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Italian Pages 1035 Year 2010
MANUALE DI
PROCEDURA PENALE Undicesima edizione
PAOLO TONINI Professore ordinario nell'Università di Firenze
MANUALE DI
PROCEDURA PENALE Undicesima edizione
GIUFFRÈ EDITORE
PRIMA CHE IL LIBRO SCIENTIFICO MUOIA n libro scientifico è un organismo che si basa su un equilibrio delicato. Gli elevati costi iniziali (le ore di lavoro necessarie all'autore, ai redattori, ai compositori, agli illustratori) sono recuperati se le vendite raggiungono un certo volume.
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ISBN 88- 14-15461-9
©
Cop yright Dott. A. Giuffrè Editore, S.p.A. Mila no - 2010 Via Busto Arsizio, 40 - 2015 1 MILAN O- Sito I nter net : www.giuffre.it La traduzio ne, l'adattame nto totale o parziale, la riproduzio ne co n qualsiasi mezzo (compresi i micro fìlm, i film, le fotocopie), no nch é la memorizzazio ne elettro nica, so no riservati per tutti i Paesi. Tipografia «M ORI & C. S.p.A. » - 2 1 1 00 Varese - Via F. Guicciardi ni 66
INDICE-SOMMARIO
Premessa . . . . . . . . . . Avvertenze e abbreviazioni.
XXI
XXVII
Parte Prima EVOLUZIONE STORICA DEL PROCESSO PENALE - LE FONTI
CAPITOLO I
SISTEMA INQUISITORIO, ACCUSATORIO E MISTO l. 2. 3. 4.
5. 6.
7. 8.
9. 10. 11. 12. 13.
Diritto penale e diritto processuale penale . La protezione della società e la difesa dell'imputato Sistema inquisitorio e sistema accusatorio. Sistema inquisitorio e principio di autorità . Sistema accusatorio e principio dialettico . Sistema processuale e regime politico . Sistema processuale e d efficacia . Cenni storici sul processo penale . a. Considerazioni introduttive . Il diritto romano b. c. Il periodo medioevale. Il processo penale nello Stato assoluto Il processo penale inglese . L a Rivoluzione francese e l'evoluzione del processo penale. Il sistema misto nel Code d'instruction criminelle . I codici italiani di procedura penale
l 2 4
5 8 11 12 13 13 14 15 16 18 20 22 24
CAPITOLO II
IL PROCESSO PENALE DALLA COSTITUZIONE AL CODICE VIGENTE l. 2. 3. 4.
5. 6.
I princìpi del processo penale nella Costituzione del 1948 . Le riforme parziali al codice del 1930 . . . . . . . . . . . I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale . L e linee generali del nuovo processo penale . . . . . . . . a. La separazione delle funzioni e delle fasi del procedimento b. Le indagini preliminari . . Il dibattimento . . . . . . c. d. I procedimenti semplificati L e modifiche successive a l 1989. La costituzionalizzazione dei princìpi del "giusto processo" Considerazioni preliminari . . . . . a. I princìpi attinenti ad ogni processo . . . . . . . . b. .
28 30 32 33 33 34 36 36 38 40 40 41
Manuale di procedura penale
VIII
7. 8. 9. lO.
I princìpi inerenti al processo penale . . . . . . . . . c. L'attuazione dei nuovi princìpi costituzionali . . . Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo . Le fonti internazionali del diritto processuale penale . . . . Effetti delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
44 48 49 52 58
Parte Seconda PROFILI GENERALI DEL PROCEDIMENTO PENALE
CAPITOLO I I SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO PENALE l.
Procedimento e processo . . . . . . . . li processo penale sul fatto, sull'autore e sulle conseguenze b. L'azione penale . . . I soggetti e le parti . . c. Il giudice . . Giudici ordinari e speciali. a. Giurisdizione e "giusto processo" . b. c. La competenza per materia . . d. La competenza per territorio . . . La competenza per connessione - Riunione e separazione dei procedimenti . e. Il principio del giudice naturale . . . . l I conflitti di giurisdizione e di competenza . . . . . . g. La dichiarazione di incompetenza. . h. 1. L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale . . . . . . .. l. Le sezioni distaccate del tribunale . . m. La capacità del giudice . . . . . n. L'imparzialità del giudice - Incompatibilità, astensione e ricusazione La rimessione del processo . . . . . . . . . . . o. Le questioni pregiudiziali alla decisione penale . p. Il pubblico ministero . . . . . . . . a. Le funzioni . . . . . . . I rapporti con il potere politico . b. I rapporti all'interno dell'ufficio. c. d. I rapporti tra gli uffici . . . .. e. L'astensione . . . . . . . . . . . Le procure distrettuali e la procura nazionale antimafia l La polizia giudiziaria . . . . . . . Polizia giudiziaria e di sicurezza . . a. La dipendenza dall'autorità giudiziaria b. Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. c. L'imputato . . . . . . . . . La distinzione tra imputato e indagato a. L'interrogatorio . . . . . . . . . . . . b. c. La distinzione tra l'indagato e la persona informata (possibile testimone) d. La verifica della identità fisica e anagrafica dell'indagato . . . . . . . . . e. La sospensione del procedimento per incapacità processuale dell'imputato Il difensore . . . . . . . . . . . a. La rappresentanza tecnica. . . . . . . . . Difensore di fiducia e difensore d'ufficio . b. Il difensore della persona offesa . . . . . c. Il difensore delle parti private diverse dall'imputato (es. parte civile) d. a.
2.
.
3.
4.
.
.
5.
6.
63 63 64 66 68 68 70 71 77 79 82 84 84 86 89 90 91 97 100 104 104 105 107 109 1 12 1 14 117 117 119 122 123 123 125 128 130 131 133 133 136 139 140
Indice-Sommario TI patrocinio per i non abbienti . . . . L'incompatibilità del difensore . . . . L'abbandono ed il rifiuto della difesa . g. Le garanzie per il libero esercizio dell'attività difensiva . h. La persona offesa dal reato e la parte civile. a. La persona offesa dal reato . . . . b. La parte civile. . . . . . Offeso e danneggiato nel codice del 1988 c. Altri soggetti del procedimento penale . . . . . Gli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato . a. TI responsabile civile. . . . . . . . . . . . . b. c. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria Gli enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro rappresentanti o d. dirigenti . . . . . . . . . . e.
l 7.
8.
IX
141 142 144 144 147 147 150 156 158 158 159 160 161
CAPITOLO II GLI ATII l.
Gli atti del procedimento penale Considerazioni generali . Gli atti del giudice . . . . c. Gli atti delle parti . . . . . d. TI procedimento in camera di consiglio . e. La documentazione degli atti . . . . La notificazione . . . . . . . . . . l La traduzione degli atti: l'interprete. g. Le cause di invalidità degli atti a. Considerazioni generali . TI principio di tassatività b. c. L'inammissibilità . . . . La decadenza; la restituzione nel termine . d. La nullità . . . . . . . . . . . . . e. L'inutilizzabilità . l L'atto inesistente; l'atto abnorme . g.
a. b.
2.
163 163 167 172 172 174 175 181 1 84 184 185 186 187 192 200 208
CAPITOLO III PRINCÌPI GENERALI SULLA PROVA l.
2. 3. 4.
5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
Sistema processuale e norme sulla prova . Il ragionamento del giudice: la sentenza Il ragionamento inferenziale: prova e indizio . TI procedimento proba torio e il diritto alla prova . La ricerca della prova . a. La ammissione della prova b. La assunzione della prova . c. La valutazione della prova d. L'onere della prova . Il quantum della prova (c.d. standard probatorio) . L'ambito di applicabilità delle norme sulla prova . Oralità , immediatezza e contraddittorio. Questioni pregiudiziali e limiti probatori . TI giudice, lo storico e lo scienziato . L'evoluzione del concetto di scienza
2 10 211 2 14 226 227 228 230 232 233 238 240 241 244 245 250
Manuale di procedura penale
x
12. 13.
La formulazione di una ipotesi . . . . . . . . . U n aspetto applicativo: l a prova del rapporto di causalità tra condotta e d evento .
254 255
CAPITOLO IV
I MEZZI DI PROVA l.
2.
3.
4.
5.
6.
Mezzi di prova tipici ed atipici . La testimonianza . . . a. Considerazioni preliminari La deposizione: oggetto e forma b. La testimonianza indiretta. c. d. L'incompatibilità a testimoniare . n privilegio contro l'autoincriminazione e. Il testimone prossimo congiunto dell'imputato . l La violazione degli obblighi del testimone . g. n segreto professionale . . . . . . . . . . h. Il segreto d'ufficio e di Stato; gli informatori di polizia . i. L'esame delle parti . . . . . Considerazioni generali . . . . . . . . a. b. L'esame dell'imputato . . . . . . . . . Le parti private diverse dall'imputato . c. Il contributo probatorio dell'imputato tra il diritto al silenzio e il diritto a confrontarsi con d. l'accusatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'esame di persone imputate in procedimenti connessi . . . . . . . . . e. n riscontro delle dichiarazioni rese dall'imputato connesso o collegato. l La testimonianza assistita . . . . . . . . . . . . . . . . g. h. Considerazioni sulla disciplina della prova dichiarativa . Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali a. Considerazioni preliminari Il confronto . . . . . . . b. c. La ricognizione . . . . . d. L'esperimento giudiziale La prova scientifica . a. Considerazioni preliminari: prova scientifica e contraddittorio . b. La perizia . . . . . . . . . . . . . . n consulente tecnico di parte . . . . . . . . c. d. n consulente tecnico del pubblico ministero La prova documentale . . . . . . Documento e "documentazione" . . . . . . a. La definizione di documento . . . . . . . . b. n valore probatorio del documento contenente dichiarazioni. c. Il documento anonimo . . . . . . d. La disciplina di determinati documenti . e. L'uso di atti di altri procedimenti . l I documenti illegali . . g.
263 266 266 268 270 276 279 282 283 284 287 290 290 291 293 294 295 300 303 311 3 16 3 16 3 16 3 18 320 321 321 327 341 346 347 347 348 352 353 356 357 360
CAPITOLO v I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
l.
2. 3. 4.
Profili generali. . Le ispezioni . . . Le perquisizioni . n sequestro probatorio
366 368 370 373
Indice-Sommario 5.
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni La nozione di intercettazione . . . . . I requisiti per disporre le intercettazioni . . . b. n procedimento. . . . . . . . . . . . . . . . c. I nuovi strumenti della tecnica: i tabulati telefonici . Le videoriprese .
a.
6. 7.
XI
378 378 380 382 386 388
CAPITOLO VI
LE MISURE CAUTELAR! l.
Considerazioni introduttive . La definizione di provvedimento cautelare b. I tipi di misure cautelari Misure cautelari personali e sistema processuale . . c. Le disposizioni generali sulle misure cautelari personali La riserva di legge e di giurisdizione . a. Le condizioni generali di applicabilità b. Le esigenze cautelari c. I criteri di scelta delle misure . d. L'applicazione delle misure cautelari personali . Le scelte fondamentali a. La richiesta del pubblico ministero e la decisione del giudice b. . . L'interrogatorio di garanzia . c. Le vicende successive . La revoca e la sostituzione delle misure cautelari personali . a. Le cause di estinzione delle misure cautelari personali . b. I termini di durata massima delle misure cautelari personali . c. La sospensione del decorso dei termini . d. Le impugnazioni contro le misure cautelari personali. Considerazioni preliminari a. Il riesame . b. L'appello c. n ricorso per cassazione. d. n giudicato cautelare . . e. La riparazione per l'ingiusta custodia cautelare . l Le misure cautelari reali. Considerazioni generali . a. n sequestro conservativo b. n sequestro preventivo . . c. a.
2.
3.
4.
5.
6.
391 391 3 95 400 402 402 404 410 411 4 18 418 420 423 426 426 428 429 435 437 437 438 442 444 444 446 450 450 450 452
Parte Terza IL PROCEDIMENTO ORDINARIO
CAPITOLO I
LE INDAGINI PRELIMINARI l.
Le disposizioni generali sulle indagini. Considerazioni preliminari Le finalità delle indagini preliminari b. Il giudice per le indagini preliminari c. La notizia di reato. a.
2.
457 457 458 45 9 460
Manuale di procedura penale
XII
Considerazioni generali . La denuncia . . . . . . . n referto. . . . . . . . . c. L'obbligo di informare il pubblico ministero . d. Le condizioni di procedibilità . . . . . . . . . . . n segreto investigativo ed il divieto di pubblicazione . Considerazioni preliminari . . . a. Gli atti conoscibili dall'indagato b. c. Gli atti segreti . n divieto di pubblicazione . . . d. L'attività di iniziativa della polizia giudiziaria . La regolamentazione dell'attività di iniziativa . a. Le sommarie informazioni dall'indagato b. Le sommarie informazioni dal possibile testimone c. L'identifìcazione. . . d. I rilievi e gli accertamenti urgenti: il sopralluogo . e. Altri atti di iniziativa della polizia giudiziaria . . . l L'attività di iniziativa del pubblico ministero . Il registro delle notizie di reato. L'informazione di garanzia a. Gli atti compiuti personalmente o su delega b. Le informazioni assunte dal possibile testimone . . . . . . c. L'interrogatorio dell'indagato. L'invito a presentarsi . . . . d. L'interrogatorio di una persona imputata in un procedimento connesso o collegato . e. L'accertamento tecnico operato dal consulente del pubblico ministero. l Accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale . . g. L'individuazione di persone e di cose. Altre attività di indagine . . . . h. n controllo sulla legittimazione del pubblico ministero . . . . . . . . . l. l. L'avviso di conclusione delle indagini come condizione per la richiesta di rinvio a giudizio . . . . . . . . . . L'arresto in flagranza ed il fermo . a. Considerazioni preliminari L'arresto. . . . . . . . . . . b. c. n fermo . . . . . . . . . . d. La convalida dell'arresto e del fermo . L'incidente probatorio . . . . . . . Considerazioni preliminari . . . . a. I casi di incidente probatorio . b. c. n contraddittorio sull'ammissibilità dell'incidente. d. n diritto ad effettuare le contestazioni probatorie e. Lo svolgimento dell'udienza. La Banca dati nazionale del DNA . . . . . Considerazioni introduttive . . . . . . a. I canali di approvvigionamento della Banca dati nazionale . b. c. I princìpi che regolano la Banca dati nazionale del DNA . I profili genetici che sono messi a confronto con quelli archiviati nella Banca dati d. nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . a.
b.
3. 4.
5.
6.
7.
8.
9.
460 461 463 464 465 468 468 468 470 473 475 475 478 479 481 483 487 489 489 494 496 498 499 501 503 506 5 10 511 5 13 5 13 514 516 5 17 520 520 521 523 525 526 529 529 530 533 535
CAPITOLO II LA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI l.
n termine per le indagini preliminari . Considerazioni introduttive . n termine nel procedimento contro un indagato b. La proroga del termine per le indagini . . c. d. n termine nel procedimento contro ignoti . . .
a.
537 537 537 539 540
Indice-Sommario 2.
3.
e. La non prorogabilità dei termini massimi . L'azione penale . . . . . . . . . . . . a. La nozione di azione penale . . . b. L'obbligatorietà dell'azione penale c. n monopolio dell'azione penale . d. La procedibilità d'ufficio . . . . . e. L'irretrattabilità dell'azione penale L'archiviazione . . . . . . . . . . a. Considerazioni preliminari b. La richiesta di archiviazione nei confronti di un indagato La richiesta di archiviazione perché il reato è stato commesso da persone ignote c. La riapertura delle indagini a seguito dell'archiviazione . . . . . . . . . . . d.
XIII
542 542 542 543 545 545 546 547 547 550 554 555
CAPITOLO III
L'UDIENZA PRELIMINARE
l.
2.
3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
Considerazioni generali . . . . . . . . . . . La fase introduttiva dell'udienza preliminare . . a. Gli adempimenti che precedono l'udienza La presenza dell'imputato e del difensore. b. La contumacia. . . . . . c. Lo svolgimento ordinario dell'udienza . . . . . L e indagini s u iniziativa del giudice . . . . . . . L a attività di integrazione probatoria del giudice. La modifica dell'imputazione . . . . La sentenza di non luogo a procedere . . . . . . n decreto che dispone il giudizio . . . . . . . . n fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero L'impugnazione contro la sentenza di non luogo a procedere La revoca della sentenza di non luogo a procedere .
557 558 558 560 562 563 565 566 568 569 572 574 576 578
CAPITOLO IV
L'INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
SEZ. I - SISTEMA PROCESSUALE E INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
l.
2. 3.
SEz . II
4. 5. 6. 7. 8.
579 580 581
n diritto di difendersi mediante prove . n fondamento costituzionale delle indagini difensive . L'interesse privato che connota le indagini difensive .
-
CASI E MODI DELL'INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
I soggetti dell'investigazione difensiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'intervista difensiva . . . . . L'audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di La presentazione della documentazione difensiva . Le altre attività di investigazione difensiva . . . . . . . .
. . . . . . . . non rispondere . . . . . . . .
584 588 5 93 5 97 598
Manuale di procedura penale
XIV
9. 10. 11. 12.
La consulenza tecnica privata fuori dei casi di perizia . Rilievi e accertamenti tecnici compiuti dal difensore . Gli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore Le modalità di utilizzazione degli atti di investigazione difensiva .
SEz.
13. 14. 15.
III
-
600 602 604 606
L'INVESTIGAZIONE DIFENSIVA E LA LEGGE SULLA PRIVACY
n codice i n materia d i protezione dei dati personali . . . . Le investigazioni difensive su dati personali "non sensibili" Le investigazioni difensive su dati personali "sensibili" . . .
CAPITOLO
607 609 610
v
IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO
SEZ.
l.
2. 3. 4. 5.
8. 9. 10. 11.
II
-
III - Gu
619 620 620 620 621 624 625 625 627
Arn INTRODUTI1VI AL DIBATTIMENTO
La costituzione delle parti e l'assenza dell'imputato La contumacia . . . . . . Le questioni preliminari. . . . . . . . . . . . . . .
SEZ.
15. 16. 17. 18. 1 9.
612 614 615 617 618
LE DISPOSIZJONI GENERALI SUL DIBATTIMENTO
I poteri del presidente e dell'organo giudicante. L'udienza . L a pubblicità delle udienze . . . Il concetto di "pubblicità" a. La pubblicità immediata . b. Le riprese televisive del dibattimento. c. n principio del contraddittorio . n principio di oralità . . . . . . n principio di immediatezza . . n principio della concentrazione
SEZ.
12. 13. 14.
ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO
Considerazioni generali . . . . . . . . . _ . . _ . . . . . . . . _ Gli atti preliminari al dibattimento . . . . . . . . . . . . . . . L a lista dei testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi Le funzioni eventuali della fase degli atti preliminari al dibattimento . . . . . . . . . . . . . . . . . Le indagini integrative .
SEZ.
6. 7.
I - Gu
IV
-
629 63 1 632
IL DffiATilMENTO
L'apertura del dibattimento e le richieste di prova L'istruzione dibattimentale. L'ordine dei "casi" . . L'ordine delle prove all'interno del singolo "caso" I preliminari all'esame incrociato . L'esame incrociato . . . . . . . . . . . _ . . . .
. . .
.
633 637 63 9 640 64 1
Indice-Sommario 20.
Le dichiarazioni rese prima del dibattimento e la loro utilizzabilità Dal codice del 1988 alla riforma costituzionale . L'art. 111 Cost. ed il principio del contraddittorio . . . b. n principio generale della inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni c. La consultazione di documenti in aiuto alla memoria. d. e. La contestazione probatoria . . . n testimone che rifiuta l'esame di una delle parti . l g. La contestazione di qualsiasi altra risultanza . h. La lettura degli atti . . . . . . . . . . . . . Principio dispositivo e poteri di iniziativa probatoria esercitabili dal giudice . Considerazioni preliminari . . . . . . . . . . a. I poteri di iniziativa probatoria in dibattimento . b. L'inerzia del pubblico ministero ed i poteri di iniziativa del giudice . c. La rinuncia alla prova . . . . . . . . . . . . . . . . . d. La partecipazione e l'esame "a distanza" . . . . . . . . . . . Le nuove contestazioni. La correlazione tra imputazione e sentenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La discussione finale a.
21.
22. 23. 24.
SEZ. V
25. 26. 27. 28. 29. 30. 3 1. 32. 33. 34.
-
Gu ATTI
SUCCESSIVI
647 647 648 652 654 655 663 665 666 671 671 672 674 677 679 682 688
AL DlliATilMENTO. LA S ENTEN ZA
Considerazioni generali . Tempi e modi della deliberazione. Pubblicazione e deposito della sentenza I requisiti della sentenza. La motivazione . . . . . . . . . . . . . . La sentenza di non doversi procedere . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sentenza di non doversi procedere e interesse dell'imputato all'assoluzione La sentenza di assoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . La mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di reità. Le disposizioni eventuali della sentenza di proscioglimento L a sentenza penale d i condanna . Le statuizioni sulle questioni civili . . . . . . . . . . . . .
689 689 692 696 698 699 701 702 702 704
Parte Quarta I PROCEDIMENTI PENALI DIFFERENZIATI E SPECIALI
CAPITOLO I
I PROCEDIMENTI SPECIALI l.
2. 3.
Procedimenti penali differenziati e speciali. n sistema accusatorio e la semplificazione del processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La "specialità" dei procedimenti alternativi a quello ordinario . . . . . . . . n giudizio abbreviato . . . Considerazioni generali . . . . . . . a. b. n giudizio abbreviato su richiesta non condizionata c. n giudizio abbreviato su richiesta condizionata . . . Vicende del giudizio abbreviato a seguito di nuove contestazioni d. n ruolo della parte civile . . . . . e. I giudizi abbreviati atipici . l Investigazioni difensive e giudizio abbreviato . g. I limiti all'appello nel giudizio abbreviato. . . h.
707 709 710 710 7 12 713 716 7 17 718 720 722
XVI
4.
5.
6.
7. 8.
Manuale di procedura penale L'applicazione della pena su richiesta delle parti . . . . . . . . . . . . . . a. Considerazioni generali. La duplice configurazione del rito. Il patteggiamento "tradizionale" : l'aspetto preponderante dei benefici . b. c. Il patteggiamento "allargato" . . . . . . . . . . . d. La disciplina comune . . . . . . . . . . . . . . Natura ed effetti della sentenza di patteggiamento e. Il diritto di difendersi "negoziando": il controllo sulla ragionevolezza del rigetto della f richiesta di pena. . . . . . . Il giudizio immediato . . . . . . . . a. Considerazioni introduttive . . . . b. Il giudizio immediato chiesto dall'imputato . Il giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero . c. Il giudizio direttissimo . . . . . . . . . . . . . . . . Il giudizio direttissimo previsto dal codice . . . a. b. Il giudizio direttissimo previsto da leggi speciali Il procedimento per decreto L'ablazione . . . . . . . . . . .
725 725 726 728 730 733 739 7 42 7 42 743 7 44 7 48 7 48 750 751 754
CAPITOLO II IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE MONOCRATICO l.
2. 3. 4.
Considerazioni introduttive . . . . . . . . . . . . . . . Il procedimento monocratico con udienza preliminare . I l procedimento monocratico con citazione diretta . I riti speciali nel procedimento monocratico . . . . . .
757 758 759 762
CAPITOLO III
IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7.
Considerazioni introduttive . . . . . . . . Le indagini preliminari . . . . . . . . . . L a conclusione delle indagini preliminari . La citazione a giudizio su ricorso della persona offesa I l giudizio: l e definizioni alternative del procedimento Il dibattimento davanti al giudice di pace. Le impugnazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
765 769 771 774 778 781 783
CAPITOLO IV IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE PER I MINORENNI l.
2. 3.
4. 5. 6.
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . Gli organi della giustizia penale minorile . I princìpi guida del sistema . . . . . . . . La finalità rieducativa . . . . . . . a. b. La minima offensività del processo. Le misure cautelari c. La tutela della personalità e della riservatezza del minorenne La distinzione tra norme sull'imputabilità e norme di adattamento. d. Le indagini sull'età e sulla personalità . . . . . . . . . . La definizione del procedimento in udienza preliminare . . . . . . . L'intervento penale senza la condanna . . . . . . . . . . . . . . . a. La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto .
785 787 789 789 790 792 793 794 796 7 97 7 97
Indice-Sommario Il perdono giudiziale . . . . . . La sospensione del processo con messa alla prova L e attenuazioni del sistema sanzionatorio i n caso d i condanna . a. Gli interventi al momento della pronuncia della sentenza Gli interventi durante l'esecuzione della pena . . b.
b.
c.
7.
XVII
798 799 800 800 801
CAPITOLO V
IL PROCEDIMENTO NEI CONFRONTI DEGLI ENTI PER ILLECITI AMMINISTRATIVI DIPENDENTI DA REATO l.
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
Qualificazione e struttura dell'illecito dell'ente . Le sanzioni applicabili . . . . . . . . . . . . L'accertamento della responsabilità dell'ente . Il regime delle prove . . . . . . . . . . . . Le misure cautelari . . . . . . . . . . . Indagini preliminari e udienza preliminare . I procedimenti speciali Il giudizio . . Le impugnazioni L'esecuzione . .
803 906 807 808 809 813 814 815 816 817
Parte Quinta LE IMPUGNAZIONI
CAPITOLO I
I PRINCÌPI GENERALI SULLE IMPUGNAZIONI PENALI l.
2.
3. 4.
5.
Impugnazioni ordinarie e straordinarie . L e disposizioni generali sulle impugnazioni. Il principio di tassatività a. L'effetto sospensivo . b. c. L'effetto estensivo . L'effetto devolutivo dell'impugnazione: capi e punti della sentenza d. I soggetti legittimati a d impugnare . Regole generali sulle impugnazioni . Dichiarazione di impugnazione . a. Termini per impugnare . b. c. I motivi nuovi . Il giudice competente a conoscere l'impugnazione . d. e. La rinuncia all'impugnazione . L'inammissibilità dell'impugnazione
819 820 820 82 1 822 823 825 829 829 830 83 1 83 1 832 832
CAPITOLO II
L'APPELLO l.
2. 3. 4. 5.
Considerazioni preliminari . . . . Appello principale ed incidentale . Casi di appello . . . . . . . . . La cognizione del giudice di appello Il predibattimento in appello . . . .
834 835 83 7 844 845
XVIII
6. 7. 8. 9. 10.
Manuale di procedura penale Provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili . Lo svolgimento del giudizio di appello. L'udienza pubblica . . L'udienza in camera di consiglio . . . . . . . . . . . . . Questioni di nullità e natura della giurisdizione d'appello La sentenza del giudice di appello . . . .
846 847 849 850 852
CAPITOLO III
IL RICORSO PER CASSAZIONE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
La corte di cassazione come supremo organo giurisdizionale . I motivi del ricorso per cassazione . . L a inammissibilità del ricorso per cassazione . . . . Cognizione e ragionamento giuridico della corte d i cassazione . n procedimento in cassazione . . . . . . . La tipologia delle sentenze della suprema corte. n giudizio di rinvio . Il provvedimento abnorme . . . . . . . . . . .
853 856 860 862 862 865 869 870
CAPITOLO IV
LE IMPUGNAZIONI STRAORDINARIE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7.
Considerazioni preliminari . Errore di fatto ed errore di diritto I casi di revisione . . . . . . . Il procedimento. La fase di delibazione . Il giudizio di revisione . . . La riparazione dell'errore giudiziario . . Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto
874 875 876 879 880 882 883
Parte Sesta IL GIUDICATO E L'ESECUZIONE PENALE
CAPITOLO I
GLI EFFETTI DEL GIUDICATO PENALE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 1 1.
L'irrevocabilità L'esecutività . . D ��� . . I limiti dell'efficacia preclusiva della sentenza irrevocabile D giudicato penale i n relazione a d altri processi penali . . La sentenza penale irrevocabile ed il processo per il risarcimento del danno cagionato dal . . . . . . . . . reato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'esercizio tempestivo dell'azione di danno e la separazione delle giurisdizioni . Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno . Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno. Efficacia della sentenza penale di assoluzione o di condanna nel giudizio disciplinare davanti alle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pubbliche autorità. . . . . . . . . . . . . Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi . .
887 888 �
890 895 897 899 90 l 903 906 908
Indice-Sommario
XIX
CAPITOLO II L'ESECUZIONE PENALE
l.
L'oggetto dell'esecuzione .
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
I soggetti dell'esecuzione .
91 1 912 915 916 924 924 935 938 940
L'attività esecutiva.... L'e�ecuzione delle pene detentive. L'esecuzione delle pene pecuniarie . La giurisdizione esecutiva . La magistratura di sorveglianza .
n casellario giudiziale . Le spese ..
Parte Settima I RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE
CAPITOLO I L'ESTRADIZIONE
l.
Considerazioni generali ...
2.
L'estradizione ........
a.
L'estradizione per l'estero (o passiva).
b.
L'estradizione suppletiva, la riestradizione e l'estradizione in transito
c.
I provvedimenti cautelari .
d.
L'estradizione dall'estero (o attiva) ................. .
941 943 945 949 950 952
CAPITOLO II GLI ALTRI STRUMENTI DI COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE
l.
2. 3. 4. 5. 6.
Le rogatorie internazionali .
.. . .... . ..
a.
Le rogatorie internazionali dall'estero (o passive).
b.
Le rogatorie internazionali all'estero (o attive) ..
L'inutilizzabilità degli atti raccolti tramite rogatoria internazionale . La partecipazione e l'esame "a distanza" ...... . .. .
.
n riconoscimento degli effetti delle sentenze penali straniere . . . . L'esecuzione all'estero di sentenze penali italiane .. . .. . L'efficacia preclusiva della sentenza penale straniera.n
.
. . . ne bis in idem internazionale
954 954 957 959 960 961 965 966
CAPITOLO III LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE NELL'AMBITO DEL CONSIGLIO D'EUROPA E DELL'UNIONE EUROPEA
l.
Considerazioni generali
2. 3.
Le Convenzioni del Consiglio d'Europa
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La cooperazione giudiziaria nell'ambito dell'Unione europea.
a.
L'Accordo di Schengen e la sua integrazione nell'Unione
b.
n Sistema di informazione Schengen . . . . . .
c.
La Convenzione Europol: l'ufficio europeo di polizia.
d. e.
I magistrati di collegamento. .
f
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . La Rete giudiziaria europea . L'istituzione di Eurojust per rafforzare la lotta contro le gravi forme di criminalità
97 O 97 1 971 972 973 976 977 977 978
Manuale di procedura penale
xx
4.
Il mandato di arresto europeo . .
a. b. c. d.
Considerazioni generali . .
.
. . . . . . . . . . . . . .
L'ambito di applicazione del mandato di arresto europeo La procedura di esecuzione passiva . La procedura di esecuzione attiva. . . . . . . . .
. . . .
981 981 983 985 989
APPENDICE CONSIDERAZIONI SULLA PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA
l.
Le Scuole penalistiche e le teorie sulla testimonianza.
2.
I momenti della testimonianza
3.
La sensazione .
a. b. c. d. e.
La rielaborazione
l
L'espressione
La percezione . La memoria . La rievocazione .
La testimonianza dei minorenni.
Indice analitico .
991 993 993 993 994 995 996 998 999
1005
PREMESSA
Con il nuovo codice di procedura penale, promulgato il 24 ottobre 1988 ed entrato in vigore un anno dopo, si è attuato in Italia il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio. Il legislatore ha voluto configurare tale passaggio non per gradz; bensì in modo netto e deciso; ciò ha comportato vari problemi di assesta mento. Dal punto di vista teorico, il legislatore ha creduto che le garanzie processuali potessero essere assicurate limitandosi ad affermare il principio di oralità immediatezza, e cioè rendendo in buona parte non utilizzabili le dichiarazioni rese prima del dibattimento. La fase delle indagini preliminari è stata sguarnita della garanzia del contraddittorio e, soprattutto, in essa si è impedito l'esercizio del diritto alla prova sul presupposto che i risultati, raccolti in tale fase, non sarebbero stati utilizzabili per la decisione finale. In definitiva, si è accolta una visione distorta del sistema accusatorio, che viceversa è basato sulla separazione delle funzioni processuali e sulla presenza di controlli anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Dal punto di vista "operativo", il legislatore ha voluto che la mancata predisposizione di strutture idonee non ritardasse l'entrata in vigore del codice. Di conseguenza, fin dall'inizio la carenza di personale, di uffici e di mezzi ha condizionato negativamente l'avvio della rz/orma. Anche nella materia del pro cesso penale si è manz/estato il vecchio vizio idealista di non preoccuparsi di rapportare i fini ai mezzi. Infine, dal punto di vista psicologico si sono manz/estati problemi di adatta mento degli operatori ad una logica processuale che è completamente diversa da quella accolta dal precedente codice e che è basata sul principio dialettico. Ne sono derivate /orti reazioni nei confronti dei nuovi principi. Basti un esempio per tutti: nel codice attuale non si a/ferma più che il verbale è fide/acente fino a querela di falso. Pertanto la normale valutazione di credibilità e di attendibilità riguarda anche la dichiarazione resa dall'ufficiale di polizia giudiziaria verbalizzante. Viceversa tale soggetto, nel codice previgente, si limitava di regola a "confermare" in dibattimento la precedente dichiarazione, che gli veniva letta. Con la prima edizione del presente Manuale (ottobre 1999) ci siamo proposti di dare una valutazione del codice a dieci anni dalla sua entrata in vigore. Abbiamo preso le mosse da alcuni dati difatto che non potevano essere trascurati. Più di ottanta sentenze della Corte costituzionale avevano dichiarato l'illegittimità
XXII
Manuale di procedura penale
di disposizioni non marginali del testo originario del 1988. Oltre trenta leggi avevano inciso profondamente sulla struttura dei nuovi istituti. Le linee di tendenza che il Parlamento aveva seguito erano state molteplici e, a volte, contraddittorie. Avevamo ritenuto di intravedere, nel fenomeno che si era verifi cato, una similitudine con quello che è avvenuto nel 1791 quando il legislatore rivoluzionario ha voluto introdurre, all'interno dell'ordinamento francese, il processo penale inglese di allora senza operare un passaggio graduale. In quella occasione il sistema accusatorio si è scontrato con la mentalità degli operatorz; abituati ad altri schemi culturalt;- le modifiche normative al processo penale si sono succedute frenetiche per quasi un ventennio fino all'avvento della codificazione napoleonica del 1808. Per tali motivi non ci siamo sorpresi dei cambiamenti intervenuti in Italia dal 1989. Né ci siamo scandalizzati del fatto che si fosse persa l'originaria coerenza di alcuni istituti appartenenti al sistema accusatorio. Nella seconda edizione del Manuale (marzo 2000) abbiamo iniziato ad ap profondire le problematiche poste dai principi del giusto processo, introdotti dai nuovi commi dell'art. 111 della Costituzione. Abbiamo anche tenuto conto della rz/orma apportata dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (c. d. legge Carottz). Le due modifiche normative hanno dato un segnale chiaro della linea di tendenza che si è manz/estata negli ultimi tempi da parte del legislatore; hanno dimostrato, ci pare, che si è abbandonato lo scontro tra opposti massimalismi per arrivare, sia pure faticosamente ed in modo irregolare, ad una stagione nella quale si è cominciato ad operare un bilanciamento tra contrastanti esigenze. Il travaglio dell'esperienza ha indotto il Parlamento a ritenere necessario un contempera mento più ragionevole tra opposte istanze per strutturare un meccanismo che permetta di accertare i fatti e rendere Giustizia. A dieci anni dall'entrata in vigore del nuovo codice si è posto il problema di ricostruire dalle fondamenta i principi del giusto processo, sulla base degli enunciati contenuti nel nuovo art. 111 della Costituzione. Da un lato, non è "giusto" quel processo che impedisce all'imputato di confrontarsi davanti ad un giudice con colui che lo ha accusato e, quindz; di costringerlo a deporre secondo verità, facendogli assumere le responsabilità deri vanti da una falsa dichiarazione. Da un altro lato, non è "giusto" quel processo che non riconosca uno "statuto" dei diritti del testimone e della persona offesa. Ma si potrebbero menzionare altre situazioni che sono ritenute non più accettabili dalla società civile e che impongono un cambiamento di mentalità. Già allora notavamo che il continuo mutare delle disposizioni di legge aveva reso molto difficile il lavoro sia dello studioso, che deve ricostruire il sistema, sia dell'operatore pratico, che non dispone di strumenti collaudati e che vive in una situazione di sperimentazione perenne. La terza edizione (settembre 2001) ha preso occasione dall'ampia manovra di rz/orma che è stata operata dal Parlamento nello scorcio della tredicesima legisla-
Premessa
XXIII
tura, tra il giugno 2000 ed il marzo 2001. Il legislatore ha seguito almeno due linee di intervento: ha cercato di dare una maggiore efficienza all'amministrazione della Giustizia e ha voluto attuare alcuni tra i prindpi del giusto processo. La legge n. 63 del 2001 ha segnato profondamente il tema della prova dichiarativa con modifiche di inedita complicazione. La quarta edizione (settembre 2002) ha dato conto delle novità che si sono manz/estate in seguito ai/atti dell'11 settembre 2001. Il legislatore ha adeguato il processo penale all'esigenza di accertare i reati di terrorismo; ha ampliato i casi di rimessione del processo; ha regolato alcuni aspetti dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere; infine, ha predisposto normative processuali che denotano una spiccata funzione servente rispetto a rz/orme attuate nel diritto penale sostanziale. La quinta edizione (2003) è uscita in un momento nel quale si/aceva sempre più pressante l'esigenza di assicurare al processo penale una durata ragionevole. Interpreti di questa esigenza erano statz; ciascuno per la sua parte, la Corte costituzionale ed il legislatore. La prima aveva sancito il sindacato sull'ordinanza con cui il giudice dell'udienza preliminare rigetta la richiesta di giudizio abbreviato condizionata all'assunzione di prove (sentenza n. 169 del 2003). Il secondo aveva introdotto un nuovo tipo di patteggiamento che permette di concordare una pena detentiva da due anni e un giorno fino a cinque anni (legge n. 134 del 2003). A fianco della legge menzionata se ne collocavano altre che, tutte, denotavano una comune caratteristica, e cioè quella della frammentarietà. Il legislatore mostrava di non avere una visione sistematica di intervento nella materia del processo penale. La sesta edizione (2005) ha tenuto conto dell'opera interpretativa della giurisprudenza, che per la prima volta ha superato per importanza le rz/orme legislative, intervenute con estrema parsimonia e su istituti di dettaglio. L'aggior namento giurisprudenziale ha costituito altresì occasione propizia per la rielabo razione e l'integrazione di varie parti e l'approfondimento di alcuni temi quali la cooperazione giudiziaria europea e la prova del rapporto di causalità. La settima edizione (2006) è uscita in un momento di enfasi normativa, che si è manz/estata con il finire della quattordicesima legislatura. Ricordiamo, in particolare, le disposizioni sulla restituzione nel termine per impugnare le sentenze contumacialz; sul mandato d'arresto europeo e sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. In comune con la linea di tendenza che ha caratterizzato gli ultimi annz; la produzione legislativa ha conservato la frammentarietà che ave vamo rilevato in precedenza: il Parlamento si è dimostrato incapace di proporre una strategia coordinata di intervento sul processo penale. Vi è stato un sorpren dente mutamento di ruoli: ha continuato ad essere molto attiva la giurisprudenza, che ha portato avanti l'opera di rzòrdinazione sistematica della normativa proces suale.
XXIV
Manuale di procedura penale
La ottava edizione (2007) è venuta alla luce in un momento nel quale la produzione legislativa del Parlamento sembrava essersi arrestata, se si eccettua l'intervento sullo spionaggio e dossieraggio illegali. Il Governo aveva nominato, con ampio risalto, una Commissione per la rz/orma del codice di procedura penale, presieduta dal Pro/ Giuseppe Riccio, che il 20 febbraio 2008 ha presentato il testo di una nuova legge delega. Ormai si è diffusa la consapevolezza che i pur rilevanti interventi normativi, sedimentatisi dal 1988, devono essere ricomposti in un sistema armonico e funzionale. La nona edizione ha segnalato l'entrata in vigore della legge 18 marzo 2008, n. 48 (ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità infor matica, /atta a Budapest il 23 novembre 2001), del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 « Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica », convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125, del d. lgs. 30 maggio 2008, n. 109, di attuazione della direttiva 2006/24/CE (c.d. Frattinz) riguardante la conservazione dei dati generati o trattati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettro nzca. La decima edizione (2009) ha tenuto conto del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in legge n. 38 « Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori »; della legge 30 giugno 2009, n. 85, recante l'adesione della Repubblica italiana al Trattato di Priim e l'istituzione della Banca dati nazionale del DNA; della legge 15 luglio 2009, n. 94 « Disposizioni in materia di sicurezza pubblica ». A venti anni dall'entrata in vigore del codice. Occorre segnalare che il 24
ottobre 2009 sono stati celebrati i venti anni da quando è entrato in vigore il codice del 1988. Chi abbia l'occasione di leggere la versione originaria del codice e la metta a confronto con il testo oggi vigente, deve registrare che i cambiamenti intervenuti sono stati molti e su punti non secondari. A noi preme rilevare non tanto la quantità e qualità delle modifiche, peraltro imponenti anche sotto un profilo di struttura, quanto piuttosto un altro fenomeno, che riteniamo più importante. Quello che sta mutando, grazie al nuovo codice, è il modo di approcciarsi di coloro che di volta in volta hanno ispirato le modifiche e che stanno indicando le prospettive di rz/orma. Nel momento in cui sono state pensate le linee direttrici del codice del 1988 e negli anni immediatamente successivi alla sua entrata in vigore, la calibratura dei singoli istituti aveva provocato qualcosa di simile alle vecchie dispute medioevali così bene rievocate nel libro "Il nome della rosa". Lo scontro interno alle categorie dei docenti universitarz; dei magistrati e degli avvocati si caricava di significati ideologici al punto che sembrava evocare una forma di lotta tra coloro che dz/endevano fino all'ultimo dogmi nei quali credevano e coloro che non demor devano dal voler attuare nuovi prindpi progressisti in modo assoluto.
--
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Premessa
xxv
Nel tempo, si è compreso che non si poteva continuare ad utilizzare una cultura fatta di massimalismo, nella quale il principio doveva sempre prevalere sulla realtà. È accaduto che la realtà si è ribellata rispetto alla statica prigione delle norme elaborate con occhiali teoretici. Gli strumentz; anche quelli giuridicz; dovevano essere valutati in modo laico, nella loro funzionalità in concreto: occorreva essere pronti ad abbandonarli o a modificarli se le esigenze della pratica lo suggerivano. Il passaggio di venti anni nella esperienza di adattamento del nuovo codice, riteniamo, ha avuto il pregio di innescare un cambiamento soprat tutto di mentalità nei giuristi italiani. In questo possiamo valutare l'effettiva validità del meccanismo rz/ormatore che è stato messo in atto nel 1988. Se volgiamo lo sguardo indietro nella Storia, abbiamo difficoltà nel trovare in altri Paesi qualcosa di analogo alla esperienza di questi venti anni. Invero, in esordio abbiamo creduto di poter ravvisare una qualche somiglianza con quello che è avvenuto nel corso della Rivoluzione francese dal 1791 al 1811, quando da un modello inquisitorio si è passati ad uno accusatorio e poi si è costruito poco per volta quello che è stato definito il sistema "misto" per eccellenza. Una delle differenze sta nel fatto che in Italia si è cercato di passare da quel sistema misto ad uno che aveva molti tratti riconducibili a quello accusatorio puro. L'operazione ha rischiato di fallire perché ha rinfocolato le rimostranze di coloro che, essendosi adattati in gioventù al sistema misto, culturalmente erano i meno adatti ad apprezzare la validità delle innovazioni. A questo punto, la necessità di salvare la rz/orma ha indotto i "progressisti" a meglio calibrarla, addirittura n'modulando i fondamenti costituzionali: il contraddittorio è stato salvato perché accanto a tale principio, meglio scandito in senso oggettivo e soggettivo, sono state collocate eccezioni significative rispetto alla totale inutiliz zabilità delle prove raccolte in modo unilaterale: occorreva tenere conto dell'esi genza che la giustizia doveva pure essere amministrata. Parallelamente, al posto di un principio dispositivo assoluto, se ne è accolta una versione attenuata, che salva l'esigenza cognitiva ricavabile dalla Costituzione: una equilibrata iniziativa pro batoria del giudice ha permesso di tutelare l'accertamento dei fatti e la persona umana. Il principio dialettico ha dovuto coordinarsi con il principio personalistico che ispira l'ordinamento costituzionale italiano. Questo riteniamo sia il significato della evoluzione dei primi venti anni del nuovo codice e la dimostrazione della vitalità delle scelte effettuate nel 1988. La presente edizione tiene conto del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10 « Disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale », conv. nella legge 6 aprile 2010, n. 52, e della legge 7 aprile 2010, n. 51 « Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza ». Anche nella elaborazione della attuale edizione sono stati determinanti i contributi e le valutazioni critiche di Lorenzo Algerz; Gian Marco Baccari, Maria
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XXVI
Manuale di procedura penale
Elisabetta Cataldo, Sofia Cavin� Serena Chimichz; Carlotta Contz; Anna Fabbri catore, Paola Felicionz; Valentina Gorz; Michele Nigra, Paolo Peretolz; Giovanni Sicigliano ed Enrico Zurli. A loro va il ringraziamento sentito dell'Autore. Firenze, 29 luglio 2010
AVVERTENZE E ABBREVIAZIONI
l. Gli articoli citati senza alcuna ulteriore indicazione appartengono, di regola, al codice di procedura penale; tuttavia nel capitolo sul procedimento davanti al giudice di pace gli articoli citati senza ulteriore indicazione appartengono al d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274. 2 . Con il termine "tav." seguito dal numero, si fa riferimento alle tavole sinottiche collocate nel volume Guida allo studio del processo penale, del medesimo Autore, ed. Giuffrè. 3 . Con il termine " atto " seguito dal numero, si fa riferimento all'esempio di atto processuale contenuto nel testo appena citato. 4. La conversione in euro delle sanzioni pecuniarie avviene in base all'art. 5 1 comma 3 d.lgs. 24 giugno 1998 n. 2 1 3 : « se l'operazione di conversione ( . . . ) produce un risultato espresso anche con decimali, la cifra è arrotondata eliminando i decimali ».
Abbreviazioni att. Mae
legge 22 aprile 2005 n. 69 « Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri » C.A.A.S. convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, 1 9 giugno 1 990 c.p. codice penale c.p.p. codice di procedura penale c.p. p.m. d.p.r. 22 sett. 1 988 n. 448: disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni C.E.D.U. Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali disp. att. norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale: d.lgs. 28 luglio 1989 n. 27 1 d.p.r. decreto del Presidente della Repubblica d.lgs. decreto legislativo DQ Decisione-quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato di arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri (2002/584/GAI) g.d.p. procedimento penale davanti al giudice di pace: d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 l. r. Budapest legge 18 marzo 2008, n. 48, recante la « Ratifica ed esecuzione della
XXVIII
m. ord. giud. ord. pen. r. d.l. T.U.E. T.F.U.E. T.U.L.S. T.U.L.P.S. T.U.S.G T.U.C.G.
Manuale di procedura penale Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 200 1 , e norme di adeguamento dell'ordina mento interno ». disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni: d.p.r. 22 settembre 1 988 n. 448 ordinamento giudiziario: r.d. 30 gennaio 194 1 n. 12 ordinamento penitenziario: legge 26 luglio 1975 n. 354 regio decreto legge Trattato sull'Unione europea Trattato sul funzionamento dell'Unione europea testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti: d.p.r. 9 ottobre 1 990 n. 3 09 testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: r.d. 1 8 giugno 1 93 1 n. 773 testo unico delle spese di giustizia: d.p.r. 30 maggio 2002 n. 1 15 testo unico in materia di casellario giudiziale: d.p.r. 14 novembre 2002 n. 3 13
Parte Prima EVOLUZIONE STORICA DEL PROCESSO PENALE - LE FONTI
CAPITOLO I SISTEMA INQUISITORIO, ACCUSATORIO E MISTO
- �L\IARIO: l . Diritto penale e diritto processuale penale. - 2. La protezione della società e la
difesa dell'imputato. - 3. Sistema inquisitorio e sistema accusatorio.
-
4 . Sistema inqui
sitorio e principio di autorità. - 5. Sistema accusatorio e principio dialettico. - 6. Sistema processuale e regime politico. - 7. Sistema processuale ed efficacia. - 8. Cenni storici sul processo penale. - 9. n processo penale dello Stato assoluto. - 1 0. n processo penale inglese. - 1 1 . La Rivoluzione francese e l'evoluzione del processo penale. - 12. Il sistema misto nel Code d'instruction criminelle. - 1 3 . I codici italiani di procedura penale.
l.
Diritto penale e diritto processuale penale.
La legge penale definisce i "tipi di fatto" che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono. La legge processuale penale regola il procedimento mediante il quale si accerta se è stato commesso un fatto di reato, se l'imputato ne è l'autore e, in caso positivo, quale pena debba essergli applicata. Una volta che è stato commesso un reato, occorre accertare le modalità del fatto, scoprirne il responsabile (o i responsabili) e applicare le sanzioni. Questo compito in una società ordinata spetta allo Stato in base al diritto; non si può lasciare che i cittadini, le persone offese o i loro familiari si facciano Giustizia da soli. L'uso della coercizione e della forza deve restare monopolio dello Stato. n compito di accertare se un imputato è responsabile di un reato è demandato al giudice. Le modalità di svolgimento del processo penale non devono essere lasciate alla discrezione di quest'ultimo, bensì devono essere regolate dalla legge. n diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all'attuazione del diritto penale nel caso concreto. In questo senso comunemente si afferma che il diritto processuale ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale sostanziale. n giudice accerta se il fatto commesso dall'imputato rientra nella fattispecie (tipo di fatto) prevista
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Evoluzione storica del processo penale
1.1.2
dalla legge penale incriminatrice; in caso positivo, l'imputato deve essere condannato. La caratteristica di " strumentalità" non è una diminuzione per il diritto processuale penale ( 1 ) . Senza un processo regolato dalla legge e rispettoso dei diritti delle parti, l'applicazione della norma penale si trasformerebbe in un " diritto di polizia" ; non vi sarebbe accertamento dei fatti operato da un soggetto imparziale, che valuti gli argomenti prospettati dall'accusa e dalla difesa. Qualche precisazione è necessaria. Le due branche del diritto hanno per oggetto norme giuridiche; tuttavia sono differenti le attività che vengono regolamentate. Il diritto penale sostanziale vieta determinati fatti mediante la minaccia di una pena; i suoi precetti si rivolgono a tutti i cittadini. Il diritto processuale penale regola l'accertamento di una responsabilità penale e, quindi, prescrive i comportamenti processuali da tenere; i suoi precetti si rivolgono specificamente al giudice, al pubblico ministero e agli altri soggetti del proce dimento. Soltanto alcune fra le norme processuali si rivolgono genericamente ai cittadini; ciò avviene, ad esempio, per quelle relative al denunciante ed al testimone. Occorre aggiungere che la legge penale sostanziale ha la finalità di regolare le azioni delle persone, e non di accertarle; l'accertamento dei fatti spetta al processo. La legge processuale penale ha una duplice finalità: da un lato, regola l'attività del giudice e delle parti; da un altro lato, predispone gli strumenti logici mediante i quali il giudice, con il contributo dialettico delle parti, accerta i fatti di reato e la personalità di coloro che li hanno commessi. A causa di questa duplice finalità, nello studio della legge processuale si deve, in misura ancor maggiore che nel diritto penale sostanziale, tenere conto della funzione che deve essere svolta dalle norme.
2.
La protezione della società e la difesa dell'imputato.
L'esigenza di scoprire i reati e di applicare le sanzioni è dettata dalla necessità di proteggere la società contro il pericolo della delinquenza. Nel perseguire tale compito, occorre al tempo stesso predisporre gli strumenti che permettano di accertare se il fatto di reato è stato commesso dall'imputato; ciò è imposto dall'esigenza di difendere l'imputato innocente dal pericolo di una condanna ingiusta. Ma anche nell'ipotesi in cui l'accusato fosse colpevole, il processo dovrebbe difenderlo dal pericolo costituito dall'applicazione di san zioni più gravi di quelle che conseguono ai fatti che vengono accertati. In (l)
A. MAL!NVERNI, Principi del processo penale, Torino, 1 972, 16. Considerazioni sulla inversione del
rapporto di strumentalità tra diritto penale sostanziale e processuale sono svolte, pur ad altro proposito, da T. PADOVANI, La disintegrazione del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1 992, 436.
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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definitiva il processo penale, nell'applicare la legge sostanziale, deve perseguire contemporaneamente la funzione di tutelare la società contro la delinquenza e di difendere l'accusato dal pericolo di una condanna ingiusta (2). Le due esigenze hanno pari importanza. Non deve indurre in errore la considerazione secondo cui l'esigenza di tutela della società contro il delin quente riguarda tutti i cittadini e, perciò, costituisce un interesse pubblico, mentre la difesa dell'accusato è oggetto di un interesse privato. Da ciò non si può dedurre che la difesa della società debba prevalere sulla difesa dell'impu tato. È evidente che tutti i cittadini sono indirettamente interessati a che l'imputato abbia gli strumenti processuali che gli permettano di ottenere l'accertamento dei fatti in suo favore; infatti a ogni cittadino potrebbe accadere di essere accusato, pur essendo innocente o avendo commesso un fatto meno grave di quello prospettato da colui che lo accusa. Pertanto l'interesse indivi duale spettante ad un determinato imputato diventa un interesse pubblico riferibile alla generalità dei cittadini. Le norme processuali devono assicurare insieme la protezione della società e la difesa dell'imputato. Sta di fatto che la protezione della società è realizzata con mezzi che impediscono o ostacolano la difesa dell'imputato; ad esempio, il segreto inve stigativo tende ad impedire che l'imputato, o la banda criminale a cui appar tiene, possano inquinare le prove o eliminare i testimoni. Ma il medesimo segreto investigativo può impedire all'imputato di dimostrare che le prove raccolte dall'accusa sono inattendibili o che le fonti non sono credibili. li limitare le possibilità di difesa può ridurre il pericolo di assolvere il colpevole, ma aumenta il rischio di condannare l'innocente o di irrogare pene spropor zionate. Viceversa, l'ampliamento dei diritti di difesa aggrava il pericolo che siano assolti i colpevoli. La difficoltà di coordinare le due esigenze contrapposte sta anche nel fatto che, prima della sentenza irrevocabile, non è possibile stabilire se l'imputato è innocente o colpevole. Il legislatore si trova costretto a inventare soluzioni che, nella ricerca di un coordinamento difficile, inevitabilmente possono sacrificare o la difesa della società, o la difesa dell'imputato. In definitiva, si tratta di scegliere se è più accettabile condannare un innocente o assolvere un colpevole. Il quesito su quale sistema processuale sia il più idoneo ad accertare i fatti di reato deve essere esaminato prima di tutto in chiave storica. Uno dei meriti degli studiosi illuministi è stato quello di riflettere sui "corsi e ricorsi della storia" al fine di individuare le caratteristiche ricorrenti dei regimi politici di tipo garantista e di tipo totalitario. Contemporaneamente gli studiosi hanno rilevato che esiste una stretta correlazione tra regime politico e sistema proces suale: ad un regime totalitario corrisponde un processo penale nel quale la (2)
A. MALINVERNI, Prindpi, cit., 19.
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Evoluzione storica del processo penale
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difesa della società prevale su quella dell'imputato e, viceversa, ad un regime garantista corrisponde un sistema processuale che dà all'imputato una tutela prevalente rispetto alla difesa della società. La distinzione tra sistema processuale inquisitorio ed accusatorio ha as sunto il nuovo significato di " criterio" di scelta politica per valutare l'accetta bilità delle norme che devono regolare il processo penale. La formulazione di tali norme non è soltanto un problema di tecnica giuridica, ma è soprattutto una questione di scelte politiche. Per valutare se un ordinamento, che afferma di essere garantista, lo sia nei fatti, è sufficiente esaminare quale modello proces suale penale accolga. 3.
Sistema inquisitorio e sistema accusatorio.
Già nel periodo medioevale era denominato inqulSltorio quel sistema processuale che attribuiva al giudice il potere di attivarsi d'ufficio per ricercare i reati ed acquisirne le prove. Tale nomenclatura derivava dall'organo che prendeva l'iniziativa in quel tipo di processo, e cioè il giudice inquisitore. Sempre nello stesso periodo storico era denominato accusatorio quel tipo di processo nel quale il giudice non esercitava alcun potere d'ufficio, poiché erano le parti ad avere l'iniziativa. L'avvio del processo, il suo svolgimento e la ricerca delle prove erano lasciati ad una parte, e cioè all'accusatore (ad es., la persona offesa o un suo parente) . Al giudice era attribuito soltanto il potere di prendere decisioni su richiesta di parte. Al potere di iniziativa e di richiesta dell'accusa tore corrispondevano analoghi poteri esercitabili dall'accusato personalmente o mediante un difensore. Oggi con i termini accusatorio e inquisitorio ci si riferisce a " tipi" di processo penale, ai quali sono attribuite determinate caratteristiche. Poiché si tratta di elaborazioni operate in piena libertà dagli studiosi, non vi è uniformità sulle caratteristiche indefettibili di ciascuno dei due sistemi. Tuttavia si può notare che nelle loro ricostruzioni ricorrono caratteristiche simili. In linea di massima, si afferma che il sistema inquisitorio si basa sul segreto e sulla scrittura, mentre quello accusatorio si fonda sul contraddittorio e sull' oralità. Quanto abbiamo appena osservato serve a sottolineare che la contrappo sizione ha un valore meramente astratto, mentre in concreto nella storia sono stati adottati ordinamenti che presentavano caratteristiche tipiche, di volta in volta, sia del sistema inquisitorio, sia di quello accusatorio. I tipi ideali di processo si sono combinati in concreto secondo modalità differenti nelle varie epoche, di modo che solo raramente si è verificato che un determinato ordina mento abbia quasi tutte le caratteristiche del sistema inquisitorio o, viceversa, di quello accusatorio. La maggior parte degli ordinamenti sono di tipo misto;
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l'appartenenza all'uno o all'altro modello dipende da quali caratteri sono considerati essenziali dal singolo studioso al fine di operare la qualificazione. Tutto ciò conferma che i due sistemi sono niente altro che " modelli" : essi vengono ricavati mediante astrazione a partire da alcuni caratteri reali che sono riscontrabili in un determinato ordinamento. Di più: si tratta di due modelli che si possono ricostruire seguendo una contrapposizione ideale delle rispettive caratteristiche. Ad esempio, alla segretezza del sistema inquisitorio viene oppo sto il contraddittorio, che denota il sistema accusatorio. Come si è accennato poc' anzi, nel momento in cui occorre giudicare se un determinato ordinamento appartenga prevalentemente all'uno o all'altro si stema, conta molto quali caratteristiche lo studioso ritenga essenziali al fine di distinguerli. La maggior parte degli studiosi italiani contemporanei ritiene che tali caratteristiche debbano essere individuate nella contrapposizione tra oralità e scrittura. In base a tale opinione, sarebbe prevalentemente inquisitorio quel processo che permette al giudice di decidere su prove scritte, e cioè limitandosi a leggere i verbali di atti compiuti in un momento anteriore da parte di altri soggetti. Viceversa, sarebbe prevalentemente accusatorio quel processo che impone al giudice di decidere soltanto in base a prove che siano assunte oralmente davanti a lui; le prove assunte in precedenza non possono essere utilizzate dal giudice per accertare la reità dell'imputato. Se si desse valore prevalente alle contrapposte caratteristiche appena illustrate, ne deriverebbe che per attuare un sistema accusatorio sarebbe sufficiente limitarsi ad assicurare l' oralità; le altre caratteristiche sarebbero svalutate perché irrilevanti. Purtroppo l'esperienza storica, anche recente, dimostra che non è suffi ciente attuare l' oralità se si vuole predisporre un processo accusatorio. È pericoloso disinteressarsi di tutta quella fase che precede il giudizio; occorre preoccuparsi che anche in tale contesto siano presenti garanzie. Una simile necessità si è manifestata nei primi anni di applicazione del codice italiano del
1 988. n problema è complesso e richiede l'approfondimento di ulteriori variabili.
Per esigenze dovute alle dimensioni e alle finalità del presente studio, ci limitiamo ad esporre le nostre conclusioni. 4.
Sistema inquisitorio e principio di autorità.
All'origine logica della distinzione tra sistema inquisitorio ed accusatorio sta la fondamentale contrapposizione tra principio di autorità e principio dialettico. Da tale impostazione derivano tutte le altre caratteristiche. Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il quale la verità è tanto meglio accertata quanto più potere è dato al soggetto inquirente. In lui si cumulano tutte le funzioni processuali: egli opera al tempo stesso come giudice,
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Evoluzione storica del processo penale
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come accusatore e come difensore dell'imputato. Accolto questo postulato, ne deriva che ad un unico soggetto devono essere concessi pieni poteri in ordine sia all'iniziativa del processo, sia alla formazione della prova. Tale soggetto nella storia assume varie denominazioni, delle quali la più nota è quella accennata di "giudice inquisitore" . Non importa se si tratta di un giudice singolo o collegiale (anche se è un organo eletto democraticamente); quello che conta è il "tipo" di potere che gli è concesso. Si pensa che, se l'autorità facilita l'accertamento del vero e del giusto, tanto maggiore sarà quella, tanto migliore sarà questo. In definitiva, si crede nel "cumulo" delle funzioni processuali in un unico organo. Correlativamente, si tende a non riconoscere alcun potere alle parti; l'offeso e l'imputato sono meri " oggetti" del giudizio, poiché tutti i poteri risiedono nel giudice. In questo sistema non occorre che il giudice sia indipendente; al contrario, si ritiene che quanto più stretto è il suo legame col potere politico (il re, il dittatore, il partito unico, la maggioranza al governo) tanto meglio egli potrà svolgere la sua opera e tanto più aderente al vero sarà la sua decisione. Dal principio del cumulo dei poteri processuali derivano le principali caratteristiche del sistema inquisitorio (v. tav. 1 . 1 . 1 ) . a ) Iniziativa d'ufficio. L'iniziativa del processo penale deve spettare al giudice. Poiché è il depositario del vero e del giusto, egli non deve essere ostacolato dalla inattività delle parti. Non è necessario che il suo intervento sia richiesto da un soggetto che accusa un imputato: il giudice deve poter iniziare il processo d'ufficio anche se nessuna persona è uscita allo scoperto per costituirsi come parte che accusa. È sufficiente una denuncia anonima a mettere in funzione il giudice inquisitore. Non serve un organo pubblico o privato di accusa, né la polizia: il sistema inquisitorio può farne a meno, pur ottenendo alti livelli di efficienza, come la storia purtroppo dimostra. b) Iniziativa probatoria d'ufficio. La ricerca delle prove non deve spettare alle parti, bensì al giudice stesso, perché egli ha più poteri e, quindi, meglio può conoscere il vero e il giusto. Non è necessario che un organo di accusa abbia poteri nel processo, né che pari poteri abbia l'imputato attraverso il suo difensore. n giudice è in grado di ricercare le prove con pieni poteri coercitivi, e cioè arrestando imputati e testimoni e compiendo perquisizioni. Nessuna barriera deve essere frapposta alla sua autorità. c) Segreto. L'inquisitore è una persona (o un organo) che ricerca la verità senza utilizzare la contrapposizione dialettica tra le parti. Assume le deposizioni in segreto e non ha necessità di confrontare la sua ricostruzione della verità con le posizioni dell'accusa e della difesa dell'imputato. Costoro, limitando i suoi poteri, potrebbero soltanto ostacolare la ricerca del vero. d) Scrittura. Delle deposizioni raccolte dall'inquisitore è redatto un verbale. Questo riporta l'interpretazione che l'inquisitore dà alle frasi pronunciate. Si ritiene accettabile che non vengano riportate le parole effettive, bensì la versione
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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data dall'inquirente, perché soltanto lui è in grado di comprenderne il vero significato. n materiale sul quale è basata la decisione consiste nell'insieme degli atti scritti, e cioè dei verbali redatti. Si usa dire in modo incisivo che quod non est in actis, non est in hoc mundo: la verità è contenuta nelle carte del fascicolo predisposto dall'inquisitore. Non si pone il problema della opportunità che l'organo decidente (singolo o collegiale, a volte distinto dall'inquirente) possa sentire a voce il dichiarante. La attendibilità di questi è già stata valutata nel modo migliore dall'inquisitore, che è dotato di ampi poteri: egli sa "scrutare" il testimone e comprendere se ha detto il vero. e) Nessun limite all'ammissibilità delle prove. Quello che conta è il risultato da raggiungere, e cioè la verità, e non il metodo con cui la si persegue. Pertanto ogni modalità di ricerca è ammessa; anche la tortura dell'imputato. E se l'inquisitore ritiene che il testimone dica il falso, anche quest'ultimo può essere sottoposto a tortura. Nel corso della storia il " sonno della ragione" ha generato ogni sorta di mostri. Si è passati dalle torture fisiche (della ruota, del fuoco, ecc.) alle torture morali, più raffinate ma non meno dolorose. Lo scopo era quello di ottenere la confessione dell'imputato, considerata la "regina delle prove" . La confessione, oltretutto, è ben vista da quel tipo di regime totalitario, che si propone lo scopo di "redimere" il reo o, più modernamente, la finalità altrettanto terribile di "educare le masse" . f) La presunzione di reità. È sufficiente aver raccolto alcuni indizi contro un imputato, o anche soltanto una denuncia anonima, perché questi sia chiamato a "discolparsi" . In questo sistema deve essere l'imputato a dimostrare la sua innocenza mediante prove; se fallisce in tale compito, deve essere condannato. g) Carcerazione preventiva. Poiché l'imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove di innocenza può essere sottoposto a custodia preventiva in carcere. n sistema inquisitorio fa ampio uso di tale strumento; è denominato carcerazione "preventiva" perché costituisce l'anticipazione di quella sanzione, che poi viene irrogata a seguito della decisione. In attesa di questa, l'imputato languisce in carcere senza che gli siano rese note né l'accusa formulata, né le prove raccolte. n processo narrato nel libro di Kafka illustra nel modo più realistico tale situazione angosciosa. h) Molteplicità delle impugnazioni. n regime totalitario dà ampi poteri al giudice inquisitore; nel momento in cui egli li esercita, non può essere control lato dalle parti, pena la sconfessione del postulato che fonda il sistema. Una volta che è stata pronunciata la sentenza, il sistema si ricorda che anche il giudice è un uomo e può sbagliare. Ed allora il regime permette che le parti (il difensore dell'imputato e l'avvocato del re) possano presentare impugnazione, sulla quale deve decidere un giudice superiore che è dotato dei medesimi poteri inquisitori che sono concessi al primo giudice. La diffidenza nei confronti dei giudici-funzionari dello Stato porta il regime totalitario ad abbondare nelle
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impugnazioni. Tra l'altro, esse hanno il "vantaggio" di avvicinare il processo all'organo che è titolare del potere politico (il sovrano, il dittatore o il partito unico) . Infatti la sentenza pronunciata dal giudice di appello può, a sua volta, essere impugnata presso il consiglio del re o altro analogo organo al vertice, che è facilmente influenzabile dal titolare del potere politico. In ultima istanza, si ritiene che il re (o organo analogo) possa concedere la grazia, poiché in lui si cumulano tutti i poteri. In definitiva, il processo inquisitorio permette di accertare quella che può essere definita la "verità di Stato" . 5.
Sistema accusatorio e principio dialettico.
n sistema accusatorio è costruito come modello contrapposto a quello inquisitorio. Esso si basa su di un principio opposto a quello di autorità, e cioè sul principio dialettico. Si prende atto dei limiti della natura umana e si ritiene che nessuna persona sia depositaria del vero e del giusto; la verità si può accertare tanto meglio quanto più le funzioni processuali sono ripartite tra soggetti che hanno interessi antagonisti. Al giudice, che deve essere indipen dente ed imparziale, spetta di decidere sulla base di prove ricercate dall'accusa e dalla difesa. La scelta operata dal giudice tra le diverse ricostruzioni del fatto storico è stimolata dalla dialettica che si svolge tra soggetti spinti da interessi contrapposti. Lo scontro tra le tesi sostenute da ciascun interlocutore è una tecnica che consente di valutare la fondatezza degli argomenti che le sorreggono e costituisce il metodo meno imperfetto per avvicinarsi alla verità. Accettato tale principio, occorre che nel processo penale i poteri di un soggetto siano bilanciati da quelli riconosciuti ad un altro soggetto. È necessario che un giudice imparziale sia in grado di dirimere i momenti di contrasto inevitabile tra i due antagonisti del processo penale, restando in una posizione di assoluta neutralità psichica. Il sistema delineato, che può essere definito " separazione delle funzioni processuali" , adempie alla medesima finalità che è svolta dal principio della separazione dei poteri dello Stato; si tende ad evitare che l'uso di un potere degeneri in abuso. Sul punto è sempre attuale l'insegnamento di Montesquieu: « è una esperienza eterna che qualunque uomo, che ha un determinato potere, è portato ad abusarne ( . .. ) . Perché non si possa abusare di un potere, bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere arresti il potere » (3 ). Dal principio di separazione delle funzioni processuali derivano l e caratte ristiche essenziali del sistema accusatorio, che vengono a delinearsi in contrap posizione logica con quelle che connotano il sistema inquisitorio (v. tav. 1 . 1 . 1) . a ) Iniziativa diparte. Il giudice non può procedere d'ufficio nel determinare
(3)
MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Ginevra, 1748, libro I, cap. IV, trad. it., Milano, 1989.
1.1.5
Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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l'oggetto della controversia, perché altrimenti si dimostrerebbe parziale. L'ini ziativa del processo penale deve spettare soltanto alle parti. Dalla presenza di un " accusatore" prende nome questo sistema processuale. In origine il potere di azione (e cioè di chiedere una decisione al giudice) spettava ad un accusatore privato, e cioè alla persona offesa dal reato o a qualunque cittadino. Successi vamente il potere è stato esercitato da un organo pubblico designato in base ad elezioni o in un apposito procedimento giurisdizionale. Né il potere esecutivo, né quello legislativo devono poter inibire il potere di azione, pena l'abbandono di un sistema di tipo garantista. b) Iniziativa probatoria di parte. Una volta che sia accolto il principio dialettico, ne derivano alcune conseguenze in tema di prova. I poteri di ricerca, ammissione e valutazione della prova non possono essere attribuiti ad un unico soggetto (né al giudice, né all'accusatore), bensì devono essere divisi e ripartiti tra il giudice, l'accusa e la difesa in modo che nessuno di essi possa abusarne. In questo sistema è indispensabile una dettagliata regolamentazione della prova. Colui che accusa ha l'onere di ricercare le prove e di convincere il giudice della reità dell'imputato. La difesa deve avere il potere di ricercare le prove in base alle quali possa convincere il giudice che l'imputato non è colpevole, o che le modalità di svolgimento del fatto addebitato devono essere ricostruite in modo diverso da quanto ha fatto l'accusa. Il giudice deve soltanto decidere se ammettere, o meno, il mezzo di prova che viene richiesto; nel corso dell'esame deve di regola limitarsi a valutare l'ammissibilità delle domande formulate da una parte. L'istituto che esprime nel modo più limpido la filosofia del sistema accusatorio è l'esame in crociato, nel quale sono distribuiti in modo dettagliato i poteri di iniziativa spet tanti alle parti ed i poteri di controllo attribuiti al giudice. c) Contraddittorio. La separazione delle funzioni processuali si attua me diante il principio del contraddittorio. Questo assicura che, prima della deci sione, il giudice permetta alla parte interessata di sostenere le proprie ragioni (audiatur et altera pars); riferito alla materia della prova, il principio tende a far sì che ciascuna delle parti possa contribuire alla formazione della prova ponendo le domande al testimone (o altro dichiarante) . Il contraddittorio adempie a due funzioni essenziali: tutela i diritti di ciascuna parte e costituisce una tecnica di accertamento dei fatti. Quanto maggiore è il contraddittorio, tanto meglio potrà essere accertata la verità. Ad ogni parte deve essere data la possibilità di mettere in dubbio l'esistenza del fatto che è affermato dalla controparte. Ciò comporta che non può essere utilizzata per la decisione la dichiarazione di una persona citata da una parte, se alla controparte non è permesso di interrogarla in sede di controesame. d) Oralità. Si ha oralità in senso pieno soltanto quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte da colui che ha reso una dichia razione. L'oralità permette di valutare in modo pieno la credibilità e l'attendi bilità di un testimone (o di altro dichiarante) . Da ciò deriva la regola di
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I.I.5
esclusione secondo cui, in linea di principio, ai fini della decisione non sono utilizzabili le dichiarazioni scritte. e) Limiti di ammissibilità delle prove. Nel sistema accusatorio si ritiene che sia molto importante il metodo attraverso il quale si giunge a formare una prova; soltanto se questo è rispettato, la prova può essere attendibile e, quindi, utile allo scopo di ricostruire l'esistenza di un fatto storico. Non si vuole pervenire all'accertamento di una qualsiasi "verità di Stato" , che faccia piacere a colui che detiene il potere politico. Si vuole un metodo che permetta al giudice di valutare se l'ipotesi formulata dall'accusa è attendibile o meno. Ad esempio, si ritiene che una prova non sia attendibile se è raccolta con tecniche che influiscono sulla libertà morale di una persona. Una confessione estorta con la violenza o la minaccia non è utilizzabile. Spetta al giudice il controllo sulla ammissibilità dei mezzi di prova richiesti dalla parte. f) Presunzione di innocenza. Chiunque accusa una persona deve convincere il giudice, mediante prove, che costei è colpevole; fino a che il giudice non ha accertato la reità mediante un processo regolato dalla legge e rispettoso del diritto di difesa, l'imputato è presunto innocente. Non gli può essere chiesto di " discolparsi" , bensì spetta a colui che accusa portare prove che dimostrino la reità. n giudice può condannare l'imputato soltanto quando l'accusa ha provato la reità "al di là di ogni ragionevole dubbio " . n punto merita di essere approfondito. Oggetto di prova, nel processo di tipo accusatorio, è non l'innocenza dell'imputato, bensì la sua colpevolezza in relazione a quel fatto che è descritto nell'imputazione. Se l'accusa non riesce a convincere il giudice della reità dell'imputato "al di là di ogni ragi.onevole dubbio " , questi deve essere semplicemente dichiarato "non colpevole" . Non occorre che l'imputato sia " assolto" perché egli è presunto innocente fin dall'inizio del processo. g) Limiti alla custodia cautelare. Se l'imputato è presunto innocente fino alla condanna definitiva, non può essere trattato come un colpevole; pertanto la sanzione penale non può essere anticipata in via provvisoria. Quella che può essere applicata è soltanto una misura cautelare se ed in quanto vi siano prove che dimostrino che in concreto esistono esigenze cautelari. Pertanto, l'accusa deve dimostrare che vi è il pericolo che l'imputato inquini le prove, fugga o commetta gravi reati; ma soprattutto deve convincere il giudice, sia pure " allo stato degli atti" (e cioè sulla base di indagini non complete) , che vi sono prove o gravi indizi che dimostrano la reità dell'imputato. La presunzione di inno cenza impone che il quantum di prova sia considerevole e sia proporzionato alla gravità delle restrizioni poste alla libertà personale. Nel sistema accusatorio la custodia in carcere prima della sentenza è strutturata come la extrema ratio. L'ordinamento deve prevedere altre misure che possano essere applicate se ed in quanto siano idonee a fare fronte a esigenze cautelari meno intense. Se il pericolo di inquinamento della prova o il
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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pericolo di fuga possono essere evitati imponendo una cauzione, l'imputato ha diritto che il giudice determini la stessa tenendo conto delle sue capacità economiche. La custodia in carcere deve essere utilizzata quando tutte le altre misure ipotizzabili non siano in grado di scongiurare il pericolo di inquina mento delle prove, di fuga o di commissione di gravi reati. h) Limiti alle impugnazioni. Nel sistema accusatorio i controlli funzionano nel momento stesso in cui si forma la prova davanti al giudice nell'esame incrociato che sfrutta "l'effetto sorpresa " ; se l'esame viene compiuto una seconda volta sulle medesime domande, ha scarse possibilità di essere utile. Le impugnazioni, che pure esistono nel sistema accusatorio, hanno soprattutto lo scopo di controllare se in primo grado sono stati rispettati i diritti delle parti e, segnatamente, il diritto alla prova; ove si accerti una violazione, il dibattimento deve essere svolto nuovamente davanti ad un altro giudice. Ma soprattutto il giudice che decide sull'impugnazione deve essere indi pendente ed imparziale alla pari del giudice di primo grado. Occorre evitare che sia influenzabile da qualsiasi potere, sia esso politico, economico, sindacale o dei
mass media. 6.
Sistema processuale e regime politico.
n regime politico totalitario trova nel sistema processuale inquisitorio lo
strumento di potere più efficace. Attraverso giudici parziali il potere politico può far iniziare, o anche fermare, il processo penale; può far assumere o meno le prove; può favorire o meno gli appartenenti alla propria fazione. La mancanza del contraddittorio è uno strumento efficace per realizzare ogni arbitrio e per creare una "verità di Stato" . In un regime totalitario il processo penale funziona come strumento di controllo sociale, e cioè come mezzo per indottrinare le masse. Il messaggio che si trasmette è molto forte, perché è accompagnato dalla condanna ad una sanzione penale, che può essere anche la pena di morte. Il processo penale è usato come strumento di lotta politica. Al limite, non interessa informare sullo svolgimento del processo. L'importante è il messaggio che viene diffuso. Il processo penale serve ad inculcare una ideologia. La pubblicità data allo svolgersi del rito ed effettuata attraverso mezzi vecchi (la berlina) o nuovi (la televisione) serve a dare risonanza al messaggio, esplicito o anche implicito, che si vuole lanciare mediante il processo. La persona dell'im putato è oggetto di ogni curiosità; la sua dignità è annientata ancor prima che il giudice decida se è colpevole. Viceversa, un processo di tipo accusatorio è connaturale ad un regime politico garantista. Solo al potere esecutivo spetta di indicare quale è l'interesse pubblico da perseguire. n giudice non deve porsi questo problema; deve soltanto accertare se l'accusa ha dimostrato che l'imputato è colpevole al di
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Evoluzione storica del processo penale
1.1.7
fuori di ogni ragionevole dubbio. Se il giudice si dimostra parziale, le parti devono avere il potere di ricusarlo; anzi, deve essere consentito di dimostrare che il singolo magistrato o giudice popolare non è in condizioni tali da " apparire" imparziale. Per evitare che un giudice commetta errori, deve essere agevolato l'inter vento di parti con interessi contrapposti. Gli strumenti, che tendono a ridurre gli arbitrii (nei limiti del possibile), sono la separazione delle funzioni proces suali di accusa, difesa e giudizio; la distinzione tra il potere di direzione del dibattimento e il potere di decidere sull'accusa; la parità tra i poteri delle parti in tema di prova. Nel sistema accusatorio la pubblicità svolge la funzione di permettere all'opinione pubblica di verificare se la Giustizia è amministrata in modo corretto e se i diritti della persona umana sono rispettati; non deve mai essere uno strumento di indottrinamento e di controllo sociale. Quello che conta è accertare se l'accusa è fondata, non quali conseguenze politiche possano derivare da una condanna o da un'assoluzione. n processo penale deve svolgersi nelle aule di udienza e non sui mezzi di divulgazione di massa, nei quali non è tutelato il diritto di difesa. Non è consentito offendere la reputazione di un imputato nel momento in cui si svolge il processo penale. n diritto di critica è funzionale al controllo sul corretto svolgimento della amministrazione della Giustizia e non può diventare una aggressione al giudice o alle parti. n giudice deve poter accertare l'esistenza di un fatto, anche se ciò è "sgradito" al potere politico o all'opinione pubblica. La storia offre esempi chiarissimi della stretta correlazione tra regime politico e sistema processuale. I modelli elaborati possono essere utili al fine di valutare quanto un ordinamento politico sia coerente con l'immagine che pretende di diffondere. La storia contemporanea vede molti Stati che sosten gono di essere garantisti e poi, di fatto, utilizzano ordinamenti processuali nei quali prevalgono le caratteristiche del sistema inquisitorio. I modelli teorici, che sono stati formulati dagli studiosi del processo penale, consentono di dare una valutazione non " di facciata " , bensì sulla reale natura di un determinato ordinamento processuale e, di riflesso, del regime politico che lo ha adottato. 7.
Sistema processuale ed efficacia.
Si potrebbe discutere a lungo su quale sistema processuale abbia maggiore efficacia. Se con detto termine si intende il grado di raggiungimento dell' ob biettivo, e questo si identifica con la difesa della società dal crimine, il problema ha una soluzione abbastanza semplice. n sistema inquisitorio utilizza una sorta di "terrorismo di Stato" che è capace di debellare le più agguerrite bande criminali. L'inconveniente sta nel fatto che tale sistema non garantisce a sufficienza contro il rischio che sia condannato un innocente; ma soprattutto
I.l.8.a
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permette a l potere politico di utilizzare il processo penale come "strumento" per limitare la libertà dei cittadini e indottrinare le masse. Se viceversa, come riteniamo preferibile, l'obiettivo si identifica nella predisposizione di una regolamentazione idonea a tutelare la libertà politica ed i diritti della persona umana, il sistema accusatorio è più rispettoso dei diritti fondamentali, ma soprattutto rende più difficile al potere politico manipolare i fatti e costruire verità di Stato. Occorre comunque avere presenti anche gli svantaggi che possono derivare dal sistema accusatorio. Ad esso si addebita una eccessiva combattività che, se non regolata opportunamente, rischia di giungere fino al linciaggio del testi mone. Gli ampi poteri, di cui gode l'accusa pubblica (polizia e pubblico ministero) , impediscono al giudice di effettuare un efficace controllo soprattutto nei momenti anteriori al dibattimento. Le regole che escludono le prove raccolte fuori dal dibattimento tutelano i diritti di libertà del cittadino, ma tendono ad ostacolare l'accertamento del fatto di reato. Già da queste prime osservazioni si può ricavare come sia necessario porre temperamenti rispetto ad un recepì mento intransigente delle caratteristiche esaminate fin qui. D'altronde, nonostante molti studiosi ritengano che esista un unico modello di sistema accusatorio, occorre tenere presente che quello esposto sinora è in realtà il modello c.d. puro, che è stato ricavato per antitesi rispetto al modello inquisitorio e che costituisce il frutto di una elaborazione messa in opera fin dal 1 700. In realtà, esistono anche altre versioni del sistema accusatorio, che ne attenuano alcuni aspetti. Ed anzi, contingenze storiche ed esigenze pratiche hanno quasi sempre imposto di prevedere temperamenti in relazione a quegli aspetti del modello di tipo puro che potevano configurarsi come ostacoli al buon funzionamento della giustizia. All'evoluzione appena prospettata non è estraneo il nostro ordinamento che, dopo aver accolto nel 1 988 un modello accusatorio di tipo quasi puro, ha dovuto apportare a più riprese modifiche che hanno posto rimedio ai profili che apparivano non soddisfacenti. 8.
Cenni storici sul processo penale.
a.
Considerazioni introduttive.
La storia del processo penale è, in ampia parte, un susseguirsi di esempi di sistemi inquisitori. Lo stesso fenomeno si verifica per le istituzioni politiche: la storia degli ordinamenti costituzionali è piena di esempi di regimi totalitari nelle versioni più disparate, da quelli in cui prevale il potere esecutivo a quelli in cui prevale il potere legislativo o quello giudiziario. L'effetto è sempre una ditta tura, a prescindere dall'organo che la esercita.
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1.1.8.b
Evoluzione storica del processo penale
Nel corso dei secoli gli uomini hanno dovuto lottare duramente per ottenere garanzie sia nell'ordinamento costituzionale, sia nel processo penale. I risultati raggiunti non sono stati definitivi e, spesso, le garanzie si sono perse. b.
n diritto romano.
Nell'antico diritto romano il re disponeva, in materia di repressione criminale, di un incondizionato potere di coercizione e di giurisdizione per la repressione dei reati più gravi che mettevano in pericolo la vita della civitas e l'istituto mo narchico. Egli stesso procedeva a far arrestare l'autore del crimine, a stabilire la sanzione (la sacertas, una sorta di bando) e a far eseguire la pena di morte. Trasformatosi il regime da monarchico a repubblicano, la repressione dei reati era affidata al popolo riunito nelle assemblee comiziali. n potere di coercitio dei magistrati superiori (in particolare, dei consoli) veniva in qualche modo temperato dall'istituto della provocatio ad populum, che attribuiva al perseguito la facoltà di ricorrere all'assemblea. Il processo popolare venne progressivamente cedendo il posto a tribunali stabili (quaestiones perpetuae) istituiti per legge e presieduti da un magistrato, che in un primo tempo limitarono e, successivamente, assorbirono l'antico processo davanti ai comizi per diventare, infine, l'organo ordinario della repressione criminale dell'ultima età repubblicana e dei primi tempi dell'impero (4) . n processo davanti alle quaestiones perpetuae era tipicamente accusatorio: l'iniziativa spettava a qualunque privato cittadino, quale rappresentante dell'in teresse pubblico. Se i postulanti per il medesimo fatto criminoso erano più di uno, si svolgeva una procedura preliminare (divinatio) diretta alla scelta del l' accusatore da preferire. La giuria decideva a quale cittadino doveva essere conferito il potere di accusa. I giurati erano estratti a sorte nella classe dei senatori e dei cavalieri; l'accusatore ed il difensore dell'imputato avevano il potere di ricusare i singoli giurati, finché si perveniva ad un collegio su cui concordavano. L'accusatore prescelto formulava l'imputazione (nominis delatio) ; il magistrato la raccoglieva in un processo verbale. Quindi autorizzava l'accusatore a procedere alla raccolta delle prove con poteri coercitivi (imperium) e fissava la data del dibattimento. In udienza prendevano la parola per primo l'accusatore e poi il difensore dell'imputato. Successivamente si procedeva all'escussione dei testimoni. Essi prestavano giuramento davanti al magistrato, che dirigeva il dibattimento, venivano interrogati dalla parte che li aveva chiamati a deporre e, successiva mente, dall'avversario. Seguivano le orationes dell'accusa e della difesa. Dopo diché il magistrato invitava i giurati a ritirarsi per deliberare in segreto. La (4)
B.SANTALUCIA,
Diritto e processo penale nell'antica Roma, 2• ed., Milano, 1998, 165
s.
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decisione di condanna non indicava la pena, perché questa era stabilita dalla legge. Contro la decisione non era ammesso appello. Da quanto esposto, appare chiaro che il sistema delle quaestiones perpetuae poteva funzionare soltanto per il concorrere di determinate circostanze favore voli. Lo svolgimento di funzioni pubbliche era demandato all'iniziativa dei cittadini. Il compito di accusa richiedeva al singolo di contribuire a tutelare l'interesse pubblico. L 'organizzazione delle giurie esigeva la partecipazione diretta dei cittadini migliori. Finché la tensione morale fu alta, il sistema poté funzionare. Quando prevalse il disinteresse, la giuria subì un declino. Il sistema delle quaestiones perpetuae fin dai primi anni del principato iniziò a subire la concorrenza di un nuovo tipo di processo più coerente con il nuovo assetto costituzionale dello Stato. La questione era affidata ad un delegato del l'imperatore, che cumulava il potere di accusare, di raccogliere le prove e di giudicare. L'imperatore si riservava il potere di decidere sull'impugnazione pre sentata dal cittadino romano, che si " appellava a Cesare " . Tale procedimen to, definito cognitio extra ordinem, venne poi a sostituirsi alle quaestiones perpe
tuae. c.
n periodo medioevale.
Nei primitivi regimi barbarici il processo penale era considerato un feno meno irrazionale, nel quale si manifestavano credenze magiche. Si riteneva che la divinità fosse presente nel processo e che non potesse lasciare soccombere l'innocente. Il giudizio era basato sull'ordalìa, che era una prova fisica subita dall'accusato; dal suo risultato si pretendeva di ricavare la prova dell'innocenza, perché la divinità sarebbe dovuta intervenire; ciò comportava una sorta di onere della prova a carico dell'imputato. Nel comune parlare ancora oggi si dice "metterei la mano sul fuoco " . Ciò costituisce il retaggio della "ordalìa del fuoco" : l'accusato doveva afferrare con la mano un ferro rovente e doveva fare qualche passo senza !asciarlo cadere. Poi si applicava sulla ferita una medicazione e la si sigillava. Quando si toglieva il medicamento, l'aspetto della ferita provava la reità o l'innocenza dell'accusato. Con il ritorno della civiltà, l'ordinamento barbarico recepì gli insegnamenti del diritto romano. Nel diritto penale, in relazione ai delitti pubblici, ciò comportò il ripristino del sistema della cognitio extra ordinem che, da quel periodo, venne denominata inquisizione. A tale sistema si orientò, fin dalle Decretali del Papa Innocenza III ( 1204- 1 212) , il diritto canonico nel perseguire le eresie sorte nel popolo e le malefatte dei vescovi-conti. Il sistema inquisitorio fu accolto anche dai Comuni trasformatisi in Prin cipati e dai vari Stati assoluti che si vennero formando nell'Europa continen tale.
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1.1.9
TI processo penale nello Stato assoluto.
Fra i vari ordinamenti accolti dagli Stati assoluti nel '600, merita esaminare quello che era in vigore in Francia all'inizio della Rivoluzione nel 1789. Molteplici sono i motivi che inducono ad approfondire la trattazione di quell'ordinamento. In primo luogo, vi è un motivo teorico, poiché tale ordinamento ha quasi tutte le caratteristiche del sistema inquisitorio. In secondo luogo, vi sono ragioni storiche, poiché il medesimo è stato oggetto di critica da parte dei filosofi illuministi ed è stato sostituito, all'inizio della Rivoluzione, con un ordinamento ispirato al processo penale inglese del tempo, caratterizzato dal sistema accu satorio. Le leggi rivoluzionarie successive hanno introdotto correzioni e modi fiche che contemperavano i due sistemi, fino a che con il codice napoleonico del 1 808 è stato elaborato un sistema "misto " . Il codice è stato preso a modello dal pensiero liberale ed è stato introdotto in Italia ed in quasi tutti gli altri Stati dell'Europa continentale nel corso dell'800. In Italia il sistema misto è rimasto in vigore fino al 24 ottobre 1 989. Lo studio dell'evoluzione legislativa nel periodo che abbiamo indicato non costituisce una civetteria accademica né ha finalità di mera conoscenza storica. In realtà, l'indagine ha una importanza fondamentale per spiegare i meccanismi processuali che sono stati accolti in Italia fin dall'unificazione ( 1 865) e, soprat tutto, per comprendere le ragioni che hanno imposto il cambiamento, operato dal codice di procedura penale del 1 988, che ha recepito un sistema prevalen temente accusatorio. Al tempo stesso, l'esame dell'evoluzione legislativa ci permette di comprendere meglio il funzionamento degli ordinamenti degli altri Stati dell'Unione europea che ancora oggi accolgono sistemi processuali di tipo misto, che derivano dal codice napoleonico. Le finalità del nostro studio ci impongono di adottare alcune semplifica zioni. Nell'esame dell'evoluzione storica della legislazione terremo conto uni camente del processo penale che riguarda i più gravi delitti (denominati " crimini ") perché proprio in relazione al loro accertamento le scelte processuali sono significative: l'errore giudiziario ha conseguenze più gravi e, pertanto, è necessaria la predisposizione del massimo delle garanzie. La Ordonnance criminelle del 1 670, promulgata in Francia nel periodo di maggiore potenza dello Stato assoluto, costituisce uno snodo fondamentale della storia del processo penale (5 ) . Fino ad allora agli organi giudicanti era riconosciuto il potere di determinare le regole del proprio operare. La norma tiva processuale si era venuta completando nel tempo sulla base della prassi creata dai giudici e dagli avvocati, con l'aiuto della dottrina. Il re Luigi XIV (5) Se ne veda la ristampa anastatica Code Louis, T. II, Ordonnance criminelle, 1 670, collana Testi e documenti per la storia del processo, a cura di N. PICARDI e A. GIULIANI, Milano, 1 996.
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volle innovare anche in questo campo e, mentre affermava di voler soltanto razionalizzare la procedura penale allora vigente, in realtà si impossessava del potere di legiferare in via esclusiva in materia processuale. L'effetto fu quello di rafforzare i tratti del sistema inquisitorio. In base alla Ordonnance il processo penale si metteva in moto a seguito di una denuncia di un privato, di una querela della persona offesa oppure su iniziativa del procuratore del re o del giudice d'ufficio. Seguiva una procedura preparatoria deno minata in/ormation, che aveva la funzione di raccogliere elementi e di individuare le fonti di prova. In seguito i testimoni erano sentiti dal giudice, che provvedeva ad arrestare l'imputato e ad interrogarlo senza la presenza del difensore. L'imputato doveva prestare giuramento di rispondere secondo verità. Conclusa l'informazione, il giudice comunicava gli atti al procuratore del re, che poteva chiedere la liberazione dell'arrestato e la prosecuzione del processo secondo il rito civile (se il reato era passibile di sola pena pecuniaria), oppure la prosecuzione col rito penale. Se il giudice decideva di procedere col rito penale, iniziava l'istruzione definitiva. In segreto davanti al giudice inquisitore il singolo testimone doveva ascoltare la lettura del verbale delle dichiarazioni che aveva reso in precedenza; gli era chiesto se le confer mava; scopo dell'atto era quello di evitare ritrattazioni (ne varietur) . Quindi il testimone era messo al cospetto dell'imputato; erano lette le dichiarazioni che egli aveva reso in precedenza e gli veniva chiesto, davanti all'imputato, se persisteva; se il testimone "non persisteva" , doveva essere punito. Conclusi i " confronti" con l'imputato, il procuratore del re e la parte civile presentavano le conclusioni definitive. L'imputato poteva rispondere con una " do manda di attenuazione" , tendente a dimostrare la falsità delle allegazioni. Di fronte al collegio giudicante l'inquisitore svolgeva la sua relazione sul processo. Veniva quindi effettuato l'interrogatorio dell'imputato; se i fatti da lui allegati erano ritenuti "gravi e seri " , il collegio ordinava di sentire il testimone. L'imputato poteva essere sottoposto alla tortura preparatoria a condizione che il delitto comportasse la pena di morte e vi fosse una prova considerevole contro l'accusato. In seguito alla condanna poteva essere fatta la " tortura preliminare" allo scopo di far rivelare il nome dei complici. La sentenza di assoluzione non poteva mai dar luogo al giudicato: l'imputato era prosciolto allo stato degli atti ( '' quanto al presente" ) . Contro la condanna l'imputato poteva fare appello; successivamente poteva presentare impugnazione al consiglio del re.
Netto era il giudizio negativo dato dai filosofi illuministi su questa proce dura. L'arbitrio del giudice era illimitato; l'imputato era lasciato a se stesso, era martoriato prima ancora che potesse difendersi; era posto davanti all'alternativa tra confessare (e allora la condanna era sicura) o negare la reità (e, di conse guenza, i tormenti si allungavano) . I testimoni si limitavano a "confermare" le precedenti dichiarazioni e non fornivano al giudice elementi sufficienti per una valutazione sulla propria attendibilità. La decisione era fondata sulla
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1.1. 1 0
legale" , e cioè s u d i un meccanismo predeterminato di vincoli aritmetici in base al quale il risultato consacrato nel verbale non poteva essere liberamente valutato dal giudice stesso. In definitiva, il sistema non tutelava né gli interessi della Giustizia, né il diritto di difesa dell'imputato. Alcuni clamorosi errori giudiziari, denunciati da Voltaire (6) e poi ricono sciuti dopo anni quando l'imputato era già stato giustiziato, avevano commosso l'opinione pubblica e screditato il regime. Il processo inquisitorio era criticato da Cesare Beccaria nel suo volumetto intitolato « Dei delitti e delle pene » che fu pubblicato a Livorno nel 1764 ed ebbe ampia risonanza in tutta Europa. Beccaria sosteneva che le denunce e le accuse non dovevano essere segrete; che si doveva vietare che l'imputato fosse sottoposto al giuramento e, ancor più, alla tortura. Egli proponeva che il processo penale si svolgesse in pubblico, che vi fosse un severo controllo sull'uso della custodia preventiva e che si abbando nasse il sistema della prova legale in favore del libero convincimento del giudice. Allo scoppiare della Rivoluzione francese nel 17 89 la maggior parte dei cahiers de doléance avevano ad oggetto i guasti del processo inquisitorio. Ciò spiega perché, fin dall'inizio, l'Assemblea nazionale si propose di modificare il processo penale. Bastava attraversare il canale della Manica per trovare un sistema ispirato a princìpi assolutamente opposti. 10. n processo penale inglese.
Gli storici sono concordi nel riconoscere all'ordinamento inglese del '600 il merito di aver fondato i più importanti princìpi garantistici sia dello Stato costituzionale, sia del processo accusatorio. In Inghilterra per vari motivi il potere del re non fu mai assoluto; esso fu controllato dapprima dai baroni, che nel 12 15 ottennero la Magna Charta libertatum; successivamente dal parla mento. In base alla Magna Charta « nessun uomo libero (poteva essere) arre stato o messo in prigione se non a seguito di un giudizio dei suoi pari, reso nella forma legale secondo il diritto del paese » (art. 39). Il processo penale inglese era basato su due istituti di importanza fonda mentale: la giuria ed i testimoni. Esso seguiva le cadenze del processo romano del periodo della repubblica. Una prima giuria (Grand jury) decideva se l'imputato doveva essere rinviato a giudizio. Una seconda giuria assisteva al pubblico dibattimento e decideva, con un verdetto non motivato, se l'imputato era colpevole. Nel caso in cui fosse accertata la reità dell'imputato, il giudice togato stabiliva la pena. Il procedimento cui abbiamo sommariamente accennato è il risultato di una lenta evoluzione; le garanzie in favore dell'imputato sono state strappate al (6)
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Trattato sulla tolleranza, 1763, trad. it., 1966.
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sovrano dal parlamento in buona parte dopo l a rivoluzione di Cromwell. Ancora all'inizio del 1 600 per i crimini più gravi il processo aveva caratteristiche inquisitorie, che si accentuavano presso le giurisdizioni ecclesiastiche e, soprat tutto, presso la corte del Re (denominata Star Chamber) , alla quale era deman dato di giudicare sui reati di alto tradimento. n primo riconoscimento del privilegio contro l'autoincriminazione e del di ritto a " confrontarsi" con l'accusatore si è avuto negli anni immediatamente pre cedenti alla rivoluzione di Cromwell. Si tratta di un'epoca nella quale sono state elaborate le garanzie fondamentali del costituzionalismo moderno. I due princìpi trovano la loro matrice filosofica nell'affermazione del " diritto naturale" , brandito come arma ideologica nei confronti dello Stato. Occasione per la loro afferma zione sono stati due casi giudiziari che hanno avuto ampia risonanza e nei quali i predetti princìpi erano stati palesemente disconosciuti (7) . Dal punto d i vista cronologico, il primo a d essere affermato come garanzia fondamentale non è stato il diritto al silenzio, bensì il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore. Sir Walter Raleigh, inquisito su ordine del Re presso la Star Chamber, chiese invano nel 1603 di essere messo a confronto col suo accusatore, Lord Cobham, che aveva deposto in segreto e le cui dichiara zioni erano state prodotte per scritto nel processo (8). La Star Chamber respinse la richiesta e condannò a morte Walter Raleigh; soltanto dopo il processo si seppe che l'accusatore aveva reso le sue dichiarazioni sotto tortura e, successi vamente, le aveva ritrattate. La notizia sollevò una forte reazione perché il condannato era molto conosciuto per la sua attività di navigatore e scopritore di nuove terre e per il suo animo coraggioso e leale. Da quel momento il right o/ con/rontation ha iniziato ad affermarsi, sia pure con difficoltà (9) . L'affermazione del diritto al silenzio è di poco posteriore. Nel 1634 l'imputato Lilburn sostenne di avere i l diritto di non rispondere a domande autoincriminanti. Anche in questo caso la richiesta venne respinta; ma il Parlamento nel 1 64 1 dichiarò illegale tale provvedimento e, poco tempo dopo, eliminò l'organo giurisdizionale che aveva negato il diritto (Star Chamber) ( 1 0) . Quanto abbiamo ricordato è avvenuto in coincidenza con l e tappe fonda mentali della rivoluzione. Come è noto, il Re Carlo I Stuart sciolse il parlamento, (7) Sul punto, v. C. VEITORI, Diritto dell'imputato a confrontarsi con colui che lo accusa e diritto al silenzio: l'ordinamento inglese, in AA.Vv., Le nuove leggi penali, Collana di studi sui Problemi attuali della Giustizia penale, diretta da A. GIARDA, G . SPANGHER, P. ToN!NI, Padova, 1998, 273. (8) "Proof o/ the Common Law is by witness and jury; !et Cobham be h ere, !et him speak it. Cal! my accuser be/ore my /ace. . . . (9) Negli Stati Uniti il right o/ con/rontation è stato inserito nel Sesto Emendamento alla Costituzione "
( 1791) nei seguenti termini: >. ( lO) li Quinto Emendamento alla Costituzione ha cristallizzato così il privilege against self incrimina tion: « nessuno (. .... ) potrà essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre contro se stesso >>.
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non lo convocò per vari anni ed arrestò i parlamentari. Nel 1642 scoppiò la guerra civile che mobilitò contro il re la nobiltà di campagna, la borghesia urbana ed il popolo di Londra. Il sovrano fu processato, condannato e decapitato. La nuova monarchia dovette venire a patti col parlamento ed accettò quelle che da allora furono ritenute le garanzie fondamentali del sistema costituzionale. Nel 1679 fu approvato dal Parlamento l'Habeas Corpus Act, che dava al giudice il potere di valutare la legittimità dello stato di detenzione di qualsiasi persona. Nel 1 689 fu approvato il Bill o/ Rights, che contiene l'elenco dei diritti fondamentali, come quello, spettante all'imputato, di essere lasciato libero dietro il pagamento di una cauzione, che non doveva essere "eccessiva" . D a allora l a prassi giudiziaria poco alla volta h a perfezionato quel formi dabile meccanismo processuale che è conosciuto come " esame incrociato" . 1 1 . La Rivoluzione francese e l'evoluzione del processo penale.
Nello spazio di circa venti anni, tra il 1789 e il 1808, la Rivoluzione francese ha sperimentato i più diversi sistemi politici, da quelli nei quali prevaleva il potere legislativo a quelli in cui l'esecutivo dominava sugli altri organi costitu zionali. È un periodo storico molto interessante per lo studioso del diritto costituzionale, perché permette di osservare le prime versioni dei vari tipi di regime democratico (assembleare, totalitario, garantista) che poi si manifeste ranno nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo. Ma ha una importanza ancora maggiore per lo studioso del processo penale, perché permette di comprendere come dall'incontro tra il sistema inquisitorio ed il sistema accu satorio sia sorto quel sistema che poi è stato definito "misto" per eccellenza e che poi tanta influenza ha avuto nell'Europa continentale nel corso dei due secoli successivi ( 1 1 ) . L e leggi del 1 7 9 1 e delle fasi del Terrore, del Direttorio, del Consolato e dell'Impero, hanno permesso di elaborare istituti fondamentali, che da allora costituiscono punti di riferimento per gli ordinamenti processuali. Mai come in questo periodo si è potuto osservare che al variare del regime politico è corrisposto il modificarsi del sistema processuale. Nella prima fase della Rivoluzione, l'Assemblea nazionale non ha voluto adottare il modello costituzionale inglese del "bilanciamento dei poteri" , né quello statunitense della netta separazione degli stessi. Il legislatore francese ha voluto perseguire l'unico
( 1 1 ) Si vedano, per maggiori dettagli, P. FERRuA, Riforme processuali con aspirazioni accusatorie e pericoli di degenerazione inquisitoria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1977, 889 s.; P. ToNINI, Polizia giudiziaria e magistratura. Profili storici e sistematici, Milano, 1979, 22 s. , ora in www.giuffre.it/il diritto di tutti/archivio/ catalogo storico.
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scopo di contrapporre, al re e ai suoi ministri, organi che derivassero il loro potere da un'investitura popolare. Poiché la sovranità spettava al popolo, esso sceglieva alcuni "grandi elettori" , che nominavano sia i deputati al parlamento e alle amministrazioni locali, sia i giudici. Pertanto la separazione dei poteri, teorizzata da Montesquieu, non venne attuata. Per quanto riguarda il processo penale le cose sono andate diversamente. Gli studi dei pubblicisti francesi avevano circondato il processo penale inglese di un'aura di fascino così forte che il legislatore ne fu influenzato. È stato accolto un ordinamento che ricalcava pedissequamente il processo penale allora vigente in Inghilterra. li decreto dell'Assemblea nazionale del 16-29 settembre 1 7 9 1 ha introdotto un sistema in preva lenza accusatorio. Mantenendo fermo il criterio secondo cui è esaminata soltanto la normativa attinente ai delitti più gravi, ricordiamo che il processo penale risultava diviso in tre fasi: un'informazione segreta condotta dal giudice di pace; un'udienza segreta davanti aljury d'accusa; un'udienza pubblica davanti al jury del giudizio (v. tav. 1 . 1 .3 ) .
Nella prima fase del processo, il giudice di pace agiva d'ufficio o su denuncia di un cittadino. Accertato il compimento di un grave reato, egli sentiva i testimoni, interrogava l'imputato e poteva arrestarlo. Quindi trasmetteva gli elementi raccolti al direttore del jury d'accusa. Nella seconda fase del procedimento, il direttore del jury (che era un giudice eletto dai "grandi elettori" ) sentiva nuovamente i testimoni e, di fatto, finiva per svolgere una vera e propria istruzione. A lui spettava (pur essendo un giudice) il potere di predisporre l'atto di accusa e di convocare il jury; se egli decideva di non redigere l'atto d'accusa, questo poteva essere predisposto dal denunciante o dalla persona offesa. Davanti aljury d'accusa si svolgeva un'udienza segreta, ma orale. Quest'or gano aveva la funzione, garantita dalla Costituzione del 179 1, di controllare la necessità del rinvio a giudizio. n direttore del jury istruiva i giurati, faceva dare lettura dei verbali, chiamava i testimoni a deporre oralmente. Non era presente l'imputato né il suo difensore; né era presente il pubblico ministero. Gli otto giurati popolari decidevano a maggioranza se l'imputato doveva essere rinviato a dibattimento o se doveva pronunciarsi il non luogo a procedere. La terza fase consisteva in un dibattimento pubblico di fronte ad una giuria composta da dodici cittadini estratti a sorte, che decidevano se l'imputato era colpevole. La direzione del dibattimento spettava ad un organo (il tribuna! crimine/) composto da tre giudici elettivi; se l'imputato era riconosciuto colpe vole, essi decidevano la quantità della pena. In dibattimento era presente l'accusatore pubblico, che chiamava a deporre i testimoni a carico e chiedeva la condanna; tale organo era anch'esso elettivo e svolgeva le sue funzioni soltanto dopo che l'atto d'accusa era stato ammesso dalla prima giuria. La legge regolava minuziosamente la formazione del jury. I dodici giurati
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erano estratti a sorte d a un elenco di quattrocento cittadini. L'accusatore pubblico e l'imputato potev�o ricusarne venti senza addurre motivi; potevano ricusarne altri, ma fornendo una motivazione, sulla quale decidevano i giudici
(tribuna! crimine[). Il dibattimento si svolgeva in pubblico ed era basato sul principio di oralità: non erano utilizzabili i verbali di atti raccolti in precedenza. Il presidente del tribuna! crimine! aveva la funzione di dirigere l'udienza e di ammettere i testimoni. Per primo l'accusatore pubblico esponeva l'imputazione e chiamava a deporre i testimoni a carico; quindi si sentivano quelli a discarico. L'accusato e il suo difensore avevano la parola per ultimi. Il presidente riassumeva le argomentazioni delle parti e poneva per scritto le domande ai giurati. Costoro si riunivano in camera di consiglio alla presenza di un giudice e rispondevano alle domande. La decisione era fondata sulla "intima convinzione" dei giurati; accorrevano almeno dieci voti su dodici per condannare l'imputato. Accertata la reità, i giudici elettivi in pubblica udienza irrogavano la pena prevista dalla legge. Il sistema nel suo insieme era sufficientemente garantista; ad una istruzione segreta seguiva un dibattimento in contraddittorio. Il principale difetto di quel meccanismo processuale stava nell'ordinamento del pubblico ministero. In particolare, l'accusatore pubblico . elettivo era un organo locale carente di coordinamento. Mancava un organo centralizzato che assumesse le iniziative di accusa e ne sostenesse la responsabilità in dibattimento. Con il passaggio dal Direttorio al Consolato ( 1 799) l'accusatore pubblico elettivo venne eliminato e fu sostituito da un "rappresentante del potere esecutivo presso il potere giudiziario" . Tale era la funzione svolta dal pubblico ministero, che era un magistrato posto sotto la direzione del procuratore generale presso la corte d'appello e, per il suo tramite, del ministro della Giustizia. L'avvento del Consolato ( 1799) comportò altresì la reintroduzione di alcuni istituti tipici del sistema inquisitorio. In ogni caso, le leggi promulgate nel precedente periodo del Direttorio permisero di sperimentare nuovi meccanismi di separazione delle funzioni nel processo penale. Il direttore deljury diventò un vero e proprio giudice istruttore che ricercava le prove d'ufficio, in seguito ad una iniziale richiesta formulata dal pubblico ministero.
12. D
sistema mis_to nel Code d'instruction criminelle.
Quando nel 1 804 il Consiglio di Stato iniziò i lavori per la redazione del codice di procedura penale poteva contare su di una esperienza molto ricca. La capacità tecnica dei componenti consentì di giungere alla formulazione di quello che, da allora, fu definito il sistema processuale "misto" per eccellenza, in quanto venne ritenuto la migliore combinazione tra il sistema inquisitorio e
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quello accusatorio; esso permetteva di contemperare le esigenze di difesa della società e le esigenze di garanzia in favore dell'imputato. Nel Code d'instruction criminelle, promulgato nel l 808 ma entrato in vigore nel l 8 1 1 , il sistema misto era così congegnato. La fase anteriore al dibattimento, denominata istruzione, era prevalentemente inquisitoria, ma era temperata in aspetti fondamentali da istituti del sistema accusatorio. La fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria, salvo alcuni temperamenti in senso inquisito rio. n sistema misto era caratterizzato dalla "separazione di funzioni" tra accusa e giudizio (v. tav. 1 . 1 .4 ) . L'istruzione era segreta e veniva svolta dal giudice istruttore. Non s i trattava della inquisizione dell'Ancien Régime perché vi erano i seguenti temperamenti: l ) l'istruzione iniziava dopo che il pubblico ministero aveva fatto formale richiesta al giudice istruttore; 2 ) essa terminava dopo che il pubblico ministero medesimo aveva chiesto il rinvio a giudizio o il proscioglimento; 3 ) il giudice non poteva rifiutarsi di compiere l'istruzione; 4) era garantito all'imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio; tale controllo era svolto da una sezione della corte d'appello composta da giudici togati (Chambre
d'accusation). Nella fase istruttoria il sistema misto si caratterizzava per il fatto che l'assunzione delle prove era affidata al giudice, e cioè ad un organo comunque separato dal potere esecutivo; tale organo era sotto il controllo della corte d'appello, dalla quale ricavava al tempo stesso la "forza" di opporsi all'ufficio del pubblico ministero. A quest'ultimo, poiché dipendeva dal potere esecutivo, non si volevano attribuire poteri coercitivi. Soltanto in presenza di flagranza di reato il principio veniva meno: sia il pubblico ministero, sia la polizia potevano arrestare l'imputato e potevano disporre la perquisizione. A sua volta, la fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria; tuttavia essa era temperata dai seguenti princìpi: l) le domande ai testimoni erano rivolte dal presidente del collegio giudicante; 2) gli atti compiuti prima del dibattimento potevano essere letti e su di essi il giudice poteva fondare la sua decisione (v. tav. 1 . 1 .2) . n sistema misto "inventato" dal codice del 1808 mirava a fondere in un'unica struttura processuale i caratteri del sistema inquisitorio e di quello accusatorio, cercando (almeno nei propositi) di sommarne gli aspetti positivi e, al tempo stesso, di contemperare la difesa della società e la tutela dell'imputato. L'istruzione era una " assunzione" della prova, mentre il dibattimento costituiva una "critica " ed un " controllo" sulla medesima. Sono note le obiezioni che sono state formulate in tempi recenti. La distinzione tra istruzione e dibattimento è artificiosa perché va contro la realtà delle cose: non si può assumere una prova senza, nel medesimo tempo, valutaria. A sua volta, la decisione non è un atto staccato dalla formazione della prova: mentre si sente un testimone, se ne valuta la credibilità. n sistema misto
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Evoluzione storica del processo penale
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è stato criticato in quanto le prove sono raccolte in segreto senza che la difesa possa svolgere un controllo: colui che rende dichiarazioni può subire "pres sioni" dall'inquirente. Soltanto in dibattimento l'imputato è autorizzato a " demolire" le prove, già assunte. In definitiva, il difetto del sistema misto napoleonico sta nel non aver assicurato il principio di separazione delle fasi. L'attuazione sostanziale di tale canone, infatti, richiede che il giudice del dibattimento possa decidere, di regola, soltanto sulla base delle prove assunte in contraddittorio. Queste sono le obiezioni dovute a ciò che possiamo definire "il senno di poi ". Nel momento in cui è sorto, il sistema misto è stato salutato come una conquista di civiltà; esportato in tutti gli Stati dell'Europa continentale dalle armate napoleoniche, esso ha sostituito il processo inquisitorio. Dopo il 1 8 15 negli Stati europei tornarono al potere i sovrani assoluti, i quali immediatamente ripristinarono il processo inquisitorio con tutte le carat teristiche che ormai ben conosciamo. Con fatica il movimento liberale nel corso dell'800 riuscì a imporre negli Stati dell'Europa continentale il ripristino del sistema misto napoleonico. Visto con gli occhi di allora, era un notevole passo avanti in senso garantista. In effetti, il sistema misto è accettabile a patto che funzionino i controlli politici, che sono tipici della separazione dei poteri. Attraverso il pubblico ministero, il potere esecutivo è responsabile dell'iniziativa nella repressione dei reati e ne risponde davanti al parlamento e all'opinione pubblica. 13. I codici italiani di procedura penale.
n 1848 costituì un anno fondamentale della storia italiana per quanto
concerne sia l'ordinamento costituzionale, sia il processo penale. Nello Stato del Piemonte fu promulgato lo Statuto, che poi doveva diventare la Carta fonda mentale del Regno d'Italia, quando nel 1 865 avvenne l'unificazione. Sempre in Piemonte il 1 maggio 1 848 entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale, che accoglieva il modello napoleonico. Anche se era voluto dal movimento liberale, esso (come del resto lo Statuto) era una legge "concessa" dalla grazia del sovrano. Nel 1 859 venne promulgato un nuovo codice basato sempre sul sistema misto; tale codice con alcune modifiche fu esteso nel 1 865 al Regno d'Italia. Dal 1866 iniziarono gli studi tendenti a riformare il processo penale; ma soltanto nel 1 892 una commissione fu incaricata di redigere il progetto di un nuovo codice. Nel frattempo il parlamento era stato assorbito dalla riforma del diritto penale, che si era conclusa con l'approvazione del codice liberale del 1889. n primo codice di procedura penale italiano vide la luce nel 1 9 1 3 . Pur conservando il sistema misto, esso innovava rispetto al modello napoleonico, in quanto riconosceva ampi diritti all'accusato già nel corso della fase istruttoria. o
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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Il difensore dell'imputato aveva il diritto di assistere con preawiso alle perizie, agli esperimenti giudiziali ed alle ricognizioni; poteva assistere senza preavviso alle perquisizioni domiciliari. Inoltre il difensore aveva il diritto di prendere visione dei verbali degli atti predetti, oltre che dei sequestri, delle perquisizioni personali, delle ispezioni e dell'interrogatorio dell'imputato (al quale, però, non poteva assistere) . In definitiva, nel corso dell'istruzione, restavano segrete soltanto le testimonianze. Nel dibattimento (per i reati più gravi, e cioè per i crimini) fu introdotta la giuria popolare; essa decideva sul fatto, mentre i giudici togati determinavano la quantità della pena, ove fosse stata pronunciata condanna. La giuria deliberava in udienza mediante schede segrete, su quesiti formulati dal presidente; erano presenti il pubblico ministero ed il difensore. Nel complesso, il codice del 1913 continuava ad appartenere al sistema misto, ma con una considerevole presenza di istituti ricollegabili al processo accusatorio. Al termine della prima guerra mondiale i disordini sociali ed il fermento rivoluzionario determinarono una profonda aspirazione all'ordine. Musso lini se ne rese interprete ed iniziò la soppressione del sistema liberale. Con un decreto legge del 1923 attribuì al governo il potere di nominare tutti i membri del consiglio superiore della magistratura, che fino ad allora erano eletti dai magistrati. Con un tratto di penna fu travolto il frutto di più di venti anni di riforme in favore dell'indipendenza della magistratura. Analoga sorte subì qualche anno dopo il potere legislativo: la separazione dei poteri fu cancellata. In coerenza col nuovo regime, si procedette alla riforma dei codici; quello di procedura penale fu promulgato nel 1 930 insieme al nuovo codice penale; essi entrarono in vigore nel 1 93 1 . Nella Relazione al codice di procedura penale il ministro della Giustizia Alfredo Rocco dichiarava di proporsi un « giusto equilibrio » tra gli interessi dello Stato e quelli dell'imputato. Però il diritto di difesa fu eliminato nella fase istruttoria, che tornò ad essere totalmente segreta; il pubblico ministero, dipendente dal potere esecutivo, ottenne i medesimi poteri coercitivi che erano esercitati dal giudice istruttore. Infatti, il pubblico ministero conduceva una sua istruzione, denominata sommaria, nella quale poteva, tra l'altro, limitare la libertà personale dell'impu tato. Inoltre, poteva assumere le prove e decidere di rinviare l'imputato a giudizio, come se fosse stato un giudice. Dal canto suo, il giudice istruttore nella cosiddetta istruzione formale procedeva d'ufficio alla ricerca delle prove, che assumeva in segreto, e decideva se rinviare l'imputato a giudizio. Infine, il giudice del dibattimento nella decisione poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori (v. tav. 1 . 1 .5 ) . Il codice era riuscito ad attuare un duplice " cumulo di funzioni" : da un lato, il giudice istruttore cumulava i poteri dell' accu�a; da un altro lato, il pubblico
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ministero, pur essendo parte, cumulava i poteri del giudice. Al tempo stesso anche la separazione delle fasi processuali era di fatto vanificata dalla utilizza bilità dibattimentale degli atti raccolti nell'istruttoria. Le conseguenze sistematiche furono disastrose. Si abbandonava per la prima volta il principio della separazione delle funzioni processuali, che costi tuiva una conquista del codice napoleonico. Il sistema appariva formalmente misto, ma nella sostanza prevalevano le caratteristiche del sistema inquisitorio. Altre modifiche meritano di essere ricordate. Il pubblico ministero, dipen dente dal ministro della Giustizia, poteva archiviare direttamente le denunce senza chiedere più l'autorizzazione al giudice (a differenza di quanto avveniva col codice del 1913). Tale novità, unita al monopolio dell'azione penale in favore del pubblico ministero, permetteva al governo di bloccare fin dall'inizio il processo penale nei confronti degli "amici" del partito al potere. Erano aumentati i casi di cattura obbligatoria; scompariva l'istituto della scarcerazione automatica dell'imputato per decorrenza dei termini massimi; era abolita la giuria popolare. Al suo posto si introdusse la corte d'assise, composta da due giudici togati e da cinque cittadini; la corte d'assise deliberava sia sul fatto, sia sulle questioni giuridiche. Riepilogo. n sistema inqu1s1torio è quel modello di procedimento penale che è caratterizzato da due princìpi: dal principio di autorità, secondo cui la verità è meglio accertata quanti più poteri sono attribuiti al giudice, e dal principio del cumulo delle funzioni processuali di accusa, di difesa e di giudizio in un unico soggetto, il giudice. Le caratteristiche del sistema inquisitorio sono le seguenti: il giudice inizia il processo d'ufficio (e cioè senza la richiesta di una parte); parimenti, ricerca le prove d'ufficio; il processo si svolge in segreto e per scritto, nel senso che il giudice decide sulla base di dichiarazioni verbalizzate; non vi è alcun limite all'ammissibilità delle prove; l'imputato è presunto colpevole; la regola è la carcerazione preventiva. n sistema accusatorio è quel modello di procedimento penale che si basa sul principio dialettico, in base al quale la verità è tanto meglio accertata quanto più spazio è dato allo scontro tra le parti animate da interessi contrapposti. Il processo accusatorio è çaratterizzato dal principio di separazione delle funzioni processuali (accusa, difesa e giudizio) e dal principio del contraddittorio nella formazione della prova, che si rispecchia principalmente nell'istituto dell'esame incrociato dei testimoni. Le caratteristiche del sistema accusatorio sono le seguenti: il giudice inizia il processo soltanto su iniziativa di parte; le parti, e non il giudice, ricercano la prova; il processo è orale nel senso che di regola il giudice decide sulla base di dichiarazioni rese oralmente e nel contraddittorio tra le parti; l'imputato è
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presunto innocente; sono previsti limiti alla ammissione delle prove; la carce razione prima della sentenza è una eccezione. n sistema misto. Occorre premettere che quasi tutte le forme di processo penale, che si sono manifestate nel corso della storia, sono di carattere misto, e cioè accolgono elementi del sistema inquisitorio e di quello accusatorio. Tutta via, da parte di molti studiosi si denomina "sistema misto" quello che ispira il codice francese del 1 808. Esso tende a contemperare le esigenze che ispirano i due sistemi: da un lato, la tutela della società dal crimine; da un altro lato, la difesa dell'imputato. Nel sistema misto del codice del 1808 l'istruzione è prevalentemente inquisitoria, perché è segreta e condotta da un giudice, anche se accoglie alcuni caratteri del sistema accusatorio; il dibattimento è prevalentemente accusatorio perché è fondato sul contraddittorio tra le parti, ma accoglie alcuni caratteri del sistema inquisitorio. In particolare, l'istruzione è svolta dal "giudice istruttore " ; è diversa dall'inquisizione in quanto sono presenti i seguenti temperamenti: l'istruzione inizia dopo che il pubblico ministero ha fatto formale richiesta al giudice istruttore; l'istruzione termina dopo che il pubblico ministero ha chiesto il proscioglimento o il rinvio a giudizio; è garantito all'imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio. La fase del dibattimento è prevalentemente accusatoria, ma è temperata dai seguenti principi: le domande ai testimoni sono rivolte dal presidente della corte; gli atti compiuti in segreto prima del dibattimento possono, sia pure eccezionalmente, essere letti e su di essi può essere fondata la decisione.
CAPITOLO II IL PROCESSO PENALE DALLA COSTITUZIONE AL CODICE VIGENTE
SOMMARIO: l . I princìpi del processo penale nella Costituzione del 1 948. - 2. Le riforme parziali
al codice del 1930. - 3 . I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale. - 4 . Le linee generali del nuovo processo penale. - 5. Le modifiche successive al 1989. - 6. La costituzionalizzazione dei princìpi del "giusto processo " . - 7. L'attuazione dei nuovi princìpi costituzionali. - 8. Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo. 9. Le fonti internazionali del diritto processuale penale. - 1 0 . Effetti delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
1.
I princìpi del processo penale nella Costituzione del 1 948.
n ritorno al regime di libertà politica ha provocato ripercussioni sul
processo penale e sull'ordinamento giudiziario. Le conseguenze immediate sono dovute alla legislazione intervenuta tra la data dell'armistizio (8 settembre 1 943 ) e la data di entrata in vigore della Costituzione ( 1 ° gennaio 1 948) . Quelle riflesse vanno individuate nei nuovi princìpi consacrati nella Costituzione medesima. Per quanto riguarda la produzione legislativa, non appena fu liberata una parte del territorio nazionale il Governo Badoglio limitò i poteri della polizia in tema di fermo e sottrasse al pubblico ministero il potere di archiviare le denunce in modo insindacabile (r.d.l. 20 gennaio 1 944, n. 45) . Ma la più importante modifica di rilievo costituzionale interessò l'ordinamento giudiziario. Il r.d.l. 3 1 maggio 1946, n. 5 1 1 , sulle "guarentigie della magistratura" restituì l'inamovi bilità ai giudici e riconobbe alla magistratura nel suo complesso quella indipen denza dal governo alla quale era pervenuta faticosamente al termine del periodo liberale: tutti i membri del consiglio superiore della magistratura erano eletti dai magistrati. Per quanto riguarda la Costituzione, notevoli furono le novità rispetto allo Statuto albertino, che trascurava quasi completamente i princìpi attinenti al processo penale. L'Assemblea costituente ha voluto intervenire in questa ma teria seguendo una precisa strategia. A causa del tempo limitato a loro dispo sizione, i costituenti hanno posto soltanto le garanzie fondamentali che riguar davano i punti nevralgici del processo penale. Nel fare ciò, hanno dato per scontato che alcuni princìpi fondamentali (quali, ad esempio, la pubblicità del
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dibattimento penale) costituissero ormai una conquista consolidata e, pertanto, non necessitassero di espressa previsione nella Costituzione. È importante porre una premessa ulteriore. Nella Costituzione troviamo, accanto a norme che toccano direttamente il processo penale, altre norme che lo influenzano indirettamente. Vi sono, infatti, princìpi generali che manifestano la loro portata anche in relazione al processo penale. Poiché non ha senso in questa sede una trattazione di diritto costituzionale, preferiamo !imitarci a ricordare quali sono i differenti orientamenti ideologici che hanno contribuito ad elaborare la Carta fondamentale e quali sono i princìpi che sono stati ispirati da tali orientamenti. Infatti, nel corso dei lavori preparatori della Assemblea costituente ( 1 946- 1 947) hanno portato un contributo sinergico partiti di matrice ideologica profondamente differente. All'orientamento liberale si devono le norme costituzionali che introducono la separazione dei poteri dello Stato, riaffermata con particolare enfasi a garanzia dell'ordine giudiziario: fra tutte le norme della Costituzione, le meglio congegnate sono state quelle del titolo IV della parte II (sulla magistratura; v. in/ra, parte II, cap. l , § 2) . Al medesimo orientamento si possono ricondurre quelle disposizioni che stabiliscono la separazione delle funzioni nel processo penale: il diritto di difesa, proclamato « inviolabile in ogni stato e grado del procedimento » (art. 24, comma 2 ; v. in/ra, parte II, cap. l , § 6); l'azione penale spettante al pubblico ministero (art. 1 12 ; v. in/ra, parte III, cap. 2, § 2 ) ; il principio del "giudice naturale" precostituito per legge (art. 25 , comma l ; v. in/ra, parte II, cap. l , § 2 , /) . L'insieme di queste norme dimostra in modo netto che il costituente ha ritenuto che le attività relative al processo penale dovessero spettare ad organi distinti. All'orientamento personalistico si ricollegano le norme che riconoscono i diritti inviolabili della persona umana (art. 2 ) . L'elenco è dettagliato anche nelle garanzie di riserva di legge e di giurisdizione, che vengono precisate in singoli articoli a tutela della libertà personale (art. 1 3 ; v. in/ra, parte II, cap. 5 , § 5 ) , della libertà di domicilio (art. 1 4 ) , di corrispondenza (art. 1 5 ) e di circolazione (art. 16). Il quadro è completato dalla presunzione di innocenza, affermata nell'art. 27, comma 2, sia pure con una formula non limpida, che voleva salvare la legittimità della custodia cautelare applicabile in pendenza del processo penale (art. 1 3 , comma 2 ) . Infine, l'orientamento solidaristico trova l a sua consacrazione negli articoli 2 e 3 della Costituzione. A tale orientamento si possono ricondurre tutte le norme che tendono a rimuovere gli ostacoli di carattere economico che impediscono l'eguaglianza sostanziale: l'art. 24, comma 3 (« sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giuri sdizione ») ; l'art. 24, comma 4 (« la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari »); l'art. 1 12 , che nel porre come " obbli gatoria" l'azione penale vuole garantire che l'iniziativa del processo prescinda
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dalle condizioni economiche svantaggiate della persona offesa dal reato. Sempre all'orientamento solidaristico fanno capo quegli obblighi che la legge proces suale impone al testimone, al denunciante ed al cittadino chiamato a svolgere le funzioni di giudice popolare; sotto quest'ultimo profilo, l'art. 102 , comma 3 dispone che « la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della Giustizia ». Abbiamo deliberatamente sottolineato le norme che toccano il processo penale per un motivo di attualità. Una corrente di opinione ha sostenuto che la Costituzione non avrebbe fatto una scelta tra i sistemi processuali; in partico lare, non recherebbe alcuna indicazione in favore del sistema accusatorio. Pertanto dalla Carta fondamentale non deriverebbe alcun vincolo che imponga al legislatore di attuare il principio del contraddittorio. Può essere vero che dalla Costituzione non sia ricavabile la scelta in favore del sistema accusatorio puro, almeno nelle forme in cui si è manifestato storicamente negli ordinamenti anglosassoni. Basti pensare che in tali ordina menti l'azione penale è regolata dal principio di opportunità, mentre la Costi tuzione impone l'obbligatorietà (art. 1 12 ) . Tuttavia, se consideriamo nel loro complesso l e norme costituzionali, si possono individuare quelle fondamentali garanzie che appartengono al sistema accusatorio, quali sono, ad esempio, la presunzione di innocenza ed il principio della separazione delle funzioni di accusa, di difesa e di giudizio. Tanto è vero che, da quando nel 1 956 la Corte costituzionale ha iniziato ad esaminare il codice di procedura penale del 1930, sono intervenute più di novanta declara torie di illegittimità di norme ricollegate al sistema inquisitorio. Le sentenze di accoglimento, che hanno applicato le norme della Costituzione, sono state chiaramente orientate in favore dei prindpi ricollegabili al sistema accusato rio ( 1 ) . Pertanto l'interpretazione, secondo cui la Costituzione sarebbe stata " indifferente" alla scelta tra sistema inquisitorio ed accusatorio, non appare fondata. La questione può ritenersi risolta in seguito all'inserimento in Costi tuzione dei princìpi del " giusto processo" , operato dalla legge costituzionale 23 novembre 1 999, n. 2 (v. in/ra § 6). Oggi si ritiene che siano costituzionalizzati alcuni tra i princìpi fondamentali del sistema accusatorio, quale il contraddit torio nella formazione della prova; mentre non appare recepito nella Carta fondamentale il principio di oralità nella sua concezione più estrema.
2.
Le riforme parziali al codice del 1930.
Negli anni successivi alla entrata in funzione della Corte costituzionale hanno preso corpo due iniziative differenti. Da un lato, si sono effettuate ( l)
A. MALINVERNI, Prindpi, cit., 54.
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modifiche parziali al codice del 1 930, che era orientato prevalentemente in senso inquisitorio. Da un altro lato, si è pensato ad un nuovo processo pe nale. Il primo orientamento è prevalso almeno fino al 1 968. L'inizio dell'attività della Corte costituzionale, previsto per il 1 956, ha imposto al legislatore di adeguare ai princìpi costituzionali le norme che più direttamente si ispiravano alle scelte inquisitorie. La legge 18 giugno 1 955, n. 5 17 ha modificato oltre centotrenta articoli del codice del 1 93 0 seguendo una precisa strategia. Poiché non vi era il tempo per discutere nuovi istituti, si è pensato di reintrodurre le garanzie già sperimentate nel codice liberale del 1 9 1 3 . È stata ripristinata la partecipazione del difensore nell'istruzione; è stata migliorata la disciplina delle notificazioni; è stata riproposta la categoria delle nullità insanabili; sono stati limitati i casi di obbligatorietà del mandato di cattura; è stato disciplinato il fermo di polizia giudiziaria e si è reintrodotto l'istituto della scarcerazione automatica per decorrenza dei termini. Altre modifiche al codice del 1 93 0 sono state apportate da numerose leggi: ad esempio, la legge n. 287 del 1 95 1 sulla riforma della corte d'assise e la legge n. 504 del 1 960 sulla riparazione dell'errore giudiziario. Le innovazioni più incisive, però, sono derivate dalle sentenze della Corte costituzionale, che hanno dichiarato l'illegittimità delle norme poste dal codice del 193 0 a cardine del sistema misto prevalentemente inquisitorio. Si tratta, come abbiamo accennato, di oltre cento disposizioni dichiarate incostituzionali, che hanno sortito un effetto benefico. Esse hanno costretto il potere politico, alquanto riluttante, ad introdurre nuove leggi allo scopo di colmare i vuoti e le lacune provocate dalle sentenze della Corte costituzionale. L'effetto complessivo è stato quello di pervenire ad un sistema misto di tipo prevalentemente accusatorio. Le garanzie si manifestavano nella partecipazione della difesa a quasi tutti gli atti precedenti al dibattimento, ad eccezione delle deposizioni testimoniali. L'unico aspetto che non è stato toccato è stata la struttura "mista" del processo e, di conseguenza, il principio del cumulo delle funzioni processuali. Da un lato, il giudice istruttore procedeva d'ufficio alla ricerca delle prove; da un altro lato, il pubblico ministero poteva condurre una sua istruzione, denominata sommaria, nella quale esercitava i medesimi poteri coercitivi ed istruttori che spettavano al giudice. Infine, il giudice del dibatti mento nella decisione definitiva poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori (2) .
(2) La situazione è stata efficacemente rappresentata con l'espressione > da E. AMomo, Il ripudio del giudice investigatore ereditato dal sistema francese ( 1 9 8 1 ) , in Processo penale, diritto europeo e common law, Milano, 2003 , 1 16.
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I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale.
Il secondo orientamento, tendente ad operare una riforma della struttura del processo penale, cominciò a manifestarsi nel 1 962. Il Ministro della Giu stizia insediò una commissione per la riforma, presieduta da Francesco Carne lutti. Detta commissione non pervenne a conclusioni unanimi; Carnelutti nel 1 963 presentò a titolo personale una "Bozza di uno schema del codice di procedura penale" accompagnata da una relazione. Si prevedeva un sistema di tipo accusatorio puro, basato sull'oralità e sulla netta separazione tra le fasi processuali (v. tav. 1 .2 . 1 ) . Era una riforma radicale che, appunto per tale motivo, incontrò forti opposizioni. Sempre nel 1 963 il Governo presieduto da Giovanni Leone, ritenuto im possibile affidare al Parlamento l'elaborazione di una legge complessa, quale era un codice, formulò un disegno di legge delega che prevedeva, tra l'altro, la riforma del codice di procedura penale. T aie disegno di legge fu presentato in Parlamento, ma non fu posto in discussione. Soltanto nel 1 966 la Commissione Giustizia della Camera dei deputati iniziò ad esaminare un disegno di legge delega, proposto dal Ministro Oronzo Reale. Nella quinta legislatura fu presentato un nuovo disegno di legge che fu ampiamente discusso; nella sesta legislatura il Parlamento approvò in via definitiva un ulteriore disegno di legge. La relativa legge delega fu pro mulgata il 3 aprile 1 974 con il numero 1 08. Una Commissione istituita dal Ministro della Giustizia e presieduta dal Prof. Gian Domenico Pisapia iniziò i suoi lavori nell'ottobre del 1 974 e presentò il testo del Progetto preliminare nel marzo del 1 978 (v. tav. 1 .2.2). Il difetto fondamentale della legge delega del 1 97 4 stava nel contrasto tra il proposito di attuare il sistema accusatorio e il mantenimento degli istituti tipici del sistema misto. La legge delega imponeva un termine di trenta giorni alle indagini del pubblico ministero; dopodiché spettava al giudice istruttore il compimento di atti di istruzione. Di conseguenza, era conservata l'ibrida figura di un giudice che cumulava i poteri dell'accusa nel ricercare le prove. Un altro difetto consisteva nell'accoglimento del principio della "centralità del dibattimento" . Tutti i processi sarebbero dovuti pervenire in quella sede anche nelle ipotesi nelle quali un rito più semplificato, con un epilogo anteriore al dibattimento, sarebbe apparso egualmente adeguato. La confluenza di tutti i procedimenti nella fase del dibattimento avrebbe comportato, nella pratica, la non gestibilità del sistema. Ma il motivo determinante, che indusse il Governo ad interrompere l'iter della delega, va individuato nel momento storico-politico. Nel marzo del 1 978, qualche giorno dopo la presentazione ufficiale del Progetto preliminare, le Brigate rosse rapirono Aldo Moro. Era in atto la fase più acuta della lotta armata contro lo Stato; in una situazione del genere l'introduzione di un processo più garantista non è apparsa ragionevole. Da quel momento il Parlamento iniziò ad
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approvare leggi di emergenza a difesa dell'ordinamento democratico contro il terrorismo. Nel 1980, dopo che il pentimento di centinaia di terroristi aveva consentito di debellare le più agguerrite bande criminali ed i fiancheggiatori delle stesse, il Guardasigilli presentò alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati un complesso di quaranta emendamenti, che di fatto venivano a configurarsi come una "nuova delega" . Fu nominato un comitato ristretto, al quale si deve la svolta fondamentale. n comitato ristretto configurò una nuova struttura processuale, che si basava sui princìpi del sistema accusatorio. La prova si sarebbe dovuta formare soltanto in dibattimento nel contraddittorio delle parti. Prima di tale momento non si sarebbe dovuta svolgere un'istruzione, bensì una fase di indagini preli minari, nella quale il pubblico ministero doveva compiere investigazioni. Era eliminata la figura del giudice istruttore; al suo posto si prevedeva l'intervento, a fini di garanzia, di un giudice senza poteri di iniziativa probatoria. Il disegno generale del processo penale era completato con la predisposizione di riti alternativi a quello ordinario, che avevano lo scopo di evitare la complessità del dibattimento. Su queste basi riprendeva presso il Parlamento un dibattito che doveva poi concludersi con l'approvazione della seconda (e definitiva) legge delega 16 febbraio 1 987, n. 8 1 . Una Commissione nominata dal Ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e presieduta dal Prof. Gian Domenico Pisapia ha redatto il progetto prelimi nare. Questo ha avuto il parere favorevole di una Commissione parlamentare. Il 22 settembre 1988 il Governo ha approvato il testo del nuovo codice, che è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 24 ottobre 1988 ed è entrato in vigore il 24 ottobre 1 989. 4.
Le linee generali del nuovo processo penale. a.
La separazione delle funzioni e delle fasi del procedimento.
Il nuovo processo penale è fondato su tre princìpi fondamentali: l ) il principio della separazione delle funzioni; 2) il principio della netta ripartizione delle fasi processuali; 3 ) il principio della semplificazione del procedimento. Il principio della separazione delle funzioni processuali svolge un ruolo di garanzia simile a quello svolto dalla separazione dei poteri dello Stato; esso impone che il giudice abbia soltanto il compito di dirigere l'assunzione delle prove e di decidere senza cumulare in sé l'ulteriore potere di svolgere indagini. Stabilisce inoltre che il pubblico ministero si limiti a ricercare le prove e non cumuli in sé il potere di assumerle. In tal modo viene assicurata una maggiore dialettica tra accusa e difesa, che espongono le proprie ragioni in una situazione
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di tendenziale equilibrio sotto il controllo del giudice. Questi è in una posizione di imparzialità perché il suo compito non è quello di indagare, bensì di decidere sulla base delle richieste formulate dalle parti. In base al principio della netta ripartizione in fasi, il procedimento penale vede susseguirsi le indagini preliminari svolte dal pubblico ministero, l'udienza preliminare ed il dibattimento. Questa struttura, che costituisce lo svolgimento ordinario del procedimento, vuole tutelare alcuni valori che sono propri del sistema accusatorio (v. tav. 1 .2.4). In primo luogo, si vuole che la prova utilizzabile nella decisione in dibattimento sia quella che viene assunta nel pieno contraddittorio delle parti, e cioè davanti al giudice ed alla presenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato. Pertanto, almeno come regola, la prova assunta prima del dibattimento è inutilizzabile. In secondo luogo, si vuole tutelare il diritto dell'imputato a che un giudice controlli la necessità del rinvio a giudizio e, quindi, la fondatezza dell'accusa formulata dal pubblico ministero. Infatti, il rinvio a giudizio, già in forza della pubblicità che caratterizza tale fase, costituisce una sofferenza per l'imputato innocente ed è per lui fonte di spese processuali; pertanto costituisce un danno da evitare. A tal fine è predisposta una udienza preliminare, nella quale il giudice esamina gli atti raccolti dal pubblico ministero e decide se rinviare a dibattimento l'imputato o pronunciare una sentenza di non luogo a procedere (v. tav. 1 .2.3 ) . b.
Le indagini preliminari.
Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero svolge funzioni investigative, che consistono nella ricerca di elementi di prova e nella identifi cazione del colpevole. Può disporre perquisizioni, sequestri e accertamenti tecnici ed ha il potere di ordinare il fermo di un soggetto gravemente indiziato quando vi è pericolo di fuga (v. tav. 3 . 1 . 17 ) . Tutte le altre misure coercitive nei confronti dell'imputato (custodia in carcere, arresto domiciliare, misure obbli gatorie o interdittive) possono essere disposte soltanto dal giudice, su richiesta del pubblico ministero. Nella fase in esame le funzioni di garanzia sono svolte da un nuovo organo, denominato "giudice per le indagini preliminari" ; questi differisce dal giudice istruttore del codice del 193 0 in quanto non ha poteri di iniziativa probatoria, e cioè non ha il compito di "investigare" , bensì soltanto di decidere sulle richieste delle parti. Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero non ha, di regola, il potere di assumere prove direttamente utilizzabili per la decisione finale. Se occorre assumere subito prove non rinviabili al dibattimento, il pubblico ministero o l'indagato possono farne domanda al giudice. Se questi la accoglie, le prove sono assunte dinanzi a lui in una udienza denominata " incidente
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probatorio" e possono essere successivamente utilizzate .ai fini della decisione. L'incidente probatorio è ammesso, ad esempio, quando è necessario per raccogliere la deposizione di un testimone che è sottoposto a minaccia o che si trova in gravi condizioni di salute. La richiesta di archiviazione. Quando sono concluse le indagini, il pubblico ministero deve scegliere entro un termine prefissato se chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio o l'archiviazione. Egli chiede l'archi viazione se la notizia di reato è infondata. Occorre sottolineare che il pubblico ministero non può decidere di archiviare il caso di propria iniziativa; deve necessariamente rivolgere al giudice una richiesta. Ciò costituisce un'applica zione del principio costituzionale (art. 1 12 ) in base al quale l'azione penale è obbligatoria. Ne consegue che il pubblico ministero è tenuto a valutare se « gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari » sono « idonei a sostenere l'accusa in giudizio » (art. 125 disp. att.); se non li ritiene idonei, deve chiedere l'archiviazione al giudice per le indagini preliminari. Quest'ultimo, quando accoglie la richiesta del pubblico ministero, dispone l'archiviazione. Nel caso contrario, e cioè quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione (o quando la persona offesa ha presentato opposizione ammissi bile), deve svolgersi una udienza in camera di consiglio alla quale possono partecipare il pubblico ministero ed i difensori della persona offesa e dell'in dagato. Il giudice svolge una penetrante funzione di controllo, all'esito della quale può adottare tre diversi provvedimenti (art. 409): se ritiene che la notizia sia infondata, dispone l'archiviazione. Altrimenti, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica al pubblico ministero, fissando il termine per il compimento di esse. Infine, qualora ritenga che gli elementi raccolti siano già idonei a sostenere l'accusa in giudizio, ordina al pubblico ministero di formulare l'im putazione e fissa la data dell'udienza preliminare (c.d. imputazione coatta). È chiaro che, nelle ultime due ipotesi appena ricordate, il potere del giudice è molto penetrante e può arrivare addirittura ad incidere sull'esercizio dell'azione penale. La richiesta di rinvio a giudizio. Nel caso in cui il pubblico ministero, terminate le indagini, intenda chiedere il rinvio a giudizio, egli è obbligato a depositare il fascicolo e a notificare all'indagato e al suo difensore un « avviso di conclusione delle indagini » (art. 4 1 5-bis, introdotto nel 1999). Tale atto contiene la descrizione del reato addebitato e l'invito all'indagato ad esercitare determinati diritti. Quindi il pubblico ministero, se non intende chiedere l'archiviazione, presenta richiesta di rinvio a giudizio e formula l'imputazione. L'udienza preliminare. Il giudice fissa la data dell'udienza preliminare, che si svolge in contraddittorio, ma senza la presenza del pubblico. Al giudice spetta di verificare se esistono elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio; ove tali elementi non sussistano, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a proce dere. Viceversa, se esistono elementi idonei a sostenere l'accusa in dibattimento,
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il giudice emana il decreto che dispone il giudizio e suddivide l'originario fascicolo delle indagini in due distinti fascicoli. Si tratta di un punto che caratterizza il codice del 1988. Nel dibattimento si segue la regola secondo cui l'organo giudicante deve decidere sulla base delle prove assunte nel contraddittorio tra le parti e non deve essere influenzato dalle prove raccolte in segreto. La formazione di due distinti fascicoli è prevista per rendere effettivo il principio appena enunciato. Un primo fascicolo « per il dibattimento » contiene i verbali degli atti assunti in contraddittorio (ad esempio, nell'incidente probatorio) ed i verbali degli atti non ripetibili assunti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. Detti verbali sono conosciuti dal giudice e possono essere letti in dibattimento ed utilizzati ai fini della decisione. L'altro fascicolo, denominato « del pubblico ministero », ha un contenuto residuale: in esso sono ricompresi i verbali degli atti assunti dal pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria e dal difensore. n fascicolo è conosciuto soltanto dalle parti e non dal giudice; gli atti in esso contenuti, di regola, non sono utilizzabili per la decisione dibattimentale. In casi eccezionali, i verbali sono utilizzabili come prova del /atto rappresentato. c.
n dibattimento.
Nel dibattimento il principio del contraddittorio è attuato attraverso quel l'istituto di origine anglosassone che è l'esame incrociato. Le domande sono poste direttamente dal pubblico ministero e dai difensori; il presidente del collegio giudicante ha il potere di ammetterle o meno. n presidente ha poteri più ampi di quelli che esercita nel processo anglo americano; può intervenire per assicurare "la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni" ; può rivolgere direttamente domande e perfino indicare "temi di prova nuovi o più ampi" che siano utili alla completezza dell'esame. Quando è terminata l'assunzione delle prove richieste dalle parti, il giudice può ordinare anche d'ufficio che siano assunti nuovi mezzi di prova. In definitiva, il codice del 1 988 respinge quella concezione meramente " agonistica" del pro cesso, che domina il modello angloamericano (3 ) . d.
I procedimenti semplificati.
n terzo principio, che sta alla base del nuovo codice, consiste nella semplificazione del procedimento. Lo svolgimento ordinario del processo pe nale impone ampie garanzie e richiede tempi lunghi, specialmente nella fase
(3) Sul ruolo passivo del giudice in tali ordinamenti, v. M.R. DAMASKA, Il diritto delle prove alla deriva, trad., Bologna, 2003, 140.
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dibattimentale. Non è pensabile che si possano avere uomini, mezzi e risorse così abbondanti da far svolgere tutti i processi per tutti i reati secondo lo schema ordinario appena delineato. Ed infatti è noto che gli ordinamenti, che adottano un sistema processuale accusatorio, prevedono altresì meccanismi di semplifi cazione che riservano la procedura più garantita soltanto ai casi veramente controversi o ai reati gravi. n nuovo codice ha previsto sei riti semplificati dei quali si tratterà nel capitolo ad essi appositamente dedicato (v. tav. 4 . 1 . 1 ) . l ) L'imputato si può accordare con il pubblico ministero sulla specie e sulla misura di pena da applicare (c.d. patteggiamento); l'accordo tiene conto della possibilità, prevista dalla legge, di ridurre la pena fino ad un terzo. n massimo di sanzione, che poteva essere patteggiata in base al testo originario del codice, era la detenzione fino a due anni. Con la legge n. 134 del 2003 il massimo di pena patteggiabile è stato portato a cinque anni; non vi è alcun limite per la pena pecuniaria. n giudice ha il potere di controllare la correttezza della qualifica zione giuridica del fatto e la congruità della pena. 2) L'imputato può chiedere che il processo sia definito nell'udienza preli minare sulla base degli atti raccolti nel fascicolo delle indagini (giudizio abbreviato). Nell'udienza preliminare il giudice può pronunciare una sentenza di proscioglimento o di condanna. In quest'ultimo caso vi è un incentivo per l'imputato: la pena è ridotta di un terzo. 3 ) Se la prova è evidente e l'imputato è stato invitato a rendere interroga torio, il pubblico ministero può chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio senza udienza preliminare (giudizio immediato) . n giudice, se respinge la richiesta, restituisce gli atti al pubblico ministero; se la accoglie, ordina il rinvio a giudizio. Entro quindici giorni dalla notificazione della citazione, l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento. Se l'imputato non presenta richiesta, ha luogo il dibattimento. 4) Dopo che il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, l'imputato può chiedere al giudice di essere rinviato a dibattimento senza udienza preli minare (giudizio immediato) . In tal caso il giudice è obbligato a pronunciare il decreto che dispone il giudizio. 5) Quando una persona è arrestata in flagranza o quando l'indagato ha confessato nel corso dell'interrogatorio, il pubblico ministero può condurlo direttamente davanti al giudice in dibattimento (giudizio direttissimo). 6) Per i reati meno gravi il pubblico ministero può presentare al giudice per le indagini preliminari richiesta motivata di emissione di un decreto penale di condanna ad una pena pecuniaria (procedimento per decreto). Il pubblico ministero chiede l'applicazione di una pena diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale. Il giudice può accogliere la richiesta o respingerla, restituendo gli atti alla pubblica accusa.
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L'imputato, al quale è notificato il decreto penale di condanna a pena pecuniaria, può proporre opposizione chiedendo lo svolgimento del dibatti mento o, in alternativa, il patteggiamento o il giudizio abbreviato. L'incentivo a non proporre l'opposizione è forte: l'imputato potrebbe perdere la diminuzione della pena e gli altri benefici collegati al decreto. 5.
L e modifiche successive al 1 989.
Con il nuovo codice di procedura penale, promulgato il 24 ottobre 1988 ed entrato in vigore un anno dopo, si è attuato in Italia il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio. il legislatore ha voluto configurare tale passaggio non per gradi, bensì in modo netto e reciso; ciò ha comportato vari problemi di assestamento. Dal punto di vista teorico, il legislatore ha creduto che le garanzie processuali potessero essere assicurate limitandosi ad affermare il principio di oralità immediatezza, e cioè rendendo in buona parte non utilizzabili le dichiarazioni rese prima del dibattimento. La fase delle indagini preliminari è stata sguarnita della garanzia del contraddittorio e, soprattutto, in essa si è impedito l'esercizio del diritto alla prova sul presupposto che i risultati, raccolti in tale fase, non sarebbero stati utilizzabili per la decisione finale. In definitiva, si è accolta una visione distorta del sistema accusatorio, che viceversa è basato sulla separazione delle funzioni processuali e sulla presenza di controlli anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Dal punto di vista "operativo" , il legislatore ha voluto che la mancata predisposizione di strutture idonee non ritardasse l'entrata in vigore del codice. Di conseguenza, fin dall'inizio la carenza di personale, di uffici e di mezzi ha condizionato negativamente l'avvio della riforma. Anche nella materia del processo penale si è manifestato il vecchio vizio idealista di non preoccuparsi di rapportare i fini ai mezzi. Infine, dal punto di vista psicologico si sono manifestati problemi di adat tamento degli operatori ad una logica processuale che è completamente diversa da quella accolta dal precedente codice e che è basata sul principio dialettico. Ne sono derivate forti reazioni nei confronti dei nuovi princìpi. Basti un esempio per tutti: nel codice attuale non si afferma più che il verbale è fidefacente fino a querela di falso. Pertanto la normale valutazione di credibilità e di attendibilità riguarda anche la dichiarazione resa dall'ufficiale di polizia giudiziaria redigente. Viceversa nel codice previgente tale soggetto si limitava di regola a "confermare" in dibat timento la precedente dichiarazione, che gli veniva letta. Occorre tenere presente che l'articolo 7 della legge 16 febbraio 1 987, n. 8 1 aveva conferito al Governo l'ulteriore delega a d emanare, entro tre anni dall'en trata in vigore del codice, disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei criteri direttivi fissati e su conforme parere di una commissione parlamentare. Il Governo ha utilizzato tale strumento in modo eccessivamente cauto, nonostante
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da più parti e dalla stessa Commissione ministeriale, presieduta dal Prof. Pisapia, si fosse segnalata la necessità di introdurre sostanziose modifiche. Le esigenze pratiche, che il codice lasciava insoddisfatte e che il Governo trascurava, venivano percepite dagli operatori; in particolar modo quelle che erano ricollegate ai pro cessi per delitti di criminalità mafiosa. La situazione è diventata esplosiva tra il 1991 ed i primi mesi del 1992 , a causa del forte incremento dei delitti di mafia. La carenza di iniziativa del Governo e l'inerzia del Parlamento sono state superate dalla Corte costituzionale che ha iniziato a dichiarare illegittime, perché contrarie al principio di ragionevolezza, alcune disposizioni del codice ed i relativi criteri direttivi contenuti nella legge delega (n. 18, 3 1 e 76). Le declaratorie di incostituzionalità, insieme alla situazione di emergenza provocata dagli omicidi dei magistrati Livatino ( 1 99 1 ) , Falcone e Borsellino ( 1 992) , hanno indotto il Governo a modificare alcuni punti fondamentali della disciplina del processo penale (decreto legge n. 3 06 dell'8 giugno 1992) . n testo originario del codice limitava in modo eccessivo l a possibilità di uti lizzare, ai fini della decisione, i verbali delle dichiarazioni rese in segreto prima del dibattimento. Il legislatore con la legge di conversione n. 356 del 1992 ha ecceduto nel senso opposto, estendendone soverchiamente l'utilizzabilità. Lo stesso orientamento era stato fatto proprio dalla Corte costituzionale con le sen tenze n. 254 e 255 del 1992 . Di conseguenza, è risultato leso il principio del contraddittorio, che costituisce il fulcro del sistema accusatorio. Le modifiche operate nel 1 992 hanno innescato un vivace dibattito culturale che auspicava il recupero delle garanzie. Un parziale ritorno alla tutela del con traddittorio si è avuto, per la fase anteriore al dibattimento, con la legge 8 agosto 1995 , n. 332 e, per quella dibattimentale, con la legge 7 agosto 1 997 , n. 267 . I n particolare, l a legge n. 332 del 1995 h a teso a ripristinare alcuni aspetti della separazione delle funzioni prima del dibattimento: si tratta di uno dei settori in cui il codice del 1988 si è dimostrato più gravemente carente. La legge, da un lato, ha aumentato i poteri di controllo spettanti al giudice per le indagini preliminari sugli atti che devono essere valutati al fine di applicare le più gravi misure cautelari; da un altro lato, ha riconosciuto espressamente la legittimità delle indagini svolte dal difensore (dell 'indagato o dell'offeso) ed ha sancito che la relativa documen tazione può essere presentata al giudice per le indagini preliminari. La manovra legislativa è stata completata con la legge n. 267 del 1 997 , che si è occupata dell'ipotesi delicata nella quale un imputato nel corso delle indagini renda dichiarazioni contro un altro imputato. Il legislatore ha limitato l'utilizza bilità di tali dichiarazioni ai fini della decisione sulla reità dell'imputato accusato. In base alla disciplina introdotta con la legge n. 267, quando in dibattimento l'accusatore si avvaleva della facoltà di non rispondere invocando il diritto al silenzio, che gli spettava in quanto imputato, le precedenti dichiarazioni non erano utilizzabili contro l'accusato. Dette dichiarazioni erano utilizzabili in dibattimento soltanto: a) se raccolte fin dall'origine nel rispetto del contraddittorio (incidente
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probatorio) ; b) se l'accusatore si presentava in dibattimento e rispondeva nel corso dell'esame incrociato permettendo all'accusato di controesaminarlo; c) se diven tavano non ripetibili per cause sopravvenute non prevedibili al momento in cui le stesse erano state rese (es. morte dell'accusatore). Le reazioni provenienti da alcuni esponenti della magistratura (4) hanno indotto la Corte costituzionale a ridimensionare il contraddittorio introdotto con la legge n. 267 del 1 997. Invocando nuovamente il principio di ragionevo lezza, la Corte con la sentenza n. 3 6 1 del 1 998 ha ritenuto che la situazione dell'imputato accusatore, chiamato a deporre su di un "fatto altrui" , fosse simile a quella del testimone. Di conseguenza ha esteso a tale ipotesi le norme che permettevano di utilizzare le precedenti dichiarazioni del testimone che fosse rimasto silenzioso. L'imputato accusatore doveva essere portato coattivamente in dibattimento ed era costretto a subire le contestazioni; in caso di silenzio, le sue precedenti dichiarazioni erano utilizzabili in presenza di riscontri che ne confermavano l'attendibilità (art. 5 00, commi 2-bis e 4 ) . L a Corte costituzionale aveva ritenuto di aver tutelato così il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore; ma all'evidenza si trattava di un contraddittorio fittizio, perché l'accusato non poteva costringere l'accusatore a rendere dichiarazioni. Inoltre, non si era considerato che la "somiglianza" col testimone è soltanto formale e non sostanziale. Infatti, se il testimone tace, commette un delitto; di modo che il suo silenzio si configura come una situazione eccezionale. Viceversa, il silenzio dell'imputato costituisce l'esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge. Più in generale, la Corte aveva dato del principio del contraddittorio un'interpretazione riduttiva, limitata alla "critica" di una prova già formata in segreto. 6.
La costituzionalizzazione dei princìpi del "giusto processo". a.
Considerazioni preliminari.
Palese era la frizione tra l'interpretazione prospettata dalla Corte costitu zionale e quella fornita dalla legge n. 267 del 1997 , secondo la quale doveva essere assicurato il contraddittorio "nella formazione" della prova. La sentenza n. 3 6 1 del 1998 ha suscitato la reazione del Parlamento, che ha addebitato alla Corte di aver legiferato in una materia riservata alla competenza del potere legislativo; soprattutto, di averlo fatto fornendo un'interpretazione distorta dei princìpi costituzionali (5 ) . li Parlamento h a preso nuovamente in esame quella parte del progetto della (4) Si è giunti perfino ad affermare che il Parlamento con tale legge avrebbe "abrogato" la mafia. (5) Gli avvocati penalisti italiani hanno lamentato la lesione del contraddittorio, chiedendo il ripristino della normativa del 1997. La protesta ha assunto toni marcati e si è concretata nell'astensione dalle udienze.
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Commissione bicamerale (art. 130) che aveva cercato di rendere effettive le orme della Convenzione europea sui diritti dell'uomo (6). Poiché la nostra - "urisprudenza si rifiutava di riconoscere valore costituzionale a tali norme, la icamerale aveva proposto di inserire direttamente nella Carta fondamentale il ucleo centrale delle garanzie, e cioè i princìpi del " giusto processo" . Il Parlamento ha elaborato un disegno di legge che s i proponeva di introdurre espressamente nella Costituzione detti princìpi; in particolare, ha ·oluto affermare una concezione "forte" del contraddittorio, da attuarsi "nella :ormazione della prova" . Il 10 novembre 1 999 è stata definitivamente approvata la legge di revisione costituzionale dell'art. 1 1 1 con una maggioranza superiore ai due terzi (7 ) ; ciò ha impedito di sottoporre a referendum la riforma. Così inquadrato dal punto di vista delle " origini" , il nuovo testo dell'art. 1 1 1 mostra la sua vera natura di interpretazione "autentica" della Costituzione: ono stati resi espliciti quei princìpi che, a giudizio di molti studiosi, erano già ricavabili dalla Carta fondamentale. b.
I princìpi attinenti ad ogni processo.
Il legislatore costituzionale ha introdotto nell'art. 1 1 1 Cast. cinque nuovi
commi che consacrano i princìpi cardine ai quali deve informarsi ogni processo ed, in particolare, quello penale (8). Si tratta dei princìpi che sono incisivamente intetizzati nell'espressione "giusto processo" e che consistono, tra l'altro, nella riserva di legge in materia processuale, nella imparzialità del giudice, nella parità delle parti e nella ragionevole durata dei processi. La riserva di legge. Il primo comma dell'art. 1 1 1 sancisce che « la giuri sdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge ». Anzitutto occorre sottolineare che la disposizione prevede una riserva di legge: soltanto il legislatore può regolare lo svolgimento del processo; tale compito non può essere svolto da organi amministrativi né giurisdizionali (9) . n "giusto processo". Viene da chiedersi a che cosa alluda l'espressione "giusto processo" . Alcuni ritengono che la locuzione sintetizzi i princìpi sanciti (6) Sul punto, si veda M. CECCHETTI, Il principio del "giusto processo" nel nuovo art. 1 1 1 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in AA.Vv., Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, Padova, 200 1 . ( 7 ) S i tratta della legge cost. 2 3 novembre 1999, n. 2, recante ]"'inserimento dei principi del giusto processo nell'art. 1 1 1 della Costituzione" , pubblicata in G.U. 23 dicembre 1999, n. 300. (8) Per una analisi delle origini composite della riforma costituzionale, M. CEcCHETIT, Il principio del "giusto processo" nel nuovo art. 1 1 1 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in AA.Vv., Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di P. Tonini, Padova, 200 1 , p. 49; E. MARZADURI, La riforma dell'art. 1 1 1 Cast., tra spinte contingenti e ricerca di un modello costituzionale del processo penale, in Leg. pen., 2000, p. 758; P. ToNINT, "Giusto processo": riemerge l'iniziativa del Parlamento, in Dir. pen. proc., 2000, p. 137. (9) Per il rilievo che si tratta di una riserva di legge rinforzata, Fors, Il modello costituzionale di giusto processo, in Rass. parlam., 2000, 575; FERRUA, Il "giusto processo", Bologna, 2005, 44-45.
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nei commi successivi ( 10). A nostro avviso, il " giusto processo" si riferisce ad un concetto ideale di Giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato, in base all'art. 2 Cost., si impegna a riconoscere ( 1 1 ) . n contenuto dei diritti può essere ricavato dai patti internazionali ai quali l'Italia ha aderito (A. GIARDA) . n contraddittorio "debole". Nel secondo comma sono enunciati princìpi che si riferiscono a tutti i tipi di processo, e quindi anche al processo penale. In particolare viene menzionato il principio del contraddittorio nella sua accezione classica, comportante la necessità che la decisione del giudice sia emanata audita altera parte ( 12) . Si tratta di quel significato " debole" del principio secondo cui il soggetto, che subirà gli effetti di un provvedimento giurisdizionale, deve essere messo in grado di esporre le sue difese prima che il provvedimento stesso sia emanato. Ciò avviene quando il medesimo soggetto conosce i presupposti di fatto e di diritto sui quali il giudice baserà la decisione ( 1 3 ) . n contraddittorio è menzionato anche dal comma 4 della norma in esame, del quale tratteremo tra poco; si tratta in tal caso del significato "forte" del principio in oggetto, inteso come contraddittorio nella formazione della prova. La parità delle parti. Successivamente, il comma 2 dell'art. 1 1 1 Cost. sancisce quel canone di " parità tra le parti" che, ovviamente, ha una potenzialità diversa nel processo civile e in quello penale. Nel processo civile, infatti, è possibile attuare la piena parità delle armi tra attore e convenuto. Nel processo penale, viceversa, parità significa non identità, bensì equilibrio di poteri ( 14 ) . La Corte costituzionale ha affermato che il principio di ragionevolezza può giusti( lO) Secondo P. FERRUA, Il "giusto processo", cit., 32, si tratta di una formula di incerto significato giuridico in quanto i connotati del "giusto" processo sono definiti nei commi successivi. A giudizio di G. SPANGHER, Il "giusto processo" penale, in Studium Iuris, 2000, 256, siamo dinanzi ad un concetto limite, funzionale ad orientare nella scelta delle diverse soluzioni processualmente possibili. Per N. TROCKER, Il valore costituzionale del "giusto processo", in AA.Vv., Il nuovo articolo 1 1 1 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di CrVININI e VERARDI, Milano, 2001, 45 il termine indica gli stessi princìpi successivamente enunciati, visti nel loro dinamico combinarsi in una dimensione concreta e fattuale. ( 1 1 ) C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003, 94; E. MARzAouru, La rz/orma dell'art. 1 1 1 Cast., tra spinte contingenti e ricerca di un modello costituzionale del processo penale, in Leg. pen., 2000, 765. ( 12 ) L'espressione > è stata formulata da Seneca ed era contenuta in quell'opera che era intitolata "Andromaca" e che è andata perduta. La frase è ripresa da Giovenale ed in tal modo è diventata patrimonio dei giuristi. ( 13 ) P. FERRUA, Il "giusto processo" in Costituzione, in Dir. giust. , 2000, l, 5. Di " contraddittorio argomentativo" parla M. CHIAVARlO, voce Giusto processo (processo penale), in Enc. dir., Agg. X, Roma, 200 1 , 6 . Occorre tenere presente che i l contraddittorio sancito nel comma 2 non concerne soltanto le decisioni sul merito dell'imputazione, bensì, più in generale, qualsiasi provvedimento, anche di natura incidentale, possa essere emesso nel corso del procedimento penale: C. CoNTI, L'imputato, cit., 98. ( 14) G. SPANGHER, Il "giusto processo", cit., 256. In altre parole, in base al principio di adeguatezza, il concetto di parità deve adattarsi al tipo di processo (civile o penale) ed alla natura dell'interesse (pubblico o privato) che la singola parte persegue.
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fìcare una qualche asimmetria tra le parti quando questa è dovuta alla posizione istituzionale del pubblico ministero e alle esigenze di una corretta amministra zione della giustizia ( 15 ) . n giudice imparziale. Ancora, il processo deve svolgersi « davanti a giudice terzo e imparziale ». Non si tratta di un'espressione sovrabbondante: « l'impar zialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone che non vi siano legami tra il giudice e le parti. La terzietà concerne lo status ossia il piano ordinamentale » ( 16). Si vuole, cioè, che il giudice non cumuli altre funzioni processuali. In definitiva, la Carta fondamentale accoglie il principio della separazione delle funzioni processuali tra giudice, accusa e difesa. La Corte costituzionale, in passato, era pervenuta ad attribuire al concetto di imparzialità il significato di " non pregiudicatezza" rispetto all'oggetto del giudizio ( 17). In base al criterio della imparzialità oggettiva occorre che il giudice (persona fisica) non abbia legami né con le parti (attuali o potenziali; ad esempio la parte civile) né con l'oggetto del procedimento (ad esempio, non deve avere un interesse all'esito dello stesso, come avverrebbe per quel magi strato che abitasse accanto ad una fabbrica della quale egli dovesse accertare la capacità di inquinare l'ambiente) . Infine, occorre sottolineare che il principio di terzietà del giudice è affian cato a quello del contraddittorio. Si tratta di un accostamento ricco di signifi cato: la piena attuazione del contraddittorio postula un determinato assetto della giurisdizione ( 18). La ragionevole durata. L'ultimo principio sancito al comma 2 è quello della ( 1 5 ) Sentenza n. 26 del 2007. Nella successiva sentenza n. 184 del 2009 la Corte ha ritenuto giustificata una diseguaglianza in favore dell'imputato > durante la fase delle indagini. ( 1 6) P. FERRUA, Il "giusto processo" in Costituzione, in Dir. Giust. , 2000, l, 78. Ad avviso di G. Fruco, Cosz' le scelte sulla valutazione delle prove vani/icano le conquiste sul giusto processo, in Guida dir. , 1999, 48, 16, il concetto di "terzietà" impone la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. ( 17 ) La Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 34, comma 2 c.p.p. >. ( 1 8) A tal proposito, si sottolinea che le recenti modifiche dell'ordinamento giudiziario hanno accolto, sia pure in parte, il principio della separazione delle funzioni processuali. In passato il magistrato del pubblico ministero, trasferitosi alla funzione giudicante, poteva restare nel medesimo distretto e trovarsi a valutare le richieste di coloro, che fino a pochi giorni prima erano stati suoi colleghi. Parimenti, un giudicante si poteva trovare a svolgere funzioni requirenti di fronte ad ex colleghi. Viceversa, in base agli artt. 13 ss. d.lgs. n. 160 del 2006, mod. dalla legge n. 1 1 1 del 2007, è stato stabilito che, nei casi appena menzionati, il cambiamento di funzioni comporta il mutamento di distretto e può verificarsi al massimo quattro volte nell'arco dell'intera carriera. Inoltre, in passato il cambiamento di funzioni avveniva sulla base della sola valutazione del CSM; oggi è necessario, per il magistrato, superare una vera e propria procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordi natamente ad un giudizio di idoneità espresso dal CSM, su parere del consiglio giudiziario.
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Evoluzione storica del processo penale
I.II.6.c
« ragionevole durata » del processo, la cui attuazione è rimessa al legislatore. Si tratta, è noto, del recepimento di un precetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il cui mancato rispetto in Italia ha comportato molteplici condanne del nostro Paese da parte della Corte europea. Non sfugge come un principio del genere sia perfettamente consentaneo al sistema processuale accusatorio, che richiede la concentrazione e la continuità nella trattazione dei processi. Va pe raltro ribadito che quello dell'efficienza processuale è un valore, che non può in alcun modo compromettere le garanzie dell'imputato e la qualità dell'accerta mento processuale. Del resto, il bilanciamento tra le due opposte istanze è già implicito nel termine « ragionevole », che si riferisce alla durata del processo ( 1 9) . Vi è una notevole differenza tra l a formulazione della Convenzione europea (« ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole ») ed il comma 2 dell'art. 1 1 1 , in base al quale « la legge ( . . . ) assicura la ragionevole durata (del processo) ». Mentre la Convenzione attribu isce un vero e proprio diritto soggettivo immediatamente azionabile, la Costi tuzione pone un vincolo alla legge ordinaria (20). c.
I princìpi inerenti al processo penale.
I diritti dell'accusato. I commi successivi enunciano princìpi che si riferi scono esclusivamente al processo penale. n comma 3 è dichiaratamente model lato sull'art. 6, comma 3 , lett. d della Convenzione europea e contiene il catalogo dei diritti spettanti « nel processo penale » alla « persona accusata di un reato ». Occorre premettere un rilievo di natura metodologica. Da un lato, la parola "accusato" non ha un preciso significato tecnico e sembra potersi riferire sia alla persona sottoposta alle indagini, sia all'imputato. Da un altro lato, e per contro, ( 1 9) È ormai pacifico che l'attuazione del canone del délai raisonnable non può in alcun modo compromettere le garanzie dell'imputato e la qualità dell'accertamento processuale. Così P. FERRUA, Il "giusto processo" in Costituzione, cit., 7; A. NAPPI, La ragionevole durata del giusto processo, in Cass. pen., 2002, 1542. Tale rilievo è stato ribadito dalla sentenza della C. cost., 4 dicembre 2009, n. 3 17, che ha affermato che il principio della ragionevole durata non può portare a ledere né il diritto di difesa, né il giusto processo. Sul punto non può esserci un bilanciamento perché il principio della ragionevole durata non può imporre un sacrificio puro e semplice né del diritto al contraddittorio sancito dall'art. 1 1 1 Cost. , né del diritto di difesa, riconosciuto dall'art. 24, comma 2 Cost.; si tratta di . (2 1 ) La materia sarà esaminata dettagliatamente in/ra nel capitolo sul procedimento penale dinanzi al giudice di pace. In particolare, merita fin da ora precisare che la connessione tra procedimenti di competenza di giudici ordinari e di giudici di pace è limitata ai casi di fatto inscindibile (concorso formale di reati) e determina l'attrazione dei procedimenti nella competenza del giudice superiore. Si veda l'art. 6 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
II.I.2. e
I soggetti del procedimento penale
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Perché si possa disporre l a riunione (22 ) sono necessari i seguenti requisiti (art. 17): l ) che i procedimenti siano pendenti nella stessa fase e nello stesso grado; 2 ) che i procedimenti siano di competenza del medesimo giudice; 3 ) che i procedimenti siano connessi oppure vi sia comunque tra gli stessi una di quelle ipotesi di collegamento probatorio che sono previste dall'art. 3 7 1 , comma 2 , lett. b (23 ) ; 4 ) che la riunione non determini u n ritardo nella definizione dei procedi menti (24). La separazione dei procedimenti. L'esigenza d i riunire i procedimenti si scontra con un'altra di segno opposto, che tende a tenerli separati. È un'esi genza ricollegabile al sistema accusatorio, che tende ad assicurare un solo imputato in un singolo procedimento. La finalità è chiara: si ritiene che in tal modo sia possibile garantire la migliore difesa dell'imputato stesso. Il limite di tale operazione è evidente: può accadere che la riunione sia indispensabile per ampliare il panorama probatorio del giudice ed accertare i fatti. Tale eventualità è prevista anche dal codice: il giudice deve valutare se la riunione dei procedi menti sia « assolutamente necessaria » per giungere all'accertamento dei fatti di reato (art. 18 comma 1 ) . L a normativa prevista dal codice risente di questo contrasto di esigenze. Dato che vi è una naturale tendenza del giudice a riunire i procedimenti connessi utilizzando il potere discrezionale concessogli dall'art. 17, il codice pone un dovere di separazione, che scatta in presenza di determinate ipotesi previste dall'art. 1 8. In ogni caso, sia l a riunione, sia l a separazione dei "processi" (espressione che indica il momento successivo all'esercizio dell'azione penale) sono disposte con ordinanza dal giudice anche d'ufficio, ma con il limite che devono essere "sentite le parti" (art. 19).
(22) E ciò sia nell'udienza preliminare o i n dibattimento d a parte del giudice, sia durante l e indagini preliminari da parte del pubblico ministero. (23) Occorre sottolineare che il collegamento è un istituto che ha rilevanza ai fini delle indagini e che concerne, quindi, l'attività del pubblico ministero (v. in/ra nel § 3, lett. /1. Infatti, il collegamento non ha alcuna incidenza sulla competenza del giudice. Vi è un collegamento rilevante ai fini di determinare la riunione dei procedimenti nei casi seguenti (art. 3 7 1 , comma 2, lett. b): se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza. (24) Vi è una normativa singolare quando i procedimenti, che sono riuniti, sono attribuiti alcuni al tribunale collegiale ed altri a quello monocratico. Ai sensi del comma l -bis dell'art. 17, se alcuni dei processi pendono davanti al tribunale collegiale ed altri davanti al tribunale monocratico, la riunione è disposta davanti al tribunale in composizione collegiale. Tale composizione resta ferma anche nel caso di successiva separazione dei processi.
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Profili generali del procedimento penale
11.1.2./
Le ipotesi di separazione obbligatoria. La separazione deve essere disposta dal giudice nei seguenti casi (art. 1 8, comma 1 ) : a ) quando nel corso dell'udienza preliminare è possibile decidere subito la posizione di un imputato (ad esempio, in caso di giudizio abbreviato o patteggiamento) ; b) quando per un imputato si debba sospendere il procedimento; c) quando un imputato non è comparso in dibattimento ed occorra rinnovare la citazione nei suoi confronti; d) quando uno o più difensori di imputati non sono comparsi in dibattimento per motivi legittimi; e) quando per un imputato l'istruzione dibattimentale è già stata con clusa, mentre per altri deve continuare con tempi lunghi; e-bis) quando stiano per scadere i termini di custodia cautelare in relazione a taluno dei delitti elencati nell'art. 407, comma 2 , lett. a (reati di criminalità organizzata e ipotesi assimilate) ed occorra definire con urgenza la fase o il grado per evitare la scarcerazione automatica. La separazione facoltativa. La separazione può essere disposta, sull' ac cordo delle parti, quando il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo. Il congiunto operare delle regole sopra richiamate consente di tracciare un quadro sintetico. Durante la fase delle indagini la tendenza del legislatore è quella di assicurare la trattazione unitaria dei procedimenti connessi; viceversa, dopo l'esercizio dell'azione penale il codice oscilla tra l'esigenza efficientista di riunire i procedimenti e quella garantista di separarli. Ma quando in concreto la separazione adempie anche ad esigenze di efficienza (poiché assicura la spedi tezza del procedimento) , allora il giudice è tenuto a disporla; l'unico limite è la "necessità" di accertare congiuntamente più reati, che rende impossibile la separazione (art. 18, comma 1 ) . f.
n principio del giudice naturale.
Le norme sulla competenza, che abbiamo finora descritto, servono ad individuare il soggetto investito del potere giurisdizionale sul fatto di reato e, pertanto, attuano il principio del "giudice naturale" . In base all'art. 25 , comma l della Costituzione « nessuno può essere distolto dal giudice naturale preco stituito per legge ». Dalla norma si ricava, in primo luogo, il principio della riserva assoluta di legge in materia di competenza. Ciò significa che la compe tenza del giudice può essere determinata soltanto dalla legge, e non da fonti secondarie (regolamenti o atti amministrativi). In secondo luogo, si desume quale contenuto debbano avere le disposizioni di legge, che sono destinate a regolare la competenza. Le norme non devono conferire un potere di scelta discrezionale.
11.!.2 ./
I soggetti del procedimento penale
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In terzo luogo, dalla necessaria "precostituzione" del giudice si ricava il divieto di applicazione retroattiva delle norme concernenti la competenza; queste sono applicabili ai fatti di reato che siano stati commessi dopo la loro entrata in vigore (25) . n principio del giudice naturale, in definitiva, impedisce che un organo legislativo, amministrativo o giurisdizionale possa sottrarre discrezionalmente un procedimento ad un determinato giudice (26). Ne risulta ulteriormente tutelata la garanzia di indipendenza dell'organo giudicante. Infine, il termine « naturale » fa riferimento ad una caratteristica che preesiste rispetto alla legge e che quest'ultima è chiamata a tutelare. A nostro avviso " giudice naturale" è quello che l'ordinamento considera il più idoneo ad accertare il fatto di reato nel rispetto della legge e dei diritti dell'imputato. n legislatore assicura il giudice naturale attraverso le norme sulla competenza che ripartiscono i procedimenti tra gli organi giurisdizionali. Occorre dare atto che tradizionalmente si ritiene che il termine « naturale » faccia riferimento alle norme relative alla competenza per territorio e, in parti colare, al criterio generale che lo radica nel luogo nel quale è stato compiuto il reato (focus commissi delicti) . Vi è un interesse, che è costituzionalmente tutelato, a che il processo si svolga in quella determinata sede davanti al " suo" pubblico, ma che può cedere di fronte ad interessi superiori (secondo criteri legalmente prestabiliti); ad esempio di fronte al principio di imparzialità del giudice (art. 1 1 1 , comma 2 Cost.). È il caso che si verifica quando nella sede "naturale" l'intero ufficio giudiziario appaia comunque parziale o sia esposto a pressioni ambientali (25) Per effetto del principio costituzionale di precostituzione, la competenza del giudice dovrebbe rimanere cristallizzata sulla base delle norme vigenti al momento in cui è stato commesso il fatto di reato oggetto di imputazione. Tuttavia, secondo un orientamento ormai consolidato (cfr., tra le tante, Cass., sez. I, 6 luglio 1992, Santangelo, in Cass. pen., 1993, p. 3 3 1 ) , le norme in tema di competenza del giudice hanno carattere processuale e sono di immediata applicazione in virtù del principio tempus regit actum: di conseguenza, le norme mod.ifìcative della competenza sono applicabili anche ai reati commessi in epoca precedente alla loro entrata in vigore, salvo che la competenza si sia già radicata al momento dell'entrata in vigore della legge di modifica (c.d. perpetuatio competentiae). In giurisprudenza prevale la tesi secondo la quale la competenza si radica quando il pubblico ministero esercita l'azione penale (Cass., sez. I, 26 maggio 1993, Calderone, in Cass. pen., 1995, p. 88); spesso, però, il legislatore ha adottato un criterio ancora più restrittivo, prevedendo espressamente la cristallizzazione della competenza soltanto nei processi in cui sia stato dichiarato aperto il dibattimento (es. art. 2 d.l. n. 10 del 2010 con riferimento ai processi pendenti dinanzi alla corte d'assise per i delitti di associazione mafiosa aggravata). (26) Con sentenza 6 dicembre 2006, n. 40249, in Guida dir. , 49, 62, la Sezione VI della Corte di cassazione ha precisato che, ai fini dell'individuazione della competenza, il giudice è tenuto a considerare non soltanto quanto emerge dall'imputazione, ma tutti gli atti disponibili che siano utili a specificare espressioni sintetiche o generiche contenute nell'imputazione stessa. Se così non fosse, l'individuazione del foro competente sarebbe rimessa al variabile modo dell'accusa di specificare il capo di imputazione, in violazione della necessaria oggettività dei criteri determinativi della competenza. Sulla base di questo principio, la Cassazione ha ritenuto competente per il così detto processo SME il Tribunale di Perugia, in applicazione della prima regola suppletiva indicata nell'art. 9 c.p.p. (luogo in cui è awenuta una parte della condotta rilevante) e dell'art. 1 1 c.p.p. (competenza per territorio nei procedimenti riguardanti magistrati).
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II.I.2.h
(in tal caso opera l'istituto della rimessione: art. 45 c. p. p .) ; oppure quando l'organo giudicante debba decidere su di un magistrato che svolga le sue funzioni nel distretto e che sia imputato, o persona offesa o danneggiato dal reato (art. 1 1 c.p.p.). g.
I conflitti di giurisdizione e di competenza.
Dato il carattere diffuso della funzione giurisdizionale e posto che ogni organo giudicante è giudice anche della propria competenza, ne deriva la possibilità che sorgano conflitti tra detti organi. I conflitti di giurisdizio ne intervengono tra un giudice ordinario ed un giudice speciale (o tra più giudici speciali); i conflitti eli competenza intervengono tra giudici ordinari. Si ha conflitto positivo quando due (o più) giudici contemporaneamente prendono cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona. Si ha conflitto negativo quando due (o più) giudici contemporaneamente rifiutano eli prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona, ritenendo la propria incompetenza. Il conflitto può insorgere in ogni stato e grado del processo (art. 28, comma 1 ) . Esso può essere denunciato dal pubblico ministero presso uno dei giudici in conflitto o dalle parti private (art. 30, comma 2 ) ; ma può anche essere rilevato d'ufficio da uno dei giudici (art. 3 0, comma 1 ) . L'ordinanza che rileva l'esistenza del conflitto è trasmessa alla corte eli cassazione con la copia degli atti necessari alla decisione. Occorre ricordare che né la denuncia, né l'ordinanza hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso (art. 30, comma 3 ) (27) . L a corte eli cassazione decide in camera di consiglio (art. 127) con sentenza e indica quale è il giudice competente a procedere (art. 3 2 ) . La decisione della corte è vincolante, salvo che risultino nuovi fatti che determinino la competenza di un giudice superiore (art. 25) . h.
La dichiarazione di incompetenza.
Considerazioni generali. L'inosservanza delle disposizioni che regolano la competenza comporta che il giudice dichiari la propria incompetenza. Diffe renti sono i termini entro i quali il giudice può rilevare tale difetto; ad un maggior rigore nei confronti dell'incompetenza per materia corrisponde un regime più blando negli altri casi (v. tav. 2 . 1 . 16). Identica è, invece, la normativa sull'efficacia degli atti che siano stati compiuti dal giudice incompetente. Di regola le prove acquisite restano efficaci (art. 26) , mentre le " dichiarazioni" , se ancora ripetibili, diventano utilizzabili in (27) n difetto di giurisdizione è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento mentre quello di competenza è rilevabile entro termini perentori.
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giudizio soltanto col meccanismo delle contestazioni probatorie (artt. 500 e 503 ) . Le misure cautelati già disposte conservano un'efficacia provvisoria limitata a venti giorni dalla ordinanza che dichiara l'incompetenza e che trasmette gli atti; entro tale termine il giudice competente deve disporre, se lo ritiene necessario, una nuova misura cautelare (art. 27). L'incompetenza per materia. In tema di competenza per materia, le norme sono più rigorose quando è eccepita o rilevata un'incompetenza "per difetto" , e cioè quando sta procedendo un giudice "inferiore" il quale, per definizione, è meno idoneo a giudicare rispetto ad un giudice "superiore" . Così avviene che, se un tribunale procede per un reato di competenza della corte d'assise, l'incompetenza è rilevabile fino a quando non si è pervenuti ad una sentenza irrevocabile (art. 2 1 , comma l ) (28). Meno rigoroso è il regime giuridico quando un giudice superiore stia procedendo per un reato di competenza di un giudice inferiore (art. 23 , comma 2 ) . Pertanto, se la corte d'assise sta procedendo per un reato di competenza del tribunale, l'incompetenza "per eccesso" può essere rilevata anche d'ufficio, ma non oltre le questioni preliminari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 4 9 1 , comma 1 ) . Inoltre, se il giudice di primo grado, errando, avesse ritenuto di essere competente, la corte d'appello, che accerti un'incom petenza "per eccesso" , deve decidere nel merito (art. 24, comma 2 ) . L'incompetenza per territorio. Un regime simile vale per l a declaratoria dell'incompetenza per territorio, che è eccepibile dalle parti, ed è rilevabile dal giudice, fino alla chiusura della discussione finale nell'udienza preliminare. Quando l'udienza medesima non ha luogo, l'incompetenza per territorio deve essere eccepita o rilevata nel corso delle questioni preliminari in dibattimento (art. 2 1 , comma 2) (29) . La declaratoria di incompetenza. La pronuncia del giudice, che dichiara l'incompetenza, presenta alcune particolarità. Nel corso delle indagini prelimi nari il giudice dichiara l'incompetenza con ordinanza e si limita a restituire gli atti al pubblico ministero che in quel momento sta conducendo le indagini. L'ordinanza produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto (art. 22, comma 2 ) e non impedisce al pubblico ministero di svolgere le indagini; vi è ancora la possibilità che nuovi elementi di prova dimostrino la fondatezza della sua asserzione circa la competenza del giudice. Dopo la chiusura delle indagini il giudice dichiara l'incompetenza con (28) Se l'eccezione di incompetenza è rilevata nei termini e riproposta in appello, la corte d'ap pello che ritiene fondata tale eccezione rinvia gli atti al giudice di primo grado competente (art. 24, com ma 1 ) . (29) S e l'eccezione è respinta in udienza, può essere ripresentata nelle questioni preliminari; s e è respinta in tale sede, deve costituire oggetto di uno specifico motivo di impugnazione; altrimenti la questione è preclusa (art. 24, comma 1 ) .
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sentenza e trasmette gli atti al pubblico ministero presso il giudice competente (art. 22, comma 3 ) (30). La decisione della corte di cassazione di regola è vincolante nel corso del processo. La questione può essere riproposta successivamente soltanto nel caso in cui risultino " nuovi fatti" dai quali emerga un'incompetenza per materia "per difetto " , di modo che sarebbe competente un giudice superiore (art. 25 ) . L'incompetenza per connessione. Nel caso di procedimenti connessi la competenza è determinata secondo le regole stabilite dagli articoli 15 e 16. L'inosservanza di tali regole determina l'incompetenza per connessione: essa deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro gli stessi termini previsti per l'incompetenza per territorio (art. 2 1 , comma 3 : prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa non abbia luogo, nel corso delle questioni preliminari al dibattimento) . È importante sottolineare che questo regime trova applicazione anche quando la connessione incida sulla competenza per materia (art. 15 ) . Ciò avviene, ad esempio, quando in pendenza di due procedimenti connessi, uno di competenza del tribunale e l'altro della corte di assise, la competenza per connessione sia erroneamente devoluta al tribunale, anziché alla corte di assise (3 1 ) . t.
L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o mo nocratica del tribunale.
Abbiamo avuto modo di osservare come il profilo centrale della riforma istitutiva del giudice unico sia rappresentato dal rapporto tra le due articolazioni (30) Nel corso del dibattimento di primo grado il giudice dichiara la propria incompetenza con sentenza e trasmette gli atti al giudice competente (art. 23). Nell'ipotesi in cui anche detto giudice ritenga insussistente la propria incompetenza, troveranno applicazione le disposizioni sopra illustrate inerenti le modalità di risoluzione dei conflitti di competenza (v. il precedente paragrafo g). (3 1 ) Cass., sez. VI, 1 7 ottobre 1994, Armanini, in Cass. pen ., 1996, 1 130: >.
II.I.2.i
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del tribunale. Tale ufficio, a seconda dell'oggetto della sua cognizione, siede infatti nelle due distinte composizioni monocratica o collegiale. Il punto di partenza delle nostre considerazioni sta nella constatazione che il legislatore ha escluso che le eventuali violazioni delle norme sulla corretta composizione del tribunale possano incidere sulla capacità dell'organo giudi cante (art. 3 3 , comma 3 ) . È evidente che si sono voluti configurare i rapporti tra le due articolazioni del tribunale alla stregua di un modulo organizzativo interno all'ufficio giudiziario. Il legislatore vuole che il problema non sia considerato una questione di " competenza"; esso deve attenere alla "cognizione" del giudice, e cioè ad una semplice questione di forma o di rito. Procedimenti con e senza udienza preliminare. La normativa che ci accingiamo ad analizzare è stata definita come una sorta di "microsistema", modellato per certi versi sulle categorie della competenza per materia e, per altri, sulle categorie della competenza per territorio. La regolamentazione è contenuta nel nuovo capo VI -bis del codice, che è stato introdotto dall'art. 170 del decreto legislativo n. 5 1 del 1998 e successivamente modificato dalla legge n. 479 del 1 999. Quest'ultima legge ha introdotto due modelli procedurali dinanzi al tribu nale in composizione monocratica. Vi è un primo rito, relativo ai reati più gravi, che prevede l'udienza preliminare: in tale udienza il giudice controlla la fondatezza dell'accusa formulata dal pubblico ministero. Il secondo rito è stato predisposto in relazione ai reati meno gravi e non prevede l'udienza prelimi nare: il pubblico ministero esercita l'azione penale con citazione diretta in giudizio senza alcun controllo giurisdizionale. n microsistema delle inosservanze. A seguito dell'intervento legislativo in oggetto, il regime delle inosservanze risulta assai complesso, perché si riferisce a due ordini di violazioni. Da un lato, vi sono le violazioni relative ai rapporti tra le attribuzioni del tribunale in composizione collegiale e in composizione monocratica; da un altro lato, vi sono le ipotesi in cui si sia erroneamente omessa l'udienza preliminare in relazione a reati per i quali, viceversa, detta udienza sia prevista (v. tav. 2 . 1 . 17 ) . I l termine, entro il quale s i può eccepire o rilevare anche d'ufficio l'inos servanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale e delle disposizioni processuali collegate, è simile a quello che vale per l'incompetenza per territorio (art. 33 -quinquies) (32 ) . (32) A nostro avviso, l'espressione "disposizioni processuali collegate" è idonea a ricomprendere nell'ambito applicativo del termine per eccepire o rilevare l'inosservanza anche le disposizioni relative ai due riti monocratici (con citazione diretta o con udienza preliminare) . Di conseguenza, sia le inosservanze relative alla composizione, sia quelle relative al procedimento sono sottoposte ad un identico regime di rilevabilità. Se si accoglie la tesi, da noi prospettata, l'art. 550, comma 3 risulta una norma inutile. In base a quest'ultima disposizione, la omissione dell'udienza preliminare, in relazione a reati per i quali è prevista, è rilevabile soltanto su eccezione di parte e non di ufficio.
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II.I.2.i
Cercheremo di esporre il complesso sistema mediante una summa divisio tra inosservanze " per eccesso" (che hanno comportato garanzie maggiori di quelle richieste dalla legge in relazione al reato) e inosservanze "per difetto" (che, viceversa, hanno comportato una diminuzione di garanzie) . Le inosservanze per eccesso. Nell'ambito delle inosservanze per eccesso possono verificarsi due ipotesi. Anzitutto può accadere che, nell'udienza preli minare, il giudice rilevi (d'ufficio o su eccezione di parte) che per il reato doveva procedersi con citazione diretta in giudizio, senza udienza preliminare. In tal caso il giudice deve trasmettere gli atti al pubblico ministero perché questi emetta il decreto di citazione a giudizio (art. 3 3 -sexies) (33 ). L a seconda ipotesi è quella i n cui il giudice collegiale in dibattimento rilevi che il procedimento spetti al tribunale monocratico. In tal caso non si ha regressione del procedimento: il collegio deve trasmettere gli atti al giudice competente per il dibattimento (art. 33 -septies, comma 1 ) . Le inosservanze per difetto. Veniamo adesso alle ipotesi di inosservanza per difetto. In primo luogo può verificarsi la situazione, inversa a quella che abbiamo appena descritto, e regolamentata in maniera identica. Se il giudice monocratico in dibattimento ritiene che il procedimento spetti al tribunale collegiale deve trasmettere gli atti al giudice competente per il dibattimento (art. 33 -septies, comma 1 ) . L'altra ipotesi, che si può verificare, è che il giudice monocratico, nel dibattimento instaurato a seguito di citazione diretta, rilevi che si tratti di un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare. In tal caso, vi è una regressione del procedimento: il giudice trasmette gli atti al pubblico ministero sia ave ritenga che il reato spetti al tribunale collegiale (art. 3 3 -septies, comma l-bis) , sia ave ritenga che il reato sia attribuito al tribunale monocratico (art. 550, comma 3 ). Il pubblico ministero eserciterà nuovamente l'azione pe nale (34). Nonostante l'eccezione di parte, può darsi che il giudice ritenga corretta la propria cognizione: in tal caso, spetterà ad una delle parti proporre appello, con gli effetti precisati dall'art. 3 3 -octies, che stiamo per illustrare. Se la corte d'appello ritiene che la cognizione era del giudice collegiale, annulla la sentenza del giudice monocratico e trasmette gli atti al pubblico ministero presso il (33) È chiaro come una simile disciplina vada in senso opposto rispetto alle esigenze di economia processuale. Ben avrebbe infatti potuto prevedersi che fosse lo stesso giudice dell'udienza preliminare ad emettere direttamente il decreto. (34) Merita precisare che la disciplina appena esposta non dà alcun rilievo al caso che l'inosservanza sia eccepita o rilevata nell'udienza preliminare, fatta salva l'ipotesi nella quale l'udienza stessa non doveva avere luogo (v. art. 33 -sexies) . Occorre peraltro tenere conto del fatto che il giudice dell'udienza preliminare è il medesimo, sia che il procedimento spetti al giudice monocratico, sia che il procedimento spetti al giudice collegiale. Sarà poi lo stesso giudice dell'udienza preliminare ad indicare quello competente per il dibatti mento nel decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma l, lett. e).
11.!.2.1
l soggetti del procedimento penale
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tribunale. Nel caso opposto, se ritiene che la cognizione spettava al giudice monocratico, la corte d'appello decide direttamente nel merito; si tratta di una soluzione simile a quella prevista per l'incompetenza per materia " in eccesso" (art. 24, comma 2 ) . Una norma d i chiusura stabilisce che l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina l'invalidità degli atti del procedimento né l'inutilizzabilità delle prove già acquisite (art. 33-nonies) (35 ) . l.
Le sezioni distaccate del tribunale.
Le regole che determinano la competenza per territorio trovano applicazione anche per l'individuazione della sezione distaccata a cui spetta la trattazione di un determinato procedimento. Le sezioni distaccate di tribunale, che hanno sostituito le soppresse sezioni distaccate di pretura, sono uffici collocati all'interno del circondario del tribunale per rendere più agevole ai cittadini l'accesso agli organi che amministrano la Giustizia. La loro ristrutturazione costituisce uno degli aspetti fondamentali, sotto il profilo organiz zativo, del decreto legislativo n. 5 1 del 1998. In primo luogo, occorre sottolineare che questi apparati non rappresentano piccoli tribunali autonomi: nella Relazione governa tiva allo schema di decreto istitutivo del giudice unico, il legislatore ha voluto, infatti, precisare che lo stesso termine "sezione" è funzionale a fugare ogni dubbio sulla natura puramente amministrativa di dette articolazioni. Riguardo alle materie che possono essere trattate nella singola sezione distaccata, l'art. 48-quater dell'ordinamento giudiziario le circoscrive agli affari penali sui quali il tribunale giudica in composizione monocratica, quando il luogo in ragione del quale è determinata la competenza per territorio rientra nella circoscrizione della sezione medesima. Viceversa, nella sede principale del tribunale sono svolte, in via esclusiva, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e dell'udienza preliminare. L'art. 1 63 -bis delle norme di attuazione dispone in ordine alle modalità con cui può essere eccepita o rilevata l'inosservanza delle regole che presiedono al riparto degli affari tra la sede principale del tribunale e la sezione distaccata. La questione può essere sollevata fino al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. n giudice monocratico, se la ritiene manifestamente infondata, decide con ordinanza. Viceversa, se ritiene la questione "non manifestamente infondata" , deve soltanto trasmettere gli atti al presidente del tribunale, il quale decide con decreto non impugnabile.
(35) La perentorietà della previsione non ha convinto una parte della dottrina, secondo cui nell'ipotesi in esame occorre rispettare il principio di immediatezza, in base al quale alla deliberazione debbono concorrere, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento (art. 525 comma 2 ) . Da tale principio si è soliti desumere la necessità di rinnovare l'assunzione delle prove dinanzi al nuovo giudice, quando l'escussione è ancora possibile e una parte ne fa richiesta. Si tratta di una soluzione analoga a quella che la giurisprudenza accoglie in caso di mutamento della composizione del collegio o della persona fisica del giudice monocratico nel corso del dibattimento. In argomento, si veda Cass., sez. un., 17 febbraio 1999, Iannasso, in Dir. pen. proc. , 1999, 480, e in/ra nel capitolo sul giudizio.
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La norma è stata evidentemente costruita in modo da evitare che una eventuale non corretta applicazione delle regole di riparto degli affari tra sezione distaccata e sede principale potesse considerarsi attinente alla competenza per territorio. n carattere puramente ordinamentale di queste disposizioni esclude qualsiasi effetto qualificabile in termini di nullità processuale. Tale conclusione trova conferma nell'art. 3 3 , comma 2 , ove è stabilito che non s i considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni riguardanti l'assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. m.
La capacità del giudice.
Quando si parla di " capacità del giudice" si fa riferimento al complesso dei requisiti indispensabili per un legittimo esercizio della funzione giudicante. Tuttavia nel codice di procedura penale non troviamo una vera e propria definizione di questa nozione. In base al primo comma dell'art. 3 3 , sono « condizioni di capacità del giudice » quelle che appaiono « stabilit(e) dalle leggi di ordinamento giudiziario ». In proposito la dottrina distingue la capacità "di acquisto" dalla capacità "di esercizio" della funzione giurisdizionale. La capacità di acquisto della funzione concerne il possesso di tutti i requisiti necessari all'assunzione della qualità di giudice (cittadinanza, età, titolo di studio, ecc.); la capacità di esercizio della funzione riguarda l'esistenza delle condizioni richieste per il valido esercizio del potere giurisdizionale, come ad esempio il decreto ministe riale di nomina al ruolo di uditore giudiziario (attualmente denominato "ma gistrato tirocinante" ) . Capacità generica e specifica. Al contempo, occorre precisare che non tutte le disposizioni finalizzate a regolare l'attribuzione e lo svolgimento della fun zione giurisdizionale sono previste a pena di nullità. Si ritiene infatti che la sanzione della nullità assoluta sia messa a presidio della sola capacità generica (che si ottiene con la nomina e l'ammissione nel ruolo; artt. 178 lett. a ; 179) e non anche dell'idoneità specifica, che presuppone la regolare costituzione del giudice nell'ambito di un determinato processo. Infatti, l'art. 3 3 , comma 2 stabilisce che non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni riguardanti la destinazione del magistrato giudicante agli uffici giudiziari ed alle sezioni (3 6). Evidentemente il legislatore ha voluto evitare che la violazione delle regole concernenti il funzionamento interno degli uffici giudiziari potesse dare luogo a nullità processuali (3 7 ) . (36) Rileva l a Corte cost. (sentenza n . 4 1 9 del 1998) che >.
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tendenza di ogni persona a mantenere fermo un giudizio già espresso (40). Detto fenomeno è tanto più forte quanto più potere riveste la persona che deve decidere: si ritiene che essa difficilmente possa ammettere di essersi sbagliata.
L'incompatibilità. La incompatibilità può essere definita come una incapacità a svolgere una determinata funzione in relazione ad un determinato procedi mento. Le situazioni di " pre-giudizio " , che sono previste dal codice come causa di incompatibilità, possono essere ricomprese in tre grandi categorie. In primo luogo, la situazione "pregiudicante" può consistere nel fatto che un magistrato abbia svolto nel medesimo procedimento una qualche funzione che deve restare distinta da quella di giudice (situazione pregiudicata) . L'art. 34, comma 3 enumera, tra le altre, le funzioni del pubblico ministero, della polizia giudiziaria, del difensore, del testimone, del perito, del consulente tecnico, del denunciante e del querelante. Da ciò si può dedurre l'esistenza del principio della separazione delle funzioni processuali, che abbiamo ritenuto essere una delle caratteristiche del sistema accusatorio. In secondo luogo, la situazione " pregiudicante" può consistere nel fatto che un parente o un affine (fino al secondo grado) del magistrato, che è stato designato a giudicare, abbia già esercitato nel medesimo procedimento sia la funzione di giudice, sia altre funzioni " separate o diverse" (art. 3 5 ) . Inoltre, ulteriori situazioni di incompatibilità sono previste dall'ordinamento giudiziario (artt. 18 e 1 9, r.d. 3 0 gennaio 194 1 , n. 12) e dalla legge sulla corte d'assise (art. 12, legge 10 aprile 195 1 , n. 287) (4 1 ) . In terzo luogo, la situazione "pregiudicante" può consistere nel fatto che un magistrato abbia già svolto la funzione di giudice nel medesimo procedimento penale (art. 34). Le situazioni di pre-giudizio sul merito della responsabilità. In particolare, costituisce situazione di incompatibilità ai sensi dell'art. 34 commi l , 2: a) l'aver pronunciato la sentenza in un precedente grado del procedimento; b) l'aver emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare; c) l'aver emesso il decreto penale di condanna; d) l'aver disposto il giudizio immediato; e) l'aver deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere. (40) li primo a denunciare la fallibilità dell'intelletto umano in relazione al fenomeno in esame sembra essere stato FRANCESCO BACONE, The new organon and related writings, 1620, trad. it. in Scritti filoso/ici, a cura di P. Rossi, Torino, 1975, 563: « l'intelletto umano, una volta soddisfatto di una determinata concezione (o perché ricevuta e creduta o perché da essa soddisfatto) cerca di portare tutto il resto a suffragarla e ad accordarsi con essa. Anche se la forza e il numero delle istanze contrarie è maggiore, non ne fa conto o le sdegna o le rimuove e le respinge a forza di distinzioni, non senza pericoloso pregiudizio, pur di mantenere inviolata l'autorità delle sue prime concezioni >>. (4 1 ) >.
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Inoltre, il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari non può emettere il decreto penale di condanna, né tenere l'udienza preliminare, né partecipare al giudizio (comma 2-bis), a meno che si sia limitato a svolgere funzioni di tipo non decisorio indicate nei commi 2-ter e 2-quater (42) , quale è l'aver provveduto all'assun zione dell'incidente probatorio. Infatti, il giudice che si è limitato ad assistere all'assunzione della prova in incidente probatorio, lungi dall'essere "prevenuto" nei confronti dell'indagato, è un soggetto idoneo a pronunciarsi sul rinvio a giudizio (in udienza preliminare) o sulla colpevolezza (in dibattimento) . In seguito agli interventi della Consulta (43 ) e del Legislatore, la materia dell'incompatibilità è diventata alquanto complessa. D'altra parte, l'esigenza di garantire l'imparzialità del giudice imponeva di assicurare che la impregiudica tezza non soltanto fosse esistente, ma anche apparisse tale all'opinione pubblica. (42) Ai sensi dell'art. 34 comma 2-ter, il giudice per le indagini preliminari resta compatibile quando ha emanato uno dei seguenti provvedimenti, che non comportano un "pre-giudizio" : a) le autorizzazioni sanitarie previste dall'ordinamento penitenziario (art. 1 1 legge 1975 n. 354); b) i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza (artt. 1 8 e 1 8-ter legge cit.) ; c) i provvedimenti relativi ai permessi previsti (art. 30 legge cit.); d) il provvedimento di restituzione nel termine di cui all'articolo 175; e) il provvedimento che dichiara la latitanza a norma dell'articolo 296. li successivo comma 2 -quater dell'art. 34 aggiunge a tale catalogo di eccezioni una ulteriore ipotesi e stabilisce che è compatibile con l'esercizio delle funzioni di giudice dell'udienza preliminare e del dibatti mento quel giudice per le indagini preliminari « che abbia provveduto all'assunzione dell'incidente probatorio >> o abbia comunque emesso uno dei provvedimenti previsti dalla legge in relazione a tale istituto (es. ordinanza che dispone il differimento dell'incidente). (43) Rispetto alla funzione di giudice del dibattimento, la Corte costituzionale ha affermato le seguenti situazioni di incompatibilità: l'aver il giudice rigettato la richiesta di patteggiamento prima dell'apertura del dibattimento (n. 186 e 399 del 1992); l'aver il giudice (in un precedente dibattimento per il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato) già disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per aver accertato che il fatto è diverso da quello contestato ai sensi dell'art. 52 1 , comma 2 (n. 455 del 1994 ) ; l'aver il giudice rigettato la domanda di ablazione ritenendo diverso il fatto (n. 453 del 1994); l'essersi il magistrato pronunciato, quale componente del tribunale della libertà, sul merito di ordinanze relative a misure cautelari personali (n. 13 1 del 1996); l'aver il giudice già valutato la posizione dell'imputato, in ordine alla sua responsabilità, nel pronunciare sentenza nei confronti di altri soggetti (n. 3 7 1 del 1996); l'aver il giudice pronunciato sentenza nei confronti dello stesso imputato per il medesimo fatto realizzato in concorso formale con quello da giudicare successivamente (n. 241 del 1999). Inoltre, non può decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento quel magistrato che abbia svolto nel medesimo procedimento le funzioni di membro del tribunale della libertà pronunciandosi sul merito dell'applicazione di una misura cautelare personale (n. 155 del 1996). E ancora, il giudice, che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto, è incompatibile con la funzione di giudice dell'udienza preliminare (n. 224 del 200 1 ) . Lo stesso vale nella situazione in cui il giudice abbia emesso il decreto di rinvio a giudizio quando tale decreto sia stato annullato (n. 335 del 2002). In effetti, l'esigenza di garantire l'imparzialità del giudice impone di assicurare che la impregiudicatezza non soltanto sia esistente, ma anche appaia tale all'opinione pubblica. Occorre mettere in evidenza che, secondo la Corte costituzionale, non sussiste incompatibilità quando il giudice, nella medesima fase processuale (ad esempio, nel giudizio di primo grado) compia valutazioni preliminari anche di merito destinate a sfociare in quella conclusiva; ad esempio, applichi una misura cautelare nel corso del dibattimento. Così la sentenza n. 448 del 1995 e le ordinanze n. 24 del 1996 e 232 del 1999.
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In effetti una persona, che in una precedente fase del medesimo procedimento ha emesso una valutazione sulla responsabilità dell'imputato (affermandola od escludendola), non appare nella condizione psichica di poterlo giudicare nuo vamente senza subire il peso della decisione già presa. Se mai, si può addebitare al Parlamento di essersi accorto con ritardo che i princìpi della separazione delle funzioni e dell'imparzialità del giudice sono indispensabili al fine di assicurare quello che il nuovo comma l dell'art. 1 1 1 Cost. definisce "giusto processo" (44). Motivi comuni all'astensione ed alla ricusazione. Come abbiamo accen nato, il giudice ha l'obbligo di astenersi (e le parti possono ricusarlo) in presenza di determinate situazioni che lo fanno apparire parziale. Si tratta di casi nei quali appare probabile che alcune vicende personali (legame con le parti o con l'oggetto da giudicare) possano avere il sopravvento sul dovere di imparzialità. Non è detto che in tali situazioni il giudice sia, in concreto, parziale; ma appare "poco credibile" che un magistrato possa mantenersi imparziale, perché non sempre potrebbe riuscire a dominare i propri istinti o pulsioni inconsce. Ed allora la legge lo obbliga a rendere immediatamente la dichiarazione di asten sione. Numerosi motivi sono comuni ai due istituti dell'astensione e della ricusazione. In primo luogo il giudice deve astenersi (art. 3 6) e può essere ricusato (art. 3 7) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 del codice (che abbiamo esposto in precedenza in questo paragrafo) o previste dalle leggi sull'ordinamento giudiziario (v. tav. 2 . 1 .9). In secondo luogo, integrano motivi comuni all'astensione e alla ricusazione tutte quelle situazioni, nelle quali il giudice abbia legami con le parti o con l'oggetto del procedimento. Il giudice ha l'obbligo di astenersi (art. 36) e può essere ricusato (art. 3 7 ) : a ) s e h a interesse nel procedimento o s e alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli. L'interesse non deve essere meramente teorico, ma tale che il giudice sia coinvolto nella vicenda processuale in modo da renderla obiettivamente suscettibile di procurargli un vantaggio economico o morale (45 ) ; b ) se è tutore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge; (44) Ricordiamo quanto era stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 3 1 del 1996: nell'assumere la sua decisione, questa Corte è pienamente consapevole delle difficoltà di ordine pratico che, come conseguenza della propria giurisprudenza, possono derivare alla formazione concreta degli organi giudicanti. Ciò tuttavia non la esime dalla propria essenziale funzione di garanzia, quando se ne richieda l'intervento in presenza di norme costituzionalmente illegittime. Alle anzidette difficoltà, con appropriati interventi e riforme di ordine normativa e organizzativo, devono porre rimedio altre istanze costituzionali alle quali appartengono i relativi doveri e le relative responsabilità >>. (45) Così, Cass. sez. VI, 19 gennaio 2000, Previti, in Arch. n. proc. pen., 2000, 277. . (5 1 ) n "legittimo sospetto" di parzialità del giudice è nato come strumento di garanzia per rimediare alle esperienze della democrazia assembleare sperimentata durante la Rivoluzione francese. Accadeva allora che i tribunali si trovavano a giudicare davanti ad una folla urlante che chiedeva di passare subito alla ghigliottina. Talora la folla invocava il Terrore " rosso", talaltra il Terrore "bianco " ; ma si trattava sempre di utilizzare la Giustizia come strumento di lotta politica. Al momento di scrivere il Code d'instruction criminelle, che è stato poi promulgato nel 1808 e che è considerato l'emblema del sistema liberale in quel secolo, i giuristi sopravvissuti agli eccessi della Rivoluzione cercarono uno strumento di garanzia che assicurasse una sede giudiziaria imparziale. Inventarono così la norma sul "legittimo sospetto" di parzialità dell'intero ufficio
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La corte di cassazione, investita dalla richiesta presentata dall'imputato o dal pubblico ministero, verifica l'esistenza di una delle situazioni che impon gono la rimessione (52) . Ove accolga la richiesta, trasferisce il processo ad un altro giudice che abbia la medesima competenza per materia e che abbia sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello individuato in base all'art. 1 1 c.p.p. Pertanto, la richiesta di rimessione, se accolta, determina l'attribuzione del processo ad un altro giudice precostituito per legge. Decisione sulla richiesta. La cassazione decide in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127, dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni. L'ordinanza che accoglie la richiesta di rimessione è comunicata senza ritardo al giudice che procede e a quello designato. n giudice designato provvede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente alla rimessione quando ne è richiesto da una delle parti e non si tratta di atti di cui è diventata impossibile la ripetizione (art. 48, comma 3 ) . L a normativa cerca di assicurare un bilanciamento tra i l principio di imparzialità del giudice ed il principio del giudice naturale (sul quale si veda supra). Tra i due princìpi prevale quello di imparzialità, anche se il principio del giudice naturale impone la tassatività-determinatezza delle ipotesi di rimessione. Il criterio del "legittimo sospetto" collegato alle "gravi situazioni locali" pare avere una determinatezza sufficiente in relazione al rilievo del contrapposto interesse dell'imparzialità del giudice. Del resto, in alcuni casi, perfino nel diritto penale sostanziale si è riconosciuto che l'esigenza di determinatezza può in qualche modo essere attenuata, sia pure entro limiti che non giungano a snaturarla (53 ) . Ciò può accadere allorché sia necessario tutelare beni giuridici di importanza fondamentale (54) .
giudicante. In tale situazione sia l'accusa, sia l'imputato potevano chiedere alla corte di cassazione di trasferire la competenza per territorio ad un altro giudice. n "legittimo sospetto" è così entrato nei codici dell'Europa continentale e, quindi, in quelli italiani fin dal l865 ed è rimasto in vigore fino al codice del l988, che viceversa ne ha ridotto la portata sostituendolo con un'altra clausola. (52) La richiesta di rimessione (presentata, come si è detto, dal pubblico ministero, dal procuratore generale presso la corte d'appello o dall'imputato) deve essere depositata nella cancelleria del giudice che procede e deve essere notificata alle altre parti a pena di inammissibilità (art. 46). Il giudice trasmette l'istanza alla corte di cassazione e può sospendere il procedimento in attesa della decisione della suprema corte (art. 47, conuna 1 ) . n presidente della corte di cassazione, se rileva una causa di inammissibilità, assegna la richiesta alla apposita sezione filtro prevista dall'art. 610, comma l (art. 48, comma 2 ) . In caso contrario, trasmette la richiesta alle sezioni unite o ad altra sezione, dandone immediata comunicazione al giudice che procede (art. 48, comma 3 ) : questi deve sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e non può pronunciare sentenza (né emettere il decreto che dispone il giudizio). Il provvedimento, che ordina la sospensione, non impedisce il compimento di atti urgenti; ha effetto fino a che la cassazione non si sia pronunciata sulla richiesta di rimessione (art. 47, comma 3 ) e comporta la sospensione della prascrizione del reato e dei termini di custodia cautelare (art. 47, comma 2 ) . La sospensione del processo non è disposta quando la richiesta sia fondata su elementi identici rispetto a quelli di altra istanza già rigettata o dichiarata inammissibile (art. 47, comma 2). La suprema corte può sempre disporre con ordinanza la sospensione del processo (art. 47, comma 1 ) . (53 ) Afferma l a sentenza della Corte cost. n. 1 9 1 del l970 a proposito della norma incriminatrice degli
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Le questioni pregiudiziali alla decisione penale.
fl principio di autosufficienza della giurisdizione penale. Nel momento in cui si deve accertare la responsabilità dell'imputato, il giudice penale può avere la necessità di risolvere una questione pregiudiziale; in senso lato è pregiudiziale una questione che si pone come antecedente logico-giuridico per pervenire alla decisione. Esemplificando: per decidere sull'imputazione di furto occorre ac certare la altruità della cosa (art. 624 c.p. ) . In senso stretto, una questione può dirsi pregiudiziale quando l'iter logico per approdare alla decisione sull'imputazione presuppone la risoluzione di una controversia non appartenente alla diretta cognizione del giudice procedente. Ad esempio, per dichiarare la responsabilità dell'imputato per il delitto di ricettazione occorre accertare che la cosa acquistata è stata oggetto di un furto; ma la cognizione di tale reato potrebbe essere in concreto di competenza di un giudice diverso da colui che procede. Il codice accoglie la regola secondo la quale il giudice penale ha il potere di risolvere ogni questione da cui dipenda la sua decisione, salvo che una norma di legge disponga diversamente. Ciò costituisce espressione del principio di autosufficienza della giurisdizione penale (SPANGHER; BACCARI) e, al tempo stesso, attua la massima semplificazione delle forme e la ragionevole durata del processo. La risoluzione della questione in via incidentale. Esamineremo successi vamente le eccezioni al principio di autosufficienza. Per il momento ci preme rimarcare che il giudice penale si limita a " risolvere" la questione in via incidentale: egli conosce della questione soltanto in quanto presupposto del l'accertamento della responsabilità dell'imputato. Ed infatti, l'art. 2 comma 2 c.p.p. precisa che la pronuncia del giudice penale, che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale, non ha efficacia vincolante in nessun altro processo. Nell'esempio fatto da ultimo, per dichiarare la respon sabilità dell'imputato per il delitto di ricettazione occorre accertare che la cosa acquistata è stata oggetto di un furto; detta questione è risolta ai soli fini dell'esistenza della ricettazione e non vincola il giudice competente a decidere sull'imputazione di furto. atti osceni: >. (54) Argomenta in modo differente Cass., sez. un. 27 gennaio-26 marzo 2003, cit., in Dir. pen. proc., 2003, 560, che tuttavia riconosce la legittimità costituzionale del criterio. Esso impedisce che lo spostamento della competenza per territorio sia affidato alla mera discrezionalità della corte di cassazione. La S.C. ritiene che l'istituto abbia un carattere eccezionale poiché implica una deroga al principio del giudice naturale; da ciò fa discendere una interpretazione restrittiva delle disposizioni che regolano la rimessione. La grave situazione locale di legittimo sospetto dovrebbe essere caratterizzata da abnormità e eccezionalità.
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Le regole probatorie. Restando al livello delle regole generali vigenti in materia e lasciando ad un momento successivo l'illustrazione delle eccezioni, occorre ricordare che, nel risolvere la questione pregiudiziale, il giudice penale di regola non è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili (es. il limite alla prova testimoniale per determinati contratti: artt. 272 1 e 2722 c.c.). Ciò significa che le esigenze di speditezza del processo penale possono portare ad un eventuale contrasto con le decisioni di altri giudici penali, civili o amministrativi. Il codice accetta questa possibilità al fine di contenere la durata del procedi mento penale; quale "valvola di sicurezza" prevede in casi tassativi la possibilità di revisione della sentenza penale di condanna (art. 63 0 c.p.p. ) . Soltanto in due casi il giudice penale deve seguire l e regole probatorie speciali vigenti per la specifica materia. Si tratta delle questioni pregiudiziali sullo stato di famiglia e di cittadinanza, in presenza delle quali il giudice penale deve osservare i « limiti di prova » stabiliti dalle leggi civili (art. 1 93 c.p.p. ) . In questo caso prevale il principio della certezza dei rapporti giuridici, che sono regolati in modo esclusivo dalle leggi civili e vincolano il giudice penale (si veda in/ra nel capitolo sui princìpi generali della prova) . A conferma di ciò, l'art. 3 comma 4 c.p.p. dispone che la sentenza irrevocabile del giudice civile sullo stato di famiglia e di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel processo penale. L'autosufficienza totale: le questioni pregiudiziali "penali". n giudice penale gode di una totale autosufficienza nell'accertare le questioni pregiudiziali penali. Quale esempio si può citare nuovamente il caso in cui nel decidere sull'esistenza della ricettazione si debba risolvere il problema se la cosa "pro viene" da un qualsiasi delitto (art. 648 c.p. ) . Il rapporto tra questione penale pregiudicante e pregiudicata è regolato dal codice nel modo seguente. La eventuale sentenza irrevocabile sulla esistenza del furto non ha efficacia di giudicato nel processo per ricettazione; se mai può essere utilizzata come prova documentale in presenza di riscontri e salvo prova contraria (art. 23 8-bis c.p.p.). A sua volta, la risoluzione della questione pregiudiziale sulla qualità di " cosa rubata" , quale antecedente logico della esistenza della ricettazione, non vincola altro giudice penale che debba accertare l'esistenza del furto (55 ) . L'autosufficienza parziale: le questioni pregiudiziali sullo stato di famiglia o di cittadinanza. n particolare rilievo delle questioni sullo stato di famiglia o di cittadinanza si manifesta sotto un ulteriore profilo, oltre all'aspetto del giudi cato. n sorgere di una pregiudiziale di tale natura può comportare la sospen sione del processo penale. Beninteso, il giudice penale non ha l'obbligo di (55) Per evitare decisioni contrastanti i due procedimenti possono essere riuniti, ove siano presenti i requisiti della riunione. Come si può notare, la materia richiede collegamenti con il tema della riunione dei procedimenti, con il tema del giudicato e con il tema della prova.
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sospendere sempre il processo in attesa che il giudice civile abbia deciso su tale questione. n giudice penale ha soltanto il potere-dovere di valutare la necessità della sospensione, che può avvenire unicamente in presenza dei rigorosi requi siti previsti dall'art. 3 comma l c.p.p. I requisiti devono essere interpretati in modo tassativo perché comportano una eccezione alla cognizione incidentale attribuita al giudice penale dall'art. 2 comma l c.p.p. Facciamo l'esempio che il giudice sia chiamato ad accertare se un cittadino abbia portato armi contro lo Stato italiano (art. 242 c.p.) (56) . Nel merito può essere controverso se l'imputato abbia effettivamente la qualifica di "cittadino" . n giudice penale in base all'art. 3 comma l c.p.p. può sospendere il processo soltanto quando la questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza abbia due requisiti concorrenti, e cioè: l ) la questione deve essere « seria »; 2) l'azione a norma delle leggi civili deve essere già in corso. Al giudice penale è attribuito il potere-dovere di non concedere la sospensione quando la questione non è seria o il processo civile non è in corso: le esigenze di durata ragionevole del processo penale devono prevalere (57) . L'autosufficienza quasi totale: le controversie civili ed amministrative diverse dallo stato di famiglia e di cittadinanza. In casi limitatissimi il codice consente al giudice penale di sospendere il processo per devolvere la decisione di una questione pregiudiziale civile o amministrativa " diversa" da quelle sullo stato di famiglia o di cittadinanza. Si tratta di ipotesi da considerare "di scuola", viste le condizioni rigorosissime previste dall'art. 479 c.p.p. In particolare, è posto come condizione che il giudice civile o amministrativo pronunci una sentenza irrevocabile entro un anno dal momento della sospensione del pro cesso penale. È evidente che il principio della ragionevole durata del processo costituisce oggi un ostacolo nei confronti della ipotesi di sospensione in parola (58). (56) Altro esempio può essere fatto i n relazione al furto: costituisce causa d i non punibilità il fatto che l'imputato si trovi in un determinato rapporto di parentela o affinità con la persona offesa (es. coniuge non legalmente separato; ascendente o discendente; fratello o sorella se conviventi; art. 649 c.p.). (57) Ove la sospensione sia concessa, questa opera > (comma 1 ) . La sentenza irrevocabile ha efficacia di giudicato nel processo penale (comma 4). La sospensione del processo non impedisce il compimento di atti urgenti (comma 3 ) . L'ordinanza che dispone la sospensione è immediatamente esecutiva anche se è soggetta al ricorso per cassazione (comma 2). (58) Benché l'ambito di applicazione della norma sia assai limitato, può essere interessante menzionare i requisiti che il codice pone a questo tipo di sospensione. Si faccia l'esempio del giudice che deve accertare il reato di inosservanza del provvedimento legalmente dato da una autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene (art. 650 c.p . ) . Questione pregiudiziale è la legittimità amministrativa dell'ordine. Ebbene, l'art. 479 permette la sospensione in presenza dei seguenti requisiti, che devono concorrere simultaneamente: l) la questione pregiudiziale deve condizionare la « esistenza >> del reato e non, ad es., di una sua circostanza; 2) il processo penale deve essere pendente nella fase del « dibattimento >>; 3 ) la questione deve essere « particolarmente complessa >>; 4) il processo extrapenale deve essere già « in corso >> davanti al giudice competente; 5) e non deve prevedere limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa; 6) e ancora, deve concludersi entro un anno con una sentenza « passata in giudicato >>.
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Le altre questioni pregiudiziali. Occorre accennare ad altre questioni pregiudiziali che possono sorgere nel corso del processo penale. Quanto alle controversie attinenti alla proprietà dei beni sequestrati o confiscati, il codice ne affida la risoluzione al giudice civile (artt. 263 comma 3 ; 324 comma 8; 676 comma 2 ) . Sulle questioni relative alla conformità delle leggi ( o di atti aventi forza di legge) alla Costituzione, il giudice penale deve provocare l'intervento della Corte costituzionale se la questione è "rilevante" e "non manifestamente infondata" (c.d. pregiudiziale di costituzionalità; art. 23 comma 2 legge 1 1 marzo 1 953 , n. 87) (59). Ed ancora, il giudice penale ha la facoltà di rivolgersi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, quando ritenga necessario risolvere una questione relativa all'interpretazione del diritto comunitario per definire il processo (c.d "pregiudiziale comunitaria" ; art. 234, comma 2 del Trattato istitutivo della Comunità europea; art. 3 legge 13 marzo 1 958, n. 204 ) . Tuttavia, il giudice nazionale ha l'obbligo di adire la Corte di giustizia, qualora la questione sorga dinanzi ad un organo giurisdizionale di ultima istanza (art. 234, comma 3 T.C.E) oppure verta sulla validità di un atto delle istituzioni comunitarie. Il rinvio della questione al giudice comunitario determina la sospensione automatica del processo penale. Ciò in quanto la pronuncia della Corte ha efficacia vincolante per il giudice a qua; peraltro, sembra da condividere l'opinione secondo la quale qualsiasi giudice dei Paesi membri è tenuto ad Qualora il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso nel termine di un anno, il giudice, anche di ufficio, può revocare l'ordinanza di sospensione. Un esempio di questione pregiudiziale civile è la qualità di fallito ai fini del reato di bancarotta. Infatti, tale reato sussiste soltanto se l'autore della condotta tipica è un imprenditore che sia stato dichiarato fallito. Nella prassi giudiziaria accade di frequente che l'imprenditore, una volta dichiarato fallito, presenti opposi zione alla dichiarazione di fallimento dinanzi al giudice civile. In tale eventualità il giudice penale può sospendere il processo per bancarotta se ricorrono tutti quei requisiti previsti dall'art. 479 e che abbiamo elencato poco sopra. (59) Dal momento nel quale è stato accolto un incidente di legittimità costituzionale da parte del giudice penale, il processo a qua deve essere obbligatoriamente sospeso in attesa della decisione della corte costituzionale (art. 23, comma 2, legge n. 87 del 1953 ) . li corso della prescrizione del reato rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del processo è imposta da una particolare disposizione di legge (art. 159 c.p.): nel caso del giudizio di legittimità costituzionale, la sospensione del processo penale è obbligatoria ed è imposta dall'art. 23, comma 2, legge n. 87 cit.; pertanto, anche il corso della prescrizione deve ritenersi sospeso in attesa della decisione della corte costituzionale. Per quanto riguarda le conseguenze di una dichiarazione di incostituzionalità quando essa ha ad oggetto norme processuali penali, nonostante numerose dispute giurisprudenziali, oggi è pacificamente ammesso che tale declaratoria comporta l'invalidità di tutti quegli atti che sono stati compiuti in base alla norma dichiarata in costituzionale, indipendentemente dal momento in cui sono gli stessi stati compiuti, e cioè anche se anteriori rispetto alla pubblicazione della pronuncia costituzionale, purché il processo penale sia ancora in corso. Si veda Cass. , sez. un., 7 luglio 1984, Galante, in Cass. pen., 1984, 2388, in cui si precisa che " l'obbligo di immediata operatività della dichiarazione di incostituzionalità nei giudizi non ancora definiti" comporta che "il giudice deve assumere come canone di valutazione esclusivamente la disciplina risultante dall'innovazione apportata dalla decisione della corte costituzionale" (v. supra, Parte I, cap. 2, § 8).
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II.I.3 .a
uniformarsi all'interpretazione del giudice comunitario, fermo restando il po tere di sollecitare una nuova pronuncia della Corte di giustizia sulla medesima questione. 3.
n pubblico ministero. a.
Le funzioni.
Il pubblico ministero è quel complesso di uffici pubblici che rappresentano nel procedimento penale l'interesse generale dello Stato alla repressione dei reati. li pubblico ministero non è un organo unitario, bensì è frazionato in tanti uffici ciascuno dei quali svolge le sue funzioni, di regola, soltanto davanti all'organo giudiziario presso cui è costituito (art. 5 1 , comma 3 ) . Uffici del pubblico ministero davanti al giudice ordinario. Le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono svolte, presso il tribunale monocratico e collegiale, da un ufficio unitario denominato " procura della repubblica presso il tribunale" . Tale ufficio svolge altresì le funzioni di pubblico ministero per i reati di competenza della corte d'assise e del giudice di pace. Presso il tribunale per i minorenni vi è un apposito ufficio di procura della repubblica (v. tav. 2 . 1 . 18). Per i giudizi d'appello vi è una procura generale presso la corte d'appello. Presso la corte di cassazione vi è un ufficio di procura generale. Uffici del pubblico ministero davanti al giudice speciale. Presso il giudice speciale militare vi sono la procura militare presso il tribunale e la procura generale militare presso la corte d'appello. Presso la corte di cassazione vi è un apposito ufficio denominato "procura generale militare" . Per i delitti commessi dal presidente della repubblica (art. 9 0 Cost.) le funzioni di pubblico ministero sono svolte da uno o più " commissari" eletti dal parlamento in seduta comune dopo che quest'ultimo ha deliberato l'atto d'accusa (art. 13 legge cost. 1 1 marzo 1 953 , n. 1 ) . Le funzioni del pubblico ministero. Le funzioni svolte dal pubblico mini stero sono indicate nell'ordinamento giudiziario. In particolare il pubblico ministero: l ) « veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci » (art. 73 ord. giud. ) . 2) « promuove l a repressione dei reati » (art. 7 3 ord. giud.) e cioè svolge le indagini necessarie per valutare se deve chiedere il rinvio a giudizio o l'archi VIazwne. 3 ) « esercita l'azione penale » in ogni caso in cui non debba richiedere l'archiviazione, e cioè quando dalle indagini sono emersi elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio (art. 50, comma l c.p.p.).
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II.I.3 .b
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4) « fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge » (art. 73 ord. giud. ) . n pubblico ministero svolge nel procedimento penale l a funzione di parte pubblica. Egli rappresenta l'interesse generale dello Stato-comunità, e cioè l'interesse della società che è stata lesa dal reato. Ben distinta è la situazione soggettiva dello Stato-persona, che è rappre sentato dall'avvocatura dello Stato. Infatti, qualora il reato abbia cagionato un danno ad un bene dello Stato, il ministro competente può decidere di chiedere il risarcimento nel processo penale. In tal caso il ministro, che si costituisce parte civile, è rappresentato dall'avvocatura dello Stato (60). Status del pubblico ministero. n magistrato che fa parte dell'ufficio del pubblico ministero ha una piena indipendenza di status (art. 105 Cost.) ; è inamovibile nel grado e nella sede (art. 1 07 Cost.); è nominato a seguito di pubblico concorso (art. 1 06, comma l Cost. ) ; i provvedimenti disciplinari e le promozioni che lo riguardano sono deliberati dal consiglio superiore della magistratura (art. 1 05 Cost.) ( 6 1 ) . Per quanto attiene alle funzioni, l a Costituzione impone al pubblico ministero l'obbligo di esercitare l'azione penale (art. 1 12 ) ; da ciò si fa comune mente derivare la soggezione del pubblico ministero alla legge. La principale differenza rispetto al giudice sta nel fatto che l'ufficio del pubblico ministero ha alcune caratteristiche della organizzazione gerarchica; quest'ultima, viceversa, è assente all'interno degli uffici del giudice. b.
I rapporti con il potere politico.
La scelta compiuta a questo proposito dalla Costituzione va vista nel quadro generale delle soluzioni sperimentate da altri sistemi politici. Occorre fare una prima e fondamentale distinzione tra sistemi totalitari e garantisti (v. tav. 2 . 1 . 19). I sistemi totalitari non accettano la separazione dei poteri dello Stato se non a fini meramente burocratici. In essi il pubblico ministero è diretta espressione del " potere politico" , che può essere imperso(60) La legittimazione a far valere la pretesa risarcitoria, per effetto della l. 25 marzo 1958 n. 260, spetta al ministro competente, organo di vertice dell'amministrazione che è parte del giudizio. A norma dell'art. l comma 4, l. 3 gennaio 1991 n. 3, tuttavia, la costituzione di parte civile dello Stato deve essere autorizzata dal presidente del consiglio dei ministri; l'ordinamento, dunque, >.
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nato dal re, dal dittatore, dal partito unico, dal potere esecutivo o, in altre situazioni, dal potere legislativo o da quello giudiziario che esercitano una dittatura sul Paese. I sistemi garantisti sono fondati sull'opposto principio della separazione dei poteri dello Stato, nel senso che vi è un controllo reciproco fra gli stessi. Il pubblico ministero può essere configurato in tre distinti modi: l) come rappre sentante della società; 2) come rappresentante del potere esecutivo; 3 ) come rappresentante della legge. La prima soluzione, secondo la quale il pubblico ministero è il "rappresen tante della società" , deriva dal periodo iniziale della Rivoluzione francese, che ha introdotto la figura dell'accusatore pubblico elettivo. Costui era eletto con modalità simili a quelle dei membri del parlamento. Una configurazione del genere è presente nella maggior parte degli ordinamenti degli Stati Uniti d'America ed è colà accettata in quanto la società americana non ha i profondi contrasti ideologici che sono tipici dell'Europa continentale. La seconda soluzione, che vede il pubblico ministero come "rappresentante del potere esecutivo presso il potere giudiziario " , è stata accolta in Francia ai tempi del Consolato e dell'Impero. Più che essere un magistrato, il pubblico ministero rischia di diventare un funzionario la cui carriera dipende più o meno direttamente dal potere esecutivo. Tale configurazione è stata accolta in Italia ai tempi sia dello stato liberale, sia del regime fascista e ha dato cattiva prova. La soluzione del pubblico ministero quale "rappresentante della legge" tende a tenere il pubblico ministero fuori dalla dipendenza politica, e cioè a svincolarlo dal controllo operato dal potere esecutivo o dal potere legislativo. Il pubblico ministero è vincolato alla "legge" , e cioè al prodotto del potere legislativo. Questa soluzione è accolta dai Paesi che, dopo aver sperimentato un regime di tipo dittatoriale, sono riusciti a liberarsene e nei quali vi è ancora un profondo contrasto ideologico; è la situazione dell'Italia del secondo dopoguerra e, attualmente, del Brasile e del Portogallo. Questa soluzione tende a collocare il pubblico ministero fuori dalla mischia "politica" e, soprattutto, fuori dal controllo dei partiti. Nell'ordinamento italiano il pubblico ministero è stato configuratù fin dall'Assemblea costituente come un magistrato con garanzie di indipendenza simili a quelle dei giudici (62 ) . La soluzione è apparsa adeguata al nostro (62) La soluzione è stata proposta e difesa in tale sede da PIERO CALAMANDREI, che ne ha dato il seguente quadro in L'elogio dei giudici scritto da un avvocato, Firenze, 1949, p. 40: ; G.P. VOENA, Atti, in CoNso-GREVJ, Compendio di procedura penale, 2" ed., Padova, 2003, 205; K. MAMBRUCCHI, sub art. 136 c.p.p., in Codice di procedura penale ipertestuale, Torino, 200 1 , a cura di A. GAJTo, 47 1 ; Cass., sez. V, 10 gennaio 1994, Capuzzi, in Cass. pen., 1995, 1 12 . Contra, Cass., sez. III, 9 luglio 1996, Rizzo, in Cass. pen., 1997, 9 1 .
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Gli atti
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Nel libro secondo del codice è dettata la disciplina generale della documen tazione; in altre disposizioni si prevede una normativa specifica che integra quella generale nelle fasi delle indagini preliminari (art. 373 ) , dell'udienza preliminare ( art. 420, comma 4 ) e del dibattimento (artt. 480, 481 e 5 1 0) (v. tav. 2 .2 . 3 ) . La documentazione può essere effettuata con almeno tre modalità diffe renti. n verbale in forma integrale. In dibattimento di regola deve essere redatto il verbale in forma integrale con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale ( art. 134, comma 2 ) . n verbale in forma riassuntiva con riproduzione fonografica. Una seconda modalità di documentazione è il verbale « in forma riassuntiva » (art. 134, comma 3 ) . In tal caso spetta al giudice vigilare che sia riprodotta « nell'originaria genuina espressione, la parte essenziale delle dichiarazioni » (art. 140, comma 2 ) ; da ciò si evince che " riassuntivo" non significa riassunto del concetto delle dichiarazioni, ma solo sommaria esposizione degli elementi extra-dichiarativi. Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva deve essere effettuata anche la riproduzione fonografica (art. 134 comma 3 ) . n verbale in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica. Infine, vi è una terza modalità di documentazione che si effettua quando vi sia una « contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici » o anche quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza ( art. 140, comma 1 ) . Si tratta della verbalizzaiione in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica. L'art. 1 4 1 -bù prevede che l'interrogatorio reso, al di fuori dell'udienza, da una persona detenuta, sia documentato integralmente a pena di inutilizzabilità con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Si vuole in tal modo garantire al massimo l'assenza di qualsiasi condizionamento, data la particolare situazione in cui si trova la persona interrogata. f.
La notificazione.
Considerazioni preliminari. Nel corso del procedimento penale sorge più volte l'esigenza di fornire conoscenza di atti (o di attività) a determinate persone, perché queste possano esercitare i propri diritti (ad esempio, di difesa) o adempiere ai propri doveri (ad esempio, di presentarsi a testimoniare). La notificazione è lo strumento previsto dalla legge per rendere noto al destinatario un atto (o una attività) del procedimento; di regola essa è eseguita mediante la consegna, al destinatario, della copia dell'atto stesso. Questo può essere un atto del procedimento (ad esempio, la richiesta di archiviazione; art. 408, comma 2 ) , o l'avviso di una attività già compiuta o d a compiere (ad esempio, l'avviso che
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è depositato in segreteria il verbale di un atto di indagine, art. 366; o l'avviso che sarà compiuto un atto garantito, art. 3 64 ) . L'organo che esegue l a notificazione è , d i regola, l'ufficiale giudiziario o chi ne esercita le funzioni (art. 148); l'ufficiale giudiziario è un ausiliario del giudice. In casi eccezionali, che esamineremo, le notificazioni possono essere svolte dalla polizia penitenziaria o dalla polizia giudiziaria (artt. 148 comma 2 e 1 5 1 comma l , mod. dalla legge antiterrorismo n. 155 del 2005 ) . Conoscenza effettiva e presuntiva. l i codice h a voluto contemperare due esigenze fondamentali, ma contrastanti. Da un lato, quella di portare alla conoscenza effettiva del destinatario l'atto da notificare. Da un altro lato, l'esigenza di accertare il reato e assicurare la celerità degli adempimenti formali, in modo da non ritardare il corso del procedimento penale. Le due esigenze sono state conciliate mediante una disciplina minuziosa e dettagliata, finalizzata a rendere minimo lo scarto tra conoscenza effettiva e conoscenza legale dell'atto da notificare. Le formalità prescritte dalla legge sono finalizzate ad assicurare l'effettiva conoscibilità dell'atto da parte dell'interessato; una volta che esse sono state adempiute, scatta la presunzione legale di avvenuta conoscenza. Il codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196) ha voluto tutelare la riservatezza della persona destinataria della notifica. Infatti, quando la notifica non può essere eseguita in mani proprie del destina tario, l'atto è consegnato in busta sigillata, ad esempio, al portiere (art. 148 comma 3 mod.). Questa formalità non è prevista nel caso di notifica al difensore o al domiciliatario. La relazione di notiiìcazione. Della consegna dell'atto è redatto un verbale, che viene chiamato « relazione di notificazione » e che ha il contenuto indicato nell'art. 168, comma l del codice: l'ufficiale giudiziario (o altro soggetto legittimato) « scrive, in calce all'originale e alla copia notificata, la relazione in cui indica l'autorità o la parte privata richiedente, le ricerche effettuate, le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia, i suoi rapporti con il destinatario, le funzioni o le mansioni da essa svolte, il luogo e la data della consegna della copia, apponendo la propria sottoscrizione ». La relazione di notificazione è il verbale di una attività compiuta; come tale, è destinata a far prova di quanto il pubblico ufficiale ha compiuto e dei fatti da lui constatati (v. atto 2 .2.4). La notificazione produce effetto per ciascun destinatario dal giorno della sua esecuzione (art. 168, comma 3 ) ; pertanto, da tale momento l'atto si presume conosciuto dal destinatario. I soggetti legittimati a disporre le notiiìcazioni. Notiiìcazioni disposte dal giudice. Di regola, l'atto è notificato per intero mediante consegna al destinatario da parte dell'ufficiale giudiziario (art. 148 comma 1). Nei procedimenti con detenuti ed in quelli davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano
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eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti (art. 148 comma 2 , mod. dalla legge antiterrorismo n. 155 del 2005) ( 13 ) . Esistono forme equipollenti alla notifica quali l a consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria (art. 148, comma 4), la lettura dei provvedimenti e gli avvisi dati verbalmente dal giudice agli interessati che siano presenti (art. 148, comma 5 ) ( 14 ) . Notificazioni disposte dal pubblico ministero. L e notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari sono eseguite dall'uffi ciale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire (art. 15 1 comma l, mod. dalla legge antiterrorismo n. 155 del 2005 ) . Gli esempi rispettivamente sono i seguenti: la notifica dell'invito a presentarsi (art. 375) per compiere l'interrogatorio delegato alla polizia giudiziaria; la notifica di un decreto di sequestro che la polizia giudiziaria è delegata ad eseguire (art. 253 ) ( 15 ) . Anche per le notificazioni da parte del pubblico ministero sono previste due forme equipollenti alle modalità ordinarie. È possibile la consegna di copia dell'atto da parte della segreteria (art. 15 1 comma 2) e la lettura di provvedimenti e avvisi in presenza degli interessati (art. 1 5 1 comma 3 ) . Notificazioni chieste dalle parti private. L e parti private possono effettuare le notificazioni di loro interesse secondo le regole ordinarie (richiesta all'ufficiale giudiziario) oppure valersi di una modalità semplificata. Si tratta dell'invio di copia dell'atto da parte del difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento (art. 152). I destinatari delle notificazioni. Notificazioni al pubblico ministero. Le notificazioni al pubblico ministero sono eseguite nel modo ordinario o anche direttamente dalle parti mediante consegna di copia dell'atto alla segreteria. Allo stesso modo vengono notificati gli atti ed i provvedimenti del giudice, a cura della cancelleria. li pubblico ufficiale addetto annota sull'originale la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta (art. 153 ). ( 13 ) I n base all'art. 17 comma 6 del decreto-legge citato, per i procedimenti relativi a i delitti d i cui all'art. 407, comma 2, lett. a. n. l, 3, 4 c.p.p.,« rimane ferma, la disciplina previgente, che consente al giudice di ordinare che le notificazioni siano eseguite dalla polizia giudiziaria nei procedimenti con detenuti. ( 14) In casi di urgenza il giudice può disporre, anche d'ufficio, che le notificazioni alle persone diverse dall'imputato siano effettuate a mezzo del telefono. Tale modalità si perfeziona soltanto se la comunicazione telefonica è immediatamente confermata al destinatario mediante telegramma (art. 149). n codice prevede altresì la possibilità che siano disposte forme atipiche di notificazione alle persone diverse dall'imputato (art. 150). Si tratta di una clausola aperta, che consente un adattamento automatico al progresso tecnologico. In tale ipotesi occorre un decreto motivato del giudice, che dia atto dell'adeguatezza dei mezzi impiegati. ( 15) In base all'art. 17 comma 6 del decreto-legge citato, per i procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a, n. l, 3, 4 c.p.p., la disciplina previgente, che consente al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari di ordinare che le notificazioni siano eseguite dalla polizia giudiziaria.
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Notificazioni al difensore. Anche le notificazioni al difensore, possono
essere eseguite nel modo ordinario. Tuttavia una forma semplificata di notifi cazione può essere disposta sia dal giudice, sia dal pubblico ministero. Ai sensi del comma 2-bis dell'art. 148 c.p.p., introdotto dalla legge n. 43 8 del 200 1 , « l'autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei ». In ogni caso, l'ufficio che invia l'atto deve attestare in calce ad esso di avere trasmesso il testo originale ( 16). Notificazioni all'imputato detenuto. Le notificazioni all'imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona (art. 156 comma 1 ) . Se questa si rifiuta di ricevere l'atto, se ne fa menzione nella relazione di notificazione e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell'isti tuto o a chi ne fa le veci ( 17). La dichiarazione e l'elezione di domicilio da parte dell'imputato. Allo scopo di rendere più celere ed agevole l'attività di notificazione all'imputato (o all'indagato) non detenuto, il codice disciplina la dichiarazione o l'elezione di domicilio. Nel primo atto compiuto con l'intervento dell'imputato o dell'inda gato, l'autorità procedente lo invita a dichiarare o eleggere il proprio domicilio (art. 1 6 1 , comma 1 ) . Dichiarare il domicilio significa indicare quel luogo, ove l'imputato abita o lavora, nel quale gli atti saranno a lui notificati. Eleggere il domicilio (dal latino "eligere" , scegliere) comporta la indicazione di un domi ciliatario, e cioè di una persona differente dall'imputato, che viene da lui scelta per ricevere copia dell'atto da notificare ( 18): una volta consegnata la copia al domiciliatario, l'atto si considera legalmente conosciuto dall'imputato ( 19). L'imputato medesimo è avvertito che, ove egli si rifiuti di ottemperare alla dichiarazione o elezione o successivamente ometta di comunicare un eventuale mutamento del domicilio dichiarato o eletto, le notificazioni saranno eseguite mediante consegna al difensore (art. 161, comma 4). Della dichiarazione o della elezione di domicilio, o del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale. Prima notificazione all'imputato non detenuto. Nel caso in cui non sia stato possibile invitare l'imputato a dichiarare o eleggere il domicilio, scatta una ul( 16)
Nei casi di urgenza l'art.
149 prevede che il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che
le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria. Tale comunicazione telefonica ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta sempre che della stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma.
( 17)
In caso di impossibilità dovuta a legittima assenza dell'interessato il direttore lo informa 156 comma 2). ( 18) Secondo l a giurisprudenza d i legittimità l a dichiarazione d i domicilio implica l a effettiva esistenza di una relazione fisica tra l'imputato ed il luogo dichiarato (Cass., sez. IV, 9 maggio 2000, in Arch. n. proc. pen., 2000, 409); viceversa, la elezione di domicilio presuppone l'esistenza di un rapporto fiduciario tra il immediatamente col mezzo più celere (art.
dichiarante ed un domiciliatario, il quale assume l'onere di ricevere e custodire la copia dell'atto notificato e di consegnarla al destinatario (Cass., sez.
( 19)
III, 26 marzo 2003 , in Carr. pen., 2005, 147).
La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida in ogni stato e grado del procedi
mento, salvo quanto è previsto dagli artt.
156 e 613 comma 2 (art. 164).
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teriore normativa. n codice distingue tra la prima e le successive notificazioni all'imputato non detenuto. Di regola la prima notificazione è eseguita mediante consegna di copia alla persona (c.d. a mani proprie) ; ciò può avvenire sia nel domicilio, sia altrove (artt. 1 6 1 e 1 62 fatti salvi dall'art. 157 comma 1 ) . Se non è possibile la consegna a mani proprie, la notificazione avviene nel luogo in cui l'imputato è reperibile, e cioè nella casa di abitazione o nel luogo di lavoro, se conosciuti; se tali luoghi non sono conosciuti, avviene ove l'imputato ha tempo ranea dimora o recapito (art. 157 comma 2 ) . Nei predetti luoghi la notifica è eseguita mediante consegna di copia dell'atto ad una persona che conviva anche temporaneamente con l'imputato (20) o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci (2 1 ) . S e non è possibile consegnare la copia alle predette persone, si procede a nuova ricerca (art. 157 comma 7) e, in caso di esito negativo, la notificazione è effettuata mediante deposito dell'atto nella casa comunale di abituale residenza o lavoro, con affissione dell'avviso di deposito alla porta della casa di abitazione o del luogo di lavoro (art. 157 comma 8). L'avvenuto deposito è altresì comunicato all'indagato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevi mento. Gli effetti della notificazione decorrono dalla ricezione di quest'ultima. n decreto di irreperibilità. n codice considera anche l'ipotesi nella quale, malgrado l'attivazione delle modalità previste dall'art. 157 (prima notificazione all'imputato non detenuto) non sia comunque possibile effettuare la notifica zione all'imputato perché questi non è reperibile. In tal caso, il giudice o il pubblico ministero devono disporre nuove ricerche nel luogo di nascita, in quello di ultima residenza anagrafica o di dimora e negli altri luoghi indicati dall'art. 159 comma l. Qualora le ricerche diano esito negativo, il giudice o il pubblico ministero emettono un decreto di irreperibilità. Con tale provvedimento viene designato un difensore all'imputato che ne sia privo e viene ordinato che le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore, che rappresenta l'irre peribile (22). n codice si preoccupa di assicurare la conoscibilità del procedimento da parte dell'irreperibile; in particolare, considera necessaria una verifica costante dell'attualità di tale situazione. n decreto di irreperibilità cessa di avere efficacia, (20) La copia non può essere consegnata a persona minore di quattordici anni o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere (art. 157 comma 4). L'autorità giudiziaria dispone la rinnovazione della notificazione quando la copia è stata consegnata alla persona offesa dal reato e risulta o appare probabile che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato (art. 157 comma 5 ) . (2 1 ) l i portiere sottoscrive l'originale dell'atto notificato e l'ufficiale giudiziario d à notizia all'imputato dell'avvenuta consegna mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dalla ricezione di quest'ultima (art. 157 comma 3 ) . (22) La stessa disciplina (consegna di copia al difensore) si applica per le notificazioni all'imputato latitante o evaso, senza che siano necessarie precedenti ricerche (art. 165).
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in sintesi, al termine della fase o del grado di merito (23 ) . Ogni volta che il decreto cessa di avere efficacia, debbono essere disposte nuove ricerche e, in caso di esito negativo, l'autorità giudiziaria emette un nuovo decreto di irrepe ribilità (art. 1 60 comma 4 ) . Successive notiiìcazioni all'imputato non detenuto. li codice regola in modo apposito le successive notificazioni che siano effettuate all'imputato non detenuto. Queste sono eseguite in relazione all'esito della prima notificazione, è cioè ri spettivamente nel domicilio eletto; o presso il difensore, se l'imputato è stato dichiarato irreperibile; o nel luogo in cui è stata effettuata la prima notificazione. La legge n. 60 del 2005 ha introdotto una ulteriore modalità di notificazione in aggiunta a quelle ordinarie (art. 157 comma 8-bis) . Quando l'imputato ha nominato un difensore di fiducia, le notificazioni successive sono eseguite tramite consegna al difensore, che può dichiarare immediatamente all'autorità, che procede, di non accettare la notificazione; questa sarà eseguita con le modalità ordinarie (art. 148, comma 2-bis). Viceversa, se il difensore non rende immediata dichiarazione, la notifica è corretta (24). Notiiìcazioni all'imputato all'estero. Se è nota la residenza o dimora estera dell'indagato o dell'imputato, il giudice o il pubblico ministero inviano una raccomandata con l'indicazione dell'autorità procedente, del titolo del reato e della data e del luogo del fatto, invitando il soggetto a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato entro il termine di trenta giorni. In mancanza di elezione di domicilio, le successive notificazioni devono essere effettuate mediante consegna al difensore (art. 1 69) (25 ) . Se non è nota la residenza o la dimora dell'imputato, debbono effettuarsi ricerche nei limiti stabiliti dalle convenzioni internazionali e in caso di esito negativo deve essere emesso decreto di irreperibilità (art. 169, comma 4 ) . Notifìcazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile, al civilmente obbligato per la pena pecuniaria e ad altri soggetti. La notificazione
alla persona offesa e ad altri soggetti, diversi dalle parti private (es. testimoni, consulenti tecnici ecc.), nonché la prima citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono eseguite con le modalità della prima notificazione all'imputato non detenuto (artt. 154, commi l e 2 ; 1 67 ) . In caso di pluralità di persone offese, se per il numero dei destinatari (23) TI decreto emesso nel corso delle indagini preliminari cessa di avere efficacia con la pronuncia del prowedimento che conclude l'udienza preliminare (art. 160, comma l); il decreto emesso per la notificazione del decreto che dispone il giudizio cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza di primo grado (art. 160, comma 2); il decreto emesso dal giudice di secondo grado cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza (art. 160, comma 3 ) . (24) Tuttavia, nel caso i n cui l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per l e notifiche a i sensi dell'art. 1 6 1 , la notifica presso il difensore di fiducia ex art. 157, comma 8-bis, non può essere effettuata e, se lo fosse, sarebbe nulla; così si è espressa Cass., sez. un., 27 marzo - 15 maggio 2008, Micciullo. (25)
L'invito è redatto in lingua conosciuta dall'imputato (art. 169, comma 3 ).
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o per l'impossibilità di identificarne alcuni l a notificazione nelle forme ordinarie risulta difficile, il pubblico ministero o il giudice possono disporre con decreto che la notificazione sia eseguita mediante pubblici annunzi (art. 155) . Le notificazioni alla parte civile, al responsabile civile ed al civilmente obbligato, già costituiti in giudizio, sono eseguite presso i difensori (art. 154, comma 4). Le notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente sono eseguite con le modalità ordinarie, ma sono effettuate anche presso il tutore o il curatore (art. 1 66) . Le notificazioni a soggetti diversi da quelli indicati espressamente negli artt. 148- 1 65 (es. consulenti tecnici) sono eseguite con alcune delle modalità previste per la prima notificazione all'imputato non detenuto (artt. 1 67; 157 commi 1 -4 e 8), salvi i casi di urgenza previsti dall'art. 149. Nullità delle notilìcazioni. Il codice prevede una serie di nullità speciali re lative alle notificazioni (26) . Si tratta in sintesi di tutte quelle ipotesi nelle quali non sono state osservate determinate formalità prescritte dalla legge. Una disci plina così minuziosa è funzionale ad assicurare il rispetto delle norme che tendono a ridurre il più possibile lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza reale. g.
La traduzione degli atti: l'interprete.
In un sistema prevalentemente inquisitorio (es. , il codice italiano del 1 930) l'interprete ha la funzione di tradurre per il giudice gli atti processuali; il suo ruolo è esclusivamente quello di un ausiliario del giudice inquisitore. Viceversa, nel sistema accusatorio il principio della separazione delle funzioni impone una modifica del ruolo dell'interprete; alla funzione tradizionale si aggiunge quella innovativa, consistente nel rendere comprensibili per le parti, e soprattutto per l'imputato, lo svolgersi del procedimento penale. La normativa sovranazionale. La materia è regolamentata dalla Conven zione europea dei diritti dell'uomo, che pone tre garanzie in favore dell'accusato che non comprende la lingua del processo: l ) il diritto, di carattere generale, di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui compren sibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo (26)
Ai sensi dell'art. 1 7 1 , la notificazione è nulla: «a) se l'atto è notificato in modo incompleto, fuori
dei casi nei quali la legge consente la notificazione per estratto; b) se vi è incertezza assoluta sull'autorità o sulla parte privata richiedente ovvero sul destinatario; c) se nella relazione della copia notificata manca la sottoscrizione di chi l'ha eseguita; d) se sono violate le disposizioni circa la persona a cui deve essere consegnata la copia; e) se non è stato dato l'avvertimento nei casi previsti dall'art. 161 commi l, 2 e 3 e la notificazione è stata eseguita mediante consegna di copia al difensore; j) se è stata omessa l'affissione o non
è stata data la comunicazione prescritta dall'art. 157 comma 8; g) se sull'originale dell'atto notificato manca la sottoscrizione della persona indicata nell'art. 157 comma 3 ; h) se non sono state osservate le modalità prescritte dal giudice nel decreto previsto dall'art. 150 e l'atto non è giunto a conoscenza del destinatario>>. Merita ricordare che alcune di queste nullità speciali possono rientrare tra le ipotesi di nullità generali disciplinate dall'art. 178; v. la disciplina nel prossimo paragrafo 2 lett. e.
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carico (art. 6, par. 3, lett. a); 2 ) il diritto sempre di carattere generale e spettante ad ogni persona che non comprenda o non parli la lingua impiegata in udienza, di farsi assistere gratuitamente da un interprete (art. 6, par. 3 , lett. e) ; 3 ) il diritto, spettante specificamente all'arrestato, eli essere informato dei motivi dell'arresto (art. 5 , par. 2). La giurisprudenza della Corte europea ha chiarito che il diritto all'interprete concerne non soltanto l'udienza, bensì anche gli atti scritti compiuti in fasi anteriori al dibattimento. Le clausole della Convenzione sono state recepite nell'art. 1 1 1 , comma 3 Cost., con l'enunciato generale secondo cui l'accusato deve essere assistito « da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo ». L'effetto finale della consacrazione del principio nella Convenzione e nella Costituzione comporta l'obbligo di dare una interpretazione estensiva a quelle disposizioni del codice eli procedura penale che prevedono la funzione difensiva della traduzione degli atti. Le norme del codice. A sua volta, il codice prevede le due funzioni dell'istituto. La funzione tradizionale è accolta dall'art. 143 , comma 2 , che impone la nomina dell'interprete quando occorre tradurre per l'autorità pro cedente un documento scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile o quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. Sotto questo profilo, occorre evidenziare che la persona offesa, la parte civile e le altre parti processuali beneficiano soltanto della funzione tradizionale dell'interprete; non hanno un diritto paragonabile a quello spettante all'imputato. La funzione innovativa. La funzione innovativa dell'istituto è accolta dall'art. 143 , comma l , che riconosce il diritto dell'imputato (e dell'indagato), che non conosce la lingua italiana, di farsi assistere dall'interprete sotto due profili: l ) al fine di comprendere l'accusa contro di lui formulata; 2) al fine di seguire il compimento degli atti ai quali partecipa. Pertanto, sotto il primo profilo gli atti che devono essere tradotti nella lingua conosciuta dall'imputato sono gli atti scritti che costituiscono veicolo dell'addebito; e cioè, tra gli altri, il decreto di citazione a giudizio (27) , l'avviso eli conclusione delle indagini preliminari (28) e l'ordinanza che dispone una misura cautelare personale (29) . (27) Corte cost., 19 gennaio 1993 , n. IO: l'imputato ha diritto a che venga tradotto il decreto di citazione a giudizio davanti al tribunale collegiale e monocratico; la traduzione deve comprendere gli elementi costitutivi della citazione ivi compresa la precisazione del termine entro cui chiedere il rito abbreviato. (28) Sul punto, v. Cass., sez. un., 28 novembre 2006, Cieslinsky, in www.dirittoegiustizia.it, 29 novembre 2006: l'obbligo di traduzione in lingua nota all'imputato straniero dell'avvzso di conclusione delle indagini preliminari e della richiesta di rinvio a giudizio consegue, da un lato, alla precisazione contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. IO del 1993, secondo cui l'art. 143 si riferisce sia agli atti orali che a quelli scritti e, dall'altro, alla circostanza che il termine> , di cui all'art. 143 comma l, va interpretato anche alla luce del disposto dei testi sovranazionali (art. 6 Convenzione Europea) e dell'articolo ll1 Cost.,
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Sotto il secondo profilo, deve essere assicurato l'interprete per quegli atti orali ai quali l'imputato partecipa (ad es. , gli interrogatori e le udienze, in ogni stato e grado del procedimento) . È sufficiente la traduzione in una lingua a maggior diffusione internazionale, come l'inglese, il francese e lo spagnolo, purché l'imputato la conosca (30). Pare utile segnalare che Corte cast. con sentenza n. 254 del 2007 ha dichiarato illegittimo l'art. 102 T.U.S.G. (n. 1 15 del 2002) ed ha creato una nuova figura di interprete. Infatti, la Corte ha riconosciuto all'imputato stra niero, che non conosce la lingua italiana e che è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, il diritto di «nominare un proprio interprete », anche se la Corte medesima ha invitato il legislatore a «compiutamente disciplinare la materia inerente a questa nuova figura ». La necessità dell'interprete. Il codice prevede espressamente un'altra ipo tesi nella quale è necessaria l'opera dell'interprete. L'art. 1 19 si riferisce al sordo, al muto e al sordomuto quando costoro non sappiano leggere o scrivere. In queste ipotesi eccezionalmente la qualità di interprete può essere assunta da un prossimo congiunto della persona interessata (art. 144 comma l lett. d). Ove sia prevista dalla legge, la nomina dell'interprete si impone come obbligatoria (es., T.U. sull'immigrazione, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, modifi cato dalla legge 12 novembre 2004 n. 27 1 ) . Il codice precisa che essa è necessaria anche quando il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria hanno personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare (art. 143 comma 3 ) . Con il provvedimento di nomina è disposta la notificazione all'interprete del relativo decreto di citazione; nei casi urgenti l'interprete può essere citato anche oralmente per mezzo dell'ufficiale giudiziario o della polizia giudiziaria (art. 52 disp. att.). Il conferimento dell'incarico impone all'interprete l'obbligo di verità e quello di conservare il segreto su tutti gli atti che si compiano per suo mezzo o in sua presenza (art. 146 comma 2 ) . Per le scritture che richiedano un lavoro di lunga durata l'autorità procedente fissa all'interprete un termine che può essere prorogato per giusta causa una sola volta (art. 147 comma 1). Le situazioni di incompatibilità. In relazione all'interprete sono previste alcune situazioni di incompatibilità. Anzitutto, non può svolgere il ruolo di come comprensivo di tutti gli atti nei quali l'indicazione di elementi a carico dell'indagato o dell'imputato fa sorgere una necessità di dt/esa. (29) Cass., sez. un. 9 febbraio 2004, Zalagaitis, in Guida Dir., 2004, n. 1 1 , 93 , ha affermato la necessità di tradurre l'ordinanza che dispone una misura cautelare custodia/e. Secondo le sez. un., se dopo l'esecuzione di una misura cautelare risulta che l'imputato ignora la lingua italiana, la relativa ordinanza deve essere tradotta nel corso dell'interrogatorio di garanzia. (30) In assenza di una espressa previsione, l'omessa traduzione di un atto (scritto od orale) determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, per inosservanza delle disposizioni concernenti l'assistenza dell'imputato (ex artt. 178, lett. c, e 180). Così, Cass., sez. un., 24 settembre 2003 - 9 febb. 2004, n. 5052.
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interprete colui che è incompatibile come teste (art. 144 comma l , lett. d). La legge vuole evitare che si cumulino in capo all'interprete distinte funzioni processuali quali quella di imputato, di giudice, di pubblico ministero, di ausiliario del giudice o del pubblico ministero e, infine, di difensore che ha svolto le investigazioni private. La medesima disposizione stabilisce che l'inter prete sia incompatibile anche con il testimone, il perito, il consulente tecnico e, più in generale, con tutte quelle persone che hanno la facoltà di astenersi dal testimoniare, quali sono il prossimo congiunto dell'imputato (art. 1 99) ed il titolare di un segreto professionale (art. 200) . Una volta chiarito che il ruolo dell'interprete è distinto da quello svolto dalle altre funzioni processuali e, semmai, si avvicina a quello del perito, notiamo che l'ordinamento impone all'interprete un obbligo di verità identico a quello attribuito a quest'ultimo soggetto (art. 373 c.p . , falsa perizia o inter pretazione) . La prestazione dell'ufficio è obbligatoria (art. 143 comma 4 ) ; in caso di mancata presentazione può essere disposto l'accompagnamento coattivo dell'interprete (art. 133) (3 1 ) . 2.
Le cause di invalidità degli atti. a.
Considerazioni generali.
n codice prevede dettagliatamente i requisiti formali che devono avere i singoli atti del procedimento penale. Tali requisiti danno luogo al "modello legale" del singolo atto; essi rispondono alla fondamentale esigenza che in concreto l'atto possa svolgere la funzione che è ad esso assegnata all'interno del procedimento. L'atto perfetto è quello che è conforme al modello descritto dalla norma processuale; esso è valido e produce gli effetti giuridici previsti dalla legge, primo fra tutti quello di essere utilizzato dal giudice nella decisione. Ovvia mente, il suo valore probatorio è valutato liberamente dal giudice, che potrà ritenerlo attendibile o meno. L'atto che non è conforme al modello legale può essere invalido o meta mente irregolare (v. tav. 2.2.5 ) . È invalido quando la singola difformità rientra in uno dei quattro casi di invalidità previsti dal codice; e cioè quando la singola inosservanza di legge è prevista come causa di decadenza, di inammissibilità, di nullità o di inutilizzabilità. (3 1 ) Sono anche previste situazioni di incapacità ad assumere la funzione di interprete in relazione a qualsiasi procedimento. Per gli stessi motivi l'interprete può essere ricusato (art. 145 ss.). Così, ai sensi dell'art. 144 comma l non può prestare l'ufficio di interprete a pena di nullità: a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente; b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici owero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte; c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione.
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L'atto irregolare. L'atto è irregolare se la difformità dal modello legale non rientra in una delle cause di invalidità che sono previste dalla legge e che abbiamo appena menzionato. Certamente vi è stata una inosservanza di legge nel compiere l'atto; ma tale inosservanza non è prevista a pena di invalidità. Pertanto l'atto irregolare è valido: il giudice potrà tenerne conto ai fini della decisione, anche se è libero di apprezzarne il valore probatorio (e cioè potrà ritenerne attendibile o meno il contenuto) . Se mai l'inosservanza della legge nel compiere l'atto processuale potrà essere valutata dal punto di vista disciplinare e potrà dar luogo all'applicazione di una sanzione del genere a carico della persona colpevole: ciò è ricavabile dall'art. 124, comma l , secondo cui i soggetti del procedimento « sono tenuti a osservare le norme (del) codice anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale ». L'atto invalido. Come abbiamo appena accennato, le cause di invalidità previste dal codice sono quattro; di esse diamo le nozioni essenziali, prima di passare ad esaminarle singolarmente. L'inammissibilità impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta presentata da una parte (effettiva o potenziale) quando la richiesta stessa non ha i requisiti previsti dalla legge. La decadenza comporta l'invalidità dell'atto che sia stato eventualmente compiuto dopo che è scaduto un termine perentorio (art. 173 ) . L a nullità è un vizio che colpisce l'atto del procedimento che sia stato compiuto senza l'osservanza di determinate disposizioni stabilite espressamente dalla legge appunto a pena di nullità (art. 177) . L'inutilizzabilità è una invalidità che colpisce direttamente il valore pro batorio di un atto: il giudice non può basarsi su di esso per emettere una decisione. b.
n principio di tassatività.
Nella materia in esame vige uno stretto principio di tassatività; ciò significa che l'inosservanza della legge processuale è causa di invalidità soltanto quando una norma espressamente vi ricollega una delle invalidità appena citate. Ad esem pio, l'incompetenza per territorio deve essere eccepita (dalle parti) o rilevata (dal giudice) a pena di " decadenza" prima della conclusione dell'udienza preliminare (art. 2 1 , comma 2 ) . Viceversa, se l'inosservanza non rientra in una previsione generica o specifica di invalidità, l'atto è meramente irregolare. n principio di tassatività è dettato specificamente per la nullità (art. 177) e per la decadenza (art. 173 ) ; tuttavia esso è desumibile dall'intero sistema delle cause di invalidità. Esso è ricavabile, altresì, dalla legge-delega n. 8 1 del 1 987, che ha stabilito la « previsione espressa sia delle cause di invalidità degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali, fino alla nullità insanabile » (criterio direttivo n. 7 ) . Nel far ciò, il legislatore ha tenuto conto della circostanza che gli
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effetti derivanti dalla invalidità sono particolarmente pesanti, perché impedi scono al giudice di ricavare dall'atto risultati utili per la decisione; ciò compro mette l'accertamento del fatto storico, quando l'atto viziato non è rinnovabile. Per tali motivi il legislatore ha fatto prevalere le esigenze di certezza nell'indi viduare le inosservanze che danno luogo alla invalidità, in modo che si sappia con sicurezza se un atto è valido o meno. Semmai, occorre rilevare che l'espressione "sanzione processuale" , conte nuta sia nella legge delega, sia nell'art. 124 del codice di procedura penale, non pare corretta. Infatti, la "sanzione" è una conseguenza che si aggiunge come reazione ad un comportamento valutato sfavorevolmente dall'ordinamento giuridico. Pertanto il termine " sanzione" può essere usato soltanto nel diritto sostanziale. Ad esempio, la commissione di un atto illecito può dar luogo alla applicazione di una "sanzione" penale, civile o disciplinare. Tuttavia, occorre prendere atto che sia la prassi forense, sia lo stesso legislatore usano comune mente l'espressione " sanzione processuale" al posto di "causa di invalidità" . c.
L'inammissibilità.
Questa causa di invalidità impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta avanzata da una parte effettiva o potenziale del procedimento, quando la richiesta non ha i requisiti stabiliti dalla legge a pena di inammissibilità (32 ) . Il requisito può riguardare il tempo entro il quale deve essere compiuto l'atto (ad esempio, art. 5 9 1 , comma l , lett. c, per l'impugnazione); oppure può concernere il contenuto dell'atto (ad esempio, art. 78, comma l , per la dichia razione di costituzione di parte civile) ; o può toccare un aspetto formale (ad esempio, art. 122, comma l , sulla forma della procura speciale) ; o ancora può riguardare la legittimazione al compimento dell'atto (ad esempio, l'art. 4 1 , in base al quale è inammissibile la ricusazione presentata da un soggetto che non ne ha il diritto). fl regime giuridico. L'inammissibilità è rilevata dal giudice su eccezione di parte o anche d'ufficio; quando la rileva, il giudice dichiara l'inammissibilità della domanda (con ordinanza o con sentenza) e non decide sul merito della stessa. Il codice non stabilisce in via generale un termine entro il quale la domanda deve essere dichiarata, se ne è il caso, inammissibile. Perciò di regola il giudice può rilevare anche d'ufficio tale invalidità fino a che la sentenza sia divenuta irrevocabile, salvo che non sia previsto espressamente un termine anteriore (ad esempio, art. 8 1 , comma l, per la dichiarazione di inammissibilità della costi tuzione di parte civile) . (32) La inammissibilità è prevista anche per atti del giudice che si fa parte quando, ad es., solleva un conflitto di competenza (art. 30).
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La decadenza; la restituzione nel termine.
l) La decadenza. La decadenza denota la perdita del potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento dello stesso entro un termine perentorio. L'atto eventualmente compiuto oltre il termine perentorio è giuridicamente invalido. Sono indispensabili alcune premesse di carattere generale. Lo svolgersi del procedimento penale comporta una successione di atti; la successione deve avvenire in un ordine prestabilito. Gli strumenti che impongono una determi nata cadenza al procedimento sono denominati termini; essi indicano il mo mento in cui un atto può o deve essere compiuto (art. 172 ) . Avuto riguardo alle conseguenze che l a legge collega alla loro inosservanza, i termini sono definiti perentori o ordinatori. Sono denominati termini perentori quelli che prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di tempo; se tale periodo è superato, il soggetto decade dal potere di compierlo validamente. Data la gravità delle conseguenze connesse allo scadere di un termine perentorio, il legislatore ha sancito che « i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge » (art. 173 , comma 1 ) . Esempi di termini perentori sono contenuti negli artt. 79, comma 2 ; 1 82 , comma 3 ; 458, comma l ; 585 , comma 5 . n codice prescrive che i termini perentori non possono essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti (art. 173, comma 2). Sono denominati termini ordinatori quelli che fissano il periodo di tempo entro il quale un determinato atto deve essere compiuto; tuttavia, a differenza dei termini perentori, dal superamento della scadenza non deriva alcuna conseguenza di tipo "processuale" : l'atto è validamente compiuto anche se realizzato dopo il decorso del termine. Semmai il soggetto, che lo ha compiuto oltre il termine ordinatorio, può subire conseguenze di tipo disciplinare ove il superamento della scadenza non abbia una valida giustificazione (art. 124). Avuto riguardo all'effetto che imprimono sullo svolgersi del procedimento, i termini processuali sono definiti dilatori o acceleratori. Sono denominati termini dilatori quelli con i quali si prescrive che un atto non può essere compiuto prima del loro decorso; la prassi li definisce "termini liberi" . La finalità è quella di garantire che uno (o più) dei soggetti processuali abbia il tempo necessario per prepararsi al compimento di un determinato atto. Ad esempio, l'art. 429, comma 3 afferma che tra la data del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il giudizio medesimo deve decorrere un termine non inferiore a venti giorni (33 ) . Un altro esempio è dato dall'art. 364, comma 3 : al difensore dell'indagato deve essere dato avviso almeno ventiquattro ore (33) li termine dilatorio può anche essere definito "libero". In base al comma 5 dell'art. 172, >.
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prima del compimento degli atti " garantiti" ai quali il difensore stesso ha diritto di assistere. Attraverso questo tipo di termini l'ordinamento dà alle parti la garanzia di disporre del tempo necessario per organizzare la propria difesa (v. art. 1 1 1 , comma 3 Cost. ) (34). I termini sono definiti acceleratori quando la legge prevede il limite temporale entro il quale un determinato atto deve essere compiuto; la finalità è quella di ottenere che il procedimento si svolga in modo celere al fine di assicurarne la ragionevole durata, come è imposto dall'art. 1 1 1 , comma 2 Cost. (35 ) . Ad esempio, sono acceleratori i termini, entro i quali le parti devono impugnare il provvedimento del giudice (art. 5 85 ) (36) . n regime giuridico della decadenza. Come abbiamo accennato, l'atto eventualmente compiuto oltre il termine perentorio è giuridicamente invalido. Occorre chiedersi quale sia il tipo di invalidità che colpisce tale atto. n codice, di regola, stabilisce che gli atti compiuti da una parte oltre un termine perentorio sono inammissibili. Come esempio, si può ricordare l'impugnazione proposta oltre i termini stabiliti dall'art. 5 85 , comma 5 (art. 5 9 1 , comma l , lett. c). Da ciò si desume che al decorso di un termine perentorio sono ricollegate due sanzioni processuali. Dal punto di vista soggettivo, relativo alla estinzione del potere di compiere l'atto, si fa riferimento al concetto di decadenza. Dal punto di vista oggettivo, relativo al regime dell'atto compiuto oltre il termine, il codice prevede la sanzione della inammissibilità. Merita completare l'esame dell'impostazione recepita dal codice. Si è già precisato che il termine è "perentorio" quando è stabilito a pena di decadenza. L'art. 173 , comma l pone in materia un espresso principio di tassatività: i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge. Ove la legge non preveda la decadenza, né l'inammissibilità, l'atto compiuto oltre il termine è valido. n termine stesso, in tal caso, deve ritenersi di tipo "ordinatorio" . 2) La restituzione nel termine. Natura dell'istituto. La restituzione nel termine è un rimedio di carattere eccezionale, destinato a riassegnare alle parti la possibilità di esercitare un potere che si era estinto per l'inutile decorso di un termine processuale previsto Si ricorda che i termini liberi, a differenza dei termini normali, si computano senza considerare né il dies a quo (giorno iniziale), né il dies ad quem (giorno finale). (34) Si veda Cass., sez. II, 30 aprile 1996, Desimone, in CED 205379, secondo cui la violazione del termine dilatorio>.
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prova; cw costituisce la noVIta della legge n. 60 del 2005 . Una volta che l'imputato ha presentato richiesta di restituzione nel termine, il rimedio deve essergli concesso, salvo che sia accertata una delle seguenti situazioni: l ) che l'imputato abbia avuto conoscenza effettiva del procedimento (38) e, al con tempo, abbia rinunciato a comparire; 2) che l'imputato abbia avuto conoscenza effettiva del provvedimento (es. estratto della sentenza) e, al tempo stesso, abbia rinunciato volontariamente a proporre impugnazione (39) . Se è accertata una delle due situazioni, il giudice respinge la richiesta; contro l'ordinanza, come si è detto trattando delle norme comuni, l'imputato può proporre ricorso per cassazione (art. 175 comma 6 ) . M a s e nessuna delle situazioni di conoscenza effettiva viene accertata ( o rimane il dubbio), il giudice deve accogliere l a richiesta con ordinanza. L a singolarità del rimedio specifico contro l a sentenza contumaciale sta nel dovere dell'autorità giudiziaria di « compiere ogni necessaria verifica » (art. 175 comma 2). Ciò che l'imputato ottiene dalla decisione, che concede la restituzione, è la possibilità di presentare una impugnazione contro la sentenza contumaciale; pertanto, egli ha l'onere di proporre appello e, in tale sede, di esercitare i propri diritti. La sentenza non è annullata, bensì ne viene eliminato il carattere di irrevocabilità. Pertanto, la sentenza è sottoposta all'effetto sospensivo della esecuzione ai sensi dell'art. 588. Occorre precisare che l'imputato ha diritto di ottenere la restituzione nel termine anche qualora l'impugnazione sia stata già presentata dal proprio difensore; infatti, la Corte cast. con la sentenza n. 3 17 del 2009 ha dichiarato la illegittimità dell'art. 175 , comma 2 , nel senso che ha consentito all'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, la (38) App. Venezia, ord. 30 maggio 2005, in Giur. merito, 2005, n. 9, 1879, ha ritenuto che >. In termini analoghi, Cass., sez. un. , 18 dicembre 2006, Clemenzi, in www.dirittoegiustizia.it, 19 dicembre 2006.
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il suo parere quando è necessario (ad esempio, ai fini della sostituzione o della revoca delle misure cautelari, art. 299). Costituiscono nullità intermedie le inosservanze concernenti « l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante ». Nel concetto di "intervento" è ricompresa la difesa personale: pertanto dà luogo a nullità intermedia l'aver omesso la informazione di garanzia (art. 3 69) nei confronti dell'indagato (equiparato all'imputato ai sensi dell'art. 6 1 ) . L'as sistenza e la rappresentanza si riferiscono al potere spettante al difensore delle parti private, ad esempio, di essere preavvisato del compimento di un atto al quale egli ha diritto di assistere. Quindi è affetto da tale vizio il compimento dell'interrogatorio dell'indagato senza previo avviso al difensore del medesimo, ove l'avviso sia imposto dalla legge (art. 364 , comma 3 ). Dà luogo a nullità intermedia la omessa citazione per il dibattimento nei confronti delle parti private diverse dall'imputato (parte civile, responsabile civile, ecc.). La stessa invalidità è prevista espressamente per la mancata citazione a giudizio dell'of feso e del querelante, che in senso tecnico non sono "parti" del procedimento quando non siano costituite come parti civili. La differenza che si verifica rispetto all'imputato, la cui mancata citazione dà luogo a nullità assoluta (art. 179), è stata ritenuta ragionevole a suo tempo dalla Corte cost. (n. 172 del 1 975 ) . Nullità relative. In questa categoria rientrano, ai sensi dell'art. 1 8 1 , le nullità che non sono previste tra quelle assolute ed intermedie. Se vogliamo definire con più precisione la categoria, possiamo dire che sono nullità relative quelle inosservanze della legge che costituiscono nullità speciale e che, al tempo stesso, non rientrano tra le nullità assolute o intermedie. Regime delle nullità relative. li regime delle nullità relative è indicato nell'art. 1 8 1 . Si tratta di nullità che sono dichiarabili dal giudice su eccezione di parte e, più precisamente, soltanto della parte interessata (art. 182 comma 1 ) . Al giudice è precluso il potere di rilevare d'ufficio le nullità relative (46) . Sempre per quanto concerne il regime delle nullità relative, occorre evi denziare che i termini per eccepirle sono più brevi di quelli previsti in relazione alle nullità intermedie; si fa riferimento soltanto alla eccezione di parte, proprio perché il giudice di regola non può dichiarare d'ufficio le nullità relative (47) . (46) Questo come regola; poi singole disposizioni del codice prevedono la rilevabilità d'ufficio di determinate nullità speciali, come quelle attinenti alla esigenza cautelare di evitare l'inquinamento della prova (art. 274, comma l , lett. a) e quelle attinenti l'obbligo di motivare i provvedimenti cautelari personali (art. 292 comma 2). (47) Ai sensi dell'art. 1 8 1 comma 2, le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell'incidente probatorio e le nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare devono essere eccepite prima che sia pronunciato il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare stessa (art. 424). Quando manchi l'udienza preliminare (ad esempio, nel rito direttissimo o davanti al giudice monocratico) le nullità relative devono essere eccepite subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti in giudizio (art. 491 comma l ) ; pertanto, sono oggetto di una questione preliminare.
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Una volta eccepite dalla parte interessata, le nullità relative sono dichiarate dal giudice; ove per qualsiasi motivo il giudice non vi provveda prima del giudizio (art. 181 comma 3 ; ad es. nell'udienza preliminare) , le parti devono riproporre l'eccezione tra le questioni preliminari (art. 491). Se non sono dichiarate dal giudice del giudizio, le nullità relative devono essere eccepite con l'impugnazione della sentenza (arg. ex art. 181 comma 4 ) . Le nullità relative verificatesi nella fase del giudizio e non dichiarate dal giudice devono essere eccepite con l'impugnazione della relativa sentenza (art. 181 comma 4 ) . Qualificazione delle nullità. È questa l'operazione che il giurista è chiamato ad effettuare quando è in presenza di una nullità speciale, quale è, ad esempio, quella prevista dall'art. 4 19 comma 7 . In base a tale disposizione, le norme sulla notificazione dell'avviso della data dell'udienza preliminare sono previste a pena di nullità. In caso di omissione della notifica dell'avviso, occorre procedere con un meccanismo di esclusione progressiva al fine di conoscere quale è il tipo di nullità che viene in rilievo. La omissione della notifica al dz/ensore dell'imputato è ricompresa nella nullità assoluta in quanto determina l'assenza del difensore dell'imputato in uno dei « casi in cui ne è obbligatoria la presenza » (art. 179, comma 1 ) . La omessa notificazione (sempre dell'avviso della data dell'udienza preliminare) all'impu tato integra il concetto di « omessa citazione » di questi e dà luogo ad una nullità assoluta (art. 179, comma l ) (48). La omessa comunicazione al pubblico ministero è ricompresa nel concetto di "partecipazione" di tale soggetto, garantita a pena di nullità intermedia (art. 1 80). La omessa notifica alla persona o/fesa (che non è una parte) non rientra in alcuna nullità assoluta né intermedia; pertanto, poiché è prevista come nullità speciale dall'art. 419, comma 7 , essa dà luogo ad una nullità relativa (art. 1 8 1 ) . I limiti di deducibilità. Il codice pone una distinzione tra « limiti di deducibilità » e « sanatorie generali » (v. tav. 2.2.7). Si tratta di differenti istituti, che hanno il medesimo ambito di applicabilità, e cioè le nullità intermedie e relative. Il limite di deducibilità dà luogo ad un difetto di legittimazione della parte, di modo che quest'ultima trova un ostacolo ad eccepire la nullità; l'effetto pratico è identico a quello della sanatoria. In particolare, le nullità intermedie e quelle relative non possono essere eccepite da colui che « vi ha dato o ha concorso a darvi causa »; né possono (48) Come sarà esposto nella Parte III, cap. 3, § 2, lett. a, dobbiamo dare atto che le Sezioni unite della cassazione hanno affermato che l'omessa notifica all'imputato dell'awiso per l'udienza preliminare comporta una nullità assoluta, rilevabile d'ufficio e deducibile in ogni stato e grado del procedimento (Cass. , sez. un., 9 luglio 2003 , Ferrara, in Cass. pen., 2003 , 3702). Tale pronuncia si fonda sulla considerazione che l'awiso menzionato nell'art. 4 1 9 c.p.p. ha la natura « sostanziale e contenutistica >> di una citazione; pertanto, anche in caso di omesso awiso all'imputato dell'udienza preliminare opera la nullità prevista dall'art. 179 comma l c.p.p.
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essere eccepite da colui che « non ha interesse all'osservanza della disposizione violata » (art. 1 82, comma 1 ) . Ad esempio, nella prima ipotesi, il difensore non può eccepire l'omessa notificazione dell'avviso dell'udienza di riesame quando non ha adempiuto all'obbligo di apprestare nello studio i mezzi idonei a ricevere gli avvisi urgenti; nella seconda ipotesi, l'imputato non ha interesse ad eccepire la nullità del decreto di citazione della persona offesa. Inoltre, quando la parte assiste ad un atto, la nullità dello stesso deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se non è possibile, immediatamente dopo (art. 1 82 , comma 2). Quando la parte non assiste al compimento dell'atto, valgono gli ordinari limiti temporali per eccepire e rilevare le nullità intermedie e relative; detti termini sono stabiliti a pena di decadenza (art. 182 comma 3 ) (49). Le sanatorie. La sanatoria è quel/atto giuridico ulteriore e successivo rispetto all'atto viziato, che affiancato a quest'ultimo lo rende equivalente all'atto valido; a causa della sanatoria l'atto viziato produce gli stessi effetti dell'atto conforme al modello legale. La sanatoria, se si verifica, impedisce a qualsiasi parte di eccepire (ed al giudice di rilevare) la nullità dell'atto. L'istituto è ispirato al principio di conservazione degli atti. Il codice distingue tra sanatorie generali (art. 183 ) e speciali (art. 1 84 ) . Le sanatorie generali s i applicano alle nullità di tipo intermedio o relativo; non si applicano alle nullità assolute per espressa disposizione dell'art. 179 comma l. Ai sensi dell'art. 183 , la nullità è sanata se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirla ovvero ha accettato gli effetti dell'atto anche tacitamente (lett. a). Si tratta di forme di acquiescenza tipizzata, che si possono verificare, ad esempio, quando al difensore dell'imputato non viene dato avviso di un accertamento tecnico non ripetibile (art. 3 60 comma l) ma il difensore stesso utilizza i risultati di tale accertamento per chiedere al giudice un provvedimento. Altra causa di sanatoria generale si ha quando la parte si è avvalsa della facoltà, al cui esercizio l'atto omesso o nullo è preordinato (art. 1 83 lett. b). Nell'esempio appena fatto, il difensore, non avvisato, nomina un consulente di parte, il quale partecipa all'atto. Si tratta di una forma di sanatoria per raggiungimento dello scopo che, però, è limitata ad una ipotesi tipizzata. Resta fuori il caso in cui l'atto abbia comunque raggiunto lo scopo (es., avvisare il difensore dell'imputato) , ma non sia stato seguito dall'effettivo esercizio della facoltà ad esso preordinata. Il sistema dimostra di essere irragionevolmente (49) Viceversa, le nullità assolute non hanno limiti di deducibilità e (come vedremo) non sono sottoposte a sanatorie generali (art. 179); ma non possono essere rilevate dopo che la sentenza è diventata irrevocabile. Ricordiamo ancora che ai sensi dell'art. 627 comma 4 non sono rilevabili nel giudizio di rinvio dopo l'annullamento in cassazione quelle nullità assolute che si sono verificate nei precedenti giudizi o nelle indagini preliminari.
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formalistico e di porsi in contrasto con la ragionevole durata del processo (art. 1 1 1 comma 2 Cast.). La sanatoria speciale delle nullità delle citazioni, avvisi e notificazioni.
L'art. 1 84 prevede una causa speciale di sanatoria che costituisce una ipotesi di raggiungimento dello scopo tipizzata. Ai sensi del primo comma, la nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni o notificazioni è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. La sanatoria è applicabile al pubblico ministero, alle parti private, all'offeso dal reato e ai loro difensori che siano comparsi o abbiano rinunciato a comparire. La comparizione deve essere personale e volontaria, ma non occorre che sia accompagnata dalla consapevolezza del vizio che si è verificato. La parte, la quale dichiari che la comparizione è determinata dal solo intento di far rilevare l'irregolarità, ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a cinque giorni (comma 2). Quando la nullità riguarda la citazione a comparire a dibattimento (comma 3 ) , il termine non può essere inferiore a venti giorni (art. 429). La dichiarazione di nullità. ll giudice dichiara la nullità di un atto quando, nel caso concreto, non vi sono limiti di deducibilità né si sono verificate sanatorie applicabili a quel tipo di nullità. Si pongono a questo punto due problemi: quello attinente all'estensione della nullità e quello attinente alla rinnovazione dell'atto nullo. Estensione della nullità. L'effetto, e cioè la invalidità, colpisce l'atto non conforme al modello legale; ma ai sensi del comma l dell'art. 1 85 « la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo ». L'estensione della nullità tocca soltanto gli atti che, oltre ad essere successivi ( « consecutivi »), siano anche « dipendenti » dall'atto viziato (in senso logico e giuridico) . Occorre che l'atto nullo sia una condizione necessaria del valido compimento dell'atto successivo. Ad esempio, l'omissione dell'infor mazione di garanzia all'indagato causa la nullità del singolo atto garantito per il quale l'informazione doveva essere inviata e non degli atti successivi non garantiti. La nullità della udienza di convalida del fermo o dell'arresto in flagranza non si estende alla misura cautelare che il giudice dispone in tale sede. L'estensione della nullità produce effetti gravi allorché il vizio colpisca un atto propulsivo del procedimento. Per atti propulsivi si intendono quegli atti di impulso che devono necessariamente essere compiuti perché il procedimento possa validamente proseguire. Come esempio, possiamo ricordare il decreto che dispone il giudizio. Ove tale atto sia dichiarato nullo, ne risultano travolti tutti quelli compiuti successivamente. Rinnovazione dell'atto nullo. Ai sensi del comma 2 dell'art. 185 il giudice, che dichiara la nullità di un atto, ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità
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per dolo o colpa grave (v. tav. 2 .2.8). La rinnovazione non è possibile quando l'atto è all'origine non ripetibile o lo è diventato successivamente. n codice pone una distinzione quando la nullità è dichiarata in uno stato (cioè fase) o grado del processo diverso da quello in cui la stessa si è verificata. Se si tratta di una prova, il medesimo giudice provvede alla rinnovazione se necessaria e possibile (art. 185 , comma 4). Se non si tratta di una prova, bensì ad esempio di un atto propulsivo, la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito (art. 1 85 , comma 3 ; es. art. 604). f.
L'inutilizzabilità.
n termine "inutilizzabilità" descrive due aspetti del medesimo fenomeno. Da un lato, esso indica il "vizio" da cui può essere affetto un atto o un documento; da un altro lato, esso illustra il " regime giuridico" al quale l'atto viziato è sottoposto, e cioè il non poter essere messo a fondamento di una decisione del giudice oppure di un atto del pubblico ministero o della polizia giudiziaria (v. tav. 2.2. 10). L'inutilizzabilità è un tipo di invalidità che ha la caratteristica di colpire non l'atto in sé, bensì il suo "valore probatorio" . L'atto, pur valido dal punto di vista formale (ad esempio, non è affetto da nullità) , è colpito nel suo aspetto sostanziale, poiché l'inutilizzabilità impedisce ad esso di produrre il suo effetto principale, che è quello di essere posto a base di una decisione. Inutilizzabilità assoluta e relativa. L'inutilizzabilità dell'atto è assoluta quando il giudice non può basarsi su di esso per emettere un qualsiasi provve dimento; è relativa, quando la legge indica le persone nei confronti delle quali non può essere utilizzato un determinato atto (es., art. 63 , comma l ) o la categoria di provvedimenti che non possono basarsi su tale atto (es., l'art. 360, comma 5 pre vede una inutilizzabilità nel dibattimento, mentre l'atto è utilizzabile nei proce dimenti speciali quali sono il rito abbreviato ed il patteggiamento) (50) . Inutilizzabilità speciale e generale. Si ha inutilizzabilità speciale (discipli nata nella species) ogniqualvolta una norma del codice commini espressamente tale sanzione per il mancato rispetto delle condizioni previste per l'acquisizione di una determinata prova (es., in base all'art. 27 1 sono inutilizzabili le intercet tazioni che siano state « eseguite fuori dei casi consentiti ») . L'inutilizzabilità generale si riferisce a categorie di inosservanze delineate nel genere (art. 1 9 1 , del quale tratteremo in modo approfondito: « le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate » ) . (50) 1992, 170
Per questa distinzione v. N. GALANTINI, L'inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova, e
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Inutilizzabilità patologica e fisiologica. Occorre tracciare una fondamentale
distinzione tra due forme di inutilizzabilità (5 1 ) . La inutilizzabilità patologica consegue ad alcuni tra i vizi più gravi del procedimento probatorio (ammissione, assunzione e valutazione della prova) . La inutilizzabilità fisiologica è una conse guenza del principio della separazione delle fasi del procedimento ed è posta a tutela del principio del contraddittorio: essa tende ad evitare che siano utilizzate per la decisione prove raccolte nel corso delle indagini preliminari. In tale fase, infatti, di regola non viene garantito il principio del contraddittorio nella for mazione della prova, salvo l'ipotesi dell'incidente probatorio (si veda in/ra, Parte III, cap. 5, § 20). I due tipi di inutilizzabilità differiscono nel fondamento nor mativa e nella regolamentazione; pertanto vanno esaminati separatamente. L'inutilizzabilità patologica. L'inutilizzabilità patologica di tipo generale è disciplinata dall'art. 1 9 1 , comma l , in base al quale: « le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate ». La norma, a causa della sua formulazione troppo generica, ha provocato problemi di interpretazione, dei quali è necessario dare conto. n divieto idoneo a provocare l'inutilizzabilità patologica è soltanto quello che è previsto da una norma processuale. Ciò è chiarito dalla rubrica dell'articolo 1 9 1 , che si riferisce alle « prove illegittimamente acquisite »; ed è confermato dalla Relazione al progetto preliminare (p. 6 1 ) , che richiede la violazione di un « divieto probatorio ». Se il divieto avesse avuto ad oggetto la violazione di una legge penale sostanziale, si sarebbe utilizzata l'espressione "prove illecitamente acquisite" . Viceversa, la rubrica dell'art. 191 fa riferimento alle prove « illegit timamente acquisite ». Pertanto le prove raccolte violando una norma della legge penale sostanziale (c.d. prove illecite) sono, di regola, utilizzabili (52); diventano inutilizzabili se è stata violata una specifica norma processuale che (5 1 ) La distinzione è di E. AMomo, Fascicolo processuale e inutilizzabilità degli atti, in AA.Vv., Lezioni sul nuovo processo penale, Milano, 1989, 172.
f: possibile, altresì, distinguere tra inutilizzabilità oggettiva e soggettiva. Da un lato, vi sono limiti probatori dovuti alla inattendibilità dello strumento di conoscenza (es. divieto di deporre sulle voci correnti nel pubblico); da un altro lato, vi sono i limiti dovuti alla necessità di rispettare i diritti dell'individuo (es. divieti probatori in materia di intercettazioni) . l divieti posti a tutela dell'accertamento hanno una natura oggettiva, mentre i divieti a presidio dei diritti fondamentali dell'individuo hanno una natura soggettiva. Questi ultimi, infatti, prescindono dall'attendibilità dell'elemento di prova e costituiscono i limiti "etici" che l'ordinamento pone a se stesso nel perseguire il proprio fine accertativo. Componente oggettiva e soggettiva possono anche concorrere nel de terminare la esclusione di uno strumento di prova. Vi sono infatti divieti probatori di natura "mista", che escludono una prova sia per la sua intrinseca inidoneità euristica, sia per la sua natura lesiva dei diritti individuali (es. divieto di utilizzare la tortura per ottenere dichiarazioni dal teste). Per queste considerazioni, C. CoNTI, voce Inuttlizzabilità (dir. proc. pen.), in Enciclopedia giuridica Treccani, Agg. XIII, 2005, 1 -2. (52) In tal senso, F. CoRDERO, Prove illecite, in In., Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, 63 e 149. Ad avviso dell'Autore, il termine "acquisizione" (che oggi appare nell'art. 1 9 1 , comma l c.p.p. 1988) è impiegato in senso tecnico ed indica il compimento di un atto attraverso il quale è possibile far entrare nel processo un elemento di prova. La « acquisizione >>, pertanto, non è idonea a ricomprendere la mera raccolta (o scoperta) illecita di un elemento al di fuori di un atto del procedimento. Quanto appena esposto trova conferma nel decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, con v. in legge 20 novembre 2006, n. 281 . li legislatore
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disponga in tal senso (es., art. 240, comma 2 , che prevede l'inutilizzabilità di una prova acquisita in modo penalmente illecito). D divieto probatorio. In base all'art. 1 9 1 l'inutilizzabilità è la conseguenza che deriva dall'aver acquisito una prova violando un " divieto" probatorio. n vizio, che viene in considerazione, consiste nel fatto che il giudice ha esercitato nella acquisizione di una prova un "potere" che la legge processuale vietava (divieto relativo all'an). Ad esempio, può accadere che il giudice violi il divieto di acquisire documenti che contengono « informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo » (art. 234, comma 3 ) ; altro esempio è l'art. 220 comma 2 , in base al quale nel processo di cognizione « non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche » (53 ) . Quando è stata violata una semplice "modalità" di assunzione di una prova (divieto relativo al quòmodo), questa di regola è utilizzabile (54) . La prova
ha voluto dettare una disciplina espressa al fine di estromettere radicalmente dal processo le prove acquisite in violazione delle norme penali poste a tutela della sfera più intima ed inviolabile dell'individuo. n nuovo comma 2 dell'art. 240 stabilisce che i documenti, i supporti e gli atti concernenti conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico « illegalmente formati o acquisiti >> sono inutilizzabili e debbono essere distrutti. Tale categoria, che possiamo denominare « spionaggio illegale », ricomprende le interferenze illecite nella vita privata e le intercettazioni abusive, sanzionate dagli artt. 615-bis ss. c.p. La medesima sanzione della inutilizzabilità rafforzata colpisce « i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni ». Si tratta del c.d. « dossieraggio illecito », che comporta il trattamento illecito di dati personali e che è punito dall'art. 167 del codice sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003; la materia sarà oggetto di apposita trattazione in/ra, cap. V, par. 6). In relazione alla prova illecita, si registrano, tuttavia, almeno due sentenze delle Sezioni unite che propendono per la tesi della inutilizzabilità. In verità, una di esse reca soltanto affermazioni incidentali (Cass., sez. un. , 24 settembre 2003 , Torcasio, in Cass. pen., 2004, 30). L'altra, tuttavia, si pronuncia sul tema specifico con rilievi inequivocabili. n caso concerneva un giudice che, chiamato a deporre come testimone in un processo penale, aveva rivelato il segreto della camera di consiglio. L'art. 201 c.p.p. vieta al pubblico ufficiale di rivelare il segreto d'ufficio; la norma, peraltro, non impedisce al giudice o al pubblico ministero di acquisire la dichiarazione, pur penalmente illecita. Eppure, le Sezioni unite hanno affermato che la rivelazione di segreto d'ufficio costituisce illecito penale e, per questo motivo, la prova non è utilizzabile nel processo (Cass., sez. un., 20 ottobre 2002, Carnevale, in CED 224182). (53) Soltanto se dalla norma processuale è ricavabile con certezza un vero e proprio divieto probatorio, è possibile applicare l'art. 191 c.p.p.; ma per poter superare l'ostacolo del principio di tassatività, occorre che in base ad una determinata disposizione sia sottratto in modo assoluto al giudice il potere di ammettere, assumere o valutare quella prova. Quali esempi di "veri e propri" divieti probatori possiamo citare, ancora, la incompatibilità a testimoniare (art. 197) e il divieto di esame sul sentito dire da persona vincolata al segreto professionale (art. 195, comma 6). (54) Un esempio può essere quanto prescritto dall'art. 499, comma 2: >. • • .
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n regime giuridico della inutilizzabilità. Come abbiamo anticipato, l'inu tilizzabilità colpisce non l'atto in se stesso, bensì il suo valore probatorio. Il giudice d'ufficio, o su richiesta di parte, dichiara che l'atto è inutilizzabile. L'art. 1 9 1 , comma 2 , pone la regola secondo cui l'inutilizzabilità deve essere rilevata anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento, e cioè dalle indagini preliminari alle impugnazioni (56) . Sempre in base all'art. 1 9 1 , comma 2 , l'inutilizzabilità non può essere sanata (a differenza della nullità) , e ciò perché l'atto è stato compiuto esercitando un potere vietato dalla legge processuale. Inoltre, per la stessa struttura logica del vizio, che consiste nella violazione di un divieto probatorio, non è possibile procedere alla rinnovazione dell'atto: di regola il divieto impedisce che una determinata prova entri nel processo (57) . L'inutilizzabilità è u n tipo di invalidità che s i traduce direttamente in un limite al libero convincimento del giudice. I divieti probatori, per opera dell'art. 1 9 1 , costituiscono una sorta di "prova legale negativa" nel senso che il legisla tore esclude alcuni elementi di prova dal materiale che è utilizzabile dal giudice per prendere una decisione e motivarla. Principio di tassatività e divieti probatori. Abbiamo già visto come il criterio direttivo n. 7 della legge delega n. 8 1 del 1 987 abbia imposto la « previsione espressa sia delle cause di invalidità degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali ». Il legislatore delegato non ha tradotto in una determinata disposizione tale principio né per l'inammissibilità, né per l'inutilizzabilità. Eppure, per l'inammissibilità si è sempre ritenuto vigente il principio di tassatività come risultato dell'interpretazione delle singole norme che preve dono tale vizio. A conclusioni analoghe dovrebbe pervenirsi per l'altra sanzione processuale che è l'inutilizzabilità. Sul punto, tuttavia, occorre essere cauti. Se è pacifico che le ipotesi di inutilizzabilità speciale debbono ritenersi tassative, maggiori pro blemi crea l'applicazione della clausola generale prevista dall'art. 1 9 1 . Come si è detto, tale norma commina l'inutilizzabilità se è violato un divieto probatorio. La complicazione sta nel fatto che l'individuazione dei divieti probatori è rimessa all'interprete. Anche la Relazione al progetto preliminare (p. 6 1 ) invita alla prudenza; essa precisa che l'inutilizzabilità colpisce le prove acquisite violando « uno specifico divieto » ed aggiunge che deve trattarsi di « veri e propri divieti probatori ». Soltanto se dalla norma processuale è ricavabile con certezza un vero e (56) In giurisprudenza si afferma con frequenza che l'inutilizzabilità riguarda « non soltanto la fase del dibattimento, istituzionalmente destinata alla formazione della prova, ma "qualsiasi stato e grado del procedimento" e dunque anche le fasi ad essa anteriori (o diverse, come nel caso del giudizio abbreviato), senza che per queste la sua operatività sia limitata alle prove acquisite con incidente probatorio >>: così Cass., sez. V, 12 gennaio 1994, Vetrallini, in Cass. pen., 1994, 2757. (57) C. CoNTI, voce Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), in Enciclopedia giurzdica Treccani, Agg. XIII, 2005, 5.
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proprio divieto probatorio, è possibile applicare l'art. 191 c.p.p. ; ma per poter superare l'ostacolo del principio di tassatività, occorre che in base ad una determinata disposizione sia sottratto in modo assoluto al giudice il potere di ammettere, assumere o valutare quella prova. Quali esempi di "veri e propri" divieti probatori possiamo citare la incompatibilità a testimoniare (art. 197 ) e il divieto di esame sul sentito dire da persona vincolata al segreto professionale (art. 1 95 , comma 6). I divieti probatori impliciti. In dottrina ci si è chiesti se siano configurabili divieti probatori impliciti. Si tratta, cioè, di divieti che non sono direttamente ricavabili dalla norma che disciplina una determinata prova, bensì discendono dai princìpi generali del sistema. Alla conclusione positiva si perviene se si tiene presente che, in alcuni casi, la rigida applicazione del principio di tassatività nella individuazione dei divieti potrebbe creare pericolosi vuoti di tutela (58). Ben possono esistere ipotesi nelle quali il legislatore non ha sancito un divieto probatorio espresso o comunque ricavabile dal linguaggio legislativo e tuttavia appare necessario sanzionare con l'inutilizzabilità l'ac quisizione di determinati elementi (59) . In tali casi la individuazione di divieti probatori impliciti potrebbe essere idonea ad assicurare la tutela di un bene giuridico di importanza fondamentale. La prova incostituzionale. Al tema dei divieti probatori impliciti si collega la questione relativa alla configurabilità della c.d. prova incostituzionale. Con tale espres sione dottrina e giurisprudenza sono solite indicare quegli elementi di prova che vengono acquisiti con modalità non disciplinate dal codice di rito e lesive dei diritti fondamentali dell'individuo costituzionalmente tutelati. Tradizionalmente si fa dipen dere la configurabilità di tale categoria dal tipo di interpretazione che si prospetta in relazione all'espressione « divieti stabiliti dalla legge » prevista dall'art. 1 9 1 , comma l . Una parte della dottrina ritiene che l e prove assunte in violazione dei diritti fondamen tali siano inutilizzabili sul rilievo che nel concetto di "legge" , inteso estensivamente, rientra anche la Carta fondamentale. Nel momento in cui riconosce come inviolabili alcuni diritti fondamentali dell'individuo, stabilendo che eventuali limitazioni sono consentite nei soli " casi e modi" stabiliti dal legislatore ordinario, la Costituzione fissa altrettanti divieti probatori. La violazione dei predetti "divieti probatori costituzionali" rinviene la propria sanzione e la propria disciplina nell'art. 1 9 1 . Altri studiosi ritengono, viceversa, che l'inutilizzabilità consegua soltanto alla violazione di divieti probatori (58) In tal senso, N. GALANTINI, voce Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), in Enc. dir. , Agg. I, Milano, 1997, 698. In giurisprudenza, si veda Cass., sez. l, 27 maggio 1994, Mazzuoccolo, in Arch. n. proc. pen., 1994, 504: « l 'inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 1 9 1 , comma l c.p.p., può derivare soltanto dalla violazione di un divieto di acquisizione che, quando non sia esplicito, può riconoscersi come implicito soltanto in relazione alla natura o all'oggetto della prova e non invece in relazione alle modalità della sua assunzione >>. (59) Si veda C. cost., n. 229 del 1998: il sequestro di scritti formati dall'imputato come appunti per facilitare la difesa nell'interrogatorio (si veda per tutti CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1 923 , 809). Noi sosteniamo che le regole di esperienza devono essere espresse in base alla > in quanto l'accusa deve eliminare ogni ragionevole dubbio. Differenti sono le esigenze di individuazione della nozione di colpa penale.
( 14 ) In questa materia l'aspetto problematico sta nel fatto che, al posto di regole di esperienza ricostruite mediante criteri razionali, il giudice (come ogni persona umana) è portato ad utilizzare, a volte
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Princìpi generali sulla prova
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La legge scientifica. In materie che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, il giudice deve affidarsi a persone che hanno conoscenze specialistiche in quella determinata disciplina (art. 220). Costoro potranno valutare quale legge della natura è applicabile ad un determinato fatto, al fine di individuarne le cause. Da un lato, la legge scientifica dà maggiore certezza, poiché è possibile conoscere esattamente in quanti ed in quali casi risulta attendibile. Da un altro lato, restano margini di opinabilità, poiché si tratta di: a) scegliere la legge scientifica che deve essere applicata al caso di specie; b) valutare in quale modo deve essere applicata; c) individuare i fatti ai quali applicarla. Si tratta, cioè, di interpretare correttamente un fenomeno (15) e di considerare quali sono le condizioni simili nelle quali si è verificato, in modo da valutare quale è la probabilità che un determinato fatto lo abbia causato. Caratteristiche delle leggi scientifiche. Premesso che per leggi scientifiche si intendono quelle leggi che esprimono una relazione certa o statisticamente significativa tra due fatti della natura, preme evidenziare che le medesime hanno le caratteristiche della generalità, della sperimentabilità e della controllabilità. Sono sperimentabili perché il fenomeno scientifico deve essere riconducibile ad esperimenti misurabili quantitativamente: gli esperimenti sono ripetibili dagli scienziati mediante procedure che verificano la misura dei fenomeni e la validità della legge. Da ciò deriva che, in linea di tendenza, le leggi scientifiche sono generali in quanto non ammettono eccezioni o, comunque, il margine di errore è esattamente conosciuto (mentre non è possibile sapere con esattezza in quanti casi un marito geloso può giungere ad uccidere la moglie) . Se si verificano eccezioni alla legge scientifica, questa viene modificata o abbandonata. Infine, le leggi scientifiche sono controllabili perché la loro formulazione è sottoposta alla critica della comunità degli esperti. Caratteristiche delle massime di esperienza. Le regole di comune espe rienza sembrano essere carenti dei predetti caratteri. Non sono sperimentabili in quanto il reato è un fatto umano che per sua natura non è ripetibile; né di regola è misurabile quantitativamente. Non sono controllabili perché non ci sono tecnici del diritto in grado di seguire, con procedure comunemente accettate, il nascere di una regola di esperienza ed il suo livello di generalità. Non sono generali perché le regole del comportamento umano ammettono eccezioni; né sono autonome rispetto ai casi dai quali sono tratte perché da questi sono ricavate. Per questi motivi sia nella formulazione di una regola di esperienza, sia nella sua applicazione, il giudice deve essere particolarmente cauto. Inoltre, occorre che la regola di esperienza sia costruita essa stessa con un metodo corretto, che si avvicini il più possibile a quello scientifico: è necessario inconsciamente, pregiudizi e luoghi comuni. La storia è piena di esempi in tal senso, a partire da quei "processi agli umori" che sono stati descritti da Alessandro Manzoni. ( 1 5 ) Inteso nel significato del termine greco: "ciò che appare".
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stare attenti a non scambiare per massima di esperienza quello che a volte non è altro se non un pregiudizio comune. Come abbiamo accennato in precedenza, la prova indiziaria è la combina zione del ragionamento induttivo con quello deduttivo. Tale operazione logica è denominata comunemente con il termine "inferenza". Questa è accettabile con maggiore tranquillità quando la regola da applicare è di tipo scientifico. n risultato probatorio ha un alto grado di probabilità a due condizioni: che la legge scientifica non soffra di eccezioni e che la medesima sia applicata correttamente al caso concreto ( 16). La regola giuridica di valutazione degli indizi. L'indizio non è una prova "minore", bensì una prova che deve essere verificata. Esso è idoneo ad accertare l'esistenza di un fatto storico di reato soltanto quando sono presenti altre prove che escludono una diversa ricostruzione dell'accaduto. Il principio è formulato nell'art. 1 92 , comma 2 : « l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti ». Si tratta di una regola giuridica di valutazione, dalla quale si ricava, in primo luogo, che un solo indizio non è mai sufficiente ( 17 ) . L a gravità degli indizi attiene al grado di convincimento: è "grave" l'indizio che è resistente alle obiezioni e che, pertanto, ha una elevata persuasività. Occorre, cioè, che la massima di esperienza, che è stata formulata, esprima una regola che ha un ampio grado di probabilità ( 18). Gli indizi sono precisi quando non sono suscettibili di altre diverse interpretazioni; ad esempio, è indizio preciso la coincidenza tra profili genetici risultante dall'esame del DNA. Ma soprattutto la "circostanza indiziante" deve ( 16) La conclusione delle precedenti considerazioni non è confortante: il ragionamento inferenziale, che è utilizzato dal giudice, va incontro a limiti sia quando impiega una legge scientifica, sia quando fa uso di una massima di esperienza. Per owiare a ciò, sono stati escogitati alcuni rimedi. Da un lato, si consiglia di ricavare le regole attraverso una più estesa osservazione di fenomeni: più ampio è il numero dei casi simili, maggiore è la probabilità di una regola scientifica o di comune esperienza. Da un altro lato, si ritiene necessario sottoporre l'ipotesi ricostruttiva del fatto ad ulteriori controlli. Uno di questi è il metodo della "falsificazione" . Data una ipotesi, se ne deducono le conseguenze, e cioè gli effetti che devono verificarsi nella realtà, se l'ipotesi medesima fosse vera. Quindi si procede all'osservazione empirica per verificare se, in concreto, questi effetti si sono prodotti. Nel caso positivo, l'ipotesi è confermata; nel caso negativo, essa non è confermata. Ancora un esempio. L'accusa ha formulato l'ipotesi di colpevolezza nei confronti di A, basandosi sulla testimonianza di B, il quale ha affermato di aver chiaramente riconosciuto l'aggressore perché quella notte c'era la luna piena. La difesa riesce a sconfessare l'ipotesi sulla base del lunario, che indica, invece, una notte senza luna. ( 17 ) Per una ipotesi peculiare nella quale un solo indizio è sufficiente a far condannare un imputato si veda Cass., sez. V, 5 febbraio 2004, Ali Rafour, in www.dirittoegiustizia.it, 13 febbraio 2004 in relazione al delitto di false generalità (art. 495 c.p.). Un imputato può essere condannato per tale delitto qualora risulti che in due occasioni ha fornito all'autorità giudiziaria generalità differenti. In tali ipotesi si è certi che almeno in un caso egli ha dichiarato il falso anche se non si conoscono le vere generalità del soggetto. ( 1 8 ) Nell'esempio, che abbiamo prospettato qualche pagina addietro, l'ulteriore "circostanza indi ziante" è fornita da un accertamento tecnico o da una perizia che possa dimostrare che sul coltello, che ha provocato la ferita mortale, è stata trovata un'impronta digitale appartenente a Caio. Tale circostanza, unita alla mancanza di una spiegazione logica da parte dell'interessato, è idonea ad integrare "gravi indizi" .
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Principi generali sulla prova
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essere ampiamente provata; altrimenti si corre il pericolo di costruire un castello di argomentazioni logiche che rischia di franare dalle fondamenta. Infine, gli indizi sono concordanti quando convergono tutti verso la mede sima conclusione. Non debbono esservi elementi contrastanti; se questi resi duano, occorre poter escludere ogni altra ricostruzione prospettabile ( 19). Tale conclusione deve essere sottolineata: il ragionamento indiziario non "rappre senta" direttamente il fatto da provare, ma dimostra come questo probabil mente è avvenuto. Pertanto, si impone la massima cautela: occorre escludere tutte le alternative, spiegando nella motivazione della sentenza perché appaiono improbabili, in modo da ritenere il fatto provato " oltre ogni ragionevole dubbio" (art. 533 ; si veda in/ra) . Se viene accertato il probabile movente della condotta, questo costituisce il " cemento" che consolida gli altri indizi convergenti È necessario un ulteriore approfondimento. Gli indizi devono essere gravi, precisi e concordanti soltanto quando tendono a dimostrare l'esistenza di un fatto. L'alibi. Viceversa, se l'oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico, operata nell'imputazione, allora è sufficiente anche un solo indizio. Intendiamo riferirei all'alibi, e cioè a quella prova logica che dimostra che l'imputato non poteva essere a quell'ora sul luogo del delitto perché nel medesimo momento era in altro luogo ben distante. In tal caso può avvenire che un solo indizio sia idoneo a dimostrare con certezza che il fatto non si è verificato così come lo ha ricostruito l'accusa. Naturalmente la circostanza indiziante sulla quale si basa l'alibi (un teste afferma che l'imputato era in un determinato luogo) come ogni altro elemento di prova deve essere sottoposto al vaglio di attendibilità da parte del giudice (20). Le leggi scientifiche probabilistiche. Fino a questo momento abbiamo accennato alle leggi scientifiche cd. universali, e cioè a quelle leggi che hanno un elevato grado di predizione; si tratta, ad esempio, delle leggi della fisica o della chimica. Dobbiamo dare atto che sono utilizzate nel processo penale anche le leggi probabilistiche, che cioè hanno un grado di predizione non elevato. D'altra ( 19) La concordanza degli indizi (art. 606, comma l , lett. e; si veda Parte V, capp. 2 e 3). (34) In tal senso, Cass., sez. I, 2 1 ottobre 1996, Riola, in Cass. pen., 1996, 1564. (35) Sul punto, v. A. MALINVERNI, Prindpi, cit., 474; G. ILLVM1NATI, La presunzione d'innocenza dell'imputato, Bologna, 1979, 28; V. GAROFOLI, Presunzione di innocenza e considerazione di non colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 1 1 95. L'ambiguità del testo dell'art. 27, comma 2, ha fatto dire ad altri studiosi
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L'ambiguità deriva dal fatto che in un'unica formula si sono volute com binare una regola di trattamento ed una regola probatoria. La regola di trattamento vuole che l'imputato non sia assimilato al colpevole sino al mo mento della condanna definitiva; e cioè impone il divieto di anticipare la pena, mentre consente l'applicazione di misure cautelari nei suoi confronti. La regola probatoria vuole che l'imputato sia presunto innocente; e cioè vuole ottenere l'effetto che è enunciato dall'art. 2728, comma l c.c., secondo cui « le presun zioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite ». Pertanto l'onere della prova ricade sulla parte che sostiene la reità dell'imputato. La regola probatoria è meglio precisata nell'art. 6, comma 2 della Conven zione europea dei diritti dell'uomo, secondo cui « ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata ». La Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007 (v. supra, Parte I, cap. 2 , § 9) ha sancito che il giudice italiano deve interpretare la norma nazionale in aderenza al dettato della Convenzione europea citata. Da ciò deriva che la stessa norma costituzionale di cui all'art. 27 , comma 2 , cessa di essere ambigua alla luce del principio della presunzione di innocenza dell'imputato, affermato dalla Convenzione. Come si ricava direttamente dal testo dell'enunciato costituzionale, la presunzione d'innocenza è una presunzione legale relativa, e cioè valida finché non sia stato dimostrato il contrario. Pertanto l'onere della prova ricade su quella parte che sostiene la reità dell'imputato. Nel procedimento penale spetta al pubblico ministero formulare un addebito prima prowisorio (art. 65 , comma l c.p.p.) e poi definitivo (art. 405 c.p.p.); pertanto su di lui ricade in prima battuta l'onere della prova. Anticipiamo che l'espressione può essere intesa in due significati distinti, come onere sostanziale e onere formale. L'onere della prova in senso sostanziale impone alla parte di convincere il giudice dell'esistenza del fatto affermato; l'onere in senso formale impone alla parte di chiedere al giudice l'ammissione della prova che reputa utile per adempiere all'onere sostanziale. L'onere sostanziale della prova. L'art. 2697 , comma l c.c. afferma: « chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento ». "Provare" significa convincere il giudice della esistenza di un fatto storico affermato da una parte. Ciò costituisce un "onere" m senso
ed alla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 124 del 1972) che l'imputato non deve essere considerato né colpevole, né innocente, bensì soltanto "imputato " ; di modo che nessun effetto potrebbe dedursi dalla norma costituzionale in materia di regole di giudizio.
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sostanziale per la parte, perché l'inosservanza dello stesso comporta la situa zione svantaggiosa del rigetto della domanda da parte del giudice (36). L'aver soddisfatto l'onere comporta l'accoglimento della domanda. L'onere della prova costituisce una regola probatoria, nel senso che individua la parte sulla quale ricadono le conseguenze del non aver convinto il giudice dell'esi stenza del fatto affermato. Se colui che accusa (e cioè il pubblico ministero quando chiede la con danna) ha provato la reità dell'imputato (ossia gli elementi costitutivi del reato), l'onere della prova può considerarsi soddisfatto; a questo punto incombe sull'imputato l'onere della prova contraria. Alla difesa spetta di provare la mancanza di credibilità delle fonti o l'inattendibilità delle prove d'accusa; ovvero spetta di dare la prova dell'esistenza di fatti favorevoli alla difesa (ad esempio, di una causa di giustificazione o di non punibilità) . L'imputato può anche provare direttamente che egli non ha tenuto la condotta asserita dall'accusa o che un evento non è avvenuto. Si tratta della c.d. prova negativa, che cioè tende a dimostrare la fondatezza dell'affermazione che nega l'esistenza di un fatto. In sostanza, l'imputato (ma lo stesso può accadere per un'altra parte) può proporsi di provare che un accadimento non si è verificato. La prova negativa è la più difficile da fornire: è più semplice dimostrare l'esistenza di un fatto, verifìcatosi nel mondo delle cose, che non l'inesistenza di un fatto. L'unica soluzione è che una parte riesca ad acquisire la prova dell'esistenza di un fatto diverso, che sia logicamente incompatibile con l'esi stenza di quello affermato dalla controparte (37 ) . Un esempio può essere l'alibi, del quale si è trattato in precedenza. L'onere formale della prova. Se "provare" significa convincere il giudice della esistenza del fatto affermato, ne consegue che l'elemento di prova deve essere introdotto nel processo; e ciò si fa attraverso un mezzo di prova. Le parti hanno l'onere di ricercare le fonti e di introdurre nel processo i mezzi di prova. Si tratta di un onere c.d. "formale" , che appare distinto dall'onere " sostanziale" della prova (v. tav. 2 .3 .5 ) . L'onere formale di introdurre l a prova è previsto nell'art. 190, comma l c.p.p., secondo cui « le prove sono ammesse a richiesta di parte ». L'onere di introdurre la prova attribuisce alle parti il compito: a) di ricercare le fonti di prova; b) di valutare la necessità del mezzo di prova al fine di ottenere il risultato vantaggioso, e cioè dimostrare l'esistenza del fatto affermato; c) di chiedere al giudice l'ammissione del mezzo di prova. Il giudice decide se (36) L'onere è definibile come la situazione giuridica attraverso la quale l'ordinamento impone ad un soggetto di comportarsi in un determinato modo, se questi vuole ottenere un qualche vantaggio. (37) Il tema è sviluppato da A. TRAVERSI, La difesa penale. Tecniche argomentative e oratorie, 3• ed., Milano, 2002, 39.
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ammetterlo sulla base dei criteri sopra illustrati, e cioè, che la prova sia "pertinente " rispetto all'oggetto del processo (art. 187 ) , che sia " rilevante" , che non sia "vietata dalla legge" e che non sia "superflua" (e cioè che non vi sia sovrabbondanza di mezzi di prova sullo stesso punto; art. 1 90, comma 1 ) . Non occorre che la "rilevanza" o la "non superfluità" siano certe; è sufficiente il dubbio, e cioè la non manz/esta irrilevanza o superfluità (art. 1 90, comma l c.p.p.). In definitiva, il riconoscimento del diritto alla prova implica un limite al potere discrezionale esercitabile dal giudice nel respingere la richiesta di ammissione di un mezzo di prova. La necessità che la prova sia introdotta a richiesta di parte è espressa con la locuzione "principio dispositivo in materia probatoria" , secondo cui la parte dispone della iniziativa volta alla ammissione del mezzo di prova. Si tratta di una regola che nel processo penale è sottoposta a varie eccezioni. In base all'art 190, comma 2 c.p.p. « la legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio ». Pertanto, le ipotesi nelle quali il giudice introduce il mezzo di prova senza richiesta di parte costituiscono una deroga al principio dispositivo e devono essere previste espressamente dalla legge. Ciò avviene nei seguenti articoli: 70, comma l ; 195 , comma 2 ; 196, comma 2 ; 224, comma l ; 237; 422, comma l ; 44 1 , comma 5 ; 468, comma 5; 501, comma 2 ; 507 ; 508, comma l; 5 1 1 , commi l e 5; 5 1 1 bis; 603 , comma 3 . L'onere di convincere il giudice. L'aver soddisfatto l'onere di introdurre la prova (in senso formale) non comporta automaticamente l'aver soddisfatto l'onere della prova in senso sostanziale. n giudice può ammettere la testimo nianza di Caio, ma se questi appare non attendibile o non credibile, il giudice non sarà convinto dell'esistenza del fatto narrato. Può anche accadere che Caio affermi che il fatto si è svolto con modalità diverse da quelle asserite dalla parte che ha chiesto l'ammissione della testimonianza. Una parte soddisfa l'onere sostanziale della prova soltanto dopo che ha convinto il giudice della esistenza del fatto storico da essa affermato. Un fatto non provato equivale giuridica mente ad un fatto inesistente. A sua volta, la mancata osservanza dell'onere di introdurre un determinato mezzo di prova (onere formale) non comporta inevitabilmente il rigetto della domanda, anche se tale effetto può essere molto probabile. Infatti un'altra parte del processo potrebbe chiedere l'ammissione di quel determinato mezzo di prova. Una volta acquisito l'elemento di prova, il giudice deve valutare se esso è idoneo a dimostrare l'esistenza di un fatto oggetto di prova; e ciò a prescindere dalla circostanza che sia stato introdotto o meno dalla parte che aveva l'onere sostanziale della prova di quel determinato fatto. Si tratta del c.d. principio di acquisizione della prova. Come si è accennato, al giudice spetta il potere residuale di sollecitare le parti o, anche, di introdurre d'ufficio mezzi di prova in determinate ipotesi -
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previste dalla legge. In particolare, nel corso del dibattimento, terminata l'acquisizione delle prove, il giudice « se risulta assolutamente necessario » può disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova (art. 507) (38). I poteri esercitabili dal giudice d'ufficio costituiscono un'eccezione al potere dispositivo delle parti sulla prova (v. infra, parte III, cap. 5 , § 22); in altri termini, toccano l'onere della prova in senso formale, inteso come onere di introdurre il mezzo di prova nel processo (art. 190, comma 1 ) . Non incidono sull'onere sostanziale di convincere il giudice della esistenza del fatto affermato da una parte (39). Attengono al tema dell'onere della prova i concetti di fatto notorio e di fatto pacifico. Il fatto notorio è un fatto di pubblica conoscenza in un determinato ambito territoriale. Si tratta, ad esempio, di un terremoto, della svalutazione della moneta, di uno sciopero generale. L'esistenza di un simile fatto è conosciuta dal giudice senza la necessità che le parti chiedano l'ammissione di un determinato mezzo di prova: notoria non egent probatione. Occorre naturalmente che il fatto sia indubitabile ed incontestabile. n fatto pacifico è un fatto di conoscenza non pubblica; esso è affermato da una parte ed è ammesso esplicitamente o implicitamente dalla controparte. Ad esempio, la difesa non contesta che un testimone abbia detto una determinata frase. n fatto pacifico non ha bisogno di essere provato: il giudice può direttamente utilizzarlo come " elemento di prova" per la sua decisione. Tuttavia il giudice può valutare se il testimone è credibile e se quanto ha affermato è attendibile. Riepilogando. L'onere della prova in senso sostanziale è il dovere di convincere il giudice della esistenza del fatto affermato dalla parte. L'onere è adempiuto quando il giudice ritiene esistente il fatto medesimo. Pertanto, l'onere sostanziale individua la parte sulla quale ricade lo svantaggio di non aver convinto il giudice dell'esistenza del fatto affermato. L'onere della prova in senso formale impone alle parti il dovere di chiedere al giudice l'ammissione del mezzo di prova (art. 1 90 c.p.p.). L'onere è soddi sfatto quando il giudice ha ammesso il mezzo di prova. Pertanto, l'onere formale individua la parte sulla quale ricade lo svantaggio della mancata ammissione del mezzo di prova.
(38) n tema è sviluppato infra nel capitolo sul dibattimento. (39) Questa conclusione, da noi sostenuta in passato, oggi trova un autorevole avallo nella sentenza delle sez. un., 18 dicembre 2006, Greco, in Guida Dir., 2007, n. 2, p. 86, secondo la quale è « superfluo sottolineare che ( . . . ) l'esercizio dei poteri in deroga al principio dispositivo non fa venir meno l'onere del pubblico ministero di provare il fondamento dell'accusa e, tanto meno, l'obbligo per il giudice di rispettare i divieti probatori esistenti >>.
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n quantum della prova (c.d. standard probatorio) .
La quantità di prova, che è necessaria a convincere il giudice, è diversa nel processo civile ed in quello penale. Nel primo il quantum di prova è identico per l'attore e per il convenuto. Processo civile. Nel processo civile lo standard probatorio viene di solito indicato con la regola del "più probabile che no" (40). L'attore deve provare i fatti costitutivi del diritto in modo tale da convincere il giudice che la propria ricostruzione appare più probabile di ogni ipotesi contraria (art. 2697, comma l c.c.). Se la prova da lui fornita (ad esempio, sull'esistenza di un credito) appare insufficiente (e cioè inidonea a far ritenere la tesi dell'attore più probabile rispetto alle ipotesi contrarie) o contraddittoria (nel senso che esistono anche elementi idonei a far ritenere ugualmente probabili altre ricostruzioni contrarie) il giudice rigetta la domanda. Parimenti avviene quando l'onere della prova spetta al convenuto. In base all'art. 2697, comma 2 c.c., « chi eccepisce l'inefficacia (dei fatti costitutivi del diritto) ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda ». Ciò significa che in capo al convenuto esiste il medesimo standard probatorio previsto per l'attore. Occorre che il convenuto porti prove tali da far ritenere l'esistenza dei fatti impeditivi o estintivi più probabile che l'inesistenza degli stessi. In caso contrario, il giudice civile respinge l'eccezione. La norma trova la sua giustificazione nella sostanziale equivalenza dei diritti sui quali si controverte nel processo civile. Processo penale. Viceversa, nel processo penale colui che accusa ha l'onere di provare la reità dell'imputato in modo da eliminare ogni ragionevole dubbio. Tale standard probatorio è rimasto a lungo privo di espressa previsione entro il codice di procedura penale. Fino al 2006 l'art. 530 comma 2 si limitava a stabilire che il giudice doveva pronunciare sentenza di assoluzione quando era « insufficiente » o « contraddittoria » la prova che il fatto sussiste, che l'impu tato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da· persona imputabile. Tuttavia, nessuna norma espressa prevedeva il parametro in base al quale valutare l'insufficienza o la contraddittorietà della prova d'accusa. La giurisprudenza, dal canto suo, aveva accolto il canone in base al quale nel processo penale la reità doveva essere provata oltre ogni ragionevole dubbio (4 1 ) . Pertanto, si era affermato che le prove d'accusa erano insufficienti (40) Cass. civile, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 2 1619, in Resp. civile e prev. , 2008, 2, 323 (41) Cass., sez. un., 1 1 settembre 2002, ric. Franzese, in Guida dir. , 2002, 38, 62: >. Nella sentenza si afferma che, per condannare, occorre « una conclusione caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale >>. La definizione di "ragionevole dubbio" , che sintetizza efficacemente l'orientamento prevalente nei
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quando il pubblico ministero non aveva dimostrato la re1ta eliminando nel giudice ogni ragionevole dubbio; mentre esse dovevano ritenersi contraddittorie quando, pur essendo prevalenti rispetto alle prove d'innocenza, si inserivano in un quadro probatorio che nel suo complesso non appariva concordante e univoco (42 ) . Al di là di ogni ragionevole dubbio. Con l a legge n . 4 6 del 2006 il Parlamento ha modificato l'art. 533 comma l relativo alla sentenza di condanna e ha stabilito che il giudice pronuncia tale sentenza quando l'imputato « risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio ». Tale modifica si ripercuote, ovviamente, sulla interpretazione della norma relativa alla sentenza di assoluzione confermando l'interpretazione giurisprudenziale sopra ricordata. La prova d'accusa, che lascia residuare un ragionevole dubbio, è equiparata alla mancata prova. È stato affermato che l'aggettivo " ragionevole" significa "comprensibile da una persona razionale" e dunque oggettivabile attraverso una motivazione che faccia riferimento ad argomentazioni logiche nel rispetto del principio di non contraddizione (43 ) . Non potrà trattarsi, pertanto, di un dubbio meramente psicologico, possibile o congetturale, percepito soggettivamente dal giudice. Pertanto, può ritenersi che l'accusa abbia adempiuto all'onere quando ogni differente spiegazione del fatto addebitato, basata sulle prove, appare non ragionevole; viceversa, l'accusa non ha adempiuto all'onere quando le risultanze processuali non sono idonee ad escludere una ragionevole ricostruzione alter nativa prospettata dalla difesa sulla base delle prove acquisite. Si è soliti affermare che nel processo penale il criterio del ragionevole dubbio costituisce sia una regola probatoria, sia una regola di giudizio. Sotto il primo profilo, il ragionevole dubbio nella sua veste di regola probatoria disci plina nel quantum l'onere della prova che è a carico del pubblico ministero (art. 533 , comma l) (44). Sotto il secondo profilo, il ragionevole dubbio prescrive la regola di giudizio che il giudice deve applicare: egli deve ritenere come non provata la reità e, conseguentemente, assolvere l'imputato (art. 530 comma 2 ) . sistemi processuali di common law, è quella contenuta nel paragrafo 1096 del codice penale della California: il ragionevole dubbio non è un mero dubbio possibile, perché qualsiasi cosa si riferisca agli affari umani e sia collegata a giudizi morali è aperta a qualche dubbio possibile o immaginario. È quella situazione che, dopo tutte le valutazioni e le considerazioni sulle prove, lascia la mente dei giurati in una condizione tale per cui essi non possono dire di provare una convinzione incrollabile, prossima alla certezza morale, sulla verità dell'accusa >>. (42) Assise Milano, 1 1 luglio-7 ottobre 2002, Cammarata, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003 , 654. (43 ) C. CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, in AA.Vv., Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio. Legge 20 febbraio 2006 n. 46, coordinato da A. ScALFATI, Milano, 2006, 102 ss. (44) Infatti, dal momento che oggetto del processo non è l'accertamento dell'innocenza dell'imputato (perché questa è presupposta come afferma l'art. 27, comma 2, Cost.), ma è l'accertamento della sua colpevolezza, spetta all'accusa convincere il giudice che tale soggetto è colpevole, fornendogli tutte le prove che confermano la sua ricostruzione dei fatti e che sono in grado di vincere la presunzione di innocenza.
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II.III . l O
( o indiziaria) : a d un fatto provato viene applicata una regola di esperienza che permette di accertare ciò che è probabile sia awenuto in passato. Lo scienziato. Il compito dello scienziato è quello di esaminare un fatto che è ripetibile nel senso che è riproducibile o, comunque, si è riprodotto in modo da poter essere osservato. La finalità è quella di ricavare le leggi della natura che ne regolano lo svolgimento (53 ) . Lo scienziato utilizza una conoscenza empirica: individua determinate categorie di fatti, studia i rapporti che intercorrono tra di essi e ricava leggi che sono valide fino a quando non si dimostrano errate. La legge scientifica esprime una relazione statisticamente significativa tra fatti della natura. Si ritiene che, poste le stesse condizioni, il fenomeno nel ripetersi segua la medesima legge. Questo è un primo livello di conoscenza, di tipo empirico. Successivamente, lo scienziato formula una ipotesi in base alla quale individua una causa ed un effetto ed i rapporti che devono intercorrere tra i due. Ripetendo l'esperimento, lo scienziato controlla se le misurazioni quantitative del fenomeno corrispon dono alla ipotesi formulata (54 ) . b . fl giudice e lo storico. L'attività del giudice utilizza di volta in volta i metodi dello storico e quelli dello scienziato. Essa è molto vicina a quella dello storico perché il fatto di reato è non ripetibile ed appartiene al passato; il giudice lo conosce mediante prove sottoposte ad un controllo di razionalità. Ma le differenze sono molteplici. In estrema sintesi, l'attività dello storico è libera, mentre quella del giudice è vincolata da regole legali (55) . Si vuole che la ricostruzione del fatto storico, operata dal giudice, sia certa o, almeno, alta mente probabile, perché all'accertamento del reato sono collegate conseguenze penalistiche che incidono in modo praticamente non rimediabile sulla libertà e sull'onore della persona condannata. Inoltre, lo storico accerta quei fatti (singoli o collettivi) che a lui sembrano utili per ricostruire un macroevento; nel fare ciò, utilizza i criteri più vari (56): rilevanza culturale, sociale, economica, politica, religiosa ecc.; le respon(53 ) La prima formulazione della differenza tra i metodi del giudice-storico e quello dello scienziato si trova in GALILEO GALILEI, Il Saggiatore, 1623, in Opere, a cura di F. FLORA, 300: . (70) n pensiero falsificazionista di PoPPER è riconosciuto come uno dei cardini della moderna epistemologia. Lo studioso ha determinato l'abbandono definitivo della cd. induzione per enumerazione. Tale metodo, che fino ad allora aveva costituito il principale criterio di costruzione delle leggi scientifiche, consisteva nell'analisi di un numero finito di casi particolari identici, dalla cui generalizzazione sarebbe nata una teoria scientifica. Secondo il filosofo, non è logico trarre una regola generale da casi particolari. Sarà sempre possibile essere indotti in errore. >. (80) Sul punto, C. CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, in AA.Vv., Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio. Legge 20 febbraio 2006 n. 46, coordinato da A. ScALFATI, Milano, 2006, 92 ss.
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Profili generali del procedimento penale
II.III.13
luogo del contraddittorio e della dialettica anche sulla scienza da applicare nell'accertamento del nesso di causalità. In relazione al rapporto tra legge scientifica e accertamento del nesso causale si è registrato il formarsi di due orientamenti contrapposti. n contrasto concerneva quella percentuale di validità statistica della legge che è necessaria e sufficiente per affermare l'esistenza del nesso causale. n problema non si poneva in relazione alle leggi c.d. universali (rectius, con elevato grado di predittività), che funzionano in tutte le ipotesi, che ricadono nell'ambito applicativo delle leggi (es. legge di gravità) , e che sono in grado di ricollegare un certo evento ad un determinato antecedente in termini di certezza, non essendo mai state smentite. Il problema si poneva, viceversa, per tutte quelle leggi scientifiche probabilistiche (rectius, con basso grado di predittività) che funzio nano soltanto in un dato numero di ipotesi (ad esempio nel 30% dei casi), e cioè si limitano ad affermare che il prodursi di un evento è dovuto al verificarsi di un altro evento solo in una determinata percentuale di casi (81 ) . Ebbene, con una qualche semplificazione dovuta a esigenze di sintesi, possiamo affermare che la giurisprudenza si era divisa proprio su questa percentuale di validità statistica. Un primo orientamento aveva affermato che il rapporto di causalità doveva essere ritenuto esistente se vi erano serie ed apprezzabili probabilità che l'evento fosse conseguenza dell'azione. Un secondo orientamento aveva affermato che il nesso causale esisteva soltanto se la legge scientifica, che esprimeva il rapporto tra condotta ed evento, aveva un coeffi ciente percentuale vicino al 1 00 % , e cioè pari alla certezza. Su questa spaccatura sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni unite della Cassazione. n supremo collegio con la sentenza Franzese del 2002 (sopra citata) ha operato una sorta di rivoluzione copernicana. Le Sezioni unite sono partite dal rilievo che nel processo penale è possibile condannare soltanto se l'esistenza del fatto e la responsabilità dell'autore risultano provate oltre ogni ragionevole dubbio. Poiché il rapporto di causalità è un elemento oggettivo del reato, occorre che anche in relazione alla sussistenza di tale nesso sia eliminato ogni dubbio ragionevole. Ciò significa che in merito all'esistenza del rapporto di causalità nel processo penale è sempre necessario un giudizio di certezza. Tale giudizio, tuttavia, non va confuso con la percentuale di validità statistica della legge, considerata in astratto. Il giudice deve ritenere provato oltre ogni ragionevole dubbio che nel singolo caso concreto sottoposto alla sua attenzione esiste un (8 1 ) Le leggi statistiche o di probabilità esprimono successioni di fenomeni soltanto in una certa percentuale (es. tra esposizione a morbillo e contagio, tra fumo e tumore polmonare) a causa del subentrare di fattori ignoti, che pur sempre consentono di sussumere un evento sotto la causalità, se esso risulta percentualizzato in un rilevante grado di possibilità. Si veda F. MANrovANJ, Diritto penale. Parte generale, 5" ed., Padova, 2007, 14 1 .
II.III.l3
Principi generali sulla prova
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rapporto di causalità tra condotta ed evento. Tale giudizio - lo si ripete - non ha nulla a che vedere con la astratta percentuale di validità statistica della legge scientifica. Occorre, invece, un giudizio che venga effettuato in concreto, alla luce di tutte le risultanze processuali e delle peculiarità del caso singolo. Una simile soluzione postula l'applicazione della legge scientifica tenuto conto di tutte le prove relative alle caratteristiche del caso in esame. Del resto, come si è accennato, la scienza stabilisce una relazione causale tra classi di cause e classi di eventi. Viceversa, il processo penale, per definizione, serve ad accertare la causa di un evento unico ed irripetibile. Le Sezioni Unite hanno prospettato un modello bifasico di accertamento della causalità. Una prima fase ex ante nella quale si ricerca in astratto la legge scientifica applicabile al caso. Una seconda fase ex post nella quale si controlla se il fenomeno verificatosi in concreto può essere spiegato alla luce di quella legge. Ciò comporta che il giudice utilizzi un concetto di probabilità che non è più quella statistica (dipendente quindi dalla percentuale della legge) bensì logica, formulata in relazione alle caratteristiche del caso concreto. Data la limitatezza della conoscenza umana, nel misurare la validità astratta di una legge gli scienziati devono dare per esistenti alcune leggi ignorate o meramente supposte (cosiddette assunzioni tacite, indicate con la clausola coeteris paribus) (82) . Si può affermare che una legge funziona in una data percentuale di casi, ipotizzando che in quei casi non vi siano altri fattori condizionanti o non vi siano altre leggi sconosciute. Ebbene, nella valutazione della probabilità logica la clausola coeteris paribus deve essere riempita dai contenuti delle risultanze processuali e impone di tenere conto di tutte le peculiarità del caso concreto, la cui esistenza risulta provata nel processo penale, ivi compresi gli altri fattori condizionanti. È attraverso il processo che deve essere ricostruita la situazione fattuale, sulla quale occorre vagliare il funzionamento della legge scientifica (83 ). Inoltre, nel processo penale, occorre escludere l'esistenza di fattori causali alternativi (cosiddetta "prova per esclusione" ) . Anche se - è appena il caso di sottoline arlo - gli studi successivi hanno messo in rilievo la debolezza di tale aspetto, giacché le cause alternative possono essere potenzialmente infinite e non è mai possibile acquisire la certezza assoluta che siano escluse tutte (84). Si pensi che, (82) F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 142; G. FIANDACA e E. Museo, Diritto penale, cit., 204. (83) C. CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, loc. ult. cit. (84) C. PIERGALLINI, La regola dell'"oltre ragionevole dubbio" al banco di prova di un ordinamento di civil law, in AA.Vv., Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, a cura di M. BARGIS e F. CAPruou, Torino, 2006, 391. Indicativo è il controverso accertamento delle malattie professionali in relazione alle quali è spesso ignota l'incidenza della esposizione a fattori patogeni rispetto al manifestarsi della malattia, quasi sempre in tempi successivi rispetto al periodo in cui l'esposizione si è protratta (cd. finestra).
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II.III. 13
normalmente, nell'era della modernità è raro che ci si trovi ad accertare eventi dovuti ad un'unica causa. Si parla di causalità multifattoriale (web causation), come ad esempio nel caso di decessi di persone affette da patologie plu rime (85 ) . Problema ulteriormente complicato nell'accertamento della causalità omissiva, nella quale comunque la fase ex post si confronta con una causa ipotetica e non con una causa reale (86). Nonostante i punti di criticità appena evidenziati, la rivoluzione coperni cana, operata dalla sentenza Franzese, è data dal fatto che il giudice può ritenere inesistente il nesso causale nonostante che la legge scientifica applicabile esprima un probabilità vicina alla certezza. Anche di fronte a leggi del genere la probabilità logica non è integrata qualora vi sia un ragionevole dubbio che nel caso concreto, date tutte le sue peculiarità, la legge non abbia operato e, viceversa, siano intervenuti fattori causali alternativi che hanno cagionato l'evento. Per contro, ma corrispondentemente, il giudice può ritenere che esista il rapporto di causalità fondato sulla probabilità logica anche qualora venga in gioco una legge scientifica a bassa predittività, purché in tali casi, sempre alla luce di tutte le risultanze, appaia provato oltre ogni ragionevole dubbio che esiste un rapporto causale. Come si è accennato, il giudice deve escludere con certezza che l'evento sia causato da altri fattori (c.d. procedimento per esclu sione) . In tali casi, la prova può essere raggiunta anche con l'ausilio di massime di esperienza che inducono a ritenere applicabile la legge scientifica con riferimento al caso concreto o che fanno ritenere assenti altri fattori (87). (85) O . DI GIOVINE, Il concetto scientifico e giuridico di probabilità, i n AA .Vv ., La prova scientifica nel processo penale, a cura di L. DE CATALDO NEUBURGER, Padova, 2007, 198. (86) R. BARrou, Causalità omissiva e modello di accertamento ex ante-ex post, in Cass. pen., 2006, 3220; L. MASERA, Il modello causale delle Sezioni Unite e la causalità omissiva, in Dir. pen. proc. , 2006, 493 ss. In ogni caso, ai fini dell'accertamento nel processo penale, è possibile affermare che, anche nella causalità omissiva, i fattori individuali e particolaristici che vengono alla luce nel processo non servono solo a ritagliare e specificare la legge di copertura (fase ex ante), ma servono anche a verificare in concreto l'alta credibilità razionale dell'ipotesi postulata in relazione alla azione doverosa omessa. Pertanto, anche per la causalità omissiva l'interprete deve ricercare e proporre soluzioni di equilibrio che risultino empiricamente praticabili nell'esperienza giudiziale. V. amplius G. CANZIO, La causalità "scientifica", in Dir. pen. proc. , 2008, n. 6, Dossier, La prova scientifica nel processo penale, a cura di P. ToNINI, 4 1 . In merito alla fondatezza di quest'ultimo approccio ed ai criteri di accertamento della causalità omissiva, F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, spec. 990 e 992-993 . (87) Sull'uso delle massime di esperienza nell'accertamento del nesso di causalità, P.F. PIRAs, Il giudizio causale in assenza di leggi scientifiche, in Cass. pen. , 2004, 2384. In giurisprudenza, Cass., sez. IV, 15 ottobre 2002, Loi, in Cass. pen. , 2004, 2347 (con nota di R. BLAIOTIA, Incidenti da aviolancio, problemi causali nuovi, attività rischiose): >. (23) Cass., sez. I, 1 8 giugno 2002, Rossini, in Cass. pen., 2003, 784, con riferimento alle dichiarazioni
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II IV.2 .d .
L'incompatibilità a testimoniare.
n codice pone, in via generale, la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare (art. 1 96, comma l ) ; prevede poi una serie di eccezioni, che consistono in situazioni di incompatibilità relative ad un determinato procedimento (art. 197 ) . L a regola, che riconosce a qualsiasi persona l a capacità di testimoniare, permette che si assumano come testimoni sia l'infermo di mente, sia il minorenne (e quindi anche colui che ha un'età inferiore ad anni quattordici) . In questi casi il giudice dovrà valutare con particolare attenzione la credibili tà del dichiarante e l'attendibilità della dichiarazione; egli può verificare l'idoneità fisica o mentale del soggetto chiamato a deporre ordinando gli « accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge » (art. 196, comma 2). Ad esempio, può disporre una perizia o un esperimento giudiziale allo scopo di valutare con quale precisione il testimone sia in grado di comprendere e rievocare la realtà. Al generale obbligo di testimoniare si pongono, come eccezioni, le situa zioni di incompatibilità previste nell'art. 1 97 . L'incompatibilità a testimoniare ricorre quando una persona, pur capace di deporre, non è legittimata a svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento penale a causa della posizione assunta in tale procedimento o a causa dell'attività ivi esercitata (v. tav. 2 .4. 10). La ratio della incompatibilità. Le situazioni di incompatibilità sono ricol legabili a due distinti ordini di ragioni. Da un lato, le prime tre ipotesi (lettere a, b, c) vogliono escludere che alcune persone abbiano un obbligo, penalmente sanzionato, di dire il vero; ed infatti tali soggetti non possono testimoniare, bensì possono dare il loro contributo conoscitivo senza un obbligo penale di dire la verità, con quel mezzo di prova che è denominato " esame delle parti" (artt. 208-2 10). Da un altro lato, le situazioni previste nell'art. 1 97 , comma l , lettera d, vogliono escludere che possano comunque deporre quei soggetti che hanno svolto « nel medesimo procedimento » le funzioni di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario o altre funzioni ritenute incompatibili con quella di testimone. Art. 197, lettera a. Non possono essere assunti come testimoni (bensì sono sentiti con l'esame ai sensi dell'art. 2 10) gli imputati concorrenti nel medesimo reato (o situazioni assimilate in base all'art. 12 lett. a: cooperazione colposa o condotte indipendenti che hanno determinato un unico evento) . L'incompati bilità opera a prescindere dal fatto che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati e cessa per il singolo imputato con l'irrevocabilità della sentenza che lo
rese, sull'immediatezza di un fatto omicidiario, dai prossimi congiunti della vittima e documentate in semplici annotazioni di servizio. I prossimi congiunti si erano poi rifiutati di confermarle a verbale.
II.IV.2 .d
I mezzi di prova
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rigua'ì-da. Infatti, i soggetti menzionati possono essere chiamati a rendere testimonianza quando « nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irre vocabile » di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento (24) . In tutte queste ipotesi il legislatore reputa che l'imputato non corra rischi, perché non può essere processato una seconda volta per il medesimo fatto storico di reato (art. 649) (25) . Art. 1 97, lettera b. D i regola non possono essere assunti come testimoni, bensì sono sentiti con l'esame ai sensi dell'art. 2 10: l ) gli imputati in procedimenti legati da una connessione debole, e cioè nel caso in cui i reati per cui si procede « sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri » (c.d. connessione teleologica; art. 12, lett. c) . Come esempio, possiamo pensare all'imputato di omicidio che è chiamato a deporre nel procedimento relativo al reato di occultamento del cadavere, addebitato ad un altro imputato; 2) gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati ai sensi dell'art. 37 1 , comma 2, lettera b. Si ha collegamento probatorio, ad esempio, quando la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza (26) . Alla regola della incompatibilità, prevista dalla lettera b, sono state poste (24) Come confermato da Cass., sez. I, 18 ottobre 2005 , Sbema, in CED, n. 232448, gli imputati concorrenti nel medesimo reato (art. 12, lett. a) restano radicalmente incompatibili con la qualifica di testimone fino alla sentenza irrevocabile, anche qualora si trovino a rendere dichiarazioni sul fatto altrui. (25) Come vedremo (v. in/ra, § 3, lett. /) si tratta di una testimonianza munita di particolari garanzie e caratterizzata dall'assistenza difensiva che è riconosciuta al dichiarante (art. 197-bis). V. tuttavia, C. cost., sent. n. 3 8 1 del 2006, che ha escluso l'assistenza difensiva in relazione all'imputato assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto. li collegamento probatorio ai sensi dell'art. 3 7 1 , comma 2, lett. b vi è anche quando si tratta di (26) reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguime o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre. Nonostante il chiaro dettato letterale dell'art. 3 7 1 , comma 2, lett. b, la giurisprudenza si è interrogata sulla compatibilità a testimoniare dell'imputato di un reato commesso in danno reciproco. La Cassazione ha a lungo ritenuto che egli, essendo anche persona offesa dal reato, debba deporre come testimone comune (tra le tante, Cass., sez. III, 8 gennaio 2008, Bulica, in CED Cass., 238696; Cass., sez. VI, 27 aprile 2007, E.P.S., in Riv. giur. Sarda, 2007, 541; Cass., sez. fer. 22 luglio 2004, Bombara, in CED Cass. , 229953 ) . La spiegazione, piuttosto ermetica, era che la qualifica di offeso, per la sua maggiore pregnanza, dovesse prevalere su quella di imputato di reato collegato (Cass., sez. V, 20 aprile 2004, Esposito, in CED Cass. , 228 1 13 ; Cass., sez. VI, 19 febbraio 2003 , Alberghino, in Cass. pen., 2005, 549). Sul punto, un approccio innovativo è stato fatto proprio dalla già ricordata Cass., sez. V, 25 settembre 2007, Costanza, in Cass. pen., 2008, 2812. La Cassazione è partita dal rilievo che l'art. 3 7 1 , comma 2, lett. b, ricomprende, a seguito della riforma del 200 1 , anche le ipotesi di reati commessi in danno reciproco. Pertanto, in tali situazioni, i soggetti coinvolti rientrano nel novero degli imputati collegati che, ai sensi dell'art. 197, lett. b, sono incompatibili come testimoni finché la loro sentenza non diviene irrevocabile e purché non abbiano reso dichiarazioni sul fatto altrui previo avvertimento ex art. 64, comma 3 , lett. c. Sempre con riferimento al concetto di "reati commessi in danno reciproco" , occorre tenere presente che secondo un orientamento giurisprudenziale in tale nozione rientrano soltanto i reati commessi nel medesimo contesto spazio-temporale . (Cass., sez. II, 10 aprile 2008, Dell'Otri, in www. dinttoegiustizia.it, 6 novembre 2008).
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II.IV.2 .d
due eccezioni. In primo luogo, i soggetti menzionati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento. Si tratta di una disciplina identica a quella prevista in relazione agli imputati concorrenti nel medesimo reato e si fonda sulla medesima ratio. La seconda eccezione è più complessa e costituisce la novità più rilevante introdotta dalla legge n. 63 del 2001 di attuazione del giusto processo. Gli imputati menzionati-divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell'interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti "altrui" , e cioè concernenti la responsabilità di altri imputati collegati o connessi teleologicamente. In questo caso la compatibilità è "parziale" perché è limitata ai fatti altrui, oggetto delle precedenti dichiarazioni. Su fatti diversi da quelli altrui già dichiarati, i soggetti in esame restano incompatibili con la qualifica di teste. Occorre ricordare che, a tal fine, l'art. 64, comma 3 , lett. c impone che tutti gli indagati, nel corso dell'interrogatorio svolto dal pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria o dal giudice siano avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, su tali fatti dovranno deporre come testimoni. Come vedremo dettagliatamente nel prosieguo, si tratta di una testimonianza particolare perché circondata da garanzie, prima tra tutte l'assi stenza difensiva (27 ) . Art. 1 97, lettera c. Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Esse possono rendere dichiara zioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti (art. 208) e, quindi, senza l'obbligo penalmente sanzionato di dire il vero. Art. 1 97, lettera d. Non possono essere assunti come testimoni coloro che, nel medesimo procedimento, svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario. Per ausiliari si intendono, ad esempio, i cancellieri e segretari che abbiano svolto funzioni "serventi" rispetto al compi mento di atti dell'autorità giudiziaria, quale è il redigere verbali. L'incompati bilità in esame si fonda sul rilievo che le predette persone non sono psichica(27) Prima di procedere oltre nell'analisi, è necessario affrontare un ultimo problema. L'art. 197, lettere a e b non menziona la sentenza di non luogo a procedere e l'archiviazione tra i provvedimenti che determinano la cessazione dell'incompatibilità a testimoniare. Riteniamo che attualmente l'incompatibilità dei soggetti, nei cui confronti siano stati emessi tali provvedimenti, segua il regime riservato dall'art. 197 all'imputato con procedimento pendente. Pertanto, se si tratta di imputati connessi per concorso nel medesimo reato (art. 12, lett. a) essi sono radicalmente incompatibili con la qualifica di teste. Se, invece, si versa in ipotesi di connessione teleologica o collegamento probatorio, l'incompatibilità a testimoniare cessa laddove l'indagato o imputato destinatario del provvedimento di archiviazione o della sentenza di non luogo a procedere renda o abbia n!so dichiarazioni sul fatto altrui precedute da rituale avvertimento ex art. 64 comma 3, lett. c. Si veda il successivo § 3 lett. g, II, sulle forme con le quali è esaminato l'indagato che è stato oggetto di una archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere.
II.IV.2 .e
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mente "terze" rispetto agli atti compiuti; di tali atti può essere data prova soltanto mediante i verbali che sono stati redatti. Sono altresì incompatibili « il difensore che abbia svolto attività di inve stigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione » dell'in tervista o che hanno redatto la relazione che recepisce le dichiarazioni scritte « ai sensi dell'art. 391-ter ». Poiché l'art. 1 97 è una norma che fa eccezione al
generale obbligo di testimoniare, le menzionate ipotesi di incompatibilità devono essere interpretate restrittivamente. Pertanto, il difensore è incompati bile a testimoniare soltanto in relazione alla attività investigativa che ha svolto (28) ; per il resto, è compatibile come testimone, salvo quanto prevede il codice deontologico forense (29). Allo stesso modo, coloro che hanno formato la documentazione dell'investigazione difensiva o che hanno verbalizzato la ricezione delle dichiarazioni scritte ai sensi dell'art. 391 -ter sono incompatibili a testimoniare soltanto sull'attività che hanno provveduto a documentare. e.
n privilegio contro l'autoincriminazione.
n codice accoglie la regola generale in base alla quale il testimone ha
l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell'esame (art. 198, comma 1 ) . Tuttavia può accadere che le parti, durante l'esame incrociato, formulino domande che potrebbero indurre il testimone ad autoincolparsi di qualche reato. In ipotesi del genere, se il testimone fosse obbligato a rispondere secondo verità, egli si troverebbe in una penosa alternativa: rispondere incriminando se stesso oppure dire il falso per non ammettere la propria responsabilità. Nel primo caso, rischierebbe un procedimento penale per il reato che si è autoattribuito. Nel secondo caso, potrebbe subire un processo per falsa testimonianza. Una situazione del genere non sarebbe compatibile con la Costituzione, che garantisce i diritti fondamentali dell'individuo, tra i quali rientra anche il diritto (28) Trib. Verona, 27 gennaio 2006, Mignoli, in Cass. pen., 2006, 3793 , con nota di A. CAMON. (29) L'ipotesi in oggetto risulta disciplinata dall'articolo 58 del Codice deontologico forense, appro vato dal Consiglio Nazionale Forense il 17 aprile 1997, in Guida dir. , 1998, 10, 68: >. Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che con sentenza n. 2 1 5 del 1997 ha dichiarato infondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 197 , comma l, lett. d, c.p.p.
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di non incriminare se stesso (artt. 2 e 24, comma 2 Cast.). Per questo motivo, il codice tutela il testimone e stabilisce che egli « non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale » (art. 1 98, comma 2 ) . n privilegio. L a situazione giuridica soggettiva, regolamentata dall'art. 198, comma 2, può essere correttamente definita "privilegio" con terminologia di tipo anglosassone, perché si prevede una " esenzione da un regime ordinario" , che è appunto l'obbligo di deporre. L'esenzione è prevista dalla legge in considerazione della presenza di un interesse privato ritenuto meritevole di tutela dall'ordinamento. La formula è ampia: il teste ha diritto di non rispondere non soltanto alla singola domanda, ma a tutte le domande che concernono quei "fatti" dai quali emerga una sua responsabilità per un reato commesso in passato (30). li pre supposto è la semplice probabilità che dalla risposta su di un determinato fatto possa derivare la responsabilità penale del dichiarante; non è sufficiente che possa scaturire una responsabilità soltanto di tipo civilistico od amministrativo. Alla posizione soggettiva del teste non corrisponde, a carico di chi lo interroga, l'obbligo di informarlo che può non rispondere. Né è vietato alle parti fare domande autoincriminanti al testimone; non sempre esse sanno che la risposta porterebbe ad incriminarlo. In ogni caso, il testimone è libero, se crede, di rispondere (v. tav. 2 .4.4). n destinatario del divieto. L'articolo 198, comma 2 stabilisce un divieto probatorio che ha come destinatario il giudice. Quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, la legge vieta al giudice di costringerlo a parlare. Come si è visto nel capitolo sugli atti, la violazione di un divieto probatorio comporta la inutilizzabilità del dato che è stato acquisito (art. 1 9 1 , comma 1 ) . Pertanto, se il giudice costringe il teste a deporre e successiva mente si riconosce l'esistenza del privilegio contro l' autoincriminazione, le dichiarazioni eventualmente rese sono inutilizzabili. Naturalmente il regime appena descritto opera nell'ipotesi in cui il testimone eccepisca il privilegio in modo fondato e non pretestuoso. Quando il testimone rifiuta di rispondere ed oppone il privilegio, deve dare una giustificazione allo stesso, con l'ovvio limite che non può essere obbligato a precisare troppi dettagli; in caso contrario potrebbe fornire elementi contro di sé. Il giudice valuta le giustificazioni addotte e, se le ritiene infondate, può rinnovare al testimone l'avvertimento che ha l'obbligo di dire la verità (art. 207 , comma l ) . A questo punto il testimone, s e ritiene di aver correttamente eccepito il privilegio, può persistere nel rifiuto. In tale ipotesi egli rischia che gli sia contestato il delitto (30) Relazione al progetto definitivo, 1 10: « il comma 2 dell'articolo 1 98 è stato modificato per ampliare la tutela contro l'autoincriminazione, non solo a fronte di singole domande, ma, più in generale in relazione a "fatti" suscettibili di generare responsabilità penale >>.
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di falsa testimonianza nella forma della reticenza. Tuttavia, se nel procedimento per falsa testimonianza si accerta che tale soggetto effettivamente aveva il privi legio contro l' autoincriminazione, egli deve essere assolto. Infatti, ai sensi dell'art. 3 84, comma 2 c.p. il delitto di falsa testimonianza non sussiste quando il testimone « non avrebbe potuto essere obbligato ( . . . ) a rispondere ». Lo stesso accade se il testimone, costretto a rispondere, ha reso dichiarazioni false. Poiché l'art. 198, comma 2 stabilisce un divieto rivolto al giudice, di fronte ad una domanda autoincriminante il testimone è libero di scegliere se eccepire o meno il privilegio. In ogni caso, se il testimone si risolve liberamente a rendere dichiarazioni contro se stesso, il codice appresta una apposita regolamentazione. Le risposte autoincriminanti. Infatti, trova applicazione l'articolo 63 , comma l che disciplina le "dichiarazioni indizianti" rese davanti all'autorità giudiziaria da una persona che non sia imputata o indagata. La giurisprudenza ritiene che tale norma, stante l'ampiezza della formulazione, abbia carattere generale e, per tanto, possa essere applicata anche in dibattimento. Una volta che il testimone abbia reso una dichiarazione dalla quale emergano indizi di reità a suo carico per un reato pregresso, l'autorità procedente (e cioè, il giudice, il pubblico ministero o la polizia) deve per prima cosa interrompere l'esame; in secondo luogo deve avvertire il soggetto che « a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti »; infine deve invitarlo a nominare un difensore. Quanto al valore probatorio delle precedenti dichiarazioni, il codice prevede una inutilizzabilità soggettivamente relativa. Infatti, esse non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese (3 1 ) . Ciò è conforme alla ratio della norma che è quella di tutelare il privilegio contro l'autoincriminazione, che sarebbe scalfito se fosse utilizzabile contro il dichiarante quello che egli ha detto in qualità di teste e, quindi, con l'obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità. Sotto tale profilo, può dirsi accolto nel nostro ordinamento il brocardo latino in base al quale "nemo tenetur se detegere" (32). Dichiarazioni rese da un testimone che avrebbe dovuto essere sentito come indagato o imputato. Occorre ricordare che l'articolo 63 al secondo comma con
tiene una previsione ulteriore, relativa alle dichiarazioni rese da una persona che avrebbe dovuto essere sentita fin dall'inizio dalla polizia o dall'autorità giudiziaria in qualità di indagato o di imputato. Poiché gli inquirenti avrebbero dovuto sentire (3 1) l?. da ritenersi, tuttavia, che possano essere utilizzate a suo favore. Se rese in dibattimento, le dichiarazioni sono utilizzabili contro gli imputati i cui difensori siano presenti. (32) La giurisprudenza ha precisato che l'art. 63, comma l non trova applicazione per quelle dichiarazioni che concretino esse stesse un fatto di reato, come ad esempio una falsità testimoniale o un favoreggiamento personale; si veda Cass., sez. II, 5 giugno 2008, n. 35538/08, Migliore, in www.dirittoegiu stizia.it, 30 ottobre 2008. La giurisprudenza ha affermato che il principio "nemo tenetur se detegere" salvaguarda il testimone che ha commesso un reato, nel senso che questi non può essere obbligato a rivelare fatti dai quali emerga la sua responsabilità per un reato pregresso, e non il testimone che il reato debba ancora commettere con la propria deposizione.
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quella persona nella qualità eli indagato o eli imputato, avvertendola della facoltà di non rispondere, il codice commina l'inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese da tale soggetto: le dichiarazioni « non possono essere utilizzate » né contro la persona che le ha rese, né contro altre persone (33 ) . f.
n testimone prossimo congiunto dell'imputato.
I prossimi congiunti dell'imputato non possono essere obbligati a deporre come testimoni (art. 1 99) . Con questa disposizione il codice antepone il rispetto dei sentimenti familiari all'interesse della Giustizia all'accertamento dei fatti (34). Sono "prossimi congiunti" gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti; fra i "prossimi congiunti" non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole (art. 307 , comma 4 c.p.) (v. tav. 2 .4.6). Il codice di procedura penale impone che il testimone prossimo congiunto dell'imputato sia avvisato dal giudice della facoltà di astenersi dal rendere la deposizione (v. tav. 2.4.5). Se l'avviso è omesso, la dichiarazione resa è affetta da nullità relativa (art. 199, comma 2 ) e l'eventuale reato di falsa testimonianza non è punibile (art. 3 84, comma 2 c.p.) (35) . Nel caso in cui il prossimo congiunto, regolarmente avvisato, decida di deporre come testimone, egli non può più rifiutarsi di rispondere alle singole (33)
La disposizione in oggetto commina l'inutilizzabilità senza alcuna distinzione in merito ai soggetti
coinvolti dalle dichiarazioni. Tuttavia la Suprema Corte, risolvendo un contrasto giurisprudenziale in proposito, ha affermato che l'inutilizzabilità assoluta (Corte cost., 27 dicembre 1996, n. 4 16, in Cars. pen. , 1997, 954).
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domande; se afferma il falso, egli commette il reato di falsa testimonianza e non opera, in suo favore, la causa di non punibilità dell'art. 3 84 , comma l c.p. (36). Persone assimilate ai prossimi congiunti. In base all'art. 1 99, comma 3 c.p.p., la facoltà di astensione ed il diritto al preavviso della stessa sono estesi ad altre persone (37). La facoltà di astensione opera senza limiti in favore di colui che è legato all'imputato da vincoli di adozione; opera con alcuni limiti in favore: a) di chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso; b) del coniuge separato dell'imputato; c) della persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, sciogli mento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l'imputato. In questi tre casi la facoltà di astensione dalla testimonianza è limitata ai « fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale » (38). Occorre segnalare che i prossimi congiunti (ed i soggetti equiparati) non possono astenersi e, quindi, sono obbligati a deporre, quando hanno presentato denuncia, querela o istanza, ovvero essi od un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato (art. 199, comma 1 ) . g.
La violazione degli obblighi del testimone.
Prima che inizi l'esame incrociato il giudice avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità e lo informa della conseguente responsabilità penale. Il testimone legge la formula con la quale si impegna « a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a (sua) conoscenza » (art. 497 , comma 2); dopodiché è invitato a fornire le sue generalità. Ha quindi inizio l'esame incrociato, nel quale il testimone è tenuto a rispondere alle domande poste, di regola, dalle parti ed, eccezionalmente, dal presidente (art. 506, comma 2 ) . Il codice contiene una puntuale regolamentazione del procedimento che deve essere seguito quando appare che il testimone violi l'obbligo di rispondere se condo verità: soltanto il giudice può rivolgergli l'ammonimento a rispettare l'ob bligo di dire il vero (art. 207). Le parti non possono ammonire il testimone, mentre possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere. Un ammonimento rivolto direttamente dalla parte potrebbe configurare una domanda vietata in quanto può « nuocere alla sincerità delle risposte » (art. 499, comma 2). In primo luogo, può accadere che il testimone rifiuti di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. In tal caso il giudice provvede ad avvertirlo (36) In tal senso, Cass., sez. un., 29 novembre 2007-14 febbraio 2008, n. 7208, Genovese, in Cass. pen., 2008, 2339. (37) Sull'argomento, v. amplius G.M. BACCARI, La testimonianza del prossimo congiunto dell'imputato, Padova, 2003 , 54 ss. (38) Secondo Cass., sez. I, 27 gennaio 2003 , Orsogna, in Cass. pen., 2004, 2963, « nel caso del coniuge separato dell'imputato, la limitazione della facoltà di astensione ai fatti verificatisi o appresi durante la convivenza coniugale deve ritenersi operante avendo riguardo, come termine finale, non a quello segnato dalla pronuncia della separazione legale ma a quello, se precedente, in cui è cessata di fatto la suddetta convivenza >>.
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sull'obbligo di deporre secondo verità. Se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice « dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché pro ceda a norma di legge » (art. 207, comma 1 ) . Quest'ultimo, ricevuta la copia del verbale di udienza, darà inizio alle indagini preliminari per accertare se sussiste la falsa testimonianza nella forma della reticenza (art. 372 c.p.); inoltre, potrà chiedere al giudice una misura cautelare, ove ne sussistano i presupposti. In secondo luogo, può accadere che il testimone renda dichiarazioni con traddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite. n giudice, su richiesta di parte o d'ufficio, gli rinnova l'avvertimento dell'obbligo di dire il vero. Ove il pubblico ministero non prenda una immediata iniziativa, e cioè non chieda subito copia del verbale di udienza, il giudice potrà attivarsi soltanto al termine del dibattimento. Ai sensi dell'art. 207 , comma 2 , « con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio », il giudice, se ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, « ne informa il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti » (39). In ogni caso è fatto divieto di arrestare in udienza il testimone « per reati concernenti il contenuto della deposizione » (art. 476, comma 2), e cioè per la testimonianza falsa o reticente (n. 74 dei criteri direttivi della legge delega). h.
n segreto professionale.
Alcuni testimoni con determinate qualifiche di tipo privatistico hanno la "facoltà" (dal punto di vista del procedimento penale) di non rispondere a determinate domande quando la risposta comporti la violazione dell'obbligo del segreto professionale. Tale segreto può essere definito " qualificato" perché la possibilità di non rispondere spetta soltanto ai professionisti indicati espressa mente dall'art. 200 del codice di procedura penale (ministri del culto, avvocati, persone esercenti professioni sanitarie) (v. tav. 2.4. 1 1 ) . L a tutela penale del segreto professionale. Occorre precisare che il profes sionista " comune" (e cioè, non rientrante nelle categorie indicate nell'art. 200) ha l'obbligo di deporre nel processo penale anche se, al di fuori di questo, è tenuto al segreto professionale (art. 622 c.p.). Per " segreto" si intende una notizia che non deve essere portata alla altrui conoscenza e che, pertanto, non è già di per sé notoria. Di solito, si tratta di un fatto della vita privata che il singolo ha interesse a mantenere riservato. Le necessità della vita sociale impongono al privato, al fine (39) Ai sensi dell'art. 376 c.p. non è punibile il reato di falsa testimonianza se il teste >. La disposizione si applica anche ai reati di false informazioni al pubblico ministero (art. 3 7 1 -bis c.p.), false dichiarazioni al difensore (art. 3 7 1 -terc.p.), falsa perizia e falsa interpretazione (art. 373 c.p.). La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 376, comma l c.p., e la rivelazione è punibile. Merita segnalare che il professionista qualificato non deve essere preawertito della facoltà di astenersi dal rispondere alla domanda pregiudizievole per il segreto professionale: così Cass., sez. IV, 4 marzo 2009, n. 9866 B.R.G.
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mercialisti, ai ragionieri e periti commerciali (artt. 4 e 5, d.p.r. 27 ottobre 1 953, n. 1067 , come integrati dall'art. l, legge 5 dicembre 1 987 , n. 507 ) ; agli assistenti sociali iscritti all'albo professionale (art. l , legge 3 aprile 200 1 , n. 1 19). n segreto professionale dei giornalisti. Il segreto professionale è esteso ai giornalisti con alcuni limiti. In primo luogo, esso può essere mantenuto relativamente ai « nomi delle persone » dalle quali è stata appresa una notizia di carattere fiduciario nell'esercizio della professione. In secondo luogo, possono opporre questo segreto soltanto i « giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale ». In terzo luogo, il giornalista è comunque obbligato a indicare al giudice la fonte delle sue informazioni quando le notizie sono indispensabili ai fini della « prova del reato per cui si procede » e la loro veridicità può essere accertata soltanto attraverso « l'identificazione della fonte della notizia » (art. 200, comma 3 ) . Da un lato, vi è la garanzia che i predetti limiti sono valutati dal « giudice »; da un altro lato, la regolamentazione è tuttavia strutturata in modo da far prevalere l'interesse di Giustizia sull 'interesse del giornalista a mantenere coperta la fonte delle informazioni. Nei casi nei quali il giornalista può conservare il segreto sulla fonte (ad esempio, perché la notizia non riguarda l'esistenza di un reato, ma di una sua circostanza), la notizia stessa non è utilizzabile nel processo a causa del divieto che riguarda la testimonianza indiretta (art. 195 , comma 7 ) (4 1 ) . Occorre, infine, segnalare che il segreto bancario cede di fronte all'esigenza di accertare fatti penalmente rilevanti. i.
n segreto d'ufficio e di Stato; gli informatori di polizia.
Vi sono testimoni che, in virtù di una loro qualifica pubblica, hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti in ragione del loro ufficio (42 ) . n segreto d'ufficio. In determinati casi previsti d a leggi o regolamenti il buon funzionamento della pubblica amministrazione può imporre che sia mantenuto il segreto su alcune specie di notizie che concernono lo svolgimento del servizio pubblico (43 ) . In tali ipotesi siamo in presenza del segreto d'ufficio, (4 1 ) Riteniamo che il motivo posto alla base della diversità di trattamento del giornalista consista nel fatto che questi esercita una professione alla quale il privato non è "costretto" a ricorrere; pertanto l'interesse del singolo non è prevalente rispetto a quello dell'amministrazione della Giustizia (v. anche, nel senso della legittimità della norma, Corte cost. n. l del 1 98 1 ) . (42) V i è una importante differenza rispetto a i titolari del segreto professionale, l a deposizione dei quali resta utilizzabile, anche se essi non si astengono dal deporre; in questo caso il codice tutela il rapporto tra il professionista e la fonte della notizia. Quando una persona legata al segreto d'ufficio o di Stato non osserva l'obbligo di astenersi dal deporre, la relativa deposizione è in utilizzabile poiché risulta violato un divieto probatorio ex art. 191. In questo caso il codice tutela l'oggetto della testimonianza, e cioè il segreto d'ufficio o di Stato. Si veda Cass., sez. un., 30 ottobre 2002, Carnevale, in Cass. pen., 2005, 92 1 . (43 ) Un esempio di segreto d'ufficio è il segreto della camera di consiglio, posto dall'art. 125, comma
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la cui violazione integra il delitto previsto dall'art. 326 c.p. (44 ) . n segreto d'ufficio vincola il pubblico ufficiale e l'incaricato di un pubblico servizio (la relativa nozione è contenuta negli artt. 357 e 358 c.p., sui quali si veda parte III, cap. l, § 2, b). Potrebbe sorgere nel pubblico ufficiale o nell'incaricato di pubblico servizio un conflitto tra l'obbligo di dire la verità nel procedimento penale (art. 1 98 c.p.p.) ed il vincolo del segreto d'ufficio, che in base all'art. 201 c.p.p impone loro di non rispondere alle domande su fatti coperti dal segreto. Ma il buon funzionamento della pubblica amministrazione non può tollerare che siano tenuti nascosti i reati. Ed infatti, ai sensi dell'art. 201 c.p.p., l'obbligo di astenersi dal rispondere viene meno quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio hanno l'ob bligo di riferire all'autorità la notizia di reato; e cioè, in sostanza, quando hanno l'obbligo di denuncia (sul quale, v. gli articoli 361 e 3 62 c.p.). Ciò vuol dire che le persone menzionate non possono mantenere segreti quei fatti che concernono reati (v. in/ra, Parte III, cap. l , § 2 , lett. a). Se il testimone (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) oppone il segreto d'ufficio, il giudice valuta se tale eccezione è fondata; ove non lo sia, ordina al testimone di deporre (art. 201, comma 2). n segreto di Stato. Una particolare specie di segreto d'ufficio è il segreto di Stato, che ai sensi dell'art. 39 della legge 3 agosto 2007 n. 124 copre « gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fonda mento, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato » (45 ) . In base all'art. 202 4 c.p.p., secondo cui >, e sanzionato dall'art. 685 c.p. L'art. 125, comma 5, impone l'osservanza di particolari accorgimenti idonei a tutelare il segreto in caso di dissenso di un componente del collegio giudicante. Cass., sez. un., 30 ottobre 2002, Carnevale, in Cass. pen., 2005, 92 1 : « il giudice penale non può essere richiesto ed ha l'obbligo di astenersi dal deporre come testimone in merito al procedimento formativo della deliberazione collegiale, segreta, in camera di consiglio, limitatamente alle opinioni ed ai voti espressi dai singoli componenti del collegio, fermo restando il sindacato giurisdizionale sulla fondatezza della dichiarazione di astensione. La violazione del suddetto obbligo comporta l'inutilizzabilità della relativa testimonianza >>. (44) Art. 326 comma l c.p. (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio): « Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni >>. (45) La nozione di segreto di Stato è di carattere oggettivo: « il documento, la cosa, la notizia o i rapporti, che vengono in rilievo di volta in volta, possono presentare caratteristiche di contenuto o di forma tali da indurre a ritenere che essi, ictu oculi, rivestono connotazioni di per sé coperte dal segreto di Stato. In altri termini, in dette particolari ipotesi, la caratteristica della segretezza è intrinseca all'atto, perché percepibile immediatamente ed univocamente >> (Corte cost., n. 106 del 2009). Il regolamento di attuazione previsto dall'art. 39 della legge n. 124, e cioè il d.P. C.M. 8 aprile 2008 (in G.U. n. 90 del 16 aprile 2008) ha ricompreso nel segreto di Stato la « tutela di interessi economici, finanziari, industriali, scientifici, tecnologici, sanitari ed ambientali >>.
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c.p.p. , i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre come testimoni su fatti coperti dal segreto di Stato (46) . Quando la persona, che ha una delle predette qualifiche, oppone l'esistenza di un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria procedente (e cioè il pubblico ministero o il giudice) ha due obblighi: deve informare il presidente del consiglio dei ministri, chiedendo l'eventuale con ferma del segreto, e deve sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire e ad utilizzare la notizia oggetto del segreto (art. 202 , comma 2). Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta il presidente del consiglio dei ministri non dà con/erma del segreto, l'autorità giudiziaria acqui sisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento (comma 4): il dichiarante è svincolato dal segreto di Stato e deve deporre. Viceversa, se il presidente del consiglio dei ministri con atto motivato oppone il segreto di Stato, è previsto un divieto probatorio ampio (47): il giudice ed il pubblico ministero non possono né acquisire né utilizzare neanche indirettamente le « notizie coperte dal segreto » (comma 5) (48). In tal caso, se per la definizione del processo risulta « essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato », il giudice deve dichiarare di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato (art. 202, comma 3 ) (49). D segreto di polizia sugli informatori. Un'altra specie di segreto è quella che consente di non rivelare i nomi degli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza. Legittimati ad opporre tale segreto sono sia gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, sia il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica (art. 203 ) . Costoro possono mantenere segreti i nomi degli informatori; ma tutto quello che affermano di aver "sentito dire" da loro non può essere acquisito né utilizzato, se non quando l'informatore sia stato esaminato (50). (46) L'art. 4 1 della legge n. 124 ha esteso il potere-dovere di astenersi dal deporre ad ogni tipo di dichiarante e, quindi, anche all'imputato e all'indagato. In tal senso, v. la sentenza della Corte cost. n. 106 del 2009. (47) La Corte cost. ha affermato che l'« individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie, ecc. che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segreti >> costituisce il risultato di una valutazione >. (49) Di fronte al prowedimento di conferma del segreto, il giudice (o il pubblico ministero competente per le indagini) può sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla corte costituzionale (comma 7 ) . Si tratta di una nuova competenza della corte costituzionale, alla quale non può essere opposto il segreto stesso. La regolamentazione della materia è tracciata dalla sentenza della Corte cost. n. 106 del 2009. (50) Si ricorda che la legge n. 63 del 2001 ha aggiunto nell'art. 203 un nuovo comma l-bis in base al
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L'art. 204 esclude poi che i segreti d'ufficio, di Stato o di polizia possano opporsi per fatti concernenti « reati diretti all'eversione dell'ordinamento co stituzionale nonché i delitti previsti dagli articoli 285 , 4 1 6-bis, 4 16-ter e 422 del codice penale » (legge n. 124 ci t.) (5 1 ) . 3.
L'esame delle parti. a.
Considerazioni generali.
È denominato "esame delle parti" il mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire all'accertamento dei fatti nel processo penale. Alcune norme del codice forniscono una regolamentazione generale dell'esame; altre norme riguardano determinati soggetti e prevedono per essi regimi giuri dici diversi. Possono definirsi "generali" le seguenti regole: a) il dichiarante non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità né di essere completo nel narrare i fatti; inoltre egli ha la facoltà di non rispondere alle domande (art. 209, comma 2 ) ; b) le dichiarazioni sono rese secondo le norme sull'esame incrociato; pertanto le domande sono formulate di regola dal pubblico ministero e dai difensori delle parti private nell'ordine indicato nell'art. 503 , comma l ; c) le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova. L'esame delle parti è sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che rilascia la dichiarazione (v. tav. 2.4.2). Il primo regime concerne l'imputato che sia chiamato a deporre nel proprio procedimento sul fatto a lui addebitato. Il secondo regime riguarda le parti private diverse dall'imputato, e cioè il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile che non debba essere esaminata come testimone. Il terzo regime concerne quegli imputati in procedimenti connessi o collegati, che siano chiamati a deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui. È un regime giuridico peculiare, che richiede autonoma trattazione per la complessità dei princìpi e delle problematiche che vi sono sottese (52) . quale >. Così, Cass. , sez. VI, 8 febbraio 2001 (dep. 2 aprile 200 1 ) n. 233, Errichiello, in Cass. pen., 200 1 , 3028. È utile riferire il caso di specie. Una imprenditrice viene processata per violazione della normativa antinforrunistica. Tre lavoratrici testimoniano a suo carico in merito alle condizioni nelle quali svolgevano le proprie mansioni. L'imprenditrice afferma che le lavoratrici rendono una testimonianza falsa e concordata e che lei è vittima di una macchinazione a suo carico. Nei confronti dell'imprenditrice si apre un procedimento per calunnia. L'imprenditrice è prosciolta da quest'ultima imputazione in applicazione del principio generale in base al quale l'imputato, nel corso del procedimento penale instaurato a suo carico, ben può negare, anche mentendo, nell'esercizio del suo din'tto di dt/esa costituzionalmente garantito (art. 24 della Cost.), la corrispondenza al vero di testimonianze a lui sfavorevoli. L'implicita accusa di falsa testimonianza o di calunnia nei confronti dei suoi accusatori costituisce una conseguenza non voluta e soltanto indiretta dell'atteggiamento difensivo prescelto dall'imputato. L'animus de/endendi, in applicazione della causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p., esclude la punibilità del reato. Deve sussistere, però, un rigoroso rapporto funzionale tra tale condotta dell'imputato e la confutazione dell'imputazione a suo carico, nel senso che l'imputato deve limitarsi ad affermare la falsità e, quindi, l'infondatezza dell'accusa a suo carico, senza travalicare tale confine con iniziative, non necessarie, dirette a coinvolgere i suoi accusatori, di cui conosce l'innocenza, in una incolpazione specifica, circostanziata e determinata, che si pone al di fuori dell'economia difensiva, perché nessuna attinenza ha con l'oggetto dell'imputazione a suo carico. (55) Occorre sottolineare che l'art. 208 non contiene un rinvio espresso all'art. 64 e pertanto non impone che l'imputato in sede di esame dibattimentale sia reso edotto del fatto che, se renderà dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri imputati in procedimenti connessi teleologicamente o collegati al proprio, assumerà la qualifica di testimone assistito. Con ordinanza 4 giugno 2003 n. 191 (in Dir. pen. proe. , 2004, 85, con nota di C. CoNTI) nel dichiarare manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, il Giudice delle leggi ha affermato che una interpretazione di tipo sostanziale consente di rendere applicabile la disciplina degli avvisi anche all'esame dell'imputato ex art. 208. Tuttavia, sarebbe stato preferibile che la Corte cost. avesse pronunciato una declaratoria di incostitu· zionalità, dal momento che l'ampliamento delle ipotesi di compatibilità a testimoniare comporta una estensione dell'area applicativa del delitto di falsa testimonianza. Inoltre, l'avvertimento previsto dall'art. 64 è posto a pena di inutilizzabilità e l'estensione analogica di tale fattispecie si scontra con il principio di tassatività che presiede a tale causa di invalidità. La Cassazione non ha condiviso la soluzione della Corte costituzionale ed ha affermato che l'avverti mento non deve essere rivolto all'imputato concorrente nel medesimo reato che sia esaminato nel procedi mento riunito o separato. Si veda, per tutte, la sentenza della Cass., sez. II, 25 ottobre 2005, Piscopo, in Cass. pen., 2006, 4089. L'indirizzo in oggetto si fonda sul rilievo che la funzione dell'avvertimento è già assicurata dal fatto che le dichiarazioni vengono rese dall'esaminato, che è assistito dal difensore; questi lo consiglia nell'esercizio della facoltà di offrirsi all'esame. Secondo Cass., sez. I, 9 novembre 2007, C. e altro, in CED, 238702, l'avvertimento non deve essere rivolto al soggetto che renda dichiarazioni spontanee.
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dell'imputato può essere valutato dal giudice come "argomento di prova" (56); ciò vuoi significare che l'imputato può essere ritenuto non credibile. Infatti il silenzio può dimostrare che egli vuole nascondere qualcosa. Infine, l'imputato ha il privilegio di poter affermare di aver " sentito dire" qualcosa, senza essere vincolato alle condizioni di utilizzabilità poste dall'art. 195 ; infatti egli può non indicare la fonte (persona o documento) da cui ha appreso l'esistenza di un fatto. La sua dichiarazione per sentito dire può essere utilizzata (a differenza di quanto avviene per il testimone e le altre parti private) perché, « data la peculiare posizione di questo soggetto, è importante a più effetti acquisire tutto quanto sia venuto a sua conoscenza anche per via indiretta » (Relazione, cit.) . Ovviamente, non è detto che la dichiarazione sia ritenuta "attendibile" , poiché al giudice non è offerto il principale strumento di controllo, e cioè l'indicazione della fonte del sentito dire. c.
Le parti private diverse dall'imputato.
L'esame del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e della parte civile, che non debba essere esaminata come testimone, si svolge con regole identiche a quelle che valgono per l'imputato, salvo un particolare. Se le parti private diverse dall'imputato affermano di aver "sentito dire", valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità previste dall'art. 195 . il regime ordinario dell'esame delle parti comporta che i soggetti menzio nati siano esaminati soltanto se richiedono l'esame o vi consentono; essi non hanno l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Il loro interesse meramente civilistico rispetto all'esito del procedimento penale è ritenuto essere identico all'interesse dell'imputato ad evitare la pena. Occorre sottolineare che la parte civile, quando è chiamata a testimoniare, è obbligata a deporre in tale qualità e non come parte privata; di conseguenza, assume l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Il legislatore ha ritenuto che « la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisca un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale » (Relazione al progetto preliminare, 62) (57 ) . (56) Relazione al progetto preliminare, 64. (57) La scelta del legislatore riveste una notevole importanza teorica; dimostra che il disinteresse e la terzietà non sono requisiti indispensabili per assumere la qualità di testimone; quest'ultimo ben può essere parziale, e tuttavia è tenuto a dare un contributo conoscitivo con l'obbligo penalmente sanzionato di dire il vero; pertanto il suo interesse "civilistico" all'esito del procedimento penale deve soccombere. L'esame incrociato serve, per l'appunto, al fine di valutare quanto un testimone sia stato condizionato dal proprio interesse nel riferire i fatti dei quali è venuto a conoscenza. Ci pare giusto ciò che la Relazione afferma, sia pure a proposito dell'art. 197: >. 10
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n contributo probatorio dell'imputato tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l'accusatore.
Prima di esporre la normativa che concerne l'esame dell'imputato connesso e collegato, così come è stata regolamentata dalla legge n. 63 del 200 1 , riteniamo utile offrire una introduzione che consenta al lettore di inquadrare il problema sotto un profilo storico. I sistemi processuali hanno escogitato soluzioni differenti per acquisire il sapere della persona imputata nel processo penale. In estrema sintesi, vi sono due posizioni opposte. Nel sistema inquisitorio l'imputato ha l'obbligo di rispondere secondo verità; alle sanzioni conseguenti al falso si aggiunge l'uso della tortura. Nel sistema accusatorio l'imputato non può mai essere costretto a testimoniare; ancora di più, egli ha il diritto di restare in silenzio anche di fronte alla polizia e alla pubblica accusa, oltre che di fronte al giudice. Ma poiché una forma di manifestazione del diritto difesa è la rinuncia al silenzio, sia pure con il massimo delle garanzie, si permette all'imputato di offrirsi come testimone volontario soltanto davanti al giudice; owiamente, in tal caso il contraddittorio impone che sia tutelato il diritto alla prova spettante alla pubblica accusa e all'imputato concorrente nel medesimo reatd o in un fatto inscindibile. Pertanto costoro possono contro-esaminare l'imputato che si è offerto come testimone. Vi è un bilanciamento: l'imputato ha il diritto "naturale" di confron tarsi con l'accusatore e di ottenere che costui risponda con un obbligo di verità tutelato penalmente in modo adeguato. n sistema misto di origine napoleonica risolve il problema con il solito compromesso. L'imputato diventa assolutamente incompatibile con la qualità di testimone, nel senso che non può neanche offrirsi volontariamente in tale ruolo davanti al giudice; ma l'incom patibilità di regola vale soltanto nel proprio procedimento penale. n suo diritto al silenzio è tutelato parzialmente attraverso la assoluta incompatibilità a testimoniare; tuttavia l'im putato non è awisato di tale diritto e non è garantito quando è interrogato dalla polizia, dal pubblico ministero e dal giudice; al punto che soltanto una evoluzione garantista del sistema misto riconosce all'imputato il diritto di essere assistito dal proprio difensore, che tuttavia non può porre domande né al proprio assistito né all'accusatore. In Italia abbiamo conosciuto la tortura dell'imputato al momento in cui era vigente il sistema inquisitorio; ricordiamo ancora ciò che ha scritto Cesare Beccaria contro tale prassi: allora le sue parole si sono diffuse in tutti i paesi civili e, in alcuni di essi, hanno ottenuto che l'istituto fosse abolito. Il legislatore italiano del 1930 ha accolto il sistema misto ma ha aggravato il fragile compromesso su cui si basava la soluzione napoleonica perché ha ampliato oltre misura i casi di connessione. Al momento della elaborazione del codice del 1988 il legislatore ha mantenuto la soluzione tipica del sistema misto probabilmente per inerzia; in più, quel codice ha introdotto la totale inutilizzabilità delle dichiarazioni rese, prima del dibattimento, dall'imputato concorrente e da quello connesso e collegato. Ad un eccesso di garanzie si è accompagnata la mancata tutela del diritto a confrontarsi con l'accusatore quando questi è, a sua volta, imputato. La legislazione successiva al codice. Una forma di compromesso così sbilanciata non ha retto; tra il 1992 ed il 1998 la Corte costituzionale ed il Legislatore hanno
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adottato soluzioni opposte, ampliando o restringendo, con alterne vicende, i limiti di utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni. Soltanto nel 1999 il Parlamento ha intro dotto, tra i princìpi del giusto processo, il diritto dell'imputato di confrontarsi con « le persone che rendono dichiarazioni a suo carico » (art. 1 1 1 comma 3 ) . Poteva essere l'occasione per accogliere la soluzione della testimonianza volontaria dell'imputato, che è tipica del sistema accusatorio e che vige nell'ordinamento angloamericano. Ed invece, la forza della tradizione, unita a posizioni corporative espresse dagli avvocati e dai magistrati del pubblico ministero, hanno prodotto, con la legge l o marzo 200 1 n. 63 , un istituto complesso, che appare difficile da gestire nella pratica. In sintesi, la legge ha conservato in favore dell'imputato e dell'imputato concor rente nel medesimo reato (art. 12 lett. a) una assoluta incompatibilità a testimoniare (art. 1 97 lett. a) , impedendo a costoro di assumere volontariamente il ruolo di testimone. Ma la medesima legge ha introdotto anche una forma di testimonianza coatta a carico degli imputati che sono accusati di aver commesso un reato connesso (art. 12 lett. c) o collegato (art. 3 7 1 comma 2 lett. b); costoro hanno l'obbligo di testimoniare se hanno reso dichiarazioni « su fatti che concernono la responsabilità di altri ». In verità, il legislatore ha tentato di evitare che che il carattere coatto della testimonianza fosse palese: a tal fine, ha imposto che gli imputati fossero previamente avvisati delle possibili conseguenze delle dichiarazioni sul fatto altrui (art. 64 comma 3 lett. c). La sede nella quale, in prima battuta, tale avvertimento viene rivolto è l'interrogatorio dell'indagato nel proprio procedimento. Ciò premesso, è giunto il momento di esporre la normativa vigente.
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L'esame di persone imputate in procedimenti connessi.
I contributi probatori dell'imputato connesso o collegato. L'imputato connesso o collegato può dare quattro tipi di contributi probatori in dibatti mento. Ciascuno di essi deve essere esaminato distintamente, poiché ha un differente regime normativa (v. tav. 2 .4 .2 ) . I tipi di contributi sono i seguenti: l ) esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato e situazioni assimilate; 2 ) esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente; 3 ) testimonianza assistita degli imputati "giudicati" ; 4) testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile. Possiamo definire "imputato connesso o collegato" l'imputato di quel procedimento che ha, rispetto al procedimento principale, un rapporto di connessione (art. 12) o di collegamento probatorio (art. 3 7 1 comma 2 lett. b) a prescindere dalla circostanza che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati. L'esame di tali soggetti rinviene la sua disciplina nell'art. 2 10, che predispone una duplice regolamentazione, in ragione del tipo di connessione che intercorre tra i procedimenti (58) . (58) Ci corre obbligo di precisare che la materia, che stiamo per esporre, si trova collocata nel codice all'interno del capo relativo all"'esame delle parti" (da noi già trattato supra). Abbiamo tuttavia preferito procedere, in questa sede, ad una analisi eparata dell'istituto in oggetto (art. 2 10) perché riteniamo che la
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l ) L'esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato (art. 12, lett. a). Il codice detta una disciplina apposita per l'imputato di un procedimento connesso nelle ipotesi di concorso nel medesimo reato e situazioni assimilate (art. 12, lett. a: cooperazione colposa o unico evento causato da condotte indipendenti di più persone). Tale soggetto, che d'ora in poi chiameremo "imputato concorrente" , è incompatibile con la qualifica di testimone, fino a che nei suoi confronti non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (art. 197 lett. a). Possiamo fare l'esempio di A e B imputati di aver commesso il furto di una autovettura in concorso tra loro. In linea generale l'imputato concorrente gode delle stesse garanzie che sono riconosciute all'imputato principale. Tuttavia, si è tenuto conto che egli è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui; sotto questo profilo, peraltro limitato, l'imputato concorrente viene assimilato al testimone perché ha l'obbligo di presentarsi (art. 2 1 0 comma 2) (59). Per tutto il resto, egli è assimilato alla figura base dell'imputato. In quanto tale, ha il diritto di non rispondere e la facoltà di mentire impunemente; inoltre, deve essere assistito da un difensore. Ove non sia presente il difensore di fiducia, deve essere designato un difensore d'ufficio (art. 2 10, comma 3 ) (60). Disciplina codicistica. Può essere utile esaminare nel dettaglio la disciplina che si ricava dal codice. L'imputato del procedimento connesso (B) è sottoposto complessità della regolamentazione predisposta dalla legge n. 63 abbia conferito a tale mezzo di prova una piena autonomia concettuale rispetto all'esame delle parti private. È appena il caso di precisare che ai fini della disciplina dell'esame dell'imputato connesso non rileva quella connessione che è disciplinata dall'art. 12, lett. b (concorso formale di reati e reato continuato) . Per sua co struzione logica, infatti, tale ipotesi postula l'esistenza di una pluralità di procedimenti a carico di un unico
imputato. (59) La disciplina in oggetto si applica sia all'imputato connesso in un procedimento separato, sia al coimputato nel medesimo procedimento, che abbia reso dichiarazioni sul fatto altrui. Con la sentenza n. 361 del 1998, infatti, la Corte costiruzionale aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 2 1 0 nella parte in cui non ne era prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni. Successivamente alla riforma del 2001 tale estensione è stata confermata da Corte cost. n. 197 del 2009. Richiamando la precedente pronuncia, il Giudice delle leggi ha affermato che una diversa soluzione determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento del coimputato rispetto all'imputato in un separato procedimento connesso. Tali soggetti si trovano in una situazione sostanziale identica, dal momento che entrambi vengono chiamati a deporre sul fatto altrui. La riunione o la separazione dei procedimenti vengono disposte per motivi meramente processuali e occasionali che non incidono su detta situazione sostanziale. Pertanto, una differente disciplina in relazione all'esame dei due soggetti risulterebbe irragionevole. (60) In giurisprudenza è discusso se l'imputato connesso abbia diritto di essere ammesso al patrocinio per i non abbienti. In senso affermativo, si sono pronunciate Cass. , sez. III, 1 1 gennaio 2002 Galati, in Giur. it. , 2002, II, 1670 e Cass., sez. III, 1 1 giugno 2002 Viti, in Cass. pen., 2003, 1589. La Suprema corte ha sottolineato che, in base alla nuova disciplina introdotta con la legge 29 marzo 200 1 , n. 134 (e successivamente recepita dall'art. 75 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 1 15), l'ammissione al patrocinio è valida per tutte le eventuali procedure, derivate ed incidentali, comunque connesse. In senso contrario, nella giurisprudenza di merito si è pronunciato Trib. S. Maria Capua Vetere, 5 novembre 2004, in Giur. mer. , 2005, 6 1 3 , sul rilievo che l'ammissione al gratuito patrocinio può essere disposta solo per il procedimento in cui il soggetto sia indagato o imputato, o altro avente diritto.
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all'esame senza che sia necessario il suo consenso (art. 2 10, comma l ) ; quello che conta è che l'esame sia stato chiesto da una delle parti del procedimento principale (A) o, nei casi previsti dalla legge, sia stato disposto d'ufficio dal giudice (es. , art. 1 95 ) . Pertanto, tale soggetto è obbligato a presentarsi per deporre nel procedimento principale (A) ; nel caso in cui non si presenti, il giudice ne ordina l'accompagnamento coattivo a mezzo della forza pubblica (art. 2 10, comma 2). Egli deve essere inserito nelle liste testimoniali almeno sette giorni prima dell'inizio del dibattimento, con l'indicazione delle circostanze sulle quali è chiamato a deporre (art. 468, mod. dalla legge n. 479 del l 999) . Inoltre, l'imputato concorrente è avvisato che ha la facoltà di non rispon dere, salvo che si tratti di una domanda sulla sua identità personale (art. 2 10, comma 4). Ancora, se l'imputato concorrente decide di rispondere, egli non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Può dire il falso senza incorrere nel delitto di falsa testimonianza perché, lo si ricorda, egli è incompatibile con il testimone (art. 1 97 ) . Gli altri reati commessi con false dichiarazioni (es. favoreggiamento) sono scusati, con il limite valido per l'imputato in base all'art. 3 84 comma l c.p.; e cioè restano punibili soltanto la calunnia e la simulazione di reato. Occorre sottolineare che la facoltà di non rispondere riguarda sia le domande sul fatto di reato addebitato all'imputato concorrente (B) , sia le domande su fatti commessi dall'imputato del procedimento principale (A) . L'imputato concorrente può tacere anche se la domanda non è suscettibile di assumere un significato autoincriminante, e cioè anche se dal fatto affermato potrebbe non emergere alcuna sua responsabilità penale. In tale situazione, l'imputato del procedimento principale (A) ha solo formalmente il diritto di controesaminare tale soggetto; costui può legittima mente rifiutarsi di rispondere a tutte o ad alcune delle domande e, comunque, può dire il falso anche se depone su di un fatto altrui (61 ) . 2 ) L'esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente. L'art. 2 10, comma 6 stabilisce un regime peculiare per gli imputati connessi teleologicamente (art. 12, lett. c) (62) o collegati (art. 3 7 1 , comma 2 , lett. b) che « non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato » (63 ) . (61) All'esame s i applicano le disposizioni previste dagli articoli 194 (oggetto e limiti della testimo nianza), 195 (requisiti della testimonianza de relato), 498 (regole relative allo svolgimento dell'esame incrociato) e 499 (regole per l'esame testimoniale, soprattutto nella parte in cui prevede che le domande debbano avere ad oggetto fatti specifici). In relazione alle contestazioni che possono essere effettuate nel corso dell'esame, l'art. 2 10, comma 5 rinvia alla disciplina predisposta per l'esame testimoniale, e cioè all'art. 500. (62) Quale ipotesi di reato commesso per eseguire un altro reato (connessione teleologica) si può citare il furto di una autovettura e la rapina compiuta utilizzando la medesima autovettura. Tale rapporto si riscontra ampliando il caso citato in precedenza: da un lato, A e B imputati del furto di una autovettura e, da un altro lato, C imputato di aver commesso una rapina servendosi della autovettura rubata. (63) Occorre ricordare che tali soggetti, se hanno reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di
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I predetti imputati, sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere (art. 2 10, comma 4) e sono altresì avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno la qualifica di teste limitatamente a tali fatti (art. 64, comma 3 , lett. c) (64). A quel punto inizia l'escussione. L'imputato connesso teleologicamente o collegato ha facoltà di tacere e, se parla, non ha obbligo di verità. Tuttavia, se rende dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, da quel mo mento egli diventa compatibile con la qualifica di testimone assistito limitata mente ai fatti dichiarati e deve rispondere su di essi con obbligo di verità (65 ) . La testimonianza assistita è una forma di testimonianza caratterizzata da particolari garanzie disciplinate dall'art. 1 97 -bis, tra le quali spicca l'assistenza difensiva e un peculiare atteggiarsi del privilegio contro l'autoincriminazione (v. in/ra, lett. g). n regime giuridico dell'esame su fatti diversi. Occorre adesso chiedersi quale sia il regime dell'esame in relazione ai fatti diversi da quelli oggetto delle altri, possono essere chiamati a deporre come testimoni assistiti (artt. 64, comma 3, lett. c e 197-bis). Si veda in/ra, par. f Merita precisare che le predette persone saranno sentite con il regime esaminato nel testo anche nell'ipotesi in cui abbiano reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, se l'autorità che ba condotto l'interrogatorio ba omesso di rivolgere l'awiso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c. In sintesi è possibile affermare che in relazione agli imputati connessi o collegati l'esame ai sensi dell'art. 210 ba natura residuale, perché si rende applicabile in tutti i casi in cui tali soggetti non possono deporre come " testimoni assistiti" . (64) L'ultimo periodo dell'art. 2 10, comma 6 stabilisce che s e i soggetti i n discorso > a norma dell'art. 606, comma l , lett. e.
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della prova, dalla quale si ricava che le dichiarazioni degli imputati connessi o collegati possono essere valutate come prova soltanto se vi sono riscontri (7 1 ) . La ratio. La ragione del regime giuridico ricavabile dall'art. 1 92 , comma 3 sta nel fatto che l'imputato è la persona che ha, di regola, l'interesse più forte in relazione all'esito del procedimento penale; egli sarà toccato sia dalle misure cautelari nel corso del procedimento, sia dalle conseguenze sulla sua libertà e sul suo onore in caso di sentenza di condanna irrevocabile. Le dichiarazioni di un imputato connesso potrebbero essere finalizzate ad " alleggerire" la propria posizione. A causa di ciò, l'imputato ha un forte interesse a dire il falso, se del caso accusando altre persone, per ottenere un qualche vantaggio o, quanto meno, un minore svantaggio; inoltre, potrebbe avere motivi per vendicarsi di un complice per un comportamento da questi tenuto (72 ). Occorre sottolineare che il codice pone il riscontro come una condizione per l'impiego della dichiarazione del coimputato, senza tuttavia eliminare in alcun modo il libero convincimento del giudice; non afferma che, se il riscontro ha avuto esito positivo, il fatto affermato deve ritenersi "vero" . Al contrario, una volta che il riscontro abbia avuto un esito positivo, il giudice dovrà verificare se la dichiarazione può essere utile a ricostruire il fatto storico in un determinato modo. Quello che conta è che il riscontro deve essere effettuato con modalità rigorose. La motivazione della decisione deve dare atto del percorso logico seguito dal giudice. Gli altri elementi di prova. A questo punto, occorre precisare le caratteri stiche di questo riscontro. Esso è particolarmente accurato, perché il codice impone di valutare " altri elementi di prova " . Non occorre che essi siano tali da permettere di provare da soli il fatto affermato dal dichiarante; è sufficiente che gli altri elementi di prova siano tali da permettere semplicemente di affermare (7 1 ) M. NoBILI, sub art. 192 c.p.p. , in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. CHIAVARlO, vol. II, Torino, 1990, 4 18, costruisce la norma come una regola di esclusione che comporta il divieto indiretto di utilizzare le dichiarazioni predette ove non vi sia il riscontro. Di conseguenza, la inutilizzabilità potrebbe essere fatta valere con ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma l, lett. c, e sarebbe rilevabile anche d'ufficio (senza la necessità di essere oggetto di un autonomo motivo di ricorso: artt. 1 9 1 , comma 2 e 609, comma 2). Viceversa, la violazione delle regole di valutazione potrebbe essere soltanto motivo di ricorso ex art. 606, comma l, lett. e (mancanza o manifesta illogicità della motivazione). Sostiene che si tratti di un criterio legale di valutazione della prova P. FERRUA, Il giudizio penale: /atto e valore giuridico, in AA.Vv., La prova nel dibattimento penale, Torino, 2007, 333. L'Autore sottolinea infatti la differenza tra regole di esclusione e criteri di valutazione. Le regole di esclusione indicano un radicale divieto di valutazione di elementi acquisiti in modo illegittimo. Viceversa, i criteri legali di valutazione non vietano al giudice di valutare una determinata prova, bensì influiscono soltanto sul valore della prova fino ad annullarlo in assenza di alcuni requisiti. In tale ottica l'art. 192 comma 3 costituisce un criterio di valutazione, giacché non prevede un radicale divieto di utilizzazione, bensì si limita a stabilire che in assenza di riscontri le dichiarazioni di imputati connessi e testimoni assistiti "valgono zero". (72) Secondo la Relazione al progetto preliminare, 6 1 , le cautele in sede di valutazione imposte dall'articolo 192 sono dovute alla « attitudine (della prova proveniente da chi è coinvolto negli stessi fatti) ad ingenerare un erroneo convincimento giudiziale >>.
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l'attendibilità del dichiarante su quel determinato punto. Resta comunque il libero convincimento del giudice: accertata l'attendibilità della dichiarazione sulla esistenza di un fatto, ciò non vuoi dire che il dichiarante debba presumersi attendibile in tutte le altre dichiarazioni rese. Se fosse così, saremmo di fronte ad una "prova legale" ; ma ciò è escluso dalla regola posta espressamente dal codice nell'art. 192 , comma l . Può accadere che l'imputato ammetta l a propria responsabilità, indicando altri come colpevoli del medesimo fatto di reato. In tal caso si ha quella che comunemente viene definita " chiamata di correo" . Ma può anche accadere che un imputato (confesso o meno su di un fatto proprio), indichi un'altra persona come responsabile di un altro fatto di reato (cosiddetta dichiarazione accusa toria) . Tutte queste situazioni rientrano nel regime giuridico particolare regolato dall'art. 1 92 , commi 3 e 4. n riscontro intrinseco. n codice precisa che il riscontro deve avere ad oggetto " altri" elementi di prova; se ne ricava che gli elementi devono essere "esterni" (o " estrinseci" ) rispetto alla dichiarazione stessa. Ma la giurisprudenza ha dedotto una ulteriore conseguenza interpretativa. Ha così ragionato: se si è imposto il più (e cioè il riscontro esterno) , si è dato per scontato che debba essere fatto il meno (e cioè, il riscontro interno alla medesima dichiarazione). Pertanto, oggetto della prima verifica deve essere la credibilità del dichiarante. La giurisprudenza afferma che la dichiarazione deve essere valutata al suo interno (riscontro intrinseco) al fine di controllare se essa è precisa, coerente in se stessa, costante, spontanea. Inoltre, si deve valutare la "genesi remota e prossima della decisione di confessare " . n riscontro estrinseco. n riscontro " esterno" può dirsi effettuato in modo pieno quando l'attendibilità della dichiarazione è dimostrata da altri elementi di tipo oggettivo. È necessario sottolineare che non sono sufficienti mere dedu zioni logiche; occorrono concrete circostanze fattuali. Il riscontro "esterno" può basarsi anche su dichiarazioni di altre persone, e cioè di altri testimoni o coimputati. La giurisprudenza riconosce che questo tipo di riscontro è ammesso, purché sia rispettata la caratteristica della " altruità" del l' elemento di prova. Pertanto le dichiarazioni altrui devono essere rigorosamente indipendenti da quella da riscontrare, e cioè non vi deve essere stato un accordo tra i dichiaranti; le altre dichiarazioni devono, a loro volta, essere riscontrate. Infine, ogni dichiarazione è frazionabile, e cioè deve essere riscontrata per ogni fatto asserito e per ogni soggetto indicato come responsabile. Alcune sentenze affermano che è necessaria una conferma di attendibilità per ciascuna delle dichiarazioni accusatorie del dichiarante e per ciascuno degli accusati (c.d. riscontro individualizzante) (73 ) . (73 ) Riepilogando: sulla base di quanto previsto dal codice, riscontro può essere definito quell'ele· mento di prova che serve a confermare la attendibilità di una dichiarazione. TI riscontro deve essere
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La testimonianza assistita.
Considerazioni generali. Come abbiamo accennato, la legge n. 63 del 2001 ha ridotto l'area della incompatibilità a testimoniare delle persone imputate in un procedimento connesso o collegato ed ha previsto speciali garanzie per i soggetti che sono costretti a deporre. All'uopo ha introdotto nel nostro ordi namento un nuovo istituto, che è denominato "testimonianza assistita" (art. 197-bis) . L'imputato è sentito con l'assistenza obbligatoria del proprio difensore di fiducia o d'ufficio, in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre (7 4 ) . n legislatore h a introdotto due categorie di testimonianza assistita (v. tav. 2 .4.2 ) . La prima scatta dopo che è concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell'imputato collegato o connesso di qualsiasi tipo (art. 197-bis, comma 1 ) . L a seconda categoria opera quando non è ancora concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell'imputato collegato o connesso teleo logicamente (artt. 3 7 1 , comma 2, lett. b e 12, lett. c) . Tali soggetti possono deporre come testimoni se hanno reso « dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri » (art. 64, comma 3 , lett. c) . La compatibilità con la qualifica di teste è limitata alla deposizione sui fatti altrui già dichiarati. Si tratta di una compatibilità parziale e condizionata (art. 197 , lett. b) . N eli' elencazione riprendiano la successione dei contributi probatori dell'imputato connesso così come l'abbiamo tracciata nel precedente § 3 , lett. e. Abbiamo già esposto la regolamentazione dell'esame dell'imputato concorrente ( l ) e dell'imputato col legato o connesso teleologicamente (2) . Completiamo adesso l'analisi degli ulteriori contributi probatori dell'imputato connesso o collegato, quando viene sentito come testimone assistito. 3 ) La testimonianza assistita dell'imputato "giudicato". n primo tipo di testimonianza assistita è quella che viene resa dall'imputato dopo che la sentenza, che lo riguarda, è diventata irrevocabile, sia essa una sentenza di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento. L'imputato giudicato può essere « sempre » chiamato (art. 1 97-bis, comma l ) come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l'avviso previsto dall'art. 64, comma 3 , lett. c (75) . In questo caso individualizzante, e cioè deve dimostrare la attendibilità della dichiarazione nella parte in cui addebita la responsabilità di un reato all'imputato connesso o collegato. (7 4) È discusso nella giurisprudenza di merito se i testimoni assistiti possano essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, stante la formulazione del ricordato art. 75 T.U.S.G. che pare riferirsi esclusivamente agli imputati in senso stretto. La soluzione favorevole alla ammissione di tali soggetti è stata accolta da Trib. Roma, 24 maggio 2005, Marocchi, in Cass. pen., 2005, 2744. (75) Così Cass., sez. VI, 6 novembre 2006, Simonetti, in Cass. pen., 2008, 2028; Cass., sez. I, 9 maggio
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l'imputato connesso o collegato "giudicato" è testimone "permanente" . Infatti, l'obbligo di rispondere secondo verità non è limitato al fatto altrui su cui ha già reso dichiarazioni. Egli potrà essere esaminato anche su fatti ulteriori rispetto a quelli già dichiarati ed anche sul fatto proprio (76). Nel corso della deposizione egli gode del normale privilegio contro l' autoincriminazione, predisposto dall'art. 198, comma 2 , in relazione ad ulteriori reati che abbia commesso. Tale norma è applicabile in quanto rientra nella disciplina generale relativa alla testimonianza. Viceversa, il testimone assistito "giudicato" di regola non gode di alcun privilegio contro l' autoincriminazione sul fatto proprio coperto dalla sentenza irrevocabile. Evidentemente il legislatore ritiene che l'interesse difensivo si sia affievolito, poiché è operante l'efficacia preclusiva del ne bis in idem (art. 649) . Tuttavia in un caso almeno il legislatore tutela un interesse del dichiarante: questi, quando è stato condannato con sentenza irrevocabile, gode del privilegio sul giudicato se nel procedimento originario aveva negato la sua responsabilità (anche rendendo dichiarazioni) o non aveva reso alcuna dichiarazione (art. 1 97bis, comma 4, primo periodo) (77 ) . In questa ipotesi il privilegio contro l'au toincriminazione è posto a presidio dell'onore del condannato. È ovvio che in tal caso non è tutelato il diritto dell'accusato a confrontarsi con il suo accusatore. Quale ulteriore garanzia, riconosciuta a tutti coloro che depongono come testimoni assistiti, l'art. 1 97 -bis, comma 5 stabilisce che le dichiarazioni rese da costoro « non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel 2006, A., in Cass. pen., 2007, 4261 ; Cass., sez. VI, 7 maggio 2003, Brambilla, in Cass. pen., 2005, 557; Cass., sez. VI, 4 aprile 2003 , Vitale, in Cass. pen., 2004, 2963. (76) Secondo Cass., sez. VI, 7 febbraio 2007, in CED Cass. , 235922, è configurabile il delitto di falsa testimonianza nei riguardi di chi, già imputato in procedimento connesso o collegato definito con sentenza irrevocabile, abbia deposto senza la dovuta assistenza del difensore. (77) Si veda Trib. Milano, sez. VIII penale, 24 aprile 200 1 , Beraldi e altri, in Foro ambr. , 200 1 , 360: « la norma di cui al comma 4 dell'art. 197 -bis c.p.p. riconosce testualmente l'esenzione dall'obbligo di deporre solo a favore dei soggetti "per i quali è stata pronunziata in giudizio sentenza di condanna". Come risulta evidente dalla lettera della norma ed è altresì confermato dall'esame dei lavori preparatori, il riferimento alle sentenze di condanna pronunziate "in giudizio" vale ad escludere l'operatività del diritto al silenzio nei confronti di coloro che abbiano riportato sentenze di applicazione (della) pena ai sensi dell'art. 444 e ss. c.p.p. >>. La disciplina appena esposta ha dato luogo a dubbi di costituzionalità. Tuttavia, con ordinanza 28 dicembre 2007, n. 456, in Giur. cast. , 2007, 4920, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di incostituzionalità dell'art. 197 -bis comma 4 nella parte in cui non riconosce il privilegio al soggetto che ha patteggiato quando questi nel procedimento a suo carico aveva negato la propria responsabilità o non aveva reso alcuna dichiarazione. A parere della Consulta, l'imputato, nell'optare per il rito alternativo è posto ex ante nella condizione di apprezzare le conseguenze che scaturiscono da tale scelta, tra le quali, appunto, anche quella di non essere esonerato dal deporre come teste in altri processi, anche se strettamente collegati a quello per il quale ha subito la applicazione della pena. Resta, tuttavia, problematico negare ai soggetti in parola, che si trovino a rendere false dichiarazioni al fine di tutelare il proprio onore, l'applicazione della scusante prevista dall'art. 384, comma l, c.p. Secondo Trib. Genova, 16 settembre 2006, in Corr. mer. , 2007, 761, nel caso in cui si proceda per il reato di false informazioni al pubblico ministero, non è punibile la persona, imputata in un procedimento connesso che abbia già definito la propria posizione processuale con sentenza di patteggiamento passata in giudicato, che sia stata sentita ai sensi dell'art. 197-bis nell'ambito del procedimento a carico degli originari concorrenti, allorché le dichiarazioni false o reticenti siano giustificate dall'esigenza di salvare il proprio onore ai sensi dell'art. 384 c.p.
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procedimento a suo carico, nel procedimento di revlSlone della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette » (78) . Infine, l'art. 1 97 -bis comma 6, mediante un richiamo all'art. 192 comma 3 , stabilisce che le dichiarazioni dei testi assistiti sono utilizzabili soltanto in presenza di riscontri che ne confermino l'attendibilità. La necessità dei riscontri è imposta dal legislatore perché gli imputati connessi o collegati sono ritenuti poco affidabili: nonostante la sentenza irre vocabile, è ancora forte l'interesse a mentire che deriva dal legame tra il processo a loro carico (ormai concluso) e quello nel quale sono chiamati a deporre (79). L'imputato assolto con sentenza irrevocabile "per non aver commesso il fatto". Fino al 2006 la disciplina appena esposta si applicava a tutti gli imputati
nei cui confronti fosse intervenuta sentenza irrevocabile, anche di assoluzione. Con la sentenza 2 1 novembre 2006 n. 3 8 1 (80), tuttavia, la Corte costituzionale ha affermato che l'imputato assolto con sentenza irrevocabile "per non aver com messo il fatto " deve essere trattato in modo simile al testimone comune. Ad avviso del Giudice delle leggi, infatti, l'assoluzione irrevocabile con formula piena pro clama la totale estraneità del soggetto rispetto al fatto, resa ancor più stabile dal principio del ne bis in idem, in base al quale il processo non potrà più essere riaperto (art. 649). In conseguenza della dichiarazione di illegittimità dei commi 3 e 6 dell'art. 1 97 -bis l'imputato, assolto con sentenza irrevocabile "per non aver commesso il fatto" , deve essere esaminato quale testimone senza l'assistenza di un difensore e senza che sia indispensabile acquisire un riscontro esterno (81). (78) La Cassazione h a sottolineato che la sanzione dell'inutilizzabilità è prevista solo nel caso in cui di queste dichiarazioni si faccia uso contro la persona che le ha rilasciate. Si veda Cass. , sez. Il, 7 luglio 2004, Ambrosia; Cass., sez. VI, 26 novembre 2007, F., in CED Cass. , 238720 che sulla base di tale rilievo ha ritenuto utilizzabili ai fini delle misure cautelari le dichiarazioni rese da un coindagato senza l'assistenza del difensore. (79) La giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di cimentarsi in più tempi sul quantum di riscontri necessario in relazione alla qualifica del dichiarante (Cass. , sez. V, 10 aprile 2006, Brancatelli e altri, in Guida dir. , 2006, 25, 95 ) . Da qualche giudice di merito si era prospettato, infatti, che la qualità di testimone assistito, con il relativo obbligo di verità, rendesse meno p regnante l'obbligo del riscontro delle dichiarazioni (Ass. Palermo, sez. IV, 18 aprile 2007, R. e altro, in Giur. merito 2008, 2607 ). Secondo Cass., sez. Il, 3 maggio 2005, in Foro ambrosiano, 2005, 298, una simile distinzione sarebbe non soltanto arbitraria (in forza del brocardo ubi !ex non distingui! nec nos distinguere debemus), ma anche priva di qualsiasi logica e coerenza sistematica, posto che la valutazione di attendibilità presuppone verifiche variabili che non possono porsi in rapporto esclusivo con le qualità processuali del dichiarante, ma devono tener conto di tutta l'ampia e innominata gamma dei parametri (anche di ordine logico) che possono fungere da criteri di apprezzamento dei riscontri esterni del narrato. Sotto un differente profilo, la Suprema Corte ha chiarito che la dichiarazione liberatoria di un coimputato o di un testimone assistito non può costituire da sola prova nuova tale da giustificare una richiesta di revisione, dal momento che occorre la presenza di riscontri: Cass., Sez. I, 4 aprile 2007, P., in Cass. pen. , 2008, 2979. (80) In Guida dir. , 2006, 46, 75, con nota di G. FRIGO, e in Dir. pen. proc. , 2007, 3 16, con nota di C. CoNTI. ( 8 1 ) La Corte costituzionale ha richiamato, senza smentirla, la precedente ordinanza 2 luglio 2004, n. 265, in Giur. cast. , 2004, 2704, con la quale aveva esaminato, sotto un profilo identico, l'ipotesi dell'imputato
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Occorre peraltro tenere presente che nei confronti dell'assolto con formula piena resta comunque operativa la garanzia stabilita dall'art. 1 97 -bis comma 5 , in base al quale le dichiarazioni non sono utilizzabili contro colui che le h a rese in qualunque processo civile o amministrativo relativo ai fatti oggetto della sentenza irrevocabile. Infatti, la Corte non ha esteso la declaratoria a tale disposizione (82). 4) I testimoni assistiti prima della sentenza irrevocabile. Esaminiamo adesso la seconda categoria di testimonianza assistita, che concerne soltanto l'imputato collegato o quello connesso teleologicamente, prima che nei loro confronti sia intervenuta la sentenza irrevocabile (artt. 3 7 1 , comma 2, lett. b e 12, lett. c) (83 ) . Occorre precisare in presenza di quali presupposti scatti l'obbligo di deporre come testimone. In primo luogo, è necessario che l'imputato sia stato ritualmente avvisato che « se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà ( . . . ) l'ufficio di testimone » (art. 64, comma 3 , lett. c) (84 ) . Per /atto altrui s i deve intendere un "fatto che concerne la responsabilità" di altri per un reato connesso o collegato (ai sensi degli artt. 12, lett. c e 37 1 , comma 2 , lett. b) con quello addebitato al dichiarante (art. 64, comma 3 , lett. c) . In secondo luogo, una volta avvertito, l'imputato collegato o connesso tele ologicamente deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui. È sufficiente che l'imputato abbia reso una dichiarazione su di un "fatto che concerne la respon sabilità di altri" per un reato collegato o connesso teleologicamente (artt. 12, lett. connesso per concorso nel medesimo reato, nei cui confronti fosse stata emessa sentenza irrevocabile di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444. In tale occasione, il Giudice delle leggi aveva ritenuto infondata la questione di costituzionalità dell'art. 197-bis comma 6, nella parte in cui stabilisce l'obbligo dei riscontri, sul rilievo che la previsione di varie tipologie di dichiaranti nel processo penale (dal testimone comune all'imputato connesso concorrente nel medesimo reato) si basa su di un principio di graduazione che muove dai diversi > rispetto ai fatti oggetto del procedimento. Ebbene, ad awiso della Corte costituzionale, la sentenza irrevocabile di patteggiamento non è idonea a rescindere ogni legame tra il soggetto e il processo nel quale è chiamato a deporre, quanto meno nel caso di concorso nel medesimo reato. (82) L'interesse dell'assolto irrevocabile "per non aver commesso il fatto" è affievolito, ma non annullato. Si consideri la seguente ipotesi. Una signora, accusata dell'omicidio del proprio marito, è stata assolta con sentenza irrevocabile. Successivamente viene chiamata a deporre in qualità di testimone nel processo contro il sicario (art. 197-bis, comma 1 ) . Di fronte alla domanda se è stata lei la mandante dell'assassinio, la signora rifiuta di rispondere. Poiché ella non gode di alcun privilegio ai sensi dell'art. 197 -bis comma 4, è iniziato nei suoi confronti un processo per falsa testimonianza nella forma della reticenza. Nel processo la signora è stata prosciolta in applicazione dell'art. 384 comma l c.p. in base al quale non è punibile per falsa testimonianza colui che ha agito per salvare se stesso da un grave e inevitabile pregiudizio nella libertà o nell'onore (caso tratto da Trib. Genova, 14 ottobre 1997, Fortunato, in Cass. pen., 1998, 3419) . (83) Fanno parte d i questa categoria gli imputati collegati o connessi teleologicamente nei cui confronti sia stata pronunciata l'archiviazione al termine delle indagini o il non luogo a procedere al termine dell'udienza preliminare. (84) In proposito merita ricordare che l'art. 64, comma 3 -bis vieta espressamente di far assumere la qualifica di testimone assistito all'imputato connesso o collegato che ha reso dichiarazioni su fatti altrui in mancanza dell'awiso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c.
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c e 3 7 1 , comma 2 , lett. b) . In particolare non è necessario che l'imputato sia consapevole delle conseguenze accusatorie, derivanti dalla propria dichiarazione. L'imputato collegato o connesso teleologicamente prende l'impegnativa di deporre secondo verità (art. 497 ) , sia pure limitatamente al fatto altrui già dichiarato. Egli è assistito obbligatoriamente dal difensore di fiducia (o d'uffi cio) in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre. D fatto che concerne la responsabilità altrui. Ci si è chiesti se l'imputato, al momento della dichiarazione, sia in grado di riconoscere il fatto come "altrui" . Riteniamo che non sempre ciò sia possibile. Accade spesso che un fatto soltanto successivamente rilevi come circostanza a carico di altri; tale rilevanza poteva essere ignota ex ante a colui che ha reso la dichiarazione. A volte avviene che soltanto con il deposito degli atti il difensore si accorga della idoneità di una narrazione a coinvolgere altre persone; tale idoneità poteva essere imprevedibile nel momento in cui la dichiarazione era stata resa. Così può accadere che l'imputato renda dichiarazioni, che induttivamente sono rilevanti per accertare un fatto che riguarda la responsabilità di una persona. Il coinvolgimento può essere assolutamente imprevedibile, perché la rilevanza (accusatoria o liberato ria) potrebbe essere causata da fatti scoperti successivamente (85 ) . Possiamo ora esporre analiticamente l a disciplina delineata dall'art. 1 97 -bis in relazione alla categoria di testimone assistito qui oggetto di esame. In merito alla inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni rese nel corso dell'esame ed alla disciplina dei riscontri, vale la stessa regolamentazione esposta supra in relazione ai testimoni assistiti "giudicati" (art. 197 -bzs, commi 5 e 6) (86) . Per quanto concerne il privilegio contro l'autoincriminazione, esso segue particolari cadenze che tengono conto dello status del dichiarante (87 ) .
(85) I n tal senso P . FERRUA, La dialettica Camera-Senato migliora il "giusto processo", i n Dir. giust., 200 1 , l , 8 1 ; C. CoNTI, Le nuove norme sull'interrogatorio dell'indagato (art. 64 c.p.p.), i n AA.Vv., Giusto processo, cit., 191. (86) Con l a già ricordata ordinanza 22 luglio 2004, n. 265, la Corte costituzionale ha affermato che non esiste una totale equivalenza delle figure del teste ordinario e del teste " assistito". Ad awiso della Corte, la norma che impone i riscontri trova la sua ratio fondante nella considerazione che chi è stato imputato in un procedimento connesso o collegato, anche dopo la sentenza irrevocabile, >. La Corte ha lasciato soltanto un minimo spazio al libero convincimento affermando che . Tali ipotesi « potrebbero quindi suggerire una disciplina differenziata in tema di
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Nella giurisprudenza di legittimità, peraltro, si sono registrate differenti so luzioni, che hanno provocato una insanabile spaccatura (93 ) . Con una recente pronuncia, le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto il contrasto nel modo seguente (94). Da un lato, hanno limitato l'interpretazione, fin qui prospettata, all'imputato nei cui confronti sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere. Da un altro lato, hanno prospettato una soluzione innovativa, con riferi mento all'indagato nei cui confronti sia stata disposta archiviazione, prendendo nettamente le distanze rispetto alla ricordata tesi della Corte costituzionale (ord. 76/2003 ). Ad avviso della Cassazione, la persona, nei cui confronti sia stata disposta archiviazione, ha perso la qualifica di "indagato" . Per questo motivo, tale persona sfugge all'ambito applicativo dell'incompatibilità a testimoniare (art. 1 97 ) . Infatti, l'art. 61 estende l'art. 197 ai soli soggetti "indagati" in pendenza delle indagini a loro carico. Poiché l'archiviato non è più "indagato" - dal momento che le indagini a suo carico si sono concluse - egli deve essere sentito come testimone comune (art. 198). A nostro avviso, la soluzione delle Sezioni Unite lascia senza tutela l'archi viato, nonostante tale persona si trovi in una situazione delicatissima. In qualunque momento, infatti, le indagini a suo carico possono essere riaperte sulla base degli evanescenti presupposti stabiliti all'art. 4 14, e cioè la mera esigenza di nuove investigazioni (95 ) . compatibilità con l'ufficio di testimone >>. Infine, la Corte ha precisato che una eventuale disciplina apposita in relazione all'archiviazione dovrebbe avere ad oggetto tanto i casi previsti dall'art. 4 1 1 , quanto le ipotesi regolate dall'art. 408 (archiviazione per infondatezza della notizia di reato). Nella successiva ordinanza n. 250 del 2003 la Corte costituzionale ha sottolineato che anche l'archivia zione per infondatezza della notizia di reato ex art. 408 sottende una varietà infinita di ipotesi in relazione alle quali si potrebbe giustificare una disciplina differenziata in relazione alla incompatibilità a testimoniare. Pertanto una eventuale modifica appare rimessa alla discrezionalità del legislatore. Sull'argomento, v. amplius C. CONTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003 , 202 ss. (93) Un primo indirizzo ha equiparato i soggetti in esame agli imputati giudicati con sentenza irrevocabile, attraverso una integrazione analogica degli epiloghi procedimentali menzionati espressamente dall'art. 197-bis. ln base a tale orientamento la corretta qualifica processuale è quella di testimone assistito. In tal senso, Cass. sez. V, 25 settembre 2007, Costanza, in Cass. pen., 2008, 2812. V. anche Cass., sez. VI, 28 febbraio 2007, Simonetti, in Cass. pen., 2008, 1490, con riferimento a quelle ipotesi nelle quali la sentenza di non luogo a procedere è stata pronunciata con una formula in relazione alla quale in concreto non appare profilabile un provvedimento di revoca. Si tratta, in particolare, dei casi in cui il non luogo a procedere è stato emesso per estinzione del reato. Un secondo indirizzo ha accolto la soluzione prospettata dalla Corte costituzionale (ord. 76 del 2003 ) , secondo cui i soggetti i n questione devono essere equiparati agli imputati con procedimento pendente. Cfr. Cass., sez. III, 8 giugno 2007, P., in CED Cass. , 237073; Cass., sez. V, 15 marzo 2007, Grimaldi, in Cass. pen. , 2008, 1987; Cass., sez. VI, 14 giugno 2005, G. e altri; Cass., sez. VI, 1° febbraio 2005 , Gilbo, in Cass. pen. , 2006, 3 7 10; Cass., sez. II, 15 maggio 2003 , Scumaci, in CED Cass. , 226279. Nella giurisprudenza di merito si è registrato anche un terzo indirizzo minoritario secondo cui tali soggetti devono essere considerati testimoni comuni interpretando l'art. 197 in base al canone ubi lex voluz't dixit; tra le tante pronunce, Trib. Fermo, 1 1 febbraio 2003 , in Arch. n. proc. pen., 2003 , 145. (94) Cass., sez. un., decisione del 1 7 dicembre 2009- 29 marzo 2010, n. 12067, De Simone, in www.dirittoegiustizia.it, 10 aprile 2010. (95) Così Cass., sez. IV, 1 9 febbraio 2004, Cagnino, in Cass. pen., 2005, 2038 con riferimento al
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n "collaboratore di giustizia ". La legge 13 febbraio 200 1 , n. 45 , recante « modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia », ha mutato la disciplina previgente, stabilita dal decreto legge 15 gennaio 199 1 , n. 8 conv. nella l. 15 marzo 199 1 , n. 82. La modifica legislativa ha reso più stringenti i requisiti che consentono agli imputati ed ai condannati di diventare collaboratori di giustizia e di ottenere misure di protezione, benefici processuali (art. 16-quinquies, l. n. 82 del 199 1 ) e penitenziari (art. 16-nonies, l . n. 82 del 199 1 ) . In particolare, l a persona, che h a manifestato l a volontà di collaborare, entro centottanta giorni deve fornire al pubblico ministero « tutte le notizie in suo possesso utili alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogato nonché degli altri fatti di maggiore gravità ed allarme sociale di cui è a conoscenza oltre che alla individuazione e alla cattura dei loro autori ed altresì le informazioni necessarie perché possa procedersi alla individuazione, al sequestro e alla confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità dei quali essa stessa o, con riferimento ai dati a sua conoscenza, altri appartenenti a gruppi criminali dispongono direttamente o indirettamente ». Le sue dichiarazioni sono poi trasfuse nel c.d. verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione (art. 16-quater, comma l , l. n. 82 del 1 99 1 ) . Attraverso l a sottoscrizione di tale verbale, il collaboratore di giustizia si impegna per il futuro a rendere dichiarazioni su quei fatti ( ''propri" o "altrui" ) che sono riconducibili alle informazioni in esso contenute, pena l a perdita dei benefici riconosciuti in base al programma di protezione (art. 13 -quater, l. n. 82 del 1 99 1 ) . Pertanto, il collaboratore di giustizia ha un obbligo di verità sulla effettività del quale può incidere direttamente la pubblica accusa. È appena il caso di sottolineare che, in concreto, il collaboratore di giustizia sarà sentito come imputato connesso o come testimone assistito a seconda del tipo di legame che intercorre tra il proprio procedimento e quello nel quale è chiamato a deporre e a seconda dell'oggetto delle precedenti dichiarazioni. h.
Considerazioni sulla disciplina della prova dichiarativa.
n carattere coattivo della testimonianza assistita. La dottrina si è posta il problema se quella prevista nell'art. 1 97 -bis sia una testimonianza volontaria o coatta. Alcuni ritengono che la testimonianza assistita sia volontaria per due motivi: in primo luogo perché sono dati all'indagato gli avvisi che « ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda ( . . . ) » e che « se renderà dichiarazioni su fatti altrui, assumerà l'ufficio di testimone » (art. 64, comma 3 , lett. b e c); in decreto di archiviazione. È appena il caso di sottolineare che, se l'archiviazione è stata disposta in relazione a vicende autonome, diverse e prive di collegamento, il dichiarante non è incompatibile come testimone. In tal senso si è espressa Cass., sez. VI, 4 novembre 2004, Zarnberlan, in Cass. pen., 2005, 3966.
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secondo luogo perché il testimone in questione gode comunque del privilegio contro l'autoincriminazione (artt. 1 97-bis comma 4; 1 98 comma 2). In realtà, gli avvisi sono dati nel momento in cui una persona è sentita come indagato e non sempre questi è in grado di comprendere se ciò che dichiara può comportare oggettivamente una responsabilità altrui. In ogni caso, una volta che sia stato integrato il presupposto, l'imputato è "costretto" a presentarsi come testimone assistito. È vero che costui gode ancora del privilegio contro l' autoincriminazione quando gli è posta una domanda che comporta una responsabilità penale; in effetti, sul fatto proprio può non rispondere, nonostante che questo sia inscin dibile dal fatto altrui già dichiarato. Tuttavia, anche il comune testimone gode del privilegio contro l'autoincriminazione (art. 198, comma 2); e con ciò a nessuno è mai venuto in mente di affermare che la sua deposizione sia volontaria. Un simile ragionamento porterebbe ad affermare che tutte le testimonianze sono volontarie solo perché ogni testimone gode del privilegio contro l' autoincriminazione; il che appare insostenibile. Ecco allora che la sola esistenza del privilegio non fa diventare volontaria una testimonianza assistita, che resta coatta (96). L'imputato, che sia stato citato, deve presentarsi e non se ne può andare finché gli sono poste domande. La testimonianza sarebbe configurabile come volontaria soltanto se l'impu tato si offrisse come testimone davanti al giudice in situazione di parità rispetto al pubblico ministero (97 ) . In base alla legge n . 63 del 200 1 , l'imputato collegato o connesso ex art. 12, lett. c, è " costretto" a diventare testimone assistito in un procedimento separato. Ma può anche accadere che diventi testimone nel proprio procedimento, se questo è stato riunito, ai sensi dell'art. 17, con quello connesso o collegato (98). Come abbiamo accennato in precedenza, tutto ciò comporta che l'imputato all'interno del proprio procedimento può essere costretto a testimoniare su di un fatto collegato o connesso (artt. 12 lett. c; 3 7 1 comma 2 lett. b), quando il relativo procedimento sia stato riunito al proprio. Questa scelta determina una netta inversione di tendenza rispetto alle garanzie fondamentali previste sia nel modello inglese, sia in quello francese. La testimonianza "ad intermittenza ". Occorre sottolineare che l'obbligo di verità, imposto all'imputato "testimone assistito" con procedimento pendente, (96) In tal senso, si veda anche C. CoNTI, L'esimente prevista dall'art. 384 c.p. tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l'accusatore, in AA.Vv., Giusto processo, cit., 146 ss. (97) È quello che è stato previsto in un progetto di riforma. Cfr. P. FERRUA, P. ToNINI, Testimonianza volontaria dell'imputato e tutela del contraddittorio, in Cass. pen. , 2000, 2868. (98) Infatti nell'art. 197 -bis non si pone il requisito che si tratti di un imputato nei confronti del quale
"si procede separatamente", a differenza di quanto è previsto per l'imputato connesso nell'art. 2 10, comma
l . il requisito era stato posto dalla Commissione Giustizia della Camera nel progetto intermedio approvato nel giugno 2000; ma era stato successivamente abbandonato.
II.IVJ .h
I mezzi di prova
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riguarda soltanto il fatto altrui già dichiarato in precedenza. Su tutto il resto, e cioè su fatti differenti da quelli altrui già dichiarati, il testimone è incompatibile fino alla sentenza irrevocabile (99). Tale conclusione si ricava dall'art. 1 97 , lett. b, che mantiene la incompatibilità « salvo quanto previsto dall'art. 64, comma 3 , lett. c ». Se egli è incompatibile con la veste di testimone, ne consegue che può essere sentito soltanto come imputato collegato o connesso (art. 2 10). In tale qualità, egli potrà nuovamente rendere dichiarazioni su fatti altrui, ma lo farà ai sensi dell'art. 2 10, comma 6 quindi con il diritto di non rispondere e la facoltà di mentire. Come abbiamo esposto in precedenza, dopo che ha coinvolto la responsabilità altrui, potrà essere nuovamente sentito come testimone assistito su tale punto. Poco per volta, si restringe l'area del diritto al silenzio e della facoltà di mentire (100). Tutto ciò comporta aspetti organizzativi di non poco conto. Il Parlamento ha creato una nuova figura di testimone " a intermittenza " . Con il risultato prevedibile che si moltiplicheranno le eccezioni tendenti a negare che il fatto dichiarato sia "altrui" ai sensi dell'art. 64, comma 3 , lett. c. Una simile disciplina si pone in conflitto con l'art. 1 1 1 , comma 2 Cost. , in base al quale la legge deve assicurare la ragionevole durata del procedimento ( 10 1 ) . L a soluzione normativa deve essere censurata perché l'obbligo di rispon dere è il naturale contraltare del diritto a confrontarsi con l'accusatore. Tale diritto esiste soltanto quando l'accusatore è costretto a rispondere secondo verità. Viceversa, in base all'art. 1 97-bis, comma 4 l'accusatore può non rispondere adducendo che la domanda ha per oggetto un fatto che comporta la propria responsabilità. E ciò avviene anche quando l'accusatore ha reso le sue dichiarazioni davanti al giudice. Possiamo chiederci quanto sia utile ad un accusato porre domande soltanto su quello che l'accusatore ha già dichiarato, quando non può porgli ulteriori domande per ottenere risposte, dalle quali si potrebbe ricavare che questi è non credibile o non attendibile. Ciò non pare attuare nel suo spirito autentico quel diritto a confrontarsi con l'accusatore che è ormai costituzionalmente ricono sciuto (art. 1 1 1 , comma 3 ) . (99) Tale aspetto non è preso in considerazione da V . SANTORO, Il cambio da coimputato a teste esalta il confronto, in Guida dir. , 200 1 , 1 3 , 47; D. CARCANO e D. MANZJONE, Il giusto processo. Commento alla legge l " marzo 2001, n. 63, in Quad. Dir. giust. , supplemento al fase. 15, Milano, 200 1 , 32; G. CoNTI, Un /reno alla facoltà di non rispondere per non vanificare il contraddittorio, in Dir. giust. , 200 1 , 1 0- 1 1 , 24. ( 100) Cfr. C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003 , 264. L'area dell'obbligo di rispondere secondo verità è pertanto "oggettivamente limitata" in quanto riguarda solamente i fatti altrui sui quali l'imputato connesso teleologicamente o collegato ha già reso dichiarazioni. Essa, tuttavia, è suscettibile di progressiva espansione attraverso dichiarazioni rese dal mede simo soggetto su fatti altrui ulteriori che non erano stati in precedenza esposti. ( 1 0 1 ) Sul problematico rapporto tra garanzie dell'imputato ed efficienza del processo, si veda V. GREVI, Spunti problematici sul nuovo modello costituzionale di "giusto processo" penale (tra "ragionevole durata", diritti dell'imputato e garanzia del contraddittono), in Pol. dir. , 2000, 423.
3 14
Profili generali del procedimento penale
II.IV.3 .h
I profili di criticità della soluzione accolta dalla legge n. 63. La disciplina
predisposta dal legislatore appare criticabile sotto molteplici profili. Anzitutto, sul piano dei rapporti tra imputato accusato ed imputato accusatore. Per un verso, è rimasto intatto il nocciolo duro della incompatibilità a testimoniare che colpisce gli imputati in procedimenti connessi per concorso nel medesimo reato (art. 12, lett. a). Tali soggetti possono accusare altri dicendo il falso impune mente e, poi, decidere di tacere. Per un altro verso, il meccanismo predisposto dagli artt. 64 e 197 -bis appare lesivo del diritto di difesa degli imputati in procedimenti connessi teleologica mente (art. 12, lett. c) o collegati (art. 37 1 , comma 2 , lett. b) sotto due profili. Anzitutto tali soggetti perdono il diritto al silenzio sul fatto altrui in una sede non garantita dalla presenza del giudice, e cioè nel corso dell'interrogatorio svolto dall'inquirente. Ciò può comportare un sacrificio irreparabile della propria strategia difensiva ( 102) . E poi, l a facoltà di tacere sui fatti oggetto del procedimento a proprio carico (art. 1 97-bis, comma 4) appare una garanzia di facciata, o quanto meno ad "ampiezza variabile" ( 103 ). Infatti, l'ambito applicativo del diritto al silenzio sul fatto proprio è deciso di volta in volta dall'autorità procedente in relazione alla singola domanda. È pur vero che l'art. 197 -bis prevede una norma di chiusura in base alla quale le dichiarazioni rese dal testimone assistito non possono essere utilizzate nel procedimento a proprio carico. Tuttavia, l'inutilizzabilità non vale a neutralizzare qualunque pregiudizio possa derivare dall'aver reso dichiara zioni contra se (l 04) . Anche sul versante del diritto a confrontarsi con l'accusatore la disciplina appare deludente. In primo luogo, l'attuazione di tale diritto è subordinata all'ampiezza con la quale viene riconosciuto al teste assistito il diritto al silenzio sul fatto proprio. Più ampia sarà l'area coperta dal diritto al silenzio, più limitato sarà il diritto al confronto. In secondo luogo, anche se il diritto al silenzio fosse circoscritto al minimo indispensabile, è comunque inaccettabile che l'accusatore possa continuare, anche di fronte al giudice, a rendere dichiarazioni contro altri ed a tacere sul fatto proprio, o su quegli aspetti del fatto altrui che siano inscindibilmente legati ( 102)
Non vogliamo riconoscere all'imputato diritti incondizionati. Anzi, siamo convinti che egli
possa rinunciare anche al diritto al silenzio sul fatto proprio. Tutto dipende dalle garanzie che circondano la sede nella quale la rinuncia è effettuata.
( 103 )
In tal senso C. CoNTI,
Le nuove norme sull'interrogatorio dell'indagato (art. 64 c.p.p.), in AA.Vv.,
Giusto processo, cit., 1 9 1 . ( 1 04)
L e dichiarazioni potrebbero recare u n pregiudizio nell'onore; potrebbero essere utilizzate come
punto di partenza per la ricerca di nuove prove; infine, potrebbero indurre
il giudice a far pressione su altre
risultanze probatorie urilizzabili, al fine di pervenire comunque ad una sentenza di condanna conforme al suo intimo convincimento. Si richiama M. NoBILI,
penale?, in Dir. pen. proc. , 200 1 , 7 .
Giusto processo e indagini dzfensive: verso una nuova procedura
II.IV.3 .h
I mezzi di prova
3 15
al proprio. La disciplina in oggetto, a ben vedere, sacrifica entrambi i diritti contrapposti, senza trovare un bilanciamento convincente. In sintesi, la legge n. 63 del 2001 ha escluso drasticamente l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese prima del dibattimento, ma non ha al contempo garantito all'accusato il diritto a confrontarsi con l'accusatore ( 105) . C'è il rischio che il dibattimento divenga nuovamente il luogo del silenzio, con un sostanziale svuotamento dei princìpi che l'art. 1 1 1 Cost. aveva affermato con tanto vigore ( 106) . Ci possiamo chiedere a quale prezzo il Parlamento abbia garantito il diritto al silenzio del coimputato del medesimo reato (art. 12, lett. a). Ci pare che lo abbia garantito obbligando gli imputati collegati o connessi (ai sensi dell'art. 12, lett. c) a deporre come testimoni. Come abbiamo accennato, la formula dell'art. 64, comma 3 , lett. c ha una latitudine amplissima. Basta aver reso dichiarazioni su di un "fatto che concerne la responsabilità di altri" . Non è richiesto un elemento soggettivo, e cioè l'intento o la consapevolezza di portare prove contro un altro. Così può accadere che l'imputato renda dichiarazioni, che induttivamente sono rilevanti per accertare un fatto dal quale deriva la responsabilità di una persona. li coinvolgimento può essere assolutamente imprevedibile, perché la rilevanza accusatoria potrebbe essere causata da fatti scoperti successivamente ( 107) . ( 1 05 ) Nel progetto alternativo, che avevamo predisposto insieme al Paolo Ferrua (Testo e Relazione si possono consultare in Cass. pen. , 2000, 2868), l'imputato compare in giudizio avendo sempre la libertà di scegliere fra tacere, rendere dichiarazioni spontanee senza l'obbligo di verità o, infine, deporre come testimone. Nessuno può commentare negativamente la sua scelta di non rendere dichiarazioni o di non testimoniare. Peraltro, una norma apposita esclude ogni rilevanza probatoria derivante dalla scelta di tacere. il progetto è coerente con il sistema accusatorio, nel quale l'imputato decide liberamente se offrirsi come testimone; presuppone una mentalità garantista, che veda nell'imputato una persona presunta innocente fino a prova contraria. Prima del dibattimento, l'imputato è libero di tacere o mentire davanti alla polizia o al pubblico ministero, in situazioni nelle quali possono essere messi in atto mezzi subdoli, anche se legali, per indurlo a parlare. Ciò che dice è, di regola, inutilizzabile in dibattimento. Nonostante che abbia reso dichiarazioni anche su fatti altrui, l'imputato arriva in dibattimento libero di non parlare. Qui viene tutelato pienamente il diritto al silenzio. Se intende parlare, può farlo rendendo dichiarazioni spontanee senza esame incrociato o offrendosi come testimone. In tal caso, ha l'obbligo di verità sul fatto che gli è addebitato, ma mantiene il privilegio contro l'autoincriminazione su altri reati che abbia commesso. A questo punto, se davanti al giudice dà una prova contro un altro imputato, allora perde completa· mente il privilegio, perché prevale il diritto dell'accusato a confrontarsi con l'accusatore. ( 1 06) In relazione al coimputato nel medesimo reato la C. cost. con sentenza 26 novembre 2002 n. 485 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione: >. ( 107) In tal senso P. FERRUA, La dialettica Camera-Senato migliora il "giusto processo", in Dir. giust., 200 1 , l, 8 1 ; C. CoNTI, Le nuove norme, cit., 335. Nell'esempio che abbiamo esposto qualche pagina addietro, il ladro A può aver descritto un particolare dell'auto rubata ritenendolo un fatto neutro. Nel corso del processo si accerta che quel particolare è stato osservato da un testimone in un'auto parcheggiata vicino al
3 16
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II.IV.4.b
Un difensore consapevole quale direttiva potrebbe dare al proprio assistito? Dovrebbe consigliare di tacere in modo totale, se il cliente non intende essere sentito come testimone. Purtroppo accade che spesso l'indagato sia sentito durante le indagini senza la presenza del difensore. Per un abile inquirente sarà un gioco portarlo a parlare su di un fatto altrui. Così l'imputato comparirà nell'udienza del proprio procedimento già con l'obbligo di rendere dichiara zioni, con la prospettiva del dovere penalmente sanzionato di dire la verità. In alternativa, dovrà preoccuparsi di addurre il privilegio contro l'autoincrimina zione, con l'effetto di apparire poco credibile. 4.
Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali. a.
Considerazioni preliminari.
Alcuni mezzi di prova hanno una carattensuca comune: nella fase di assunzione esiste un vero e proprio potere di direzione spettante al giudice. Rispetto a tali atti le parti hanno un ruolo marginale, e cioè prevalentemente si limitano a controllare che l'atto si svolga in modo regolare; in particolare, non possono procedere ad esame incrociato nello svolgimento del singolo atto. b.
n confronto.
n confronto consiste nell'esame congiunto di due o più persone (testimoni o parti) che siano già state esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti (art. 2 1 1 ) . La ratio dell'istituto è quella di vagliare le dichiarazioni contrastanti: all'esito del confronto, è possibile che uno dei protagonisti ricostruisca meglio il fatto, ammettendo l'inesattezza del suo ricordo. Oppure è possibile che le precedenti dichiarazioni di uno dei soggetti coinvolti siano svuotate di credibilità. n primo presupposto di questo mezzo di prova consiste nella esistenza di un « disaccordo » tra due o più persone su « fatti e circostanze importanti »; il secondo, che le persone da mettere a confronto siano già state « esaminate o interrogate ». Quest'ultimo presupposto lascia comprendere che protagonisti possono essere sia imputati (o indagati), sia testimoni, sia altre parti private. n confronto può quindi realizzarsi fra soggetti in posizione processuale omogenea (es: fra imputati; fra testimoni) o eterogenea (es.: fra imputati e testimoni) ; anche più di due contemporaneamente ( 108) . luogo della rapina. li fatto non è più neutro, perché può dimostrare mediante un ragionamento indiziario la responsabilità di C nella rapina. ( 108) La garanzia costituzionale del diritto alla prova impone di ammettere il confronto tra persone
d.
P
: sequenza alfa numerica ricavata dal DNA e caratterizzante ogni singolo individuo; c) >: quantità di sostanza biologica prelevata sulla persona sottoposta a tipizzazione del profilo del DNA;
II.IV.5 .b
I mezzi di prova
337
stituzionale. n nuovo art. 224-bis reca, infatti, una regolamentazione delle ipotesi in cui nel corso della perizia si renda necessario effettuare prelievi ed accertamenti medici coattivi. I prelievi con il consenso dell'individuo. n primo dato che si ricava da tale disposizione è che la disciplina in esame trova applicazione soltanto nel caso in cui la persona sottoposta alla perizia non presti il proprio consenso ai prelievi ed agli accertamenti suddetti (art. 224-bz"s, comma 1 ) . Qualora, infatti, l'interessato sia consenziente, non scatta la necessità di tutelare la libertà personale: la situa zione è rimasta quella anteriore alla legge e non occorre una regolamentazione legislativa dei casi e modi ai sensi dell'art. 1 3 , comma 2 Cost. I prelievi e gli accertamenti possono, pertanto, essere effettuati nel corso delle comuni attività peritali, senza particolari formalità, e cioè a prescindere dalla gravità del reato per il quale si procede e indipendentemente dal requisito di indispensabilità ai fini probatori. Anche le tipologie degli accertamenti espletabili non richiedono una indicazione tassativa. Resta il limite ricavabile dall'art. 5 cod. civ. in relazione agli atti di disposizione del proprio corpo: l'individuo non può consentire ad atti che comportino una diminuzione permanente dell'integrità fisica o psichica o che ledano la propria dignità. I prelievi e gli accertamenti coattivi. Differenti considerazioni si impongono qualora l'individuo non presti il proprio consenso. In tale ipotesi, trova appli cazione la disciplina tratteggiata dal nuovo art. 224-bis, che reca un attento bi lanciamento tra la tutela della libertà personale e l'esigenza di accertamento dei fatti (v. tav. 3 . 1 .28). l ) Anzitutto, la norma precisa la tipologia di reati in relazione ai quali attività del genere possono essere disposte (art. 224-bis, comma 1 ) . La perizia coattiva è consentita quando si procede per un delitto doloso o preterintenzionale, consu mato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della re clusione superiore nel massimo a tre anni ( 159) e negli altri casi espressamente previsti dalla legge ( 160) . d) « reperto biologico>> : materiale biologico acquisito sulla scena di un delitto o comunque su cose pertinenti al reato; e) > : qualunque operazione o complesso di operazioni effettuate anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consulta zione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, la tipizzazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati; j) « accesso>> : consultazione, anche informatica, dei dati e delle informazioni contenute nella banca dati; g) « dati identificativi>> : dati personali che permettono l'identificazione diretta dell'interessato; h) > : complesso delle operazioni tecniche di laboratorio che conducono alla produzione del profilo del DNA>> . ( 159) Si tratta di una fascia di reati avvicinabili a quelli per i quali possono trovare applicazione misure cautelari coercitive, con la differenza che per i reati colposi le misure cautelari possono essere disposte, mentre il prelievo non può essere effettuato. ( 1 60) In proposito, occorre ricordare quegli accertamenti che sono attualmente consentiti in materia di violenza sessuale e pedofilia. Le leggi 15 febbraio 1996, n. 66, in materia di violenza sessuale e 3 agosto
338
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II.IV.5 .b
2 ) In secondo luogo, l'art. 224-bis, comma l reca un requisito di tipo pro batorio: occorre che la perizia risulti assolutamente indispensabile per la prova dei /atti. Di tale condizione, come vedremo tra breve, il giudice dovrà dar conto nella motivazione dell'ordinanza che dispone la perizia coattiva. 3 ) In terzo luogo, la norma indica quali sono le attività che possono essere compiute. Ai sensi dell'art. 224-bis, comma l l'esecuzione coattiva concerne gli « atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici » ( 1 6 1 ) . L a descrizione delle attività in oggetto presta chiaramente il fianco a d alcuni rilievi in punto di tassatività. Particolari perplessità desta il concetto di "accer tamenti medici" , che resta del tutto indeterminato sia con riguardo alla tipologia di atti che possono essere compiuti, sia con riferimento alle modalità esecutive degli stessi ( 162) . Ove si abbia riguardo alle considerazioni svolte supra circa la necessità di una dettagliata indicazione dei casi e modi al fine di soddisfare la riserva di legge rinforzata stabilita dall'art. 13 , comma 2 Cost. è chiaro che la disciplina in esame appare piuttosto indeterminata. All'evidenza, il legislatore ha evitato di prevedere un elenco tassativo dei singoli atti espletabili, che sarebbe stato inevitabilmente esposto ad una rapida obsolescenza tenuto conto della continua evoluzione della scienza medica. Proprio alla luce delle riserve di ordine costituzionale appena esposte, rite niamo che gli « accertamenti medici » ai quali fa riferimento l'art. 224-bis, comma l debbano essere espressamente previsti dalla legge a causa del principio di tas satività esistente in materia ( 163 ) . I limiti. S e per un verso il Parlamento h a scelto di non prevedere un elenco tassativo delle attività che possono essere compiute, per un altro verso, ha optato per una precisazione dei limiti oltre i quali gli atti idonei ad incidere sulla libertà personale non possono spingersi. In particolare, non possono in alcun caso essere disposte « operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge »; che possano « mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o del
1998, n. 269, in materia di pedofilia, hanno imposto all'imputato di detti reati l'obbligo di sottoporsi agli accertamenti tendenti ad individuare >.
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Da queste notazioni si ricavano le scelte poste alla base del codice. n verbale, che rappresenta un atto del procedimento, non è un " documento" bensì è una forma di "documentazione" ( 1 84). Per " atto del procedimento" si intende comunemente quell'atto che per segue le finalità del procedimento e che è compiuto da uno dei soggetti legittimati. Tradizionalmente si riteneva che essi fossero il giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria o i loro ausiliari. Tuttavia la legge n. 3 97 del 2000, nel regolamentare le investigazioni private, ha stabilito che il difensore debba redigere un verbale dell'intervista difensiva applicando gli articoli 134 e seguenti (art. 391 -ter); ha precisato altresì che tale atto costituisce una forma di "documentazione" . La utilizzabilità di tali verbali in dibattimento è stata parifìcata a quella dei verbali redatti dal pubblico ministero (art. 3 9 1 -decies) . A seguito delle riforme intervenute il quadro normativa è il seguente. n " documento" rappresenta atti o fatti diversi da quelli compiuti nel procedi mento nel quale il documento è prodotto; la regolamentazione del documento è contenuta negli artt. 234-243 del codice collocati nel libro terzo sulle prove. Viceversa, la " documentazione" rappresenta atti compiuti da soggetti legittimati nel medesimo procedimento in cui la documentazione è prodotta (v. tav. 2.4. 14). La regolamentazione della documentazione può essere reperita nella normativa generale contenuta negli artt. 134- 142 e nella normativa speciale relativa al singolo tipo di atto; sono applicabili anche quelle norme del codice che prevedono la formazione dei fascicoli, le letture e le contestazioni (artt. 43 1 , 433 , 500-5 14). b.
La definizione di documento.
Passiamo a tracciare la definizione di documento che è ricavabile dal codice di procedura penale, precisando che essa può non corrispondere pienamente a quella che ottiene tutela nel diritto penale per mezzo dei reati di falso. Tenendo conto delle innovazioni tecnico-scientifiche, definiamo documento " quella rapTaie partizione concettuale è stata ribadita di recente anche dalla Corte costituzionale, sentenza 4 dicembre 2009, n. 320. Ad awiso del Giudice delle leggi, la distinzione costituisce un naturale portato del principio di separazione delle fasi: il vigente codice, al fine di attuare i principi del processo accusatorio, ha infatti delineato una rigida separazione tra la fase delle indagini e quella del dibattimento limitando l'utilizzabilità dibattimentale degli atti di indagine e della relativa documentazione. ( 1 84) In conclusione, secondo il codice la "documentazione" degli atti del procedimento non dà luogo ad un "documento". Come si può notare, il codice non accetta la nozione di documento che è da sempre accolta nel diritto privato, amministrativo e penale e che viene comunemente impiegata nella lingua italiana. Si sarebbe potuto dire: il verbale di un atto del procedimento è un documento, ma è utilizzabile nella decisione dibattimentale soltanto in determinati casi. Viceversa, il codice afferma che il verbale di un atto del medesimo procedimento non è un documento; successivamente, prevede che il verbale stesso, se utilizzato in un "differente" procedimento penale, è di nuovo da considerarsi un > (art. 238). In questo modo il codice non soltanto disconosce il linguaggio giuridico corrente, affinatosi nel corso dei secoli, ma fa anche violenza alla lingua italiana.
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349
presentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo analogico o digitale" . Da ciò si ricava che il concetto di documento comprende quattro elementi: l ) il fatto rappresentato; 2) la rappresentazione; 3 ) l'incorporamento; 4) la base materiale (v. tav. 2 .4.3 ) . l ) D fatto rappresentato. Nel concetto di /atto rappresentato devono essere ricompresi sia i "fatti, persone o cose" (ai quali fa riferimento l'art. 234), sia i contenuti di pensiero che sono espressi nelle dichiarazioni di scienza o di volontà. Pertanto, il fatto rappresentato è, in sintesi, tutto ciò che può essere oggetto di prova ( 1 85 ) . In particolare può trattarsi non soltanto di un accadi mento naturalistico (ad esempio, una fuga di gas) , ma anche di un atto umano, e quindi di una dichiarazione; con la precisazione, come abbiamo osservato, che non si ha un " documento" , bensì una "documentazione" , quando l'oggetto rappresentato è una attività del procedimento penale (compiuta dal giudice, dal pubblico ministero, dal difensore o dai loro ausiliari). 2) La rappresentazione. Rappresentare un fatto significa costruirne uno equivalente, in modo da renderlo conoscibile quando non sia più presente (F. CoRDERo) ; pertanto la rappresentazione è la riproduzione di un fatto. Le modalità di rappresentazione sono le più varie: parole, immagini, suoni o gesti. La rappresentazione può avvenire per opera dell'uomo (es. testimonianza) o automaticamente mediante uno strumento (es. apparecchio di registra zione) ( 1 86). ( 1 85 ) Ovviamente, per poter essere ammesso, i l documento deve essere "pertinente" e cioè deve rappresentare un fatto oggetto di prova (art. 1 87 ) . ( 186) L a dottrina tradizionale ricava dall'art. 2 3 4 del codice, mediante una interpretazione meramente letterale, la conclusione che il documento è . ( 1 90) I rilievi appena svolti si inverano ove si abbia riguardo alla etimologia delle parole. Digitale ( 1 87) ( 188)
deriva dall'inglese digit, cifra, numero semplice; a sua volta, deriva dal lat. digitus, dito, in quanto serve per numerare (Dizionario italiano ragionato, G. D'Anna, Firenze, 1988). Informatica, dal francese in/ormatique,
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essere trasferito facilmente da un supporto all'altro, anche se per la sua esistenza fisica ne richiede comunque uno. Ad esempio, il supporto fisico può essere l'hard disk, o una pen drive, o un altro strumento idoneo ( 1 9 1 ) . 4) La base materiale sulla quale è incorporata l a rappresentazione può essere la più varia. È sufficiente la idoneità a conservare la rappresentazione al fine di riprodurla quando occorra. Non è richiesto che la base materiale sia particolarmente durevole, anche se ciò è auspicabile, vista la finalità probatoria del documento. Per far comprendere come la base materiale sia, di per sé, non rilevante, si può fare l'esempio della frase che sia stata scritta su di una tavoletta cerata. La base materiale può essere la tradizionale carta, il nastro magnetico o il più moderno supporto informatico. n documento tradizionale può essere definito come quella rappresenta zione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo analogico; es. uno scritto, una fotografia, un disco di vinile. Il documento informatico può essere definito come quella rappresenta zione di un fatto che è incorporata in una base materiale con un metodo digitale. Per i giuristi rilevano due difficoltà: come abbiamo accennato, il dato informatico è facilmente modificabile da persone anche differenti dall'autore; inoltre, in alcuni casi un successivo accesso al file tramite il dispositivo (es. personal computer) provoca la modifica del contenuto dello stesso. Per tali motivi, può essere arduo conservare un documento informatico inalterato, in modo da assicurare che la prova sia autentica e genuina ( 192) . Di qui la necessità di particolari cautele, come ad esempio la creazione di una copia-clone dell'hard disk conforme all'originale, che viene resa non modificabile mediante appositi procedimenti ( 193 ) . Altri aspetti problematici s i presentano nel momento in cui, per acquisire composto di in/ormat(ion) "informazione" e (automat)ique, "automatica", è una voce coniata nel 1962 (Dizionario G. Devoto - G.C. Oli, Firenze, 2006). ( 1 9 1 ) Ecco spiegato dal punto di vista teorico perché il dato informatico ha la caratteristica della "fragilità": può essere facilmente modificato o alterato sia da parte di colui che ha formato il dato, sia da parte di altre persone. Ed è proprio la particolarità del metodo di incorporamento, e non del metodo di rappresentazione, quella che porta con sé una disciplina ad hoc del documento informatico. La base materiale sulla quale è incorporato il dato informatico può essere non modificabile (es. CD non riscrivibile) o, viceversa, modificabile (es. CD riscrivibile; hard disk di un PC). In quest'ultimo caso, la base materiale permette una successiva modifica del dato informatico da parte di colui che ha formato il dato o di altre persone. ( 1 92 ) n file incorporato su di un CD mediante scrittura laser può essere reso non modificabile; si tratta di un'informazione digitale che diventa materiale, ma non è analogica. ( 193 ) S. ATERNo, loc. ult. cit. : >. n c.d. sigillo digitale (funzione di hash) è utilizzato da tempo per garantire l'aderenza assoluta della copia ai dati di partenza.
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Profili generali del procedimento penale
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un documento informatico, è necessario procedere con mezzi di ricerca della prova quali sono l'ispezione, la perquisizione ed il sequestro: la recente legge 18 marzo 2008, n. 48 (esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica) ha imposto che siano adottate cautele che assicurino la conservazione del documento informatico e ne impediscano l'alterazione (es. art. 354) . li punto sarà trattato successivamente nel capitolo sui mezzi di ricerca della prova e in quello sulle indagini preliminari e difensive (v. in/ra, Parte II, cap. 5; Parte III, cap. l e cap. 4). c.
n valore probatorio del documento contenente dichiarazioni.
Subito dopo l'entrata in vigore del codice del 1988, un'opinione dottrinale ha ritenuto non utilizzabile, come prova del fatto storico rappresentato, il documento contenente una narrazione del medesimo ( 1 94). La Corte costituzionale con la sentenza 17 marzo 1 992 , n. 142 ( 195) ha precisato che l'art. 234 non distingue tra rappresentazione di fatti e rappresen tazione di dichiarazioni; pertanto il documento può costituire prova del fatto rappresentato nella dichiarazione e può essere ammesso ai sensi dell'art. 190 del codice. L'affermazione della Corte è stata introdotta non in modo incidentale, bensì costituisce l'oggetto principale di una sentenza interpretativa di rigetto ( 1 94 ) A. NAPPI, Guida al codice di procedura penale, Milano, 1995, 350. Vi è anche un'opinione più temperata che, ritenendo vigente un generale principio di oralità, ammette che i documenti dichiarativi siano utilizzabili in funzione esclusivamente surrogatoria della prova orale; così, G. UBERTIS, Documenti e oralità nel nuovo processo penale, in Studi in onore di Vassalti, II, Milano, 1991, 3 12-3 1 3 . La decisione potrebbe fondarsi sul contenuto narrativo del documento soltanto se risulta impossibile ottenere analoghe conoscenze mediante l'escussione di fonti orali. Si tratta delle ipotesi in cui il documento costituisce l'unico possibile veicolo di un determinato contenuto rappresentativo, oppure reca elementi di prova aventi struttura diversa da quella originabile in sede di giudizio, o anche se si è di fronte alla non ripetibilità del mezzo di prova. Per parte nostra, riteniamo che in tema di valutazione della prova la regola è il libero convincimento (art. 192, comma l ) ; le eccezioni alla utilizzabilità della prova devono trovare la loro fonte in divieti probatori (rilevanti ai fini dell'art. 1 9 1 ) oppure devono essere previste espressamente, come avviene, ad esempio, negli articoli 192, commi 3 e 4; 1 95 , commi 3 e 7. Viceversa, in relazione al documento non è dato rinvenire alcuna norma di legge che ponga limiti di utilizzazione nel caso in cui esso contenga una dichiarazione. Pertanto, all'interprete non è consentito ritenere esistenti limiti di utilizzabilità non previsti espressamente dal codice.
È utile ricordare che il nostro codice non conosce quel limite di utilizzabilità che, in altri sistemi processuali, viene definito con l'espressione "prevalenza della prova migliore". In base ad esso alcuni ordinamenti stranieri permettono di assumere, in presenza di due prove, soltanto quella orale e non quella scritta. Un limite del genere non è stato inserito nel nostro codice. Se mai, si può ritenere esistente il principio generale secondo cui la dichiarazione a viva voce deve precedere (ma non escludere) la lettura di dichiarazioni scritte, purché sia stata chiesta la deposizione del testimone o sia stato ammesso l'esame della parte. Gli articoli 500, comma l, 503, comma 3 e 5 1 1 , comma 2, impongono che i verbali siano letti soltanto dopo che sulle medesime circostanze il dichiarante abbia deposto oralmente. ( 195) In Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 3 6 1 . La Corte costituzionale ha affrontato la questione se sia utilizzabile il verbale di protesto dell'assegno bancario e ha sostenuto che questo fa prova sia della richiesta di pagamento sia della risposta del trattario sull'insussistenza dei fondi necessari a soddisfare la richiesta. La Corte ha affermato che l'art. 234 non opera discriminazioni tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazioni.
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« nei sensi di cm m motivazione »; pertanto i giuristi difficilmente potranno prescinderne in sede ermeneutica ( 1 96). L'unico limite di diritto positivo è oggi rinvenibile nell'art. 1 1 1 , comma 4 , secondo periodo, Cost., in base al quale « l a colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore ». Da tale disposizione si può ricavare il principio secondo cui è garantito costituzionalmente il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'autore della dichiarazione, anche se tale dichiarazione è contenuta in un docu mento ( 197) . d . n documento anonimo. La prova documentale può essere valutata dal giudice nella sua attendibilità quando è noto l'autore del documento. Infatti all'autore, chiamato a deporre, possono essere rivolte le domande che servono a valutarne la credibilità e l'attendibilità (art. 194 , comma 2). Una verifica del genere non può avvenire quando è ignoto l'autore del documento. In tal caso, infatti, risulta impossibile ricercare gli elementi di prova che servono a valutare la credibilità. È un processo giusto quello che permette all'imputato di confrontarsi con il suo accusatore; e ciò non è possibile se l'addebito proviene da un documento anonimo. In un primo approccio, definiamo anonima quella rappresentazione della quale non è identificabile l'autore. Con riferimento al documento anonimo il legislatore prevede un'apposita disciplina che tiene conto delle esigenze appena ricordate. Il codice distingue l'ipotesi in cui il documento contenga una dichiarazione anonima dall'ipotesi in cui il documento contenga una rappresentazione diversa dalla dichiarazione (ad esempio, una foto) . Nel solo caso in cui si sia in presenza di una " dichiarazione" anonima, il codice prevede la sanzione dell'inutilizzabi lità (art. 240 comma 1 ) . Pertanto, una lettera anonima che contiene la narra zione di un fatto non è utilizzabile. Del documento anonimo che contenga una rappresentazione diversa dalla dichiarazione il codice non dà alcuna regolamentazione. Poiché è posto come ( 1 96) Dalla distinzione, che il codice pone, deriva una conseguenza importante. I verbali, che rappresentano atti compiuti durante le indagini preliminari ( " documentazione"), possono essere utilizzati nella decisione dibattimentale soltanto in via eccezionale e negli stretti limiti nei quali è ammessa la lettura o la contestazione dei medesimi (artt. 500 e 5 12; v. Parte III, cap. 5, § 20, lett. e, h). I " documenti" che rappresentano atti o fatti avvenuti fuori dal procedimento penale sono utilizzabili in dibattimento come prova del fatto rappresentato. Ad esempio, sono utilizzabili le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare (Cass., sez. V, 5 ottobre 2004, n. 3900 1 ) . ( 1 97) Pertanto, laddove l'accusato richieda, a controprova, l'escussione del soggetto che ha reso l a dichiarazione contenuta nel documento, e ciò non avvenga per libera scelta del dichiarante, deve trovare applicazione la norma di cui all'art. 526 comma l-bis c.p.p.
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regola generale il libero convincimento del giudice (art. 192 , comma 1 ) , ne deriva che le ipotesi di inutilizzabilità di elementi di prova devono essere previste espressamente. Quindi, possiamo concludere che i documenti anonimi non dichiarativi possono essere utilizzati. Ad esempio da una foto, della quale è ignoto l'autore, sarà possibile ricavare che una persona era viva alla data riportata sul giornale, che la medesima teneva in mano ( 1 98). Ovviamente sarà più difficile (ma non impossibile) valutare l'attendibilità della rappresentazione incorporata in un documento non dichiarativo che sia anonimo ( 1 99). Se, poi, siamo di fronte ad un documento "misto" che contiene sia una dichiarazione, sia una rappresentazione differente dalla dichiarazione, occorre ritenere che esso sia utilizzabile in quella parte di rappresentazione che non consiste in una dichiarazione (v. tav. 2 .4 . 15 ) . Pertanto, un filmato anonimo è utilizzabile per la parte che contiene la videoripresa di un determinato luogo; non è utilizzabile per la parte che contiene un'eventuale narrazione che accom pagna la videoripresa. La verifica della provenienza. Ancora, il codice prevede che il documento possa essere sottoposto alle parti private o ai testimoni « se occorre verificarne la provenienza » (art. 239). Da tale disposizione si ricava che il documento cessa di essere anonimo quando il suo autore ne riconosce la paternità. Al tempo stesso, dall'art. 239 si può ricavare la definizione di "anonimo" accolta dal codice. È tale quella rappresentazione della quale non è identificabile l' au tore (200). Ad esempio, una volta accertato l'autore della dichiarazione, essa non è pm anonima (20 1 ) e, pertanto, diventa utilizzabile. Naturalmente, occorre poi accertare se l'autore è credibile e se la dichiarazione è attendibile. L'assenza della sottoscrizione o la sottoscrizione illeggibile (o di fantasia) dà luogo al documento soltanto formalmente anonimo. Infatti, se vi è riconosci mento, il documento non è più sostanzialmente anonimo. Inoltre, l'autore della rappresentazione può essere identificato attraverso un mezzo di prova come, ad esempio, una perizia (202). ( 198) Ammette l a utilizzabilità d i una foto d i provenienza anonima Cass., sez. V , 8 ottobre-21 novembre 2003 n. 44868, Gugliara. ( 1 99) L'art. 108 disp. att. stabilisce che con regolamento del ministro della giustizia sono stabilite le modalità di conservazione delle denunce anonime e degli altri documenti anonimi « che non possono essere utilizzati nel procedimento >>. Ai sensi dell'art. 5 d.m. 30 settembre 1989, n. 334, il documento anonimo viene annotato in un apposito registro riservato presso la procura della repubblica con l'indicazione della data in cui è pervenuto e l'oggetto. Dopo cinque anni i documenti anonimi vanno distrutti. (200) Cass., sez. I, 6 novembre 2000 n. 4 6 1 , Perrucci, CED 2 17817. (20 1 ) Cass., sez. I, 25 gennaio 1979, in Cass. pen., 1980, 998. (202) Dalle considerazioni che siamo venuti facendo si può trarre la conclusione seguente: l'identifi cazione dell'autore della rappresentazione non costituisce un elemento essenziale perché si abbia un " documento " ; ed infatti quello anonimo è pur tuttavia un " documento" . Se mai, l'identificazione dell'autore della sola " dichiarazione" anonima costituisce una condizione di utilizzabilità della stessa. In definitiva, soltanto la mancata conoscenza dell'autore di quel tipo di rappresentazione, che è la dichiarazione anonima, la rende inutilizzabile come prova del fatto narrato. Il documento contenente la
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Il valore probatorio. Diverso è il problema del valore probatorio che si deve
dare alla dichiarazione che non sia stata sottoscritta dall'autore col proprio nome, quando l'autore della stessa sia stato comunque identificato mediante perizia o riconoscimento espresso. La mancata sottoscrizione col proprio nome dimostra che l'autore non ha voluto impegnare la propria responsabilità nel fare una determinata dichiarazione. Pertanto, non si pone un problema di utilizza bilità, poiché, a seguito dell'identificazione, la dichiarazione formalmente ano nima non è più tale nella sostanza; si pone invece un problema di credibilità della fonte e di attendibilità della rappresentazione. Infatti ci si può chiedere: che cosa aveva da nascondere l'autore della dichiarazione, se non ha voluto sottoscriverla, evitando così di impegnare la propria parola? La mancata sottoscrizione rende problematico, ma non impossibile, attribuire alla dichia razione un sicuro significato probatorio (203 ) . Le dichiarazioni anonime utilizzabili. Il codice prevede due eccezioni al divieto di utilizzare il documento contenente dichiarazioni anonime. In base all'art. 240 sono utilizzabili le dichiarazioni che costituiscono corpo del reato e quelle che comunque provengano dall'imputato. La prima eccezione costituisce un'applicazione dell'art. 235 , che impone che il corpo del reato sia sempre acquisito al procedimento. Da ciò si ricava che le dichiarazioni anonime sono ammesse soltanto in quel procedimento penale nel quale esse costituiscono il corpo del reato, e cioè quando " mediante" le stesse o sulle stesse è stato commesso il reato, oppure quando esse ne costitu iscono « il prodotto, il profitto o il prezzo » (art. 253 , comma 2 ) . Ad esempio, la dichiarazione anonima calunniosa è utilizzabile nel procedimento penale promosso contro il presunto autore della dichiarazione; non è utilizzabile nel procedimento contro la persona che è stata calunniata.
dichiarazione anonima resta, tuttavia, utilizzabile ad altri scopi; nell'esempio appena fatto, il videotape contenente dichiarazioni anonime può servire come prova dello stato dei luoghi e delle persone ad una determinata data. (203 ) Occorre precisare che il divieto di utilizzare la dichiarazione anonima concerne unicamente l'uso della stessa ai fini del procedimento penale; da tale dichiarazione non può essere tratto alcun elemento probatorio al fine di giustificare l'emissione di un provvedimento del giudice o del pubblico ministero (ad esempio, rispettivamente, una ordinanza che applica una misura cautelare o un decreto che dispone un sequestro probatorio) . Viceversa, è legittima una mera attività investigativa che sia stata originata da una dichiarazione anonima. Sul divieto di utilizzo di una dichiarazione anonima come base per l'applicazione di una misura cautelare, si veda Cass., sez. I, 5 marzo 1999, Starona, in Casr. pen., 2000, 1 7 1 3 . L a giurisprudenza si è espressa nel senso d i vietare l a possibilità d i porre i n essere atti che presuppon gono l'esercizio di poteri coercitivi pre-indagini nel caso di denuncia anonima (Cass., sez. III, 8 marzo 1995, Ceroni, in Cass. pen., 1996, 1876; Cass., sez. III, 1 8 giugno 1997, Sirica, in Casr. pen., 1997, 208 1 ; Cass., sez. IV, 17 maggio 2005, Cicerone, CED 23202 1 ) e di consentire solo l'esercizio delle attività che non comportino un pregiudizio ai diritti dei cittadini (Cass., sez. V, 30 giugno 1995 n. 1 834, Catastini, in Cass. pen., 1996, 298 1 ) .
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La seconda eccezione permette di utilizzare quella dichiarazione anonima che provenga "comunque" dall'imputato (art. 240, comma 1 ) . Resta da chiarire se è richiesto che l'imputato sia l'autore della dichiarazione o se è sufficiente che l'imputato sia colui che presenta nel procedimento la dichiarazione. Quando si accerta che l'imputato è autore della dichiarazione anonima (perché l'identificazione è avvenuta mediante riconoscimento o mediante peri zia), la dichiarazione stessa cessa di essere anonima. Se si richiedesse che l'imputato fosse "l'autore" della dichiarazione, la previsione dell'eccezione nell'art. 240 comma l sarebbe inutile. Ma una interpretazione che riconosca l'inutilità di una disposizione di legge non può ammettersi, in base al principio generale desumibile dall'art. 1367 c.c. Di conseguenza, perché l'art. 240 comma l c.p.p. abbia un qualche significato, occorre che venga interpretato nell'altro senso; e cioè, le dichiara zioni anonime sono utilizzabili se sono state presentate ( "prodotte" ) dall'impu tato (204). Così l'imputato può presentare una dichiarazione anonima della quale sia venuto "comunque" in possesso (205 ) . Ovviamente il valore proba torio sarà molto limitato poiché sarà difficile dimostrare l'attendibilità della dichiarazione medesima. Tuttavia quest'ultima è utilizzabile (206). e.
La disciplina di determinati documenti.
Documenti dei quali è vietata la acquisizione. Il codice vieta l'acquisizione di documenti aventi determinati oggetti. La violazione del divieto comporta l'inutilizzabilità dell'elemento di prova che se ne potrebbe ricavare. L'art. 234, comma 3 vieta l'acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo. La disposizione costituisce l'equivalente del divieto che vale per le domande che possono essere rivolte ai testimoni ed alle parti (art. 1 94, comma 3). (204) L a giurisprudenza in tema d i documento proveniente dall'imputato mostra come l a Cassazione non abbia mantenuto, in materia, un indirizzo univoco, accogliendo in alcuni casi un'interpretazione del concetto di provenienza intesa come paternità del documento da parte dell'imputato (Cass., sez. III, 2 1 febbraio 1997, Scarlato, in Cass. pen., 1998, 3 3 82 ; Cass., sez. III, 3 febbraio 1998, Lucci, i n Riv. giur. trib., 1999, 2 10) ed in altri casi un'interpretazione della provenienza come detenzione del documento da parte dell'imputato (Cass., sez. V, 15 aprile 1999, Berkovic, in Cass. pen., 2000, 1 3 0 1 ; Cass., sez. V, 22 gennaio 2003 , Atwood, in Dir. e giust., 2003, 1 13 ) . (205 ) Con l'interpretazione proposta, l'art. 240 assolve alla medesima funzione svolta dall'art. 209, comma l. In quest'ultimo caso l'imputato (e solo lui) può affermare di aver "sentito dire", senza essere costretto ad indicare il nome della fonte. Ciò costituisce un "privilegio" dell'imputato; qualsiasi altra persona deve indicare la fonte da cui ha "sentito dire" , perché la dichiarazione sia utilizzabile come prova, sempre che siano presenti gli altri requisiti posti dall'art. 1 95 . (206) TI codice contiene un'ulteriore disposizione che permette di acquisire anche d'ufficio nel procedimento penale qualsiasi documento .
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L'uso di documenti concernenti la moralità delle persone che partecipano al processo penale è regolamentato in modo rigoroso. Il codice pone un generale divieto di utilizzazione (art. 234 , comma 3 ), rispetto al quale sono previste determinate eccezioni (207). Documenti dei quali è obbligatoria la acquisizione. Il codice pone l' ob bligo di acquisire i documenti che costituiscono corpo del reato « qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga » (art. 235 ) . Ai sensi dell'art. 253 , comma 2 , sono corpo del reato « le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo ». Ad esempio, vi è l'obbligo di acquisire l'atto pubblico falso, da chiunque sia detenuto (208) Inoltre è consentita l'acquisizione anche d'ufficio di qualsiasi documento proveniente dall'imputato (da intendersi: di cui l'imputato sia l'autore), anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto (art. 237 ). Tale disposizione, dalla portata molto ampia, trova tuttavia un limite nel divieto di sequestro in presenza di segreti tutelati dal codice di procedura penale (art. 256) , quale è, ad esempio, il segreto professionale. Vi è anche il divieto di sequestrare presso il difensore carte o documenti relativi all'oggetto della difesa (art. 1 03 , comma 2) e la corrispondenza tra l'imputato ed il proprio difensore (art. 1 03 , comma 6). Il sequestro è consentito, per carte e documenti, quando costituiscano essi stessi il corpo del reato (art. 1 03 , comma 2) (209) . f.
L'uso di atti di altri procedimenti.
L'art. 238 permette alle parti di ottenere, a determinate condizioni, che siano acquisite le prove e gli atti che sono stati assunti in un altro procedimento (207) Ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato e della persona offesa dal reato i documenti utilizzabili sono indicati dall'art. 236, comma 1: si tratta dei certificati del casellario giudiziale, della documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale e della magistratura di sorveglianza, delle sentenze irrevocabili del giudice italiano e delle sentenze straniere riconosciute. Ai fini della valutazione della credibilità dei testimoni (e, riteniamo, di quasiasi altro dichiarante) sono utilizzabili le sentenze sopra menzionate ed i certificati del casellario giudiziale (art. 236, comma 2). (208) I documenti corpo del reato assumono rilevanza per il rapporto di stretta compenetrazione che li lega al fatto oggetto di accertamento (G. UBERTIS, Documenti e oralità, cit., 304). Occorre segnalare che l'art. 43 1 , lett. h, stabilisce una importante differenza in merito al procedimento probatorio: mentre per quanto concerne il documento " rappresentativo" occorre fare riferimento agli artt. 493 e 495, il documento "corpo di reato" deve essere acquisito al fascicolo del dibattimento e, dunque, prima ancora dell'apertura della fase del giudizio. (209) La Corte cost. con la sentenza interpretativa di rigetto n. 229 del 1998 ha preso in esame un decreto, emesso da pubblico ministero, con il quale si disponeva una perquisizione al fine di sequestrare scritti formati dall'imputato del materiale illegale in relazione al quali sia già stata disposta la distruzione ai sensi dell'art. 240 comma 2 . L'incriminazione ha la funzione di anticipare la tutela rispetto alla diffusione del materiale. Infine, l'art. 4 disciplina una azione riparatoria a vantaggio delle vittime della divulgazione dei ricordati materiali, specificando che l'azione è esercitata senza pregiudizio di eventuali provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, con ciò instaurando un legame espresso con il cd. codice della privacy (d.lgs. 30 giugno 2003 , n. 196).
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commi 4 e 5 , nella sua versione originaria, prevedeva lo svolgimento di un contraddittorio facoltativo, attraverso il richiamo alla disciplina dell'udienza in camera di consiglio (art. 127 ) . La Corte costituzionale, con la sentenza n. 173 del 2009, ha dichiarato l'illegittimità di tali norme, nella parte in cui non prevedono l'applicazione di una disciplina modellata sullo svolgimento dell'in cidente probatorio. In particolare, all'udienza dovrà applicarsi l'art. 401 , comma l in base al quale essa si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'indagato e con la parte cipazione facoltativa del difensore della persona offesa. Inoltre, troverà appli cazione l'art. 401 , comma 2 a mente del quale in caso di mancata comparizione del difensore dell'indagato, il giudice deve designare un altro difensore imme diatamente reperibile. La distruzione del corpo del reato. La declaratoria di incostituzionalità ha avuto ad oggetto anche ulteriori aspetti della disciplina. L'art. 240, comma 6, nella sua versione originaria, disciplinava il verbale di distruzione e stabiliva che in esso si doveva dare atto dell'avvenuta intercettazione o detenzione o acqui sizione illecita, delle sue modalità e dei soggetti interessati, senza alcun riferi mento al contenuto dei relativi documenti, supporti ed atti. Al tempo stesso, il nuovo comma l-bis, introdotto nell'art. 5 12 , concernente la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, stabiliva che nel dibattimento era sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione dei documenti illeciti. La regolamentazione appena illustrata, pur unanimemente condivisa negli scopi di tutela, era stata oggetto di un fuoco incrociato di critiche da tutti i fronti, culminato anche in una serie di questioni di costituzionalità. li difetto più grave veniva ravvisato nel fatto che la distruzione dei materiali illegali era disposta senza contemplare alcuna eccezione per il corpo del reato. Viceversa, in base al sistema del codice, quest'ultimo è sempre fatto salvo (22 1 ) . Una simile disciplina comportava l'irrimediabile perdita di una prova e ciò avrebbe costi tuito un potenziale pregiudizio nei confronti di tutte le parti processuali. Infatti, l'imputato non avrebbe potuto provare la propria innocenza dimostrando, se del caso, che i documenti in realtà erano il frutto di una acquisizione le cita (222); il pubblico ministero non avrebbe potuto dimostrare la reità, né la gravità del fatto anche ai fini della commisurazione della pena; l'eventuale (22 1 ) Come si è accennato supra, ciò accade anche in relazione ai documenti contenenti dichiarazioni anonime (art. 240 comma 1 ) . (222) S i veda R . BRICCHETTI e L . PrsTORELLI, La distruzione immediata della prova rischia di ledere i diritti dell'imputato, in Guida dir., 2006, 39, 22; M. CHIAVARlO, Passi avanti sulle intercettazioni illegali ma c'è bisogno di un ampio ripensamento, in Guida dir., 2006, 39, 1 3 ; V. GREVI, L'> un'arma a doppio taglio, in Il corriere della sera, 26 settembre 2006. In senso favorevole alla sanzione della distruzione, G. FRIGO, Ridotti gli spazi della tutela penale, in Guida dir. , 2006, 47, 27.
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parte civile non avrebbe potuto provare né la reità, né l'entità del risarcimento richiesto, il cui ammontare avrebbe dovuto determinarsi anche in ragione del contenuto dei documenti illecitamente formati o acquisiti. Inoltre, i giudici rimettenti sottolineavano che il verbale di distruzione rischiava di costituire una sorta di giudizio anticipato destinato a condizionare indebitamente la successiva pronuncia del giudice di merito sulla reità dell'autore dell'illecita capta zione (223 ) . La Corte costituzionale, con l a sentenza n. 1 7 3 del 2009, h a rilevato che la disciplina censurata attuava un bilanciamento insoddisfacente tra le istanze contrapposte, costituite dalla necessità di tutelare la riservatezza e dall'esigenza di garantire il diritto alla prova e l'accertamento dei fatti. Al tempo stesso nel sollecitare un intervento del legislatore volto a ridisciplinare più accura tamente la materia - ha sottolineato che la distruzione appare un rimedio d'emergenza; ciononostante, allo stato attuale tale strumento si configura come indispensabile a fronte della situazione di incertezza sulla effettività della tutela del diritto alla riservatezza contro indebite diffusioni mediatiche di informa zioni delicatissime. n verbale sostitutivo del corpo del reato. Alla luce di tali rilievi, la Cot;te ha prospettato una soluzione che si discosta da quella auspicata dai rimettenti. In sintesi estrema, il Giudice delle leggi ha rafforzato il contenuto rappresentativo del verbale: esso diviene un vero e proprio surrogato di quel corpo del reato che deve essere distrutto. Anzitutto, la Consulta ha affermato che una corretta interpretazione della disciplina in oggetto impone di ritenere che il verbale « non può esercitare alcun condizionamento sulla decisione da assumere nel l' ambito del procedimento principale » relativo alla responsabilità dell'autore del documento illecito. La funzione primaria del verbale è quella di costituire una prova « sostitutiva » del corpo del reato. Da tale impostazione consegue che tanto più il verbale risulta dettagliato, tanto meglio esso esplica la propria funzione " surrogatoria" . Per questo motivo, ad avviso della Corte, « è costitu zionalmente necessario allargare le potenzialità rappresentative del verbale in questione, includendovi anche tutte le circostanze che hanno caratterizzato l'attività diretta all'intercettazione, alla detenzione ed all'acquisizione del mate riale ». Resta fermo quel limite invalicabile a tutela della riservatezza che è costituito dal divieto di far riferimento alle informazioni contenute nel docu mento illecito. Se il verbale si estendesse anche a tale oggetto, all'evidenza la distruzione risulterebbe inutile. Ad avviso della Corte, la correttezza e l'obiet tività del verbale sostitutivo sono garantite dal fatto che tale documentazione si forma nel contraddittorio necessario tra le parti. (223) Addirittura, la Relazione governativa al decreto-legge precisava che lo scopo della verbalizza zione era >.
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Alla luce di tali argomentazioni, il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 240, comma 6 nella parte in cui impedisce che il verbale faccia riferimento alle « circostanze inerenti l'attività di formazione, acquisi zione e raccolta » dei documenti, supporti ed atti dei quali è stata disposta la distruzione. Una simile conclusione, per un verso, appare assolutamente con divisibile nella parte in cui esclude che la decisione sulla distruzione possa in qualunque modo condizionare il successivo accertamento della responsabilità dell'autore del reato. L'udienza sulla distruzione, infatti, è caratterizzata dai tempi rapidi di svolgimento e dalla natura incidentale e sommaria di un giudizio nel quale non si contempla una assunzione di prove. Per un altro verso, tuttavia, resta il pericolo costituito dal peso che in concreto la decisione sulla distruzione e il dettagliato verbale, che ne scaturisce, possono sortire sul successivo pro cesso. D'altronde, in assenza di un intervento del legislatore che predisponga idonee norme finalizzate ad assicurare una tutela preventiva della riservatezza (segretazione, custodia garantita dei materiali illeciti ecc.) , la soluzione prospet tata appare l'unica via d'uscita possibile al fine di attuare un bilanciamento "non troppo claudicante" tra gli interessi contrapposti. n reato di detenzione di documenti distrutti. L'art. 3 del decreto ha introdotto una fattispecie incriminatrice concernente la detenzione « consape vole » del materiale illegale in relazione al quale sia già stata disposta la distruzione ai sensi dell'art. 240 comma 2. L'incriminazione ha la funzione di anticipare la tutela rispetto alla diffusione del materiale. Inoltre, l'art. 4 disci plina una azione riparatoria a vantaggio delle vittime della divulgazione dei ricordati materiali, specificando che l'azione è esercitata senza pregiudizio di eventuali provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, con ciò instaurando un legame espresso con il codice privacy (d.lgs. 30 giugno 2003 , n. 1 96). n rapporto con le intercettazioni disposte dall'autorità giudiziaria. Oc corre chiedersi che rapporto vi sia tra i documenti, supporti e atti « concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni relativi a traffico telefonico e telematica illegalmente formati o acquisiti » e quelle intercettazioni che sono disposte dall'autorità giudiziaria e che siano illegittime ex art. 27 1 perché compiute fuori dei casi previsti dalla legge. Ebbene, vi sono almeno tre argomenti che inducono a ritenere che l'art. 240 comma 2 non si riferisce alle "intercettazioni" disposte dall'autorità giudiziaria. Il primo si rinviene nella Relazione governativa al decreto-legge, ove si precisa che l'area di riferimento è costituita dalle « intercettazioni non autoriz zate dall'autorità giudiziaria ». li secondo argomento muove dalla sedes materiae della nuova disciplina: l'art. 240 (libro terzo, titolo II) è l'ultima norma del capo VII, sul documento. Non si tratta, dunque, della documentazione di atti di indagine. In base alla sistematica del codice è « documento » tutto ciò che non è stato formato
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all'interno del procedimento e da soggetti legittimati. Siamo dinanzi a materiale che astrattamente entrerebbe nel processo penale attraverso il canale della prova documentale ex art. 234. Infine, occorre tenere presente che l'art. 240 comma 2 disciplina l'acquisi zione di comunicazioni compiuta attraverso atti penalmente illeciti. Viceversa, le illegittimità commesse dalle autorità inquirenti nello svolgimento delle inter cettazioni, di regola, non determinano l'illiceità penale della captazione.
CAPITOLO v I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
SoMMARIO: l . Profili generali. probatorio.
-
-
2. Le ispezioni.
strumenti della tecnica: i tabulati telefonici.
l.
-
3 . Le perquisizioni.
-
5. Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. -
4. n -
sequestro
6. I nuovi
7. Le videoriprese.
Profili generali.
n codice definisce « mezzi di ricerca della prova » le ispezioni, le perquisi zioni, i sequestri e le intercettazioni di comunicazioni. La differenza con i mezzi di prova è giustificata nella Relazione al prog. prel. nei seguenti termini: i mezzi di prova « si caratterizzano per l'attitudine ad offrire al giudice risultanze pro batorie direttamente utilizzabili in sede di decisione. Al contrario, i mezzi di ricerca della prova non sono di per sé /onte di convincimento, ma rendono possibile ac quisire cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria » Sulla base di quanto esposto, è possibile approfondire la differenza tra i due concetti. In primo luogo, l'elemento probatorio si /orma in seguito all'esperi mento del mezzo di prova; ad esempio, il testimone racconta fatti che ha percepito. Viceversa, attraverso il mezzo di ricerca della prova entra nel procedimento un elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo stesso; ad esempio, con la perquisizione si mira ad acquisire al procedimento una cosa pertinente al reato. In secondo luogo, i mezzi di prova possono essere assunti soltanto davanti al giudice nel dibattimento o nell'incidente probatorio; i mezzi di ricerca della prova possono essere disposti oltre che dal giudice, anche dal pubblico mini stero e, in alcune ipotesi, possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria durante le indagini preliminari (artt. 352-354). In terzo luogo, i mezzi di ricerca della prova si basano, di regola, sul fattore " sorpresa" e, perciò, non consentono il preventivo avviso al difensore dell'in dagato quando sono compiuti nella fase delle indagini. Viceversa, i mezzi di prova possono essere assunti (sia pure in via eccezionale e con molti limiti) durante le indagini preliminari con la garanzia del contraddittorio mediante quell'istituto che è denominato incidente probatorio (art. 392). I mezzi di ricerca della prova informatica: particolarità. Nel capitolo precedente trattando del documento abbiamo chiarito che in base alla norma-
II.V. l
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tiva vigente il supporto informatico deve considerarsi autonomo rispetto al documento digitale. Il principio di autonomia influisce anche sui mezzi di ricerca della prova informatica, che necessitano di una apposita regolamenta zione, oggi in larga parte tracciata dalle norme del codice così come sono state modificate dalla legge n. 48 del 2008. Abbiamo anche chiarito che l'incorporamento, che è operato sul documento informatico, avviene con una modalità particolare (digitale) ; esso differisce dal l'incorporamento analogico su di una base materiale (es. sulla carta o su un disco di vinile) . È proprio per questo motivo che vi sono problemi in punto di modi ficabilità del documento informatico, di falsificabilità, di possibilità di distruzione del medesimo. Per tali ragioni, può essere arduo conservare inalterato un docu mento informatico, in modo da assicurare che la prova sia autentica e genuina. Ciò premesso, sono oggetti materiali dei mezzi di ricerca della prova sia il singolo supporto informatico (pen drive, floppy disk, CD, DVD, hard disk) , sia il sistema informatico che contiene uno o più dei supporti (ora menzionati) e che consiste nel semplice computer o in un intero sistema telematica. Il singolo documento informatico, che è registrato nei supporti o nei sistemi predetti, è l'oggetto immateriale dei mezzi di ricerca della prova. Prima della legge n. 48 del 2008, l'ispezione, la perquisizione ed il sequestro di un sistema o di un supporto informatico ricevevano nella prassi un inqua dramento giuridico che la legge medesima ha ripudiato. Alcuni inquirenti pretendevano di trattare il sequestro del computer come un mezzo atipico di ricerca della prova; quindi lo ritenevano svincolato da regole e, soprattutto, dal contraddittorio. Altri inquirenti pretendevano di utilizzare il mezzo tipico del sequestro, ma operavano come se si trattasse di sequestrare un documento cartaceo (es. un diario) senza alcuna cautela ulteriore. La legge n. 48 ha ricondotto nell'alveo dei mezzi "tipici" di ricerca della prova la perquisizione, l'ispezione ed il sequestro di ogni sistema o supporto informatico; ormai, non si può più parlare di mezzi atipici. Tutto è ricondotto alla tipicità con opportuni adeguamenti. Le garanzie introdotte per i mezzi di ricerca della prova informatica. La legge n. 48 ha previsto, in relazione ai mezzi di ricerca del documento informatico, cinque tipi di garanzie fondamentali, che dovrebbero essere attuate in ognuno dei mezzi di ricerca. Le garanzie sono le seguenti: 1) n dovere di conservare inalterato il dato informatico originale nella sua
genuinità. 2) n dovere di impedire l'alterazione successiva del dato originale ( 1 ) .
( l ) Le prime due garanzie appaiono nelle ispezioni e nelle perquisizioni disposte dall'autorità giudiziaria (artt. 244, comma 2, e 247, comma 1 -bù) e nelle perquisizioni e nel sopralluogo di polizia giudiziaria (artt. 352, comma 1 -bù, e art. 354, comma 2). Viceversa, non appaiono nella richiesta di consegna e esame presso banche (art. 248, comma 2) e nel dovere di esibizione (art. 256).
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II.V.2
3) n dovere di formare una copia che assicuri la conformità del dato informatico acquisito rispetto a quello originale (2 ). 4) n dovere di assicurare la non modifìcabilità della copia del documento informatico (3 ) . 5) La garanzia della installazione di sigilli informatici sui documenti acquisiti (4). Occorre segnalare che la legge n. 48 del 2008 non è stata sistematica; a causa della fretta con la quale è stata approvata, il Parlamento si è dimenticato ora di una, ora di un'altra delle garanzie che, viceversa, sono necessarie tutte e contemporaneamente nel caso di un mezzo di ricerca della prova informatica. Le lacune non trovano una giustificazione logica se non nella sommarietà dell'approccio alla problematica del documento informatico (5) . In casi come questo spetta alla dottrina e d alla giurisprudenza di ricom porre il sistema in via interpretativa. Con tutti i problemi che ciò comporta, visto che la materia attiene ad alcuni dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. 2.
Le ispezioni.
L'ispezione (art. 244) consiste nell'osservare e descrivere persone, luoghi e cose allo scopo di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Essa è un mezzo di ricerca della prova che ha prevalentemente una finalità " descrittiva" di persone, luoghi e cose; è disposta, di regola, dall'autorità giudiziaria quando occorre « accertare le tracce e gli altri effetti materiali del (2) La garanzia appare nel sopralluogo su iniziativa della polizia giudiziaria (art. 354, comma 2) e nel sequestro disposto dall'autorità giudiziaria, ma soltanto in relazione ai dati informatici acquisiti presso i fornitori di servizi (art. 254-bis), e non in generale per tutti i tipi di sequestro. Nei due casi espressamente menzionati si aggiunge una precisazione importante: la copia deve essere fatta su di un supporto definito >. Purtroppo, in relazione alle altre ipotesi di sequestro (es. sequestro presso banche ex art. 248, comma 2) non si prevede né l'obbligo di effettuare la copia, né la necessità che il supporto sia >. È stato precisato che la copia può non garantire la medesima collocazione del dato sul supporto (in relazione a parti apparentemente vuote). La perfetta rispondenza all'originale è garantita soltanto dalla
bitstream image (M.A. SENOR, Legge 18 marzo 2008, n. 48 di ratz/ica ed esecuzione della Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica, in www.altalex.com, 20 maggio 2008); a tal fine, il supporto deve essere vergine (S. ATERNO, Acquisizione e analisi della prova informatica, in Dir. pen. proc, 2008, n. 6, Dossier su La prova scientz/ica nel proc. pen., a cura di P. ToNINI). (3) La garanzia appare nel sopralluogo di polizia giudiziaria e nel sequestro disposto dall'autorità giudiziaria, ma soltanto in relazione ai dati informatici presso i fornitori di servizi (art. 254-bis), e non in generale per tutti i tipi di sequestro né negli altri atti finora menzionati. Questa garanzia viene attuata attraverso la c.d. catena di custodia (chain o/ custody) e cioè tramite la documentazione di ogni passo del procedimento per l'acquisizione e analisi dei dati.
(4) La garanzia è prevista dall'art. 260 come meramente facoltativa per il sequestro, e non come obbligatoria; ed invece i tecnici affermano che tale adempimento è essenziale per i dati informatici. L'integrità dei dati acquisiti è garantita tramite ]'algoritmo di hash, che consente di creare, attraverso una funzione matematica, una sequenza di bit di lunghezza variabile. (5)
P. ToNINI, Documento informatico e giusto processo, in Dir. pen. proc., 2009, n. 4.
II.V.2
I mezzi di ricerca della prova
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reato » (art. 244, comma 1 ) . Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali (o se questi sono scomparsi) l'autorità giudiziaria, se possibile, cerca di indivi duare il modo, il tempo e le cause delle eventuali modifìcazioni; in ogni caso può disporre rilievi ed ogni altra operazione tecnica, anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione (art. 244, comma 2 , mod. dalla legge n. 48 del 2008) (6). Se necessario, l'ispezione si svolge con l'impiego di poteri coercitivi. Sia il giudice, sia il pubblico ministero possono disporre l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica (artt. 13 1 e 378). Poiché il potere coercitivo incide su libertà protette dalla Costituzione, il codice prevede determinate formalità per le ispezioni delle persone e dei luoghi; in ogni caso, l'ispezione è disposta con decreto motivato. L'ispezione personale ha ad oggetto il corpo di un essere umano vivente o parti di esso: può trattarsi dunque di qualunque parte del corpo, sia normal mente visibile, sia celata all'altrui vista (7) . Questo tipo di ispezione ha una normativa tutta particolare (art. 245 ) . Prima che si proceda a questo atto l'interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da una persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120 (ad esempio, deve avere almeno quattordici anni) . L'ispezione personale è eseguita, nei limiti del possibile, nel rispetto del pudore; è eseguita sempre nel rispetto della dignità della persona che vi è sottoposta (art. 245 , comma 2 ) . L'ispezione può essere compiuta anche per mezzo di un medico, che può non essere un medico legale. Ove intervenga un medico, l'autorità giudiziaria può astenersi dall'assistere alle operazioni (art. 245, comma 3 ) . L'ispezione di luoghi o di cose. Altre norme valgono specificamente per l'ispezione di luoghi o di cose. La persona che ha la disponibilità del luogo in cui è eseguita l'ispezione, ed anche l'imputato, hanno diritto, se presenti, ad avere copia del decreto che autorizza l'ispezione stessa. L'autorità giudiziaria, oltre al potere di disporre della forza pubblica, ha anche il potere di ordinare che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore (art. 246). (6) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda supra, § l . (7) Cass., sez. IV, 2 dicembre 2005 , Euchi Sami, in Guida dir., 2006, 1 3 , 102: l'autorità giudiziaria può disporre legittimamente l 'effettuazione coattiva di un esame radiografico da parte di un medico nei confronti di persona sospettata di detenere all'interno del proprio corpo ovuli contenenti sostanze stupefacenti. Si tratta infatti di un atto di ispezione personale giacchè l'esecuzione del medesimo mediante accertamento radiogra fico consente soltanto un'estensione del controllo che, in tal modo, non è limitato al solo aspetto esteriore del soggetto, ma è esteso all'ispezione dell'interno del corpo umano. Nel caso concreto la Suprema Corte ha ritenuto legittimo un accertamento radiografico disposto coattivamente da personale di p.g. della Guardia di Finanza previa autorizzazione del pubblico ministero, nel corso di controlli previsti dall'art. 103 d.p.r. n. 309 del 1990. In termini analoghi, Cass., sez. IV, 28 giugno 2007, H.U., in Dir. pen. proc. , 2008, 465.
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Profili generali del procedimento penale
II.V.3
Nel corso dell'udienza preliminare o dibattimentale l'ispezione di persone, di luoghi o di cose è disposta dal giudice. Durante le indagini preliminari l'ispezione è compiuta dalla polizia di propria iniziativa in situazione di urgenza sotto la forma di " accertamenti e rilievi" (art. 354, comma 2 ) . Occorre sottolineare che la polizia giudiziaria in situazioni di urgenza può disporre di sua iniziativa soltanto quei "rilievi sulle persone" , che sono diversi dall'ispezione personale (art. 354, comma 3 ) (si veda in/ra, parte III, cap. l , § 5 , lett. e) (8). Quando il pubblico ministero procede ad ispezione (personalmente o mediante delega alla polizia), il difensore dell'indagato deve essere preavvisato almeno ventiquattro ore prima (art. 364, comma 3 ) . Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione della prova, il pubblico ministero può procedere anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo, o anche senza darne avviso, se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce possano essere alterate; è fatta salva in ogni caso la facoltà del difensore di intervenire (art. 364, commi 3 -5 ) . Quando omette l'avviso o procede prima del termine, il pubblico ministero deve specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell'avviso (art. 364, comma 6). 3.
Le perquisizioni.
La perquisizione (art. 247) consiste nel ricercare una cosa da assicurare al procedimento o una persona da arrestare (9). La perquisizione personalè è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o le "cose pertinenti al reato" ; in quest'ultimo concetto rientrano le cose che hanno la funzione di provare il reato o la responsabilità del suo autore ( 10). La perquisizione locale è disposta quando vi è fondato motivo (8) Occorre segnalare che esistono ipotesi di ispezione disciplinate da leggi speciali. Il dato comune è rappresentato dall'ampliamento del potere autonomo di intervento della polizia giudiziaria: detto potere è svincolato dai requisiti previsti dall'art. 354 c.p.p. Le ipotesi "speciali" sono previste in materia di prevenzione e repressione della criminalità organizzata (art. 27 l. 19 marzo 1990 n. 55) e del traffico di stupefacenti (art. l 03 d.P.R. 9 ottobre 1 990 n. 309) o sono volte a contrastare l'immigrazione clandestina (art. 12 comma 7 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, mod. dalla l. 30 luglio 2002 n. 189) . Si ricordino inoltre l'intervento della polizia in materia di armi chimiche (art. 8 1. 1 8 novembre 1995 n. 496) e in materia di sicurezza stradale (art. 192 codice della strada) . (9) Secondo Cass., sez. Il, 10 settembre 1997, n. 84, in Arch. n. proc. pen., 1998, 297, può farsi ricorso alla perquisizione quale mezzo coattivo di ricerca della prova solo se sia stato individuato il tema nel cui ambito tale ricerca ha un suo contenuto di concretezza e specificità, posto che, diversamente, la perquisizione da strumento di ricerca di una prova utile per determinati reati si trasformerebbe in un mezzo di acquisizione della notitia criminis. ( lO) La Corte cast. con la sentenza interpretativa di rigetto n. 229 del 1998 ha preso in esame un decreto, emesso dal pubblico ministero, con il quale si disponeva una perquisizione al fine di sequestrare scritti formati dall'imputato « con funzione di appunti al fine di rispondere all'interrogatorio >>. La Corte ha affermato che il tribunale del riesame avrebbe dovuto pronunciare . L'auspicio è che la Suprema Corte sappia operare al suo interno quel cambiamento di mentalità che è imposto dalle sfide del progresso tecnologico. La sentenza alla quale facciamo riferimento è Cass., sez. un. , 24 aprile-7 maggio 2008, n. 18253, Tchmil, in Dir. pen. proc. , 2009, n. 4, secondo cui >. In senso contrario si esprime S. CARNEVALE, Copia e restituzione di documenti in/armatici sequestrati: il problema dell'interesse ad impugnare, in Dir. pen. proc. , 2009, 472, con varie argomentazioni, tra le quali ricordiamo la seguente: la clonazione di memorie elettroniche non è da considerare come >. Diversamente dalla sentenza Tchmil si è pronunciata Cass., sez. VI, 3 1 maggio-3 1 ottobre 2007, n. 40380, Sarzanini, in Dirittoegiustizia.it, 17 novembre 2007, che ha ritenuto esistente l'interesse ad impugnare il sequestro della copia dell'hard disk del computer di un giornalista. In motivazione si è precisato quanto segue: >. (25) li decreto-legge sulla sicurezza pubblica n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125, ha modificato la norma sulla distruzione delle cose sequestrate e ha imposto all'autorità giudiziaria di distruggere le merci di cui sono vietate la fabbricazione, il possesso o la commercializzazione, quando le stesse sono di difficile custodia (comma 3 -bis introdotto nell'art. 260).
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5.
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II.V.5 .a
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. a.
La nozione di intercettazione.
Per intercettazione si intende quell'atto del procedimento che si effettua mediante strumenti tecnici di percezione e che tende a captare il contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più persone, quando l'apprensione medesima è operata da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza (26) . Analizziamo partitamente i requisiti. a) Segretezza. Anzitutto, i soggetti devono comunicare tra loro col preciso intento di escludere estranei dal contenuto della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest'ultima segreta. Non è intercettazione una espres sione del pensiero, sia pure rivolta ad un soggetto determinato, che venga effettuata in modo poco discreto sì da renderla percepibile a terzi (es. parlare ad alta voce in pubblico; servirsi di onde radio liberamente percepibili) . b ) Strumenti di percezione. li soggetto che capta deve usare strumenti tecnici di percezione (elettro-meccanici, elettronici o digitali) particolarmente invasivi ed insidiosi, idonei a superare le cautele elementari, che dovrebbero garantire la libertà e segretezza del colloquio, e a captarne i contenuti. Non effettua una intercettazione colui che ascolta una conversazione origliando dietro una porta. Viceversa, è intercettazione, pur non essendo effettuata in tempo reale, l'attività del terzo che nasconde, per poi recuperarlo, un apparec chio magnetofonico in funzione nella stanza destinata ad ospitare una conver sazione tra altre persone, con ascolto "in differita" della riproduzione (27 ) . c) Terzietà e clandestinità. Il soggetto captante deve essere assolutamente estraneo al colloquio e deve operare in modo clandestino. Non è intercettazione la registrazione di un colloquio effettuata da una delle persone che vi parteci pano attivamente o da una persona che è comunque ammessa ad assistervi. Infatti, in tale caso manca il requisito della " clandestinità" rispetto agli interlocutori (v. tav. 2 .5 .6). In quest'ultima ipotesi, il nastro della registrazione assume la natura di " documento" e potrà essere ammesso nel processo, salvo che vi osti un divieto probatorio (28 ) . (26) In tal senso Cass., sez. un., 2 8 maggio-24 settembre 2003, Torcasio, i n Guida dir. , 2003 , 42, 49. (27) Così Cass., sez. un., 24 settembre 2003 , Torcasio, cit. « La registrazione di una conversazione telefonica effettuata da uno degli stessi interlocutori è (28) documento della conversazione in questione e perciò ne è prova idonea ed utilizzabile in giudizio >>. Così, Cass., sez. II, 8 aprile 1994, in Giust. pen. 1995, III, 67; Cass., sez. un., 24 settembre 2003 , Torcasio, cit. n documento fonografico così formato è utilizzabile solo se non viola specifiche regole di acquisizione della prova, quali gli artt. 63 comma 2, 195 comma 4 e 203 c.p.p. n Supremo collegio ha prospettato una sorta di "inutilizzabilità sistematica" (C. CONTI) che consegue all'impiego di un mezzo di prova allo scopo di aggirare i limiti ricavabili dagli schemi legali delineati dal codice. Con la sentenza 4 dicembre 2009, n. 320, sulla quale subito in/ra, la Corte costituzionale ha precisato che non costituisce documento, bensì documen tazione, la registrazione effettuata dalla polizia giudiziaria nell'ambito di un atto di indagine.
II.V.5.a
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L'intercettazione, così definita, è un'attività che può essere compiuta soltanto per iniziativa del pubblico ministero e su autorizzazione del giudice per le indagini preliminari nei casi e modi previsti dalla legge (artt. 266-27 1 ) . Essa può avere ad oggetto sia « conversazioni o comunicazioni telefoniche e ( . . . ) altre forme di telecomunicazione » ( art. 266) (29), sia il « flusso di comunica zioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi » (art. 266-bis, introdotto dalla legge 23 dicembre 1 993 , n. 547) . L e intercettazioni ambientali. L'intercettazione di comunicazioni tra presenti (da parte di una persona non presente) è ammessa di regola fuori del domicilio privato su autorizzazione del giudice. In via eccezionale l'intercettazione di co municazioni tra presenti è consentita nel domicilio privato se vi è « fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa » (art. 266, comma 2 ) . Pertanto non vi può essere intercettazione tra presenti per accertare reati già commessi in passato. Ricordiamo che non vi è "intercettazione" se Tizio registra il contenuto della conversazione svoltasi tra se stesso e Sempronio, o anche tra Caio e Sempronio senza che egli nasconda la propria presenza (30). (29) « L'intercettazione d i conversazioni effettuate via etere per mezzo d i u n apparecchio ricetrasmit tente privo di concessione non è soggetta ad autorizzazione alcuna da parte dell'autorità giudiziaria, perché relativa a comunicazioni non costituzionalmente garantite in quanto effettuate con mezzo illegale, il cui uso costituisce reato, ed in quanto prive del requisito della riservatezza, essendo liberamente captabili da chiunque, nel raggio di irradiazione, si awalga di un apparecchio ricevente sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda>>. In tal senso, Cass., sez. II, 12 novembre 1994, in Cass. pen., 1996, 861. (30) Così, Cass., sez. un., 28 maggio-24 settembre 2003, Torcasio, in Guida dir., 2003 , 42, 49. Particolarmente discussa è l'ipotesi in cui una persona rechi con sé apparecchi di registrazione che consentono alla polizia giudiziaria l'ascolto contestuale o differito di una conversazione con l'indagato. Si tratta di quella figura che viene indicata nella prassi come " agente segreto attrezzato per il suono" . In dottrina, C. CoNTI, Accertamento del /atto e inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 2007, 309 ss. In base ad un orientamento garantista, che negli ultimi tempi sta diventando maggioritario, in ipotesi del genere siamo dinanzi ad una vera e propria intercettazione posta in essere senza rispettare la disciplina prevista dagli artt. 266 ss. , che prevedono quanto meno il decreto del pubblico ministero in caso di urgenza: pertanto, la documentazione è inutilizzabile ai sensi dell'art. 27 1 (così, Cass., 7 novembre-12 dicembre 2007, n. 46724, con riferimento all'agente segreto che consente alla polizia l'ascolto contestuale; Cass., 6 novembre 2008-26 novembre 2008, n. 44128, che ha ritenuto inutilizzabile anche la registrazione effettuata dalla persona offesa indipendentemente da un ascolto contemporaneo della polizia). In proposito si è espressa anche la Corte costituzionale (sentenza 4 dicembre 2009, n. 320). n Giudice delle leggi ha affermato che non vi sarebbe nessuna concreta differenza tra il caso in cui il colloquiante consenta alla polizia giudiziaria di installare un dispositivo che le permetta di intercettare la conversazione con un interlocutore ignaro e l'ipotesi in cui il medesimo colloquiante, agendo su precisa indicazione degli organi investigativi e con apparecchiature da questa approntate, proceda alla sola registrazione del colloquio. n ricorso al congegno azionato dall'interlocutore rappresenterebbe, difatti, un mero espediente diretto ad eludere l'obbligo di munirsi dell'autorizzazione giudiziaria e neppure motivato dall'esigenza di non vanificare una esecuzione tempestiva dell'operazione, dato che, proprio per le situazioni di urgenza, la legge prevede che l'operazione stessa possa venire immediatamente disposta dal pubblico ministero con decreto, salva la successiva convalida da parte del giudice (art. 266, comma 2). La Corte cost. ha sottolineato che il prodotto di una simile attività di registrazione-intercettazione non costituirebbe documento ai sensi dell'art. 234, bensì documentazione di un atto del procedimento. Gli orientamenti appena esposti, tuttavia, trascurano l'ipotesi assai ricorrente, nella quale l'agente segreto registri quelle dichiarazioni che portano a compimento la fattispecie criminosa. Si faccia il caso tipico
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II.V.5. b
Le ipotesi che non costituiscono intercettazione. Differente dalla intercet tazione, perché non ha per oggetto una "comunicazione" , è il pedinamento mediante apparecchiatura satellitare G.P.S., che può essere disposto dalla polizia giudiziaria come mera attività atipica (3 1 ) . Parimenti è estranea all'intercettazione la acquisizione dei tabulati del traffico telefonico dei quali tratteremo nel successivo paragrafo 6 lett. a. b.
I requisiti per disporre le intercettazioni.
Le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni sono ammesse con molti limiti. Questi sono imposti dalla necessità di rispettare la garanzia che è prevista dall'art. 15 della Costituzione e che tende a tutelare la « segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione » (32) . La compressione della libertà individuale è ammessa soltanto « per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge ». Pertanto deve ritenersi vigente in materia una riserva di giurisdizione ed una riserva di legge. In adempimento alla riserva di giurisdizione, le intercettazioni devono essere autorizzate dal giudice su richiesta del pubblico ministero (art. 267 ) . In adempimento alla riserva di legge, sono previsti dal codice i presupposti per procedere alla intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche: l ) le intercettazioni possono essere disposte nei procedimenti relativi ai soli reati previsti nell'art. 266, comma l (3 3 ) ; 2) devono esistere « gravi indizi di reato » a prescindere da una responsadella richiesta estorsiva registrata dalla vittima. In tale ipotesi, la natura della dichiarazione registrata, che è parte integrante del fatto criminoso, impone di ritenerla comunque utilizzabile: essa rileva come fatto piuttosto che per il proprio contenuto narrativo. Viceversa, restano inutilizzabili in base alle regole accolte dalla giurisprudenza, tutte le dichiarazioni ulteriori e diverse che l'indagato si trovi a rendere. In tal caso, infatti, siamo dinanzi ad intercettazioni mascherate ed effettuate aggirando le garanzie previste dalla disciplina del codice (artt. 266 ss.). (3 1 ) Cass., sez. V, 2 maggio 2002, Bresciani, in Dir. pen. proc., 2003 , 93, con nota di P. PERETOLJ. Per un elenco ragionato delle ipotesi che sfuggono al concetto di intercettazione v. E. APRILE, F. SP!EZIA, Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, Milano, 2 004, 125 s. (32) Cfr. Corte cost., 1 1 marzo 1993, n. 8 1 , in Giur. cast. , 1993, 73 1 . (33) L'intercettazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati: a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4 c.p.p.; b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4 c.p.p.; c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; e) delitti di contrabbando; /J reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono; fbis) delitti previsti dall'art. 600-ter, comma 3 c.p. (distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione di materiale pornografico realizzato con sfruttamento di minori di anni diciotto) anche se relativi al materiale pornografico di cui all'art. 600-quater.l. Inoltre, le intercettazioni sono consentite al fine di ricercare il latitante (art. 295, commi 3 e 3 -bis).
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bilità soggettiva (art. 267, comma 1 ) . Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l'art. 203 ; e cioè, se gli indizi si basano su dichiarazioni confidenziali di informatori della polizia, le dichiarazioni medesime possono essere utilizzate soltanto quando gli informatori sono stati esaminati come testimoni o come persone informate sui fatti e, quindi, cessano di essere anonimi. Se gli informa tori non sono stati esaminati, le loro dichiarazioni non possono essere utilizzate ai fini della valutazione dei gravi indizi di reato. 3 ) l'intercettazione deve essere « assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini »; ciò avviene quando la prova non può essere acquisita con mezzi diversi dalla intercettazione. Ai sensi dell'art. 266-bis l'intercettazione del « flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici » è consentita nei procedimenti concernenti sia i reati indicati nell'art. 266, sia i reati « commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche »; e ciò perché si tratta di reati commessi con strumenti particolarmente insidiosi (A. CALICE). Sono previsti divieti di utilizzazione (di cui tratteremo in prosieguo; v. art. 27 1 ) e garanzie in favore dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari (art. 103 ) . Ad esempio, è vietata l'intercettazione relativa a comunicazioni dei difensori o a comunicazioni tra i medesimi e le persone da loro assistite (art. 103 , comma 5 ) . Intercettazioni per gravi delitti. Occorre segnalare che nelle indagini relative a delitti di criminalità organizzata, di minaccia per mezzo del telefono o contro la personalità individuale i requisiti sopra ricordati sono attenuati. In base all'art. 13 legge 12 luglio 1 99 1 , n. 203 e successive modificazioni, basta la sussistenza di « sufficienti indizi » e la mera « necessità per la prosecuzione delle indagini »; l'intercettazione delle comunicazioni tra presenti è ammessa anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi di privata dimora si stia svolgendo attività criminosa; la proroga ha un regime speciale. Inoltre, le intercettazioni sono consentite al fine di ricercare il latitante (art. 295 , integrato dalla legge 14 febbraio 2006 n. 56). Merita altresì segnalare l a possibilità che si svolgano l e cd. intercettazioni preven tive. Esse hanno una regolamentazione speciale, della quale ci limitiamo a dare un breve cenno. L'art. 226 disp. att., modificato dalla legge n. 438 del 200 1 , consente di effettuare intercettazioni telefoniche al solo scopo di "prevenire" il compimento di determinati delitti particolarmente gravi in tema di criminalità mafìosa o terroristica (artt. 407 , comma 2, lett. a e 5 1 , comma 3 -bis c.p.p.). Occorre sottolineare che le intercettazioni preventive sono disposte direttamente dal pubblico ministero con decreto quando « vi siano elementi investigativi che giustifichino l'attività di prevenzione » (34 ) . (34) Tuttavia gli elementi acquisiti di cui all'art. 226 disp. art. è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Merita ricordare, infine, che l'art. 5, comma 2 della legge n. 438 del 2001 ha abrogato ogni altra disposizione concernente le intercettazioni preventive. Pertanto non è più in vigore l'art. 25-ter della legge 7 agosto 1992, n. 356, che concerneva specificamente i delitti di criminalità organizzata mafiosa. (35) Cass., sez. un., 28 novembre 2001, Policastro: « la disposizione dell'art. 268 comma 3 c.p.p., che prevede la garanzia del provvedimento motivato del pubblico ministero perché possano utilizzarsi impianti diversi da quelli installati nella procura della Repubblica, si applica anche alle operazioni di intercettazione di comunicazioni fra presenti, le quali comportano, anzi, un più intenso sacrificio dei diritti tutelati dall'art. 15 Cast. rispetto alle intercettazioni telefoniche >>. Risolvendo un acceso contrasto giurisprudenziale le Sezioni unite della Cassazione (29 novembre 2005 - 24 gennaio 2006, n. 2737 , Campenni, in Cass. pen., 2006, 1347) hanno affermato il seguente principio di diritto: « la motivazione del decreto del pubblico ministero, in ordine ad entrambi i presupposti di legge (la inidoneità o insufficienza degli apparati in uso all'ufficio giudiziario e la eccezionale urgenza) deve intervenire prima della esecuzione delle operazioni captative; il pubblico ministero può rendere la relativa motivazione, o integrarla, anche in un momento successivo a quello in cui abbia, eventualmente, disposto l'esecuzione delle operazioni, ma comunque sempre ed in ogni caso prima che le operazioni medesime vengano eseguite. Non
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Durata delle intercettazioni. Nel decreto motivato il pubblico m1mstero deve indicare la durata delle intercettazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma l dell'art. 267, e cioè i gravi indizi e la assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini (36). fl procedimento di urgenza. Nei casi di urgenza, ma in presenza di tutti i presupposti sopra menzionati, l'intercettazione è disposta dal pubblico mini stero, che deve comunicare il relativo decreto motivato al giudice non oltre ventiquattro ore decorrenti dal proprio provvedimento. Il giudice entro le quarantotto ore successive decide sulla convalida con decreto motivato. In caso di mancata convalida, l'intercettazione non può essere proseguita ed i risultati non possono essere utilizzati (art. 267, comma 2 ) . Utenze intercettabili. Occorre sottolineare l'ampiezza con cui può essere esercitato il potere di intercettazione. In base ai requisiti previsti dal codice sono intercettabili sia le utenze riferibili agli indagati, sia quelle riferibili ai testimoni, sia, infine, le utenze riferibili a persone estranee ai fatti, quando queste ultime possono essere destinatarie di comunicazioni provenienti da indagati o da testimoni. Ad esempio, nell'ambito delle indagini su di un sequestro di persona a scopo di estorsione possono essere messi sotto controllo anche i telefoni dei familiari della persona sequestrata. In tal modo può facilmente accadere che siano registrate anche conversazioni che non hanno alcuna attinenza con i fatti per i quali si procede. Tuttavia la disciplina attuale non permette al pubblico ministero di distruggere le registrazioni irrilevanti (37) . è dato al giudice di emendare il decreto del pubblico ministero sostituendosi a lui nel rendere una motivazione non data dall'inquirente o di integrarla, appropriandosi di ambiti di discrezionalità delibativa e determinativa che spettano solo alla parte pubblica >>. In mancanza di tale presupposto la prova è afflitta da inutilizzabilità patologica. (36) Quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono, per i quali, ricordiamo, bastano i sufficienti indizi di reato, la durata delle operazioni non può superare quaranta giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodo successivi di venti giorni qualora permangano i presupposti. Nei casi di urgenza alla proroga prowede direttamente il pubblico ministero, con la successiva convalida del giudice. In tal senso, si veda l'art. 1 3 , comma 2 decreto-legge 13 maggio 199 1 , n. 152, conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203. (3 7 ) Una disciplina speciale delle intercettazioni che riguardano i membri del parlamento è contenuta nella legge 20 giugno 2003 , n. 140. Per disporre una intercettazione diretta nei confronti di un parlamentare è necessaria una preventiva autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza (art. 4). La legge ha introdotto una distinzione: si ha una intercettazione "indiretta" quando il procedimento riguarda terzi ed il parlamentare ha preso parte alla comunicazione su di una utenza intercettata che non è a lui intestata né riferibile (Corte cost., n. 163 del 2005). In detta ipotesi, su istanza delle parti o del parlamentare interessato, il giudice per le indagini preliminari decide in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 269, commi 2 e 3 c.p.p., la distruzione integrale o parziale di quelle parti della intercettazione che egli valuti non rilevanti per il procedimento (art. 6 legge n. 140). Se, invece, il giudice ritiene che la intercettazione indiretta debba essere utilizzata, ma soltanto nei confronti di terzi, non occorre che egli chieda l'autorizza-
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Presso l'ufficio del pubblico ministero è tenuto un registro riservato nel quale sono annotati in ordine cronologico i decreti che regolano le intercetta zioni ed i provvedimenti del giudice che autorizzano, convalidano e prorogano le stesse (art. 267, comma 5 ) . Registrazione. L e comunicazioni intercettate sono registrate; delle opera zioni è redatto verbale (art. 268, comma 1 ) . La polizia giudiziaria provvede a trascrivere il contenuto anche sommariamente (art. 268, comma 2 ) ; si tratta dei c.d. brogliacci d'ascolto, utilizzabili già durante le indagini preliminari per chiedere al giudice le misure. Merita segnalare che la Corte cost. (sentenza n. 3 3 6 del 2008) ha dichiarato illegittimo l'art. 268 nei seguenti termini: dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore dell'in dagato ha il diritto di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di quelle conversazioni o comunicazioni intercettate, che sono state utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non sono state depositate (38). La registrazione delle intercettazioni ed i verbali sommari sono trasmessi immediatamente al pubblico ministero e devono essere depositati in segreteria (art. 268, comma 4 ) . Tuttavia il giudice può autorizzare che il deposito sia ritardato, se ne può derivare un grave pregiudizio per le indagini; e cioè, se vi è pericolo di inquinamento delle prove (art. 268, comma 5 ) . Di conseguenza, di regola accade che il deposito sia effettuato al momento dell'avviso di conclu sione delle indagini (art. 4 15-bis) . L'udienza di stralcio. Una volta effettuato il deposito, deve essere dato avviso ai difensori, che possono ascoltare le registrazioni ed esaminare gli atti. Spetta alle parti indicare le conversazioni da acquisire (art. 268, comma 6) (v. tav. 2 .5.7). In questa fase il giudice ha un limitato potere di filtro; da un lato, egli deve stralciare le registrazioni di cui è vietata l'utilizzazione; da un altro lato, egli deve disporre l'acquisizione delle registrazioni indicate dalle parti che « non appaiano manizione a procedere (Corte cast. , n. 390 del 2007 ) . Infine, se il giudice valuta necessario utilizzare l'intercetta zione indiretta nei confronti dei terzi e del parlamentare, allora egli deve chiedere l'autorizzazione della Camera alla quale il parlamentare stesso appartiene o apparteneva al momento della intercettazione. Nessun problema se la Camera concede l'autorizzazione; viceversa, se la Camera nega l'autorizzazione, le intercettazioni sono inutilizzabili nei confronti del parlamentare, ma possono essere utilizzate nei confronti dei terzi (Corte cast., n. 390 del 2007). (38) Cass., sez. un., 22 aprile - 27 maggio 2010, n. 20300, in www.guidaaldiritto.ilsole24ore.eom, ha affermato che, qualora il difensore ne faccia richiesta, il pubblico ministero ha l'obbligo di rilasciare copia dei supporti magnetici delle intercettazioni a pena di responsabilità disciplinare o addirittura penale. Se il pubblico ministero non adempie, il difensore ha l'onere di far valere tale omissione dinanzi al tribunale della libertà. In tal caso, qualora il pubblico ministero non trasmetta detto materiale, si verifica una nullità intermedia ex art. 178, lett. c e le intercettazioni non potranno essere poste a base della decisione del tribunale del riesame sulla misura cautelare. Le intercettazioni, tuttavia, resteranno utilizzabili al di fuori di tale specifica vicenda e, qualora il pubblico ministero produca i supporti magnetici, potranno essere poste a base di una nuova richiesta cautelare.
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festamente irrilevanti » (art. 268, comma 6). n pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattrore prima. La procedura porta di fatto il giudice ad acquisire tutte le registrazioni perché la legge gli consente di stralciare soltanto gli atti " sicuramente" irrilevanti e comunque dopo aver convocato le parti (pubblico ministero e difensori) (39). Le registrazioni non rilevanti sono conservate dal pubblico ministero. Successivamente, il giudice dispone la trascrizione delle registrazioni con le garanzie previste per la perizia (art. 268, comma 7) ; i difensori sono avvisati delle operazioni e possono ottenere copia dei verbali. Soltanto a questo punto la persona interessata può chiedere al giudice, a tutela della propria riservatezza, la distruzione della registrazione che la riguarda; il giudice, in camera di consiglio, accoglie la richiesta se la documentazione non è necessaria per il procedimento (art. 269, comma 2 ) . Divieti di utilizzazione. I l codice dispone l a inutilizzabilità delle intercet tazioni che sono state compiute fuori dei casi consentiti (40) , o senza osservare i presupposti e le forme del provvedimento di autorizzazione, o senza redigere il verbale delle operazioni o eseguendo le medesime al di fuori degli impianti installati nella procura della Repubblica, senza motivare le ragioni di urgenza (artt. 267 e 268 commi l e 3 ) . La documentazione delle intercettazioni inuti lizzabili è distrutta su ordine del giudice, salvo che le stesse costituiscano corpo del reato (es., calunnia o ingiuria mediante telefono) (art. 27 1 ) . Di regola i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza (art. 270 comma l ) ; restano comunque utilizzabili come « notizia di reato » per altri procedimenti (4 1 ) . (39) Nella prassi accade che, di regola, l'udienza di stralcio si svolga direttamente quando il procedimento è pervenuto al dibattimento. (40) La giurisprudenza sostiene una interpretazione restrittiva dell'art. 271 c.p.p., che sanziona con la inutilizzabilità le intercettazioni che > . Secondo la Cassazione, le intercettazioni non sono compiute fuori dei casi consentiti quando la originaria imputazione è stata poi in sentenza derubricata in un reato che non avrebbe consentito tale mezzo di ricerca della prova. Si sostiene che, per dare luogo ad una inutilizzabilità, servirebbe una disposizione specifica oppure un principio giuridico dal quale far discendere questa conseguenza. dei controlli sul rispetto ; ma, se l'imputato è affetto da AIDS o da grave deficienza immunitaria, l'arresto può essere effettuato presso le unità operative regionali o una residenza collettiva o casa alloggio (di cui all'art. l , comma 2, legge n. 135 del l990). 3) La custodia in carcere può essere disposta se l'interessato è imputato di gravi reati avvenuti dopo l'applicazione della misura cautelare alternativa nei casi precedenti (art. 275, comma 4-quater) o se il medesimo ha trasgredito le prescrizioni collegate alle misure alternative concesse come sopra (art. 276, comma l -bis). Nelle predette ipotesi l'istituto carcerario deve essere comunque dotato di un reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.
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legislatore è stato costretto a d operare, l a legge non h a dato luogo a d una riforma equilibrata, né ha toccato la "struttura" del procedimento applicativo delle misure cautelari personali. Chiariti i limiti della riforma, cercheremo di evidenziarne i punti più qualificanti. fl procedimento applicativo. L'applicazione delle misure cautelari personali avviene in due fasi. Nella prima vi è una decisione del giudice fondata su di una richiesta che viene presentata dal pubblico ministero senza che sia sentita la difesa, poiché la misura deve essere eseguita "a sorpresa" per essere efficace. Nella seconda fase vi è una qualche forma di contraddittorio perché il giudice per le indagini preliminari deve interrogare l'indagato (sottoposto a custodia o ad altra misura cautelare) ed il difensore ha il diritto di esaminare i verbali degli atti che sono stati valutati dal giudice (v. tav. 2.6.3 ) . Le due fasi del procedimento applicativo hanno una caratteristica comune. Il potere di controllo, che può essere esercitato dal giudice, è molto limitato; inoltre, all'indagato non è riconosciuto il diritto alla prova, e cioè la possibilità di far assumere prove a difesa. Infine, il giudice decide soltanto su atti e documenti scritti, senza poter sentire a viva voce alcun testimone. Tutto ciò provoca un preciso effetto. Il pubblico ministero, che svolge le in dagini in segreto, subisce un controllo molto limitato ad opera del giudice; anzi, di fatto, condiziona la decisione di quest'ultimo. La legge 8 agosto 1995 , n. 332, pur non avendo modificato l a struttura del procedimento applicativo, ha tuttavia introdotto alcuni correttivi che, come abbiamo anticipato, hanno reso leggermente più incisivo il contraddittorio in favore dell'indagato. Sotto tale profilo, la legge ha operato una " inversione di tendenza" rispetto alle scelte effettuate nel 1 988 (4 1 ) . L'applicazione delle misure mediante un procedimento incidentale. Le mi sure cautelari coercitive sono richieste e decise (e poi impugnate) nel corso di un procedimento incidentale; questo costituisce una diramazione collaterale del pro cedimento principale, che continua a svolgersi autonomamente (es., nel frattempo il pubblico ministero svolge le sue indagini) . Ciò premesso, è un procedimento incidentale quello che applica, revoca o modifica una misura cautelare coercitiva e quello che decide sulla impugnazione contro i relativi provvedimenti. Il procedimento incidentale ha una autonomia formale e funzionale rispetto al procedimento principale. Autonomia formale, perché è retto da regole diverse da quello principale ed ha uno scopo differente dal medesimo. Il procedimento principale accerta la commissione di un fatto penalmente illecito e la sua attribuibilità ad una persona al fine di irrogare la pena; il procedimento (41) Nei procedimenti relativi ai reati, consumati o tentati, riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale nella regione Campania, sulle richieste di prima applicazione di misure cautelari personali e reali decide il tribunale di Napoli in composizione collegiale (art. 3 , decreto-legge n. 90 del2008, conv. in legge n. 123 del 2008). Per tali reati le funzioni del pubblico ministero sono svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale di Napoli; la competenza per il giudizio resta quella ordinaria del locus commissi delicti.
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incidentale, nel caso in esame, accerta l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari al fine di applicare una misura cautelare volta prevenire determinati pericoli per il processo penale (42) . I l procedimento incidentale h a una autonomia funzionale, perché l e vicende del procedimento incidentale di regola non influiscono sul procedimento principale, salvo che la legge non lo preveda espressamente (43 ) .
b.
La richiesta del pubblico ministero e la decisione del giudice.
La prima fase del procedimento applicativo ha inizio quando il pubblico ministero chiede per scritto al giudice per le indagini preliminari l'adozione di una misura cautelare personale; termina quando il giudice prende, sempre per scritto, una decisione sulla richiesta. La procedura è segreta, e cioè deve svolgersi all'insaputa dell'indagato e del suo difensore. La struttura del proce dimento applicativo rispetta il principio della separazione delle funzioni, se condo cui il pubblico ministero, nella sua qualità di parte, non ha il potere di limitare la libertà personale dell'indagato. Il pubblico ministero ha soltanto il potere di rivolgere una richiesta al giudice per le indagini p'reliminari, presen tandogli gli « elementi su cui la richiesta si fonda » (art. 2 9 1 , comma 1 ) , e cioè i verbali degli atti delle indagini preliminari (44 ) . In tal modo l a pubblica accusa gode di un vero e proprio potere di selezionare gli atti raccolti durante le indagini preliminari; di conseguenza il giudice, non conoscendo l'intero fascicolo delle indagini, ha una cognizione limitata nel momento in cui accerta se vi sono i presupposti per applicare una determinata misura cautelare. Il giudice decide sulla base di atti di indagine che valgono come prove, perché sono posti a fondamento di una decisione sulla libertà personale. L'obbligo di presentare al giudice tutti gli elementi a favore dell'imputato. La legge n. 332 del 1 995 ha inserito un primo correttivo, e cioè ha posto al pubblico ministero l'obbligo di presentare al giudice « tutti gli elementi a favore (42) Inoltre, l'organo decidente può non essere quello competente per il procedimento principale. Ad es., sulla impugnazione di una misura coercitiva decide il tribunale del capoluogo del distretto nel quale ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza; art. 309, comma 7. (43) Ad es., se in sede di riesame si accerta che il procedimento è di competenza di altro giudice, questa decisione non influisce sul procedimento principale, che continua ad essere gestito dal pubblico ministero (sui possibili rimedi, si veda in/ra, Parte III, cap. l , § 6, lett. i). (44) Ai sensi dell'art. 3, comma 2 d.lgs. n. 106 del 2006 è necessario l'assenso scritto del procuratore della repubblica per la richiesta di misure cautelari personali presentata dal sostituto, eccetto per quelle formulate in occasione della convalida dell'arresto in flagranza o del fermo. Cass., sez. un., 22 gennaio - 24 febbraio 2009, n. 8388, Novi, ha deciso che >. (48) Nel codice del l988 gli atti raccolti durante le indagini avevano, all'interno di questa fase, il valore di prove, ma non erano sottoposti alla regolamentazione delle prove, poiché la motivazione del provvedimento del giudice poteva essere sommaria. Dopo la legge n. 332 del l995 i medesimi atti di indagine devono essere valutati come prove, almeno nel momento in cui il giudice decide su di essi; ed, infatti, in tal senso si sta orientando la giurisprudenza, pur con fenomeni di vischiosità. Cade così, seppure in parte, uno dei "miti" del 1988, secondo cui gli atti di indagine sfuggivano alla regolamentazione predisposta per le prove. In particolare, come si è ricordato, in base al nuovo comma l-bis dell'art. 273, introdotto dalla legge n. 63 del 200 1 , nella valutazione dei gravi indizi il giudice deve tenere conto di alcune regole generali sulle prove, e cioè degli artt. 1 92 , commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 27 1 , comma l (v. supra, § 2, b, n. 2 ) . (49) Cass., sez. un., 9 febbraio 2004, Zalagaitis, i n Guida Dir., 2004, n. 1 1 , 93 : se, dopo l'esecuzione di una misura cautelare, risulta che l'imputato ignora la lingua italiana, la relativa ordinanza deve essere tradotta nel corso dell'interrogatorio di garanzia.
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misura cautelare perché il destinatario non è stato rintracciato, l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria redige un verbale " di vane ricerche" indicando le indagini svolte (art. 295 ) . Il verbale deve essere trasmesso al giudice che ha emanato il provvedimento. Questi, se ritiene le ricerche esaurienti, dichiara lo stato di latitanza di colui che volontariamente si sottrae « alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all'obbligo di dimora » (art. 296) . Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice nei limiti e con le modalità previste dagli artt. 266 e 267 può disporre l'intercettazione di conver sazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione (art. 295 comma 3 ) . Agli stessi fini può farsi luogo ad intercettazioni ambientali, quando si tratti di latitante in relazione ad un delitto di criminalità mafìosa (art. 5 1 comma 3 -bis) ovvero di un delitto di natura terroristica o eversiva previsto dall'art. 407 comma 2 , lett. a, n. 4 . c.
L'interrogatorio di garanzia.
La seconda fase del procedimento applicativo ha inizio nel momento in cui la misura cautelare personale è eseguita; si conclude con l'interrogatorio davanti al giudice che ha deciso l'applicazione della misura stessa (50). Questo inter rogatorio nella prassi è denominato " di garanzia" perché assume una funzione prevalentemente difensiva. Infatti, al termine di tale atto, il giudice deve valutare « se permangono » le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari origina rie. Quando ne ricorrono le condizioni, e cioè se gli indizi o le esigenze sono venute meno o si sono attenuate, deve provvedere alla revoca della misura disposta o alla sua sostituzione con una meno grave (art. 294, comma 3 ) . L'avviso di deposito. L'art. 293 comma 3 impone al giudice per le indagini preliminari di depositare immediatamente in cancelleria, insieme all'ordinanza applicativa della misura, anche la richiesta del pubblico ministero e gli « atti presentati con la stessa ». Un avviso di deposito deve essere notificato al difensore, che ha diritto di esaminare gli atti nella cancelleria e di estrarne copia (5 1 ) . È questo uno dei correttivi, che sono stati introdotti dalla legge n. 332 del 1995 ; esso dà luogo ad una formalità utile perché mette il difensore in grado di anticipare le proprie deduzioni già nel corso dell'interrogatorio (52) . (50) L'unico caso in cui l'interrogatorio ad opera del giudice precede l'applicazione della misura cautelare è quello in cui sia stata disposta la misura interdittiva della sospensione dai pubblici uffici o servizi (art. 289). In tal caso, il giudice procede a interrogatorio ex artt. 64 e 65 prima di decidere sull'applicazione del provvedimento. (5 1 ) La Corte costituzionale con la sentenza n. 192 del 1997 ha dichiarato illegittimo l'art. 293, comma 3, nella parte in cui non prevede la facoltà per il difensore di estrarre copia, insieme all'ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa. (52) Nonostante l'art. 293 , comma 3 , non preveda un termine entro cui deve avvenire la notifica dell'avviso, le Sezioni Unite hanno affermato che il deposito degli atti, di cui all'art. 293, comma 3 , deve precedere, a pena di nullità, l'interrogatorio di garanzia. Così Cass., sez. un., 28 giugno-20 luglio 2005, n.
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n divieto posto al pubblico ministero di sentire l'indagato in custodia cautelare prima che il giudice provveda all'interrogatorio di garanzia. Diffe rente dall'interrogatorio di garanzia è quello cd. investigativo, che è svolto dal pubblico ministero nel corso delle indagini (art. 64 e 65) . L a legge n. 3 3 2 del 1 995 h a vietato che l'interrogatorio investigativo della persona in stato di custodia cautelare sia svolto da parte del pubblico ministero prima dell'interrogatorio di garanzia compiuto dal giudice (art. 294 , comma 6). Si tratta di una regola finalizzata ad evitare che il pubblico ministero possa strumentalizzare la situazione della persona sottoposta a custodia al fine di operare indebite pressioni allo scopo di ottenere confessioni o chiamate di còrreo (53 ) . Pertanto, è il giudice che per primo deve interrogare l'indagato che s i trovi in carcere o in arresto domiciliare; soltanto dopo, nel corso delle indagini, il pubblico ministero potrà procedere all'interrogatorio investigativo di cui all'art. 64 . Il pubblico ministero, in caso di urgenza, può chiedere che l'interrogatorio di garanzia avvenga entro il termine di quarantotto ore dall'esecuzione della misura coercitiva; ma ciò deve essere fatto presente al giudice « nella richiesta di custodia cautelare » (comma 1 -ter) . Occorre segnalare che una disciplina peculiare esiste in materia di arresto in flagranza e di fermo. Una volta disposte tali misure precautelari, il pubblico ministero può procedere all'interrogatorio investigativo prima che si tenga l'udienza di convalida ( art. 3 88, comma l ) ; di conseguenza, in tal caso la pubblica accusa può prendere contatto con l'arrestato in un momento anteriore rispetto al giudice. Ai sensi dell'art. 294 , comma l , se il giudice ha provveduto all'interrogatorio dell'indagato in sede di convalida dell'arresto o del fermo, non è necessario un successivo interrogatorio di garanzia. Quando si svolge l'interrogatorio di garanzia. L'interrogatorio di garanzia è un adempimento che deve essere compiuto dal giudice che ha deciso in ordine 26798, Vitale, in Foro it. , 2005, II, 569: dalla Costituzione. (59) Tale disciplina costituisce la risultante di una sentenza additiva della Corte costituzionale (C. cost. , 4 aprile 200 1 , n . 95) . (60) Dopo l a liberazione a causa dell'omissione dell'interrogatorio nei termini, l a misura può essere nuovamente disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, previo un nuovo interrogatorio allorché, valutati i risultati di questo, sussistono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari (artt. 273 , 27 4 e 275) . Nello stesso modo si procede nel caso in cui la persona, senza giustificato motivo, non si presenta a rendere interrogatorio (art. 302).
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(pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga o pericolo del compi mento di gravi delitti) (61 ) . 2) La sostituzione in melius della misura ( o la sua applicazione con modalità meno gravose) deve essere disposta quando le esigenze cautelari, pur non essendo venute meno, risultano « attenuate »; o quando la misura non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere inflitta. Resta comunque un ostacolo al potere discrezionale di valuta zione del giudice quando permangono i gravi indizi di commissione di uno dei delitti previsti dall'art. 275 , comma 3 : la custodia in carcere si presume l'unica misura adeguata. Soltanto il venir meno di tutte le esigenze cautelari permette di revocare la misura menzionata (si veda supra, § 2 , lett. d, n. 3 ) . Per quanto riguarda gli aspetti procedimentali, occorre sottolineare che, di regola, sia la revoca, sia la sostituzione in meglio possono essere disposte dal giudice a richiesta dell'imputato o del pubblico ministero (art. 299, comma 3 ) ; eccezionalmente possono essere concesse anche d'ufficio nel corso dell'interro gatorio di garanzia, oppure in udienza (ad esempio, nell'udienza preliminare) o in situazioni ad essa equiparate (ad esempio, in sede di richiesta di incidente probatorio o di proroga dei termini per le indagini) . L'iniziativa d'ufficio del giudice è giustificata dal fatto che la libertà personale è un diritto non dispo nibile ai sensi dell'art. 13 comma l Cast. Prima di emanare il provvedimento, il giudice deve sentire il pubblico ministero (art. 299, comma 3 -bis), audizione che è dovuta ad un principio generale del nostro sistema processuale. n pubblico ministero deve essere avvisato ed ha due giorni per far eventualmente conoscere al giudice il suo parere, che non è vincolante (v. tav. 2 .6.5 ) . Sempre sotto un profilo procedimentale, il giudice è in grado di avere un contatto diretto con l'indagato: infatti, può disporre l'interrogatorio prima di decidere in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura cautelare. L'in terrogatorio diventa obbligatorio quando lo abbia chiesto l'indagato e la sua istanza di revoca o di sostituzione sia basata su « elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati » (art. 299, comma 3 -ter). 3 ) La sostituzione in peius della misura cautelare (o la sua applicazione con modalità più gravose) può essere disposta dal giudice soltanto su richiesta del pubblico ministero. Ciò avviene sia quando le esigenze cautelari risultano essersi aggravate (art. 299, comma 4 ) , sia quando l'imputato ha trasgredito le prescri zioni che concernono la misura (art. 276). (61) >. Si veda M. CERESA GASTALDO, Il n'esame delle misure coercitive nel processo penale, Milano, 1993, 22 1 ss. ( 106) Cass., sez. un., 10 settembre 1992, Grazioso, in Cass. pen., 1992, 2990. ( 107) Cass., sez. un., 3 1 maggio 2000, Piscopo, in Dir. giust., 2000, 36. ( 108) La domanda è presentata personalmente dall'interessato e deve essere depositata entro il termine perentorio di due anni dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (art. 3 15, comma 1 ) . Il deposito della domanda viene effettuato presso la cancelleria della corte d'appello penale, nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento che ha definito il procedimento (art. 102 disp. att.). L'istituto in esame si differenzia dalla riparazione dell'errore giudiziario (art. 643 e ss. c.p.p.) che trova applicazione in caso di revisione di un giudicato di condanna. ( 109) La giurisprudenza ha definito tale istituto come un'azione civile che si svolge in sede penale per motivi di opportunità. Si tratta di un'azione di natura civilistica in quanto è su impulso di parte e mira ad ottenere una indennità di tipo civilistico. Competente a pronunciarsi è la corte d'appello penale ed il procedimento de qua si svolge con il rito camerale ai sensi dell'art. 127 c.p.p. Sono parti del giudizio di
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n presupposto del diritto ad ottenere l'equa riparazione consiste nella
ingiustizia sostanziale o formale della custodia cautelare subita (ad esempio, la custodia in carcere o l'arresto domiciliare) (v. tav. 2 .6. 1 3 ) . Il codice non impone di accertare se essa sia dovuta ad un atto illecito compiuto dall'autorità giudiziaria. Ciò avrebbe comportato un onere della prova molto pesante per il richiedente, che avrebbe dovuto dimostrare che la custodia ingiusta era stata causata da un atto illecito compiuto con dolo o colpa grave. Una soluzione del genere è pur sempre astrattamente possibile, ma il richiedente ai sensi della legge sulla responsabilità dei magistrati (legge 13 aprile 1 988, n. 1 17 ) deve attivare un procedimento assai defatigante, che comporta un vaglio preventivo di ammissibilità. n codice evita di addossare al richiedente un così pesante onere della prova e gli consente di limitarsi a dimostrare che la sua situazione rientra in una delle due ipotesi di ingiustizia (formale o sostanziale) previste espressamente dall'art. 3 14 . Per tale motivo la somma di denaro, che gli può essere attribuita, è denominata " riparazione" e non " risarcimento" . L'ingiustizia sostanziale. L a prima ipotesi di ingiustizia, prevista dall'art. 3 14, comma l , è di tipo sostanziale. Il diritto all'equa riparazione spetta all'imputato che sia stato assolto per motivi completamente liberatori in punto di responsabilità, e cioè perché era innocente. È richiesta una sentenza irrevo cabile di assoluzione con uno dei seguenti dispositivi: perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. Alla sentenza di assoluzione sono parifìcati la sentenza di non luogo a procedere pronunciata al termine dell'udienza prelimi nare ed il provvedimento di archiviazione emesso all'esito delle indagini preli minari (art. 3 14, comma 3 ) . L'ingiustizia formale. L a seconda ipotesi di ingiustizia, prevista dall'art. 3 14, comma 2, è di tipo formale. Ciò avviene quando la custodia cautelare risulta applicata illegittimamente, a prescindere dall'esito del processo a carico del l'imputato, che potrebbe anche essere stato condannato. Il diritto alla ripara zione, in questi casi, presuppone soltanto che sia stato accertato con decisione irrevocabile ( 1 10) che il provvedimento custodiale è stato emesso senza che esistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 del codice. E cioè, occorre che una decisione irrevocabile (ad esempio, del tribunale della libertà) abbia accertato che mancavano i " gravi indizi" ; o che il delitto addebitato non era punibile perché estinto per prescrizione; o che tale delitto riparazione per ingiusta detenzione l'imputato (o il condannato) , il ministro dell'economia (rappresentato dall'avvocatura dello Stato) ed il procuratore generale presso la corte d'appello. ( 1 10) La decisione irrevocabile è costituita dall'ordinanza, non impugnata, adottata in seno al giudizio di riesame o di appello ai sensi degli am. 309 e 3 1 0 c.p.p., nonché dalla pronunzia emessa a seguito di ricorso in cassazione avverso le predette ordinanze o a seguito di ricorso per saltum. In tal senso, Cass., sez. un . , 12 ottobre 1 993 , Durante, in Cass. pen., 1994, 283 .
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Profili generali del procedimento penale
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era punito con una pena che non consentiva la custodia cautelare ( 1 1 1 ) . Quando ricorre una di queste ipotesi il diritto all'equa riparazione spetta sia all'imputato prosciolto per qualsiasi causa, sia all'imputato condannato ( 1 12 ) . È sufficiente che la custodia sia stata illegittima « formalmente »; non rileva che essa fosse giustificata dal punto di vista sostanziale ( 1 13 ) . Limiti alla riparazione. Occorre segnalare che il codice pone al diritto alla riparazione alcuni ostacoli, che di fatto tengono conto di esigenze di giustizia sostanziale. n primo ostacolo è previsto dall'art. 3 14 , comma 4. n diritto alla riparazione è escluso per quella parte di custodia cautelare che è stata comunque computata ai fini della determinazione della quantità di pena detentiva che avrebbe dovuto essere scontata dall'imputato, che è stato condannato (art. 657) . n secondo ostacolo è posto dall'art. 3 14 , comma l . L'imputato non ha diritto alla riparazione se ha « dato causa » o ha « concorso a dare causa » all'ingiusta custodia cautelare per dolo o colpa grave ( 1 14 ) . Tale condizione ( 1 1 1 ) Secondo la Corte costituzionale, sent. 16 luglio 2004, n. 230, in Giur. cast., 2004, « non vi è ostacolo a ritenere che tra le ipotesi di illegittima detenzione debba rientrare anche quella in cui venga accertato, con sentenza irrevocabile, che la custodia è stata disposta in relazione ad un fatto per il quale sia già intervenuto un giudicato >>. ( 1 12) Con sentenza 20 giugno 2008, n. 219, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 3 14 con riferimento alla particolare ipotesi in cui la custodia cautelare subita risulti superiore alla misura della pena irrogata con la sentenza di condanna. Ad awiso della Corte, il diritto all'equa riparazione non è riconosciuto soltanto in caso di proscioglimento nel merito, ma anche in ipotesi di proscioglimento in rito o di condanna. Cass., sez. un., 29 gennaio 2009, n. 4 187, ha riconosciuto il diritto alla riparazione anche quando, in seguito ad una condanna in primo grado ad una pena inferiore alla custodia cautelare patita, l'imputato è stato poi prosciolto in appello per effetto della prescrizione. Si è precisato che nella quantificazione il giudice deve escludere il periodo di custodia cautelare corrispondente all'entità della pena irrogata. ( 1 1 3 ) Merita segnalare che il legislatore non ha previsto la riparazione per ingiusta detenzione in caso di mancato rispetto della normativa di cui agli artt. 274 e 275 . La difformità di trattamento è giustificata in giurisprudenza dal fatto che la carenza di esigenze cautelari ed il mancato rispetto dei criteri di proporzio nalità e adeguatezza attengono a valutazioni esterne al thema decidendum e sono legati a fattori o di prevenzione o di natura processuale caratterizzati dall'estrema fluidità e variabilità, cui corrisponde un'ampia discrezionalità del giudice. ( 1 14) Si tratta di un punto molto delicato, che dà luogo a un contemperamento tra due diritti spettanti all'imputato, quello di difendersi e quello di ottenere la riparazione dell'ingiusta custodia cautelare. Quando è interrogato, l'imputato ha diritto a restare silenzioso (art. 64, comma 3 , lett. b) e, se dice il falso, non è punibile se non quando commette il delitto di calunnia o di simulazione di reato (art. 384 c.p.). È necessario a tale proposito distinguere fra esercizio del diritto al silenzio e dichiarazioni false dell'imputato. La possibilità di rimanere silenzioso costituisce un vero e proprio diritto per l'imputato (art. 64 c.p.p.); la decisione sul se e quando esercitarlo attiene a scelte difensive non sindacabili. Tuttavia, l'aver taciuto l'esistenza di un alibi o di fatti favorevoli, noti solo all'imputato, potrebbe configurare una colpa grave. In proposito la giurisprudenza è divisa. Nel senso che tale condotta non rientri nella colpa grave sul rilievo che la scelta difensiva di awalersi della facoltà di non rispondere non può valere ex se per fondare un giudizio positivo di sussistenza della colpa, non solo per rispetto delle strategie difensive che l'imputato abbia ritenuto di adottare, ma soprattutto perché l'imputato e il difensore che hanno scelto tali strategie hanno esercitato un loro legittimo diritto riconosciuto dalle regole del procedimento penale, Cass., sez. IV, 17 ottobre 2006, A., in Cass. pen., 2007, 3828. Contra, Cass., sez. III, 12 febbraio 2005, Moni, in CED 23 1624. Diverso è il caso di dichiarazioni false; infatti, se è vero che tale condotta non è punibile ai sensi dell'art. 384 c.p., essa costituisce pur sempre un comportamento illecito, integrando gli estremi civilistici degli artifizi
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ostativa alla riparazione trova applicazione anche nell'ipotesi di ingiustizia formale, nonostante che il legislatore l'abbia espressamente prevista solo per l'ingiustizia sostanziale. Procedimento. La domanda di riparazione deve essere proposta alla corte d'appello entro due anni dal giorno in cui la sentenza è diventata irrevocabile (o è stato notificato il prowedimento di archiviazione) ( 1 15 ) . Ai sensi dell'art. 3 15 , comma 2 , « l'entità della riparazione non può comunque eccedere lire un mi liardo » (pari a euro 5 16.456). La corte d'appello decide in via equitativa in con siderazione del fatto che si tratta di una somma indennitaria e non risarcitoria ( 1 16). Per completezza, occorre segnalare che nessuna riparazione è prevista per l'ingiusta applicazione di misure coercitive non custodiali. In merito alle misure "precautelari" , la sentenza della Corte costituzionale n. 1 09 del 1999 ha esteso il diritto alla riparazione sia nel caso in cui sia stato disposto un arresto in flagranza o un fermo che non siano stati convalidati, sia nel caso di convalida della misura, non seguita da un prowedimento di custodia cautelare, qualora sia intervenuta una sentenza irrevocabile di assoluzione. Una forma speciale di riparazione dell'ingiusta custodia cautelare è il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, così come è stabilito dall'art. 1 02 -bis disp. att., introdotto dalla legge 8 agosto 1995 , n. 332. n diritto scatta nel momento in cui è stata pronunciata una decisione di proscioglimento, di non luogo a procedere o di archiviazione; la legge non richiede che tali prowedimenti siano irrevocabili. e dei raggiri che inducono in errore. Correttamente la giurisprudenza qualifica le false dichiarazioni come condotta dolosa che, ai sensi dell'art. 3 14 c.p.p., esclude il diritto alla riparazione. Owiamente il silenzio ed il mendacio hanno rilievo soltanto se hanno concorso a dare causa al prowedimento di custodia cautelare errato oppure l'imputato ha taciuto fatti o circostanze che, se resi noti, sarebbero stati tali da eliminare il valore degli indizi raccolti a suo carico. In giurisprudenza, si veda Ass. Napoli, 2 dicembre 2001, Perego, in Giur. merito, 2002, 1064, secondo cui integrano l'ipotesi di dolo o colpa grave > e sia possibile indicare le « fonti di prova >>. Pertanto non scatta tale obbligo finché vi è soltanto il generico sospetto di un reato e mancano elementi idonei a qualifìcarlo come illecito penale. Tuttavia in tale situazione il codice impone sia alla polizia giudiziaria, sia al pubblico ministero, di " prendere" notizia dei reati di propria iniziativa (art. 330). Tutto ciò configura per la polizia giudiziaria un obbligo istituzionale posto dall'art. 55; per il pubblico ministero costituisce un adempimento del più generale principio di obbligatorietà dell'azione penale (art. 1 12 Cost.). (6) In tal caso la polizia giudiziaria deve riferire senza ritardo al pubblico ministero le attività di indagine che sono state svolte (art. 1 12 disp. att. ). (7) In dottrina si ammette che si possa disporre il sequestro probatorio che non richieda una previa perquisizione. n sequestro di iniziativa della polizia giudiziaria in sede di sopralluogo (art. 354) rientra tra gli atti che si possono compiere in attesa di una condizione di procedibilità che può ancora soprawenire; in tal senso Cass., sez. I, 6 giugno 1 99 1 , Saidi Ben Abdelaziz, in Cass. pen., 1993 , 1 158.
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Il procedimento ordinario
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proceda penalmente in ordine al medesimo (v. atto 3 . 1 .6). È chiara la differenza rispetto alla denuncia: quest'ultima può essere presentata da chiunque (non solo dalla persona offesa) e non deve necessariamente contenere una manifestazione di volontà; è sufficiente la notizia che è avvenuto un fatto di reato. Il diritto di querela deve essere esercitato, di regola, entro il termine di tre mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato (art. 124 c.p.) ; nel caso di delitti contro la libertà sessuale il termine è di sei mesi (art. 609-septies, comma 2 c.p.). La dichiarazione di querela è proposta con le forme previste per la denuncia; nel caso in cui sia recapitata da un incaricato o spedita per posta, occorre l'autentica della sottoscrizione da parte di un pubblico ufficiale auto rizzato o, anche, del difensore ( artt. 337 c.p.p.; 39 disp. att.) (8) . La rinuncia alla querela. Il codice consente alla persona offesa di rinunciare al diritto di querela. La rinuncia è un atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, prima di aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il reato subìto (art. 124 c.p . ) . La rinuncia al diritto di querela può essere fatta con un atto espresso o tacitamente ed è irrevocabile (art. 124, comma 2 c.p.) . Occorre ricordare che la rinuncia può essere effettuata soltanto dopo che la persona offesa ha subito il reato. Prima che tale fatto sia stato commesso, non esiste alcun diritto di querela. Pertanto non è possibile rinunciare a un diritto che non sia ancora sorto. La remissione di querela. Di regola, la querela, una volta proposta, può essere revocata. A tal fine il codice penale prevede l'istituto della remissione. Si tratta di quell'atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, dopo aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il fatto di reato (9). La remissione non produce effetto se il querelato non l'ha accettata espressamente o tacitamente (art. 155 c.p.) . Merita ricordare che, nel caso di delitti in materia sessuale, la querela proposta è irrevocabile (art. 609-septies, comma 3 c.p. ) . (8) L'art. 39 disp. att. si riferisce espressamente al dzfensore: perché possa autenticare la firma del cliente, quindi, l'avvocato deve aver ricevuto un mandato difensivo. Sul punto è intervenuta la Corte di cassazione: posteriori alla presentazione della querela stessa, quali ad esempio la circostanza che l'avvocato abbia effettivamente assunto il ruolo di difensore nel corso del successivo giudizio >>. Nel caso di specie la Cassazione ha ravvisato la nomina del difensore, che ha autenticato la sottoscrizione, nell'elezione di domicilio presso di lui; così, sez. un., l l luglio 2006, n. 26549, Scafi, in Guida dir., 2006, 35, 7 1 . (9) L a remissione della querela estingue il reato (art. 152, comma l c.p.) . In base alla legge 2 5 giugno 1999, n. 205, l'art. 340, comma 4 c.p.p. è stato modificato nei seguenti termini: , poiché esse potranno diventare >. In termini analoghi, Cass., sez. I, 23 ottobre 2008, n. 43002, Tripodi, in Guida dir., 2008, l, p. 95; Cass., sez. I, 23 giugno 2005, P., in Guida dir., 2005, 38, p. 82; Cass., sez. I, 10 maggio 2005, D., in Guida dir., 2005, 35, p. 105. (34) Cass. , sez. II, 13 marzo 2007 , M. C., in Dir. pen. proc., 2007, p. 867; Cass., sez. I, 2 febbraio 2005, C., in CED Cass., n. 233448; Cass., sez., IV, 12 luglio 2004, I. e altro, in CED Cass. , n. 229129. (35) Invero, la giurisprudenza in materia si era espressa anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 85 del 2009, affermando i seguenti principi: >. L'aiuto così fornito ad una persona (purché diversa dal complice nel medesimo reato) integra gli estremi del delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.). (46) Probabilmente, la denominazione (informazioni) ed il riferimento al soggetto che rende dichia· razioni (persona informata) è stato utilizzato dal legislatore per sottolineare il principio secondo cui la sentenza dibattimentale si fonda sulle prove legittimamente acquisite in dibattimento (art. 526): le >. (5 1 ) Poiché il presupposto della ripetibilità richiede una valutazione prognostica, può accadere che nella realtà le cose si svolgano diversamente da quanto preventivato. Se l'accertamento tecnico diventa successivamente non ripetibile, la giurisprudenza ritiene applicabile l'art. 5 12 c.p.p.; così Cass., sez. IV, 2 1 maggio 1998, Fornari, in Cass. pen., 2000, 653. S e l a "valutazione" può essere scissa dalla "operazione materiale" di raccolta dei dati, divenuta non ripetibile, può essere disposta una perizia; si veda C. CESARI, L'irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, Milano, 1999, 173 . (52) In giurisprudenza si cita l'ipotesi di rilevazione di tracce di polvere da sparo: Cass., sez. I, 9 febbraio 1990, Duraccio, in Giust. pen., 1991, III, 24 1 . Come è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza > (Cass., sez. IV, lO giugno-13 agosto 2004, Abbinante e altri, in Guida dir. , 2004, n. 43, 65). (53) Può essere il caso di una siringa nella quale deve essere immesso un liquido per accertare la presenza di uno stupefacente; si veda Cass., sez. VI, 15 ottobre 1996, Gidaro, in Riv. pen., 1997, 52 1 . (54) L'omissione dell'avviso all'indagato o al difensore dà luogo ad una nullità intermedia (art. 178 comma l); Cass., sez. I, 22 gennaio 1996, Altomare, in Cass. pen., 1997, 2503 .
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Le indagini preliminari
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dente probatorio (comma 4). Ove l'indagato formuli detta riserva, il pubblico ministero deve disporre che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti (55 ) . S e l'accertamento tecnico non ripetibile è differibile e d è egualmente compiuto nonostante la riserva, il relativo verbale è inutilizzabile nel dibatti mento (art. 3 60, comma 5 ) (56) , ma è utilizzabile a tutti gli altri fini (ad esempio, nel giudizio abbreviato) . Se l'accertamento è non differibile perché in un momento successivo non può più essere utilmente compiuto, il relativo verbale è utilizzabile in dibattimento (art. 43 1 , comma l , lett. c) (57) . Il codice non impone che la riserva di incidente sia accompagnata dalla richiesta al giudice di disporre l'incidente medesimo; ove l'indagato non prenda tale iniziativa, spetterà al pubblico ministero, che ritenga necessario procedere con una perizia, il compito di chiedere l'incidente probatorio al giudice per le indagini preliminari.
g.
Accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale.
Dopo anni di silenzio da parte del legislatore, la legge n. 85 del 2009 ha disciplinato l'ipotesi in cui il pubblico ministero debba porre in essere accertamenti tecnici che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale in mancanza di consenso della persona ad essi sottoposta (art. 359-bis) . Come abbiamo visto supra (Parte II, cap. 4, § 5 , lett. b) la medesima legge ha previsto una disciplina organica della materia in relazione alla perizia coattiva disposta dal giudice (art. 224-bis) . Al tempo stesso, è stata introdotta la possibilità di svolgere tale perizia nell'incidente probatorio (art. 3 92 , comma 2 ) . In tal caso, l'incidente può essere chiesto dalle parti a prescindere dai requisiti di urgenza o di non ripetibilità dell'accertamento (si veda in/ra, § 8, lett. b). La procedura ordinaria. A completamento del sistema, il nuovo art. 359-bis disciplina l'ipotesi in cui la necessità di svolgere attività del genere si presenti al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (58). La norma è in larga
(55) Se non è presentata riserva, l'accertamento può essere utilizzato mediante lettura del verbale anche se l'atto è ripetibile poiché, secondo la giurisprudenza, la mancata riserva equivale ad acquiescenza. Così Cass., sez. VI, 18 aprile 1996, Gomez, in Cass. pen., 1997, 250 1 . (56) Cass., sez. I, 2 7 febbraio 1990, Panico, in Riv. pen., 199 1 , 103 . (57) TI verbale può essere utilizzato ai fini della decisione dibattimentale in seguito all'esame del consulente; così Pret. Trento, 9 luglio 1 99 1 , Dal Fovo, in Arch. n. proc. pen., 1992, 99. ln senso diverso, Cass., 4 maggio 1995, Mellei, in Cass. pen., 1996, n. 2087. (58) L'art. 359-bis, richiama in apertura la disciplina dei prelievi di materiale biologico effettuati dalla polizia giudiziaria in sede di identificazione dell'indagato (art. 349, comma 2 -bis). In tal modo, il sistema risulta tendenzialmente completo.
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Il procedimento ordinario
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parte costruita con la tecnica del rinvio alla disciplina predisposta in relazione alla perizia coattiva (art. 224-bis) (59). n prelievo s u consenso mediante accertamento tecnico. Quando occorre eseguire accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale, il pubblico ministero può procedervi direttamente attraverso il proprio consulente tecnico, soltanto se vi è il consenso della persona interessata. In tal caso, troverà applicazione l'art. 359 se si tratta di atti ripetibili e l'art. 3 60 se l'accertamento tecnico ha natura irripetibile (60) . n prelievo coattivo mediante accertamento tecnico. Qualora non vi sia il consenso dell'interessato, l'art. 359-bis permette il prelievo coattivo di capelli, peli o mucosa del cavo orale su persone viventi, finalizzato alla tipizzazione del profilo genetico (6 1 ) , ed il compimento di accertamenti medici. La disciplina tiene conto della riserva di legge e di giurisdizione stabilite dall'art. 1 3 , comma 2 Cast. nella materia in oggetto. Il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione al compimento dell'atto (art. 359 bis c.p.p . ) . Il giudice concede l'autorizzazione con ordinanza « quando ricorrono le condizioni ( . . . ) previste » dall'art. 224-bis. Tale ambiguo rinvio deve essere interpretato come un richiamo a tutti i limiti applicativi stabiliti da tale norma (v. Tav. 3 . 1 .28). Dunque, è necessario che s i proceda per u n delitto doloso o preterinten zionale, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'erga stolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni (art. 224-bis, comma 1 ) . In secondo luogo, occorre che l'accertamento tecnico risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Inoltre, sembrano operativi i limiti stabiliti da tale norma. Pertanto, non possono in alcun caso essere disposte « operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge »; che possano « mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o del nascituro »; che « secondo la scienza medica, possano provocare sofferenze di non lieve entità » (art. 224-bis, comma 4 ) . Ancora, le operazioni sono eseguite « nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto ». Infine, a parità di risultato, sono prescelte comunque le tecniche meno invasive (art. 224-bis, comma 5 ) . L'ordì(59) P. FELICIONI, L'acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di ricostruzione del /atto, in AA.Vv., Prelievo del DNA e Banca dati nazionale, a cura di A. ScARCELLA, Padova, 2009, 204. (60) Quando il prelievo avviene non coattivamente, bensì su consenso dell'interessato, il prelievo stesso è ammissibile per qualsiasi reato (anche per una contravvenzione); è sufficiente la sola pertinenza e rilevanza, o perfino la mera utilità investigativa; non è posto alcun limite né divieto espresso; non sono previste sanzioni processuali specifiche; non è prevista né la distruzione del campione biologico, né la cancellazione del profilo. (61) TI profilo genetico è la > (art. 6, co. l , lett. b, legge n. 85). Esso è costituito da una serie alfanumerica in cui alcune sigle in lettere definiscono il locus genico (la parte del DNA studiata) ed una coppia di numeri definiscono le particolari caratteristiche assunte dal DNA. L'insieme di lettere e numeri costituisce appunto il "profilo genetico" , che definisce univocamente il soggetto donatore del materiale biologico.
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nanza del giudice deve essere motivata e deve contenere tutti quei requisiti che sono indicati all'art. 224-bis, comma 2. Ad esempio, colui che è sottoposto a prelievo coattivo deve essere avvisato « della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di sua fiducia ». È necessario sottolineare che il legislatore ha disciplinato la materia in oggetto in un nuovo articolo, il 359-bzs, inserito subito dopo l'art. 359 che disciplina gli accertamenti tecnici ripetibili. Siamo in presenza di un atto di indagine che rientra nella regola del segreto investigativo e che è, quindi, differente dal mezzo di prova previsto dall'art. 224-bis. Infatti, se si tratta di un atto ripetibile, l'indagato ha il diritto di venire a conoscenza dell'" accertamento tecnico coattivo" soltanto quando lui stesso vi sia sottoposto. L'accertamento coattivo non ripetibile. In realtà, è ben possibile che tra gli accertamenti coattivi non tipizzati rientrino anche atti non ripetibili. Pertanto, l'accertamento si atteggerà in concreto come ripetibile o non ripetibile a seconda del tipo di attività da porre in essere e della situazione concreta (si pensi al caso in cui l'accertamento debba essere effettuato su di una persona in fin di vita) (62 ) . Conseguentemente, qualora l'atto si configuri come non ripetibile, troveranno applicazione in favore della difesa anche le regole stabilite dall'art. 3 60 in merito agli accertamenti non ripetibili (es. potrà essere presente il consulente tecnico del difensore). La procedura d'urgenza. Il legislatore ha tenuto conto delle particolari situazioni che possono verificarsi nel corso delle indagini ed ha previsto una procedura di urgenza che prescinde dal previo controllo giurisdizionale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone lo svolgi mento delle operazioni con decreto motivato. Tale provvedimento deve conte nere tutti i requisiti che l'art. 224-bis, comma 2 richiede in relazione all'ordi nanza che dispone la perizia coattiva. Il pubblico ministero può altresì ordinare direttamente l'accompagnamento coattivo, qualora la persona da sottoporre alle operazioni non si presenti senza addurre un legittimo impedimento; il magi strato inquirente può disporre altresì l'esecuzione coattiva delle operazioni, se la persona comparsa rifiuta di sottoporvisi. Entro le quarantotto ore successive alla effettiva limitazione della libertà personale il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preli minari la convalida del decreto e dell'eventuale provvedimento di accompagna mento coattivo. Il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque (62) Analogamente accade quando vi è pericolo di degradazione (causa temperatura, umidità, interazione con altri microrganismi). Può altresì darsi il caso che la quantità di materiale da analizzare sia scarsa. All'evidenza, in quest'ultimo caso si tratterà di un atto non ripetibile giacché è la stessa attività accertativa che brucia il proprio oggetto alla stregua di quanto è previsto dall'art. 1 17 disp. att. Nelle altre ipotesi prospettate, viceversa, la non ripetibilità sarà data dalla deperibilità della res sottoposta all'accerta mento che rende l'attività da compiere urgente e non utilmente ripetibile con gli stessi risultati (cfr. art. 360).
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entro le quarantotto ore successive (alla comunicazione del decreto) , dandone avviso immediatamente al pubblico ministero e al difensore. Nullità e inutilizzabilità. L'ultimo comma dell'art. 359-bis prevede, infine, le invalidità che conseguono alla violazione delle norme che stabiliscono i limiti funzionali e di durata dell'accompagnamento coattivo (stabiliti dall'art. 132, comma 2), la disciplina relativa al contenuto dell'ordinanza (art. 224-bis, comma 2 ) , ed i divieti relativi agli accertamenti (art. 224-bis, commi 4 e 5 ) . Tali norme « si applicano a pena di nullità delle operazioni e di inutilizzabilità delle informazioni così acquisite » (art. 359-bis, comma 3 , primo periodo) . Ci tro viamo dinanzi ad un singolare ed inedito concorso di nullità ed inutilizzabilità che rivela una particolare attenzione del legislatore, forse intenzionato ad evitare abusi in una materia così delicata. Quanto appena sottolineato trova conferma nel successivo richiamo all'art. 1 9 1 , comma 2 (art. 359-bis, comma 3 , secondo periodo) in base al quale l'inutilizzabilità è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento ( 63 ) .
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L'individuazione di persone e di cose. Altre attività di indagine.
Durante le indagini preliminari il pubblico ministero può procedere alla individuazione di persone o cose personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria (art. 3 6 1 ) ; si tratta di un atto simile a quel mezzo di prova che è denominato ricognizione e che può essere disposto dal giudice in dibattimento o nell'incidente probatorio (art. 2 13 ) . I l codice usa una differente terminologia (« individuazione » al posto di « ricognizione ») perché, come avviene in altri casi, vuole semplicemente evidenziare che l'individuazione non è utilizzabile ai fini della decisione dibattimentale. La individuazione di persone o cose. La normativa prevista dal codice è basata su di un presupposto implicito, e cioè che l'atto di individuazione sia sempre ripetibile in un momento successivo davanti al giudice nella forma della (63) In proposito, è stato peraltro sottolineato come il riferimento simultaneo alle due sanzioni desti perplessità. Determinante appare il richiamo all'art. 1 9 1 , c. 2 c.p.p. dal quale si evince chiaramente che il legislatore nel comminare l'inutilizzabilità è incorso in una - sia pure rischiosa - ridondanza linguistica (si veda C. CoNTI, I diritti fondamentali della persona tra divieti e "sanzioni processuali": il punto sulla perizia coattiva, in Dir. pen. proc., 2010, n. 8). ll problema più grave è costituito dalla marcata discrasia esistente tra le scelte sanzionatorie degli artt. 359-bis e 224-bis c.p.p. a fronte di ipotesi identiche. Anzitutto, l'art. 224-bis, c. 2 c.p.p., sanziona con la nullità l'ordinanza priva dei contenuti previsti dalla legge, e mentre l'art. 359-bis, c. 3 c.p.p. commina l'inutilizzabilità in relazione alla medesima ipotesi. In secondo luogo, l'art. 359-bis c.p.p. prevede l'inutilizzabilità speciale a fronte della violazione dei divieti stabiliti dall'art. 224·bis, c. 4 e 5 c.p.p., che nella norma d'origine appaiono prive di una sanzione espressa (C. CoNTI, loc. ult. cit. ). Tale opzione normativa non solo non contribuisce alla chiarezza sistematica, ma fa sorgere il dubbio che tale sanzione scatti solo qualora espressamente richiamata e, dunque, non consegua alle violazioni commesse nel corso della perizia coattiva ex 224-bis c.p.p., in quanto non prevista dalla relativa norma. Una simile differenza in relazione a violazioni di identica gravità appare, tuttavia, irragionevole e dovuta ad una grave disattenzione del legislatore.
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ricognizione. n codice mostra di accogliere una nozione meramente naturali stica di " ripetibilità" . Tale nozione consiste nella mera possibilità materiale di ripetere l'atto a prescindere dal risultato al quale tale atto può condurre. Viceversa, la nozione giuridica configura come ripetibile soltanto quell'atto che, se compiuto successivamente, è idoneo a fornire un risultato utile. Regolamentazione. Una volta che ha fatto la sua scelta, il legislatore omette di regolamentare la individuazione. Poiché l'atto è ritenuto essere ripetibile, il pubblico ministero nell'eseguire l'individuazione non è tenuto a rispettare le regole che nella ricognizione sono poste a pena di nullità al fine di assicurare l'attendibilità del risultato (art. 2 13 ; si veda nel capitolo sui mezzi di prova). Non deve necessariamente operare il controllo sul ricognitore chiedendogli tra l'altro di descrivere in modo particolareggiato la persona. Inoltre non è indi spensabile predisporre la scena così come impone il codice nell'art. 2 14 , né redigere un verbale dettagliato. Ai sensi dell'art. 3 73 comma 3 è sufficiente un verbale in forma riassuntiva. Sempre in considerazione della ripetibilità dell'atto, non è prevista la presenza del difensore (a differenza di quanto avveniva nel codice previgente) . Il difensore non conosce neanche il verbale dell'atto perché questo è segreto. n codice si limita a prescrivere che il pubblico ministero proceda ad individuazione di persone o cose « quando è necessario per la immediata prosecuzione delle indagini » (art. 3 6 1 comma 1 ) . L'indicazione temporale « quando » fa comprendere che non si è voluto restringere l'utilizzabilità ai soli fini investigativi, a differenza di quanto previsto per le dichiarazioni rese dall'indagato sul posto (art. 350 commi 5 e 6 ) . Da ciò deriva una conseguenza che il codice sottovaluta: l'individuazione, svoltasi senza le cautele della rico gnizione e senza la presenza del difensore, è utilizzabile dal giudice nel momento in cui prende una decisione nel corso delle indagini; e ciò anche, ad esempio, al fine di emettere una misura cautelare quale la custodia in carcere. Soltanto in tale momento il difensore conosce il verbale dell'atto di individua zione. Il medesimo verbale, in quanto documentazione di un atto ripetibile, deve essere inserito nel fascicolo del pubblico ministero. La giurisprudenza formatasi a ridosso dell'entrata in vigore del codice aveva cercato di mantenere la coerenza dei princìpi (64 ) . Posto l'accento sulla finalità della « immediata prosecuzione delle indagini », aveva limitato l'utilizzabilità in dibattimento a quella sola parte del verbale che ha un contenuto dichiarativo (ad esempio, la descrizione delle caratteristiche somatiche della persona da riconoscere). Ma questa posizione interpretativa è stata travolta nel 1992 dal massimalismo della Corte costituzionale (sentenze n. 254 e 255) e del Legisla-
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Trib. Firenze, 3 novembre 1992, De Lucia, in Cass. pen., 1993 , 957.
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tore (legge n. 356), con la conseguente utilizzabilità della individuazione in base agli istituti della contestazione probatoria (art. 500) e della lettura (art. 5 12 ) . Una parte della giurisprudenza è andata oltre, costretta d a u n codice che non ha regolamentato una materia così importante: ha considerato l'individua zione alla stregua di un atto originariamente non ripetibile a causa del contesto in cui avviene, e cioè delle modalità della scena e dei tempi di svolgimento. Di conseguenza, ha sancito l'inserimento del relativo verbale nel fascicolo per il dibattimento e la piena utilizzabilità per la decisione finale (65 ) . I n verità gli psicologi ci insegnano d a tempo che sia l'individuazione, sia la ricognizione sono atti "non utilmente ripetibili" da parte del medesimo rico gnitore nei confronti del medesimo sospettato (66) . Il ricognitore, la seconda volta che procede all'atto, riconosce inconsciamente non colui che ha visto sul luogo del reato, bensì l'immagine più recente che ha percepito nella precedente individuazione fotografica o personale. L'attendibilità probatoria del secondo atto è minata alla radice (67 ) . Tra gli atti di iniziativa del pubblico ministero rientrano i mezzi di ricerca della prova, dei quali il codice tratta nel libro terzo, titolo III, artt. 244 ss. (v. supra, Parte II, cap. 5, al quale rinviamo per un esame esaustivo) . In questa sede ricordiamo i tratti essenziali della disciplina. Altre attività di iniziativa del pubblico ministero. Tra gli atti di iniziativa del pubblico ministero rientrano i mezzi di ricerca della prova, dei quali il codice tratta nel libro terzo, titolo III, artt. 244 ss. (v. supra, Parte II, cap. 5, al quale rinviamo per un esame esaustivo) . In questa sede ricordiamo i tratti essenziali della disciplina. La perquisizione. Si tratta in genere di atto delegabile alla polizia giudiziaria con decreto, nel quale devono essere specificati i luoghi e/o le persone, ed in particolare se sia consentito l'ingresso coattivo e se la perquisizione si possa estendere anche agli altri luoghi di cui il perquisito abbia la disponibilità; occorre tenere presente che la perquisizione locale si estende automaticamente alle pertinenze (es.: garage, pianerottolo, parti comuni dell'edificio) . Al contrario, devono essere eseguite personalmente dal pubblico ministero le perquisizioni ed i sequestri negli studi dei difensori (art. l 03 ) , l'apertura di plichi o di corrispondenza (art. 353 ) , e le perquisizioni presso banche nel caso in cui queste rifiutino la consegna dei documenti richiesti (art. 248 comma 2 ) . n sequestro probatorio. I l pubblico ministero, quando delega l'esecuzione del sequestro alla polizia giudiziaria, indica l'oggetto da sequestrare (art. 253 (65) Cass., sez. II, 10 giugno 1994, Levak, in Cass. pen., 1995, 1293; Contra, Cass., sez. I, 15 giugno 1994, Sannino, in Cass. pen. , 1996, 190. (66) S. Pruoru, La ricognizione di persona: cosa suggerisce la ricerca psicologica, in Dir. pen. proc., 2003, 1291; EAD., La ricognizione di persone. dal modello teorico alla prassi applicativa, ivi, 2006, 376. (67) Riteniamo che l'individuazione dovrebbe essere regolamentata come gli altri atti non ripetibili all'origine; ad esempio, come l'art. 360.
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comma 3 ); se egli non indica le cose da sequestrare, ma dispone genericamente il sequestro di quanto rinvenuto costituente corpo o pertinenza del reato, si ritiene che la polizia giudiziaria debba chiedere la convalida al magistrato ai sensi dell'art. 355 (68) (69) . L'ispezione personale. È un atto che, per la sua particolare invasività della sfera personale del soggetto ad esso sottoposto, è stato riservato all'iniziativa del pubblico ministero: questi nell'esecuzione materiale dell'atto può affidarsi all'opera di un medico (art. 245 ) . n soggetto sottoposto a ispezione (offeso, indagato) ha il diritto di farsi assistere da una persona di sua fiducia. L'ispezione è un atto garantito, che impone quindi il preavviso di venti quattro ore al difensore dell'indagato (art. 3 64 , comma 3 ), salve particolari ragioni di urgenza o di pericolo di alterazione delle tracce ricercate, nel qual caso il difensore ha comunque il diritto di assistere (art. 3 64 comma 5 ) . La particolarità consiste nel fatto che ha diritto di essere presente non il difensore dell'ispezionato (il quale ha comunque il diritto di farsi assistere da persona di fiducia) , ma il difensore dell'indagato. Le operazioni sotto copertura. Al fine di acquisire elementi di prova relativi a delitti di terrorismo, tratta di persone, pedopornografia e assimilati, armi, stupefacenti e riciclaggio, è prevista una causa di non punibilità che consente ad alcuni corpi di polizia, autorizzati dal pubblico ministero, di svolgere operazioni sotto copertura (art. 9, comma l , legge n. 146 del 2006; art. 97, d.p.r. n. 309 del 1990) . Nell'ambito di tali attività, è possibile che gli infiltrati si rendano autori di reati, che vengono considerati non punibili. Nei procedimenti per i delitti menzionati e per quelli di usura, estorsione e sequestro a scopo di estorsione, possono essere omessi o ritardati atti processuali (es. arresto, fermo e sequestro) al fine di acquisire rilevanti elementi probatori o per individuare i responsabili; il tutto su autorizzazione del pubblico ministero (art. 9, comma 6, legge n. 146, cit.; art. 98, d.p.r. n. 3 09 cit.). Per gli stessi motivi, il pubblico ministero, con decreto motivato, può « ritardare l'esecuzione dei prov vedimenti che applicano una misura cautelare, del fermo dell'indiziato di delitto, dell'ordine di esecuzione di pene detentive o del sequestro » (70) . Nei casi di urgenza di regola il pubblico ministero può disporre la misura anche oralmente, ma il relativo decreto dovrà essere emesso entro le quarantotto ore successive (7 1 ) . (68) Cass., sez. V , 1 7 febbraio-7 aprile 2005, Di Febo, in Guida dir., 2005, 25, 86. (69) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda Parte II, cap. 5, § l . (70) In base alla giurisprudenza, l e dichiarazioni percepite dall'infìltrato o dall'agente provocatore possono essere riferite nel dibattimento perché questi agisce non nella veste autoritativa propria della polizia giudiziaria, bensì come partecipe del fatto narrato; pertanto, non opera la inutilizzabilità prevista degli artt. 62, 63 e 195, comma 4, c.p.p.; in questo senso, Cass., sez. II, 28 maggio · 9 ottobre 2008, Cuzzucoli, in Guida dir. , 2008, 45, 19. (7 1 ) L'art. 9 della legge n. 146 del 2006 prevede il coinvolgimento del procuratore generale presso la corte d'appello e del procuratore nazionale antimafia, ai quali deve essere trasmessa la comunicazione del
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n controllo sulla legittimazione del pubblico ministero.
La legge 1 6 dicembre 1999 n. 479 ha introdotto un procedimento che consente all'ufficio superiore di accertare se il pubblico ministero, che svolge le indagini, sia "legittimato " , e cioè sia quello che è collocato presso il giudice competente. Il controllo è di natura non giurisdizionale ed opera su richiesta di parte. È stata attribuita all'indagato, all'offeso ed ai rispettivi difensori, la facoltà di chiedere al pubblico ministero procedente di trasmettere gli atti al suo omologo presso il giudice ritenuto competente. Per poter essere legittimato a presentare la richiesta, è necessario che il soggetto privato abbia avuto una conoscenza " ufficiale" dell'esistenza del procedimento mediante gli istituti dell'informazione di garanzia o della comunicazione della iscrizione sul registro delle notizie di reato (art. 54-quater, comma 1 ) . Il richiedente h a l'onere di indicare, a pena di inammissibilità, il giudice competente. Il che costituisce, con tutta evidenza, una autentica probatio diabolica, se si considera che tali soggetti non hanno una conoscenza completa degli atti delle indagini preliminari, che restano di regola segreti (art. 329). n provvedimento del pubblico ministero. Qualora il pubblico ministero procedente rigetti la richiesta (oppure non decida entro il termine di dieci giorni) , l'originario richiedente può riproporre la richiesta nei successivi dieci giorni ( art. 54-quater, comma 3 ) . La richiesta deve essere presentata al procu ratore generale presso la corte d'appello o, qualora il giudice competente appartenga ad un diverso distretto, al procuratore generale presso la corte di cassazione, ai quali spetta di determinare l'ufficio del pubblico ministero legittimato ad indagare. Se si procede per un reato di " criminalità mafiosa" trova applicazione anche l'art. 54-ter: deve essere sentito il procuratore nazio nale antimafia. Il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni e ottenuta la copia degli atti, decide entro venti giorni con decreto motivato, dandone comunicazione ai soggetti ed agli uffici interessati. Viene infine confermato il principio di conservazione degli atti compiuti, prima della designazione, dal pubblico ministero presso il giudice non competente (art. 54-quater, comma 5 ) . Il meccanismo introdotto è chiaramente ispirato al modello di risoluzione dei contrasti tra gli uffici di procura ai sensi degli artt. 54 e 54-bis. Il sistema si preoccupa di assicurare il buon andamento degli uffici della pubblica accusa. All'indagato è offerta soltanto la possibilità di ottenere, nel corso delle indagini, un'indicazione imperativa circa la legittimazione del pubblico ministero. Tale indicazione resta valida " allo stato degli atti" . La richiesta può essere riproposta ritardo nell'esecuzione. Di regola, le operazioni menzionate possono essere dirette solo da personale di reparti specializzati e non da qualsiasi appartenente alla polizia giudiziaria.
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al pubblico ministero soltanto se è basata su fatti nuovi e diversi; altrimenti è inammissibile (art. 54-quater, comma 4 ) . Infine, la decisione del procuratore generale non vincola il giudice il quale può sempre dichiararsi incompetente, ove ne ravvisi gli estremi (72) .
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L'avviso di conclusione delle indagini come condizione per la richiesta di rinvio a giudizio.
Quando il pubblico ministero ritiene di chiedere il rinvio a giudizio, deve far notificare all'indagato ed al suo difensore un atto dal contenuto piuttosto articolato: l'« avviso di conclusione delle indagini preliminari » (art. 415 -bis, comma l ) (v. tav. 3 . 1 . 13 ) . Tale avviso, che deve essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini, contiene « la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede » con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto (art. 4 15-bù, comma 2) (73 ) . I n tal modo l a persona sottoposta alle indagini, che può non aver mai ricevuto l'informazione di garanzia o atto equipollente, viene per la prima volta infor mata dell'esistenza di un procedimento penale a proprio carico (74) . (72) La soluzione adottata dal legislatore presenta il grave inconveniente di mantenere il controllo sulla legittimazione del pubblico ministero nell'ambito della struttura organizzativa dell'ufficio della pubblica accusa. In altre parole, i motivi di insoddisfazione si appuntano sulla circostanza che viene predisposto un rimedio burocratico meramente interno. All'indagato ed all'offeso è riconosciuta soltanto la facoltà di attivare un procedimento incidentale che sfugge al loro controllo. La decisione è pronunciata senza che sia instaurata alcuna forma di contraddittorio nei confronti del richiedente. L'interesse al buon andamento degli uffici della pubblica accusa ha finito per prevalere. Ancora oggi, ove del problema sia investito il giudice per le indagini preliminari o il tribunale della libertà, la decisione che dichiari un'eventuale incompetenza può, di fatto, essere disattesa dall'ufficio della pubblica accusa, che continui a ritenersi legittimato alle indagini. TI rispetto dei princìpi di legalità processuale (art. 1 1 1 , comma l Cost.) e del giudice naturale dovrebbe imporre, viceversa, che la declaratoria di incompetenza divenga vincolante per il pubblico ministero. (73 ) Si tratta di un adempimento imposto a pena di nullità della richiesta di rinvio a giudizio (art. 4 1 6, comma l) e del decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552, comma 2). L'omissione dell'awiso di conclusione delle indagini determina una nullità di ordine generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178 lett. c, c.p.p. Così Cass., sez. III, 26 novembre 2002 - 1 7 gennaio 2003, n. 2 1 16, Di Salvo, in Cass. pen., 2004, 1342. In argomento, la Consulta ha precisato che nel giudizio immediato e nel procedimento per decreto la mancata previsione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è costituzionalmente legittima in quanto le forme di esercizio del diritto di difesa > (C. cast., 16 maggio 2002, n. 203 e 4 febbraio 2003, n. 32). Per motivi analoghi la Corte ha ritenuto legittimo l'art. 15 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 in base al quale il procedimento davanti al giudice di pace non prevede l'avviso di conclusione delle indagini (C. cost., 28 giugno 2004, n. 20 1 ; C. cast., 19 novembre 2004, n. 349). (74) V. Cass., sez. un., 28 novembre 2006, Cieslinsky ed altri, in www.dirittoegiustizia.it, 29 novembre 2006: l'obbligo di traduzione in lingua nota all'imputato straniero dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e della richiesta di rinvio a giudizio consegue, da un lato, alla precisazione contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. lO del l993, secondo cui l'art. 143 si riferisce sia agli atti orali che a quelli scritti e, dall'altro, alla circostanza che il termine >, di cui all'art. 143 comma l, va interpretato anche alla luce del disposto dei testi sovranazionali (art. 6 Convenzione europea) e dell'articolo 1 1 1 Cost., come comprensivo di tutti gli atti nei quali l'indicazione di elementi a carico dell'indagato o dell'imputato fa sorgere
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Inoltre, l'avviso contiene l'avvertimento che l'indagato ed il suo difensore hanno la facoltà di prendere visione del fascicolo delle indagini, depositato presso la segreteria del pubblico ministero (art. 415 -bis, comma 2 ) . In tal modo la difesa può conoscere tutti gli atti di indagine in un momento anteriore al deposito della richiesta di rinvio a giudizio (v. atto 3 . 1 . 14 ) . L'adempimento assume importanza anche i n relazione all'ulteriore conte nuto dell'avviso. L'indagato è infatti avvertito che entro il termine di venti giorni può esercitare le seguenti facoltà: a) può « presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difen sore »; b) può « chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine »; c) può « presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio » (art. 4 15 -bis, comma 3 ) . Non sfugge come la conoscenza dell'intero fascicolo possa consentire alla persona sottoposta alle indagini un più efficace esercizio del diritto di difesa. La richiesta dell'indagato di essere interrogato. Il pubblico ministero non è vincolato ad adempiere alle richieste dell'indagato, salvo in un caso. Quando l'indagato chiede (entro venti giorni dalla notifica dell'avviso) di essere sotto posto ad interrogatorio, l'inquirente ha l'obbligo di procedervi. In tutte le altre ipotesi, il pubblico ministero valuta discrezionalmente la necessità di compiere nuove indagini a seguito delle richieste dell'indagato. Se ritiene di svolgerle, esse debbono essere compiute entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della richiesta. Il termine può essere prorogato dal giudice su richiesta del pubblico ministero « per una sola volta e per non più di sessanta giorni » (art. 4 15 -bis, comma 4) (75) . Il codice prevede una nullità se il pubblico ministero non invita l'indagato a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell'art. 375 c.p.p. , qualora l'indagato stesso abbia chiesto di essere sottoposto a tale atto entro il termine di cui all'art. 4 15 -bis, comma 3 (venti giorni dalla notifica dell'avviso di conclu sione delle indagini) ; la nullità concerne la richiesta di rinvio a giudizio e il decreto di citazione diretta (artt. 4 1 6 comma l e 552) . L'art. 415-bis, comma 3 è apprezzabile nella parte in cui riconosce all'im putato il diritto di essere interrogato, ove ne faccia richiesta. Altro aspetto una necessità di difesa. Ad awiso della Corte si tratta di una nullità intermedia ex art. 178, lett. c, che si estende per derivazione anche alla richiesta di rinvio a giudizio. (75) Secondo Cass. , sez. un., 22 febbraio - 5 giugno 2007, n. 2 1833 , Iodarche, in Cass. pen., 2007, 4052, l'awiso di conclusione delle indagini non costituisce atto interruttivo della prescrizione del reato ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 160 c.p. Infatti, soltanto gli atti veramente fondamentali del processo possono interrompere la prescrizione perché denotano il persistere dell'interesse a perseguire l'illecito da parte dello Stato. Questi atti, precisano le Sezioni unite, costituiscono un numerus clausus: il venir meno della tassatività comporterebbe la violazione della riserva di legge in materia penale e, dunque, la negazione del principio di legalità e della garanzia di determinatezza della fattispecie penale di cui all'art. 25 Cost. Inoltre, l'elenco di cui all'art. 160 c.p. non può essere ampliato per effetto di una interpretazione analogica: si tratterebbe di una analogia in malam partem non consentita dall'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale.
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positivo è costituito dalla discovery anticipata del fascicolo delle indagini, che può consentire all'indagato di affrontare l'interrogatorio essendo già a cono scenza di tutti gli elementi a suo carico. In tal modo, l'atto acquista un più autentico significato difensivo. Segnaliamo, tuttavia, che nessun avviso deve essere dato alla persona offesa. Funzione dell'istituto. Nel complesso, l'avviso di conclusione delle indagini è un istituto che garantisce, da un lato, l'esigenza di completezza delle investi gazioni preliminari e, dall'altro, il diritto dell'imputato di fornire un contributo efficace e consapevole al fine di chiarire la propria posizione, anche nell'ottica di prospettare al pubblico ministero elementi per una richiesta di archiviazione. La sollecitazione di nuove investigazioni, rivolta dall'imputato al pubblico ministero, comporta una sorta di riapertura del termine utile per compiere atti di indagine, quando quello generale sia scaduto (76). Ai sensi dell'art. 4 15-bis, comma 4, le indagini sollecitate devono essere compiute entro trenta giorni dalla richiesta dell'indagato, termine prorogabile per una sola volta e per non più di sessanta giorni dal giudice per le indagini preliminari.
7.
L'arresto in flagranza ed il fermo. a.
Considerazioni preliminari.
li codice accoglie il principio generale secondo cui soltanto il giudice è
competente ad applicare una misura cautelare limitativa della libertà personale con un provvedimento avente effetti permanenti nel tempo (art. 279), anche se tali misure hanno comunque un termine massimo di durata (art. 3 03 ) . La polizia giudiziaria ha il potere di disporre misure coercitive temporanee denominate arresto e fermo, che limitano la libertà personale dell'indagato in situazioni di urgenza, fino a quando non interviene la convalida del giudice. Se la convalida non è emessa entro il termine perentorio indicato dall'art. 3 9 1 , comma 7 , tali misure cessano di avere efficacia. Queste misure sono dette sinteticamente "precautelari" per indicare che consistono in un anticipo della tutela predisposta mediante le misure cautelari: quando non è possibile attendere che si svolga il procedin1ento cautelare, in quanto il destinatario della misura coercitiva potrebbe sottrarsi alle ricerche, si dà all'organo maggiormente presente sul luogo dei delitti, e cioè alla polizia giudiziaria, il potere di agire tempestivamente, a condizione che la magistratura sia investita del caso in termini brevissimi. Ciò che abbiamo esposto trova un avallo nei princìpi costituzionali. La misura precautelare è ammessa dalla Carta fondamentale (art. 13 comma 3 ) in (76)
T. BENE, Sub art. 415·bis, in A. GIARDA · G. SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, 3'
ed., Milano, 2007, 3758.
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quanto abbia una natura servente rispetto alla finalità processuale di adottare una misura cautelare. Ove da parte del legislatore non sia prevista la possibilità di trasformare la misura precautelare in una misura coercitiva, viene meno la giustificazione costituzionale della restrizione della libertà disposta dalla poli zia (77) . Occorre ricordare che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria hanno anche il potere di disporre misure coercitive temporanee che non comportano una restrizione della libertà personale, bensì impongono limiti più o meno intensi alla libertà di circolazione. Si tratta delle varie forme di accompagna mento coattivo che possono essere disposte dalla polizia giudiziaria (art. 349, comma 4) e dal pubblico ministero (artt. 3 75 , comma 2 , 376, 3 77 ) . L a differenza di queste limitazioni rispetto all'arresto, al fermo e alle misure cautelari detentive consiste nel carattere di strumentalità: infatti non si vede come poter eseguire una perquisizione personale contro la volontà del perqui sito senza !imitarne la libertà di spostamento, e lo stesso vale per l'identifica zione, o in generale per gli atti coercitivi, o addirittura per l'accompagnamento coattivo del testimone o della persona a conoscenza dei fatti. Al contrario, le misure cautelati e precautelari hanno lo scopo di limitare in sé la libertà della persona ad esse sottoposta, poiché è questa stessa che si teme essere pericolosa.
b.
L'arresto.
L'arresto in flagranza è un provvedimento che di regola è disposto dalla polizia giudiziaria ed eccezionalmente dai privati (artt. 3 80, 3 8 1 , 3 83 ) . In particolare, il potere di arresto ha la finalità di assicurare alla giustizia gli autori del reato e di impedire che il reato medesimo venga portato a conseguenze ulteriori (art. 55) . L a situazione di flagranza, che permette o impone (in base al titolo del reato) alla polizia di operare l'arresto, è descritta nell'art. 3 82 . È in stato di flagranza (in senso pieno) colui che viene colto nell'atto di commettere il reato. È in situazione denominata tradizionalmente " quasi flagranza" il soggetto che, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima. Arresto obbligatorio. L'arresto in flagranza è obbligatorio per la polizia giudiziaria (art. 3 80, comma l ) in presenza di un delitto non colposo (consu mato o tentato) per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della
(77) In tal senso, Corte cost., 15 luglio 2004 n. 223 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione che prevedeva una ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza che non poteva trasformarsi in alcuna misura cautelare coercitiva.
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reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni (es. sequestro di persona a scopo di estorsione; art. 63 0 c.p.). L'arresto è obbligatorio anche in presenza dei delitti previsti nell'art. 3 80, comma 2 c.p.p. (es ., associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, furto aggra vato, rapina, estorsione, pornografia minorile e altri) per i quali sono presenti esigenze di tutela della collettività, anche se tali delitti non rientrano nei limiti edittali previsti dal primo comma (es. furto commesso in abitazione e furto con strappo, salvo che ricorra l'attenuante del danno di speciale tenuità) . L'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , ha imposto l'arresto in flagranza per il delitto di violenza sessuale previsto dall'art. 609-bis, commi l e 2 c.p. e per il delitto di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.). L'art. 3 , comma 25 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica) ha previsto l'arresto obbligatorio in flagranza in caso di furto aggravato in cui il colpevole abbia addosso armi o narcotici senza farne uso o se il fatto è commesso da tre o più persone o anche da una sola che simuli di essere un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Arresto ad opera di persone private. Negli stessi casi in cui è obbligatorio per la polizia, l'arresto può essere effettuato da « ogni persona » se il delitto è procedibile d'ufficio ( art. 3 83 , comma 1 ) . n soggetto che ha eseguito l'arresto in flagranza deve senza ritardo consegnare la persona ristretta nella libertà e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria, che redige il verbale della consegna e ne rilascia copia (art. 3 83 , comma 2 ) . La disposizione riconosce implicitamente ad ogni persona il potere di assicurare le cose costituenti corpo del reato in presenza di un arresto in flagranza effettuato o almeno tentato. Arresto facoltativo. L'altra ipotesi di arresto è denominata "facoltativa" dal codice, nel senso che è rimesso alla discrezionalità dell'ufficiale od agente di polizia valutare se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto (art. 3 8 1 , comma 4). In presenza di tali condizioni l'arresto in flagranza è consentito quando si procede sia per un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni (es., calunnia; art. 3 68 c.p. ) , sia per un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (es., lesioni gravissime a più persone; art. 590, comma 4 c.p.). L'arresto facoltativo in flagranza è consentito anche in ulteriori ipotesi previste dall'art. 3 8 1 comma 2 c.p.p. a prescindere dalla pena edittale. Ad esempio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale prevista dall'art. 336, comma 2 c.p . ; lesione personale volontaria; furto; danneggiamento aggravato; truffa; corruzione di minorenni; ed infine, evasione ( d.l. 13 maggio 1 99 1 , n. 152) . n d.l. n . 92 del 2008 (sicurezza pubblica), conv. nella legge 2 4 luglio 2008 n. 125 , ha introdotto due ulteriori casi di arresto facoltativo in flagranza per i delitti di falsa attestazione sulla identità personale e fraudolente alterazioni per
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impedire tale identificazione, previsti dagli artt. 495 e 495-ter c.p. (nuove lett. m-ter e m-quater) (78). L'arresto obbligatorio o facoltativo non è mai consentito quando « tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell'adem pimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità » (art. 3 85 ) . Qualora si tratti di un delitto perseguibile a querela, l'arresto obbligatorio e quello facoltativo possono essere eseguiti se la querela viene proposta anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o agente di polizia presente sul luogo; se successivamente la persona offesa dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà, anche se quest'ultimo ricusa la remissione (artt. 3 80, comma 3 e 3 8 1 , comma 3 ) . c.
n fermo.
Il fermo è un provvedimento che può essere disposto di regola dal pubblico ministero quando sono presenti le seguenti condizioni (art. 3 84 , comma 1 ) : l ) che vi siano gravi indizi a carico dell'indagato; 2) che sussistano specifici elementi di prova che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga. In particolare, il codice prevede espressamente che il pericolo di fuga possa essere desunto dalla impossibilità di identificare l'indiziato (art. 3 84, comma l , mod. dalla legge n. 128 del 200 1 ) ; 3 ) che si proceda per u n delitto per il quale l a legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni (es. , furto pluriaggravato; rapina) . Si prescinde dalla pena edittale per i delitti concernenti le armi da guerra e gli esplosivi o per i delitti commessi « per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico ». Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo in via sussidiaria nei seguenti casi: a) prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini (art. 3 84, comma 2 , in relazione all'art. 348, comma l ) ; (78) Una normativa speciale è prevista per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione (o a causa) di manifestazioni sportive, per i reati di lancio di materiale pericoloso, di invasione di campo e di inosservanza delle prescrizioni del questore concernenti il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive e, infine, per i reati concernenti il possesso di artifici pirotecnici: si veda la legge 13 dicembre 1989 n. 401, modificata da ultimo dal d.l. 8 febbraio 2007 n. 8, conv. in legge 4 aprile 2007 n. 4 1 . La polizia h a il potere d i arrestare in flagranza i responsabili dei predetti reati fino a quarantotto ore dal fatto. Ciò è possibile >. La previsione opera quando la polizia giudiziaria non può eseguire immediatamente l'arresto per ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica. Una volta che è stato disposto l'arresto in flagranza, l'applicazione di misure caute!ari è possibile anche fuori dei limiti di pena previsti dal codice di procedura penale (artt. 274, comma l , lettera c e 280). Le misure predette hanno efficacia fino al 30 giugno 2010.
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b) qualora sia successivamente individuato l'indiziato (art. 3 84 , comma 3 ) ; c ) qualora sopravvengano specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del pubblico ministero; tra gli « specifici elementi » vi è anche il possesso, da parte dell'indiziato, di documenti falsi (art. 3 84, comma 3 ) . In base alle norme che i n precedenza sono state esposte (e che derivano da una precisa scelta della legge delega espressa nella direttiva n. 3 2 ) , il pubblico ministero non è titolare del potere di arresto in flagranza. Tuttavia può disporre il fermo anche nelle ipotesi nelle quali vi sia flagranza (art. 3 84 , comma 1 ) , purché il delitto rientri nei limiti edittali del fermo e siano presenti l e condizioni che legittimano quest'ultimo provvedimento (79).
d.
La convalida dell'arresto e del fermo.
n procedimento di convalida dell'arresto e del fermo attua due princìpi fondamentali posti dalla Costituzione. In primo luogo, il principio in base al quale le misure limitative della libertà personale possono essere applicate soltanto dal giudice; pertanto l'arresto ed il fermo, quali provvedimenti prov visori e temporanei, devono essere sottoposti alla convalida (o meglio, alla ratifica) del giudice ( art. 1 3 , comma 3 Cast.) . In secondo luogo, le norme attuano il principio in base al quale la polizia giudiziaria è sotto la diretta disponibilità dell'autorità giudiziaria (art. l 09 Cast.) . n procedimento di convalida può essere suddiviso in tre fasi. Nella prima fase la polizia giudiziaria pone l'arrestato a disposizione del pubblico ministero. Nella seconda il pubblico ministero chiede la convalida dell'arresto (o del fermo) al giudice. La terza fase consiste nell'udienza di convalida che si svolge davanti a quest'ultimo. La procedura è sottoposta a termini precisi, che attuano (79) n codice di procedura penale aveva inteso razionalizzare il sistema delle misure precautelari, distinguendo tra arresto e fermo a seconda che ricorresse o meno lo stato di flagranza, essendo questo un presupposto necessario solo del primo. Infatti l'art. 230 disp. att. aveva previsto che le numerose ipotesi di arresto fuori flagranza fossero trasformate in identiche ipotesi di fermo: queste restavano dunque identiche nei presupposti, ma cambiavano di nome ai fini di una più logica classificazione e individuazione di disciplina. Si trattava di un segno di particolare attenzione del codice al tentativo di creare un corpo organico anche con la disciplina preesistente, che purtroppo il legislatore sente di rado. Tuttavia, anche nella materia in questione non hanno tardato a manifestarsi nuove ipotesi di arresto facoltativo fuori dai casi di flagranza. Esse si pongono dunque come un terzo genus ibrido: un esempio è dato dall'art. 3 della legge 12 luglio 1991, n. 203, per gli autori del reato di evasione anche non aggravata (ivi compresi i soggetti in stato di detenzione domiciliare); altro caso è quello di chi si sia dato alla fuga dopo essere stato coinvolto in un incidente con danni alle persone (art. 189, comma 6, nuovo codice della strada). Inoltre, il legislatore ha introdotto un'ipotesi di arresto obbligatorio senza flagranza in materia di reingresso illegale degli stranieri (art. 13, comma 1 3-ter, T.U. dell'immigrazione, come modificato dalla legge 12 novembre 2004, n. 27 1 ) e due ulteriori ipotesi in caso di trasgressione all'ordine di espulsione od allontana mento pronunciato dal giudice ai sensi degli articoli 235, comma 3 , e 3 12, comma 2 c.p., modificati dal d.l. n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008. 17
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il disposto dell'art. 1 3 , comma 3 Cast. A causa della presenza di termini perentori e per non intralciare l'organizzazione degli uffici e del personale della polizia giudiziaria, la legge prevede una perfetta fungibilità della persona fisica che procede ai vari adempimenti (art. 120 disp. att.) . Nella prima fase del procedimento gli ufficiali e gli agenti d i polizia giudiziaria hanno i seguenti doveri di informazione: l ) danno immediata notizia del provvedimento al pubblico ministero del luogo ove l'arresto o il fermo è stato eseguito (art. 3 86, comma l ) e contem poraneamente trasmettono l'informativa di reato (art. 347 ) ; 2 ) avvertono l'arrestato o il fermato della facoltà d i nominare un difensore di fiducia (art. 3 86, comma l ) ; 3 ) se non è nominato un difensore di fiducia, chiedono al pubblico ministero la designazione del difensore d'ufficio (art. 3 86, comma 2 che rinvia all'art. 97) ; 4) informano immediatamente dell'arresto o del fermo il difensore (art. 3 86 comma 2 ) ; la disposizione è funzionale all'art. 104 comma 2 , che riconosce all'arrestato il diritto di conferire con il difensore « subito dopo l'arresto o il fermo »; 5) senza ritardo e con il consenso dell'arrestato danno ai familiari di quest'ultimo notizia dell'esecuzione della misura (art. 3 87 ) . Gli stessi ufficiali e agenti devono poi provvedere a due ulteriori adempi menti. In primo luogo, devono porre l'arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero al più presto e, comunque, non oltre le ventiquattro ore. Ciò avviene, di regola, nel seguente modo: la polizia conduce l'arrestato nella casa circondariale o mandamentale del luogo nel quale la misura è stata eseguita. In via eccezionale, il pubblico ministero può disporre che l'arrestato sia custodito nei luoghi nei quali si esegue l'arresto domiciliare, e cioè nella propria abita zione (o altro luogo di privata dimora) o in un luogo pubblico di cura o di assistenza (art. 3 86, commi 3 , 4 e 5 ) . I n secondo luogo, gli ufficiali e agenti devono trasmettere al pubblico ministero il verbale dell'arresto sempre entro le ventiquattro ore (art. 3 86, comma 3). I l pubblico ministero può autorizzare una dilazione, in modo che comunque sia possibile presentare al giudice il verbale entro quarantotto ore dall'arresto. La seconda fase del procedimento ha la funzione di mettere in grado la pubblica accusa sia di formulare la richiesta di convalida, sia di chiedere nella successiva udienza una delle misure cautelari personali. A tal fine il pubblico ministero può procedere all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato dando previo avviso al difensore, che ha facoltà di essere presente all'atto (art. 3 88, comma 1 ) . All'inizio dell'interrogatorio l'inquirente, dopo aver dato l'avviso della facoltà di non rispondere, informa l'arrestato del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento, comunicandogli inoltre
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gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti (art. 3 88, comma 2 , che rinvia all'art. 64) . n pubblico ministero può liberare l'arrestato o il fermato in due casi. Ordina la liberazione senza chiedere la convalida al giudice quando: a) risulta evidente che l'arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi consentiti dalla legge; b) la misura è divenuta inefficace perché sono decorsi i termini per porre l'arrestato a disposizione del pubblico ministero o per chiedere la convalida al giudice (art. 3 89 ) . I l pubblico ministero ordina l a liberazione (ma deve egualmente chiedere al giudice la convalida) quando, pur considerando giustificato l'arresto o il fermo, ritiene di non dover chiedere al giudice l'applicazione di una misura cautelare coercitiva ( art. 1 2 1 disp. att.). La terza fase del procedimento inizia con la richiesta di convalida che deve essere presentata dal pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito (an. 3 90, comma l ) (80). Ricevuta l a richiesta, il giudice fissa l'udienza d i convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive dandone avviso senza ritardo al pubblico ministero e al difensore (art. 3 90, comma 2 ) . L'udienza si svolge in camera di consiglio (art. 127) con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero e necessaria del difensore dell'imputato (art. 3 9 1 , comma 1 ) . Que st'ultimo non è obbligato a intervenire; ma, se è presente, deve essere interro gato dal giudice (art. 3 9 1 , comma 3 ) . L'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice (art. 3 9 1 comma 7 ) ; e cioè, dal momento in cui il giudice ha ricevuto la richiesta di convalida. Le decisioni: convalida ed emissione della misura cautelare. In sede di convalida vengono prese due distinte decisioni. In primo luogo, il giudice accerta se l'arresto o il fermo è stato legittimamente eseguito e se sono stati osservati i termini perentori per porre l'arrestato a disposizione del pubblico ministero (art. 3 86, comma 3 ) e per chiedere la convalida (art. 3 90, comma l ) ; quindi decide con ordinanza s e convalidare o meno l'arresto o il fermo. Tale provvedimento può essere oggetto di ricorso per cassazione (art. 3 9 1 , comma 4 ) . I n secondo luogo, il giudice valuta s e sussistono i presupposti della misura (80) Quando la procura distrettuale, in relazione ad un reato che appartiene alla sua cognizione, adotta un provvedimento di fermo che viene eseguito nella competenza territoriale di un giudice differente da quello presso cui è posta la procura stessa, spetta al pubblico ministero istituito presso il giudice competente per la convalida, e cioè quello del luogo ove è stato eseguito il fermo o l'arresto, la legittimazione a richiedere la convalida medesima e ad impugnare i provvedimenti emessi in esito alla decisione; così, Cass., sez. VI, 12 giugno 2007, Duccillo, in C.E.D., n. 237 1 90; Cass., sez. V, 3 maggio 1996, Barbieri, in Cass. pen., 1997, 3047.
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cautelare richiesta dal pubblico ministero (art. 3 9 1 , comma 5 ) ; quindi può applicarla. L'ordinanza è impugnabile presso il tribunale della libertà. I due accertamenti sono indipendenti fra di loro. In particolare, il giudice può convalidare l'arresto o il fermo, ma non applicare alcuna misura cautelare (art. 3 9 1 , comma 6) ; e viceversa può negare la convalida, ma disporre egual mente una misura cautelare ( art. 3 9 1 , comma 5 ) . In ogni caso, l'arresto o il fermo cessano di avere efficacia se il giudice non decide sulla convalida nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a sua disposizione (art. 3 9 1 , comma 7) ( 8 1 ) . L a cognizione del giudice è limitata al fatto d i reato, come appare nella richiesta di convalida formulata dal pubblico ministero. Infatti il giudice non può modificare il fatto storico addebitato, ma soltanto valutare la sua esistenza in base agli elementi addotti. Al giudice è consentito attribuire al fatto storico una qualificazione giuridica diversa da quella data dal pubblico ministero, ma ciò vale ai soli fini della decisione in oggetto e non influisce sulle successive indagini.
8.
L'incidente probatorio. a.
Considerazioni preliminari.
n legislatore ha fatto la scelta fondamentale di riservare, di regola, al dibattimento la formazione della prova poiché in tale sede è garantito il contraddittorio nella sua più ampia manifestazione. Ciò permette anche di tutelare il principio di immediatezza tra la assunzione della prova e la decisione sulla medesima: ai sensi dell'art. 525 comma 2 la deliberazione della sentenza è affidata agli « stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento ». Tuttavia il principio di immediatezza, che ispira tale scelta, non può essere assicurato in modo assoluto, senza tenere conto di quelle esigenze pratiche che in determinati casi richiedono di procedere subito all'assunzione della prova. Infatti non sempre si può attendere la formazione della prova in dibattimento, poiché questo si può svolgere a distanza di tempo dal fatto di reato. La legge delega (n. 81 del 1 987) aveva previsto la possibilità di assumere la prova in contraddittorio già nel corso delle indagini preliminari quando essa non era "rinviabile al dibattimento" . A tal fine è stato predisposto l'incidente probatorio: esso consiste in una udienza che si svolge in camera di consiglio senza la presenza del pubblico e nella quale, davanti al giudice per le indagini (8 1 ) In base all'art. 9, comma l della legge n. 85 del 2009, nei confronti dell'indagato arrestato in flagranza o sottoposto a fermo è operato a determinate condizioni il prelievo coattivo di un campione biologico per l'estrazione di quel profilo del DNA, che deve poi essere inserito nella relativa Banca dati nazionale. Il prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice.
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preliminari, s i assumono l e prove nelle medesime forme che sono prescritte per il dibattimento; ad esempio, la prova dichiarativa è assunta con l'esame incro ciato. Il testo originario del codice ( 1988) nell'attuare la delega aveva tipizzato i casi ed i motivi della non rinviabilità allo scopo dichiarato di rendere eccezionale il ricorso all'incidente. Esso era ammesso in situazioni tassative che erano veri e propri "casi limite" (ad esempio, il testimone in fin di vita) (82 ) . Il legislatore aveva voluto evitare il « pregiudizio di una formazione anticipata della prova » prima del dibattimento (Relazione al prog. prel., p. 102 ) ; di conseguenza il principio di immediatezza prevaleva sul diritto alla prova non rinviabile, anche se quest'ultimo doveva intendersi garantito dall'art. 24 comma 2 Cost. La conseguenza è stata una scarsa utilizzazione dell'incidente probatorio negli anni successivi all'entrata in vigore del codice, con un grave deficit di garanzie. Ma a partire dal 1 994 si è verificata una inversione di tendenza, dovuta alla maturata convinzione che il diritto alla prova non rinviabile deve prevalere sul principio di immediatezza (83 ) . Varie leggi (n. 66 del 1996, n. 267 del 1997, n. 269 del 1998, n. 3 97 del 2000, n. 228 del 2003 ) hanno eliminato i requisiti tassativi in relazione a determinate prove che possono essere assunte nell'inci dente probatorio solo che il pubblico ministero e l'indagato lo chiedano. Ne è derivato un sistema alquanto sbilanciato e poco coerente, che veniamo ad esporre.
b.
I casi di incidente probatorio.
I casi in cui si fa luogo all'incidente probatorio sono indicati nel codice facendo riferimento ai singoli mezzi di prova che possono essere assunti in tale sede. Ovviamente, la richiesta di incidente probatorio è valutata dal giudice in base ai parametri stabiliti dall'art. 1 90 (pertinenza e rilevanza) . I casi tassativi di non rinviabilità. Alcuni mezzi di prova possono essere assunti nell'incidente probatorio se sono presenti i casi tassativi di non rinvia bilità al dibattimento, previsti nell'art. 3 92 . Si tratta: a) della testimonianza e del confronto, che sono ammessi se il dichia rante non potrà deporre in dibattimento a causa di un grave impedimento (es. (82) Viceversa nella Relazione al disegno di legge delega (Camera dei deputati, relatore Carlo Casini) si dava un'interpretazione estensiva dello stesso concetto. Ad avviso del relatore l'incidente doveva ricom· prendere . (83) La Corte costituzionale, con la sentenza 10 marzo 1994, n. 77, ha dichiarato illegittimi gli artt. 392 e 393 >.
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infermità) o di una minaccia in atto affinché non deponga o deponga il falso (art. 3 92 , comma l, lett. a, b, e); b) dell'esperimento giudiziale e della perizia "urgente " , che sono am messi se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile (art. 3 92, comma l , lett. /); c) della ricognizione, che è ammessa se « particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento » (art. 3 92 , comma l , lett. g). I casi di incidente probatorio su mera richiesta di parte. Vi sono poi altri mezzi di prova che devono essere assunti nell'incidente probatorio sulla base del solo presupposto che il pubblico ministero o l'indagato lo abbiano chiesto al giudice per le indagini preliminari, senza che sia necessario il requisito della non rinviabilità né dell'urgenza. Ovviamente resta il requisito che la prova sia pertinente e rilevante. l ) I casi più importanti riguardano l'esame dell'indagato quando questi debba deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui (art. 3 92 , comma l , lett. c) e l'esame dell'imputato ( o indagato) connesso o collegato ai sensi dell'art. 2 10 ( art. 3 92 , comma l , lett. d). In tal modo ormai è configurabile un vero e proprio diritto dell'indagato a confrontarsi con il suo accusatore quando questi è a sua volta imputato o indagato connesso o collegato. La novità sistematica consiste nel fatto che il diritto è esercitabile già nel corso delle indagini preliminari, sia pure con i limiti precisati in precedenza in merito all'ampiezza del diritto al silenzio e dell'obbligo di verità (si veda supra, Parte II, cap. 4, § 3 , lett. h). 2 ) Altro mezzo di prova che è assunto nell'incidente probatorio sul solo presupposto della richiesta proveniente dal pubblico ministero o dall'indagato è la perizia c.d. di lunga durata che, se disposta nel corso del dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni (art. 3 92, comma 2). 3) A tale ipotesi la legge n. 85 del 2009 ha aggiunto quella della perizia coattiva. Si tratta di quella modalità di effettuazione che comporta il compi mento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale (art. 224-bis) . Nell'am bito di tali operazioni è possibile procedere al prelievo coattivo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale ai fini della determinazione del profilo del DNA o ad altri accertamenti medici. Occorre naturalmente che siano presenti i requisiti previsti per tale forma di perizia (si veda supra, Parte II, cap. 4, § 5 , lett. b) . Nei due casi appena menzionati (perizia di lunga durata e perizia coattiva) il mezzo di prova deve essere assunto nell'incidente probatorio a prescindere dalla situazione di urgenza dell'accertamento. 4) Tra gli altri casi di incidente probatorio a mera istanza di parte, occorre ricordare che il difensore può chiedere che siano assunti con incidente proba torio la testimonianza o l'esame delle persone che si siano avvalse della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione scritta nel corso dell'inter-
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vista svolta dal difensore. Anche in tal caso non occorre che sussista il requisito della non rinviabilità dell'atto ( art. 3 9 1-bù, comma 1 1 ) . 5 ) Vi è poi un insieme eterogeneo di leggi, concernenti i delitti di violenza sessuale e assimilati, che poco per volta (dal 1996 al 2003 ) hanno esteso l'incidente probatorio per assumere la testimonianza del minore di anni sedici prescindendo dai casi di non rinviabilità (art. 3 92, comma l -bis). Da ultimo, il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , da un lato, ha aggiunto all'elenco ulteriori delitti tra i quali ricordiamo gli atti persecutori, i maltrattamenti in famiglia e la riduzione in schiavitù; da un altro lato, ha esteso la possibilità di ottenere l'incidente probatorio (fuori dei casi di non rinviabilità) qualora occorra sentire una persona offesa minorenne (quindi anche superiore a sedici annz) o una persona o/fesa maggiorenne. Con la particolarità che la persona offesa stessa può chiedere al pubblico ministero la propria deposizione testimoniale mediante incidente probatorio. Nelle ipotesi menzionate la ratio dell'incidente è duplice; da un lato, vi è l'esigenza (che riteniamo prevalente) di permettere un controllo sulla credibilità ed attendibilità della deposizione della persona offesa nel momento in cui la memoria non ha ancora subìto quelle deformazioni che si verificano inevitabil mente in situazioni del genere con il passaggio del tempo (84); da un altro lato, vi è l'esigenza di ridurre, in favore della medesima persona offesa, lo stress da esposizione al processo (85 ) . c.
n contraddittorio sull'ammissibilità dell'incidente.
L'incidente probatorio si svolge in varie fasi. Esse sono: l ) il contraddittorio sull'ammissibilità dell'incidente; 2 ) la decisione del giudice sull'ammissibilità e (84) In tal senso, Cass. , sez. III, 18 settembre 2007, n. 3 7 147, in Cass. pen., 2008, 3343, sul caso di Rignano Flaminio. In dottrina, G. DE LEO, C. CALABRESI, La perizia sull'attendibilità del bambino testimone nei casi di presunto abuso sessuale, Milano, 2006, 207. (85) Si era posto il problema se l'originaria normativa, nonché quella relativa alle particolari modalità di assunzione, fosse applicabile anche oltre i reati in essa previsti (es., per i reati di maltrattamento, che oggi sono previsti dal d.l. n. 1 1 del 2009). Sul punto, è intervenuta la Corte di giustizia delle Comunità Europee che è stata investita di un rinvio pregiudiziale ad opera del G.I.P. del Tribunale di Firenze. Questi ha chiesto alla Corte eli Giustizia di pronunciarsi sulla portata della Decisione quadro 15 marzo 2001 (20011220/GAI), relativa alla tutela delle persone offese dal reato, non attuata dall'Italia, nutrendo dubbi sulla compatibilità con essa degli artt. 392, comma l-bis e 398, comma 5-bis, che limitano ai soli reati a sfondo sessuale la facoltà di ricorrere all'incidente probatorio e alle modalità particolari di assunzione. In poche parole, il giudice del rinvio chiedeva se la Decisione quadro dovesse essere interpretata nel senso di consentire al giudice nazionale di disporre l'incidente probatorio e l'assunzione delle deposizioni secondo modalità protette, anche nel caso in cui i minori siano vittime di maltrattamenti. La CGCE, in primo luogo, ha affermato che, in base alla Decisione quadro, il minore vittima deve poter rendere la propria deposizione con >; in secondo luogo, ha precisato che il giudice nazionale è obbligato ad interpretare le norme interne in modo conforme alla Decisione quadro, sempre che da tale attività esegetica non discenda una violazione dei princìpi fondamentali dell'ordinamento dello Stato membro (CGCE, 16 giugno 2005, Pupino, in Dir. pen. proc., 2005, 1 178).
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fondatezza della richiesta; 3) lo svolgimento dell'udienza in camera di consiglio; 4) l'eventuale integrazione del contraddittorio. Possono fare richiesta di incidente probatorio il pubblico ministero, l'in dagato ed il suo difensore (art. 3 92 , comma 1 ) . La persona offesa non può rivolgersi direttamente al giudice, ma può soltanto fare richiesta al pubblico ministero, che ha l'obbligo di pronunciare decreto motivato se non la accoglie (art. 3 94 ) . I soggetti che chiedono a l giudice l'incidente probatorio hanno l'onere alquanto pesante (posto a pena di inammissibilità) di precisare nella richiesta: a) la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza; b) le « persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova » (e cioè, i soggetti interessati) ; c) i motivi per cui la prova non è rinviabile al dibattimento. n pubblico ministero deve fornire ulteriori indica zioni sulla persona offesa e sui difensori delle persone interessate (art. 3 93 , commi l e 2 ) . L a richiesta di incidente è presentata alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari ed è notificata alla controparte, e cioè, secondo i casi, al pubblico ministero ovvero all'indagato (art. 3 95) ed al suo difensore (Corte cast., n. 436 del 1990). Costoro possono presentare al giudice deduzioni scritte sull'ammissibilità e fondatezza della richiesta e sull'estensione oggettiva e soggettiva dell'incidente (art. 3 96) . La decisione sulla richiesta. A seguito dell'eventuale contraddittorio scritto, il giudice decide sulla richiesta di incidente con una ordinanza non impugnabile. In caso di accoglimento, fissa la data dell'udienza ed indica (entro i limiti delle richieste delle parti) l'oggetto della prova e le persone interessate all'assunzione della stessa; a queste, alla persona offesa ed ai loro difensori, oltreché al pubblico ministero, viene dato avviso della data dell'udienza (art. 3 98, comma 3 ) (86) . (86) Ai sensi dell'art. 398, comma 5-bis (più volte modificato da leggi speciali e, da ultimo, dal decreto-legge n. 1 1 del 2009) nel caso di indagini riguardanti i reati di prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo, atti persecutori, ove tra le persone da escutere vi siano minorenni, il giudice stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso le quali procedere all'incidente probatorio quando le esigenze di tutela della persona lo rendano necessario o opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riprodu zione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti. La previsione è stata estesa dalla sentenza della Corte cost. n. 262 del l 998 al delitto di corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.). La Corte cost. con sentenza n. 63 del 2005 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 398 comma
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Nel caso inverso, il giudice dichiara inammissibile la richiesta o la rigetta perché infondata; l'ordinanza è comunicata al pubblico ministero ed alle persone interessate, ma non è impugnabile (art. 398, comma 1 ) . n differimento dell'incidente probatorio. n pubblico ministero h a il potere di chiedere al giudice il differimento dell'incidente « quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare » (art. 3 97 , comma 1 ) . L a decisione sulla richiesta è presa dal giudice senza contraddittorio e d è comunicata al pubblico ministero e notificata per estratto (e cioè, senza la motivazione) alle persone interessate. n codice dispone che il differimento non è consentito « quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova » (art. 3 97, comma 1 ) . Merita ricordare che l'art. 430-bis sancisce il divieto per la polizia giudizia ria, il pubblico ministero e il difensore di assumere informazioni dalle persone indicate nella richiesta di incidente probatorio (87) . Le informazioni assunte in violazione del divieto sono inutilizzabili. I testimoni e gli imputati, una volta indicati nella richiesta di incidente probatorio, non possono essere sentiti se non davanti al giudice. n contraddittorio scritto, che si instaura sull'ammissione dell'incidente probatorio, appare irrazionale almeno in relazione ai casi nei quali, dal 1996, non è più richiesta l'esistenza di un requisito espresso di non rinviabilità. Ci sono mezzi di prova per i quali il codice permette l'incidente sulla base della sola richiesta di parte; eppure il legislatore ha lasciato in vita la complessa e farraginosa procedura scritta che, nelle intenzioni originarie, doveva permettere l'accesso all'istituto. Ciò dimostra quanto sia difficile superare il mito secondo il quale la prova deve essere assunta soltanto in dibattimento, anche quando una delle parti intende esercitare subito il suo "diritto alla prova" , senza attendere la fase più garantita.
d.
n diritto ad effettuare le contestazioni probatorie.
n difensore dell'indagato nella fase delle indagini preliminari conosce, di regola, soltanto i pochi atti che siano stati depositati ai sensi dell'art. 3 66 presso la segreteria del pubblico ministero ( almeno in quei procedimenti nei quali non sia stata disposta una misura cautelare personale) . Soltanto il pubblico ministero conosce integralmente tutti gli atti di indagine. Orbene, la conoscenza di tali atti è indispensabile per condurre in modo efficace l'esame incrociato e, soprattutto, per controllare la credibilità e l'atten dibilità del dichiarante. In considerazione di ciò, il codice pone al pubblico 5-bis c.p.p. . (95) Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d'Austria, relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale.
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cadaveri non identificati; c) il profilo genetico tratto da reperti biologici acquisiti nel corso del procedimento penale sul luogo o su cose pertinenti al reato e dei quali è stato ordinato l'esame; d) il profilo genetico tratto da un reperto acquisito in un procedimento penale chiuso con sentenza irrevocabile e mai analizzato prima (96). l ) Profilo genetico tratto da persone ristrette nella libertà personale. La regolamentazione più dettagliata è quella che riguarda il prelievo da persone comunque ristrette nella libertà personale (in custodia cautelare o precautelare o in esecuzione di pena o in situazioni assimilate: arresti domiciliari o misure alternative alla detenzione) (97 ) . I soggetti appena menzionati sono sottoposti a prelievo coattivo di campioni di mucosa del cavo orale a cura del personale specificamente addestrato delle forze di polizia o di personale sanitario ausilia rio di polizia giudiziaria. È chiaro che, ad avviso del legislatore, la restrizione alla quale è sottoposto il detenuto giustifica quella limitazione della libertà personale e della riservatezza che è necessaria a consentire la repressione di altri reati attraverso l'alimentazione della Banca dati (98). La legge prevede ulteriori requisiti positivi e negativi perché si possa procedere al prelievo. In senso positivo, tale atto può essere effettuato esclusi vamente se « si procede » (o, riteniamo, se si è proceduto) nei confronti dei soggetti indagati, imputati o condannati per delitti, non colposi, per i quali è consentito almeno l'arresto facoltativo in flagranza (art. 9, comma l ) (99) . In senso negativo, la legge prevede un elenco di reati per i quali non è consentito il prelievo di cui sopra ( 100). Sotto il profilo procedurale, la legge dispone che le operazioni siano (96) È previsto anche un canale transitorio di approvvigionamento: i profili del DNA ricavati da reperti acquisiti nel corso del procedimento penale anteriormente alla data di entrata in vigore della legge ( 14 luglio 2009) devono essere trasferiti, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria, alla Banca dati nazionale del DNA (art. 17, comma 1 ) . (97) Ai sensi dell'art. 9 legge n . 8 5 sono sottoposti a prelievo coattivo d i campioni biologici: a) i soggetti ai quali sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari; b) i soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto; ma il prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice; c) i soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo; d) i soggetti nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo; e) i soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva. (98) La Relazione al Disegno di legge precisa che la detenzione è la massima limitazione della libertà personale ed è disposta dal giudice; pertanto, il soggetto che si trova in tale situazione può legittimamente subire quella più blanda compressione della propria libertà che si concretizza nel prelievo di campioni di mucosa del cavo orale. (99) L'espressione deve intendersi anche nel senso che "si è proceduto" quando ormai la sentenza è diventata irrevocabile e mai prima si era prelevato il campione biologico. ( 1 00) Ai sensi del comma 2 dell'art. 9, il prelievo non può essere effettuato se si procede per i seguenti reati: a) reati di cui al libro II, titolo III, capo I, tranne quelli di cui agli articoli 368, 371-bis, 371-ter, 372, 374
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eseguite nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto; delle operazioni di prelievo è redatto verbale ( 1 0 1 ) . Il campione prelevato è immediatamente inviato, a cura del personale procedente, al Labo ratorio centrale, per la tipizzazione del relativo profilo e la successiva trasmis sione alla Banca dati nazionale del DNA ( 102) . Quello esposto è u n tipo di prelievo che definiamo "istituzionale" perché deve avvenire per legge ad opera del personale specializzato della polizia giudiziaria o penitenziaria. 2) Profilo genetico tratto da materiale biologico prelevato da persone scomparse. La banca dati nazionale provvede alla raccolta dei profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei ( 1 03 ), di cadaveri e resti cadaverici non identificati (art. 7 , comma l , lettera c, legge n. 85) . A seguito di identifi cazione di cadavere o di resti cadaverici, nonché del ritrovamento di persona scomparsa, è disposta d'ufficio la cancellazione dei profili del DNA appena menzionati (art. 1 3 , comma 2 , legge n. 85) . 3 ) Profilo genetico tratto da reperti biologici acquisiti in un procedimento penale in corso. Un ulteriore canale di afflusso è costituito dai profili genetici che provengono dal processo penale. Ai sensi dell'art 10, comma l , legge n. 85 , se, nel corso del procedimento, a cura dei laboratori delle forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializzazione, sono tipizzati profili del DNA da reperti biologici a mezzo di accertamento tecnico, consulenza tecnica o perizia, l'autorità giudiziaria procedente (e cioè, il giudice o il pubblico ministero) deve disporre la trasmissione degli stessi alla Banca dati nazionale del DNA, per la raccolta ed i confronti. Poiché la legge usa il termine " reperti" , sono ricompresi aggravato ai sensi dell'articolo 375 , 378 e 379, e capo II, tranne quello di cui all'articolo 390, del codice penale (delitti contro l'attività giudiziaria, con le esclusioni indicate); b) reati di cui al libro II, titolo VII, capo I, tranne quelli di cui all'articolo 453 , e capo II, del codice penale (delitti contro la fede pubblica, con le esclusioni indicate) ; c) reati di cui al libro II, titolo VIII, capo I, tranne quelli di cui all'articolo 499, e capo II, tranne quelli di cui all'articolo 5 13 -bzs, del codice penale (delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, con le esclusioni indicate); d) reati di cui al libro II, titolo XI, capo I, del codice penale (delitti contro la famiglia); e) reati di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (reati relativi al fallimento); /J reati previsti dal codice civile; g) reati in materia tributaria; h) reati previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. La ratio della esclusione potrebbe essere ravvisata nel fatto che i predetti reati non sono connotati da violenza o minaccia. ( 101) Quando tali atti sono stati compiuti in violazione delle disposizioni previste dall'articolo 9, si procede d'ufficio alla cancellazione del profilo del DNA e alla distruzione del relativo campione biologico. ( 102) La scelta di tenere distinti il luogo di raccolta dei campioni biologici e quello di conservazione dei profili genetici serve ad assicurare una maggior tutela dei dati personali. ( 103 ) Quando di una persona scomparsa non si conosce il DNA, il profilo genetico è tratto da quei parenti che consentano al prelievo del proprio campione biologico.
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nell'obbligo di trasmissione alla Banca dati nazionale del DNA soltanto i profili genetici tratti da luoghi o cose pertinenti al reato ( 1 04). 4 ) Profilo genetico tratto da reperti biologici acquisiti in un procedimento penale già concluso. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, o in seguito all'emanazione del decreto di archiviazione, il pubblico ministero che svolge le sue funzioni davanti al giudice dell'esecuzione, può chiedere al medesimo giudice (art. 655 , comma l ) di ordinare la trasmissione dei reperti ad un laboratorio delle forze di polizia ovvero di altre istituzioni di elevata specializ zazione per la tipizzazione dei profili e la successiva trasmissione degli stessi alla banca dati nazionale del DNA (art 10, comma l , legge n. 85) . c.
I princìpi che regolano la Banca dati nazionale del DNA.
L'istituzione di una Banca dati chiama inevitabilmente in causa la tutela della riservatezza sia dal punto di vista della conservazione dei dati, sia dal punto di vista della acquisibilità degli stessi al processo penale ( 105) . Al fine di comprendere appieno il rapporto tra riservatezza e diritto alla prova nel processo, occorre evidenziare alcuni canoni posti a base di qualsivoglia disciplina. n diritto alla prova. In primo luogo nella disciplina in esame vige il principio fondamentale, secondo il quale non esiste una materia di per sé non indagabile sotto il profilo del diritto alla prova nel processo penale. Il principio risulta già da tempo attuato in varie disposizioni del codice, tra le quali merita richiamare l'art. 194 , comma 2 . La disposizione concerne le domande che possono essere rivolte alla persona offesa: le domande sono regolamentate, ma sono ammesse, quando sono pertinenti, e cioè si tratta di accertare la credibilità e l'attendibilità di un dichiarante. Se mai, la deposizione della persona offesa deve avvenire a porte chiuse ( 106) . Il diritto alla prova, che spetta all'accusa e alla difesa, non deve trovare ostacoli nel diritto alla riservatezza, almeno nel processo penale, ove si discute della libertà e dell'onore di una persona. Lo ha detto, con altre parole, anche la Corte cost. nella nota sentenza n. 238 del l 996, secondo la quale l'accertamento di un reato costituisce un « valore primario sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al principio di legalità ». Come avviene in qualsiasi bilanciamento tra ( 1 04 ) Si tratta di profili che giungono alla Banca dati senza indicazione nominativa, ma con la precisazione del procedimento penale dal quale provengono. In tale procedimento, il reperto può essere anonimo o può essere stato attribuito ad una persona (imputato o terzo) . (105 ) In proposito s i rinvia alle considerazioni d i C . CoNTI, L'attuazione della direttiva Frattini: un bilanciamento insoddis/acente tra riservatezza e diritto alla prova, in AA.Vv., Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, a cura di S. LoRusso, Padova, 2008, 32. ( 106) Infatti, ai sensi dell'art. 472, comma 2 , >.
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diritti, aventi rilievo costituzionale, la riservatezza deve essere tutelata succes sivamente alla raccolta del dato, mediante quelle misure di sicurezza che sono volte a proteggere le informazioni raccolte. Si tratta di misure che devono operare sia nel processo, sia nella Banca dati nazionale del DNA ( 107) . I prindpi fondamentali. L a disciplina della Banca dati nazionale si ispira ad alcuni princìpi fondamentali che costituiscono dei "fari " in questa materia. Si tratta dei princìpi di pertinenza, di tracciabilità, di riduzione del rischio di un uso scorretto, del minimo sacrificio della riservatezza, di proporzionalità e di non eccedenza rispetto al fine. l ) In base al principio della "pertinenza del dato" , l'archiviazione deve perseguire soltanto una finalità di identificazione personale; e infatti, ai sensi dell'art. 1 1 , co. 3 , « i sistemi di analisi sono applicati esclusivamente alle sequenze del DNA che non consentono la identificazione delle patologie da cui può essere affetto l'interessato » ( 108). 2) Il principio della "tracciabilità" è tutelato in relazione al trattamento e all'accesso ai dati; e infatti l'art. 12 co. 3 , dispone che « il trattamento e l'accesso ai dati ( . . . ) sono effettuati con modalità tali da assicurare la identificazione dell'operatore e la registrazione di ogni attività ». 3) Il principio della "riduzione del rischio di un uso scorretto" è perseguito assicurando l'anonimato iniziale tra il dato genetico e la identificazione del soggetto a cui è riferito (altri lo definiscono " separatezza" dei dati). Infatti, ai sensi dell'art. 12, comma l , « i profili del DNA e i relativi campioni non contengono le informazioni che consentono la identificazione diretta del sog getto, cui sono riferiti ». 4) Il principio del "minimo sacrificio della riservatezza" è assicurato me diante la cancellazione del profilo genetico in presenza di una sentenza defini tiva di assoluzione con formula ampiamente liberatoria, e cioè perché il /atto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato, o il /atto non è previsto dalla legge come reato (art. 1 3 , comma l , legge n. 85) . Si tratta di provvedimenti che chiudono in modo definitivo il processo penale; ( 107) il principio è affermato dalla Corte cost. con la sentenza n. 173 del 2009, secondo cui la riservatezza deve essere assicurata « da misure organizzative efficaci e presidiata da norme rigorose sulla tracciabilità dei percorsi dei materiali stessi e sulla individuazione dei soggetti istituzionalmente responsabili, anche a titolo di culpa in vigilando >>. In sostanza, la Consulta ha affermato che non si può disconoscere il diritto alla prova adducendo che le necessarie misure organizzative sono carenti. Al contrario, in una sequenza fisiologica, la riservatezza (alla quale la Corte riconosce rango di diritto fondamentale) si garantisce attraverso le misure organizzative, che appunto devono essere assicurate. Una volta che tale aspetto è stato disciplinato, non è ammissibile un sacrificio totale del diritto alla prova. La sentenza n. 173 , da un lato, ha chiarito il posto che spetta alla riservatezza nella gerarchia dei valori; da un altro lato, ha precisato in quale misura il diritto alla prova si bilancia con gli interessi contrapposti. ( 108) Invero, la Decisione del Consiglio dell'Unione Europea (2008/616/GAI) prevedeva una dispo· sizione più ampia e maggiormente garantista della riservatezza. La norma imponeva di tipizzare soltanto i profili non codificanti del DNA e cioè, i segmenti che non forniscono alcuna proprietà funzionale di un organismo.
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mentre tutte le differenti pronunce liberatorie lasciano aperta la possibilità che il processo prosegua in presenza di nuove prove o di esigenze investigative: si pensi al provvedimento di archiviazione o alla sentenza di non luogo a proce dere, pronunciata nell'udienza preliminare. 5 ) Il principio della "proporzionalità" tra il sacrificio della riservatezza e la gravità del delitto, limita l'inserimento istituzionale al profilo genetico prelevato da tutti coloro che sono stati ristretti nella libertà personale (in base a una condanna definitiva o ad un provvedimento cautelare) per i soli delitti dolosi o preterintenzionali che consentono l'arresto in flagranza. 6) Il principio della "non eccedenza dello strumento rispetto alfine perseguito" riguarda il momento in cui interviene la cancellazione. La disciplina tende a pro teggere l'ordinamento rispetto alla possibile recidiva del reo. Ed infatti, l'art. 1 3 , co. 4 , impone d i cancellare, al termine d i 4 0 anni « dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento », quei profili genetici che sono conservati nella Banca dati nazionale, salvo il termin�più breve, che verrà previsto nel r�olamento _ di attuazione. Detto termine, secondo la Relazione governativa, rappresenta un lasso di tempo congruo per superare il periodo di plausibile recidiva ( 109) . I campioni biologici sono conservati dal Laboratorio centrale per venti anni « dall'ultima circostanza che ne ha determinato il prelievo » (art. 13 , comma 4, legge n. 85) , salvo il minor tempo stabilito nel regolamento di attuazione. Tale durata si rende indispensabile per consentire nuove analisi ogni qual volta si renda utilizzabile una innovazione scientifica che permetta una migliore tecnica di tipizzazione.
d.
I profili genetici che sono messi a confronto con quelli archiviati nella Banca dati nazionale.
Nel corso del procedimento penale le autorità inquirenti raccolgono cam pioni biologici o acquisiscono cose sulle quali si rinvengono reperti biologici; quindi danno incarico a laboratori pubblici o privati di tipizzare il relativo profilo genetico. Successivamente, le autorità inquirenti hanno accesso alla Banca dati nazionale per confrontare il singolo profilo acquisito con quelli archiviati, al fine di trovare una eventuale corrispondenza. (109) Ebbene, dei princìpi menzionati nel testo, nessuno è previsto espressamente per le Banche dati differenti da quella nazionale né per i laboratori pubblici e privati che svolgono analisi per conto dei pubblici ministeri e dei giudici. Evidentemente, il Parlamento ha voluto consentire agli inquirenti di intervenire con immediatezza nel raccogliere reperti e nel prelevare campioni al fine di operare i primi raffronti, quelli che sono indispensabili per assicurare la rapidità delle indagini. È noto che rapidità vuoi dire efficacia nella ricerca della prova e dei responsabili. Questa è la volontà del Parlamento, maggioranza e opposizione che hanno approvato la legge, e da ciò non possiamo prescindere, nell'interpretarla. Concordiamo con questa scelta a patto che, nelle Banche dati differenti da quella nazionale, siano adottate quelle misure di sicurezza minime che sono previste dalla legge sulla privacy e che lo stesso Garante ha citato e imposto in relazione al Ris di Parma il 25 maggio 2009 (in www.garanteprivacy.it).
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In caso positivo, diventa possibile procedere alla identificazione fisica della persona alla quale il profilo appartiene, anche se tale persona ha fornito differenti generalità nei vari procedimenti penali nei quali è interessata come imputato o terzo. Inoltre, è possibile accertare una identità personale dubbia o conoscere even tuali procedimenti nei quali la persona, dalla quale è stato tratto il profilo, sia stata coinvolta nei ruoli più vari (imputato, persona offesa dal reato o testimone) . Sulla base di quanto abbiamo avuto modo di esporre in precedenza, tre sono le situazioni nelle quali all'interno del procedimento penale è consentita la tipizzazione dei profili genetici che il giudice, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono confrontare con quelli archiviati nella Banca dati nazionale (v. Tav. 3 . 1 .28). In primo luogo, i l profilo genetico può essere ottenuto con u n prelievo coattivo dall'indagato o da un terzo, ad opera del giudice o del pubblico ministero (rispettivamente, art. 224-bis e 359-bis) . Si tratta dei prelievi dei quali il codice precisa i requisiti, i divieti ed i limiti; questa materia è stata regola mentata dalla legge n. 85 nei dettagli ( 1 10) (v. supra, Parte II, cap. 4, § 5 , lett. b; Parte III, cap. l , § 6, lett. g). Purtroppo, il Parlamento è stato, in un certo senso, " ossessionato" dal dettare norme per il prelievo coattivo, al punto da non considerare assolutamente le altre possibilità di ottenere profili genetici. In secondo luogo, il profilo genetico può essere ottenuto con un prelievo di un campione su consenso ad opera del giudice, del pubblico ministero o della polizia giudiziaria (art. 224, 354, 359, 360). In questo caso, il prelievo può essere disposto in un procedimento per qualsiasi reato. La legge non pone espressi requisiti, né divieti, né limiti; inoltre, non prevede alcuna distruzione del campione biologico (v. supra, Parte III, cap. l , § 5 , lett. e). In terzo luogo, il profilo genetico può essere ottenuto dalla polizia giudi ziaria con un prelievo coattivo al fine della identificazione dell'indagato (art. 349, comma 2 -bis). Anche in questo caso, il prelievo può essere disposto in un procedimento per qualsiasi reato. La legge non pone espressi requisiti, né divieti, né limiti; inoltre, non prevede alcuna distruzione del campione biologico (v. supra, Parte III, cap. l , § 5, lett. d) . Nelle norme che regolano le tre situazioni, in presenza delle quali sono tipizzabili i profili genetici, nulla è previsto espressamente in relazione al luogo ed all'autorità che deve conservare i profili stessi. È verosimile pensare che essi restino nei fascicoli processuali nei quali sono stati inseriti e seguano la sorte dei medesimi fascicoli.
( 1 10) Il prelievo coattivo può essere disposto per un delitto doloso o preterintenzionale, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni; l'accertamento deve essere assolutamente indispensabile per la prova dei fatti; vi sono divieti e limiti (es. sono vietate le operazioni che possano mettere in pericolo la dignità, l'integrità fisica o la salute della persona interessata); vi sono sanzioni processuali specifiche; è regolamentata soltanto la distruzione del campione biologico (72-quarter disp. att.).
CAPITOLO II LA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI
SoMMARIO: l . n termine per le indagini preliminari. - 2. L 'azione penale. - 3 . L'archiviazione.
l.
n termine per le indagini preliminari. a.
Considerazioni introduttive.
Come abbiamo già osservato, la finalità delle indagini preliminari è quella di permettere al pubblico ministero di assumere « le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale » (art. 326). In estrema sintesi, il pubblico ministero deve decidere se esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione. In ciascuna delle due ipotesi l'atto del pubblico ministero è sottoposto al controllo del giudice. Sulla richiesta di rinvio a giudizio, formulata sulla base dell'imputazione, il controllo si svolge nell'udienza preliminare. Sulla richiesta di archiviazione il controllo si effettua, di regola, senza udienza. Le indagini preliminari hanno un termine di durata sia quando si procede contro ignoti, sia quando è stato identificato un indagato ( 1 ) . Nei due casi menzionati i termini possono essere prorogati dal giudice per le indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero. La proroga è consentita dal codice soltanto entro un termine massimo ed invalicabile che di regola consiste in diciotto mesi e, in casi eccezionali, può arrivare fino a due anni per i reati più gravi o per le indagini più complesse (art. 407 ) . L a nostra analisi avrà ad oggetto essenzialmente il regime dei termini nei procedimenti contro indagati noti. Infatti, in forza del rinvio, contenuto nell'art. 4 15 , comma 3 , tale regime si applica anche ai procedimenti contro indagati ignoti. La diversità consiste soltanto nella struttura del controllo effettuato dal giudice per le indagini preliminari.
b.
n termine nel procedimento contro un indagato.
Il termine per le indagini nei confronti di un indagato inizia a decorrere dal
v.
( l ) Sul riassetto in senso unitario del regime giuridico dei due tipi di indagine contro noti ed ignoti, Cass., sez. un., 28 marzo 2006, in Dir. giust., 2006, 20, 35.
Il procedimento ordinario
538
III.II . l . b
momento in cui il nome di questi è iscritto nel registro delle notizie di reato (art. 405, comma 2) (2). Il termine ordinario è di sei mesi; in via eccezionale il termine è di un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2 , lettera a, e cioè per delitti gravi o di criminalità organizzata. Entro il termine il pubblico ministero deve chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione; se non è in grado di formulare una delle due richieste, il pubblico ministero deve chiedere la proroga al giudice per le indagini prelimi nari. Il codice contiene una minuziosa regolamentazione dei motivi che possono consentire le proroghe. La normativa è alquanto complessa e prevede l'invali dità degli atti che siano stati compiuti dopo la scadenza del termine: tali atti sono inutilizzabili se il pubblico ministero non ha esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione o la proroga al giudice (art. 407 , comma 3 ). Infine, l'inosservanza del termine obbliga il procuratore generale presso la corte d'appello ad avocare il procedimento. In tal caso un sostituto del procuratore generale svolge le indagini indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni (artt. 4 1 2 , comma l e 4 1 3 ) (3 ) . Abbiamo anticipato che il termine per le indagini può essere prorogato una o più volte, prima di ciascuna scadenza, con ordinanza del giudice su richiesta del pubblico ministero. La prima proroga può essere motivata su di una generica « giusta causa » (art. 406, comma 1 ) . Successive proroghe possono essere richieste dal pubblico ministero « nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato » (art. 406, comma 2 ) . Ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a sei mesi (art. 406 comma l -bis); ma se si procede per i reati di omicidio e lesioni colpose, ambedue derivanti da circolazione stradale, la proroga non può essere concessa per più di una volta (art. 406 comma 2-ter) . Il termine massimo per le indagini contro un indagato. Il codice pone alle indagini preliminari un termine massimo comprensivo delle proroghe. Il ter mine generico è di diciotto mesi; è previsto il termine di due anni nei seguenti casi (art. 407, comma 2 ) : a) se le indagini preliminari riguardano delitti gravi o di criminalità organizzata, indicati specificamente; b) se le investigazioni sono particolarmente complesse per il numero di reati collegati o di indagati o di persone offese; c) se le indagini richiedono il compimento di atti all'estero; d) se si tratta di procedimenti collegati. In tal senso, Cass., sez. un., 2 1 gennaio 200 1 , Tammaro, in Cass. pen., 200 1 , 400. Di fatto, si è instaurata una prassi " abrogatrice" in base alla quale il termine viene ampiamente superato, le indagini non sono svolte e la richiesta di archiviazione è presentata con ritardo senza che ciò comporti alcuna conseguenza. Resta da chiedersi quanto ciò sia compatibile con il principio di legalità, affermato dal nuovo art. 1 1 1 Cast.
(2) (3)
III.II . l .c c.
La conclusione delle indagini preliminari
539
La proroga del termine per le indagini.
n codice regola il procedimento avente ad oggetto la proroga dei termini. Prima della scadenza del termine il pubblico ministero può chiederne la proroga al giudice per le indagini preliminari indicando le ragioni che giustificano il proseguimento delle indagini stesse (art. 406, comma 1 ) . n codice prevede u n procedimento di proroga di tipo ordinario e d uno speciale, avente ad oggetto le indagini per i delitti di criminalità organizzata mafiosa, per i delitti in materia di terrorismo e per quelli concernenti la violenza sessuale e la pedofilia (art. 406, comma 5 -bis). Nel procedimento speciale per criminalità mafìosa e reati assimilati non vi è alcun contraddittorio sulla richiesta del pubblico ministero ed il giudice decide sempre senza udienza (de plano, con ordinanza emessa entro dieci giorni dalla richiesta) anche quando, per ipotesi, non dovesse accogliere la richiesta di proroga (art. 406, comma 5-bis). Nel procedimento ordinario è necessario i n primo luogo instaurare il contraddit torio (v. tav. 3 .2.2). Il giudice per le indagini preliminari cura che la richiesta di proroga, formulata dal pubblico ministero, sia notificata all'indagato ed alla persona offesa che nella notizia di reato (o successivamente) abbia dichiarato di volerne essere informata (art. 406, comma 3 ). Costoro sono avvisati che possono presentare memorie (entro cinque giorni dalla notificazione) ; il giudice decide entro dieci giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie. La decisione del giudice è presa senza udienza (de plano) qualora egli allo stato degli atti ritenga di accogliere la richiesta di proroga (art. 406, comma 4); in caso contrario, egli fissa la data di una udienza e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all'indagato ed all'offeso. Il procedimento si svolge in camera di consiglio e la decisione (che concede o nega la proroga) è presa con ordinanza non impugnabile (art. 406, comma 6). In ogni caso, se il giudice concede la proroga questa « può essere autorizzata per un tempo non superiore a sei mesi » (art. 406, comma 2-bis) . Se il giudice respinge la richiesta, il pubblico ministero deve formulare l'imputazione o chiedere l'archiviazione. Se il termine per le indagini preliminari è già scadutO' il giudice fissa un termine « non superiore a dieci giorni » per le determinazioni del pubblico ministero (art. 406, comma 7). Gli atti compiuti dopo il termine. Gli atti d i indagine compiuti dopo l a scadenza del termine sono di regola inutilizzabili (art. 407, comma 3 ) ; sono utilizzabili soltanto se la richiesta di proroga è stata presentata prima della scadenza ed il giudice ha (anche successivamente) concesso la proroga (art. 406, comma 8). L'eventuale inutilizzabilità opera non soltanto ai fini della decisione dibattimentale, ma anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Pertanto gli atti di indagine compiuti oltre i termini non possono essere valutati dal giudice che provveda sulle richieste del pubblico ministero aventi ad oggetto, ad esempio, una misura cautelare (4) . (4) Ai sensi dell'art. 4 15-bir, l'indagato, a seguito della notificazione dell'avviso d i conclusione delle indagini preliminari, può chiedere al pubblico ministero il compimento di ulteriori atti di indagine. Ove
Il procedimento ordinario
540
III.II. l .d
Occorre ricordare che il termine massimo per le indagini preliminari (di regola diciotto mesi, eccezionalmente due anni) non può essere prorogato. Alla sua scadenza il pubblico ministero è costretto a presentare una richiesta di merito anche se non è convinto della fondatezza della stessa; e cioè deve chiedere o l'archiviazione o il rinvio a giudizio. Se non presenta una delle due richieste, i successivi atti di indagine sono inutilizzabili. Inoltre, poiché si tratta di una violazione riferibile all'obbligo di esercizio dell'azione penale, tale comportamento rientra in uno dei casi tipici di avocazione delle indagini (art. 4 12 comma l ) (5 ) .
d.
Il termine nel procedimento contro ignoti.
Come abbiamo anticipato, si tratta di una regolamentazione per la maggior parte identica a quella relativa al procedimento contro indagati noti. L'art. 4 15 , commi l e 2 detta disposizioni alquanto scarne, che in forza del rinvio alle norme sui termini per le indagini nei confronti di indagati noti, debbono essere integrate con queste ultime. Ciò è imposto dal comma 3 dell'art. 4 1 5 , introdotto dalla legge n. 479 del l 999, secondo cui « si osservano, in quanto applicabili, le altre disposizioni di cui al presente titolo ». n sistema può essere ricostruito nel modo seguente. Quando si procede contro ignoti, il termine per le indagini preliminari decorre dalla data di iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro. Entro il termine di sei mesi il pubblico ministero deve chiedere alternativamente l'archiviazione per ché è ignoto l'autore del reato, ovvero la proroga del termine per poter proseguire le indagini (art. 415, comma l ) (6). n termine ha la funzione di assicurare il rispetto dell'obbligatorietà dell'azione penale. La decisione del giudice sulla richiesta di proroga del termine perché « è ignoto l'autore del reato » è presa de plano, qualora il giudice ritenga di concedere
quest'ultimo vi proceda, è possibile il superamento del termine per le indagini. In tal caso, gli atti assunti sono comunque utilizzabili (art. 4 1 5 -bis, comma 5 ) . (5 ) Si è consolidato u n indirizzo giurisprudenziale secondo i l quale i l giudice per l e indagini preliminari non può controllare la correttezza della data di iscrizione del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato. In tal senso, Cass., sez. un., 2 1 giugno 2000-30 giugno 2000, n. 16, Tammaro, in C.E.D. , n. 2 16248: . Così Cass. , sez. VI, 12 dicembre 2002-14 gennaio 2003, n. 1295, PM c. ignoti, in Dir. pen. proc. , 2003, 43 1 , e in Cass. pen., 2003, 1486, secondo cui il comma 3 dell'art. 4 15 , introdotto dalla legge n. 479 del 1999, ha perseguito >. (9) In presenza di una richiesta di proroga delle indagini, il giudice non può disporre l'archiviazione dovuta al fatto che >. Successivamente tale orientamento è stato ribadito da Cass., sez. un., 26 novembre 2002, Vottari, in Cass. pen. , 2003 , 396. (30) La giurisprudenza consente al giudice di formulare nel decreto di rinvio a giudizio >, quando la condotta dell'imputato richiede un approfondimento dell'attività dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati: v., tra le altre, Cass., sez. I, 25 giugno 1999, Gusinu, in Cass. pen., 2000, 2077. (3 1 ) La legge n. 479 del 1999 aveva previsto che il decreto fosse notificato esclusivamente all'imputato contumace. La disciplina era stata oggetto di accese critiche, poiché lasciava privo di tutela sia l'imputato che al momento della lettura del decreto fosse assente pur senza essere stato dichiarato contumace; sia la persona offesa che non si fosse costituita parte civile nell'udienza preliminare. L'offeso poteva così ignorare la data del dibattimento, sebbene l'accertamento della regolare costituzione delle parti in tale sede costituisse il termine ultimo per costituirsi parte civile.
Il procedimento ordinario
574 9.
111.111.9
n fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero.
Subito dopo aver emesso il decreto che dispone il giudizio, il giudice dell'udienza preliminare provvede a formare il fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero « nel contraddittorio delle parti ». Ove una di esse ne faccia richiesta, il giudice deve fissare una apposita udienza « per la formazione del fascicolo » (art. 43 1 , comma l , mod. dalla legge n. 479 del
1 999). La distinzione tra i due fascicoli costituisce uno dei punti nodali del codice; essa deriva dalle due scelte fondamentali di riservare di regola al dibattimento la formazione della prova e di evitare che in tale sede il giudice venga in qualsiasi modo condizionato psichicamente dalla conoscenza degli atti di indagine assunti fuori del contraddittorio. n fascicolo per il dibattimento. n codice detta un elenco tassativo degli atti che debbono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento. In sintesi, in tale fascicolo sono raccolti quegli atti, compiuti prima del dibattimento, che si sono formati nel contraddittorio delle parti o che sono nati fin dall'origine come "non ripetibili" (32 ) . In base all'art. 43 1 il fascicolo per il dibattimento contiene: a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale ed all'esercizio dell'azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero; d) i documenti acquisiti al l' estero mediante rogatoria internazionale ed i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; j) i verbali degli atti assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di (32) Secondo Cass., sez. un., 18 dicembre 2006, Greco, in Guida dir., 2007, n. 2, 86, occorre effettuare una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 43 1 alla luce dell'art. 1 1 1 che impone il contrad dittorio come regola per la formazione della prova e prevede come eccezionale il caso della accertata impossibilità di natura oggettiva. Con riferimento a quest'ultima situazione, una interpretazione costituzio nalmente orientata obbliga a delimitare gli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento alle sole ipotesi nelle quali >. Ad avviso della Corte ciò che attribuisce la natura della non ripetibilità ad un atto del pubblico ministero, del difensore o della polizia giudiziaria >; tale caratteristica ricorre soltanto allorché l'atto abbia quei requisiti . (lO) Merita sottolineare che la legge sulle investigazioni difensive aveva lo scopo di permettere anche alla difesa, mediante l'istituto delle contestazioni, di precostituire una prova positiva; oggi, tuttavia, le nuove disposizioni probatorie, introdotte dalla legge n. 63 del 2001, di regola vietano di utilizzare come prova del fatto le precedenti dichiarazioni che siano state contestate nel corso dell'esame incrociato. Pertanto i pesanti incombenti formali, previsti per lo svolgimento dell'intervista difensiva, ne hanno ridotto l'appetibilità. Infatti, le dichiarazioni assunte dal difensore sono utilizzabili ai fini delle misure cautelari o dei riti alternativi, oppure, in dibattimento, di regola per mettere in crisi la credibilità del dichiarante. La legge n. 397 del 2000 ha però avuto il pregio di non limitarsi alla asfittica logica iniziale, ma di andare oltre introducendo una serie di previsioni che consentono finalmente alla difesa di superare la mancata collaborazione dei terzi allo svolgimento delle indagini. ( 1 1 ) L'art. 1 1 delle Regole di comportamento del penalista fa divieto al difensore di svolgere l'intervista nei confronti della persona assistita. Occorre, inoltre, precisare che il difensore ha diffi coltà ad ottenere dichiarazioni da imputati che siano collaboratori di Giustizia. Infatti, ai sensi dell'art. 12, decreto legge n. 8 del l 99 1 , mod. dall'art. 5 legge n. 45
III.IV.5
L'investigazione dz/ensiva
589
Gli avvisi. In ogni caso, prima che il colloquio abbia inizio (in una delle tre forme sopra dette) il difensore o il suo ausiliario deve avvertire la persona intervistata, a pena di inutilizzabilità dell'atto (art. 3 9 1 -bis, comma 3 ) : a ) della propria qualità e dello scopo del colloquio; b) se intende semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di docu mentazione; c) dell'obbligo di dichiarare se è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente rivoltegli dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; /) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. Dagli avvisi, che devono essere dati, si ricava che la persona intervistata ha la facoltà di non rispondere. Tuttavia, se il possibile testimone decide di rendere dichiarazioni, egli assume l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. All'uopo, la legge n. 3 97 del 2000 ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 371 -ter che punisce con la reclusione fino a quattro anni le false dichiarazioni al difensore ( 12 ) (v. tav. 3 .4.7 ) . n divieto di rivelare le domande rivolte dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero. Come abbiamo accennato, le persone sono altresì avvertite del divieto di rivelare le domande formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date. Anche in tal caso è stata introdotta una apposita sanzione penale. L'art. 379-bis c.p. punisce chiunque rivela indebita mente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento (v. tav. 3 .4.4) . La del 2001, al momento della sottoscrizione delle speciali misure di protezione predisposte nel loro interesse, i collaboratori di Giustizia si impegnano a > (comma 2 ) ; deve informare le persone interpellate che . ( 18) Fermo restando che il difensore deve dare gli awertimenti dei quali abbiamo già trattato (art. 3 9 1-bis comma 3 ) , l'art. 391-ter comma 3 non esige che i verbali compilati dal difensore debbano contenere
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Il procedimento ordinario
III.IV.5
altresì che per la materiale redazione del verbale il difensore può avvalersi di persone di sua fiducia ( 19). Il codice vieta che all'assunzione delle informazioni assistano l'indagato, l' of feso e le altre parti private (art. 3 9 1 -bis, comma 8). Si tratta di una previsione finalizzata ad evitare possibili influenze o pressioni sul dichiarante dovute alla presenza della persona assistita dal difensore. Desta perplessità il fatto che il divieto sia stato espressamente limitato alla sola assunzione di informazioni. Da una disposizione del genere pare desumersi che sia legittima la partecipazione dei predetti soggetti ai colloqui informali ed alla ricezione di dichiarazioni scritte; ma tale conclusione non pare condivisibile, poiché quanto previsto per l'intervista può estendersi per analogia ai colloqui informali ed alla ricezione di dichiarazioni scritte. Siamo convinti che in queste ultime ipotesi sussista la medesima ratio costituita dalla necessità di tutelare la genuinità delle informazioni. Le dichiarazioni autoincriminanti. Vi è infine una apposita disciplina relativa all'ipotesi in cui la persona, che sia stata sentita in qualità di possibile testimone, renda nel corso delle informazioni una dichiarazione dalla quale emergano indizi a proprio carico (art. 3 9 1 -bis, comma 9): la normativa è analoga a quella vigente per l'autorità giudiziaria (art. 63 , comma 1 ) . Dal momento in cui la persona intervistata rende dichiarazioni, dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, il difensore o il sostituto devono interrompere l'assunzione di informazioni. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Da tale divieto si desume che esse possono essere utilizzate contro altre persone secondo le ordinarie modalità. Merita precisare quali sono i limiti di discrezionalità riconosciuti al difen sore, una volta che egli abbia scelto di assumere le dichiarazioni da verbalizzare: tutte le domande e le risposte devono essere documentate fedelmente. Il difensore può ritenere che le dichiarazioni non siano utili per la posizione del proprio cliente; in tal caso non è obbligato a produrre il verbale nel corso del procedimento (20) . Tuttavia, se il difensore decide di produrlo, il verbale non può essere manipolato. Il difensore deve scegliere tra non presentarlo o presentarlo nella sua interezza; ovviamente non può eliminare le dichiarazioni sfavorevoli alla parte che egli assiste. d) La dichiarazione scritta. L'ultima modalità di intervista consiste nel la analitica enunciazione dei singoli avvertimenti, essendo sufficiente l'attestazione che si è provveduto a renderne edotto il dichiarante; in tal senso Cass., sez. II, 14 novembre-20 dicembre 2002, Mancuso, in Giur. it., 2004, 827. ( 1 9 ) Ai sensi dell'art. 13, comma l delle Regole di comportamento del penalista le informazioni assunte dal difensore >. Una disposizione di tenore quasi identico è prevista all'art. 52.1, n. 15 del Codice deontologico. (20) In base all'art. 1 3 , comma 3 delle Regole di comportamento del penalista e all'art. 52.1, n. 16 del Codice deontologico, il difensore non è tenuto a rilasciare copia del verbale alla persona che ha reso informazioni né al suo difensore.
III.IV.6
L'investigazione dt/ensiva
593
richiedere al possibile testimone o all'imputato il rilascio di una dichiarazione scritta (2 1 ) . L'art. 3 9 1 -ter comma l reca una dettagliata disciplina sul modo di proce dere alla documentazione. La dichiarazione resa dalla persona intervistata deve essere da lei sottoscritta; il difensore o il sostituto autenticano la firma. Quindi, l'intervistatore deve redigere una relazione, che è allegata alla dichiarazione (art. 3 9 1-ter comma 2 ) . Nella relazione devono essere riportati: a) la data in cui la dichiarazione è stata ricevuta; b) le generalità del difensore (o del sostituto) e della persona che ha rilasciato la dichiarazione; c) l'attestazione di aver rivolto gli avvertimenti previsti dalle disposizioni generali relative all'intervista (22) ; d) i fatti sui quali verte l a dichiarazione. Le modalità di utilizzazione della dichiarazione sono identiche a quelle previste in relazione al verbale relativo all'assunzione di informazioni (si veda in/ra § 7 e nel capitolo sul giudizio) .
6.
L'audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di non rispondere.
Come abbiamo visto nell'esporre la disciplina relativa all'intervista, la persona sentita dal difensore ha la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione richiesta. Tuttavia, se il legislatore si fosse fermato a questo punto, il diritto alla prova spettante alla difesa sarebbe stato completamente subordinato alla volontà collaborativa delle persone informate sui fatti. Per evitare un simile rischio, la legge n. 397 del 2000 ha messo a disposizione del difensore due strumenti procedurali attivabili nell'ipotesi che la persona con vocata si avvalga della facoltà di non rispondere. Il difensore può chiedere che la persona sia sentita con incidente probatorio anche fuori dei casi di non rinviabilità disciplinati dall'art. 3 92 ; oppure può chiedere al pubblico ministero di disporre l'audizione del possibile testimone. Occorre, naturalmente, che la persona sia « in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa », come dispone l'art. 3 9 1 -bis, comma 10. (2 1 ) S i tratta d i una modalità che è simile a quella utilizzata nei paesi di common law, nei quali l a dichiarazione viene denominata affidavit. (22) Ricordiamo che, ai sensi dell'art. 3 9 1 -bù, comma 3 , in ogni caso la persona deve essere avvertita: a) della qualità dell'intervistatore e dello scopo del colloquio; b) se l'intervistatore intende semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell'obbligo di dichiarare se la persona è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; /J delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. Le Regole di comportamento del penalista impongono al soggetto che svolge l'intervista una serie ulteriore di avvertimenti.
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Il procedimento ordinario
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L'incidente probatorio. Nel primo caso, si procede con incidente proba torio all'escussione del testimone o all'esame dell'imputato connesso che si siano avvalsi della facoltà di non rispondere (art. 3 9 1 -bù, comma 1 1 ) . Si tratta di un ampliamento dei casi di incidente probatorio che risulta senz'altro condivisibile anche sotto il profilo del principio del contraddittorio nella formazione della prova. L'audizione presso il pubblico ministero. Nel secondo caso, il difensore può chiedere al pubblico ministero l'audizione del dichiarante che si sia avvalso della facoltà di non rispondere; ma la richiesta può essere rivolta alla pubblica accusa soltanto in relazione al possibile testimone. Analogo potere non spetta nei confronti dell'imputato connesso, che sia rimasto silenzioso. L'audizione è disciplinata dall'art. 391 -bù, comma 10. Il difensore deve indicare al pubblico ministero le circostanze in relazione alle quali vuole che la persona sia sentita e le ragioni per le quali le circostanze medesime sono utili ai fini delle indagini (Cass. sez: II, 6 dicembre 2006 n. 40232 , in Il Sole, 13 gennaio 2007 ) . Il pubblico ministero, valutata la richiesta, dispone l'audizione entro sette giorni (23 ). L'istituto costituisce una forma particolare di svolgimento delle informazioni assunte dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 3 62 . La particolarità consiste nel fatto che l'audizione si svolge « alla presenza del difensore che per primo formula le domande »: egli conduce la prima parte dell'esame; successivamente, il pubblico ministero può procedere all'assunzione di informazioni. In relazione a tale modalità di svolgimento dell'atto, la legge n. 397 del 2000 ha apportato anche una modifica alla fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 3 7 1 -bis c.p.: oggi la legge punisce con la pena della reclusione fino a quattro anni la persona che di fronte al pubblico ministero rende dichiarazioni false o tace, in tutto o in parte, ciò che sa (art. 3 7 1 -bzs c.p.) . Il nuovo comma 3 , inserito nella norma appena citata, stabilisce che la medesima disciplina si applica nel corso dell'audizione « quando le informazioni ai fini delle indagini sono richie ste dal difensore ». Di conseguenza il possibile testimone, che sia sentito congiuntamente dal pubblico ministero e dal difensore, non ha più quella facoltà di tacere che gli era riconosciuta nel corso dell'intervista privata (24 ) . (23) Cass., 2 9 maggio 2007, n . 2 1 092, in Il 5ole-24ore, 4 giugno 2007 : >. (24) Merita precisare che la disciplina appena esaminata lascia aperti due problemi. L'art. 3 9 1 -bis, comma 10 stabilisce che il difensore può chiedere al pubblico ministero di disporre l'audizione quando la persona si sia avvalsa della facoltà di non rispondere. Quest'ultima locuzione, tuttavia, da un lato, non precisa se l'audizione possa essere chiesta anche nell'ipotesi in cui la persona, convocata dal difensore, non si sia presentata; da un altro lato, non chiarisce se l'audizione possa essere chiesta soltanto quando la persona non abbia reso alcuna dichiarazione (silenzio totale), oppure se essa possa fare seguito anche al rifiuto di rispondere a singole domande (silenzio parziale). A nostro avviso, l'audizione deve essere svolta dal pubblico ministero in entrambi i casi. In primo luogo,
m.IV.6
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La qualifica penalistica del difensore che verbalizza l'intervista. Dall'art. 327 -bis è ricavabile che l'investigazione difensiva ha una finalità privata e tende a ricercare ed individuare elementi "a favore" dell'assistito. La scelta se procedere o meno a recepire dichiarazioni da verbalizzare è compiuta dal difensore nel momento nel quale egli procede al colloquio informale con il dichiarante. Una volta che il difensore decida di ricevere dichiarazioni da documentare, il relativo verbale deve essere integrale come precisa l'art. 136, al quale rinvia l'art. 391 -ter. L'attività di verbalizzazione per il difensore è una facoltà ma, ove egli decida di espletarla, ciò non gli permette di omettere la verbalizzazione delle dichiarazioni contrarie all'interesse dell'assistito. L'obbligo di completezza gli è imposto non soltanto dal codice, ma anche dalle norme deontologiche del Consiglio nazionale forense e dell'Unione delle Camere penali, che abbiamo menzionato in precedenza. Almeno sotto questo profìlo siamo d'accordo con quanto statuito dalle Sezioni unite 27 giugno-28 settembre 2006, n. 32009, Schera, in Dir. Giust. , 2006, 37, 44: « la infedele o incompleta documentazione delle dichiarazioni acquisite a verbale dall'avvocato nel corso delle indagini difensive non può iscriversi nel novero delle garanzie di libertà dell'avvocato nell'espletare il proprio mandato nell'interesse del cliente ». L'asserita configurazione di un falso ideologico in atto pubblico. Non ci pare accoglibile, tuttavia, un altro profìlo della medesima decisione, nella quale si afferma che « integra il delitto di falso ideologico di cui all'art. 479 c.p. la condotta del difensore che utilizzi processualmente le dichiarazioni delle persone informate di circostanze utili acquisite a norma degli articoli 391 -bis e ter c.p.p e verbalizzate in modo infedele ». Le Sezioni unite affermano che la verbalizzazione è essa stessa espressione di un potere certificativo che denota la caratteristica di una pubblica funzione. In verità, nella motivazione viene fatto riferimento ad una sentenza che ha per oggetto un atto del processo civile; per tale atto è pacifico il valore fidefacente (art. 2700 c.c.) fino a querela di falso (art. 221 c.p.c.) . Diversamente è statuito nel codice d i procedura penale. Il verbale d i u n atto compiuto dal giudice o dal pubblico ministero non è fidefacente per il semplice motivo che il codice del 1 988 non ha riprodotto gli artt. 158 e 2 15 del codice del 1 930 (valore fidefacente e incidente di falso); oggi il verbale è soltanto un atto che fa prova, anche se vi è un contrasto giurisprudenziale sul punto (nel senso appena precisato, v. Cass., sez. V, 10 gennaio 1 994, Capuzzi, in Cass. pen., 1 995, 1 12). Il verbale redatto dalla autorità giudiziaria, dal cancelliere o dal segretario resta comunque un atto pubblico in senso soggettivo, poiché è redatto da un pubblico ufficiale. Ciò premesso, il difensore nella propria investigazione svolge un servizio privato di pubblica necessità che è previsto dall'art. 359 c.p.; nello svolgimento di tale attività ha poteri certificativi che sono tipici di quel servizio e che sono sanzionati espressamente
è agevole sostenere che, se il difensore può chiedere l'audizione quando la persona si è presentata ma ha rifiutato di rispondere, a maggior ragione potrà farlo quando la persona convocata abbia omesso di presentarsi. In secondo luogo, merita sottolineare che non è possibile effettuare una distinzione quantitativa tra silenzio totale e silenzio parziale. Ove si ritenesse il contrario, una persona, che rispondesse soltanto a domande di scarso rilievo probatorio e rifiutasse di rispondere ai quesiti fondamentali, potrebbe impune mente compromettere il diritto alla prova spettante alla difesa.
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III.IV.6
dall'art. 481 c.p. Quest'ultima disposizione si pone in rapporto di specialità con gli artt. 357 e 358 c.p.: da essa si ricava che vi può essere un potere certificativo che non è esercizio di pubblica funzione, anche se è rilevante per gli scopi pubblici, come avviene per il processo penale. L'essere destinato alla utilizzazione per la decisione penale non muta la natura di un atto. La funzionalizzazione alla decisione penale non è un qualcosa di simile al re Mida che trasformava in oro tutto quello che toccava. n falso ideologico in certificati. Sulla base delle riflessioni appena svolte riteniamo che, se il difensore documenta infedelmente i risultati della propria investigazione, egli commette falsità ideologica in certificati in quanto esercente un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.); la sanzione prevista, e cioè la reclusione sino ad un anno o la multa da euro 56 ad euro 5 16, ci pare eccessivamente modesta; ma si tratta di un problema del quale non il diritto vivente, bensì il legislatore si deve fare carico. In dottrina si è fatto notare che lo svolgimento dell'intervista difensiva non può essere qualificato come pubblica funzione perché l'attività del difensore è carente di quel ca rattere di doverosità che connota la funzione pubblica (A. MANNA, in Dir. pen. p roe. , 2003 , 1276). In effetti, il difensore non è vincolato a consegnare il verbale né al pubblico mi nistero né al giudice (art. 3 9 1 -'octies) ; egli può scegliere di non produrlo nel processo. L'asserita condizione di punibilità dell'uso processuale. Le Sezioni unite, nel tentativo di creare un collegamento tra la funzione giudiziaria e la attività difensiva, al fine di sostenere il carattere pubblico di quest'ultima, affermano che il verbale « può rimanere nella disponibilità privata di colui che l'ha redatto ed il delitto di falso ideologico, pur essendo istantaneo, si ricollega comunque al momento in cui l'atto acquista rilevanza ai sensi degli artt. 3 9 1 -octies e seguenti del codice di rito, non potendmri essere falsificazione ideologica punibile fino a quando l'atto rimane nella facoltà di disposizione dell'agente (v. Cass., sezione quinta, 834/93) ». È a tutti noto che in base all'art. 479 c.p. il falso in atto pubblico è configurato come un reato di pericolo e non è subordinato alla condizione dell'uso dell'atto stesso. Dalla sentenza in esame deriva una conseguenza singolare: quando afferma che la rilevanza della condotta di falso è strettamente legata all'utilizzazione processuale del verbale, la s.e. crea una fattispecie incriminatrice che è differente da quella tipica, prevista dall'art. 479 c.p .; ma lo fa senza argomentare in modo sufficiente ( G. FRIGO, in Guida dir., 2006, 41, 50). Al tempo stesso, pare che la s.e. si contraddica quando afferma che « la possibilità di non utilizzare l'atto non comporta che esso possa essere distrutto », poiché in tal caso mostra di accettare che il falso si sia già perfezionato. Inoltre, la Corte non considera che il verbale, una volta sottoscritto, appartiene a quello che viene definito "ufficio della difesa" ; il verbalizzante può rinunciare all'incarico o essere revocato e, pertanto, la sentenza n. 834 del 1 993 appare citata a sproposito, poiché dopo la sottoscrizione l'atto è già uscito dalla disponibilità personale del verbalizzante (G. SANTALUCIA, in Dir. Giust., 2006, 37, 42). Da ciò consegue che non è logicamente configurabile la asserita condizione di punibilità dell'uso processuale. Per i motivi che abbiamo esposto, la sentenza della s.e. non pare aver chiuso la questione in modo definitivo. Viceversa, è da accogliere l'altro principio enunciato dalla sentenza in esame, secondo cui « anche il difensore dell'imputato può rendersi responsabile del delitto di favoreggiamento personale allorquando presti un consapevole aiuto diretto, oltre i limiti dell'attività difensiva, anche solo a intralciare l'opera di investigazione o di ricerca dell'autorità ».
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La presentazione della documentazione difensiva.
La facoltà di depositare la documentazione difensiva. Anticipiamo subito che il difensore ha, di regola, la facoltà e non l'obbligo di presentare agli inquirenti pubblici e al giudice la documentazione dell'attività di indagine difensiva svolta, sia essa il verbale dell'intervista o quello degli altri atti di investigazione dei quali tratteremo. Mosso da un interesse privato, il difensore palesa al giudice soltanto quell'aspetto dei fatti che è favorevole al proprio cliente, sia esso l'indagato o l'offeso. Forte è la differenza con gli inquirenti pubblici, che hanno l'obbligo di depositare tutti i verbali degli atti che sono stati compiuti (artt. 3 66 e 4 15-bis) . Vi è una norma di carattere generale, in base alla quale il difensore ha la facoltà di presentare al pubblico ministero gli elementi di prova in favore del proprio assistito ( art. 3 9 1 -octies, comma 4). Il difensore ha interesse a valersi di tale facoltà tutte le volte che ritenga possibile indurre il pubblico ministero a prendere una decisione in favore del proprio cliente: ad esempio, sollecitando una richiesta di archiviazione ( se indagato) o, viceversa, di rinvio a giudizio (se offeso). Negli altri casi, infatti, è presumibile che la difesa presenterà diretta mente al giudice gli atti favorevoli all'assistito. n difensore ha la possibilità di presentare gli elementi difensivi direttamente al giudice. Tale facoltà può essere esercitata sia quando il giudice, nelle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, deve adottare una decisione con l'inter vento della parte privata assistita dal difensore (es. l'ordinanza di archiviazione a seguito di udienza in contraddittorio); sia per l'eventualità che il giudice debba adottare una decisione per la quale non è previsto l'intervento della persona assistita (es. applicazione di una misura cautelare) . n difensore può pertanto presentare elementi al giudice tanto in relazione ad un provvedimento da adottarsi a seguito di contraddittorio tra le parti (art. 3 9 1 -octies, comma 1 ) , quanto in vista di un eventuale provvedimento che il giudice possa applicare senza necessità di sentire il soggetto interessato (art. 3 9 1 -octies, comma 2 ) . D fascicolo del difensore. Durante l e indagini l a documentazione, presentata dal difensore, è inserita in un apposito fascicolo, formato e conser vato presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari e denominato fascicolo del dz/ensore ( art. 3 9 1 -octies, comma 3 ) . Di tale documentazione il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia soltanto quando deve essere adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento (25 ) . (25) Dopo il decreto che dispone il giudizio il giudice dell'udienza preliminare provvede alla suddivisione dei verbali tra il fascicolo per il dibattimento e quello del pubblico ministero (art. 43 1 ) .
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Le altre attività di investigazione difensiva.
a) Considerazioni generali. Come abbiamo accennato nelle pagine che precedono, la legge n. 3 97 del 2000 ha previsto una serie di attività di indagine tipiche, ulteriori rispetto all'intervista, che di regola possono essere svolte sia dal difensore, sia dai suoi ausiliari. Merita ricordare che il difensore non è munito di poteri coercitivi e nel corso delle investigazioni agisce come privato. Tutte le volte che le sue attività comportano una qualche compressione dei diritti di libertà dei cittadini interessati dall'investigazione, il difensore necessita della collaborazione di questi ultimi. In caso di diniego, la legge n. 3 97 del 2000 ha previsto la possibilità che il difensore ricorra al pubblico ministero o al giudice per superare l'opposizione manifestata dal privato (v. tav. 3 .4.3 ) . Abbiamo già esaminato u n modello di sollecitazione dell'intervento dell'au torità, costituito dalla richiesta al pubblico ministero di disporre l'audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Analizzando i singoli atti tipici di indagine daremo conto delle altre ipotesi nelle quali il difensore può attivare l'autorità giudiziaria. All'uopo il legislatore ha predisposto due moduli fondamentali attraverso i quali tale potere di attivazione può esplicarsi. Vi è un primo modello in base al quale il difensore può rivolgersi direttamente al giudice per ottenere l' autoriz zazione al compimento di un atto (art. 3 9 1 -septies) . Nel secondo modello, il difensore è tenuto ad interpellare in prima battuta il pubblico ministero; soltanto se quest'ultimo rigetta la richiesta, il difensore ha la possibilità di rivolgersi al giudice (artt. 233 comma l -bis, 3 66, comma l , 3 9 1 -quater) . b) La richiesta di documenti alla pubblica amministrazione. Il primo atto di indagine, che il codice disciplina successivamente all'intervista, consiste nella richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione (art. 3 9 1 -quater) . Si tratta di un atto che appare riservato alla titolarità esclusiva del difensore. Se risulta necessario per le indagini, il difensore « può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione » ed estrarne copia a sua spese. Come esempio possiamo pensare al difensore che abbia necessità di esaminare la pratica amministrativa per il rilascio di una licenza edilizia (26). La richiesta deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il (26) li Testo unico sulla privacy consente oggi al difensore dell'imputato o dell'indagato di richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze telefoniche intestate al proprio assistito con le modalità indicate dall'art. 391-quater c.p.p. entro il termine di conservazione, previsto per finalità di accertamento e repressione dei reati, che ammonta a ventiquattro mesi (art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003). L'acquisizione del traffico in entrata è possibile soltanto se la mancata consegna può comportare un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive (art. 8, comma 2, lett. /, d.lgs. n. 196 del 2003 ) . Come si è visto supra, nel capitolo sui mezzi di ricerca della prova, i difensori dell'imputato, dell'indagato, della persona offesa e delle altre parti private possono altresì chiedere al pubblico ministero che disponga l'acquisizione dei tabulati telefonici relativi ad altre utenze, secondo la disciplina prevista all'art. 132 d.lgs. n. 1 96 del 2003 comma 3, mod. dalla legge n. 155 del 2005 di conversione del decreto legge n. 144 del 2005.
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documento o lo detiene stabilmente. L'amministrazione ha il dovere di esibire il documento, poiché questo serve ai fini dell'esercizio della difesa in una procedura giudiziaria. Ove la pubblica amministrazione rifiuti l'esibizione, il codice effettua un rinvio alla disciplina relativa alla richiesta di sequestro nel corso delle indagini preliminari (artt. 367 e 3 68). La regolamentazione che n e risulta può essere così ricostruita in via interpretativa. Il difensore può chiedere al pubblico ministero di disporre l'acquisizione coattiva dei documenti presso la pubblica amministrazione (art. 3 67 ) . Se il pubblico ministero accoglie la richiesta, procede a sequestro. Se il pubblico ministero rifiuta, egli deve trasmettere la richiesta con il suo parere negativo al giudice per le indagini preliminari. Quest'ultimo, ove ritenga di accogliere la richiesta, può superare l'opposizione e disporre il sequestro dei documenti presso la pubblica amministrazione. c) L'esame delle cose sequestrate. Un'altra facoltà spettante ex lege al difensore consiste nella possibilità di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui si trovano e, se si tratta di documenti, di estrarne copia (art. 3 66, comma l , mod. dalla legge n . 3 97 del 2000). La predetta facoltà è stata inserita nella norma che disciplina il deposito dei verbali degli atti garantiti. Il pubblico ministero con decreto motivato può disporre, per gravi motivi, che l'esercizio della facoltà di esaminare le cose sia ritardato per non oltre trenta giorni, senza pregiudizio di ogni altra attività del difensore (art. 3 66, comma 2 ) . Contro il decreto del pubblico ministero l'indagato e il difensore possono proporre opposizione al giudice che decide utilizzando il procedimento in camera di consiglio (art. 127 ) . Non sfugge come i poteri attribuiti al difensore tutelino il diritto del medesimo ad avere conoscenza dei verbali di quegli atti al cui compimento egli ha diritto di assistere con o senza preavviso. Il legislatore ha ridotto la libertà di manovra del pubblico ministero in relazione al deposito dei verbali ed ha garantito alla difesa la tempestiva discovery dei più importanti atti di indagine. d) L'accesso ai luoghi. Nel corso delle investigazioni, il difensore o i suoi ausiliari possono avere necessità di visionare i luoghi o le cose pertinenti al reato ovvero di procedere alla descrizione degli stessi o infine di eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi (art. 3 9 1 -sexies) . Le espres sioni utilizzate dal codice fanno ritenere che il termine " rilievo" debba essere interpretato in senso differente da quanto è ricavabile dall'art. 354 a proposito della omologa attività della polizia. Al difensore sono permesse quelle attività che escludono ogni alterazione dello stato dei luoghi o delle cose; viceversa, in caso di accertamento che manipola la cosa è prevista una disposizione apposita nell'art. 3 9 1 -decies comma 3 (27) . (27)
P . GuALTIERI, Le investigazioni del dz/ensore, Padova, 2002, 188, ricorda come nel medesimo senso
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L'esame o il sopralluogo hanno come esito, ma non necessariamente, la redazione di un verbale nel quale sono riportati: a) la data e il luogo dell'accesso; b) le generalità delle persone intervenute e quelle del verbalizzante; c) la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose; d) l'indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, foto grafici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell'atto e sono allegati al medesimo. Il verbale è sottoscritto dalle persone intervenute (28). Quando tali attività concernono luoghi pubblici o aperti al pubblico, il difensore non incontra alcun ostacolo. I problemi sorgono quando l'accesso riguarda luoghi privati o non aperti al pubblico. Il difensore e i suoi ausiliari hanno l'onere di sollecitare il consenso di chi ne ha la disponibilità. Se il consenso non è rilasciato, il difensore può chiedere l'intervento del giudice, il quale autorizza l'accesso con decreto motivato che ne specifica le concrete modalità (art. 3 9 1 -septies) (29). Nel corso dell'atto, l a persona presente è avvertita della facoltà d i farsi assistere da persona di fiducia prontamente reperibile, purché non si tratti di un minore degli anni quattordici, di persona inferma di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione o, infine, di persona sottoposta a misura di sicurezza o a misure di prevenzione (artt. 3 9 1 -septies, 120) . Con una disposizione di chiusura, il codice stabilisce che non è consentito l'accesso ai luoghi di abitazione o alle loro pertinenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato; si possono citare, come esempi, le impronte, le macchie di sangue, gli oggetti smarriti dall'indagato. 9.
La consulenza tecnica privata fuori dei casi di perizia.
I poteri partecipativi dei consulenti tecnici di parte. La legge sulle investi gazioni difensive è intervenuta sulla norma relativa alla consulenza tecnica extraperitale ed ha riconosciuto alle parti il diritto di avvalersi dell'opera di si esprimano il codice deontologico forense (art. 52, I, comma 13) e le regole dj comportamento, cit., art. 14. In senso analogo, N. TruGGlANl, Le investigazioni difensive, Milano, 2002, 354. (28) « Il difensore, anche quando non redige un verbale, deve documentare lo stato dei luoghi e delle cose, procurando che nulla sia mutato, alterato o djsperso ». Così l'art. 52 .I, n. 13 del Codice deontologico
forense. (29)
Per un caso particolare, v. G.u.p. Lanciano, 14 marzo 2003, in Cass. pen., 2003, 3 180: . Così C. cost. , ord. 14·26 febbraio 2002, n. 36. Tale orientamento è stato successivamente ribadito da C. cost., ord. 26 giugno 2002, n. 293, in G. U. prima serie speciale, n. 26 del 2002; C. cost. , ord. 1 8 luglio 2002, n. 365, in G. U., prima serie speciale, n . 29 del 2002; C. cost., ord. 25 luglio 2002, n. 396, in Cass. pen., 2003, 1 13 ; C. cost., ordd. 29 ottobre 2002, n. 43 1 in G. U., prima serie speciale, n . 44 del 2002 e 22 novembre 2002, n. 473, ivi, n. 47 del 2002.
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contesti l'imputato rinuncia al contraddittorio in via anticipata (nel giudizio abbreviato e nel patteggiamento) o in via successiva (nel procedimento per decreto) , di modo che il giudice utilizza le prove raccolte in modo unilaterale nel corso delle indagini. Il diritto dell'imputato e le esigenze di Giustizia risultano soddisfatte poiché viene valutata anche la necessità di assicurare una durata ragionevole al processo e tale valore trova un esplicito riconoscimento costitu zionale nell'art. 1 1 1 , comma 2. Occorre tenere presente che il consenso dell'imputato ha la sola funzione di rendere utilizzabili dichiarazioni raccolte in modo unilaterale; non consiste in un potere dispositivo assoluto sulla prova. Pertanto al legislatore resta il potere-dovere di tutelare l'interesse di Giustizia. Ad esempio, nel rito abbreviato, vista l 'entità degli interessi in gioco, la legge n. 479 del 1 999 ha consentito al giudice di valutare la necessità di un'integrazione probatoria da disporre anche d'ufficio (art. 44 1 , comma 5 ) . n consenso a d acquisire al dibattimento prove formate fuori dal contrad dittorio. Il secondo ambito applicativo dell'art. 1 1 1 comma 5 Cost., nella parte in cui si riferisce al consenso dell'imputato, riguarda la disciplina della prova nel rito ordinario. Con il consenso dell'imputato è possibile acquisire al dibatti mento prove formate fuori dal contraddittorio. Poiché la norma costituzionale non fa distinzione, sembra che il consenso del solo imputato valga a rendere utilizzabile qualsiasi atto di indagine anche se si tratta di elementi favorevoli che sono stati raccolti dalla difesa. Eppure, in relazione a questi ultimi, all'evidenza, il reale controinteressato è il pubblico ministero; pertanto è la pubblica accusa che dovrebbe consentire. In effetti il consenso, se interpretato in modo tecnico, indica la rimozione di un limite all'agire altrui nella propria sfera soggettiva (62 ) . Pertanto, a rigore, l'imputato può validamente consentire soltanto all'acquisi zione di atti prodotti da altre parti. In sintesi, malgrado la formulazione dell'art. 1 1 1 , comma 5, si può affermare che l'uso di atti raccolti in modo unilaterale può essere ammesso soltanto se vi consentono quelle parti che non hanno parteci pato all'acquisizione dell'elemento di prova e che potrebbero subire un pregiu dizio dalla utilizzabilità dello stesso ( 63 ) . (62) C . CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003 , 130·13 1 . (63) Sul tema, v . G . GIOSTRA, Analisi e prospettive di u n modello p robatorio incompiuto, in Quest. giust. , 200 1 , 1 134; C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso, cit., 129 ss. e 423 . La lettura appena prospettata è stata confermata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184 del 2009. Ad awiso del Giudice delle leggi, la deroga al contraddittorio per consenso dell'imputato non implica che il legislatore ordinario sia tenuto a rendere sistematicamente disponibile il contraddittorio nella forma zione della prova, prevedendone la caduta ogniqualvolta l'imputato manifesti una volontà in tal senso. L'enunciato normativo legittima il legislatore ordinario a prevedere ipotesi nelle quali il consenso dell'impu tato, unitamente ad altri presupposti, determina una più o meno ampia acquisizione di elementi di prova formati unilateralmente; ciò, in particolare, tenuto conto delle esigenze di economia processuale. Resta peraltro implicito che la fattispecie debba essere comunque configurata in maniera tale da assicurare uno svolgimento equilibrato del processo, evitando che la rinuncia al contraddittorio da parte dell'imputato pregiudichi a priori la correttezza della decisione.
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Questa interpretazione trova conferma in quell'istituto che riconosce alle parti la possibilità di « concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documen tazione relativa all'attività di investigazione difensiva » (artt. 43 1 , comma 2 e 493 , comma 3 introdotti dalla legge n. 479 del 1999) . Mediante l'istituto dell'acquisizione concordata, le parti riconoscono che l'elemento di prova, raccolto in modo unilaterale da una di esse, è equiparabile a quello che sarebbe stato acquisito mediante l'esame incrociato della fonte: l'accordo è una forma di dialettica che opera non sulla fonte, bensì direttamente sull'elemento di prova (64 ) . In ogni caso, l'accordo non costituisce un vincolo per il giudice, che può disporre anche d'ufficio l'escussione dibattimentale della prova introdotta in modo consensuale (art. 507, comma l -bis) . Pertanto, un eventuale patto per frodare l'accertamento dei fatti è controllabile e superabile da parte del giudice (65 ) . b) L'accertata impossibilità di natura oggettiva. L a seconda deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova è consentita in caso di accertata impossibilità di natura oggettiva. La formulazione è estremamente generica; in particolare, non specifica se debba trattarsi di una ipotesi di non ripetibilità dovuta a cause imprevedibili. Il termine « oggettiva », utilizzato nella norma in esame, allude a quelle cause indipendenti dalla volontà di taluno, che ci sembrano assimilabili a situazioni di forza maggiore. In altre parole, ci pare che l'ambito applicativo della disposizione sia limitato alle situazioni di non ripetibilità originaria o sopravvenuta; fra queste ultime rientrano le ipotesi "classiche" di cose soggette a modificazioni non evitabili (es. macchia di sangue esposta alla pioggia), oppure morte o grave infermità del dichiarante, e non quelle di semplice deterioramento delle sue facoltà psichiche. Occorre che in natura non sia più possibile assumere in contraddittorio quell'elemento di prova. La impossibilità di natura oggettiva non deve apparire "a sorpresa" per la (64) Nella ricordata sentenza n. 184 del 2009 la Corte costituzionale ha altresì precisaro che l'acquisizione concordata così come disciplinata dal legislatore appare coerente con il contesto del giudizio dibattimentale, sede processuale destinata al pieno sviluppo del contraddittorio attraverso l'assunzione dialettica della prova. Pertanto, si giustifica che una deroga a tale principio possa fondarsi solo sulla rinuncia "incrociata" delle parti, a fronte della regola generale della inutilizzabilità degli atti di indagine del pubblico ministero e del difensore. La Corte ha instaurato un inedito collegamento tra la disciplina in esame ed il canone della parità tra le parti sancito all'art. 1 1 1 , comma 2 Cast. Quest'ultimo principio impone al legislatore ordinario di evitare che i presupposti e le modalità operative della rinuncia al contraddittorio da parte dell'imputato determinino uno squilibrio costituzionalmente intollerabile tra le posizioni dei contendenti o addirittura una alterazione del sistema. (65) Alla luce dei princìpi enunciati sopra, appaiono poi costituzionalmente legittime quelle norme che permettono alla singola parte, contro cui è fatta valere una prova raccolta fuori del contraddittorio, di consentire all'utilizzazione della medesima. Ciò avviene oggi nell'art. 5 13 , comma l , per le precedenti dichiarazioni che siano state rese da uno degli imputati: esse sono utilizzabili contro un coimputato soltanto con il consenso di quest'ultimo.
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prima volta nella motivazione della sentenza, bensì deve essere oggetto di prova e di discussione tra le parti. Sul punto vi deve essere un apposito provvedimento incidentale del giudice. In definitiva, il contraddittorio viene recuperato nello specifico dibattito sull'esistenza in concreto del requisito dell'impossibilità oggettiva e nella valutazione sull'attendibilità dell'elemento di prova raccolto in modo unilaterale. c) La provata condotta illecita. L'ultima eccezione è consentita nell'ipotesi in cui la mancata attuazione del contraddittorio costituisca effetto di provata condotta illecita. È importante sottolineare che il comma 5 si riferisce a comportamenti contrari al diritto (contra ius) finalizzati ad indurre il dichiarante a sottrarsi al contraddittorio. Il legislatore costituzionale si è mostrato consapevole del fatto che, quando il metodo del contraddittorio è inquinato, il processo deve fare ricorso al metodo alternativo che consiste nella utilizzabilità delle precedenti dichiara zioni. L'esigenza di accertamento dei fatti ha un indubbio rilievo costituzio nale (66) . c.
n principio generale della inutilizzabilità delle precedenti dichiara zioni.
Come abbiamo accennato nel capitolo introduttivo, il quadro dei princìpi costituzionali presentava profili di frizione con il sistema probatorio delineato dal codice. Si è così reso necessario un intervento del legislatore ordinario al fine di dare attuazione ai predetti canoni. Nel prosieguo dell'analisi, esamineremo la disciplina della utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, dando conto delle modifiche che sono state apportate dalla legge l o marzo 200 l , n. 63 , di attuazione del " giusto processo" . Prima di cimentarsi con le singole disposizioni, che eccezionalmente rego lano l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento, occorre esaminare la disciplina prevista dal codice per stabilire la regola generale in materia. (66) È chiaro che la norma si fonda su di una regola di esperienza in base alla quale, quando il dichiarante resta silenzioso a seguito di minaccia, è probabile che siano genuine le sue precedenti dichiara zioni. In queste situazioni il contraddittorio in senso oggettivo, se fosse affermato in modo massimalista senza consentire eccezioni, sarebbe vanificato nei suoi stessi scopi. Pertanto, l'eccezione costituisce la deroga che rende ragionevole il principio del contraddittorio in senso oggettivo. Dall'espressione " provata condotta illecita" si desume la necessità di un ponderato accertamento delle circostanze che hanno comportato l'inquinamento della prova. Giustamente si ritiene che la condotta illecita debba essere provata attraverso un procedimento incidentale; la disposizione postula che il giudice accerti la sussistenza di tale condotta sulla base di indizi che conducano ad una tesi di " rilevante probabilità" e sempre che sul punto le parti siano state sentite in contraddittorio. Con ordinanza 12 novembre 2002, n. 453 , in Cass. pen., 2003, 479, la Corte costituzionale ha affermato che la condotta illecita disciplinata dall'art. 1 1 1 comma 5 Cost. è soltanto quella posta in essere "sul dichiarante" e non l'eventuale falsa testimonianza di quest'ultimo.
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li punto di partenza è la lettura combinata degli articoli 526 e 5 14. L'art. 526, comma l stabilisce che « il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibatti mento ». Tale norma deve essere letta congiuntamente all'art. 5 14 . Quest'ultima disposizione stabilisce la regola generale in base alla quale non costituisce "legittima acquisizione" la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento, salvo i casi espressamente menzionati (67 ) . Dall'esame simultaneo delle due disposizioni s i desume un principio gene rale: le prove dichiarative precostituite (e cioè raccolte fuori del dibattimento) sono inutilizzabili, salvo i casi nei quali espressamente la legge ne consenta l'acquisizione. Alla luce di questa ricostruzione, le norme che consentono la utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni hanno natura eccezionale e, come tali, non sono estensibili per analogia. Le dichiarazioni di colui che si è sempre volontariamente sottratto al contraddittorio. Su questo sfondo deve essere collocato anche il comma l -bis, che è stato introdotto nell'art. 526 dalla legge n. 63 del 200 1 . Tale disposizione ripropone testualmente il dettato dell' art. 1 1 1 , comma 4, secondo periodo Cast., e cioè vieta di utilizzare come prova della colpevolezza le dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all'interroga torio da parte dell'imputato o del suo difensore. Si tratta di una norma di chiusura; da essa si ricava che in ogni caso, anche laddove una norma di legge dovesse consentire l'acquisizione delle precedenti dichiarazioni ai sensi dell'art. 5 14, resta fermo il principio secondo cui la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre sottratto al contraddittorio (68) . (67) Sottolinea M. Nomu, sub art. 514, i n Commento a l codice di procedura penale, coord. d a M. CHIAVARlO, vol. V, 1 99 1 , 44 1 che l'art. 5 14 costituisce una >. Tale configurazione emerge anche dalla Relazione al progetto preliminare del codice del 1 988, in Leg. it. , Torino, 1988, 549, in merito all'omologo art. 507 di tale progetto. (68) Merita precisare che l'art. 526, comma l-bis si limita a stabilire la predetta regola di esclusione senza prevedere espressamente alcuna eccezione. Ciò potrebbe indurre a ritenere che si tratti di una disposizione inderogabile. In particolare, una tesi del genere porterebbe ad affermare che le dichiarazioni rese da chi ha eluso il contraddittorio non possano essere utilizzate contro l'imputato neppure se questi vi consente. Una simile conclusione, tuttavia, non pare accettabile. La regola della inutilizzabilità è posta a tutela del diritto a confrontarsi con l'accusatore, e cioè del contraddittorio in senso soggettivo. Se l'imputato, che è il titolare di tale diritto, vi rinuncia e consente che le dichiarazioni accusatorie siano utilizzate contra se, non vi è ragione di espungerle dal materiale probatorio. A ritenere diversamente, si permetterebbe che l'imputato per due volte faccia le spese della mancata attuazione del diritto a confrontarsi con l'accusatore. In primo luogo, perché non potrebbe ottenere precisazioni e chiarimenti da quest'ultimo. In secondo luogo, perché vedrebbe comunque preclusa l'utilizzazione delle precedenti dichiarazioni. Si potrebbe obiettare che l'im putato non ha alcun interesse a consentire all'utilizzazione contra se di dichiarazioni accusatorie. Tuttavia, all'evidenza, la natura accusatoria o liberatoria di una dichiarazione è un carattere che dipende molto spesso da una valutazione soggettiva. li giudice potrebbe considerare accusatoria una dichiarazione che, viceversa, la difesa ha interesse ad acquisire. Ove si ritenesse che l'imputato non possa validamente consentire alla utilizzazione di tali dichiarazioni, la sua strategia difensiva potrebbe risultare compromessa. Pertanto, a nostro
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Le considerazioni che abbiamo appena esposto concernono gli istituti della lettura e della contestazione probatoria. Ad essi se ne affiancano altri simili, che consistono nella " consultazione di documenti in aiuto della memoria " , prevista dall'art. 499, comma 5 , e nella contestazione di " altre risultanze" , riconosciuta nella prassi giudiziaria.
d.
La consultazione di documenti in aiuto alla memoria.
Occorre adesso esaminare le singole ipotesi, eccezionali, nelle quali il codice consente di utilizzare dichiarazioni formate fuori del dibattimento. Viene in rilievo la possibilità, che ha il dichiarante, di " rinfrescarsi la memoria " . Ai sensi dell'art. 499, comma 5, « il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti ». Occorre tenere presente che non si tratta di atti del procedimento penale, bensì di documenti redatti dal dichiarante. L'esempio di solito riportato è quello del testimone che chiede di consultare la propria agenda al fine di ricordare gli impegni di un determinato giorno del passato (69) . La consultazione di documenti può essere chiesta da colui che è interro gato, sia quest'ultimo un testimone o una parte (in base al richiamo operato dall'art. 503 , comma 2 ) . Si tratta di un diritto che può essere esercitato su autorizzazione del presidente in presenza di precisi requisiti. In primo luogo, l'oggetto che può essere consultato deve essere un docu mento redatto dal dichiarante. La redazione può essere stata fatta di persona dal medesimo, ovvero egli può essersi limitato a controllare l'attività di altri, sottoscrivendo la dichiarazione. Fra i documenti, come è noto, possono rien trare le foto e le registrazioni ( art. 234) . Occorre segnalare che anche gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria possono consultare, in aiuto alla memoria « a norma dell'art. 499, comma 5 », verbali da loro redatti (art. 5 14, comma 2 ) . In secondo luogo, il documento può essere consultato "in aiuto della memoria" (70). Occorre cioè accertare che il dichiarante non ricordi i fatti registrati a suo tempo; soltanto successivamente, si può chiedere che il dichia-
avviso, l'unico modo per interpretare la norma in oggetto in modo conforme all'art. 1 1 1 Cost. è ritenere che le dichiarazioni rese da chi ha eluso il contraddittorio siano inutilizzabili contro l'imputato, salvo che questi vi consenta. (69) Si veda, tuttavia, anche Cass., sez. III, 12 ottobre 2004 n. 39853, in Il Sole-24ore, 10 novembre 2004: per " documenti da lui redatti" « devono intendersi pure quelli formalmente redatti dalla polizia giudiziaria, ma sottoscritti dal testimone dopo averne constatato la corrispondenza a quanto dichiarato >>; da queste premesse, la Corte ha dedotto che legittimamente il giudice di merito aveva autorizzato il testimone a consultare il verbale della denuncia resa alla polizia giudiziaria. (70) La consultazione da parte del testimone di un documento deve essere soltanto in aiuto alla memoria e non può pertanto sostituirsi completamente al ricordo, risolvendosi sostanzialmente nel semplice richiamo allo scritto consultato; così Cass., sez. IV, 2 giugno 2000 n. 6504, in CED, n. 216689.
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rante sia ammesso a consultare il documento (7 1 ) . Deve comunque trattarsi di un " aiuto alla memoria" , e cioè il documento deve essere stato formato quando la memoria del teste era fresca; non deve essere stato predisposto " specifica mente" in vista dell'esame. Inoltre, il dichiarante può " consultare" il documento nel senso che, dopo averlo visionato, deve rispondere alle domande senza . leggerlo. In terzo luogo, il documento deve essere reso conoscibile alle controparti, le quali hanno il diritto di utilizzarlo ai fìni del controesame. n documento può essere già contenuto in uno dei fascicoli; ma può anche essere nell'esclusiva disponibilità del testimone o di una parte. Non è necessario che il documento abbia i requisiti per essere ammesso come prova né che le parti ne chiedano l'ammissione come tale; in questo momento serve soltanto come " aiuto" alla memoria (72) . Infine, i periti e d i consulenti tecnici d i parte nel corso dell'esame hanno « in ogni caso facoltà di consultare documenti, note scritte e pubblicazioni, che possono essere acquisite anche di ufficio » (art. 5 0 1 , comma 2 ) . Tale possibilità è riconosciuta in ragione della peculiare connotazione tecnica che assume la deposizione degli esperti. In tal caso il codice non richiede l'autorizzazione del presidente. e.
La contestazione probatoria.
La seconda modalità di utilizzazione delle precedenti dichiarazioni è la contestazione. A colui che depone (sia egli testimone o parte) viene contestato di aver reso una differente dichiarazione in un momento anteriore al dibatti mento. Essa deve essere contenuta nel fascicolo del pubblico ministero e, pertanto, consisterà in un atto delle indagini preliminari o dell'udienza preli minare, o in una documentazione raccolta durante le investigazioni difensive (art. 3 9 1 -decies) . La finalità della contestazione probatoria. L a finalità della contestazione è duplice; da un lato, intende mettere in dubbio la credibilità del soggetto che in dibattimento cambia la versione dei fatti; da un altro lato, vuole permettere allo stesso soggetto di rettificare la dichiarazione resa in dibattimento o, comunque, di dare una spiegazione della diversa versione. La contestazione " probatoria" in senso proprio è quella regolata espressa(7 1 ) La Corte di cassazione ha affermato che la funzione dell'art. 499, comma 5 può essere realizzata pure nel caso in cui il vuoto di memoria della persona chiamata a deporre sia assoluto; purché ovviamente il giudice provveda poi ad una adeguata verifica. Così Cass., sez. VI, 5 ottobre 1994 n. 10459, in CED, n. 1 99454. (72)
V., tuttavia, Cass., sez. un., 24 gennaio 1 996, Panigoni, in Cass. pen. , 1996, 2892: « è legittima l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di prospetti riassuntivi di attività di polizia giudiziaria, elaborati da ufficiale di p.g. che, esaminato come testimone, ad essi abbia legittimamente fatto riferimento nel corso della deposizione, consultandoli in aiuto della memoria >>.
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mente dagli articoli 500 (per il testimone e per l'imputato connesso o collegato) e 503 (per le parti) ; tali articoli pongono precisi requisiti e ricollegano alla contestazione determinati effetti ai fini della utilizzabilità in giudizio. Le precedenti dichiarazioni. li primo requisito consiste nel fatto che si tratti di precedenti dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero (73 ) Altri atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, ma non consistenti in dichiarazioni, possono essere utilizzati per porre domande al dichiarante, ma non sono ricompresi nell'istituto della " contestazione probatoria" (74) . In secondo luogo è necessario che le precedenti dichiarazioni siano state rese dalla stessa persona che in dibattimento sta cambiando versione; le prece denti dichiarazioni di un terzo non rientrano in questo istituto, bensì in quello che definiremo " contestazione di qualsiasi altra risultanza " . I l terzo requisito richiede che la contestazione avvenga soltanto « s e sui fatti o sulle circostanze da contestare » il testimone o la parte abbia già deposto (artt. 5 00, comma l , e 5 03 , comma 3 ) . Scopo della norma è quello di evitare che sia suggerita una risposta al soggetto che depone. La lettura-contestazione. Infine, la "modalità di effettuazione" della con testazione consiste nel "leggere" la dichiarazione rilasciata prima del dibatti mento (art. 500, comma 2) e nel " chiedere conto" al deponente dei motivi della diversità (75 ) . I n passato il codice consentiva alle parti d i procedere alla contestazione anche quando il dichiarante avesse rifiutato od omesso, in tutto o in parte, di rispondere sulle circostanze riferite nelle precedenti dichiarazioni (art. 500, comma 2-bis, introdotto dalla legge n. 356 del 1992) . La legge n. 63 ha eliminato tale disposizione. Tuttavia, a livello interpretativo, occorre ritenere che sia
(73) Può trattarsi dunque di dichiarazioni rese dal testimone durante le indagini preliminari al pubblico ministero (ex art. 362 c.p.p.) o alla polizia giudiziaria (ex art. 3 5 1 c.p.p.). In quest'ultimo caso non è necessario che le dichiarazioni siano state raccolte su delega del pubblico ministero, poiché l'art. 500, comma 2 si riferisce genericamente alle dichiarazioni precedentemente rese, senza fare cenno alla delega del pubblico ministero, come accade, invece, nell'art. 513 (Cass., sez. V, 26 ottobre 2004, n. 1 1918, in Cass. pen., 2006, 2899). (74) Inoltre, ai sensi dell'art. 5 1 1 , comma 2, i verbali delle dichiarazioni contenute nel fascicolo per il dibattimento possono essere letti >. Riteniamo che la norma non impedisca di utilizzare le predette dichiarazioni ai fini delle contesta zioni; in base al principio di oralità deve comunque ritenersi applicabile per analogia il disposto dell'art. 500, comma l, secondo cui la contestazione può essere effettuata >. (75) L'art. 500, comma 2 usa l'espressione >. In dottrina vi è chi sostiene che la lettura non è una modalità necessaria della contestazione, perché potrebbe essere sufficiente anche limitarsi a ricordare al teste il senso delle precedenti dichiarazioni. Così G. CoNTI, La formazione della prova in dibattimento, in AA.Vv., Giusto processo e prove penali, Milano, 200 1 , 189. A nostro avviso, tuttavia, dal tenore letterale della norma sembra desumersi la necessità che le dichiarazioni siano lette. Inoltre, da un punto di vista pratico non sfugge che la lettura è comunque consigliabile nello stesso interesse della parte che sta effettuando le contestazioni, giacché dà un senso di maggiore affidabilità.
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ancora possibile procedere alle contestazioni quando il dichiarante tace (76). La soluzione opposta, da un lato, precluderebbe l'esercizio del diritto alla prova delle parti, le quali sarebbero private della possibilità di chiedere conto al teste delle precedenti dichiarazioni; da un altro lato, comprometterebbe anche il principio del contraddittorio. Infatti, in casi del genere la contestazione po trebbe sollecitare il teste reticente a rendere dichiarazioni e, dunque, a sotto porsi all'esame incrociato (77 ) . A seguito della contestazione probatoria può accadere che il teste rettifichi la deposizione dibattimentale in modo che non vi sia più difformità con la precedente dichiarazione. In tal caso la contestazione è solo lo spunto per la dichiarazione resa oralmente nel contraddittorio delle parti, che pertanto è pienamente utilizzabile. Ma può anche darsi che il teste mantenga in dibattimento la diversa versione dei fatti, fornendo tuttavia giustificazioni più o meno plausibili. In tutti i casi menzionati, nei quali comunque persista una difformità di versione da parte dell'interrogato (o questi non risponda), si pone il problema se quanto è stato in precedenza narrato possa essere utilizzato ai fini della decisione. n codice, modificato dalla legge n. 63 del 2001 in attuazione del principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova (art. 1 1 1 comma 4 Cost.), distingue fra i vari tipi di dichiaranti. t opportuno esaminare partita mente le diverse ipotesi.
l ) Precedenti dichiarazioni rese dal testimone. Le contestazioni nel corso dell'esame testimoniale costituiscono la disciplina base sulla quale sono model late le contestazioni nel corso dell'escussione di tutti gli altri dichiaranti. L'art. 500, comma 2 stabilisce che « le dichiarazioni lette per la contesta zione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste ». Dunque, è regola generale che la precedente dichiarazione sia utilizzabile dal giudice soltanto per valutare la credibilità del soggetto che in dibattimento ha reso una differente versione o è rimasto silenzioso; viceversa, la precedente dichiarazione non può costituire prova del fatto narrato. Ad esempio, il testimone può aver affermato davanti alla polizia giudiziaria che l'auto dei sequestratori era blu, mentre in dibattimento riferisce che l'auto era rossa. Se, nonostante la conte stazione e la lettura della precedente dichiarazione, continua ad affermare che il veicolo era rosso, quest'ultima versione può essere considerata dal giudice (76) In questa ipotesi, in realtà, si trana di una " contestazione fittizia". Infatti, sebbene il teste non abbia reso dichiarazioni, ci si comporta come se questi avesse parlato cambiando versione. (77) In tal senso, C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso, cit., 395 ss. Pertanto, anche se il teste non rende dichiarazioni, si effettua la contestazione. La reazione del dichiarante permette di valutare la sua credibilità. Qualora il teste persista nel silenzio, il giudice dispone l'in1mediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge art. 207; si veda, in/ra, Parte II, Cap. 4, § 2, lett. g).
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poco credibile; tuttavia l'affermazione che l'auto era blu non può essere utilizzata come "prova" . Dunque, il giudice nella motivazione non potrebbe basarsi sulla precedente dichiarazione. In definitiva, la contestazione serve al massimo per togliere valore alla dichiarazione dibattimentale (che l'auto era rossa) , ma non è utile per formare la prova dell'esistenza del fatto narrato nella precedente dichiarazione (che l'auto era blu) (78). Ciò non vuol dire che il giudice debba necessariamente ritenere non attendibile ciò che il teste ha detto in udienza, perché egli decide in base al libero convincimento. Tuttavia, egli deve essere in grado di motivare sul perché ritiene comunque attendibile la dichiarazione resa in dibattimento nonostante essa sia difforme da quanto affermato nel corso delle indagini (79) . Eccezioni: la prova del fatto narrato. Una volta operata l a contestazione, vi sono alcune eccezioni, in presenza delle quali le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili come prova del fatto narrato in aggiunta alla valutazione ai fini della credibilità (v. tav. 3 .5 .9); in base al principio del libero convincimento resta fermo che la valutazione in punto di attendibilità è rimessa al giudice. La minaccia sul dichiarante. La prima eccezione è consentita quando si accerti che il teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinché non deponga o deponga il falso (art. 500, comma 4). In tal caso « le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedente mente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento » e possono costituire prova del fatto narrato. Si tratta di una applicazione dell'art. 1 1 1 , comma 5 Cast., che consente una eccezione al principio del contraddittorio in caso di provata condotta illecita (80) . li codice disciplina una sorta di subprocedimento incidentale, che si svolge in dibattimento, nel quale il giudice « su richiesta della parte » deve compiere gli accertamenti che ritiene necessari per verificare la sussistenza di una con dotta illecita nei confronti del dichiarante (art. 500, comma 5 ) . La parte che abbia interesse a vedere acquisite le precedenti dichiarazioni può fornire quegli elementi concreti che ritenga necessari a provare l'intimidazione o l'offerta di (78) Tale conclusione è imposta dalla ricognizione di principio che abbiamo effettuato supra, analizzando gli articoli 526 e 5 14. Dalla lettura di tali norme si desume che la regola generale è la inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, fatte salve le eccezioni espressamente stabilite. Invero, potrebbe abiettarsi che a questo sistema appare estranea la disciplina delle contestazioni. Infatti, l'art. 5 14 non reca alcun riferimento agli artt. 500 e 503. Tuttavia, ciò non impedisce che anche in relazione all'istituto della contestazione probatoria resti valido il menzionato principio generale secondo cui è tutto vietato salvo ciò che è espressamente consentito. (79) Del resto, le parti possono sottolineare qualsiasi comportamento in precedenza tenuto dal dichiarante (opinioni religiose, precedenti giudiziari, appartenenza a movimenti ideologici) per dimostrarne la inattendibilità: sarebbe dunque assurdo che non potessero utilizzare, al medesimo fine, un comportamento particolarmente qualificato, quale è l'aver reso precedenti dichiarazioni difformi. (80) Se la persona minacciata è un imputato connesso o collegato, il giudice deve comunque valutare la dichiarazione al fine di accertare l'esistenza di riscontri che ne dimostrino l'attendibilità (art. 192, commi 3 e 4). In tal senso, Corte cast. n. 405 del 2002.
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denaro (artt. 377 e 377-bis c.p. ) . 'aruralmente le parti che hanno un interesse contrario sono ammesse a fornire elementi idonei a dimostrare che non vi è stata alcuna condotta illecita. L'esistenza di una "pressione" sul dichiarante può essere desunta anche dalle circostanze emerse nel dibattimento (art. 500, comma 4) (81). n legislatore h a stabilito che, nelle ipotesi di intimidazione o offerta di denaro, siano acquisite al fascicolo per il dibattimento non soltanto le prece denti dichiarazioni utilizzate per la contestazione, bensì l'intero verbale. La norma ha una sua logica. Infatti, da un lato, quando il teste minacciato ha rifiutato di deporre, è evidente la necessità di acquisire il verbale nella sua interezza, giacché manca una deposizione dibattimentale. Da un altro lato, quando il teste minacciato abbia comunque reso dichiarazioni in dibattimento, è ragionevole ritenere che l'intera deposizione dibattimentale del teste possa essere stata inquinata dalla condotta illecita e, pertanto, possa risultare non genuina (82 ) . Le dichiarazioni rese nell'udienza preliminare. In secondo luogo, le dichia razioni rese in udienza preliminare e lette per le contestazioni dibattimentali sono utilizzabili come prova del fatto soltanto nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione (art. 500, comma 6) ( 83 ); contro le altre parti sono utilizzabili come prova della credibilità o, in caso di accertata intimidazione o offerta di denaro, come prova del fatto. ( 8 1 ) Ad awiso di P. FERRUA, L'indagine entra in dibattimento solo attraverso il contraddittorio, in Dir. giust. , 200 1 , 7, 78: ai sensi dell'art. 1 1 1 , comma 5 Cost., non ci sono ostacoli costituzionali alla utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni.
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I limiti di utilizzabilità dipendono dal soggetto che ha sentito l'indagato. Le precedenti dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria che agiva di propria inizia tiva sono utilizzabili soltanto per valutare la credibilità dell'imputato (art. 503 , comma 4). Si tratta delle spontanee dichiarazioni (art. 350, comma 7 ) e delle sommarie informazioni rese con la presenza del difensore (art. 350, commi 1 - 4). Come abbiamo accennato, esse, una volta contestate, valgono soltanto come
prova della credibilità. Un differente regime è riservato alle dichiarazioni che sono state rese alla polizia giudiziaria delegata o al pubblico ministero che le ha raccolte personal mente. Le dichiarazioni sono utilizzabili eccezionalmente come prova del fatto rappresentato, come esponiamo di seguito. - L'art. 503 , comma 5 considera le sole dichiarazioni alle quali il difensore dell'imputato, che le ha rese, aveva diritto di assistere, purché esse siano state assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria delegata. Una volta contestate, esse sono « acquisite nel fascicolo per il dibattimento » e, di conse guenza, sono utilizzabili, nei confronti dell'imputato che le ha rese, come prova del fatto narrato (88). - L'art. 503 , comma 6 estende l'effetto, appena menzionato, a determi nate dichiarazioni rilasciate dall'imputato prima del dibattimento e, in partico lare, alle dichiarazioni assunte dal giudice: a) nell'interrogatorio di garanzia che segue l'esecuzione di una misura cautelare personale (art. 294 ) ; b ) nell'interrogatorio in sede di revoca della misura cautelare personale (art. 299); c) nell'interrogatorio reso i n sede di convalida dell'arresto o del fermo (art. 3 9 1 ) ; d) nell'interrogatorio intervenuto nel corso dell'udienza preliminare (art.
422) (89) (90) . n procedimento nei confronti di più coimputati. L'art. 503 non disciplina espressamente l'ipotesi in cui il procedimento si svolga nei confronti di più (88) Secondo la Corte di cassazione, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero ed utilizzate per le contestazioni possono essere acquisite nel fascicolo per il dibattimento nella loro interezza e non limitatamente alla parte oggetto della contestazione. (89) L'elenco è da considerarsi tassativo (artt. 5 14 e 526); ne consegue che le dichiarazioni, rese dall'imputato alla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 350, sono utilizzabili soltanto come prova della credibilità. (90) Rimane da considerare l'ipotesi nella quale l'imputato, sottoposto ad esame, rifiuti di rispondere a singole domande. TI codice non reca alcuna espressa previsione in proposito. Tuttavia riteniamo che l'ipotesi rientri nella disposizione, di portata più ampia, relativa all'imputato che « rifiuta di sottoporsi all'esame >> (art. 5 13 , comma 1 ) . Pertanto la precedente dichiarazione può essere utilizzata contro l'imputato medesimo, che si è sottratto al contraddittorio; viceversa, non è utilizzabile contro altri coimputati se non con il loro consenso o in caso di intimidazione o subornazione. La disciplina sarà dettagliatamente esposta in/ra esaminando le letture.
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coimputati. In tal caso, occorre chiedersi se le precedenti dichiarazioni conte state all'imputato A, sentito ai sensi dell'art. 208, siano utilizzabili come prova del fatto narrato anche nei confronti del coimputato B. Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale (sentenza interpretativa di rigetto n. 1 97 del 2009) affermando che le precedenti dichiarazioni dell'imputato A non possono essere utilizzate come prova del fatto nei confronti dell'imputato B in base al principio del contraddittorio (art. 1 1 1 Cast . ) . Eccezionalmente le precedenti dichiarazioni possono essere utilizzate come prova del fatto narrato contro B se quest'ultimo vi consente, oppure se ricorre una ipotesi di minaccia o subornazione sul dichiarante ai sensi dell'art. 500, comma 4. Al di fuori di tali casi, ai fini della responsabilità di B le precedenti dichiarazioni rese da A valgono soltanto come prova della scarsa credibilità del dichiarante. Ad avviso della Corte, tale conclusione è imposta da una lettura dell'art. 503 , commi 5 e 6 conforme al principio del contraddittorio, così come recepito dall'art. 1 1 1 Cast. , ed è coerente con l'attuale assetto dell'intero sistema probatorio (91 ) .
4 ) Le precedenti dichiarazioni rese da altre parti private differenti dall'im putato. L'art. 503 , comma 3 permette di effettuare la contestazione anche nel corso dell'esame delle altre parti private differenti dall'imputato, e cioè del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. La contestazione può essere operata in base alla suddetta disposizione anche nel raro caso in cui la parte civile, che di regola è chiamata a deporre come testimone, sia viceversa invitata a rendere l'esame come "parte" ai sensi dell'art.
208. In tutte le predette ipotesi, tuttavia, non trovano applicazione i commi 5 e 6 dell'art. 503 i quali, come abbiamo accennato, valgono soltanto per l'impu tato. Pertanto, le precedenti dichiarazioni delle parti private differenti dall'im putato sono utilizzabili non come prova del fatto rappresentato, bensì come prova della credibilità.
f.
n testimone che rifiuta l'esame di una delle parti.
Occorre adesso esaminare una norma peculiare, che è stata inserita nel comma 3 dell'art. 500 e che rappresenta un istituto inedito nel nostro ordina mento. Se il testimone (o altro dichiarante) « rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte », salve restando le sanzioni penali applicabili al dichiarante reticente. Le dichiarazioni in oggetto sono quelle che il teste ha reso nel dibattimento, o in momenti precedenti, alle parti diverse da quella " rifiutata". (9 1 )
I n t al senso, già M. BARGIS, sub art.
1 7 legge n . 63 de/ 2001, in Leg. pen., 2002, 309-310.
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Il legislatore ha voluto porre un rimedio ad un fenomeno degenerativo rilevato nella prassi. Accadeva talvolta che il dichiarante, citato ed escusso da una parte, rifiutasse di sottoporsi al controesame chiesto da una delle altre. Si trattava, all'evidenza, di una situazione estremamente penalizzante per la parte che si trovava " rifiutata" . Oggi, in base al comma 3 dell'art. 500, le dichia razioni rese fino a quel momento sono inutilizzabili nei confronti di quella parte che non ha potuto svolgere l'esame. A tale regola è possibile fare eccezione soltanto se la parte interessata vi consente (art. 500, comma 3 ) oppure s e vi è stata minaccia o offerta di denaro nei confronti del dichiarante (art. 500, comma 4). L a norma in oggetto non effettua alcuna distinzione; pertanto opera anche se il dichiarante rifiuta di sottoporsi all'esame svolto dal pubblico ministero (v. tav. 3 .5 . 12). Se un testimone risponde alle domande rivolte dal difensore dell'imputato e poi, escusso dal pubblico ministero, rifiuta di rispondere, contro quest'ultimo non sono utilizzabili le eventuali dichiarazioni favorevoli all'impu tato. Il risultato è che il giudice non potrà respingere la richiesta della pubblica accusa e prosciogliere sulla base di tali dichiarazioni. Viceversa, esse saranno utilizzabili, ad esempio, nei confronti della parte civile, se questa ha avuto modo di esaminare il teste (92) . La ratio del nuovo istituto consiste nella tutela del diritto alla prova di quella parte che non ha potuto partecipare all'esame incrociato. Nei suoi confronti non è stato attuato il contraddittorio in senso soggettivo; di conse guenza, non può subire un pregiudizio da quella prova, alla cui formazione è rimasta estranea. Il legislatore ha scelto di assicurare a tutte le parti la stessa tutela che la norma costituzionale sulla inutilizzabilità (art. 1 1 1 , comma 4, secondo periodo Cost.) riconosce espressamente soltanto all'imputato (« la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi (. .. ) si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore ») (93 ) . (92) In tal senso C . CoNTI, Principio del contraddittorio, cit., 600. S i vedano, tuttavia, i rilievi di D. MANZIONE, sub art. 1 6, in E. MARZADURI e D. MANZIONE, Nuove contestazioni per un reale contraddittorio, in Guida dir. , 200 1 , 13, 55, che mette in evidenza, nell'ipotesi in oggetto, .
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soggetti diversi dalle parti, quali sono gli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato (art. 505 ) , sia nel senso che, una volta che siano stati esercitati dal giudice, le parti possono riprendere l'iniziativa probatoria. Passiamo adesso all'esame analitico. In primo luogo, il giudice (e cioè l'intero organo giudicante) anche d'ufficio può disporre che sia data lettura integrale o parziale degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (art. 5 1 1 , comma l ) . Tuttavia la lettura delle dichiarazioni può essere disposta soltanto dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno che l'esame non si svolga (art. 5 1 1 , comma 2 ) . L'indicazione di temi di prova nuovi o più ampi. I n secondo luogo, il presidente dell'organo giudicante « anche su richiesta di altro componente del collegio » può indicare alle- parti « temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame » (art. 506, comma 1 ) . Si tratta di un potere di "sugge rimento" esercitabile « in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture »; e cioè dopo che si sono svolti i " casi" dell'accusa e della difesa. n presidente può soltanto sollecitare le parti ad ampliare un tema di prova oltre i limiti delle liste testimoniali e delle richieste introduttive, ma ovviamente restando all'interno dell'imputazione formulata dal pubblico ministero. A seguito della sollecitazione, l'iniziativa probatoria spetta alle parti, che possono accogliere o meno il " suggerimento" . Spetta a loro scegliere quali mezzi di prova richiedere. In terzo luogo, il giudice nel corso dell'istruzione dibattimentale « sentite le parti, può revocare con ordinanza l'ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già escluse » ( art. 495, comma 4 ) . Di questa disposizione ci interessa quella parte che consente al giudice di ammettere, anche d'ufficio, "prove già escluse " . Si tratta di prove che ovviamente erano state richieste a suo tempo dalle parti (art. 495) e che il giudice aveva escluso perché, in quel momento, gli erano sembrate inammissibili, non pertinenti, non rilevanti o superflue. L'assunzione di nuovi mezzi di prova. In quarto luogo, il giudice può disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova « se risulta assolutamente necessario » per l'accertamento dei fatti (art. 507 ) . Il potere è esercitabile « terminata l'acquisizione delle prove », e cioè dopo che si sono conclusi i " casi" dell'accusa e della difesa. Il requisito della « assoluta necessità » può dirsi integrato quando « il mezzo di prova risulti dagli atti del giudizio e la sua assunzione appaia decisiva » ( 108). Questo limite all'azionabilità dei poteri ( 1 08) Sul concetto di nuova prova si veda Cass., sez. un., 6 novembre 1992, Martin, in Cass. pen., 1993, 284: la Corte specifica che prova nuova significa >. Sul significato dell'espressione prova > (art. 245, comma 2 c.p.c.). Nonostante che il processo civile abbia ad oggetto, di regola, diritti disponibili, tuttavia il principio dispositivo non giunge ad affermare che la prova, una volta ammessa, sia " disponibile" dalle parti mediante rinuncia. ( 1 16) Cass., sez. feriale, 19 agosto 1993, Poluzzi, in Cass. pen. , 1994, 1263, in base alla quale il potere del giudice di disporre di ufficio ex art. 507 l'assunzione dei mezzi di prova non è impedito dalla circostanza che le parti vi abbiano rinunciato nel corso del dibattimento. 22
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Si pensi al coimputato A che intende sentire il testimone cui ha rinunciato il pubblico ministero, mentre il coimputato B non ha interesse all'esame: in una tale situazione B consentirà alla rinuncia, mentre A non lo farà ( 1 17). Il soggetto legittimato a rinunciare al mezzo di prova è la parte che ne aveva chiesto l'ammissione al giudice. Nell'ambito della strategia probatoria, volta a fondare le proprie richieste al giudice sul merito dell'imputazione, ciascuna parte può rinunciare alla prova per qualunque motivo, con espressa dichiara zione resa al giudice. La possibilità per la parte, che ha richiesto l'ammissione della prova, di rinunciare alla sua assunzione è manifestazione normativa del diritto alla prova; infatti un aspetto di tale diritto è la disponibilità ad opera delle parti. La rinuncia, in altre parole, è una forma estrema con cui la parte dispone del proprio diritto alla prova in relazione ad un singolo mezzo (1 18). L' operatività della rinuncia è subordinata dalla legge al consenso dell'altra parte al fine di tutelare anche il diritto alla prova di quest'ultima. Al tempo stesso, tale disciplina costituisce il riconoscimento normativa di un inedito "principio di acquisizione della prova" : il provvedimento di ammis sione della prova, richiesta da una parte, fa sorgere in capo alle altre parti, costituite in giudizio, il diritto all'acquisizione di quel mezzo di prova. Ciò significa, come abbiamo sostenuto da tempo, che la prova non è di "proprietà" della parte che l'ha introdotta nel processo chiedendone l'ammissione al giudice. Il diritto alla prova comprende anche il diritto di ciascuna parte alla assunzione del mezzo di prova ammesso in giudizio anche su istanza da altri proposta. La rinuncia opera, nell'accordo delle parti, senza necessità di un provvedimento
/armale di revoca da parte del giudice. Se è vero che dagli articoli 190 comma 3 e 495 comma 4 si ricava il principio in base al quale i provvedimenti in materia di prove si inseriscono in un "procedimento" di tipo formale, è anche vero che il provvedimento del giudice si rende necessario per superare un contrasto fra le parti. È evidente che il caso di rinuncia di una parte, seguita dal consenso delle altre, non dà luogo a necessità di tutela giudiziale dei diritti dell'una o dell'altra. n tenore letterale dell'art. 495 , comma 4-bzS lascia residuare un dubbio sulla configurabilità di una rinuncia tacita. A nostro avviso, tale tipo di rinuncia non è ammissibile perché in materia probatoria non sussiste libertà della forma. Per gli stessi motivi, riteniamo che anche il consenso debba essere espresso. Nel caso in cui il dichiarante "rinunciato" non sia stato citato dalla parte richie dente, la citazione dovrà essere operata (previa autorizzazione del giudice) dalla parte ( 1 17 ) In tal senso, P. FELICIONI, La rinuncia alla assunzione della prova, in AA.Vv., Processo penale: il nuovo ruolo del dzfensore, a cura di L. Filippi, Padova, 200 1 , 464. ( 1 18) Si tratta di rinuncia al singolo mezzo di prova; la rinuncia globale al diritto alla prova invece non è configurabile nel processo penale né per il pubblico ministero, né per l'imputato.
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che non ha consentito alla rinuncia: questa, infatti, ha manifestato il proprio interesse all'escussione della fonte di prova. Merita precisare che anche l'escussione della prova rinunciata avrà cadenze pecu liari: in tal caso, infatti, potrà farsi immediatamente luogo al controesame, che non sarà preceduto dall'esame diretto. Sotto il profilo funzionale, infatti, è rilevabile l'autonomia del controesame: il suo oggetto si delinea sulla scorta delle circostanze indicate nelle liste ai sensi dell'art. 468 dalla parte che, successivamente, ha rinunciato alla prova orale. Può ipotizzarsi il caso in cui, nelle richieste introduttive (art. 493 ) , una parte abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione di una prova "contraria" . Resta da chiedersi cosa succeda quando quella "principale" sia stata oggetto di rinuncia effettuata dalla parte richiedente. In tale situazione, l'oggetto di prova (il c.d. thema probandum) è già stato inserito nel processo; esso deve ritenersi messo a disposizione della Giustizia. Da ciò si ricava che la rinuncia alla prova "principale" non ha efficacia su quella " contraria" . Colui che h a ottenuto l'ammissione di quest'ultima h a il diritto di vederla assunta (119). Egli ha anche, se lo ritiene opportuno, il diritto di ottenere l'assunzione della prova "principale" .
22. La partecipazione e l'esame " a distanza". Considerazioni preliminari. Il codice consente di utilizzare due istituti che permettono di superare l'unità di luogo nel quale si deve svolgere il dibatti mento: la partecipazione al dibattimento a distanza e l'esame a distanza. L'aspetto comune dei due istituti sta nel collegamento televisivo, che è stato regolato nei dettagli al fine di permettere, per un verso, che i fondamentali diritti difensivi possano essere esercitati; per un altro verso, che le parti siano comunque messe in grado di valutare l'attendibilità delle prove che vengono assunte. La partecipazione "a distanza". L'art. 146-bù disp. att. prevede una singolare forma di "partecipazione" dell'imputato al dibattimento. L'imputato rimane nel luogo di detenzione e partecipa all'udienza attraverso un collega mento a distanza che presuppone l'installazione di due terminali, uno nell'aula e l'altro nella postazione remota, e di un sistema di comunicazione che permette di ricevere e trasmettere i segnali audiovisivi provenienti da entrambi i terminali. L'istituto è stato introdotto nell'ordinamento al fine di evitare una buona parte di quelle traduzioni degli imputati e dei collaboratori di Giustizia che richie dono un ingente dispiego di forze dell'ordine per i servizi di scorta e di accompagnamento, con alti rischi per la loro vita. La partecipazione a distanza è disposta dal giudice in due ipotesi: ( 1 19)
In giurisprudenza, Cass., sez.
V, 13 gennaio 1995, D'Alessandro, in Cass. pen., 1996, 2234,
secondo cui il diritto di articolare la prova contraria prescinde dalla deduzione probatoria della parte avversa; Cass., sez.
VI, 17 maggio 1993, Kinkela, in Giur. it., 1994, II, 836: il diritto all'assunzione della prova contraria
spetta anche alla parte che sia decaduta dalla prova diretta.
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l) quando si procede per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso, terroristico o assimilato (artt. 5 1 , comma 3 -bis e 407 , comma 2, lett. a, n. 4 c.p.p.) nei confronti di un imputato che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere ( 120). Nell'ipotesi in oggetto, la partecipazione a distanza può essere disposta soltanto se ricorrono determinate condizioni: a) se sussi stono gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico ( 1 2 1 ) ; b) se si tratta di dibattimenti particolarmente complessi e la partecipazione a distanza risulta necessaria ad evitare ritardi nello svolgimento dell'udienza (art. 146-bis, comma l disp. att.) ( 122) ; 2) quando si proceda nei confronti d i un imputato che si trovi in stato di detenzione e sia sottoposto a quel regime di "carcere duro" che comporta la sospensione delle misure trattamentali e che è previsto dall'art. 4 1 -bù ord. pen. (art. 146-bis, comma l -bis, disp. att. introdotto dal decreto legge n. 3 4 1 del 2000). In questo caso, la partecipazione a distanza è disposta a prescindere dal reato oggetto del procedimento e non occorre che si verifichino ulteriori condizioni. Regolamentazione. Una volta accertata l'esistenza dei suddetti requisiti, la partecipazione a distanza deve obbligatoriamente essere disposta. n relativo provvedimento è adottato anche d'ufficio nella fase degli atti preliminari dal presidente del tribunale o della corte di assise; nel corso del dibattimento è pronunciato dal giudice. Nel primo caso, l'atto assume la forma del decreto motivato che, essendo emanato in assenza di contraddittorio, deve essere comunicato alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima dell'udienza; nel secondo caso, l'atto assume la forma dell'ordinanza. Garanzie difensive. Il collegamento televisivo deve assicurare la contestuale, reciproca ed effettiva visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto (art. 146-bis, comma 3 disp. att.). La contestualità esclude ogni sorta di differimento temporale nel collegamento; la reciprocità garantisce il coinvolgimento nel collegamento di tutte le persone presenti nei due luoghi; infine, l'effettività mira ad escludere qualsiasi incertezza o difficoltà che possa incidere sulla capacità di percezione da parte di ciascun fruitore del collegamento stesso. n difensore o un suo sostituto può essere ( 120) Merita ricordare che la legge n. 367 del 2001 in tema di rogatorie internazionali ha introdotto nel codice il nuovo art. 205-ter disp. att. che estende l'istituto della partecipazione a distanza anche all'imputato detenuto all'estero. Sull'argomento, si veda più ampiamente in/ra, parte settima, capitolo II. ( 12 1 ) Tale ipotesi ha sollevato perplessità in relazione alla sua estrema genericità: l'uso di parametri siffatti è stato ricondotto all'esigenza di evitare i pericoli che alla collettività possono derivare dalla traduzione in aula di soggetti ad alta capacità criminale. La traduzione potrebbe diventare occasione per tentativi di fuga, attentati o semplici disordini. ( 122) L'ipotesi risulta meno generica della precedente: non bastano ad integrare tale situazione semplici difficoltà organizzative, ma occorre ad esempio la pluralità di reati addebitati, l'elevato numero di testimoni e imputati o, come prevede espressamente la norma, il « fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie>> .
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presente nel luogo in cui si trova l'imputato; ave il difensore scelga di rimanere nell'aula d'udienza, il comma 4 gli garantisce il diritto di avere colloqui riservati con l'imputato mediante strumenti tecnici idonei ( 123 ). Al fine di attestare l'identità dell'imputato e la mancanza di limitazioni o impedimenti ai diritti a questi riconosciuti, il giudice (o, in caso di urgenza, il presidente) designa un ausiliario che deve essere presente nel luogo in cui si trova l'imputato ( 124) . Si prevede l'equiparazione tra l'aula di udienza e la postazione remota (art. 146-bis, comma 5 disp. att.) . L'esame "a distanza". L'art. 147-bis disp. att. prevede che mediante collegamento televisivo si possa svolgere a distanza l'esame di un testimone o di una parte. L'istituto è stato voluto dal legislatore nel 1 992 allo scopo di tutelare la vita del "collaboratore di Giustizia" ; la sua regolamentazione è la seguente. Regolamentazione. Ove siano disponibili strumenti tecnici idonei ad effet tuare un collegamento audiovisivo, il giudice (o, nei casi d'urgenza, il presidente del tribunale o della corte d'assise) sentite le parti, può disporre anche d'ufficio che l'esame si svolga a distanza. In tal caso l'esame è effettuato mediante un collegamento audiovisivo che assicuri la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. Nello stesso luogo è prevista la presenza di un ausiliario, designato dal giudice o dal presidente. Tale ausiliario ha il compito di attestare le generalità dell'esami nando e di dare atto dell'osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 147 -bis disp. att., « nonché delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell'esame con riferimento al luogo ave egli si trova ». L'ausiliario deve, infine, redigere verbale delle operazioni svolte. Garanzie difensive. Se si deve compiere l'esame di un imputato (non di un testimone) , devono essere assicurate le medesime garanzie difensive previste per la partecipazione a distanza (art. 147-bis, comma 4 disp. att.). In primo luogo, occorre che vi sia la effettiva e reciproca visibilità: l'imputato deve poter vedere quello che accade nell'aula di udienza, mentre è esaminato. In secondo luogo, il difensore (o un suo sostituto) deve poter essere presente accanto all'assistito. In terzo luogo, l'imputato deve potersi consultare riservatamente col difensore presente in aula. Infine, l'ausiliario del giudice non può essere sostituito da un ufficiale di polizia giudiziaria. Ai sensi dell'art. 147-bis, comma 3 disp. att. l'esame deve svolgersi obbli gatoriamente a distanza nei seguenti casi: a) se i collaboratori di Giustizia sono ( 123)
È
importante precisare che la normativa in materia di gratuito patrocinio prevede una deroga
alla regola in base alla quale non è ammesso al beneficio chi è assistito da più di un difensore. Infatti, ai sensi dell'art. 100 T.U.S.G. > . (133) Se in seguito alla contestazione risulta un reato attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, ovvero un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e la medesima non si è tenuta, la rilevabilità del difetto è sottoposta al limite temporale previsto dall'art. 5I6, comma I-bis, del quale abbiamo appena fatto menzione (art. 5I7, comma I-bis, mod. dalla legge n. 479 del
I999) ( 134) Quale ulteriore esempio si può citare Cass., sez. l, I2 marzo I996, Danzi, in Giust. pen., I997, III, 4 1 1, che rispetto all'illegale scarico di sostanze nelle acque ritiene fatto nuovo il getto pericoloso di cose. (135) T. RAFARAcr, Le nuove contestazioni nel processo penale, Milano, I996, 53. In concreto si ha fatto
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n fatto "nuovo" può essere contestato soltanto in presenza delle seguenti condizioni: a) deve trattarsi di un reato procedibile d'ufficio; b) l'imputato deve essere presente e consentire alla contestazione; c) il presidente deve accertare che da tale contestazione non derivi un pregiudizio per la speditezza del procedimento (art. 5 18, comma 2 ) . Quando è contestato il fatto nuovo, l'im putato gode del diritto, sopra ricordato, di ottenere la sospensione del dibatti mento e di chiedere l'ammissione di nuove prove (art. 5 19) ( 136). In mancanza delle predette condizioni, « il pubblico ministero procede nelle forme ordina rie » (art. 5 18 comma l ) ; e cioè, svolge le indagini ed esercita l'azione penale per il fatto nuovo. d) L'iniziativa nella modifica del fatto storico. Il codice attribuisce il potere di modificare il fatto storico di cui all'imputazione esclusivamente al pubblico ministero; il giudice non ha il potere di controllare in via preventiva la correttezza della contestazione; può operare un controllo successivo nel mo mento in cui delibera la sentenza. In tutte le ipotesi in cui la contestazione sia avvenuta fuori dei casi consentiti, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda nelle forme ordinarie (art. 5 2 1 , comma 3 ) . Lo stesso avviene quando il giudice accerta che il fatto storico è diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio o nella contestazione effettuata dal pubblico ministero in dibattimento. Gli atti sono trasmessi al pubblico mini stero, che procede nelle forme ordinarie (art. 52 1 , comma 2) ( 1 3 7 ) . e ) L e modifiche attinenti alla definizione giuridica. Come abbiamo accen nato all'inizio del paragrafo, il giudice al momento della deliberazione della sentenza può rilevare che il fatto storico, accertato nel corso del dibattimento, nuovo (art. 5 1 8) o fatto diverso (art. 5 1 6) a seconda che si tratti o meno di episodi riconoscibili nella imputazione originaria e come tali oggetto possibile di attività difensive. Così G. Riccio, Fatti "nuovi" e fatti "diversi" nel regime delle contestazioni suppletive, in Dir. giust. , 2004, 1 3 , 63 . Secondo Cass., sez. IV, 3 0 novembre 2004, D., i n Cass. pen., 2006, 1 1 02, costituisce (in relazione a l quale occorre procedere ai sensi di quanto disposto dall'art. 5 1 8 c.p.p.) allorché si proceda per la contrawenzione di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art. 187 c.s.) ed emerga poi, nel corso del dibattimento, il fatto radicalmente diverso, e perciò nuovo, di guida in stato di ebbrezza (art. 186 c.s.). ( 1 3 6) Nel caso in cui siano state effettuate nuove contestazioni in dibattimento (artt. 5 1 6, 5 17 e 518, comma 2) i l presidente dispone l a citazione della persona offesa, osservando u n termine non inferiore a cinque giorni (art. 5 1 9 comma 3 ) . L'offeso, infatti, qualora cumuli in sé la qualifica di danneggiato deve essere messo in condizione di costituirsi parte civile in relazione alla nuova contestazione. L'art. 484 segna, infatti, il momento di verifica della correttezza dei rapporti processuali in relazione alle imputazioni contestate; se viene introdotta una nuova causa petendi contro l'imputato, rispetto ad essa la persona offesa (che abbia subito un danno) deve essere messa in condizione di valutare se costituirsi parte civile (Cass., sez. III, 27 ottobre 1 995, Roncati; Corte cost., sent. n. 98 del 1 996).
(137) In tale ipotesi il giudice diventa incompatibile a decidere nel prosieguo di quel processo; così C. cost. 30 dicembre 1 994 n. 455. L'incompatibilità è stata dichiarata dalla Corte cost., con sentenza 5 dicembre 2008, n. 400, anche nei confronti di quel giudice che, dopo aver deciso la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 52 1 , comma 2, si trovi a decidere nella successiva udienza preliminare« riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato>>.
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è identico a quello contestato, ma che il titolo del reato risulta diverso da quello contenuto nell'imputazione. In tal caso il giudice nella sentenza dà al fatto la diversa definizione giuridica, purché il reato non ecceda la sua compe tenza ( 138), né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica (art. 5 2 1 , comma l , mod. dalla legge n. 144 del 2000). Ad esempio, se è stata contestata una circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.) , il giudice può condannare per truffa (art. 640); se è stato contestato un falso in scrittura privata (art. 485 c.p.), il giudice può condannare per uso di atto falso (art. 489 c.p.) ( 139). ( 138) Occorre tenere presente quanto è stato deciso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, 1 1 dicembre 2007, Drassich c. Italia (in Dir. pren. proc. , 2009, 1 17): il principio del giusto processo (art. 6, § l e§ 3 , lett. a e b, CEDU) implica che l'imputato sia informato non solo del motivo dell'accusa (cioè dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l'accusa stessa) , ma anche, e in maniera dettagliata, della qualifìcazione giuridica data a tali fatti, in modo che egli possa esercitare il proprio diritto di difesa in modo concreto ed effettivo anche con riferimento alla nuova accusa quando l'ordinamento consente una diversa qualifìcazione del reato ad opera del giudice. Nel caso di specie, la Corte europea ha ritenuto violato il principio del contraddittorio in quanto non era prevedibile da parte dell'imputato che il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio potesse essere modificato nel reato di corruzione in atti giudiziari (art. 3 1 9-ter c.p.), perché quest'ultimo è un reato autonomo e non circostanza aggravante ed inoltre richiede un elemento intenzionale specifico in ordine al quale non era stata data alla difesa la possibilità di confrontarsi. A seguito della condanna dell'Italia, la Corte d'appello di Venezia, 4 giugno 2008, ha dichiarato l'ineseguibilità del giudicato ex art. 670 c.p.p. con riferimento alla pena per la corruzione in atti giudiziari. Quindi, la Cass., sez. VI, 12 novembre 2008, ha dato effetto alla sentenza della Corte europea nel modo seguente: ha revocato, ai sensi dell'art. 625-bis c.p.p., la propria sentenza del 4 febbraio 2004, n. 23024, nei confronti di Drassich, limitatamente ai fatti corruttivi qualificati come reati di corruzione in atti giudiziari ex art. 3 1 9-ter c.p., e ha disposto che si proceda a una nuova trattazione del ricorso. Nella ricordata sentenza la Cassazione ha affermato che è dovere primario della giurisdizione verificare se la disciplina processuale abbia già una regola che, in considerazione dei contenuti e della specificità del caso, renda percorribile l'attuazione delle sentenze europee. A tal fine, la Cassazione ha applicato per analogia l'art. 625-bis che disciplina il ricorso per errore materiale o di fatto. Tale norma è stata estesa all'ipotesi in cui, anziché un vero e proprio errore di fatto, si sia verificata una violazione del diritto di difesa che abbia reso iniqua la sentenza per violazione della Convenzione europea. Si veda infine Cass., sez. VI, 25 maggio 2009, n. 36323, nella quale il Collegio ha condannato il D., qualifìcando i fatti come reati di corruzione in atti giudiziari ex art. 3 1 9-ter c.p. e rigettando così il ricorso col quale la difesa chiedeva di rendere nota la possibilità di un'eventuale diversa qualificazione del reato e la concessione di un termine a difesa. D Collegio ha ritenuto che l'eventualità di una riqualifìcazione fosse già stata rappresentata nelle conclusioni della sentenza 28 novembre 2008 e nella sintesi delle statuizioni riportate nel dispositivo ed ha per questo ritenuto rispettata ed attuata la regola di sistema dettata dalla Corte europea. La S. C. ha affermato: «nel giudizio di legittimità, il diritto del ricorrente a essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico deve ritenersi soddisfatto, quando l'eventualità di una diversa qualifìcazione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio sia stata rappre sentata al difensore dell'imputato con un atto del Collegio, in modo che la parte abbia potuto beneficiare di un congruo termine per apprestare la propria difesa>>. ( 13 9) La giurisprudenza adotta un criterio di tipo sostanziale per valutare se la modifica attiene soltanto all'aspetto giuridico e non intacca il fatto storico; in particolare, tiene conto se la nuova qualificazione abbia violato il diritto di difesa. Partendo da tale premessa, consente la differente qualificazione quando il reato è stato "derubricato", e cioè comporta una sanzione meno grave, anche se gli elementi strutturali del reato sono differenti. Ad esempio, si è ammesso il passaggio dall'imputazione di estorsione alla condanna per esercizio arbitrario delle proprie ragioni sulla base dell'identità della condotta ("costringe a fare") anche se il presupposto nel primo caso è il "profitto ingiusto", mentre nel secondo è l'esercizio del diritto; così Cass., sez. VI, 2 1 marzo 1 995, Morongiu, in CED, n. 20168 1 . E ancora, non si è ritenuto violato il principio di correlazione quando l'imputato, al quale era stata contestata l'estorsione, ha dedotto a sua difesa l'esistenza
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Viceversa, come si è accennato, se è stata contestata la corruzione (art. 3 19 c.p.), il giudice non può condannare per il più grave reato di concussione (art. 3 17 c.p.) poiché ciò comporta la presenza di elementi diversi ed aggiuntivi (l'abuso della qualità o dei poteri e l'induzione) ( 1 40) ( 14 1 ) . f) Invalidità. L'inosservanza delle disposizioni a tutela della correlazione tra accusa e sentenza è prevista come nullità dall'art. 522 , comma l ; a parere della giurisprudenza, si tratta di un nullità intermedia poiché si è violato il principio del contraddittorio. Ai sensi dell'art. 522, comma 2 « la sentenza di condanna pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante senza che siano state osservate (le predette disposizioni) è nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circo stanza aggravante ». La facoltà dell'imputato di chiedere riti semplificati in caso di contesta zione del fatto diverso o di contestazione di un reato concorrente. La Corte costituzionale, con le sentenze n. 265 del 1 994 e n. 333 del 2009, ha dichiarato la illegittimità degli artt. 5 1 6 e 5 17 , nel senso che ha riconosciuto la facoltà dell'imputato di chiedere i predetti riti semplificati quando la contestazione del fatto diverso o del reato concorrente appare "tardiva" , perché concerne un fatto che « già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale », o anche, limitatamente al patteggiamento, quando l'imputato « ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione della pena in ordine alle originarie imputazioni ». Ancora, occorre tenere presente che, ai sensi dell'art. 14 1 , comma 4-bis disp. att., « in caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l'ablazione, l'imputato è rimesso in termini per chiedere l'ablazione medesima. li giudice, se accoglie la domanda, fissa un termine non superiore a dieci giorni, per il pagamento della somma dovuta. Se il pagamen to avviene nel termine il giudice dichiara con sentenza l'estinzione del rea to ». di artifici e raggiri e non di minacce, con conseguente condanna per truffa; così Cass., sez. II, 15 maggio 2000, Imbimbo, in Giur. lt., 2001 , II, 1465. ( 140) Per un caso particolare, v. Cass., sez. VI, 26 settembre 1996, in Cass. pen., 1997, 126 1 . In realtà, la prevalente giurisprudenza accoglie un criterio sostanziale, che tiene conto del fatto che la nuova qualificazione comporta una sanzione più grave. ( 1 4 1 ) Se, in seguito ad una diversa definizione giuridica, o alle contestazioni effettuate in dibattimento secondo la disciplina che abbiamo analizzato sopra, risulta un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e questa non si è svolta, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero (art. 521-bis, comma l , mod. dalla legge n. 479 del 1999). L'inosservanza di quanto sopra deve essere eccepita in un limite temporale stabilito a pena di decadenza, e cioè nei motivi di impugnazione (art. 52 1-bù, comma 2). Quanto detto vale anche nei casi previsti dagli am 516 e 517, quando le parti hanno eccepito il relativo difetto di attribuzione entro i termini degli am 5 16, comma l -bis e 517, comma l-bis, ed il giudice non abbia accolto l'eccezione. .
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24. La discussione finale.
La discussione finale, che ha inizio quando è terminata la istruzione proba toria, permette al pubblico ministero e ai difensori delle parti private di formulare le proprie conclusioni (art. 523 ). In tal modo, le valutazioni delle parti in ordine ai risultati probatori ottenuti in dibattimento possono portare un contributo utile alla decisione, che viene successivamente presa dal giudice ( 142) . Abbiamo già chiarito in apposita sede (parte II, cap. 3 ) che non esistono prove che abbiano un significato univoco. Ogni elemento di fatto deve essere collocato logicamente in una struttura argomentativa al fine di sostenere come si è svolta una condotta umana e se questa sia punibile. Anche quando qualcuno afferma che siamo in presenza della c.d. "pistola fumante " , occorre che sia provato quale mano impugnava l'arma, per quale motivo ha sparato e contro chi era diretto il colpo. A tal fine, è necessario che il pubblico ministero motivi le sue affermazioni e che altrettanto sia permesso alle altre parti private. L'ordine degli interventi. La discussione finale è diretta dal presidente del l' organo giudicante, che ha il potere di impedire ogni divagazione, ripetizione e interruzione (art. 523 , comma 3 ) . L'ordine degli interventi è disciplinato dal co dice in modo che l'accusa pubblica e privata precedano la difesa dell'imputato, attuando così il principio dell'onere della prova. Inoltre, le conclusioni del pub blico ministero sono formulate prima di quelle della parte civile, quasi a sotto lineare la posizione di accessorietà della stessa, che vede il suo intervento ten denzialmente limitato al tema del risarcimento del danno derivante dal reato. Le conclusioni del difensore del responsabile civile e della persona civil mente obbligata per la pena pecuniaria precedono quelle del difensore dell'im putato. Occorre sottolineare che le conclusioni sono formulate oralmente; tuttavia, è posto a carico della parte civile l'onere di presentare comunque « conclusioni scritte, che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare » (art. 523 , comma 2) (v. atto 3 .5.8). Se il difensore non adempie all'onere delle conclusioni scritte, la costi tuzione di parte civile si intende revocata ex lege (art. 82, comma 2 ) . L e repliche. I l pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare; ma la replica è ammessa una sola volta e deve essere contenuta nei limiti strettamente necessari per la confutazione degli argomenti avversari (art. 523 , comma 4 ) . Di regola, l a discussione non può essere interrotta per l'assunzione d i nuove prove, se non in caso di assoluta necessità. Tuttavia, se questa si verifica, il giudice provvede ai sensi dell'art. 507, e cioè sia su richiesta di parte, sia ( 142) Sul punto, R. 0RLANDI, L'attività argomentativa delle parti nel dibattimento penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 452, ora in AA.Vv. La prova nel dibattimento penale, Torino, 1999, 14.
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d'ufficio (art. 523 , comma 6). Se la prova richiesta da una parte è decisiva, il giudice è obbligato ad ammetterla; un eventuale diniego può essere sottoposto a controllo mediante l'impugnazione della sentenza. In ogni caso, l'imputato e il suo difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi, se la chiedono (art. 523 , comma 5). Una volta che sia stata esaurita la discussione finale, il presidente dichiara chiuso il dibattimento (art. 524) e l'organo giudicante si ritira in camera di consiglio per deliberare la sentenza. SEz. V
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Gu ATTI succESSIVI AL DIBATTIMENTO. LA SENTENZA
25. Considerazioni generali.
Il codice regolamenta sia l'aspetto "procedimentale" attraverso il quale il giudice delibera, sia la "struttura" che deve avere la decisione. Il legislatore vuole sottolineare l'aspetto di razionalità che deve informare il momento della decisione. Le regole poste dal codice non toccano il libero convincimento del giudice, ma pongono limiti alle modalità con le quali il convincimento si forma e si manifesta. Per quanto concerne l'aspetto procedimentale, la sottofase degli " atti successivi al dibattimento" inizia nel momento in cui l'organo giudicante si ritira per deliberare in segreto in camera di consiglio e termina nel momento in cui la sentenza è depositata in cancelleria (ed è dato avviso alle parti, nei casi in cui tale avviso è dovuto per legge; art. 548) . 26. T empi e modi della deliberazione. Pubblicazione e deposito della sen tenza.
Ai sensi dell'art. 525 , comma 2 , « alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento ». Le modalità della deliberazione si riassumono nel principio di immediatezza, secondo cui deve esservi identità tra il giudice che ha assistito all'assunzione della prova e quello che decide. Sotto il profilo dei tempi, il codice pone la regola della concentrazione. Da un lato, la sentenza è deliberata « subito dopo la chiusura del dibattimento » (art. 525 , comma 1 ) . Da un altro lato, la deliberazione non può essere sospesa « se non in caso di assoluta impossibilità » (art. 525, comma 3 ) . Si vuole che colui che decide lo faccia in base a percezioni recenti e non a lontani ricordi. Le regole per la deliberazione. Il codice regola in modo minuzioso la procedura attraverso la quale il giudice deve deliberare. Le disposizioni appa iono ispirate al rigore logico delle priorità da decidere (art. 527) . In primo
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luogo, devono essere affrontate le questioni processuali, che potrebbero sfociare in decisioni che precludono l'esame nel merito, come avverrebbe se il giudice dovesse dichiararsi incompetente. Si tratta delle questioni preliminari che non siano state ancora risolte (art. 49 1 ) o di ogni altra questione relativa al processo (ad esempio, la dichiarazione di nullità di un atto) . In secondo luogo, « qualora l'esame del merito non risulti precluso », sono poste in discussione le questioni " di fatto" che concernono l'imputazione: il giudice valuta se i fatti affermati dalle parti sono dimostrati dalle prove acquisite. Successivamente, sono affrontate le questioni "di diritto" , e cioè i problemi interpretativi posti dalle norme penali. E ancora, se il giudice accerta la responsabilità dell'imputato e decide di condannarlo, sono poste in discussione le questioni relative all'applicazione delle pene e delle misure di sicurezza. A questo punto, se vi è stata costituzione di parte civile, è esaminata la richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato (art. 527 , comma 1 ) . Il codice regola le modalità con cui l'organo collegiale deve deliberare: si tende a garantire la libertà morale dei componenti del collegio. I giudici sono tenuti ad enunciare « le ragioni della loro opinione » (art. 527, comma 2) perché all'interno del collegio giudicante vi sia una dialettica e non un mero scontro di posizioni preconcette. I giudici « votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre » poiché il convincimento può mutare in relazione all'esito del dibattito interno. Altre norme tendono a ridurre, nei limiti del possibile, l'influenza dovuta all'anzianità o alla carica: « il presidente raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per ultimo. Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per età » (art. 527 , comma 2 ) . Ulteriori norme impongono anche sotto il profilo procedimentale il rispetto del principio del /avor rei: in caso di parità di voti « prevale la soluzione più favorevole all'imputato ». E ancora, « se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggior gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza ». In tal modo, la maggioranza si deve necessariamente formare intorno all'opinione che, al suo interno, vuole la pena minore ( 143 ) . L a deliberazione si svolge i n segreto in camera di consiglio, e cioè senza la presenza di altre persone che non siano i giudici. Costoro sono obbligati a mantenere il segreto sulla deliberazione (art. 125 , comma 4 ) . Colui che lo viola ( 143 ) Ad esempio, in una corte di assise due giudici propongono 28 anni di reclusione, due 27 anni, due 26 e due 25; la maggioranza si forma su 26 anni.
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compie il delitto di rivelazione di segreto d'ufficio (art. 326 c.p . ) . Le norme che impongono il segreto hanno lo scopo di garantire la libertà morale della singola persona che fa parte dell'organo giudicante ( 144) . L a concezione tradizionale del principio di imparzialità vuole che il giudice possa decidere senza timori di mali e senza speranze di vantaggi (sine spe ac
metu) . n dispositivo della sentenza. Conclusa la deliberazione, il presidente dell'organo giudicante redige il dispositivo e lo sottoscrive (art. 544, comma 1 ) . In esso è riassunto il " comando" nel quale si traduce la decisione e che può essere, in sintesi, il proscioglimento o la condanna. Se il giudice ha deciso il proscioglimento, deve riassumere i motivi in una delle formule tipiche che esamineremo tra poco. Se ha deciso di condannare, il capo penale del dispositivo contiene l'indicazione della pena che viene applicata al colpevole; se vi è stata costituzione di parte civile, il capo civile del dispositivo contiene la decisione sul risarcimento del danno. Pubblicazione della sentenza. Una volta sottoscritto il dispositivo, l'organo giudicante rientra nell'aula di udienza ed il presidente (o altro giudice) lo legge (art. 545, comma 1 ) . Nei casi (di fatto eccezionali) nei quali la motivazione sia stata redatta insieme al dispositivo, essa viene letta o viene esposta in modo riassuntivo; in tal caso, la lettura equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono, o devono considerarsi presenti all'udienza (art. 545 , commi 2 e 3 ) . D i regola, accade che la motivazione non possa essere redatta immediata mente: se il caso è giunto fino al dibattimento, esso deve essere di una qualche complessità. Ed allora il codice prescrive il termine entro cui l'intera sentenza (composta di motivazione e dispositivo) deve essere depositata in cancelleria. n termine ordinario per il deposito è di quindici giorni (art. 544, comma 2 ) . S e la motivazione si presenta come « particolarmente complessa », il giudice indica nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia (art. 544, comma 3 ) ( 145 ) . n deposito della sentenza. L'intera sentenza (comprensiva di motivazione e dispositivo) è sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore (art. 546, comma 2 ) . Essa deve essere depositata in cancelleria entro i termini indicati a suo tempo nel dispositivo, quando è stato letto in udienza. Il pubblico ufficiale addetto (e cioè il cancelliere) vi appone la sottoscrizione e la data del deposito (art. 548, comma 1 ) . Quando la sentenza non è depositata entro il quindicesimo giorno né entro ( 144) Ai sensi dell'art. 125, comma 5, si procede alla verbalizzazione dell'opinione dissenziente con l'indicazione del nominativo di chi l'ha espressa soltanto se quest'ultimo lo richiede. Tutto ciò ai fini della legge n. 1 1 7 del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati. ( 145) Sul nuovo istiruto della separazione dei procedimenti in sede di condanna, introdotto dalla legge n. 4 del 200 1 , di conversione del decreto legge n. 3 4 1 del 2000, si veda in/ra, par. 3 3 .
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il diverso termine indicato nel dispositivo, l'avviso di deposito deve essere comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private (cui spetta il diritto di impugnare) e al difensore dell'imputato (art. 548, comma 2 ) . L'avviso d i deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso notificato all'imputato contumace ed è comunicato al procuratore generale presso la corte d'appello (art. 548, comma 3 ) . 27. I requisiti della sentenza. La motivazione. La decisione del giudice si manifesta nella sentenza, della quale il codice indica in modo dettagliato i requisiti formali. Ai sensi dell'art. 546 la sentenza ha il seguente contenuto. a) L'intestazione « in nome del popolo italiano » e l'indicazione dell'au torità che l'ha pronunciata. b) Le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo (ad esempio, il soprannome) nonché le generalità delle altre parti private. c) L'imputazione (comprensiva dell'enunciazione del fatto storico adde bitato e delle norme di legge che lo prevedono come reato) . d) L'indicazione delle conclusioni delle parti ( ad esempio, l a pena richiesta dal pubblico ministero e le richieste del difensore) . e ) La concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto s u cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie. È questo il profilo maggiormente innovativo rispetto al precedente codice; non vi sarebbe diritto alla prova, se poi il giudice potesse omettere di valutare i risultati emersi dalla stessa. /) n dispositivo con l'indicazione degli articoli di legge applicati. g) La data e la sottoscrizione del giudice (e cioè del presidente e dell'estensore della sentenza). La sentenza è nulla se manca la sottoscrizione del giudice o la motivazione, o anche se manca o è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo (art. 546, comma 3 ) . n contenuto sostanziale della sentenza. Dal punto di vista del contenuto sostanziale della sentenza, la prassi giudiziaria distingue al suo interno i " capi" ed i "punti " . Il " capo" della sentenza è identificabile con la singola imputazione; il "punto" è costituito da una tematica di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per giungere alla decisione in merito ad una o più imputazioni. Nel caso in cui occorra completare la motivazione insufficiente ovvero manchino o siano insufficienti gli altri requisiti previsti dal codice, purché si tratti di errori od omissioni « che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto » (art. 130), si deve attivare
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il procedimento per la correzione degli errori materiali (art. 547 ) . Si possono ipotizzare casi in cui siano incomplete le indicazioni personali atte ad identifi care l'imputato oppure manchi l'enunciazione dell'imputazione. Il procedimento che porta alla correzione degli errori materiali è disposto (d'ufficio o su richiesta di parte) dal giudice che ha emesso il provvedimento (art. 130). Il giudice provvede in camera di consiglio previo avviso alle parti che possono intervenire (art. 127 ) . Se la sentenza è stata impugnata, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere l'impugnazione. La motivazione. La valutazione degli elementi di prova costituisce per le parti quell'onere sostanziale che si esplica nel loro potere di argomentare; la medesima attività rappresenta per il giudice un vero e proprio dovere. Egli, infatti, « valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati » (art. 1 92 , comma l ) ; il giudice espone i motivi del suo convincimento indicando le « prove poste a base della decisione » ed enun ciando le ragioni della loro attendibilità e le ragioni della non attendibilità delle prove contrarie (art. 546, comma l lett. e). Passiamo ora ad analizzare i singoli aspetti della motivazione. La valutazione delle prove costituisce un'attività legale e razionale. Legale, perché si esercita su prove legittimamente acquisite (art. 526) : soltanto ciò che è validamente acquisito può (anzi deve) essere valutato ai fini decisori. Razio nale, perché implica l'obbligo di motivare, di giustificare la decisione secondo criteri di ragionevolezza nel rispetto di tre ordini di regole: della logica, della scienza, dell'esperienza corrente ( 146) . Tali criteri debbono essere messi oggi in correlazione con lo standard probatorio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, codificato all'art. 533 comma l . Nella motivazione il giudice deve spiegare perché le prove d'accusa, valutate anche alla luce degli elementi addotti dalla difesa, sono tali da eliminare ogni dubbio ragionevole o, viceversa, perché tali prove mancano o risultano insufficienti o contraddittorie, e cioè inidonee a convincere il giudice che l'imputato sia colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. I risultati acquisiti. Innanzitutto, occorre premettere che l'art. 1 92 , comma l con l'espressione " risultato probatorio" indica chiaramente l'esito di un percorso argomentativo; si riferisce, evidentemente, non ad un quid esistente sul piano materiale, ma al punto di approdo di una operazione mentale applicata agli elementi precedentemente raccolti ( 147). Pertanto, non vi sono dati di fatto ( 146) 1 998, 589. ( 147)
Così P. FERRUA, Un giardino proibito per il legislatore: la valutazione delle prove, in Quest. giust. ,
In questo senso, L. FERRAJOLI, Diritto e ragione, Bari, 1989, 98, per il quale, le prove sono >. Sul punto v., diffusamente, L. LoMBARDO, La prova giudiziale, Milano, 1999, XI, per il quale « il concetto di prova nella sua più intima essenza, non è tanto un mezzo di cui il giudice si serve per attingere i dati di fatto utili ai fini del giudizio, quanto un ragionamento probatorio che concorre a formare il giudizio sul /actum probandum ».
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che siano accettabili di per sé, ovvero "prove" il cui valore sia determinato a priori; al contrario, in ogni caso è necessaria quell'attività raziocinante del giudice che serve ad accertare l'attendibilità della dichiarazione e la credibilità della fonte. Ed è proprio per questo motivo che il giudice è tenuto a " dare conto" delle operazioni compiute e dei risultati raggiunti. I criteri adottati. Gli artt. 1 92 e 546, comma l lett. e diventano, pertanto, complementari nel descrivere il percorso argomentativo della decisione del giudice. L'art. 1 92 richiede l'esposizione dei criteri (es. delle massime di esperienza) utilizzati nella valutazione degli elementi di prova, singolarmente presi e nel loro complesso, e cioè in rapporto tra loro ( 148). L'art. 546, comma l lett. e, attraverso il prescritto vaglio delle opposte ragioni, recepisce e traduce l'esigenza del confronto tra le diverse ipotesi ricostruttive del fatto, che sono state elaborate dalle parti. In questo caso, il giudice è chiamato a scegliere quella ricostruzione del fatto (è cioè quella "storia" ) che è capace di fornire una spiegazione ragionevole a tutti gli elementi raccolti. In altri termini, i due articoli sono complementari, in quanto l'uno indica, per così dire, i mattoni con i quali si costruisce quell'edificio, che è considerato dall'altro ( 149). Naturalmente, il ragionamento del giudice non avrà il carattere dell'incon futabilità logica, bensì quello, meno cogente, della accettabilità razionale. Connaturale a questa forma di razionalità è l'obbligo di motivazione. In essa il giudice è tenuto a " dar conto" delle scelte operate; soltanto attraverso la motivazione è possibile un controllo sul ragionamento del giudice. Motivare, infatti, vuol dire esporre le ragioni di un convincimento, di un giudizio; esporre le ragioni implica un intento di giustificazione di una scelta compiuta. n carattere dialogico della motivazione. Ancora, l'art. 546, comma l , lett. e, richiede che, nel giustificare le proprie scelte in ordine alle prove che stanno alla base del suo convincimento, il giudice dia conto anche dell'eventuale esistenza di prove che con tale convincimento contrastano e delle ragioni per cui egli le ha ritenute non convincenti. Infatti, il giudice non può limitarsi a scegliere un'ipotesi ricostruttiva del fatto e ad enunciare le prove che la confermano, ma (148) In argomento, v. F.M. lACOVIELLO, La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in Cassazione, Milano, 1997, 167 ss., a proposito di "valutazione atomistica" e "valutazione molecolare" della prova. Nel primo caso, il giudice prende in considerazione il singolo elemento di prova, sceglie la regola di inferenza più adeguata, la applica al dato probatorio e ne trae un risultato. Nel secondo caso, il giudice è chiamato ad inserire tale risultato nel contesto di tutte le altre prove raccolte. Ad es., l'attendibilità di una testimonianza deve essere valutata nel contesto globale delle prove che riguardano l'imputazione, non essendo sufficiente la semplice valutazione della sua coerenza intrinseca. ( 149) È in quest'ottica, che si possono comprendere quelle pronunce della Suprema Corte volte ad indicare al giudice i criteri che devono essere seguiti per una valutazione unitaria del contesto probatorio. li giudice, infatti, dopo aver considerato il valore autonomo di ciascun elemento di prova, deve verificare se i singoli fatti > (Cass., 25 giugno 1996, Cotoli, in Arch. n. proc. pen., 1997, 345; Cass., 28 settembre 1992,
ivi, 1993, 334).
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deve anche indicare le ragioni che lo hanno portato ad escludere le ipotesi antagoniste ed a ritenere non attendibili le prove contrarie addotte ( 150). È proprio qui che si coglie la novità introdotta dal codice del 1988. La struttura della motivazione assume un carattere dialogico (alcuni dicono "bi nario" ) nel senso che essa deve dar conto del conflitto sulle prove e di quello sulle ipotesi. Una motivazione che prendesse in considerazione solo le prove a favore e non anche le prove contrarie (oppure soltanto l'ipotesi e non le controipotesi) , certamente potrebbe costituire un ragionamento coerente, ma perderebbe quella struttura dialogica che è legalmente imposta. Giurisdizione e motivazione. Esiste un nesso inscindibile tra giurisdizione e motivazione; questo emerge dalla Costituzione (art. 1 1 1 , comma 6): « tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati ». È tipico dell'obbligo costituzionalmente sancito il suo ricollegarsi a comportamenti che hanno fun zione decisoria, al fine di renderli conoscibili dalle parti e controllabili ad opera dei giudici di appello e dell'opinione pubblica ( 15 1 ) . L a motivazione è, dunque, una " componente strutturale necessaria" dei provvedimenti del giudice e costituisce una conquista della nostra civiltà giuridica. Inoltre, non avrebbe senso imporre al giudice l'obbligo di motivare ammettendo, però, che egli possa non enunciare in modo adeguato e completo le ragioni della sua decisione ( 152). La completezza della motivazione. li requisito della completezza della motivazione deve riguardare sia la decisione in fatto, sia quella in diritto. Quest'ultima non suscita particolari problemi; talvolta, le sentenze sono moti vate in diritto in modo sin troppo esteso, come se il giudice volesse mostrare ad ( 150) Cfr. F.M. lAcoVIELLO, La motivazione della sentenza penale, cit., 226. ( 1 5 1 ) t ormai entrata nell'uso prevalente della dottrina la distinzione tra funzione endoprocessuale e funzione extraprocessuale della motivazione. La prima consiste nell'esigenza di garantire le parti del processo sulla esattezza e correttezza della decisione. La sua funzione è quella di rendere possibile un controllo interno al processo (o meglio, interno al sistema giurisdizionale) sul fondamento della sentenza ed è strettamente connessa alla possibilità dell'impugnazione. Per quanto riguarda la funzione extraprocessuale, si fa notare che il processo è anche un fatto che riguarda l'intera comunità. Sotto questo profilo, la motivazione svolge una funzione essenzialmente demo cratica in quanto rende possibile un controllo esterno sul fondamento della decisione. Il giudice, infatti, motivando la sua decisione, rende conto del proprio operato e giustifica il modo con cui ha esercitato il suo potere (così ex art. 101, comma l Cost., >). ( 152) Questo non significa che il giudice debba argomentare su ogni minimo dettaglio, poiché ciò produrrebbe motivazioni ridondanti e sostanzialmente inutili. Occorre, invece, che egli motivi su tutto ciò che è rilevante, ossia su tutte le scelte che influiscono sull'esito finale della controversia e su quelle premesse del suo ragionamento, che sono state (o potrebbero essere) ragionevolmente messe in dubbio. Occorrerà, dunque, giustificare le scelte influenti nel contesto della decisione (in fatto e in diritto) ed i criteri su cui tali scelte vengono fondate. Ciò basta ad escludere che siano da considerare vere motivazioni i discorsi privi di razionalità, le divagazioni, gli argomenti superflui e non attinenti alla decisione ed ogni altra variazione che equivalga, in buona sostanza, ad una motivazione fittizia. Si può considerare motivazione fittizia (o pseudo-motivazione) quella priva di veri argomenti, dotati di consistenza logica o che, comunque, non esprime, dissimula e non giustifica le scelte decisorie del giudice.
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ogni costo di essere un giurista tecnicamente preparato. Spesso, invece, le sentenze non sono adeguatamente motivate in fatto, come se si volesse sottoli neare che tale aspetto ha minore importanza. A nostro avviso, invece, una corretta giustificazione della ricostruzione del fatto costituisce la premessa per un'esatta applicazione della norma ( 153 ) . Inoltre, va sottolineato come non sia sufficiente che il giudice dica generi camente di aver utilizzato le prove assunte nel processo o affermi che è pervenuto all'accertamento del fatto sulla base della deposizione di Tizio, del risultato della perizia svolta da Caio o della perquisizione domiciliare effettuata dalla polizia giudiziaria. È necessario, invece, che sia indicato anche il contenuto della deposizione testimoniale, il parere del perito o l'esito della perquisizione. Solo in questo modo la motivazione diventa un rimedio contro l'arbitrio, perché la controllabilità del discorso giustificativo del giudice scaturisce dal rapporto tra "elementi di prova" e "fatti accertati" . L'esposizione delle prove, tuttavia, non basta ad esaurire il dovere di motivare in fatto. Come è stato giustamente osservato, « il concetto di motiva zione esprime più di quanto non esprima quello di indicazione » oggi utilizzato dall'art. 546, lett. e ( 154). Motivare significa, infatti, « rendere esplicito anche il canone di argomentazione utilizzato per arrivare all'affermazione della sussi stenza (o della insussistenza) del fatto imputato » ( 155 ) .
28. La sentenza di non doversi procedere. All'interno della generale categoria delle sentenze di proscioglimento, il codice pone una fondamentale distinzione tra sentenza di non doversi procedere (artt. 529 e 53 1 ) e sentenza di assoluzione (art. 530). li criterio è il seguente. Soltanto le sentenze di assoluzione possono contenere un vero e proprio "accertamento" , che il giudice ha operato mediante le prove. Pertanto esse sono idonee a fondare l'efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari, in base agli articoli 652-654. Viceversa, le sentenze di non doversi procedere non contengono un accer tamento del fatto storico, bensì si limitano a statuire su aspetti processuali che impediscono tale accertamento. Per siffatto motivo, esse sono comunemente definite come pronunce "meramente processuali" . Le formule terminative. Vi è un aspetto formale che è comune ai due tipi di proscioglimento. Quando il giudice pronuncia una sentenza sia di non doversi Sul punto v . M. TARUFFO, Il vertice ambiguo, Bologna, 199 1 , 128. Così D. SIRACUSANO, I provvedimenti penali e le motivazioni implicite per relationem e sommarie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, 399. ( 155) Sul punto v. E. AMomo, voce Motivazione della sentenza penale, in Enc. dir. , XXVII, Milano, 1977, 209. (153) ( 154)
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procedere, sia di assoluzione, egli deYe precisarne la causa, e cioè la cosiddetta formula terminativa che costituisce una sorta di riassunto della motivazione della decisione. Le formule terminative sono previste dalla legge in modo tassativo negli artt. 529-53 1 . n codice impone al giudice di precisarle nel dispositivo non soltanto perché alcune di esse sono idonee a determinare gli effetti del giudicato, ma anche perché tutte favoriscono una maggiore intelligi bilità del contenuto e della motivazione della decisione. a) Sentenza di non doversi procedere perché l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita. La sentenza ha questa formula terminativa quando manca la condizione di procedibilità prevista dalla legge per quella determinata fattispecie incriminatrice (art. 529) . Può difettare la querela, l'istanza, la richiesta, l'autorizzazione a procedere. La medesima formula di non doversi procedere deve essere utilizzata per altre cause di improcedibilità che non sono menzionate espressamente nell'art. 529, come nei casi in cui il giudice ritenga che vi sia stato un errore sull'identità fisica dell'imputato (art. 68) , o che si stia procedendo contro la medesima persona per un fatto già accertato con una sentenza irrevocabile (art. 649, comma 2 ; c.d. principio del ne bis in idem) , o che sia stata confermata l'esistenza di un segreto di Stato in relazione ad una prova essenziale per definire il processo (art. 202 , comma 3 ) . Alla situazione in cui manca la prova della condizione di procedibilità (es. querela) è equiparata quella in cui la prova dell'esistenza della medesima è insufficiente o contraddittoria (art. 529, comma 2 ) . Si tratta di un'applicazione del principio in dubio pro reo. Se il giudice ha un ragionevole dubbio sulla esistenza della querela (o sulla tempestività della stessa), la situazione è identica alla mancanza della querela: il giudice deve pronunciare sentenza di non doversi procedere. Come vedremo, questo principio vale per tutte le sentenze sia di non doversi procedere, sia di assoluzione. b) Sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato (art. 531). n codice penale prevede varie cause di estinzione del reato: la morte del reo prima della condanna (art. 150 c.p . ) ; l'amnistia (art. 15 1 c.p.); la remissione di querela (art. 152 c.p.); la prescrizione del reato (art. 157 c.p.) ; l'ablazione nelle contravvenzioni (artt. 1 62 e 1 62-bis c.p. ) ; il perdono giudiziale per i minorenni (art. 169 c.p.). Ulteriori cause estintive sono previste in relazione a singoli reati (es. art. 64 1 c.p.) . n riconoscimento delle predette cause estintive non impedisce al giudice civile di accertare la sussistenza del fatto. In tal caso si produrranno gli effetti civili (l'obbligo del risarcimento del danno, art. 1 85 c.p . ) . Ebbene, s e nel corso del processo penale s i manifesta una causa di estinzione del reato, il giudice deve dichiararla immediatamente ed il processo non può proseguire (art. 129, comma l c.p.p.). La causa di estinzione è dichiarata mediante una sentenza di non doversi procedere: al giudice è impedito di pronunciare un " accertamento " della esistenza del reato e della responsabilità dell'imputato.
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Dunque, la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato è una sorta di "sentenza in ipotesi" ; essa valuta la punibilità del fatto in astratto. Per tale motivo non vi è un vero e proprio " accertamento" ( 156) e, pertanto, la sentenza non è idonea a formare giudicato nei confronti dei processi civili, amministrativi e disciplinari che hanno ad oggetto il medesimo fatto (artt. 652-654). Né è idonea a incrinare la presunzione d'innocenza dell'imputato che è garantita dalla Costituzione (art. 27 comma 2) e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 6 comma 2 ) . n giudice pronuncia sentenza dinon doversi procedere per estinzione del reato enunciandone la causa nel dispositivo (art. 53 1 , comma l ) che, pertanto, men zionerà la singola causa estintiva. Il giudice adotta tale pronuncia sia quando vi è la prova della esistenza della causa estintiva, sia quando vi è il dubbio sull'esistenza della medesima: si applica il principio in dubio pro reo (art. 53 1 , comma 2 ) .
29. Sentenza di non doversi procedere e interesse dell'imputato all'assolu ztone. Il codice tiene conto di un ulteriore aspetto. L'imputato ha interesse ad ottenere l'assoluzione nel merito perché questa formula è oggettivamente più vantaggiosa rispetto alla sentenza di non doversi procedere. Infatti, l'accerta mento che il fatto non sussiste, o che l'imputato non lo ha commesso, o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, vale a scagionare nel merito l'imputato. Di fronte all'opinione pubblica una sentenza di assoluzione con le formule menzionate ha un effetto ampiamente liberatorio. Il codice tende a contemperare l'interesse dell'imputato con le esigenze di economia processuale che impongono di non proseguire oltre col processo in presenza di una causa di improcedibilità. In tale situazione pone al giudice l'obbligo di pronunciare sentenza di assoluzione se « dagli atti risulta evidente » l'innocenza dell'imputato per uno dei motivi sopra elencati (art. 129, comma 2 ) . D a quanto esposto s i ricava che l'assoluzione nel merito rimane subordinata ad una situazione in cui l'innocenza sia evidente e ciò risulti dagli atti. Non è consentito al giudice acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo l'innocenza risultare dagli atti esistenti nel momento in cui si verifica il fatto estintivo, anche se sulle risultanze che derivano da tali atti sarà doveroso che il giudice compia le valutazioni logiche che si rendono necessarie. Per ovviare a questo stato di cose, il nuovo comma 7 dell'art. 157 c.p . , introdotto dalla legge 5 dicembre 2005 n. 25 1 , dispone che « l a prescrizione (del reato) è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato ». ( 156) Cass. pen., sez. V, 1 5 aprile 1999, Barba, in Cass. pen., 2000, 2065, ritiene sufficiente una motivazione implicita.
III.V.30
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30. La sentenza di assoluzione. Con la sentenza di assoluzione il giudice compie un accertamento sull'esitenza o meno del fatto storico addebitato all'imputato. n codice impone al giudice di utilizzare una delle formule tipiche che costituiscono il "riassunto" dei motivi della decisione. Tali formule, previste dall'art. 530, sono tassative e derivano dalla necessità di precisare gli effetti del giudicato in altri processi civili, amministrativi e disciplinari (artt. 652-654). Nell'enunciare le formule terminative il codice segue una vera e propria gerarchia, perché inizia con quelle più favorevoli all'imputato e termina con le formule meno favorevoli, utilizzando come criterio il pregiudizio morale che può derivare dall'ammettere che comunque l'imputato ha commesso un deter minato fatto, anche se esso non è penalmente illecito o, in alcuni casi, è semplicemente non punibile. Nelle situazioni in cui sarebbe possibile applicare insieme più formule, il giudice deve pronunciare la formula più ampiamente liberatoria. La scelta del codice, di prevedere più formule di assoluzione, non appare ragionevole. L'accoglimento della presunzione di innocenza impone, a chi accusa, l'onere di eliminare ogni ragionevole dubbio sulla reità. Penamo, l'alternativa dovrebbe essere esclusivamente tra "colpevole" e "non colpevole" . Gli argomenti, che inducono a prosciogliere, dovrebbero essere contenuti nella motivazione della sentenza e non apparire nel dispositivo; altrimenti potrebbero costituire un pregiudizio quando la formula non è totalmente liberatoria ( 157). a ) Assoluzione perché "il fatto non sussiste". Tale formula deve essere adottata quando il fatto di reato, addebitato nell'imputazione, non trova conforto nelle risultanze processuali. Ciò significa che il fatto storico ricostruito mediante le prove non rientra nella fattispecie incriminatrice dal punto di vista degli elementi oggettivi, poiché non risultano presenti gli elementi di fatto che dovrebbero integrare la condotta, l'evento o il rapporto di causalità. b) Assoluzione perché "l'imputato non ha commesso il fatto". La formula è utilizzata quando il fatto, addebitato all'imputato, sussiste dal punto di vista del solo elemento oggettivo, ma il reato non è stato commesso dall'imputato, bensì da un'altra persona. c) Assoluzione perché "il fatto non costituisce reato". In questo caso il fatto addebitato nell'imputazione è stato commesso dall'imputato e sussiste nei suoi elementi oggettivi, previsti dalla fattispecie incriminatrice, e tuttavia il fatto non è un illecito penale ( ''non costituisce reato " ) . Possono mancare o quello specifico elemento soggettivo che è richiesto dalla ( 157) A ben vedere, infatti, il tema di prova del processo penale è la fondatezza del capo di imputazione e non le ipotesi alternative prospenate dalla difesa o comunque risultanti dall'esito dell'istruzione dibattimentale.
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III.VJO
norma incnmmatrice (dolo, colpa, preterintenzione) o uno degli elementi oggettivi che costituiscono il presupposto della condotta o dell'evento, come avviene quando è carente la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.) quando questa è richiesta, o la situazione di "imprenditore fallito" nel delitto di bancarotta. n giudice utilizza la formula " il fatto non costituisce reato " anche quando sono integrati sia l'elemento oggettivo, sia quello soggettivo, ma il fatto è stato commesso in presenza di una delle cause di giustificazione. Infatti, queste eliminano l'antigiuridicità e rendono lecito il fatto sia ai fini del diritto penale, sia ai fini del diritto civile e amministrativo. Ad esempio, l'imputato ha volontariamente ucciso, ma lo ha fatto in situazione di legittima difesa. d) Assoluzione perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato". In questo caso il fatto storico indicato nell'imputazione non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo. Siamo di fronte ad un'assoluzione in punto di diritto (in iure). n fatto contestato è stato commesso, ma è estraneo a qualsiasi norma incriminatrice: è stato attribuito all'imputato per un errore di valutazione giuridica del pubblico ministero. La formula è utilizzata anche quando il fatto era previsto come reato, ma la relativa norma di legge ha perso efficacia. Ciò avviene quando la Corte costituzionale dichiara illegittima una norma penale (v. in proposito la sentenza n. 126 del 19 dicembre 1 968, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il reato di adulterio previsto dall'art. 559 c.p.) o quando una legge depenalizza determinati reati, trasformandoli in illeciti amministrativi (come esempio, v. la legge 24 novembre 1 98 1 , n. 689) . e) Assoluzione perché "il reato è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per un 'altra ragione". La formula è utilizzata quando il giudice accerta che il fatto è stato commesso ed è penalmente illecito, ma l'imputato non è punibile in concreto. Infatti, egli può essere non imputabile (perché minore di quattordici anni o totalmente infermo di mente); può essere coperto da una causa di non punibilità (dovuta, ad esempio, al rapporto di parentela previsto in relazione ai delitti contro il patrimonio commessi senza violenza alle persone; art. 649 c.p . ) ; infine, può essere penalmente immune (ad esempio, gli agenti diplomatici accreditati presso lo Stato italiano) . L'immunità può essere limitata a determinati reati, come avviene nel caso dell'art. 68, comma l Cast. , secondo cui « i membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni ». La presente formula terminativa è la più sfavorevole. Da un lato, il giudice riconosce che l'imputato ha commesso un fatto penalmente illecito, anche se lo dichiara esente da pena: l'opinione pubblica può percepire facilmente il giudi zio di disvalore sociale espresso dalla sentenza. Da un altro lato, se il giudice
III.V.3 1
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accerta che l'autore del reato è non imputabile, m a pericoloso socialmente, deve applicargli la misura di sicurezza prevista dalla legge (ad esempio, nel caso di infermo totale di mente, l'ospedale psichiatrico giudiziario; art. 222 c.p . ) . Parimenti avviene quando il giudice riconosce che l'imputato h a commesso un "quasi reato " , come avviene nel reato impossibile (art. 49, comma 4 c.p.) o nell'istigazione non accolta (art. 1 15 , comma 4 c.p.): con la sentenza di assoluzione il giudice può applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata all'autore del fatto, se questi è pericoloso (art. 229 c.p.) .
31. La mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di reità. Le formule assolutorie che abbiamo illustrato devono essere applicate dal giudice sia quando manca la prova della reità dell'imputato, sia quando tale prova è insufficiente o contraddittoria. Come abbiamo visto nel capitolo sui princìpi generali in tema di prova, ai sensi dell'art. 533 , comma l , mod. dalla legge n. 46 del 2006, l'accusa ha l'onere di eliminare ogni ragionevole dubbio. Dalla lettura simultanea dell'art. 530, comma 2 e dell'art. 533 si ricava che la prova di reità è insufficiente o contraddittoria quando lascia persistere un ragionevole dubbio sulla reità dell'imputato. È appena il caso di sottolineare che quella che appare una regola di giudizio asimmetrica, in realtà è una conseguenza della struttura e dello scopo del processo penale (C. CoNTI) . Quest'ultimo, infatti, in un sistema di tipo accusa torio è finalizzato ad accertare se i fatti si sono svolti così come l'accusa li ha ricostruiti nell'imputazione. Basta un ragionevole dubbio in merito a tale prospettazione perché il fatto di cui all'imputazione non possa ritenersi accer tato e, quindi, l'imputato debba essere assolto. Poiché l'innocenza dell'impu tato, come tale, non è tema di prova nel processo penale, il ragionevole dubbio sulla reità è necessario e sufficiente perché si pervenga all'assoluzione. n canone del ragionevole dubbio, lungi dal lasciare spazio all'intuizionismo del giudice, ha l'effetto di imbrigliare il libero convincimento. Occorre tenere presente quello che la dottrina definisce « modello normativa della motivazione in fatto » (G. CANzro) rappresentato dagli artt. 192 , comma l , 527, comma 2 , 546 comma l , lett. e c.p.p., nei quali si coglie un continuo richiamo ai « criteri » ed alle « ragioni » attraverso i quali il giudice ha preso una determinata decisione. È anche necessario considerare l'art. 606, lett. e, nel quale si menziona la « contraddittorietà » e la « illogicità » della motivazione come vizi che portano all'annullamento della sentenza. I canoni di razionalità impongono di oggettivare al massimo i passaggi logici della motivazione ed hanno lo scopo di rendere uniforme il criterio valutativo dei giudici, in conformità al principio di legalità, di uguaglianza e di ragionevolezza (v. supra, par. 27).
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III.V.33
32. Le disposizioni eventuali della sentenza di proscioglimento. Con la sentenza di proscioglimento (e cioè sia di non doversi procedere, sia di assoluzione) il giudice ordina la liberazione dell'imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventual mente disposte (art. 532, comma 1 ) . Con la sentenza che assolve l'imputato « per cause diverse dal difetto di imputabilità » il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale. Se il danneggiato ha esercitato l'azione civile nel processo penale "per colpa grave" (equivalente alla lite temeraria nel processo civile; art. 96 c.p.c.) , il giudice può condannare la parte civile al risarcimento dei danni causati all'imputato assolto (ed all'eventuale responsa bile civile; art. 54 1 , comma 2 c.p.p.). Nel caso di assoluzione da un reato perseguibile a querela con le formule ampiamente liberatorie il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato ed alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno a favore dell'imputato assolto (e dell'eventuale responsabile civile; art. 542, comma 1 ) . Con la sentenza di assoluzione il giudice applica le misure di sicurezza nei casi previsti dalla legge (art. 530, comma 4), ad esempio nelle ipotesi di quasi-reato (art. 49 c.p.) e nelle ipotesi di proscioglimento per infermità psichica (art. 222) . Con la sentenza di proscioglimento (ma lo stesso avviene con la sentenza di condanna) il giudice dichiara nel dispositivo la falsità di un atto o di un documento (art. 537) . Con lo stesso dispositivo è ordinata la cancellazione totale o parziale o la riforma dell'atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita. La cancellazione o la riforma non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento.
33. La sentenza penale di condanna. Ai sensi dell'art. 533 comma l , così come integrato dalla legge n. 46 del 2006, il giudice pronuncia sentenza di condanna quando ritiene che l'imputato sia colpevole del reato contestatogli « al di là di ogni ragionevole dubbio » . Come abbiamo già precisato supra (parte Il, cap. 3) tale regola di giudizio costituisce applicazione della presunzione di innocenza dell'imputato e del l' onere della prova in capo al pubblico ministero.
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Lo standard probatorio richiesto per condannare è quello della probabilità gica (Cass., Sez. un., 1 0 luglio 2002, Franzese, in Foro it. , 2002 , 6 16 ) : per poter ,:;ermare la reità dell'imputato occorre che le risultanze probatorie determinino -:a certezza processuale al di là di ogni ragionevole dubbio in merito alla ndatezza della ricostruzione dell'accusa. I "punti" essenziali della sentenza di condanna sono l'accertamento della sistenza del fatto storico, la sua qualificazione come illecito penale, l' affer ::lazione che l'imputato lo ha commesso ed, infine, la determinazione della r-ena o di altra conseguenza penale. Inoltre, la sentenza pone a carico del .::ondannato il pagamento delle spese processuali e quella della eventuale :::ustodia cautelare (art. 535). Questo è il contenuto minimo della sentenza di .:ondanna. Vi sono poi altri " punti" eventuali che riguardano sia gli aspetti penali, sia -ingoli aspetti civili. Fra gli aspetti penali ricordiamo l'applicazione delle pene accessorie, delle misure di sicurezza, della sospensione condizionale (art. 163 c.p.), la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale art. 1 75 c.p.) e la dichiarazione di falsità di documenti o atti (art. 537). Vi sono leggi speciali che impongono di inserire nella sentenza di condanna ulteriori prescnzwm. Fra gli aspetti civili importante è la pronuncia sulla domanda di risarci mento del danno formulata dalla parte civile nelle sue conclusioni (art. 523 , comma 2). I "capi" della sentenza penale di condanna vengono in rilievo quando le imputazioni sono molteplici. Il codice regolamenta l'ipotesi in cui la condanna penale riguardi più reati (art. 533, comma 2 ) : il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e, quindi, ne determina la misura in osservanza delle norme sul concorso di reati o di pene e sulla continuazione. Facciamo un esempio per delineare la scansione logica della deliberazione della sentenza penale di condanna (v. tav. 5 .2 . 1 ) . Il giudice accerta la sussistenza di un fatto di reato, afferma la sua illiceità e la sua commissione da parte dell'imputato. Quindi il giudice determina la quantità della pena entro i limiti massimo e minimo previsti nella fattispecie incriminatrice (cosiddetta pena base); valuta se sono presenti aggravanti o attenuanti e, nel caso di contempo ranea presenza, se prevalgono le prime o le seconde ovvero se esse si equival gono (art. 69 c.p . ) . Una volta operato l'aggravamento o l'attenuazione entro i limiti di legge, risulta determinata la pena da applicare. A questo punto il giudice valuta se è possibile tramutare la pena in una sanzione sostitutiva (concedibile se la pena detentiva non è superiore a due anni; art. 53 , legge n. 689 del 1 98 1 e se può essere applicata la sospensione condizionale (concedibile, in estrema sintesi, se la pena detentiva non è supe-
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III.V.34
riore a due anni) ( 158). Le due valutazioni possono anche concorrere, ed allora il giudice applica una sanzione sostitutiva sospesa condizionalmente. Se nessuna delle due possibilità è praticabile, il giudice irroga la pena. Soltanto in fase esecutiva si porrà il problema di sostituire la pena detentiva con una misura alternativa. La separazione dei procedimenti in sede di condanna. Con il decreto legge n. 3 4 1 del 2000, convertito con modifìcazioni nella legge n. 4 del 200 1 , il legislatore ha introdotto un nuovo istituto che potremmo definire "separazione in sede di condanna" . n giudice nel pronunciare la sentenza di condanna può disporre la separazione dei procedimenti per i reati previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a (gravi delitti in materia di criminalità organizzata) anche se si tratta di più procedimenti a carico del medesimo imputato (v. tav. 3 .5 . 13 ) . La separa zione può essere disposta quando taluno dei condannati si trova in stato di custodia cautelare e sussiste il pericolo di scarcerazione per decorrenza dei termini (art. 533 , comma 3 -bis) . La questione relativa all'opportunità che sia disposta separazione in sede di condanna può essere affrontata dalle parti anche nel corso della discussione finale (art. 523 , mod. dalla legge n. 4 del 200 1 ) . Inoltre, il nuovo comma 3 -bis dell'art. 544 stabilisce che, nelle ipotesi di separazione in sede di condanna esaminate poc' anzi, il giudice deve provvedere alla stesura della motivazione separatamente per ciascuno dei procedimenti, accordando precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare. In tal modo sarà possibile evitare la decorrenza dei termini, che è ricollegata all'avvenuto deposito della motivazione della sentenza della quale la parte abbia conoscenza ( 159). 34. Le statuizioni sulle questioni civili.
Quando pronuncia sentenza di condanna e vi è stata costituzione di parte civile, il giudice è tenuto a decidere sulla domanda relativa alle restituzioni ed ( 158) La legge 1 1 giugno 2004 n. 145 ha modilìcato, tra l'altro, l'art. 163 c.p. operando una complessa riforma. Anzitutto, è stato posto un primo limite di due anni, estendibile fino a tre nei confronti del minorenne e fino a due anni e sei mesi nei confronti della persona tra i diciotto e ventuno anni e oltre i settanta anni. Se questo primo limite non è superato dal cumulo tra pena detentiva e pena pecuniaria ragguagliata a detentiva (un giorno per euro 250,00), le due pene possono essere sospese condizionalmente. Se detto limite è superato, scatta un secondo limite di due anni per la sola pena detentiva: fino a tale soglia la pena detentiva può essere sospesa condizionalmente, a prescindere dalla entità della pena pecuniaria, che non può godere della sospensione. ( 159) La disposizione prevede altresì che il termine per il deposito della motivazione, pari a novanta giorni quando essa è particolarmente complessa, sia raddoppiato in relazione ai procedimenti che non hanno avuto la precedenza. Si veda, inoltre, il nuovo comma 4-bis dell'art. 154 disp. att., relativo alla redazione non immediata dei motivi della sentenza: « il presidente della corte d'appello può prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione, i termini previsti dall'articolo 544, comma 3 , del codice, per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi. Per i giudizi davanti al tribunale provvede il presidente del tribunale. In ogni caso del provvedimento è data comunicazione al Consiglio superiore della magistratura ».
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al risarcimento del danno. Tale pronuncia è possibile soltanto all'interno della sentenza penale di condanna, con un autonomo " capo" sulle questioni civili. La domanda risarcitoria non è accolta automaticamente. Il giudice deve valutare se il danneggiato era legittimato a costituirsi parte civile e se ha subito un danno derivante direttamente dal reato. La liquidazione del danno da reato. Se la parte civile ha subito un danno, il giudice condanna l'imputato a risarcirlo. Di regola, il giudice dovrebbe liquidarlo per intero, e cioè dovrebbe quantificare la somma dovuta a titolo di risarcimento (art. 538, comma 2 ) . Il "punto" della sentenza che liquida il danno non è prov visoriamente esecutivo; la provvisoria esecutività è dichiarata soltanto su richiesta di parte « quando ricorrono giustificati motivi » (art. 540, comma 1 ) . La condanna generica. Nella prassi giudiziaria raramente avviene la liqui dazione del quantum. Le prove sulla quantificazione del danno richiedono tempo e perizie, ed il processo penale non è la sede più adatta per svolgerle. Di conseguenza, quando le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, il giudice « pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile » (art. 539, comma 1 ) . La provvisionale immediatamente esecutiva. In previsione di una simile eventualità il difensore della parte civile, nelle conclusioni che presenta al termine del dibattimento, chiede che il giudice penale conceda una provvisio nale, e cioè liquidi una determinata somma « nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova » (art. 539, comma 2 ) . Se il giudice accoglie la richiesta, la condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva (art. 540, comma 2 ) . Inoltre, con l a sentenza che accoglie l a domanda sulle restituzioni e sul risarcimento del danno il giudice penale condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile « salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale » (art. 54 1 , comma 1 ) . Infine, il giudice s u richiesta della parte civile ordina la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 543 ) qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato (art. 1 86 c.p.).
Parte Quarta I PROCEDIMENTI PENALI DIFFERENZIATI E SPECIALI
CAPITOLO I I PROCEDIMENTI SPECIALI
SoMMARio: l . Procedimenti penali differenziati e speciali. Il sistema accusatorio e la semplifica
zione del processo. - 2. La " specialità" dei procedimenti alternativi a quello ordinario. 3 . Il giudizio abbreviato. - 4. L'applicazione della pena su richiesta delle parti. -
5. Il
giudizio immediato. - 6. Il giudizio direttissimo. - 7. Il procedimento per decreto. - 8. L'oblazione.
l.
Procedimenti penali differenziati e speciali. D sistema accusatorio e la semplificazione del processo.
Fino a questo momento l'esposizione ha avuto ad oggetto il procedimento penale ordinario che si svolge presso il tribunale collegiale e la corte d'assise. Se assumiamo che detto procedimento costituisce il modello base, possiamo isolare due fondamentali "tipi" di modelli processuali che da esso si distinguono. I procedimenti differenziati. li primo tipo contiene quei riti che si staccano dal procedimento presso il tribunale collegiale nel senso che hanno una struttura completa (dalle indagini preliminari alle impugnazioni) , ma rispetto al modello base si caratterizzano per alcune particolarità. Possono essere definiti "procedimenti differenziati" i seguenti: quello presso il tribunale monocratico, quello presso il giudice di pace, quello presso il tribunale per i minorenni e quello che accerta la responsabilità amministrativa dell'ente. Essi si pongono come strutture parallele rispetto al procedimento presso il tribunale collegiale. I procedimenti speciali. Un secondo tipo ricomprende quei riti che si distaccano dal modello base perché si limitano ad omettere una delle fasi processuali, e cioè l'udienza preliminare o il dibattimento o entrambe. Il codice considera « speciali » i seguenti riti: il giudizio abbreviato ed il patteggiamento (che omettono il dibattimento); il giudizio immediato ed il procedimento direttissimo (che omettono l'udienza preliminare) ; ed infine, il procedimento per decreto (che omette entrambe le fasi) . Tra il modello base e tali riti è configurabile un rapporto tra genere e specie.
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV .I. l
Nell'ordine, tratteremo per primi i procedimenti speciali per un motivo che ci pare assorbente. Detti riti prevedono deroghe rispetto sia al modello base completo, sia ai singoli procedimenti differenziati che al loro interno li preve dono. Ad esempio, presso il tribunale monocratico e quello per i minorenni operano alcuni dei riti speciali che sono previsti per il tribunale collegiale (ad es. il giudizio abbreviato ed il procedimento direttissimo) ; ma lo stesso vale anche per il procedimento che accerta la responsabilità amministrativa degli enti. Pertanto, la trattazione dei riti speciali deve precedere quella sui procedimenti differenziati ( l ) . Un sistema processuale di tipo accusatorio impone che l'accertamento della responsabilità dell'imputato avvenga con il massimo delle garanzie e segnata mente con il rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le garanzie comportano necessariamente una maggiore complessità delle forme e, quindi, un allungamento dei tempi complessivi del processo, ma soprattutto del dibattimento, nel quale le prove dichiarative devono essere assunte col metodo dell'esame incrociato (2) . Sistema accusatorio e procedimenti semplificati. Dall'esame del diritto comparato alcuni studiosi hanno tratto il convincimento che l'adozione del sistema accusatorio debba comportare l'accettazione di una pluralità di proce dimenti semplificati (3 ) . Se si vuole permettere l'affermarsi di un processo penale garantista, la celebrazione del dibattimento deve essere limitata ai pochi casi nei quali vi sia un serio contrasto tra accusa e difesa. La gran mole dei processi si deve svolgere con riti semplificati. Poiché in tali procedimenti l'imputato gode di minori garanzie e non ha il diritto al contraddittorio nella formazione della prova, l'unica soluzione è quella di offrirgli un qualche incentivo perché accetti un affievolimento del diritto di difesa. I vantaggi consistono prevalentemente in una diminuzione della pena che dovrebbe essere scontata in caso di condanna. ( l ) Vi sono poi alcuni istituti che operano all'interno sia del procedimento ordinario, sia di quelli speciali, sia di quelli differenziati. Si tratta di singole norme che regolano i procedimenti per reati di mafia, per i reati di terrorismo e per i reati di criminalità organizzata non mafiosa; l'insieme di queste norme ha creato una sorta di "doppio binario" processuale. In detti casi le deroghe non toccano la struttura base del procedimento (ordinario, speciale o differenziato), bensì alcuni aspetti al loro interno. Ad esempio, i delitti di cui all'art. 51 comma 3 -bis prevedono che i pubblici ministeri si coordinino nel compiere indagini e che vi sia un organo centrale (la procura nazionale antimafia) che li controlla. A questi istituti abbiamo già fatto cenno nell'esporre il modello base di procedimento presso il tribunale collegiale. (2) In base alla prima legge delega per l 'emanazione del nuovo codice di procedura penale (3 aprile 1974, n. 108) ed al relativo Progetto preliminare del l978, pressoché tutti i processi sarebbero dovuti pervenire alla fase del dibattimento. Ciò avrebbe comportato costi non sostenibili: il sistema non sarebbe stato gestibile. Questo è il principale tra i motivi per i quali il Progetto del 1978 non ha avuto successo e quel modello di riforma è stato abbandonato. (3 ) Sulla necessità di deflazionare il dibattimento penale e sulle prime ipotesi in tale senso, v. A. MALINVERNI, La n/orma del processo penale, Torino, 1970, 250 e 260; P. ToNTNT, La scelta del rito istruttorio nel processo penale, Milano, 1974, 301 ss.
IV.I.2
I procedimenti speciali
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Al tempo stesso, occorre tenere presente che negli ordinamenti angloame ricani i meccanismi di semplificazione sono spesso basati sul principio di opportunità dell'azione penale. Viceversa, il pubblico ministero italiano, vinco lato (almeno formalmente) al principio di obbligatorietà dell'azione penale, non può " cestinare" i casi di minore importanza, nei quali non vi è in concreto alcun interesse pubblico alla repressione penale; né esistono strumenti extrapenali da utilizzare in via alternativa. Pertanto, nell'ordinamento italiano i procedimenti semplificati devono rispettare il principio di obbligatorietà dell'azione penale; ciò vuol dire che la decisione sulla semplificazione deve intervenire ad opera di un giudice e dopo che sia stata comunque esercitata l'azione penale (4) . Occorre sottolineare che l a indispensabilità di strumenti deflativi del dibat timento è stata di recente recepita anche a livello costituzionale. n nuovo comma 5 dell'art. 1 1 1 permette di derogare con il consenso dell'imputato al principio del contraddittorio nella formazione della prova. La norma chiara mente si riferisce ai riti semplificati che omettono il dibattimento, e cioè al patteggiamento, al rito abbreviato e al decreto penale di condanna. 2.
La "specialità" dei procedimenti alternativi a quello ordinario.
Il codice intitola il libro sesto "procedimenti speciali" per sottolineare la differenza di questi ultimi rispetto al modello ordinario di primo grado, composto dalle fasi delle indagini, dell'udienza preliminare e del dibattimento. Da un punto di vista meramente formale i procedimenti speciali si dividono in due gruppi (v. tav. 4 . 1 . 1 ) .
(4) La legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 ha fatto una scelta contraddittoria, perché ha accolto princìpi contrastanti senza operare un ragionevole contemperamento tra gli stessi. Essa ha previsto sia riti semplificati basati sul consenso dell'imputato (e, quindi, riferibili al sistema accusatorio), sia riti semplifìcati che operano a prescindere dal consenso di questi (e, quindi, riferibili ai sistemi inquisitorio o misto). In più, nell'accogliere un rito semplificato tipico del sistema accusatorio, perché basato sul consenso dell'imputato (e cioè il giudizio abbreviato), lo aveva strutturato con modalità inquisitorie. Di modo che raramente gli imputati ne hanno chiesto l'adozione. Il risultato è stato catastrofico. Il giudizio abbreviato, che avrebbe dovuto evitare il dibattimento per i reati di gravità media ed alta e che, nelle intenzioni del legislatore, doveva costituire il rito semplificato maggiormente utilizzato al fine di deflazionare il dibattimento, è stato quello meno impiegato fra tutti i procedimenti basati sul consenso dell'imputato. In base ad una nostra elaborazione dei dati raccolti dal Ministero della Giustizia nel periodo 1989-1995, il giudizio abbreviato è stato utilizzato presso il tribunale e la corte d'assise nel 7% dei casi che sarebbero dovuti, teoricamente, pervenire al dibattimento. Molto meno del patteggiamento (40%) e perfino del decreto penale di condanna (9,5 % ) . Nel complesso, l'insieme dei riti semplificati ha raggiunto il 5 6,5 % dei procedimenti che sarebbero dovuti pervenire al dibattimento. Si pensi, invece, a come negli ordinamenti di common law oltre il 90% dei procedimenti segua itinerari semplificati rispetto a quello ordinario. La legge n. 479 del 1999 ha apponato rilevanti modifiche ai riti semplificati deflativi del dibattimento. In particolar modo è intervenuta sull'assetto del giudizio abbreviato. Ne daremo atto nel relativo paragrafo. 23
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a) Il primo comprende quelli che si limitano ad eliminare l'udienza pre liminare per pervenire in modo più veloce al dibattimento. T ali procedimenti, che di regola prescindono dal consenso dell'imputato, sono il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato. Si tratta di riti che appartengono al sistema processuale "misto" di tipo napoleonico; in essi viene eliminata l'udienza preliminare, e cioè il controllo operato dal giudice sul rinvio a giudizio. Nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato su richiesta del pubblico ministero l'eliminazione avviene in modo imperativo, e cioè in base ad un provvedimento emesso senza il consenso dell'imputato. La semplificazione, pur ammissibile in astratto sulla base del ri conoscimento costituzionale delle esigenze di « ragionevole durata » del processo penale (art. 1 1 1 , comma 2 ) , deve tuttavia assicurare un adeguato contempera mento con il diritto di difesa dell'imputato. b) Il secondo gruppo di procedimenti speciali comprende i riti che omettono il dibattimento. In questi casi la semplificazione opera solo con il consenso dell'imputato, poiché il diritto al dibattimento è un aspetto centrale del diritto di difesa. È ovvio che un sistema di tipo accusatorio ripone le sue speranze di buon funzionamento soprattutto su tali riti, perché soltanto l'eli minazione del dibattimento, e cioè della fase più lunga, è in grado di consentire un apprezzabile risparmio di tempo. Si tratta di vedere quali sono le rinunce che ragionevolmente si possono chiedere all'imputato e quale bilanciamento deve essere operato con i diritti costituzionalmente garantiti. I procedimenti speciali che sono fondati sul consenso dell'imputato sono il giudizio abbreviato, il c.d. patteggiamento e, in una qualche misura, il proce dimento per decreto, nel quale la mancata opposizione configura un implicito consenso. In questi riti il giudice compie le sue valutazioni utilizzando gli atti raccolti in modo unilaterale dalle parti. Il codice nel libro sesto inizia col trattare del giudizio abbreviato per far comprendere che in tale rito sono riposte le più forti speranze di ottenere la deflazione del dibattimento e, quindi, un migliore funzionamento dell'ammini strazione della Giustizia. In effetti, il rito predetto è applicabile a tutti i reati, compresi quelli p unibili con l'ergastolo. Inoltre, il giudizio immediato, il giudizio direttissimo ed il procedimento per decreto possono, su richiesta dell'imputato, trasformarsi in giudizio abbreviato. 3.
n giudizio abbreviato. a.
Considerazioni generali.
Il giudizio abbreviato è quel procedimento speciale che consente al giudice, su richiesta dell'imputato, di pronunciare già al momento dell'udienza prelimi nare quella decisione di merito (condanna o proscioglimento) che di regola è
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emanata al termine del dibattimento. Ai fini della decisione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini (5) . Nel sistema attualmente vigente il rito abbreviato h a luogo sull'unico presupposto della richiesta dell'imputato (6) (v. tav. 4 . 1 .2 ) . Questi ha una duplice possibilità. Può formulare una richiesta non condizionata, limitandosi a chiedere che il processo sia definito nell'udienza preliminare sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini; oppure può presentare una richiesta condizionata, subordinando lo svolgimento del rito abbreviato alla assunzione di determinate prove (7) . All'esito del giudizio abbreviato il giudice, se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, può disporre anche d'ufficio quella integrazione probatoria che ritiene necessaria (art. 44 1 comma 5 ) . li processo si conclude nell'udienza preliminare con una sentenza di condanna o di proscioglimento senza che sia necessario pervenire al dibattimento. In caso di condanna, la pena determinata dal giudice è ridotta di un terzo e all'ergastolo è sostituita la reclusione di anni trenta (art. 442, comma 2 ) (8). La (5) Nel testo originario del codice del 1988 il giudizio abbreviato poteva essere disposto soltanto in presenza di tre requisiti concorrenti: l) la richiesta dell'imputato; 2) il consenso del pubblico ministero; 3) la valutazione del giudice sulla possibilità di definire il processo "allo stato degli atti" senza alcuna integrazione probatoria. Così configurato, il procedimento era stato definito un "patteggiamento sul rito". La legge n. 479 del 1999 (c.d. legge Carotti) ha radicalmente modificato la struttura del procedimento. Da un lato, non è più necessario il consenso del pubblico ministero; da un altro lato, è stato eliminato il requisito della decidibilità allo stato degli atti. Con sentenza 9 maggio 2001 n. 1 15 , cit., la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità della nuova disciplina del giudizio abbreviato ritenendo non fondate le censure di incostituzionalità (in riferimento agli artt. 3, 24, 27 commi l e 3, 97, 1 0 1 , 102 e 1 1 1 Cost.) sollevate già all'indomani del varo della legge Carotti. Pertanto, la mancata attribuzione al giudice di un > non è in contrasto con la Costituzione e altresì legittima è da ritenersi la scelta di non prevedere . Così Cass. , sez. un., 30 giugno 2000, Tammaro, in Cass. pen., 2000, 3259 e in Guida dir. , 2000, 3 1 , 73, nota di R. BRICCHETTI, La richiesta di accesso al rito semplificato non è una rinuncia ad eccepire gli atti vzzuztz, ivi, 8 1 . ( 1 3 ) Valgono in questa sede i limiti posti dalla giurisprudenza all'art. 507: il giudice non può utilizzare la integrazione probatoria >.
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viato, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione (art. 438, comma 5 ) ; di conseguenza deve indicare le prove di cui chiede l'ammissione. In tal caso il giudice, « tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili », dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione pro batoria richiesta dall'imputato risulta: a) necessaria ai fini della decisione; b) compatibile con le finalità di economia processuale proprie del rito in questione. La Corte costituzionale (n. 1 15 del 200 1 ) ha neutralizzato sostanzialmente la portata del requisito della compatibilità con le finalità di economia proces suale quando ha precisato che il giudizio abbreviato va posto a raffronto con l'ordinario giudizio dibattimentale e, quindi, in relazione a quest'ultimo si traduce sempre e comunque in una considerevole economia processuale ri spetto alla più onerosa formazione della prova in contraddittorio. Quanto all'altro requisito ( "necessarietà ai fini della decisione" ) in base al l'insegnamento delle Sezioni unite, le ulteriori prove si devono configurare come integrative e non sostitutive del materiale già acquisito e utilizzabile come base cognitiva (es. il teste doveva essere sentito, e non lo è stato; oppure, non sono state poste determinate domande) . Pertanto, il giudice deve rigettare la richiesta se il mezzo di prova tende a far entrare in forma diversa un elemento già esistente negli atti scritti. Inoltre, l'integrazione deve configurarsi come oggettivamente e sicu ramente utile o idonea ad assicurare il completo accertamento di tutti quei fatti che sono oggetto di prova ai sensi dell'art. 1 87 (14). Accoglimento della richiesta condizionata. Se il giudice accoglie la richie sta, si fa luogo a giudizio abbreviato con assunzione di tutte quelle prove che sono state indicate dall'imputato ( 15 ) . In tal caso, il pubblico ministero « può chiedere l'ammissione di prova contraria » ( 16) .Quando, dopo aver proceduto all'assunzione delle prove richieste dall'imputato, il giudice ritiene ancora di non poter decidere, può assumere anche d'ufficio ulteriori prove (art. 44 1 , comma 5 , equivalente all'art. 507 , comma l ) ( 17 ) . Rigetto della richiesta condizionata. Ove il giudice rigetti l a richiesta ( 14 ) Cass., sez. un., 27 ottobre-18 novembre 2004, n. 447 1 1 , Wajib, in Guida dir., 2004, 49, 78: . Dunque (art. 1 1 1 , comma 3 ) . (24) li decreto legge n. 341 del 2000, convertito nella legge n. 4 del 2001 h a modmcato l'art. 44 1 -bis, comma 4 ed ha stabilito che in caso di trasformazione del rito abbreviato in giudizio ordinario, con conseguente regressione alla fase dell'udienza preliminare, iniziano a decorrere ex nova i termini della custodia cautelare relativi alle indagini preliminari (pari ad un anno per i reati più gravi) . ( 2 5 ) Si tratta d i una forma d i silenzio assenso. Da una siffatta disciplina si desume che l a richiesta del
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riconosciuta una rilevante garanzia. Infatti, ai sensi dell'art. 44 1 -bis, comma 5 , l'imputato può chiedere l'ammissione di ulteriori prove in relazione alla nuova contestazione. In questa ipotesi non operano i limiti di ammissione stabiliti dal l'art. 438 , comma 5 in merito alla richiesta condizionata; non occorre, pertanto, che le prove siano « necessari( e) ai fini della decisione » e « compatibil(i) con le finalità di economia processuale » proprie del rito semplificato (26). Infine, l'art. 44 1 -bù, comma 5 riconosce al pubblico ministero il diritto alla prova contraria in relazione alle prove ammesse su richiesta dell'imputato. Resta salva, riteniamo, la possibilità per il giudice di assumere d'ufficio le ulteriori prove, che egli consideri necessarie ai fini della decisione, alla luce delle nuove risultanze (27) . e.
n ruolo della parte civile.
A differenza di quanto avviene nel patteggiamento, la parte civile non è completamente estromessa né al momento della decisione sull'adozione del rito abbreviato, né al momento delle conclusioni e della decisione, anche se allo stato della attuale normativa non gode di alcun diritto alla prova. Una volta che il giudice abbia accolto la richiesta di giudizio abbreviato, la parte civile può non accettare tale rito (artt. 44 1 , comma 4, 65 1 e 652) ; in questo caso, se il giudice pronuncia una sentenza di assoluzione, tale provvedimento non ha efficacia di giudicato (art. 652, comma 2 ) e la parte civile può esercitare l'azione risarcitoria davanti al giudice civile senza dover subire la sospensione del processo ex art. 75, comma 3 (art. 44 1 , comma 4 ) . Viceversa, la parte civile che ha accettato il giudizio abbreviato in modo espresso o implicito (es., si è costituita dopo l'ordinanza che ha disposto tale rito; art. 44 1 comma 2) subisce l'efficacia del giudicato di assoluzione (art. 652 comma 2 ) . Inoltre, la decisione di condanna nel giudizio abbreviato ha efficacia di giudicato, salva l'ipotesi in cui la parte civile, che non abbia accettato il rito, si opponga a tale efficacia (art. 65 1 , comma 2 ) . S e i l giudice procede a d integrazione probatoria d'ufficio (art. 44 1 comma 5) o in seguito all'accoglimento della richiesta condizionata dell'imputato (art. rito ordinario costituisce un onere per l'imputato. Se questi non vi adempie formulando espressa richiesta, il suo silenzio equivale ad accettazione del giudizio abbreviato. Nello stesso senso D. NEGRI, Garanzie dell'imputato e modifica dell'accusa, in Dir. pen. proc. , 2000, 6, 685. (26) La disposizione, ruttavia non può intendersi nel senso che qualsiasi prova possa essere ammessa. A nostro avviso, il giudice dovrà applicare gli ordinari criteri di ammissione stabiliti dall'art. 190: la prova deve essere pertinente e non manifestamente superflua o irrilevante. (27) La disciplina appena esposta ci sembra condivisibile, poiché riconosce diritti difensivi in una situazione particolarmente delicata: essa rappresenta un incentivo per l'imputato a chiedere la definizione del processo con rito semplificato. Egli infatti, anche nell'ipotesi di nuove contestazioni a seguito dell'integrazione probatoria, è messo in condizione di esercitare il diritto di difesa chiedendo il rito ordinario o l'assunzione di nuove prove.
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438 comma 5 ) o in seguito a nuova contestazione (art. 44 1 -bis), il diritto alla prova contraria è riconosciuto esclusivamente in capo al pubblico ministero. Allo stato attuale della normativa, la parte civile può soltanto sollecitare i poteri esercitabili dal giudice ai sensi del citato art. 44 1 comma 5 . L a sentenza d i condanna contiene il capo civile sul risarcimento dei danni; su richiesta della parte civile, può essere pronunciata la condanna provvisionale immediatamente esecutiva (artt. 539, comma 2 e 540, comma 2). f.
I giudizi abbreviati atipici.
L'imputato può chiedere il giudizio abbreviato non soltanto nell'udienza preliminare (e cioè, nel corso del procedimento ordinario) ma anche quando vengono disposti quei riti speciali che eliminano l'udienza preliminare, ossia il giudizio direttissimo, il giudizio immediato e il procedimento per decreto. Di questi tratteremo in prosieguo; adesso preme ricordare che al momento della loro instaurazione l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato e che tale rito manifesta aspetti di specialità rispetto al modello base appena esaminato. l) Ove sia stato disposto il giudizio direttissimo, l'imputato può chiedere il rito abbreviato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 452 comma 2 ) . Il giudice deve ordinare la prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato se la richiesta è incondizionata; se è condizionata ad una integrazione probatoria, il giudice deve valutarne l'ammissibilità in base ai criteri esposti supra. Al fine della valutazione di ammissibilità il giudice del dibattimento può esaminare il fascicolo del pubblico ministero con applicazione analogica del l'art. 135 disp. att. Una volta che sia stato disposto il giudizio abbreviato, si osservano le forme previste per l'udienza preliminare anche se il processo si svolge davanti al giudice del dibattimento (art. 452 comma 2 , che rinvia agli artt. 43 8 commi 3 e 5 , 44 1 , 44 1 -bis, 442 e 443 in quanto applicabili) . Nel caso in cui, a seguito di sopravvenuta modifica dell'imputazione, l'imputato revochi la richiesta di giu dizio abbreviato, il giudice dispone che si proceda a rito direttissimo con applicazione delle norme del dibattimento. 2) Trattiamo adesso della instaurazione del rito abbreviato in caso di giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero e disposto dal giudice per le indagini preliminari (28). In tale ipotesi l'imputato può chiedere il rito abbre viato depositando nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta scritta con la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero (art.
(28) Nel caso di giudizio immediato richiesto dall'imputato (art. 4 1 9 comma 5) non è ammessa la richiesta di giudizio abbreviato (art. 458 comma 3) perché l'imputato stesso avrebbe potuto chiedere tale rito in quella udienza preliminare che, viceversa, intende omettere.
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458 comma l ) ; ricordiamo che la fase di introduzione del giudizio immediato si svolge fuori udienza. Per il deposito della richiesta di giudizio abbreviato è posto il termine di quindici giorni dalla notifica del decreto che dispone il giudizio immediato. n giudice per le indagini preliminari valuta la ammissibilità della richiesta dell'imputato; se essa è condizionata ad una integrazione probatoria, il giudice la valuta adottando i criteri elaborati dalla sentenza delle Sezioni unite sopra menzionata. Una volta accolta la richiesta, il giudice per le indagini preliminari fissa con decreto l'udienza in camera di consiglio e ne dà avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla persona offesa (art. 458 comma 2 ) . Se, a seguito di sopravvenuta modifica dell'imputa zione, l'imputato revochi la richiesta di giudizio abbreviato, il giudice dispone che si proceda al dibattimento nelle forme del giudizio immediato. Occorre evidenziare che la richiesta condizionata di giudizio abbreviato può essere rigettata dal giudice per le indagini preliminari che dispone il rito immediato; in tal caso, l'imputato può rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice dibatti mentale, ritenuto irragionevole il rigetto, può disporre il rito abbreviato (Corte cost. n. 169 del 2003 ) . 3 ) Quando è stato disposto il decreto penale di condanna, l'imputato può presentare opposizione scritta (v. in/ra) e, in tale atto, può chiedere il giudizio abbreviato (art. 461 comma 3 ) . Ricevuta la richiesta, il giudice fissa con decreto l'udienza in camera di consiglio dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla persona offesa. In detta udienza sarà valutata la richiesta; ove sia accolta, si procederà a giudizio abbreviato con le consuete norme dell'udienza preliminare in quanto applicabili (art. 464 comma 1 ) . S e si tratta di richiesta condizionata di giudizio abbreviato e d il giudice la rigetta, il medesimo emette il decreto di giudizio immediato; quindi, si proce derà al dibattimento. In tal caso, l'imputato può rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e il giudice, ritenuto irragio nevole il rigetto, può disporre il rito abbreviato (Corte cost. n. 169 del 2003 ). Al dibattimento si perviene anche quando, a seguito di sopravvenuta modifica dell'imputazione, l'imputato revochi la richiesta di giudizio abbreviato (art. 464 comma 1 ) . Particolari ipotesi di trasformazione del rito si realizzano nei procedimenti speciali davanti al tribunale in composizione monocratica ai sensi degli artt. 555 comma 2 , 556, 557 e 558 comma 8 . 4) Occorre evidenziare che nessuna disposizione disciplina l a trasforma zione del giudizio abbreviato nel rito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti; pertanto, la scelta compiuta dall'imputato di scegliere il rito abbreviato è da considerarsi incompatibile con quella di chiedere il patteggia-
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mento. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la alternatività è evidenziata da quelle norme che, regolando la facoltà dell'imputato di operare una scelta tra i possibili giudizi speciali, gli impongono un'esplicita opzione tra l'uno o l'altro procedimento. Di conseguenza, la richiesta di giudizio abbreviato, avanzata dall'imputato ed accolta dal giudice, implica una rinuncia al rito dell'applica zione della pena su richiesta delle parti, dovendo escludersi la convertibilità dell'uno nell'altro (29) .
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Investigazioni difensive e giudizio abbreviato.
La normativa sul giudizio abbreviato, modificata dalla legge n. 479 del 1999, può dare luogo ad alcuni problemi di compatibilità con la nuova regolamentazione delle investigazioni difensive, così come modificate dalla legge n. 397 del 2000. Riteniamo utile dar conto di tali problemi per la importanza che assumono nella pratica; lo faremo seguendo una scansione temporale. La documentazione delle investigazioni difensive può essere presentata nel corso delle indagini preliminari; ave sia esercitata l'azione penale, la documen tazione delle medesime segue il fascicolo delle indagini, che viene depositato presso la cancelleria del giudice dell'udienza preliminare. In questo momento il pubblico ministero e il difensore (dell'imputato e dell'offeso) possono ancora svolgere un supplemento investigativo; il pubblico ministero è invitato a tra smettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 4 1 9 comma 3 ) . All'inizio dell'udienza preliminare i difensori (dell'imputato e della parte civile) possono chiedere l'ammissione di atti e documenti (art. 42 1 comma 3 ); tra questi vi può essere la documentazione delle investigazioni difensive. Dopo che il giudice ha ammesso la documentazione, questa diventa utilizzabile per la decisione sul rinvio a giudizio. Il pubblico ministero può avere la necessità di presentare prove contrarie, ma può ritenere che il quadro probatorio per il rinvio a giudizio sia sufficiente e, pertanto, può decidere di rinviare l'espleta mento di eventuali indagini ad un momento successivo ai sensi dell'art. 43 0. Se, prima che siano formulate le conclusioni nell'udienza preliminare (art. 43 8 comma 2 ) , l'imputato chiede il giudizio abbreviato non condizionato, il pubblico ministero può valutare il quadro probatorio non sufficiente per tale rito.
(29) In tal senso, Cass., sez. VI, 15 gennaio 2010, n. 1940/10, ricorrente T., in www.dirittoegiustizia.it, 13 gennaio 2010, che esprime un indirizzo awallato dalle Sezioni unite. Nel caso di specie il giudice dell'udienza preliminare, preso atto del disaccordo del P.M. sulla proposta di applicazione della pena presentata dall'imputato, aveva, all'esito del giudizio abbreviato poi richiesto, ritenuto ingiustificato il dissenso del P.M. ed applicato, ex art. 448 cod. proc. pen., la pena ab origine richiesta. La S.C. ha annullato la sentenza di patteggiamento.
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I n tale ipotesi, riteniamo che il pubblico ministero possa chiedere un rinvio per compiere indagini e soprattutto che egli sia titolare di un diritto alla prova contraria (30). Con la sentenza n. 1 84 del 2009 la Corte costituzionale ha valutato la compatibilità della disciplina appena esposta con i princìpi del giusto processo. In particolare, il Giudice delle leggi ha precisato che nell'ambito del giudizio abbreviato gli atti di investigazione difensiva acquistano valore solo come effetto della più generale rilevanza probatoria riconosciuta all'intera indagine prelimi nare. Essi sono equiparati agli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero in quanto vi è una rinuncia generalizzata al contraddittorio nella formazione della prova. In una simile cornice, l'utilizzabilità degli atti di investigazione difensiva in forza del consenso del solo imputato appare rispettosa del principio di parità tra le parti. Tale canone, come noto, non deve essere interpretato in modo aritmetico, bensì adeguato alla diversità dei ruoli e dei poteri delle stesse nell'ambito delle varie fasi del procedimento penale. Ad avviso della Corte, l'utilizzabilità degli atti di investigazione difensiva appare giustificata anche in una prospettiva di com plessivo riequilibrio dei poteri dei contendenti. Infatti, la fase delle indagini pre liminari è caratterizzata da un marcato squilibrio di partenza fra le posizioni delle parti, correlato alla funzione istituzionale del pubblico ministero: i poteri e i mezzi investigativi di cui dispone la parte pubblica restano largamente superiori a quelli di cui fruisce la difesa. Se, dopo una fase così congegnata, viene offerto all'im putato uno strumento che, nel quadro di un'acquisizione globale dei risultati di tale fase, renda utilizzabili ai fini della decisione anche gli atti di indagine della
(30) In tal senso, Corte cost. n. 245 del 2005 e Cass. , sez. III, 1 1 febbraio 2009, n. 15236, PM in proc. Galliano. La Corte costituzionale ha escluso l'incostituzionalità dell'omessa previsione di un potere di iniziativa probatoria del pubblico ministero in caso di richiesta di giudizio abbreviato non condizionata ad una integrazione probatoria. Ad avviso del rimettente sarebbe stato necessario riconoscere al pubblico ministero un diritto alla prova analogo a quello attribuito all'imputato che abbia presentato richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria. A parere della Consulta, la disciplina attuale non viola il canone della parità tra le parti perché sotteso al giudizio abbreviato; e ciò perché la sentenza di condanna pronunciata in tale rito implica, sia pure con una difformità di ordine > rispetto alle richieste dell'accusa, la realizzazione della pretesa punitiva, affermando la responsabilità dell'imputato (sentenza n. 320 del 2007). (34) In base all'art. 443, comma l, mod. dalla legge Pecorella n. 46 del 2006, l'imputato ed il pubblico ministero non potevano proporre appello contro le sentenze di proscioglirnento pronunciate nel giudizio abbreviato. La Corte cost. con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007 ha ritenuto contrastante con il principio di parità delle parti il divieto posto alla pubblica accusa di appellare il proscioglirnento. La disparità è apparsa non sorretta da una > poiché l'imputato poteva appellare la condanna, mentre il pubblico ministero non poteva proporre doglianze di merito contro la pronuncia che disattendeva in modo integrale la pretesa punitiva. Per tali motivi, il Giudice delle leggi ha dichiarato la incostituzionalità del divieto, posto al pubblico ministero, di appellare il proscioglirnento pronunciato nel rito abbreviato. (35) La Corte cost. con sentenza 1 9-29 ottobre 2009, n. 274 ha dichiarato illegittimo l'art. 443, comma l perché il divieto di appello nel caso evidenziato sarebbe stato > in rapporto all'assetto complessivo delle preclusioni dell'appello nel giudizio abbreviato. Infatti l'imputato può appellare una sentenza di condanna alla sola pena della multa o di una sanzione sostitutiva; mentre non avrebbe potuto appellare una sentenza di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente, dalla quale possono derivare misure molto più afflittive. (36) Così Cass., sez.un., 15 dicembre 1992, Russo, in Giust. pen., 1 993 , III, 3 2 1 ; Cass., 8 aprile 1992, Macella, in Cass. pen., 1993, 2295: >. (3 7) Resta valido il potere del giudice di appello di disporre d'ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti ai sensi dell'art. 603. In tal senso Cass., sez. un., 13 dicembre 1995, Clarke, in Dir. pen. proc., 1 996, 734.
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ponibili ad appello, sono comunque passibili di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568, comma 2 (38) . Considerazioni conclusive sul giudizio abbreviato. È giunto il momento per valutare nel loro complesso le modifiche apportate al rito in oggetto tra il 1999 ed il 200 1 . Sul piano strutturale, nel quadro dell'intero sistema proces suale, le riforme hanno determinato la contemporanea presenza di due modelli con caratteristiche assolutamente opposte, anche se sono stati creati dal mede simo legislatore. Da una parte vi è il procedimento ordinario, che è regolato dai princìpi del "giusto processo" ; esso si svolge in dibattimento ed è fondato sul contraddit torio e sulla conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte in modo unilaterale. La decisione per i reati più gravi è affidata ad un giudice collegiale, dotato di scarsi poteri di iniziativa probatoria, e si fonda su elementi acquisiti con il metodo dell'esame incrociato in pubblica udienza. In relazione a tale rito il legislatore non è stato finora in grado di risolvere il problema della ragionevole durata. Dall'altra parte vi è il giudizio abbreviato, nel quale il consenso dell'impu tato permette lo svolgersi di un rito che si discosta dai princìpi del " giusto processo" . La decisione è presa nell'udienza preliminare, è fondata su prove raccolte in modo unilaterale dalle parti ed è affidata ad un giudice singolo che ha ampi poteri discrezionali di iniziativa probatoria d'ufficio. All'udienza, di regola, non è presente il pubblico e non si svolge l'esame incrociato. li rito abbreviato soddisfa l'esigenza di celerità e deflazione del dibattimento con un unico meccanismo di carattere "negoziale" , imperniato sulla riduzione della pena. Gli incentivi, che sono stati concessi all'imputato per rendere appetibile il rito in questione, possono determinare un ampliamento notevole della forbice edittale e, quindi, del potere discrezionale del giudice. Prima di concludere sul punto, occorre tenere presente che il giudizio abbreviato ha mostrato, specialmente negli ultimi anni, potenzialità applicative che sono cresciute parallelamente all'affermarsi della prova scientifica nel processo penale. Nei processi in cui il materiale probatorio consiste in atti irripetibili e indagini scientifiche compiute nell'ambito del sopralluogo o in un momento successivo, la scelta del rito abbreviato comporta una minima rinuncia al contraddittorio nella formazione della prova, giacché le indagini irripetibili sarebbero comunque utilizzabili in dibattimento. In tali situazioni, (38) Ai sensi dell'art. 576, comma l, la parte civile può proporre appello ai soli effetti della responsabilità civile contro la sentenza sia di proscioglimento, sia di condanna, pronunciata nel giudizio abbreviato >. Poiché le Sezioni unite (29 marzo-12 luglio 2007, Foggiali, in Cass. pen., 2007, 445 1 ) hanno interpretato l'art. 576, comma l, primo periodo, come legittimante la parte civile ad appellare le sentenze di condanna e di proscioglimento per gli interessi civili nel rito ordinario, è ragionevole ritenere che analoga posizione la Cassazione assumerà in materia di giudizio abbreviato, ammettendo l'appello della parte civile.
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il rito abbreviato risulta appetibile perché consente all'imputato di ottenere sia una sentenza di proscioglimento, sia, in caso di condanna, uno sconto di pena. Al tempo stesso, il giudice, che ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, ha il potere-dovere di assumere anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione (art. 44 1 , comma 5 ) . 4.
L'applicazione della pena su richiesta delle parti. a.
Considerazioni generali. La duplice configurazione del rito.
La denominazione del rito, così come è espressa nel codice, sta a significare che il giudice con sentenza applica quella pena che è stata precisata da una concorde " richiesta delle parti" , e cioè dell'imputato e del pubblico mini stero (3 9). Al giudice spetta di controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena richiesta. La decisione avviene allo
stato degli atti, e cioè sulla base del fascicolo delle indagini e dell'eventuale fascicolo del difensore (contenente la documentazione delle investigazioni difensive) . La semplificazione consiste nell'eliminare l'assunzione orale delle prove in dibattimento e nell'utilizzare i verbali degli atti di indagine ai fini della decisione. Una volta pronunciata la sentenza, questa di regola non è appellabile (art. 448, comma 2) ma può essere sottoposta a ricorso per cassazione. La legge prevede un incentivo per l'imputato che si accorda con il pubblico ministero. Nel determinare la pena, sulla quale si forma l'accordo, si deve applicare una diminuzione "fino a un terzo" ; la diminuzione opera dopo che è stato effettuato il computo delle circostanze (40) . La differenza tra patteggiamento e giudizio abbreviato. Sotto il profilo in questione il patteggiamento si distingue profondamente dal giudizio abbreviato. Infatti, l'imputato nel momento in cui chiede il rito abbreviato non conosce né l'esito del processo nel senso del proscioglimento o della condanna; né in quest'ultimo caso, l'entità della "pena base" che il giudice sceglierà e sulla quale sarà operata la riduzione di un terzo; la scelta del rito abbreviato avviene " al buio" . Viceversa, nel patteggiamento l'imputato sa in anticipo quale è la
(39)
La bibliografia in materia è molto ampia. Tra le monografie possiamo ricordare A. FURGIUELE,
L'applicazione di pena su richiesta delle parti, Napoli, 2000; F. PERONJ, La sentenza di patteggiamento, Padova, 1999; D. VrcoNI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Milano, 2000. (40) Si tratta di una diminuente che ha natura processuale. Ciò significa che la diminuzione di pena in questione viene applicata a prescindere da una qualsiasi connessione della diminuente stessa con la gravità del fatto di reato o con la personalità dell'imputato (caratteristica invece tipica delle "circostanze" in senso stretto). Una conseguenza di questa natura "processuale" della diminuente sta nel fatto che, se la pena risulta ridotta in modo tale da far scattare la prescrizione del reato, tale effetto non si verifica. Così Cass., Sez. un. 28 maggio 1 997 n. 5, Lisuzzo, in Cass. pen., 1997, 3 34 1 .
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IV.I.4.b
quantità di pena che sarà applicata se il giudice accoglierà l' aq::ordo. n sacrificio del diritto alla prova è compensato dal fatto che l'imputato, accordandosi col pubblico ministero (ovviamente con l'assistenza del difensore), incide diretta mente sulla qualità e quantità della pena, in modo da poter valutare in concreto se gli convenga abbandonare le garanzie che il dibattimento offre. D'altra parte, i princìpi ispiratori del diritto penale non sono disconosciuti: una pena mite, ma applicata con prontezza dopo il fatto di reato, ha un'efficacia di prevenzione generale superiore a una pena più grave, ma applicata a distanza di tempo, sottoponibile al giudizio di appello, "incerta" non solo relativamente al quantum, ma anche in relazione alla effettiva irrogazione della stessa. L'introduzione legislativa del patteggiamento allargato. Proprio sul l' aspetto degli incentivi è intervenuto il Parlamento che con la legge 12 giugno 2003 n. 134 ha ampliato l'ambito di applicazione dell'istituto. In seguito alle modifiche intervenute, oggi sono configurabili due distinti tipi di patteggia mento, quello "tradizionale" e quello "allargato" . Il patteggiamento " tradizio nale" (così denominato perché conosciuto nel sistema, seppure in forma diversa, fin dal 198 1 ) permette all'imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione sostitutiva o pecuniaria o su di una pena detentiva che, al netto della riduzione fino a un terzo, non supera due anni sola o congiunta a pena pecuniaria (art. 444, comma 1 ) . n patteggiamento " allargato" (introdotto dalla legge n . 134 del 2003 ) consente all'imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva (sempre al netto della riduzione fino a un terzo) sola o congiunta a pena pecuniaria. Si tratta di due configurazioni distinte di un medesimo istituto. Patteggia mento tradizionale e allargato hanno un nucleo comune di disposizioni che regolano la disciplina procedimentale e gli effetti; ma hanno anche normative differenti per quanto concerne i requisiti ed i benefici. Di esse tratteremo specificamente.
b.
n patteggiamento "tradizionale": l'aspetto preponderante dei benefici.
Il patteggiamento tradizionale si configura come un rito semplificato nel quale i benefici assumono un peso notevole, in relazione alla scelta dell'impu tato di definire immediatamente la propria situazione processuale: tra i vari benefici che spettano all'imputato per aver scelto di "patteggiare" la propria pena, l'incentivo che più spicca è senza dubbio la riduzione fino ad un terzo sulla pena da irrogarsi in concreto. L'unico vero requisito di questo tipo di rito semplificato sta nel massimo di pena detentiva sulla quale l'imputato e il pubblico ministero possono accordarsi al netto della riduzione fino a un terzo; il tetto consiste in due anni di pena detentiva soli o congiunti con pena
IV.l.4.b
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pecuniaria. Nessuna soglia massima è prevista in caso di sola pena pecunia ria (4 1 ) . Occorre evidenziare che non vi sono limiti oggettivi né soggettivi; di modo che il patteggiamento tradizionale si può applicare, almeno in linea teorica, non solo a reati indubbiamente "gravi" come quelli in materia di mafia e terrorismo, ma anche ai delinquenti abituali, professionali, per tendenza e recidivi reiterati di cui all'art. 99 comma 4 c.p. I benefici. Vari sono i benefici che si applicano all'imputato che stipuli il patteggiamento tradizionale con il pubblico ministero. In primo luogo, la parte (di regola l'imputato) può subordinare l'efficacia dell'accordo alla concessione della sospensione condizionale ad opera del giudice (art. 444, comma 3 ) . Questi, se ritiene di non concedere il beneficio (ad esempio perché è infausta la prognosi che l'imputato si astenga dal commettere altri reati) , deve rigettare la richiesta di patteggiamento. Fondamentale risulta, fin d'ora, sottolineare che il giudice del patteggiamento è vincolato ad una scelta secca: può solo irrogare la pena di cui si chiede l'applicazione oppure rigettare "in blocco" la relativa richiesta. n giudice del patteggiamento non può inter venire sul "progetto di sentenza" approntato dalle parti: gli è preclusa ogni modifica dell'accordo a cui sono giunti imputato e pubblico ministero, anche solo in relazione ad una singola clausola (come quella che subordina l'applica zione della pena richiesta alla concessione della sospensione condizionale, la quale è una clausola dell'accordo che riguarda "solo" l'esecuzione della pena "patteggiata") . In secondo luogo, l a sentenza che applica l a pena non comporta l a condanna al pagamento delle spese del procedimento penale; viceversa, l'imputato è tenuto al pagamento delle eventuali spese di mantenimento in custodia caute lare e al pagamento delle spese c.d. di giustizia, ad esempio di conservazione dei beni sequestrati. In terzo luogo, la sentenza che applica la pena non comporta l'irrogazione di pene accessorie (42) ; è evidente l'aspetto premiale poiché accade spesso che più della sanzione penale sia temibile, ad esempio, la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte. In quarto luogo, la sentenza che applica la pena non comporta l'applicazione (4 1 ) Le parti possono altresì chiedere una pena sostitutiva in luogo della pena detentiva già ridotta di un terzo (Cass., sez. un., 12 ottobre 1993, Bosco, in Foro it. , 1994, Il, 3 3 9). Oggi la sanzione sostitutiva può "sostituire" una pena detentiva fino a due anni; infatti l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 è stato modificato in tal senso dalla legge n. 134 del 2003. In particolare, la semidetenzione può sostituire la pena detentiva fino a due anni; la libertà controllata può sostituire la pena detentiva fino ad un anno; la pena pecuniaria può sostituire la sanzione detentiva fino a sei mesi. (42) Si tratta delle pene accessorie di matrice penalistica disciplinate, tra l'altro, dall'art. 19 c.p. Viceversa ricordiamo che con la sentenza di patteggiamento deve essere sempre applicata la sanzione " amministrativa" accessoria che consegue alla condanna; ad esempio, la sospensione della patente di guida. Così Cass., sez. un., 27 maggio 1998, Bosio, in Giust. pen., 1999, III, 198.
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IV.I.4.c
di misure di sicurezza; viceversa, consente di applicare la confisca nelle ipotesi nelle quali ai sensi dell'art. 240 c.p. è obbligatoria (es., prezzo del reato e quando la detenzione della cosa è illecito penale) o facoltativa (es., prodotto o profitto di reato o cosa utilizzata per commettere il reato). L'aspetto di novità contenuto nella legge n. 134 del 2003 sta nell'aver consentito al giudice di applicare la confisca di tipo facoltativo. In quinto luogo, il reato è estinto se l'imputato non commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole entro il termine di cinque anni (in caso di patteggiamento per delitto) o di due anni (in caso di patteggiamento per contravvenzione). Il comportamento penalmente corretto estingue "ogni effetto penale" (43 ) . c.
n patteggiamento "allargato".
Come abbiamo anticipato, il patteggiamento "allargato" consente all'impu tato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva in concreto, sempre al netto della riduzione fino a un terzo. Se il codice penale prevede una pena pecuniaria, anche questa deve essere ridotta fino ad un terzo: non vi è un limite massimo di quantità di pena pecuniaria né quando questa è sola, né quando è in aggiunta alla pena detentiva. In relazione a questo nuovo tipo di patteggiamento il legislatore ha posto un pesante vincolo: ai sensi dell'art. 444 comma l -bis il patteggiamento allargato è escluso nei casi che andiamo ad esporre (44 ) . Cause di esclusione oggettive. Sotto u n profilo oggettivo, una prima causa di esclusione concerne i procedimenti per i delitti di cui all'art. 5 1 comma 3 -bis c.p.p., e cioè i delitti consumati o tentati di associazione mafiosa (art. 4 16-bis c.p.), di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p . ) , di tratta di persone e i delitti commessi avvalendosi delle condizioni dell'associazione mafiosa o per agevolare tale associazione; e ancora, i delitti di associazione (43) Art. 445, comma 2, che così prosegue: quando concordano sulla entità della sanzione sostitutiva o della pena detentiva, sempre che .
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IV.I.4.d
il legislatore ha concesso alla scelta dell'imputato di non esercitare il suo diritto a difendersi in dibattimento (53 ) . Le decisioni del giudice. In presenza di una concorde richiesta dell'impu tato e del pubblico ministero il giudice (di regola nell'udienza preliminare) pronuncia una delle seguenti decisioni (art. 444, comma 2). a) S e ritiene corrette l a qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti nonché congrua la pena richiesta, il giudice con sentenza dispone l'applicazione della pena ed enuncia nel dispositivo che vi è stata richiesta delle parti. b) In caso contrario, con ordinanza rigetta la richiesta e ordina di procedersi con il rito ordinario (54) . c) Infìne, può ritenere che, sulla base degli atti, l'imputato deve essere prosciolto; in tal caso pronuncia d'ufficio sentenza con una delle formule terminative previste dall'art. 129 perché riconosce « che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità ». n giudice deve prosciogliere soltanto se risulta provata una delle cause di non punibilità indicate nell'art. 129 comma l ed appena menzionate (in sostanza, se esiste la prova di innocenza) . Occorre evidenziare che il giudice, al quale è sottoposto il progetto di sentenza sul quale concordano l'accusa e la difesa, deve applicare una regola di giudizio differente da quella prevista dall'art. 530, comma 2 . In dibattimento il giudice proscioglie sia se vi sono prove dell'innocenza, sia in presenza del dubbio sulla reità. Viceversa, nel caso di concorde richiesta della pena, il giudice, se anche per ipotesi ritenesse che il pubblico ministero non ha eliminato ogni ragionevole dubbio sulla reità, deve pronunciare sentenza di patteggiamento perché l'art. 442, comma 2, non gli lascia alternative (55 ) . D comportamento dell'imputato. L a richiesta di applicazione di pena, formulata dall'imputato e non accolta dal pubblico ministero o dal giudice, non può essere utilizzata nella motivazione di una successiva sentenza come " argo mento" al fine di dimostrare la reità. n comportamento dell'imputato è soltanto una rinuncia a difendersi e può essere fondato sui più vari motivi, come quello di evitare i costi e la pubblicità del dibattimento. Pertanto è opportuno che al (53) Ai fini della valutazione della congruità della pena il giudice si ispirerà, è da ritenere, ai criteri di cui all'art. 133 c.p. Inoltre egli dovrà valutare anche la pericolosità sociale dell'imputato (Corte cost., ord. n. 27 1 del 1995). (54) n dissenso manifestato dal pubblico ministero o il rigetto della richiesta da parte del giudice dell'udienza preliminare comportano l'obbligatorio proseguimento del rito ordinario. In ciascuna delle due ipotesi l'imputato può rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado e in tal sede il giudice dibattimentale controllerà la correttezza del diniego del pubblico ministero e del rigetto del giudice. Sul punto si veda in/ra. (55) R. ORLANO!, Procedimenti speciali, in G. CoNSO - V. GREVI, Compendio di procedura penale, Padova, 2003, 572; P. FERRuA, Il 'giusto processo', 2 ed., Bologna, 2007, 75-78.
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giudice sia sempre consentito di valutare la possibilità di prosciogliere l'impu tato ai sensi dell'art. 129, anche se è stato perfezionato un patteggiamento tra accusa e difesa (art. 444, comma 2) (56) . La mancata tutela della parte civile. La parte civile è il soggetto maggior mente sacrificato dal patteggiamento. Ai sensi dell'art. 444 comma 2 il giudice, quando accoglie la concorde richiesta dell'imputato e del pubblico ministero, non può decidere sulla richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato. Pertanto, la sentenza di patteggiamento non rende giustizia al danneggiato, che è costretto ad iniziare un defatigante processo civile (57 ) . In tal caso, il danneggiato può proporre l'azione di danno in sede civile senza che vi sia sospensione di tale processo, poiché l'art. 444 comma 2 deroga espressamente all'art. 75 comma 3 . Per espresso disposto dell'art. 444, comma 2 il giudice, quando accoglie la concorde richiesta di applicazione della pena, deve condannare l'imputato a risarcire le spese processuali sostenute dalla parte civile, salvo che ncorrano giusti motivi di compensazione totale o parziale. La non menzione nel certificato del casellario giudiziale richiesto dall'interessato. Nel certificato generale del casellario giudiziale richiesto dall'interessato non devono essere riportati i « provvedimenti previsti dall'art. 445 del codice di procedura penale » (58). Poiché il richiamo è fatto generica mente all'art. 445 , la non menzione si applica alle due forme di patteggia mento (59). e.
Natura ed effetti della sentenza di patteggiamento.
Problemi di compatibilità costituzionale. L'applicazione della pena su (56) Occorre tenere presente che il patteggiamento, pur ispirandosi al plea bargaining statunitense, se ne discosta sensibilmente sotto due punti di vista. Innanzitutto, non presuppone una ammissione di responsabilità. In secondo luogo, il giudice non è vincolato ad accogliere la richiesta delle parti: qualora ritenga la pena non congrua, egli può rigettare in blocco l'accordo delle parti. (57) All'interno del quale dovrà essere fornita nuovamente una prova della colpevolezza dell'imputato. Questo accade perché la sentenza che applica la pena "patteggiata" non costituisce titolo idoneo a provare la responsabilità del condannato-patteggiante nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno. Ad ogni modo, nella prassi spesso il pubblico ministero non presta il consenso al patteggiamento quando l'imputato non ha proweduto a risarcire il danno. Si tratta di una prassi contra legem, che si fa carico di un'esigenza che il legislatore non ha voluto considerare. Occorre tenere presente che l'aver risarcito il danno consente all'imputato di usufruire della attenuante prevista dall'art. 62 6 (lm c.p. ' (58) Art. 24 comma l lett. e d.p.r. novembre (lr 2002 3 13 ( ( unico � i del � casellario � giudiziale) che
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richiesta delle parti ha destato numerose perplessità in ordine alla sua compa tibilità con alcuni princìpi costituzionali. Le frizioni del patteggiamento con il dettato costituzionale sono dovute alla difficile conciliabilità tra le sue due componenti: quella negoziate e quella giurisdizionale. La compatibilità dell'isti tuto in esame con i princìpi costituzionali dipende da come vengono bilanciati questi due aspetti. In altre parole, si tratta di stabilire in maniera adeguata fino a che punto possano spingersi i poteri dispositivi delle parti che scelgono di accordarsi e quali sono i doveri accertativi del giudice. li nostro legislatore, però, non ha fissato con la dovuta chiarezza il punto di equilibrio tra la componente negoziale e quella giurisdizionale. Questo spiega perché una delle questioni maggiormente dibattute in materia di patteggiamento sia stata e continui ad essere quella relativa alla natura della sentenza che applica la pena richiesta dalle parti. La "equiparazione" tra la sentenza che applica la pena su richiesta e la condanna. Procedendo con ordine, merita ricordare il disposto dell'art. 445, comma l -bis, a mente del quale, « salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna » (60). Dal punto di vista dei contenuti, come si è accennato, l'art. 444 , comma 2 afferma solo che la sentenza in esame viene emessa quando « non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 » e « sulla base degli atti »; null' altro prevede la norma con riguardo al contenuto probatorio. Dalla lettura dell'art. 445 si ricava che il codice del 1 988 non ha voluto qualificare come condanna la sentenza di patteggiamento. La ragione della scelta originaria è resa palese dalla Relazione al progetto preliminare del codice: la decisione del giudice avrebbe dovuto prescindere, nelle intenzioni del legislatore, da « un positivo accertamento della responsabilità penale ». L'impostazione recepita dal codice del l988, peraltro, ha sollevato una serie di riserve di legittimità costituzionale soprattutto con riferimento al principio nulla poena sine iudicio. Infatti, saremmo in presenza di un meccanismo in virtù del quale la sanzione penale verrebbe applicata a prescindere da una condanna e, quindi, da un accertamento di responsabilità nei confronti di un imputato che è, ricordiamolo, presunto innocente (art. 27, comma 2 Cast.) (61 ) . Una simile lettura appare confliggere anche con il principio costituzionale relativo alla indisponibilità della libertà personale (art. 13 comma l Cast. ) . L e riserve appena menzionate s i sono aggravate negli anni a causa d i due fenomeni convergenti. Da un lato, come vedremo tra breve, si sono registrati (60) Il fatto che il codice utilizzi il termine >. La legge n. 475 del l999 prevede, a tutela della trasparenza in materia di appalti pubblici, alcune cause di incapacità tra cui l'aver riportato sentenza di patteggiamento. n d.p.r. n. 34 del 2000, in materia di lavori pubblici, all'art. 7 comma 7 lett. e prevede che non possano svolgere attività di attestazione le società quando nei confronti degli amministratori delle stesse sia stata pronunciata >. n decreto ministeriale n. 1 64 del l999 pone tra i requisiti soggettivi dei componenti del consiglio di amministrazione e dei collegi dei sindaci il non aver riportato condanne, anche non definitive, o sentenze ex art. 444 per reati finanziari. In materia di ambiente la legge n. 426 del 1999 ed il d.lgs. n. 152 del 1 999 sulla tutela delle acque richiamano, accomunandole, la sentenza applicativa di pena su richiesta delle parti e la sentenza di condanna. Nella normativa speciale antimafia lo status di condannato a norma dell'art. 444 è equiparato a quello di condannato con sentenza dibattimentale: si veda l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306 convertito in legge 7 agosto 1992 n. 356. La legge n. 128 del 2001 ha previsto che la sospensione condizionale concessa con la sentenza di patteggiamento può essere revocata così come avviene per la sospensione concessa con la sentenza di condanna (art. 168, comma 3 c.p.). In base agli artt. 609-septies e 609-nonies c.p., mod. dalla legge n. 38 del 2006, la sentenza di patteggiamento comporta, alla pari della sentenza di condanna in relazione ad alcuni delitti di violenza sessuale, l'interdizione perpetua da ogni incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio e servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Per quanto riguarda gli eHetti "processuali" i problemi erano minori, perché il codice del 1 988 aveva disciplinato direttamente la materia. Si vedano le norme del codice di procedura penale in tema di esecuzione della pena (art. 656 comma l ) e di effetti nel procedimento cautelare personale (art. 3 00 comma 4); si veda anche la norma sulla iscrizione nel casellario giudiziale, e cioè l'art. 3 d.p.r. 14 novembre 2002, n. 3 13 (TUCG) che ha sostituito l'art. 686 comma l lett. a c.p.p.
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processuale, che hanno contribuito a rendere ineludibile la questione della natura della sentenza di patteggiamento. l) Anzitutto, la legge n. 97 del 200 1 ha sancito che la sentenza di patteggiamento è equiparata alla condanna ai fini degli effetti del giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità (art. 653 ; es. , presso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati). Infatti, l'art. 445 , comma l -bis, stabilisce che la sentenza in oggetto non ha l'efficacia del giudicato nei giudizi civili o amministrativi « salvo quanto previsto dall'art. 653 ». Dalla lettura di quest'ultima norma, si ricava peraltro una indicazione dirimente. Infatti, l'efficacia di giudicato è riconosciuta soltanto a quelle sentenze di patteggiamento, che contengano un « accertamento » del fatto. 2) Inoltre, la legge n. 134 del 2003 ha equiparato la sentenza di patteggia mento alla condanna ai fini della possibilità di revisione (nuovo art. 629 c.p.p. ) (63 ) . Anche in relazione a tale materia, la modifica normativa sortisce effetti rilevanti. Infatti, come vedremo in/ra, la revisione può essere chiesta quando i « fatti stabiliti a fondamento » di una sentenza irrevocabile non possono conciliarsi con quelli accertati in altra sentenza (art. 63 0, lett. a) . In sostanza, la richiesta di revisione per contrasto tra giudicati postula che si verifichi un conflitto tra due sentenze che recano accertamenti contrastanti (64 ) . 3 ) Una ultima rilevante indicazione si trae d a una pronuncia delle Sezioni unite. TI Supremo collegio ha risolto un contrasto giurisprudenziale affermando che la sentenza di applicazione della pena è idonea a provocare la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso da altro giudice (65 ) . Dall'articolato percorso motivazionale della pronuncia si ricava che la Corte ha riconosciuto implicitamente la natura accertativa della sentenza di patteggiamento. L'effetto risolutivo della sospensione, infatti, ha come presupposto l'accertamento della commissione da parte dell'imputato di un nuovo reato che fa venir meno la prognosi di ravvedimento e mina le basi del giudizio di meritevolezza che aveva portato a concedere il beneficio. La natura della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Alla luce di quanto fin qui prospettato, è possibile affrontare il problema della natura accertativa o meno della sentenza di patteggiamento. Sulla configurabilità di un obbligo del giudice di operare un accertamento della responsabilità dell'imputato si registra una
(63) In passato la giurisprudenza aveva escluso che la sentenza di patteggiamento potesse essere sottoposta a revisione. Così Cass., sez. un., 25 marzo 1998, Giangrasso, in Cass. pen., 1999, 155. (64) In tal senso, G. Lozz1, Una sentenza sorprendente in tema di patteggiamento allargato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 67 1 . Contra, Cass., 4 marzo 2004, Anizi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 668: è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. l, L 134 del 2003 (sul patteggiamento allargato) nella parte in cui, ampliando il patteggiamento, non indica l'obbligo che la sentenza >. (65) Cass., sez. un., 29 novembre 2005-23 maggio 2006, n. 17781 , Diop Oumar, in Cass. pen., 2006, 2769.
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marcata divaricazione tra due opposti filoni interpretativi. A quanti ritengono indispen sabile un accertamento del genere (66) si oppongono coloro che negano la configura bilità di un accertamento giudiziale, anche soltanto implicito, collegato all'irrogazione di una pena "patteggiata" (67 ) . L a tesi della natura accertativa, sostenuta dalla dottrina maggioritaria, ha sempre ribadito la necessità che la sentenza di patteggiamento contenga un accertamento di responsabilità, in quanto non è possibile applicare una pena in assenza di un giudizio di colpevolezza (nulla poena sine iudicio) . La negazione della natura accertativa rende rebbe la disciplina del rito speciale costituzionalmente illegittima sotto due profili. Anzitutto, come si è già accennato, in relazione alle norme della Costituzione che sanciscono l'indisponibilità dell'oggetto del processo penale (artt. 13 , 24, comma 2, 27, comma 2, 1 1 1 , commi 2, 4, 5 e 6 Cost.). Infatti, ammettere che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti possa prescindere da un accertamento di responsabilità significa riconoscere all'imputato la possibilità di disporre della propria libertà personale in aperto contrasto con l'art. 13 Cost., che ne sancisce l'inviolabilità intesa anche come irrinunciabilità. Si avrebbe, inoltre, una violazione dell'art. 27, comma 2 Cast. che stabilisce la presunzione di innocenza. Secondo altri, infine, si determinerebbe anche una violazione dell'obbligo di motivazione di cui all'art. 1 1 1 , comma 6 Cast., nella misura in cui la sentenza di patteggiamento sarebbe priva di motivazione. La tesi della natura non accertativa è stata a lungo suffragata dalla giurisprudenza sulla base di un dato letterale e cioè sul fatto che il codice parla della sentenza di patteggiamento come di un provvedimento autonomo e distinto dalla sentenza di condanna e ad essa soltanto equiparato con riguardo a determinati effetti. In partico lare, alla motivazione della sentenza di patteggiamento non potrebbe applicarsi inte gralmente il modello di cui all'art. 546 comma l lett. e c.p.p. (68). Pertanto, il giudice non sarebbe tenuto ad indicare le prove poste a base della decisione, né, tanto meno, ad enunciare le ragioni per cui ritiene non attendibili le prove contrarie (69).
(66) La necessità di un accertamento della responsabilità è stata ritenuta indispensabile già dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3 13 del 1 990. Si è detto che il giudice non è vincolato alla volontà delle parti bensì soltanto alla legge (art. 101 Cost.); non può essere il notaio di scelte operate da altri. Pertanto la sua decisione di accoglimento dell'accordo deve contenere un accertamento della responsabilità dell'impu tato. Soltanto in presenza di un accertamento siffatto si può applicare una limitazione della libertà personale. La soluzione evita frizioni con i princìpi costituzionali in precedenza menzionati, ma ha il difetto di non avere riscontri nella lettera del codice, che anzi esclude la configurabilità di una condanna in senso proprio. (67) Cass., sez. un., 26 febbraio 1997, Bahrouni, in Dir. pen. proc., 1997, 1984; Cass., Sez. un., 28 maggio 1 997, Lisuzzo, in Foro it. , 1997, II, 670. L'affermata estraneità alla sentenza di condanna permetteva allora di evitare la revoca di una precedente sospensione condizionale, oggi invece imposta dal nuovo terzo comma dell'art. 168 c.p. mod. dalla legge n. 128 del 200 1 . (68) S i veda, Cass., sez. un., 2 7 marzo 1992, Di Benedetto, i n Cass. pen., 1 992, 2060. I n tale pronuncia si distinguono ambiti positivi e negativi della motivazione. Le delibazioni positive (quanto alla sussistenza dell'accordo, alla sua correttezza, alla congruità della pena ed alla concedibilità della sospensione, se richiesta) devono essere sorrette da concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto; mentre per quelle negative (quanto alla esclusione di cause di non punibilità, improcedibilità o estinzione del reato) è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge (salvo che dagli atti risultino elementi concreti in senso contrario) . (69) Secondo u n diverso orientamento dottrinale anche l a sentenza di patteggiamento deve sottostare
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IV.I.4.e
La tesi appena menzionata, tuttavia, si è formata in un momento nel quale la pena patteggiata doveva essere contenuta fino a due anni e, di fatto, l'imputato la chiedeva subordinandola alla concessione della sospensione condizionale. In seguito alla legge n. 134 del 2003 la sentenza che accoglie il patteggiamento può applicare una pena detentiva fino a cinque anni: risulta più difficile sostenere che si possano irrogare anni di carcere senza un accertamento " neanche implicito" del fatto di reato e, conseguen temente, della colpevolezza dell'imputato. Inoltre, gli interventi normativi e giuri sprudenziali, già ricordati, nel riconoscere al patteggiamento effetti tipici della sentenza di condanna, sembrano partire dal presupposto che, anche a fronte dell'irrogazione di una pena "patteggiata " , un qualche accertamento del fatto di reato possa esserci. Non accettabilità delle tesi opposte. A nostro awiso, nessuna delle due tesi prospettate può essere condivisa nella loro affermazione più radicale. Da un lato, ove si abbia riguardo alle recenti evoluzioni appare innegabile la natura accertativa della sentenza di patteggiamento. Da un altro lato, il tipo di giudizio richiesto al giudice dalla disciplina normativa espressa e la natura deflativa del rito speciale, che impone rapide cadenze al procedimento, rendono illusorio e inattuabile un obbligo di motivazione coincidente con quello richiesto per la condanna.
L'accertamento incompleto su consenso dell'imputato. Appare convincente una tesi, più equilibrata, secondo la quale la sentenza che accoglie il patteggia mento contiene un accertamento incompleto (70) . Questa soluzione concilia le esigenze di rispetto dei princìpi costituzionali con la necessità di mantenere im mutato nella sua sostanza un rito speciale che dal 1988 ha dato buona prova della propria funzione deflativa. D'altronde, l'art. 1 1 1 comma 5 Cost. consente espres samente una deroga al principio del contradditorio nella formazione della prova in presenza del consenso dell'imputato. Da questa norma pare p otersi ricavare che l'accertamento della responsabilità sia una regola moderatamente disponibile, tale da ammettere che il giudice possa limitarsi alla verifica essenzialmente negativa della non esistenza di una causa di non punibilità. Insomma, l'art. 1 1 1 Cost. non impone un unico tipo di accertamento eguale per tutte le situazioni; permette che vi sia un accertamento incompleto su consenso dell'imputato, purché un minimo di accertamento ci sia comunque. Riteniamo accettabile questa ricostruzione sistematica. Con l'accordo delle parti si attua una forma di dialettica che non elimina, bensì attenua l'onere della prova in capo al pubblico ministero. La presunzione di innocenza resta, dunque, salva come regola probatoria. L'imputato rinuncia soltanto a quella garanzia che consiste nella regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, rendendo più lieve l'onere del pubblico ministero (7 1 ) . In sostanza, il giudice non può rigettare la al modello normativo delineato negli artt. 192 e 546, comma l, lett. e c.p.p. Si veda per tutti F. CoRDERO, Procedura penale, 6a ed., Milano, 200 1 , 1 0 1 3 . (70) P. FERRUA, Il 'giusto processo' , 2 ed., Bologna, 2007, 75-78; M. GrALUZ, Applicazione della pena su richiesta delle parti, in Enc. Dir., Annali, II, tomo l , 2008, 13-25 . (7 1 ) Sulla distinzione tra onere sostanziale della prova e quantum si veda supra, Parte II, cap. 3, § 6.
IV.I.4./
I procedimenti speciali
739
richiesta di patteggiamento "per incompletezza delle indagini" . In presenza di un minimo di prove di reità ed in mancanza di una prova piena di innocenza ai sensi dell'art. 129, il giudice, nel dubbio, non può rigettare la richiesta, né disporre l'acquisizione di nuove prove, ma deve emettere sentenza di patteg giamento. Se questa forma di dialettica oltre a soddisfare le reciproche esigenze delle parti, che ne sono protagoniste, attua anche le esigenze di ragionevole durata, è evidente che la si può utilizzare "a fin di bene" , nella misura in cui consente di ridurre i tempi del processo, come impone l'art. 1 1 1 , comma 2 Cost. La lettura che proponiamo ha, a nostro avviso, il pregio dell'onestà intellettuale: non si finge che ci sia un accertamento che in realtà non esiste, bensì si permette un accertamento di intensità minore. In sostanza, la differenza tra la sentenza di condanna e quella di patteggia mento risiede nel diverso grado di approfondimento della cognizione del giudice. li giudice del patteggiamento, infatti, non effettua un accertamento pieno della responsabilità dell'imputato; egli deve limitarsi a motivare sulla fondatezza degli elementi a carico risultanti all'esito delle indagini e sulla impossibilità di applicare l'art. 129. Su questo aspetto, riteniamo che la giurisprudenza sia chiamata ad operare: è necessario controllare che quell'obbligo di motivazione, che è imposto dalla Costituzione, sia attuato nel suo nucleo irrinunciabile (72) . f.
Il diritto di difendersi "negoziando": il controllo sulla ragionevolezza del rigetto della richiesta di pena.
Il dissenso manifestato dal pubblico ministero o il rigetto della richiesta da parte del giudice dell'udienza preliminare comportano l'obbligatorio proseguimento del rito (72) La motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti può risolversi, in buona sostanza, in una formula ridotta la cui esclusiva funzione consiste nell'esplicitare al corpo sociale le ragioni del provvedimento giurisdizionale emesso. In tal caso, dunque, la motivazione svolge precipuamente una funzione extraprocessuale, di giustificazione nei confronti del corpo sociale. Sulla base della soluzione interpretativa appena esposta, è possibile affermare che già attualmente la legge ordinaria consente al giudice per volontà delle parti, se non proprio di eludere la motivazione, comunque di formulare un apparato motivo alquanto sintetico, derogando esplicitamente al vincolo della " completezza". L'istituto è espressione di un metodo di amministrazione del processo penale che prende il nome di "giustizia consensuale" . Le parti possono consentire o accordarsi su determinati istituti processuali al fine di anticipare l'epilogo del procedimento penale: il giudice comunque conserva il potere di porre nel nulla le scelte processuali delle parti stesse e di far seguire al procedimento il suo svolgimento ordinario, se la forma "contratta" di composizione dell'illecito penale non consente di compiere un accertamento del fatto di reato e quindi non rende possibile un giudizio sulla responsabilità dell'imputato. L'organo giudicante è vincolato soltanto alla legge e svolge un controllo sugli atti di indagine che le parti concordemente gli forniscono al fine di giustificare l'irrogazione della pena "patteggiata" di cui chiedono l'applicazione. Si tratta degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ed eventualmente delle risultanze delle investigazioni difensive poste in essere dal difensore. Gli elementi raccolti dalle parti costituiscono la "base probatoria" su cui il giudice è chiamato a verificare la legittimità e la fondatezza della pena di cui le parti chiedono l'applicazione.
740
I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.I.4j
ordinario. In ciascuna delle due ipotesi l'imputato può « rinnovare » la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 448 comma l ) (73 ) . La norma appena citata stabilisce altresì che « la richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice ». n consenso del pubblico ministero in dibattimento. A questo punto, se il pubblico ministero presente in udienza consente, il giudice del dibattimento ha il potere di valutare la richiesta; « se la ritiene fondata, pronuncia immediatamente sentenza » (art. 448 comma 1). Una disciplina del genere, da un lato, consente il controllo sul precedente diniego o rigetto; da un altro lato, è ispirata ad una istanza di semplifica zione, perché non impone di celebrare comunque il dibattimento al fine di valutare se la richiesta è fondata o meno. Occorre sottolineare come la previsione che il giudice del dibattimento possa sindacare il rigetto del precedente giudice, sembri trasformare il controllo in una nuova delibazione della richiesta effettuata allo stato degli atti, senza il supporto delle risultanze dibattimentali (74) . In tal modo la rinnovazione della richiesta diviene una sorta di "gravame" sull'operato del giudice dell'udienza preliminare. n dissenso del pubblico ministero in dibattimento. Dobbiamo ora esaminare l'ipotesi in cui il magistrato del pubblico ministero, di fronte alla richiesta di pena " rinnovata" dall'imputato prima dell'apertura del dibattimento, neghi il proprio con senso. In tal caso il giudice del dibattimento non può accogliere immediatamente la richiesta formulata dall'imputato poiché sacrificherebbe il diritto alla prova spettante alla pubblica accusa (75) . n potere del giudice di pronunciare sentenza malgrado il dissenso del pubblico ministero può essere esercitato soltanto dopo la chiusura del dibattimento quando il giudice stesso è in grado di valutare, alla luce delle prove raccolte, se le ragioni del dissenso della pubblica accusa erano giustificate.
(73 ) Cass., sez. VI, 19 gennaio - 3 giugno 2010, n. 20794, Lazhar Hassene, in www.dirittoegiustizia, 10 giugno 2010: « il termine "rinnovare" di cui all'art. 448, primo comma secondo periodo, c.p.p. non può essere interpretato nel senso che la riproposizione della richiesta di patteggiamento sia formulata in termini identici ad altra precedente, ma evoca il significato di "nuova richiesta", secondo quanto osservato anche dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 426/200 1 . La richiamata norma, secondo cui, nel caso di dissenso del P.M., l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può "rinnovare" la richiesta di cui all'art. 444, co. l c.p.p., deve essere, pertanto, interpretata nel senso che la nuova domanda non deve reiterare quella precedente ( . . . ) . L a preclusione d i una "nuova richiesta", intesa come " diversa richiesta", è prevista unicamente in caso di opposizione a decreto penale, ipotesi nella quale l'istanza ex art. 444 c.p.p., proposta contestualmente all'opposizione al decreto penale di condanna, una volta rigettata dal giudice, può essere riproposta all'apertura del conseguente dibattimento, solo se reitera esattamente quella precedente. La preclusione di cui all'art. 464, co. 3 c.p.p., infatti, attiene alla richiesta di patteggiamento presentata per la prima volta nel giudizio conseguente all'opposizione al decreto penale, sicché la fedele reiterazione di una precedente richiesta costituisce il presupposto perché possa esercitarsi il sindacato del giudice del dibattimento sulla precedente decisione di rigetto >>. (74) Cfr. F. PERONI, La sentenza dipatteggiamento, cit. , 23 1 . Si veda l'art. 135 disp. att., introdotto dalla legge n. 479 del 1999: . Tuttavia, per un verso >. In secondo luogo, perché il procedimento davanti al giudice di pace è improntato a marcata rapidità e semplificazione di forme. Infine, perché prima della legge n. 46 del 2006 colui che si trovava in una posizione di svantaggio, rispetto ai poteri di appello della pubblica accusa, era l'imputato, (Cass. pen., sez. V, 13 luglio 2007, n. 4043 1 ) . Successivamente l a Corte h a ribadito che > (art. 570 comma 3 ) .
V.I.3
Princìpi generali sulle impugnazioni penali
827
tuttavia un soggetto tecnicamente qualificato possa valutare per lui l'opportu nità dell'impugnazione. In applicazione delle regole generali, i rapporti tra l'impugnazione dell'im putato e quella del suo difensore sono risolti nel senso della prevalenza dell'impugnazione dell'imputato rispetto a quella del difensore tecnico: « l'im putato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore » (art. 57 1 comma 4) ( 1 1 ) . Impugnazione della parte civile. Il codice riconosce alla parte civile un autonomo potere di impugnazione limitatamente alla tutela dei propri interessi civili (art. 576); occorre naturalmente che costei abbia conservato tale posizione fino al termine del dibattimento ed abbia presentato le proprie conclusioni scritte (artt. 523 comma 2 e 82 comma 2 ) . La legge n. 46 del 2006 ha eliminato l'inciso in base al quale la parte civile aveva il diritto di proporre impugnazione « con il mezzo previsto per il pubblico ministero » (art. 576 mod.). Come vedremo nel prosieguo, tale modifica ha dato luogo ad accesi contrasti interpretativi in relazione alla legittimazione della parte civile a proporre ap pello. La parte civile può proporre impugnazione, per i soli interessi civili, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile (art. 576 comma 1 ) . Ad esempio, può proporre impugnazione nel caso in cui il risarcimento sia stato negato o riconosciuto in misura inferiore a quella dovuta. La parte civile può impugnare, per i soli interessi civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata in giudizio (art. 576 comma 1 ) . Ai sensi dell'art. (l l) Con la sentenza 4 dicembre 2009, n. 3 17, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell'art. 175, comma 2 nella parte in cui, così come interpretato nel diritto vivente, non consente all'imputato la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, quando analoga impugnazione sia stata già proposta dal difensore. In precedenza, infatti, le Sezioni unite avevano ritenuto che l'impugnazione del difensore avesse l'effetto di precludere la restituzione nel termine per impugnare in favore dell'imputato. Ad avviso del Supremo collegio una simile conclusione era imposta dal principio di unicità del diritto di impugnazione e da quello della ragionevole durata del processo (così Cass., sez. un., 3 1 gennaio - 7 febbraio 2008, n. 6026, Huzuneanu, in Cass. pen., 2008, 2358, e in Guida dir. , 2008, 15, 86 e, successivamente, Cass., sez. I, 1 1 novembre 2008, n. 33 del 2009; Cass., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 8429 del 2009). La Corte costituzionale ha utilizzato come parametri gli artt. 24, 1 1 1 , comma l, e 1 17, comma l Cost. In particolare quest'ultima norma è stata posta in relazione all'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo. li Giudice delle leggi ha messo in rilievo ; e poiché nell'art. 175, comma 4 , non è stato operato alcun richiamo alle forme dell'art. 127, ne deriva che alla deliberazione sulla richiesta di restituzione si deve provvedere de plano. Così, Cass. , sez. un., 1 1 aprile 2006, D.P., in CED 233418.
VI.II.6
L'esecuzione penale
93 1
mento sia stato pronunciato per estinzione del reato verificatasi successivamente alla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna: è allora que st'ultima a dover essere eseguita (art. 669 comma 8). Inoltre, nel caso in cui più sentenze di condanna per il medesimo fatto abbiano disposto pene diverse, fermo restando un criterio analiticamente descritto al comma 3 , l'interessato ha co munque facoltà di indicare la pena che deve essere eseguita (art. 669 comma 2 ) . - d.3. Concorso formale e reato continuato. Fra gli interventi modificativi del titolo esecutivo, un ruolo nella prassi assai importante è svolto dalla disposizione contenuta nell'art. 67 1 , che consente l'applicazione in fase di esecuzione della disciplina del concorso formale e del reato continuato fra più sentenze o decreti penali divenuti irrevocabili (v. tav. 6.2 . 14). Tale previsione risulta di grande importanza perché permette di evitare sperequazioni fra chi viene giudicato in un unico processo per diversi episodi riuniti in continuazione o in concorso formale e chi, al contrario, per analoghi episodi subisce più processi. Infatti, ove il processo sia stato riunito, la pena è stata determinata dal giudice di cognizione aumentando fino al triplo la pena che dovrebbe essere inflitta per la violazione più grave; ove i processi si siano svolti separatamente, in sede di esecuzione dovrebbe essere disposto il cumulo materiale fra le pene indicate nelle varie sentenze. L'art. 67 1 prevede che il giudice, qualora ritenga presenti i presupposti del reato continuato o del concorso formale di reati, e questi non siano stati esclusi dal giudice della cognizione, applichi la disciplina del concorso formale e del reato continuato determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascun provvedimento (art. 8 1 c.p.); a tal fine deve essere instaurato a richiesta di parte il procedimento di esecuzione. Assume grande rilievo la circostanza che in questa sede il giudice possa, ove ricorrano i presupposti, disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel certificato del casellario giudiziale. In base ad una modifica legislativa (legge 5 dicembre 2005 n. 25 1 ) che ha investito il codice penale e conseguentemente quello di procedura, l'aumento di pena non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, quando al soggetto è stata applicata la recidiva reiterata, di cui all'art. 99 comma 4 c.p. n legislatore ha sottolineato il fatto che, fra gli elementi che incidono sul l' applicazione della disciplina del reato continuato, vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza (d.l. 30 dicembre 2005 , n. 272 art. 4-vicies, introdotto in sede di conversione dalla l. 2 1 febbraio 2006, n. 49). - d.4. Revoca di altri provvedimenti. L'art. 674 prevede il potere del giu dice dell'esecuzione di disporre la revoca di una serie di benefici già concessi ma condizionati (sospensione condizionale della pena, grazia, amnistia e indulto con dizionati, non menzione nel certificato del casellario giudiziale), quando la revoca medesima non sia stata disposta con la sentenza di condanna per altro reato.
Il giudicato e l'esecuzione penale
932
VI.II.6
d.5. Falsità di documenti. li giudice dell'esecuzione è inoltre compe tente a dichiarare la falsità di un atto o di un documento quando questa, pure accertata nella sentenza a norma dell'art. 53 7 , non sia stata dichiarata nel dispositivo della sentenza (art. 675) . - d.6. Revoca della sentenza per abrogazione del reato (art. 673). Dopo che una sentenza è divenuta irrevocabile, può accadere che una legge abroghi quella norma penale incriminatrice sulla base della quale il giudice aveva pronunciato la sua decisione. Può anche accadere che la Corte costituzionale dichiari illegittima la norma incriminatrice, come è avvenuto con la sentenza n. 126 del 1968 in relazione all'adulterio. In detti casi, « se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali » (art. 2 comma 2 c.p. e art. 30 comma 4 legge n. 87 del 1 953 ) . Il codice di procedura penale non si limita, come affermano le disposizioni citate, ad eliminare l'esecuzione e gli effetti della decisione, bensì incide diret tamente sulla sentenza, imponendone la cancellazione (v. tav. 6.2. 1 1 ) . In base all'art. 673 , il giudice dell'esecuzione deve revocare la sentenza e adottare i prov vedimenti conseguenti, tra i quali l'eliminazione della iscrizione nel casellario giudiziale. Una simile disciplina è una novità introdotta dal codice del 1988 ed è coerente con i più penetranti poteri riconosciuti al giudice dell'esecuzione e con il carattere giurisdizionale di tale fase (Corte cast. n. 96 del 1996) . Presupposti per la revoca della sentenza. Un presupposto per la revoca è la esistenza di una sentenza di condanna irrevocabile per un reato che è stato abrogato; ad essa è equiparato il decreto penale di condanna divenuto esecutivo (art. 673 comma 1 ) . La giurisprudenza ritiene equiparabile anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ( 16) . Altro presupposto per la revoca è la esistenza di una abolitio criminis, che può essere totale in quanto il reato è stato depenalizzato (es., legge n. 689 del 1 98 1 ) o in quanto una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo un articolo del codice penale (es. delitto di plagio previsto dall'art. 603 c.p.; C. cast. n. 96 del 198 1 ) . L a abolitio criminis parziale è rilevante ave in concreto l a condotta accertata dalla sentenza risulti non più punibile in base alla nuova norma. Ciò può avvenire, ad esempio, a seguito del d.lgs. n. 61 del 2002 che ha modificato la fattispecie incriminatrice del reato di false comunicazioni sociali (art. 262 1 c.c.). La giurisprudenza più recente afferma che il giudice dell'esecuzione deve interpretare il giudicato e renderne esplicito il contenuto ed i limiti, desumendo dalla decisione tutti gli elementi già accertati; non può ricostruire la vicenda in termini differenti, né può valutare i fatti accertati in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice di cognizione, perché ciò è impedito dal giudicato. ( 16)
Cass., 15 gennaio 2002, Candido, in Cass. pen. , 2003 , 94 1 .
VI.II.6
L'esecuzione penale
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Procedimento. n procedimento è attivabile da una richiesta del pubblico ministero, della persona interessata o del suo difensore (art. 666). La competenza a provvedere spetta al giudice dell'esecuzione, che procede in camera di consiglio ai sensi dell'art. 666. Ove la richiesta non sia respinta, il giudice dell'esecuzione dispone la revoca della sentenza e dichiara che « il fatto non è previsto dalla legge come reato »; quindi « adotta i provvedimenti conseguenti », e cioè ordina che siano eliminate le pene principali, quelle accessorie, le misure di sicurezza e ogni altro effetto penale. Inoltre, il giudice ordina la annotazione della propria deci sione sull'originale della sentenza di condanna a cura della cancelleria (art. 1 93 disp. att.); infine, dispone che sia eliminata la relativa iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 5 comma 2 lett. a del Testo unico. Limiti della revoca della condanna. La giurisprudenza afferma che la confisca non può essere travolta, poiché si tratta di una situazione giuridica da considerarsi ormai esaurita ( 17 ) . Non è possibile, per carenza dei relativi presupposti, la riparazione dell'errore giudiziario, né la riparazione per ingiusta detenzione. La revoca di determinate sentenze di proscioglimento. Tra le sentenze di proscioglimento ne esistono due tipi che possono comportare effetti pregiudi zievoli per l'imputato: si tratta di quelle sentenze di proscioglimento e di non luogo a procedere che abbiano affermato la estinzione del reato o la mancanza della imputabilità; si pensi, in quest'ultimo caso, che residua la possibilità di applicare misure di sicurezza. Ai sensi dell'art. 673 comma 2, la abolitio criminis impone al giudice dell'esecuzione di ordinare la revoca della sentenza di proscioglimento pronunciata con una delle formule menzionate; il giudice emanerà la più favo revole declaratoria che « il fatto non è previsto dalla legge come reato ». - e. I casi in cui il giudice provvede senza formalità. In alcuni casi espres samente previsti dalla legge (artt. 667 , 672 e 676) il procedimento garantito di cui all'art. 666 è sostituito da un procedimento semplificato, c.d. a contraddittorio differito, disciplinato dal comma 4 dell'art. 667 . In questi casi il giudice, una volta ricevuta la richiesta, decide senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato. Solo se le parti faranno opposizione davanti allo stesso giudice - entro quindici giorni dalla comunicazione o notificazione - si attiverà l'ordinaria procedura di cui all'art. 666. - e. l. Dubbio sull'identità fisica della persona detenuta. L'art. 667 disciplina l'ipotesi in cui emergano dubbi sull'identità della persona arrestata per l'esecuzione di una pena. n rischio che possa essere limitata la libertà personale di una persona differente dal condannato impone al giudice anzitutto il dovere di interrogarla e comunque di compiere ogni indagine utile alla sua identificazione, avvalendosi, se del caso, anche della polizia giudiziaria. Se poi è ( 17) 30
Cass. , sez. un. 28 gennaio 1998, Maiolo, in Cass. pen., 1998, 1947.
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Il giudicato e l'esecuzione penale
VI.II.6
riconosciuto l'errore, il giudice dispone l'immediata liberazione; per il principio del /avor rei, il giudice procede analogamente anche quando l'identità della persona rimanga incerta: in questo caso, però, l'esecuzione è solamente sospesa ed il pubblico ministero è tenuto al compimento di ulteriori indagini. Onde evitare inutili e dannose limitazioni alla libertà personale, il comma 3 attribuisce al pubblico ministero il potere di ordinare in via provvisoria la liberazione della persona che sia stata arrestata quando l'errore risulti evidente. n decreto motivato del pubblico ministero ha effetto fino a quando non provveda il giudice competente. - e.2. L'applicazione dell'amnistia e dell'indulto. L'art. 672 prevede la competenza del giudice dell'esecuzione per l'applicazione dell'amnistia e del l'indulto ed attribuisce al pubblico ministero il potere di sospendere l'esecu zione della pena nella pendenza del procedimento necessario per riconoscere tali benefici. Il giudice dell'esecuzione, inoltre, ha l'obbligo di trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza quando, in conseguenza, occorra applicare o modificare una misura di sicurezza. - e.3. Dichiarazione di estinzione del reato dopo la condanna. L'art. 676, che assieme all'art. 673 fa parte degli interventi estintivi del titolo, prevede la competenza del giudice dell'esecuzione a pronunciarsi nel caso di estinzione del reato dopo la condanna o di estinzione della pena, quando la stessa non consegua alla liberazione condizionale o all'affidamento in prova al servizio sociale, poiché, in tal caso, è competente il tribunale di sorveglianza. - f. Altre questioni concernenti la « esecuzione di un provvedimento » . Infine, come abbiamo accennato, vi sono anche casi, non espressamente previsti dal codice, nei quali l'interessato ha facoltà di rivolgersi al giudice dell'esecu zione quando sono sorte questioni concernenti la « esecuzione di un provvedi mento » ai sensi dell'art. 665 . Ad esempio, l'interessato ha facoltà di rivolgersi al giudice dell'esecuzione quando sorgano questioni circa il computo della pena effettuato dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 657 e 663 , o per sollecitare un intervento di computo non effettuato dal medesimo. In tali casi, l'udienza si svolge in camera di consiglio poiché questa è la regola. - g. Persona condannata per err01·e di nome. In realtà, l'art. 668 regola due distinte ipotesi. Nella prima ipotesi, il condannato è la persona fisica che ha commesso il reato, ma è stato indicato in sentenza con generalità errate. Poiché il processo nei suoi confronti si è svolto con una regolare citazione, il giudice dell'esecu zione compie gli accertamenti necessari e procede alla correzione dell'errore materiale ai sensi dell'art. 130 (che rinvia all'art. 127 c.p.p. : udienza in camera di consiglio; così prescrive l'art. 668) . Non vi è sospensione dell'esecuzione. In una seconda ipotesi, il condannato è differente dalla persona fisica che ha commesso il reato. Ad esempio, Tizio, identificato dalla polizia, ha dichiarato di chiamarsi Caio (estraneo al fatto) , contro cui si è proceduto con il rito degli
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L'esecu:::ion e penale
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irreperibili. La condanna contro Caio è stata pronunciata contro una persona fisica differente dall'autore del reato (Tizio), contro cui invece si doveva procedere. In questo caso "l'errore di nome" nasconde un errore nella identi ficazione fisica dell'autore del reato. Caio, condannato erroneamente, oltre a presentare denuncia contro ignoti per calunnia, deve chiedere la revisione della condanna ai sensi dell'art. 63 O, comma l , lett. c (come prescrive l'art. 668). Ad esempio, potrà essere provato che colui, che ha dato il nome "Caio " , non era Caio poiché non era di questi la firma sul verbale o l'impronta ricavabile dal documento medesimo. In presenza di que ste nuove prove, l'esecuzione contro Caio deve essere sospesa. All'esito della revisione, dovrà essere revocata la sentenza pronunciata a carico di Caio ( 18). 7.
La magistratura di sorveglianza.
a) Considerazioni preliminari. La caratterizzazione polifunzionale della pena, che non si limita soltanto ad una funzione retributiva o generai preventiva, ma è anche e soprattutto rieducativa ai sensi dell'art. 27, comma 3 Cost. , comporta necessariamente un frequente controllo sulla esecuzione della stessa. Ciò al fine di verificare sia la congruità della pena rispetto alla personalità del condannato, sia l'opportunità che vengano adottati strumenti sanzionatori diversi, tali da permettere una reintegrazione del condannato nella società. Per realizzare questo costante controllo sull'aspetto concreto dell'esecuzione, il legislatore ha ritenuto opportuno individuare una giurisdizione specializzata, denominata magistratura di sorveglianza. Essa si articola nel magistrato di sor veglianza, organo monocratico, e nel tribunale di sorveglianza, organo collegiale. Il tribunale di sorveglianza. È opportuno precisare che il tribunale di sor veglianza ha sede presso ogni distretto di corte d'appello ed in ciascuna circo scrizione territoriale di sezione distaccata di corte d'appello. li tribunale di sor veglianza è composto da due magistrati ordinari di sorveglianza e da due " esperti" nominati dal C.S.M.; nel momento in cui decide, l'organo collegiale deve avere come componente quel magistrato di sorveglianza, sotto la cui giurisdizione è posto il soggetto sulla cui posizione si deve provvedere (art. 70 ord. pen.). Il magistrato di sorveglianza. In qualità di organo monocratico, il magi strato di sorveglianza opera presso l'ufficio di sorveglianza che è istituito in ciascuna delle sedi di tribunale indicate nella tabella A, allegata alla l. 26 luglio 1 975 n. 354. ( 18) Cass., sez. VI, 7 novembre 1996, Doghmann Ahmed, i n Cass. pen. 1998, 859; Cass., sez. V, 28 marzo 1996, p.m. in c. Juric, in CED 204239. La procedura prevista dall'art. 668 c.p.p. per il caso di persona condannata per errore di nome scoperto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, può essere attivata anche più di una volta, quando vi siano più errori scoperti in tempi diversi, ed anche nell'ipotesi in cui si tratti di correggere un errore contenuto proprio in una precedente ordinanza di correzione. In questo senso, Cass., sez. I, 10 luglio 2000, Monzer, in Arch. n. proc. pen., 2000, 669.
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Il giudicato e l'esecuzione penale
VI.II.7
Il magistrato di sorveglianza ha funzioni amministrative e giurisdizionali. In particolare, svolge compiti di vigilanza (es. i