori, ureteri e vescica. Verso la 10ª setti-

Fig. 1.18. Gravidanza alla 25a settimana.Sezione trasversale dei reni

Capitolo 1 • Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale • A.L.Borrelli,V.S.Zurzolo,M.Felicetti

identificabile all’esame ecografico è la pelvi renale che appare come una formazione anecogena nella parte centrale dell’organo. Detta struttura si ritiene normale quando il diametro antero-posteriore non supera i 5 mm. Taluni autori tuttavia ritengono normali valori bilaterali della pelvi di 7 mm. Dilatazioni monolaterali di modeste dimensioni (35 anni), è caratterizzata dalla non disgiunzione meiotica della coppia di cromosomi 21 per cui il prodotto del concepimento avrà un patrimonio cromosomico numericamente superiore a quello tipico della specie: 47 cromosomi invece di 46. Esempi di anomalie cromosomiche strutturali sono date dalle delezioni, traslocazioni non bilanciate ecc., per cui viene ad alterarsi la morfologia di uno o più cromosomi (vedi Capitolo 3) [6].

Difetti congeniti da teratogeni ambientali I difetti congeniti da noxae esogene sono malattie dovute all’azione di agenti teratogeni esterni o ambientali sul prodotto del concepimento. Agenti teratogeni ambientali in senso lato possono essere di natura chimica, fisica e infettiva (Tabella 2.7).

Tabella 2.5. Eziologia dei difetti congeniti Cause pre-zigotiche o intrinseche

Geniche

Monogeniche Poligeniche Numeriche Strutturali Virus,batteri,protozoi,ecc. Farmaci teratogeni,patologie metaboliche,ecc. Radiazioni,campi magnetici,esposizione al radon,ecc.

Cromosomiche Cause post-zigotiche o estrinseche (noxae esogene o ambientali)

Infettive Chimiche Fisiche Difetti multifattoriali

Interazione dei fattori genetici ed ambientali

Tabella 2.6. Incidenza delle principali malattie autosomiche dominanti,recessive e legate al cromosoma X Autosomiche dominanti Otosclerosi dominante Ipercolesterolemia familiare Rene policistico dell’adulto Esostosi multiple Corea di Huntington Neurofibromatosi Distrofia miotonica

‰ 3 2 0,8 0,5 0,5 0,4 0,2

Autosomiche recessive Fibrosi cistica Ritardo mentale (recessivo) Sordità congenita (recess.) Fenichetonuria Sindrome adrenogenitale Mucopolisaccaridosi Cecità (tipo recessivo)

(SIMP) Dati della Società Italiana di Medicina Perinatale

‰ 0,5 0,5 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1

Legate al cromosoma X (X-linked) Ritardo mentale legato X fragile Ritardo mentale non specifico Distrofia muscolare di Duchenne Distrofia muscolare di Becker Emofilia A (difetto fattore VIII) Emofilia B (difetto fattore IX)

‰ 5 5 3 0,5 2 0,3

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Tabella 2.7. Teratogeni esterni o ambientali Teratogeni di natura chimica

Farmaci

- Anticoagulanti orali (warfarina e derivati) - Antibiotici (tetraciclina,streptomicina) - Talidomide - Acido retinoico e derivati - Citostatici (ciclofosfamide,ecc.) - Anticonvulsivanti - Ormoni steroidi (estrogeni e progestinici di sintesi, glicocorticoidi naturali) - Ipoglicemizzanti orali - Amfetamine - Immunosoppressori

Malattie materne

- Diabete insulino-dipendente - Fenilchetonuria - Lupus eritematoso sistemico

Accumulo o carenza di metaboliti

- Carenza di acido folico - Accumulo di fenilalanina

Abitudini di vita e condizioni ambientali nocive

- Tossicodipendenza - Abuso di alcool,fumo,sedativi,ecc. - Esposizione ad elevate concentrazioni di piombo - Carenza di iodio - Esposizione a pesticidi

Teratogeni di natura fisica

- Esposizione a radiazioni ionizzanti (>5 rad) - Campi magnetici - Esposizione al radon (gas naturale)

Teratogeni di natura infettiva

- Toxoplasma gondii - Virus della rosolia - Citomegalovirus - Virus erpetici - Virus della varicella-zoster - Parvovirus B19 - Treponema pallidum

Teratogeni di natura chimica Le sostanze chimiche che possono causare malformazioni embrio-fetali sono molteplici; vanno ricordate tra queste taluni farmaci: gli anticoagulanti orali (warfarin), alcuni antibiotici (tetracicline, streptomicina), la talidomide, l’acido retinoico e derivati, i citostatici, l’aminopterina, alcuni anticonvulsivanti, gli ormoni steroidi (taluni glucocorticoidi naturali, estrogeni e progestinici di sintesi), gli antidiabetici orali; tra le sostanze teratogene per l’apparato cardiovascolare vanno segnalate le amfetamine e alcuni farmaci immunosoppressori [7] (vedi Capitolo 29).

Non va d’altra parte dimenticato come in gestanti portatrici di patologie metaboliche (diabete, fenilchetonuria, ecc.) l’aumento del rischio malformativo sia legato all’iperglicemia, all’accumulo di taluni metaboliti (fenilalanina) o a carenze vitaminiche (acido folico). Anche abitudini di vita non corretta: abuso di alcool, fumo, abuso di sedativi e tossico-dipendenza possono indurre difetti congeniti (vedi Capitolo 30). Nella Tabella 2.8 sono riportate più di 70 sindromi malformative fetali per la maggior parte non genetiche e causate da agenti teratogeni vari.

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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli

Tabella 2.8. Sindromi indotte da teratogeni Malattia ACE inibitori fetali

Eredità Non genetica

Sintesi semeiologica Oligoidroamnios,ritardo nella crescita intrauterina, distress respiratorio,insufficienza renale perinatale,ipotensione neonatale anuria Infezione fetale da AIDS Non genetica Viso dismorfico,infezioni congenite,deperimento, anemia,segni neurologici,polmonite interstiziale linfoide,infezioni batteriche gravi,caratteristiche cliniche simili ad altre immunodeficienze gravi e combinate Sindrome da acinesia fetale Recessiva X-linked Acinesia fetale,arinencefalia,polidramnios Sindrome fetale da alcool Non genetica Carenza di crescita pre- e post-natale,ipoplasia di metà del viso,dismorfismo,difetti viscerali vari, difetti oculari inclusa l’anomalia di Peters (leucoma corneale,difetti dello stroma corneale e delle membrane di Descemet,aderenze iridee e lenticolari alla parte posteriore Ototossicità fetale da amminoglicoside Non genetica Perdita di udito,con o senza disturbi vestibolari Sindrome fetale da aminopterina Non genetica Idrocefalia,meningo-encefalocele,dismorfismo, micrognatia,labbro/palato leporino,assenza di ossa craniche Effetti fetali da anti-infiammatori

Non genetica

Effetti fetali da auto-anticorpi anti-tiroide

Non genetica

Effetti fetali anti-tiroide

Non genetica

Effetti fetali da barbiturici

Non genetica

Effetti fetali da benzodiazepina

Non genetica

Sequenza di distruzione del cervello fetale

Sporadica

Effetto fetale da carbamazepina

Non genetica

Effetto fetale da monossido di carbonio

Non genetica

Effetto fetale da Clomifene

Non genetica

Effetto fetale da cocaina

Non genetica

Oligoidroamnios,prematura/ parziale chiusura dei dotti arteriosi contratture delle giunzioni, scarso sviluppo polmonare,insufficienza renale,emorragia intracranica. Tendenza ad adenoma metarenale Ipertiroidismo transiente neonatale,ingrossamento della tiroide,ritardo nella crescita dovuto al passaggio attraverso la placenta degli autoanticorpi anti-tiroide da madre affetta da tiroidite di Hashimoto Occasionalmente,ipertiroidismo congenito,difetti del cuoio capelluto,difetti uracali,onfalocele Occasionalmente,dismorfismo simile alla sindrome fetale da idantoina,difetti cardiovascolari, labbro leporino,altri reperti Ipotonia sporadica,floppy baby,viso dismorfico ostruzione intestinale simile alla fibrosi cistica, altri reperti clinici Distruzione del cervello in utero che induce un collasso del cranio dovuto a ridotta pressione intracranica,grave microcefalia,marcate pliche del cuoio capelluto Occasionalmente microcefalia,spina bifida,altri reperti clinici Prematurità,contrazioni,altre anomalie muscoloscheletriche dovute a intossicazione materna da CO nel primo trimestre e a coma Occasionalmente,trisomia 21 o altre trisomie cromosomiche Malformazioni genito-urinarie simili alla sindrome prune-belly,anomalie cerebrali,malattia cardiaca, altri reperti clinici

Bibliografia [OMIM] BD Encyclopedia 2962 p.687

BD Encyclopedia 2497 p.682

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Prenat Diagn 19:468-471,1999

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BD Encyclopedia 2991 p.690 BD Encyclopedia 2510 p.697

BD Encyclopedia 2993 p.1347 BD Encyclopedia 2603 p.699 Segue →

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Malattia Sindrome fetale da coxsackie B Citomegalovirus fetale

Eredità Non genetica Non genetica

Effetto fetale da DES

Non genetica

Effetto fetale da D-penicillamina

Non genetica

Encefalite equina fetale venezuelana Non genetica Effetto fetale da androgeni estrinseci Non genetica Sindrome del viso fetale

Autosomica dominante

Emangioendotelioma fetale Infezione fetale da epatite B Sindrome fetale da herpes virus simplex di tipo 1

Sporadica Non genetica Non genetica

Sindrome fetale da idantoina

Autosomica recessiva Non genetica

Foci fetali iperecogeni intra-epatici

Sporadica

Disordine fetale da carenza di iodio Probabilmente autosomica recessiva Sindrome fetale da isotretinoina

Non genetica

Esposizione fetale cronica al piombo Non genetica Sindrome fetale da listeriosi Non genetica

Effetti fetali da litio

Non genetica

Steatosi epatica acuta materno-fetale

Autosomica recessiva

Sintesi semeiologica Miocardite,meningoencefalite,epatite focale Ritardo di crescita fetale,epatoslenomegalia, porpora,ittero,anemia emolitica,microcefalia, coinvolgimento neuro-oculare inclusa cataratta. Occasionalmente idrope fetale,teratoma,tendenza alla leucemia Cambiamenti dell’epitelio vaginale,sostituito da adenosi o sostituzioni di epitelio colonnare mulleriano,fequenti anormalità cervicali,dell’utero o delle tube di Falloppio,occasionalmente cancro della vagina o della cervice,ambiguità genitale Ipersensibilità articolare simile alla Ehlers-Danlons, cute lassa,ernia,immunodeficienza,altri reperti clinici Dispnea,anossia,convulsioni,infezioni, necrosi cerebrale Pseudoermafroditismo femminile simile alla iperplasia surrenale di tipo III Bassa statura,alto rapporto neurocranio/ splancnocranio,facies tipica che suggerisce acondroplasia,distanza interorbitale accresciuta, ipoplasia genitale,brachimelia dell’avambraccio, altre anormalità Emangioendotelioma epatico fetale Cirrosi,epatite,occasionalmente cancro Rash vescicolare alla nascita/altre lesioni cutanee, microencefalia,calcificazioni intracraniche, idranencefalia,corioretinite,microoftalmia Deficienza di crescita pre- e post-natale, trigonocefalia,ipoplasia del viso,ipoplasia delle unghie/dell’ultima falange,ipospadia, anomalie oculari,singola arteria ombelicale, altri difetti (ganglioneuroblastoma,linfoma) Foci fetali iperecogeni intra-epatici isolati, generalmente con buona prognosi.Possono occasionalmente essere associati con altre anomalie, con cromosomopatie,infezioni prenatali,ecc. Manifestazioni cliniche che si presentano in Paesi con endemicità della gotta, caratterizzate da ritardo mentale,diplegia spastica, sordità,e dovute a carenza materna di iodio orecchie piccole o assenti,tacche preauricolari, micrognatia,palato leporino,idro-microencefalia, paralisi oculomotoria,altre manifestazioni oculo/viscerali Ritardo dello sviluppo intrauterino,ritardo mentale Distress respiratorio neonatale,convulsioni, epatosplenomegalia,rash,liquido amniotico macchiato da meconio; occasionalmente idrope fetale non immune Anormalità di Ebstein,ernia inguinale. mielomeningocele Cardiomiopatia,miopatia,ipotonia,ipoglicemia, convulsioni,aciduria lattica,morte improvvisa

Bibliografia [OMIM] BD OAS IV 7:59-63 1968 BD Encyclopedia 0381 p.691 Prenat Diagn 19:314-317,1999

BD Encyclopedia 2297 p.694

BD Encyclopedia 2260 p.692 BD Encyclopedia 2731 p.730 BD Encyclopedia 2734 p.702 18700 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation, quinta edizione,p.130

Prenat Diagn 20:433-435,2000 BD Encyclopedia 3008 p.695 BD Encyclopedia 2988 p.713

261720 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation, quinta edizione,p.559

Prenat Diagn 18:339-342,1998

228355

BD Encyclopedia 2261 p.722 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.572 BD Encyclopedia 3194 p.705 Prenat Diagn 7:277-282,1987

BD Encyclopedia 2732 p.715 Am J Hum Genet 58:979-988,1996 600890 Pediatr Res 40:393-398,1996 Segue →

21

Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli

Malattia Diabete materno-fetale

Eredità Non genetica

Effetto materno-fetale da D-penicillamina

Non genetica

Somministazione maternofetale di Griseofulvina Ipertensione materno-fetale

Non genetica Non genetica

Effetti materno-fetali dell’ipertermia Non genetica

Sindrome materno-fetale da lupus Malattia di Lyme materno-fetale

Effetto materno-fetale da papilloma virus

Effetto materno-fetale da PKU

Autosomica dominante Non genetica

Non genetica Probabilmente autosomica dominante Autosomica recessiva

Sindrome di Sjogren-Mikulicz materno-fetale Fumo materno-fetale

Autosomica dominante Non genetica

Vasodilatatore materno-fetale

Non genetica

Sindrome fetale da metotrexato

Non genetica

Effetti fetali da metilmercurio

Non genetica

Sindrome fetale da minoxidil

Non genetica

Cisti fetali multiple

Etereogenicità genetica

Sindrome fetale da parvovirus

Non genetica

Sintesi semeiologica Peso sopra alla media alla nascita,obesità,aspetto simil-Cushing, visceromegalia con testa piccola, cataratta,altri difetti oculari,disordini metabolici, ipoglicemia,disordini vascolari/neuroscheletrici/ oculoviscerali/genitali.Alluci duplicati,microzia,anozia Iperestensibilità cutanea generalizzata simile alla Ehlers-Danlons e alla cute lassa, immunodeficienza,agenesia timica,danni cerebrali, idrocefalo,altri difetti Gemelli siamesi,altri reperti clinici

Bibliografia [OMIM] BD OAS XVIII(3A)55-57,1982 601759 J Med Genet 34:261-263,1997

Ritardo della crescita intrauterina, reperti clinici associati Difetti del tubo neurale,ritardo mentale, microoftalmia,ipoplasia del viso

BD Encyclopedia 2961 p.693

Basso peso alla nascita,ritardo mentale,ritardo nello sviluppo,malattia cardiaca congenita,altri difetti.Solo occasionalmente,microcefali Emocromatosi neonatale indotta dalla sindrome di Sjogren-Mikulicz materna Basso peso alla nascita,ritardo nella crescita intrauterina,abruptio placenta,placenta previa, SID,NNAL (metabolita della nicotina) nel liquido amniotico.Aumentato rischio durante la vita di cancro dei neonati la cui madre ha fumato durante la gravidanza Ipertricosi generalizzata; occasionalmente,facies dismorfica e/o altri reperti clinici Anomalie craniofacciali,anomalie digitali,ritardo nella crescita,nessun ritardo mentale Ritardo mentale,atassia,disturbi della parola, problemi di andatura,disturbi nella deglutizione, altri difetti neurologici,microcefalia,cecità Onfalocele,ipertricosi,criptorchidismo, viso dismorfico,altri dati clinici Edema generalizzato,cisti multiple,dermatolisi post-mortem,anomalie cromosomiche,difetti scheletrici,altre anomalie multiple Polidramnios,idrope fetale,anemia emolitica grave aplastica/non immunologica,inclusioni eritroblastiche, epatosplenomegalia,febbre,rash generalizzato, lesioni oculari incluse malformazioni del segmento anteriore; occasionalmente,necrosi miocardica

BD Encyclopedia 2236 p.705 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.580 Am J Dis Child 147:1072-1075,2000

BD Encyclopedia 0233 p.692

BD Encyclopedia 2928 p.1721

BD Encyclopedia 2385 p.703 Smith’s Recognizable Patterns of Human Marformation,quinta edizione,p.578 Bradicardia repertata in utero,blocco cardiaco, BD Encyclopedia 2112 p.177 lupus cutaneo discoide,rash nel neonato Prenat Diagn 21:143-145,2001 Irritabilità,convulsioni,ipertonia,incoordinazione, BD Encyclopedia 3212 p.696 altri cambiamenti del comportamento,facies dismorfica Alla nascita o durante la prima infanzia,papillomi BD Encyclopedia 2965 p.1361 respiratori multipli,condilomi ano-genitali

Prenat Diagn 20:307-310,2000

BD Encyclopedia 2927 p.706 Teratology 57:51-55,1998 BD Encyclopedia 2495 p.716

Pediatrics 79:434-436,1987 BD Encyclopedia 2509 p.718

BD Encyclopedia 2980 p.719 Prenat Diagn 19:389-390,1999

Segue →

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Malattia Effetto fetale da PCB

Eredità Non genetica

Effetto fetale da PCP

Non genetica

Sindrome fetale da primidone

Non genetica

Effetti fetali da propiltiouracile

Non genetica

Effetto fetale da radiazione

Non genetica

Sindrome fetale da rosolia

Non genetica

Effetto fetale del fumo Sindrome fetale da sifilide

Non genetica Non genetica

Sindrome fetale da talidomide

Sindrome fetale da toluene

Non genetica Probabilmente autosomica recessiva Non genetica

Sindrome fetale da toxoplasmosi

Non genetica

Sindrome fetale da trimetadione

Non genetica

Sindrome fetale da valproato

Non genetica

Sindrome fetale da varicella

Non genetica

Effetti fetali da verapamile

Non genetica

Sindrome fetale da warfarin

Non genetica

Persistenza ereditaria della emoglobina fetale,eterocellulare

Autosomica dominante

Sintesi semeiologica Iperpigmentazione,displasia delle unghie,basso peso alla nascita,altre anomalie Irritabilità,altri cambiamenti del comportamento,facies dismorfica Labbro/palato leporino,difetti cardiaci,coartazione dell’aorta,microcefalia,dismorfismo cranio-facciale simile alla sindrome fetale da idantoina,altri difetti Gotta fetale e ipotiroidismo causati dall’uso di propiltiouracile durante la gravidanza Microcefalia,ritardo mentale,cambiamenti nelle lenti delle capsule posteriori,conseguenti ad una esposizione sufficiente ed accidentale a radiazione ionizzante; rischi di leucemia Ritardo nella crescita prenatale,epatosplenomegalia, porpora/ittero,anomalie oculari inclusa cataratta, fontanelle larghe,microcefalia,sordità,difetti cardiaci. Occasionalmente idrope fetale.Sarcoma,glioma, tendenza alla leucemia Basso peso alla nascita Lesioni cutanee maculo papulari/alte, osteocondrite/periostite,lesioni orali/oculari/viscerali Difetti degli arti,emangioma nasale, atresia anale,stenosi duodenale, sordità,cambiamenti coroidoretinali, altri difetti oculo/viscerali Ritardo nella crescita,viso dismorfico,anomalie oculari,microcefalia,ritardo mentale,ipotonia, criptorchidismo,malformazioni renali,arteria ombelicale singola Prematurità,micro-idrocefalia,ritardo psicomotorio, microftalmo,corioretinite,calcificazioni periventricolari,altri coinvolgimenti viscerali. Occasionalmente idrope fetale.Il trattamento materno prenatale può dare una buona prognosi post-natale Ritardo mentale,dismorfismo,sopracciglia a V, labbro/palato leporino,elica anormale,cardiopatia, altre anomalie viscerali Spina bifida,dismorfismo,epicanto che si estende come un solco sotto l’orbita,difetti neurologici, altre anomalie viscerali Occasionalmente dovuta ad infezione materna con VZV (varicella-zoster virus) nelle prime 20 settimane di gestazione.Ulcerazioni/croste/ cicatrici/riduzioni focali cutanee,deformità,altri difetti multipli inclusa cataratta,cambiamenti coroidoretinici.Leucemia Cardiomiopatia ipertrofica congenita associata con espozione in utero a verapamile Ipoplasia nasale,distress respiratorio,punteggiatura epifiseale,estremità ipoplastiche,altri difetti multipli incluse anomalie oculari Persistenza asintomatica della emoglobina fetale concentrata in alcune cellule

Bibliografia [OMIM] BD Encyclopedia 2733 p.712 BD Encyclopedia 2986 p.696 BD Encyclopedia 2982 p.720

Prenat Diagn 15:599-604,1995 BD Encyclopedia 0383 p.721

BD Encyclopedia 0384 p.723 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.574

BD Encyclopedia 2960 p.710 BD Encyclopedia 0385 p.725 BD Encyclopedia 0386 p.726

J Pediatr 106:922-927,1985

BD Encyclopedia 0387 p.727 Prenat Diagn 19:330-333,1999 Prenat Diagn 21:85-88,2001 Prenat Diagn 18:1186-1190,1998

BD Encyclopedia 0388 p.729 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.564 BD Encyclopedia 2596 p.730 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformationi,quinta edizione,p.566 BD Encyclopedia 2499 p.708 Prenat Diagn 19:163-166,1999 Prenat Diagn 21:121-124,2001 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.576 Prenat Diagn 15:1088-1089,1995 BD Encyclopedia 0389 p.731 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edzione,p.568 142470 Segue →

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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli

Malattia Persistenza ereditaria della emoglobina fetale, eterocellulare,tipo svizzero Persistenza ereditaria della emoglobina fetale,pancellulare Idrope fetale,idiopatica

Eredità Dominante X-linked

Autosomica dominante Sporadica Probabilmente autosomica recessiva Intestino fetale iperecogeno isolato Cromosomica Eterogeneità genetica

Sintesi semeiologica Persistenza asintomatica della emoglobina fetale concentrata in alcune cellule

Bibliografia [OMIM] 305435

Persistenza asintomatica della emoglobina fetale 141749 concentrata uniformemente Nessuna idrope immuno-fetale,edema alla nascita, 236750 insufficienza cardiaca congestizia,nessuna incompatibilità materno-fetale L’incidenza dell’intestino iperecogeno (luminosità Prenat Diagn 20:909-913,2000 delle creste iliache) è 2-4 per 1.000 durante il secondo trimestre di vita del feto.Può essere dovuto a incremento del meconio,riduzione della motilità intestinale,cromosomopatia trisomica,infezione intrauterina,insufficienza placentare

Tra queste figurano diverse sindromi indotte dalla assunzione di specifici farmaci in gravidanza (inibitori ACE fetali, sindrome fetale da Warfarin, sindrome fetale da valproato, sindrome fetale da trimetadione, effetto fetale da benzodiazepine, effetto fetale da carbamazepina, effetto fetale da anti-tiroidei, sindrome fetale da idantoina, e diverse altre). Appaiono necessarie, quindi, a tal proposito alcune considerazioni. Il rischio di effetti teratogeni per l’assunzione di un farmaco nel corso della gravidanza, oltre che dalla intrinseca composizione della sostanza, dipende da molti altri fattori che non devono mai essere trascurati: 1. il tempo di somministrazione; 2. l’eventuale precedente, contemporanea o successiva esposizione ad altri agenti chimici o fisici ritenuti teratogenici; 3. l’imponderabile ma certamente significativa variabilità nella risposta individuale della donna; 4. l’epoca gestazionale in cui un farmaco è stato assunto (vedi successivamente; le benzodiazepine, ad esempio, nel primo trimestre non sembra abbiano effetti nocivi sul feto, mentre la somministrazione nell’ultimo trimestre comporta un maggiore rischio teratogenico) [8]. Al fine di escludere una semplice casualità dell’evento, va ricordato che una sostanza teratogena tende, di solito, a provocare sempre lo stesso tipo di danno embriologico. È utile, a tal proposito, il ricordo della talidomide responsabile della focomelia. Lo stesso specifico difetto degli arti può, però, essere presente in almeno una ventina di sindromi genetiche note (la malattia di Fanconi tipo I; la sindrome di TAR; la sindrome di Cornelia de Lange; la DK sindrome e tante altre) [7].

Riportiamo altri esempi utili a far riflettere su aspetti importanti di quanto stiamo trattando. In un neonato con labbro leporino, la cui madre ha assunto per un lungo periodo della gravidanza un farmaco potenzialmente teratogeno, saremmo portati a sospettare un rapporto di causa-effetto. Se però, dall’anamnesi genetica, risulta che analogo difetto era presente anche in uno stretto familiare della donna o del suo consorte, la patologia occorsa al feto è con ogni probabilità indipendente dal farmaco assunto durante la gravidanza. Non andrebbe però escluso, in questo caso, che il farmaco abbia agito come concausa dell’evento [7]. Il clomifene è un derivato non steroideo usato di frequente per indurre l’ovulazione; la sua somministrazione si accompagna, unitamente a gravidanze plurime, anche ad un’aumentata frequenza di aborti spontanei. È però difficile ritenere che il farmaco sia l’unico responsabile di quest’ultima evenienza, che può invece essere riportata ad una condizione predisponente di base, rappresentata dall’alterato equilibrio ormonale che d’altronde spiega l’impiego del farmaco. Che episodi come quelli riportati meritino estrema cautela interpretativa deriva anche dal fatto che, non di rado, nascono controversie medico-legali che vedono ostetrici rinviati a giudizio per negligenza e/o imprudenza.A questo proposito va anche tenuto presente che: più di 1/4 degli aborti spontanei è dovuto a cromosompatie o a cause del tutto sconosciute; malformazioni rilevanti, definite perciò “maggiori” sono presenti in circa il 3% degli embrioni umani; un feto su 25 va incontro a ritardo nella crescita intrauterina e ben l’8-10% ha una malattia genetica, ad esordio precoce o tardivo. Bisogna infine considerare che è invalso l’uso (o l’abuso) di segnalare nelle “avvertenze” che accompagnano le confezioni della maggior parte dei farmaci in commercio che una certa sostanza può essere nociva e per-

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

tanto se ne sconsiglia la somministrazione in gravidanza. Se queste avvertenze, disposte forse anche da decreti ministeriali, valgono a tutelare le industrie produttrici, tuttavia inducono troppo spesso nell’utenza ingiustificati timori [7].

Teratogeni di natura fisica Tra i teratogeni di natura fisica vanno segnalate le radiazioni naturali, i campi magnetici, l’esposizione al radon (gas naturale). Molta importanza hanno anche le radiazioni utilizzate a scopo diagnostico durante le prime 13 settimane di gravidanza. L’azione teratogena di queste radiazioni ed in particolare dei raggi X è stata oggetto di molteplici e approfonditi studi; nonostante la vastissima letteratura sull’argomento [9-11] non vi è ancora certezza circa gli effetti reali che esse determinano sul prodotto del concepimento e, allo stato, esiste ancora confusione circa le differenti azioni prodotte in vivo da raggi X, microonde, ultrasuoni, onde radar, sorgenti diatermiche ecc. Appare necessario, quindi, definire le caratteristiche fisiche e gli effetti biologici delle radiazioni più studiate. I raggi X e i raggi γ sono onde elettromagnetiche altamente penetranti nei tessuti dove inducono ionizzazione. L’effetto biologico è dovuto alle conseguenti reazioni elettrochimiche che, ad alte concentrazioni, inducono morte cellulare, arresto dello sviluppo, mutazioni e cancro. L’aumentata incidenza di cancro è stata trovata nei pazienti sottoposti a terapia radiante, negli operatori sanitari esposti per anni alle radiazioni senza le dovute precauzioni (come è occorso nel passato), nei minatori di miniere di uranio e di radium [9-13]. Le microonde, le onde radar, le radio-onde e le onde diatermiche sono onde elettromagnetiche che, pur con diversa capacità di penetrazione nei tessuti, non inducono in questi ionizzazione [12]. L’effetto biologico in questi casi è l’ipertermia. Le onde diatermiche elettromagnetiche hanno proprietà di penetrazione superiore alle microonde e inducono per questa ragione minore effetto ipertermico; va però notato che microonde con frequenze sopra i 10.000 MHz, pur con bassa penetrazione, provocano significativa ipertermia. Poco ancora si conosce circa gli eventuali effetti non termici dovuti alle irradiazioni elettromagnetiche; sembra però accertato che l’occhio sia l’organo più vulnerabile: infatti l’esposizione prolungata a microonde o radar fa sviluppare una cataratta con significativa frequenza. Gli ultrasuoni sono composti da onde con frequenze non percepibili dall’orecchio umano; non inducono ionizzazione dei tessuti esposti bensì una sorta di compressione-rarefazione sulla materia che incontrano. Al-

1

le dosi utilizzate a scopo diagnostico (come ad esempio nel monitoraggio fetale ecografico) i numerosi studi epidemiologici estesi a distanza di anni dalla nascita dei feti esposti, non depongono per effetti biologici nocivi [10]. Circa invece i danni indotti dai raggi X in utero, va detto quanto segue: gli effetti delle radiazioni sono diversi a seconda della sede irradiata, della fase di sviluppo del concepito e dell’entità dell’irradiazione [10]. Per quanto attiene alla sede, appare evidente la maggiore pericolosità di radiazioni che agiscono in sede addomino-pelvica rispetto ad altre sedi. Nella teratogenesi embriofetale molta importanza ha certamente l’epoca gestazionale, variando notevolmente la sensibilità agli agenti teratogeni in rapporto allo stadio di sviluppo. Nel I stadio (prime due settimane di sviluppo1), essendo l’embrione costituito da cellule totipotenti non ancora quindi specializzate nella strutturazione dei vari organi ed apparati, l’azione della noxa ha l’effetto del “tutto o nulla” nel senso che o si interrompe la gravidanza o non si verificano danni. In questa fase precoce di sviluppo vi è, quindi, un’elevata incidenza di effetti letali con bassa percentuale di effetti teratogeni. Il fatto, apparentemente paradossale, è probabilmente dovuto alla possibile sostituzione delle cellule colpite se ovviamente il loro numero è limitato. Nel II stadio, quello dell’organogenesi, (dalla fine della 2ª alla 10ª settimana di sviluppo) si ha la maggiore sensibilità agli eventuali insulti teratogeni ed è, quindi, questo il periodo in cui maggiore è l’incidenza di malformazioni [6]. Nel III stadio, quello della moltiplicazione cellulare (dopo la 10ª settimana di sviluppo) si vanno progressivamente riducendo gli effetti teratogeni a carico dei vari organi e l’insulto ambientale, agendo su strutture fetali già costituite, può determinare soltanto un ritardo di crescita o rallentare la differenziazione cellulare di un determinato organo. Soprattutto elevati sono, a tal proposito, i rischi sullo sviluppo del sistema nervoso centrale. Ancora scarse sono le conoscenze sui meccanismi che provocano le diverse patologie conseguenti alla esposizione ad alte dosi di radiazioni [9-11]: morte cellulare, difetti nella migrazione neuronale, anomalie cromosomiche, mutazioni somatiche; né tampoco si conoscono i meccanismi con cui possono avvenire anche danni a distanza, cioè dopo la nascita, consistenti in infertilità, cancro, riduzione della sopravvivenza media ecc. Le più frequenti manifestazioni patologiche sui feti umani esposti a radiazioni ionizzanti ritenute dannose sono: la microcefalia, il ritardo di crescita intrauterina, il ritardo mentale. Sono questi gli effetti pressoché

Per settimane di sviluppo si intendono quelle successive alla fecondazione.

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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli

costanti che seguono esposizioni acute - quasi sempre accidentali - ad almeno 50.000 milli-rads. Queste dosi sono di gran lunga superiori a quelle impiegate nei normali esami radiologici diagnostici, che si mantengono di solito al di sotto dei 5.000-10.000 milli-rads2. Ai dati fin qui esposti, vanno aggiunte alcune altre considerazioni: 1. le radiazioni, a differenza dei farmaci, non hanno in pratica un effetto soglia, per cui la insorgenza di una mutazione non può essere esclusa anche dopo esposizioni minime; del resto non tutti gli studi epidemiologici condotti in vari Paesi del mondo escludono che l’esposizione anche a dosi inferiori a 5.000 milli-rads siano del tutto esenti da rischi [9-11]; 2. pur se gli effetti delle radiazioni sono dose-dipendenti, tuttavia non sappiamo ancora se la relazione dose-effetto sia lineare o esponenziale; 3. è stato segnalato un aumentato rischio di aborto spontaneo quando gli ovociti utilizzati per programmi di procreazione assistita erano ottenuti da ovaie esposte in precedenza a irradiazione; l’esposizione in utero a 1.000-2.000 milli-rads aumenta di due volte il rischio di insorgenza di leucemia infantile [12]. A parte tanti controversi pareri è convincimento quasi unanime che il rischio per un embrione sia molto basso per esposizioni a dosi che non superano i 5.000 millirads, come quasi sempre di fatto accade [9-12]. Va aggiunto che, pur non essendo ereditaria, è stata notata una non casuale ricorrenza familiare della leucemia per cui nella fratria dei leucemici il rischio della malattia è più elevato (1:700) contro quella stimata di 1:2000 nei soggetti esposti a radiazione diagnostica. Più elevato è il rischio per il feto, se la madre è esposta durante la gravidanza a terapia radiante, nel qual caso il feto assorbe dosi anche superiori a 50.000 milli-rads, con danni quasi sempre irreparabili [10-12]. A una donna sottoposta a irradiazione diagnostica delle gonadi si deve raccomandare di evitare il concepimento per almeno 3 mesi dalla esposizione; questa precauzione va presa perché, anche se non vi sono dati che dimostrino un aumento di anomalie congenite nell’uomo, si è dimostrato che l’evento occorre nelle femmine del topo. Naturalmente, nella valutazione complessiva del rischio vanno tenuti in conto, oltre a quanto analizzato, molti altri elementi eventualmente emersi da un’accurata anamnesi genetica familiare non esclusa la concomitante esposizione ad altri fattori teratogenici (infettivi, farmacologici, ecc.) che assumono, in tal caso, proprietà additiva.

2

L’unità di misura attualmente utilizzata è il Gray (Gy); 1Gy = 100 rads.

Teratogeni di natura infettiva Lo spettro di agenti infettivi responsabili di malformazioni è certamente ampio e ancora non del tutto conosciuto. Fermo restando i rilievi precedentemente esposti sui diversi stadi di sensibilità del prodotto del concepimento ai teratogeni ambientali, appare evidente il ruolo causale di infezioni batteriche, virali e protozoarie nella genesi dei difetti congeniti (vedi Capitolo 16). La sifilide è, tra le infezioni batteriche ad andamento cronico, quella dotata di un più spiccato potere teratogeno. Sono tuttavia le infezioni virali e soprattutto il gruppo di infezioni del complesso TORCH (acronimo che sta per toxoplasmosi, other, rubella, citomegalovirus, herpes virus) quelle più frequentemente implicate nella genesi della patologia malformativa embrio-fetale (Tabella 2.5). Molti difetti congeniti sono come già ricordato secondari ad un’interazione tra fattori genetici ed ambientali per esempio molte cardiopatie sono legate all’azione del virus della rosolia su un terreno di predisposizione genetica [14].

Glossario I termini congenito e genetico non sono sinonimi. Una malattia congenita non è necessariamente genetica e al contrario una malattia genetica può non essere congenita. Tipico esempio è dato dalla corea di Hungtinton una malattia degenerativa del sistema nervoso trasmessa come carattere autosomico dominante che si manifesta non alla nascita, ma in età adulta. Anche i termini di ereditario o eredo-familiare vengono in genere usati come sinonimo di genetico. Essi tuttavia non sono strettamente sovrapponibili e andrebbero riservati a quei caratteri genetici trasmissibili dai genitori ai figli. Pertanto una malattia come la sindrome di Down, pur essendo dovuta ad un’anomalia genetica non è in genere ereditaria, non è cioè trasmissibile in quanto i soggetti affetti sono di solito sterili.

Incidenza L’incidenza di una malattia è data dal numero di nuovi casi che si verificano in un determinato periodo (es. 50 casi per 100.000 individui in un anno).

Prevalenza La prevalenza è data dal numero totale di casi presenti in una popolazione in uno specifico periodo e comprende sia i casi nuovi che quelli vecchi.

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Per cui su 100.000 individui potrebbe esservi, per una particolare malattia, una incidenza di 300 casi all’anno, ma una prevalenza di 3.000 casi perché la malattia ha una durata media di 10 anni prima di esitare nella guarigione o nella morte del paziente.

Ricorrenza È la probabilità che una certa malformazione o affezione possa ripetersi in una determinata famiglia. Le indagini sulla frequenza dei vari difetti anatomici nel parentado di un soggetto affetto, hanno permesso non solo di avanzare per talune affezioni una ipotesi eziologica (genetica, ambientale o multifattoriale), ma anche di stabilirne empiricamente il rischio di ricorrenza. Valutare il rischio di ricorrenza di una certa affezione è molto importante nella consulenza genetica di persone portatrici di un difetto o che abbiano già avuto un figlio affetto dalla stessa anomalia.

PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA DEI DIFETTI CONGENITI La prevenzione primaria dei difetti congeniti consiste nella identificazione degli agenti eziologici e, ove possibile, nella loro rimozione. Poiché le conoscenze attuali sulla eziologia di numerose malformazioni congenite sono frammentarie e spesso carenti, appaiono evidenti le difficoltà circa la realizzazione di una efficace prevenzione delle stesse. Ciononostante per i difetti congeniti ad eziopatogenesi nota sono state proposte diverse “strategie preventive”. Essendo la fase organogenetica quella a maggiore rischio malformativo, appare evidente che ogni intervento preventivo debba essere effettuato quanto più precocemente possibile e che il periodo preconcezionale è quello ottimale per realizzare una efficace profilassi. In fase pre-concezionale è importante: a. Identificare tra le future gestanti, quelle portatrici di affezioni (diabete, fenilchetonuria, ecc.) potenzialmente teratogene in modo da porre in atto appropriati interventi terapeutici tesi a ridurre il rischio malformativo. b. Valutare, mediante la determinazione dei tassi anticorpali specifici, lo stato immunitario nei confronti degli agenti morbigeni del complesso TORCH, della lue, della varicella. Per le gravide non immuni, a seconda dei casi, sarà valutata l’opportunità di praticare vaccinazioni (rosolia, varicella), di consigliare opportune norme igieniche e controlli immunologici durante la gestazione (toxoplasmosi) e specifici trattamenti antibiotici in caso di sifilide.

c. Raccogliere informazioni sull’uso che la futura gestante eventualmente fa di farmaci teratogeni per affezioni di cui è portatrice, rendendola edotta del rischio malformativo legato all’uso degli stessi in gravidanza. d. Individuare le fumatrici accanite, le alcooliste, quelle che fanno uso di droghe e quelle che, in genere, hanno abitudini alimentari o di vita inidonee e/o pericolose per un normale sviluppo embriofetale invitandole ad acquisire, in previsione della gravidanza, un regime di vita più consono alle norme igieniche della stessa. e. Consigliare le donne a risanare il proprio organismo da affezioni che possono influire negativamente sulla evoluzione della futura gravidanza quali endocrinopatie, alterazioni della crasi ematica, epatopatie, nefropatie ecc., assumendo, d’altra parte, dosi adeguate di vitamine del complesso B, di vitamina C e soprattutto di acido folico. Questa vitamina infatti, assunta nei tre mesi che precedono l’inizio della gestazione e nel periodo organogenetico alla dose di 0,4 mg/die, è in grado di ridurre non solo l’incidenza dei difetti di chiusura del tubo neurale del 60-70%, ma anche di altri difetti congeniti quali cardiopatie, malformazioni delle vie urinarie, labiopalatoschisi ecc [15]. La dose di acido folico da assumere a scopo preventivo è di 4 mg/die nelle gestanti con anamnesi positiva per DTN (difetti del tubo neurale). Secondo recenti ricerche l’effetto protettivo dell’acido folico sarebbe legato alla capacità di agire favorevolmente insieme alla vitamina B12 su di un difetto metabolico dell’omocisteina-metionina geneticamente determinato [15]. Oltre alla prevenzione primaria è di fondamentale importanza, soprattutto nelle coppie a rischio malformativo, la consulenza genetica (vedi Capitolo 3) che servirà ad informarle in modo chiaro ed esauriente sull’entità del rischio aiutando i partners, nel rispetto della libertà e delle altrui convinzioni, a scegliere tra le varie opzioni quella più soddisfacente e conveniente. La prevenzione secondaria delle malformazioni congenite può essere effettuata in gravidanza ponendo in essere scrupolosamente le norme dell’igiene della gravidanza e realizzando i programmi di screening ecografici e biochimici dei difetti congeniti che consentano di selezionare, nella popolazione in generale, le gravide a rischio da avviare alla diagnostica prenatale invasiva (Tabella 2.9). Posta la diagnosi saranno fornite alla gestante consigli genetici, informazioni sui possibili trattamenti e assistenza psicologica per una scelta consapevole circa l’ulteriore conduzione della gestazione.

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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli

Tabella 2.9. Prevenzione primaria e secondaria dei difetti congeniti Prevenzione primaria (fase pre-concezionale) Individuare e correggere affezioni materne potenzialmente responsabili di difetti congeniti:diabete,endocrinopatie,epatopatie,ecc. Sierologia complesso TORCH.Vaccinazione soggetti non immuni (rosolia) e consigli circa le misure igieniche atte a prevenire altre infezioni Informare circa gli effetti teratogeni di alcuni farmaci Dissuadere da stili di vita non idonei in gravidanza (fumo,alcool,droghe,ecc.) Consigliare l’assunzione di acido folico in epoca pre-concezionale e nella fase organogenetica Prevenzione secondaria (fase post-concezionale) Osservanza scrupolosa delle norme dell’igiene della gravidanza,con particolare attenzione all’alimentazione Realizzazione di programmi di screening ecografici e biochimici dei difetti congeniti nella popolazione non a rischio Diagnosi prenatale invasiva dei difetti congeniti Monitoraggio accurato delle gravidanze a rischio

BIBLIOGRAFIA 1. Società Italiana di Medicina Perinatale (1990) Assistenza Perinatale in Italia, 2ª edizione 2. Associazione Italiana Studio Malformazioni (1987) Manuale per la prevenzione, diagnosi e terapia delle malformazioni congenite. Edizione Lions Club, Bergamo 3. Ventruto V, Di Luccio A (2006) A clinical database for 5.900 genetic disorders. www.genusonline.org 4. Borrelli AL (ed) (1996) Studio retrospettivo sulla patologia fetale malformativa occorsa nell’ultimo quinquennio presso la Clinica Ginecologica e Ostetrica della Seconda Università di Napoli. Atti del VI Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina Perinatale. Spoleto 3-6 giugno 1996 5. Leck I (1994) Structural Birth Defects. In: Pless BI (ed) The epidemiology of childhood disorders, Oxford University Press, Oxford, pp 66-117 6. Mastroiacovo P (1993) Epidemiologia e prevenzione dei difetti del tubo neurale. Editeam Simposia 133-178 7. Pagano M, Mastroiacovo P (1988) La prescrizione dei farmaci in gravidanza. Guida alla valutazione del rischio genetico. McGraw Hill, Milano

8. McElhatton PR (1994) The effects of benzodiazepine use during pregnancy and lactation. Reprod Toxicol 8:461-475 9. Proceedings of the Symposium on the late effects of ionozing radiation. March 13-17 (1978) International Atomic Energy Agency, Vol I 10. Brent RL (1983) The effects of embryonic and fetal exposure to X-ray, microwaves, and ultrasound. Clin Obstet Gynecol 26:484-510 11. Brent RL (1980) Radiation teratogenesis. Teratology 21:281 12. Miller RW (1970) Epidemiological conclusions from radiation toxicity studies. Late effects of radiation. Taylor & Francis, Londra 13. HSE (1993) Management of health and safety at work, approved of practice. HMSO, Londra 14. Marino B, Dallapiccola B, Mastroiacovo P (1995) Cardiopatie congenite e sindromi genetiche. McGraw Hill, Milano 15. Mastroiacovo P, Botto L, Castilla EE (1994) I registri delle malformazioni congenite: una valutazione critica. Prospettive in Pediatria 24:227-233

CAPITOLO 3

Malattie genetiche nella medicina prenatale M.L. Ventruto • V. Ventruto

PREMESSA Per molte malattie ereditarie e sindromi plurimalformative è oggi possibile la diagnosi prenatale e la valutazione preconcezionale del rischio. Per il maggior numero di eredopatie era possibile, fino a pochi anni or sono, solo la valutazione del rischio di ricorrenza, basandosi sulla conoscenza dei modelli di eredità mendeliana. Nel caso tutt’altro che raro di eredopatie che non comportano al feto anomalie strutturali riconoscibili alla ecografia, le possibilità di diagnosi preclinica o presintomatica erano molto limitate: oggi sono invece numerose le malattie che possono giovarsi anche di un approccio diagnostico di laboratorio, con analisi biochimiche, molecolari o citogenetiche sul liquido amniotico o sui tessuti fetali. Le malattie ereditarie e le malformazioni congenite su base genetica sono numerose: il database GENUS [1] ne include circa 6.000. Si ha ragione di ritenere che in futuro, grazie alla sempre più approfondita conoscenza del genoma umano, sarà possibile risalire al difetto genico di un numero ancora maggiore di patologie. Più di un terzo delle cause di mortalità infantile e neonatale nelle società industrializzate sono dovute a malattie genetiche; questo numero è destinato anche a crescere in percentuale per la progressiva riduzione dei fattori di rischio esterni (malnutrizione, malattie infettive, disagevoli condizioni di vita, ecc.) che costituivano nei decenni passati la causa maggiore della mortalità infantile. Analoghe considerazioni spiegano perché il 40% dei ricoveri nelle Divisioni di Pediatria sono richiesti per patologie dovute a malattie geniche. Con l’aumento dell’età media della vita, anche le patologie croniche degenerative della terza età, quasi tutte su base genetica, sono divenute più frequenti. La ricerca volta al riconoscimento di mutazioni geniche e quindi alle cause delle malattie ereditarie, evidenzia una progressione non lineare ma esponenziale: come nella composizione di un complesso puzzle, a ma-

no a mano che si procede nella costruzione si accorciano sempre di più i tempi necessari alla collocazione dei vari tasselli, così ogni nuova conoscenza sulla struttura molecolare del genoma facilita la scoperta di nuovi geni, le loro caratteristiche, la collocazione sui cromosomi, le loro funzioni. Il lavoro non è certamente semplice, quando si consideri che i “tasselli” sono in ogni cellula tre miliardi ed i geni assommano a decine di migliaia.

Genotipo e fenotipo Il termine genotipo indica la costituzione genetica di un individuo; il fenotipo definisce invece le caratteristiche fisiche e funzionali della persona. Il genotipo è fissato al momento della fecondazione ed è costante (si modifica solo con l’intervento di mutazioni spontanee o indotte), mentre il fenotipo esprime i caratteri dell’individuo dettati dal proprio genotipo. L’insieme dei caratteri (o tratti), sia normali che patologici, costituiscono quindi il fenotipo di un individuo, rappresentato da proprietà biochimiche, processi cellulari, strutture anatomiche, funzione di organi, caratteristiche comportamentali; essi sono quindi, a differenza del genotipo, potenzialmente variabili e risultano sempre dall’interazione fra costituzione genetica e il mutevole ambiente che ci circonda.

Cromosomi umani e loro cariotipo I cromosomi sono strutture complesse situate nei nuclei di ogni cellula dell’organismo; sono costituiti da cromatina formata a sua volta dal DNA (depositario dell’informazione genetica) e da proteine che non solo intervengono nell’organizzazione del DNA e nel controllo dell’espressione genica, ma forniscono anche l’impalcatura di sostegno alla cromatina stessa.

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

I cromosomi possono essere osservati al microscopio ottico durante la metafase mitotica e meiotica della cellula. Ogni cromosoma è costituito da due cromatidi (detti fratelli) tenuti insieme a livello di una particolare struttura, il centromero (Fig. 3.1). Ciascun cromatide è formato da un braccio corto collocato verso l’alto detto “p” (dal francese petit) e un braccio lungo “q” (così detto perché 1-p=q).

Fig. 3.1. Tipi di cromosomi umani e denominazione delle varie componenti.Modificata da [2],con autorizzazione

In base alla posizione del centromero i cromosomi si classificano in: metacentrici, quando il centromero è in posizione centrale e le braccia sono di lunghezza pressocché uguale; submetacentrici, quando “p” è più breve di “q”; acrocentrici quando il centromero è in posizione terminale e “p” è molto più breve di “q”. I cromosomi acrocentrici posseggono particolari corpiccioli detti satelliti, collegati al cromatidio da sottili filamenti di cromatina. L’estremità di ciascun cromatide forma il telomero (Fig. 3.1). Il numero e la morfologia dei cromosomi è uguale in tutti gli individui di una specie, e differisce tra le diverse specie. Il cariotipo di una persona definisce il suo assetto cromosomico. Nella specie umana il cariotipo è di 46 cromosomi: 22 coppie di cromosomi autosomici e una coppia di cromosomi sessuali o eterocromosomi. Il cariotipo completo è quindi 46,XX nella femmina e 46,XY nel maschio.A ciascuna coppia di cromosomi è stato assegnato un numero progressivo da 1 a 22. In base alle dimensioni e alla posizione del centromero, i cromosomi umani sono stati divisi in ordine decrescente di lunghezza in 7 gruppi indicati con le lettere dell’alfabeto, dalla A alla G. I cromosomi del sesso (X e Y) formano gruppo a sé (Fig. 3.2).

Fig.3.2.*Piastra cromosomica non bandeggiata;# cariotipo normale femminile al bandeggio R.A ciascuna coppia di cromosomi è stato assegnato un numero progressivo da 1 a 22. I cromosomi sessuali X e Y formano un gruppo a sé.Fin dalla prima classificazione di Denver (1960) i cromosomi sono stati differenziati in base alla loro lunghezza nei seguenti gruppi:A (13); B (4-5); C (6-12); D (13-15); E (16-18); F (19-20); G (21-22)

– – – – – – – –

I gruppi di cromosomi sono: gruppo A: coppia di cromosomi 1-3; gruppo B: coppia di cromosomi 4-5; gruppo C: coppia di cromosomi 6-12; gruppo D: coppia di cromosomi 13-15; gruppo E: coppia di cromosomi 16-18; gruppo F: coppia di cromosomi 19-20; gruppo G: coppia di cromosomi 21-22; cromosoma X e cromosoma Y.

I cromosomi appartenenti ai diversi gruppi sono definiti autosomi (Fig. 3.2). Il riconoscimento di un cromosoma come di suoi singoli segmenti è stato reso possibile, agli inizi degli anni ’70, dalle tecniche di bandeggio. Il bandeggio consente l’identificazione di ciascuna coppia di cromosomi e il riconoscimento talvolta anche di tratti separati di essi. Si utilizzano diversi sistemi di bandeggiamento, indicati con le lettere G, R, Q, C, NOR, ecc. Con queste tecniche i cromosomi appaiono formati da

Capitolo 3 • Malattie genetiche nella medicina prenatale • M.L.Ventruto,V.Ventruto

tanti segmenti denominati bande, alcune chiare, altre più scure. È importante sapere che il numero e l’ampiezza delle bande è costante e specifico per ciascun cromosoma. Con metodi particolari si è oggi in grado di evidenziare in un cariotipo più di 800 bande e sottobande. Alla citogenetica classica, finalizzata alla identificazione dei cromosomi e delle loro anomalie, si è aggiunta negli ultimi anni la citogenetica molecolare1, che con la ibridazione in situ fluorescente (FISH) ed altri tipi di approccio diagnostico molecolare rendono possibile il riconoscimento di difetti cromosomici molto piccoli (ad esempio microdelezioni) impossibili altrimenti a essere diagnosticati anche con bandeggi ad alta risoluzione su cromosomi ottenuti in prometafase. Sonde molecolari specifiche consentono il riconoscimento di ciascun cromosoma di una piastra, mediante la colorazione con specifici differenti fluorocromi (cariotipi cosiddetti spettrali)*.

Codice genetico, geni e polimorfismi genici Le molecole dell’acido desossiribonucleico (DNA) sono formate da uno zucchero con cinque atomi di carbonio, un sale fosfato e 4 basi azotate (adenina, timina, guanina, citosina). Questi elementi, uniti da legami chimici, formano la lunghissima catena a doppia elica del DNA (Fig. 3.3). I geni sono formati da segmenti più o meno lunghi di questa catena.

Fig. 3.3. Molecola di DNA e sua replicazione che richiede normalmente l’accoppiamento delle basi complementari

1

Vedi Appendice alla fine del capitolo

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Il DNA trasmette in codice dal nucleo al citoplasma, mediante l’RNA messaggero, le istruzioni per formare le proteine necessarie alle funzioni e alle strutture di ogni cellula: dopo un processo di decodificazione le istruzioni infatti pervengono alle strutture citoplasmatiche che hanno il compito appunto di “fabbricare” le proteine. Il messaggio trasmesso in codice costituisce il “linguaggio” della natura. La chiave di lettura di questo linguaggio è stata scoperta negli anni cinquanta dai premi Nobel Watson e Crick. Esso consiste di soli 4 elementi fondamentali, le basi sopra indicate, che si devono considerare le “lettere” di questo linguaggio. Adenina, timina, guanina e citosina sono indicate con le rispettive iniziali: A, T, G, C. La successione lineare di 3 lettere forma una tripletta (GAA, GTG, TAT, AGG, e così via). Con le 4 lettere si possono formare non più di 64 differenti triplette, che rappresentano le “parole” la cui ordinata successione forma le “frasi” di questo linguaggio (Figg. 3.3 e 3.4). Mentre però il numero delle lettere e delle possibili differenti parole è obbligato (non più di 4 lettere e di 64 parole), le frasi possono essere praticamente in-

Fig.3.4.In alto:le 64 triplette che la natura utilizza in codice per fornire alle strutture cellulari le informazioni necessarie per strutturare le catene polipeptidiche.In basso:il codice genetico.Poiché le triplette sono 64 e gli aminoacidi 20,questi hanno a disposizione più triplette per essere riconosciuti nelle strutture cellulari ed impiegati nella composizione delle proteine

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finite sia per successione che per lunghezza delle parole. Le frasi di questo linguaggio sono i geni, il cui numero nelle diverse specie varia non tanto in rapporto alla mole dei suoi rappresentanti quanto alla loro complessità strutturale. Il genoma umano ha circa tre miliardi di lettere che compongono alcune decine di migliaia di geni. Un virus ne può avere qualche decina; un batterio qualche migliaio; il moscerino dell’aceto (drosofila) ne possiede circa un milione. Negli ultimi due anni del secolo concluso, è stato realizzato il sequenziamento del genoma della drosofila e, a distanza solo di qualche mese da questa notizia, si è saputo che è stato sequenziato anche l’intero genoma umano. Il genoma non è costituito però solo da geni; se infatti si fa una stima di tutte le lettere necessarie alla composizione dei circa cinquantamila geni dell’uomo, ci accorgiamo che i conti non tornano: vi sono tantissime lettere in più. Ed infatti sono stati scoperti vasti tratti del genoma formati dalla ripetizione (DNA ripetitivo) non di triplette, ma di basi in coppia (AA, AT, CG, ecc.). Si formano così catene a volte brevi, altre volte lunghissime senza una apparente funzione. Sono i cosiddetti polimorfismi. Il loro numero è enorme ed è specifico per ciascuna persona, come lo sono le impronte digitali: i polimorfismi sono dissimili da un individuo all’altro (anche tra componenti di una stessa fratria) al punto che trovare due individui eguali per dieci o minor numero di polimorfismi rappresenta una probabilità di uno su molti milioni. I polimorfismi hanno destato molto interesse scientifico e hanno anche trovato importanti applicazioni pratiche, come ad esempio per il riconoscimento di paternità.

MALATTIE GENETICHE Classificazione • •

Le malattie genetiche si possono classificare in: cromosomiche, dovute ad anomalie numeriche o strutturali dei cromosomi; geniche mendeliane, dovute a mutazioni di singoli geni e trasmesse secondo le leggi di Mendel. Sono classificate a loro volta in: – autosomiche, se la mutazione è localizzata su uno degli autosomi; – X-linked, se la mutazione è sul cromosoma X; – geniche non mendeliane, quando la trasmissione non segue i modelli di eredità mendeliana; – mitocondriali, dovute a mutazione dei geni mitocondriali; – multifattoriali o poligeniche quando la malattia richiede la partecipazione poligenica e di fattori ambientali (per lo più sconosciuti) (Tabella 3.1).

Tabella 3.1. Classificazione delle malattie genetiche Cromosomiche

Malattie genetiche

Geniche ad eredità mendeliana

Numeriche Strutturali Autosomiche X-linked

Dominanti Recessive Dominanti Recessive

Geniche ad eredità non mendeliana Mitocondriali Multifattoriali

Malattie cromosomiche Frequenza delle cromosomopatie nella popolazione umana Le patologie cromosomiche - incluse quelle dei cromosomi del sesso - sono presenti in non meno dell’1% dei nati vivi. Le cromosomopatie sono tra le cause più frequenti di sterilità di coppia, di sindromi plurimalformative embrio-fetali e di ritardo mentale. Frequentemente sono anche causa d’aborto: molte malattie cromosomiche soprattutto quelle che coinvolgono le coppie degli autosomi sono letali e incompatibili anche con la sopravvivenza fetale per cui inducono precoce interruzione della gravidanza (spesso durante il primo trimestre). Va aggiunto che negli embrioni ottenuti dopo fecondazione assistita (FIVET, ICSI ecc.) sono state rilevate anomalie cromosomiche (mosaicismi, poliploidie, aneuploidie) in un significativo numero di casi, come dimostra la genetica preimpianto [3]. L’esame del cariotipo è oggi una procedura diagnostica necessaria al riconoscimento di molte patologie, prenatali e postnatali: di fatto il 10% delle morti endouterine sono dovute ad anomalie cromosomiche; i ritardi della crescita, i dismorfismi facciali, l’ambiguità dei genitali, sono patologie spesso dovute a cromosomopatie. Va inoltre ricordato che la trasmissione di un errore cromosomico avviene secondo i modelli della eredità autosomica dominante. È osservazione non rara nei casi di traslocazioni familiari. Non è ancora del tutto nota l’eziopatogenesi delle cromosomopatie, ma vi è motivo di ritenere che alla base vi sono complessi e non univoci disordini genetici, consistenti in mutazioni dei geni preposti al controllo della divisione cellulare.Vengono, così, in qualche modo ridimensionati, alcuni fattori o cofattori, come l’età materna non a ragione ritenuta ancora la causa principale delle anomalie cromosomiche fetali [4]. Le anomalie o aberrazioni cromosomiche, possono essere numeriche o strutturali (Tabella 3.2).

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Tabella 3.2. Classificazione delle anomalie cromosomiche

Aneuploidie Numeriche Poliploidie

Delezioni

Strutturali

Trisomie Monosomie Markers soprannumerari Triploidie Tetraploidie Terminali Interstiziali Sindromi da microdelezione

Duplicazioni Inversioni Inserzioni Traslocazioni

Robertsoniane Reciproche

Cromosomi dicentrici Isocromosomi Cromosomi ad anello

Anomalie cromosomiche numeriche2 Le anomalie numeriche possono essere di due tipi: aneuploidie e poliploidie. I meccanismi che le inducono sono fondamentalmente differenti. Nella specie umana di norma il processo della divisione meiotica deve condurre a cellule germinali - sia maschili che femminili - con un numero di cromosomi aploide (1n=23 cromosomi): ciò avviene a seguito di due divisioni consecutive, dette rispettivamente riduzionale ed equazionale che fanno seguito ad una sola duplicazione cromosomica. All’atto della fecondazione la fusione dei due nuclei aploidi (1n) ripristina il numero diploide proprio della specie (2n=46 cromosomi) (Fig. 3.5) [4].

Aneuploidie Le più frequenti aneuploidie osservabili in epoca prenatale o dopo la nascita, consistono nella presenza di un cromosoma in soprannumero o di un cromosoma mancante (2n+1 o 2n-1): ne sono esempi più comuni la sindrome di Down (iperdiploidia o trisomia 47,+21) e la sindrome di Turner (ipodiploidia o monosomia 45,X). Il principale meccanismo all’origine di una aneuploidia è quello della non disgiunzione cromosomica3. Vediamo in che cosa consiste questo errore: prima della divisione cellulare, ogni cromosoma è formato da due cromatidi uniti a livello del centromero. 2

Fig.3.5. Normale processo di divisione meiotica.Da [4],con autorizzazione

Quando la cellula si divide i due cromatidi si separano, per migrare ciascuno in una cellula figlia (Fig. 3.5). Se per cause complesse e non univoche ciò non avviene, i due cromatidi fratelli, non disgiunti, migrano entrambi in una delle cellule figlie; si avrà come risultato una cellula con un cromosoma in più (24 o 47) e una cellula con un cromosoma in meno (22 o 45). Nella Figura 3.6 viene riportato un esempio di errore da non disgiunzione in 1ª divisione meiotica con il risultato di zigoti trisomici o monosomici; la Figura 3.7 mostra invece un esempio di errore da non disgiunzione in 2ª divisione meiotica: originano sia zigoti aneuploidi (trisomici o monosomici) che euploidi. Le trisomie, quando coinvolgono le coppie degli autosomi e non sono a mosaico, ma omogenee, cioè pre-

Per maggiori dettagli e per una più ampia trattazione si rimanda a [4]. La non disgiunzione si verifica nella gran parte dei casi prima del concepimento (non disgiunzione meiotica). Le non disgiunzioni che si verificano nelle mitosi post-zigotiche portano alla formazione di mosaicismi ovvero a due o più diverse popolazioni cellulari nello stesso individuo. 3

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Fig. 3.6. Un errore da non disgiunzione in 1ª divisione meiotica dà origine a zigoti trisomici o monosomici.Da [4],con autorizzazione senti in tutte le cellule, sono quasi sempre incompatibili con la sopravvivenza del feto. Fa eccezione la trisomia del cromosoma 21 (sindrome di Down); anche le trisomie 13 (sindrome di Patau) e 18 (sindrome di Edwards) consentono una sia pur breve sopravvivenza (giorni o settimane). Diversamente dalle aneuploidie degli autosomi, quelle dei cromosomi sessuali (47,XXX; 47,XXY; 47,XYY) non sono letali. La monosomia 45,Y è sempre letale, mentre la condizione 45,X (sindrome di Turner) può consentire la sopravvivenza, pur se la maggioranza dei concepimenti ipodiploidi 45,X termina con un aborto spesso precoce. Le iperdiploidie dei cromosomi del sesso possono essere anche diverse dalla trisomia; queste sono compatibili con la sopravvivenza; sono conosciute le tetrasomie (48,XXXY; 48,XXXX; 48,XXYY) e le più rare pentasomie, dove il numero dei cromosomi è 49. Non sempre nelle cellule iperdiploidi riesce il riconoscimento del cromosoma soprannumerario. È quanto ad esempio può occorrere nel caso dei cromosomi ad anello e dei piccoli markers cromosomici soprannumerari.

Fig. 3.7. Un errore da non disgiunzione in 2ª divisione meiotica dà origine a zigoti aneuploidi (trisomici o monosomici) o euploidi.Da [4],con autorizzazione Nella diagnosi prenatale questi ritrovamenti pongono spesso di fronte a difficili valutazioni interpretative: ad esempio, il significato prognostico di un piccolo marker soprannumerario non è univoco, dipendendo dalla sua derivazione, dalla grandezza, dall’essere familiare o de novo, dal presentarsi in modo omogeneo o a mosaico.

Poliploidie Una cellula si definisce poliploide se possiede un numero di cromosomi multiplo della cellula aploide. Indicando con 1n il corredo aploide (23 cromosomi delle cellule germinali mature) e con 2n quello diploide (46 cromosomi delle cellule somatiche), le cellule triploidi (69 cromosomi) e tetraploidi (92 cromosomi) sono rispettivamente 3n e 4n. Poliploidie possono ritrovarsi in varie condizioni patologiche: tumori solidi, infezioni virali, corionepitelioma, mola idatiforme incompleta, aborti spontanei, feti plurimalformati. Cellule poliploidi sono però presenti anche in alcuni tessuti di normale formazione, come è il caso dei megacariociti del midollo osseo.

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Nel feto gli eventi che possono indurre una triploidia sono la ritenzione del secondo corpo polare o una dispermia (Fig. 3.8).

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Un cariotipo triploide può essere 69,XXX; 69, XXY; 69, XYY (Fig. 3.9).

a

b

Fig.3.9.Cariotipo 69,XXY (bandeggio RHG).Piastra metafasica triploide e cariotipo da neonato plurimalformato,deceduto in prima giornata (osservazione personale).Da [4],con autorizzazione

Mosaicismi

c Fig. 3.8. a Il normale processo della fecondazione. b Triploidia da ritenzione nell’uovo del secondo corpo polare.c Triploidia per mancata riduzione meiotica nell’ovogenesi (in alto);triploidia per fertilizzazione con spermatozoo diploide (in basso a sinistra);triploidia per fertilizzazione da parte di due spermatozoi (in basso a destra).Da [4],con autorizzazione

Si definisce mosaicismo la presenza contemporanea nello stesso individuo o in uno stesso organo di due o più linee cellulari originatesi nelle prime divisioni dopo il concepimento. I meccanismi di origine sono illustrati nella Figura 3.10. Il mosaicismo, quindi, è sempre un evento post-zigotico. Il mosaicismo di più frequente osservazione è quello del cromosoma 21 (circa nel 2% delle sindromi di Down, ma questa bassa percentuale potrebbe essere una sottostima del fenomeno). Molto frequenti sono pure i mosaicismi dei cromosomi sessuali: 45,X/47,XXX; 45,X/46,XX/47,XXX e altre combinazioni ancora. Sul piano clinico-prognostico va ricordato che le sindromi da mosaicismo cromosomico sono molto diverse, dipendendo dalla coppia cromosomica coinvolta, dalla percentuale di cellule aneuploidi, dalla differente distribuzione - per altro difficilmente documentabile - nei vari tessuti (cutaneo, nervoso, vascolare, ecc.).

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Tabella 3.3. Numero di cellule necessarie ad escludere un mosaicismo (ai diversi livelli di confidenza).Da [5]

a

b

c Fig.3.10.a Da una cellula con 46 cromosomi (2n) originano due cellule figlie,ciascuna 2n.b Mosaicismo 45/47.Errore da non disgiunzione in prima divisione postzigotica: risultano due cellule figlie: una trisomica (47 cromosomi) e l’altra monosomica (45 cromosomi).Ciascuna può dare origine ad un clone cellulare.c Mosaicismo 45/46/47.Errore da non disgiunzione in seconda divisione postzigotica:possono derivare,da 4 linee cellulari,tre diversi cloni cellulari:uno a 45 cromosomi,due a 46 e uno a 47 cromosomi. Da [4],con autorizzazione

N cellule 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35

0,90 0,95 0,99 38 32 29 26 23 21 19 18 17 16 15 14 13 13 12 11 11 10 10 10 9 9 9 8 8 8 8 7 7 7 7

41 35 32 29 26 24 23 21 20 19 18 17 16 15 14 14 13 13 12 12 11 11 11 10 10 10 9 9 9 9

46 41 37 35 32 30 29 27 26 24 23 22 21 20 19 19 18 17 17 16 16 15 15 14 14 14 13 13

N cellule 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50-55 56 57-58 59-63 64-73 74 75 76-89 90-98 99-112 113 114-148 149-151 152-227 228-229 230-298 299-458 >459

0,90 7 7 6 6 6 6 6 6 6 5 5 5 5 5 5 5 4 4 4 4 4 3 3 3 3 2 2 2 2 1 1 1

0,95 8 8 8 8 8 8 7 7 7 7 7 7 7 6 6 6 6 5 5 4 4 4 4 3 3 3 2 2 2 2 1 1

0,99 13 12 12 12 11 11 11 11 10 10 10 10 10 9 9 8 8 8 7 7 6 6 5 5 4 4 4 3 2 2 2 1

rappresentatività cellulare necessaria affinché non sfuggano mosaicismi molto bassi (Tabella 3.3). Per quanto riguarda la diagnosi prenatale, va tenuto presente che un mosaicismo può coinvolgere contemporaneamente il feto e la placenta, ma può anche occorrere in maniera indipendente, solo nel feto o solo nella placenta, e ciò in relazione allo stadio precoce o tardivo in cui si realizza la non disgiunzione durante l’embriogenesi. Queste evenienze non del tutto rare pongono spesso di fronte a notevoli difficoltà interpretative. Va, inoltre, aggiunto che il numero forzatamente limitato di metafasi che si ottengono nelle colture di materiale fetale (villi, amniociti, ecc.) può non consentire la corretta valutazione della reale percentuale di un mosaicismo fetale. A questo proposito sono stati elaborati metodi statistici atti ad indicare quale deve essere la

Nei mosaicismi confinati alla placenta (spesso trisomie) sovente il cariotipo fetale è euploide. Questi eventi possono associarsi a sindromi genetiche feto-neonatali. Se ad esempio nella placenta si individua un mosaicismo 47,XY+15/46,XY e nel feto il cariotipo è euploide 46,XY le copie del cromosoma 15, in quest’ultimo, possono derivare entrambe dallo stesso genitore. Questa condizione, conosciuta come disomia uniparentale, determina nel feto l’insorgenza della sindrome di Prader-Willi (se i due cromosomi 15 sono di origine materna) o di Angelman (se sono di origine paterna). La scoperta delle disomie uniparentali ha dimostrato la necessità che alcuni cromosomi e le loro regioni ven-

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gano ereditati da entrambi i genitori affinché non compaiono patologie genetiche, come quelle sopra indicate. Si sa infatti che l’espressione di uno degli alleli è necessaria affinché la sindrome non si manifesti: questo fenomeno è noto come imprinting genomico (vedi anche Capitolo 4).

Anomalie cromosomiche strutturali

Chimerismo

Delezioni (del)

Si chiama chimerismo lo stato in cui un individuo possiede entrambi i genotipi, maschile e femminile. Il chimerismo può essere considerato una particolare forma di mosaicismo. Le cause possono risiedere nella fusione di due zigoti, nel qual caso si parla di chimerismo zigotico, oppure nella fusione - in una fase precocissima dello sviluppo - di due embrioni di sesso diverso. In questo secondo caso il chimerismo si definisce post-zigotico (Fig. 3.11).

Si riferiscono alla mancanza o alla perdita di una parte di cromosoma. A seconda della regione interessata, le delezioni si classificano in terminali o interstiziali (Fig. 3.12) [4]. Le due più note sindromi da delezione degli autosomi sono la sindrome di cri-du-chat (delezione 5p-) e la sindrome di Wolf-Hirshhorn (delezione 4p-)

Le anomalie strutturali dei cromosomi sono di diverso tipo4. Gli effetti sul fenotipo sono variabili ed i danni indotti al concepito da segregazioni meiotiche svantaggiose, sono differenti e spesso complessi.

a

Fig. 3.11. Modelli di chimerismo zigotico e post-zigotico. Da [4], con autorizzazione

A queste due modalità si devono aggiungere quelle indotte da trasfusioni post-natali o materno-fetali e da trapianti di midollo prelevato da persona di sesso diverso (chimerismo emopoietico). In questi casi il chimerismo è di solito transitorio. Generalmente il chimerismo non arreca alcuna patologia. Un mosaicismo prenatale 46,XX/46,XY obbliga a considerare anche altre evenienze e cioè: – contaminazione del campione di liquido amniotico da parte di cellule materne; – ermafroditismo vero maschile: in questo caso il medico genetista deve informare i genitori sul significato clinico e prognostico dell’evento. 4

Per maggiori dettagli e per una più ampia trattazione si rimanda a [4].

b

Fig.3.12.a Esempio di delezione interstiziale di un cromosoma della coppia 5. Descrizione del cariotipo: 46,XY,del(5) (p13p14) [46,XY,del(5) (pter→p14:p13→qter), sistema dettagliato]. Osservazione personale. b Esempio di delezione interstiziale di un cromosoma della coppia 6. Descrizione del cariotipo: 46,XY,del(6) (q12q14) [46,XY,del (6) (pter→q12:q14→qter),sistema dettagliato].Bandeggio RBG.Da [4],con autorizzazione .

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Duplicazioni (dup) Si verificano con meccanismi diversi e comportano la presenza nel cromosoma di un segmento aggiunto. A seconda che questo conservi, rispetto al centromero, la originale disposizione o ruoti di 180°, la duplicazione si definisce diretta o inversa. Si tratta di aberrazioni piuttosto rare (Figg. 3.13 e 3.14) [4].

Fig. 3.15. Inversione pericentrica: rotazione di 180° di un segmento cromosomico comprendente parte di entrambi i bracci del cromosoma;il centromero è incluso nella inversione.Da [4],con autorizzazione

Fig. 3.13. Duplicazione diretta di un segmento dei bracci lunghi. È conservata la normale disposizione sequenziale delle parti costituenti il segmento rispetto alla posizione del centromero.Da [4],con autorizzazione

Fig. 3.16. Inversione paracentrica:rotazione di 180° di un segmento cromosomico appartenente ad uno dei bracci;il centromero non è incluso nella inversione.Da [4],con autorizzazione

Fig.3.14. Duplicazione inversa di un segmento dei bracci lunghi. La rotazione di 180° comporta una disposizione sequenziale inversa delle parti costituenti il segmento, rispetto alla posizione del centromero. Da [4],con autorizzazione

Inversioni (inv) Queste anomalie si verificano quando un segmento di un cromosoma si stacca, ruota di 180° e si ricongiunge al cromosoma di origine. Le inversioni sono dette pericentriche o paracentriche a seconda che il segmento ruotato comprende o meno la regione centromerica (Figg. 3.15 e 3.16).

Nelle inversioni pericentriche all’appaiamento meiotico si configura un’ansa che comprende il centromero. Per un crossing-over all’interno dell’ansa originano due cromosomi anomali, definiti ricombinanti, con duplicazione/deficienza (Fig. 3.17) [4]. Nelle inversioni paracentriche all’appaiamento meiotico si configura un’ansa che non comprende il centromero. Per un crossing-over all’interno dell’ansa originano due cromosomi anomali: un frammento acentrico e un cromosoma dicentrico (Fig. 3.18). Le inversioni possono essere compatibili con fenotipi del tutto normali; i portatori però sono a rischio di avere gameti sbilanciati che inducono quasi sempre gravi malformazioni nei concepiti [4].

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Fig.3.17.All’appaiamento meiotico si configura un bivalente con un ansa che comprende il centromero.Se i crossing-over avvengono all’esterno dell’ansa, i cromosomi risultanti conservano la loro configurazione iniziale. Un crossing-over all’interno dell’ansa darà invece origine a cromosomi con duplicazioni/deficienza definiti ricombinanti.Va ricordato che per le inv(10)(p11q21) e la inv(2)(p11q13) non è segnalato alcun esempio di ricombinanti,né è stato notato finora aumento di aborti spontanei o infertilità.Da [4],con autorizzazione

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Fig. 3.18. All’appaiamento meiotico si configura un bivalente con un ansa che non comprende il centromero.Se i crossing-over avvengono all’esterno dell’ansa,i cromosomi risultanti conservano la loro configurazione iniziale.Un crossing-over all’interno dell’ansa darà invece origine a un cromosoma dicentrico e ad un frammento acentrico.Da [4],con autorizzazione

Inserzioni (ins) Sono anomalie piuttosto rare e consistono nell’inserimento di un segmento di cromosoma nel contesto dello stesso o di altro cromosoma. Il segmento inserito può conservare o meno, rispetto al centromero, l’orientamento originale. Nel primo caso la inserzione si definisce diretta, nel secondo si dice inversa. Si conoscono diversi modelli di inserzione, a seconda del modo e della sede in cui il passaggio del segmento avviene.

Traslocazioni (t) Costituiscono l’anomalia cromosomica strutturale più frequente. Consistono nel trasferimento - quasi sempre reciproco - di un segmento da un cromosoma su un altro generalmente non omologo (Fig. 3.19).

Fig.3.19.Traslocazione reciproca tra cromosomi non omologhi:scambio di frammenti tra due cromosomi non omologhi.Da [4],con autorizzazione

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Se il riarrangiamento non comporta la perdita o l’aggiunta di materiale genico, la traslocazione si definisce bilanciata, altrimenti la traslocazione è detta sbilanciata. Le traslocazioni sono spesso familiari, con trasmissione da una generazione all’altra, poiché l’anomalia, come già detto, segue i modelli di eredità autosomica dominante. Si possono distinguere due tipi di traslocazioni: robertsoniane e reciproche. Traslocazioni robertsoniane Una traslocazione si definisce robertsoniana quando il riarrangiamento avviene tra le coppie dei cromosomi acrocentrici (gruppo D: 13-14-15 e/o gruppo G: 21-22) (Fig. 3.20). Se sono bilanciate le traslocazioni robertsoniane non hanno conseguenze sul fenotipo.Va però ricordato che in modo particolare la traslocazione 13;14 induce, con significativa frequenza, infertilità maschile (oligozoospermia) [6].

Fig.3.21.Traslocazione reciproca tra coppie di cromosomi non omologhi. Appaiamento alla meiosi:figura tetravalente.Da [4],con autorizzazione

a

a b Fig.3.20.Traslocazioni robertsoniane tra acrocentrici omologhi (a) e non omologhi (b):origina un cromosoma non satellitato che è metacentrico se i cromosomi appartengono allo stesso gruppo (a), o submetacentrico se appartengono a gruppi differenti (b).La cellula, nell’uno e nell’altro caso è ipodiploide (45 cromosomi).Da [4],con autorizzazione

Traslocazioni reciproche Gli scambi di segmenti tra due cromosomi non omologhi possono essere vari e riguardare sia gli autosomi che gli eterocromosomi. Generalmente i portatori di una traslocazione reciproca bilanciata hanno un fenotipo normale, ma spesso ridotta o assente fertilità. Una traslocazione reciproca tra cromosomi non omologhi può dare segregazioni meiotiche svantaggiose col risultato di cromosomi deleti o duplicati. L’appaiamento sinaptico infatti non dà origine a figure bivalenti, ma tetravalenti (Figg. 3.21 e 3.22). Teoricamente una segregazione meiotica, se avviene

b

c Fig.3.22 Scambio intracromatidico in divisione mitotica.1-4:divisione di cromosoma ad anello,senza scambi intracromatidici:formazione di due singoli anelli.5:per rottura isocromatidica possono avere origine:per singolo scambio cromatidico, anello singolo ma di diametro doppio (6-8); per doppio scambio cromatidico due anelli concatenati di uguale diametro (9-11).Da [4],con autorizzazione

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a caso, lascia prevedere 50% di concepiti con cariotipo normale o bilanciato (per segregazioni alternate) e 50% con cariotipo sbilanciato (per segregazioni adiacenti). Nella realtà le proporzioni che si ritrovano si presentano spesso del tutto differenti dall’atteso. In uno studio condotto su spermatozoi di un maschio portatore di traslocazione robertsoniana, è stata segnalata una incidenza di segregazioni alternate, e quindi favorevoli, nel 91% delle cellule esaminate [6].Altre statistiche danno percentuali inferiori, ma concordano tutte nel riconoscere che le segregazioni sfavorevoli (specie quelle adiacenti 2) sono piuttosto insolite. Queste conoscenze devono essere tenute nel dovuto conto nella valutazione del rischio, specie nelle fecondazioni assistite.

Cromosomi dicentrici (dic) Si definiscono dicentrici i cromosomi che possiedono due centromeri. Per conservare, però, la loro stabilità nel cromosoma deve rimanere attivo solo uno dei centromeri. Sono infatti sempre cromosomi monocentrici pseudodicentrici. La formazione di un dicentrico avviene con modalità molteplici e complesse [4].

Isocromosomi (i) Sono formati dalla duplicazione di uno dei bracci del cromosoma. Così strutturati sono sempre metacentrici. Originano quando la separazione dei cromatidi avviene su un piano trasversale anziché longitudinale. Gli isocromosomi più comuni sono i sessuali, sia del cromosoma X che Y.

Cromosoma ad anello (r) L’aberrazione strutturale che porta alla formazione di un cromosoma circolare, a forma di anello, consiste nella rottura ad entrambe le estremità del cromosoma (telomeri) e successivo ricongiungimento dei punti di rottura. La grandezza dell’anello dipende dal cromosoma di origine e dalla lunghezza dei tratti deleti. In fase di replicazione, possono avvenire tra i cromatidi fratelli, singoli o doppi scambi con il risultato di anelli diversi dall’originale, in quanto dicentrici o con grandezza doppia.

Instabilità cromosomica È una condizione di imperfetto equilibrio che conduce a fratture, riarrangiamenti e scambi cromatidici tra cromosomi di gruppi diversi. Si può osservare in alcune malattie genetiche a eredità autosomica recessiva. Questi difetti creano forte predisposizione alla insorgenza di tumori fin dalla infanzia, in particolare leucemie e linfomi. La più conosciuta eredopatia con instabilità cromosomica è l’anemia di Fanconi; molto più rara è la malattia di Bloom.

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Siti fragili (fra) Accanto alle costrizioni primarie, normalmente presenti su molti cromosomi, si possono osservare su diverse regioni cromosomiche altre costrizioni, dette secondarie. Sono sede di facili rotture cromatidiche per cui sono indicate col nome di siti fragili. Un sito fragile può essere indotto da particolari terreni di coltivazione, ma può anche ritrovarsi in colture normalmente allestite. Si conoscono le sedi di più frequente riscontro dei siti fragili. Un sito fragile si considera un semplice eteromorfismo cromosomico, privo di effetti sul fenotipo. Talvolta però esso è espressione di specifiche patologie genetiche. L’esempio più conosciuto è dato dalla malattia di MartinBell (il più frequente ritardo mentale del maschio, dopo la sindrome di Down) in cui il sito fragile è nella regione Xq27.3.

Varianti (eteromorfismi) cromosomici Oltre ai siti fragili,esistono altre varianti,ritenute in genere prive di significato patologico. Queste sono: – la eterocromatina costitutiva delle regioni pericentromeriche. Una variabile estensione di queste regioni è propria delle coppie dei cromosomi 1, 9, 16. Si indicano qh+ e qh- le regioni più estese o meno estese (1qh-, 9qh+, 16qh+, ecc.). È frequente anche una inversione pericentrica all’interno di queste regioni. Il riscontro è privo di significato patologico, a differenza della inversione delle regioni non eterocromatiche. – Anche la regione pericentromerica Yq può essere di lunghezza variabile. La variante si eredita con modello autosomico dominante. Si considera una mutazione de novo quando non è presente anche nel genitore. – I satelliti dei cromosomi acrocentrici (gruppi D e G) possono essere doppi o di dimensioni maggiori della media (satelliti definiti giganti). Anche queste condizioni si considerano varianti prive di significato patologico.

Prematura divisione centromerica (pcd) Questa rara anomalia cromosomica consiste nel fatto che nelle metafasi i cromatidi fratelli sono prematuramente separati (come normalmente accade nell’anafase). Il significato non è univoco, poiché questa anomalia può non avere alcuna rilevanza patologica, o essere indicativa di qualche rara malattia mendeliana. La più nota a questo proposito è la sindrome di Roberts.

“Double minute chromosomes”(dmc) Indica la presenza di un numero variabile di piccoli frammenti cromosomici accanto agli elementi normali della piastra. Si possono ritrovare dmc in alcuni tumori, come ad esempio nel glioma maligno.

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Le più comuni sindromi da anomalie dei cromosomi Sindromi da anomalie dei cromosomi del sesso Sono tra le più conosciute aberrazioni cromosomiche e la ragione della loro frequenza è che molte anomalie dei cromosomi sessuali consentono quasi sempre una sopravvivenza del tutto normale. Sindrome di Klinefelter (47,XXY) È dovuta alla non disgiunzione meiotica della coppia di cromosomi XX. Ha una frequenza di 1 su 900 nati maschi. Determinando generalmente azoospermia, questa sindrome è responsabile di più del 10% dei casi di infertilità maschile. La povertà di segni clinici prima della pubertà spiega perché è molto spesso riconosciuta tardivamente, talvolta dopo un matrimonio a causa della infertilità. Segno patognomonico della sindrome è la sterilità, associata a un ridotto sviluppo dei caratteri sessuali secondari, per cui dopo la pubertà i testicoli tendono a rimanere più piccoli della norma, vi è la mancata crescita della barba e l’impianto dei peli pubici è di tipo femminile. Può essere notata in qualche caso l’insorgenza di una ginecomastia. La statura è generalmente alta (75° centile); il ritardo mentale non fa parte della sindrome, essendo il quoziente intellettivo (IQ) tra 85 e 90. Vi può essere però con discreta frequenza difficoltà nell’apprendimento e nell’espressione verbale. Possibili altri segni della sindrome sono costituiti dalla insorgenza di moderati tremori intenzionali, ansietà, difficoltà nell’inserimento nella vita sociale. La ginecomastia può indurre con frequenza abbastanza significativa il tumore della mammella, per cui la mastectomia ha la sua indicazione non solo per finalità estetica. La sindrome induce predisposizione alle varici degli arti e alla osteoporosi giovanile che può giovarsi della terapia testosteronica. I valori ematici del testosterone tendono a essere bassi, mentre sono elevate le gonadotropine. Sono stati segnalati casi di sindrome di Klinefelter con cariotipo 47,XXY in tutte le mitosi linfocitarie, alla biopsia testicolare si sono trovate cellule euploidi (46,XY) e cellule meiotiche con un normale numero aploide (23,X o 23,Y) ciò che ha reso possibile la riuscita della fecondazione in vitro [7]. Sindrome di Turner (45,X) Nella maggior parte dei casi la sindrome di Turner è dovuta ad un errore meiotico, con conseguente ipodiploidia. Anche le anomalie non numeriche, ma strutturali del cromosoma X (isocromosomi, cromosomi ad

anello, traslocazioni) possono indurre quadri clinici detti Turner-simili (Turner-like). La frequenza alla nascita della sindrome è di 1/3.000 femmine. Il numero dei concepiti è però maggiore di quanto le nascite lascerebbero supporre. Infatti più del 90% dei concepiti con cariotipo 45,X abortisce nel primo trimestre della gravidanza. Prevale anzi oggi l’opinione che tutti i casi che giungono alla nascita sono mosaicismi misconosciuti e che le forme omogenee 45,X sarebbero costantemente letali. I principali caratteri clinici del fenotipo Turner sono: la bassa statura (inferiore a 150 cm); lo sviluppo puberale ridotto o assente; l’amenorrea primaria; il ridotto sviluppo mammario con capezzoli distanziati; la disgenesia gonadica con ovari rudimentali (streak gonads). Sono anche componenti della sindrome lo pterigio del collo, la facies talvolta inespressiva con ptosi palpebrale, l’impianto basso dei capelli. Caratteristica per quanto non costante è la brevità del IV e del V metacarpo. Altri segni meno frequenti sono: le anomalie renali (agenesia unilaterale; reni a ferro di cavallo), anomalie cardiache (coartazione aortica), nevi pigmentati e dermofibromi. Il ritardo mentale non fa parte della sindrome. Alla nascita si può notare un transitorio linfedema dorsale alle mani e ai piedi (segno che deve essere motivo di sospetto diagnostico). La sindrome di Turner può comportare nel feto igroma cistico del collo e idrope. La diagnosi prenatale può anche essere sospettata con l’osservazione ecografica, ma può essere posta con certezza solo con l’esame citogenetico. Sindrome del triplo X (47,XXX) Insorge con una frequenza di 1 su 1.000 nate femmine. Non comporta particolari anomalie del fenotipo, al punto che attualmente si tende a non includerla tra le sindromi genetiche. Va aggiunto che generalmente sono donne di alta statura; possono comparire disordini mestruali, ma la fertilità non è in genere compromessa. Sindrome del maschio XYY I maschi con cariotipo 47,XYY hanno nella maggioranza dei casi un fenotipo del tutto normale, con performance ai limiti della normalità. La definizione di cromosoma della criminalità, un tempo data al cromosoma Y soprannumerario, è oggi solo uno spiacevole ricordo del passato. Con significativa frequenza possono insorgere acne nodulo-cistica, lievi anomalie dello scheletro, facies lunga con gabella prominente; è presente talvolta ipogenitalismo e ipospadia. La fertilità non è costantemente compromessa.

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Sindrome da anomalie degli autosomi Trisomia 21 (sindrome di Down) È la più frequente delle aneuploidie autosomiche che consentono la sopravvivenza. È però accertato che 2/3 delle gravidanze di concepiti con la trisomia 21 termina con l’aborto spontaneo. La frequenza della sindrome è 1 su 700 nati vivi. Nel 95% dei casi la trisomia 21 è libera in quanto dovuta a non disgiunzione meiotica di un gamete, per lo più materno. Come si è potuto dimostrare con l’uso dei polimorfismi del DNA, un quarto dei casi di trisomia 21 è di origine paterna. Resta comunque valido il fatto che la incidenza di concepiti Down è correlata all’età materna e l’aumento del rischio segue un andamento quasi esponenziale: in una donna di 20 anni il rischio è 1:1.800; a 35 anni sale a 1:330, per raggiungere la frequenza di 1:25 a 45 anni. Il perché di questo comportamento non è ancora conosciuto; sono state formulate diverse ipotesi, quali l’usura dei controlli genici sulla disgiunzione meiotica, le caratteristiche costituzionali delle gestanti, i danni ambientali che si accumulano nel tempo, ecc. In una piccola percentuale di casi (4%) la trisomia è dovuta a una traslocazione robertsoniana sbilanciata, in particolare la t 13;21 e 14;21. L’indagine citogenetica consente la diagnosi in epoca prenatale. I segni clinici della sindrome di Down sono a tutti noti: la facies è caratteristica con naso piccolo e radice appiattita; la rima palpebrale è rivolta all’esterno e in alto. Altri segni della sindrome sono la macroglossia, l’occipite piatto, la brachicefalia, le orecchie dismorfiche e ipoplasiche, il collo corto. Completano il quadro clinico: la bassa statura, la ipotonia muscolare, la cardiopatia congenita (in quasi la metà dei casi), malformazioni dell’intestino, la clinodattilia. I dermatoglifi sono molto caratteristici, al punto che il dermatogramma è peculiare nell’80% dei casi. Il ritardo mentale è costante, ma di grado variabile. Si è rilevata una aumentata insorgenza di leucemia nell’età pediatrica. In una percentuale non alta (2-4%) la sindrome ha un cariotipo a mosaico 47,+21/46. In questi casi la prognosi è generalmente migliore. Il rischio di ricorrenza di una cromosomopatia (anche diversa dalla trisomia 21) in caso di altro concepimento si valuta non superiore a 1%. Per i fratelli e altri collaterali è considerato, invece, non superiore a quello della popolazione generale. Trisomia 18 (sindrome di Edwards) Nella maggioranza dei casi la sindrome è dovuta ad errore da non disgiunzione meiotica di origine materna.

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La frequenza è di 1 su 10.000 nascite, con leggera prevalenza del sesso femminile. Spesso però il concepimento termina con l’aborto spontaneo. La sindrome è letale, con sopravvivenza solo di poche settimane; molto rare le sopravvivenze oltre il primo anno di vita. Il quadro clinico è caratterizzato da: dismorfia facciale, bocca piccola, micrognazia, rima palpebrale ristretta, padiglioni auricolari dismorfici. Il ritardo mentale è sempre grave; altri segni associati e costanti sono le anomalie cardiache e neuro-oculari, le malformazioni urogenitali; difetti meno frequenti sono l’onfalocele, il mielomeningocele e l’atresia esofagea. Non è rara la formazione di un polidramnios. In epoca prenatale significativo è il ritardo di crescita che si riscontra fin dal secondo trimestre di gestazione. Nella maggioranza dei casi la trisomia è libera, da non disgiunzione meiotica, e solo raramente la trisomia è il risultato di una traslocazione sbilanciata. Le forme a mosaico non sono rare (circa 10%) con fenotipo meno compromesso e compatibili con la sopravvivenza. Sono conosciute anche trisomie parziali del cromosoma 18 che delineano particolari quadri clinici, come la sindrome 18q- e la sindrome 18p-. È quasi sempre possibile la diagnosi citogenetica prenatale. Trisomia 13 (sindrome di Patau) La incidenza di questa cromosomopatia è di 1 su 20.000 nascite. Come la precedente, ha prognosi infausta e la gravidanza termina nel 97% dei casi con l’aborto spontaneo. Oltre alle forme di trisomia libera (che rappresentano circa l’80% dei casi) la trisomia 13 può dipendere da una traslocazione sbilanciata (de novo o per segregazione meiotica svantaggiosa in uno dei genitori portatore di traslocazione robertsoniana). Il quadro clinico ha segni caratteristici, più evidenti a livello neuro-oculare: microftalmia o anoftalmia, coloboma dell’iride, cataratta, oloprosencefalia, arinencefalia; l’aplasia cutis della volta cranica non è costante ma, quando presente, è un segno molto caratteristico. Frequenti sono anche la labio-palatoschisi, il dismorfismo auricolare, la micrognazia, le malformazioni di vari organi e apparati; comune è anche la polidattilia post-assiale. È rara, ma possibile, la sopravvivenza anche di qualche mese. L’esame citogenetico è idoneo al riconoscimento prenatale della sindrome. Sindrome 4p- (Wolf-Hirschhorn) È causata da una delezione parziale del braccio corto del cromosoma 4. Può essere compatibile con la sopravvivenza. I segni più caratteristici della sindrome sono: la facies con

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il naso definito ad elmo greco, la microcefalia, l’asimmetria del cranio, l’ipertelorismo, la gabella prominente, la rima antimongola, il coloboma dell’iride, lo strabismo, l’orecchio displastico. Sono presenti inoltre: un severo ritardo mentale, anomalie cardiache, scheletriche e uro-genitali. La delezione cromosomica può essere de novo o il risultato di segregazione svantaggiosa da parte di un portatore di traslocazione bilanciata. È possibile il riconoscimento ecografico prenatale di molte delle malformazioni. Per la diagnosi si deve talvolta associare allo studio citogenetico anche l’analisi molecolare con l’utilizzo di specifiche probes. Sindrome 5p- (cat-like cry; cri-du-chat; sindrome del grido di gatto) La sindrome è causata da una delezione parziale del braccio corto del cromosoma 5. Come la precedente, può consentire la sopravvivenza. Caratteristico è il pianto dei neonati che somiglia al miagolio di un gatto, dovuto a displasia del laringe. Costante è il basso peso alla nascita. Anche la facies è tipica: rotondeggiante (si modifica però con gli anni, divenendo asimmetrica), vi è epicanto, ipertelorismo, rima antimongola, strabismo, orecchio ipoplasico. Sempre presente e grave è il ritardo mentale. Segni frequenti sono pure: la ipotonia, i difetti cardiaci, le anomalie dello scheletro, il criptorchidismo, i difetti dell’apparato urinario. La delezione può essere de novo o il risultato di una segregazione svantaggiosa da parte di un portatore di traslocazione bilanciata coinvolgente il braccio corto del cromosoma 5. Possibile la diagnosi ecografica e citogenetica prenatale. Trisomia 8 (sindrome di Warkany) Quasi sempre si tratta di mosaicismo 47,+8/46. La sindrome è rara (1 su 30.000 nati vivi) con prevalenza nei soggetti di sesso maschile. Essa comporta disturbi neurologici (moderato o grave ritardo mentale e del linguaggio, occasionalmente convulsioni, agenesia del corpo calloso), dismorfia facciale (fronte prominente, ipertelorismo, padiglioni grandi con prominenza dell’antelice, strabismo, micrognazia, labbro inferiore protruso); camptodattilia, limitazione nei movimenti articolari, anomalie costo-vertebrali, cifoscoliosi, capezzoli soprannumerari, anomalie genito-urinarie, alta statura. È stata segnalata una particolare suscettibilità all’insorgenza di emopatie (leucemia acuta o mieloide cronica). Talvolta il mosaicismo è presente solo in alcuni tessuti (fibroblasti), mentre è omogeneo nel sangue periferico.

Trisomia 9p+ (sindrome di Rethoré) Nella metà dei casi la trisomia non è omogenea, ma a mosaico. Le principali caratteristiche della sindrome sono: il ritardo della crescita osservato dopo la nascita; il ritardo mentale e del linguaggio; la dismorfia facciale (ipertelorismo, rima palpebrale antimongola, enoftalmo, orecchio a coppa, angoli labiali cascanti, naso prominente); la ritardata chiusura della fontanella anteriore. Le dita sono brevi per la ipoplasia delle falangi distali (brachitelefalangia) vi è cifoscoliosi, ipoplasia muscolare. I dermatoglifi sono atipici per una caratteristica fusione di due triadi digitali. La severità clinica dipende dalla estensione del materiale triplicato (estensione valutabile con il bandeggio ad alta risoluzione e la FISH). Sindrome dell’occhio di gatto (cat-eye syndrome) Un piccolo marker soprannumerario, formato da quattro copie della regione q11 del cromosoma 22, è responsabile di una sindrome plurimalformativa dove il carattere più singolare è dato dal coloboma dell’iride per cui la pupilla appare verticalizzata, come quella dei gatti. La sindrome viene perciò conosciuta anche col nome di cateye syndrome.Altri segni sono la dismorfia facciale, il ritardo mentale (di solito lieve e non costante), l’atresia anale, i difetti cardiaci. La ibridizzazione in situ con sonde specifiche consente agevolmente la diagnosi. Sindrome 22qLa delezione interstiziale 22q11.21q23 è responsabile di due sindromi con caratteri abbastanza bene definiti. Sindrome di Shprintzen syndrome (velo-cardio-facial syndrome) Il nome deriva dalle strutture costantemente coinvolte, e cioè: cleft del palato secondario, cardiopatia congenita (frequente il difetto del setto interventricolare), anomalie digitali (mani e dita sottili, iperestensibili, ipotoniche). Completano il quadro clinico: la bassa statura, la dismorfia facciale, i difetti oculari. La delezione non è sempre osservabile all’analisi citogenetica, per cui di fronte al sospetto clinico si deve ricorrere alla FISH. Sequenza di Di George (Di George sequence) È caratterizzata da ipoplasia/aplasia del timo, infezioni ricorrenti per difetto della immunità cellulare. Le paratiroidi possono essere assenti o ipoplasiche, con conseguente ipocalcemia che causa crisi convulsive già nella prima infanzia. Il ritardo mentale è da lieve a moderato; possono evidenziarsi atresia anale e/o esofagea, ernia diaframmatica. Sono caratteristiche le anomalie dell’arco aortico e del tronco arterioso. La peculiarità delle malformazioni cardiache unita-

Capitolo 3 • Malattie genetiche nella medicina prenatale • M.L.Ventruto,V.Ventruto

mente alla ipoplasia/aplasia del timo e al polidramnios sono elementi di forte sospetto, che devono essere confermati con indagini di laboratorio citogenetiche e molecolari (FISH) atte ad evidenziare la microdelezione del cromosoma 22. Triploidie (69,XXY; 69,XXX; 69,XYY) Si è già fatto cenno ai meccanismi di formazione di un feto triploide. Le conseguenze sul fenotipo possono essere differenti, a seconda anche della origine dei cromosomi soprannumerari (se materni o paterni). Le gravidanze nel caso di feti triploidi possono essere complicate da polidramnios, gestosi e anomalie placentari; possono anche giungere a termine, ma i nati sono sempre sottopeso e plurimalformati. Non sempre nei nati vivi la triploidia si ritrova nei linfociti del sangue periferico, per cui, quando vi è il sospetto clinico, è opportuno procedere all’esame citogenetico dai fibroblasti, mediante una biopsia cutanea. Il rischio di ricorrenza nelle coppie che hanno avuto un concepito triploide si considera trascurabile. In diversi casi una gravidanza con feto portatore di triploidia è stata preceduta o seguita da gestazione con mola idatiforme parziale o incompleta. Va ricordato a questo proposito che la mola idatiforme completa, caratterizzata da una spiccata iperplasia trofoblastica in assenza di feto, ha un normale cariotipo diploide di derivazione esclusivamente paterna; è infatti una disomia uniparentale paterna derivante dalla fecondazione di un’ovocellula anucleata da parte di due spermatozoi. La mola può essere eterozigote (23,X+23,Y) o omozigote (23,X+23,X). Vi è il rischio di evoluzione verso il coriocarcinoma, rischio più alto nella forma eterozigote.

Malattie genetiche mendeliane Sono dovute a mutazioni di singoli geni, per cui si definiscono anche malattie monogeniche, monofattoriali, mendeliane semplici. Se ne conoscono non meno di quattromila e seguono i modelli di trasmissione dettati dalle leggi di Mendel. Le mutazioni, spontanee o indotte, sono modifiche della struttura del gene dovute alla sostituzione o alla perdita di una o più basi. Sono eventi imprevedibili, comuni a ogni specie vivente, e necessari a ottenere la variabilità e con essa la capacità di adattamento delle specie all’ambiente. Sono quindi uno dei principali meccanismi della evoluzione. Alle mutazioni vantaggiose, delle quali non possiamo renderci conto, vi sono quelle svantaggiose in quanto inducono malattie ereditarie o malformazioni congenite non sempre ereditarie; si

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deve anche considerare l’esistenza di mutazioni delle quali riesce difficile se non impossibile averne documentazione quando inducono un arresto di sviluppo dell’embrione in epoca precocissima della gestazione. È talvolta sufficiente in un gene la sostituzione o la mancanza anche di una sola base, per dare difetti gravi funzionali o strutturali.

Malattie genetiche e malattie ereditarie Tutte le malattie ereditarie sono genetiche, ma non tutte le genetiche sono necessariamente anche ereditarie. Si ereditano solo i caratteri contenuti nei geni delle cellule germinali. Le mutazioni delle cellule somatiche, che si determinano sia prima che dopo la nascita, non sono trasmissibili. Quasi tutti i tumori sono dovuti a mutazioni genetiche, ma solo pochi sono anche ereditari.

Modelli di eredità delle malattie genetiche mendeliane Quando si deve risalire al modello di eredità di un carattere, sia normale che patologico, si applicano le sempre attuali leggi di Mendel. Le malattie geniche, in base al modello di ereditarietà, si classificano in: – autosomiche dominanti; – autosomiche recessive; – X-linked recessive; – X-linked dominanti. Va aggiunta la eredità mitocondriale, che riconosce caratteristiche proprie.

Locus e allele Occorre preliminarmente richiamare l’attenzione su due termini importanti per la comprensione di quanto verrà detto in seguito: cosa è un locus genico e cosa significa allele. Il genoma di ogni individuo, sia i geni che il vastissimo tratto del DNA non genico (cioè non trascritto per la formazione delle proteine ) sono contenuti nei cromosomi, con queste peculiarità: 1. ogni gene ha una sua localizzazione cromosomica che è immutabile e specifica in tutti i componenti della specie. Ad esempio i geni della istocompatibilità (HLA) mappano sul cromosoma 6, quelli dell’emoglobina sui cromosomi 11 e 16, e così via. Ogni gene ha, quindi, la sua assegnazione cromosomica: la sede che il gene occupa sul cromosoma è definita locus. Oggi hanno trovato assegnazione cromosomica più di mille geni per cui conosciamo più di mille loci genici. 2. I cromosomi formano, come già detto, coppie di omologhi (fatta eccezione per quelli sessuali) essendo ereditati in singola copia da ciascun genitore. Ogni coppia è formata, quindi, da due cromosomi

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detti fratelli. Si comprende perché ogni gene è sempre presente in duplice copia (una su un cromosoma e l’altro sull’omologo corrispondente): naturalmente un gene occupa sui due cromosomi omologhi sempre la stessa posizione, si ritrova in altre parole sempre allo stesso locus. Il gene corrispondente a quello considerato è definito allele. Ad esempio: gli individui di gruppo AB hanno il gene dell’antigene A su uno specifico locus cromosomico; il gene dell’antigene B, rappresenta l’allele corrispondente, in quanto occupa sul cromosoma omologo lo stesso locus. Ad uno stesso locus, da quanto detto, non può corrispondere che un solo allele. Un gene di cui si conoscono più mutazioni, si definisce ad allelia multipla. Un esempio è offerto dalle emoglobinopatie delle quali si conoscono alcune decine di differenti mutazioni dello stesso gene (HbC, HbS, HbD, ecc.); un individuo non può avere però più di due forme all’eliche (HbA e HbS, oppure HbC e HbS, ecc.).

Omozigote, eterozigote, doppio eterozigote, emizigote Occorre conoscere il significato di questi termini perché legati ai modelli di trasmissione di un carattere mendeliano semplice. È omozigote l’individuo in cui ambedue le copie di alleli sono eguali. Il carattere può essere sia normale (naturale o selvatico) che mutato. Sono eterozigoti gli individui che portano ad un locus un gene mutato per un carattere ed al locus corrispondente il carattere normale. Se un individuo porta un carattere mutato su un allele ed una mutazione differente sull’allele corrispondente, viene definito doppio eterozigote e non omozigote. Un portatore di talassemia e falcemia (malattia microdrepanocitica) è un doppio eterozigote; un soggetto affetto da morbo di Cooley, nato da genitori entrambi beta-talassemici, è un omozigote. Per le mutazioni che interessano i geni dei cromosomi del sesso, essendo i maschi dotati di un solo cromosoma X, ogni singola mutazione su questo cromosoma, sia recessiva che dominante, si esprime. In questo caso si dice che l’individuo è emizigote per quel carattere.

Carattere recessivo, dominante, codominante Un carattere si definisce recessivo quando, per la sua espressione, deve essere presente su un cromosoma e sull’omologo corrispondente; l’individuo è quindi omozigote per quel carattere. Ad esempio un soggetto affetto da fibrosi cistica è omozigote per il gene della malattia avendolo ereditato da entrambi i genitori; questi a loro volta sono entrambi eterozigoti (portatori sani) per quel carattere. Nelle malattie recessive l’allele sano corrispondente a quello mutato agisce come dominante (in quanto è in grado, in singola dose, di impedire la

insorgenza del danno). Quando invece il gene mutato è in grado in singola dose di indurre la malattia, si definisce dominante. In questo caso la persona affetta da una malattia dominante è eterozigote per quel gene. L’omozigote per una malattia dominante, ha sempre un quadro clinico molto grave e spesso letale. È il caso della rara acondroplasia omozigote, derivante dall’incrocio di due acondroplasici eterozigoti. Una coppia eterozigote per una malattia recessiva, può concepire 25% di omozigoti malati, 50% di portatori sani eterozigoti e 25% di omozigoti sani e non portatori. Un affetto da una malattia autosomica dominante può trasmettere la malattia al 50% dei figli. Nelle malattie ad eredità X-linked recessive le femmine portatrici sono in genere sane perché l’allele sano ha effetto dominante. I maschi con una mutazione del cromosoma X sono invece sempre affetti, possedendo un solo cromosoma X. Un cenno meritano, infine, i termini di codominanza e semidominanza. Se due alleli hanno eguale espressività fenotipica si definiscono codominanti (a differenza delle malattie recessive e dominanti, dove l’allele corrispondente ad un carattere recessivo è dominante e viceversa). Un esempio di semidominanza è offerto dalle talassemie dove anche nell’eterozigote si ritrovano espressioni fenotipiche del gene anomalo (valore elevato della componente emoglobinica A2; frazioni anomale emoglobiniche lente o rapide, ecc.); la espressione fenotipica nei doppi eterozigoti (ad esempio nei portatori di emoglobina S e C) dimostrano entrambe le caratteristiche fenotipiche del disordine (sono infatti presenti, alla elettroforesi, entrambe le frazioni che hanno diversa mobilità).

Eterogeneità genica ed effetto pleiotropico Una stessa patologia può dipendere dalla mutazione di geni differenti.Ancora prima dell’introduzione delle tecniche di genetica molecolare (in particolare la FISH e la PCR), il sospetto era sorto dallo studio degli alberi genealogici,quando i modelli di eredità di una stessa malattia erano compatibili con modalità diverse di trasmissione. Quando una stessa sindrome genetica può essere causata da geni diversi, viene definita ad eterogeneità genica. Riconoscere il tipo di eredità di una malattia è importante per la valutazione del rischio di ricorrenza. Si conoscono più di 300 malattie ereditarie che hanno eterogeneità genetica, tra cui l’osteogenesi imperfetta, molte distrofie muscolari, molte atassie e neuropatie periferiche, alcune sindromi con idrocefalia, molte malattie oculari (glaucoma, retinite pigmentosa, cataratta congenita), alcune obesità, il diabete insipido nefrogenico. Diversa dalla eterogeneità genica (un carattere-molti geni) è la condizione inversa (un gene-molti caratteri). In

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questo caso si parla di pleiotropismo genico, proprio delle malattie ereditarie monogeniche a carattere sindromico, caratterizzate cioè da patologie di organi non collegati nel percorso embriogenetico. Non sempre in questi casi è stato chiarito il rapporto genotipo-fenotipo, intuibile solo quando si può risalire al prodotto del gene, cioè alla sua proteina. Ad esempio, il gene della fenilchetonuria comporta l’assenza di un enzima necessario alla trasformazione della fenilalanina in tirosina: ne deriva la carenza di tirosina e una quantità eccessiva di acido fenilpiruvico, il cui accumulo induce un deterioramento delle funzioni mentali; la carenza di tirosina provoca a sua volta una ridotta produzione di melanina, con conseguente depigmentazione della cute e dei capelli. Anche la mutazione del gene della sindrome di Marfan induce difetti in più apparati: alta statura, dita lunghe e sottili (aracnodattilia), lussazione del cristallino, anomalie dell’aorta, iperlassità legamentosa. In questo caso però vi è l’interessamento uniforme del tessuto connettivo e quindi non è corretto definire il gene ad effetto pleiotropico.

ALBERO GENEALOGICO (PEDIGREE) La compilazione dell’albero genealogico, che si serve di alcuni simboli convenzionali (Fig. 3.24), facilita il genetista nel compito di risalire alla trasmissione di un carattere ereditario. Si chiama consultand la persona che richiede la consulenza genetica e probando (caso indice) l’affetto dal quale parte la raccolta dei dati anamnestici necessari per la compilazione di un pedigree, che è compito di un medico genetista. Si cerca sempre di ottenere il maggior numero di informazioni possibili, estendendo la ricerca almeno ai consanguinei di I grado (genitori, fratelli, figli), di II grado (nonni, nipoti, zii) e di III grado (primi cugini). Si ricorda che i geni in comune sono 1/2 nei consanguinei di I grado, 1/4 in quelli di II grado e 1/8 in quelli III grado. Un attento esame degli alberi genealogici consente (spesso ma non sempre) di risalire al tipo di eredità di una malattia. Nella Figura 3.25 sono riportati alcuni modelli di trasmissione ereditaria. L’albero genealogico consente la visione immediata della distribuzione delle patologie in un parentado e ne fa comprendere la segregazione attraverso le generazioni. Ogni medico dovrebbe essere pertanto capace di leggere e di comporre un pedigree.

Fig.3.24.Simbologia utilizzata per costruire l’albero genealogico di una famiglia

MALATTIE MULTIFATTORIALI Oltre alle malattie monogeniche o monofattoriali, vi sono le malattie multifattoriali o poligeniche, cosiddette perché richiedono l’intervento contemporaneo di fattori multigenici ed ambientali. Va subito però detto che i fattori ambientali interagiscono sempre con quelli genici anche nelle malattie monofattoriali, pur se con più limitata incisività nell’espressione fenotipica della malattia (Fig.3.26).Molti geni (in particolare quelli responsabili delle risposte immunitarie,umorali e cellulari) condizionano la espressività e il decorso anche di malattie infettive e quindi non ereditarie, o anche patologie non infettive. A questi modelli di eredità,che potremmo definire classici,se ne aggiungono altri (eredità mitocondriale,sindromi da geni contigui,malattie da imprinting genomico,disomie uniparentali) che, pur non discostandosi dalle direttrici fondamentali ricordate, ricorrono con minore frequenza e hanno specifiche connotazioni. Queste affezioni non verranno considerate in questo capitolo e per un’ampia trattazione si rinvia ai testi specifici in materia [7, 10].

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Fig. 3.25. Vari modelli di alberi genealogici.Le generazioni vengono indicate con numeri romani, mentre l’ordine di genitura in una fratria utilizza i numeri arabi.La consanguineità di coppia viene rappresentata da una doppia linea.I soggetti maschi sono indicati da quadrati, le femmine da circoli. Le gravidanze sono indicate da un rombo tratteggiato (il punto interrogativo viene posto quando non si conosce ancora il sesso del nascituro). I simboli per rappresentare una patologia possono essere configurati in maniera diversa, ed il significato deve essere indicato nella leggenda (negli esempi qui riportati gli affetti sono indicati in nero). a Albero genealogico esteso a 5 generazioni.In II generazione i rombi avvertono che il sesso dei due componenti la fratria non è conosciuto (potrebbero quindi essere due maschi o due femmine oppure un maschio ed una femmina). In III generazione è segnalato un matrimonio tra primi cugini (linea doppia).La IV generazione è composta da 5 membri:tre femmine e due maschi.Due dei membri della fratria (un maschio e una femmina) sono affetti da eguale eredopatia. Una femmina affetta è in gravidanza (V generazione) ma non si conosce il sesso del nascituro. In questo esempio l’eredità della malattia è con forte probabilità autosomica recessiva: il feto deve ritenersi eterozigote per il gene della malattia e quindi un portatore sano avendo ereditato uno solo dei caratteri patologici della madre (l’allele corrispondente è del genitore che deve ritenersi non portatore). b Modello di eredità autosomica dominante. Il nascituro ha rischio del 50% di nascere affetto. c Modello di eredità autosomica dominante per un gene a penetranza incompleta. Un soggetto sano (II,1), fratello di un affetto (II,2) ha generato un figlio con la malattia (III,1).Il nascituro (IV,1) ha probabilità bassa,ma non esclusa di nascere affetto (poiché il genitore III,4 potrebbe essere portatore sano del gene). d Modello di trasmissione compatibile con una eredità X-linked recessiva. La malattia segrega attraverso le femmine che non sono affette e si manifesta solo nei soggetti maschi. Per i nascituri in IV generazione sussistono le seguenti possibilità: IV,1 non è a rischio di malattia; IV,2 non è a rischio di malattia (se maschio, sarà sano; se femmina sarà portatrice del gene); IV,3 se è maschio ha 1/4 di probabilità di essere affetto (la madre infatti ha rischio 1/2 di essere portatrice essendo sorella di un affetto.e Pedigree compatibile con una trasmissione autosomica dominante.Non può però essere esclusa la modalità X-linked dominante, in quanto non vi è nessun caso di trasmissione maschio-maschio della malattia.f Pedigree compatibile con una eredità autosomica dominante.A differenza dell’esempio precedente, qui viene esclusa la trasmissione X-linked dominante, in quanto è documentata la trasmissione maschio-maschio della malattia

CONSULENZA GENETICA Il consulto genetico è la prestazione professionale del medico genetista, richiesta quasi sempre per conoscere il rischio di occorrenza o di ricorrenza di una malattia genetica ereditaria. Dopo la raccolta dei dati anamnestici personali e familiari, espressi graficamente con la compilazione dell’albero genealogico, le notizie che il genetista deve ri

lasciare all’interessato sono di diverso contenuto: 1. informazioni inerenti la malattia: decorso, gravità, possibilità diagnostiche e terapeutiche; 2. informazioni sulle modalità di trasmissione della malattia e rischio di comparsa o di ricorrenza; 3. suggerimenti sulle possibili scelte riproduttive per le coppie a rischio (adozione, contraccezione, diagnosi prenatale, ecc).

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Fig. 3.26. Ogni manifestazione biologica, normale o patologica, deriva dalla interazione dei fattori ereditari con quelli ambientali,con diversa prevalenza degli uni sugli altri.Nelle malattie mendeliane predomina la componente genetica ed ha scarso rilievo il fattore ambientale;il contrario avviene per le patologie provocate da cause esterne (ad esempio malattie infettive).Nelle malattie ad eredità multifattoriale invece le due componenti tendono ad equivalersi

La consulenza deve concludersi sempre con la emissione di un referto scritto del medico genetista. È opportuno prevedere un follow-up con verifica dei risultati di quanto suggerito in sede di consulto medico. I quesiti posti al medico genetista in epoca prenatale possono essere numerosi e non sempre le risposte si presentano facili. Poiché molti rischi possono essere previsti ancor prima del concepimento, la consulenza in periodo preconcezionale si rivela spesso più utile di quella offerta a concepimento avvenuto. La consulenza può essere richiesta a seguito di un evento indesiderato avvenuto in precedenza (ad esempio la nascita di un figlio malformato): la donna, prima di intraprendere un’altra gravidanza, vuole conoscere il pericolo di ricorrenza dell’evento. In questi casi la consulenza offerta prima di un nuovo concepimento è preferibile a quella con gravidanza già in corso. I motivi sono ovvi: non sono sempre brevi i tempi necessari al riconoscimento di una patologia genica; le indagini di laboratorio per il riconoscimento di una mutazione non sono sempre rapide. A fronte delle numerose richieste, sono purtroppo ancora pochi i Centri di ricerca in Italia che fanno anche diagnostica. Alla luce di queste considerazioni, è quanto mai importante sensibilizzare la coppia a sottoporre il loro problema alla valutazione di un medico genetista il più pre-

sto possibile. Può accadere che al rischio di comparsa o di ricorrenza di una patologia (malattia o malformazione) siano interessati oltre la persona affetta o i genitori, anche i consanguinei (cugini, nipoti, zii), in quanto consapevoli che la occorrenza dell’evento indesiderato, pur se con ridotta probabilità, non può essere esclusa anche per essi. Le condizioni più insidiose, sotto questo aspetto, sono prodotte da alcune malattie autosomiche dominanti con gene a penetranza incompleta. Può ad esempio accadere che il fratello sano di una persona affetta da malattia autosomica dominante abbia rischio di generare figli con la malattia (Fig. 3.25c). Per le malattie ad eredità autosomica recessiva può invece accadere che la persona affetta omozigote voglia evitare volontariamente la procreazione per il timore di generare figli malati: in questi casi invece, salvo eccezioni, la prognosi non è sfavorevole, in quanto la situazione lascia prevedere la nascita di figli sani, anche se portatori eterozigoti (Fig. 3.25a). Un paradosso solo apparente è nel caso delle malattie X-linked recessive: un maschio malato genera infatti figli tutti non affetti (maschi sani e femmine portatrici) mentre una sua sorella sana, se portatrice, ha il rischio di avere figli maschi malati con elevata probabilità (50%) (Fig. 3.25d). Non raramente il consulto (prematrimoniale o preconcezionale) è richiesto per consanguineità della coppia. La consanguineità è tanto più importante quanto più rara è la frequenza della malattia nella popolazione. Il consulto genetico è spesso richiesto, con gravidanza in corso, per il timore di una patologia cromosomica, in particolare per la sindrome di Down. Può anche emergere dalla consulenza il rischio per una malattia genetica non cromosomica. Sono evenienze in cui occorrono specifiche analisi molecolari per il riconoscimento di una mutazione genica, che sono eseguibili su campioni ottenuti con la villocentesi o l’amniocentesi. La malattia genetica sospettata può anche essere metabolica. In questi casi le analisi sono indirizzate verso specifiche deficienze enzimatiche e/o mutazioni geniche, e devono essere estese anche ai due coniugi.

CONSIDERAZIONI SUI TEST GENETICI, NON SOLO NELLA MEDICINA PRENATALE Se il riconoscimento genetico molecolare, prenatale o postnatale, di una malattia ereditaria consentisse mirati ed efficaci interventi di prevenzione e di cura, non si sarebbe sentita la necessità di formulare linee-guida di comportamento in tema di esecuzione di analisi genetiche. Questa materia viene trattata dai Comitati di

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Bioetica che esprimono giudizi sulla liceità di esecuzione di test genetici che riconoscono la predisposizione del richiedente a particolari malattie (es. alcuni tumori). Eguali se non maggiori difficoltà pongono i casi in cui le analisi sono volte alla diagnosi presintomatica delle numerose malattie ereditarie ad inizio tardivo. Hanno i genitori il diritto di farle eseguire sui loro figli, ancora in benessere clinico? Ha diritto la persona di sapere con anni di anticipo se andrà sicuramente incontro ad una malattia per la quale, a priori, ha probabilità 50% di ammalare? Un feto riconosciuto portatore della mutazione deve essere considerato soltanto un potenziale candidato alla malattia, che ha insorgenza dopo 20 o 30 anni dalla nascita? Nel 1997 è stata adottata dall’UNESCO la “Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e sui diritti dell’uomo” in cui vengono affrontati i diversi aspetti inerenti al tema, che impone una precisa regolamentazione volta a conciliare i diritti della persona con quelli della ricerca che, se applicata in modo non opportuno, può venire in conflitto con i primi. I principi guida, tuttora validi, mirano a salvaguardare la dignità umana e la libertà individuale, ma al tempo stesso la libertà della ricerca scientifica e l’utilizzo dei suoi risultati, che indubbiamente sono imprescindibili strumenti di progresso e di miglioramento della società civile. In Italia è stato redatto già da qualche anno (1999) un documento a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri affidato per la compilazione al Comitato Nazionale per la Bioetica. In esso sono tenute presenti anche le direttive della Convenzione europea di Bioetica e vengono affrontati i problemi etici e deontologici, nonché quelli rientranti in campo giudiziario, sia penale che civile (vedi Capitolo 31). La “Convenzione di Strasburgo sui diritti dell’uomo e la biomedicina” tra i suoi articoli ne contiene alcuni che confermano i principi sopra ricordati. Viene tra l’altro stabilito: – il divieto di discriminazione in base al patrimonio genetico (art. 11); – esecuzione di test predittivi diagnostici solo dopo consulenza genetica e con fini ben definiti (finalità di ricerca medica) (art. 12); – intervento sul genoma umano solo per motivi preventivi, diagnostici e terapeutici; vengono pertanto vietati atti finalizzati ad introdurre modifiche nel genoma dei discendenti che non siano, quindi, correttivo-terapeutiche (art. 13); – il divieto di selezionare il sesso del nascituro (salvo per le malattie sex-linked o sex-limited) (art. 14). Va ricordato che le prime sono malattie da geni localizzati sul cromosoma sessuale X, mentre nelle seconde i geni sono su cromosomi non sessuali, ma si espri-

mono soltanto in uno dei sessi (maschi o femmine). È quindi importante che i medici siano a conoscenza di queste direttive, in particolare gli ostetrici ed i medici genetisti. A questi ultimi spetta di fornire, attraverso la consulenza genetica, le informazioni sui rischi di occorrenza o ricorrenza di una patologia genetica. Pertanto il consulto genetico deve essere affidato sempre ed esclusivamente ad un genetista che sia medico e padrone di specifiche competenze tecnico-scientifiche. Qualsiasi indicazione sulla esecuzione di test genetici deve sempre essere fornita in sede di consulto genetico. Alcune peculiarità rendono del tutto singolari i test genetici a confronto delle tradizionali indagini medico cliniche. Abbiamo sopra visto come, capitolo del tutto nuovo per la medicina, l’applicazione di queste indagini diagnostiche consente di predire, con anticipo anche di diversi anni, l’insorgenza di specifiche patologie talora anche molto gravi (come ad esempio tumori, malattie neurologiche gravemente debilitanti, cecità, ecc.). Il risultato di un test genetico va quindi al di là delle implicazioni strettamente mediche: può porre il soggetto o la coppia di fronte a scelte che potrebbero però contrastare con i propri principi etici o di fede religiosa; potrebbero indurre, nel caso di test prenatali, alla interruzione della gravidanza (questo è il caso più frequente), o a scelte riproduttive alternative (inseminazione eterologa). Vi è il rischio che soggetti sani al momento delle analisi possano andare incontro, venuti a conoscenza del rischio, a stress psicologici anche gravi. Il significato del rischio può consistere tanto nella predizione di insorgenza di una malattia quanto nel riconoscimento di una forte suscettibilità o predisposizione ad alcune malattie. Nelle linee-guida di tutti i documenti europei figurano sempre alcune raccomandazioni di fondo, quali ad esempio il fatto che la esecuzione dei test genetici avvengano in laboratori con elevati standard di qualità, che sia garantita la completa autonomia decisionale da parte dell’utente con consenso informato, ed al tempo stesso la assoluta riservatezza dei risultati. Tuttavia sono ancora molti i punti controversi e per i quali è difficile giungere ad una adeguata regolamentazione: – i test possono automaticamente fornire informazioni anche su parenti prossimi all’interessato, che potrebbero preferire non conoscere la propria condizione; – potrebbero avere come conseguenza discriminazioni sociali, in pratiche assicurative sulla vita o sulle possibilità di impiego lavorativo; – dalla esecuzione dei test potrebbero venire informazioni non preventivamente richieste: potrebbe ad

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esempio risultare la non dichiarata paternità del sottoposto alla indagine. Come già prima accennato, una condizione particolarmente delicata si crea nel caso che i genitori desiderino attuare un test genetico su un nascituro o su loro figli già nati, per una malattia ad insorgenza tardiva. L’orientamento, in questi casi, è che il test è giustificato dopo la nascita solo per malattie per le quali è possibile apportare al nato un beneficio medico certo; purtroppo il numero di patologie è, sotto questo aspetto, veramente esiguo. Va tenuto presente che nel caso in cui i prelievi di materiale biologico servano a puro scopo di ricerca, i partecipanti devono essere liberi di conoscere o meno i risultati dello studio; vi è altresì l’obbligo di ottenere il consenso scritto se si desidera utilizzare lo stesso campione del DNA per scopi di ricerca futuri, diversi da quelli immediati e già concordati con il donatore. Accanto al diritto di sapere che è un concetto facilmente intelligibile, bisogna tenere conto anche del diritto di non sapere, che deve essere consentito a chi non vuole conoscere dati prognostici clinici che riguardano la propria persona. Accanto a questi diritti, sono previsti anche precisi doveri, quale l’obbligo di non fornire informazioni a compagnie assicurative sulla vita o a possibili datori di lavoro, che, col pretesto di salvaguardare la salute dell’interessato, opererebbero di fatto una discriminazione ritenuta inaccettabile. Meritano infine cenno i non pochi aspetti positivi dei test genetici: – la persona riconosciuta a rischio può responsabilmente rinunciare alla riproduzione, onde evitare la ricorrenza nelle generazioni successive della patologia prevista; – si possono attuare interventi di prevenzione, come ad esempio, nel caso di tumore ereditario del colon, con controlli endoscopici più ravvicinati fino a giungere alla resezione chirurgica prima della insorgenza del tumore; – infine non va sottaciuto che un risultato negativo dell’analisi giova a tranquillizzare il soggetto, che vivrebbe altrimenti una vita con l’incubo di un inevitabile e fatale destino. Sono stati anche prospettati programmi di screening di massa che consentirebbero di avere informazioni sulla epidemiologia di talune patologie di notevole rilevanza sociale (diabete, alcune vasculopatie, malattie degenerative proprie dell’età senile, ecc.) col ri-

sultato di porre in essere interventi preventivi sulla popolazione a rischio che possono andare da consigli sullo stile di vita e di alimentazione, alla valutazione dei rischi legati a particolari attività lavorative.

APPENDICE Nozioni essenziali di biologia molecolare in diagnosi prenatale5 La citogenetica classica [8], pur utilissima per individuare la gran parte delle aneuploidie fetali, è necessariamente limitata nelle sue possibilità diagnostiche dal potere di risoluzione del microscopio ottico e dalle relativamente lunghe attese per l’espletamento dell’iter diagnostico. I recenti progressi della biologia e della genetica molecolare [8] hanno consentito con tecniche innovative, quali la FISH e la PCR, l’analisi sulle cellule fetali non coltivate, permettendo in tal modo di ottenere diagnosi in tempi rapidi per le principali aneuploidie, in casi selezionati, di identificare aneusomie cromosomiche (delezioni e duplicazioni) non evidenziabili con la citogenetica tradizionale.

FISH (Fluorescent In Situ Hybridization) La FISH è una tecnica di biologia molecolare che consente di ricercare sui nuclei in interfase sequenze del DNA o RNA, utilizzando specifiche sonde (probes). L’introduzione della FISH nella citogenetica ne ha accresciuto le possibilità diagnostiche consentendo l’individuazione di molte cromosomopatie dovute a riarrangiamenti cromosomici al di sotto dei limiti risolutivi ottici (Fig. 3.27). Oggi si dispone di sonde molecolari specifiche per le diverse regioni cromosomiche e pertanto con fluorocromi adatti, si può valutare più compiutamente, l’assetto diploide fetale. Perché la FISH possa realizzare in diagnosi prenatale tutte le sue potenzialità diagnostiche (sensitività e specificità superiori al 98%), occorre che alcuni prerequisiti siano rispettati: 1. cellularità nel campione target sufficiente per l’iter diagnostico (devono essere analizzate almeno 50 cellule interfasiche con segnali chiaramente evidenziabili); 2. nel caso di liquido amniotico, il campione deve essere esente da inquinamento da parte delle cellule materne; 3. utilizzo di sonde molecolari a bassa reattività crociata e ad elevata specificità per il sito cromosomico bersaglio (esempio sonda cosmidica per il brac-

5 Le tecniche di biologia molecolare impiegate in diagnosi prenatale sono solamente accennate. Per approfondimenti si invia a testi specifici della materia.

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Fig. 3.27. Disomia 21,disomia 18,cellula XY cio lungo del cromosomico 21, regione critica per la sindrome di Down). I principali vantaggi della FISH sono: – rapidità dei risultati; – elevata risoluzione topologica (il segnale può essere individuato con notevole precisione): per cui si può riconoscere l’anomalia di un cromosoma o di una sua regione senza dover evidenziare con la coltura cellulare le metafasi da cui comporre il cariotipo; – possibilità di rilevare le immagini mediante sistemi elettronici (es. CCD) molto più sensibili dell’occhio umano. Nella diagnosi prenatale la FISH è in genere utilizzata per avere un responso rapido sulle più comuni aneuploidie autosomiche [9] (cromosoma 21, 13 e 18) e sui cromosomi del sesso (Fig. 3.28). L’utilizzo della FISH nella diagnostica citogenetica prenatale, è tuttavia limitata al riconoscimento soltanto delle aneuploidie [9] di poche coppie di cromosomi coinvolte nella genesi delle più comuni cromosomopatie. Ha, infatti, lo svantaggio di permettere diagnosi solo per aneuploidie per le quali è stata predisposta; costituisce, quindi, al momento, solo un ausilio alla citogenetica classica, restando sempre necessario l’esame dei cromosomi sulle piastre ottenute dalla coltivazione degli amniociti. Nella diagnosi citogenetica, prenatale e postnatale la FISH riveste inoltre un ruolo diagnostico di primaria importanza nella diagnosi di particolari sindromi genetiche, come quelle da microdelezione di geni contigui. Una variante della FISH, il chromosome painting, consente di ottenere una colorazione diffusa del cromosoma ibridato con una libreria “DNA cromosomaspecifico”. La metodica risulta molto utile quando è ne-

Fig. 3.28. FISH analysis su spermatozoi umani con probes X/Y cessario studiare particolari zone cromosomiche, come nel caso di traslocazioni complesse [11]. Una ulteriore variante della classica FISH è la Multicolor-FISH (M-FISH), che consente il riconoscimento simultaneo di tutti i cromosomi, per appartenenza di gruppo perché colorati con colori diversi (sonde WCP marcate con diverse combinazioni di fluorocromi). La MFISH si è rilevata utile nel caso di cariotipi complessi con riarrangiamenti cromosomici multipli, particolarmente nello studio dei tumori. Sono state allestite anche sonde per le sequenze centromeriche (DNA-satellite) e telomeriche, utilizzate, ad esempio, per il riconoscimento di particolari aneuploidie nello studio dei cromosomi dicentrici.

Cariotipizzazione spettrale (SKY) Rappresenta un’analisi differente dalla M-FISH, in quanto ogni coppia di cromosomi presenta un suo specifi-

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co spettro derivato dalla diversa combinazione di fluorocromi. Si serve di un interferometro collegato ad una video-camera che acquisisce l’immagine.Variazioni minime di colore, impercettibili all’occhio umano, vengono rilevate da un software che conferisce alle diverse coppie di cromosomi un colore prestabilito da un apposito algoritmo. Si ottiene così un’immagine digitale a colori in cui tutti i cromosomi non omologhi avranno colore diverso, permettendo così, il loro riconoscimento. La tecnica si è rivelata utile nel caso di riarrangiamenti complessi e nel riconoscimento di markers.

CGH (Comparative Genomic Hybridization) È una tecnica utile per rilevare variazioni del numero di copie di geni e per individuare delezioni e/o duplicazioni criptiche. Si basa su una competizione per il legame su un supporto normale (cromosomi in metafase) di 2 DNA marcati con fluorocromi diversi. Uno dei DNA appartiene al soggetto da analizzare, l’altro è composto da un pool di DNA genomico di riferimento. Il vantaggio è che in un’unica ibridazione si possono ottenere informazioni sulla dimensione e sulla localizzazione di tutti gli sbilanciamenti cromosomici. Viene utilizzato per lo studio dei riarrangiamenti nelle cellule tumorali, ma ha trovato applicazione anche nello studio delle aneuploidie degli aborti [12].

Array e micro-array CGH Questa tecnica sostituisce i cromosomi delle metafasi di riferimento con una matrice contenente frammenti di DNA di 150 Kb detti BAC o PAC, corrispondenti a loci specifici del cromosoma. Essa consente l’immediata correlazione tra l’alterazione e la localizzazione genomica. La risoluzione genomica dipende dalla lunghezza del DNA dei cloni utilizzati e dalla distanza tra un clone e l’altro. Con un singolo iter procedurale la tecnica consente il riconoscimento cromosomico, numerico e anche strutturale nelle cellule in interfase dei vari tessuti.

PCR (Polymerase Chain Reaction) La tecnica della PCR consente l’amplificazione selettiva di sequenze di DNA targets individuabile in specifiche sorgenti di DNA (cellule eucariotiche, batteri, virus, plasmidi, DNA mitocondriale) [13]. La PCR è il mezzo più rapido ed economico per amplificare enormi quantità di una specifica sequenza di DNA o RNA, partendo anche da pochissimo materiale disponibile (tracce di sangue, capelli, ecc.). Si ritiene che la tecnica della PCR abbia avuto la stessa importanza che a suo tempo ebbe la scoperta degli enzimi di restrizione. La PCR sfrutta la capacità della polimerasi termostabile di effettuare la sintesi di acidi nucleici a partire

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da un filamento stampo e, con una reazione a catena, produce un numero estremamente grande di copie di una specifica sequenza di DNA. In questa metodologia il prerequisito fondamentale è il design di primers (oligonucleotidi di 15-25 nt) complementari alle sequenze bersaglio (solitamente porzioni di gene) e fiancheggianti la regione da amplificare. Nelle sue linee essenziali una tipica reazione a catena consta di tre steps (cicli) ripetuti per 25-45 volte: 1. denaturazione ad alta temperatura del DNA target; 2. rinaturazione del DNA target con primers di innesco; 3. estensione replicativa dei primers con sintesi de novo di DNA mediata dall’enzima Taq DNA polimerasi. La reazione innescata si definisce a “catena” perché le nuove eliche di DNA sintetizzate fungono da stampo nei cicli replicativi seguenti, consentendo un’amplificazione esponenziale (x105-106) della regione bersaglio. Per migliorare la specificità della PCR viene impiegata in alcuni casi una tecnica modificata: la nested PCR. In questa procedura il DNA target è sottoposto a due reazioni sequenziali di amplificazione (PCR). I prodotti di questa amplificazione iniziale (I-PCR) sono diluiti ed utilizzati, come sorgente di DNA target, nella seconda reazione (II-PCR) in cui i primers di innesco sono localizzati all’interno della sequenza target precedentemente amplificata. Questa variante della PCR riduce la possibilità di artefatti amplificativi che si possono produrre in situazioni analitiche di DNA complesso o per dimerizzazione oligomerica. Un’importante implementazione della reazione a catena polimerasica è rappresentata dalla PCR real time o quantitativa (QF-PCR, Quantitative Fluorescent Polymerase Chain Reaction). L’utilizzo di probes interne ai primers d’innesco nella reazione polimerasica, marcati con molecole fluorescenti, consente di monitorare in real time il dispiegarsi della reazione e di quantificare il DNA target presente nel campione iniziale. Nella diagnosi prenatale la PCR e, nello specifico, la QF-PCR, trova elettiva utilizzazione nell’accertamento della trasmissione verticale di agenti infettivi in gravidanza e nella diagnosi molecolare della gran parte delle malattie geniche a trasmissione mendeliana (talassemie, fibrosi cistica, distrofie muscolari, ecc.). La valutazione molecolare [14] delle aneuploidie mediante QF-PCR effettuate su DNA estratto da materiale fetale (villi, amniociti, sangue fetale) rappresenta, inoltre, un valido supporto diagnostico in caso di dubbi ecografici in gravidanze avanzate, di fallimenti colturali, di scarsa cellularità nel campione prelevato, ecc.

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

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CAPITOLO 4

Diagnostica prenatale dei difetti congeniti: tecniche invasive e non invasive A.L. Borrelli • M. Felicetti • A. Di Domenico

INTRODUZIONE

TECNICHE INVASIVE

I progressi tecnologici nel campo dell’ultrasonografia, della biologia e della genetica molecolare e l’ampliarsi delle conoscenze nel campo delle ricerche genomiche hanno consentito l’affermazione della diagnosi prenatale quale parte integrante non solo dell’ostetricia moderna, ma anche della medicina preventiva. Questa nuova disciplina permette la diagnosi in epoca gestazionale precoce di un numero sempre maggiore di affezioni embrio-fetali congenite e/o ereditarie il che consente, in caso di diagnosi positiva identificata l’anomalia, di fornire alla gestante consulenze genetiche, informazioni circa possibili interventi terapeutici sia in utero che alla nascita e in definitiva assistenza per una scelta consapevole circa le varie opzioni possibili. Le tecniche di diagnosi prenatale si distinguono in invasive e non invasive [1]. Tra le invasive vanno menzionate: l’amniocentesi, la villocentesi, la funicolocentesi, l’embrioscopia e le biopsie fetali; la scelta della metodica dipende dalle indicazioni, dall’epoca gestazionale, dalla peculiarità del caso e dall’esperienza dell’operatore. Tra i metodi non invasivi ricordiamo: l’ecografia ultrasonica, la ricerca delle cellule e del DNA fetale nel sangue materno e nella cervice uterina, la diagnosi genetica preimpianto (Tabella 4.1).

Amniocentesi È la procedura di diagnosi prenatale invasiva più praticata e consiste nel prelievo di liquido amniotico (LA) mediante puntura trans-addominale del sacco amniotico (Fig. 4.1).

Fig. 4.1. Amniocentesi.Da [2],con autorizzazione

Tabella 4.1. Tecniche di diagnosi prenatale Tecniche invasive • Amniocentesi • Amniocentesi precoce o early amniocentesis (EA) • Prelievo dei villi coriali o villocentesi • Cordocentesi o funicolocentesi • Biopsie fetali • Embrioscopia

Tecniche non invasive • Ultrasonografia • Analisi sulla madre – Cellule e DNA fetale nel sangue materno – Cellule e DNA fetale nella cervice uterina • Diagnosi genetica preimpianto

L’amniocentesi “genetica” si effettua nel II trimestre generalmente tra la 16a e la 18a settimana di gestazione epoca in cui la vitalità degli amniociti è ottimale per le colture cellulari e la quantità di LA (150-200 ml) è tale per cui ne è possibile il prelievo di 20 ml senza alcun danno per il prodotto del concepimento [3]. Prima di effettuare l’indagine è necessario informare dettagliatamente (counseling) la gestante sull’entità del rischio genetico di cui è portatrice, sulle possibilità dia-

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

gnostiche e terapeutiche, così da offrirle la possibilità di decidere consapevolmente valutando rischi e benefici. Nel corso del counseling, che deve essere, quindi, informativo e non direttivo, il consenso informato1 costituisce una tappa obbligata da non trascurare. L’amniocentesi deve essere preceduta da un accurato esame ecografico preliminare che accerti il numero, la vitalità del/i feto/i, l’età gestazionale mediante la biometria fetale e che consenta di rilevare eventuali patologie utero-annessiali. Nel corso del predetto controllo, localizzata la placenta, dovrà poi essere individuata una tasca di liquido amniotico sufficientemente ampia e lontana da parti fetali dove infiggere l’ago (Tabella 4.2). Tabella 4.2. Counseling e indagini preliminari per amniocentesi • Counseling e consenso informato • Gruppo e fattore Rh • Coombs indiretto se Rh negativa • Test plasmatici relativi alle infezioni maggiori (epatiti,ecc.) • Accurato controllo ecografico

Tecnica Per il prelievo si usa un ago di 20-22 gauge e della lunghezza di 10-20 cm che, prescelta la sede, può essere inserito a mano libera, sotto controllo ecografico (amniocentesi ecoassistita) (Fig. 4.2) o utilizzando sonde da biopsia o sonde munite di stativi rigidi (amniocentesi ecoguidata) (Fig. 4.3). Tolto il mandrino si aspirano 20 ml di liquido amniotico (LA) dopo aver allontanato il primo ml, prelevato con altra siringa, per evitare contaminazioni materne.

Fig. 4.2. Amniocentesi ecoassistita

a

b

Fig. 4.3a, b. Amniocentesi ecoguidata.a Sonda Convex munita di stativo esterno.b Sonda da biopsia

L’amniocentesi è preferibile effettuarla sotto controllo ecografico continuo. La puntura transplacentare, da effettuare solo quando renda più facile l’accesso ad una tasca di liquido amniotico non altrimenti raggiungibile e lontano dall’inserzione del cordone ombelicale, non sembra aumentare il tasso di abortività [4]. Il prelievo viene effettuato ambulatorialmente2, a vescica vuota, senza anestesia (taluni autori utilizzano cloruro di etile per annullare la sensazione della puntura). La gestante può tornare a casa dopo 30 minuti di riposo dal prelievo. È consigliabile astenersi da attività fisica intensa per 2 giorni. Nel caso di gravidanza gemellare monocoriale va campionato un solo gemello; se la gravidanza gemellare è bicoriale, individuati i sacchi amniotici, si effettuano 2 prelievi distinti. Nei casi dubbi è utile l’introduzione di un colorante vitale (indaco carminio, rosso congo) nel primo sacco, dopo aver effettuato il prelievo. È buona pratica clinica evitare l’effettuazione della diagnostica invasiva in gestanti portatrici di virosi in fase attiva. Nelle gravide Rh negative non immunizzate con partner Rh positivo va praticata la profilassi con immunoglobuline anti-D (Tabella 4.2) per il possibile passaggio, soprattutto nei casi di amniocentesi transplacentare, di sangue fetale nel circolo materno. L’amniocentesi consente di ottenere materiale fetale (liquido amniotico ed amniociti) per esami citogenetici,biochimici e sul DNA [5,6].È possibile in tal modo la diagnosi di tutte le malattie cromosomiche, di tutte le malattie recessive legate al sesso, di taluni errori congeniti del metabolismo e di alterazioni del tubo neurale (incremento dell’AFP e dell’acetilcolinesterasi nel LA) [7]. L’analisi del DNA permette, inoltre, la diagnosi di molte malattie geniche ed è possibile,mediante tecniche di biologia molecolare (PCR) individuare eventuali agenti morbigeni nel LA [8,9].

1 È assolutamente necessario che la gestante prima della procedura legga e sottoscriva il consenso informato così che siano del tutto chiari modalità e limiti diagnostici della metodica, le possibili complicanze materno-fetali, i tempi tecnici per la refertazione ecc. (vedi modello di consenso informato in appendice). 2 L’amniocentesi, come le altre procedure invasive (villocentesi, cordocentesi, ecc.), vanno eseguite nell’ambito di ambulatori chirurgici o in regime di day-surgery da specialisti in Ostetricia e Ginecologia con competenze in diagnosi prenatale e dopo opportuno training [4].

Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico

Indicazioni Le indicazioni all’amniocentesi del II trimestre sono molteplici (Tabella 4.3). Tabella 4.3. Amniocentesi:indicazioni Età materna avanzata *35 anni Pregressa aneuploidia fetale Riarrangiamenti cromosomici nei genitori Diagnosi di sesso per malattie legate al cromosoma X Storia familiare di aneuploidie Screening “positivo”ecografico e biochimico II trimestre Mosaicismo al CVS

Cariotipo fetale (livello di raccomandazione A)*

Malattie infettive (livello di raccomandazione A)*: - toxoplasmosi,malattia citomegalica,rosolia,ecc. Determinazione Rh fetale (livello di raccomandazione A)* Malattie geniche (livello di raccomandazione B)* Difetti congeniti del metabolismo (livello di raccomandazione B)*

Analisi del DNA

Esami biochimici (livello di raccomandazione B)*

Ricerca di agenti infettivi nel liquido amniotico Mediante tecniche di amplificazione genica quali la Polymerase Chain Reaction (PCR) è possibile ricostruire ed individuare il genoma di un agente infettivo [10, 11], ciò risulta di particolare importanza per documentare la trasmissione verticale di una 1ª infezione materna diagnosticata in base al rilievo dei movimenti anticorpali specifici. In caso di gravidanza a rischio di alloimmunizzazione Rh (madre Rh negativa, padre Rh positivo) risulta molto utile la determinazione sugli amniociti dell’Rh fetale. Se infatti il feto risulta Rh negativo non sono necessarie ulteriori indagini, mentre la presenza di un feto Rh positivo e di anticorpi anti-Rh nel sangue materno richiederà ulteriori indagini e un attento monitoraggio delle condizioni fetali (vedi Capitolo 18).

Errori congeniti del metabolismo Difetti del tubo neurale

Studio del DNA fetale.Malattie geniche ed errori congeniti del metabolismo

Determinazione del cariotipo fetale (indicazioni cromosomiche) La ricostruzione del cariotipo fetale va consigliata nei seguenti casi: età materna avanzata ≥35 anni (Fig. 4.4), pregressa aneuploidia fetale, genitori portatori di traslocazioni bilanciate, storia familiare di cromosomopaFrequenza della sindrome di Down per 1000 nati

tie, diagnosi di sesso per malattie legate al cromosoma X, malformazioni fetali rilevate all’esame ecografico, screening “positivo” biochimico (triplo test) e/o ecografico, eventuali mosaicismi alla villocentesi. L’amniocentesi va proposta anche a gestanti che abbiano praticato trattamenti di procreazione assistita per infertilità maschile (maggior rischio di anomalie cromosomiche de novo nel feto).

Determinazione dell’Rh fetale

*Linee guida S.I.Di.P.,2006

Grazie ai progressi della biologia e della genetica molecolare è possibile ricostruire le sequenze nucleotidiche di molti geni e quindi è possibile la diagnosi sugli amniociti di molte malattie geniche a trasmissione mendeliana e di molti difetti congeniti del metabolismo di cui siano note le mutazioni geniche. Tuttavia, come è chiarito successivamente (vedi villocentesi) per queste indicazioni il prelievo dei villi coriali si lascia preferire all’amniocentesi.

Esami enzimatici (indicazioni biochimiche) Difetti congeniti del metabolismo

18 14 10 6 2

Età materna

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15-19

20-24

25-29

30-34

35-39

40-44

45+

Fig. 4.4. Incidenza della sindrome di Down in relazione all’età materna

Come già detto, la diagnosi di molti difetti congeniti del metabolismo si effettua attualmente, mediante indagini di biologia e di genetica molecolare sul DNA fetale. Il liquido amniotico può essere ancora utile per la determinazione biochimica dei livelli enzimatici relativi ad alcuni difetti del metabolismo di cui sono ancora sconosciute le mutazioni geniche come la sindrome di Smith Lemli Opitz (determinazione dei precursori del colesterolo), la tirosinemia tipo I (determinazione del succinilacetone), acidemia metilmalonica (determinazione del metilmalonil CoA), ecc.

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Difetti del tubo neurale In passato queste alterazioni si diagnosticavano in base all’aumento dei tassi di AFP e di acetilcolinesterasi nel LA; oggi per la diagnosi di questi difetti l’esame ultrasonico della colonna vertebrale tra la 18a e la 20a settimana di gravidanza risulta molto più sensibile ed accurato e si lascia nettamente preferire alla precedente metodica biochimica molto poco sensibile essendo gravata da un elevato tasso di falsi positivi.

Complicanze I limiti e le complicanze materno fetali conseguenti all’amniocentesi sono assolutamente modeste (Tabella 4.4) [12, 13]. Tabella 4.4. Limiti e complicanze dell’amniocentesi

Limiti

Complicanze materne

Complicanze fetali

Fallimenti colturali Insuccessi Mosaicismi Errori diagnostici Crisi lipotimiche Amnioite Contrazioni uterine Perdite ematiche Perdita liquido amniotico Isoimmunizzazione Abortività Trauma diretto fetale Anomalie arti

Incidenza 0,2% 0,2% 0,3% 1/5000 rara molto rara 100 mmHg; – una proteinuria delle 24 ore>1 g; – alterazione degli enzimi epatici; – PLTs6 Pazienti non-complianti EG*34 sett. Minaccia di parto pretermine PROM FGR o alterazione test fetali

PARTO

NO 110 mmHg, altri di iniziare la terapia antiipertensiva già con PAsist di 160 mmHg e/o PAdiast di 105 mmHg. Altri ancora prendono in considerazione come cut-off per intraprendere il trattamento una PA media di 130 mmHg o più [65, 66]. Inoltre, come si diceva, questi valori pressori devono essere sostenuti nel tempo, ma anche in questo caso c’è confusione nella definizione di ipertensione “sostenuta”, perché questa può variare dai 30 minuti alle 2 ore. Va inoltre ricordato che nelle pazienti severamente ipertese con trombocitopenia ed in quelle nel post-partum è opportuno iniziare la terapia antiipertensiva per valori di PA inferiori a quelli a cui siamo soliti impostare la terapia anti-ipertensiva. Ne risulta quindi, che venendo a mancare delle linee guida o perlomeno un approccio largamente condiviso, per ciò che concerne il timing del trattamento antiipertensivo, molto viene lasciato alla libera decisione del medico.

Anche per quanto riguarda la classe di anti-ipertensivi da usare non ci sono dei protocolli universalmente accettati, tuttavia siamo in grado, attraverso la letteratura, di tirare le fila riguardo al principale farmaco utilizzato nell’ipertensione severa, ovvero l’idralazina. Questo farmaco viene gestito con somministrazione per via endovenosa in boli da 5-10 mg ogni 15-20 minuti, fino ad una dose cumulativa massima di 30 mg. Ultimi studi stanno però dimostrando che l’approccio con l’idralazina ev sta già diventando “vecchio”, e sta per essere superato dall’uso del labetalolo ev o della nifedipina per os, che hanno la stessa efficacia a fronte di una minore entità degli effetti collaterali. La dose raccomandata di labetalolo è di 20-40 mg ev da ripetere ogni 10-15 minuti per un massimo di 220 mg, mentre la dose di nifedipina è di 10-20 mg per os ogni 30 minuti, fino alla dose massima di 50 mg. Spetta dunque al medico scegliere se impostare la terapia antiipertensiva d’attacco con l’idralazina ev o con il labetalolo o con la nifedipina, ed in ogni caso, se la paziente non risponde al farmaco, si può passare ad un altro tra questi consigliati [63, 64].

Modalità del parto Non ci sono dei trials randomizzati che mettano a paragone il parto per via vaginale ed il parto cesareo tra di loro, per individuare la modalità di parto preferibile nelle pazienti con PIH/PE lievi e severe. In realtà la letteratura vuole che si proceda in prima ipotesi al parto vaginale per tutte le pazienti con PIH/PE lievi e anche per la maggioranza di quelle con PIH/PE severe, in particolare se è stata superata la 30a settimana gestazionale. La decisione per il parto cesareo dovrebbe essere orientata in base all’età gestazionale effettiva, alle condizioni fetali, alla presenza del travaglio, e al Bishop score cervicale. Ad ogni modo la PE severa non è un’indicazione assoluta al taglio cesareo. È buona regola comunque praticare il taglio cesareo a tutte le donne con PE severa al di sotto delle 30 settimane gestazionali che non sono in travaglio e il cui Bishop score sia 20 mg%), non potendo essere né smaltita nel circolo materno né eliminata mediante glicuro-coniugazione, supera la barriera emato-encefalica e va a depositarsi nei nuclei della base (ittero nucleare) provocando lesioni irreversibili. I neonati che riescono a sopravvivere manifestano a distanza più o meno lunga di tempo una cerebropatia caratterizzata da paralisi spastica e deficit mentale.

La sindrome di Ecklin, legata ad una immunizzazione di lieve entità, costituisce la forma di MEN meno grave. Il neonato presenta, infatti, una lieve anemia associata ad epato-splenomegalia di modesta entità. Generalmente l’ittero non è molto intenso. Nella gran parte dei casi l’evoluzione di questa forma è favorevole in quanto l’anemia progressivamente regredisce e non residuano danni neurologici a distanza. Va sottolineato, tuttavia, che la possibilità di diagnosi tempestive, l’accurato monitoraggio delle condizioni fetali, il continuo sviluppo delle terapie endouterine (emotrasfusione) e soprattutto la profilassi dell’alloimmunizzazione con immunoglobuline anti-D hanno ridotto in modo drastico l’incidenza delle forme più gravi di MEN.

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

DIAGNOSI E TRATTAMENTO La determinazione del gruppo sanguigno, del fattore Rh D e lo screening sierologico anticorpale (test di Coombs indiretto) sono raccomandati in tutte le gravide in occasione della prima visita prenatale; per le gravide D negative non sensibilizzate e con partner Rh positivo è utile ripetere lo screening anticorpale ogni 4-6 settimane fino al termine della gravidanza. L’alloimmunizzazione Rh è svelata dalla positività del test di Coombs indiretto che evidenzia nel circolo materno anticorpi anti-D. In caso di positività del test è necessario richiedere la titolazione anticorpale. Se il tasso anticorpale è ≥1:163, essendo elevato il rischio di danno fetale [11], si può ricorrere all’esame spettrofotometrico del liquido amniotico prelevato mediante amniocentesi a partire dalla 20a settimana di gestazione. Questa indagine permette, in base alla concentrazione di pigmenti biliari e soprattutto di bilirubina rilevati, di risalire all’entità della emolisi fetale. Per valutare la concentrazione di bilirubina nel liquido amniotico si determina l’altezza del picco di assorbimento della luce a 450 nanometri rispetto ad una linea arbitraria prefissata tra 300 e 500 nanometri. Questa determinazione (differenza di densità ottica o delta D.O.) riportata sul diagramma di Liley consentirà di stabilire l’orientamento terapeutico (Fig. 18.3) [12].

Nei casi in cui la compromissione fetale è scarsa o assente (zona 1), ripetendo per conferma l’amniocentesi ogni 3 settimane e intensificando il monitoraggio fetale (ecografia, cardiotocografia, Doppler-flussimetria), si può programmare il parto tra la 36a e la 38a settimana se le condizioni fetali lo consentono. Nei casi di compromissione modesta (zona 2), se le successive amniocentesi da ripetere con cadenza settimanale e il monitoraggio biofisico non evidenziano aggravamento delle condizioni fetali, sarà opportuno estrarre il feto tra la 30a e la 36a settimana. In presenza di grave compromissione fetale (zona 3) la terapia varia a seconda dell’epoca gestazionale: prima della 30a settimana è necessario, mediante funicolocentesi, exsanguino-trasfondere il feto; dopo la 30a sett. si effettuerà il taglio cesareo immediato (Fig. 18.3). Il suddetto protocollo diagnostico-terapeutico, utilizzato fino a qualche tempo fa, è stato di recente posto in discussione. Le critiche avanzate riguardano: a. la necessità di più amniocentesi nell’arco di poche settimane, con pericolo non solo di incrementare la sensibilizzazione materna, ma anche di incidere negativamente sull’ulteriore evoluzione della gravidanza (amniotiti, rottura prematura delle membrane con maggiore incidenza di aborti e parti prematuri); b. la possibilità di errori diagnostici (falsi positivi e negativi), essendo la determinazione del tasso bilirubinico mediante spettrofotometria un metodo indiretto di valutazione dell’anemia fetale [14] e potendo i risultati di detta determinazione essere alterati da particolari evenienze quali: la contaminazione del campione prelevato con sangue e/o meconio e l’iperbilirubinemia materna; c. non esisterebbe, inoltre, una correlazione clinicamente valida tra lettura della delta DO a 450 nanometri e tassi emoglobinici fetali prima della 28a settimana di gestazione [15]. Per i motivi suddetti attualmente si ritiene che la cordocentesi sia la metodica veramente utile non solo per la diagnosi di anemia fetale, ma, se necessario, anche per il trattamento precoce della stessa mediante emotrasfusione endouterina (IVT) prima che si instauri l’idrope [16, 17].

Attuale protocollo diagnostico-terapeutico Fig.18.3 Diagramma di Liley per il trattamento della malattia emolitica in base all’analisi spettrofotometrica del liquido amniotico.La zona 1 indica compromissione fetale scarsa o assente.La zona 2 indica compromissione fetale di media gravità.La zona 3 indica compromissione molto grave con rischio di morte endouterina del feto.Da [13]

3

1:16 è il livello anticorpale critico.

Un primo screening dei casi a rischio si può realizzare determinando in una gestante Rh negativa già sensibilizzata, il fattore Rh del feto se il padre è eterozigote (Dd); in tal caso infatti solo il 50% dei feti sarà Rh po-

Capitolo 18 • Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale • A.L.Borrelli,C.Ferrara,P.Borrelli

sitivo e quindi a rischio di MEN. In presenza di gestanti Rh negative già sensibilizzate, in cui il padre sia eterozigote per l’Rh ed esista anche una specifica indicazione alla determinazione del cariotipo fetale (età materna avanzata, ecc.) può essere, quindi, proposta la diagnosi prenatale invasiva (villocentesi, amniocentesi) allo scopo di definire oltre al cariotipo fetale anche il gruppo e fattore mediante PCR sul DNA del concepito. Il vantaggio di una diagnosi precoce va, tuttavia, valutato nei confronti del rischio di un incremento del tasso anticorpale materno anti-D per il possibile passaggio di

Fig. 18.4 Protocollo diagnostico-terapeutico nell’alloimmunizzazione Rh

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emazie fetali nel circolo materno durante la realizzazione della procedura cui va aggiunto il rischio abortivo connesso all’indagine. In gravide Rh negative, già immunizzate nei confronti del fattore Rh, è stata riportata, nel corso di recenti studi, la possibilità di determinare il fattore Rh fetale nel sangue materno mediante tecniche non invasive [18-20]. Se il padre è omozigote per l’Rh (DD) nelle gravide Rh negative con test di Coombs indiretto positivo, il management è dettato dal tasso anticorpale e dal suo eventuale incremento (Fig.18.4) [21].

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Quando la concentrazione di anticorpi anti-D è maggiore di 1:16 la paziente deve essere inviata presso centri di riferimento per il monitoraggio e il trattamento della malattia. Il monitoraggio di questi feti si avvale di metodi non invasivi ed invasivi. Tra le metodiche non invasive hanno acquisito importanza la doppler-flussimetria e l’ecografia ultrasonica. Alterazioni flussimetriche dell’aorta addominale, del dotto venoso e soprattutto della cerebrale media [22], conseguenti all’ipossia e alla centralizzazione del circolo, sono utili nel segnalare la presenza di anemia fetale [23], ma non nel valutarne l’entità [26, 27]. Segni ecografici predittivi di idrope fetale [26,27] sono: 1. doppio segno della parete intestinale (visualizzazione di entrambi i lati della parete); 2. cardiomegalia (diametro biventricolare >95° percentile e versamento pericardico >2 mm); 3. epato-splenomegalia (aumento dei diametri epatici e splenici > 95° percentile); 4. poliamnios (AFI >18 cm); 5. edema placentare. L’idrope fetale, rilevabile all’esame ecografico per la presenza di edema sottocutaneo diffuso (spessore della cute >5 mm) cui si associano raccolte liquide in almeno due cavità organiche (peritoneale, pericardica o pleurica), può essere preceduto dai predetti segni ecografici che sono però aspecifici e presenti solo in un numero modesto di casi. I monitoraggi doppler-flussimetrico ed ecografico, quindi, pur essendo utili nel diagnosticare l’anemia non consentono di stabilirne la gravità prima che si sviluppi l’idrope né permettono di fare previsione sull’evoluzione della malattia stessa. Appare, quindi, evidente che accanto al monitoraggio sierologico (test di Coombs indiretto) non si può prescindere da metodiche invasive (cordocentesi) [28-30] per la valutazione dell’entità dell’anemia fetale (ematocrito) e per il management della stessa. La cordocentesi in questi casi va effettuata per la prima volta tra la 18a e la 19a settimana o al più tardi tra la 20a e la 23a settimana (pazienti obese o placenta posteriore) in presenza di: – tassi elevati di anticorpi materni anti-D>1:16 nel II trimestre e >1: 32 nel III trimestre soprattutto se in rapido incremento; – idrope fetale o segni ecografici predittivi di idrope come cardiomegalia o ascite ingravescente in pazienti immunizzate nei confronti del fattore Rh; – anamnesi positiva per incompatibilità materno-fetale Rh che ha richiesto in una precedente gravidanza trasfusioni intrauterine con o senza idrope fetale o che abbia determinato morte fetale o neonatale.

La cordocentesi può essere differita in epoche successive se il padre è eterozigote per l’Rh e il tasso anticorpale materno, testato settimanalmente dalla 16a settimana, rimanga stabile tra 1:8 e 1:32 in assenza di segni ecografici predittivi di idrope. Praticata la cordocentesi dalla vena ombelicale (vedi Capitolo 5) va sempre effettuata la determinazione del gruppo e fattore nonché dell’ematocrito fetale (Hct). Per programmare il trattamento ulteriore è utile testare nel sangue prelevato anche altri parametri (bilirubina, reticolociti, Hb libera, tassi anticorpali anti-D) necessari per una più completa valutazione delle condizioni fetali. Se l’Hct è >30% (assenza di anemia fetale) non è necessario trasfondere il feto; un’ulteriore cordocentesi diagnostica va effettuata ad intervalli di 4-6 settimane in feti Rh positivi. In ognuna di queste occasioni si deve sempre essere pronti ad un’eventuale trasfusione intrauterina (Fig. 18.4). Se il prelievo di sangue fetale evidenzia un Hct compreso tra il 30% e il 15% (presenza di anemia fetale) risulta necessaria una trasfusione intrauterina. Il sangue da trasfondere deve avere i seguenti requisiti [28, 29]: 1. deve essere di gruppo 0 Rh negativo, compatibile con quello materno anche per altri sistemi antigenici eritrocitari (Kell, Kidd, ecc.) e deve essere stato prelevato di recente (24 cm o >90° percentile (Fig. 19.4); – ascite (Fig. 19.5); – effusione pericardica (Fig. 19.6); – effusione pleurica (Figg. 19.6 e 19.7).

Tabella 19.3. Flow-chart proposta circa le indagini prenatali da effettuare in caso di NIHF. Modificata da [39] NIHF

Counseling prenatale/genetico Ecografia ostetrica morfologica Ecocardiografia fetale

Storia familiare o gruppo etnico a rischio di emoglobinopatie Valutazione ematologica

Amniocentesi Valutazione anomalie cromosomiche Ricerca di malattie infettive: - Toxoplasmosi - Rosolia - CMV - Herpes simplex - Parvovirus B19 - Coxsackie virus

Diagnosi

Non diagnosi

Anamnesi positiva per malattie genetiche e/o familiari e/o precedenti perdite fetali Indagine di LDS: - Malattia di Gaucher - GM1 gangliosidosi - Mucopolisaccaridosi I,IV A,VI - Niemann-Pick A - Sialidosi,galattosialidosi - Mucolipidosi I e II - Deficit di solfatasi multiple - Altre (?)

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Fig. 19.2. Edema sottocutaneo

Fig. 19.3. Iperplacentosi

Fig. 19.4. Polidramnios

Fig. 19.5. Ascite

Perché l’idrope possa essere definita tale è necessario che l’accumulo di liquido sia evidente in almeno due compartimenti del corpo fetale. Porre attenzione alla sede primaria di insorgenza dell’idrope può indirizzare il clinico verso alcune cause rispetto ad altre: infatti, l’idrope secondaria ad una patologia sistemica, come l’anemia, si manifesta comunemente attraverso un accumulo di liquido generalizzato, multifocale sin dal principio; mentre l’idrope causata da una patologia di tipo locale tende ad esordire con una raccolta di fluido nella sede di origine della patologia stessa, ad esempio la CCAM comporta la for-

mazione di un versamento pleurico e, solo successivamente all’aumento preponderante della pressione intratoracica, sviluppa idrope in forma sistemica [40]. La ricerca approfondita di segni di idrope in tutto l’organismo fetale è necessaria, non solo ai fini di un’attenta diagnosi,ma anche perché permette al clinico di orientarsi dal punto di vista eziopatogenetico (Tabella 19.4). È importante considerare che ogni feto con idrope merita un approfondito esame ecocardiografico, in quanto la patologia cardiaca rappresenta una delle cause di maggiore spessore, sia per frequenza che per gravità, di sviluppo di NIHF.

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Capitolo 19 • Idrope fetale non immunologica • M.E.Pietrolucci,L.Brienza,D.Arduini

Fig. 19.6. Effusione pericardica e pleurica

Fig. 19.7. Effusione pleurica

Tabella 19.4. Segni idrope fetale Sede

Testa

Segno Anomale dimensioni Alterata mineralizzazione Spessore scalpo aumentato Spostamento linea mediana Parenchima cerebrale

Orientamento Displasie scheletriche Edema cutaneo Emorragie Tumori Cisti poroencefaliche

Evidente linea mediana del volto Depressione ponte nasale,bozze frontali pronunciate,micrognatia Igroma cistico del collo

Trisomia 13

Addensamenti ai polmoni

Cisti o masse

Versamento pleurico Masse toraciche Anomalie coste e gabbia toracica

Chilotorace Teratoma mediastinico Displasie scheletriche

Zone ecogeniche al fegato Cisti epatiche Epatosplenomegalia

Anomalie dimensioni dei reni Aree ecogeniche a livello dei reni

Infezione virale Malattia policistica del fegato Fibrosi epatica Aneuploidie Peritonite da meconio Atresia duodenale Atresia digiuno-ileale Volvolo Ano imperforato Rene ipoplasico Rene policistico

Pelvi

Massa al sacro-coccige

Teratoma sacro-coccigeo

Scheletro

Anomali nella biometria,mineralizzazione,struttura

Displasie scheletriche

Placenta

Ispessimento Massa

Edema Corioangioma

Difetti multi organo

Quadri sindromici

Sindromi displasiche Aneuploidie

Faccia e collo

Torace

Aree ecogeniche a livello dell’intestino Addome Aree di dilatazione intestinale

Diagnosi differenziale Difetti del tubo neurale (anencefalia,encefalocele) Malformazioni artero-venose (doppler)

Anomalie cromosomiche Sindrome di Turner Dislocazioni toraciche di intestino dilatato o della cistifellea per ernia diaframmatica

(Raramente i reni sono causa di idrope)

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Un’accurata valutazione del cuore fetale comprende, non solo la valutazione dell’aspetto anatomico di tutte le strutture che ne fanno parte (setto, quattro camere ed in particolare dimensioni e spessore ventricolari, valvole, grandi vasi), ma anche l’esame della funzionalità e del ritmo cardiaco con l’utilizzo della metodica in M-mode e color Doppler (Fig. 19.8). La flussimetria dell’arteria cerebrale media (MCA) viene utilizzata come alternativa alla cordocentesi nella diagnostica dell’anemia fetale. Il razionale sul quale si basa l’impiego della metodica doppler nella valutazione dello stato anemico fetale è l’utilizzo dell’aumento di velocità del flusso, che si verifica in seguito a diminuzione della viscosità ematica e che si esprime con un incremento del picco sistolico nella MCA (MCA-PSV) [41, 42]. L’arteria cerebrale media meglio si presta nella diagnosi di anemia fetale per numerose ragioni: – risponde con rapidità agli stati ipossici, data la stretta dipendenza della funzione cerebrale dall’ossigeno; – la sua localizzazione la rende ben accessibile; – la sua posizione ci permette di ottenere un angolo di circa 0° tra il fascio degli ultrasuoni e il flusso sanguigno e di garantire, pertanto, un’elevata accuratezza della misurazione; – la flussimetria della MCA presenta una variabilità di valutazione operatore-dipendente molto ridotta.

È stata dimostrata [41, 42] un’associazione significativa tra MCA-PSV e concentrazione di Hb e la relazione tra questi due fattori è espressa da queste formule: delta emoglobina=(delta MCA-PSV+0,1437)/-0,4154 R(2)=0,7202; p500 mg/l,creat.>2 mg/dl) Anamnesi positiva per aborti ripetuti Cardiopatia aterosclerotica clinicamente evidente Retinopatia o emorragia del vitreo F+R Precedente trapianto renale

Tale classificazione, successivamente modificata da altri autori, se pur superata per molti aspetti, rimane valida specialmente per quanto attiene alla prognosi e al “management” (Tabella 20.1). La National Diabetes Data Group (NDDG) americana ha proposto nel 1979 una classificazione [2] della malattia basata sulla dipendenza dalla terapia insulinica e su fattori eziologici; sono stati distinti: – Diabete tipo I, autoimmune o insulino dipendente (IDDM, Insulin Dipendent Diabetes Mellitus). Questi pazienti necessitano di terapia insulinica per prevenire la chetoacidosi. – Diabete tipo II, non autoimmune, della maturità o non insulino dipendente (NIDDM, Non Insulin Dipendent Diabetes Mellitus). Taluni soggetti, tuttavia, per gravi iperglicemie possono sviluppare chetoacidosi e necessitare transitoriamente di terapia insulinica. – Diabete gestazionale (GDM, Gestational Diabetes Mellitus). Ridotta tolleranza al glucosio insorta o diagnosticata per la prima volta in gravidanza. – Diabete secondario (a sindromi genetiche, a trattamenti farmacologici, a patologie endocrine, a patologie pancreatiche, ecc.). – Ridotta tolleranza al glucosio (Tabella 20.2). Di recente è stata formulata una nuova classificazione eziologica del diabete mellito dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’American Diabetes Association [3] che non si diversifica molto dalla precedente (Tabella 20.3). In pratica, dal punto di vista ostetrico, le gravidanze complicate da diabete si possono distiguere in 2 gruppi: – quelle nelle quali il diabete preesisteva alla gravidanza (diabete pregravidico comprendente il tipo I e II); – quelle in cui il diabete è stato diagnosticato per la prima volta in gravidanza (diabete gestazionale).

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Tabella 20.2. Classificazione del diabete proposta dal NDDG Nomenclatura

Caratteristiche Può manifestarsi in ogni età,anche se più di frequente in età infantile o adolescenziale (40 anni) Funzionalità β-cellulare normale,elevata o ridotta Presente insulino-resistenza

Diabete gestazionale (GDM)

Si manifesta per la prima volta in gravidanza Ridotta tolleranza gestazionale al glucosio

Diabete secondario

Secondario a: Patologie endocrine (acromegalia,s.di Cushing,ecc.) Trattamenti farmacologici (analgesici,diuretici,ecc.) Malattie pancreatiche (pancreatite,ca.pancreatico,ecc.) Sindromi genetiche (es.glicogenosi,fibrosi cistica)

Ridotta tolleranza glicidica

Normale glicemia a digiuno Curva da carico intermedia tra euglicemia e diabete Predisposizione al diabete

Tabella 20.3. Classificazione eziologica del diabete mellito formulata dall’OMS e American Diabetes Association Tipo di diabete Diabete mellito di tipo 1 a.immunomediato b.idiopatico

Descrizione Distruzione delle β-cellule che determina un deficit assoluto di insulina

Diabete mellito di tipo 2

Resistenza all’insulina e deficit di insulina di grado variabile

Diabete gestazionale

Inizio o riconoscimento dell’intolleranza al glucosio durante la gravidanza

Altri tipi specifici: Difetti genetici della funzione β-cellulare Diabete associato a malnutrizione

MODY Malnutrition-related diabetes mellitus (MRDM,nei paesi tropicali); diabete pancreatico fibrocalcoloso

Sindromi con insulino-resistenza

Alterazioni della molecola dell’insulina,del suo recettore,dei meccanismi post-recettoriali (sindromi lipodistrofiche)

Intolleranze transitorie al glucosio

Può essere indicativo di diabete latente (durante infezioni/traumi o reperto occasionale); vi è familiarità? o evidenza di autoimmunità?

Diabete secondario

Fibrosi cistica,pancreatite,talassemia,cistinosi post-infettiva (rosolia,CMV);indotta da farmaci

Associato con malattie/sindromi

1.Geniche (DIDMOAD,Prader-Willy,distrofia miotonica,atassia di Friedreich) 2.Cromosomiche (Down,Turner) 3.Altri disordini endocrini (tiroide,surrene,acromegalia,ecc.)

Diabete ereditario materno e sordità (MIDD)

Trasmesso con il DNA mitocondriale e associato occasionalmente ad anomalie renali,acidosi lattica,episodi ictali

Diabete neonatale

Generalmente transitorio (è stata descritta disomia paterna uniparentale) può essere permanente (agenesia pancreatica con difetto del gene IPF1)

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Capitolo 20 • Diabete mellito e gravidanza • A.L.Borrelli,C.Ferrara,P.Borrelli

EZIOPATOGENESI Nel diabete tipo I sono coinvolti fattori genetici (antigeni di istocompatibilità di classe II: DR3, DR4 e DQw8), fattori immunitari [cellulari (linfociti B, linfociti T attivati) e umorali (auto-anticorpi)] e fattori esogeni di natura virale (rosolia, CMV, Coxackie, ecc.) o di natura chimica (proteine del latte vaccino,nitrosamine,ecc.).Questi ultimi sono capaci di scatenare, in soggetti geneticamente predisposti, una insulite nel corso della quale le cellule β insulari formerebbero antigeni in grado di innescare reazioni autoimmunitarie antiinsulari [4]. La sequenza patogenetica del diabete di tipo I può essere così riassunta: predisposizione genetica→insulto ambientale→distruzione autoimmunitaria delle cellule β→diabete mellito. Nel diabete tipo II esiste una predisposizione genetica di natura non ancora ben definita (autosomica dominante in taluni casi, autosomica recessiva in altri). I portatori di NIDDM presentano accanto all’iperglicemia due caratteristiche particolari: una secrezione insulinica anormale e una resistenza all’insulina nei tessuti bersaglio. La malattia evolve in più fasi. In una prima fase la glicemia è normale con elevati livelli di insulina segno della insulino-resistenza; nella seconda fase si assiste ad un aumento della resistenza all’insulina con progressivo peggioramento della tolleranza al glucosio e conseguente iperglicemia post-prandiale; nella terza fase, permanendo elevata la resistenza all’insulina, si assiste ad una riduzione della secrezione insulinica con iperglicemia a digiuno e diabete conclamato. La maggior parte delle pazienti con NIDDM è obesa; l’obesità di per sé, infatti, può indurre insulino-resistenza. Circa la variante MODY, che si manifesta con lieve iperglicemia in giovani resistenti alla chetosi, l’ereditarietà è di tipo autosomico dominante. Di questa variante si conoscono numerosi sottogruppi, ma i più frequenti sono tre (MODY 1-2-3) dovuti a tre mutazioni genetiche differenti localizzate rispettivamente nel braccio lungo del cromosoma 20, in quello corto del cromosoma 7 e nel braccio lungo del cromosoma 12. Il diabete di tipo II è più frequente nel sesso femminile e soprattutto nelle pluripare. La malattia, prima di manifestarsi in maniera evidente, può evolvere attraverso più stadi: prediabete, diabete potenziale, latente, chimico e clinico [5]. Il diabete gestazionale (GDM) comprende “le forme di intolleranza al glucosio insorte o diagnosticate per la prima volta in gravidanza”. Diverse situazioni metaboliche possono rientrare in questa definizione che prescinde dal fatto che la condizione persista dopo la gravidanza e non esclude che sia ad essa antecedente. A tal proposito J.W. Hare ha elaborato una classificazione del GDM in più tipi: tipo II incipiente, tipo II preesistente, tipo I incipiente e tipo I appena manifesto [6].

La possibilità di gran lunga più frequente è che il diabete di tipo II incipiente, quindi in fase di latenza, sia reso manifesto dalle esigenze metaboliche della gravidanza. È questo il diabete gestazionale “vero” clinicamente asintomatico che insorge nella seconda metà della gravidanza. La seconda possibilità, in termini di frequenza, è che il GDM si identifichi con un diabete tipo II preesistente, ma non ancora diagnosticato. In tal caso esso verrà messo in evidenza più precocemente già durante il primo trimestre in occasione dei primi controlli ematochimici essendo le glicemie a digiuno già sospette o anomale. Questa situazione non regredisce dopo il parto. La terza possibilità è che il diabete tipo I in fase di latenza venga slatentizzato dalla gravidanza in un momento in cui il deficit secretivo β-insulare è ancora lieve. Anche questo diabete, che pur si manifesta per la prima volta in gravidanza, può essere sospettato in occasione dei controlli ematochimici gravidici. La quarta possibilità, la più rara, è che il diabete tipo I e la gravidanza siano semplicemente coincidenti. In questo caso l’esordio è brusco e saranno interessate gestanti molto giovani. Tra i vari tipi di GDM formulati da Hare il “vero” diabete gestazionale è, come già detto, quello di tipo II incipiente che insorge tardivamente in gravidanza senza segni clinici e laboratoristici evidenti. Esso necessita, infatti, di un test di screening per evidenziarlo e regredisce dopo il parto quando l’assetto ormonale ritorna allo stato pregravidico. Tuttavia, poiché il difetto di secrezione β-insulare esiste, esso si slatentizza nel corso di eventuali successive gravidanze per trasformarsi in diabete tipo II persistente in media dopo 10-15 anni.

EFFETTI DELLA GRAVIDANZA SUL DIABETE E DEL DIABETE SULLA GRAVIDANZA Dall’uovo fecondato e successivamente dalla placenta vengono prodotti ormoni che riversati nel circolo materno influenzano in modo notevole il ricambio glicidico della gestante. Nelle prime 20 settimane la gonadotropina corionica (hCG) e gli elevati tassi di estrogeni e progesterone inducono iperplasia insulare con iperincrezione insulinica, onde aumentata utilizzazione periferica di glucosio cui consegue un abbassamento dei valori di glicemia a digiuno ed un aumento dei depositi di glicogeno nei tessuti periferici [7, 8]. Dopo la 20ª settimana e soprattutto nel III trimestre la gravidanza ha un “effetto diabetogeno” legato sia all’attività anti-insulare di taluni ormoni (lattogeno placentare, prolattina, cortisolo) che inducono insulino-resistenza e ridotta tolleranza glicemica, sia alla degradazione dell’insulina da parte di enzimi placentari. È per tali motivi che la gravidanza in-

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Tabella 20.4. Modificazione del metabolismo glicidico nella gravidanza fisiologica Modificazioni metaboliche nelle prime 20 settimane di gestazione Modificazioni ormonali ↑ Estrogeni ↑ Progesterone Iperplasia insulare → Iperincrezione insulinica → ↑ HCG Modificazioni metaboliche dopo la 20a settimana di gestazione Modificazioni ormonali ↑ HPL ↑ Cortisolo Insulino-resitenza → Ridotta tolleranza glicemica → ↑ Prolattina

fluisce negativamente sulla funzionalità insulare. Nella gravidanza fisiologica l’omeostasi glicidica è assicurata, in questa fase, da un aumento della quantità e velocità di secrezione dell’insulina (Tabella 20.4) [9, 10]. Ma se la gestante ha già una scarsa funzionalità pancreatica, si rendono manifeste forme di diabete latente, di prediabete o di diabete incipiente e si aggravano fino allo scompenso le forme di diabete pregravidico di tipo I e II con maggiore incidenza di complicanze quali: nefropatie, vasculopatie periferiche, neuropatie, infezioni urinarie, ecc. Il diabete influisce negativamente sia sull’evoluzione della gravidanza che sul prodotto del concepimento. Con maggior frequenza insorgono, infatti, complicanze quali: gestosi ipertensiva (l’iperglicemia sembra indurre incrementi proporzionali dell’angiotensina II), distacco intempestivo di placenta normalmente inserta, poliamnios (la poliuria fetale è secondaria alla iperglicemia), patologia infettiva urinaria e vaginale, ecc. In relazione al poliamnios e alla frequente macrosomia fetale aumenta l’incidenza di parto pretermine e possono insorgere inerzia uterina durante il travaglio e atonia nel postpartum (Tabella 20.5). Tabella 20.5. Effetti del diabete sulla gravidanza e sul parto ↑ Ipertensione indotta dalla gravidanza (PIH) ↑ Distacco intempestivo di placenta normalmente inserta ↑ Poliamnios ↑ Patologia infettiva urinaria e vaginale ↑ Parto prematuro ↑ Inerzia uterina in travaglio ↑ Atonia postpartum

Effetto ↑ Utilizzazione periferica di glucosio ↓ Tassi glicemici a digiuno Effetto Diabetogeno ↑ Tassi glicemici a digiuno

A carico del prodotto del concepimento la malattia può indurre l’insorgenza di danni notevoli che si concretizzano nell’embriopatia e fetopatia diabetica.

Embriopatia diabetica Lo squilibrio metabolico durante l’organogenesi si associa ad un aumentata incidenza di aborti spontanei (30% contro il 10% delle gravide non diabetiche) e di malformazioni embrio-fetali (6-10% contro il 3% dei controlli) che, generalmente, si ripetono nella stessa paziente in gravidanze successive (Tabella 20.6). Si è ipotizzato, a tal proposito, che l’iperglicemia aumenterebbe la produzione di radicali liberi e quindi di processi perossidativi che, soprattutto in soggetti geneticamente predisposti, influenzerebbero in modo negativo lo sviluppo embrio-fetale; determinerebbero effetti analoghi anche turbe del metabolismo dell’acido arachidonico [11-13]. Potenziale potere teratogeno avrebbero anche le crisi ipoglicemiche [14] onde la necessità di un buon controllo metabolico già nelle fasi iniziali della gravidanza. I difetti di prima formazione più frequenti sono quelli a carico del SNC (spina bifida, anencefalia) e quelli cardiaci (difetti settali); notevole è anche l’incidenza di malformazioni scheletriche, dell’ipoplasia polmonare, dell’arteria ombelicale unica e della cosiddetta sindrome di regressione caudale (agenesia del tratto terminale della colonna vertebrale associata a malformazioni ossee).

Capitolo 20 • Diabete mellito e gravidanza • A.L.Borrelli,C.Ferrara,P.Borrelli

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Tabella 20.6. Effetti del diabete sul feto e sul neonato

Fetopatia diabetica Si manifesta nella seconda metà della gravidanza ed è caratterizzata da turbe dell’accrescimento fetale più spesso in eccesso (macrosomia) [15]. La turba metabolica incrementa il passaggio transplacentare di acidi grassi non esterificati (NEFA), di aminoacidi e soprattutto di glucosio onde iperinsulinemia fetale che aumenta l’utilizzo tessutale di glucosio ed aminoacidi e stimola la lipogenesi; si ha, quindi, ipersviluppo fetale somatico e viscerale con accumulo adiposo (parte del glucosio è, infatti,“depositato” nei tessuti sotto forma di lipidi e glicogeno) [16]. L’aumentato accrescimento non riguarda il cervello il cui sviluppo pre-

scinde dall’insulina poiché l’utilizzazione del glucosio è in questo organo insulino-indipendente [17]; l’iperinsulinemia riduce, invece, la formazione di surfactant (riduzione della biosintesi della lecitina e dei substrati glucidici necessari per la produzione di sostanze tensioattive) onde l’immaturità polmonare del macrosoma diabetico (Tabella 20.6). Il diabete materno,oltre che per le alterazioni endocrino-metaboliche suddette, influisce negativamente sul feto anche per i danni vascolari che induce a livello placentare (ispessimento dell’endotelio vasale,aumento dello spessore del trofoblasto, riduzione degli spazi intervillosi). Dette alterazioni vascolari determinano sempre uno stato di ipossia fetale.

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Nei casi più gravi (gestanti appartenenti alle classi F e H di White), essendo le alterazioni vascolari placentari molto marcate, con riduzione degli scambi gassosi e soprattutto nutritivi, si ha iposviluppo fetale e la placenta appare piccola e con estesi e diffusi infarti [18]. Nella maggior parte dei casi, poiché la turba metabolica non determina gravi lesioni vascolari, la placenta, edematosa e più voluminosa della norma, consente il passaggio di notevoli quantità di metaboliti onde l’ipersviluppo fetale che diviene clinicamente evidente dopo la 32ª-33ª settimana quando ne è possibile anche la conferma ecografica (circonferenza addominale >95° percentile, sproporzione tra circonferenza cefalica (CC) e circonferenza addominale (CA) con rapporto CC/CA1

Fig.22.33.Dotto venoso:anormale profilo velocimetrico (reverse fase A). A, fase A; S, sistole; D, diastole

Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli

427

Fig.22.34.Sequenza delle modifiche biofisiche che dall’ipossia conducono alla morte fetale

Utilità clinica La flussimetria del DV trova indicazione per i suddetti motivi nel management delle gravidanze a rischio di insufficienza cardiaca (FGR, aritmie, idrope fetale). Altra importante applicazione in associazione all’NT, è nello screening delle cromosomopatie e delle malformazioni cardiache fetali tra l’11ª e la 14ª settimana di gestazione.

Conclusioni In presenza di ipossiemia da insufficienza placentare nell’organismo fetale si realizza, per la centralizzazione del circolo BSE (Brain Sparing Effect), una ridistribuzione della massa sanguigna con maggiore afflusso agli organi vitali (cervello, cuore, ecc.) e vasocostrizione periferica il che costituisce un adattamento emodinamico compensatorio indispensabile ad evitare danni fetali. Quando tale meccanismo, esaurite le capacità di riserva, diviene incapace di assicurare una sufficiente ossigenazione ai predetti organi vitali, si ha il rapido deterioramento delle condizioni fetali con scompenso emodinamico, insufficienza cardiaca e morte endouterina del feto. Nel management del feto ipossico risulta della massima importanza la determinazione della fase in cui dall’adattamento emodinamico all’ipossia, si passa all’esaurimento dello stesso e quindi allo scompenso cardio-circolatorio che prelude all’insufficienza cardiaca e alla morte fetale. Il rilievo di elevati valori del PI in ombelicale con inversione del rapporto C/O richiedono uno stretto con-

trollo delle condizioni fetali essendo espressione della centralizzazione del circolo conseguente all’ipossia. La scomparsa e l’inversione dell’onda diastolica (A/REDV) in ombelicale e/o aorta richiedono lo studio velocimetrico del DV. Il prosieguo della gravidanza fino al raggiungimento della maturità polmonare sarà consentito solo in assenza di alterazioni flussimetriche del DV; anomali profili flussimetrici del predetto vaso, essendo espressione del deterioramento delle condizioni fetali, richiedono l’estrazione rapida del prodotto del concepimento incapace di sopravvivere nell’ambiente uterino divenuto ormai ostile ed inospitale. La progressione delle modifiche biofisiche che dall’ipossia conducono alla morte fetale in utero sono riportate nella Figura 22.34.

Nuovi sistemi di controllo fetale intra-partum Come già detto la CTG intrapartum ha una accuratezza diagnostica molto modesta in quanto un tracciato normale ha una sensibilità elevata (circa 99%), mentre un tracciato anormale ha un potere predittivo di sofferenza fetale solo nel 50% dei casi, infatti uno stesso tracciato anomalo può associarsi sia a feti molto sofferenti che a feti in buone condizioni [44]. Per aumentare la sensibilità della CTG intra-partum sono state proposte numerose indagini complementari quali la determinazione del pH dei tessuti fetali e la pO2 transcutanea che non hanno, tuttavia, avuto una larga diffusione.

428

Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

La determinazione del pH del sangue prelevato durante il travaglio di parto dallo scalpo fetale è stato quasi del tutto abbandonata per la notevole invasività della metodica e per la necessità di prelievi seriati. Le uniche metodiche con potenziale affidabilità clinica sono l’ossimetria pulsata e l’elettrocardiogramma fetale in travaglio.

Ossimetria pulsata L’ossimetria pulsata consente, mediante la determinazione delle concentrazioni di ossiemoglobina (HbO2 molecole di Hb legata all’O2) e di desossiemoglobina (Hb non legata all’O2), di calcolare la percentuale di saturazione d’ossigeno dell’emoglobina del sangue fetale (SpO2) [45]. Poiché l’HbO2 e l’Hb differiscono nell’assorbimento della luce rossa e infrarossa, per la determinazione dell’SpO2 del sangue fetale si utilizzano particolari sonde fornite di sensori capaci di determinare le variazioni nell’assorbimento della luce riflessa rispetto a quella inviata. La sonda viene allocata nel corso di travaglio di parto ad una dilatazione di almeno 2 cm e a membrane rotte, tra la parete uterina e la guancia fetale. Studi sia su animali che su feti umani hanno consentito di stabilire che un valore di cut-off di SpO2 del 30% può essere utilizzato per differenziare una condizione di ipossia da uno stato di normale ossigenazione fetale [46, 47]. Tassi di SpO290%): il tasso di falsi negativi, definiti come numero di morti fetali entro 7 giorni dal test negativo, è di 0,3/1.000. Le morti perinatali che si verificano entro 7 giorni da un NST reattivo sono 2,3/1.000, in media con quella della popolazione generale. Tuttavia il valore predittivo del test positivo è basso, intorno al 50% ed è proporzionale ai parametri utilizzati per definire l’anormalità. La sola assenza di accelerazioni ha un valore predittivo positivo per ipossia fetale ben inferiore al 50%; tale valore aumenta seppur di poco, se si considerano parametri quali la riduzione della variabilità o la presenza di decelerazioni. Inoltre, il valore predittivo positivo aumenta proporzionalmente al rischio ipossico del feto. Se dunque ampiezza e numero normale di accelera-

zioni riflettono uno stato di benessere fetale, viceversa un deficit di accelerazioni non è in senso assoluto predittivo di uno stato di compromissione fetale. Il tracciato che può essere definito “cardiotocogramma terminale” è caratterizzato da una variabilità inferiore a 5 bpm, assenza di accelerazioni e decelerazioni tardive in presenza di contrazioni uterine spontanee. Tale tipo di tracciato si associa a patologia perinatale significativa nel 93% dei casi. Le decelerazioni variabili, invece, se non sono ripetute e durano meno di 30 secondi, non indicano compromissione fetale e non richiedono interventi ostetrici per accelerare l’espletamento del parto. Le decelerazioni variabili ripetute, almeno 3 in 20 minuti, anche se lievi, sono associate ad un aumentato rischio di taglio cesareo per sofferenza fetale. Le decelerazioni che durano un minuto o più hanno un significato prognostico negativo più grave. L’intervallo di tempo tra un NST reattivo e l’altro, nelle gravidanze a termine, è stato stabilito pari a 7 giorni. Un intervallo più breve (2 test a settimana o più) a seconda delle condizioni materne o fetali di volta in volta riscontrate, viene consigliato per le donne con gravidanza oltre il termine, diabete tipo 1, ritardo di crescita intrauterino, ipertensione gestazionale. In genere l’intervallo medio tra NST “terminale” e morte intrauterina è pari a 4 giorni e varia tra 1 e 7 giorni [29, 30]. La più frequente causa di morte è l’aspirazione di meconio [29, 30] associata ad anomalie del cordone ombelicale. Altre cause descritte in letteratura sono rappresentate da infezioni intrauterine, posizioni anomale del cordone, malformazioni e distacco di placenta. Il NST risulta dunque inadeguato nel predire tali eventi asfittici acuti. Per tali motivi, il NST può essere utilizzato come test di primo livello, ma la sua positività richiede di essere confermata da indagini più accurate (vedi Capitolo 22).

Cardiotocografia computerizzata La cardiotocografia computerizzata (cCTG) ha rappresentato un notevole passo in avanti rispetto alla metodica tradizionale, consentendo di oltrepassare il limite della bassa riproducibilità di quest’ultima, legata soprattutto alla variabilità inter- ed intraosservatore [5, 31]. Inoltre, i criteri tradizionali di interpretazione della frequenza cardiaca fetale (presenza di accelerazioni, decelerazioni) sembrano essere inadeguati a valutare i cambiamenti della FCF stessa prima delle 28 settimane di gestazione, a causa della ancora relativa immaturità dei sistemi di controllo della FCF. L’analisi matematica della frequenza cardiaca fetale

450

Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

(FCF) di base riprodotta da un sistema computerizzato permette di effettuare una valutazione obiettiva delle accelerazioni e delle decelerazioni. Essa consente, inoltre, di rilevare altri indici correlati alla variabilità della FCF (oscillazione delta della linea di base, irregolarità a lungo termine, variabilità a breve termine, interval index), che sono tanto importanti nel riconoscimento di uno stato di sofferenza fetale, quanto difficili da analizzare ad occhio nudo. In particolare, la variabilità a breve termine (Short Term Variability, STV) viene valutata per intervalli di tempo di circa 2,5 secondi. Una sua diminuzione risulta strettamente correlata ad una compromissione severa delle condizioni di benessere fetale. In studi longitudinali [31], in cui venivano effettuate registrazioni giornaliere, si è osservata una significativa differenza nella variabilità a breve termine ma non di quella a lungo termine, nel giorno antecedente l’espletamento urgente del parto. Questo risultato potrebbe trovare la motivazione in quanto segue: il deterioramento delle condizioni fetali avviene per crisi e non in maniera progressiva, ciò consente quindi alla CTG computerizzata di fornire un ausilio nel determinare il timing del parto, prima della comparsa dei segni di scompenso (decelerazioni). È stato dimostrato [32], inoltre, come la variabilità a breve termine sia correlata con la saturazione fetale di O2 nel secondo stadio del travaglio. La STV, in assenza di episodi di alta variabilità della frequenza cardiaca fetale, è indipendente dalla frequenza di base e correla con lo sviluppo di acidemia metabolica fetale e morte intrauterina. Per valori di STV≥4 ms la percentuale di probabilità di insorgenza di acidemia fetale e morte intrauterina è pari a 0. Man mano che la STV diminuisce la percentuale di probabilità aumenta. Per valori di STV36 settimane con cervice favorevole,parto Se ripetendo il test si ottiene ≤6,parto Se ripetendo il test si ottiene >6,osservare e ripetere secondo protocollo Ripetere il test lo stesso giorno; se ≤6,parto Parto

Capitolo 24 • Sofferenza fetale • M.Moscarini,F.Torcia,T.Di Netta

0,4-0,6/1.000. Il valore predittivo del test positivo varia in accordo con il punteggio. In base ad un punteggio dubbio di 6/10 si registra un tasso di falsi positivi del 75%, mentre il punteggio di 0/10 è quasi sempre indice di grave compromissione fetale. Lo scarso valore predittivo positivo del PBF risente dei limiti prognostici del NST e dei movimenti fetali, spesso apparentemente anormali solo a causa di quiete fetale [37–39]. D’altronde una metanalisi dei pochi studi randomizzati [40] che hanno valutato l’efficacia del PBF rispetto a quello del solo NST non dimostra differenze significative. Pertanto il PBF è un test quasi desueto, sostituito dal “PBF modificato”, cioè dalla sola registrazione del NST associata alla valutazione ecografica della quantità del liquido amniotico, test di più agevole esecuzione e altrettanto accurato. Questo test prevede l’esecuzione del NST e il calcolo dell’indice amniotico (AFI). Il test è normale se il NST e l’AFI sono normali, contemporaneamente. Il tasso di falsi negativi del PBF modificato è dello 0,8/1.000, mentre il valore predittivo negativo è di circa il 99,8%.

Quantità di liquido amniotico Il razionale fisiopatologico per l’applicazione clinica di tale metodica è basato sul fatto che una ridotta perfusione utero-placentare determina una ridotta perfusione renale fetale con ridotta produzione urinaria e dunque oligoamnios [41-45]. La valutazione della quantità di liquido amniotico è rappresentata dal calcolo dell’indice amniotico (AFI), che consiste nel dividere l’utero in quattro quadranti teorici, misurare in ogni quadrante la tasca amniotica verticale più profonda e sommare in centimetri. L’AFI è generalmente considerato normale per valori ≥8 cm. La valutazione soggettiva può essere considerata validamente alternativa a tale metodica soprattutto se eseguita da operatori esperti e tenendo conto delle difficoltà a volte legate alle caratteristiche della parete addominale materna (obesità) o alla situazione fetale (longitudinale o trasversa) (vedi Capitolo 25) [42].

Velocimetria doppler fetale Nella pratica clinica, lo studio Doppler-velocimetrico dell’arteria ombelicale fetale, come metodica di sorveglianza fetale, è stato introdotto sulla base dell’osservazione che la velocità del flusso ematico in tale distretto è diverso nel feto normale rispetto a quello con restrizione di crescita su base ipossica [46].

451 Anomalie del flusso ombelicale, quali riduzione e, soprattutto, assenza o inversione del flusso diastolico sono correlate significativamente con morbilità e mortalità perinatale. La metodica non deve essere impiegata come test di screening di primo livello nelle gravidanze a rischio generico di ipossia fetale. Tuttavia è il test di scelta in caso di feti con restrizione di crescita, dal momento che in questi casi anomalie Doppler-velocimetriche dell’arteria ombelicale o di altri distretti arteriosi o venosi del feto precedono cronologicamente le indicazioni ottenibili da altri test (in particolare NST e AFI) e sono predittive di esiti perinatali sfavorevoli. Gli studi a riguardo sono ancora insufficienti, ma i primi risultati riportano per tale metodica un tasso di falsi negativi del 0/1.000, e quindi un valore predittivo negativo del 100%. La mortalità perinatale legata a flusso telediastolico assente è pari al 10%, mentre quella legata a flusso telediastolico invertito è pari al 33% (vedi anche Capitolo 22). L’ACOG, in una review del 2000 [7], suggerisce come la velocimetria Doppler fetale vada applicata solo nel sospetto di restrizione di crescita intrauterina. Non è stato riscontrato alcun beneficio dell’applicazione clinica della metodica in altre condizioni patologiche quali, gravidanza oltre il termine, diabete gestazionale, LES, o sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi. Analogamente, non è stata dimostrata predittività nella popolazione generale a basso rischio. Con la velocimetria Doppler è possibile indagare gli altri distretti fetali coinvolti nelle risposte compensatorie del feto all’ipossia cronica. In particolare, se persiste la noxa patogena ipossica, oltre che aumento delle resistenze dell’arteria ombelicale si può rilevare la riduzione del PI dell’arteria cerebrale media (PI MCA) [47], per diminuzione delle resistenze del circolo cerebrale (centralizzazione del flusso e cardializzazione del flusso o brain sparing e ‘heart sparing’ effect) soprattutto nei FGR (Fetal Growth Restriction) prima della 34ª settimana. Alcuni studi [47] hanno dimostrato come questo fenomeno possa essere documentato in maniera transitoria e regredire in 24 ore. Da qui l’importanza di studiare anche i distretti venosi fetali che riflettono la funzione ventricolare e che sono importanti per identificare la cardiomiopatia ipossica che precede lo scompenso cardiaco. Con il diminuire della gittata cardiaca si verifica un aumento della pressione venosa con comparsa di flusso retrogrado durante la contrazione atriale. L’aggravarsi dell’acidemia è causa di flusso retrogrado nel dotto venoso che viene riflesso da un flusso pulsatile nella vena ombelicale. La riduzione delle velocità diastoliche nella cerebrale media, porta ad una falsa norma-

452

Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

lizzazione dei flussi cerebrali, per perdita di autoregolazione dei vasi cerebrali e/o edema cerebrale che comprime i vasi ed assume valore di tipo preterminale. Successivamente compare insufficienza atrio-ventricolare (tricuspidale) che rappresenta un indice di insufficienza cardiaca e disfunzione dei muscoli papillari, seguita da diminuzione del flusso nelle coronarie e quindi morte intrauterina.

Tabella 24.3. NICHD Research Planning Workshop (1997) - Fetal Heart Rate Patterns Pattern Normale

Intermedio Severamente patologico

METODICHE DI SORVEGLIANZA INTRAPARTUM

Workshop Interpretations Linea di base 110-160 bpm Variabilirà 6-25 bpm Accelerazioni presenti Decelerazioni assenti Non consensus Decelerazioni tardive ripetute o variabili con zero variabilità Bradicardia con zero variabilità

Cardiotocografia La cardiotocografia è una metodica universalmente diffusa ed ampiamente utilizzata per controllare il benessere fetale durante il travaglio ed il parto [48-50]. Il principio su cui si basa il monitoraggio intrapartum è quello di documentare il più precocemente possibile l’ipossia fetale prima che questa evolva in acidosi producendo poi un danno tissutale. Studi randomizzati [25, 51] non hanno tuttavia dimostrato una diminuzione della mortalità perinatale da cause asfittiche intrapartum nei casi monitorati con CTG rispetto all’auscultazione intermittente della frequenza cardiaca fetale, eccetto che nei travagli indotti o pilotati con ossitocina e nei travagli prolungati. Una metanalisi della Cochrane Library del 2002 [52], eseguita su 9 studi prospettici multicentrici e basata su un campione numeroso di gravidanze sia ad alto che a basso rischio, documenta che l’unico reale beneficio della CTG in continuo in travaglio di parto è una riduzione dell’incidenza delle convulsioni neonatali. Da uno studio clinico randomizzato condotto nel 1994 [51] su gravidanze a basso rischio negli Stati Uniti è emerso poi che la CTG in continuo in travaglio non migliora l’outcome neonatale. Non è stato notato alcun effetto per quanto riguarda la percentuale di bassi punteggi Apgar, percentuali di ricovero in terapia intensiva neonatale, mortalità perinatale ed incidenza di paralisi cerebrale. Questo a scapito di un aumento significativo della percentuale di tagli cesarei e di parti operativi, soprattutto in relazione alla presenza di alcune condizioni border-line di non facile interpretazione, che portano ad una sovrastima di uno stato di sofferenza fetale. Tuttavia, passati oltre 30 anni dall’introduzione della metodica si è giunti al riconoscimento di patterns caratteristici per l’identificazione del feto normale e di quello ad alto rischio di compromissione (Tabella 24.3). Come mostrato nella Tabella 24.3, i veri patterns indicativi di sofferenza fetale sono rappresentati da una variabilità battito-battito pari a 0 associata a decelerazioni gravi o bradicardia persistente, o entrambe.

Fortunatamente si tratta di condizioni di compromissione fetale piuttosto rare. Pertanto, uno dei motivi per cui si hanno difficoltà nello stabilire esattamente i benefici della CTG in continuo in travaglio di parto è proprio la rarità di questo tipo di sofferenza fetale, che preclude risultati statisticamente significativi dei trials clinici.

Gestione del tracciato cardiotocografico non rassicurante Gli interventi che seguono dovrebbero essere documentati su un apposito registro medico: 1. riposizionamento della paziente; 2. interrompere l’infusione di ossitocici e correggere l’iperstimolazione; 3. visita ostetrica; 4. correggere l’ipotensione materna associata ad analgesia regionale; 5. informare lo staff della sala parto circa l’eventualità di un parto d’emergenza; 6. monitorare la frequenza cardiaca fetale in sala operatoria prima della preparazione addominale; 7. richiedere disponibilità di assistenza in TIN; 8. somministrare ossigeno alla madre. Spostando la madre in decubito laterale, correggendo l’ipotensione causata dall’anestesia regionale e sospendendo l’ossitocina, si migliora la perfusione uteroplacentare.

Note sulla rianimazione intrauterina – La posizione laterale sinistra materna viene utilizzata sulla base del fatto che alterazioni della frequenza cardiaca fetale possono essere prodotte o esacerbate dalla compressione aorto-cavale. In alcuni casi però tali anomalie sono dovute a compressione del funicolo che non migliora o, anzi peggiora in posizione laterale sinistra. Devono essere

453

Capitolo 24 • Sofferenza fetale • M.Moscarini,F.Torcia,T.Di Netta

– – –



quindi tentate altre posizioni come la laterale destra o la prona su gomiti e ginocchia flessi sul letto (evidenza, grado B). Oltre che interrompere l’ossitocina può essere utile praticare tocolisi con farmaci beta-agonisti selettivi (evidenza, grado A). Il prolasso di funicolo deve essere escluso mediante l’esplorazione vaginale. Per correggere l’ipotensione materna dovrebbe essere somministrata una infusione rapida intravenosa di un litro di cristalloidi, non glucosato. Tale misura non può essere ripetuta e quindi non risulta efficace per le anomalie della frequenza cardiaca fetale ripetute durante il travaglio. Se l’ipovolemia materna è dovuta invece ad un’emorragia acuta sono necessarie somministrazioni di colloidi e trasfusioni di sangue. Un aumento dell’ossigenazione fetale comincia entro pochi minuti dalla somministrazione materna di ossigeno, ma può richiedere anche un tempo di 10 minuti prima che venga raggiunto il picco di saturazione fetale. Thorp et al. [53], hanno rilevato come la somministrazione di ossigeno è associata più fraquentemente ad acidosi fetale. Successivamente un’analisi ad hoc ha dimostrato come ciò avviene per somministrazioni che durano più di dieci minuti (evidenza, grado C).

Manovre da effettuare in caso di prolasso di funicolo Lo scopo principale è di ridurre la compressione sul cordone ombelicale separando la parte presentata dal segmento uterino inferiore o dal canale del parto e successivamente cercare di proteggere il cordone dal vasospasmo. È stata proposta la posizione di Trendelenburg, ma questa non risolve la compressione aorto-cavale e potrebbe provocare difficoltà respiratorie materne. Risultano dunque più indicate la posizione prona su gomiti e ginocchia o la semi-prona di Sims. La tappa successiva dipende dalla possibilità di effettuare il cesareo immediatamente o se c’è un intervallo di tempo da attendere. Nel caso in cui sia possibile effettuarlo subito, un assistente dovrebbe tenere, con una spinta manuale attraverso la vagina, la parte presentata in alto. Nell’altro caso l’inserzione di un catetere di Foley in vescica, riempito con 0,5 l di liquidi, esercita la stessa funzione. Infine va effettuata la tocolisi con farmaci beta-agonisti selettivi. Se il cordone protrude dalla vagina va riposizionato. Con l’uso combinato di tale manovre si ottiene un miglioramento delle decelerazioni della frequenza cardiaca nella maggior parte dei casi.

Valutazione del liquido tinto Durante il secolo scorso fu introdotto il concetto che l’emissione di meconio era un potenziale segno di asfissia fetale. Nel 1903 W. Williams osservò e attribuì il passaggio di meconio al “rilassamento dello sfintere anale indotto dalla deficitaria ossigenazione ematica fetale”. Numerosi studi hanno poi dimostrato [54] l’incertezza di questo segno nel predire sofferenza fetale o asfissia. Una percentuale variabile tra il 12 ed il 22% dei travagli sono complicati da meconio, pochissimi tra questi sono associati a mortalità neonatale(1/1.000 nati vivi). Il meccanismo fisiopatologico proposto è tale per cui il feto rilascia meconio in risposta all’ipossia e quindi il liquido tinto segnala compromissione fetale. Ma il passaggio in utero del meconio potrebbe indicare una maturità adeguata del tratto gastrointestinale sotto il controllo del sistema nervoso. Il passaggio di meconio potrebbe inoltre seguire la stimolazione vagale da parte della frequente, ma transitoria, compressione del cordone, determinando un aumento della peristalsi. Il rilascio fetale di meconio potrebbe dunque rappresentare un processo fisiologico. Parallelamente altri studi [55] hanno ipotizzato che la fisiopatologia della sindrome da aspirazione di meconio è caratterizzata da ipercapnia che stimola la respirazione fetale determinando l’aspirazione di meconio negli alveoli, e da lesioni parenchimali polmonari secondarie a danno cellulare alveolare indotto dall’acidemia. In questo scenario chiaramente il liquido tinto di meconio rappresenta una condizione di rischio, piuttosto che un marker di preesistente compromissione fetale. Viceversa Greenwood et al. [56] nel 2003 hanno dimostrato in uno studio prospettico di 8394 donne con liquido chiaro, che il liquido chiaro è un segno certo di benessere fetale. Quindi, sebbene possa rappresentare un normale processo fisiologico, la presenza di meconio nella cavità uterina rende l’ambiente rischioso per il feto, in particolar modo se sopravviene l’acidemia. Ci sono numerose evidenze che dimostrano come molti neonati, affetti da sindrome da aspirazione di meconio, hanno sofferto di ipossia cronica, prima della nascita.

Prelievo ematico dallo scalpo fetale Alla fine degli anni ’60 Saling e Schneider mostrarono che sul sangue fetale prelevato durante il travaglio dal cuoio capelluto, era possibile valutare lo stato acido-base fetale attraverso l’emogasanalisi [57-59].

454

Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Il suo utilizzo, quasi del tutto scomparso in Italia, è scarsamente utilizzato anche in altri paesi europei ad eccezione della Germania,soprattutto perché si tratta di una metodica invasiva e per la necessità di eseguire prelievi seriati, nonostante l’accuratezza diagnostica sia elevata. Secondo l’ACOG (1995) [60] le misurazioni del pH su sangue capillare dello scalpo fetale possono essere di grosso ausilio nell’identificare il feto in grave distress, ma di fatto la metodica non viene utilizzata di frequente neanche negli Stati Uniti. La tecnica consiste nell’introduzione di un endoscopio attraverso la cervice dilatata, dopo la rottura delle membrane in modo tale da farlo aderire allo scalpo fetale e, previa disinfezione della cute, si esegue un’incisione cutanea mirata di 2 mm di profondità, sotto controllo visivo mediante una sorgente luminosa a fibre ottiche. Non appena fuoriesce una goccia di sangue viene raccolta su un tubo capillare di vetro eparinizzato ed inviata per esame emogasanalitico. Se il pH è >7,25 il travaglio può continuare. Se il pH è compreso tra 7,25 e 7,20, la misurazione deve essere ripetuta entro 30 minuti. Se il pH è rischi,IUGR se uso prolungato NC =

C

NC

Progesterone (Prometrium, B Prontogest,Esolut) Proguanil cloridrato B (Paludrine) Promazina (Talofen) C

= = NC

(3) effetti extrapiramidali neonatali (1-2-3) evitare uso, virilizzazione feto femminile supplementare folati (3) effetti extrapiramidali neonatali

FDA* Prometazina (Fargan,Farganesse) Propranololo cloridrato (Inderal) Propiltiouracile (Propicil)

OGM*

BNF*

C

NC non evidenza di teratogenicità

C

C

D

=

Ranitidina (Ranidil,Zantac) B

=

Reviparina sodica (Clivarina) C Rifampicina (Rifadin) C

NC P

Ritodrina (Miolene) Salbutamolo (Ventolin,Broncovaleas) Silimarina (Legalon) Simeticone (Mylicon) Sobrerolo (Sobrepin) Sobrerolo+diprofillina (Sobrepin respiro) Sodio ferro gluconato (Ferlixit) Sodio valproato (Depakin)

B C

NC NC

IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatali (2-3) gozzo neonatale e ipotiroidismo non dannoso,evitare uso se non necessario dati insufficienti (1) teratogeno in animali (3) emorragie neonatali = =

B C C =

NC NC NC NC

= = = =

A

NC

D

P

=

=

C

=

B/C C

NC NC

D

P

evitare prime fasi della gravidanza (via parenterale) (1) rischio malformazioni congenite,(3) emorragia, epatotossicità neonatale ev non dannoso,(3) alte dosi RDS neonatale IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatali non dannoso tossicità in studi animali, evitare (2-3) ototossico,evitare uso

B C

= C

C

NC/P

C

NC

D

C/P

D =

C NC

B C

NC NC

Solfato di magnesio (Magnesio solfato) Sotalolo (Sotalex,Sotalolo hexal) Spiramicina (Rovamicina) Spironolattone (Aldactone,Spirolang) Streptomicina solfato (Streptomicina solfato) Sucralfato (Gastrogel,Crafilm) Sulfametopirazina+ pirimetamina (Metakelfin) Sulfametoxazolo+ trimetroprim (Bactrim,Chemitrim) Teofillina (Tefamin,Theo-dur) Tetraciclina cloridrato (Ambramicina) Tiamazolo (Tapazole) Tiocolchicoside+escina (Muscoril) Tiopronina (Thiola) Tioridazina cloridrato (Melleril) Tobramicina solfato (Nebicina,Bramicil)

D

= (1) rischio teratogeno (3) emolisi neonatale (1) rischio teratogeno (3) emolisi neonatale (3) irritabilità neonatale e apnea alterazione colore denti (2-3) evitare uso = =

= (3) effetti extrapiramidali neonatali = (2-3) meno ototossico evitare uso se non necessario segue →

541

Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce

Tramadolo (Contramal,Fortradol)

FDA*

OGM*

BNF*

C

=

tossico in studi animali, dati per uomo non disponibili,non usare (1-2-3) non prova di pericolo può inibire il travaglio

Tranilciprom.+trifluoperaz. C P (Parmodalin) Verapamil cloridrato C NC (Isoptin,Veraptin) Vinblastina solfato D C evitare,teratogeno e aborti (Velbe) in animali Vincristina solfato D C evitare,teratogeno e aborti (Vincristina) in animali Vitamina A A (X ad alte = (1) alte dosi,può essere (Euvitol) dosi) teratogena Vitamina B6 A NC = (Coxanturenasi)

Vitamina B1+B6+B12 (Benexol) Vitamina D - Calcitriolo (Rocaltrol)

FDA*

OGM*

BNF*

A

NC

=

=

NC

dosi terapeutiche non dannose,alte dosi teratogeno in animali (1-2-3) non sicura ad alte dosi solo se benefici>rischi, dati insufficienti (1-2-3) malformazioni congenite,emorragie fetali e neonatali dati insufficienti usare se necessario

Vitamina E (Evion) Vitamina K (Konakion)

A

NC

=

P

Warfarin (Coumadin)

C

Zidovudina (Retrovir)

C

=

*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate

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CAPITOLO 30

Tossicodipendenze e gravidanza A.L. Borrelli • P. Borrelli • A. Di Domenico

INTRODUZIONE La tossicodipendenza costituisce uno dei problemi più allarmanti del nostro tempo; nell’anno 2000, infatti, la Società Italiana Tossicodipendenze (SITD) ha censito nel nostro paese 300.000 tossicodipendenti. Dal punto di vista strettamente medico, l’aspetto più preoccupante è costituito dall’assunzione di droghe nel corso della gravidanza il che espone a molteplici complicanze non solo il concepito (aborto, malformazioni embrio-fetali,IUGR,gestosi,morte endouterina,ecc.),ma anche la gestante in quanto all’iponutrizione, quasi sempre presente nelle tossicodipendenti, si associa una maggiore incidenza di sovrapposizioni infettive (epatiti, lue, AIDS) e di malattie sistemiche (broncopolmonari, renali, ecc.). Nei casi più gravi appaiono necessari non solo un rigoroso ed intensivo monitoraggio delle condizioni materno-fetali, ma soprattutto l’azione combinata di un team multidisciplinare (ginecologo, psichiatra, assistente sociale, infettivologo, internista) che possa favorire, ove possibile, un progressivo svezzamento della gravida dalla tossicodipendenza onde ridurre sia le complicanze materno-fetali che le pericolose crisi di astinenza neonatali. La diffusione delle varie sostanze d’abuso in strati sempre più ampi della società e la gravità dei rischi connessi alla loro assunzione in gravidanza, ha fatto in modo che l’attenzione dei ricercatori, inizialmente focalizzata sullo studio degli effetti gravidici del fumo di tabacco e dell’alcool, si concentrasse anche sui danni conseguenti all’esposizione in gravidanza ad altre droghe quali l’eroina, la cocaina, le anfetamine, ecc.

FUMO DI SIGARETTA Studi recenti hanno evidenziato che la percentuale di donne dedite al fumo varia dal 20 al 25% della popolazione femminile a seconda dei gruppi etnici e degli strati sociali di appartenenza, e che sono fumatrici circa il 25% delle gestanti [1].

Il fumo, sia attivo che passivo, può procurare danni in ogni fase dell’evento riproduttivo. Recenti ricerche sperimentali hanno, infatti, dimostrato come il fumo faccia risentire i suoi effetti dannosi (dose dipendenti) sulla vitalità dei gameti, sulla fecondazione della cellula uovo, sulla suddivisione dei blastomeri, sulla motilità tubarica con accelerato transito dell’uovo fecondato e sull’impianto della blastocisti [2]. I danni maggiori si rilevano, però, nel prosieguo della gestazione. Tra le gravide fumatrici aumenta, infatti, l’incidenza di aborti,di parti pretermine,di gestosi,di iposviluppo fetale e di distacchi intempestivi di placenta; aumenta inoltre il tasso di morbilità e mortalità perinatale con incremento della percentuale di morti neonatali improvvise [3]. I nati da gestanti fumatrici sono di peso inferiore alla norma, presentano iperattività e difetti dell’attenzione in età infantile, deficit cognitivi in età scolare. L’entità dei danni è, come già detto, dose-dipendente risultando chiaramente proporzionale al tipo e al numero di sigarette fumate nel corso della giornata [4, 5]. Il fumo di sigaretta contiene più di 2000 prodotti chimici potenzialmente dannosi; il monossido di carbonio (CO) e la nicotina sono quelli più ampiamente studiati. Il monossido di carbonio, legandosi all’emoglobina, forma la carbossiemoglobina che, riducendo l’apporto di O2, induce ipossia fetale cronica cui consegue iposviluppo correlato alla sindrome da morte improvvisa neonatale. Il CO e la nicotina determinano, inoltre, vasocostrizione e quindi riducono la perfusione uteroplacentare con diminuzione dell’apporto non solo di O2 ma anche di nutrienti al prodotto del concepimento onde malnutrizione che aggrava ulteriormente la sofferenza fetale cronica. D’altra parte la nicotina oltre a determinare tachicardia e aumenti pressori nella madre, attraversando facilmente la placenta va ad interferire negativamente con lo sviluppo e la maturazione del SNC che, tra i vari organi ed apparati, è quello che maggiormente risente delle condizioni di ipossia e di malnutrizione cronica [6, 7].

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

Studi di microscopia elettronica hanno permesso di evidenziare in gestanti fumatrici alterazioni strutturali non solo dei villi nutritizi, ma anche di quelli di ancoraggio onde la maggiore incidenza di distacchi placentari [8]. Nelle gravide fumatrici risulta molto aumentata anche l’incidenza di malformazioni quali l’anencefalia,la spina bifida, le anomalie degli arti e la labio-palatoschisi [9, 10]. La diversa incidenza di dette malformazioni sembra essere correlata alle modificazioni che i prodotti di combustione del tabacco inducono su 2 geni metabolici materni (CYPIAI e GSTTI) che, in condizioni normali, codificano per attività enzimatiche da cui dipende la detossificazione di metaboliti tossici. Il notevole polimorfismo di detti geni giustificherebbe la differente gravità di patologie embrio-fetali insorte in gestanti diverse esposte, nel corso della gravidanza, a quantità di nicotina del tutto uguali [11].

CAFFEINA Ricerche sperimentali hanno evidenziato effetti teratogeni (malformazioni cranio-facciali, riduzione della massa cerebrale) e disturbi neurocomportamentali postnatali (iperattività locomotoria) in animali esposti in utero a dosi elevate di caffeina [12, 13]. Studi epidemiologici hanno tuttavia dimostrato che un modesto uso di caffeina in gravidanza (due/tre tazzine di caffè/die) non comporta patologie embrio-fetali né disturbi comportamentali in epoca postnatale [14, 15]. Pur non essendo stati, quindi, rilevati effetti embriofetotossici legati all’assunzione di quantità non eccessive di caffeina in gravidanza, l’FDA (Food and Drugs Administration), sulla base dei predetti studi sperimentali, ne consiglia un uso moderato o addirittura l’astensione in gravidanza.

ALCOOL Nel mondo occidentale il consumo di alcool supera di gran lunga quello di qualsiasi altra droga. L’assunzione di elevate dosi di alcool in gravidanza si associa ad una grande varietà di anomalie embriofetali che, nell’espressione più grave, danno luogo alla cosiddetta sindrome fetale alcolica (FAS) caratterizzata da ritardo di crescita feto-neonatale, dismorfismi facciali (microcefalia, microftalmia, alterazioni mandibolari) ed alterazioni del SNC (ritardo mentale, ipotonia, disturbi dell’udito) [16]. Nei nati affetti da FAS sono di frequente osservazione anche anomalie neuro-comportamentali postnatali e deficit dell’apprendimento in età scolare [17, 18]. La sindrome fetale alcolica è relativamente rara, manife-

standosi nella forma più severa solo in nati da gestanti che assumono elevate quantità di alcool (2 g/Kg/die) [19]. Ritardi dello sviluppo neuro-intellettivo, alterazioni comportamentali di varia entità ed anomalie facciali sono state, tuttavia, rilevate anche in seguito all’assunzione durante la gravidanza di dosi modeste di alcool. Queste anomalie sono indicate con l’acronimo FAE (Fetal Alcohol Effects) e la loro gravità dipende da numerose variabili quali la quantità di alcool assunta, l’epoca gestazionale di esposizione, lo stato nutrizionale materno, fattori genetici materni e fetali e anche da fattori aggiuntivi quali la contemporanea assunzione di caffeina, ansiolitici, droghe e/o il fumo di sigaretta [16]. I danni legati all’uso di alcool in gravidanza sono certamente dose dipendenti. Per una dose giornaliera di 90 g di alcool (170 ml di superalcolico, 1700 di birra o 56 bicchieri di vino) il rischio di gravi danni fetali è del 45% circa; diminuendo la dose giornaliera di alcool si riduce progressivamente il rischio e l’entità di eventi embrio-fetali avversi [19]. L’assunzione di una piccola quantità di alcool (un bicchiere ai pasti principali) non determina danni fetali, ma le raccomandazioni in proposito della Addiction Research Foundation possono sintetizzarsi nell’aforisma “poco può andar bene, ma niente è certamente meglio” [20]. I danni embrio-fetali da abuso di alcool sono essenzialmente legati agli effetti dannosi dell’etanolo. Esso non solo riduce il passaggio transplacentare di glucosio e aminoacidi onde ipoglicemia, diminuzione del glicogeno epatico e della sintesi proteica con conseguente IUGR, ma è ossidato nel compartimento fetale ad aldeide acetica e poi ad acido acetico responsabili degli effetti tossici. L’etanolo determina anche la formazione di enzimi placentari e fetali che catalizzano la perossidazione di macromolecole (glicidi, lipidi, proteine e nucleoproteine) alterandone irreversibilmente la struttura. Tutto ciò, nella fase organogenetica, interferisce con la normale strutturazione dei principali organi ed apparati e soprattutto del SNC che risulta particolarmente sensibile a insulti tossici tra la 3ª e la 6ª settimana [9, 21]. In questo periodo, infatti, l’etanolo altera la moltiplicazione e la migrazione neuronale influendo negativamente sulla formazione dei dendriti, delle sinapsi e sulla funzione dei neurotrasmettitori alterandone i recettori [22, 23]. Recenti studi sperimentali, confermando la particolare vulnerabilità del SNC all’azione tossica dell’etanolo, hanno richiamato negli USA l’attenzione delle autorità sanitarie sulla gravità dei danni provocati dall’abuso di alcool in gravidanza onde l’avvio di programmi di informazione e di screening preconcezionali [24, 25]. Per la terapia dell’abuso di alcool in gravidanza, l’FDA raccomanda l’uso del naltrexone, un antagonista degli oppiacei, alla dose di 50 mg/die. Detto trattamento va sospeso tre giorni prima del parto.

Capitolo 30 • Tossicodipendenze e gravidanza • A.L.Borrelli,P.Borrelli, A. Di Domenico

COCAINA La cocaina, estratta da piante della famiglia delle eritroxilacee che crescono spontaneamente in Sud America, si presenta come una polvere biancastra molto solubile in acqua che può essere iniettata per via endovenosa, intramuscolare, sottocutanea e che, dopo riscaldamento a 200 gradi, può essere anche inalata attraverso le mucose nasali. È una droga psicostimolante di tipo anfetaminico che esplica la sua azione neuropsicologica aumentando la concentrazione di dopamina e quindi potenziando la trasmissione dopominergica, mentre inibisce la ricaptazione di altri neurotrasmettitori quali la serotonina e la noradrenalina [26]. Interferendo, in tal modo, con i predetti neurotrasmettitori determina vasocostrizione, tachicardia, ipertensione. Raggiunge facilmente il cervello potenziandone, a basse dosi, le attività: stimola infatti il comportamento spontaneo e quello condizionato (non fa sentire la fatica, determina euforia e sicurezza in se stessi). A dosi elevate diventa, invece, psicodisleptizzante con manifestazioni psicotiche. L’uso della cocaina in gravidanza si associa a gravi complicanze sia materne che fetali. Aborto, ipertensione gestazionale, distacco intempestivo di placenta, parto prematuro e rottura di utero sono le più frequenti complicanze ostetriche. Per quanto attiene al prodotto del concepimento sono riportate non solo malformazioni a carico del SNC, dell’apparato genitourinario e cardiovascolare [27-29], ma anche una serie di anomalie minori nota con il nome di “sindrome da cocaina fetale” costituita da basso peso alla nascita, microcefalia, emorragie intraventricolari e periventricolari, gabella prominente, slargamento delle fontanelle, brevità della piramide nasale [30, 31]. L’abuso di cocaina in gravidanza sembra essere responsabile anche di altri difetti come la gastroschisi, l’enterocolite necrotizzante [32] e la rara sindrome “prune belly” o sindrome dell’addome a prugna secca [33]. Oltre alle anomalie descritte e all’alta percentuale di morti fetali improvvise [34], non vanno sottovalutate le conseguenze a lungo termine; sono state, infatti, segnalate nei nati da gestanti che avevano assunto la cocaina difficoltà di apprendimento, aggressività, gravi anomalie della sfera comportamentale e disturbi neurologici (ipertono, tremori, insonnia) molto evidenti [35, 36]. Per ridurre la depressione, l’ansia e il desiderio assoluto di riutilizzare cocaina, sono impiegate le benzodiazepine e la bromocriptina a dosi di 2-10 mg/die.

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EROINA L’esposizione ad oppiacei in gravidanza non determina generalmente effetti teratogeni [37, 38]; le crisi di astinenza possono, tuttavia, causare l’insorgenza di contrazioni uterine con conseguente aumentata incidenza di aborti, distacchi di placenta, parti precipitosi ed insufficienza placentare responsabile di sofferenza fetale cronica. Per il frequente uso di siringhe non sterili, le gravide eroino-dipendenti sono anche esposte al pericolo di infezioni (epatiti, lue, HIV) onde la possibile trasmissione verticale delle stesse al prodotto del concepimento. Non va, inoltre, sottovalutato il rischio di overdose che può condurre a morte sia la madre che il feto. Per i motivi suddetti la mortalità perinatale è piuttosto elevata variando dal 4 al 7%. I nati da madri dedite all’eroina sono di basso peso e ciò è dovuto sia al ridotto accrescimento intrauterino che alla notevole frequenza di parti pretermine [39]. I predetti neonati presentano, inoltre, evidenti segni di astinenza quali tremori, irritabilità, pianto convulso, disturbi del sonno, iperriflessia [40]. Studi longitudinali hanno evidenziato che in età scolare bambini esposti in utero all’eroina, benché presentino un QI nella norma, hanno notevoli alterazioni comportamentali (aggressività, difficoltà interpersonali) cui spesso si associano difficoltà nei processi cognitivi e nell’apprendimento [41]. Poiché il principale problema clinico è certamente costituito dagli effetti dell’eroina sul bambino, appare necessario, forse più che per altre tossicodipendenze, un efficiente supporto sanitario non solo in gravidanza, ma soprattutto dopo il parto [42]. Un team multidisciplinare, enfatizzando i danni feto-neonatali da eroina, dovrebbe porre in atto un programma teso ad indurre una progressiva disassuefazione dall’eroina mediante l’uso di metadone per os, a dosi in mg doppie rispetto a quelle di eroina assunte per via endovenosa [43, 44]. La dose di metadone andrebbe ridotta di 2 mg ogni 2 settimane in modo da arrivare all’epoca del parto ad una dose giornaliera quanto più ridotta possibile. Il successo del programma dipende chiaramente dalla capacità del suddetto team di assistere e di controllare quotidianamente la gravida tossicodipendente. Nel caso in cui la gestante si ricoveri in travaglio senza avere seguito alcun programma di svezzamento, vanno somministrati per via intramuscolare da 5 a 30 mg di metadone a seconda della dose di eroina che la gravida praticava, continuando nelle ore successive con dosi di metadone variabili da 5 a 10 mg ogni 4-6 ore in modo da evitare sovradosaggi o crisi di astinenza. Nel

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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche

caso in cui sia necessario ricorrere all’anestesia, è preferibile effettuare quella periferica (epidurale o spinale) che, riducendo il dolore, consente di evitare la somministrazione di altri analgesici. I neonati sono ad alto rischio e vanno trasferiti in reparti di terapia intensiva per attenuare e prevenire i sintomi di astinenza. Tra le complicanze più gravi è la morte neonatale improvvisa.

ALLUCINOGENI LSD Per la dietilamide dell’acido lisergico (LSD) si è prospettata l’ipotesi di danni embriofetali nel caso in cui questa droga sia assunta in gravidanza. Tuttavia mancano studi controllati al riguardo in campo umano anche perché, nella gran parte dei casi, si tratta di gestanti che associano all’abuso di LSD quello di altre sostanze tossiche (fumo, alcool, ecc.). Pur mancando prove sicure circa gli effetti embriofetotossici dell’ LSD, se ne proscrive l’uso in gravidanza.

ANFETAMINE Si tratta di amine sintetiche molto simili all’adrenalina; determinano un aumento notevole della normale reazione di difesa e sono generalmente usate per diminuire la sensazione di fatica e migliorare le prestazioni fisiche. L’aumento di forza e di energia prodotta dall’uso di

queste droga riduce il bisogno di riposo, ma spesso insorgono anche turbe comportamentali con manifestazioni di violenza ed aggressività. La sospensione è associata a senso di stanchezza, sonnolenza e depressione onde la necessità di ulteriore assunzione di droga. Le metanfetamine (crystal, crak) sono facilmente sintetizzabili e possono essere anche assunte per via inalatoria. Modifiche nell’anello benzenico della molecola producono sostanze allucinogene (ectasy). L’uso di anfetamine in gravidanza si associa ad un aumentato rischio di anomalie congenite (palatoschisi, cardiopatie, ecc.), ma anche ad un notevole incremento di complicanze ostetriche quali ipertensione, preeclampsia, FGR e parto prematuro. Nei nati da madri dedite alle anfetamine sono stati segnalati aggressività, anomalie comportamentali e deficit cognitivi in età scolare [45, 46]. Per le gestanti che fanno uso di anfetamine va impostato un programma di assistenza teso alla progressiva disassuefazione come per altre tossicodipendenze.

CANNABINOIDI La marijuana è una delle droghe più frequentemente utilizzate in gravidanza anche in relazione alla convinzione che questa sostanza abbia una trascurabile tossicità. Nonostante manchino prove definitive relative a danni embrio-fetali conseguenti all’uso di questa droga, molti autori [47] la ritengono pericolosa in quanto potenzialmente responsabile di effetti fetali avversi simili a quelli legati all’abuso del fumo di sigaretta [48].

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CAPITOLO 31

Diagnosi prenatale: morale, deontologia e diritto L. Palmieri • A.L. Graziussi

INTRODUZIONE Il progresso tecnologico ha condotto la medicina ai limiti estremi delle conoscenze con possibilità diagnostiche e terapeutiche che chiamano in causa principi che coinvolgono più o meno direttamente l’etica con riflessi nell’ambito del diritto ampiamente dibattuti; tutto ciò risulta essere tema di contrasti in una concezione sempre più laica della società che va contrapponendosi alla tradizionale cultura religiosa. Da sempre la società dibatteva il problema della liceità o meno di una interruzione della gravidanza, problema portato all’esasperazione anche in quelle realtà biologiche in cui la gravidanza poneva in pericolo la sopravvivenza della madre; oggi che il progresso tecnologico ha modificato radicalmente la situazione, si è sentita la necessità di istituire organismi di bioetica ispiratori di quei principi a cui dovrebbe attenersi il mondo politico nel tentativo di non violare la sensibilità delle coscienze nel rispetto delle libertà individuali. Il confronto si è esasperato per la possibilità di offerta dalla diagnosi genetica che consente durante la vita embrionale o fetale, ed anche prima, di avere coscienza di patologie e malformazioni che finirebbero con il condizionare la qualità di vita del nascituro. Una tale possibilità ha spostato il tema di discussione dall’originario rischio per la vita e dalla tutela della salute materna al dilemma vita/qualità di vita del nascituro ponendo in risalto gli eventuali disagi cui andrebbe incontro il nucleo familiare in cui verrebbe ad inserirsi un nascituro disabile e che, innescando un provato danno alla salute materna, ha portato il legislatore a riconoscere una liceità giuridica all’interruzione della gravidanza una volta comprovata una patologica realtà. Volutamente ho parlato di liceità giuridica, ispirandomi alla normativa vigente sulla interruzione di gravidanza che vede la possibilità (L 194/78) di una “volontaria” interruzione nel primo semestre di gravidanza, allorché una diagnosi predittiva lascerebbe poche speranze ad una vita normale per il nascituro.

Questa realtà giuridica va a contrapporsi con una alternativa liceità morale nell’arcaica confusione in cui l’umanità ha vissuto e vive tuttora, ispirata al principio che una censura morale dovesse trovare sempre una corrispettiva censura nel diritto. Le accanite contrapposizioni di pensiero fra una cultura laica ed una cultura religiosa sono la evidente espressione di quanto difficile sia la soluzione di tutti quei problemi che vedono un atto medico non manifestamente finalizzato al mantenimento della vita, problemi che innanzi all’embrione si acuiscono essendo entrambe le convinzioni supportate da argomentazioni valide, oggettive e non pretestuose. È bene qui intendersi sul significato, sui limiti dell’operato medico, in altri termini intendersi sul concetto di terapia; è ormai radicata la convinzione di una salute che esorbita dai requisiti rigorosamente biologici per incorporare quegli aspetti relazionali che costituiscono le modalità di inserimento dell’individuo nel contesto sociale. Questa ormai radicata convinzione a cui fa espressamente riferimento la L 194/78, deve ovviamente riguardare l’individuo singolo che nel rapporto con il medico cerca “la buona salute”. Va da sé che il problema sorge nella dualistica figura da tutelare per l’operato dell’ostetrico, laddove ai diritti dell’uno si aggiungono, ma talvolta si contrappongono, i diritti dell’altro. È la filosofia teologica l’unica che potrà risolvere il dilemma sul valore delle due diverse “esistenze”; al diritto competerà l’emanazione di norme ispirate alla tutela di entrambe le figure con rispetto della coscienza sociale del tempo e delle libertà individuali; alla medicina, quel contributo che deriva dalla conoscenza biologica legata alle leggi scientifiche al solo scopo di apportare al legislatore le indispensabili conoscenze. Così, insigni filosofi, teologi, sociologi e giuristi hanno esaminato questo dirompente progresso scientifico allo scopo di giungere ad una soddisfacente soluzione fra morale e diritto. Per tutti riportiamo Ferraioli [1] che, affrontando i principi dei diritti dell’embrione, mette in contrapposizione in maniera emblematica i principi

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della religione cattolica, a cui assegna valore di filosofia morale, e il dovere giuridico, a cui assegna i principi della filosofia del diritto. Egli, mentre riconosce la possibilità che una violazione di una norma morale possa identificarsi in un peccato, ritiene che un peccato non debba necessariamente costituire una violazione di un diritto. A suo modo di vedere uno Stato liberale dovrebbe prevedere il pluralismo morale e, secondo i principi di Kant, garantire la convivenza della libertà di ciascuno con la libertà degli altri. Del resto, se ci rifacciamo alla prima Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che risale al 1789 [2], leggeremo che “la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri. Così, l’esistenza dei diritti naturali di ciascuno uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti non possono essere determinati che dalla Legge”. Tali principi, condivisibili in assoluto, per le nostre problematiche si spostano nel riconoscere la qualifica da assegnare all’embrione; perché, se sotto il profilo biologico non può negarsi la sua vitalità (e quindi la sua individualità, a dimostrare la quale basta ricordare il diverso possibile gruppo sanguigno fra madre e feto), in uno Stato di diritto, ci si domanda se esso può essere considerato persona, riferimento per quei diritti che lo Stato deve tutelare. Ed ecco quindi che nella tutela dell’embrione prevale l’ispirazione morale ed etica; l’embrione, entità indifesa da una sua non evidente autonoma vitalità e da una mancata visibilità che gli impedisce di affermare autonomamente i propri diritti, deve necessariamente trovare nella morale del singolo i presupposti per inserirsi nel relazionale. Questa breve premessa si impone in un momento in cui vengono esasperate le conflittualità sull’onda del progresso tecnologico che consente, al di là della sperimentazione, possibilità terapeutiche mediante prelievi dall’embrione. Affrontando l’argomento della responsabilità medica nella diagnosi prenatale, non può certamente mancare il riferimento a questa dualistica posizione fra “principi etici” e “doveri giuridici” in quanto la diagnosi prenatale, al di là delle contenute possibilità terapeutiche, è finalizzata prioritariamente a tutelare il diritto materno di interrompere la gravidanza [3] “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”. Prima di addentrarci negli aspetti rigorosamente tecnici, quelli di nostra competenza, è doveroso ricordare che la Legge 194/78 è comunque ispirata ad una soluzione del dualismo prospettato, fra diritto e morale, nel senso del diritto, in quanto si ispira al principio di un feto non ancora persona, meritevole, sì, di ogni rispetto morale, ma non ancora titolare di quei diritti giuridici fra i quali quello della vita, se non allorquando, dive-

nuto autosufficiente, indipendentemente dal mese di gestazione, acquista il diritto alla tutela della vita, imponendo la legge stessa, in questa realtà, l’obbligo dell’assistenza al nascituro. Del resto, che non venga preso in considerazione il diritto del feto, neanche per quanto attiene la qualità di vita, è evidente dal momento che la legge, per i feti malformati, vincola l’interruzione della gravidanza al verificarsi di un “grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Ci è sembrato utile aprire questo capitolo col più evidente momento in cui rifulgono gli aspetti etici e giuridici, anche se l’interruzione della gravidanza non è l’unico momento operativo in cui la medicina legale, e per essa la bioetica, si pone ad affrontarne liceità e condotte. Ci riferiamo ai diversi momenti in cui l’opera del medico si pone a salvaguardia dei diritti di una coppia che, nella fertilità e nella qualità di vita del figlio, vede raggiunto lo scopo primario dell’unione. Si inizia con il momento della terapia di una sterilità di coppia che, tesa a risolvere una patologia di uno o di entrambi i componenti la coppia, deve tutelare anche la qualità di vita del nascituro, per proseguire con quei momenti diagnostici a possibilità terapeutiche per il feto, per giungere alla sperimentazione sugli embrioni; altri momenti in cui etica e diritto si confrontano radicando contrasti su posizioni di evidente intransigenza nel recepire le ragioni dell’altro, conflittualità che poco ha del dialogo e molto della contrapposizione. La possibilità di scelta e la manipolazione genetica costituiscono, infatti, quel momento di dubbio fra eugenica e eugenetica che vede trasportare ai giorni d’oggi quanto nel passato si poneva fra aborto eugenico ed aborto eugenetico. Ci sembra che davanti a questi problemi l’etica, la deontologia ed il diritto debbano costituire il riferimento per il medico che si pone quale tecnico nel rispetto delle libertà e delle coscienze. Iniziamo così con quei riferimenti etici che costituiscono il presupposto morale entro cui eseguire le proprie scelte, ci riferiamo non solo ai principi morali di tutela dell’embrione, ai principi che caratterizzano la coscienza della donna, ma anche ai principi morali dell’operatore sanitario; non senza ragione il legislatore ha ritenuto dover tutelare la coscienza della madre paritariamente alla coscienza del medico, consentendogli innanzi ad un suo credo, di rifiutare gli atti abortivi. I principi etici nascono ovviamente dalla natura dell’embrione; premesso che la biologia, e per essa la scienza, fornisce le conoscenze per potere decidere moralmente e giuridicamente, si vede come l’etica è mutevole nel tempo, verosimilmente sulla base di un progresso cognitivo che sposta la coscienza individuale sempre più verso una visione biologica. Non si può ignorare come la biologia abbia consentito il mutamento di

Capitolo 31 • Diagnosi prenatale:morale,deontologia e diritto • L.Palmieri,A.L.Graziussi

conoscenze ritenute certezze nel tempo passato, ma egualmente ha sempre affermato che la vita embrionale costituisce la prima fase della vita dell’uomo e su questa base il principio morale, trasportato nel diritto, vedeva una doverosa tutela della vita dell’embrione e del feto. Questo “rispetto” per una vita biologica veniva inteso come la tutela del più alto diritto dell’uomo e, sulla base della convinzione che il diritto alla vita è il diritto dei diritti perché posto alla base della libertà, la Corte Costituzionale sentiva l’esigenza in più occasioni e nella sentenza del 19751 di una tutela assoluta dell’embrione; di conseguenza poneva il problema della interruzione volontaria della gravidanza come un conflitto fra diritti aventi lo stesso grado, il diritto alla vita del nascituro ed il diritto alla vita della madre, non riconoscendo alla donna il diritto sulla gravidanza, ma sostenendo il diritto della stessa alla tutela della propria vita e della propria salute. E poiché i principi costituzionali tutelano i diritti di un popolo, va ricordato che gli Stati Uniti sono il solo Paese nel quale l’aborto rappresenta veramente una libertà costituzionale, poiché la libertà di diventare madre è costituzionalmente protetta. In Italia questa libertà non esiste ed i filosofi, i teologi, i giuristi affrontano questa tematica solo de jure condendo; del resto per ammettere la libertà di non diventare madre si deve necessariamente ricorrere alla concezione americana di un feto parte del corpo materno, opzione che già dà per scontato il problema di un feto non entità autonoma. Ed è su questa posizione che il Comitato Nazionale di Bioetica si è posto con sempre innovativi documenti, cercando di regolamentare tecniche e tecnologie biomediche nel rispetto dei valori dell’uomo, alla ricerca di un punto di equilibrio fra detti valori ed i valori dello sviluppo scientifico e tecnologico. Questo equilibrio si basa non su principi fondamentali, ma ricercando un consenso intorno a “scelte esperibili” con riferimento a casi particolari. Equilibri mutevoli che già con la Raccomandazione del 1986 del Consiglio di Europa riconoscevano al punto 5 che la vita umana “si sviluppava con un processo continuo”. Di qui, la Raccomandazione n. 24 dell’86, invitava gli Stati membri a vietare la creazione di embrioni a “finalità lesive della dignità umana”. Per vero, già nel 1959 la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, nel preambolo, afferma il dovere di proteggere il bambino, prima e dopo la nascita, impegnando gli Stati ad una protezione fin dal momento del concepimento. Un riferimento non può mancare alla Convenzione sui Diritti dell’Uomo e

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la Biomedicina approvata dal Consiglio di Europa il 19 novembre del 1996 e firmata dall’Italia ad Oviedo il 14 aprile 1997. Detta Convenzione assicura all’embrione una protezione adeguata; per vero in essa si fa riferimento all’essere umano oggetto del rispetto, termine volutamente equivoco, demandando ai singoli Stati il chiarirne la portata. Ma la Convenzione si pone come base per la regolamentazione dell’uso delle biotecnologie che, per quanto attiene agli interventi sul genoma (art. 13), prevede che vengano autorizzati esclusivamente “per ragioni preventive, diagnostiche e terapeutiche”. Passiamo alla Dichiarazione Universale sul genoma umano dell’UNESCO approvata nel novembre 1997 e che ispira i principi che devono presiedere alla ricerca genetica. Tale Dichiarazione vede la ricerca sul genoma come finalizzata al miglioramento della salute dell’individuo ed al benessere dell’intera umanità, sostenendo altresì che il progresso non può prevalere sulla dignità umana e sui diritti dell’uomo:“il genoma è patrimonio comune dell’umanità e la ricerca genetica deve essere preceduta dalla valutazione del principio della beneficiarietà”. Per essere più vicini al tema in discussione i principi che esaminano il ricorso ai test genetici per la diagnosi prenatale e pre-impianto sono riportati nella Raccomandazione del Consiglio di Europa del 21 giugno 1990 e del 10 febbraio 1992. Detti test sono finalizzati allo scopo esclusivo della valutazione del rischio salute e della natura consultiva e non direttiva del test nel rispetto dell’autonomia della donna. Del resto la Congregazione per la dottrina della fede, rifacendosi alla istruzione per la vita umana nascente e la dignità della procreazione2 insiste nel sostenere che la legge civile deve essere dovunque regolata “sulle norme fondamentali della legge morale in ciò che concerne i diritti dell’uomo, della vita umana e della istituzione familiare”. Non si può certo ricorrere agli artifizi semantici di oltreoceano che vedono trasformati gli embrioni in ovosomi quando prodotti per clonazione ai fini di ottenere cellule staminali; è questo il suggerimento prospettato da “consulenti etici” a cui imprese di biotecnologie statunitensi si rivolgevano per avere suggerimenti sulla produzione di embrioni mediante clonazione. Come si evince, discutendo dei problemi etici si finisce con il ricalcare quanto detto in precedenza, ed è per questo che, lasciando alla filosofia della morale ed alla filosofia del diritto la soluzione di questi aspetti, che

1 La sentenza n. 27 del 18/02/1975 (Presidente Francesco Paolo Bonifacio) “...dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 546 c.p., nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venire interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre”. 2 Istruzione Ratzinger 1987.

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trascendono dal biologico, e riconoscendo la libertà di scelta condizionata dalla coscienza del singolo, il sanitario dovrà attenersi alle norme deontologiche ed al diritto codificato, sempre ricordando che anche egli è possessore di principi etici che, come abbiamo visto, gli vengono riconosciuti quanto meno nell’operare in tema di interruzione della gravidanza. Che resta alla medicina legale, se non il tentativo di risolvere quel dilemma a cui abbiamo fatto cenno sullo scopo di una prestazione medica che per l’ostetrico, è nostra convinzione, ha come presupposto il dovere morale, deontologico e giuridico di tutelare entrambe le individualità; non diciamo nulla di nuovo, né risolviamo i problemi etici e morali, ma ci domandiamo sempre se costituisca corretto atto medico il consentire la nascita di un soggetto gravemente disabile, nella coscienza di una qualità di vita ampiamente compromessa. Una tale affermazione naturalisticamente chiama in causa quesiti aggiuntivi; così, quale è il grado di menomazione non accettabile dal nascituro e quale la volontà di vita con tale menomazione? La risposta potrebbe trovarsi nel graduare “le gravi malformazioni” previste dalla legge per una interruzione di gravidanza oltre il III mese, ma ogni elenco di realtà biologiche è di per se stesso limitato e le analogie funzionali ne renderebbero elastica la interpretazione. Non dimentichiamo che l’art. 3 del Codice Deontologico (C.D.)3 di ultima pubblicazione, riconosce al medico di tutelare la vita, la salute e di sollevare l’uomo dalla sofferenza nel rispetto della dignità della persona umana. Il limite al dilemma che ci siamo posti ci sembra per l’appunto poterlo identificare nel limite entro il quale l’uomo possa mantenere una sua dignità. D’altra parte, dobbiamo considerare che l’art. 44 del C.D., mentre vieta pratiche di fecondazione assistita ispirata a selezione etnica ed a fini eugenetici, nel successivo art. 46 ammette i test predittivi al solo scopo di rilevare o predire malformazioni, malattie su base ereditaria, indagini che, per quanto ci attiene, devono essere espressamente richieste dalla gestante e, a nostro avviso, dalla coppia in caso di una consulenza genetica per una fecondazione assistita [4]. Questo articolo fa espresso riferimento alle vigenti “norme nazionali e regionali” sui requisiti strut-

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turali e professionali dei centri deputati alle indagini genetiche [5]. Va da sé che per i risvolti psicologico-sociali, nonché per i riflessi etici e giuridici cui un test di genetica dà origine, nonché per la complessità tecnica dell’indagine stessa, un Centro deputato a tali indagini dovrebbe rientrare di diritto fra quei centri accreditati all’eccellenza, ma certamente non può non rientrare fra i Centri accreditati, vale a dire sottoposti ad una accurata valutazione sulla qualità della prestazione in rapporto al livello di performance e standard prestabiliti. Si tratta, infatti, di prestazioni specialistiche di III livello per le quali si vede necessariamente applicare il superamento dei limiti concettuali dello standard nominativo. La Commissione Europea, con Raccomandazione n. 25 del 20054, ha affrontato il problema del dovere assicurare la qualità dei test genetici, esaminando diversi progetti finalizzati; un tale esame ha condotto ad una progressiva uniformità dei criteri e dei parametri per assicurare la qualità. Si tratta, come si vede, di un interesse internazionale che ha portato sin dal 2000 a costituire un gruppo di lavoro che ha utilizzato come documento base “i test genetici, orientamenti per un nuovo millennio”. Anche per lo svolgimento delle attività sanitarie di genetica medica i criteri ed i requisiti strutturali si rifanno al DPR 14/01/1997, recepiti e sviluppati dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie che ha emanato linee guida in data 19/05/19985. Nell’aprile del 2002 il Ministero della Salute istituì una Commissione sotto la presidenza di Dalla Piccola che elaborò un documento, ultimato nel giugno 2003, approvato nella Conferenza Stato-Regioni il 15/07/04 che ha emanato norme cui devono rifarsi le strutture di genetica medica, comprensive non solo dei laboratori di genetica cui compete l’esecuzione del test, quand’anche delle strutture cliniche. Al laboratorio di genetica medica compete la citogenetica, la genetica molecolare, la genetica biochimica, la immunogenetica e la oncogenetica. È compito del laboratorio di genetica conservare il consenso informato all’esecuzione del test genetico, unitamente alla documentazione della prestazione fornita. Sul piano rigorosamente medico-legale, rileva a questo punto soffermarsi su specifici aspetti.

Art. 3 - Codice Deontologico, 16 dicembre 2006 “doveri del medico - dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana... la salute è intesa nella accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona”. 4 European Commission-Recommendations on the ethical, legal and social implications of genetic testing (www.europa.eu.int/comm/research/rtdinfo/index). 5 www.iss.it/scientific a/lineeguida/genetici.htm.

Capitolo 31 • Diagnosi prenatale:morale,deontologia e diritto • L.Palmieri,A.L.Graziussi

PRINCIPALI INDAGINI PRENATALI: RISCHI, POSSIBILI RISULTATI E RISVOLTI ETICI La diagnosi prenatale, che costituisce ormai parte integrante della prestazione professionale dell’ostetricoginecologo, si avvale di diverse metodiche cliniche, laboratoristiche e strumentali. Esse consentono, entro certi limiti, di monitorare lo stato di salute dell’embrione prima e del feto successivamente, e permettono di diagnosticare condizioni patologiche attraverso l’esame morfologico-anatomico, biochimico, metabolico, citogenetico ed in casi particolari, mediante l’analisi del DNA. È noto come molte di queste indagini espongono, in alcuni casi, il prodotto del concepimento a diversi livelli di rischio; esse pertanto sono ovviamente eseguite per finalità diagnostico-terapeutiche, soprattutto allorché la precocità della diagnosi consente di instaurare terapie tempestive, farmacologiche e/o chirurgiche, anche nel corso della vita intrauterina, ovvero quando si rende necessario predisporre particolari modalità di espletamento del parto, o terapie nell’immediato post-nascita, orientando per un parto in strutture adeguate. Per vero, la finalità prioritaria delle indagini prenatali mira a diagnosticare quelle patologie fetali che, determinando una cattiva qualità di vita al nascituro, possono causare quel turbamento psichico nella madre di gravità tale da giustificare l’IVG anche al di là del III mese. Altrettanto rilevante è la possibilità di individuare quei casi in cui la malattia da cui può essere affetto il feto sia grave ed incurabile, tale da potere autonomamente determinare una scelta verso l’interruzione di gravidanza. La diagnosi prenatale consente anche di identificare in quelle coppie che presentano, rispetto alla popolazione generale, una effettiva maggiorazione di rischio di patologie genetiche, mediante la consulenza genetica prenatale ed eventuali specifiche tecniche, la probabilità del verificarsi del rischio. In genere tale procedura mira ad identificare i portatori sani, che presentano cioè una eterozigosi per patologie genetiche autosomiche recessive, ovvero X-linked. A tal riguardo si sottolinea il ruolo fondamentale della consulenza genetica che deve avvalersi della costruzione di alberi genealogici (almeno tre generazioni) sulla cui base si procede ad indagini mirate.

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Un corretto comportamento esalta il momento della informazione in quanto, spesso si tratta di patologie non manifeste nella coppia essendo i componenti privi di sintomatologia evidente. È quindi fondamentale che il medico illustri alla coppia tutti gli aspetti clinici della possibile patologia genetica, in termini di diagnosi, di manifestazioni cliniche, di prognosi ed il rischio che tale patologia si manifesti nella prole. Il medico dovrà verificare la sussistenza delle indicazioni alla tecnica diagnostica, scegliendo quella più opportuna, illustrandone i rischi e prospettando le possibili scelte nonché i relativi disagi alla qualità della vita cui potrebbe andare incontro il nascituro e le possibilità terapeutiche nel rispetto delle convinzioni etiche ed eventualmente religiose dei futuri genitori. A tal proposito è opportuno ricordare come la Legge 40/04 all’art. 6 comma 46 dà la possibilità al medico responsabile della struttura ove viene attuata la procedura di diagnosi prenatale di non procedervi allorché vi siano “elementi medico-sanitari “ che lo sconsiglino. Ovviamente i costi elevati, la non sempre possibile terapia nella vita intrauterina, la non ancora completa conoscenza delle anomalie geniche da cui molte delle patologie congenite derivano, limitano un tale screening soprattutto a quelle coppie che presentano una effettiva maggiorazione di rischio per patologie particolarmente disabilitanti. Un tale accertamento vedrebbe la sua più logica applicazione in una fase che precede il concepimento e costituisce il primo momento predittivo di un probabile verificarsi del rischio. Una tale prassi prende in esame ovviamente uno studio genetico dei genitori, per cui appare evidente come ad un consenso binato, deve far seguito una risposta unitaria, nel senso che entrambi i componenti la coppia devono essere messi a conoscenza dei risultati dell’indagine.Appare evidente che in una indagine che precede il concepimento sia doveroso estendere la consulenza alla coppia, non potendo limitarsi a demandare alla sola futura madre le decisioni sulle scelte da attuare. Ovviamente questi aspetti eugenici risaltano ancora di più in una fecondazione assistita, laddove la consulenza genetica della coppia viene superata da un ulteriore passo avanti, vale a dire dalla diagnosi genetica pre-impianto che viene effettuata sull’embrione ottenuto in vitro e che consente di avere non più una diagnosi di probabilità, quanto la

Legge 40/04 art. 6 comma 4: “fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico sanitario. In tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione”.

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certezza del concretizzarsi del rischio.Va detto che una tale indagine nella fase del pre-impianto è attuabile anche in una gravidanza, laddove l’embrione può essere prelevato mediante lavaggio prima del suo annidamento nell’utero. Si tratta di una indagine non espressamente prevista nella normativa che tutela e liceizza la procreazione medicalmente assistita. In effetti, il Legislatore non ha previsto l’opportunità di una prevenzione delle patologie genetiche mediante un doveroso screening quantomeno per quelle patologie particolarmente disabilitanti7. Un tale disposto non è, a nostro modo di vedere, condivisibile, ove si consideri il concreto rischio che da un atto medico, ne possa derivare un evento danno. Eppure, nelle more del disposto legislativo, quando la fecondazione assistita era atto medico non normativizzato e come tale aperto ad ogni pratica, l’allora Ministero della Sanità aveva emesso una circolare, ripresa da C.D., in base alla quale si auspicava per l’appunto un tacito ricorso all’indagine eugenica, onde evitare il verificarsi di un tale rischio. Già nella diagnosi genetica pre-impianto si vedono configurare tutte le problematiche connesse alla selezione dell’embrione, così se da un lato la citata Legge n. 40/04 [6] vieta espressamente la selezione degli embrioni a scopo eugenetico, consentendo viceversa la possibilità di correzioni a fine eugenico (art. 13 comma 3), dall’altro permette “interventi sugli embrioni aventi finalità diagnostiche e terapeutiche” (art. 13 comma 2). È evidente che il termine piuttosto generico di “interventi” lascia spazio a diverse possibilità interpretative. La diagnosi pre-impianto non è scevra di rischi sull’ulteriore sviluppo embrionario, prevedendo il prelievo di cellule quando lo stesso embrione, in stadi iniziali, si compone di un numero estremamente limitato di cellule, rischio di cui si dovrà informare la coppia, anche in considerazione del possibile verificarsi di ulteriori patologie non più di natura genetica, ma iatrogena. Va detto come una tale indagine pre-impianto non elimini il grave problema della embrio-selezione e del destino che grava sugli embrioni identificati come patologici; infatti, per una estinzione in coltura il vincolo è della grave ed irreversibile patologia, dovendosi indirettamente dedurre che per patologie “non gravi” vi sia comunque l’obbligo di impianto, anche se, anacronisticamente, verrebbe poi consentito alla donna il ricorso al-

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la interruzione della gravidanza già nei primi tre mesi di vita. Come si vede, la diagnosi pre-impianto non è esente da gravose ricadute di carattere etico [7]. Una volta che l’embrione si è annidato, la diagnostica prenatale passa dal genetista all’ostetrico-ginecologo che dovrà avvalersi di competenze aggiuntive in relazione alle diverse fasi dello sviluppo embriofetale. Così, a seconda dei tempi se vi sono fasi in cui si ricorrerà all’ecografista, ancora al genetista ed al patologo per le indagini metaboliche, si ricorrerà a una competenza unicamente ostetrica nella fase terminale. Sorgono qui momenti operativi con impegno diversificato, pur vedendo la figura dell’ostetrico non più impreparata alla esecuzione ed alla interpretazione dei dati provenienti dalle specialistiche concorrenti. Il volume nel quale ci inseriamo ci consente di non addentrarci in una partitica descrizione delle indagini per età di sviluppo, ovviamente dovendo, peraltro, segnalare come una prima analisi della corretta assistenza di una gravidanza derivi da una corretta scelta dei tempi per le rispettive indagini e ciò soprattutto per quanto attiene l’ecografia, laddove vi sono malformazioni che risultano evidenziabili in epoche diverse, creando così problemi sulle varie possibilità di intervento. Come si vede, compete all’ostetrico un aggiornamento costante sulle possibilità che le altre discipline offrono per quella fase operativa inquadrabile in una prevenzione. Inizialmente l’approccio prevede una particolareggiata anamnesi da parte dell’ostetrico-ginecologo per programmare tutte quelle indagini idonee a ridurre il rischio di mortalità o morbilità materno-fetale. Non dimentichiamo che l’anamnesi costituisce parte integrante per un orientamento diagnostico e che essa ha rilevanza soprattutto in quei casi in cui non si sia fatto ricorso a quella consulenza genetica che precede il concepimento. L’anamnesi in una gravidanza naturale è pur sempre il primo elemento predittivo per una prevenzione; essa precede ovviamente una indagine clinica sulla madre per rilevare, sulla base degli accertamenti metabolici, cardiovascolari, immunologici, l’opportunità di ricorrere a scelte diagnostiche per tempi e modalità diverse da quelle che schemi universalmente validi prevedono come finalizzati ad un monitoraggio dello sviluppo embrio-fetale. Così in una gravidanza non a rischio ci si limiterà al ricorso all’ultrasonografia se-

Per quanto attiene alla possibilità di una diagnosi genetica pre-impianto, la legislazione vigente negli altri Paesi è certamente più aperta di quella da noi varata ed, anche in modo non uniforme, pressoché tutte prendono in esame lo studio delle cellule della linea germinale. Così in Francia ed in Danimarca una tale diagnosi è consentita in presenza di una nota patologia genetica incurabile in entrambi o in uno dei componenti la coppia (Casini C. et al., Medicina e morale 1.17.52, 2004); in Austria l’art. 9 della L. 293/1992 liceizza “nella misura in cui l’esperienza e le conoscenze medico scientifiche” fanno ritenere necessaria la diagnosi pre-impianto; egualmente l’Inghilterra con la L. del 30.10.90 limita l’indagine ai casi necessari. La Germania con la L. n. 69 13/12/90 e la Svizzera e L. 18.12.98 consentono lo studio della linea germinale maschile, in Germania per prevenire gravi patologie ereditarie legate al sesso ed in Svizzera per prevenire la trasmissione di affezioni gravi ed inguaribili.

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riata, ad indagini metaboliche trimestrali che, ovviamente, saranno monitorate con diverse scadenze in presenza di diabete, cardiopatie, patologie immunitarie. Si tratta di quelle indagini rispondenti alle linee guida del consesso scientifico internazionale, a cui si adeguano il maggior numero delle associazioni ostetriche e che comunque, va ricordato, costituiscono un indirizzo orientativo suscettibile di doverosa modifica nelle contingenze particolari. È opportuno a questo punto suddividere preliminarmente le indagini pre-natali in merito alla loro invasività ed al rischio che ne può derivare. Tra le indagini non invasive, l’ecografia diagnostica prenatale riveste il ruolo principale e non offre evidenti margini di rischio tanto per la madre quanto per l’embrione ed il feto. Tale esame consente di monitorare l’evoluzione della gravidanza sin dal suo insorgere e risulta essere, inoltre, l’esame preliminare alle altre tecniche invasive, orientando o consentendo una diretta diagnosi nelle diverse fasi di sviluppo fetale per malformazioni congenite. Attualmente in Italia non vi è ancora uniformità di vedute sulla figura dello specialista cui competa la pratica ecografica in ambito ostetrico; un detto ruolo è dibattuto fra le Società scientifiche della Diagnostica per immagini e della Ostetricia al punto che sempre più radicata appare una superspecializzazione ostetrica con la figura dell’“ecografista ostetrico”. Così, va detto che le Linee Guida prevedono il ricorso a centri ecografici di I, II e III livello a seconda della difficoltà diagnostica che la patologia presenta. Ovviamente, con il progredire della tecnologia, il rimanere vincolati ad apparecchi di vecchia generazione potrebbe costituire una scelta del mezzo responsabile di quei limiti dovuti all’attrezzatura e che devono essere noti all’operatore; questi, non valutati, potrebbero configurare un comportamento negligente per la scelta dei mezzi. Sarà opportuno pertanto che l’ostetrico non consideri l’accertamento ecografico un rituale, ma che lo veda quale indispensabile ausilio per la tutela del feto e della madre, anche nel rispetto del diritto materno di conoscere la realtà a cui potrà condizionare scelte. Certamente una realtà sanitaria così difforme sul nostro territorio vede realizzare situazioni diverse che non sempre consentono il ricorso a centri di eccellenza [8]. Oltre alle caratteristiche dell’attrezzatura, le modalità di esecuzione costituiscono un ulteriore elemento meritevole di riflessione nel senso che l’indagine ecografica ha dei suoi protocolli esecutivi che vanno seguiti con molta attenzione. La mancata osservanza dei predetti protocolli e/o l’inesperienza dell’ecografista nel non rilevare segni suggesstivi di anomalie fetali integrano un ulteriore elemento di censura questa volta per negligenza ovvero imperizia. Non possiamo infatti non

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rilevare come un terzo momento a rischio sia costituito dalla interpretazione della immagine ecografica; vertiamo in questo caso in una evidente imperizia tanto più grave se si tiene conto che si tratta di una indagine il cui valore è dato dalla visione in real time, essendo l’eventuale fotogramma il risultato di una scelta assolutamente espressiva di quel momento fotografato e non indicativa di altro. Ciò ha portato anche ad una registrazione ecografica, col che consentendo di avere una indagine completa ma pur sempre limitata alla manualità della sonda. Si tratta pertanto di un accertamento operatore-dipendente, di qui l’indispensabile preparazione di chi esegue e successivamente referta l’indagine. Una errata o superficiale refertazione può costituire un ulteriore elemento di censura per negligenza, aggravata proprio dalla impossibilità dell’ostetrico clinico di avere coscienza della realtà anatomica, se non per quei valori biometrici di routinaria indagine che esprimono una corretta crescita fetale. Le linee guida per gli “screening ecografici in Ostetricia e Ginecologia” vanno differenziate fra quelle tese a valutare lo sviluppo e quelle finalizzate ad evidenziare eventuali malformazioni. Egualmente, l’ecografia consente di avere conoscenza sugli annessi, su eventuale patologia delle membrane, della placenta, del funicolo e del liquido amniotico. Va inoltre evidenziato che le Linee Guida, e noi aggiungeremmo anche i conseguenti protocolli operativi, mutano con il progredire delle conoscenze; esse possono divenire stadiate nel momento stesso della loro emanazione (l’ultimo aggiornamento è stato da noi rilevato nel sito della SIEOG nel 2006). Riteniamo che esse possano costituire un riferimento di base sufficientemente sperimentato. Così, generalmente nel primo trimestre l’esame ecografico mira ad accertare la condizione gravidica, la sede di sviluppo del sacco gestazionale, la presenza in esso dell’embrione, il numero degli embrioni, la vitalità embrionale e ad escludere la presenza di gravidanza extra-uterina ed eventuali patologie utero-annessiali associate alla gravidanza. Nelle ultime settimane del I trimestre potranno essere visionati i quattro arti, con le relative estremità, nonché l’attività cardiaca [9]. È il II trimestre quello in cui prevale l’esame morfologico per lo studio delle eventuali malformazioni; ci riferiamo alla strutturale di solito effettuata fra la diciannovesima e la ventiduesima settimana. Nel III trimestre il principale aspetto indagato è quello relativo alla crescita fetale e la sua integrità anatomica e ad eventuali patologie del liquido amniotico e placentari. In questa fase, l’esame mirerà anche a valutare eventuali prevedibili distocie per incongruità dei rapporti, altro momento foriero di rischio fetale.

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Per quanto attiene alla diagnosi prenatale, ricordiamo come attraverso lo screening ecografico morfologico sia possibile evidenziare numerosissime malformazioni a carico dei diversi apparati e sistemi. Così lo studio morfologico del SNC consentirà di dimostrare una anencefalia, una idroanencefalia, un idrocefalo, una oloprosencefalia, una spina bifida, nonché alterazioni dello sviluppo cranico come la microcefalia, cisti della fossa cranica posteriore, una oligocefalia, una ciclopia, le poroencefalie e il cefalocele. A carico dell’apparato scheletrico si possono evidenziale le agenesie degli arti, le acondroplasie, per le quali peraltro è opportuno ripetere l’indagine in tempi successivi. Ancora è possibile rilevare alterazioni dell’apparato urinario quali idronefrosi, reni multicistici, agenesie renali, megauretere ed alterazioni della vescica8.A carico degli organi parenchimali addominali sono evidenziabili ad esempio solo le cisti o la presenza di ascite che solitamente si abbina ad un polidramnios, ecc. Difficile evidenziare in questa fase di sviluppo le malformazioni diaframmatiche se non vere agenesie di un emidiaframma con erniazioni di visceri in torace. Rimane ancora la possibilità di evidenziare alterazioni cardiache quali ipoplasie, anomalie dei grossi vasi, versamenti pericardici. Sono queste solo alcune delle malformazioni evidenziabili con le indagini ecografiche, ma che costituiscono quelle che in un teorico elenco di “patologie gravi” troverebbero certamente collocazione. Va da sé che il mancato rilievo di tali patologie non costantemente può quindi costituire errore di lettura in quanto condizioni materne o anche, come abbiamo visto, ecografi con scarso potere di risoluzione, possono rendere difficile l’evidenziazione di lievi malformazioni; ancora acquisterà valenza la rarità di alcune malformazioni che può condizionare l’ecografista a un approfondimento diagnostico. Abbiamo detto che l’ecografia costituisce un’indagine non invasiva e rappresenta l’accertamento di base per lo studio di una normale evoluzione della gravidanza stessa, di un feto privo di malformazioni, di annessi e liquido che non rendono “a rischio” il prosieguo della gravidanza. Poiché la diagnosi prenatale ha come finalità di base la nascita di un neonato integro, non possiamo omettere dalla ipotetica responsabilità di una lacunosa indagine ecografica, la mancata valutazione nell’ultimo mese di gestazione delle dimensioni fetali rapportate al canale del parto. Più che le dimensioni fetali, ha in-

fatti valore il rapporto feto-pelvico, in quanto può condizionare una scelta sulle modalità del parto onde evitare la via espulsiva, nella ipotesi di una possibile paralisi ostetrica per distocia nella fase della espulsione o, drammaticamente, una sofferenza protratta con cerebropatia perinatale [10]. Va qui ricordato l’abbinamento dell’ecografia strutturale con l’eco-color Doppler per lo studio flussimetrico dei vasi fetali, utile per la diagnosi di sofferenza cronica e di iposviluppo fetale. Nel prosieguo della gravidanza, lo studio del cordone con ecografia o flussimetria si impone onde consentire una scelta operativa che impedisca sia gravi sofferenze fetali per voluta di cordone intorno al collo sia l’asfissia acuta derivante da un nodo vero del cordone, che nella fase espulsiva si costringe occludendo l’afflusso ematico. Per completare il discorso sulla ecografia, rimandando poi alla discussione generale gli aspetti sulle responsabilità ed il danno, preme rilevare che detto accertamento dovrebbe vedere rispettata anche la normativa vigente in tema di IVG, in considerazione del fatto che alcune malformazioni, visibili anche nel I trimestre, debbono essere comunicate tempestivamente alla donna nel rispetto del suo diritto ad essere correttamente informata, consentendole così una scelta tempestiva che, se pur ancora possibile nel II trimestre, con eguale rilevanza sul piano etico, risulterebbe certamente meno traumatizzante sul piano psicologico ed individuale. Supportano l’esame ecografico altri accertamenti non invasivi, da eseguire su siero materno; in particolare il duo test, che si pratica intorno alla 12ª-14ª settimana di gestazione e che valuta alcuni parametri biochimici su sangue materno (free β-hCG, PAPP-A) rapportati ad un dato ecografico, vale a dire la translucenza nucale del feto (test combinato). Con analogo fine può essere eseguito il tri-test intorno alla 16ª settimana di gestazione, e che consente di valutare per una gestante il rischio di essere portatrice di un feto affetto da sindrome di Down, da eventuale altra anomalia cromosomica e da difetti del tubo neurale sulla base dei valori di tre marcatori (α-feto proteina, β-gonadotropina corionica, estriolo) confrontati con altri parametri materni. Il limite di queste indagini è che esse offrono risultati su base statistica, con un margine di errore che può essere del tutto abolito, quando integrate da una diagnosi citogenetica fetale verso cui il dubbio impone di dirigersi. Quest’ultima indagine è, ovvia-

8 È opportuno ricordare, per gli scopi di questo capitolo, che l’idronefrosi per reflusso vescico-ureterale non è sempre diagnosticabile, neanche quando di IV o V grado, in quanto essa può essere intermittente. Quest’esempio sta a dimostrare come qualsiasi indagine ecografia costituisca un supporto utile ma non tassativo, ribadendo il concetto di una indagine real time operatore-strumento e momento-dipendente, col che estrema cautela nel giudicare l’operato di un sanitario sulla base di diagnosi perfezionate nel post-nascita, quando lo sviluppo della patologia ed il dato clinico evidente, nonché la possibilità di indagini aggiuntive ed invasive, consentono diagnosi ex post.

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mente, invasiva, ma offre la possibilità di una diagnosi certa. Il progresso tecnologico consentirebbe oggi, anche attraverso la ricerca di cellule fetali nel sangue materno, di porre diagnosi citogenetica senza ricorrere ad indagini sul feto; si tratta di una tecnica che, pur ancora in fase sperimentale, avrebbe il vantaggio di non essere invasiva non esponendo il feto a quel rischio presente nelle indagini che andremo ora a esaminare. Ci riferiamo ad accertamenti che, in successione temporale rispetto alla settimana di gestazione in cui è possibile farvi ricorso, si identificano nella biopsia coriale, nell’amniocentesi, nella fetoscopia, nella funicolocentesi ed infine nella biopsia di tessuti fetali. Di queste la più nota e diffusa, anche perché la meno rischiosa e meno traumatizzante è l’amniocentesi, il cui potere diagnostico è connesso alla possibilità di analizzare l’assetto cromosomico sulle cellule fetali, divenendo una indagine fondamentale per le gravidanze a rischio, ma che trova, in una società sempre più mediatizzata e medicalizzata, un crescente numero di donne che la richiede al di là di quella valutazione rischio/beneficio e che, viceversa, si impone in presenza di indicazioni mediche9. Un recente volume sulle indagini prenatali invasive riporta i dati forniti dalla Società Italiana Genetica Umana da cui si rileva che nel 2002 furono eseguite complessivamente 116.990 analisi prenatali, di cui 95.729 sono state eseguite su amniociti, 15.159 sul trofoblasto, 5.231 su materiale abortivo, 808 su sangue fetale; solo 62 erano relative a diagnosi preimpianto [11]. Affrontando il problema delle indagini invasive, rileva sottolineare quanto riportato all’inizio di questo capitolo circa la necessità di una informazione completa, particolareggiata, soprattutto tesa ad informare sul rischio abortivo e sulle possibili complicanze materne; egualmente sarà necessario riferire i limiti del risultato, la non infallibilità per errori diagnostici e la possibilità di insuccesso nelle manovre di prelievo, i tempi necessari per ottenere le risposte. Buona prassi è anche quella di comunicare il centro di genetica ove l’indagine verrà eseguita ed in particolare informare circa le percentuali di errore derivanti dalla letteratura internazionale, confrontate con quelle del centro diagnostico [12]. In alternativa a tale partitica informazione è opportuno illustrare alla coppia, alla donna in particolare, l’effettiva entità del rischio che nasce o da fattori contingenti alla coppia per i quali il rischio è

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certamente più elevato, ovvero per fattori statistici per i quali il rischio è meno elevato; pertanto differenzieremmo un rischio generico, da un rischio generico aggravato a sua volta differente da un rischio specifico. Così l’indagine con l’eventuale ulteriore approfondimento diagnostico potrà essere prospettata con diverso allarme in rapporto alla maggiore consistenza del rischio. Ricordiamo qui come ipotesi di responsabilità potranno vedersi configurate per la scelta di una metodica più rischiosa senza sussistente motivazione o per intempestiva realizzazione della stessa. Ovviamente, per l’indagine genetica non vedremmo configurabile una inidoneità cronologica per difetto, trattandosi comunque di indagini che studiano cromosomi e/o geni; riferendoci agli atti, va da sé che la manualità deve essere espletata da un ostetrico esperto, nel rispetto delle indicazioni che gli verranno fornite dal centro di diagnostica genetica cui il campione verrà inviato. Anche la scelta del laboratorio deve essere idonea nel rispetto delle norme cui abbiamo fatto cenno nella parte iniziale di questo capitolo, essendo evidente che l’errore diagnostico ricade ovviamente sul Centro di genetica, ma potendosi, seppur solo per una eventuale colpa in eligendo, vedere coinvolta anche la figura dell’ostetrico. Si tratta di una eventualità estremamente improbabile ove si considerino i requisiti di un laboratorio di genetica richiesti per l’indispensabile accreditamento. Viceversa manualità incongrue possono condurre a dilacerazioni amniotiche, ad infezioni o anche ad emorragie che possono causare l’interruzione della gravidanza ed, eccezionalmente, danni materni. In merito a tali accertamenti, rifulgendo l’aspetto della prevenzione, una indagine pre-natale dovrà essere prospettata con una semplice informazione ovvero con dovuta esortazione a seconda del rischio previsto, ma dovrà sempre essere rispettata la scelta materna. Anche un ostetrico obiettore avrà l’obbligo di informare e prospettare le possibilità alla coppia, potendosi al più rifiutare di eseguire quegli atti inquadrabili come predittivi di una interruzione volontaria di gravidanza. Di dubbia etica e deontologia sarebbe il rifiuto alla esecuzione di dette indagini intuite come predittive di un’eventuale interruzione di gravidanza; anche se una sostanziale differenza sussiste fra un esame ecografico e detti accertamenti genetici invasivi; il primo ha come fine primario lo studio dello sviluppo fetale ed occasio-

Età>35 anni; familiarità per cromosomopatie (precedente figlio affetto da patologia cromosomica, genitore portatore di aneuploidie dei gameti non incidenti sulla fertilità); alterazione degli indici biochimici per cromosomopatie su sangue materno; abortività ripetuta; anomalie fetali o del volume di liquido amniotico evidenziate ecograficamente.

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nalmente diviene espressivo di una malformazione che potrà, o meno, spingere la donna ad una scelta abortiva; se ciò è valido indubbiamente per i valori biometrici, l’indagine morfologica, sul piano etico, acquista di fatto la stessa valenza dei test genetici invasivi.Viceversa i predetti test genetici nascono con finalità predittiva e quindi, attuati con la coscienza di vincolare la sopravvivenza del feto al risultato ed alla scelta materna. Non riusciamo a vedere in questi atti una fattiva partecipazione alle eventuali procedure abortive e quindi non vedremmo corretto il rifiuto di un eventuale obiettore; del resto, l’accertamento potrebbe anche risultare negativo, o ancora evidenziare patologie non rilevanti che non indurrebbero naturalisticamente ad interrompere la gravidanza. Veniamo ora a valutare i limiti delle altre singole indagini [13-16]. La biopsia coriale offre il vantaggio di una precoce individuazione di patologie genetiche mediante lo studio del DNA e del cariotipo; il prelievo è eseguito tra la 10a e la 12ª settimana per via transaddominale, anche se risulta possibile la via transcervicale. La letteratura ostetrica sconsiglia tale accertamento in presenza di pregresse perdite ematiche vaginali o in presenza di miomatosi uterina; egualmente il rischio di infezioni intrauterine, di perdite ematiche, di interruzione della gravidanza va prospettato alla paziente, comunicandole peraltro che non vi sono ancora dati sicuri sul concreto rischio aborto, stimato orientativamente intorno all’1%. La difficoltà a riconoscere questa percentuale come l’effettivo rischio, deriva dal fatto che tra la 9ª e la 12ª settimana si verifica la maggior parte di aborti spontanei e ciò non consente di attribuire la percentuale su riferita con quella certezza che una statistica valida richiede, all’accertamento in questione. L’importanza di tale esame è che esso consente diagnosi nel I trimestre di gravidanza, dato non di poca rilevanza giuridica. Meno traumatizzante l’amniocentesi, su cui ci siamo già soffermati e che rappresenta la tecnica diagnostica invasiva a cui si fa più frequentemente ricorso. Essa va eseguita tra la 16ª e la 18ª settimana e consiste nel prelievo di circa 20 ml di liquido amniotico mediante agoaspirazione per via transaddominale; anche questa indagine è volta allo studio del cariotipo, del DNA fetale e di alcuni enzimi. L’indice di rischio abortivo viene stimato mediamente intorno allo 0,5-1% e consegue generalmente alla rottura delle membrane o a infezioni o, ancora, ad emorragie. Di questi eventi avversi non sempre si può attribuire la genesi a atto incongruo, essendo ben noto il rischio infettivo e il generico rischio emorragico, senza considerare il potenziale rischio derivante dal fatto traumatico in sé. Abbiamo già riportato in nota le indicazioni che spingono ad un tale accertamento, ribadendo ancora che, in

loro assenza, una eventuale richiesta della donna potrà, indipendentemente dalla mancanza di valida indicazione, essere accettata dopo avere ovviamente ben illustrato i rischi stessi connessi all’indagine. La lacerazione delle membrane che, pur possibile come complicanza e non come errore tecnico, può vedere talvolta configurare tale evento. Ha un ben più alto rischio la placentocentesi, che viene eseguita intorno alla 18ª settimana e che determina un rischio di perdita fetale stimata intorno all’8-9%. La possibilità di ricorrere all’amniocentesi rende del tutto eccezionale il ricorso a tale indagine e, di fatto, ne andrebbe sconsigliata l’esecuzione. Egualmente un alto indice di rischio è connesso alla fetoscopia consistente nell’introduzione di un fetoscopio in cavità amniotica previa anestesia e monitoraggio ecografico per evitare di coinvolgere la placenta. Il fetoscopio mira alla visione endoscopica del feto e consente il prelievo di sangue fetale per le indagine successive, l’infezione è la più frequente causa di perdita fetale, anche se le altre cause comuni alla placentocentesi possono contribuire alla casistica negativa, così emorragie, rottura delle membrane, danno diretto al feto. Dubbi sul rischio connesso alla funicolocentesi o cordocentesi, vengono riportati in letteratura; questa, rapportando l’indice di mortalità fetale che consegue a detti accertamenti con la insita potenzialità della patologia di base a determinare l’aborto, propende a ritenere quest’ultima la vera causa delle morti fetali. Detta indagine, effettuata dalla 19ª settimana di gestazione, consiste nell’introduzione di un ago per via transaddominale all’interno della vena ombelicale per il prelievo di un campione di sangue fetale. Tale indagine consente lo studio del cariotipo, del DNA, di infezioni mediante la ricerca di eventuali IgM specifiche. Il tasso di perdite fetali è variabile ed oscilla entro il 5%. Tutti gli studi sembrano peraltro prospettare il dubbio sulla reale causa dell’evento avverso. La biopsia di tessuti fetali è riservata a quei casi in cui si sospettano patologie genetiche non diagnosticabili con le altre metodiche e, segnatamente, per alcune carenze enzimatiche o sindromi particolari che richiedono il prelievo di campioni di cute o tessuto epatico, possibile intorno alla 17ª settimana, sempre sotto guida ecografica, ovvero il prelievo di tessuto proveniente da masse sospette evidenziate nel corso dei precedenti controlli ecografici. Per tale metodica il rischio di perdita fetale è stato stimato intorno all’1-2% [17]. Tutte queste indagini, ognuna con scopi, limiti, rischi e tempi diversi e allo stesso modo in parte sovrapponibili, cedono il passo, come abbiamo visto, all’amniocentesi, quella che con pratica utilità per i risultati che offre, risulta la meno pericolosa. Fino a questo punto le indagini sono finalizzate al-

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la diagnosi ed eventualmente alla terapia, ma una indagine prenatale può essere anche finalizzata ad altri scopi, così dall’avvento delle conoscenze sul DNA nei laboratori di emogenetica, l’applicazione in emogenetica forense, ha visto far ricorso a tali diagnosi per l’accertamento sulla paternità del concepito. Alla luce delle leggi vigenti che vedono la possibilità di interrompere la gravidanza allorché essa derivi da atti di violenza sessuale, nel dubbio di una gravidanza frutto di un tale atto delittuoso, una donna può ben richiedere un tale accertamento, desiderosa di portare avanti una gravidanza se normalmente concepita. In tali casi, sebbene tale indagine possa essere condotta sulle cellule del liquido amniotico, si procede in genere alla villocentesi per consentire alla madre di ottenere una risposta in tempi compatibili per poter far ricorso alla interruzione volontaria di gravidanza, anche ad esempio in caso di controversie coniugali con ricadute, il più spesso, di tipo patrimoniale [12]. Qualche problema etico può sorgere dinnanzi ad indagini mirate, su richiesta di una coppia, ad individuare determinate patologie genetiche per le quali presenta un rischio aumentato, ove la patologia diventi, sotto il profilo clinico, manifesta in età avanzata ovvero per patologie la cui incidenza sintomatologica, e quindi la qualità di vita, è variabile. Fermo restando il diritto della coppia di vedere soddisfatta la richiesta, sarà la coscienza della stessa donna a valutare la opportunità della scelta di interrompere la gravidanza. Il classico esempio è quello della corea di Huntington, patologia degenerativa del SNC su base genetica; essa si manifesta clinicamente dopo i 40 anni con una sintomatologia evolutiva che porta lentamente al progressivo decadimento delle funzioni intellettive, con insorgenza di movimenti coreiformi e per la quale, ad oggi, non è stata messa a punto una efficace terapia. Il problema della terapia in costante evoluzione è un ulteriore elemento da dover prospettare alla coppia o alla madre ai fini prognostici soprattutto per queste patologie, potendo e dovendo prevedere che nell’intervallo libero da malattia, la scienza potrebbe ottenere risultati terapeutici ottimali se non addirittura risolutivi. Va detto a tal proposito che poiché la 194/78 tutela la salute materna, una eventuale previsione di danno a venire in un tempo dilatato in decine di anni potrebbe non vedere configurata quella turba psichica necessaria per riconoscere i presupposti della liceità della IVG; si tratta infatti di un figlio che nasce “sano”, ma su cui grava il rischio di una patologia futura, importante o meno poco rileva [18]. Di fronte alla scelta di intraprendere o meno una indagine diagnostica prenatale comunque a rischio, il medico deve far presente e vagliare quel principio di proporzionalità, soffermandosi a descrivere gli aspetti cli-

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nici perché l’interlocutrice possa esprimere una consapevole volontà, astenendosi dal dispensare consigli o dall’esprimere le proprie convinzioni personali. Abbiamo visto sin qui come una diagnosi prenatale rivesta particolare rilevanza per quanto concerne la prioritaria possibilità di tempestiva informazione nel rispetto della normativa per la tutela sociale della maternità mediante l’interruzione volontaria di gravidanza (L. 194/78); di qui quegli aspetti etici su cui ci siamo soffermati. Altro paritario e certamente meno controverso motivo dell’esecuzione di tali test, è quello rigorosamente clinico che vede esaltare il ruolo medico nella tutela della salute del nascituro. Ci riferiamo, di fatto, alla possibilità di un precoce intervento terapeutico, una volta posta la diagnosi prenatale di patologia fetale. Oggi è possibile curare alcune patologie già nel corso della vita intrauterina sia farmacologicamente che geneticamente e in alcuni casi chirurgicamente operando direttamente sul feto. Inoltre, la conoscenza di una patologia può far attuare al momento della nascita accorgimenti terapeutici che, se da una parte possono essere risolutori evitando l’evoluzione e i rischi connessi alla patologia, dall’altra possono rimuoverla completamente. Se il trattamento farmacologico e chirurgico non risvegliano particolari problematiche medico-legali, se non per quanto attiene all’informazione sui rischi, la terapia genica in quella proiezione di manipolazione genica, vede aprire orizzonti che, risaltando gli aspetti eugenici, chiamano indirettamente in causa gli aspetti eugenetici. Soffermandoci sulla terapia farmacologica, ricordiamo come sia possibile oggi la correzione di alcuni difetti del metabolismo mediante la somministrazione alla madre di farmaci appropriati, sfruttando il passaggio placentare. Egualmente, è noto come oggi si possa intervenire chirurgicamente sul feto allorché sia individuata una patologia trattabile; si tratta di una chirurgia fetale che, certamente in sviluppo ed ancorché inquadrabile ancora come terapia sperimentale, è già sufficientemente sperimentata per alcune anomalie cardiache e per altri interventi risolutori di patologie annessiali, come ad esempio la sindrome conseguente a briglie amniotiche che può portare al danno trofico per compressione dei tessuti prevalentemente a carico degli arti, e che è risolvibile agevolmente mediante sbrigliamento intrauterino [19]. Un fine terapeutico fetale chiama in causa la diagnosi prenatale per vero in misura più contenuta rispetto alla più concreta possibilità di una IVG, eppure esso dovrebbe costituire il fine primario cui deve tendere la medicina. Non vi è dubbio che quando la terapia genica, o meglio la chirurgia genica, consentirà la soluzione prenatale di tutte quelle patologie per le quali è possibile un intervento terapeutico, si vedrà concreta-

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mente tutelato il diritto alla vita e rispettato il fine primario del sanitario. Ovviamente il limite del trattamento genico deve vedere rispettati i principi dell’eugenica, non certo quelli della eugenetica; la confusione che potrebbe derivare da una erronea interpretazione di questi due termini risalta al punto b) comma dell’art. 13 L. 40/0410, laddove, proibita preliminarmente ogni forma di selezione a scopo eugenetico sia degli embrioni che dei gameti, vieta anche interventi che attraverso manipolazioni o qualsiasi altro procedimento artificiale, siano diretti ad “alterare il patrimonio genetico dell’embrione”, ribadendo il veto a procedimenti tesi a predeterminare caratteristiche genetiche e liceizza viceversa (“ad eccezione di”) quegli interventi che hanno finalità diagnostica e/o terapeutica. Va da sé che quanto riportato in questo comma, rifacendosi espressamente al comma precedente dello stesso articolo, vieta anche l’aborto eugenico, negando di fatto il diritto del nascituro ad una vita sana, ma consente la ricerca clinica quando condizionata a finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche, volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso. L’argomento sarà trattato quando affronteremo il danno da comportamento erroneo del sanitario. Resta fermo comunque che nel nostro ordinamento giuridico è anteposta la salute della donna a quella del prodotto del concepimento che, sebbene tutelato dalla L. 194/78, non è titolare di diritti in quanto non viene considerato persona sino al momento della nascita, quando acquista la capacità giuridica11. Viene cioè privilegiato l’interesse della donna ad una maternità cosciente e desiderata, rispetto all’interesse collettivo della natalità; circa la prevenzione di anomalie e malformazioni del concepito, infatti, la attuale normativa ammette il cosiddetto “aborto preventivo”, che non deve essere assolutamente confuso con il concetto di “aborto eugenico” inteso in un’ottica di selezione positiva della specie, assolutamente messo al bando [20]. Tale principio è più esplicitamente richiamato nella L. 40/2004 sulla procreazione assistita, ove viene fatto esplicito divieto di selezionare gameti o embrioni a scopo eugenetico.

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RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE Passiamo a questo punto all’analisi del comportamento dei sanitari, iniziando con il ricordare quanto abbiamo già detto circa i diversi ruoli ed i diversi compiti [21]. Così, ad un primo approccio con l’ostetrico, seguirà un momento ultraspecialistico, che vedrà coinvolto nella prassi quotidiana l’ecografista ostetrico e, nel ricorso al momento genetico, il genetista. Mentre ci siamo già ampiamente soffermati nel corso della trattazione sulla figura e sui compiti dell’ecografista ostetrico, per il quale in questa sede ricordiamo come sia necessario un allenamento quotidiano all’indagine, indispensabile per la dovuta esperienza e soprattutto per il periodico aggiornamento; per quanto attiene al momento genetico, è doveroso soffermarsi a delinearne con maggiore particolarità i diversi ruoli. Così, per l’ostetrico il momento del ricorso ad una consulenza prenatale è naturalmente diverso nel caso in cui si realizzi in una gravidanza medicalmente assistita da quello di una donna che perviene al medico già da gestante. Nel primo caso l’obbligo del sanitario è quello di prospettare l’opportunità di indagini genetiche, nel secondo saranno le caratteristiche contingenti a prospettarne la motivazione e la opportunità. In entrambi i casi la consulenza prevede tre fasi: un momento pre-diagnostico che potremmo identificare in un momento medico informativo; un secondo momento rigorosamente tecnico, un terzo momento post-diagnostico comunicativo. La prima fase prende in esame l’accezione di quegli elementi che possono spingere ad eseguire quelle indagini che si ritengono necessarie a tutela della qualità di vita del nascituro, illustrando quanto abbiamo già detto in tema di possibilità, tempi di esecuzione, rischi, false positività e negatività, e quant’altro utile per una informazione completa, presupposto al consenso. Si è già detto, infatti, come l’informazione debba essere partitica ed il consenso all’atto debba essere il risultato di una comunicazione finalizzata a esplicare i perché e, contestualmente,“ad aiutare gli individui affetti o a rischio di una malattia ereditaria”. Tale comunicazione inizia a livello ostetrico, e sarà perfezionata da

Art. 13 L. 40/04 comma 3 punto b): “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, sono diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminare caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo”. 11 Così l’art. 4 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, relativo all’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, prevede che la donna possa ricorrervi qualora si riscontrino quelle circostanze per cui la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione non solo al suo stato di salute, ma anche alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. Viene cioè privilegiato l’interesse della donna ad una maternità cosciente e desiderata, rispetto all’interesse collettivo della natalità; circa la previsione di anomalie e malformazioni del concepito.

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parte del genetista, cosi come il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) espressamente prevede. Per vero, il CNB così si esprime per l’attuazione delle indagini genetiche predittive, noi non vediamo, dopo quanto detto in precedenza, difformità di orientamento anche perché il genetista prospetterà le possibilità terapeutiche per alcune patologie e quant’altro possa contribuire ad aiutare la gestante e la coppia nel suo insieme per le decisioni conclusive. Passando al momento tecnico, va precisato che l’informazione compete al genetista medico, che si soffermerà non solo sullo scopo e sui rischi, ma anche sulla possibilità di risultati inattesi, sulle ripercussioni psico-fisiche. La consulenza genetica, a sua volta, potrà essere integrata da diversi specialisti che apporteranno il contributo cognitivo sulla patologia eventualmente sospettata o ricercata; sarà così necessario fornire tutte le informazioni mediche sul probabile momento d’insorgenza e decorso della malattia, sugli interventi terapeutici ed assistenziali disponibili; e questa consulenza dovrà anche prospettare il rischio che il nascituro, ancorché sano, possa ritrasmettere la malattia. Accettata l’indagine, la fase operativa tecnica inizia col prelievo (villi, liquido amniotico, ecc.), naturalmente eseguito da un ostetrico, a cui segue l’indagine laboratoristica, esclusiva competenza del biologo genetista a cui egualmente compete l’interpretazione del risultato e, in una certa misura, la comunicazione alla coppia. È buona prassi, quindi, che una tale indagine veda un momento di contatto diretto fra coppia o gestante e genetista, non demandando a quest’ultimo il solo momento esecutivo delle indagini di laboratorio. Un tale confronto esalta quel supporto psicologico che si può rendere necessario nel momento in cui si affronta un accertamento che può essere traumatizzante per la coppia. Pur non approfondendo gli aspetti tecnici che, peraltro, difficilmente vengono chiamati in causa, non possiamo non segnalare la sussistenza di un margine di errore interpretativo così come in un caso di nostra osservazione in cui una delezione cromosomica veniva mascherata da concorrenti traslocazioni che non ne rendevano visibile o comunque esaurientemente visibile l’alterazione12; si tratta in questi casi di una omes-

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sa diagnosi certamente escusabile, mentre alterazioni evidenti non diagnosticate configurerebbero una chiara responsabilità esecutiva o interpretativa. Ci rendiamo conto della aleatorietà del concetto di “evidenza delle alterazioni”, e dobbiamo necessariamente rifarci all’ulteriore concetto di quella “generica media conoscenza” di chi esplica una attività altamente specialistica che, nella fattispecie, deve caratterizzarsi per un alto senso di responsabilità in considerazione delle conseguenze che una “negligenza” può apportare. Errori nella fase tecnica possono derivare dal prelievo, dalle modalità di conservazione del campione, che possono renderlo inutilizzabile per l’accertamento (dallo studio della mappa cromosomica a quello soprattutto dalla fase interpretativa). Per quanto attiene poi alla ricerca genica, necessariamente orientata verso il sospetto diagnostico, massima diligenza si impone per quelle patologie di cui già oggi si conosce il gene responsabile. Non esiste una mappa completa delle patologie genetiche, ma di quelle per le quali è possibile risalirvi, ove nella storia familiare vi fosse una indicazione ad indagare, negligente sarebbe l’omettere una tale ricerca. Ci rendiamo conto dell’alto costo dell’indagine e quindi bisognerà valutare accuratamente il rapporto rischio-costo/beneficio. Segue, infine, la fase della comunicazione del risultato in cui il genetista-medico, a nostro avviso, alla risposta citogenetica dovrà abbinare anche le possibili patologie; a lui competeranno, in un diretto rapporto con la coppia, anche quelle informazioni, avendo cura di alleviare il disagio che la risposta può arrecare, disagio per una gravidanza desiderata che può essere interrotta, o per una gravidanza voluta con quel partner e non realizzabile, o comunque ad alto rischio, e in ogni caso per la perdita della speranza di un figlio sano. In mancanza del genetista medico, questa fase informativa competerà all’ostetrico, a cui il biologo-genetista invierà il risultato. È opportuno, a questo punto, segnalare che, pur vertendosi in indagini ripetibili, è buona prassi conservare i vetrini per eventuali ulteriori risvolti clinici e medico-legali. La comunicazione dovrà essere resa adeguandosi non solo al livello culturale dell’utente, ma anche tenendo con-

12 Si trattava di una indagine su prelievo da amniocentesi con referto di assenza di anomalia cromosomica numerico-strutturale; il neonato presentò una sindrome da cri du chat; l’analisi in corso del conseguente contenzioso consentì di evidenziare la delezione del braccio corto del cromosoma 5 - camuffata da una traslocazione che coinvolgeva il cromosoma 6 - per cui si ipotizzava una responsabilità del biologo genetista. Il confronto vedeva contrapposte le posizioni di accusa e difesa nella valutazione da assegnare alla annessa diagnosi citogenetica, stante per l’appunto un difetto complesso di non facile diagnosi.

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to della sua personalità, magari con l’ausilio di uno psicologo [22]. Come si vede, la responsabilità nella consulenza genetica può avere due momenti: quello deontologico legato al consenso ed alla informazione e quello tecnico. È raro che una tale consulenza possa determinare un danno per errore diagnostico, ma l’esperienza professionale ci insegna che anche ciò è possibile. Così, ad esempio, in un caso di talassemia di nostra osservazione, in una coppia con conoscenza della recessività della donna, che avrebbe imposto una indagine sulla emoglobina del partner (paragonabile ad una indagine genetica), all’omissione di tale esame - che in generale costituirebbe di fatto un comportamento negligente o/e imperito - venne, nella fattispecie, ricondotto casualmente l’evento. Ci domandiamo se l’omissione di un’indagine genetica nel sospetto anche larvato di una patologia possa costituire da parte dell’ostetrico atto omissivo, trasgredendo al dovuto in quella fase della prestazione sanitaria che caratterizza per l’appunto la prevenzione. Ci si chiede, in altri termini, se deve essere il sanitario a suggerire l’indagine, ovvero se l’ostetrico debba essere sollecitato ad indagare; la risposta non può che essere demandata alla corretta informazione che un ostetrico deve affrontare come momento caratterizzante la sua opera nell’assistenza ad una gestazione. Se è prassi per le gestanti a rischio prospettare l’opportunità di una amniocentesi nelle condizioni che abbiamo innanzi riportato, egualmente riteniamo doveroso in una gravidanza medicalmente assistita che l’ostetrico prospetti alla coppia l’opportunità di una consulenza genetica che caldeggerà tanto di più, quanto più si dovesse rendere conto di un probabile rischio. Ovviamente la responsabilità di un errore del risultato non potrà farsi ricadere sull’ostetrico il quale il più delle volte non potrà comprovare clinicamente la predisposizione alla malattia. Maggiori responsabilità si vedono viceversa configurabili nell’approccio ecografico, laddove si studia, abbiamo visto, lo sviluppo e le eventuali malformazioni fetali. In questa metodica è necessario rispettare i tempi e le modalità di esecuzione, essendo essa idonea a mostrare, in base allo sviluppo ed alla progressiva formazione e maturazione degli organi, quelle difformità che possono costituire il presupposto del diritto della donna di sapere, a cui condizionare scelte. Così, lo studio parte dall’embrione che comincia ad essere facilmente riconoscibile alla 7ª settimana e che nel tempo vede arricchire il reperto visivo con la visione del cordone ombelicale, dalla 8ª settimana sino alla 10ª settimana, quando possono essere evidenziati la maggior parte degli organi. Nel I trimestre è di particolare importanza, soprattutto lo studio dell’utero materno che, se malformato, può costi-

tuire causa di aborto. Nello stesso periodo non manca, inoltre, la possibilità di sospettare mediante il rilievo di markers ecografici, gravi patologie come la sindrome di Down; l’ecografia, infatti, tra la 11ª e la 14ª settimana attraverso la misurazione della translucenza nucale in associazione all’età materna, consente di identificare il 75% di gravidanze trisomiche con un 5% circa di falsi positivi ed indagando anche sulla assenza/presenza dell’osso nasale, la sensibilità del test di screening aumenta all’85%. Inutile dire che un tale screening nel II trimestre si avvale di ulteriori indagini, passando da un test triplo ad un test quadruplo [23]. Per quanto attiene alle malformazioni fetali, va poi detto che non vi è in letteratura una unitaria visione dell’effettiva valenza di uno screening ecografico delle malformazioni congenite. Ovviamente, anche in questa metodica l’orientamento condiziona i risultati, in quanto se l’anomalia da ricercare è orientata, il test acquista una eccellente sensibilità, se viceversa l’indagine non è mirata, dovendosi provvedere ad una valutazione accurata di tutta l’anatomia fetale, si scende a seconda di vari fattori dal 34 all’85%. L’ampio range di possibilità diagnostica è dato dall’epoca a cui si riferisce l’indagine, che comporta una diversità nelle attrezzature e nella esperienza degli operatori; ciò rende poco attendibili i risultati sino agli anni ‘80. Incide, ancora, su questo ampio range la provenienza dei dati, essendovi significative difformità e ovviamente diversi risultati, nei programmi di studio; alcuni prevedono una doppia scansione nel II e III trimestre, altri prevedono una scansione solo nel II trimestre. Ancora, va detto che non tutti gli screening si attengono ad una uniforme valutazione dei risultati in quanto alcuni escludono dalla classificazione le malformazioni minori, e infine va tenuto conto dell’esperienza dell’operatore e della diversa sensibilità dei vari organi; è noto come lo studio del SNC mostri una altissima sensibilità, mentre questa è assai bassa nello studio delle anomalie cardiache che, pur essendo le più frequenti alla nascita, sono le più difficili da diagnosticare in un utero [24]. La Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica recentemente (2006) ha rinnovato pur sostanzialmente lasciandoli immodificati, gli standard minimi richiesti per una valutazione morfologica in una gravidanza fisiologica che va eseguita tra la 19ª e la 21ª settimana. Un tale screening dovrebbe essere omogeneo ed indagare l’encefalo, il rachide, il cuore con la scansione delle 4 camere, l’addome, gli arti ed il liquido amniotico; esso dovrebbe consentire di rassicurare la gestante sulla esclusione di patologie ecograficamente evidenziabili. È sovente nella nostra professione doversi pronunciare sul comportamento di sanitari per omessa diagnosi nel corso della vita in-

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trauterina; riportiamo in nota il caso a cui abbiamo già fatto cenno e che costituisce oggetto di una nostra osservazione13. Da considerare con estrema delicatezza il ruolo del medico innanzi ad una storia clinica già con un precedente figlio malformato; in questi casi, ove non si sia fatto ricorso ad una consulenza genetica che, peraltro, richiede tempi lunghi, l’indagine ecografica può costituire un elemento dirimente di estrema rilevanza e dovrà in questo caso procedersi ad una indagine estremamente accurata. Emerge così un comportamento dell’ecografista che può vedersi censurabile nella triade dei momenti di solito riferimento medico legale. Egli potrà infatti errare nella scelta dei tempi, nella scelta dei luoghi, nella esecuzione degli atti [25], in cui ovviamente rientra l’interpretazione del rilievo. Solo per quanto attiene a questi ultimi, ricordiamo che l’indagine ecografica non costituisce un esame aggiuntivo corollario, ma un esame indispensabile anche nel corso di gravidanze maturate e progredite fisiologicamente. Pertanto il protocollo di indagine nei mesi, dovrà essere eseguito nella sua interezza con accuratezza, onde evitare la mancata visualizzazione di possibili anomalie. Egualmente nella trascrizione del risultato non si potrà essere superficiali, dovendo necessariamente ricordare che l’ecografia è un accertamento in real time e, come tale, integralmente e correttamente valutabile solo dall’esecutore materiale dell’esame; ricordiamo infatti che anche la registrazione dell’indagine dipende dalle modalità di esecuzione dell’esame e la qualità delle immagini è in rapporto alle caratteristiche dell’apparecchio, alle condizioni fisiche della donna (obesità, alterazioni del liquido amniotico, ecc.) e pertanto anche il filmato può non essere delucidativo. Ci si domanda poi se anche per l’ecografia dovrà essere espresso un consenso; si tratta di una indagine non invasiva e pertanto non vediamo sorgere un tale problema anche se, innanzi ad un rifiuto, l’ostetrico dovrà astenersi. 13

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Il problema si è posto in un caso di nostra competenza, laddove una donna alla 38ª settimana di gestazione, giunta in un PS per sintomatologia dolorosa addominale dopo l’esecuzione di un tococardiogramma, che mostrava un normale adattamento del feto alla gravidanza, rifiutava qualsiasi altro controllo compresa l’ecografia, cosa che venne correttamente trascritta tra le prestazioni di PS e che nel successivo contenzioso era addotto dal consulente di parte quale momento di censura nel comportamento dei sanitari poiché l’omessa ecografia avrebbe causato l’evento danno, per non avere rilevato un oligoamnios14. Appare evidente come qualsiasi atto medico, anche non invasivo, abbia bisogno di un consenso ed il rifiuto per esimere il sanitario da ogni responsabilità dovrà essere comunque la scelta della donna informata del potenziale rischio connesso alla mancata esecuzione dell’accertamento [26, 27]. A tal proposito, autocitandoci ricordiamo come “l’ecografia è innocua e non invasiva pertanto il consenso è informale, viceversa va data informazione sui limiti diagnostici in rapporto all’epoca di gestazione... vengono riconosciuti tre livelli di competenza ecografica che pur non normativatizzati da alcun documento ufficiale, né linea guida, vengono ritenuti la base per differenti attese. Così ad un primo livello si inserisce ogni ostetrico ginecologo, anche libero professionista che con formazione adeguata esegue screening in gravidanza. Un secondo livello comprende operatori che per formazione, esperienza ed interessi scientifici gestiscono le gravidanze ad alto rischio; tali operatori devono conoscere le problematiche della medicina fetale. Il terzo livello è costituito da quei professionisti che operano nei centri di alta specialità e che hanno a disposizione quanto l’aggiornato progresso scientifico e strumentale consente” [28]. In sintesi, le ipotesi di responsabilità differiscono nei momenti a seconda che si verta in una diagnosi genetica pre-impianto per una fecondazione assistita, ov-

Ostetrica indagata per una insufficienza renale insorta a seguito di una pielonefrite su base di un reflusso vescico-ureterale. Ecogrofia morfologica eseguita alla 21ª settimana che non evidenziava segni del reflusso. Ulteriori ecografie non mirate non segnalavano detta patologia. Dopo 15 giorni dalla nascita, ipertermia, indagini, diagnosi di reflusso vescico-ureterale, idronefrosi e insufficienza renale. La diagnosi fu posta dopo una cisto-ureterografia preceduta da una ecografia che aveva confermato, sulla base della pielo-ectasia, il sospetto diagnostico. Il confronto tra l’accusa e la difesa si basava sulla pretestata incontrovertibile diagnosticabilità stante alla morfologica e, a maggior ragione, alle indagini successive, l’entità del reflusso bilaterale, a sinistra inquadrabile in un IV-V grado. La difesa sostenne, in base al principio di una ecografia quale indagine a valenza estemporanea, che non era necessariamente evidenziabile la malformazione, supportando tale tesi con bibliografia che riporta la incostanza del reflusso vescico-ureterale per cui, nell’esecuzione dell’indagine, non era rilevabile necessariamente. 14 Il caso nasceva per la morte intrauterina del feto insorta 4 giorni dopo l’accesso al Pronto Soccorso e prendeva origine dal fatto che la gestante, per la comparsa di dolori addominali, si recava in un Pronto Soccorso ove, dopo la CTG, il sanitario prospettava alla donna la necessità di una visita ostetrica e di una ecografia rifiutate dalla donna, che portarono il sanitario a non ricoverarla stante i risultati della CTG. I sanitari vennero accusati di omesso ricovero. Accusa e difesa si confrontarono sulle procedure che devono essere rispettate per il ricovero; in particolare si dibatteva sull’indispensabile preliminare rilievo obiettivo che avrebbe consentito di rilevare un quadro suggestivo/deponente di complicanze materne ancora non incidenti sul feto (gestosi iniziale). Egualmente, l’ecografia avrebbe mostrato patologie degli annessi (oligoamnios) che avrebbero imposto il ricovero, non essendo un tracciato CTG normale dato utile ad imporre una degenza per un monitoraggio in ospedale.

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vero di una gestante con gravidanza già in atto. Nel primo caso il procedimento diagnostico, sia nella fase della informazione sia in quella tecnica operativa, che della comunicazione compete al genetista medico. Eguali obblighi comportamentali investono il genetista medico per la consulenza genetica, e l’ostetrico per il suggerimento della indagine in presenza di una anamnesi sospetta, le informazioni sul rischio per la gravidanza, e gli atti di prelievo. Non vi è dubbio che il non prospettare la concreta probabilità di una diagnosi prenatale, costituisce un comportamento meritevole di censura che potrebbe vedere i genitori convenire in giudizio il sanitario per il “danno ricevuto” [29]. Per quanto attiene l’ecografista, viceversa, poiché questa è una indagine di routine entrata nella comune accezione, più che nella fase di informazione, ipotesi di responsabilità si vedono configurabili nella esecuzione e nella interpretazione dei dati, evento che vede un alto numero di processi in cui i genitori ritengono di non essere stati correttamente informati della evidente malformazione. Si scivola così sul problema del danno; ci si domanda se può riconoscersi l’obbligo di un risarcimento per un sanitario responsabile della nascita di un figlio disabile per omessa diagnosi in gravidanza. Il dilemma coinvolge la coscienza per l’aprioristicamente irrisolvibile problema se far prevalere la vita, o la qualità di vita.Assodato che non potrà assolutamente riconoscersi responsabile il medico della menomazione di cui sarà portatore eventualmente il nascituro - e le sentenze sono univoche al riguardo - non essendo la patologia causata da un suo comportamento imperito, imprudente o negligente, ci si domanda se l’individuo possa far valere un teorico diritto di nascere sano. È un problema ancora irrisolto e che comunque ottiene risposta negativa nelle aule giudiziarie; per vero, trapela in alcuni atti di citazione che, al di là del danno biologico, morale e patrimoniale dei congiunti, si prospetta il risarcimento per i disagi del figlio malato. Negli Stati Uniti vi è già qualche richiesta di risarcimento da parte dei figli nei confronti dei genitori che, edotti sul rischio che gravava sul figlio, non avevano ritenuto opportuno procedere alla interruzione della gravidanza. Si tratta, allo stato, certamente di una esasperazione dei principi che il diritto risolve comunque con le leggi vigenti e sulla base della maturità giuridica e sociale contingente; non mancheranno innovative modifiche con l’evoluzione culturale che risente e fa risentire le impostazioni giuridiche degli altri Paesi. Non si può certo ignorare l’influenza delle diverse culture che in una civiltà mediatica con la diffusione della notizia in tempi reali, la promiscuità etnica agevola l’assorbimento di principi ri-

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Cass. Civ. III Sez. Sentenza n. 16123 del 14/07/2006.

conosciuti nei Paesi esteri che lentamente ma progressivamente fanno breccia sulle decisioni di magistrati di altri Paesi, giungendo a soluzioni giurisprudenziali che precedono il diritto con il risultato di vedere riconosciuti presunti diritti prima ancora di norme codificate. È, ad esempio, quanto è successo per l’affermazione del riconoscimento del danno biologico ed ancora per ogni altra forma di danno che ha visto la giurisprudenza di merito imporre al diritto la interpretazione delle norme codificate e liceizzanti le sentenze innovative [30]. A tal riguardo va ricordato come una sentenza della Cassazione francese ammetteva il diritto al risarcimento di un ragazzo affetto da grave ritardo mentale, cecità, sordomutismo, cardiopatia, secondarie a rosolia contratta dalla madre durante la gestazione (Ass. Plen. del 17/11/2000) sostenendo che lo stesso, sulla base dell’entità delle menomazioni, informato della qualità di vita a cui sarebbe stato costretto, certamente avrebbe preferito non nascere. In materia una recente sentenza della Suprema Corte15 si esprime affermando che nel nostro ordinamento giuridico non è previsto il diritto a non nascere, essendo garantito il diritto alla vita. Il caso verteva sul mancato ricorso alla IVG nel II trimestre di gestazione per omessa diagnosi di gravi malformazioni fetali. La Corte si espresse interpretando il disposto della legge 194/78 come una tutela rivolta alla salute della donna nell’ipotesi che tali patologie fetali determinassero un grave pericolo per la sua integrità psico-fisica [31]. Un sicuro diritto del nascituro per omessa diagnosi nasce dall’eventuale impedimento a trattamenti terapeutici nella vita intrauterina o nella immediatezza della nascita che si rendessero necessari per evitare un maggior danno o addirittura idonei a contenere la malattia ad uno stato silente, potendo in questo caso parametrare a quanto avviene nella routine clinica per una omessa diagnosi, cui consegue un danno derivante dalla conseguente omessa terapia. Va precisato, a tal proposito, la differenza delle attese per un trattamento nella vita intrauterina che, a nostro modo di vedere, oggi è da considerare ancora sperimentale e, di conseguenza, la precarietà del risultato configurerebbe un atto cui consegue un danno certamente rientrante fra quelli meritevoli di essere risarciti. Si impone qui precisare che diverso è il giudizio in ambito penale, laddove il riscontro della effettiva responsabilità del medico è ispirato a maggior rigore probatorio. Tale orientamento è costante nei casi in cui il comportamento sia di tipo omissivo come ovviamente avviene il più frequentemente in campo di diagnostica prenatale, laddove i principali motivi di controversie giudiziarie attengono ad omes-

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se o ritardate diagnosi. In questi casi, alla luce della nota sentenza a Sezioni unite n. 30382/0216, per ammettere la responsabilità professionale per comportamenti omissivi, è richiesta una certezza processuale che si basi su di “un elevato grado di credibilità razionale e di probabilità logica e dedotta al di là di ogni ragionevole dubbio”. Bisognerà ovviamente riferirsi alle concrete possibilità terapeutiche del trattamento ipotizzabile e non attuato. Per il riconoscimento di una responsabilità penale, sarà necessaria una previsione “oltre ogni ragionevole dubbio” di un diverso evento. Il ragionevole dubbio è dato dalle leggi scientifiche sulla base non di una generica presunzione, ma di significativi valori statistici. In civile, viceversa, è sufficiente la probabilità di un diverso risultato per vedere riconosciuto un diritto - ovviamente proporzionato all’indice di probabilità. Tale diverso orientamento nei vari ambiti in cui viene espresso il giudizio, si spiega con il fatto che mentre in civile, in presenza di elementi fortemente suggestivi di un ruolo causale o concausale di un comportamento medico incongruo nella produzione di un danno, si preferisce privilegiare il diritto del leso ad essere risarcito per il danno ingiusto subìto, in ambito penale, viceversa, si predilige la certezza che l’evento sia conseguenza dell’atto incongruo, nei cui confronti, per poter procedere alla sanzione penale, è richiesta la certezza processuale [32] (vale lo storico detto: in civile in dubio pro leso ed in penale in dubio pro reo). Viceversa per quelle patologie che abbisognassero di un trattamento immediato nel post-nascita con buona possibilità risolutiva, l’omessa diagnosi prenatale configurerebbe un atto a cui consegue un danno certamente rientrante tra quelli meritevoli di essere risarciti. In altri termini, i diritti del nascituro, pur se ispirati ad un auspicabile principio di assoluto benessere, non sono violati dalla omessa diagnosi, sia se consegue ad un mancato suggerimento di accertamenti, che per errore diagnostico, mentre un tale comportamento vede violare il diritto del nascituro ad un tempestivo intervento terapeutico che costituisce di fatto una colpa per omissione. Al di là del nascituro, sempre più frequentemente nelle aule giudiziarie ricorrono richieste di danni per i congiunti. Si tratta di diritti diversi che attengono alla coppia e sempre più spesso agli altri componenti il nucleo familiare. Il prioritario e sempre riconosciuto diritto di essere tempestivamente informati per adeguare al grado della patologia la scelta eugenica e contestualmente per consentire una conoscenza alla madre in tempi utili ad una interruzione di gravidanza. È un diritto sancito e riconosciuto presso-

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Cass. Pen. Sez. Unite del 10 settembre 2002.

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ché universalmente dai magistrati e che costituisce il presupposto per altri diritti, identificabili in un non sempre presente danno biologico nei componenti il nucleo familiare in cui viene ad inserirsi un figlio malformato o, peggio, portatore di gravi patologie comunque diagnosticabili nel corso della gravidanza. È ancora dibattuto se l’evento indesiderato sia idoneo a configurare un danno biologico, un danno morale e/o un danno esistenziale, al di là del danno patrimoniale diretto. Premesso che per danno biologico deve intendersi quel turbamento psico-fisico relazionale peggiorante lo stato anteriore, appare evidente che il permanente turbamento psichico debba di fatto rientrare nel danno biologico. Perché esso si possa configurare è necessario peraltro che venga comprovato un processo patologico, di natura verosimilmente psichica, che impronta ad una depressione maggiore e che, pur di natura esogena come che reattiva, innesti un turbamento permanente coinvolgente alcune sfere della psiche soprattutto attinenti al relazionale, verso se stessi, verso il lavoro, verso gli altri. Un tale turbamento può trovare spunto anche in sensi di colpa ritenendosi causa delle patologie del figlio. Più frequentemente e forse più correttamente il verificarsi di un tale evento, a nostro modo di vedere, configurerebbe un danno esistenziale in quanto la quotidianità con un figlio bisognevole di accudimento che si prevede a volte protratto per tutta la vita, muta sostanzialmente la quotidianità della coppia per cui, pur senza raggiungere la patologia, la vita è improntata ad una mestizia cronica con perdita della gioia di vivere e delle soddisfazioni del vedere il proprio figlio “crescere” [33]. Si è molto discusso se esista o meno sul piano biologico un “danno psichico” non di competenza medica, ma di competenza dello psicologo come a dire che questa mestizia cronica caratterizzante un danno esistenziale, possa determinare un turbamento psichico da considerare non patologico. Si tratta di tematiche che non possono essere risolte in questa sede, dovendosi differenziare il danno morale da quello psichico; il primo espressione di un temporaneo turbamento psichico conseguente all’evento, il secondo la cronicizzazione di un tale danno. Da medici, riteniamo che ad ogni evento traumatizzante possa innescarsi un costante danno esistenziale ed un possibile danno biologico. Al di là di questi, va considerato anche un danno patrimoniale diretto che trova riconoscimento nelle sentenze per gli oneri economici a cui il nucleo familiare è costretto per l’accudimento del figlio disabile [30]. Come si vede l’omesso accertamento, l’errore diagnostico e la mancata comunicazione, comportano la violazione di un dirit-

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to della donna di conoscere e decidere; dalla violazione di tale diritto si possono configurare un danno al nascituro, non tanto nella nascita, quanto nell’impedimento a tempestive terapie con diagnosi precoce ed un danno ai congiunti che, al di là del danno patrimoniale diretto, comporta un danno esistenziale ed un non costante, ma sempre possibile, danno biologico. Va da sé che perché si possa parlare di responsabilità è comunque necessario che si verifichi un danno causato da un comportamento colposo; nella fattispecie quest’ultimo trova maggiore difficoltà interpretativa per la delicatezza delle indagini, la difficoltà della diagnosi che va comunque rapportata al tempo di esecuzione, laddove una incongruità cronologica può giustificare una omessa diagnosi, mentre sempre più frequentemente si auspica - e la giurisprudenza si adegua il diffondendo principio del diritto ad una uniforme qualità di prestazione sul territorio nazionale. Riteniamo a questo punto chiudere il capitolo riportando alcune sentenze relative a questo tema. Numerose sono le sentenze che dall’entrata in vigore della L. 194/78 hanno visto evolvere il pensiero della giurisprudenza con il riconoscimento di sempre più specifici diritti [34], differenze che ovviamente vengono più ampiamente giustificate allorché la gravidanza non desiderata è connessa a patologie non diagnosticate. Così, se nel 1983 il Tribunale di Roma affermava, innanzi al quesito se la nascita di un figlio non voluto potesse costituire un danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043, che “la nascita di un figlio rappresenta un dono di inestimabile valore”, nel 1986 il Tribunale di Padova iniziava a riconoscere come danno risarcibile la nascita di un figlio conseguita ad un insuccesso del trattamento di interruzione di gravidanza. La motivazione del Tribunale riconosceva il diritto ad un risarcimento per i disagi di una gravidanza avvenuta in un momento poco opportuno. Ciò avveniva in seguito ad insuccessi di terapie sterilizzanti mentre, in merito all’errore diagnostico, la dottrina giuridica ha iniziato a far trapelare la possibilità di riconoscere ad una nascita indesiderata un “costo patrimoniale e morale” quando detta nascita è la conseguenza di atti illeciti di terzi (Rocco G. Riv. Dir. Civ. 28, 516, 1982). Da quei tempi il diritto e la giurisprudenza sono andati di pari passo sino alle sentenze attuali che affrontano il problema di princìpi ormai radicati quali il diritto-dovere di informazione, a cui abbiamo già fatto cenno, dalla cui omissione derivano danni meritevoli di ristoro. Così merita di essere segnalata la sentenza del Tribunale di Roma del 13/12/1994 che vede riconoscere una responsabilità dell’ecografista nella omessa rilevazione di una malformazione del nascituro. Tale sentenza è rilevante in quanto, oltre ad affermare violato il diritto alla conoscenza della donna per una autonoma scelta, vedeva

riconoscere anche un danno biologico che per vero il commentatore della sentenza (Conte Dir. Fam. Pers. 24, 662, 1995) afferma essere stato riconosciuto senza prova di una vera e propria patologia che abbiamo visto essere indispensabile per il concretizzarsi di un danno biologico. Va da sé che di fatto si apre con questa sentenza ad una mediazione fra turbamento dell’integrità psico-fisica preesistente e danno esistenziale. Dello stesso periodo altre sentenze rilevanti, così quella del Tribunale di Bergamo del 2/11/1995, che afferma derivare dalla mancata informazione di una patologia, la violazione del diritto di una autonoma decisione, indipendentemente dal fatto che la conoscenza ex-post della patologia del nascituro non aveva creato un turbamento psico-fisico della donna. In altri termini, in questa sentenza si supera il principio di una interruzione della gravidanza frutto di una comprovata patologia materna nel conoscere la malformazione fetale e le conseguenze della mancata scelta diventano di per sé il presupposto per un ristoro a causa di disagi ed impegni non programmati. La Corte di Cassazione Penale, allorché iniziò ad interessarsi dell’errore diagnostico prenatale (sentenza n. 3599 del 18/04/1997 VI Sez. Penale), identifica la responsabilità nel violato obbligo di informazione. In ambito civile, con la sentenza n. 12195 del 1 dicembre 1998 si afferma che allorché possa essere dimostrato che, conosciute le patologie fetali la donna avrebbe “effettivamente” abortito, alla nascita di un bimbo malformato automaticamente si concretizza il diritto al risarcimento del danno biologico, del danno esistenziale e del danno economico. Trattandosi di un giudizio di presunzione ex-post, va da sé che l’elemento dirimente sarà costituito dalla entità della patologia. In altri termini la giurisprudenza va sempre più orientandosi per il riconoscimento del diritto alla conoscenza, che si tramuta nel ristoro di un danno aperto al danno alla salute. Problemi più articolati nascono dalla omessa diagnosi, a cui consegue la nascita di un figlio malformato, ma che non comporterebbe un evidente processo patologico alla madre. Una sentenza di I grado del Tribunale di Perugia aveva riconosciuto in questo caso solo una modesta cifra giustificata dal danno biologico patito dai genitori privati della possibilità di un graduale adattamento ai disagi. Detta sentenza fu modificata dalla Corte di Appello che riconobbe all’evento (figlio invalido al 100%) un concorrente sicuro trauma psichico meritevole di ben altra valutazione. Sullo stesso argomento la Suprema Corte torna a pronunciarsi con sentenza n. 6735 del 28 febbraio-10 maggio 2002 in cui, sebbene sottolinea nuovamente l’importanza di accertare la ricorrenza dei presupposti di legge (ex art. 6 L. 194/78), viene ammessa la ipotesi che

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la donna, qualora informata sulle condizioni patologiche del feto (nella fattispecie affetto da sindrome di Apert), avrebbe con elevata probabilità fatto ricorso all’interruzione di gravidanza, in base alla considerazione che gli esami diagnostici ai quali la stessa si era sottoposta nel corso della gestazione erano volti proprio alla conoscenza della sussistenza di eventuali anomalie o malformazioni fetali, nell’ottica presumibile di una interruzione della stessa [18]. Come abbiamo visto, sono assai numerose e non univocamente orientate le sentenze in materia, in quanto si verte sostanzialmente su di un giudizio di presunzione. Non è infatti possibile affermare ex-post quella che sarebbe stata la scelta della donna. Le diverse posizioni interpretative della giurisprudenza di merito sono principalmente incentrate sulla questione se per veder configurato il diritto della donna al risarcimento fosse indispensabile accertare la sussistenza di un danno alla salute della madre, ovvero se fosse sufficiente appellarsi al pregiudizio arrecato alla donna relativamente alla sua possibilità di autodeterminazione, essendole stata negata la possibilità di scegliere se proseguire od interrompere la gravidanza. Comunque, ogni orientamento giurisprudenziale sembra diretto alla tutela del nucleo familiare che, in presenza di un bambino disabile e bisognevole di assistenza e cure del tutto particolari, può trovare un supporto economico; prevale cioè la tutela sociale ed il principio di solidarietà. Una eventualità del tutto eccezionale è quella di un medico che decida deliberatamente di non informare la donna sulla condizione patologica riscontrata nel feto ovvero di fornirle una informazione per non traumatizzarla o per diverso altro motivo (ad esempio per scadenza dei termini di Legge per poter procedere alla IVG). In questi casi potrebbe invocarsi una colpa specifica per inosservanza di obblighi, leggi e discipline, in forza dei diritti dei cittadini elencati all’allegato 8 della Carta dei Servizi pubblici sanitari che con DPCM del 19 maggio 1995 si è vista pubblicata sul supplemento ordinario della GU del 31 maggio 1995. Tra questi sono menzionati il “diritto a ricevere una diagnosi accurata e coscenziosa” ed il “diritto ad avere informazioni corrette, chiare ed esaustive sulla diagnosi [32]. Un’ultima riflessione va posta alle problematiche connesse agli accertamenti nella fase terminale della gravidanza. Ci riferiamo a quelle indagini in prossimità del parto e degli ultimi due mesi di gravidanza che possono, se correttamente eseguite ed interpretate, evitare il rischio di patologie neurologiche, centrali e periferiche, tossiche e infettive per il feto. Si tratta di quegli accertamenti sulla madre e sul feto che sono espletati di routine, ma non riteniamo che essi possano costituire argomento rientrante nel tema gene-

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rale discusso; essi hanno rilevanza sulla scelta delle modalità operative da seguire per l’espletamento del parto, essendo il più spesso il danno conseguente ad una incauta scelta. Ricordiamo fra queste l’amniocentesi tardiva, gli accertamenti per valutare la maturità ed il benessere fetale mediante il profilo biofisico e comportamentale del feto che si ottiene dal monitoraggio dei movimenti, la cardiotocografia fuori dal travaglio, la valutazione del liquido amniotico e la flussimetria doppler. Si tratta, peraltro, di accertamenti che sono finalizzati ad una valutazione sulla scelta sulle modalità e sui tempi del parto perché possano evidenziare una sofferenza ed un cattivo adattamento di un feto sano per patologie intercorrenti legate alla gravidanza per lo più a genesi materna od annessiale. In conclusione ci è sembrato interessante, a titolo di esempio, riportare un modulo di informazione per il consenso, così come proposto dalla SIGU (Società Italiana di Genetica Umana) per la diagnosi citogenetica prenatale su cellule del liquido amniotico.

Modulo di consenso informato per amniocentesi (SIGU) L’indagine citogenetica prenatale ha lo scopo di accertare la presenza di anomalie cromosomiche numerico e/o strutturali (indicare uno o più esempi). Esistono difetti congeniti che, non essendo associati ad anomalie cromosomiche, non possono essere diagnosticati mediante l’analisi citogenetica prenatale (indicare uno o più esempi). In rari casi non possono essere stabilite con certezza le conseguenze cliniche associate ad una anomalia cromosomica, i chiarimenti del caso saranno forniti in sede di consulenza.

Trattamento del campione La componente cellulare del liquido amniotico viene raccolta e suddivisa in più colture indipendenti. La quantità minima di campione necessaria per l’allestimento delle colture è di 10 ml, quella ottimale è di 16-18 ml. Il successo delle colture cellulari è in relazione al numero di cellule vitali presenti nel campione.

Diagnosi 1. I criteri utilizzati per l’indagine citogenetica sono quelli raccomandati dalle linee guida della Società Italiana di Genetica Umana e del Gruppo Europeo di Studio sulla Diagnosi Prenatale.

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2. In caso di riscontro di due o più linee cellulari con diverso cariotipo (mosaico) può rendersi necessaria una ulteriore indagine citogenetica su altro campione. In questa circostanza la paziente viene informata, in sede di consulenza genetica, riguardo alle possibilità di approfondimento diagnostico. 3. L’impossibilità di pervenire ad una diagnosi può verificarsi in rarissimi casi, per motivi generalmente correlati ad una ridotta crescita delle cellule in coltura oppure alla massiva presenza di sangue o meconio. 4. È possibile che il risultato richieda, per una sua più corretta interpretazione, l’estensione dell’esame citogenetico ai genitori o l’applicazione di indagini molecolari. 5. La qualità dei preparati cromosomici non garantisce la possibilità di individuare anomalie strutturali di ridottissima dimensione. 6. Esiste la possibilità di errore diagnostico, limitata a rarissimi casi, dovuto a discordanza fra l’esito della diagnosi citogenetica prenatale ed il carioti-

po riscontrato alla nascita. Tale discordanza può essere imputata a cause diverse: contaminazione del campione con cellule di origine materna, mosaici a bassa percentuale o presenza di anomalie cromosomiche di struttura non rilevabili con le tecniche applicate. 7. La refertazione è prevista entro e non oltre 21 giorni dalla data dell’arrivo del campione in laboratorio. La sottoscritta................................................................... informata di quanto sopra, esprime il consenso alla diagnosi citogenetica prenatale. Data: ......................... Firma: ....................................... Firma di chi ha raccolto e illustrato il consenso: ................................................................................................

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Capitolo 31 • Diagnosi prenatale:morale,deontologia e diritto • L.Palmieri,A.L.Graziussi

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26. Barni M (2003) Medicina predittiva e consulenza genetica: qualche suggerimento medico-legale in ambito particolarmente oncologico. Professione 8:22-25 27. Turillazi E, Colosi E (2004) Diagnosi ecografica di malformazioni fetali minori: momento intermedio di un complesso percorso etico-deontologico e medico-legale. Osservazioni su di un caso di diagnosi ecografica prenatale di labioschisi. Riv It Med Leg XXVI:2 28. Palmieri L, Perna L (2005) Ecografia ostetrico-ginecologica e medicina legale. In: Iaccarino M, Paladini D, Ventruto V (eds) Ecografia in ostetricia. Verduci Editore, Roma 29. Demori A, Macrì L (2002) Danno esistenziale e wrongful life. Riv It Med Leg XXIV:213 30. Fiori A, Bottone E, D’Alessandro E (2000) Quarant’anni di giurisprudenza della Cassazione nella responsabilità medica. Ed Giuffrè, Milano 31. Sirignan A (2007) Test genetici e responsabilità professionale. In: Sirignano A (ed) I test di genetica medica: etica, deontologia, responsabilità. Giuffrè, Milano 32. Buzzi F (2005) Formulazione e comunicazione della diagnosi: aspetti medico-legali e risvolti deontologico-relazionali. Riv It Med Leg XXVII:1 33. Ziviz P (2000) Il danno esistenziale. Ed Giuffrè, Milano 34. Cateni C, Fineschi V (1998) Quattro sentenze in tema di informazione alla donna gravida: un passo avanti e più d’uno indietro. Riv It Med Leg XX:138

Indice analitico

A Aberrazioni cromosomiche 17 Aborto spontaneo ricorrente (ASR) 267 alterazione della funzione tiroidea 271 deficit della fase luteale 270 diagnosi 268 diagnosi delle alterazioni del sistema immunitario cellulare nell’ASR 276 fattore anatomico 267 fattore endocrino 270 fattore immunologico 273 fattore vascolare 270 gravidanza come fenomeno Th2 274 ipotesi della vicinanza antigenica 273 patogenesi 268 ruolo delle cellule NK in gravidanza 274 ruolo delle cellule T in gravidanza 275 terapia 269, 276 Aborto tubarico (v. gravidanza ectopica tubarica) Accrescimento fetale valutazione 5 Acheiria 104 Acido desossiribonucleico (DNA) 31 Acido folico 399 Acidosi fetale (v. monitoraggio delle condizioni fetali e sofferenza fetale) Acondrogenesi 106 Acondroplasia 107 ADAM 12 219 Adrenoblastoma 203 AFI (Amniotic Fluid Index) 451, 461 AGA 497 Agenesia del corpo calloso 89 renale 195 Agonisti beta-adrenergici uso nella prevenzione del parto pretermine 491 Albero genealogico 47 Alcool abuso in gravidanza 546

Alfa-fetoproteina (AFP) 76, 212 sindrome di Down Alloimmunizzazione materno fetale RH 359 protocollo diagnostico-terapeutico 362 screening sierologico anticorpale 362 Amartoma della parete toracica 242 epatico 244 Amelia 104 Amniocentesi genetica 55 complicanze 58 counceling e indagini preliminari 56 indicazione 57 tecnica 56 Amniocentesi complicanze 58 evacuativa (o amnioriduzione) 261 precoce (o EA, Early Amniocentesis) 58 Anemia fetale 364 alfa talassemia 371 alloimmunizzazione 359 deficit di G6PD 371 idrope non immunologica 367 sindrome da trasfusione feto-fetale (TTTS) 371 terapia 362, 379 trasfusione feto-materna cronica 371 Anencefalia 99 Aneuploidie 33 Aneurisma vena di Galeno 95, 240 Anfetamine e gravidanza 548 Angioma 122 Anomalie cardiache fetali (v. cardiopatie congenite) cromosomiche (v. cromosomi umani) embriogenesi 103 scheletriche o displasie scheletriche (ds) 103 Apgar punteggio di 445 Apodia 104

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Apoptosi implicazione nell’ASR 286 Apparato cardiocircolatorio fetale malformazioni (v. cardiopatie congenite) studio ecografico dello sviluppo 4 Apparato digerente fetale malformazioni (v. malformazioni gastrointestinali) studio ecografico dello sviluppo 5, 171 protocollo di studio 171 Apparato gastroenterico fetale malformazioni (v. malformazioni gastrointestinali) studio ecografico dello sviluppo 5 Apparato scheletrico malformazioni (v. anomalie scheletriche) studio ecografico dello sviluppo 4 Apparato urinario fetale malformazioni 193 studio ecografico dello sviluppo 6 Apparato urogenitale 193 anomalie 193 cenni di embriologia 193 Aritmie cardiache fetali 164, 370 terapia antiaritmica 249 Arteria cerebrale media alterazioni flussometriche per la diagnosi di anemia fetale 364 ombelicale unica o singola 478 Artogriposi 108 Asfissia 445 Aspirazioni di cisti ovariche fetali 68, 205 Associazioni additive 17 Atosiban 492 Atresia anale 174 della tricuspide (AT) 142 duodenale 174 esofagea 175 intestinale 176 polmonare a setto intatto (APSI) 146 Autocontrollo glicemico 390 B Banana sign 101 Battito cardiaco fetale (BCF) 446 Biologia molecolare in diagnosi prenatale 51 Biopsie fetali 67 di cute fetale 67 di masse fetali 67 Bitest (v. duotest) Blocco atrioventricolare (BAV) 139

Indice analitico

C Caffeina e gravidanza 546 Calcioantagonisti in gravidanza 524 nel parto pretermine 491 Camera o sacco gestazionale (SG) 8 Cardiopatie congenite 133, 138 Cariotipo 29 Cardiotocografia (CTG) analisi del tracciato cardiotocografico 405, 406 antepartum con stimolo (Stress test) 412 antepartum senza stimolo (NST) 411 computerizzata (cCTG) 413, 449, 452 in travaglio di parto 412 Cebocefalia 92, 122 Cefalocele 99 Cellule fetali ricerca nel sangue materno 69 Cellule staminali prospettiva di trapianto in utero 250 Cervice uterina misurazione nel parto pretermine 487 Chilotorace 374 Chirurgia fetale 251 tecniche 251 Chlamydia trachomatis infezione in gravidanza 311 Ciclopia 92, 122 CID (coagulazione intravasale disseminata) 325, 330 alterazioni della coagulazione nella preclampsia 325, 330 Circonferenza addominale 5 Cisti aracnoidea 95 coledocica 177 dei plessi corioidei 77, 239 mesenteriche, omentali, retroperitoneali 178, 244 ovarica 178, 205, 243 renale semplice 199, 244 Citochine proinfiammatorie 485, 486 nella genesi del travaglio pretermine 484, 485 Citomegalovirus (CMV) 372 infezione in gravidanza 301 Coartazione aortica (CoA) 151 Cocaina 547 abuso in gravidanza 547 complicanze materno fetali 547 Codice genetico 31 Colonna vertebrale studio ecografico dello sviluppo 3 Complesso di Dandy-Walker 90, 97 Consenso informato 569 Consulenza genetica 48

Indice analitico • Diag

nosi prenatale: morale, deontologia e diritto • L. Palmieri, A.L.

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Convulsioni magnesio di solfato nella prevenzione delle 335 preecampliche nell’ipertensione grave 335 Coombs test 362 Cordocentesi 64 complicanze 65 indicazioni 65 tecnica 64 Cordocentesi per la diagnosi di alloimmunizzazione RH 362, 364 Cordone ombelicale 460 nodo vero 478 procidenza 477 prolasso 477 Corticosteroidei nella profilassi dell’RDS 474 Craniofaringioma 239 Craniosinostosi 109 acrocefalia 109 scafocefalia 109 testa a trifoglio 109 Criptorchidismo 205 CRL, Crown Rump Lenght 1 Cromosomi umani 29 anomalie numeriche 33 anomalie strutturali 37 Cuore fetale normale 133 Cuore univentricolare (VU, ventricolo unico) 142

prenatale: morale, deontologia e diritto 551 Diamelia 104 Difetti congeniti 13 definizione 13 del tubo neurale (DTN) 98 classificazione 13 eziologia 17 settali canale atrio ventricolare – CAV 141 difetto interventricolare – DIV 139 Disomia uniparentale 63 Displasia 13 camptomelica o campomelica 110 mesomelia 110 renale cistica (tipo IV di Potter) 199 renale multicistica (tipo II di Potter) 197 tanatofora 111 Diritto e morale in medicina prenatale 551 Distacco intempestivo di placenta 472 Distrofia toracica asfissiante (malattia di Jeune) 113 Diuretici in gravidanza 522 Doppler-flussimetria (o Doppler velocimetria) del versamento materno 421 del versante fetale 423 in ostetricia 420 Dotto venoso 82 Duplotest (o duotest) 222

D

E

Dacriocistocele 123 Danno biologico 567 psichico 567 Datazione della gravidanza 1, 396 prima ecografia 396 Deformazioni 13 Diabete mellito classificazione 383 complicanze materne 386 embriopatia diabetica 386 eziopatogenesi 385 fetopatia diabetica 387 gestazionale (GDM) 388 OGCT nello screening del 389 OGTT nello screening del 389 preconcezionale gestione della gravida diabetica 390 gravidanza diabetica 390 monitoraggio materno fetale 390 programmazione della gravidanza 388 timing e modalità del parto 392 Diagnosi genetica preimpianto (PGD) 70

ECG fetale 455 in travaglio di parto 455 Eclampsia 337 convulsioni eclamptiche di 337 definizione e clinica 337 management e terapia 339 outcome materno e perinatale 338 Ecocardiografia fetale 133 bidimensionale 134 Color Doppler 136 doppler pulsato o spettrale 138 know-how dell’operatore in 133 requisiti tecnici e set up dell’ecografo in 133 Ecografia ostetrica 414 del I trimestre 414 del II trimestre 415 del III trimestre 416 monitoraggio delle condizioni fetali 417 Power Doppler 3D (3DPD) ruolo nella diagnosi delle anomalie vascolari fetali 439 3D/4D in diagnostica prenatale 431, 434

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diagnosi delle anomalie fetali 435 nello studio dell’encefalo fetale 87 rappresentazione di superficie/contorno 433 rappresentazione multiplanare 434 rappresentazione trasparente 433 ricostruzione dell’immagine tridimensionale 433 studio del legame materno fetale 439 studio del volto fetale 434 studio delle espressioni fetali 437 transvaginale 1, 87 visualizzazione delle strutture ossee 437 tridimensionale 88 ultrasonica 68 Ectopia renale 196 Emangioma 244 Ematocele peritubarico 504 Ematosalpinge 504 Ematotrasfusione endouterina (IVT) nella malattia emolitica fetale 362 Embriologia ultrasonica (v. sonoembriologia) Embrione 1 Embrioscopia 67 Emimelia 104 Emorragia distillante del Pozzi 504 Emorragie cerebrali 240 Encefalo fetale anatomia ecografia normale 87 Epatiti in gravidanza 310 Eredità mendeliana 17 Eroina danni fetoneonatali 547 Ernia diaframmatica 185 diaframmatica congenita (CHD) 254 trattamento endouterino 254 Espettoranti in gravidanza 531 Estriolo non coniugato (uE3) 76 Etmocefalia 92, 123 Exencefalia 99 F Faccia fetale studio ecografico 121 Farmaci e gravidanza 513 analgesici 528 antiacidi 530 antianemici 522, 523 antiaritmici 521 antiasmatici 532 antibiotici antineoplastici 532 anticoagulanti 522 anticonvulsivanti 528 antidepressivi 527

Indice analitico

antidiarroici 530 antiemorragici 523 antineoplastici 532 antinfettivi 515 antinfiammatori 528 antiipertensivi 521 antipiretici 528 antipsicotici 526 antistaminici 534 psicotropi 525 teratogeni 513 Fattore D 359 Fenotipi 15 Fetendo – chirurgia fetale endoscopica 252 Feto 1 a rischio, identificazione 446 Fetoscopia 67 FGR (v. restrizione della crescita fetale) Fibrocondrogenesi 112 Fibronectina 485, 487, 488 Fibrosi cistica o mucoviscidosi o fibrosi pancreatica 179 Fistola tracheoesofagea 175 Focomelia 104 Free beta-hCG 222 Frequenza cardiaca fetale (FCF) 406 accelerazioni 407 alterazioni 406 bradicardia 406 decelerazioni 407 tachicardia 406 variabilità 409 Fumo di sigaretta danni in gravidanza 545 G Gastroschisi 183 Geni 31 Genitali esterni malformazioni 205 studio ecografico dello sviluppo 7 Genotipo e fenotipo 29 Gestione della gravidanza diabetica 390 Golf balls 77 Gravidanza a rischio 395 schema del WHO per lo screening 395 ectopica (GE) 503 oltre il termine 404 tubarica 503 diagnosi 504 fattori di rischio 503 fertilità 508

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nosi prenatale: morale, deontologia e diritto • L. Palmieri, A.L.

management e trattamento 505 quadri clinici 504 tubarica in evoluzione (v. gravidanza ectopica tubarica) 504 dosaggio della beta-hCG 505 ecografia transvaginale di 504 segni ecografici diretti 504, 505 segni ecografici indiretti di 504 H HCG (Gonadotropina corionica umana) 209 I Idranencefalia 93 Idrocefalia 89 Idronefrosi 201, 202 Idrope fetale immunologica 364 diagnosi 362 segni ecografici predittivi 364 non immunologica (NIHF) 367, 368 eziopatogenesi 368 terapia 379 Idrotorace 374 trattamento endouterino 256 Igroma cistico 78, 241 Immunoglobuline ad alte dosi 272 anti D nella prevenzione della MEN 365 Indice di massa corporea (BMI Body Mass Index ) 395 Infezione fetale da HIV in gravidanza 306 da HPV in gravidanza 309 da parvovirus B19 in gravidanza 308, 371 intrauterina e parto pretermine 483, 485 Inibine A e B in gravidanza 217 Iniencefalia 99 Insufficienza placentare 498 tricuspidalica 82 Intestino iperecogeno 180 Iperecogenicità renale 199 Iperplasia surrenale congenita 247 terapia medica prenatale 247 Ipertelorismo123 Ipertensione cronica (CH) 317, 345 con PE sovrapposto 350 definizione e diagnosi 345 diagnosi 351 epidemiologia e fattori di rischio 350 eziologia e classificazione 345

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management e terapia 346 gestazionale (PIH Pregnancy Induced Ipertension) 315 definizione e diagnosi 316 eziopatogenesi 316 fattori di rischio 316 Ipofibrinolisi ed ASR 283 complicanze gravidiche 285 funzionamento del sistema fibrinolifico 283 polimorfismi 284 terapia 285 Ipofosfatasia 112 Ipossemia fetale 446 Iposviluppo fetale (v. restrizione della crescita fetale) di tipo asimmetrico 498 di tipo simmetrico 497 Ipotelorismo 124 Ipospadia 206 Ipotiroidismo 271 congenito 248 terapia medica prenatale 248 Isometrismi atriali 138 Isteroscopia 268 IUGR (v. restrizione della crescita fetale) L Laparoscopia 268 Liley, diagramma 362 Liquido amniotico (LA) 400, 459 composizione 460 funzioni 460 misurazione ecografia 461 produzione 459 proprietà antibatteriche 460 turnover 459 valutazione nella sorveglianza della gravidanza 401, 451 Lissencefalia (o agiria) 94 LSD danni embriofetali in gravidanza 548 M Macroglossia 125 Macrosomia fetale 388 complicanze 388 diagnosi ecografica 388, 420 Malattia adenomatoide cistica del polmone (CCAM) 242, 253 terapia prenatale 234 emolitica fetoneonatale (MEN) 360 monitoraggio Doppler flussimetrico ed ecografico 364 di Ebstein (ME) 149 di Hirschsprung 180

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erpetica in gravidanza 303 Malattie ad imprinting genomico 63 cistiche renali 196 cromosomiche 32 da papilloma virus (HPV) in gravidanza 309 genetiche 29 a trasmissione mendeliana 45 infettive in gravidanza 295 multifattoriali 48 Malformazione adenomatoide cistica del polmone 253 di Chiari II 90 di Dandy-Walker (o Dandy-Walker variant) 97 strutturale del feto II trimestre ecografia morfologica o strutturale 399 Malformazioni 13 cardiache congenite (v. cardiopatie congenite) cistiche adenomatose del polmone 372 facciali 121 fetali congenite studio ecografico (ecografia morfologica o strutturale) 415 gastrointestinali 171 scheletriche (v. anomalie scheletriche) screening precoce 11 sistema nervoso centrale 87 urogenitali (v. anomalie urogenitali) Markers ecografici di aneuploidia 224 Marijuana in gravidanza 548 Megalencefalia 94 Melanoma maligno 244 Meningo-cefalocele 99 Meningocele 99 Metabolismo difetti congeniti 374 Microcefalia 94, 105 Microftalmia 125 Micrognazia 129 Microonde 24 Mielomeningocele (MMC) trattamento prenatale del 257 Minicarico di glucosio 389 Mola vescicolare o idatiforme 466 beta h-CG nella diagnosi di 468 chemioterapia 470 cisti teuco-luteiniche 467 come causa di metrorragia 467 completa 466 coriocarcinoma 469 incompleta o parziale 466 malattia trofoblastica persistente (MTP) 468 follow-up 468

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mola invasiva 469 tumore del sito placentare 470 Monitoraggio delle condizioni fetali 405 Monosemia 33 Mosaicismo 35 confinato placentare (MCP) 61 Movimenti fetali 448 respiratori fetali 448 tecnica di Cardiff e di Sadovsky 401 N Necrosi focali 15 Nefroma mesoblastico 204, 244 Neogenesi implicazioni nell’ASR 286 Neoplasie intracardiache 243 emangioma cardiaco 243 mixoma intracardiaco 243 rabdomioma cardiaco 243 teratoma intracardiaco 243 intracraniche 238 astrocitoma 238 cisti aracnoidee 239 craniofaringioma 239 papilloma dei plessi coroidei 239 teratoma 238, 242 Neuroblastoma polmonare 242 epatico 237 Non Stress Test (NST) 449 Nuchal Translucency (NT) 223 O OGCT (Oral Challange Test) o minicarico di glucosio 389 OGTT 389 Oligodramnios 462 Oloprosencefalia 92 anomalie facciali associate a 92 Onde diatermiche 24 radar 24 Onfalocele 184 Organogenesi embriofetale studio ecografico 8 Ormoni in gravidanza 533 placentari fetali in diagnosi prenatale 209 Ossimetria pulsata 454 Osso nasale fetale 78 Osteogenesi imperfette 113

Indice analitico • Diag

nosi prenatale: morale, deontologia e diritto • L. Palmieri, A.L.

Otocefalia 126

Q

P

Quadruplo test 223

Papilloma dei plessi coroidei 239 PAPP-A (plasma proteina associata alla gravidanza) 215, 222 Parto pretermine 481 diagnosi 487 management 488 prevenzione 489 Patologie cromosomiche fetali I trimestre, metodi di screening 396 tecniche invasive per la diagnosi 397 Peritonite da meconio 181 Placenta accreta 472 increta 472 percreta 472 previa 475 Placentazione inadeguata 498 Plica nucale 77 Polidramnios 461 Poliploidie 33 Porencefalia 93 PP13 (proteina placentare 13) 218 Preeclampsia (PE) 316 alterazioni ematiche, renali, epatiche e neurologiche materne 236, 327 alterazioni fetali 327 definizione e diagnosi 317 eziopatogenesi 318 fattori di rischio 316 management e terapia 330 modificazioni cardiocircolatorie materne 325 prevenzione e profilassi farmacologica 327, 328 Pre-embrione 1 Prelievo di villi coriali o villocentesi 58 complicanze 60 indicazioni 59 mosaicismo confinato placentare 61 tecnica 58 Prevenzione dei difetti congeniti 26 prevenzione primaria dei difetti congeniti 26 prevenzione secondaria dei difetti congeniti 26 Proboscide 126 Profilo biofisico fetale (PBF) 419, 450 Proteina C attivata (APC) 280 Proteinuria diagnosi 317 Prostaglandine inibitori della sintesi nella prevenzione del parto pretermine 489 Protocollo del menagement e timing del parto nei feti IUGR 500

R

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Rabdomioma 243 Raggi X 24 Rapporti tra sistema immune e sistema emocoagulativo 286 Rene policistico di tipo adulto (tipo III di Potter) 198 Rene policistico infantile (tipo I di Potter) 196 Responsabilità professionale in medicina prenatale 562 Restrizione della crescita fetale o ritardo dell’accrescimento o IUGR o FGR 497 diagnosi 498 monitoraggio 500 screening delle gravidanze a rischio 499 trattamento 499 Rischi e risvolti etici in medicina prenatale 555 Rosolia in gravidanza embriopatia e fetopatia da 299 Rottura di tuba gravida (v. gravidanza ectopica tubarica) intempestiva delle membrane (PROM) 463 ipoplasia polmonare 465 prematurità 464 pPROM 463 rischio infettivo 464 test diagnostici 464 S Sacco gestazionale (v. camera gestazionale) Scansione “4 camere” 5 Scheletro malformazioni (v. anomalie scheletriche) studio ecografico dello sviluppo 4 Schisi facciale laterale del labbro superiore 128 mediana del labbro superiore 127 Schizencefalia 95 Screening prenatale di cromosomopatie 75 biochimico al II trimestre 76 biochimico al I trimestre 80 combinato al I trimestre 80 counseling nei test di 75 ecografico al II trimestre 77 ecografico al I trimestre 78 integrati 80 Sedativi ed ipnotici in gravidanza 527 Segno della doppia bolla 174 del limone 101

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di Duglas-Proust 504 Sequenze additive (v. associazioni additive) malformative 15 Sequestro broncopolmonare (BPS) extralobare, intralobare 373 SGA 497 Shunt toraco amniotico 373 Sindrome coste corte-polidattilia 114 da immunodeficienza acquisita (AIDS) in gravidanza 306 da trasfusione feto-fetale (TTTS) 371 di Ballantyne 360 di Beckwith Wiedemann 125 di Di George di Down 43 di Ecklin 361 di Edwards 43 di Ellis Van Creveld 115 di Klippel Feil 115 di Klinefelter 42 di Patau 43 di Pfannestiel 361 di Rethorè 44 di Roberts 116 di Turner 42 di Vater (Sindrome di Duhamel) 116 di Warkany 44 di Wolf-Hirchhorn 44 del ventricolo sinistro ipoplastico (HLH, Hypoplastic Left Heart) 154 HELLP 341 diagnosi 341 management e terapia 342 outcome materno fetale 342 Sirenomelia 104 Sistema nervoso centrale fetale 1 malformazioni 87 studio ecografico dello sviluppo 1 Sistema Oscar 80 Situs ambiguus 171 immune e s. emocoagulativo 283 inversus 138, 171 isomerico 138 solitus 138, 171 Sofferenza fetale 445 acuta 445 cronica 445 subacuta 445 Soft markers 397, 400 di cromosomopatie 77

Indice analitico

Solfato di magnesio uso del, nel travaglio di parto pretermine 489 Sonoembriologia o embriologia ultrasonica 1 Sorveglianza della gravidanza 395 alimentazione 396 antepartum, metodiche 401, 411, 416, 423 aumento ponderale in relazione al BMI 395 cardiotocografia 402 esami di laboratorio 396 flussimetria fetale 402 management delle gravidanze a basso rischio 395 numero di visite 395 Spina bifida 100 Stati comportamentali del feto 419 Stato fetale non rassicurante 445 rassicurante 445 Stenosi aortica 149 Stenosi dell’acquedotto 89 Stenosi polmonare 146 Streptococco emolitico di gruppo B infezione in gravidanza 312 Sviluppo embriofetale studio ecografico 1 T Terapia fetale 247 Teratogeni ambientali 17 di natura chimica 18 di natura fisica 24 di natura infettiva 25 Teratoma 238, 241 cardiaco 243 del collo 241 intracranici 238 sacrococcigeo (SCT) 241 trattamento endouterino del 256 Test combinato 223 di screening 75, 221 obiettivi 75 sensibilità 75 specificità 75 valore predittivo positivo 75 valore predittivo negativo 75 integrato 224 sequenziali 224 Tetralogia di Fallot (TF) 156 Tocolitici e spasmolitici in gravidanza 523, 524 uso nel travaglio di parto pretermine 489 Tossicodipendenze e gravidanza 545 Toxoplasmosi in gravidanza 295

Indice analitico • Diag

nosi prenatale: morale, deontologia e diritto • L. Palmieri, A.L.

danni fetali 296 trasmissione verticale 296 Tractocile 524 Traslucenza nucale (NT) 78 Trasposizione corretta delle grandi arterie (TGAc) 162 delle grandi arterie (TGA) 160 Treponema pallidum 372 Triplo test (o tritest) 76, 222 Trisomia 33 Trombocitopenia alloimmune del feto (AITP) terapia medica prenatale 249 con radio assente 117 Trombofilie ed ASR 277 ereditarie e ASR 277, 279 sindrome degli anticorpi anti-fosfolipidi e ASR 270, 278 Truncus arterioso (TA) 159 Twin To Twin Trasfusion Syndrome (TTTS) trattamento prenatale 260 Tumori fetali (o neoplasie fetali) 237 cardiaci 163, 370 intraddominali 243 U UE3 (estriolo non coniugato) 211 Ureterocele 202

Uropatie ostruttive 200 anomalie ureterali 200, 202 ostruzione della giunzione uretero-pelvica 200 ostruzione della giunzione uretero-vescicale 200, 201 ostruzione uretrale 200, 202 megavescica 202 valvola uretrale posteriore 202 trattamento endouterino 258 Utero setto 268 V Vaccinazioni in gravidanza 535 Vacterl associazione 175 Variabilità ampiezza 409 di breve periodo 409 di lungo periodo 409 Varicella Zoster in gravidanza 303 Velocimetria doppler fetale 451 Ventricolo destro doppia uscita (DORV) 157 Ventricolomegalia border line 89 lieve o moderata 89 severa 89 Ventricolo sinistro ipoplasico 154

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