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Italian Pages 403 Year 2012
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Idee per il tuo futuro
Stefania Mandolini
Le parole della fisica Elettromagnetismo Relatività e quanti con Physics in English
SCIENZE
INTERNATIONAL SYSTEM OF UNITS SI BASE UNITS Base quantity
PREFIXES Name
Symbol
Name
Symbol
Factor
Name
Symbol
Factor
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E
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deci
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P
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T
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mole
mol
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a
1018
deka
9
1
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10
SI DERIVED UNITS Derived quantity
Name
Symbol
Definition
area
square metre
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cubic metre
m3
speed, velocity
metre per second
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metre per second squared
m/s2
frequency
hertz
Hz
plane angle
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rad
solid angle
steradian
sr
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N
m · kg · s2
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Pa
N/m2
energy, work, quantity of heat
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J
N·m
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W
J/s
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C
s·A
electric potential difference
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V
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F
C/V
electric resistance
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V/A
magnetic flux
weber
Wb
V·s
magnetic flux density
tesla
T
Wb/m2
s1
Stefania Mandolini
Le parole della fisica Elettromagnetismo Relatività e quanti con Physics in English
Copyright © 2012 Zanichelli editore S.p.A., via Irnerio 34, 40126 Bologna [5813] www.zanichelli.it
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I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce.
Risorse online con codice di attivazione
Livello di difficoltà degli esercizi Per le riproduzioni ad uso non personale (ad esempio: professionale, economico, commerciale, strumenti di studio collettivi, come dispense e simili) l’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste per tale tipo di riproduzione vanno inoltrate a Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali (CLEARedi) Corso di Porta Romana, n. 108 20122 Milano e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori del proprio catalogo editoriale, consultabile al sito www.zanichelli.it/f_catalog.html. La fotocopia dei soli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, oltre il limite del 15%, non essendo concorrenziale all’opera. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore, una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche. Nei contratti di cessione è esclusa, per biblioteche, istituti di istruzione, musei ed archivi, la facoltà di cui all’art. 71 - ter legge diritto d’autore. Maggiori informazioni sul nostro sito: www.zanichelli.it/fotocopie/
Realizzazione editoriale: – Coordinamento editoriale e revisione dei contenuti: Antonia Ricciardi, Stefania Varano – Realizzazione editoriale: Maria Pia Galluzzo – Segreteria di redazione: Deborah Lorenzini – Progetto grafico: Miguel Sal & C., Bologna – Disegni: Luca Tible – Ricerca iconografica: Massimiliano Trevisan Contributi: – Collaborazione alla stesura degli esercizi: Sergio Lo Meo, Valentina Nicosia, Stefano Paolucci – Stesura delle schede Individuare la posizione di un oggetto sulla superficie terrestre: il GPS e Il cavallo-vapore: Nunzio Lanotte – Stesura delle schede di biologia Gli ultrasuoni nel mondo animale e L’energia della vita: Angela Figoli – Collaborazione alla stesura del capitolo La materia: Beatrice Bressan – Rilettura critica e risoluzione degli esercizi: Carlo Incarbone, Arianna Fertili – Stesura di Physics in English: Eleonora Anzola, Silvia Borracci, Roger Loughney (revisione linguistica) – Idee per il tuo futuro: Laura Mancuso (testi), Barbara Di Gennaro, Laura Russo (redazione), Sara Colaone (disegni), Miguel Sal & C., Bologna (impaginazione e progetto grafico) I contributi alla realizzazione dei contenuti multimediali e dell’interactive e-book sono online su ebook.scuola.zanichelli.it/mandoliniparole Copertina: – Progetto grafico: Miguel Sal & C., Bologna – Realizzazione: Roberto Marchetti – Immagine di copertina: Artwork Miguel Sal & C., Bologna
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Esercizi facili: richiedono l’applicazione di una formula per volta
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Esercizi medi: richiedono l’applicazione di una o più leggi fisiche
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Esercizi difficili: richiedono il riconoscimento di un modello fisico studiato nella teoria e la sua applicazione a situazioni concrete nuove
Prima edizione: marzo 2012
LÕimpegno a mantenere invariato il contenuto di questo volume per un quinquennio (art. 5 legge n. 169/2008) Ñ comunicato nel catalogo Zanichelli, disponibile anche online sul sito www.zanichelli.it, ai sensi del DM 41 dellÕ8 aprile 2009, All. 1/B. File per diversamente abili L’editore mette a disposizione degli studenti non vedenti, ipovedenti, disabili motori o con disturbi specifici di apprendimento i file pdf in cui sono memorizzate le pagine di questo libro. Il formato del file permette l’ingrandimento dei caratteri del testo e la lettura mediante software screen reader. Le informazioni su come ottenere i file sono sul sito www.zanichelli.it/diversamenteabili Suggerimenti e segnalazione degli errori Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli. Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo libro scrivere al seguente indirizzo: [email protected] Le correzioni di eventuali errori presenti nel testo sono pubblicate nel sito www.zanichelli.it/aggiornamenti Zanichelli editore S.p.A. opera con sistema qualità certificato CertiCarGraf n. 477 secondo la norma UNI EN ISO 9001:2008
Stefania Mandolini
Le parole della fisica Elettromagnetismo Relatività e quanti con Physics in English
SCIENZE
Indice IDEE PER IL TUO FUTURO
XI
CAPITOLO 1 LE CARICHE ELETTRICHE
1
1
2
3
4
5
Ingegneria Chimica Con gli occhi di un fisico
Fenomeni elettrici e cariche microscopiche Proprietà elettriche Protoni ed elettroni L’unità di misura della carica elettrica L’elettrizzazione per strofinio Esempi di elettrizzazione per strofinio L’elettricità fra laboratori e salotti L’elettrizzazione per contatto Isolanti e conduttori L’elettroscopio L’elettrizzazione per induzione elettrostatica Induzione elettrostatica in un conduttore L’elettroforo di Volta La polarizzazione La legge di Coulomb La costante dielettrica del vuoto La costante dielettrica di un mezzo materiale Principio di sovrapposizione Analogia con l’interazione gravitazionale L’esperimento di Coulomb I rischi dell’elettricità statica Il legame a idrogeno Elettricità e gioco Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 2 IL CAMPO ELETTRICO 1 2
3 4
5
6
Il vettore campo elettrico Simulazione Le linee di forza Campo elettrico generato da cariche puntiformi Linee di forza del campo elettrico Il campo elettrico nella materia Campo elettrico di due cariche puntiformi Simulazione L’energia potenziale elettrica La forza elettrica è conservativa Il potenziale elettrico Potenziale di una carica puntiforme Lavoro e differenza di potenziale Superfici equipotenziali Relazione fra campo e potenziale Il flusso del vettore campo elettrico attraverso una superficie Descrizione matematica Il teorema di Gauss per il campo elettrico La circuitazione del campo elettrico Circuitazione del campo elettrostatico
IV Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
2 3 4 4 5 6 6 7 8 9 10 10 12 13 14 15 16 17 17 18 20 21 22 24 26 30 31 33 35 35 36 37 38 39 40 41 42 43 43 45 46 47 48 49
INDICE
Geofisica Filosofia Con gli occhi di un fisico
Il campo delle temperature La psicologia della forma Una cascata di energia Mappa dei concetti Esercizi
50 51 52 54 56
CAPITOLO 3 L’ELETTROSTATICA 1 2
3
4
5
Storia della fisica Letteratura Con gli occhi di un fisico
61
L’equilibrio elettrostatico Conduttori in equilibrio elettrostatico Campo elettrico in un conduttore Potenziale elettrico in un conduttore La densità superficiale di carica Il potere dispersivo delle punte Campo generato da un conduttore in equilibrio elettrostatico Conduttore piano Conduttore sferico Potenziale di un conduttore sferico Equilibrio elettrostatico tra conduttori sferici La capacità elettrica Mettere a terra Come funziona la bottiglia di Leida? I condensatori Il condensatore piano Capacità di un condensatore piano Condensatori ed energia Simulazione Benjiamin Franklin Frankestein, ossia il moderno Prometeo Fulmini e saette Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 4 LA CORRENTE ELETTRICA 1
2 3
4
90 91 91 92 92 94 95 95 96 96 97 99 100 100 102 103
Galvani e Volta, dalle rane alle pile Metalli differenti La pila di Volta Simulazione La cella voltaica La corrente elettrica Il verso della corrente Conduzione elettrica nei solidi Simulazione I conduttori metallici Velocità degli elettroni di conduzione Estrarre elettroni da un metallo I semiconduttori Gli isolanti Conduzione elettrica nei liquidi L’elettrolisi Prima legge di Faraday
V Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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INDICE
5
Storia Ingegneria Con gli occhi di un fisico
Conduzione elettrica nei gas e nel vuoto Scariche elettriche nei gas Dipendenza delle scariche elettriche dalla pressione Scariche elettriche in atmosfera Conduzione elettrica nel vuoto Napoleone e la scienza La piezoelettricità La panacea elettrica Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 5 I CIRCUITI ELETTRICI 1 2
3
4
5 Tecnologia Neuroscienze Con gli occhi di un fisico
La forza elettromotrice La resistenza elettrica In laboratorio La prima legge di Ohm Simulazione La seconda legge di Ohm La resistività come proprietà termometrica I superconduttori I circuiti elettrici Simulazione Prima legge di Kirchhoff per i nodi Seconda legge di Kirchhoff per le maglie Risolvere un circuito Resistori in serie e in parallelo Resistori in serie Resistori in parallelo La potenza elettrica L’effetto Joule La lampadina a incandescenza L’attività elettrica del cervello Luci in città Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 6 IL CAMPO MAGNETICO 1 2
3
4
5
Il magnetismo Il campo magnetico Simulazione Effetti magnetici dell’elettricità Azione di un campo magnetico su un filo percorso da corrente Campo magnetico di un filo percorso da corrente Interazione magnetica tra fili percorsi da corrente Cariche elettriche in movimento La forza di Lorentz Moto di una particella carica in un campo magnetico uniforme Spire e solenoidi Campo magnetico di una spira percorsa da corrente Azione di un campo magnetico su una spira percorsa da corrente Campo magnetico di un solenoide percorso da corrente Il campo magnetico nella materia
VI Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
104 105 106 108 108 110 111 112 114 116 120 121 124 123 124 125 125 126 128 128 129 130 131 132 134 134 136 137 138 140 142 147 148 149 150 150 152 153 154 154 155 157 157 158 159 160
INDICE
6
Storia della fisica Biologia Con gli occhi di un fisico
Proprietà magnetiche della materia Ferromagnetismo Paramagnetismo Diamagnetismo L’elettromagnete La circuitazione e il flusso del campo magnetico La circuitazione del campo magnetico Flusso del campo magnetico attraverso una superficie Faraday Le bussole degli animali Tracce nella storia Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 7 L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA 1
2
3
4 5
Economia Neuroscienze Con gli occhi di un fisico
Effetti elettrici del magnetismo Campi magnetici variabili e correnti elettriche Magneti in movimento e correnti elettriche L’induzione elettromagnetica Simulazione La legge di Lenz La forza elettromotrice indotta e la forza di Lorentz L’autoinduzione L’induttanza Circuito RL Energia immagazzinata in un induttore Legge di Faraday-Neumann e induttanza La mutua induzione La corrente alternata Il valore efficace Il campo magnetico terrestre Descrizione del campo geomagnetico La bussola Il paleomagnetismo e le inversioni magnetiche Le fasce di van Allen Qual è la causa del campo geomagnetico? La guerra delle correnti L’attività magnetica del cervello Un aiuto in casa Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 8 LE ONDE ELETTROMAGNETICHE 1 2 3
181 182 182 183 183 184 186 187 189 189 189 190 190 191 192 194 194 195 195 196 197 198 199 200 202 204 208 209 210 211 214 215 216
L’elettromagnetismo in 4 righe Una riflessione Le equazioni di Maxwell Teoria ed esperimenti Le onde elettromagnetiche Le sorgenti delle onde elettromagnetiche
VII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
161 162 163 164 165 166 168 168 170 169 172 174 176
INDICE
4
5
Biologia Biologia Con gli occhi di un fisico
La velocità delle onde elettromagnetiche Il profilo delle onde elettromagnetiche L’esperimento di Hertz Risonanza e trasmissione delle onde elettromagnetiche Le antenne Lo spettro elettromagnetico Onde radio Simulazione Microonde Infrarossi La luce visibile Gli ultravioletti Raggi X Raggi γ Radiazioni elettromagnetiche ionizzanti e materia vivente Radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti e materia vivente Quattro chiacchiere a distanza Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 9 LA RELATIVITÀ RISTRETTA 1
2
3 4
5
6
Filosofia Matematica Con gli occhi di un fisico
I principi della relatività ristretta L’esperimento di Michelson e Morley Una soluzione «di principio» Nuovi concetti di tempo e spazio Un risultato contrastante Il tempo, coordinata «spaziale» La simultaneità Orologi sincronizzati Gli intervalli di tempo si dilatano Dimostrazione della dilatazione della durata Le lu nghezze si accorciano Dimostrazione della contrazione della lunghezza La composizione delle velocità Lo spaziotempo I coni di luce Le distanze nello spaziotempo Massa ed energia Equivalenza massa-energia Alcune considerazioni La teoria nella scienza secondo Karl Popper La quarta dimensione A Christmas carol Mappa dei concetti Esercizi
VIII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
217 217 218 219 221 221 222 223 223 224 224 224 225 226 227 228 230 232 236 237 238 239 241 241 242 242 244 244 247 248 249 250 252 253 253 254 256 257 258 259 260 262 264
INDICE
CAPITOLO 10 LA FISICA QUANTISTICA 1 2 3
4
5
6
7 Filosofia Letteratura Con gli occhi di un fisico
267
Un problema di confine: l’irraggiamento termico Il problema della radiazione termica Una soluzione rivoluzionaria I fotoni, granuli di luce L’effetto fotoelettrico Una soluzione «simmetrica» Gli atomi, granuli di materia Problemi dell’atomo classico Soluzioni sempre più ardite Gli spettri atomici Dalla teoria dei quanti alla fisica quantistica Il nuovo ruolo della probabilità La lunghezza d’onda della materia La diffrazione degli elettroni
268 268 270 273 273 274 276 277 277 278 280 280 282 283
L’ampiezza di probabilità Il principio di indeterminazione Il principio di complementarità Le regole del gioco: il principio di sovrapposizione Il gatto di Schrödinger Tertium non datur Così è (se vi pare) Il gioco dei dadi Mappa dei concetti Esercizi
283 284 285 285 288 290 291 292 294 296
CAPITOLO 11 LA MATERIA 1
2 3
4
5
299 300 300 301 302 303 304 304 306 307 308 309 309 310 310 311 313 314 315 316 317
Gli elettroni Dai raggi catodici agli elettroni Gli esperimenti di J.J. Thomson Gli elettroni nell’atomo Il nucleo Primi segnali dal nucleo: la radioattività La radioattività Legge del decadimento radioattivo Il decadimento beta I neutrini Il decadimento alfa Il decadimento gamma La radioattività artificiale Fissione e fusione nucleare La fissione nucleare La fusione nucleare Antimateria, raggi cosmici e altre particelle L’antimateria, dall’ipotesi alla scoperta I raggi cosmici Gli acceleratori di particelle
IX Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
INDICE
6
7 Letteratura Medicina Con gli occhi di un fisico
Il Modello Standard La materia e le forze Un nuovo concetto di campo La massa delle particelle La teoria del tutto Il sistema periodico Il laser Guerra e pace Mappa dei concetti Esercizi
CAPITOLO 12 L’UNIVERSO 1
2
3
4
5
6
Astronomia Astronomia Con gli occhi di un fisico
318 318 319 320 320 322 323 324 326 328 331
Le stelle Classificazione delle stelle La distanza delle stelle Sistemi stellari e sistemi planetari Nascita, vita e morte delle stelle Nascita di una stella Stelle in equilibrio I diversi destini delle stelle Stelle di piccola massa Il diagramma di Hertzsprung-Russell Stelle di grande massa Stelle di neutroni e buchi neri Le galassie La sequenza di Hubble Ammassi e superammassi Cenni di relatività generale Le masse incurvano lo spaziotempo La lente gravitazionale Le onde gravitazionali Cenni di cosmologia Il Big Bang La radiazione cosmica di fondo Problemi aperti L’oscurità del cielo notturno I sistemi planetari Comete Mappa dei concetti Esercizi
332 332 334 336 337 337 338 339 339 340 341 341 343 345 345 346 347 348 349 350 350 351 352 354 355 356 358 360
PHYSICS IN ENGLISH
363
Physics talk
364
Reading comprehension
366
X Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Idee per il tuo futuro CHE COSA FARÒ DA GRANDE
www.ideeperiltuofuturo.it
Sei alla fine del tuo percorso scolastico. Che cosa fare adesso? Iscriversi a un corso universitario? Fare uno stage o un corso professionalizzante? Cercare di entrare subito nel mondo del lavoro? Studiare e al contempo lavorare? Per aiutarti nella scelta ti proponiamo alcuni dati relativi al 2009-2011. È impossibile dire come saranno le cose tra qualche anno, i tempi recenti ci hanno abituati a cambiamenti anche repentini. La laurea “paga”. Una recente ricerca Isfol 1 ha mostrato che chi è laureato ha più possibilità di trovare un’occupazione e in media riceve uno stipendio più alto rispetto a chi possiede soltanto un diploma. Dal momento che i diplomati entrano nel mondo del lavoro prima dei laureati, inizialmente il tasso di occupazione per i primi è superiore rispetto a quello dei secondi, ma già prima del compimento dei 30 anni chi possiede una laurea ha più possibilità di trovare lavoro, per arrivare nella fascia 34-44 anni, dove il tasso di occupazione dei laureati supera del 7% quello dei diplomati. In media tra 25 e 64 anni è occupato il 73,1% dei diplomati e il 79,2% dei laureati. Secondo uno studio OCSE del 2011 i giovani laureati subiscono di più gli effetti della recente crisi economica rispetto ai loro coetanei con istruzione secondaria inferiore2. Quali lauree valgono un lavoro? Le lauree “brevi” servono? Le lauree triennali si rivelano molto utili ai fini dell’occupazione: a un anno dal termine degli studi il 42,1% dei laureati triennali lavora, con picchi dell’81,7% per le professioni sanitarie. Tirocini e stages sono determinanti per formare e inserire questi laureati nel mondo del lavoro. I tassi di occupazione più alti si hanno tra i medici, seguiti dai laureati in chimica farmaceutica e ingegneria. In generale sono le discipline di tipo scientifico – sia a livello di diploma sia a livello di laurea – le più spendibili nel mondo del lavoro, mentre le discipline umanistiche condannano a una difficile collocazione sul mercato, anche a fronte di un eccesso di offerta di laureati in questi ambiti. A Nord c’è più lavoro, ma… A livello nazionale il tasso di disoccupazione è 7,8%, che sale a 27,4% se si considerano solo i giovani (15-24 anni): più alto al Sud (39,2%), meno al Centro (25,3%), più basso al Nord (19,0%). La situazione per le ragazze è più critica: il tasso della disoccupazione femminile, nella fascia 15-24 anni, supera di circa 8 punti percentuali quello maschile (32,3% per le donne, 23,9% per gli uomini), forbice che si mantiene simile nelle diverse zone geografiche: al Nord il tasso è 22,7% per le donne e 16,4% per gli uomini; al Centro è 34,8% per le donne e 18,7% per gli uomini e a Sud è di 44,0% per le donne e 36,0% per gli uomini. Tuttavia i dati della disoccupazione giovanile non devono scoraggiare chi cerca lavoro: se la disoccupazione giovanile è del 27,4%, vuol dire che una parte non piccola dei giovani che hanno cercato lavoro (il 72,6%) lo ha trovato3. Inoltre i dati variano molto da luogo a luogo e anche all’interno di una stessa regione può esservi una grande varietà di situazioni. L’Emilia-Romagna è tra le regioni in cui la disoccupazione giovanile incide meno, ma con grandi differenze tra le province: se Bologna nel 2010 raggiunge un tasso di disoccupazione di 29,2%, a Piacenza il valore è più che dimezzato (13,6%)4.
Lo stipendio cambia se si è laureati? www.ideeperiltuofuturo.it
1 Tutti i dati sono tratti da una ricerca Isfol con dati relativi al 2010, (l’Isfol, Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori è un ente pubblico di ricerca), e ISTAT del II Trimestre 2011. 2 Rapporto OCSE Education at a Glance 2011. 3 Dati ISTAT del II Trimestre 2011. 4 Dati Confartigianato Imprese EmiliaRomagna, 2010.
XI Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
COME FUNZIONA L’UNIVERSITÀ L’Università italiana offre corsi di studio organizzati in tre cicli: POSSO ISCRIVERMI ALL’UNIVERSITÀ? Per iscriversi all’Università è necessario il diploma di maturità quinquennale oppure quello quadriennale con un anno integrativo o, in alternativa, un obbligo formativo aggiuntivo da assolvere durante il primo anno di corso.
laurea, di durata triennale (180 crediti formativi in un massimo di 20 esami), al termine della quale si consegue il titolo di Dottore; ad esempio laurea in Tecniche di radiologia medica o in Scienze del comportamento e delle relazioni sociali. Laurea magistrale, di durata biennale (120 crediti in un massimo di 12 esami), al termine della quale si consegue il titolo di Dottore magistrale; ad esempio laurea in Biotecnologie mediche o in Psicologia clinica. Dottorato di ricerca e Scuola di specializzazione. Esistono anche corsi di laurea magistrali a ciclo unico, della durata di 5 (300 crediti in un massimo di 30 esami) o 6 anni (360 crediti in un massimo di 36 esami); ad esempio Medicina e Chirurgia. Per approfondire gli studi si può accedere a master di 1° e di 2° livello e ai corsi di alta formazione. I crediti formativi universitari (CFU) misurano il carico di lavoro dello studente (1 CFU = 25 ore di impegno; 60 CFU = 1 anno di impegno universitario), compresi lo studio individuale ed eventuali esperienze di apprendistato5. Sono stati introdotti per facilitare il confronto tra i sistemi e i programmi di differenti corsi e Atenei italiani ed europei, e quindi il passaggio da un corso di studio a un altro, oppure da un’Università a un’altra, anche straniera: i CFU sono trasferibili in ECTS (European Credit Transfer and Accumulation System) e quindi riconosciuti nelle Università di tutta Europa. Tramite i CFU è possibile valutare ai fini della laurea anche esperienze quali stages e tirocini. Infine i CFU permettono di semplificare la determinazione dei piani di studio individuali (PSI) che ciascuno studente può modulare su se stesso. In alcuni casi è possibile personalizzare il proprio percorso di studi, inserendo nel piano degli esami da sostenere alcuni corsi non previsti dal piano di studi istituzionale. Quando si presenta il PSI bisogna rispettare il minimo di crediti obbligatori per ciascun ambito disciplinare previsti dal proprio corso di laurea.
5 Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, Decreto Ministeriale 3 novembre 1999, n.509 6 Dati Federconsumatori II Rapporto sui costi degli atenei italiani – 2011 aggiornato il 4/10/2011.
Quanto costa l’Università. I costi variano a seconda dell’Ateneo, della zona geografica (il Nord è mediamente più caro del 28,3% rispetto al Sud) e della fascia di reddito dello studente. Ad esempio, se si ha un basso reddito (fino a 10 000 euro annui) le tasse oscillano tra i 290 euro di Bari e i 1005 di Parma. Per una fascia di reddito fino a 30 000 euro le spese universitarie variano tra gli 847 euro della Sapienza di Roma e i 1548 del Politecnico di Torino. Esiste la possibilità di accedere a borse di studio ed esoneri parziali o totali per reddito o per merito, che in alcuni Atenei tengono conto anche del voto di maturità (esonero per chi si è diplomato con il massimo dei voti e la lode)6.
XII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
TEST DI AMMISSIONE L’accesso ad alcuni corsi di laurea è filtrato da una prova di ammissione, per iscriversi alla quale occorre versare un contributo: sono Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Dentaria, Medicina Veterinaria, le lauree a ciclo unico finalizzate alla formazione in altre Professioni Sanitarie e in Architettura. Le prove di ammissione comprendono 80 quesiti: una parte di cultura generale e ragionamento logico, una parte sulle materie caratterizzanti i diversi indirizzi universitari. Ad esempio, per essere ammessi a Medicina bisogna rispondere a 40 quesiti di cultura generale e ragionamento logico, 18 di biologia, 11 di chimica e 11 di fisica e matematica. Il tempo a disposizione è di 2 ore (15 minuti in più per Architettura); ogni risposta corretta fa guadagnare 1 punto, le risposte sbagliate fanno perdere 0,25 punti, mentre le risposte non date valgono 0. Altre facoltà come Ingegneria, Economia e Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali hanno una prova d’ingresso che può essere orientativa («sono pronto ad affrontare questa facoltà?») o richiedere il superamento di un punteggio minimo; in alcuni casi, lo studente che non la superi può avere dei debiti formativi da recuperare entro il primo anno dall’immatricolazione. Se in una sede universitaria il numero di posti disponibili è minore del numero degli iscritti, il test può diventare selettivo. Nel caso del test d’ingresso a Ingegneria, meno di un quarto dei quesiti a risposta chiusa è di fisica. Gli argomenti trattati sono: meccanica, ottica, termodinamica, elettromagnetismo, struttura della materia. Esistono poi delle prove anticipate di verifica delle conoscenze per gli studenti degli ultimi anni delle superiori, che hanno così l’opportunità di avere dei crediti nel momento di accesso all’università nelle materie scientifiche. Puoi metterti alla prova risolvendo i quesiti proposti.
02
Architettura
01
Un astronauta orbita attorno alla Terra in una capsula spaziale la cui distanza dalla superficie terrestre è uguale al raggio della Terra. Qual è la relazione fra la massa dell’astronauta nella capsula e quella dell’astronauta sulla Terra?
b c d e
(Prova di ammissione 2002)
http:// accessoprogrammato. miur.it
Qui trovi tante informazioni in più e degli esempi di test www.cisiaonline.it
Per saperne di più www.progetto laureescientifiche.eu www.testingresso scienze.org
Un recipiente rigido contiene un gas ideale ad una data pressione. Un aumento di temperatura del gas provoca: a un aumento di pressione. b nessun effetto. c una diminuzione di densità. d effetti diversi in diverse ore del giorno. e la liquefazione del gas.
a Sulla Terra la massa è un quarto di quella
nella capsula. Sulla Terra la massa è quattro volte quella nella capsula. Sono uguali. Sulla Terra la massa è doppia di quella nella capsula. Sulla Terra la massa è la metà di quella sulla capsula.
Qui trovi tante informazioni in più e le prove assegnate negli ultimi anni
(Prova di ammissione 2008)
03
Il suono è un’onda che si propaga: a nel vuoto con velocità di 340 m/s. b nel vuoto con frequenza uguale a 20 Hz. c in un mezzo elastico con velocità che dipen-
de dal mezzo. d nel vuoto con velocità di 3 108 m/s. e in un mezzo elastico con velocità uguale a 3 108 m/s. (Prova di ammissione 2000)
XIII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
TEST DI AMMISSIONE 08
Ingegneria
04
Quale di questi fenomeni relativi alla propagazione ondulatoria non può essere messo in luce utilizzando onde sonore? a Rifrazione
a è attratta dal polo Sud del magnete. b è attratta dal polo Nord del magnete. c subisce una forza perpendicolare al campo
d
Riflessione e Diffrazione
b Interferenza
Una carica elettrica positiva, ferma tra i poli di un magnete:
magnetico. d subisce una forza parallela al campo magneti-
c Polarizzazione
co. e non subisce alcuna forza da parte del magne-
(Prova di ammissione 2005)
te.
05
Le linee di forza del campo elettrostatico a non possono essere linee chiuse. b sono sempre linee chiuse.
(Prova di ammissione 2000)
09
c sono sempre linee rette. d si intersecano nei punti a potenziale massimo.
a hv è l’energia del fotone.
e possono avere una forma qualsiasi.
b
d la velocità di propagazione nel vuoto è fun-
Una quantità di carica Q viene depositata su un conduttore isolato costituito da una sfera piena dotata di una cavità sferica al suo interno. In condizioni statiche la carica si distribuirà: a sulle due superfici interna ed esterna, pro-
porzionalmente alla loro superficie. b la carica non rimane sul conduttore ma vie-
ne immediatamente dispersa nell’atmosfera per effetto “corona”. c uniformemente sulla superficie interna della cavità. d uniformemente nel volume del metallo. e uniformemente sulla superficie esterna della sfera.
zione di Ѥ. e se Ѥ supera il centimetro abbiamo a che fare
con raggi gamma. (Prova di ammissione 2003)
Medicina Veterinaria
10
a non è mai nullo.
l’esterno. c viene fornito dallo stesso gas. d non può essere espresso in Joule ma in Pascal. e non dipende dal valore del volume finale a
cui si giunge.
Medicina e Chirurgia Un corpo di 200 grammi viene legato a un estremo di un filo sottile inestensibile, molto leggero e lungo un metro. Il corpo viene fatto oscillare con un’ampiezza di pochi centimetri. Il tempo impiegato a percorrere un ciclo completo (periodo) dipende essenzialmente a dalla lunghezza del filo. b dall’ampiezza delle oscillazioni. c dal tipo di supporto a cui è agganciato il filo. d dalla natura del filo. e dal materiale che forma il corpo appeso.
(Prova di ammissione 2008)
Il lavoro necessario per comprimere una mole di gas perfetto ben isolato termicamente: b è nullo perché non c’è scambio di calore con
(Prova di ammissione 2005)
07
Ѥ è direttamente proporzionale a v.
c h dipende dalla frequenza.
(Prova di ammissione 2002)
06
Un fotone è caratterizzabile con la frequenza n o con la lunghezza d’onda Ѥ. Detta h la costante di Planck:
(Prova di ammissione 2008)
11
Se avvicino rapidamente una potente calamita ad una spira formata da un filo di rame chiuso a cerchio, si può notare che: a nella spira viene indotta una circolazione di
corrente elettrica. b la spira si illumina. c la spira si deforma trasformandosi in un’el-
lisse molto stretta e lunga. d il rame dapprima neutro acquista una forte
carica elettrica indotta. e la spira inizia a ruotare con velocità costan-
XIV Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
DOVE SI STUDIA LA FISICA La fisica non si studia solo nel corso di laurea in Fisica, ma la puoi trovare anche a: Ingegneria,
Chimica Industriale,
Scienze Statistiche,
Architettura,
Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Farmacia,
(ad esempio nei corsi di Astronomia,
Agraria,
Informatica, Matematica, Scienze Biologiche, Scienze Geologiche),
Puoi metterti alla prova risolvendo gli esercizi proposti.
01
Una mole di gas perfetto monoatomico a pressione p0 = 1 atm e temperatura T0 = 300 K è riscaldata isobaricamente fino al volume V1 = 2V0 e successivamente riscaldata isocoricamente fino alla pressione p2 = 2 p0. Supponendo le due trasformazioni reversibili, si rappresentino le trasformazioni in un piano (V, p) e si calcoli: la quantità di calore assorbita dal gas. la variazione di energia interna del gas. il lavoro compiuto dal gas.
03
a F=4N b F=6N c F=8N d F = 12 N e F = 16 N
(Esame di Fisica, Corso di laurea in CTF, Università La Sapienza di Roma, 2003/2004)
(Esame di Fisica, Corso di laurea in Scienze Biologiche, Università di Genova, 2009/2010)
02
Un protone urta in modo completamente anelastico un secondo protone inizialmente fermo. Dopo l’urto si osserva che il sistema dei due protoni si muove su una traiettoria circolare di raggio r = 42,0 cm, in una regione in cui è presente un campo magnetico uniforme, perpendicolare al piano della traiettoria, di valore 0,05 T. Si ricorda che la carica del protone è e = 1,6 10-19 C e la sua massa è mp = 1,67 10-27 kg. Determinare: il modulo della velocità dei due protoni dopo l’urto. il modulo della forza di Lorentz. il modulo della velocità del protone in moto prima dell’urto.
Il motore di un modellino d’aereo di 2 kg esercita sull’aereo una forza di 10 N. Se l’aereo accelera a 3 m/s2, qual è il modulo della forza della resistenza dell’aria che agisce sull’aereo?
04
Due sferette sono cariche positivamente e quindi si respingono. Se la forza repulsiva agente su ciascuna di esse ha modulo 6 10-2 N quando la distanza tra di esse è 20 cm, quanto vale la forza quando la loro distanza è 10 cm? (Esame di Fisica, Corso di laurea in Tossicologia, Università La Sapienza di Roma, 2002/2003)
05
Onde radio ricevute da un apparecchio hanno E = 10-1 V/m. Assumendo che l’onda sia piana, calcolare l’ampiezza del campo magnetico. (Esame di Fisica, Corso di laurea in Biotecnologie, Università degli Studi di Torino, 2004/2005)
(Esame di Fisica, Corso di laurea in Farmacia, Università La Sapienza di Roma, 2009/2010)
XV Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
STUDY ABROAD La rete ENIC (European Network of Information Centres) è nata proprio per fornire notizie e consigli sul riconoscimento di diplomi, titoli e altre qualifiche universitarie o professionali straniere.
La rete NARIC (National Academic Recognition Information Centres) mira a informare sulle opportunità e le procedure di riconoscimento dei titoli di studio all’estero.
Vuoi studiare matematica a Oxford? www.ideeperiltuofuturo.it
Ti interessano i programmi di scambio universitari? www.ideeperiltuofuturo.it
Vorrei studiare in Europa. I cittadini dell’Unione europea (UE) possono studiare, dalla scuola primaria al dottorato di ricerca, in uno dei paesi UE. Per facilitare questi scambi è stato creato Ploteus, il portale delle opportunità di apprendimento (www.europa.eu/ploteus): programmi di scambio, borse di studio, descrizioni dei sistemi di istruzione e apprendimento dei vari paesi europei, nonché indicazioni dei siti web degli istituti di istruzione superiore, i database dei corsi di formazione, le scuole... Attraverso Ploteus è possibile anche avere notizie pratiche, ad esempio su come raggiungere la località e dove alloggiare, sul costo della vita, le tasse, i servizi cui si può accedere. Per sapere se il diploma conseguito in Italia sia o meno riconosciuto nei diversi sistemi di istruzione esteri è utile visitare il sito www.enic-naric.net che contiene una grande mole di informazioni sulle Università dei 55 paesi che aderiscono al network, oltre che i link ai siti per richiedere direttamente il riconoscimento del proprio titolo di studio e i dettagli sulle modalità, i tempi, i requisiti per fare domanda di iscrizione. Sul sito si trovano anche notizie sui diversi sistemi d’istruzione europei e sulle opportunità di studio all’estero, su prestiti e borse di studio, nonché su questioni pratiche collegate alla mobilità e all’equipollenza. Vorrei studiare negli Stati Uniti. Se la meta sono gli USA è bene conoscere la differenza tra colleges e universities: i primi offrono solo undergraduate degrees (equivalenti alla laurea triennale), corsi di studi della durata di 4 anni, mentre le universities anche graduate degrees (corsi di formazione dopo la laurea: master e PhD, o dottorato). Gli undergraduate degrees non sono dedicati a una materia: a seconda della sede presso cui si studia, questo diploma avrà più o meno prestigio. In base ai programmi di studio, al prestigio, ai costi si sceglie l’Università che fa al caso nostro. Una volta scelta l’Università che si desidera frequentare bisogna fare domanda, essere ammessi, e poi dichiarare la materia del major, l’ambito disciplinare principale che lo studente sceglie. In ogni caso qualsiasi undergraduate degree prevede corsi obbligatori in più materie (sia letterarie sia scientifiche). Questa è una differenza significativa rispetto all’Università italiana. Per gli Stati Uniti l’iscrizione per gli studenti stranieri può essere fatta presentando domanda ai vari colleges all’inizio dell’ultimo anno di scuola superiore. Occorre presentare: le pagelle degli anni precedenti tradotte ufficialmente (ufficial translations of transcripts), i materiali e gli esami richiesti anche agli studenti americani (come i test SAT), i risultati del TOEFL (Test of English as a Foreign Language) o del IELTS (International English Language Test), e un’intervista, che spesso può essere condotta nel paese di provenienza da rappresentanti dell’Università a cui si fa domanda. L’esame SAT di primo livello è un test nel quale il candidato deve rispondere a tre sezioni di domande (Mathematics, Critical Reading, Writing), ciascuna con un punteggio totale di 800, per un totale di 2400 punti dall’intero esame. Punteggi di circa 700 in ciascuna parte dell’esame sono ritenuti ottimi e attorno al 600 molto buoni.
XVI Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
VERSO IL LAVORO Vorresti trovare lavoro? Sul sito www.ideeperiltuofuturo.it trovi tante informazioni utili per aiutarti nella tua ricerca: dai centri per l’impiego ai siti e ai giornali di riferimento, dai contratti a come si sostiene un colloquio di lavoro. Quando si è alla ricerca di un lavoro, prima o poi arriva il momento di inviare (per posta ordinaria o per e-mail) il proprio Curriculum Vitae (CV) e una lettera di accompagnamento alle aziende per le quali si desidera lavorare, sperando di essere chiamati per un colloquio.
Il Curriculum Vitae è la carta di identità professionale del candidato e deve indicare l’iter formativo, le conoscenze e le competenze di chi si propone per ottenere un impiego. Si comincia sempre dai dati anagrafici, per un’inquadratura iniziale, e dai contatti (indirizzo, numero di telefono, cellulare, e-mail...), per poi passare in rassegna le precedenti esperienze lavorative e le varie tappe della propria istruzione/formazione, dalla più recente alla più lontana nel tempo. Altre informazioni indispensabili riguardano la padronanza di una o più lingue straniere e le competenze tecniche; conviene anche mettere in rilievo le capacità relazionali e organizzative, se si posseggono. Per quanto riguarda altre informazioni personali, è meglio inserire solo quelle che possono essere apprezzate dalla specifica azienda cui è indirizzato il CV. Infine, non bisogna mai dimenticare di autorizzare il trattamento dei dati personali, facendo riferimento al d. lg. 196/2003. Un CV efficace sarà completo, chiaro e soprattutto breve (due pagine di solito sono sufficienti): bisogna tenere conto che chi lo legge è abituato a valutarne decine tutti i giorni e apprezzerà il fatto di trovare subito le informazioni che gli interessano. Meglio selezionare solo le aziende che più si avvicinano al proprio profilo professionale e scrivere per ciascuna una lettera di accompagnamento mirata. I portali che si occupano di selezione del personale solitamente danno la possibilità di compilare CV online, secondo modelli prestabiliti; oppure si può preparare da soli il CV e poi caricarlo sul sito su cui ci si vuole proporre.
Scarica il CV Europass www.europassitalia.it
La lettera di accompagnamento (o cover letter ) va preparata con molta attenzione perché serve a convincere il selezionatore a prendere in considerazione l’offerta di lavoro e quindi a esaminare il CV. La forma deve essere curata e corretta, per dimostrare un buon livello di istruzione. La lettera di accompagnamento è una e-mail (o una lettera) dalla quale devono emergere in maniera sintetica (dieci righe al massimo) le motivazioni del candidato, le competenze, i titoli, le esperienze che rendono la persona adatta per quel posto di lavoro.
XVII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
VERSO IL LAVORO
Vuoi cercare lavoro in Italia o all’estero? www.ideeperiltuofuturo.it
Sintetici sì, ma non vaghi o generici: l’impegno nello scrivere la lettera sta proprio nel risultare sinceri, con le idee chiare ma anche aperti a varie possibilità. La lettera deve far capire che si conosce, anche se dal di fuori, l’azienda e che se ne comprendono le necessità. Per avere queste informazioni è necessario visitarne il sito internet ma anche, ad esempio, cercare e, se si può, sperimentare i prodotti di quell’azienda. In questo modo sarà più facile mettersi dal punto di vista dell’azienda stessa, capire quali competenze potrebbero essere utili e puntare su quelle. Le possibilità di essere valutati crescono se la busta che contiene lettera e CV, o l’email, è indirizzata al direttore del settore nel quale vorremmo lavorare e non genericamente all’impresa o, ad esempio, all’ufficio delle risorse umane. In questo caso bisogna fare accurati controlli per essere certi di scrivere correttamente il nome, il titolo di studio, la posizione che ricopre la persona a cui indirizziamo la lettera ed essere sicuri che effettivamente lavori ancora lì.
Una lettera di accompagnamento. Carla è diplomata in Servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. Ha sfruttato un periodo di lavoro part-time in un call center per avere il tempo di cercare un corso di formazione che faccia al caso suo. Dopo ha frequentato un corso della Regione di 180 ore in Sicurezza alimentare. Nel frattempo visita i siti di varie aziende della zona in cui abita e ne individua alcune cui decide di inviare il CV. ELDQFRODWWH#ODPR]]DUHOODLW La ditta dove vorrebbe lavorare è “La a Mozzarella”, che produce latte e deriva2IIHUWDGLFROODERUD]LRQH ti. Nel sito si insiste sulla qualità dei prodotti unita al rispetto dell’ambiente. Egr. dott. Biancolatte, A chi vuole lavorare per “La Mozho frequentato l’Istituto professionale per i Servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale di A… diplomandomi con 96/100. Di recente ho seguito un corso di specializzazione zarella” è richiesta personalità, grinta a della Regione B… in Sicurezza alimentare, che verteva sulle moderne tecniche di analisi e condivisione dei valori dell’azienda. degli alimenti. Con una telefonata Carla verifica che il ,OYRVWURQRPHFKHFRQRVFRVLQGDSLFFRODSHUPHqVLQRQLPRGLVHULHWjHDI¿GDELOLWj responsabile della sicurezza alimentare HFRQGLYLGRO¶RELHWWLYRGLSXQWDUHVXOODTXDOLWjHODVRVWHQLELOLWjGHOODSURGX]LRQHH VXOULVSHWWRSHUO¶DPELHQWHPLqVHPSUHSLDFLXWDO¶LGHDGLODYRUDUHQHOO¶DUHDGHOOD è il dott. Biancolatte. produzione e del controllo alimentare, e in particolare nella produzione dei latticini Ecco la lettera di accompagnamento che apprezzo molto, pertanto vi chiedo gentilmente di informarmi riguardo alla vostra scritta da Carla. GLVSRQLELOLWj Le porgo i miei più cordiali saluti, Carla Bianchi
XVIII Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
Le cariche elettriche
“ ”
Electricity is lighting up hidden recesses everywhere.
Derrick de Kerckhove, 1998
«Elettricità» è una parola dal suono familiare: qualsiasi attività della società moderna è legata, più o meno direttamente, alla possibilità di usare l’energia elettrica. Non è sempre stato così. Anzi, questa possibilità è una realtà concreta da poco tempo rispetto alla storia dell’umanità: appena un paio di secoli. Per raggiungere il livello di evoluzione scientifica e tecnologica attuale, la conoscenza e la comprensione dei fenomeni elettrici si sono dovute sviluppare attraverso un difficile percorso, che ha avuto inizio con la semplice scoperta che certe proprietà della materia affondano le loro radici nel concetto di carica elettrica. In questo capitolo inizierai a seguire la storia della scienza dell’elettricità: partendo dalla semplice constatazione che certi materiali, se strofinati, acquisiscono la proprietà elettrica di attrarre piccoli oggetti leggeri, si giunse a individuare due classi di materiali, iso-
lanti e conduttori, e due tipi di carica elettrica, positiva e negativa. Si vide che tale proprietà elettrica può essere trasmessa da un corpo all’altro per contatto o anche per semplice vicinanza, o per induzione, cioè senza che i corpi si tocchino l’uno con l’altro. L’elettricità è dunque una proprietà che agisce «a distanza», legata a una forza che ha moltissime somiglianze con la già nota forza di gravità. Così come due masse esercitano l’una sull’altra una forza in virtù dell’interazione gravitazionale, due cariche esercitano tra loro una forza in virtù dell’interazione elettrica. Mentre nel caso gravitazionale abbiamo solo forze attrattive, nel caso dell’interazione elettrica essa può essere attrattiva o repulsiva, perché le cariche elettriche possono essere positive o negative, mentre la massa gravitazionale è sempre positiva.
Bruce Nauman, Five marching men, 1985.
PAROLE CHIAVE Carica elettrica Induzione Interazione elettrica
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1
LE CARICHE ELETTRICHE
1
FENOMENI ELETTRICI E CARICHE MICROSCOPICHE
Il 28 settembre 2003, intorno alle 3 del mattino, l’improvvisa interruzione di un’importante linea elettrica tra l’Italia e la Svizzera causò il sovraccarico delle linee funzionanti. Come conseguenza ultima, in seguito a un’interruzione a catena di altre linee e al blocco di diverse centrali, la rete elettrica italiana andò in collasso e la penisola rimase per circa 12 ore in balia di un memorabile black out. Gli ospedali attivarono immediatamente i generatori di emergenza per mantenere in funzione le apparecchiature sanitarie, ma il lungo protrarsi dell’interruzione esasperò la criticità della situazione. Intanto, nel buio della notte, circa 30 000 persone rimasero intrappolate nei treni fermi, negli ascensori, nella metropolitana della capitale eccezionalmente in funzione in quelle ore in occasione della «notte bianca» (figura 1).
Franco Origlia/Stringer
Figura 1. Durante la prima edizione della «notte bianca», nelle prime ore del mattino del 28 settembre 2003, Roma fu sorpresa da un black out che interessò anche il resto d’Italia (a esclusione della Sardegna e di qualche isola minore) per circa dodici ore.
Le attività umane oggi sono impensabili senza energia elettrica, e sono quindi strettamente legate alla tecnologia che la rende utilizzabile. L’accensione di un interruttore, l’inserimento di una spina in una presa o di una batteria in un dispositivo portatile sono gesti quotidiani e fanno talmente parte della nostra vita che ci fanno apparire l’elettricità estremamente familiare e scontata. Eppure senza un’adeguata tecnologia non siamo in grado di accendere lampadine: l’elettricità è ben nascosta nella materia. Mentre la meccanica, dall’invenzione della ruota in poi, accompagna l’umanità da tempo immemorabile, la scoperta dell’elettricità è molto più recente e il suo utilizzo per scopi pratici risale a un paio di secoli fa. Lo studio dei fenomeni
2 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE CARICHE ELETTRICHE
1
elettrici è difficile dal punto di vista sperimentale e teorico e ha richiesto un’elevata maturità scientifica, sia nella pratica di laboratorio sia nell’uso di strumenti matematici complessi. La scienza dell’elettricità si è sviluppata in collegamento con quella del magnetismo, a partire dal XVIII secolo, per concludersi verso la fine del XIX secolo, aprendo la strada alla fisica moderna. Le grandi difficoltà nella comprensione dei fenomeni elettrici da parte dei primi studiosi erano dovute al fatto che essi ignoravano totalmente la struttura della materia come oggi la conosciamo: fino al 1897, anno della scoperta sperimentale dell’elettrone, dovettero interpretare ciò che osservavano senza poter parlare in termini di particelle microscopiche elettricamente cariche come oggi siamo in grado di fare. Noi, però, possiamo ridurre le difficoltà introducendo qualche nozione preliminare, che ci aiuterà a comprendere la fisica dei fenomeni elettrici mentre seguiamo il percorso storico del loro studio scientifico.
Proprietà elettriche La parola «elettricità» deriva dal greco h“lektron (élektron), che vuol dire «ambra». L’ambra è una resina fossile e gli antichi Greci avevano osservato che, dopo averla strofinata su un panno, era in grado di attirare a sé piccoli pezzi di materia, aveva cioè acquistato una proprietà elettrica detta oggi elettrizzazione (figura 2).
Inizialmente la capacità di elettrizzarsi sembrava essere una prerogativa dell’ambra, ma già nel Medioevo si sapeva che altri materiali mostrano lo stesso comportamento dopo essere stati strofinati. Si dovette arrivare al XVIII secolo per scoprire che i corpi elettrizzati si attraggono o si respingono reciprocamente a seconda del materiale, individuando due tipi di elettricità: vetrosa e resinosa, o meglio, in termini più attuali, dovuta rispettivamente a cariche positive e a cariche negative. Se appendiamo una bacchetta di ambra a un filo di nylon, osserviamo che essa è respinta da un’altra bacchetta di ambra elettrizzata mentre è attratta da una bacchetta di vetro elettrizzata. Allo stesso modo due bacchette di vetro elettrizzate si respingono, mostrando che i corpi elettrizzati interagiscono fra loro secondo due modalità. In termini moderni distinguiamo pertanto due tipi di carica elettrica definiamo positiva e indichiamo con il segno «» quella dei corpi che si comportano come il vetro, mentre definiamo negativa e indichiamo con il segno «» quella dei corpi che si comportano come l’ambra (figura 3).
ambra
vetro a
ambra
ambra b
vetro vetro c
Massimiliano Trevisan
Un corpo è detto elettrizzato quando è in grado di attirare piccoli oggetti leggeri.
Figura 2. L’ambra è una resina di conifere fossilizzata, in grado di attirare piccoli pezzi di carta dopo essere stata strofinata su un panno.
Figura 3. a. Una bacchetta di vetro e una di ambra elettrizzate si attraggono. b. Due bacchette di ambra elettrizzate si respingono. c. Due bacchette di vetro elettrizzate si respingono.
3 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
1
LE CARICHE ELETTRICHE
Due corpi che hanno carica dello stesso segno si respingono; due corpi che hanno carica di segno opposto si attraggono. Un corpo privo di carica elettrica è detto elettricamente neutro. Come vedremo, due corpi hanno la stessa carica quando producono i medesimi effetti.
Protoni ed elettroni Ne (neon)
Figura 4. Il numero di protoni, carichi positivamente, presenti nel nucleo di un atomo è uguale al numero di elettroni, carichi negativamente, che si trovano nella zona esterna. Ogni atomo è pertanto elettricamente neutro.
Sin dalle prime evidenze sperimentali dell’esistenza degli atomi si sa che essi sono costituiti da cariche elettriche. Oggi sappiamo che le cariche positive, dette protoni, si trovano nella parte centrale dell’atomo, il nucleo, mentre quelle negative, dette elettroni, occupano lo spazio circostante. Protoni ed elettroni hanno carica uguale e opposta e, siccome ogni atomo è elettricamente neutro, il numero degli uni è esattamente uguale al numero degli altri (figura 4). In un corpo elettrizzato le cariche di un tipo sono in numero maggiore rispetto a quelle dell’altro tipo. Poiché le cariche con maggiore mobilità sono gli elettroni più esterni, la carica di un corpo è determinata da un eccesso o da un difetto di elettroni.
L’unità di misura della carica elettrica Prima ancora di entrare nei dettagli, è utile premettere che: s tutti gli elettroni hanno la stessa carica; s non è mai stata osservata una particella che abbia una carica inferiore a quella dell’elettrone; s tutte le particelle conosciute hanno cariche multiple (con il segno più o con il segno meno) di quella dell’elettrone. Il valore assoluto e della carica dell’elettrone è la carica più piccola misurabile ed è pertanto una costante fondamentale della fisica, nota come carica elettrica elementare: e 1,6022 × 10–19 C dove il coulomb (C) è l’unità di misura della carica secondo il Sistema Internazionale, come vedremo meglio più avanti. Secondo questa definizione la carica dell’elettrone è e 1,6022 × 10–19 C, cioè: una quantità di carica pari a 1 C corrisponde alla carica complessiva di 6,2418 × 1018 elettroni, valore dato dall’inverso della carica elementare e.
ESEMPIO f Un atomo a cui siano sottratti o aggiunti uno o più elettroni è detto ione, rispettivamente positivo e negativo. Il cloruro di sodio, cioè il sale più abbondante nell’acqua del mare, è composto da uno ione cloro negativo e da uno ione sodio positivo, che si attraggono a vicenda in virtù del fatto che le loro cariche sono opposte.
4 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
1
LE CARICHE ELETTRICHE
In questo caso lo ione del cloro ha una carica negativa, dovuta a un elettrone in eccesso. Qual è la carica dello ione del sodio?
elettrone
cloro
sodio
SOLUZIONE Il cloro riceve un elet- cloruro di sodio trone dal sodio e acquista una carica negativa pari a e 1,6022 × 10–19 C Il sodio, cedendo l’elettrone al cloro, si carica positivamente con una carica uguale e opposta a quella del cloro, in quanto il composto è complessivamente neutro. La carica dello ione del sodio è dunque: e 1,6022 × 10–19 C DOMANDA Nel cloruro di magnesio, un altro sale presente nell’acqua del mare, per ogni ione del magnesio troviamo due ioni del cloro, ciascuno con un elettrone in eccesso rispetto all’atomo neutro. Qual è la carica dello ione del magnesio?
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L’ELETTRIZZAZIONE PER STROFINIO
Come l’ambra e il vetro, diversi altri materiali possono essere elettrizzati mediante sfregamento. Per esempio, se strofiniamo la bacchetta in plastica di una biro su un panno di lana, possiamo verificare che questa poi è in grado di attirare piccoli pezzi di carta: come l’ambra, le materie plastiche assumo in questo caso una carica negativa. Dal punto di vista microscopico ciò corrisponde a un eccesso di elettroni sulla bacchetta, i quali, non bilanciati da un uguale numero di protoni, le conferiscono proprietà elettriche macroscopiche. Spostiamo l’attenzione dalla bacchetta e chiediamoci che cosa accade al panno di lana. Supponiamo che non vi sia stata creazione di cariche durante lo strofinio: dobbiamo dedurre che esse si ano state in qualche modo sottratte alla lana, la quale si elettrizza a sua volta, acquistando una carica positiva di uguale misura. In effetti, dal punto di vista microscopico lo sfregamento comporta un passaggio delle particelle più esterne degli atomi, gli elettroni, da un corpo all’altro, in modo tale che il loro numero complessivamente non cambi (figura 5). Un corpo inizialmente scarico può essere elettrizzato mediante lo sfregamento con un altro corpo, in seguito al quale tra essi avviene un passaggio di cariche elettriche.
Figura 5. Quando strofiniamo una bacchetta di plastica con un panno di lana avviene un passaggio di elettroni dalla lana alla plastica. La bacchetta risulta pertanto caricata negativamente e il panno positivamente.
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LE CARICHE ELETTRICHE
L’elettrizzazione è dunque un trasferimento di elettroni, senza creazione o distruzione di cariche. Questa importante proprietà è nota come principio di conservazione della carica elettrica, secondo il quale in un sistema chiuso la somma algebrica delle cariche positive e delle cariche negative non cambia nel tempo. Quindi se due corpi inizialmente neutri vengono elettrizzati mediante il reciproco sfregamento, la carica acquistata dall’uno è uguale e opposta in segno alla carica acquistata dall’altro, in modo tale che la loro somma algebrica continui a essere uguale a zero.
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Esempi di elettrizzazione per strofinio
Figura 6. Durante una giornata ventosa i capelli possono elettrizzarsi in seguito allo sfregamento dell’aria. Essi si respingono reciprocamente perché dotati di carica dello stesso segno.
Nella vita di tutti i giorni capita spesso di assistere a fenomeni di elettrizzazione per strofinio. Durante la corsa la carrozzeria di un’automobile può elettrizzarsi in seguito allo strofinio dell’aria che vi scorre sopra; ce ne rendiamo conto quando, una volta scesi dall’automobile, avvertiamo una piccola scossa toccando la maniglia esterna. Nelle giornate ventose può capitare che siano i nostri stessi abiti a elettrizzarsi in seguito allo strofinio dell’aria; o i nostri capelli che, una volta elettrizzati, si respingono l’un l’altro sollevandosi sulla testa (figura 6). Alcuni tessuti, se sfregati tra loro, si elettrizzano a vicenda e, mentre ci sfiliamo rapidamente un capo sintetico, può capitare di avvertire piccoli crepitii che al buio appaiono accompagnati da minuscole scintille.
L’elettricità fra laboratori e salotti Nella seconda metà del XVII secolo il borgomastro di Magdeburgo Otto von Guericke, già noto per aver inventato una pompa da vuoto, costruì la prima macchina elettrostatica documentata nella storia, un marchingegno capace di accumulare una notevole quantità di carica. Si trattava di una sfera di zolfo montata su un manico, che poteva essere vistosamente elettrizzata per strofinio (figura 7).
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Figura 7. La macchina elettrostatica di von Guericke (1672) era costituita da una sfera di zolfo elettrizzata per strofinio.
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LE CARICHE ELETTRICHE
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La possibilità di costruire macchine elettrostatiche, e quindi di avere a disposizione corpi elettrizzati con i quali eseguire esperimenti, moltiplicò gli studi sull’elettricità. Le prime macchine elettrostatiche erano sostanzialmente sfere messe in rotazione da manovelle o pulegge, e in un primo tempo l’elettrizzazione era ottenuta con lo strofinio delle mani. Con piccole modifiche nella meccanica o nei materiali usati, esse venivano utilizzate per compiere gli studi più disparati: dalla fisica alla medicina. Divenne infatti convinzione comune che l’elettricità avesse proprietà terapeutiche e potesse curare molte malattie, in virtù delle magiche virtù, non meglio identificate, del misterioso «fluido elettrico» che sembrava emanare dai corpi carichi. Oltre che nei laboratori, per tutto il XVIII secolo l’elettricità fu di gran moda nei salotti, nei quali crepitii e scintille erano diventate vere e proprie attrazioni per dame e curiosi. La scienza dell’elettricità è nata dunque in un clima di stupore, fra stravaganti esperimenti e fenomeni che all’epoca non era facile interpretare perché non c’era ancora una teoria della materia in grado di renderne conto. Gli studiosi avevano a disposizione pochi strumenti per stimolare l’elettricità nascosta nella materia, e il loro compito di ricercare le leggi per spiegare ciò che accadeva era reso ancora più difficile dalla quantità di fenomeni che via via si andavano osservando. Mettere ordine in tale confusione per costruire una teoria scientifica, scevra da ogni idea di «magia» ereditata dal Medioevo, era un compito difficile.
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L’ELETTRIZZAZIONE PER CONTATTO
Anche se era difficile interpretare la moltitudine di fenomeni con cui avevano a che fare i primi studiosi dell’elettricità, fu comunque possibile isolare alcuni cruciali esperimenti e trarne conclusioni importanti, come quello che permise, nel 1733, a Charles François Du Fay di distinguere l’elettricità «vetrosa» da quella «resinosa» (cioè la carica positiva dalla carica negativa). Già nel 1729 l’inglese Stephen Gray aveva fatto un’importantissima scoperta: in alcuni casi l’elettricità era in grado di propagarsi nella materia, da un punto a un altro di un corpo e da un corpo all’altro: aveva scoperto un nuovo modo per ottenere l’elettrizzazione, attraverso il contatto con un corpo carico (figura 8). Un corpo inizialmente scarico può essere elettrizzato per contatto con un corpo carico che trasferisce su di esso parte della sua carica.
Figura 8. Un corpo può essere elettrizzato per contatto con un altro corpo carico.
Immediatamente iniziò a sperimentare questa nuova proprietà, attraverso l’uso di materiali diversi ed eseguendo prove su distanze sempre più lunghe: appendeva corpi elettrizzati con fili di seta e li disponeva l’uno accanto
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LE CARICHE ELETTRICHE
Figura 9. Un ragazzo elettrizzato e appeso tramite fili isolanti è in grado di attirare piccoli pezzi di carta.
all’altro trasmettendo l’elettricità per decine di metri. Quando, per ragioni di peso, fu costretto a usare fili metallici, si accorse che il fenomeno non si verificava più: l’elettrizzazione sembrava scomparire dai corpi sospesi. Gray interpretò correttamente l’accaduto, individuandone la causa nelle diverse proprietà elettriche della seta e del metallo. Il metallo, a differenza della seta, trasmette l’elettricità dei corpi appesi alla struttura, che a sua volta la trasferisce alla Terra con cui è in contatto. In altre parole le cariche, passando attraverso i fili metallici, vengono sottratte ai corpi appesi e si disperdono nei corpi con i quali sono in contatto, e quindi in ultima analisi nella Terra (figura 9). A seconda che si comportassero come la seta o come il metallo, Gray individuò due classi di materiali, introducendo così l’importante distinzione fra materiali isolanti e materiali conduttori. I primi non consentono la trasmissione dell’elettrizzazione, a differenza dei secondi.
Isolanti e conduttori
Figura 10. a. Gli elettroni passano dalla Terra alla bacchetta conduttrice e viceversa attraverso il nostro corpo, per cui le cariche non si accumulano sulla bacchetta. b. Se usiamo guanti di gomma, che sono isolanti e bloccano il passaggio delle cariche, la bacchetta può accumularle su di sé ed essere elettrizzata. c. Una bacchetta di materiale isolante non lascia passare al suo interno le cariche elettriche, ed esse restano nella parte che non è in contatto con le nostre mani. a
b
Per avere una corretta interpretazione microscopica di tale differente comportamento dobbiamo arrivare al XX secolo e utilizzare concetti di fisica moderna. Per ora ci limitiamo a una definizione basata sull’esistenza degli elettroni come responsabili dei fenomeni elettrici macroscopici, senza entrare nei dettagli della struttura della materia: negli isolanti gli elettroni non si allontanano dagli atomi ai quali appartengono; nei conduttori gli elettroni possono muoversi liberamente all’interno del corpo. Per questo motivo i corpi elettrizzabili per contatto sono generalmente costituiti da materiali conduttori, nei quali gli elettroni sono liberi di muoversi e di passare da un corpo all’altro. Ad esempio, il nostro corpo è un buon conduttore di elettricità, pertanto tendiamo a scaricare i corpi carichi quando li teniamo in mano senza interporre un materiale isolante. Quando, per esempio, strofiniamo una bacchetta conduttrice con un panno di lana, gli elettroni passano facilmente attraverso il nostro corpo mettendo in comunicazione la bacchetta con il suolo (figura 10a): la bacchetta, il nostro corpo e c la Terra si comportano come se fossero un unico grande corpo, nel quale l’esigua quantità di carica coinvolta nel processo di elettrizzazione si diluisce a tal punto che non ne vediamo gli effetti. Se invece teniamo la bacchetta conduttrice dopo aver indossato guanti di gomma isolanti, le cariche restano sulla bacchetta, che si elettrizza. Lo stesso accade quando strofiniamo una bacchetta costituita da un materiale isolante, che trattiene su di sé le cariche trasferite dallo strofinio (figura 10 b-c).
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LE CARICHE ELETTRICHE
L’elettroscopio Grazie alla conduzione elettrica possiamo confrontare il segno della carica di due corpi elettrizzati utilizzando due semplici pendoli costruiti con palline di sambuco. Se elettrizziamo per contatto le due palline, ciascuna con uno dei due corpi elettrizzati, e le avviciniamo a sufficienza senza che si tocchino, osserviamo che si respingono o si attraggono: nel primo caso significa che le cariche delle due palline (e quindi dei due corpi di partenza) sono di segno uguale; nel secondo sono invece di segno opposto (figura 11). La forza di attrazione o repulsione è tanto maggiore quanto maggiore è la quantità di carica trasferita sulle palline. Possiamo utilizzare questo ragionamento per comprendere come funziona un elettroscopio a foglie d’oro. Esso è costituito da un’asta conduttrice che termina con due sottili e leggerissime foglie metalliche, in genere d’oro, un metallo molto malleabile. L’asta è posta in verticale: l’estremità inferiore con le foglioline è inserita in un recipiente di vetro, mentre l’estremità superiore, posta all’esterno del recipiente, termina con un pomello conduttore. Quando un corpo carico viene messo in contatto con il pomello, la sua carica si distribuisce sul pomello stesso, sull’asta e su entrambe le foglioline, che quindi acquistano cariche dello stesso segno. Come le palline di sambuco, qualunque sia il segno della carica trasferita, esse si respingono e si divaricano (figura 12a). Se tocchiamo il pomello le cariche vengono trasmesse attraverso il nostro corpo alla Terra e l’elettroscopio perde la sua elettrizzazione: le foglioline tornano in posizione verticale, soggette alla loro forza peso (figura 12b). L’angolo formato dalle foglioline durante l’elettrizzazione dipende dalla loro carica e quindi, in ultima analisi, dalla carica del corpo che è entrato in contatto con il pomello. Se aggiungiamo una scala graduata e misuriamo l’angolo, possiamo eseguire un confronto quantitativo fra cariche elettriche di corpi diversi (figura 12c). b
Figura 12. a. Qualunque sia il segno della carica trasmessa all’elettroscopio, le due foglioline divergono formando un angolo tanto maggiore quanto maggiore è l’elettrizzazione trasferita al pomello. b. Se tocchiamo il pomello le cariche passano attraverso il nostro corpo scaricando l’elettroscopio. c. Un elettroscopio a cui sia aggiunta una scala graduata per misurare gli angoli formati dalle foglioline dopo l’elettrizzazione permette di confrontare tra loro quantità diverse di carica.
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Figura 11. Se le palline hanno carica dello stesso segno si respingono, se hanno carica opposta si attraggono.
c
Science & Society Picture Library/Science Museum
a
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LE CARICHE ELETTRICHE
L’ELETTRIZZAZIONE PER INDUZIONE ELETTROSTATICA
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Nel proliferare di esperimenti e pubbliche esibizioni di eclatanti fenomeni elettrici, divenne noto che non solo è possibile elettrizzare un corpo senza strofinarlo, mettendolo semplicemente in contatto con un altro corpo carico, ma che è addirittura possibile elettrizzare un corpo senza nemmeno toccarlo. In generale in fisica si parla di induzione quando un corpo posto nelle vicinanze di un altro corpo è in grado di modificarne alcune caratteristiche o di determinarne alcune proprietà. Parliamo di «induzione elettrostatica» quando un corpo posto nelle vicinanze di un altro ne modifica lo stato elettrico. Questa modificazione non è permanente, ma scompare quando il corpo carico viene allontanato (figura 13). Un corpo inizialmente scarico può acquistare proprietà elettriche per induzione elettrostatica grazie alla vicinanza con un altro corpo carico.
Figura 13. Un elettroscopio può essere caricato avvicinando ad esso un corpo carico, ma si scarica immediatamente quando il corpo carico viene allontanato.
Per comprendere il fenomeno conviene fare un passo avanti e utilizzare nozioni più moderne sulla struttura microscopica della materia.
Induzione elettrostatica in un conduttore Immaginiamo di avere una barretta di materiale conduttore inizialmente scarica e di avvicinare a una sua estremità un oggetto carico negativamente. Gli elettroni, liberi di muoversi all’interno della barretta, vengono respinti dalla carica negativa dell’oggetto e si spostano verso l’estremità opposta, lasciando scoperte le cariche positive, che si trovano pertanto addensate nei pressi dell’oggetto. In definitiva, la barretta è complessivamente neutra in quanto non ha né ceduto né acquistato elettroni, ma le cariche sono distribuite in modo non omogeneo al suo interno, provocando elettrizzazioni di segno opposto ai due estremi. L’induzione elettrostatica è una distribuzione non omogenea di cariche all’interno di un conduttore neutro, causata dalla vicinanza con un corpo carico. Quando l’oggetto carico viene allontanato gli elettroni sono attratti dalle
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LE CARICHE ELETTRICHE
cariche positive e tornano a mescolarsi ad esse, ripristinando la configurazione iniziale della bacchetta (figura 14).
1 Figura 14. Se avviciniamo un corpo carico negativamente a un conduttore, nella regione più vicina ad esso si addensano le cariche positive, in quanto gli elettroni negativi, liberi di muoversi all’interno del materiale, vengono respinti e si allontanano verso l’estremo opposto. Una volta allontanato il corpo carico, nel conduttore le cariche tornano a mescolarsi, ripristinando la configurazione neutra iniziale.
ESEMPIO Alla luce di quanto detto, ricostruiamo l’elettrizzazione dell’elettroscopio di figura 13 nell’ipotesi che il corpo sia carico positivamente. Sul pomello dell’elettroscopio si addensano in questo caso gli elettroni, negativi, attratti dalla carica opposta del corpo. Le foglioline risultano pertanto cariche positivamente, essendo rimaste prive degli elettroni attratti verso l’altra estremità.
DOMANDA Qual è la carica delle foglioline di un elettroscopio che viene caricato per induzione avvicinando loro un corpo carico negativamente? Spiegalo in 5 righe. L’induzione elettrostatica consente di caricare un conduttore inizialmente neutro. Avvicinando un corpo carico C a un conduttore induciamo su di esso un’elettrizzazione uguale e opposta delle due estremità. Se il conduttore è formato da due parti, come in figura 15a, possiamo allontanarle l’una dall’altra ottenendo due corpi conduttori carichi con cariche uguali e opposte. L’elettrizzazione permane anche dopo aver allontanato il corpo C, con le cariche che si ridistribuiscono su tutto il corpo. Possiamo caricare il conduttore anche scaricando una delle sue estremità durante l’induzione elettrostatica. Per esempio, se tocchiamo l’estremità opposta a quella a cui è avvicinato l’oggetto carico mettiamo in contatto con la Terra questa estremità, che perde la sua carica a causa del passaggio di elettroni attraverso il nostro corpo. Il conduttore risulta pertanto elettrizzato con carica opposta a quella dell’oggetto e l’elettrizzazione permane anche quando l’oggetto viene allontanato (figura 15b).
a
Figura 15. a. Allontanando le due parti di un conduttore su cui è verificato il fenomeno dell’induzione elettrostatica possiamo ottenere due conduttori carichi di segno opposto in modo permanente. b. Se scarichiamo una delle due parti del conduttore su cui è verificato il fenomeno dell’induzione elettrostatica, il conduttore stesso risulta elettrizzato in modo permanente con una carica opposta a quella dell’oggetto.
b
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LE CARICHE ELETTRICHE
In tabella 1 è rappresentato uno schema dei tre possibili metodi di elettrizzazione della materia. ELETTRIZZAZIONE Tabella 1. Elettrizzazione per strofinio, per contatto e per induzione.
DESCRIZIONE
Per strofinio
RISULTATO
SPIEGAZIONE MICROSCOPICA
Un corpo si carica positivamente, l’altro negativamente
Un certo numero di elettroni passa da un corpo all’altro
I due corpi hanno carica dello stesso segno
Un corpo carico negativamente cede elettroni al corpo neutro; un corpo carico positivamente aquista elettroni dal corpo neutro
Le due parti separate del conduttore hanno carica uguale e opposta
Gli elettroni all’interno del conduttore si accumulano in una parte di esso per induzione elettrostatica, lasciando cariche positive nella parte opposta
Si ottiene strofinando i corpi fra loro
Per contatto Si ottiene facendo toccare un corpo neutro con un corpo carico
Per induzione Si ottiene separando due parti di un conduttore neutro posto vicino a un corpo carico
L’elettroforo di Volta Le macchine elettrostatiche, per quanto sviluppate e arricchite con strategie basate sulla conduzione e sull’induzione, producevano elettricità a partire dal meccanismo dello strofinio. Ogni volta che si doveva effettuare un esperimento, anche solo per intrattenere un pubblico di curiosi durante una dimostrazione pubblica dei prodigi dell’elettricità, bisognava azionare una manovella con la quale far ruotare qualcosa che strofinasse, più o meno direttamente, il corpo da elettrizzare. Intorno al 1775 il fisico italiano Alessandro Volta inventò un sistema per accumulare e trasferire cariche da un corpo all’altro più volte, senza dover ricorrere continuamente allo strofinio. È un dispositivo noto come «elettroforo di Volta» ed è basato sul fenomeno dell’induzione elettrostatica. Consiste in un disco metallico, dotato di un manico isolante che consente di spostarlo senza scaricarlo. Se appoggiamo l’elettroforo su una base isolante carica, per esempio positivamente, nel disco si verifica il fenomeno dell’induzione: le
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LE CARICHE ELETTRICHE
cariche positive dell’isolante attirano nel disco conduttore quelle negative che, libere di muoversi, si accumulano nei pressi della superficie di contatto, mentre la superficie opposta si carica positivamente. Se a questo punto tocchiamo questa superficie, l’elettrizzazione è neutralizzata per contatto con la Terra: l’elettroforo risulta così caricato negativamente per un eccesso complessivo di elettroni e può essere sollevato dalla base senza perdere la sua elettrizzazione. La base isolante, ancora carica, può essere riutilizzata per altri «prelievi» di elettrizzazione, senza bisogno di essere nuovamente strofinata (figura 16).
manico isolante disco conduttore
base isolante a
1
Figura 16. a. Per il fenomeno dell’induzione elettrostatica le due facce del disco metallico si caricano con elettricità di segno opposto. b. Quando la superficie superiore viene toccata si scarica per contatto con il suolo. c. L’elettroforo può trasportare altrove la carica acquisita senza che la base abbia perso la sua elettrizzazione.
b
c
La polarizzazione Nei materiali isolanti (detti anche dielettrici) gli elettroni non sono liberi di allontanarsi dagli atomi a cui appartengono. Tuttavia, quando avviciniamo un corpo carico a un isolante, gli elettroni risentono dell’attrazione o della repulsione che ne deriva, anche se non possono muoversi liberamente al suo interno. Di fatto tendono a spostarsi leggermente dalla loro posizione, deformando gli atomi lungo la direzione dell’attrazione o della repulsione dovuta alla vicinanza con il corpo carico. Si formano cioè dei piccoli dipoli elettrici, formati da un addensamento di carica positiva e un addensamento di carica negativa (figura 17a). In ciascun dipolo la carica di segno opposto rispetto a quella del corpo carico si distribuisce più vicino al corpo stesso: si parla in tal caso di polarizzazione per deformazione (figura 17b). carica positiva carica negativa
dipolo
a
corpo carico b
Può anche verificarsi il fatto che, all’interno di un materiale, le molecole presentino una configurazione asimmetrica pur in assenza di elettrizzazione, per cui sono di fatto dipoli elettrici naturali. In questo caso alla polarizzazione per deformazione si aggiunge la polarizzazione per orientamento: i dipoli mo lecolari si dispongono in modo tale che la carica opposta al corpo elettrizzato sia diretta verso lo stesso. L’acqua, per esem pio, ha una molecola polare con la carica acqua negativa addensata sull’ossigeno (figura 18).
Figura 17. a. Nelle vicinanze di un corpo carico, all’interno di un isolante gli atomi si deformano perché gli elettroni tendono a spostarsi in conseguenza dell’attrazione o della repulsione del corpo. Il dipolo che si genera pertanto è formato da un addensamento di carica negativa e un addensamento di carica negativa. b. All’interno dell’isolante i dipoli microscopici sono orientati in modo che la carica opposta a quella del corpo sia più vicina al corpo stesso.
Figura 18. La molecola dell’acqua è assimilabile a un dipolo con la carica negativa corrispondente all’ossigeno e quella positiva corrispondente all’idrogeno: avvicinando un corpo carico positivamente a una quantità d’acqua le molecole si orientano con gli atomi di ossigeno verso di esso.
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LE CARICHE ELETTRICHE
ESEMPIO La polarizzazione dei dielettrici spiega il fenomeno dell’attrazione elettrostatica di un corpo carico su piccoli corpi di materiale isolante. Se elettrizziamo per strofinio una bacchetta di plastica, essa acquista carica negativa. Quando avviciniamo la bacchetta a dei piccoli pezzi di carta questi ultimi si polarizzano orientando l’estremità positiva dei dipoli verso la bacchetta. Trattandosi di cariche opposte esse tendono ad attirarsi e, se i pezzettini di carta sono sufficientemente leggeri, possono essere sollevati fino ad aderire alla bacchetta.
DOMANDA Una bacchetta di metallo attirerebbe lo stesso i pezzettini di carta? Spiega in 5 righe le eventuali differenze.
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Figura 19. La legge di Coulomb formalizza il fatto che cariche dello stesso segno si respingono, mentre cariche di segno opposto si attraggono.
LA LEGGE DI COULOMB
Abbiamo visto che corpi elettricamente carichi si attraggono o si respingono reciprocamente, cioè che vi è fra essi un’interazione elettrica, ma non abbiamo mai parlato della forza che essi esercitano Q2 Q1 l’uno sull’altro in termini quantitativi. In effetti, per quasi tutto il XVIII secolo gli r esperimenti furono condotti per lo più a livello qualitativo, date le grandi difficoltà Q1 Q2 nel controllo dei fenomeni elettrici. Solo nel 1788 fu formulata una vera e propria r legge matematica per esprimere in modo rigoroso la forza elettrica tra due corpi Q1 Q2 carichi, in termini di quantità di carica r posseduta da essi e di distanza reciproca. Questa legge (figura 19), formulata ufficialmente dal francese Charles-Augustin de Coulomb, afferma che due cariche puntiformi Q1 e Q2 poste nel vuoto si attraggono reciprocamente con una forza F0, diretta lungo la loro congiungente e di intensità direttamente proporzionale al prodotto fra le cariche e inversamente proporzionale al quadrato delle loro distanze: F0
k0
Q1 Q2 r2
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(1.1)
LE CARICHE ELETTRICHE
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Se le due cariche si trovano nel vuoto, la costante k0 ha il valore: k0 8,99 × 109 N · m2/C2 Dato che le cariche possono essere positive o negative, il prodotto Q1 Q2 può essere anch’esso positivo o negativo a seconda dei casi. Ciò determina il verso della forza, che pertanto può essere sia attrattiva sia repulsiva. In particolare: s se Q1 e Q2 hanno lo stesso segno la forza è repulsiva (F 0); s se Q1 e Q2 hanno segno opposto la forza è attrattiva (F 0).
ESEMPIO f Qual è la forza repulsiva esercitata reciprocamente da due elettroni posti a 1,0 cm di distanza nel vuoto? SOLUZIONE Sostituiamo i dati nella legge di Coulomb (formula 1.1): r 1,0 cm 1,0 × 10–2 m Q1 Q2 e 1,6022 × 10–19 C
DOMANDA Come cambia la forza tra i due elettroni se la distanza tra essi si dimezza?
La costante dielettrica del vuoto In genere la costante, qui espressa sinteticamente con il simbolo k0, viene scritta in un’altra forma in cui compare la cosiddetta costante dielettrica del vuoto, ε0: k0
1 4 πε0
Cioè (1.2)
dove ε0 8,854 × 10–12 C2/(N·m2).
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LE CARICHE ELETTRICHE
La costante dielettrica di un mezzo materiale Nei materiali isolanti, a parità di cariche e di distanza fra esse, la forza di Coulomb ha in genere un’intensità minore di quella nel vuoto. Si verifica sperimentalmente che il rapporto tra le due forze è costante e dipende esclusivamente dal materiale. La costante εr è detta costante dielettrica relativa del mezzo considerato rispetto al vuoto ed è definita come il rapporto tra la forza di Coulomb nel vuoto F0 e la forza di Coulomb nel materiale considerato F, a parità di condizioni di carica e di distanza reciproca: εr =
F0 F
(1.3)
La forza elettrica nella materia si esprime dunque mediante l’espressione: F0 εr
F
(1.4)
(1.5)
Questa espressione permette di definire la costante dielettrica assoluta del mezzo considerato: ε ε 0ε r che porta alla formula generale della forza di Coulomb:
Tabella 2. Costanti dielettriche relative di alcuni materiali alla temperatura di 298 K e alla pressione di 1,01 × 105 Pa.
MEZZO
COSTANTE DIELETTRICA RELATIVA εr
aria
1.00056
acqua
80
ghiaccio
75
alcol etilico
24-26
plexiglass
3,4
vetro comune
5-10
PVC
4,5
legno
3-7
ambra
2,8
carta
2,0
gomma
2,2-3,5
porcellana
5,0-7,0
(1.6)
che si riduce alla formula (1.2) nel vuoto, dove ε ε0. In tabella 2, dove sono riportate le costanti dielettriche relative di alcuni materiali, possiamo osservare che, a pressione normale, la costante dielettrica dell’aria è in molti casi approssimabile a 1, cioè possiamo utilizzare anche per l’aria la formula (1.2) valida per il vuoto.
ESEMPIO f Qual è la forza repulsiva esercitata reciprocamente da due elettroni posti a 1,0 cm di distanza nell’ambra? SOLUZIONE Dalla tabella 2 ricaviamo la costante dielettrica relativa dell’ambra: εr 2,8 Sostituiamo questo valore direttamente nella formula (1.3) invertita rispetto a F: F
F0 εr
F0 2, 8
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LE CARICHE ELETTRICHE
1
F0 è la forza esercitata reciprocamente da due elettroni posti a 1,0 cm di distanza nel vuoto, ricavata nell’esempio precedente, per cui: F=
2, 3 × 10−24 N = 8, 2 × 10−25 N 2, 8
DOMANDA Qual è la forza esercitata da un elettrone e un protone posti a una distanza di 1,5 mm in acqua?
Principio di sovrapposizione Se abbiamo più cariche in posizioni fisse nella stessa regione di spazio gli effetti si sommano: su una carica agiscono contemporaneamente tutte le altre cariche, ognuna di esse esercita la sua forza indipendentemente dalle altre. In altre parole, in riferimento alla figura 20, se una carica Q1, posta nella posizione A, agisce sulla carica Q con una forza F1, e una carica Q2, posta nella posizione B, agisce sulla carica Q con una forza F2, allora, se poniamo contemporaneamente le cariche Q1 e Q2 nelle posizioni A e B, la forza risultante sulla carica Q è data dalla somma vettoriale di F1 e F2. Q → F1
Q1 A
Q → F 2
B
Q → → F2 F1
Q2 B
A
Q1 A
→
→
F1 F2
Q2 B
Figura 20. La forza totale che agisce su una carica elettrica è data dalla somma vettoriale delle forze che eserciterebbero singolarmente le cariche circostanti.
Analogia con l’interazione gravitazionale La legge di Coulomb ha una forte somiglianza matematica con la legge di gravitazione universale, che esprime la forza di attrazione F tra due masse m1 e m2 poste a una distanza r, dove il segno meno tiene conto del fatto che si tratta di una forza attrattiva: F = −G
m1m2 r2
La più vistosa e importante analogia riguarda la comune dipendenza dall’inverso del quadrato della distanza tra i corpi. A questa va aggiunta la diretta proporzionalità con i prodotti delle due grandezze fisiche che determinano l’interazione: la carica elettrica in un caso e la massa gravitazionale nell’altro. Osserviamo che c’è un’importante differenza tra i due casi: mentre l’interazione gravitazionale si manifesta sempre tra qualsiasi corpo materiale, l’interazione elettrica richiede che i corpi siano dotati di carica elettrica, e ciò non è sempre verificato. Due oggetti elettricamente neutri, infatti, si attirano l’uno l’altro per la forza di gravità, mentre non si misura tra essi alcuna forza elettrica.
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LE CARICHE ELETTRICHE
Altra importante differenza è data dal segno della carica elettrica, che può essere positivo o negativo e determina una forza elettrica attrattiva o repulsiva a seconda dei casi, mentre la massa è sempre positiva e determina solo una forza attrattiva (F 0 sempre). Per concludere, osserviamo che per poter rilevare le proprietà gravitazionali della materia abbiamo bisogno di elevati valori della massa, e quindi non ci accorgiamo che, per esempio, due mele si attraggono a videnda come avviene tra pianeti o stelle. Invece riusciamo a elettrizzare i corpi al punto che l’interazione elettrica tra essi sia evidente. Questo si spiega perché le particelle microscopiche, elettroni o protoni, hanno masse tali che la forza gravitazionale tra esse è molto minore della forza elettrica dovuta alle loro cariche. In sintesi, l’interazione elettrica tra essi è molto più intensa di quella gravitazionale.
ESEMPIO Secondo la legge di Coulomb, due elettroni posti a una distanza di 1,0 cm nel vuoto si respingono con una forza pari a 2,3 × 10–24 N. Oltre a tale forza repulsiva, tra gli elettroni c’è anche una forza gravitazionale attrattiva, la cui intensità è data dalla legge di gravitazione universale: Fg = −G
m1m2 r2
dove m1 m2 melettrone 9,1 × 10–31 kg Se eseguiamo il calcolo (G 6,67 × 10–11 N·m2/kg2): Fg = −6, 67 × 10−11
N ⋅ m 2 9, 1 × 10−31 kg × 9, 1 × 10−31 kg = −5, 5 × 10−67 N × 2 −2 2 kg (1, 0 × 10 m )
vediamo che l’intensità delle forza di gravità tra due elettroni posti alla distanza di 1,0 cm è molto più piccola di quella repulsiva elettrica alla stessa distanza, già calcolata in precedenza e pari a 2,3 × 10–24 N. L’intensità della forza repulsiva elettrica è di 43 ordini di grandezza più intensa della forza attrattiva di gravità, che può essere quindi trascurata. DOMANDA Per avere una forza di gravità di intensità pari a 2,3 × 10–24 N, quali dovrebbero essere le masse degli elettroni, nelle stesse condizioni?
L’esperimento di Coulomb Prima di comunicare alla comunità scientifica la legge dell’interazione elettrica tra corpi carichi, Coulomb la verificò sperimentalmente con una bilancia di torsione, simile a quella incontrata nella meccanica, con la quale Cavendish aveva misurato la costante di gravitazione universale G. Questa volta però, invece delle masse, Coulomb usò le cariche.
18 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE CARICHE ELETTRICHE
1
Utilizzò un manubrio avente a un’estremità un corpo carico e all’altra un corpo elettricamente neutro, avente la funzione di contrappeso per evitare che il sistema si sbilanciasse per effetto della forza di gravità terrestre. Coulomb riuscì a determinare la forza repulsiva esercitata fra l’estremità carica del manubrio e un altro corpo carico dello stesso segno, posto nelle sue vicinanze, mediante una misura dell’angolo di torsione del filo (figura 21).
Figura 21. Coulomb misurò la forza esercitata tra due cariche mediante una bilancia di torsione e verificò con essa la legge che porta il suo nome.
19 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LE CARICHE ELETTRICHE
INGEGNERIA
Gli oggetti fatti con materiali isolanti si caricano continuamente di elettricità statica, cioè caratterizzata da cariche ferme, per il semplice fatto che si muovono all’interno dell’aria o perché vengono strofinati l’uno all’altro. Generalmente l’elettrizzazione è poco intensa perché i corpi tendono a scaricarsi con facilità, tuttavia in particolari ambienti secchi alcuni materiali riescono ad accumulare un’elevata quantità di carica e possono generare scosse elettriche intense. Oltre che essere pericoloso per i lavoratori eventualmente coinvolti nel processo di scarica, la scintilla associata ad esso può provocare incendi o esplosioni se sono presenti materiali infiammabili. Si presume che molti incidenti nell’industria, classificati di origine misteriosa, siano dovuti a scintille originate da elettricità statica e si stima che in Europa questo fenomeno si verifichi una volta al giorno.
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I rischi dell’elettricità statica
Nell’industria farmaceutica sono prodotte grandi quantità di polveri che tendono a caricarsi di elettricità statica. In presenza di sostanze infiammabili come i solventi questo può essere pericoloso, perché la scintilla generata durante la scarica può innescare incendi o esplosioni.
Il ruolo dell’umidità Le scariche elettrostatiche si presentano più raramente negli ambienti umidi. L’effetto dell’umidità è quello di consentire all’oggetto carico di perdere più velocemente la sua carica, perché gli ioni dei sali che in genere sono disciolti nell’acqua fungono da cariche neutralizzanti. L’aria umida conduce quindi meglio l’elettricità, tendendo a scaricare i corpi che vi sono immersi. La quantità di acqua assorbita dipende dal tipo di materiale con cui è in contatto e quindi materiali diversi si scaricano in maniera diversa a parità di ambiente. Il cotone, per esempio, si scarica facilmente già con un’umidità del 30-35%, mentre per un materiale sintetico come la poliammide può essere necessaria un’umidità del 50%. Nessun materiale accumula significativamente cariche al di sopra del 60% di umidità, tuttavia in molti casi le umidità elevate presentano problemi igienici e pratici per cui non è possibile usarle come accorgimento preventivo.
Collegamento elettrico con il terreno Una delle misure di sicurezza sul lavoro riguarda proprio la prevenzione dell’accumulo di elettricità statica, per esempio mettendo tutte le apparecchiature e le strutture in collegamento elettrico con il terreno. Quando un oggetto è collegato elettricamente con il terreno, infatti, l’eccesso di cariche elettriche viene trasferito a quest’ultimo e il corpo si scarica. Per esempio, se camminiamo scalzi non accumuliamo cariche sul nostro corpo, perché queste vengono continuamente scaricate a terra attraverso il contatto tra i piedi e il pavimento, diversamente a quanto accade quando usiamo scarpe di gomma che ci isolano dalla Terra.
Un altro accorgimento è quello di usare abbigliamento e accessori in materiali antistatici. Questi materiali sono in genere materie plastiche trattate con sostanze chimiche capaci di renderle leggermente conduttrici. Il loro funzionamento è basato sul fatto che gli agenti trattanti sono igroscopici, cioè capaci di attirare a sé l’umidità, e sono in grado di trattenerla a lungo, cioè non si asciugano facilmente. Gli agenti rendono il materiale capace di trattenere su di sé l’umidità in misura maggiore rispetto al materiale senza trattamento e possono essere incorporati durante la produzione oppure applicati successivamente sulla superficie del prodotto finito.
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Materiali antistatici
Guanti in materiale antistatico riducono il rischio di scariche pericolose per i componenti elettronici.
DOMANDA Un corpo carico positivamente viene messo in contatto elettrico con il terreno e si scarica. Quali cariche elettriche si spostano durante il processo? Rispondi descrivendo in 5 righe ciò che accade.
20 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE CARICHE ELETTRICHE
1
CHIMICA Il legame a idrogeno L’interazione elettrica tiene insieme la materia: gli elettroni non si allontanano dai nuclei in virtù della reciproca attrazione dovuta alla loro calegami rica opposta. Inoltre gli atomi, che isolatamente sono in una situazione a idrogeno di equilibrio, quando si trovano gli uni vicini agli altri possono legarsi tra loro modificando la distribuzione della carica e assestandosi quindi in una nuova configurazione di equilibrio. Esistono fondamentalmente due tipi di legame chimico tra atomi: quello covalente e quello ionico. Nel le game covalente i due atomi interessati non hanno cariche in eccesso o in difetto, mentre nel legame ionico è protagonista l’interazione elettrica che tiene vicini ioni con carica opposta, cioè atomi che hanno perso o Il legame a idrogeno che si forma tra le acquistato uno o più elettroni. In moltissimi casi i legami covalenti mostrano una componente polare ri- estremità polari delle molecole viene levante, cioè vi è un contributo elettrico che si manifesta in un’asimmetria spesso indicato con una linea tratteggiata nella distribuzione della carica: le molecole così formate sono quindi pola- o punteggiata. rizzate. Le molecole polari si attraggono reciprocamente orientandosi in modo da avvicinare le parti con carica opposta, creando ulteriori legami tra esse.
Il legame a idrogeno L’atomo di idrogeno è il più semplice e piccolo atomo esistente, formato da un unico protone e un unico elettrone nella sua periferia. Quando un atomo di idrogeno prende parte a un legame covalente con altri atomi più grandi e con maggiore capacità di attirare a sé gli elettroni, in genere l’elettrone dell’idrogeno tende a spostarsi verso il nucleo di questi ultimi, conferendo loro una parziale carica negativa. Di conseguenza il nucleo dell’idrogeno resta, per così dire, «scoperto», mostrando una parziale carica positiva. Complessivamente si viene a formare una molecola polare con un addensamento di carica negativa da una parte e un addensamento di carica positiva dall’altra, assimilabile a un dipolo elettrico. Il nucleo dell’idrogeno, che costituisce l’estremità positiva della molecola, in alcuni casi interagisce con gli elettroni delle molecole che si trovano nelle sue vicinanze formando quello che è chiamato legame idrogeno (o ponte idrogeno). I legami idrogeno che si formano nei composti polari hanno un’influenza determinante sulle loro proprietà fisiche e chimiche, come il punto di ebollizione o la solubilità. Nell’acqua, per esempio, sono responsabili di diverse strutture cristalline dello stato solido che spiegano i comportamenti anomali di questa importantissima sostanza polare, come il fatto che la sua densità massima corrisponde a una temperatura di 4 °C.
Legami a idrogeno nel DNA Il «progetto» di ogni essere vivente è scritto nel suo DNA, una doppia catena di gruppi molecolari (nucleotidi) i quali si distinguono l’uno dall’altro per la presenza di una differente base azotata. Queste ultime sono, a loro volta, composti che possono formare reciproci legami idrogeno. Le lunghe catene molecolari del DNA si presentano avvolte in una doppia elica con le basi azotate affiancate a due a due e collegate per mezzo di questo tipo di legame idrogeno. L’energia necessaria per rompere un singolo legame è bassa, ma nell’insieme il loro numero è elevatissimo e conferisce stabilità alla struttura a doppia elica. Inoltre la facilità con cui un legame idrogeno si rompe e si forma nuovamente consente alla doppia elica di aprirsi e richiudersi nelle varie trasformazioni che consentono agli organismi di vivere, crescere, riprodursi.
legame a idrogeno
desossiribosio (S) fosfato (P)
basi azotate
I legami a idrogeno partecipano a determinare la struttura a doppia elica del DNA.
DOMANDA Che cosa accade quando a un composto polare viene avvicinato un corpo carico? Rispondi in 5 righe.
21 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LE CARICHE ELETTRICHE
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO Elettricità e gioco Tra curiosità e diletto
«Magiche» scintille e scosse «divertenti»
Nel Settecento gli esperimenti scientifici sull’elettricità erano mescolati al gioco: ci si divertiva a far scoccare scintille, ad attrarre oggetti, a provocare scosse, attraverso i sistemi più disparati. Per tutto il Settecento, dunque, la conoscenza dei fenomeni elettrici si è arricchita tra la curiosità e il divertimento, per scienza e per gioco. La capacità che hanno i corpi elettrizzati di esercitare reciproche forze attrattive o repulsive, per esempio, ha ispirato semplici esperimenti d’effetto scenico, quale quello delle «pulci elettriche». Si mettevano dei frammenti di materiali leggeri all’interno di un contenitore con un coperchio che veniva poi caricato per strofinio, e li attirava a sé facendoli saltare. Il dispositivo divenne un gioco molto popolare, diffuso fino a tutto l’Ottocento, con diversi tipi di oggetti posti all’interno del contenitore. La «danza della grandine» era un altro gioco d’effetto: una grande quantità di palline di sambuco venivano appoggiate su un piatto metallico carico e successivamente veniva ad esso avvicinato, sovrapponendolo, un altro piatto avente carica opposta. Le palline di sambuco, molto leggere, venivano quindi attratte da quest’ultimo, generando un rumore simile a quello della grandine. Una volta raggiunto il piatto superiore, caricate dello stesso tipo di elettricità, venivano di nuovo attratte dal piatto inferiore, e così via.
Per tutto il Settecento, in moltissimi casi, i conduttori usati per trasmettere le proprietà elettriche erano gli esseri umani stessi, che durante la scarica potevano avvertire scosse elettriche di varia intensità, con divertimento generale. In Germania Johann Heinrich Winkler (17031770), un professore di lettere e poi di fisica all’Università di Lipsia, mise a punto una macchina elettrostatica capace di ottenere un’elettrizzazione molto intensa, con la quale eseguì spettacolari dimostrazioni di fronte a ogni tipo di pubblico: nella fiera annuale di Lipsia, per esempio, dove mostrando la sua macchina a moltitudini di curiosi, ne promuoveva addirittura il commercio. Di fatto, la macchina di Winkler è uno dei primi giocattoli elettrici della storia. Fra le attrazioni più scenografiche c’era sicuramente quella dell’accensione di sostanze infiammabili mediante la scintilla elettrica generata durante la scarica di un conduttore. Oppure il cosiddetto bacio elettrico, dimostrazione ideata da George Mathias Bose (1710-1761), nella quale una bella dama veniva elettrizzata e successivamente avvicinata da uno spettatore, il quale prima di riuscire a baciarla, provocava una visibile scintilla elettrica luminosa tra le due bocche.
Museo Galileo
Un uomo, in piedi su una tavola di materiale isolante, tiene una spada nella mano destra e con la sinistra tocca una barra di vetro, collegata al generatore sulla destra. La carica prodotta nel generatore passa attraverso la barra di vetro, il corpo dell’uomo e la spada, provocando una scarica elettrica che incendia la sostanza infiammabile contenuta nel piattino metallico.
PAROLA CHIAVE
Interazione elettrica
DOMANDA Che cosa accade alle palline di sambuco poste nello spazio tra i due piatti metallici con cariche opposte, nella dimostrazione della «danza della grandine»? Spiega in 10 righe.
PAROLA CHIAVE
Induzione
DOMANDA Perché le «pulci elettriche» saltano all’interno del contenitore quando il coperchio viene strofinato con un panno? Spiega in 10 righe.
22 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE CARICHE ELETTRICHE
1
Elettricità per muovere
Elettricità per simulare
Per quanto ludiche, le dimostrazioni di elettrostatica restavano comunque dimostrazioni scientifiche, in cui cioè l’attrattiva principale erano i fenomeni naturali, anche se stimolati o amplificati artificialmente. Le cose cambiarono quando l’uomo divenne in grado di produrre e controllare correnti elettriche, cioè flussi di cariche in movimento ordinato. Nell’Ottocento cominciarono a proliferare i giocattoli, come oggetti creati appositamente per il gioco dei bambini. Tra i primi giocattoli semoventi vi sono i trenini, vere e proprie miniature in scala dei più grandi treni per merci e passeggeri, inizialmente azionati con meccanismi a molla che restituivano gradatamente l’energia meccanica accumulata durante la carica. Nei primi del 1900 la ditta tedesca Marklin cominciò a produrre trenini commerciali con motore a vapore e con motore elettrico, dotati di una lunga autonomia di movimento, a differenza degli analoghi meccanici. Tra le due strategie la seconda era destinata a dominare il mercato. I trenini elettrici erano giocattoli costosi e pensati per essere continuamente arricchiti di nuovi accessori, quindi erano destinati alle classi più agiate. Quelle meno agiate potevano comunque giocare con l’elettricità nei parchi divertimento, dove i motori elettrici muovevano carrozze, giostre e altri apparati.
La capacità di controllare l’elettricità e il movimento delle cariche elettriche è via via aumentata nel XX secolo. Dalla conoscenza sempre più approfondita degli elettroni e delle loro proprietà è nata dunque l’elettronica, che ha offerto nuovi stimoli all’intrattenimento. Il primo gioco elettronico risale agli anni Quaranta del secolo scorso ed era basato sulla luminescenza prodotta da elettroni sparati su un apposito schermo, da cui il nome di videogioco. La sua evoluzione è una sorta di gioco del tennis, del 1958, in cui un fascio di elettroni oscilla tra due campi rivali. L’ideazione e la costruzione di videogiochi richiede attrezzature e competenze specifiche, tant’è che negli anni che seguirono ne furono sviluppati diversi modelli all’interno delle università. Negli anni Settanta i videogiochi si diffusero largamente grazie alle prime postazioni pubbliche e alle prime console casalinghe da collegare al televisore. Da allora, nel giro di pochi decenni, i videogiochi hanno raggiunto elevatissimi livelli di raffinatezza e specializzazione, al punto che oggi esistono dispositivi di ogni tipo, in continua evoluzione.
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Il tennis for two (1958) è uno dei primi giochi elettronici della storia.
Modello di locomotiva diesel prodotto dalla ditta Marklin.
PAROLA CHIAVE
Carica elettrica
DOMANDA Descrivi in termini di cariche elettriche i fenomeni spiegati nelle due domande precedenti.
Sono stati sufficienti pochi decenni per sviluppare la tecnologia fino ai coloratissimi e sofisticatissimi giochi dei nostri giorni.
23 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI POSITIVA
carica elettrica elementare
LA CARICA ELETTRICA
e 1,6022 10–19 C
può essere
NEGATIVA
1 C (1 coulomb) corrisponde alla carica complesiva di 6,24181018 elettroni
è responsabile della INTERAZIONE ELETTRICA
gli elettroni i protoni hanno carica hanno carica e e
due corpi che hanno carica dello stesso segno si respingono; due corpi che hanno carica di segno opposto si attraggono
gli atomi sono complessivamente neutri: il numero di elettroni è uguale al numero di protoni
UN CORPO È ELETTRIZZATO QUANDO PRESENTA UN ECCESSO DI CARICHE POSITIVE O NEGATIVE conservazione della carica elettrica
LE CARICHE POSSONO PASSARE DA UN CORPO ALL’ALTRO, MA IN UN SISTEMA CHIUSO LA SOMMA ALGEBRICA DELLE CARICHE POSITIVE E NEGATIVE NON CAMBIA NEL TEMPO I CORPI POSSONO ESSERE
ISOLANTI elettrici (o dielettrici)
CONDUTTORI elettrici
gli elettroni non si allontanano dagli atomi a cui appartengono
gli elettroni possono muoversi liberamente all’interno del corpo e da un corpo all’altro
24 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE CARICHE ELETTRICHE
UN CORPO PUÒ ESSERE ELETTRIZZATO per
STROFINIO
strofinando due corpi fra loro un certo numero di elettroni passa da un corpo all’altro
si ottengono due corpi con cariche uguali e opposte
CONTATTO
mettendo in contatto un conduttore carico con uno scarico, parte della carica del primo passa al secondo
si ottengono due corpi con cariche dello stesso segno
INDUZIONE
avvicinando un corpo carico a un conduttore neutro, all’interno di quest’ultimo le cariche opposte alla carica del corpo si avvicinano ad esso, mentre quelle uguali si allontanano
si ottengono due corpi con cariche dello stesso segno
L’INTERAZIONE ELETTRICA fra corpi carichi si manifesta attraverso la LEGGE DI COULOMB due cariche puntiformi Q1 e Q2 poste a una distanza reciproca r si attraggono o si respingono con una forza
nel vuoto
nella materia
F0 =
F=
1 Q1Q2 4 πε0 r 2
ε0 costante dielettrica del vuoto ε0 8,854 10–12 C2/Nm2
1 Q1Q2 4 πε r 2
ε costante dielettrica assoluta ε ε0 εr εr costante dielettrica relativa
25 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
1
20 test (30 minuti)
1 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI 10 Due palloncini pieni d’aria vengono strofinati con
FENOMENI ELETTRICI E CARICHE MICROSCOPICHE
panni di lana e successivamente avvicinati tenendoli per il nodo che ne chiude l’apertura. Che cosa ti aspetti che accada?
DOMANDE
11 «Se strofiniamo con un panno di lana una bacchetta
In quale periodo storico si sono svolti gli studi scientifici sulle proprietà elettriche della materia?
1
di plastica questa si carica negativamente. Ciò significa che il panno di lana si è caricato positivamente avendo acquistato protoni». Correggi questa frase, se necessario.
2 Quali proprietà ha un corpo elettrizzato? 3 Perché non osserviamo comunemente le proprietà
elettriche della materia?
3
4 Qual è la carica di un protone?
L’ELETTRIZZAZIONE PER CONTATTO
DOMANDE
CALCOLI
12 Osservando la figura individua le funzioni della ca-
5 Un pezzo di ambra viene strofinato e acquista una
tena legata alla vita del protagonista dell’esperimento e della pedana di legno sul quale poggiano i suoi piedi.
carica di 4,5 × 10–8 C. f Quanti elettroni in eccesso ha l’ambra in tali condizioni? [2,8 × 1011]
6 Un nucleo di elio ha una carica pari a 3,2 × 10–19 C.
f Quanti protoni ci sono nel nucleo di elio? [2]
7 Qual è la carica di una mole di elettroni?
(Suggerimento: ricorda il numero di Avogadro NA 6,022 × 1023 mol–1.)
[9,6 × 104 C]
2
L’ELETTRIZZAZIONE PER STROFINIO
DOMANDE © World History Archive / Alamy
8 «Secondo il principio di conservazione della carica
elettrica, il numero di elettroni presenti in un corpo è costante nel tempo». Perché questa affermazione non è corretta? 9 Nella figura è rappre-
sentato il disegno d’epoca di una macchina elettrostatica per strofinio. Prova a spiegare in 10 righe il suo funzionamento.
13 «Un corpo carico posto in contatto con un corpo
scarico trasferisce su quest’ultimo elettroni». Correggi questa frase, se necessario. 14 Perché le foglioline di un elettroscopio divergono
quando ad esso vengono sottratti elettroni? Spiegalo in 5 righe.
SSPL/Getty Images
15 Una piccola sfera carica viene messa in contatto con
il pomello di un elettroscopio, all’inizio carico positivamente. Le foglioline, che prima divergevano, si chiudono portandosi in posizione verticale. Spiega in 5 righe tale fenomeno.
26 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
1
LE CARICHE ELETTRICHE
4
CALCOLI
L’ELETTRIZZAZIONE PER INDUZIONE ELETTROSTATICA
23 Due cariche sono poste nel vuoto a una distanza di
10 cm.
DOMANDE
f Se una delle due cariche misura 2,0 × 10–10 C e l’altra è il doppio della prima, qual è il modulo della forza esercitata su ognuna delle due cariche?
16 «Quando avviciniamo un corpo carico positivamen-
te a un corpo neutro, all’interno di quest’ultimo gli elettroni, attratti dalla carica positiva, si spostano verso essa accumulandosi nei suoi pressi». Correggi questa frase, se necessario.
f Si tratta di una forza attrattiva o repulsiva? [7,2 × 10–8 N]
24 Due cariche poste a una distanza d si attraggono nel
17 Se avviciniamo la bacchetta di una penna caricata
vuoto con una forza F0 10 N, mentre in un mezzo dielettrico si attraggono, alla stessa distanza, con una forza F 1/80 F0.
per strofinio a un filo d’acqua in uscita da un rubinetto, questo devia dalla verticale. Perché?
f Quanto vale la costante dielettrica del mezzo? f Quale potrebbe essere tale mezzo? (Confronta il risultato con la tabella 2 sulle costanti dielettriche.) [80]
Massimiliano Trevisan
25 In un mezzo di costante dielettrica εr 4,0 due cari-
che puntiformi Q1 5,0 μC e Q2 5,0 μC si attraggono alla distanza di 1,0 m. f Calcola l’intensità della forza di attrazione. [5,6 × 10–2 N]
18 Quale novità ha introdotto l’elettroforo di Volta nel
XVIII secolo?
ESERCIZI DI RIEPILOGO
19 Spiega in 10 righe la differenza tra la polarizzazione
di un dielettrico e l’induzione elettrostatica in un conduttore.
5
LA LEGGE DI COULOMB
DOMANDE 20 «La costante dielettrica assoluta di un mezzo mate-
riale è uguale al rapporto tra la forza elettrica tra due cariche poste a distanza d nel vuoto e la forza elettrica tra le stesse cariche poste alla stessa distanza nel mezzo considerato». Correggi questa frase, se necessario. 21 Qual è la direzione della forza elettrica che agisce su
una carica posta in una regione di spazio in cui sono presenti più cariche elettriche? Rispondi in 5 righe. 22 Trova un’espressione che leghi la costante dielettrica
assoluta ε di un mezzo materiale isolante e le forze elettriche F e F0 che si misurano rispettivamente nel mezzo considerato e nel vuoto tra due cariche poste a una certa distanza l’una dall’altra.
DOMANDE 26 Leggiamo le parole di Charles François Du Fay tra-
dotte dal francese e pubblicate nel 1733 sulla rivista «Philosophical Transaction of the Royal Society» (pp. 263-264): ...there are two distinct Electricities, very different from one another; one of which I call vitreous Electricity, and the other resinous Electricity. The first is that of Glass, Rock-Crystal, Precious Stones, Hair of Animals, Wool, and many other Bodies: The second is that of Amber, Copal, Gum-Lack, Silk, Thread, Paper, and a vast Number of other Substances. Spiega in termini moderni quanto affermato da Du Fay in questo scritto. 27 «Due cariche puntiformi di 1,0 × 10–19 C si respingono
nel vuoto con una forza pari a 1,0 N. Calcola la distanza tra le cariche». Il testo di questo esercizio contiene un errore. Quale? 28 Le masse delle particelle microscopiche quali elet-
troni e protoni sono tali che l’interazione gravitazionale tra esse è trascurabile rispetto all’interazione elettrica. Perché allora a livello macroscopico è più
27 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
1 ESERCIZI comune osservare fenomeni gravitazionali che fenomeni elettrici?
33 Osservando la figura dell’esercizio 32, spiega in 5 ri-
ghe il motivo per cui il ragazzo è sospeso e la ragazza poggia i piedi su una pedana di legno.
29 Che cosa sta succeden-
34 Due cariche puntiformi uguali e positive sono vinco-
David Frazier / Gettyimages
do ai capelli della ragazza nella fotografia?
30 Il corpo A illustrato in figura, carico positivamente,
viene avvicinato a un’estremità di un conduttore B inizialmente neutro. Che cosa succede se l’altra estremità viene collegata alla Terra con una catenella metallica?
late alle estremità di un righello lungo 15 cm. Al centro del righello, a 7,5 cm da entrambe le cariche, viene messa una carica negativa. Senza eseguire i calcoli trova il valore della forza elettrica che agisce sulla carica negativa. Qual è la forza elettrica che agirebbe sulla carica se fosse anch’essa positiva? Motiva le tue risposte in 5 righe. 35 Quattro cariche della stessa intensità, ma di segno
opposto a due a due, sono collocate ai vertici di un quadrato in modo tale che la forza elettrica che agisce su una carica posta al centro del sistema sia nulla. Fai un disegno della situazione.
PROBLEMI 36 Completa la seguente tabella calcolando la forza di
A
Coulomb nel vuoto tra due cariche poste a diverse distanze e poi rappresenta graficamente la forza in funzione della distanza.
B
Distanza (m) Forza (N)
0,10 20
0,20 0,30
0,40
0,50
37 Riscrivi la tabella dell’esercizio 36 nel caso in cui le 31 Descrivi in 10 righe che cosa avviene nei conduttori
B e C in figura quando a uno di essi viene avvicinato un corpo carico positivamente A. Che cosa accade quando al posto di C viene posto un corpo isolante neutro? A
B
C
cariche siano poste in alcol etilico (considera la costante dielettrica relativa dell’alcol etilico pari a 25). 38 L’atomo di idrogeno più comune è costituito da un
protone e da un elettrone. Si considerano due atomi di idrogeno posti a una distanza di 1,5 × 10–9 m nel vuoto. f Se entrambi perdono un elettrone, quanto vale la forza di Coulomb esercitata fra i due protoni? f Qual è l’accelerazione di ciascun protone, sapendo che la massa di un protone è 1,67 × 10–27 kg?
[1,0 × 10–10 N; 6,0 × 1016 m/s2]
32 Scrivi in 10 righe una possibile didascalia di questa
illustrazione, in cui individui tre fenomeni di elettrizzazione: per strofinio, per contatto, per induzione.
39 Due
corpi puntiformi aventi uguale massa m 1,0 × 10–4 kg e con carica rispettivamente q1 2,0 μC e q2 3,0 μC, sono posti nel vuoto alla distanza di 1,0 cm l’uno dall’altro. f Calcola l’intensità delle forze elettrica e gravitazionale esercitate tra i due corpi. f Confronta i loro ordini di grandezza. [5,4 × 102 N; 6,7 × 10–15 N]
40 Due cariche q1 4,0 μC e q2 6,0 μC sono vinco-
late rispettivamente nei punti A (2,0 m; 0 m) e B (0 m; 2,0 m) di un sistema di assi cartesiani.
28 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE CARICHE ELETTRICHE f Qual è l’intensità della forza totale che agisce nel vuoto su una carica elettrica q 2,0 μC posta nell’origine del sistema cartesiano?
VERSO L’UNIVERSITÀ
f Illustra la situazione con un disegno.
1 [3,2 × 10–2 N]
41 Due cariche elettriche alla distanza di 20 cm si at-
traggono fra loro con una forza pari 2,0 × 10–4 N. f Sapendo che il valore di una carica è 3 volte il valore dell’altra determina la carica di ognuna. f Raddoppiando la distanza tra le cariche, in che modo cambia la forza?
[1,7 × 10–8 C; 5,2 × 10–8 C]
42 Il nucleo di atomo di carbonio contiene 6 protoni.
f A quale distanza si trova un elettrone che risente di una forza pari a 5,5 × 10–7 N?
[5,0 × 10–11 m]
43 Due pendoli hanno alle loro estremità due corpi pun-
tiformi carichi di massa pari a 50 g e carica 3,5 × 10–7 C.
f A quale distanza vanno avvicinati i pendoli affinché la repulsione elettrica tra le cariche abbia la stessa intensità della forza peso di ciascun corpo?
1
Due cariche elettriche puntiformi sono mantenute a una distanza fissa pari a 1 cm. Le cariche valgono q1 2 μC e q2 2 μC. f In quale punto della retta che congiunge le due cariche posso portare una terza carica di valore arbitrario q in modo che su di essa agisca una forza elettrica risultante nulla? A
In nessun punto.
B
Nel punto di mezzo tra le due cariche.
C
Dipende dal valore q della terza carica.
D
A distanza di 1 cm dalla carica positiva.
E
A distanza di 1 cm dalla carica negativa.
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2007/2008) 2 Una sbarretta di plastica strofinata con un panno di
lana se avvicinata a pezzetti di carta li attira a sé: A
perché la lana è un buon conduttore elettrico.
B
perché il campo gravitazionale diminuisce intorno alla barretta.
C
per attrazione magnetica.
D
perché vengono indotte delle cariche elettriche sulla lana.
E
per le particolari proprietà elettriche dell’aria.
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2005/2006)
f Qual è l’angolo formato dai pendoli rispetto alla verticale in tale situazione? [4,7 cm; 45°]
29 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
Il campo elettrico
“ © Christie’s Images/CORBIS
Il lago è asceso al cielo: l’immagine dello straripamento. Così il nobile elargisce ricchezza verso il basso E rifugge dal riposare sulla sua virtù.
Hokusai, Cascata di Amida, 1832.
PAROLE CHIAVE Campo Potenziale Flusso
I ching, esagramma n. 43
Lo studio dei fenomeni elettrici richiese l’uso di strumenti matematici avanzati con i quali venivano formalizzate le forze agenti a distanza tra cariche. Michael Faraday (1791-1867) non era persuaso dall’azione a distanza. Egli introdusse pertanto una nuova rappresentazione dei fenomeni studiati, basata sul concetto di campo, con la quale ridusse le difficoltà formali ed eliminò il ricorso al concetto di azione a distanza, spostando l’attenzione dalle cariche allo spazio tra esse. Il campo elettrico è una modificazione dello spazio provocata da una carica elettrica ed è definito in ciascun punto mediante la forza che in quel punto agisce su una carica di prova. Possiamo visualizzarlo mediante linee ideali alle quali la forza elettrica è tangente, dette linee di forza. L’analogia con i fluidi è potente: il campo elettrico «sgorga» dalle cariche come un fiume sgorga dalla sorgente, ed è valida anche
”
per introdurre il potenziale elettrostatico. Così come l’acqua cade spontaneamente dall’alto verso il basso nel campo gravitazionale terrestre, una carica «cade» verso una carica di segno opposto, nel campo elettrico che questa genera, muovendosi da punti a potenziale maggiore a punti a potenziale minore. Una differenza di potenziale elettrico è dunque una sorta di «dislivello elettrico» che richiama il salto di una cascata, con la dovuta attenzione al fatto che, in questo caso, si parla di «caduta» anche quando una carica si allontana da un’altra carica di segno uguale, in quanto l’interazione elettrica può essere anche repulsiva. In questo capitolo viene infine introdotto il flusso del campo attraverso una superficie, che ancora una volta evoca un’analogia con la fisica dei fluidi.
30 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
1
2
IL VETTORE CAMPO ELETTRICO
Fino al XIX secolo si pensava che l’interazione elettrica, così come quella gravitazionale, si manifestasse attraverso un’azione «a distanza», cioè attraverso forze esercitate reciprocamente e istantaneamente tra corpi distanti fra loro. Secondo questa concezione, per esempio, se un corpo cambia la sua carica un altro corpo posto a una certa distanza avverte il cambiamento nello stesso istante in cui avviene. In altre parole, l’effetto si verifica nello stesso istante in cui si manifesta la sua causa. Il concetto di forza, introdotto da Newton con la meccanica, funzionava bene e sembrava potesse spiegare qualsiasi fenomeno: per questo, nonostante le difficoltà concettuali dell’azione a distanza, veniva ampiamente usato in ambito scientifico. Tuttavia, se nella meccanica l’uso del concetto di forza era relativamente semplice in quanto applicato a oggetti macroscopici ben definiti, nello studio dei fenomeni elettrici e magnetici presentava diverse difficoltà. Per poter descrivere dal punto di vista matematico la fenomenologia macroscopica, fortemente influenzata dalla struttura microscopica della materia, ancora ignota nel XIX secolo, gli studiosi erano costretti a introdurre concetti matematici nuovi sempre più raffinati e complessi. Non a caso in quegli anni la matematica conobbe uno sviluppo notevole, anche grazie a scienziati impegnati sui due fronti, teorico e sperimentale. A un certo punto, però, la comunità scientifica fu investita da un’importante novità concettuale, che modificò radicalmente il modo di vedere le cose: le interazioni fra i corpi non furono più schematizzate tramite forze che agiscono a distanza attraverso lo spazio ma tramite vere e proprie modificazioni delle proprietà dello spazio dovute alla presenza di masse o, in questo caso, di cariche. Lo spazio assunse quindi un ruolo attivo e le forze che agiscono fra due corpi distanti furono viste come la manifestazione delle sue proprietà. Questa rappresentazione implicò l’introduzione del concetto di campo, che ancora oggi è largamente usato in fisica, con opportune modificazioni rispetto a quello definito nell’Ottocento. Un campo è definito come l’insieme dei valori che una grandezza fisica assume in diversi punti dello spazio.
www.eurometeo.com
Possiamo avere campi di pressione o di velocità, dati dall’insieme dei valori della pressione o della velocità in un fluido; o campi di temperatura, dati dall’insieme dei valori della temperatura in una regione di spazio; e così via. Quando a ogni punto è associato un numero il campo è detto scalare, quando vi è associato un vettore il campo è detto vettoriale (figura 1).
a
b
Figura 1. L’insieme dei valori della pressione, della temperatura o della velocità in una regione di spazio definisce rispettivamente un campo: a. di pressione, b. di temperatura, c. di velocità.
c
31 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
2
IL CAMPO ELETTRICO
In particolare, nel caso dell’interazione elettrica abbiamo un campo di forze, cioè un’entità definita in tutto lo spazio, che si manifesta attraverso una forza definita punto per punto e quindi supera il problema dell’azione a distanza (tabella 1). FISICA DELLE FORZE Tabella 1. Dalla fisica delle forze alla fisica dei campi.
Figura 2. a. Per rilevare la presenza di un campo elettrico usiamo una carica di prova positiva q, che punto per punto risente ¤ di una forza elettrica Fe, senza modificare apprezzabilmente il sistema. b. Per individuare il campo gravitazionale terrestre possiamo usare, come massa di prova, un sassolino che non modifica apprezzabilmente il sistema.
FISICA DEI CAMPI
Ogni carica è causa di una modifica delle Le cariche interagiscono a distanza esercitanproprietà dello spazio che si manifesta come do forze reciproche l’una sull’altra. forza elettrica su altre cariche.
Consideriamo una carica Q, posta in un punto dello spazio e in grado di modificare le proprietà dello spazio circostante. Per analizzare le proprietà dello spazio in cui è collocata Q, consideriamo una seconda carica, q, che chiamiamo carica di prova, che è per convenzione è positiva (q) e sufficientemente piccola da non modificare il sistema. Pensando a un’analogia con le masse, per le quali possiamo definire il campo gravitazionale, dobbiamo immaginare che la massa di prova sia un sassolino che risente della forza attrattiva della Terra senza provocare modificazioni apprezzabili (figura 2). →
Fe
q →
m
Fp
Q a
b
La carica di prova, posta in un punto P dello spazio, risente della presenza della carica Q: infatti è soggetta alla forza di Coulomb che la carica Q esercita su di essa. Tale forza dipende dalla posizione in cui si trova la carica di prova, dal modulo della carica Q e dal modulo della carica di prova. A ogni carica elettrica Q è associato un campo elettrico, cioè una modificazione delle proprietà dello spazio, tale che una carica di prova q avverte, punto per punto, una forza elettrica. Il campo elettrico generato dalla carica elettrica Q è individuato in ogni punto dello spazio mediante la forza che agisce sulla carica di prova q. La forza di Coulomb è proporzionale alla carica di prova q e quindi dipende da essa: maggiore è il suo valore, maggiore è la forza con la quale è attratta o respinta da Q. Tuttavia, poiché vogliamo che il campo sia indipendente dalla carica di prova, dobbiamo considerare il rapporto tra la forza F e la carica di prova q, che è indipendente da quest’ultima. Questo rapporto si definisce campo elettrico e dipende esclusivamente: s dalla carica Q, che definiamo sorgente del campo; s dalla posizione P in cui si misura l’intensità del campo. ¤
Il vettore campo elettrico E è definito in ogni punto come il rapporto ¤ tra la forza F esercitata su una carica di prova q posta in quel punto e la carica stessa. I I F E (2.1) q
32 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
L’unità di misura del campo elettrico è il newton su coulomb (N/C). La direzione del campo elettrico è punto per punto uguale a quella della forza che agisce su q e, dato che quest’ultima è positiva, campo e forza hanno anche lo stesso verso. Quando il campo elettrico punto per punto non cambia nel tempo è anche detto campo elettrostatico. ¤ Se conosciamo il valore del campo elettrico E possiamo calcolare il va¤ lore della forza F che agisce su una qualsiasi carica q posta in esso, dall’espressione: I I F qE (2.2)
2
SIMULAZIONE L’hockey del campo elettrico (PhET, University of Colorado)
ESEMPIO f Un elettrone è posto in prossimità di un corpo carico, in un punto nel quale l’intensità del campo elettrico è 3,2 × 104 N/C. Qual è l’intensità della forza che agisce sull’elettrone? SOLUZIONE La carica dell’elettrone è e 1,602 × 10–19 C Valore che, sostituito nella formula (2.2), porta al risultato: F (1,602 × 10–19 C) × (3,2 104 N/C) 5,1 × 10–15 N DOMANDA Sapendo che la massa di un elettrone è 9,1 × 10–31 kg, qual è la sua accelerazione?
Le linee di forza Il concetto di campo è stato introdotto nel XIX secolo dal chimico e fisico inglese Michael Faraday (1791-1867). Faraday non aveva molta dimestichezza con il formalismo matematico: di condizioni economiche modeste, non aveva seguito un corso di studi istituzionale, ma si era avvicinato alla scienza sui libri che rilegava nella bottega in cui lavorava da ragazzo. Riuscì ad assistere ad alcune lezioni di chimica tenute alla Royal Institution da sir Humphry Davy (1778-1829) e confezionò un libretto di appunti che questi apprezzò moltissimo, al punto da proporre al giovane legatore di diventare suo assistente. Faraday poté quindi coltivare la sua passione per la scienza e approfondire le ricerche all’interno di uno dei più prestigiosi laboratori dell’epoca, dove sviluppò una straordinaria abilità sperimentale. In mancanza di studi sistematici, però, non riuscì ad acquisire una competenza matematica di pari livello. Perciò, mentre i suoi colleghi dell’epoca elaboravano formalismi e spiegavano i fenomeni elettrici e magnetici in termini matematici, Faraday elaborava il concetto di campo come modo del tutto nuovo di rappresentare quegli stessi fenomeni. Egli visualizzava letteralmente il campo elettrico attraverso le cosiddette linee di forza, che riempiono tutto lo spazio e sono dirette punto per punto come il campo e quindi come la forza elettrica che agisce sulla carica di prova. Per costruire una linea di forza del campo elettrico si immagina di far
33 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
2 forza elettrica che agisce punto per punto
Figura 3. La forza elettrica che agisce sulla carica di prova è, punto per punto, tangente alla linea di forza passante per la posizione della carica.
Figura 4. a. Il campo è più intenso dove le linee di forza sono più fitte e meno intenso dove sono più rade. b. Il campo è uniforme quando le linee sono parallele tra loro.
A campo più intenso a
IL CAMPO ELETTRICO
scorrere la carica lungo la direzione della forza elettrica: punto per punto essa è dunque tangente alla linea linee di forza stessa (figura 3). In questa nuova rappresentazione l’attenzione passa dai corpi (le cariche) allo spazio: le linee di forza del campo sono infinite linee ideali che riempiono tutto lo spazio; la loro tangente, punto per punto, rappresenta la direzione della forza che è esercitata in quel punto su un’eventuale carica di prova; il loro numero per unità di volume, cioè la loro «densità», ne rappresenta l’intensità, cioè il campo è più intenso dove le linee sono più fitte e meno intenso dove sono più rade. Utilizzando la rappresentazione delle linee di forza il vettore campo ¤ elettrico E è dunque definito in modo che s la sua direzione è, punto per punto, tangente alle linee di forza in quel punto; s il suo verso è quello per cui le linee di forza escono dalle cariche positive ed entrano nelle cariche negative; s la sua intensità è data dalla densità delle linee di forza.
Per convenzione, in una regione in cui è presente il campo elettrico si rappresenta un numero di linee di forza tale che la loro densità sia proporzionale all’intensità del campo. campo meno In termini di forze questo signiintenso fica che, se mettiamo una carica di prova nel punto A (figura 4a), essa riB sente di una forza di intensità maggiore rispetto alla stessa carica nel punto B. In una regione nella quale campo uniforme b la forza elettrica che agisce su una carica di prova ha la stessa intensità, la stessa direzione e lo stesso verso in ogni punto, si dice che il campo elettrico è uniforme e le sue linee di forza sono parallele tra loro (figura 4b).
In un fluido in movimento possiamo definire punto per punto la velocità delle singole particelle e ottenere così il campo vettoriale delle velocità. Le linee del campo non sono in questo caso linee di forza ma linee di velocità. In ogni punto della linea la velocità della particella è tangente alla linea stessa. DOMANDA Disegna le linee di un campo di velocità uniforme e trova almeno un esempio in cui tale approssimazione può essere usata.
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ESEMPIO
IL CAMPO ELETTRICO
2
CAMPO ELETTRICO GENERATO DA CARICHE PUNTIFORMI
2
Una carica puntiforme Q 0, posta nel vuoto in un punto dello spazio, ¤ determina la presenza di un campo elettrico E 0 che può essere rilevato ponendo in diversi punti intorno a Q una piccola carica di prova q. Dalla ¤ legge di Coulomb, sappiamo che in ciascuno di questi punti la forza F 0 che agisce su q è repulsiva, diretta lungo la retta passante per le due cariche e di intensità data dalla legge di Coulomb (formula (1.1)): +
F0 =
k0 Q q
→
F
+
r
q+ r 2
dove r è la distanza tra le due cariche (figura 5). ¤ In generale, l’intensità del vettore campo elettrico E 0 generato da una carica puntiforme Q posta nel vuoto, a una distanza r dalla carica stessa, è data dalla formula (2.1) combinata con la legge di Coulomb:
Q Figura 5. L’intensità della forza repulsiva tra Q e q è data dalla legge di Coulomb.
k0 Q + q + F0 E0 = + = q q+ r 2 cioè, per una generica carica Q, si ha E0
k0 Q r2
(2.3)
E0 =
1 Q 4 πε0 r 2
(2.4)
o anche
ESEMPIO f A una distanza di 2,6 cm da una carica puntiforme Q posta nel vuoto il campo elettrico è 1,7 × 103 N/C. Qual è il valore di Q? SOLUZIONE Dalla formula (2.3) si ricava che Q = E0
r2 ( 2, 6 × 10−2 )2 m = 1, 7 × 10 3 N/C × = 1, 3 × 10−10 C 9 2 2 k0 8, 99 × 10 N ⋅ m /C
DOMANDA Qual è l’intensità della forza che agisce nello stesso punto su un protone? È una forza attrattiva o repulsiva?
Linee di forza del campo elettrico Per costruire le linee di forza del campo generato da una carica positiva Q posta nel vuoto, disegniamo i vettori che rappresentano la forza agente sulla carica di prova, punto per punto, intorno a Q. Allo stesso modo, possiamo costruire le linee di forza del campo generato da una carica negativa Q – tenendo conto del fatto che la forza agente su q è in questo caso attrattiva.
35 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
q
2 Figura 6. a. Le linee di forza dei campi elettrici generati da una carica positiva Q e da una carica negativa Q sono rette il cui verso è rispettivamente uscente ed entrante. b. Visualizzazione delle linee del campo elettrico generato da una sfera carica mediante pagliuzze di materiale dielettrico cosparse su una superficie d’olio.
IL CAMPO ELETTRICO
In figura 6a sono disegnate alcune linee di forza dei campi elettrici generati da una carica positiva Q e da una carica negativa Q: queste linee sono più dense dove i campi sono più intensi, cioè per distanze inferiori dalle cariche Q e Q. Se mettiamo dell’olio in una vaschetta, cospargiamo la sua superficie con pagliuzze di materiale dielettrico e vi immergiamo una sfera carica, possiamo visualizzare le linee di forza del campo elettrico da essa generato. Le pagliuzze, infatti, si polarizzano e si orientano lungo le direzioni della forza elettrica, disegnando vere e proprie linee (figura 6b).
Q PHOTOTAKE Inc. / Alamy
Q
a
b
Il campo elettrico nella materia Se, anziché essere posta nel vuoto, la carica che genera il campo si trova all’interno di un dielettrico, la forza agente sulla carica di prova è in genere meno intensa di quella agente nel vuoto nelle stesse condizioni, in dipendenza della costante dielettrica εr del mezzo (formula 1.4): F
F0 εr
Perciò dalla formula (2.1) si ricava che l’intensità E del campo elettrico nella materia è data da: E
E0 εr
(2.5)
Cioè, esplicitando il valore della carica Q che genera il campo, E=
1 Q 4 πε r 2
(2.6)
con ε ε0εr.
ESEMPIO f Di quanto si riduce in percentuale il campo elettrico di una carica Q posta in acqua rispetto alla stessa carica posta nel vuoto? SOLUZIONE Dalla formula (2.5) abbiamo che E0 − E = E0 −
E0 (ε − 1) = E0 r = E 0 ⋅ 0, 99 εr εr
36 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
per cui
2
E0 − E = 0, 99 E0
Il campo generato da una carica posta in acqua si riduce del 99% rispetto al campo generato dalla stessa carica posta nel vuoto. DOMANDA Di quanto dovremmo aumentare il valore della carica Q per avere in acqua un campo elettrico che abbia in ogni punto la stessa intensità del campo generato da Q nel vuoto?
Campo elettrico di due cariche puntiformi Per il principio di sovrapposizione gli effetti di più cariche poste nella stessa regione di spazio si sommano, cioè in ciascun punto le forze elettriche si sommano come grandezze vettoriali. Dato che il campo elettrico è una grandezza vettoriale legata alla forza elettrica, si ha anche che
SIMULAZIONE Cariche e campo elettrico (PhET, University of Colorado)
i diversi campi elettrici generati da più cariche presenti in una regione di spazio si sommano in ciascun punto come grandezze vettoriali. In altre parole, il campo elettrico generato da una carica Q1 non è influenzato dalla presenza dei campi elettrici generati da un’eventuale carica Q2 presente nelle sue vicinanze, e il campo elettrico complessivo è dato semplice¤ ¤ mente dalla somma vettoriale dei rispettivi campi elettrici E 1 ed E 2 (figura 7). B
Q1 A
B
Q2
B
Q1
A
Q2
A
→
→
E1
E1 →
q
→
E1 E2
q →
q →
E2
E2
Di conseguenza, nello spazio tra due cariche puntiformi di uguale intensità e segno opposto (dipolo elettrico) il campo elettrico è dato dalla somma di contributi concordi e si intensifica, mentre fra due cariche puntiformi uguali il campo elettrico tende ad annullarsi in quanto ottenuto dalla sovrapposizione di contributi opposti. In figura 8 sono disegnate e visualizzate le linee di campo nei due casi.
a
Figura 7. Se in una regione di spazio sono presenti più cariche il vettore campo elettrico in ciascun un punto è dato dalla somma vettoriale dei vettori campo elettrico delle singole cariche.
b
Figura 8. a. Le linee del campo generato da due cariche uguali di segno opposto si addensano nella regione tra le cariche, nella quale i contributi dei campi delle singole cariche si rinforzano. b. Le linee del campo generato da due cariche uguali dello stesso segno sono meno dense nella regione tra le cariche, nella quale i contributi dei campi delle singole cariche si annullano a vicenda.
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2
IL CAMPO ELETTRICO
3
L’ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA
Studiando la meccanica abbiamo definito l’energia potenziale gravitazionale Ug di un corpo, posto a una certa quota h in prossimità della superficie terrestre, come il lavoro che compie la forza peso del corpo mentre sposta il suo punto di applicazione dalla quota considerata al livello di riferimento, in cui si assume che l’energia potenziale sia nulla: Ug mgh Abbiamo anche visto che, in assenza di forze dissipative, l’energia meccanica totale (la somma delle energie cinetica e potenziale) è costante. Il lavoro delle forze gravitazionali non dipende dal percorso fatto ma dalla differenza di quota: un oggetto che parte da una certa quota con velocità nulla raggiunge il suolo con la stessa velocità, sia che cada lungo la verticale, sia che scivoli lungo un piano inclinato senza attrito. Il discorso vale anche se ci allontaniamo dalla superficie terrestre, a patto di cambiare l’espressione matematica per l’energia potenziale. Possiamo dimostrare che il lavoro della forza di Coulomb ha caratteristiche molto simili, in quanto non dipende dal percorso fatto ma solo dalle posizioni iniziale e finale. Consideriamo una carica Q, in una posizione fissa O, che genera un campo elettrico. In esso una carica q si sposta, sotto l’azione delle forze del campo, da un punto A posto a una distanza rA a un punto B posto a una distanza rB dalla carica Q. Il lavoro è definito come il prodotto scalare della forza per lo spostamento: in questo caso la forza di Coulomb è pari a F B
A
rA
Q
Figura 9. La forza di Coulomb che agisce sulla carica q durante lo spostamento non è costante.
Q
e lo spostamento è Δs¤ (figura 9). La forza di Coulomb non è una forza costanq te, in quanto il suo valore varia a seconda della posizione occupata da q rispetto alla carica Q. Questo significa che, durante lo spostamento ¤ da A a B, la carica q è sottoposta a una forza di diversa intensità. Essendo F ¤ non costante, per calcolare il prodotto scalare di F per lo spostamento Δs¤ si ricorre a strumenti matematici avanzati, che qui per semplicità omettiamo, che portano al seguente risultato: B
q
rB
1 Qq 4 πε r 2
A
LA → B =
1 Qq 1 Qq − 4 πε rA 4 πε rB
(2.7)
Questa relazione mostra che il lavoro della forza elettrica dipende solo dalle posizioni iniziale e finale e non dal percorso effettuato per andare da A a B. Ciò significa che, qualunque sia la traiettoria, il lavoro dipende solo dal «dislivello elettrico» tra i due punti, come nel caso gravitazionale dipende dal «dislivello di quota». Una forza di definisce conservativa se il lavoro compiuto nello spostamento dalla posizione iniziale A alla posizione finale B dipende solo dagli estremi A e B e non dal percorso seguito.
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IL CAMPO ELETTRICO
2
La forza elettrica è conservativa Per le forze conservative è possibile definire una funzione energia potenziale. Nel caso della forza elettrostatica l’energia potenziale è: U (r ) =
1 Qq +k 4πε r
(2.8)
dove k è una costante arbitraria, che dipende dalla scelta del livello di riferimento. In genere si stabilisce che l’energia potenziale è nulla quando le cariche Q e q sono poste a una distanza molto grande, tale che la forza di Coulomb che si esercita fra esse è praticamente nulla. In queste condizioni k diventa uguale a zero e la formula (2.8) diventa: U (r )
1 Qq 4πε r
(2.9)
Osserviamo che l’energia potenziale elettrica dipende dal segno delle cariche. Considerando una carica q positiva, se Q è negativa l’energia potenziale è negativa e aumenta all’aumentare della distanza r fra le cariche tendendo a zero; quando invece Q è positiva, e cioè su q agisce una forza repulsiva che tende ad allontanarla, allora l’energia potenziale è positiva e decresce all’aumentare della distanza r (sempre tendendo a zero). Come nel caso di una palla che, in discesa, rotola spontaneamente a valle, una carica lasciata a se stessa con veU (r) U (r) locità iniziale nulla tende spontaneamente a diminuire la sua energia po0 tenziale: avvicinandosi alla carica di segno opposto o allontanandosi dalla Q0 carica di segno uguale. In modo più semplice e sintetico, vediamo i grafici delle funzioni che rappresentano U(r) 0 r a nei due casi su un piano cartesiano (figura 10). Figura 10.
ESEMPIO Verifichiamo che l’energia potenziale, così definita, ha effettivamente l’unità di misura dell’energia. Sostituiamo ai simboli le rispettive unità di misura nella formula (2.9): 1 Qq 4πε r
U (r )
Q0
b
a. Quando la carica Q è positiva, una carica q positiva viene respinta e l’energia potenziale decresce all’aumentare di r. b. Quando la carica Q è negativa, una carica q positiva viene attratta e l’energia potenziale cresce all’aumentare di r. A una distanza infinita l’energia potenziale è nulla in entrambi i casi.
C⋅C N ⋅ m 2 ⋅ C2 = = N⋅m = J 2 C2 C m ⋅ ⋅m N ⋅ m2 DOMANDA Calcola l’energia potenziale elettrica di due elettroni posti nel vuoto a una distanza di 1,0 cm.
39 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
r
2
IL CAMPO ELETTRICO
La formula (2.7) può essere espressa come LA → B =
1 Qq 1 Qq − = U ( rA ) − U ( rB ) = U A − U B 4 πε rA 4 πε rB
in cui abbiamo indicato con UA e UB l’energia potenziale rispettivamente nei punti A e B. Definendo la variazione di energia potenziale come la differenza tra l’energia potenziale finale in B e l’energia potenziale iniziale in A: ΔU UB UA
A
l’espressione (2.7) diventa
q
rA
LA→B = −ΔU
B
Q rB
da cui si ricava che
Figura 11. Il lavoro della forza elettrica dipende solo dalla differenza dell’energia potenziale fra i punti di partenza e di arrivo e non dal percorso fatto.
ΔU = −LA →B
(2.10)
La variazione di energia potenziale è uguale all’opposto del lavoro compiuto dalla forza elettrostatica per portare la carica q dalla posizione A alla posizione B (figura 11).
4
IL POTENZIALE ELETTRICO
Nella fisica dei campi, all’energia potenziale elettrica corrisponde un’altra grandezza fisica, il potenziale elettrico, definito in ogni punto dello spazio, a prescindere dalla presenza di una carica in quel punto. Così come il campo elettrico viene definito, punto per punto, mediante la forza elettrica che agisce su una carica di prova q posta in quel punto, il potenziale è definito, punto per punto, mediante l’energia potenziale (associata al sistema formato dalla carica sorgente e dalla carica di prova) della carica di prova in quel punto. Da ciò si deduce che anche il potenziale elettrico, come il campo elettrico, non dipende dalla carica di prova ma solo dalla carica che ha generato il campo e dalla distanza da essa. Il potenziale elettrico V in un punto dello spazio è uguale al rapporto fra l’energia potenziale elettrica U nello stesso punto e la carica di prova q: V
U q
(2.11)
In altre parole, se il campo elettrico è definito punto per punto come la forza per unità di carica, il potenziale è definito punto per punto come l’energia potenziale elettrica per unità di carica. Il potenziale è dunque, come l’energia, una grandezza scalare, cioè definita solo da un valore numerico. Inoltre, dato che è definito punto per punto, anche al potenziale può essere associato un campo che, a differenza del campo elettrico, è un campo scalare. L’unità di misura del potenziale è il joule su coulomb (J/C), detto anche volt (V) in onore dello scienziato italiano Alessandro Volta: 1 V 1 J/C
40 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
2
A partire dal valore del potenziale V in un punto dello spazio, si ricava facilmente l’energia potenziale elettrica di una carica q in quel punto, dalla formula: U qV
(2.12)
Potenziale di una carica puntiforme Una carica puntiforme Q genera un campo elettrico dato dalla formula (2.6) e, in ogni punto dello spazio, una carica di prova q ha un’energia potenziale elettrica data dalla formula (2.9). Dalla formula (2.11) ricaviamo quindi che il potenziale di una carica elettrica puntiforme Q a una distanza r da essa vale: V (r )
1 Q 4πε r
(2.13)
Questa espressione è, coerentemente con le grandezze usate nella descrizione per mezzo dei campi, indipendente dalla carica di prova q. Se infatti, nel linguaggio della fisica delle forze, parliamo di «energia potenziale della carica q, rispetto alla carica Q», nel linguaggio della fisica dei campi diciamo semplicemente «potenziale della carica Q» in un punto dello spazio.
ESEMPIO f Calcola il potenziale a una distanza r 15 cm da una carica puntiforme Q 7,4 × 10–8 C posta nel vuoto. Calcola l’energia potenziale di due cariche q1 2,2 × 10–15 C e q2 1,5 × 10–13 C, poste alla stessa distanza r da Q.
q1 r
Q
r
q2
SOLUZIONE La formula (2.13) nel vuoto diventa V (r )
k0
Q r
Quindi a una distanza di 15 cm da Q: V = 8, 99 × 10 9
N ⋅ m 2 7, 4 × 10−8 C = 4, 4 × 10 3 V C2 15 × 10−2 m
I valori dell’energia potenziale di q1 e di q2 alla stessa distanza da Q si ricavano dalla formula (2.12): U1 q1V 2,2 × 10–15 C × 4,4 × 103 J/C 9,7 × 10–12 J U2 q2V 1,5 × 10–13 C × 4,4 × 103 J/C 6,6 × 10–10 J DOMANDA Verifica che due cariche q1 6,8 × 10–8 C e q2 3,2 × 10–9 C, che nel campo generato da una carica Q hanno rispettivamente energia potenziale pari a 3,4 × 10–5 J e 1,6 × 10–6 J, si trovano in punti dello spazio con lo stesso potenziale.
41 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
2
IL CAMPO ELETTRICO
Lavoro e differenza di potenziale La formula (2.10) esprime il lavoro compiuto per spostare una carica tra due punti A e B dello spazio in termini della differenza tra i valori dell’energia potenziale elettrica in quei punti. Nella rappresentazione della fisica dei campi introduciamo la grandezza corrispondente, detta differenza di potenziale ΔV, indipendente dalla carica di prova q, definita come: ΔV
ΔU L = − A →B q q
(2.14)
dove il lavoro LA¤B è il lavoro fatto dalla forza elettrica sulla carica di prova tra i punti A e B. Conoscendo la differenza di potenziale ΔV tra due punti, il lavoro della forza elettrica per spostare una carica q da A a B è LA¤B q ΔV q(VA VB )
(2.15)
Quando le cariche si muovono sotto l’azione delle forze del campo elettrico, si allontanano da cariche dello stesso segno e si avvicinano a cariche di segno opposto. Il lavoro compiuto dalle forze del campo elettrico è positivo, pertanto anche il prodotto q (VA VB) deve essere positivo. Ne segue che se la carica q è positiva anche (VA VB) 0, da cui si ottiene che VA VB. Invece se la carica q è negativa anche (VA VB) 0, da cui segue che V A V B. In altre parole, una carica elettrica positiva, sotto l’azione delle forze del campo elettrico, tenderà a muoversi spontaneamente da punti a potenziale maggiore a punti a potenziale minore. L’opposto avviene per una carica negativa, che sotto l’azione delle forze del campo elettrico, tenderà a muoversi spontaneamente da punti a potenziale minore a punti a potenziale maggiore (figura 12). Figura 12. In un campo elettrico, le cariche positive tendono a muoversi verso punti a potenziale minore, quelle negative tendono a muoversi verso punti a potenziale maggiore.
potenziale minore
potenziale maggiore
potenziale maggiore
potenziale minore
In tabella 2 sono schematizzate le grandezze usate per descrivere i fenomeni elettrici nelle due rappresentazioni delle forze e dei campi e le rispettive relazioni matematiche per passare dalle une alle altre.
Tabella 2. Grandezze per descrivere i fenomeni elettrici nelle diverse rappresentazioni delle forze e dei campi.
RELAZIONE MATEMATICA (mediante la carica di prova q)
FISICA DELLE FORZE
FISICA DEI CAMPI
Forza elettrica F
Campo elettrico E
E
F q
Energia potenziale elettrica U
Potenziale elettrico V
V
U q
Lavoro L ΔU
Differenza di potenziale ΔV
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ΔV = −
L q
IL CAMPO ELETTRICO
2
Superfici equipotenziali Dalla formula (2.14) vediamo che il lavoro compiuto dalla forza elettrica è nullo quando la carica q si sposta tra due punti che hanno lo stesso potenziale, cioè se VA VB. Questo è vero anche nel caso gravitazionale: ricordiamo infatti che il lavoro è nullo se la forza e lo spostamento sono perpendicolari, e in prossimità della superficie terrestre ciò corrisponde a movimenti orizzontali, lungo i quali il potenziale gravitazionale ha lo stesso valore (figura 13). spostamento perpendicolare alla direzione del campo
campo gravitazionale terrestre in prossimità della superficie →
forza peso
→
L F s 0 L m Vg 0 A
Figura 13. Vicino alla superficie terrestre, negli spostamenti orizzontali il lavoro della forza peso, verticale, è nullo.
VgA VgB
B
Questo corrisponde al fatto che quando una carica q si muove tra punti di uguale potenziale, il suo spostamento è istante per istante perpendicolare alle linee di forza del campo elettrico. L’insieme di tutti i punti in cui il potenziale elettrico assume lo stesso valore individua una superficie detta superficie equipotenziale. Essa è in ogni punto perpendicolare alla linea di forza del campo elettrico passante per quel punto. Nel caso del campo elettrico generato da una carica puntiforme Q o Q le superfici equipotenziali sono dunque superfici sferiche centrate nel punto in cui è situata la carica (figura 14a). Avvicinando tra loro due cariche uguali e opposte Q e Q otteniamo un dipolo elettrico, le cui superfici equipotenziali sono disegnate nella figura 14b. Quando una carica elettrica q si muove su una di queste superfici, il lavoro della forza elettrica è nullo.
Figura 14. a. Le superfici equipotenziali dei campi elettrici generati da cariche puntiformi Q e Q sono superfici sferiche centrate in Q e Q. b. Superfici equipotenziali di un dipolo elettrico.
a
b
Relazione fra campo e potenziale Tra campo elettrico e potenziale esiste una relazione molto importante, che non dimostreremo nel caso generale per mancanza degli strumenti mate-
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2
IL CAMPO ELETTRICO
→
E
Figura 15. In un campo elettrico uniforme le linee di forza sono parallele.
matici necessari, ma che ci limiteremo a ricavare nel caso particolare di campo elettrico uniforme. Se un campo elettrico è uniforme la forza elettrica che agisce sulla carica di prova ha la stessa direzione, la stessa intensità e lo stesso verso in ogni punto dello spazio. Le linee di forza di un campo elettrico uniforme sono parallele (figura 15). Immaginiamo una carica q in moto in un campo uniforme tra i punti A e B, parallelamente alle linee del campo, cioè parallelamente alla forza elettrica costante F che agisce su essa (figura 16).
Figura 16. Quando una carica q si sposta lungo le linee di forza di un campo elettrico uniforme E di un tratto Δs, il lavoro della forza elettrica F è LA¤B FΔs.
→
→
→
s A
→
L F s F s
F B →
E
In tal caso la forza e lo spostamento sono, istante per istante, paralleli e quindi il lavoro LA¤B della forza elettrica che agisce sulla carica q tra i punti A e B è dato dal prodotto dell’intensità della forza elettrica F e dello spostamento Δs: LA¤B F Δs Ricordando che il campo è uniforme, per la formula (2.2), possiamo scrivere punto per punto LA¤B q EΔs Confrontando questa relazione con la formula (2.15) q E Δs = − q ΔV Troviamo una relazione che lega l’intensità di un campo elettrico uniforme E alla differenza di potenziale ΔV tra due suoi punti posti a distanza Δs l’uno dall’altro lungo le linee del campo: E =−
ΔV Δs
(2.16)
In generale esiste comunque una relazione che consente di ricavare il valore del campo in un punto a partire dai valori del potenziale nelle vicinanze di quel punto e viceversa. Le due grandezze sono cioè strettamente legate e nella rappresentazione dei campi possono essere usate in modo equivalente per descrivere un sistema. Vediamo, inoltre che tale relazione mostra che è possibile misurare l’intensità del campo elettrico in volt su metro (V/m).
ESEMPIO f Fra due punti A e B che si trovano sulla stessa linea di forza in un campo elettrico uniforme E c’è una differenza di potenziale VB VA 200 V. Se la distanza tra A e B è Δs 0,48 m, qual è l’intensità del campo elettrico?
→
s A
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B
IL CAMPO ELETTRICO
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SOLUZIONE Direttamente dalla formula (2.16) ricaviamo: E =−
−200 V = 4, 2 × 10 2 V/m 0, 48 m
Si dimostra che 4,2 × 102 V/m 4,2 × 102 N/C. Infatti: 4, 2 × 10 2 V/m = 4, 2 × 10 2
J N⋅ m = 4, 2 × 10 2 = 4, 2 × 10 2 N/C C⋅m C⋅ m
DOMANDA Che cosa significa, in termini di energia potenziale elettrica e di lavoro, che la differenza di potenziale ΔV VB VA è negativa? Spiega in 5 righe.
5
IL FLUSSO DEL VETTORE CAMPO ELETTRICO ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE
Nella rappresentazione delle forze si descrive il movimento degli oggetti a partire dalle forze che agiscono su essi, usando opportuni sistemi di coordinate che rappresentano lo spazio nel quale avvengono gli spostamenti. Nella rappresentazione dei campi lo spazio assume un ruolo diverso: esso non è più una «cornice» nella quale si svolge un’azione, ma diventa protagonista di ciò che accade al suo interno. Tutti i punti dello spazio concorrono nella rappresentazione del campo, sia che in essi vi sia un corpo di prova, che ci consente di appoggiarci alla fisica delle forze per rilevare la presenza del campo, sia che non vi sia. Non è più sufficiente saper descrivere ciò che accade in un singolo punto del campo, ma è necessario imparare a descrivere il campo nel suo insieme, utilizzando grandezze che comprendano più punti dello spazio contemporaneamente. Una di esse è il flusso del campo vettoriale attraverso una superficie, che rappresenta il numero di linee del campo che attraversa la superficie considerata (figura 17). Osserviamo innanzitutto che il flusso dipende da come è orientata la superficie all’interno del campo vettoriale, oltre che dalle dimensioni della superficie e dall’intensità del campo. Come esempio, consideriamo per ¤ semplicità un campo elettrico uniforme E e costante nel tempo, in cui cioè le linee del campo siano parallele e la loro densità sia costante nel tempo, e una superficie piana S. Per individuare l’orientazione della superficie S vi ¤ si associa un vettore S ad essa perpendicolare, il cui modulo sia pari alla ¤ ¤ misura della sua area. Quando la direzione di S è parallela al campo E , il
Figura 17. Il flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie è una grandezza fisica che rappresenta il numero di linee di forza che attraversa la superficie.
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Figura 18. a. A ogni superficie piana associamo un vettore ¤ S orientato lungo la perpendicolare e di modulo pari all’area della superficie stessa. b. Il numero di linee del campo che attraversa la superficie S dipende dall’orientazione ¤ reciproca del campo ¤ E e del vettore S .
IL CAMPO ELETTRICO
numero di linee che la attraversa è massimo; quando invece la direzione di ¤ ¤ S è perpendicolare al campo E , il numero di linee che la attraversa è zero (figura 18). →
modulo di S (area della superficie)
direzione → e verso di S →
S
a
→
E
b
Descrizione matematica L’operazione tra vettori che riproduce quanto precedentemente descritto è il prodotto scalare, che è massimo quando i vettori sono paralleli e nullo quando sono perpendicolari. ¤
¤
Il flusso Φ(E ) di un campo elettrico uniforme E attraverso la superficie ¤ piana orientata S è dato dalla relazione ¤
¤
¤
Φ(E ) E · S
(2.17)
Cioè, esplicitamente ¤
Φ(E ) E S cosθ Figura 19. L’angolo θ è formato ¤ dalla direzione del campo E e ¤ dal vettore S , perpendicolare alla superficie S.
dove θ è l’angolo formato dal campo e dalla perpendicolare alla superficie (figura 19). S Nel caso in cui il campo non sia uniforme o la superficie non sia piana, la formula non può essere applicata, perché da un punto all’altro della ¤ superficie S possono cambiare sia il vettore E che ¤ l’orientazione del vettore superficie S . In tali casi si utilizza la seguente strategia: si divide la superficie in n elementi di area ΔS, sufficientemente piccoli da poter essere considerati piani, e si calcola per ciascuno di essi il flusso parziale: →
→
E
¤
¤
¤
ΔΦi (E ) E i · ΔS i e si sommano tutti i contributi: I Φ( E )
n
I
n
I
I
∑ ΔΦi ( E ) ∑ Ei ⋅ ΔSi i =1
i =1
(2.18)
Il valore del flusso si ottiene usando il calcolo infinitesimale, cioè portando questa formula al limite, per cui il numero di elementi ΔS tende a essere infinito e la loro estensione a zero. Osserviamo inoltre che, una volta stabilito il verso della superficie S, le linee che la attraversano «in entrata» danno contributi di segno opposto a quelle che la attraversano «in uscita». L’unità di misura del flusso del campo elettrico attraverso una superficie è il newton per metro quadro su coulomb (N m2/C).
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IL CAMPO ELETTRICO
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ESEMPIO
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Il concetto di flusso, come suggerisce il termine, ha una stretta relazione con la dinamica dei fluidi. Considerando il campo vettoriale v¤ delle velocità in un fluido in moto uniforme e stazionario, osserviamo che il flusso corrisponde alla portata (qui indicata con il simbolo Q per distinguerla dalla carica), definita come il volume (qui indicato con il simbolo ᐂ per distinguerlo dal potenziale) di fluido Δᐂ che attraversa una sua sezione S trasversale in un secondo: Δᐂ Q Δt Nel caso stazionario dove Δᐂ S v Δt, la portata è costante e pari a
Q Sv che è analoga alla formula (2.17) nel caso particolare in cui il cam¤ po (in questo caso v¤ al posto di E ) e la superficie siano paralleli. DOMANDA Che relazione c’è tra la portata e il numero di linee di forza del campo delle velocità di un fluido? Rispondi in 5 righe e rappresenta con un disegno due situazioni in cui la portata sia differente.
Il teorema di Gauss per il campo elettrico ¤
Calcoliamo ora il flusso ΦΣ(E ) ¤ del campo elettrico E attraverso una superficie sferica chiusa Σ di raggio R che contenga una carica puntiforme positiva Q nel suo centro, suddividendo la stessa in n piccoli elementi di estensione ΔSi (figura 20). Per una superficie chiusa si adotta la convenzione che i vettori che la rappresentano punto per punto siano diretti verso l’esterno. Osservando la figura e considerando che:
Q
→
E
→
R
S
n
Figura 20. Per calcolare ¤ il flusso del campo elettrico E generato da Q attraverso la superficie sferica S si suddivide quest’ultima in piccoli elementi ΔSi.
S Si i1
s su tutta la superficie di raggio R il campo elettrico ha lo stesso valore, dato dalla la legge di Coulomb; ¤ ¤ s il campo elettrico E è parallelo alla direzione della superficie S ; s la somma di tutti gli elementi di superficie ΔSi è pari alla superficie sferica di raggio R, cioè 4πR2, otteniamo: n I I I Φ Σ ( E ) = ∑ E i ⋅ ΔSi = i =1
Q 4 πεR 2
n
∑ ΔSi = i =1
Q 4 πε R
2
⋅ 4 πR 2 =
Q ε
Cioè il flusso del vettore campo elettrico E generato dalla carica Q attraverso una superficie sferica centrata su Q è indipendente dal raggio della sfera
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IL CAMPO ELETTRICO
e dipende solo dalla carica in essa contenuta. Si può dimostrare che questo risultato, noto come teorema di Gauss per il campo elettrico, vale nel caso più generale di un numero di cariche qualsiasi e una superficie chiusa di qualunque forma (figura 21). Il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è direttamente proporzionale alla carica totale in essa contenuta: I Qint ΦΣ ( E ) ε
(2.19)
Il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è quindi una grandezza che determina la presenza o meno di cariche all’interno della superficie considerata. Il suo valore è nullo se la superficie non contiene cariche al suo interno. Infatti, anche in presenza di una carica esterna nelle vicinanze, il numero di linee di forza che entrano nella superficie è uguale al numero di linee di forza che escono da essa, e pertanto i loro contributi si elidono a vicenda nel calcolo (figura 21). Figura 21. a. Il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è determinato dalla carica totale racchiusa dalla superficie. b. Le cariche esterne alla superficie non contribuiscono al flusso attraverso essa, in quanto il contributo delle linee di forza in entrata è uguale e opposto al contributo delle linee di forza in uscita.
equivale a
Q1 Q2
Q1 Q2 Q3 Q3 → Q1 Q2 Q3
(E )
a
→
(E ) 0 b
In generale il flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie chiusa determina la presenza di sorgenti o pozzi del campo in quella regione di spazio, cioè la presenza di punti dai quali «nascono» o nei quali «terminano» le linee del campo.
6
Figura 22. Lungo ¤ ¤ gli spostamenti Δᐉ1 e Δᐉ3 i valori del prodotto scalare sono uguali e opposti; lungo gli spostamenti ¤ ¤ Δᐉ2 e Δᐉ4 sono nulli perché i vettori spostamento sono perpendicolari al campo.
LA CIRCUITAZIONE DEL CAMPO ELETTRICO
Un’altra grandezza caratteristica della descrizione di un sistema fisico in termini di campo vettoriale è la circuitazione. Essa è definita come la somma dei prodotti scalari tra il campo e piccolissimi vettori spostamento all’interno del campo, lungo un percorso chiuso. Vediamone subito un esempio considerando un semplicissimo percorso rettangolare orientato in senso orario all’interno di un campo uniforme VA VB VB VC e costante, come il campo delle velocità in di una corrente fluida stazionaria che
艎1 A B scorra con velocità uniforme v¤ (figura 22).
艎2 Scomponendo il percorso chiuso Γ in
艎4 ¤ ¤ ¤ quattro spostamenti rettilinei Δᐉ, Δᐉ2, Δᐉ3 D C ¤
艎3 e Δᐉ4, calcoliamo il prodotto scalare tra
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IL CAMPO ELETTRICO
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ciascuno di essi e il vettore v¤. La circuitazione CΓ(v¤) sul percorso chiuso Γ è data dalla somma dei quattro prodotti scalari: ¤
¤
¤
¤
CΓ (v¤) v¤ · Δᐉ1 v¤ · Δᐉ2 v¤ · Δᐉ3 v¤ · Δᐉ4 0 in quanto ¤
¤
v¤ · Δᐉ2 v¤ · Δᐉ4 0 ¤
¤
v¤ · Δᐉ1 v¤ · Δᐉ3 Per estendere la definizione e il ragionamento a un percorso qualsiasi dobbiamo ancora una volta pensare in termini di spostamenti piccolissimi per i quali il campo può essere considerato costante, usando, nel caso limite di infiniti spostamenti che tendono a zero, la matematica del calcolo infinitesimale. In generale diciamo quindi che la circuitazione CΓ(v¤) di un campo vettoriale v¤ lungo una linea chiusa Γ, ¤ scomposta in n tratti Δᐉi, è pari alla quantità n CΓ ( v ) ∑ ( v ⋅ Δ i ) (2.20) i =1
Nel semplice esempio della figura 22 la circuitazione del campo vettoriale v¤ è nulla, ma può capitare che i contributi dei prodotti scalari su piccolissimi spostamenti non si annullino complessivamente, fornendo un risultato diverso da zero.
Circuitazione del campo elettrostatico Usando la formula (2.20), la circuitazione del campo elettrico si scrive: CΓ ( E )
n
∑ ( E ⋅ Δ i )
(2.21)
i =1
Dalla formula (2.16) ricaviamo ¤
¤
E · Δᐉi ΔVi E quindi n n I C Γ ( E ) = ¦ (−ΔVi ) = −¦ ( ΔVi ) = 0 i =1
(2.22)
i =1
Poiché nel campo elettrico la differenza di potenziale su un percorso chiuso è nulla, la circuitazione risulta uguale a zero. Questa proprietà discende dal fatto che il campo elettrico è conservativo. La circuitazione del campo elettrico è nulla qualunque sia il percorso chiuso orientato su cui è calcolata.
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IL CAMPO ELETTRICO
GEOFISICA
Il campo delle temperature è una grandezza molto usata nella geofisica.
NASA
Il campo delle temperature è un campo scalare, definito punto per punto dalla temperatura misurata in quel punto. Il campo delle temperature non è espresso attraverso una formula matematica, ma è determinato attraverso i valori delle temperature misurati sperimentalmente. Essi non sono disposti tuttavia a caso, ma variano con continuità nello spazio in modo tale che a punti vicini siano associati valori di temperatura vicini. Nella geofisica è piuttosto comune l’utilizzo di questo concetto, per quanto riguarda la temperatura atmosferica, o degli oceani o dell’interno della Terra. In molti casi dallo studio dell’andamento della temperatura al variare della posizione nello spazio, cioè dallo studio del campo delle temperature, è possibile individuare le sorgenti termiche avvicinandosi alle quali la temperatura aumenta.
NASA
Il campo delle temperature
Il gradiente di temperatura All’equilibrio termico il campo delle temperature è uniforme e a ogni punto è associato lo stesso valore. In presenza di sorgenti termiche, invece, si possono individuare alcune direzioni lungo le quali vi è variazione di temperatura. La grandezza fisica che descrive la direzione e l’entità (cioè l’intensità) delle variazioni di temperatura è detta gradiente di temperatura o gradiente termico e, dato che è rappresentata punto per punto da un vettore, ad essa è associato un campo vettoriale. In una situazione estremamente semplificata, quando in un certo ambiente è presente una sola sorgente termica, le linee di questo campo sono rette che convergono nel punto in cui essa è situata perché le variazioni di temperatura sono positive (cioè la temperatura aumenta) avvicinandosi a tale punto. All’interno della Terra la temperatura dovrebbe aumentare regolarmente procedendo verso il centro, tuttavia il cosiddetto gradiente geotermico presenta delle anomalie dalle quali si possono trarre informazioni sulla presenza di altre sorgenti termiche, dovute per esempio alla radioattività delle rocce.
linee del campo di gradiente termico
La direzione dell’aumento di temperatura è indicata dalle frecce, l’intensità dalla scala di colori (i più chiari corrispondono a variazioni maggiori).
curva isoterma
Le isoterme Le superfici che si trovano alla stessa temperatura sono dette isoterme. Il gradiente termico, individuando la direzione in cui varia la temperatura, è perpendicolare a tali superfici. In una sezione bidimensionale del campo delle temperature le superfici isoterme diventano curve isoterme, come quelle che possiamo vedere nelle carte meteorologiche.
I punti delle superfici isoterme hanno tutti la stessa temperatura; in una sezione bidimensionale del campo di temperature esse diventano curve isoterme.
DOMANDA Nell’analogia tra fenomeni termici e fenomeni elettrici la grandezza fisica analoga del campo elettrico è il campo di gradiente: qual è la grandezza elettrica analoga alla temperatura? A che cosa corrispondono le superfici isoterme?
50 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
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FILOSOFIA La psicologia della forma Sono convinto […] dell’esistenza di uno spazio sociale che possiede tutte le proprietà essenziali di uno spazio reale empirico e che merita da parte degli studenti di geometria e di matematica la stessa attenzione dello spazio fisico, sebbene non sia uno spazio fisico. (K. Lewin, Esperimenti nel campo sociale, 1939, trad. it. di R. Licausi in I conflitti sociali. Saggi di dinamica di gruppo, Franco Angeli, Milano 1972) Negli anni in cui il concetto di campo veniva utilizzato con successo nelle scienze fisiche, lo psicologo tedesco Kurt Lewin (1890-1947) lo estese alle scienze umane. La «teoria del campo» da lui proposta si basa su una sorta di «formula» generica in cui è contenuto il concetto per il quale il comportamento C di una persona dipende da variabili indipendenti quali la sua personalità P e l’ambiente in cui vive A: C f(P, A) Secondo Lewin quindi il comportamento di una persona è determinato da fattori inscindibili, personalità e ambiente, che costituiscono il suo spazio vitale. Ampliando il ragionamento fino alle dinamiche sociali, questo modello prescrive che esse non vadano ricondotte semplicemente agli individui che costituiscono la società, ma dipendano dalla totalità dei loro rapporti sociali. L’individuo e l’ambiente, dunque, si definiscono e si integrano a vicenda in un contesto che li contiene entrambi, il campo.
La Gestaltpsychologie Il concetto definito da Lewin va inquadrato nel contesto più ampio Il trangolo di Kanizsa è della Gestaltpsychologie o psicologia della forma, della quale egli emblematico di come il cervello ricostruisca stesso è un sostenitore. L’idea portante di questa corrente di pensiero immagini illusorie è quella per la quale il tutto è diverso dalla somma delle sue singole a partire da singoli parti: le caratteristiche di una società non sono la somma delle caratelementi che in realtà teristiche dei suoi singoli individui, e ciò che siamo e sentiamo non è non rappresentano la semplice sovrapposizione di pensieri e di stimoli, ma deriva da una tale immagine. Siamo complessa organizzazione degli stessi. In questo senso la percezione indotti a vedere due triangoli equilateri che ciascuno ha della realtà esterna è un elemento fondamentale per bianchi pur non essendoci alcun triangolo la costruzione della realtà di ogni individuo. equilatero bianco negli elementi raffigurati: Per la psicologia della forma le sensazioni non sono disgiunte dalle è il nostro cervello che sovrappone tali percezioni: le immagini che riceviamo sulla retina vengono immediaelementi creando la forma complessiva. tamente organizzate dal sistema nervoso all’interno di un modello percettivo che consente di ricostruire la loro forma a partire da una serie di regole. Per esempio tali regole consentono di spiegare le cosiddette illusioni ottiche, immagini che ingannano la nostra percezione facendoci ricostruire mentalmente qualcosa di diverso dalla realtà esterna. Analogamente la mente ricostruisce una melodia a partire da suoni con timbri o ritmi differenti.
Ernst Mach Il fisico e filosofo austriaco Ernst Mach (1838-1916) è considerato un pioniere nello studio della percezione umana e, per questo, la Gestaltpsychologie può essere vista in continuità con il suo lavoro. Nei suoi Contributi all’analisi delle sensazioni (1886), Mach analizza i rapporti tra il mondo fisico e il mondo psichico di ognuno di noi, giungendo alla conclusione che si tratta di due realtà strettamente interconnesse: ciò che percepiamo della realtà dipende infatti da come il nostro cervello elabora gli stimoli in entrata, come si vede nel cosiddetto quadrato di Mach.
Da una figura quadrata ruotata di 45° riceviamo informazioni incomplete (per le quali la figura non viene riconosciuta immediatamente come un quadrato) e non veridiche (per le quali la figura ruotata appare più grande di quella originale).
DOMANDA Nel concetto di campo delle scienze umane l’individuo e l’ambiente sono integrati in un’unica realtà, così come lo sono gli oggetti e lo spazio nel concetto di campo delle scienze fisiche. Quali sono i limiti di tale analogia? (Suggerimento: prova a individuare il concetto di interazione nei due casi.)
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IL CAMPO ELETTRICO
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO Una cascata di energia Dalla gravità all’elettricità
Una risorsa alternativa
Circa 10 000 anni fa terminò l’ultimo periodo glaciale e, con il ritirarsi dei ghiacci, la morfologia della superficie terrestre subì importanti trasformazioni. Nell’America del Nord, per esempio, si formarono i grandi laghi come bacini di raccolta dell’acqua di disgelo. Ma l’acqua tende ad andare verso il basso nel campo gravitazionale terrestre, e così i grandi laghi iniziarono a muoversi verso Sud, secondo le irregolarità del terreno generate dal movimento dei ghiacci che mano a mano si ritiravano a Nord. Dal lago Superiore si formò il fiume Niagara che, scavando, tracciò il suo corso tra i laghi Eire e Ontario. I differenti materiali incontrati dall’acqua, sottoposti a erosione, hanno dato luogo a diverse strutture: l’accostamento tra rocce dure e rocce friabili ha generato l’esteso salto delle cascate del Niagara, che continua ad arretrare nel tempo in seguito a processi di erosione. L’immensa massa d’acqua, sotto l’azione del campo gravitazionale terrestre, disgrega la roccia con eccezionale potenza. Nel XIX secolo parte di questa energia fu utilizzata per alimentare la prima centrale idroelettrica della storia, cioè una struttura in grado di trasformare l’energia potenziale gravitazionale dell’acqua in energia potenziale elettrica.
I paesi privi di grandi riserve di carbone, ma ricchi di acqua e con un’orografia movimentata, come l’Italia, trassero notevoli vantaggi dallo sviluppo della tecnologia delle centrali idroelettriche. Il primo impianto idroelettrico italiano, situato vicino Genova, risale al 1890; ma solo dal 1898, con la costruzione della centrale di Paderno sull’Adda, l’Italia poté contare su una crescente produzione di energia elettrica per mezzo dell’acqua. Nel 1914 il 74% dell’energia utilizzata dal Paese proveniva da impianti idroelettrici e tale percentuale aumentò durante la prima guerra mondiale. A un certo punto sembrò che fosse possibile coprire l’intero fabbisogno energetico del Paese sfruttando le sue acque e si parlò addirittura di “carbone bianco”, immaginando di poter fare a meno delle importazioni di carbone dall’estero. L’industria idroelettrica, infatti, giovava allo sviluppo economico italiano: favoriva gli investimenti, incrementava la produzione, promuoveva la formazione di professionalità. Tuttavia dopo la seconda guerra mondiale divenne chiaro che tale strategia di produzione energetica non era adeguata al crescente fabbisogno dell’industrializzazione e l’Italia dovette orientarsi verso la costruzione di centrali termoelettriche a combustibili fossili. Attualmente la cosiddetta energia idroelettrica copre circa il 15% del fabbisogno italiano ed è considerata una fonte di energia rinnovabile, in quanto si rigenera continuamente via via che viene consumata e quindi non è destinata ad esaurirsi con l’uso.
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Hydro-Electric Handbook, by William P. Creager and Joel D. Justin (published by John Wiley and Sons, 1927)
L’interno della centrale idroelettrica di Edward Adams per la produzione di corrente alternata, costruita nel 1895.
Le cascate del Niagara, per un dislivello di 52 metri, hanno una portata media di circa 110 000 m3 al minuto.
PAROLA CHIAVE
PAROLA CHIAVE
Campo
DOMANDA Osservando una cascata con gli occhi di un fisico, quali campi vettoriali puoi individuare?
Potenziale
DOMANDA Un oggetto che parte con velocità nulla all’interno di un campo gravitazionale si muove spontaneamente verso punti a potenziale minore. Come si muovono le cariche elettriche all’interno di un campo elettrico, in relazione al potenziale elettrico? Rispondi in 5 righe distinguendo il caso in cui si tratti di cariche positive o negative.
52 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
2
Una cascata particolare
Negli impianti idroelettrici l’energia potenziale elettrica si ottiene a partire dall’energia potenziale gravitazionale di masse d’acqua che, dall’alto, scendono verso il basso azionando delle turbine collegate a sistemi di trasformazione. C’è quindi bisogno di un dislivello di quota e di una grande quantità di acqua che compie il salto. In alcune cascate ciò si verifica naturalmente e per convertire l’energia gravitazionale dell’acqua in energia elettrica è sufficiente convogliare il flusso idrico in condotte al cui interno sono collegate delle turbine. Quando il dislivello non è molto elevato, c’è bisogno di una grande massa d’acqua che viene incanalata nelle condotte forzate e utilizzata per far muovere le turbine. Altre volte si crea un dislivello artificiale impedendo il deflusso dell’acqua di un fiume per mezzo di una diga e creando pertanto un bacino a quota più elevata rispetto a quella del fondo valle. Tra il Brasile e il Paraguay vi è l’impianto idroelettrico più grande del mondo, con una potenza di 14 000 MW. Si tratta della grande diga di Itaipù, che, sbarrando il corso del Paranà, forma un grande bacino artificiale esteso per circa 1350 km2, che contiene circa 29 miliardi di metri cubi di acqua. Questi sono convogliati in 20 enormi turbine, una sola delle quali è in grado di coprire gran parte del fabbisogno energetico dell’intero Paraguay.
La cascata delle Marmore, in Umbria, con il suo dislivello di 165 m, è una delle più alte d’Europa ed è utilizzata per la produzione di energia elettrica. La sua particolarità sta nel fatto che, nonostante sembri una cascata “naturale”, è in realtà il risultato dell’azione umana. Nel 271 a.C. il console romano Manio Curio Dentato, per bonificare l’altopiano sovrastante, nel quale il fiume Velino aveva formato dei ristagni malsani, fece costruire un canale per deviarne il corso e raccordarlo quindi con quello del sottostante fiume Nera, attraverso un salto roccioso naturale. La cascata ha dunque origine in un’opera ingegneristica, la quale comunque non si esaurì con l’intervento romano. La fusione dei due fiumi comportò, infatti, un aumento notevole della portata complessiva che, soprattutto nei periodi di piena, causava molti inconvenienti alle popolazioni che abitavano nei suoi pressi e in particolare nella vicina città di Terni. Nel tempo furono necessarie altre opere idrauliche per controllare i flussi idrici, fino a far assumere alla cascata l’odierno aspetto, molto apprezzato dai turisti. Nel XX secolo ebbe inizio il suo sfruttamento per la produzione di energia elettrica, che avviene ancora oggi.
Martin St-Amant
La diga di Itaipù tra il Brasile e il Paraguay.
Le grandi condotte dell’impianto.
PAROLA CHIAVE
Croberto68
turismo iguassu
Quali cascate?
Il flusso dell’acqua della cascata delle Marmore è controllato e convogliato nell’impianto di trasformazione e pertanto la cascata vera e propria è visibile solamente due ore al giorno e durante le festività.
Flusso
DOMANDA La produzione di energia idroelettrica è basata sulla presenza di un dislivello di quota e sulla quantità di acqua che fluisce nell’unità di tempo attraverso una sezione trasversale, detta portata. Qual è la relazione tra il concetto di portata e quello di flusso di un vettore attraverso una superficie?
53 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI UN CAMPO è l’insieme dei valori che una grandezza assume in diversi punti dello spazio FENOMENI ELETTRICI FISICA DELLE FORZE
FISICA DEI CAMPI
le cariche elettriche interagiscono a distanza esercitando forze reciproche l’una sull’altra
ogni carica è causa di una modifica delle proprietà dello spazio, che si manifesta come forza elettrica sulle altre cariche
CAMPO ELETTRICO
carica di prova q
FORZA ELETTRICA F qE
E=
positiva e sufficientemente piccola da non modificare il sistema
F q
si misura in N/C
LINEE DI FORZA sono linee ideali che riempiono lo spazio; sono dirette punto per punto come il campo, cioè come la forza che agisce sulla carica di prova CARICHE PUNTIFORMI FORZA DI COULOMB F=
1 Qq 4 πε r 2
CAMPO ELETTRICO Q
Q
E= linee di forza
1 Q 4 πε r 2
SOVRAPPOSIZIONE campi elettrici generati da più cariche presenti in una regione di spazio si sommano in ciascun punto come grandezze vettoriali
54 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
2
IL LAVORO DELLA FORZA ELETTRICA NON DIPENDE DAL PERCORSO SEGUITO MA SOLO DALLE POSIZIONI INIZIALE E FINALE FISICA DELLE FORZE
FISICA DEI CAMPI
ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA in un punto è pari al lavoro della forza elettrica necessario a portare una carica da quel punto all’infinito
POTENZIALE ELETTRICO V in un punto è il rapporto fra l’energia potenziale elettrica in quel punto e la carica di prova q
U = Vq
si misura in volt
U V= q
1 V = 1 J/C
CAMPO E POTENZIALE E =−
ΔV ΔS
LAVORO DELLA FORZA ELETTRICA TRA A E B LA¤B U qΔV
CARICHE PUNTIFORMI 1 Qq 1 Q U (r ) = V (r ) = 4 πε r 4 πε r
FLUSSO del campo elettrico attraverso la superficie S
CIRCUITAZIONE del campo elettrico lungo la linea chiusa Γ →
艎i →
S
T →
→
→ →
(E ) E S
TEOREMA DI GAUSS il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è direttamente proporzionale alla carica contenuta I Q ΦΣ (E ) = E
→
→
Cr (E ) i (E 艎i) →
Cr (E ) 0
LA CIRCUITAZIONE DEL CAMPO ELETTRICO È NULLA SU QUALUNQUE PERCORSO CHIUSO il campo elettrico è conservativo
le cariche elettriche sono le sorgenti del campo elettrico
55 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
20 test (30 minuti)
2 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI 11 In quale tra i punti disegnati nelle due figure il campo
IL VETTORE CAMPO ELETTRICO
elettrico è più intenso?
DOMANDE Come viene rilevata la presenza di un campo elettrico generato da una carica Q?
1
2 «Il campo elettrico generato da una carica Q 0 ha
°B
verso uscente dalla carica e intensità che dipende dalla carica di prova su cui agisce la forza elettrica». Correggi questa frase, se necessario.
°A
12 Su una carica posta all’interno di un campo elettrico
3 Qual è l’unità di misura del campo elettrico? 4 Quando si può parlare di campo elettrostatico?
CALCOLI 5 Determina l’intensità del campo elettrico nel punto
in cui si trova un protone su cui agisce una forza di 2,5 N. [1,6 1019 N/C]
generato in un dielettrico da una carica puntiforme , agisce una forza F1. Sostituendo il dielettrico con un’altra sostanza sulla carica si misura una forza F2 F1. Che cosa puoi dire delle costanti dielettriche relative εr1 ed εr2 dei due mezzi? 13 Se in una regione di spazio sono presenti più cari-
che puntiformi come è definito il campo elettrico risultante in un punto P di tale spazio? Rispondi in 5 righe.
6 Su una carica q agisce una forza di 3,1 N causata da
CALCOLI
un campo elettrico di 4,8 104 N/C. f Quanto vale q? [6,5 10–5 C]
7 Una carica elettrica q è soggetta a una forza di 4,2 N
quando è posta in un punto in cui esiste un campo elettrico uniforme di intensità 2 106 N/C. f Calcola il valore della carica q.
14 A una distanza d da una carica negativa che vale
Q 7,1 10–7 C, posta nel vuoto, viene rilevato un campo elettrico di intensità 2,7 105 N/C. f Quanto vale d? f La forza che agisce sulla carica di prova è attrattiva o repulsiva? [15 cm]
[2,1 10–6 C]
8 Calcola la forza esercitata su un protone in un
punto in cui il campo elettrico ha intensità pari a 1,8 106 N/C. Se l’intensità del campo elettrico si dimezza, che cosa succede all’intensità della forza? [2,9 10–13 N]
15 Una carica Q genera nel vuoto un campo elettrico E0,
la cui intensità a una distanza d da Q è pari a 7,0 107 N/C. Se lo spazio viene riempito con un dielettrico, il campo elettrico E alla stessa distanza d da Q diventa 4,6 106 N/C. f Qual è la costante dielettrica relativa del mezzo in cui è immersa la carica? [15]
2
16 Una carica Q posta nel vuoto genera a distanza di
CAMPO ELETTRICO GENERATO DA CARICHE PUNTIFORMI
5,0 cm un campo elettrico di intensità pari a 2,2 104 N/C. f Calcola il valore della carica Q.
DOMANDE 9 Disegna le linee di forza del campo elettrico genera-
to da una carica puntiforme positiva nell’ipotesi che la carica di prova sia negativa. Quali sono direzione e verso del vettore che rappresenta la forza elettrica generata dal campo elettrico sulla carica di prova? ¤
10 Definisci in 5 righe il vettore campo elettrico E nello
spazio.
f Se la carica fosse immersa in acqua come cambierebbe il campo elettrico? [6,1 10-9 C; 2,8 102 N/C]
17 Su un elettrone posto in un punto P di un campo
elettrico si esercita una forza di 10–19 N verso Ovest. Disegna direzione e verso del campo e determina la sua intensità nel punto P. [0,62 N/C]
56 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO
2
18 Un dipolo elettrico è costituito da due cariche
25 A quale distanza bisogna mettere due cariche
Q1 1,0 μC e Q2 2Q1, poste a 12 cm di distanza l’una dall’altra.
q1 2,0 10–7 C e q2 q1 affinché l’energia potenziale elettrostatica sia pari a 20 J?
f Disegna il campo elettrico risultante e calcolane il valore dell’intensità nel punto medio del segmento che unisce le due cariche.
[1,8 10–5 m]
26 Una carica q posta a 0,5 10–8 m da un elettrone
possiede un’energia potenziale elettrostatica pari a 47 10–21 J.
[2,5 106 N/C]
f Quanto vale q?
3
[1,6 10–19 C]
L’ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA
DOMANDE 19 È corretto affermare che l’energia potenziale elettri-
ca è inversamente proporzionale al lavoro effettuato per spostare una carica di prova? Perché? 20 «Dall’analogia tra la legge di Coulomb e la legge di
gravitazione universale deriva che l’energia potenziale elettrica è sempre negativa, come l’energia potenziale gravitazionale». Questa affermazione è errata, correggila. 21 Una carica q è posta nel campo elettrico generato
da una carica puntiforme. In che modo è possibile calcolare il lavoro effettuato per spostare la carica q da un punto a un altro all’interno del campo, a partire dall’energia potenziale della carica q nel punto di arrivo e nel punto di partenza? 22 Una carica q, posta all’interno di un campo elettri-
co, viene spostata dalla posizione iniziale i alla posizione finale f. In che relazione sono la variazione di energia potenziale e il lavoro fatto dalla forza elettrostatica per spostare la carica dalla posizione i alla posizione f?
4
IL POTENZIALE ELETTRICO
DOMANDE 27 «Il potenziale elettrico è una grandezza vettoriale la
cui intensità è, punto per punto, pari all’energia potenziale della carica di prova in quel punto». Correggi questa frase, se necessario. 28 Descrivi in un testo di 5 righe come si esprime il lavo-
ro effettuato per spostare una carica da un punto a un altro in funzione del potenziale elettrico. 29 Come avviene il moto spontaneo di una carica elet-
trica positiva, immersa in un campo elettrico generato da una carica puntiforme positiva? 30 Trova almeno una giustificazione al fatto che le linee
del campo elettrico sono, punto per punto, perpendicolari alle superfici equipotenziali. 31 Sotto quali ipotesi vale la formula E =−
ΔV ? ΔS
CALCOLI 32 Calcola il valore del potenziale elettrico in un punto P
CALCOLI
distante 0,10 10–6 m da un elettrone.
23 Esegui i seguenti calcoli.
[1,4 10–2 V]
f Qual è l’energia potenziale tra due cariche elettriche q1 2,50 10–5 C e q2 2,80 10–6 C poste a una distanza di 43 cm? f Qual è il lavoro che bisogna svolgere per allontanare le due cariche di 10 cm? [1,46 J; 0,34 J]
33 Una carica Q genera un campo elettrico nello spazio.
In un punto P, in cui è presente una carica di prova q 3,7 10–7 C, si ha un potenziale elettrico pari a 60 V. f Qual è l’energia potenziale elettrica associata al sistema formato dalle due cariche? [2,2 10–5 J]
24 Due cariche q1 3,0 μC e q2 6,0 μC sono poste
nel vuoto a una distanza di 30 mm l’una dall’altra. f Calcola l’energia potenziale elettrica. Le particelle vengono avvicinate l’una all’altra e l’energia potenziale triplica. f Come è cambiata la distanza tra le particelle?
34 Un elettrone posto nello spazio genera un campo.
f Qual è il lavoro necessario per spostare un protone da un punto iniziale posto a distanza infinita a un punto finale posto a distanza di 2,0 mm dall’elettrone? [11,5 10–26 J]
[5,4 J]
57 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
2 ESERCIZI f Calcola il flusso del campo attraverso una superficie sferica avente Q al centro.
35 Il potenziale generato da una carica puntiforme Q a
distanza di 1,0 cm è pari a V 50 V.
[36π 10–3 Nm2/C]
f Quanto vale Q? [5,6 10 C] -11
44 Il flusso di un campo elettrico generato da una carica
puntiforme Q nel vuoto attraverso una superficie chiusa è pari a 90 10–4 Nm2/C.
36 A quale distanza, nel vuoto, una carica di intensità
pari a 4,5 μC genera un potenziale di 1000 V? Se la carica fosse immersa in acqua quale sarebbe la distanza?
f Determina il valore della carica Q. [8,0 10–14 C]
[40 m; 0,50 m]
37 Una particella si sposta di 40 cm lungo le linee di forza
45 Una carica puntiforme q 3,5 10–5 C si trova in un
mezzo che ha costante dielettrica assoluta ε.
di un campo elettrico uniforme di intensità 53 V/m.
f Se il flusso del campo generato da q attraverso una superficie chiusa è 6,9 105 Nm2/C, quanto vale la costante dielettrica assoluta del mezzo?
f Sapendo che nel punto di arrivo la particella ha un potenziale di 6,0 V, calcola il potenziale nel punto di partenza. [27 V]
f Qual è la costante dielettrica relativa?
38 Una carica elettrica di 8,0 10–4 C subisce una varia-
zione di energia potenziale elettrica di 20 J muovendosi tra due punti A e B.
[5,1 10–11 C2/Nm2; 5,8]
46 Una superficie piana S di 43 cm2 è attraversata dalle
linee di un campo elettrico uniforme E di intensità 1,7 1014 N/C.
f Determina la differenza di potenziale tra i due punti.
f Se il flusso del campo E attraverso S è 3,7 1011 Nm2/C, qual è l’angolo formato dalle linee del campo e la normale alla superficie?
[2,5 104 V]
5
[59,6°]
IL FLUSSO DEL VETTORE CAMPO ELETTRICO ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE 6
DOMANDE 39 Cosa rappresenta il flusso del campo vettoriale at-
traverso una superficie? 40 «Il flusso del campo elettrico attraverso una superfi-
cie è direttamente proporzionale al seno dell’angolo compreso tra il vettore del campo e quello perpendicolare alla superficie stessa e questa relazione può essere applicata per qualsiasi tipo di superficie e campo considerati». Correggi questa frase, se necessario. 41 In quale caso particolare, pur non avendo campo
uniforme e superficie piana, si può considerare il campo elettrico sempre parallelo al vettore di direzione della superficie attraversata dal campo? 42 Quale informazione si può ricavare dal fatto che il
flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è diverso da zero?
LA CIRCUITAZIONE DEL CAMPO ELETTRICO
DOMANDE 47 Qual è la proprietà della circuitazione del campo
elettrico e perché? 48 «La circuitazione del campo elettrico lungo una linea
chiusa è sempre diversa da zero». Correggi questa frase, se necessario.
ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 49 In che modo il concetto di campo elettrico rappre-
senta un’alternativa all’interpretazione dei fenomeni elettrici mediante il modello dell’azione a distanza? Rispondi in 10 righe. 50 Due cariche puntiformi q1 q2 vengono poste alla
CALCOLI 43 L’intensità del campo elettrico generato nel vuoto
da una carica puntiforme Q, a una distanza di 3,0 cm, è 10 N/C.
stessa distanza da una carica Q in due materiali che hanno costanti dielettriche rispettivamente εr1 3/2 εr2. Qual è l’intensità della forza elettrica F1 che agisce su q1, rispetto alla forza elettrica F2 che agisce su q2?
58 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO ELETTRICO 51 Che cosa è un dipolo elettrico? Disegna le linee del
campo.
2
f Quanto vale la carica posta in mezzo? f Quanto vale il potenziale elettrico?
52 In un punto dello spazio, posto lungo la congiungen-
te di due cariche uguali e opposte, il campo ha intensità maggiore o minore rispetto a un punto dello spazio tra due cariche identiche? Motiva la risposta con un disegno. 53 Qual è l’unità di misura del potenziale elettrico? In
onore di quale scienziato italiano è stata nominata? Scrivi l’unità di misura del potenziale elettrico mediante l’unità di misura della carica elettrica, della lunghezza, del tempo e della massa. 54 Una carica q 5,7 10–7 C si sposta su una superfi-
cie equipotenziale di un campo elettrico uniforme E 39 V/m. Puoi dire qual è il lavoro svolto dalle forze elettriche sulla carica per uno spostamento di 3,5 cm senza effettuare i calcoli? Motiva la risposta e illustra la situazione con un disegno. 55 In che modo si calcola il flusso di un campo elettrico
attraverso una superficie non piana? Spiega in 5 righe.
f Disegna le linee di forza del campo elettrico nelle due situazioni. [2,5 μC; 0 V]
59 Una carica positiva si muove in una regione di cam-
po elettrico uniforme di intensità 4,0 N/C secondo un percorso delineato in figura. A
B
D
C
f Calcola la differenza di potenziale in ogni tratto del percorso, sapendo che la distanza tra un punto e il successivo è 200 cm. f Quali punti si trovano allo stesso potenziale? f Qual è la circuitazione lungo il percorso? [8,0 V; 0 V 8,0 V, 0 V]
PROBLEMI
60 In una regione in cui c’è il vuoto è presente un campo
56 Tre cariche elettriche puntiformi di valori rispettiva-
mente q1 2,0 μC, q2 2,0 μC e q3 2,0 μC sono poste nel vuoto nei punti A, B e C come nella figura (AB AC 40 mm, CH 30 mm). A
C
q1
H
f Rappresenta la situazione con un disegno. f Calcola la differenza di potenziale tra i due punti, l’energia potenziale elettrostatica del sistema formato dalle due cariche e il lavoro necessario per spostare la carica.
q2
q3
elettrico uniforme di intensità 2,5 104 N/C e una carica di 0,50 mC si muove tra due punti che distano 12 cm lungo una linea del campo.
B
f Disegna il vettore campo elettrico nel punto H e calcolane il valore.
[3,0 103 V; 1,5 J, 1,5 J]
61 Tre cariche puntiformi q1, q2 1/2 q1 e q3 2q1 sono
poste nel vuoto come illustrato in figura.
f Calcola il potenziale nel punto H. [2,6 107 N/C; 6,9 105 V]
57 Un elettrone si muove in un campo elettrico unifor-
me di intensità 8,0 N/C compiendo uno spostamento di 3,0 m. f Calcola la differenza di potenziale tra la posizione finale e quella iniziale. f Calcola la variazione di energia potenziale dell’elettrone. [24 V; 3,8 10–18 J]
58 Due cariche puntiformi di valore 10 μC sono vincola-
te nel vuoto a una distanza reciproca di 2,0 mm. Quando una terza carica viene posta nel punto medio del segmento che unisce le due cariche, il campo elettrico su ognuna di esse si annulla.
S q2
q1
q3
f Se il flusso del campo elettrico attraverso la superficie sferica S vale 3,00 103 V m, calcola i valori di q1, q 2 e q 3. f Qual è il flusso attraverso S se q 3 viene spostata al suo esterno? [7,59 10–9 C, 3,79 10–9 C, 15,2 10–9 C; 1,29 103 V m]
59 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
2 ESERCIZI 62 L’elettrone e il protone in un atomo di idrogeno si
trovano a una distanza media r 0,53 10–10 m. f Calcola il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa che contenga l’atomo. f Allontanando l’elettrone dall’atomo si ottiene uno ione H: qual è il campo elettrico generato dallo ione a una distanza pari a r da esso? f Qual è il valore del potenziale nello stesso punto? [0
N m2 ; 5,1 1011 N/C; 27 V] C
VERSO L’UNIVERSITÀ 1
Siano M ed N due punti di un campo elettrico. Una carica puntiforme q si sposta da M a N seguendo uno dei percorsi indicati in figura e le forze del campo compiono il lavoro L. N
Delle seguenti affermazioni qual è quella CORRETTA? A B C D E
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2007/1008) 2 Due cariche elettriche uguali e opposte si trovano a
una distanza D. Quanto vale il potenziale elettrico nel punto di mezzo tra le due cariche? A B C D E
M
q
La differenza di potenziale tra N e M è uguale al lavoro L. Il lavoro L dipende dal percorso seguito dalla carica q per spostarsi da M a N. La differenza di potenziale tra N e M è Lq. La differenza di potenziale è una grandezza vettoriale. La differenza di potenziale tra N e M è L/q.
Non è definito. Zero. Tende all’infinito. Il doppio del potenziale dovuto ad ogni singola carica. La metà del potenziale dovuto ad ogni singola carica.
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia 2008/2009)
60 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
L’elettrostatica
“
Il fluido elettrico passando da un conduttore all’altro potrà in qualche distanza dare una scintilla accompagnata da uno scoppio.
”
Giuseppe Saverio Poli, Antonio Fabris, Vincenzo Dandolo, Elementi di fisica sperimentale, vol. 5, 1796
Gli affreschi dello Stanzino delle Matematiche, nella Galleria degli Uffizi a Firenze, furono eseguiti nel 1600. Nel XVIII secolo l’interesse, anche mondano, per l’elettricità e i suoi strumenti era tale che alle raffigurazioni esistenti furono aggiunte immagini di dispositivi elettrostatici, come la bottiglia di Leida che vediamo in questo particolare. La bottiglia di Leida, filo conduttore di questo capitolo, è un dispositivo inventato verso la metà del 1700 e ampiamente usato nei laboratori scientifici per circa un secolo. Essa permetteva di immagazzinare e trasportare agevolmente una grande quantità di cariche elettriche, con le quali eseguire esperimenti scientifici e non solo. In linea con la moda dell’epoca, bottiglie di Leida furono usate per amplificare le scosse elettriche che tanto divertivano corti e salotti. In termini scientifici chiamiamo capacità elettrica l’attitudine di un conduttore di immagazzinare cari-
che elettriche in relazione al suo potenziale, in modo che a una capacità elettrica elevata corrisponda un elevato rapporto tra carica immagazzinata e potenziale raggiunto rispetto a un valore di riferimento. La bottiglia di Leida è dunque un dispositivo con una elevata capacità elettrica, detto più genericamente condensatore elettrico. Per comprendere il suo funzionamento definiremo innanzitutto il concetto di equilibrio elettrostatico, che ci permetterà di quantificare mediante formule il campo elettrico e il potenziale di particolari conduttori estesi nello spazio. Vedremo per esempio che all’interno di un conduttore il campo elettrico è nullo e che le cariche elettriche si distribuiscono solamente sulla sua superficie. Si introdurrà quindi la densità superficiale di carica, per mezzo della quale quantificare l’intensità del campo elettrico esternamente al conduttore.
Affresco nello Stanzino delle Matematiche, particolare, 1600. L’immagine della bottiglia di Leida è stata aggiunta nel 1780. Firenze, Uffizi.
PAROLE CHIAVE Capacità elettrica Equilibrio elettrostatico Densità superficiale di carica
61 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
3
L’ELETTROSTATICA
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1
Figura 1. Le apparecchiature elettriche del XVIII secolo erano spesso usate per intrattenere e divertire, ma gli affetti dell’elettricità sugli animali suggerirono la possibilità di utilizzarle a scopo terapeutico.
L’EQUILIBRIO ELETTROSTATICO
Nei laboratori e nei salotti del XVIII secolo l’elettricità divertiva, intratteneva, incuriosiva e stimolava gli ingegni. Abbiamo visto che le cariche erano trasportate da un corpo all’altro, si elettrizzavano persone e oggetti, si facevano scoccare scintille fra corpi elettrizzati e, per rendere più efficiente l’elettrizzazione per strofinio, si costruivano macchine elettrostatiche capaci di accumulare un grande numero di cariche. Non solo: intorno al 1745 alcuni scienziati trovarono il modo di immagazzinare una enorme quantità di elettricità in un volume relativamente piccolo. Si trattava della cosiddetta bottiglia di Leida, un oggetto capace di «condensare» su di sé una grande carica elettrica e di restituirla successivamente, detto pertanto più genericamente condensatore elettrico. La bottiglia di Leida era formata da due strati di materiale conduttore uno carico positivamente e uno negativamente, tra i quali potevano scoccare vigorose scintille se messi in contatto elettrico. Inoltre l’uso combinato di più bottiglie permetteva di amplificarne gli effetti e di generare scosse assai dolorose, capaci di provocare contrazioni muscolari involontarie. Gli effetti dell’elettricità sui corpi viventi suggerirono stravaganti terapie e le macchine elettriche entrarono anche negli ospedali (figura 1). All’epoca tutto ciò era inspiegabile e restò a lungo avvolto in un alone di mistero e di magia. Oggi siamo in grado di spiegare il funzionamento della bottiglia di Leida e tutti gli altri fenomeni che si esibivano nelle fiere e nei salotti o che popolavano laboratori scientifici e studi medici con relativa semplicità. La conoscenza della natura corpuscolare ed elettrica della materia, unitamente ai concetti di campo elettrico e di potenziale, rendono più agevole la comprensione dei cosiddetti fenomeni elettrostatici, cioè dei fenomeni elettrici prodotti dalla presenza di cariche ferme. Il primo concetto da definire è pertanto quello di sistema di conduttori in equilibrio elettrostatico, che è verificato quando, ignorando i moti casuali e disordinati, sempre presenti su scala microscopica, sui corpi che costituiscono il sistema la distribuzione di carica è costante nel tempo. Brevemente, un sistema è in equilibrio elettrostatico quando la distribuzione delle cariche presenti sul conduttore è costante nel tempo. In altre parole, quando un sistema di conduttori è in equilibrio elettrostatico, al loro interno non vi sono spostamenti di cariche da un punto all’altro del sistema. Ragionando in termini di forze, il fatto che le cariche siano ferme significa che la risultante di tutte le forze elettriche che agiscono su ognuna di esse è nulla. Ragionando in termini di campi, significa che in ogni punto dello spazio all’interno del sistema di conduttori il campo elet-
62 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’ELETTROSTATICA
trico è nullo. In termini di potenziale diciamo inoltre che quando un sistema è in equilibrio elettrostatico tutti i suoi punti hanno lo stesso potenziale elettrico. Per aiutare la rappresentazione mentale con un’immagine presa in prestito dalla statica dei fluidi, pensiamo a una quantità di acqua in equilibrio in un catino: tutti i punti della superficie libera si trovano alla stessa altezza rispetto al suolo, cioè hanno lo stesso potenziale nel campo gravitazionale terrestre. Una configurazione diversa, «sbilanciata», comporterebbe una differenza di potenziale tra punti diversi della superficie, e quindi un movimento di molecole di acqua dalle regioni a potenziale maggiore alle regioni a potenziale minore (figura 2).
Vg 0 Purtroppo l’analogia ci aiuta fino a un certo punto, perché nel campo
Vg 0 gravitazionale terrestre siamo fortemente influenzati dall’essere noi stessi soggetti alla forza peso e tendiamo a ragionare in termini di «alto» e «basso» in tutte le situazioni. Per rappresentare correttamente un campo elettrico dobbiamo imparare a ragionare in termini di «vicino» e «lontano» e a distinguere i casi a seconda dei segni delle cariche. Due cariche di segno opposto tendono ad avvicinarsi e quindi raggiungono una configurazione di potenziale «basso» quando sono vicine; due cariche di segno uguale tendono ad allontanarsi e quindi raggiungono una configurazione di potenziale «basso» quando sono lontane. Ovviamente le cose non sono così semplici quando, anziché avere a che fare con singole cariche puntiformi, consideriamo conduttori sui quali le cariche si distribuiscono. Quando due conduttori che hanno potenziali elettrici diversi vengono in contatto tra loro, il sistema complessivo tende a portarsi in una nuova configurazione di equilibrio con uno spostamento di cariche da un conduttore all’altro. Con le dovute cautele, possiamo assimilare questo processo al fluire dell’acqua tra due vasi comunicanti inizialmente a livelli diversi (figura 3). Il passaggio di cariche fra conduttori è avvertito dal corpo umano come una scossa elettrica, per questo motivo il corpo umano fu a lungo usato come rivelatore di elettricità. equilibrio
Vg 0
2
Vg 0
3
Figura 2. In un liquido in equilibrio tutti i punti della superficie libera si trovano allo stesso potenziale gravitazionale. In presenza di una differenza di potenziale gravitazionale le particelle si muoverebbero da regioni in cui il potenziale è maggiore a regioni in cui il potenziale è minore.
Figura 3. Quando in due vasi comunicanti le superfici libere del liquido si trovano a quote diverse, un flusso di materia da un vaso all’altro tende a ripristinare una configurazione di equilibrio in cui non vi sia più una differenza di quota.
CONDUTTORI IN EQUILIBRIO ELETTROSTATICO
Dato un sistema di conduttori in equilibrio elettrostatico, il problema generale dell’elettrostatica consiste nel determinare, in tutti i punti dello spazio, il valore del campo elettrico (o del potenziale) a partire dalla conoscenza della carica di ciascun conduttore, della sua forma e della sua posizione. Cominciamo a rivolgere l’attenzione allo spazio occupato dal
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L’ELETTROSTATICA
conduttore, chiedendoci innanzitutto come siano distribuite le cariche elettriche in eccesso al suo interno. Si verifica sperimentalmente che le cariche in eccesso presenti su un conduttore carico si distribuiscono esclusivamente sulla superficie del conduttore stesso. Un classico esperimento per dimostrare questo fenomeno si realizza elettrizzando una sfera conduttrice montata su un supporto isolante. Successivamente si portano a contatto con essa due emisferi conduttori, conosciuti come emisferi di Cavendish, inizialmente neutri, montati anch’essi su manici isolanti. Si osserva che, una volta allontanati, gli emisferi risultano carichi, mentre la sfera è diventata elettricamente neutra. Questo significa che durante il contatto, quando la sfera e gli emisferi formano un unico corpo conduttore, la carica elettrica si distribuisce sul guscio più esterno (figura 4).
Figura 4. Le cariche, inizialmente sulla sfera, si distribuiscono sulla parte più esterna degli emisferi. Quando essi vengono allontanati, la sfera interna risulta pertanto neutra.
Campo elettrico in un conduttore Trattandosi di un sistema in equilibrio elettrostatico, le cariche in eccesso sul conduttore non si muovono, cioè non risentono di forze elettriche diverse da zero. Per quanto già osservato nel paragrafo precedente affermiamo dunque che all’interno di conduttore carico in equilibrio elettrostatico il campo elettrico è nullo.
Figura 5. Il flusso di un campo elettrico nullo attraverso qualsiasi superficie Σ all’interno del conduttore è nullo.
Questo è compatibile con il fatto che all’equilibrio le cariche elettriche sono distribuite sulla superficie del conduttore, e può essere dimostrato con il teorema di Gauss. Prendiamo infatti una superficie chiusa Σ tutta contenuta ¤ all’interno del conduttore (figura 5). Se il campo elettrico E è nullo, allora è ¤ nullo il flusso di E attraverso Σ. ¤
ΦΣ (E ) 0 Per il teorema di Gauss, il flusso del vettore campo elettrico attraverso una superficie chiusa Σ è proporzionale alla quantità totale di carica racchiusa dalla superficie stessa (formula 2.19). Pertanto se il flusso è uguale a zero, vuol dire che la somma delle cariche interne è zero: I ΦΣ ( E )
Qint ε
0
Ciò è equivalente a dire che all’interno del conduttore non ci sono cariche di un segno in eccesso rispetto alle cariche di segno opposto. Dall’arbitra-
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L’ELETTROSTATICA
rietà di Σ si può dedurre che la condizione di equilibrio elettrostatico, per la quale all’interno di un conduttore il campo elettrico deve essere nullo, comporta che le cariche in eccesso siano distribuite sulla superficie, come in effetti si verifica sperimentalmente. Questo resta vero anche quando il conduttore presenta delle cavità. La cosiddetta gabbia di Faraday è infatti un conduttore cavo all’interno del quale il campo elettrico è nullo, qualunque sia la carica accumulata sulla superficie della gabbia. Per questo motivo la gabbia di Faraday è un dispositivo di sicurezza per la protezione dalle scariche elettriche (figura 6). a
b
Antoine Taveneaux
© CuboImages srl / Alamy
Figura 6. a. All’interno di una gabbia metallica il campo elettrico è sempre nullo, qualunque sia la carica presente sulla gabbia stessa. b. Una rete metallica che avvolge un edificio lo protegge dalle scariche elettriche durante i temporali.
Sulla superficie del conduttore il campo è invece diverso da zero, ma la condizione di equilibrio elettrostatico impone che non vi sia movimento di cariche su di essa. Questo significa che sulla superficie deve essere nulla qualsiasi forza tangenziale, che altrimenti farebbe muovere le cariche lungo la superficie. L’unica componente del campo elettrico che può essere diversa da zero in una condizione di equilibrio elettrostatico è quindi quella perpendicolare alla superficie (figura 7). Sulla superficie di conduttore carico in equilibrio elettrostatico il campo elettrico è perpendicolare alla superficie stessa.
Figura 7. Sulla superficie di un conduttore carico in equilibrio elettrostatico le linee del campo elettrico sono perpendicolari alla superficie.
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L’ELETTROSTATICA
Potenziale elettrico in un conduttore Affinché un conduttore sia in equilibrio elettrostatico è necessario che in tutti i punti del conduttore ci sia lo stesso valore del potenziale. Come abbiamo visto, infatti, se così non fosse ci sarebbe un movimento di cariche verso i punti a potenziale più basso. Ciò è vero sia per i punti interni al conduttore, in cui il campo è nullo, sia per la superficie esterna, dove il campo elettrico è diverso da zero. Infatti, dato che il campo elettrico è nullo all’interno del conduttore, il lavoro svolto dalle forze elettriche lungo un qualsiasi percorso interno al conduttore stesso è nullo, anche se tale percorso collega due punti A e B della superficie esterna (figura 8a). In tali punti, infatti, pur non essendo nullo il campo, è nullo il lavoro in quanto la direzione del campo è, punto per punto, perpendicolare allo spostamento. Per lo stesso motivo il lavoro è nullo anche se il percorso che unisce i punti A e B giace sulla superficie (figura 8b). →
E Figura 8. a. Il lavoro delle forze elettriche lungo un percorso interno al conduttore è nullo, in quanto è nullo il campo elettrico. b. Il lavoro delle forze elettriche lungo un percorso che giace sulla superficie è nullo perché le forze elettriche sono perpendicolari agli spostamenti.
→
→ E A
S →
S → E → → E 0 S B
A → E 0 B a
b
Concludiamo quindi con la seguente affermazione: Il potenziale elettrico ha lo stesso valore in tutti i punti della superficie e all’interno di un conduttore carico in equilibrio elettrostatico. La superficie esterna di un conduttore è dunque una superficie equipotenziale del campo complessivo generato dal conduttore stesso.
La densità superficiale di carica Su un conduttore sferico le cariche si distribuiscono in modo simmetrico e omogeneo. È possibile introdurre una grandezza, la densità superficiale di carica σ, che definiamo come la quantità di carica per unità di superficie, che è costante su tutta la sfera ed è definita dalla formula: σ
Q S
(3.1)
La densità superficiale di carica di una porzione piana di conduttore di area ΔS e carica ΔQ è analogamente σ
ΔQ ΔS
(3.2)
Dalle formule (3.1) e (3.2) si ricava che l’unità di misura della densità superficiale di carica nel SI è il coulomb su metro quadro (C/m2).
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L’ELETTROSTATICA
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ESEMPIO f Qual è la carica totale di un conduttore sferico di raggio pari a 4,0 cm, sul quale la densità di carica vale 3,0 10–7 C/m2? Invertendo la formula (3.1) rispetto a Q, si ha Q σS Dove l’area della superficie sferica S è S 4πR2 4π (4,0 10–2)2 2,0 10–2 m2 In definitiva si ottiene Q (3,0 10–7 C/m2) 2,0 10–2 m2 6,0 10–9 C 6,0 nC DOMANDA Schematizzando un protone come una piccolissima sferetta, determina l’ordine di grandezza della sua densità superficiale di carica, sapendo che l’ordine di grandezza delle sue dimensioni è 10–15 m. →
E La densità superficiale di carica in ogni punto della superficie di un conduttore ci permette di ricavare l’intensità del campo elettrico in quel punto. Applicando il teorema di Gauss (formula (2.19)) a una superficie Σ cilindrica che racchiude una porzione ΔS della super S' ficie di un conduttore carico (figura 9), sufficientemente piccola da poter essere considerata piana, si ha che I Qint ΦΣ ( E ) ε Osserviamo che l’unico contributo non nullo al
S ¤ flusso ΦΣ(E ) è quello dovuto alla faccia superio S'' re ΔS ΔS, perché le superfici laterali del cilin¤ dro Σ sono parallele a E e la superficie ΔS è in Figura 9. L’unico contributo ¤ una regione interna al conduttore, in cui il campo è non nullo al flusso di E ¤ ¤ nullo. Il flusso Φ(E ) del campo elettrico E attraverso tale superficie è dato attraverso Σ è quello dovuto alla faccia ΔS. dalla formula (2.17), cioè ¤
Φ(E ) EΔS ¤
¤
Ponendo ΦΣ (E ) Φ (E ) e Qint σΔS si ricava E ΔS
σΔS ε
e semplificando si ottiene E
σ ε
(3.3)
noto come teorema di Coulomb e valido anche nel caso generale. Il modulo del campo elettrico sulla superficie di un conduttore è proporzionale, punto per punto, alla densità superficiale di carica in quel punto.
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L’ELETTROSTATICA
Il potere dispersivo delle punte
Figura 10. Sulla superficie di un conduttore il campo elettrico è più intenso intorno alle zone appuntite e meno intenso nelle zone piatte o incavate.
Il valore della densità di carica è costante su tutta la superficie di un conduttore solamente nel caso in cui esso sia sferico. Negli altri casi si verifica che la carica tende ad accumularsi nelle regioni in cui il conduttore presenta una punta o comunque una sporgenza accentuata. Il campo elettrico è dunque maggiore in prossimità di zone che hanno una marcata curvatura, mentre è minore nelle zone in cui la superficie è piatta o concava (figura 10). L’elevata intensità del campo elettrico in prossimità delle punte può provocare la ionizzazione del mezzo in cui il conduttore è immerso e un conseguente passaggio di cariche per ripristinare l’equilibrio elettrostatico. Il cosiddetto «potere dispersivo delle punte», cioè la facilità con cui le cariche vengono disperse attraverso la punta di un conduttore, fu scoperto nel XVIII secolo dallo statunitense Benjamin Franklin (1706-1790). A lui si deve anche l’invenzione del parafulmine (figura 11).
© Gary Dublanko / Alamy
Figura 11. Il parafulmine ideato da Franklin è utilizzato per proteggere edifici molto alti dalle scariche dei fulmini.
EQUILIBRIO ELETTROSTATICO DI UN CONDUTTORE CARICO Tabella 1. Conduttori in equilibrio elettrostatico.
non vi sono movimenti ordinati di cariche
LE CARICHE
si distribuiscono sulla superficie del conduttore si addensano in prossimità delle punte
IL CAMPO ELETTRICO
IL POTENZIALE
è nullo all’interno del conduttore è perpendicolare alla sua superficie ha intensità proporzionale alla densità superficiale di carica è più intenso in prossimità delle punte
ha lo stesso valore in tutti i punti del sistema
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L’ELETTROSTATICA
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3
CAMPO GENERATO DA UN CONDUTTORE IN EQUILIBRIO ELETTROSTATICO
Abbiamo visto che il campo elettrico è nullo all’interno di un conduttore e che sulla superficie è proporzionale, punto per punto, alla densità superficiale di carica σ. Ci proponiamo ora di determinare le espressioni per il campo elettrico generato da particolari distribuzioni di carica, piana e sferica.
Conduttore piano Calcoliamo il campo elettrico generato da una lastra conduttrice → E carica positivamente, talmente estesa da poter essere considerata infinita. Utilizziamo il teorema di Gauss come abbiamo fatto per dimostrare la formula (3.3), cioè calcolando il flusso attra S' verso una superficie Σ cilindrica perpendicolare al piano della lastra (figura 12). Trascurando lo spessore della lastra, osser¤ viamo che in questo caso il flusso totale ΦΣ (E ) è dato dalla somma di due contributi, dovuti ciascuno a una delle due facce cariche del con S duttore. ¤
¤
S''
¤
ΦΣ(E ) Φ(E ) Φ(E ) 2 (E ΔS) Uguagliando questa espressione a quella del teorema di Gauss si ottiene 2E ΔS
Figura 12. Contribuiscono ¤ al flusso di E attraverso Σ entrambe le facce ΔS e ΔS.
Qint ε
il modulo del campo elettrico generato da un piano carico infinitamente esteso in funzione della densità di carica σ: E
σ 2ε
(3.4)
Conduttore sferico Date le proprietà di simmetria della sfera, in qualsiasi punto dello spazio ci si ponga, il campo elettrico generato da un conduttore sferico carico dipende solamente dalla distanza di tale punto dal centro della sfera. Infatti la distribuzione di carica sulla sua superficie è uniforme e non ci sono direzioni in cui il campo è più intenso che altrove. Il campo elettrico generato da un conduttore sferico è, all’esterno, equivalente al campo elettrico generato da una carica puntiforme posta al centro della sfera avente la sua stessa carica totale.
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L’ELETTROSTATICA
Tale affermazione, che può essere dimostrata anche usando il teorema di Gauss, equivale a scrivere l’intensità del vettore campo elettrico in un punto all’esterno della sfera carica di raggio R mediante l’espressione: 1 Q 4 πε r 2
E
(3.5)
dove r è la distanza del punto considerato dal centro della sfera, con r R. Ricordiamo che all’interno del conduttore il campo è nullo e che, all’esterno, le linee di forza sono perpendicolari alla superficie della sfera (figura 13).
E0 per r R
Figura 13. Una sfera conduttrice carica genera un campo equivalente a quello che si avrebbe se la sua carica fosse tutta concentrata nel centro della sfera.
R Q
r
1 Q E per r R 4 r2
ESEMPIO f Anche la Terra possiede una carica (negativa), in virtù della quale nei pressi della superficie, in condizioni di bel tempo, si misura un campo elettrico medio di circa 1,2 102 V/m 1,2 102 N/C, diretto verso il centro del pianeta. Qual è il valore della carica della Terra? SOLUZIONE Approssimiamo la Terra con una sfera di raggio RT 6,4 106 m
Q 1, 11 10
− 10
4 πε0 ERT2
C2 N 1, 2 10 2 ( 6, 4 10 6 m )2 2 N⋅m C 5 5, 5 10 C
DOMANDA Qual è la densità superficiale di carica della Terra?
NASA
e invertiamo la formula (3.5) rispetto a Q, ponendo in prossimità della superficie r RT e ε ε0
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L’ELETTROSTATICA
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Potenziale di un conduttore sferico Trattando il conduttore sferico di raggio R come se tutta la sua carica fosse concentrata nel suo centro, il potenziale in un punto a distanza r R è dato dalla formula (2.13). Per determinare il potenziale sulla superficie della sfera basta porre r R: 1 Q 4πε R
V
(3.6)
Equilibrio elettrostatico tra conduttori sferici Quando due conduttori carichi che hanno potenziali diversi vengono messi in contatto tra loro, la differenza di potenziale inizia a diminuire fino ad annullarsi, attraverso un flusso di cariche da un conduttore all’altro. Supponiamo di avere due conduttori sferici di raggio R1 e R2, con R1 R2 e con la stessa carica elettrica Q po sitiva (figura 14). Dalla formula (3.6) si deduce che il poten ziale V1 del primo conduttore è maggiore del potenziale R1 V2 del secondo conduttore: 1 Q 1 Q 4 πε R1 4 πε R2
V1 V2
Mettendo in collegamento i due conduttori per contatto diretto o attraverso un altro conduttore, le cariche si ridistribuiscono in modo tale che il potenziale del sistema complessivo sia lo stesso in tutti i punti, cioè in modo da raggiungere l’equilibrio elettrostatico. Il conduttore più piccolo, a potenziale maggiore, perde parte della sua carica positiva (cioè acquista elettroni); mentre il conduttore più grande acquista carica positiva (perde elettroni). Si raggiunge un valore del potenziale intermedio di equilibrio Ve, uguale per entrambi i conduttori, dovuto a una diversa divisione della carica totale su essi. All’equilibrio quindi le quantità di carica Q1 e Q2 su ciascun conduttore sono diverse.
Semplificando si ottiene che Q1 Q2 R1 R2 (3.7)
In condizioni di equilibrio elettrostatico le cariche elettriche di due conduttori sferici sono direttamente proporzionali ai raggi.
71 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
R2
Figura 14. A parità di carica elettrica la sfera di raggio minore ha un potenziale elettrico maggiore.
1 Q1 1 Q2 4 πε R1 4 πε R2
Q1 R1 Q2 R2
V1 V2
Ve
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L’ELETTROSTATICA
Sulle superfici dei conduttori E1
1 Q1 4 πε R12
1 Q2 4 πε R22
E2
Dividendo membro a membro e sostituendo la formula (3.7) si ottiene E1 E2
R2 R1
In condizioni di equilibrio elettrostatico i campi elettrici di due conduttori sferici sono inversamente proporzionali ai raggi. Cioè il campo è più intenso sulla sfera più piccola ed è meno intenso su quella più grande. Questo risultato è compatibile con il fatto che nelle punte il campo elettrico è molto intenso, in quanto il raggio di curvatura in una punta è molto piccolo.
ESEMPIO f Un conduttore sferico di raggio 2,6 cm ha un potenziale di 45 V nel vuoto. Messo in contatto elettrico con un altro conduttore sferico inizialmente neutro, raggiunge un potenziale di equilibrio elettrostatico di 30 V. Qual è il raggio del secondo conduttore? R1
Q1e Q2e
Q
R2
SOLUZIONE Scriviamo l’espressione del potenziale iniziale e del potenziale di equilibrio per il primo conduttore, di raggio R1, attraverso la formula (3.6): V
1 Q 4 πε R1
Ve
1 Q1e 4 πε R1
dove Q1e è la carica del primo conduttore all’equilibrio. Dividendo membro a membro, e ricordando che la carica totale Q si conserva, si può scrivere Q Q1e Q2e Q + Q2e Q V Q = = 1e = 1 + 2e Ve Q1e Q1e Q1e Dalla formula si ha quindi V R = 1+ 2 Ve R1
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L’ELETTROSTATICA
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cioè R2 = R1
V − Ve 45 V − 30 V = 2, 6 cm = 1, 3 cm Ve 30 V
DOMANDA Quali sono i valori delle cariche dei due conduttori all’equilibrio?
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LA CAPACITÀ ELETTRICA
La bottiglia di Leida, inventata verso la metà del XVIII secolo, era un oggetto inizialmente misterioso: era in grado di immagazzinare in un volume relativamente limitato una grande quantità di carica, capace di provocare scosse dolorose e vivaci scintille. Questo fatto era molto importante per l’epoca, perché gli oggetti carichi tendevano a scaricarsi nel tempo e inoltre la bottiglia di Leida permetteva di trasportare le cariche da un luogo all’altro in modo molto più efficace rispetto all’elettroforo di Volta. Tuttavia, nonostante il largo uso che se ne faceva e la sua utilità, rimaneva un oggetto misterioso e quasi «magico». Spieghiamo ora quello che allora appariva come un mistero: per farlo utilizziamo quanto studiato finora e introduciamo una nuova grandezza fisica, la capacità elettrica, che caratterizza l’attitudine di un conduttore a immagazzinare cariche elettriche in relazione al suo potenziale (figura 15). Per definire la ca pacità elettrica immaginiamo di avere un con V2 duttore isolato, cioè lontano da qualsiasi altro V1 corpo elettrizzato, inizialmente scarico e con potenziale nullo. Si verifica sperimentalmente che fornendo al conduttore una carica Q, esso si porta a un valore del potenziale pari a V, direttamente proporzionale alla carica stessa. Tale risultato è valido per qualsiasi conduttore, qualunque sia la sua forma. Se definiamo la V1 V 2 capacità come il rapporto tra la carica del conduttore e il suo potenziale, vediamo che essa è tanto maggiore quanto maggiore è la quantità di carica che esso può accumulare a parità di potenziale.
Figura 15. Una bottiglia di Leida ha una elevata capacità elettrica rispetto a un oggetto delle stesse dimensioni, perché è in grado di immagazzinare un elevato numero di cariche a parità di potenziale.
Il rapporto tra la carica Q posseduta da un conduttore e il suo potenziale V è una costante, caratteristica del conduttore, detta capacità elettrica C. C
Q V
(3.8)
L’unità di misura della capacità elettrica è il farad (F) così chiamato in onore di Michael Faraday ed equivalente a coulomb su volt: 1F
1C 1V
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L’ELETTROSTATICA
ESEMPIO f Qual è la capacità elettrica della Terra? SOLUZIONE Nel caso di conduttori sferici in contatto elettrico abbiamo visto che, a parità di potenziale (cioè in condizioni di equilibrio elettrostatico) la quantità di carica che si trova su un conduttore è direttamente proporzionale al raggio dello stesso, cioè alle sue dimensioni. Sapendo che il potenziale di un conduttore sferico in corrispondenza della superficie è dato dalla formula (3.6), sostituendo nella (3.8) otteniamo che la capacità di un conduttore sferico di raggio R è C 4πεR Approssimando la Terra come una sfera di raggio pari a 6400 km, calcoliamo la sua capacità elettrica nel vuoto. CT 4πε0 6,4 106 m 7,1 10 –4 F Vediamo quindi che una capacità elettrica di 1 F è in realtà molto più grande della capacità dell’intero pianeta. Per questo motivo in genere si usano i sottomultipli del farad. DOMANDA Qual è la capacità elettrica di una sfera di raggio pari a 100 cm in pF?
Mettere a terra
Figura 16. a. Un conduttore collegato elettricamente al terreno si porta a un potenziale di equilibrio che coincide praticamente con quello della Terra. La Terra, di fatto, assorbe tutte le cariche in eccesso del conduttore, scaricandolo. b. Questo simbolo, usato negli impianti elettrici, indica il collegamento con il terreno definito «messa a terra».
Così come quando versiamo un bicchiere d’acqua bollente nell’oceano il suo livello non si alza apprezzabilmente e la sua temperatura non subisce variazioni rilevabili; anche quando scarichiamo un conduttore mettendolo in contatto con la Terra, il potenziale di quest’ultima resta praticamente costante. In effetti ciò è intuibile date le sue dimensioni: le cariche hanno molto spazio per distribuirsi sulla superficie senza che la forza repulsiva fra esse diventi rilevante. Il potenziale della Terra può essere quindi preso come potenziale di riferimento e quindi pari a zero. Quando un conduttore viene messo in contatto con la Terra il sistema si porta all’equilibrio elettrostatico, caratterizzato dallo stesso potenziale in tutti i punti. Dato che la capacità elettrica della Terra è elevata, il suo potenziale non cambia apprezzabilmente, pertanto possiamo dire che anche il conduttore si porta allo stesso potenziale. In gergo tecnico un conduttore viene «messo a terra» quando viene collegato elettricamente con il terreno, in modo tale che il suo potenziale diventi uguale a quello della Terra. Negli impianti elettrici è importante a V mantenere i dispositivi in collegamenequilibrio to con il terreno per evitare accumuli di elettricità statica, che provochereb bero scosse pericolose durante l’e b ventuale scarica (figura 16).
Vequilibrio
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L’ELETTROSTATICA
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Come funziona la bottiglia di Leida? Gli oggetti di dimensioni maggiori hanno in genere capacità elettriche maggiori, tuttavia ci sono casi in cui la particolare configurazione del sistema è tale che anche oggetti piccoli possono raggiungere valori della capacità elettrica relativamente elevati. Questo è il caso della bottiglia di Leida, progenitore dei moderni condensatori elettrici (o capacitori), che si usano nei circuiti elettrici ed elettronici come accumulatori di energia. Una bottiglia di Leida è una bottiglia di vetro foderata internamente ed esternamente con dei sottili strati metallici. Lo strato metallico all’interno della bottiglia è collegato con un’asta conduttrice attraverso la quale può ricevere cariche. Le cariche non possono raggiungere lo strato metallico esterno alla bot tiglia per via del vetro che ne isola il collegamento; tuttavia provocano, per induzione, una separazione delle cari che su ciascuna delle due superfici da cui è caratterizzato lo strato metallico esterno. Collegando al terreno lo strato me tallico esterno, le cariche presenti sul la superficie rivolta verso l’esterno si disperdono a terra, mentre sull’altra superficie dello strato rimane la carica che era stata precedentemente indotta; tale carica ha segno opposto rispetto a quella dello strato metallico che riveste l’interno della bottiglia (figura 17). Complessivamente la bottiglia è neutra, ma fra i due strati si viene così a creare una differenza di potenziale anche elevata che può essere mantenuta a lungo. Mettendo in contatto il conduttore interno con quello esterno la differenza di potenziale tra essi tende ad annullarsi con un violento passaggio di cariche (scarica) dall’uno all’altro strato (figura 18).
5
Figura 17. Schema di una bottiglia di Leida: i due strati conduttori hanno cariche uguali e opposte.
scarica
Figura 18. Mettendo in contatto l’involucro esterno e l’involucro interno si ripristina l’equilibrio tra i due strati conduttori.
I CONDENSATORI
La bottiglia di Leida aveva la forma di una bottiglia, perché le sue proprietà furono scoperte casualmente mentre si tentava di elettrizzare una certa quantità di acqua in essa contenuta, che in quella circostanza aveva le funzioni del conduttore interno. Continuò a mantenere la forma a bottiglia a lungo, fino alla metà del XIX secolo, perché era pratica e facilmente trasportabile, tuttavia tale conformazione non è indispensabile per gli scopi
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L’ELETTROSTATICA
per cui è predisposta. Oggi i condensatori sono costruiti con diversi materiali e hanno diverse forme e dimensioni (figura 19), tuttavia la loro funzione e la strategia di funzionamento è la stessa. Un condensatore è un dispositivo formato da due conduttori metallici, detti armature, posti a una distanza piccola l’uno dall’altro rispetto alle dimensioni del sistema, tali che quando uno possiede una carica Q, sull’altro è indotta una carica Q.
Massimiliano Trevisan
Figura 19. Alcuni condensatori usati attualmente nei circuiti elettrici ed elettronici.
I condensatori hanno la caratteristica di essere in grado di accumulare grandi quantità di carica e quindi di energia, legata alla presenza di un campo elettrico intenso tra le armature. La capacità di un condensatore dipende dalla quantità di carica Q positiva presente sulla prima armatura e dalla differenza ΔV tra i potenziali delle due armature, secondo la formula: C
Q ΔV
(3.9)
dove sia la carica Q che la differenza di potenziale ΔV sono positive.
Il condensatore piano
d Figura 20. Fra le due armature di un condensatore piano c’è una distanza piccola rispetto alla loro estensione; su un’armatura è presente una carica Q, sull’altra è indotta una carica Q.
Q
Q
Analizziamo ora un condensatore piano, costituito da due lastre metalliche parallele, poste l’una di fronte all’altra a una distanza d piccola rispetto alla loro area S. Durante la cosiddetta carica del condensatore, una delle due armature riceve una quantità di carica pari a Q e induce una carica Q sulla seconda, collegata a terra (figura 20). In prossimità di ciascuna armatura di un condensatore piano, nell’approssimazione in cui siano considerate di
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L’ELETTROSTATICA
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estensione infinita, si genera un campo elettrico la cui intensità dipende dalla densità superficiale di carica secondo la formula (3.4). La direzione del campo è perpendicolare all’armatura e il verso è uscente da essa se è caricata positivamente, mentre è entrante se è caricata negativamente. In definitiva, in ogni punto P nello spazio tra le armature vi è un campo elettrico dovuto alla sovrapposizione concorde dei due contributi del campo generato dalle singole armature e quindi di intensità pari a Q
σ ⎛ σ⎞ σ E = + ⎜ ⎟ = 2ε ⎝ 2ε ⎠ ε σ ε
E
Q
(3.10)
¤
La direzione di E è perpendicolare alle armature e il verso va dall’armatura positiva a quella negativa. Nello spazio a b dietro alle armature il campo elettrico E 0 E0 è nullo, in quanto i contributi delle due 冣 冢 冢2 2 冣 distribuzioni di carica sono opposti e si annullano a vicenda (figura 21). E Quanto detto finora è valido per armature di estensione infinita, ma è una buona approssimazione anche per punti lontani dai bordi del condensatore, dove l’andamento del campo non è uniforme, ma le linee di forza sono curve, come illustrato in figura 22.
Figura 21. a. Nello spazio tra le armature, i campi generati da ciascuna armatura hanno la stessa direzione e lo stesso verso, pertanto si sovrappongono sommando le rispettive intensità. b. Nello spazio tra le armature, i campi generati da ciascuna armatura hanno la stessa direzione e versi opposti, pertanto si sovrappongono annullandosi a vicenda.
Capacità di un condensatore piano Dato che il campo elettrico all’interno del condensatore è uniforme, la differenza di potenziale tra le due armature è legata all’intensità del campo e alla distanza d tra le stesse dalla formula (2.16), in cui ΔV sia positiva e ΔS è uguale a d: ΔV
E ΔS
Ed
σd ε
Figura 22. In un condensatore reale, in cui le armature non hanno un’estensione infinita, nei punti vicini ai bordi le linee del campo non sono parallele e sono esterne alla regione di spazio fra le armature.
dove abbiamo sostituito all’intensità del campo E l’espressione della formula (3.3). Se la distribuzione della carica sulla superficie delle armature è uniforme si può usare la formula (3.1) e scrivere ΔV
Qd Sε
Per cui C
Q Sε Qd
Q ΔV
cioè C
εS d
(3.10)
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3
L’ELETTROSTATICA
La capacità di un conduttore piano è direttamente proporzionale all’area della superficie delle armature e inversamente proporzionale alla distanza tra le stesse. Osserviamo che la capacità del condensatore dipende direttamente dalla costante dielettrica assoluta ε e pertanto, a parità di S e di d, la capacità elettrica è maggiore se tra le armature si pone un dielettrico che ha un maggior valore di ε. Dalla formula (3.10) deriva inoltre la possibilità di misurare la costante dielettrica assoluta in farad su metro (F/m).
ESEMPIO
Massimiliano Trevisan
f Si vuole costruire un condensatore piano che abbia una capacità elettrica di 5,2 nF e si hanno a disposizione un foglio di alluminio, dal quale ritagliare le due armature, e uno strato di PVC spesso 0,50 mm. Quale deve essere l’estensione di ciascuna armatura?
Attraverso la formula (3.10) ricaviamo l’estensione S di ciascuna armatura di un condensatore piano in funzione della sua capacità C, dello spessore del dielettrico d e della costante dielettrica assoluta ε di quest’ultimo: dC S ε dove, ricavando la costante dielettrica relativa del PVC dalla tabella 2 del capitolo «Le cariche elettriche», C 5,2 10–9 F d 5,0 10–4 m F F 3,984 10–11 ε εrε0 4,5 8,854 10–12 m m Cioè S=
5, 0 × 10−4 m × 5, 2 × 10−9 F F 3, 984 × 10−11 m
78 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’ELETTROSTATICA
3
DOMANDA Due studenti costruiscono due condensatori come descritto in questo esempio. Il primo ritaglia dall’alluminio due armature rettangolari alte 10 cm e lunghe 65 cm; il secondo ritaglia due armature quadrate di 255 mm di lato. Ottengono entrambi il valore della capacità richiesta?
Condensatori ed energia Lo spazio tra le armature di un condensatore è sede di un intenso campo elettrico e quindi di energia potenziale elettrica (figura 23). Tale energia viene fornita al condensatore durante il processo di carica e restituita dal condensatore durante il processo di scarica, cioè quando le due armature vengono messe in contatto tra loro e le cariche fluiscono dall’una all’altra, neutralizzando il sistema. In questo senso un condensatore può essere considerato una sorta di «accumulatore» di energia potenziale elettrica. Si può dimostrare che l’energia utilizzata per caricare il condensatore, e quindi l’energia da esso immagazzinata, è data dalla relazione E
1 QV 2
1 CV 2 2
SIMULAZIONE I condensatori
(PhET, University of Colorado)
(3.11)
© PHOTOTAKE Inc. / Alamy
Figura 23. Visualizzazione delle linee di campo elettrico tra le armature piane di un condensatore mediante scaglie di materiale dielettrico su olio.
79 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
3
L’ELETTROSTATICA
STORIA DELLA FISICA Benjiamin Franklin Nel XVIII secolo la ricerca scientifica si svolgeva principalmente in Europa. L’America era una terra giovane e impegnata a costruire la sua identità come realtà indipendente dal Regno Unito, del quale fu colonia fino al 4 luglio 1776. In quegli anni di intenso fervore viveva in America Benjamin Franklin (1706-1790), figlio di un fabbricante di sapone emigrato dall’Inghilterra per motivi religiosi. Egli aveva numerosi interessi, tra i quali il giornalismo che praticava con successo aumentando la sua notorietà e accrescendo il suo potere politico. Era inoltre un eclettico inventore, passato alla storia per gli occhiali con lenti bifocali e le stufe Franklin che consentivano di utilizzare al meglio l’energia che nei caminetti viene dispersa attraverso la canna fumaria.
Uno scienziato d’oltre oceano A 40 anni aveva una tranquillità economica tale che poté dedicarsi senza preoccupazioni a soddisfare la sua curiosità sui fenomeni elettrici che in Europa andavano tanto di moda nei salotti e dei quali aveva avuto notizia. Le sue ricerche personali lo portaroBenjamin Franklin ritratto nel 1785 da Josephno a fare importanti scoperte che gli valsero l’ammissione, come Siffred Duplessis. membro straniero, alla prestigiosa Royal Society di Londra. Tra i contributi alla scienza dell’elettricità ricordiamo l’individuazione della conservazione della carica elettrica e la definizione dell’elettrizzazione come separazione dei due tipi di carica di segno opposto, che in condizioni di neutralità annullano a vicenda i loro effetti.
L’elettricità atmosferica Nonostante queste importanti scoperte scientifiche, il nome di Franklin è ricordato soprattutto per gli studi sui fenomeni elettrici dell’atmosfera e in particolare per l’invenzione del parafulmine. Quando ancora non era chiaro che i fulmini e le scintille elettriche generate dai processi di scarica di corpi elettrizzati artificialmente, fossero in realtà la stessa cosa, Franklin assunse tale ipotesi e realizzò un pericoloso esperimento per dimostrarla. Durante un temporale fece volare un aquilone dotato di una punta metallica e alla cui corda bagnata era attaccata una chiave. Durante le scariche del temporale Franklin toccò la chiave, avvertì un’intensa scossa e vide una scintilla. Caricò attraverso la chiave una bottiglia di Leida e raccolse così cariche elettriche provenienti dalle nubi, dimostrando che, in effetti si trattava della stessa elettricità degli esperimenti effettuati per mezzo dello strofinio. In seguito a tali studi concepì il parafulmine come conduttore appuntito in grado di disperdere al suolo le cariche atmosferiche e proteggere così gli edifici dai pericoli del temporale. In Russia, il fisico G.W. Richmann (1711-1804) svolse un esperimento collegando a un parafulmine una catena che terminava nel suo laboratorio. Sottovalutando i pericoli delle scariche elettriche Richmann si avvicinò troppo ai conduttori e restò fulminato. Il suo assistente, più lontano, se la cavò perdendo solamente i sensi.
DOMANDA Perché a un parafulmine è spesso associata una gabbia di Faraday?
80 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’ELETTROSTATICA
3
LETTERATURA Frankestein, ossia il moderno Prometeo Stavo immobile sulla porta quando vidi all’improvviso una lingua di fuoco salire da una vecchia, bellissima quercia a circa venti metri dalla nostra casa; subito, con lo sparire della luce accecante scomparve anche la quercia, e non rimase altro che un troncone inaridito. Quando, il giorno successivo, andammo a vederlo, trovammo l’albero spezzato in modo strano. Non era stato frantumato dall’urto, bensì ridotto interamente in sottili strisce di legno. Non avevo mai visto una distruzione così completa. (Mary Shelley, Frankenstein, ossia il moderno Prometeo, 1818, Trad. it. di S. Fefè, Mondadori, Milano 2010) Nell’anno in cui Mary Shelley (1797-1851) scriveva il suo romanzo, gli studi sull’elettricità avevano fatto passi da gigante rispetto a quando nei salotti si giocava con le scintille prodotte con lo strofinio delle macchine elettrostatiche. Benjamin Franklin (1706-1790) aveva caricato una bottiglia di Leida usando le scariche elettriche dei fulmini temporaleschi, mostrando che si trattava della medesima elettricità di quella prodotta nei laboratori. l fisiologo bolognese Luigi Galvani (1737-1798) aveva pubblicato importanti lavori nei quali approfondiva lo studio delle scariche elettriche prodotte da alcuni animali. Del resto, che l’elettricità avesse degli effetti Mary Shelley ritratta nel 1840 da Richard sugli organismi viventi era noto: la percezione delle scosse elettriche pro- Rothwell. vocate dalle scintille era già stata collegata alla contrazione involontaria dei muscoli. La Shelley portò tali conoscenze alle estreme conseguenze: il protagonista del suo romanzo, Victor Frankenstein, traumatizzato dalla morte prematura della madre, concepisce il segreto sogno di restituire la vita a un corpo inanimato, progettandone la realizzazione attraverso l’uso dell’elettricità. Egli osserva che una potente scarica elettrica come quella di un fulmine è capace di provocare il completo incenerimento, la totale distruzione di un albero, e quindi la sua morte. Si chiede dunque se non sia proprio tale intensa energia il mezzo per infondere nuovamente la vita a un corpo che ne è stato privato. Dopo studi incessanti egli riesce nell’intento. Con un’ansia che quasi somigliava all’agonia, raccolsi intorno a me gli strumenti della vita per infondere una scintilla di esistenza nella cosa inanimata che giaceva ai miei piedi. (Mary Shelley, Frankenstein, cit.) La scintilla anima la creatura di Frankestein, che però si rivela immediatamente sgraziata e orribile, oltre che dotata di una forza sovrumana incontrollabile. Lo stesso suo creatore ne rimane inorridito e la abbandona al suo destino disgustato. La creatura inizia a macchiarsi di una serie di delitti, in un crescendo di angoscia e solitudine, e la storia culmina con la morte del suo creatore provato dai tentativi di porre rimedio al suo scellerato esperimento.
Il moderno Prometeo Nella mitologia greca Prometeo è un titano ribelle, che ruba il fuoco agli dei affinché gli uomini possano appropriarsi del suo uso e diventare artefici del proprio destino. Ovidio riprende il mito e fa di Prometeo il creatore stesso degli esseri umani, capace di infondere il sacro fuoco della vita nella creta inanimata. La Shelley ne riprende la tematica di fondo, dando al protagonista del suo romanzo il ruolo di un Prometeo moderno che, attraverso le nuove conoscenze scientifiche sull’elettricità e sulla chimica, riesce ad accendere la scintilla della vita, contrastando il destino della morte.
Illustrazione del frontespizio dell’edizione di Frankenstein del 1831.
DOMANDA Nel primo brano citato si parla di una quercia colpita da un fulmine. Perché gli alberi isolati hanno una maggiore probabilità di essere coinvolti da una scarica temporalesca rispetto agli alberi di un fitto bosco?
81 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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L’ELETTROSTATICA
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO Fulmini e saette I sette contro Tebe
Scintille divine...
Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si contendevano il potere su Tebe. Il primo, dopo aver raggiunto il governo della città con l’inganno, si era arroccato al suo interno, mentre il secondo era passato all’attacco. Per attaccare ciascuna delle sette porte di Tebe, Polinice designò un fortissimo guerriero, tra i quali il possente e superbo Capaneo. Secondo la tradizione greca, quest’ultimo fu il primo a scalare le mura della città, con baldanza, sicurezza e sprezzo per gli dei, al punto che Zeus lo folgorò con una saetta. Dante colloca Capaneo all’inferno, nel terzo girone del settimo cerchio, tra i violenti contro Dio:
Nella mitologia greca e romana il fulmine era dunque una sorta di freccia (sagitta, in latino) divina, scagliata rispettivamente da Zeus o da Giove, verso il mondo dei mortali. Le saette erano forgiate nelle infuocate fucine del fabbro degli dei: Efesto per i greci e Vulcano per i romani. Anche i popoli nordici associavano il fulmine al fuoco divino: secondo la mitologia il dio Thor brandiva un potente martello, il Mjollnir, che scagliava conto i nemici e che sprizzava scintille, proprio come il martello di un fabbro che batte su un’incudine.
E quel medesmo, che si fu accorto ch’io domandava il mio duca di lui, gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto. Se Giove stanchi ‘l suo fabbro da cui crucciato prese la folgore aguta onde l’ultimo dì percosso fui; o s’elli stanchi li altri a muta a muta in Mongibello a la focina negra, chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”, sì com’el fece a la pugna di Flegra, e me saetti con tutta sua forza, non ne potrebbe aver vendetta allegra». (Dante Alighieri, Divina Commedia, canto XIV)
Capaneo all’inferno, colpito dai fulmini divini, secondo William Blake (17571827)
PAROLA CHIAVE
Equilibrio elettrostatico
DOMANDA Un fulmine è un fenomeno con il quale si raggiunge l’equilibrio elettrostatico tra due corpi. Spiega in 10 righe questa affermazione.
Efesto forgiava le armi degli dei insieme ai ciclopi, nelle sue fucine infuocate a volte identificate nelle bocche dell’ Etna.
PAROLA CHIAVE
Capacità elettrica
DOMANDA Perché i parafulmini vengono collegati a terra?
82 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’ELETTROSTATICA
3
…e spiegazioni razionali
Dominare i fulmini
Gli antichi filosofi cercarono di spiegare la natura dei fulmini senza ricorrere al mito. Anassimandro riteneva che i fulmini fossero vento contenuto nelle nuvole che, uscendo violentemente da esse, le squarciavano provocando il rumore del tuono e l’intenso bagliore. Empedocle propose invece un’altra spiegazione, secondo la quale i fulmini erano raggi di Sole infuocati e costretti all’interno delle nuvole, che spingevano con forza fino a liberarsi accompagnati dall’intenso fragore del tuono. Democrito individuò nei fulmini la presenza di atomi di fuoco, fuoriusciti dall’involucro delle nubi, in seguito allo scuotimento provocato dall’urto di una nuvola contro l’altra durante un temporale. Aristotele spiegava fulmini e tuoni come l’effetto di un incontro-scontro tra due tipi di materia di opposta natura che, per attrito, provocano la combustione di un’esalazione secca che scaturisce dalla nube come luce accompagnata da rumore. Tutte queste spiegazioni, per quanto razionali, non erano tuttavia accompagnate da osservazioni quantitative, né potevano considerarsi teorie scientifiche e potevano tranquillamente convivere come ipotesi, senza che l’una si dimostrasse più adatta di un’altra a spiegare il fenomeno dei fulmini.
Nonostante i tentativi di spiegare razionalmente il fenomeno dei fulmini, rimasero avvolti in un alone di magia per lungo tempo. Nel IX secolo, per esempio, nella Francia medievale, si pensava che potessero essere scatenati da una categoria di maghi detti tempestarii, molto temuti dalla popolazione contadina, la quale era disposta addirittura a pagarli pur di non incorrere nelle loro stregonerie. La credenza era talmente diffusa che l’arcivescovo di Lione, Sant’Agobardo, la denunciò nel Liber contra insulam vulgi opinionem de grandine et tonitruis, come assurda superstizione. Bisogna aspettare il XVIII secolo per riconoscere nei fulmini (e nei tuoni) un vistoso fenomeno di scarica elettrica, analogo a quello che si verifica tra le armature di un condensatore carico o comunque, come si riconobbe nel secolo successivo, tra due corpi posti a un potenziale differente. Nonostante ciò, tuttavia, la scarica di un fulmine resta un fenomeno violento e incontrollabile, dal quale non siamo in grado di proteggerci totalmente. Non siamo, per esempio, in grado di prevedere con esattezza il luogo e l’istante in cui avverrà una scarica, ma possiamo solo fare considerazioni statistiche su aree più o meno colpite dall’evento. Sappiamo che le cariche elettriche vengono disperse principalmente dalle punte dei conduttori, e quindi che la probabilità che un elemento appuntito sia coinvolto nella scarica è elevata, ma non possiamo fare affermazioni deterministiche. Nel Medioevo si riteneva che temporali e grandinate potessero essere scatenati da sortilegi e magie a opera di streghe e stregoni. Anche se oggi è nota la natura elettrica dei fulmini, non siamo in grado di fare previsioni deterministiche circa il luogo in cui si verificheranno. Questa è la mappa dei fulmini che hanno colpito l’Europa durante un temporale il 6 giugno 1998.
PAROLA CHIAVE
Densità superficiale di carica
DOMANDA Perché i fulmini si manifestano prevalentemente tra corpi appuntiti? Rispondi in 10 righe utilizzando la nozione di densità superficiale di carica.
Georg Mueller, Institut fuer Meteorologie und Klimaforschung Karlsruhe
Raffaello Sanzio, La scuola di Atene (1509-1511). I grandi filosofi del mondo classico iniziarono a cercare di spiegare i fenomeni naturali con argomenti razionali, non ricorrendo al mito.
83 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI UN SISTEMA DI CONDUTTORI È IN EQUILIBRIO ELETTROSTATICO QUANDO LA DISTRIBUZIONE DELLE CARICHE PRESENTI SUI CONDUTTORI È COSTANTE NEL TEMPO
all’equilibrio le cariche in eccesso si distribuiscono sulla superficie del conduttore all’interno del conduttore il campo elettrico è nullo
→
E 0
sulla superficie del conduttore il campo elettrico è perpendicolare alla superficie stessa
→
E 0
IN CONDIZIONI DI EQUILIBRIO IL POTENZIALE HA LO STESSO VALORE IN TUTTI I PUNTI DEL CONDUTTORE LA SUPERFICIE ESTERNA DI UN CONDUTTORE IN EQUILIBRIO ELETTROSTATICO È UNA SUPERFICIE EQUIPOTENZIALE
L’INTENSITÀ DEL CAMPO ELETTRICO SULLA SUPERFICIE DI UN CONDUTTORE DIPENDE DALLA DENSITÀ SUPERFICIALE DI CARICA
σ=
ΔQ ΔS
densità superficiale di carica
E=
σ ε
teorema di Coulomb
si misura in C/m2
84 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’ELETTROSTATICA
3
CONDUTTORI IN EQUILIBRIO ELETTROSTATICO CAMPO ELETTRICO E=
CONDUTTORE PIANO
σ 2ε
1 Q 4 πε r 2
E=
CONDUTTORE SFERICO
LINEE DI FORZA
TIPO DI CONDUTTORE
CARICHE
CAMPO
in condizioni di equilibrio elettrostatico le cariche di due conduttori sferici sono direttamente proporzionali ai raggi
in condizioni di equilibrio elettrostatico i campi elettrici di due conduttori sferici sono inversamente proporzionali ai raggi
Q1 Q2
=
Q2
Q1
R1
R1
E1
R2
R2
E2
La CAPACITÀ ELETTRICA di un conduttore è la sua attitudine a immagazzinare cariche elettriche in relazione al potenziale un CONDENSATORE è un conduttore con elevata capacità rispetto alle sue dimensioni
C=
Q V
CAPACITÀ
d
S
E0
E0 E
R2 R1
si misura in farad (F)
C=
1F =
Q ΔV
condensatore piano
=
CAPACITÀ
C =ε
CAMPO ELETTRICO FRA LE ARMATURE
E=
ENERGIA IMMAGAZZINATA
σ ε
1 E = CV 2 2
85 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
S d
1C 1V
20 test (30 minuti)
3 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI ha il campo elettrico sulla superficie? Motiva la risposta in 5 righe.
L’EQUILIBRIO ELETTROSTATICO
6 Considera una sfera cava di raggio R uniformemente
DOMANDE
carica. Sappiamo che al suo interno non è presente alcun campo elettrico, in quanto le cariche si distribuiscono unicamente sulla superficie. Quanto vale, però, il potenziale elettrico al suo interno?
Immagina di prendere un conduttore metallico a forma di cono e di poterlo caricare elettricamente. Aspettando un certo tempo si è sicuri che il conduttore si è portato in una situazione d’equilibrio elettrostatico. Utilizzando un elettroscopio a foglie, ti aspetti di misurare la stessa quantità di carica a prescindere dalla zona del conduttore a cui è stato avvicinato l’elettroscopio oppure no? Motiva la risposta in 5 righe.
1
7 Per evitare che i fulmini possano danneggiare una
villetta, è stato montato sul tetto, accanto all’antenna televisiva e alla parabola satellitare, un parafulmine, che in pratica non è altro che un’asta metallica conduttrice più alta degli altri oggetti posti sul tetto. Perché il parafulmine deve avere queste caratteristiche? Motiva la risposta in 5 righe.
2 Considera un conduttore metallico a forma di sferet-
Alexander Zavadsky / Shutterstock
ta che è stato caricato elettricamente. Il conduttore è in equilibrio elettrostatico e quindi non ci possono essere movimenti di cariche sulla superficie del conduttore. Se immagini le cariche come delle palline microscopiche appoggiate sulla superficie del conduttore, secondo te sono perfettamente immobili? 3 Durante una gita in automobile scoppia all’improvviso
un intenso temporale. A un certo punto un fulmine colpisce la parte superiore del cofano dell’automobile. Gli interni dell’automobile sono in cuoio, pelle e plastica. Secondo te il conducente sentirà la scossa?
8 Un cono e una sfera hanno la stessa superficie totale.
Stefano Lunardi / Shutterstock
Su di esse viene distribuita una stessa carica Q. I due conduttori avranno lo stesso valore di campo elettrico per ogni punto della loro superficie?
4 Perchè in una giornata particolarmente secca scen-
dendo da un’automobile che ha percorso un certo tragitto, il contatto tra il corpo umano e le portiere esterne spesso determina una leggera scossa elettrica?
2
CONDUTTORI IN EQUILIBRIO ELETTROSTATICO
CALCOLI 9 Una guscio sferico cavo di raggio R 50 cm ha una
carica Q 2,8 × 10–10 C. La carica è distribuita uniformemente sulla superficie del guscio che è posto nel vuoto. f Calcola il modulo del campo elettrico generato da tale distribuzione sulla superficie della sfera. [E 10 V/m]
10 All’interno di una sfera cava di raggio R sono poste:
5 cariche Q, 10 cariche −Q/2, 8 cariche Q/4 e 16 cariche −Q/8. f Calcola il campo elettrico generato al di fuori della sfera. [E 0 V/m]
11 All’interno di una superficie chiusa è posta una cari-
DOMANDE
ca Q.
5 Tramite gli emisferi di Cavendish si può dimostrare
che le cariche si distribuiscono sulla superficie di un conduttore in equilibrio elettrostatico: che direzione
f Se il flusso del campo elettrico attraverso questa superficie è 8,9 Nm2/C, quanto vale Q?
86 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
[Q 7,9 10–11 C]
3
L’ELETTROSTATICA 12 Un conduttore a forma di cubo di lato 1,0 m è attra-
versato da un campo elettrico uniforme che si estende per tutto lo spazio, come mostrato in figura.
CALCOLI 16 Due conduttori sferici carichi sono posti in contatto.
All’equilibrio si conosce che il rapporto tra la carica del primo e la carica del secondo vale 2. f Se la somma dei due raggi è 3,0 m, quanto valgono i due raggi? [2,0 m; 1,0 m]
17 Due conduttori sferici carichi sono posti in contatto.
f Quanto vale il flusso del campo elettrico attraverso il cubo? Motiva la risposta.
All’equilibrio si conosce che il rapporto tra il campo elettrico del primo e il campo elettrico del secondo vale 2.
[0,0 Nm2/C]
f Se la somma dei due raggi è 3,0 m, quanto valgono i due raggi?
3
CAMPO GENERATO DA UN CONDUTTORE IN EQUILIBRIO ELETTROSTATICO
[1,0 m; 2,0 m]
18 Due cariche puntiformi Q1 e Q2 Q1/4 sono a distan-
za d 1,0 m.
DOMANDE
f Esiste un punto nello spazio, lungo la congiungente delle due cariche, tale che il potenziale totale in quel punto sia nullo? Indica come origine del sistema di riferimento il punto dove è situata la prima carica.
13 In condizioni di equilibrio elettrostatico i campi elet-
trici generati da due conduttori sferici, collegati tra loro, sono inversamente proporzionali ai raggi. Se si raddoppiano i raggi di entrambe le sfere, lasciando invariata la carica totale, il rapporto tra i campi elettrici della prima e della seconda sfera cambia? 14 Spesso si sente affermare che la materia ordinaria è
[80 cm]
19 Due conduttori sferici identici di raggio R 10 cm
sono uniformemente carichi, ma con cariche diverse in modulo 冷Q冷 = 2冷Q1冷. La distanza tra i bordi delle due sfere lungo la congiungente dei centri è d 40 cm.
«mediamente neutra». In effetti, gli stessi esseri viventi sono elettricamente neutri. L’elemento principale di cui è composto il nostro corpo è l’acqua, che è formata da due atomi d’idrogeno e uno di ossigeno. Supponi di considerare unicamente atomi d’idrogeno: ciascun atomo è costituito da un protone posto nel nucleo e da un elettrone, avente carica uguale e opposta a quella del protone. Applicando il teorema di Gauss, dimostra che il nostro corpo dal punto di vista macroscopico non genera alcun campo elettrico. 15 Abbiamo dimostrato che il campo elettrico generato
da un conduttore sferico all’esterno è equivalente al campo elettrico generato da una carica puntiforme posta al centro della sfera e avente la sua stessa carica totale. Questo risultato deriva dall’applicazione del teorema di Gauss. Supponiamo ora di considerare una sfera, di raggio R, uniformemente carica, con carica totale Q: indicando con r la distanza di un punto all’interno della sfera dal centro di essa, dimostra che il campo elettrico all’interno della sfera è dato dalla formula: E
Qr 4 πε0R
3
(Suggerimento: procedere applicando il teorema di Gauss a una sfera di raggio r all’interno della sfera di raggio R.)
f A che punto rispetto al centro della prima sfera si avrà potenziale nullo? f Che segno devono avere le cariche delle due sfere? [20 cm]
4
LA CAPACITÀ ELETTRICA
DOMANDE 20 Un po’ di tempo fa, alcune automobili avevano una
specie di cordicella di plastica molto sottile che metteva in contatto la carrozzeria con il terreno e che quindi strisciava sulla strada durante il moto dell’automobile. Perché? Prova a spiegarlo in 5 righe. 21 Perché nella bottiglia di Leida bisogna mettere a ter-
ra l’involucro esterno? Che osa succederebbe se non si facesse? Motiva la risposta in 5 righe. 22 La costante dielettrica nel vuoto ε0, introdotta con la
forza di Coulomb, è espressa in C2/Nm2. Sapendo che la capacità di un conduttore sferico si può espri-
87 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
3 ESERCIZI mere come C 4πε0R, è possibile ricavare un’ulteriore unità di misura per la costante ε0? 23 Il termine «capacità» non è la prima volta che capita
nella Fisica che hai fino adesso studiato; ti ricordi quando è stato introdotto? Trovi delle analogie tra le formule che contengono tale grandezza? Motiva la risposta in 5 righe.
31 Un condensatore piano, nel vuoto, è formato da due
lamine metalliche quadrate di lato ᐉ 10 cm. f Se la capacità del condensatore è di 8,9 pF, calcola la distanza fra le armature. [1,0 cm]
32 Nel condensatore dell’esercizio 31, metti all’interno
delle armature un dielettrico in modo tale che la capacità totale cresca del 10%. f Quanto deve valere la costante dielettrica relativa?
CALCOLI
[1,1]
24 Ipoteticamente, quale dovrebbe essere il raggio di
un conduttore sferico per possedere la capacità di 1,0 F? [9,0 109 m]
25 Una sfera metallica nel vuoto ha carica Q 1,1 10–10 C
33 Considera un condensatore piano ad armature cir-
colari di raggio R e distanza R. f Per avere la stessa capacità del condensatore dell’esercizio 31, quanto deve valere R? [32 cm]
e potenziale di 1,0 V.
34 Un condensatore piano di capacità C 1 mF viene
f Calcola il raggio della sfera. [99 cm]
26 Un conduttore sferico ha capacità di 30 pF, è carica-
to uniformemente e il suo potenziale è di 10 V.
caricato fino ad avere una differenza di potenziale di 200 V tra le sue armature. f Calcola l’energia accumulata dal condensatore. [20 J]
f Trovare la densità di carica volumica del conduttore. [r = 3,6 10–9 C/m]
5
I CONDENSATORI
ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 35 La capacità di un condensatore piano è inversamen-
DOMANDE 27 La bottiglia di Leida è il primo prototipo funzionante
di condensatore. È strettamente necessario che la forma di un condensatore sia una bottiglia? Descrivi in 5 righe come funzionano i condensatori. 28 I condensatori vengono usati in molti circuiti elettrici
presenti nella vita quotidiana: radio, televisori ecc ecc. Prova a pensare e descrivi in massimo 5 righe come è possibile l’utilizzo di un condensatore per il “flash” di una macchina fotografica. 29 All’interno di grossi nubi temporalesche si possono
formare dei fulmini tra la parte alta della nuvola e la parte bassa. Pensi che sia possibile una cosa simile tra le armature di un condensatore?
te proporzionale alla distanza tra le armature. Una persona vuole aumentare la capacità di un condensatore, lasciando costante la distanza tra le armature ma inserendo un dielettrico fra loro. È possibile? 36 Per caricare un condensatore bisogna «spendere»
del lavoro. Questa energia sarà disponibile in un futuro per la scarica? Sarà la stessa energia oppure di meno? Descrivi in 5 righe secondo te come potrebbe avvenire il processo di carica e di scarica anche dal punto di vista energetico. 37 Dal punto di vista elettrostatico si può affermare che
il forno a microonde, con cui vengono scaldati velocemente gli alimenti, è una gabbia di Faraday che funziona al contrario?
CALCOLI fatto il vuoto, è presente un campo elettrico di 1,2 V/m. f Calcola la densità di carica superficiale delle armature. [1,1 10–11 C/m2]
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30 All’interno di un condensatore piano, in cui è stato
L’ELETTROSTATICA f Che raggio dovrebbe avere una sfera uniformemente carica per avere la stessa capacità del condensatore piano?
38 Un oggetto metallico carico positivamente si scari-
ca, ossia diventa elettricamente neutro, quando qualcuno lo tocca. Come si spiega questo comportamento? 39 Le superfici equipotenziali sono il luogo dei punti
dello spazio in cui il potenziale elettrico assume uno stesso valore. Individua queste superfici all’interno di un condensatore piano e all’esterno di una sfera uniformemente carica. Hanno la stessa forma geometrica?
3
[8,3 mm]
43 Davanti a un piano indefinito uniformemente cari-
co σ 8,9 1010 C/m2 è posta una carica q 6,0 10–9 C di massa m 3,0 1010 kg. f Che accelerazione subisce la carica? [1,0 103 m/s2]
44 Le armature di un condensatore piano, posto nel
PROBLEMI
vuoto, sono a una distanza di 1,0 cm l’una dall’altra. Il campo elettrico che si forma assume il valore di E 8,85 109 V/m. L’armatura positiva ha un piccolo forellino che non perturba il campo elettrico internamente. Dal forellino viene fatta passare una carica positiva q 1,0 C che ha massa m 8,85 1011 kg e velocità iniziale praticamente nulla.
40 Quattro cariche sono poste nel vuoto ai vertici di un
quadrato di lato ᐉ. f Se tre cariche hanno valore rispettivamente q, q/2 e −q/2, che valore deve avere l’altra carica per avere un potenziale totale nullo al centro del quadrato?
f Che velocità avrà a metà del condensatore?
f Se la quarta carica ha un valore q/2 con q 1,5 10–9 C e ᐉ 71 cm, calcola il potenziale al centro del quadrato.
[1,0 cm/s]
[−q; 40 V]
41 All’interno di un condensatore piano, con armature
parallele al piano orizzontale, è presente un campo elettrico E 9,8 107 V/m con direzione dal basso verso l’alto. All’interno di questo condensatore viene posta, inizialmente in quiete, una carica q 1,0 103 C con massa m 1,0 1010 kg.
VERSO L’UNIVERSITÀ 1
Tra le armature di un condensatore c’è aria. Se all’aria si sostituisce del vetro la capacità del condensatore: A
f Qual è la risultante delle forze agenti sulla carica?
diminuisce solo se le armature sono piane e parallele.
B
resta invariata.
f La carica si muoverà o rimarrà in quiete?
C
aumenta.
D
diminuisce.
42 Un condensatore di armature quadrate di lato 30 cm
è posto nel vuoto. La distanza tra le armature è di 8,6 102 mm.
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Ingegneria 1999/2000)
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CAPITOLO
La corrente elettrica
“”
Tutte le cose timoneggia il fulmine.
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Eraclito, I frammenti e le testimonianze
Michelangelo Buonarroti, La creazione di Adamo, particolare, Cappella Sistina, 1511.
PAROLE CHIAVE Corrente elettrica Conduzione elettrica Generatore di tensione
L’indice di Dio è proteso verso quello di Adamo. Le due dita non si toccano, ma a noi sembra di poter vedere tra esse l’invisibile «scintilla» della vita. Ancora una volta l’arte suggerisce una metafora presa in prestito dai fenomeni della natura e ci restituisce l’occasione di esaminarli e approfondirli, con gli occhi di un fisico. Ci addentriamo nello studio dei fenomeni elettrici e introduciamo una nuova grandezza fisica, la corrente elettrica, moto ordinato di cariche accelerate da un campo elettrico. Il passaggio di corrente nel nostro corpo, come nel corpo degli altri animali, è avvertito per lo più con contrazioni involontarie dei muscoli, più o meno intense a seconda dell’intensità della corrente, cioè del numero di cariche che ne attraversano una sezione in un secondo. Come vedrai, grazie a questo fatto Alessandro Volta riuscì a interpretare correttamente fenomeni allora incomprensibili e
a costruire, intorno al 1800, la pila elettrica. La pila fu il primo generatore di tensione, cioè un dispositivo capace di trasformare l’energia potenziale chimica in energia potenziale elettrica e di fornire così differenze di potenziale costanti, per la produzione di correnti continue controllabili. Fino ad allora, infatti, le correnti elettriche si erano manifestate per lo più come intense scariche luminose, come i fulmini o le scintille che si facevano scoccare tra corpi carichi. Tali scariche fanno anch’esse parte dei meccanismi della conduzione elettrica, ma presentano sostanziali differenze con la corrente elettrica che si misura all’interno di un conduttore collegato ai poli di una pila. Come vedrai in questo capitolo, la corrente elettrica ha diverse modalità a seconda che si manifesti all’interno di un solido, di un liquido, di un gas o nel vuoto.
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LA CORRENTE ELETTRICA
GALVANI E VOLTA, DALLE RANE ALLE PILE
Le contrazioni muscolari involontarie indotte dalle scosse elettriche ispirarono le ipotesi più svariate circa le connessioni tra fenomeni elettrici e biologici. In modo più o meno scientifico venivano condotti esperimenti di ogni tipo, si tentavano terapie elettriche, e si cercavano spiegazioni razionali alle straordinarie doti della torpedine, un pesce che emette scariche elettriche per stordire o uccidere le sue prede (figura 1). Nel corso di una ricerca sperimentale sull’«elettricità animale», il biologo anatomista bolognese Luigi Galvani (1737-1798) si imbatté in un fenomeno inaspettato, che colpì l’attenzione sua e di quanti lessero la pubblicazione delle sue osservazioni. Galvani aveva notato che toccando le nervature della rana con le terminazioni di un arco metallico, la sua muscolatura si contraeva come se si fosse trattato di una bottiglia di Leida carica. Inoltre l’effetto era ancora più vistoso se l’arco era costituito da due metalli diversi. Galvani interpretò le osservazioni proprio in questo modo, cioè sostenendo che nella rana vi fosse immagazzinata una quantità di carica, prodotta dall’animale stesso, successivamente restituita tramite il contatto elettrico dovuto all’arco (figura 2). Il lavoro di Galvani suscitò scalpore nel mondo scientifico e incuriosì moltissimo Alessandro Volta, che tuttavia non era d’accordo con la sua interpretazione. Quest’ultimo non credeva affat- to nell’ipotesi dell’elettricità animale e sosteneva che la rana fosse un rivelatore di elettricità, piut- tosto che un generatore. Cioè che la rana fosse un elettroscopio, piuttosto che una bottiglia di Leida, e che la «differenza di potenziale», diremmo noi, fosse dovuta al contatto tra metalli differenti. Nacque tra i due una vivace disputa che stimolò l’approfondimento della questione nelle due direzioni: Galvani nel mondo organico, Volta in quello inorganico. Il primo fondò l’elettrofisiologia, il secondo inventò la pila, rivoluzionando completamente gli studi sull’elettricità e le sue applicazioni.
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1
4
Figura 1. La torpedine è capace di generare un campo elettrico grazie alle contrazioni di muscoli innervati situati nel cosiddetto organo elettrico.
Figura 2. Galvani interpretò le sue osservazioni attribuendo al corpo della rana il ruolo di una bottiglia di Leida, capace di restituire carica precedentemente accumulata.
Metalli differenti Volta si accorse che i fenomeni osservati da Galvani erano dovuti principalmente all’uso di archi fatti di metalli differenti. Infatti si accorse che, quando inseriva le estremità di due bacchette di metalli diversi in un bicchiere di acqua e sale (equivalente al liquido fisiologico delle rane), e toccava le estremità opposte entrambe con la lingua, avvertiva un sapore acidulo. L’effetto era più vistoso quando usava particolari coppie di metalli, come
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Figura 3. La pila di Volta era costituita da una successione di coppie di dischi metallici, di materiali diversi, alternati a dischi di cartone o panno imbevuti con acqua acidulata.
LA CORRENTE ELETTRICA
il rame e lo zinco. Oggi sappiamo che il sapore avvertito da Volta era dovuto alla stimolazione dei ricettori del gusto da parte delle leggere correnti elettriche che attraversavano la sua lingua durante l’esperimento. Tali correnti erano, a loro volta, dovute al fatto che uno dei due metalli tendeva a sottrarre elettroni all’altro, causando perciò un flusso di cariche tra essi. La soluzione salina diventava pertanto la sede di reazioni chimiche (ossidoriduzioni) con scambi di cariche dall’uno all’altro metallo. In breve, Volta aveva così costruito la sua prima cella voltaica, singolo elemento di quella che sarebbe poi diventata una vera e propria pila.
La pila di Volta
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La prima pila costruita da Volta è descritta come una successione di dischi di due metalli differenti (per esempio rame e zinco), sovrapposti l’uno all’altro e separati a due a due da un disco di cartone o panno imbevuto di acqua acidulata (figura 3). Tra il primo e l’ultimo disco della pila si rilevava una differenza di potenziale, come se fossero stati l’armatura interna ed esterna di una bottiglia di Leida: con la differenza che quest’ultima andava precedentemente caricata, mentre la pila sembrava generare l’elettrizzazione da sé. In realtà, se applichiamo il principio di conservazione dell’energia alla pila di Volta, osserviamo che essa è un dispositivo che genera energia potenziale elettrica, trasformando l’energia potenziale chimica delle sostanze che la compongono. Una pila è un dispositivo capace di trasformare l’energia potenziale chimica in energia potenziale elettrica. SIMULAZIONE Il generatore di tensione continua (PhET, University of Colorado)
Inoltre, mentre la bottiglia di Leida, dopo un’intensa scarica elettrica, perdeva la sua elettrizzazione, la pila era in grado di provocare una scarica meno intensa, ma molto più duratura. La pila è quindi un dispositivo in grado di mantenere una differenza di potenziale costante, cioè un generatore di tensione: una premessa fondamentale per ottenere una corrente elettrica controllabile e utilizzabile.
La cella voltaica
Figura 4. Una cella voltaica è un singolo elemento di una pila. I due elettrodi di rame e di zinco acquistano rispettivamente carica positiva e carica negativa quando vengono immersi in una soluzione acidulata, cioè contenente ioni H.
Andiamo ad analizzare ora il funzionamento della pila. Consideriamo una singola cella voltaica, formata dai due conduttori
V 1,1 V di rame e di zinco, detti elettrodi, immersi in una e soluzione acidulata (figura 4). Quando viene immerso nella soluzione conte nente ioni H, cioè atomi di idrogeno che hanno perso un elettrone, lo zinco metallico rilascia in soluzione ioni Zn2, e si carica negativamente; H il rame invece cede elettroni alla soluzione e si Zn2 carica positivamente. In tali condizioni tra i due elettrodi si crea una differenza di potenziale di H circa 1 V. Se colleghiamo tra loro gli elettrodi con
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LA CORRENTE ELETTRICA
un conduttore esterno alla soluzione, gli elettroni passano dallo zinco (polo negativo) al rame (polo positivo), provocando una corrente elettrica. Il passaggio di elettroni continua fino a quando la cella non si scarica, cioè fino a quando il sistema non raggiunge l’equilibrio chimico per cui non avvengono più reazioni al suo interno. Mettendo più celle voltaiche una accanto all’altra, con gli elettrodi collegati tramite fili conduttori, si ottiene la pila, in cui la differenza di potenziale complessiva è pari alla somma delle differenze di potenziale di ciascuna cella (figura 5). e
Zn
Cu
Zn
Cu
Zn
Cu
Zn
Cu Figura 5. Collegando tra loro più celle voltaiche si ottengono differenze di potenziale più elevate tra il primo e l’ultimo elettrodo.
1,1 V
1,1 V
1,1 V
1,1 V
V 4,4 V
f Nei dispositivi alimentati a batteria, spesso è necessario inserire più elementi secondo le istruzioni, in modo che i poli positivi e i poli negativi seguano lo schema indicato. Per far funzionare la videocamera della foto sono necessarie 4 batterie da 1,5 V ciascuna, inserite secondo lo schema del disegno. Qual è la differenza di potenziale utilizzata dalla videocamera?
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ESEMPIO
SOLUZIONE La differenza di potenziale ΔVi fornita da ciascuna pila è:
ΔV1 ΔV2 ΔV3 ΔV4 1,5 V Le pile sono collegate una dopo l’altra, con il polo positivo dell’una in contatto con il polo negativo dell’altra: complessivamente quindi la differenza di potenziale che si misura ai capi del sistema è data dalla somma delle differenze di potenziale delle singole pile, cioè
V
ΔVtot ΔV1 ΔV2 ΔV3 ΔV4 (1,5 V) 4 6,0 V La videocamera utilizza quindi una differenza di potenziale di 6,0 V per funzionare.
DOMANDA Qual è la differenza di potenziale totale di due pile collegate come in figura, cioè con il polo positivo dell’una collegato al polo positivo dell’altra, e il polo negativo dell’una collegato al polo negativo dell’altra? Fai un’ipotesi e motivala in 5 righe.
V ?
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LA CORRENTE ELETTRICA
2
LA CORRENTE ELETTRICA
Se colleghiamo gli elettrodi di una pila con un filo conduttore, gli elettroni lo attraversano passando dallo zinco al rame. In presenza di una differenza di potenziale tra gli elettrodi, si stabisce quindi un campo elettrico non nullo nel conduttore, che causa un flusso di elettroni, detto corrente elettrica, che tende a portare il sistema all’equilibrio elettrostatico, annullando il campo elettrico all’interno del conduttore. Figura 6. Il moto ordinato degli elettroni che si muovono verso l’elettrodo positivo all’interno di un filo conduttore è detto corrente elettrica. L’intensità della corrente elettrica è la quantità di carica che attraversa una sezione del filo in un secondo.
VZn
e
e
Una corrente elettrica è un moto ordinato di cariche elettriche. Nel caso in cui le cariche siano negative, come gli elettroni, il movimento è diretto verso il livello di potenziale più alto che corrisponde all’elettrodo positivo, cioè in direzione opposta al campo elettrico. Ricordiamo, infatti, che quando abbiamo a che fare con le cariche i termini «alto» e «basso» hanno significati diversi da quelli ai quali VCu VZn facciamo comunemente riferimento nel e campo gravitazionale terrestre. e e Una corrente elettrica può essere più VCu o meno «intensa» a seconda del numero
V di cariche che in un secondo attraversano una sezione trasversale del conduttore (figura 6). Diamo quindi la seguente definizione: l’intensità di corrente elettrica i è il rapporto tra la quantità di carica ΔQ che attraversa una sezione del conduttore in un certo intervallo di tempo Δt e l’intervallo di tempo stesso ΔQ i (4.1) Δt
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Figura 7. Un multimetro digitale e uno analogico: cambiando il settaggio dello strumento è possibile misurare intensità di corrente o differenze di potenziale.
Quando l’intensità della corrente non cambia nel tempo, si dice che la corrente è continua. In tal caso la quantità di carica che attraversa una sezione del conduttore nell’intervallo di tempo Δt è direttamente proporzionale a Δt stesso. L’intensità di corrente si misura con uno strumento chiamato amperòmetro e la sua unità di misura nel Sistema Internazionale è l’ampere (A) in onore del fisico francese André-Marie Ampère (1775-1836). Una corrente di 1 A trasporta 1 C di carica in 1 s: 1A
1C 1s
Ovvero, considerando fondamentale l’ampere e derivato il coulomb, 1 C è la carica che attraversa in un secondo una sezione di filo percorso da una corrente pari a 1 A. Lo strumento che misura la corrente elettrica è l’amperometro. Gli amperometri fanno spesso parte di uno strumento multifunzionale per misure elettriche, detto «multimetro» o «tester», nel quale è presente anche il voltmetro per misure di differenze di potenziale (figura 7).
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LA CORRENTE ELETTRICA
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ESEMPIO
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f Una lampadina a basso consumo è alimentata da una corrente continua di 560 mA prodotta da un pannello fotovoltaico. Quanti elettroni attraversano un polo della lampadina in un’ora di funzionamento? SOLUZIONE Invertendo la formula (4.1) rispetto alla quantità di carica ΔQ, si ha: ΔQ iΔt 560 10–3 A 3600 s 2,02 103 C Tale quantità di carica è dovuta a un numero di elettroni N dato da: N
2, 02 × 10 3 C ΔQ = = 1, 26 × 10 22 −19 1, 60 × 10 C e
DOMANDA Qual è l’intensità di corrente dovuta al passaggio di una mole di elettroni al secondo attraverso la sezione di un conduttore?
Il verso della corrente D’ora in poi indicheremo la presenza di una corrente elettrica in un conduttore con una piccola freccia il cui verso è convenzionalmente quello che avrebbero le cariche positive al suo interno. Cioè, nell’esempio del filo che collega gli elettrodi di zinco e di rame della cella voltaica della figura 4, il verso della corrente è quello che va dal rame allo zinco (figura 8), mentre abbiamo visto che gli elettroni si muovono dallo zinco al rame, in direzione opposta al campo elettrico e quindi al verso convenzionale della corrente. i VZn
3
e
e
→
E
e
e
VCu
Figura 8. Il verso della corrente è per convenzione lo stesso del campo elettrico che c’è all’interno del conduttore; gli elettroni sono carichi negativamente e si muovono verso il polo positivo, in direzione opposta al campo elettrico e quindi al verso convenzionale della corrente.
CONDUZIONE ELETTRICA NEI SOLIDI
È noto sin dalle osservazioni di Gray del 1729, che non tutti i materiali sono in grado di condurre elettricità. Inoltre, misure quantitative hanno mostrato che alcuni materiali conducono l’elettricità meglio di altri, cioè al loro interno si misurano correnti elettriche più intense a parità di differenza di potenziale applicata ai loro capi. Vedremo più avanti come questo si traduce, su scala macroscopica, in termini di relazioni matematiche tra grandezze elettriche; qui facciamo una breve e sintetica introduzione sulle differenze microscopiche tra materiali che hanno un diverso comportamento elettrico.
SIMULAZIONE La conduzione nei metalli (PhET, University of Colorado)
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LA CORRENTE ELETTRICA
Premettiamo che per poter trattare una teoria rigorosa della conduzione elettrica, cioè del movimento ordinato di cariche da un punto all’altro dello spazio, sono necessari nozioni, concetti e strumenti matematici avanzati. Pertanto qui ci limiteremo a una trattazione qualitativa.
I conduttori metallici
Figura 9. All’interno di un metallo vi è un elevato numero di elettroni liberi di muoversi tra gli ioni positivi del reticolo cristallino. In assenza di un campo elettrico il loro moto è disordinato, senza alcuna direzione preferenziale.
Figura 10. In presenza di un campo elettrico, al moto disordinato degli elettroni si aggiunge il moto dovuto all’attrazione esercitata su essi dal polo positivo. In media quindi gli elettroni tendono a muoversi ordinatamente in direzione opposta al campo.
I metalli sono in genere buoni conduttori di elettricità, perché gli elettroni più esterni degli atomi dei metalli hanno dei legami deboli con il nucleo e sono quindi liberi di muoversi. I nuclei degli atomi nei metalli e formano un reticolo cristallino regolare, ma «perdono» uno o due elettrone e degli elettroni più esterni, che diione positivo ventano parte dell’intera struttura e sono quindi liberi di muoversi e tra uno ione positivo e l’altro del → reticolo. In assenza di un campo E 0 elettrico all’interno del conduttore, essi si muovono in modo casuale e disordinato in tutte le direzioni, come le particelle di un gas, con velocità che dipendono dalla temperatura (figura 9). Quando invece nel metallo vi è un campo elettrico non nullo, questi elettroni, detti appunto elettroni di conduzione, vengono attratti dal polo e e positivo. Al moto disordinato e casuale si sovrappone dunque un moto ordi nato, che tende a spostare gli elettroni da punti a potenziale minore a punti e a potenziale maggiore, nella direzione delle linee del campo e in verso oppo→ sto (figura 10). E 0 In altre parole gli elettroni sono le cariche responsabili della conduzione elettrica nei metalli.
Velocità degli elettroni di conduzione Il moto casuale e disordinato degli elettroni di conduzione all’interno del metallo avviene con velocità dell’ordine di 105 m/s, sia in presenza che in assenza di un campo elettrico. Tuttavia, quando il campo è nullo la velocità media è anch’essa nulla, mentre quando il campo elettrico è diverso da zero, anche la velocità media è diversa da zero. Se in assenza di un campo elettrico vi è quindi solamente l’agitazione termica, in presenza di un campo elettrico ad essa si aggiunge un moto ordinato di deriva, dovuto all’azione delle forze elettriche sulle cariche. L’ordine di grandezza del modulo della velocità media degli elettroni in un metallo, detta velocità di deriva, è di 10–5 m/s.
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LA CORRENTE ELETTRICA
In altre parole la velocità di deriva è la componente «ordinata» del moto degli elettroni, cioè quella che determina la presenza di una corrente elettrica. Per semplificare la rappresentazione mentale della corrente elettrica possiamo dunque immaginare che sia dovuta a uno spostamento di elettroni alla velocità di deriva vd verso il polo positivo, cioè verso i punti a potenziale maggiore (figura 11). →
vd
e
→
vd
e
→
vd
e
→
vd
e
Estrarre elettroni da un metallo
Figura 11. Trascurando il contributo disordinato al moto, la corrente elettrica nei metalli è dovuta a uno spostamento di elettroni con velocità pari alla velocità di deriva e verso opposto a quello del campo elettrico.
In condizioni normali gli elettroni possono muoversi all’interno del reticolo di un metallo, ma non lo abbandonano. Tuttavia può accadere che gli elettroni della superficie abbiano una energia cinetica sufficiente a vincere l’attrazione elettrica delle cariche positive e che, quindi, lascino il metallo. Per ciascun metallo esiste una quantità di energia che, se fornita a un elettrone della superficie, ne consente l’allontanamento; cioè gli elettroni della superficie sono legati al metallo con forze differenti che dipendono dal tipo di metallo. L’energia minima che bisogna fornire a un elettrone per farlo uscire dal metallo con energia cinetica nulla è detto lavoro di estrazione Le. Il lavoro di estrazione è uguale e opposto all’energia (negativa) con la quale l’elettrone è legato al metallo. Quando tale lavoro è fatto da forze elettriche, alle quali è possibile associare una differenza di potenziale (positiva), si parla anche di potenziale di estrazione Ve. Il potenziale di estrazione di un metallo è quindi numericamente uguale al lavoro che bisogna fare su una carica unitaria per estrarla dal metallo. Un elettrone sottoposto a una differenza di potenziale pari al potenziale di estrazione Ve del metallo a cui appartiene, acquista un’energia pari al lavoro di estrazione dell’elettrone dal metallo. Ve
Le e
In altre parole, quando l’elettrone si trova in un campo elettrico con una differenza di potenziale pari al potenziale di estrazione, esce dal metallo. Se l’energia ricevuta è superiore al lavoro di estrazione, l’elettrone esce dal metallo con un’energia cinetica diversa da zero. Il lavoro di estrazione si misura in genere in elettronvolt (eV): un elettronvolt è l’energia acquistata da una carica pari a e quando è accelerata da una differenza di potenziale di 1 V. 1 eV e (1 V) 1,6022 10–19 C 1 V 1,6022 10–19 J L’elettronvolt è una unità di misura dell’energia che non appartiene al Sistema Internazionale, ma è molto utilizzata nella fisica atomica e subatomica. In tabella 1 sono riportati i valori indicativi del lavoro di estrazione di alcuni metalli.
(4.2)
Tabella 1. Lavoro di estrazione di alcuni metalli. I valori sono indicativi, perché il valore cambia a seconda della struttura cristallina del materiale.
ELEMENTO
LAVORO DI ESTRAZIONE (eV)
platino
5,12-5,93
nichel
5,04-5,35
rame
4,53-5,10
argento
4,52-4,74
ferro
4,67-4,81
piombo
4,25
alluminio
4,06-4,26
zinco
3,63-4,9
litio
2,93
calcio
2,87
sodio
2,36
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LA CORRENTE ELETTRICA
ESEMPIO f Un blocco di rame di 1,0 kg si trova in cima a un pendio a 150 m di altezza dal livello di riferimento. Se si riuscisse a utilizzare tutta l’energia potenziale gravitazionale del blocco per estrarre elettroni dal metallo, quale sarebbe il loro numero? Si assuma il valore 4,53 eV per il lavoro di estrazione del rame. SOLUZIONE L’energia potenziale gravitazionale del blocco di rame è Ug mgh 1,0 kg 9,8 m/s2 150 m 1,5 103 J Ciascun elettrone può essere estratto dal metallo fornendo un’energia pari al lavoro di estrazione Le, Le 4,53 eV 4,53 1,6022 10–19 J 7,26 10–19 J per cui il numero di elettroni N estratti da una quantità di energia pari a Ug è N =
Ug Le
=
1, 5 × 10 3 J = 2, 1 × 10 21 −19 7, 26 × 10 J
DOMANDA Quale dovrebbe essere la differenza di potenziale elettrico per estrarre 2,1 × 1021 elettroni dal blocchetto di rame?
Figura 12. Quando due metalli sono messi in contatto gli elettroni passano dal metallo che ha un potenziale di estrazione minore al metallo che ha un potenziale di estrazione maggiore.
Si può fornire energia agli elettroni di un metallo, e quindi si possono estrarre elettroni da un metallo, in vari modi. Per esempio scaldando il metallo, in modo da far aumentare l’energia cinetica media degli elettroni fino a raggiungere il valore del lavoro di estrazione (effetto termoionico). Oppure si può illuminare il metallo con luce di opportuna frequenza, che, come si vedrà nella meccanica quantistica, è legata alla quantità di energia trasportata (effetto fotoelettrico). Un altro modo per estrarre elettroni da un metallo VeZn VeCu è quello scoperto da Volta, noto quindi come effetto Volta, che si verifica quando due metalli con potenziali di estrazione diversi sono messi in contatto, come accade nel caso del rame e dello zinco. Di fatto alcuni elettroni lasciano il metallo nel quale sono «meno legati» al reticolo, cioè il cui potenziale di estrazione è minore (zinco), per andare nel metallo dove gli elettroni sono → → «più legati» al reticolo, cioè il cui potenziale di estraE Zn E Cu zione è maggiore (rame) (figura 12). Gli elettroni si spostano da un metallo all’altro perché tra essi si viene a stabilire una differenza di potenziale pari alla differenza tra i due potenziali di estrazione: il flusso di cariche termina quando l’accumulo di elettroni sul rame e la conseguente comparsa di carica positiva sullo zinco è tale da annullare tale differenza di potenziale. Le cariche negative accumulate sul rame creano cioè un campo contrario che rallenta il flusso di elettroni fino a fermarlo. Immergendo i due metalli in una soluzione acidulata la differenza di potenziale viene di volta in volta ripristinata dalle reazioni chimiche che avvengono al suo interno e il flusso di elettroni continua fino al raggiungi-
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LA CORRENTE ELETTRICA
mento dell’equilibrio chimico. La differenza di potenziale ai capi della cella è quindi costante durante le reazioni chimiche, ed è pari alla differenza tra i due potenziali di estrazione del rame e dello zinco: ΔV VCu VZn 1 V Tale valore è coerente con quello che si ottiene calcolando la differenza tra le energie di estrazione del rame e dello zinco in eV (vedi tabella 1) e dividendo per la carica elementare. Arrotondando, infatti: ΔV VCu VZn 5 V 4V 1 V
I semiconduttori
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Esistono materiali che generalmente si comportano come isolanti, ma che in particolari condizioni sono in grado di condurre una corFigura 13. Le proprietà dei materiali semiconduttori rente elettrica. Essi sono detsono la base dell’elettronica. ti semiconduttori, in quanto hanno un comportamento intermedio fra i conduttori e gli isolanti. Tra questi il silicio, le cui proprietà ne fanno l’elemento fondamentale dei componenti elettronici (figura 13). Nei semiconduttori il meccanismo di conduzione dell’elettricità è diverso rispetto ai conduttori metallici. In questi ultimi, infatti, le cariche elettriche responsabili della corrente elettrica sono gli elettroni, mentre nei semiconduttori un’uguale quantità di carica di segno opposto contribuisce alla corrente. Nel reticolo di un semiconduttore, per esempio del silicio, non vi sono normalmente elettroni liberi di muoversi, perché sono tutti impegnati nei legami covalenti tra un atomo e l’altro. In particolari condizioni, per esempio quando la temperatura è sufficientemente alta o se all’interno del reticolo del silicio viene inserito un particolare atomo diverso (ad esempio il boro), alcuni elettroni «abbandonano» la loro posizione e diventano elettroni di conduzione, liberi di muoversi in direzione del campo elettrico interno. Ogni elettrone di conduzione lascia però un «buco» nel legame covalente che non si viene pertanto a formare, che si definisce lacuna. Le lacune si comportano come vere e proprie cariche positive, capaci di migrare da un atomo all’altro: Figura 14. quando è presente una lacuna, un elettrone impiegato in legame covalente di a. Quando un elettrone si «svincola» dal reticolo un atomo contiguo lascia il suo legame covalente per andare a riempire la la- di un semiconduttore, al suo posto lascia una lacuna cuna (figura 14a). Si forma così una nuova lacupositiva. na che a sua volta richiama un altro elettrone. b. Le lacune si spostano elettrone e Gli elettroni si muovono nel verso opposto al in direzione opposta rispetto campo elettrico, mentre le lacune si muovono agli elettroni. legame lacuna nello stesso verso del campo elettrico. i covalente In definitiva le lacune si comportano come vere e proprie cariche positive che migrano verso il polo negativo, contribuendo anch’es→ E se all’intensità di corrente elettrica (figura 14b). a b
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LA CORRENTE ELETTRICA
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Le cariche responsabili della conduzione elettrica nei semiconduttori sono gli elettroni e le lacune (positive).
Figura 15. L’emissione luminosa dei led è dovuta alla ricombinazione di un elettrone con una lacuna.
In particolari combinazioni di materiali semiconduttori elettroni e lacune possono ricombinarsi e a volte ciò è accompagnato da emissione di luce, come avviene nei led (figura 15).
Gli isolanti Sono materiali isolanti quelli che non consentono il passaggio di corrente. Negli isolanti non vi sono cariche elettriche libere di muoversi, né è possibile liberarle facilmente, I dielettrici, infatti, si polarizzano deformandosi e/o orientandosi lungo un campo elettrico interno, ma gli elettroni restano nei pressi degli atomi a cui sono legati e non determinano alcuna corrente elettrica. Tuttavia, se questi materiali sono sottoposti a campi elettrici sufficientemente elevati, può avvenire la cosiddetta rottura dielettrica, che consiste in una intensa scarica elettrica che attraversa il materiale. In tabella 2 è sintetizzato il comportamento dei diversi tipi di materiale solido.
Tabella 2. Conduttori, semiconduttori e isolanti a confronto.
Figura 16. a. Nell’acqua distillata l’intensità della corrente è praticamente nulla. b. Nell’acqua salata si misura un’intensità di corrente diversa da zero.
pila
amperometro
i0
MATERIALI
COMPORTAMENTO
CAUSA
Conduttori
Conducono corrente elettrica
Vi sono normalmente elettroni liberi di muoversi tra gli ioni del reticolo
Semiconduttori
Conducono corrente elettrica solo in particolari condizioni
In particolari condizioni alcuni elettroni possono slegarsi dagli atomi del reticolo
Isolanti
Non conducono corrente elettrica
Gli elettroni sono ben legati agli atomi del reticolo
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CONDUZIONE ELETTRICA NEI LIQUIDI
L’acqua distillata non conduce apprezzabilmente elettricità. Infatti, se inseriamo in acqua distillata due elettrodi metallici collegati ai poli di un generatore mediante fili conduttori, in essi non rileviamo alcun passaggio di corrente elettrica. Tuttavia, se nella stessa acqua sciogliamo un po’ di sale da cucina, le cose cambiano: nei fili pila passa una corrente elettrica misurabile (figura 16). Per questo motivo la soluzione di acqua e sale è classificata come soluzioi0 ne elettrolitica, e il sale è detto pertanto elettrolita.
H2O a
H2O NaCl b
acqua distillata
acqua salata
Una soluzione elettrolitica è una soluzione acquosa conduttrice di elettricità; la sostanza disciolta in acqua è detta elettrolita.
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LA CORRENTE ELETTRICA
Per comprendere perché certe soluzioni riescono a condurre elettricità, diamo uno sguardo alla struttura microscopica dell’acqua e di un elettrolita come il sale da cucina, formato principalmente da cloruro di sodio (NaCl). Abbiamo visto, nel capitolo «Le cariche elettriche», che le molecole dell’acqua presentano un’asimmetria nella distribuzione della carica, per cui possiamo schematizzarle per mezzo di piccoli dipoli elettrici. Il cloruro di sodio, d’altro canto, ha un reticolo cristallino nel quale si alternano ioni positivi (Na) e ioni negativi (Cl–), tenuti insieme dalle reciproche forze elettriche (figura 17a). Quando il cloruro di sodio viene immerso in acqua, le molecole di quest’ultima si orientano in modo tale da avvicinarsi agli ioni positivi con l’estremità negativa e agli ioni negativi con l’estremità positiva: in questo modo indeboliscono l’attrazione tra gli ioni più esterni del reticolo e li «staccano» dal composto (figura 17b). I cristalli di sale si rimpiccioliscono fino a scomparire e gli ioni, che prima erano organizzati in un reticolo compatto, si trovano divisi tra loro e sparsi nel liquido, circondati cioè da molecole di acqua (figura 17c).
b
Na
Cl
Tale processo è detto dissociazione elettrolitica ed è simile per tutti i composti che, come il cloruro di sodio, sono formati da ioni tenuti insieme da una forza elettrica (composti ionici). La dissociazione elettrolitica è quindi il processo per il quale gli ioni che formano un composto ionico vengono dispersi in acqua. Non tutti gli elettroliti sono composti ionici, ma, seppure con meccanismi diversi, la loro soluzione in acqua comporta comunque una liberazione di ioni, cioè di atomi o molecole elettricamente carichi. Essi sono liberi di muoversi all’interno del liquido e quindi, in presenza di un campo elettrico, sono responsabili del passaggio di corrente elettrica nelle soluzioni elettrolitiche.
acqua
c Figura 17. a. La struttura cristallina del cloruro di sodio è dovuta all’interazione elettrica tra gli ioni negativi (Cl) e gli ioni positivi (Na). b. L’interazione con le molecole d’acqua indebolisce i legami del cristallo, per cui gli ioni che si trovano sul bordo del reticolo si staccano da quest’ultimo. c. Alla fine del processo di dissoluzione gli ioni Na e Cl sono dispersi in acqua.
Le cariche responsabili della conduzione elettrica nei liquidi sono gli ioni positivi e negativi. Vediamo ora che cosa succede all’interno della soluzione elettrolitica nella cella della figura (figura 16b) al passaggio della corrente elettrica. Definiamo sanodo l’elettrodo collegato al polo positivo del generatore scatodo l’elettrodo collegato al polo negativo del generatore. Gli elettroni si muovono dal polo negativo del generatore e raggiungono il catodo attraverso il filo conduttore, caricandolo negativamente. L’eccesso di elettroni sul catodo genera un flusso di ioni positivi verso di esso, attratti dalla forza elettrostatica. Sull’anodo avviene il processo contrario: cedendo elettroni attraverso il filo conduttore collegato al polo positivo del genera-
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a
cloruro di sodio
Na
Cl
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LA CORRENTE ELETTRICA i
elettroni
Figura 18. Il catodo, carico negativamente, attira gli ioni positivi che si trovano all’interno della soluzione elettrolitica; l’anodo, carico positivamente, attira invece gli ioni negativi.
anodo
catodo
i
anodo Figura 19. Il campo elettrico all’interno della soluzione è diretto dall’anodo (a potenziale maggiore VA) al catodo (a potenziale minore VC).
catodo
→
E
VA VC
tore esso si carica positivamente, attirando all’interno della soluzione ioni negativi. Dunque: sil catodo si carica negativamente e attira ioni positivi (cationi); sl’anodo si carica positivamente e attira ioni negativi (anioni). All’interno della soluzione si instaura dunque un moto ordinato di cariche, cioè una corrente elettrica (figura 18). Il collegamento degli elettrodi con i poli del generatore stabilisce una differenza di potenziale tra essi:
s l’anodo è l’elettrodo a potenziale maggiore; s il catodo è l’elettrodo a potenziale minore. Gli ioni positivi liberi nella soluzione si muovono spontaneamente verso l’elettrodo a potenziale minore VC; gli ioni negativi verso l’elettrodo a potenziale maggiore VA. Il campo elettrico all’interno della soluzione è diretto dall’anodo verso il catodo (figura 19).
L’elettrolisi
Figura 20. Presso gli elettrodi gli ioni positivi Na e negativi Cl acquistano e cedono rispettivamente elettroni, producendo sodio metallico e cloro gassoso.
Durante il passaggio di corrente all’interno di una soluzione elettrolitica possono avvenire diversi fenomeni: dalla deposizione di sostanze solide sugli elettrodi, alla liberazione di gas. Tali fenomeni sono diversi a seconda dell’elettrolita e del solvente e vengono genericamente definiti elettrolisi. Vediamo una delle possibili trasformazioni che possono avvenire agli elettrodi nel caso esaminato. Gli ioni Cl negativi che raggiungono l’anodo, cedono ad esso un elettrone, trasformandosi in atomi di cloro, i quali combinandosi a due a due formano molecole di cloro Cl2, che in condizioni normali sono allo stato gassoso ed escono dalla soluzione sotto forma di bollicine. Gli ioni Na positivi che anodo catodo raggiungono il catodo, invece, ac quistano da esso un elettrone e formano atomi di sodio metallico e Na (figura 20). Mediante processi di elettrolisi è quindi possibile ottenere depoe Cl2 Na siti metallici sugli elettrodi e quinCl di ricoprire gli stessi con sottili strati di una sostanza desiderata, (procedimento usato nella galvanoplastica); oppure è possibile produrre un determinato gas, raccogliendolo in uscita dalla soluzione. L’elettrolisi è dunque ampiamente utilizzata nelle applicazioni tecnologiche.
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LA CORRENTE ELETTRICA
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Prima legge di Faraday Eseguendo osservazioni sull’elettrolisi di diverse sostanze, in diverse condizioni sperimentali, Faraday trovò due importanti risultati, noti come leggi di Faraday sull’elettrolisi. Vediamo in questa sede solamente la prima, la quale stabilisce che le masse delle sostanze che si depositano sugli elettrodi sono direttamente proporzionali alla quantità di carica che ha attraversato la soluzione. Oggi, conoscendo la natura corpuscolare della materia e l’esistenza di cariche elementari, tale legge ci sembra facile da spiegare e comprendere. Tuttavia nel 1833, quando fu enunciata, non era ancora chiaro che la materia fosse fatta di atomi e che l’elettricità fosse legata a proprietà di particelle microscopiche. La prima legge di Faraday, favorisce invece l’interpretazione del fenomeno in termini più moderni, mettendo in evidenza uno stretto legame tra massa della sostanza prodotta agli elettrodi e cariche elettriche: come dire che, a livello microscopico, sia la massa che la carica sono proprietà «granulari». Infatti la proporzionalità è ben spiegata se immaginiamo che un elettrodo sia raggiunto da N ioni di massa uguale m, e quindi di massa totale M Nm, che sono portatori di una carica totale pari a Q Nze, dove z è detta valenza dello ione (corrisponde al numero di cariche in difetto o in eccesso dello ione): Q Nze
M Nm
e
ricavando N dalla prima equazione si ha Q N ze e sostituendolo nella seconda si ha Qm ze
M
(4.3)
dove z è la valenza dell’atomo, cioè il numero di elettroni coinvolti nei legami con altri atomi, e il rapporto m/ze è costante per ogni tipo di ione. Se m è la massa di uno ione Na di valenza z 1, per esempio, una quantità di carica doppia determina la formazione di un quantitativo doppio di atomi di sodio, quindi un deposito metallico di massa doppia. In generale ricaviamo una formula generale per la prima legge di Faraday, ricordando che la massa di ciascuna particella è uguale alla massa di una mole di particelle MA diviso il numero di Avogadro NA, MA NA
m Si ha quindi che M
dove l’espressione
Q
MA z e NA
(4.4)
MA è una quantità costante. z e NA Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA CORRENTE ELETTRICA
ESEMPIO f In un’ora al catodo di una cella elettrolitica contenente cloruro di sodio si formano 11,0 g di cloro gassoso Cl2. Qual è l’intensità della corrente che attraversa la cella? SOLUZIONE Invertendo la formula formula (4.3) rispetto alla carica Q si ha Mze m dove z 1, perché lo ione Cl ha un solo elettrone in eccesso, e Q
m=
35, 4 g/mol MA = = 5, 88 × 10−23 g 6, 022 × 1023 mol−1 NA
Inserendo i dati nell’espressione per Q: Q=
11, 0 g × 1 × 1, 60 × 10−19 C = 2, 99 × 104 C −23 5, 88 × 10 g
Questa è la quantità totale di carica trasferita in un’ora, per cui ricorrendo alla formula (4.1) si può ricavare la corrente che attraversa la cella: i=
ΔQ 2, 99 × 104 C = = 8, 31 A Δt 3600 s
DOMANDA Quante molecole di cloro vengono prodotte in due ore?
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CONDUZIONE ELETTRICA NEI GAS E NEL VUOTO
In genere i gas sono formati da atomi o molecole neutre e quindi non conducono elettricità. Tuttavia, così come accade per i liquidi, anche un gas può condurre elettricità in presenza di ioni e di un campo elettrico che ne determina un movimento ordinato. Le cariche responsabili della conduzione elettrica nei gas sono gli ioni positivi e negativi. Le condizioni che portano alla formazione di ioni all’interno dei gas possono essere molteplici. Un atomo diventa uno ione positivo quando perde uno o più elettroni, che hanno acquistato energia sufficiente per vincere l’interazione elettrica che li teneva legati al nucleo. Ciò può avvenire in seguito a un urto con particelle veloci, o per assorbimento di radiazioni elettromagnetiche ad alta energia, o per la presenza di un campo elettrico intenso. Un atomo diventa uno ione negativo quando invece acquista un elettrone, solitamente un elettrone libero perso da un altro atomo.
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LA CORRENTE ELETTRICA
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Nella nostra atmosfera la più alta concentrazione di ioni si ha nella ionosfera, tra i 60 e i 450 km di quota, dove le radiazioni solari e le particelle energetiche provenienti dallo spazio sono tali da rendere i processi di ionizzazione particolarmente efficaci. Tuttavia nell’aria sono presenti ioni a qualsiasi quota: pertanto se bastasse la presenza di particelle cariche per determinare il passaggio di corrente elettrica in un gas saremmo continuamente soggetti a scosse di ogni tipo. Per fortuna ciò non accade in condizioni normali, ma sono necessari intensi campi elettrici, cioè elevate differenze di potenziale all’interno del gas (figura 21).
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Figura 21. Le bobine di Tesla sono dispositivi capaci di generare differenze di potenziale di decine di migliaia di volt e di provocare scariche elettriche luminose.
Scariche elettriche nei gas Il passaggio di corrente elettrica nei gas è spesso accompagnato dal fenomeno della scarica elettrica, una corrente estremamente intensa associata ad emissione luminosa. Per produrre artificialmente tale fenomeno si usano particolari dispositivi formati fondamentalmente da un tubo che contiene il gas e da due elettrodi posti al suo interno l’uno di catodo anodo fronte all’altro, collegati ai poli di un generatore che può fornire una differenza di potenziale amperometro variabile (figura 22). Applicando una difgeneratore ferenza di potenziale agli elettrodi l’amperometro inserito nel sistema inizia a misurare una corrente diversa da zero. Via via che la differenza di potenziale aumenta, anche l’intensità di corrente aumenta: i pochi ioni vengono accelerati dal campo elettrico e aumentano la loro velocità, mentre gli agenti ionizzanti producono nuovi ioni a un ritmo superiore a quello con cui essi raggiungono gli elettrodi. Conti-
Figura 22. All’interno di un tubo, nel quale vi è un gas, si affacciano due elettrodi collegati ai poli di un generatore elettrico che può fornire una differenza di potenziale variabile. Un amperometro misura l’intensità di corrente che attraversa il gas.
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Figura 23. Quando la differenza di potenziale raggiunge il valore ΔV*, caratteristico del gas, l’intensità di corrente aumenta bruscamente.
LA CORRENTE ELETTRICA
nuando ad aumentare la differenza di potenziale, a un certo punto l’intensità di corrente si stabilizza intorno a un valore costante detto corrente di saturazione. Questo fatto corrisponde a un equilibrio dinamico tra gli ioni prodotti e gli ioni che raggiungono gli elettrodi, cioè corrisponde alla situazione in cui il numero di cariche prodotte nell’unità di tempo uguaglia il numero di cariche che arrivano agli i scarica elettrodi nell’unità di tempo. Continuando ad aumentare la differenza di potenziale, si arriva ad un valore critico ΔV* al di sopra del quale l’intensità di corrente aumenta bruscamente e si ha una cosiddetta scarisaturazione 0
V ca elettrica (figura 23). In queste condizioni si produce una scintilla luminosa che si propaga nello spazio tra gli elettrodi, accompagnata da un tipico rumore secco. Dal punto di vista microscopico ciò corrisponde alla ionizzazione a valanga delle molecole del gas: l’intenso campo elettrico accelera gli ioni fornendo loro un’energia elevata al punto che urtando contro le molecole del gas possono ionizzarle a loro volta. Gli ioni prodotti sono, dunque, accelerati e ionizzano altre particelle e così via. La quantità di cariche in moto ordinato aumenta repentinamente e, con essa, aumenta l’intensità della corrente. L’emissione luminosa, il cui colore dipende dal gas, è dovuta al fatto che non tutte le particelle coinvolte negli urti ricevono energia sufficiente per essere ionizzate, ma assorbono temporaneamente tale energia, per poi restituirla sotto forma di luce. Cioè gli elettroni non ricevono energia sufficiente per abbandonare l’atomo, ma si allontanano temporaneamente dal nucleo, per poi tornare nella loro posizione di equilibrio rilasciando l’energia precedentemente assorbita, sotto forma di luce. La tabella 3 è un quadro riassuntivo sulla conduzione elettrica, in cui sono messi in evidenza i diversi tipi di cariche responsabili della corrente elettrica nei vari casi. LA CORRENTE ELETTRICA
Tabella 3. La corrente elettrica nella materia e nel vuoto è dovuta al moto ordinato di diversi tipi di cariche elettriche.
È UN MOTO ORDINATO DI CARICHE ELETTRICHE
conduttori
elettroni
negativi
semiconduttori
elettroni e lacune
negativi e positive
Nei liquidi
ioni
negativi e positivi
Nei gas
ioni
negativi e positivi
Nel vuoto
elettroni
negativi
Nei solidi
Dipendenza delle scariche elettriche dalla pressione Come abbiamo visto nella teoria cinetica dei gas, la pressione è una misura del numero di urti compiuti dalle particelle nell’unità di tempo. Quindi tanto maggiore è il valore della pressione, tanto minore è il cammino libero medio, cioè la distanza che in media le particelle percorrono senza compiere urti. Avendo poco spazio a disposizione tra un urto e l’altro, per raggiungere la stessa velocità (quindi per ricevere la stessa energia) le particelle devono essere sottoposte a un campo elettrico più intenso. A pres-
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LA CORRENTE ELETTRICA
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sioni maggiori, quindi, l’intensità del campo elettrico necessaria per avere una scarica elettrica è maggiore. Questa condizione può essere ottenuta aumentando la differenza di potenziale ΔV o riducendo la distanza d tra gli elettrodi; infatti dalla formula (2.16) si ricava che E
ΔV d
A pressioni molto basse, dell’ordine del migliaio di pascal, cioè del centesimo di atmosfera, non si ha più la scarica filiforme e rumorosa, ma l’emissione luminosa pervade silenziosamente tutto il tubo. Tale fenomeno è detto scarica a bagliore ed è usato nelle comuni lampade a gas per insegne (figura 24).
Figura 24. Le silenziose e luminose scariche a bagliore si ottengono con bassi valori della pressione del gas.
ESEMPIO f La cosiddetta alta tensione è una differenza di potenziale dell’ordine delle decine di migliaia di volt rispetto al potenziale di terra, usata spesso nella distribuzione elettrica, che richiede particolari accorgimenti di sicurezza. Se noi ci troviamo al potenziale V0 della Terra e ci avviciniamo a una distanza d da un conduttore che si trova a un potenziale VH, nello spazio interposto si misura un campo elettrico data dalla formula (2.16): E=
(V − V0 ) ΔV = H d d
che quindi ha un’intensità inversamente proporzionale a d e direttamente proporzionale a ΔV. L’aria secca può essere attraversata da una scarica per valori del campo elettrico di circa 3,0 106 V/m, ma l’umidità abbassa tale valore. A quale distanza minima da un conduttore di un elettrodotto che si trova a 400 kV ci si può avvicinare in aria secca senza rischio di scarica? SOLUZIONE d=
ΔV 400 × 103 V = = 0, 13 m = 13 cm E 3, 0 × 106 V/m
DOMANDA Un’automobile caricata per strofinio in aria secca ha una tensione di circa 10 kV. A quale distanza minima possiamo avvicinarci alla maniglia senza avvertire la scossa?
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LA CORRENTE ELETTRICA
Scariche elettriche in atmosfera Durante un temporale la bassa atmosfera diventa la sede di intense scariche elettriche a valanga, dette fulmini, che si sviluppano ramificandosi generalmente tra le nubi e il terreno. Le nubi si caricano negativamente nella parte bassa. La loro carica può diventare talmente elevata che la superficie terrestre, normalmente dotata di carica negativa, si carica positivamente per induzione elettrostatica. In tali condizioni si viene a creare un’elevatissima differenza di potenziale tra nubi e terreno, dell’ordine del centinaio di milioni di volt. Gli ioni normalmente presenti nell’aria possono essere accelerati dall’intenso campo elettrico diretto dal terreno alle nubi al punto da generare la scarica elettrica (figura 25). Il tuono che accompagna il fulmine è il rumore dovuto al violento spostamento d’aria che si origina intorno alla colonna di gas ionizzato che si riscalda e si espande.
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Figura 25. I fulmini sono scariche elettriche innescate dalla differenza di potenziale che c’è tra la parte bassa delle nubi, carica negativamente, e il terreno carico positivamente per induzione.
Minore è la distanza tra le nubi e il terreno, maggiore è l’intensità del campo elettrico a parità di elettrizzazione delle nubi. Inoltre, dato che le cariche tendono a concentrarsi sulle punte, diventando sede di campi elettrici più intensi che altrove, gli oggetti appuntiti sono particolarmente esposti alle scariche. Per questi motivi le vette dei monti, più vicine alle nubi e di forma appuntita, sono sedi di intense e frequenti scariche elettriche.
Conduzione elettrica nel vuoto Al di sotto di pressioni dell’ordine di 10–1-10–2 Pa, cioè 10–6-10–7 atm, il gas è talmente rarefatto che non vi è più un numero di ioni sufficienti a innescare la scarica elettrica. Tuttavia, in particolari condizioni, è possibile estrarre elettroni dal catodo, i quali, accelerati per mezzo del campo elettrico, costituiscono un flusso ordinato di cariche e quindi determinano un fenomeno di conduzione di elettricità nel vuoto.
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LA CORRENTE ELETTRICA
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Gli elettroni sono le cariche responsabili della conduzione elettrica nel vuoto. Il flusso di elettroni è visibile sotto forma di fluorescenza nella parete del tubo sulla quale urtano, dietro l’anodo. Essi, infatti, non essendo ostacolati nel loro movimento da altre particelle, riescono a raggiungere velocità elevatissime (dell’ordine di 108 m/s per differenze di potenziale dell’ordine di 104 V) e superano l’anodo senza subire particolari deviazioni: sulla parete del tubo che si trova dietro l’anodo si forma una regione fluorescente con una zona d’ombra dovuta alla schermatura dell’elettrodo stesso. La presenza dell’ombra fu messa in evidenza dall’inglese William Crookes (18321919) usando un anodo a forma di croce di Malta (figura 26).
Photo courtesy Harvard Natural Science Lecture Demonstrations
Figura 26. Gli elettroni estratti dal catodo vengono accelerati verso l’anodo dal campo elettrico e lo oltrepassano ad alta velocità, proiettando sul fondo del tubo l’ombra dell’elettrodo all’interno di una zona fluorescente.
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LA CORRENTE ELETTRICA
STORIA Napoleone e la scienza Non erano passati molti anni dalla Rivoluzione francese e la fiducia nella razionalità scientifica e nel progresso che ne deriva erano ormai parte di un nuovo modo di pensare. Napoleone stesso, che aveva assunto il compito di diffondere gli ideali della Rivoluzione nel resto d’Europa, non era esente da ammirazione per ogni soluzione tecnologica innovativa. Oltre che un entusiasta del progresso tecnologico, Napoleone era anche un sostenitore della ricerca scientifica. Ottimo studente di matematica presso le scuole militari di Brienne e di Parigi, dove ebbe la sua prima formazione, sapeva che il rigore della scienza era un elemento fondamentale anche per vincere una guerra. Egli tenne sempre in grande considerazione gli scienziati che incontrò durante il corso delle vicende della sua vita. Napoleone Bonaparte, 1769-1821.
Napoleone in Italia
Nel 1796 arrivò in Italia, dove cominciò a fondare le Repubbliche Sorelle, sul modello francese, entrando in contatto con gli scienziati italiani dell’epoca, ai quali spesso offrì incarichi politici. Tra essi il naturalista Lazzaro Spallanzani (1729-1799) e il matematico Lorenzo Mascheroni (1750-1800) del quale portò in Francia un libro sulla geometria del compasso. Non è chiaro se la lettura dell’opera abbia o meno ispirato l’elaborazione del teorema sui triangoli noto come teorema di Napoleone, tuttavia è emblematico l’interesse del generale per le questioni scientifiche e matematiche.
Napoleone in Egitto Nel 1798 napoleone invase l’Egitto e, fatto piuttosto insolito per una spedizione militare, aggregò all’invasione un folto numero di scienziati della Commission des Sciences et des Arts, guidato dal matematico Joseph Fourier. Si formarono quindi gruppi di ricerca sui più svariati argomenti, dalla fisica, alla chimica, dalla botanica all’archeologia, e in questo straordinario contesto fu ritrovata la stele di Rosetta, importantissimo documento per la linguistica. Se la spedizione in Egitto fu un disastro dal punto di vista militare, fu invece un indiscusso successo dal punto di vista propagandistico: Napoleone aveva sì finanziato la ricerca scientifica, ma ne aveva ricevuto in cambio prestigio e popolarità.
Nel 1800 Alessandro Volta inviò un manoscritto, nel quale erano descritti gli esiti delle sue ricerche sull’elettricità, alla Royal Society di Londra, annunciando l’invenzione della pila. L’importanza della sua scoperta fu subito chiara alla comunità scientifica e non solo: non c’è da stupirsi se Napoleone volle vederne gli effetti di persona. Nel 1801 Volta era a Parigi per soddisfare la curiosità del primo Console che, eccitato da quanto aveva visto, lo premiò con una medaglia d’oro e lo accolse come membro straniero dell’Institut de France. A Volta fu presto assegnata una pensione annua, fu nominato cavaliere della Legione d’Onore e fu compreso nel gruppo di uomini incaricati di stabilire l’ordinamento della Repubblica Cisalpina. In seguito ricevette la carica di Senatore del Regno d’Italia e il titolo di conte. La stima per Alessandro Volta era tale che anche dopo la caduta di Napoleone, gli austriaci gli affidarono la direzione degli studi filosofici dell’Università di Pavia. Alessandro Volta presenta la pila davanti a Napoleone. Illustrazione tratta da «Le Petit Journal».
DOMANDA Ancora prima dell’invenzione della pila, Volta era già uno stimato e apprezzato scienziato di livello internazionale. Nel 1794 fu insignito della prestigiosissima Medaglia Copley della Royal Society per le sue ricerche sui condensatori e l’effetto Volta. Quanti altri scienziati italiani hanno ricevuto tale onorificenza? Fai una ricerca sulla rete.
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Napoleone e Alessandro Volta
LA CORRENTE ELETTRICA
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INGEGNERIA La piezoelettricità Alcuni cristalli, quando vengono deformati, generano una differenza di potenziale ai loro capi: tale fenomeno è detto effetto piezoelettrico e si verifica per deformazioni dell’ordine dei nano metri. I cristalli che manifestano tale fenomeno presentano delle asimmetrie nella loro struttura e, quando vengono compressi o tirati per mezzo di forze esterne, si polarizzano e sulle facce opposte si distribuiscono cariche di segno opposto. Quando alcuni cristalli vengono deformati in determinate In questo modo il cristallo diventa una sorta di direzioni, tra le facce opposte si stabilisce una differenza di condensatore che immagazzina energia, ai capi potenziale che dipende da un fenomeno di polarizzazione del del quale vi è una differenza di potenziale che dicristallo stesso. pende dall’entità della deformazione. Tale effetto avviene lungo direzioni definite, perché dipende dalla caratteristiche microscopiche del reticolo cristallino, le cui celle si deformano tutte nella stessa direzione. La differenza di potenziale può dare origine a scintille, come avviene negli accendigas da cucina, o a una corrente elettrica, se le due facce del cristallo vengono collegate con un conduttore.
Energia alternativa?
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La pressione dei piedi durante le danze deforma il pavimento piezoelettrico, generando differenze di potenziale utilizzate per illuminare la discoteca.
Hellen Sergeyeva / Shutterstock
Grazie all’effetto piezoelettrico l’energia meccanica viene dunque trasformata in energia potenziale elettrica in modo molto semplice e immediato: basta infatti una semplice pressione su un materiale piezoelettrico per generare una differenza di potenziale utilizzabile. Ciò lascia dunque pensare a strategie alternative per la produzione di energia utile alle attività della civiltà moderna. Tra le soluzioni più avveniristiche c’è quella della discoteca olandese Off-Corso di Rotterdam, con il suo pavimento piezoelettrico che, grazie alle ripetute pressioni dei piedi durante il ballo, alimenta i circuiti dell’intero locale. La stessa strategia è utilizzata in diverse stazioni delle metropolitane di Tokio e di Londra, dove i test in corso da alcuni anni stanno dando risultati soddisfacenti. Sulla stessa linea possono essere pensati marciapiedi piezoelettrici per alimentare l’illuminazione cittadina recuperando parte dell’energia cinetica dei pedoni e sono in corso studi di progetti per la realizzazione di fondi piezoelettrici per strade e ferrovie.
DOMANDA L’effetto piezoelettrico è sfruttato in semplici dispositivi nei quali la differenza di potenziale è causa di scintille usate per accendere una fiamma. Che differenza c’è tra una scintilla e una corrente elettrica? Rispondi in 10 righe.
111 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
4
LA CORRENTE ELETTRICA
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO La panacea elettrica Misteriosi effetti dell’elettricità
Un fluido vitale?
Nel Settecento il corpo umano era largamente usato come rivelatore di elettricità: le scosse elettriche provocate dalla scarica di corpi elettrizzati facevano contrarre i muscoli involontariamente e avvertire sensazioni dolorose. Molti subirono scosse talmente intense da risentirne in modo significativo, come accadde alla moglie di Heinrich Winkler (1703-1770), l’ideatore di una efficace macchina elettrostatica capace di ottenere elevate differenze di potenziale. La donna si sottopose alla vigorosa scarica di una bottiglia di Leida, caricata con la macchina del marito, ed ebbe forti convulsioni che la debilitarono al punto che si riprese dopo 8 giorni. Nonostante gli evidenti effetti collaterali, tuttavia, erano in molti a voler provare l’ebbrezza della scossa: la moda dell’elettricità era talmente diffusa che sperimentare conseguenze estreme era considerato un divertimento. C’era anche chi vendeva dispositivi per provocare scosse e chi, possedendo la strumentazione adatta, le dispensava a pagamento. Ovviamente all’epoca non c’erano ancora conoscenze solide e approfondite sulla natura dell’elettricità e non si sapeva a che cosa fossero dovuti i vistosi effetti sperimentati sul corpo umano e animale. Tuttavia erano talmente evidenti che molti cominciarono a pensare che l’elettricità potesse avere anche qualche virtù straordinaria.
Nel corso del XIX secolo l’elettricità si affermò come soluzione per diverse esigenze: dalla comunicazione a distanza all’illuminazione. Non è difficile immaginare che l’entusiasmo per le grandi novità introdotte abbia nutrito le più alte aspettative nei suoi confronti e, tra esse, innumerevoli aspettative di guarigione dalle più disparate infermità. Le contrazioni muscolari involontarie indotte dal passaggio di corrente elettrica nell’organismo, fecero pensare immediatamente alla possibilità di usare l’elettricità per riabilitare il corpo dalla paralisi; il torpore successivo a una scossa suggerì invece l’uso dell’elettricità per la cura delle malattie psichiche. Iniziò a farsi largo in diversi ambienti, sia popolari che medici, l’idea che l’elettricità fosse una sorta di «fluido vitale», capace quindi di rinvigorire un organismo depresso, di placarlo quando esaltato, o di modificare il corso delle sue funzioni volgendole verso la salute. Proliferarono macchine elettriche curatrici e, con esse, anche i ciarlatani dell’elettricità. Accanto a cure i cui effetti erano controllati con metodi scientificamente accreditati, vi erano cure elettriche improvvisate e fantasiose, capaci comunque di sedurre un gran numero di clienti con promesse di miracolose guarigioni. Una cintura elettrica di fine Ottocento per la cura dei disturbi della virilità.
Macchina magnetoelettrica di Clarke, la prima ad essere usata per elettroterapia.
PAROLA CHIAVE
Corrente elettrica
DOMANDA Fra le armature di una bottiglia di Leida e i poli di un generatore di tensione vi è la stessa differenza di potenziale. Che cosa accade nei due casi quando le armature opposte e i poli opposti sono collegati tra loro per mezzo di un conduttore?
PAROLA CHIAVE
Conduzione elettrica
DOMANDA Quali cariche sono responsabili della conduzione all’interno del corpo umano? Spiega in 5 righe.
112 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA CORRENTE ELETTRICA
4
Deboli correnti
Alla ricerca di spiegazioni
La scoperta della pila di Volta permise di abbandonare le intense scosse provocate dalle bottiglie di Leida, per usare invece correnti più deboli e meno traumatiche. Nella prima metà del XIX secolo era usanza comune praticare il cosiddetto bagno elettrico per stimolare alcune funzioni, o per curare i reumatismi o per riattivare la circolazione del sangue. Si trattava dell’immersione di alcune parti del corpo in celle voltaiche, che venivano così collegate tra loro mentre nel paziente fluiva una debole corrente elettrica. Parallelamente allo sviluppo delle conoscenze sull’elettricità si sviluppò la cosiddetta elettroterapia, cioè la terapia per mezzo di correnti alternate o continue, con diversa efficacia a seconda dei casi, utilizzata ancora ai nostri giorni seppure con modalità diverse. Nel XX secolo esistevano strumenti elettrici di ogni tipo, venduti anche in versione casalinga, da usare senza l’intervento di un medico, come per esempio l’energo, costruito a Torino dai primi anni Venti. Si trattava di una serie di pile collegate a un regolatore capace di variare l’intensità della corrente continua erogata, a seconda delle esigenze, e due elettrodi da applicare alla zona interessata. L’apparecchio era reclamizzato e venduto come capace di curare ben 173 patologie, dal mal di denti al mal di reni.
La risposta del corpo agli stimoli elettrici ha una spiegazione fisica. Il fisiologo tedesco Emil Du Bois-Reymond (1818-1896) studiò il sistema nervoso e muscolare giungendo alla conclusione che si trattava di una sorta di «rete» elettrica paragonabile a quella telegrafica. Egli osservò cioè che gli impulsi nervosi viaggiavano all’interno del corpo umano così come gli impulsi elettrici viaggiavano tra le stazioni del telegrafo. Tale concezione guidò le sue osservazioni e gli permise di dare un grosso contributo alla costruzione dell’elettrofisiologia, cioè allo studio scientifico del corpo dal punto di vista elettrico. Negli stessi anni il francese Guillaume-Benjamin-Amand Duchenne (1806-1875) attraverso studi dello stesso tipo approfondì l’analisi delle espressioni del volto, scoprendo diverse tipologie di sorrisi. Rispetto ai sorrisi di cortesia, i sorrisi genuini (detti sorrisi Duchenne) si riconoscono perché coinvolgono una grande quantità di muscoli facciali, dagli angoli della bocca fino alle zone intorno agli occhi.
Collezione Rocchini Dumas
Duchenne applicava degli elettrodi molto appuntiti a determinati punti del volto e stimolava i muscoli sottostanti in modo da provocarne la contrazione. In questo modo catalogò i muscoli della faccia e studiò le espressioni corrispondenti.
Apparecchio elettrogalvanico della ditta Energo di Torino.
PAROLA CHIAVE
Generatore di tensione
DOMANDA Quando si collegano tra loro le armature di una bottiglia di Leida, essa si scarica velocemente, mentre un generatore di tensione è in grado di mantenere più a lungo una differenza di potenziale costante tra i suoi poli. Spiega in 10 righe come ciò avviene nel caso di una pila di Volta.
113 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI simbolo è un
LA PILA
GENERATORE DI TENSIONE
V
trasforma l’energia potenziale chimica in energia potenziale elettrica
MANTIENE AI SUOI CAPI UNA DIFFERENZA DI POTENZIALE COSTANTE
collegando un conduttore ai capi di un generatore di tensione, al suo interno scorre una
di intensità CORRENTE ELETTRICA
i=
ΔQ Δt
si misura in ampere (A) 1A=
1C 1s
è un moto ordinato di cariche elettriche
all’interno di un campo elettrico
le CARICHE POSITIVE si muovono verso i punti a POTENZIALE MINORE
V
le CARICHE NEGATIVE si muovono verso i punti a POTENZIALE MAGGIORE
V
V
V V
i
il verso della corrente elettrica è opposto al moto degli elettroni
114 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA CORRENTE ELETTRICA
4
LA CONDUZIONE ELETTRICA NEI SOLIDI conduttori
isolanti non consentono il passaggio di corrente
semiconduttori le cariche responsabili della conduzione sono gli ELETTRONI e e le LACUNE
le cariche responsabili della conduzione sono gli ELETTRONI e
non vi sono cariche libere di muoversi
elettrone
e
e lacuna
elettrone ione positivo
e
legame covalente
e →
E 0
NEI LIQUIDI le cariche responsabili della conduzione sono gli ioni
e
elettroni
i
una SOLUZIONE ELETTROLITICA è una soluzione acquosa in cui sono dispersi ioni
anodo
e
i
catodo
NEI GAS le cariche responsabili della conduzione sono gli ioni catodo
anodo
i
scarica
amperometro generatore
e
e
corrente crescente con ΔV corrente di saturazione
0
saturazione
V
scarica elettrica
NEL VUOTO le cariche responsabili della conduzione sono gli elettroni
e
115 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
20 test (30 minuti)
4 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI f Ricava la relazione tra la corrente i che circola nel conduttore e la velocità di deriva degli elettroni.
GALVANI E VOLTA, DALLE RANE ALLE PILE
DOMANDE
(Suggerimento: ricava e calcola la corrente sapendo che il numero totale N di elettroni che attraversano il conduttore cilindrico è dato dalla formula N nV (V è il volume del cilindro di sezione S e di altezza vΔt) e la carica totale ΔQ associata agli N elettroni è pari a ΔQ Ne).
Come era strutturata la pila costruita da Volta?
1
2 La pila di Volta e la bottiglia di Leida possono en-
trambe generare una scarica elettrica, descrivi le similitudini di questi due apparati e le loro principali differenze in termini di corrente elettrica continua. Rispondi in 5 righe.
[i neSv]
9 Attraverso una sezione di un conduttore transitano
6,3 1022 elettroni in un’ora.
3 Gli studi condotti da Volta dopo le esperienze di Gal-
vani portarono alla conclusione che per determinate coppie di metalli l’effetto osservato era più evidente. Cerca di dare, in massimo 5 righe, una spiegazione in termini chimici, a questa osservazione.
10 Una sfera conduttrice di raggio 1,0 m è difettosa per-
4 Gli esperimenti di Volta sono l’ennesima conferma
ché disperde il 90% della corrente di 1,0 A introdotta in essa attraverso un filo.
f Calcola l’intensità di corrente. [2,8 A]
della validità di un principio generale che si ha in Fisica che riguarda l’energia. Di che principio si tratta e perché?
2
LA CORRENTE ELETTRICA
f Qual è il valore del potenziale sulla superficie della sfera dopo 1,0 ns? [0,9 V]
3
DOMANDE
CONDUZIONE ELETTRICA NEI SOLIDI
DOMANDE
5 I conduttori che si usano per il trasporto della cor-
rente, per esempio i fili che passano nei muri degli appartamenti, sono fatti di rame o di altro materiale che consente solo il moto degli elettroni (detti di conduzione). Se il verso della corrente corrisponde a quello delle cariche positive, nei fili si ha passaggio di corrente? Come si giustifica la scelta del verso della corrente? 6 Parlando di corrente continua, oltre a considerare la
carica elettrica e il tempo, che compaiono esplicitamente nella formula dell’intensità di corrente, si fa riferimento al moto ordinato delle cariche e alla presenza della sezione di un conduttore. Spiega perché questi due concetti sono necessari per descrivere la corrente.
11 I metalli sono dei buoni conduttori di corrente poiché
la loro struttura a reticolo permette il movimento degli elettroni di conduzione. In assenza del campo elettrico esterno gli elettroni di conduzione sono fermi? 12 Descrivi le principali differenze nella struttura dei
conduttori, semiconduttori e isolanti e il conseguente comportamento dei rispettivi portatori di carica in presenza di un campo elettrico.
CALCOLI 13 Un protone di 1000 MeV sta viaggiando nello spazio.
f Calcolare la sua energia in Joule. [1,6 10–10 J]
14 Il lavoro di estrazione del sodio è pari a 2,36 eV.
f Calcola il potenziale di estrazione.
CALCOLI
[2,36 V]
7 La sezione di un filo conduttore di rame è attraversa-
ta da una carica Q 250 mC al minuto. f Qual è l’intensità di corrente che attraversa il filo? [4,2 mA]
8 Un conduttore è lungo ᐉ e ha sezione S. In questo
conduttore si hanno n cariche per unità di volume e ogni carica ha valore uguale alla carica dell’elettrone.
15 Riscaldiamo un filamento di nichel fornendogli un’e-
nergia pari al lavoro di estrazione. Gli elettroni vengono accelerati da un campo elettrico di 5,7 nV/m. f Calcola l’accelerazione che subisce l’elettrone. [1,0 103 m/s2]
16 Una lastra di platino (lavoro di estrazione 5,12 eV) è
illuminata da una radiazione luminosa che fornisce un’energia che è il doppio del lavoro di estrazione.
116 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA CORRENTE ELETTRICA f Trascurando ogni effetto dissipativo e quindi supponendo che tutta l’energia della luce passi agli elettroni degli atomi superficiali della piastra, calcolare la velocità con cui si allontanano gli elettroni. [1,3 10 m/s]
5
4
CONDUZIONE ELETTRICA NEI GAS E NEL VUOTO
DOMANDE
6
23 Quali sono le cariche responsabili della conduzione
elettrica nei gas?
4
CONDUZIONE ELETTRICA NEI LIQUIDI
24 Attraverso quali meccanismi un atomo all’interno
di un gas può diventare uno ione positivo o negativo?
DOMANDE 17 Non tutte le sostanze si possono sciogliere in acqua
25 Nelle lampade a gas il passaggio di corrente cresce
e quindi per definizione non possono essere elettroliti. Però esistono delle sostanze, tipicamente organiche, che si sciolgono perfettamente in acqua ma nelle quali non si riesce a far circolare corrente. Perche?
all’aumentare della differenza di potenziale tra gli elettrodi che sono ai capi della lampada in cui è posto il gas. Aumentando la differenza di potenziale si può arrivare a ottenere una corrente molto intensa che si chiama corrente di scarica. Secondo te, perché non si utilizza questo alto valore di corrente in tutte le lampade? Spiega in 5 righe.
18 Il processo di dissociazione elettrolitica è la rottura
dei legami ionici delle molecole che erano inizialmente legate dall’attrazione dovuta alle cariche opposte che posseggono. Schematizzando gli ioni con delle palline di carica diversa, descrivi in termini di forze il motivo per cui in acqua i legami ionici degli elettroliti sono più deboli. 19 La legge di Faraday lega la massa (visibile) prodotta
in un elettrodo durante l’elettrolisi alla carica (non visibile) trasferita all’elettrodo. Puoi spiegare questi risultati in termini di struttura atomica della materia?
26 I gas sono tipicamente neutri e quindi non è imme-
diato far transitare una corrente al loro interno. La zona dell’atmosfera terrestre chiamata «ionosfera» è ricca di questi ioni la cui presenza è causata dall’interazione dei raggi cosmici con le molecole dell’aria. Perché non si assiste a continue scariche elettriche in quella zona? Spiega in 5 righe. 27 Perché i responsabili della conduzione dell’elettricità
nei gas sono sia ioni positivi che ioni negativi? 28 Quali sono le cariche responsabili della conduzione
CALCOLI
elettrica nel vuoto?
20 Una cella elettrolitica a idrossido d’argento AgOH è
attraversata da una carica Q 892 C. In acqua AgOH si dissocia in Ag e OH. f Calcola la quantità di Ag che si deposita su uno dei due elettrodi (ricava la massa atomica dell’argento dalla tavola periodica).
CALCOLI 29 I treni vengono alimentati, tramite il pantografo, dai
cavi aerei la cui tensione è di circa 3,0 kV.
[1,0 g]
21 La stessa cella elettrolitica dell’esercizio 20 è attraver-
sata da una corrente di 14,9 A per circa due minuti. f Quanto Ag si deposita su uno dei due elettrodi in questo intervallo di tempo? Henry Mühlpfordt
[2,0 g]
22 Una cella elettrolitica a idrossido di sodio NaOH è
attraversata dalla corrente di 100 A per un certo intervallo di tempo. In acqua l’idrossido di sodio si dissocia in ioni Na e OH. f Se la quantità di Na che si è deposita su uno dei due elettrodi è di circa 0,6 g, per quanto tempo è transitata la corrente?
f In aria secca, a 1,0 cm dai cavi, quanto vale il campo elettrico? [3,0 105 V/m]
30 All’interno di un condensatore piano di sezione [25 s]
S 1,6 m2 e distanza fra le armature d 8,9 cm è
117 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
4 ESERCIZI posta dell’aria secca con εr di valore circa pari a 1. Per un certo tempo l’aria si ionizza e un campo elettrico fa migrare gli ioni formati. Al termine del processo di carica, trascurando i fenomeni di induzione e i fenomeni dissipativi, si vede che la differenza di potenziale a cui si è caricato il condensatore è V 10 V.
duzione di corrente. Perché? Prova a spiegarlo in termini di elettroni. 34 Uno degli accorgimenti che si raccomandano nell’u-
tilizzo degli elettrodomestici è quello di non utilizzarli se abbiamo le mani bagnate. Perché? 35 Nei solidi, nei liquidi e nei gas la conduzione della
f Se gli ioni hanno carica elementare quante coppie di ioni si non formati?
corrente elettrica avviene con modalità diverse: descrivi in dettaglio le differenze e il motivo di tali differenze.
(Suggerimento: determina la capacità del condenS d
satore mediante la formula C ε0εr ; tramite que-
36 Le locomotive elettriche sono connesse all’alta ten-
sto dato si può ricavare la carica Q CΔV accumulata su un’armatura.)
sione che circola nei fili lungo la tratta ferroviaria per mezzo di un dispositivo, detto «pantografo». È necessario che il pantografo sia a contatto con il filo? Esponi in 5 righe.
[1,0 1010 coppie]
31 Fra le armature di un condensatore è posto un die-
lettrico di costante dielettrica relativa pari a 1. Tramite delle radiazioni ionizzanti vengono create 1,0 1014 coppie di ioni di carica elementare al secondo. Solo il 50% degli ioni non si ricombina e riesce a raggiungere le armature che hanno una certa differenza di potenziale V.
PROBLEMI 37 Una lastra di platino è illuminata da una radiazione
luminosa che fornisce l’energia di ionizzazione agli elettroni degli atomi superficiali della lastra. Gli elettroni vengono successivamente accelerati da un campo elettrico E 5,7 10–6 V/m, perpendicolare alla piastra, grazie al quale arrivano a uno schermo posto a una certa distanza in un tempo Δt 1,0 10–3 s.
f Calcola l’intensità di corrente che circola nel circuito. [1,6 10–5 A]
f Calcolare la velocità d’arrivo sullo schermo.
ESERCIZI DI RIEPILOGO
[1,0 103 m/s]
38 All’interno di un condensatore piano di sezione
DOMANDE
S 1,0 m2 e distanza d 1,0 m è messo un mezzo gassoso di costante dielettrica relativa εr . Per un certo tempo si ionizza il mezzo con un campo elettrico che fa migrare gli ioni formati. Al termine del processo, trascurando i fenomeni di induzione, si vede che la differenza di potenziale a cui si è caricato il condensatore è ΔV 1,0 102 V, gli ioni che si formano hanno il doppio della carica elementare e sono 3,0 109 coppie.
32 È esperienza quasi quotidiana, soprattutto fuori dal-
le città, vedere i volatili (piccioni, gazze ecc.) che si rilassano fermi sui fili dei tralicci dell’alta tensione. Come è possibile che non rimangano fulminati?
f Quanto vale εr? Lajosch Industries / Shutterstock
[1,1]
33 I semiconduttori sono degli isolanti che in partico-
lari condizioni possono condurre corrente. Il silicio è un semiconduttore ma allo stato puro tutti gli elettroni degli atomi di silicio sono impegnati in legami atomici. Inserendo un «drogaggio» cioè atomi di un altro materiale (circa il 5%) si ottiene la con-
39 In un tubo a vuoto è posto un filamento di metallo
che viene scaldato. L’energia che ricevono gli atomi del metallo segue la legge E bT dove b 2,0 10–21 J/K e T è la temperatura espressa in kelvin. Il filamento viene tenuto alla temperatura di 400 K e si nota che gli elettroni escono dal filamento con energia cinetica di 6,4 10–19 J. f Quanto vale l’energia d’estrazione? [1,0 eV]
40 Un fascio di elettroni entra con velocità iniziale di
4,1 107 m/s all’interno di un condensatore piano
118 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA CORRENTE ELETTRICA ad armature quadrate di lato 10 cm e poste alla distanza di 1,0 mm tra loro. Il fascio entra in un punto a metà della distanza tra le due armature e in direzione parallela alle armature. Il campo elettrico è diretto dall’armatura posta più in basso verso quella posta più in alto. f Quanto deve valere la minima differenza di potenziale affinché il fascio non esca dal condensatore ma vada a urtare una delle due armature? [10 000 V]
41 Due celle elettrolitiche sono alimentate da due ge-
neratori di corrente identici che forniscono la stessa intensità di corrente. Una cella elettrolitica contiene idrossido d’argento AgOH mentre l’altra NaOH. Le due correnti attraversano le celle in un tempo Δt1 per la cella AgOH e Δt2 1,5 s per la cella NaOH.
4
VERSO L’UNIVERSITÀ 1
Il passaggio di corrente elettrica attraverso una soluzione acquosa è legato al moto di: A elettroni nel verso opposto a quello convenzionale della corrente. B ioni positivi e negativi nel verso della corrente. C ioni positivi nel verso della corrente ed elettroni nel verso opposto. D ioni positivi nel verso della corrente e ioni negativi nel verso opposto. E ioni positivi nel verso della corrente in assenza di moto di tutte le altre cariche.
(Prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria, 1997/1998)
f Sapendo che agli elettrodi di ciascuna delle due celle si depositano 20 g di Ag e 30 g di Na, calcola Δt1. [0,2 s]
119 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
I circuiti elettrici
“
A very intense emotion will often bring with it powerful compelling images, wich may determine the whole course of life, sweeping aside all contrary solicitations to the will by their capacity for exclusively possessing the mind.
”
Bertrand Russell, The anaysis of mind, 1921
Edvard Munch L’urlo, 1894.
PAROLE CHIAVE Forza elettromotrice Resistenza elettrica Circuito elettrico
Un grido di angoscia riempie la tela. E chi guarda si sente stringere alla gola: il cervello elabora il segnale visivo, che viaggia sotto forma di segnale elettrico, e risponde con un altro segnale elettrico che coinvolge tutto il corpo. Il cervello è una complessa rete elettrica, formata da un centinaio di miliardi di cellule, dette neuroni, interconnesse tra loro, attraverso la quale ricordiamo, apprendiamo, pensiamo, proviamo emozioni... In questo capitolo ci accontenteremo di definire e studiare circuiti elettrici sui quali siamo in grado di svolgere calcoli e fare previsioni con poche semplici regole di facile acquisizione. All’interno di un circuito elettrico le cariche scivolano lungo le «discese» del campo elettrico, mentre un generatore di tensione (una pila, per esempio) mantiene una differenza di potenziale costante, cioè riporta «in alto» le cariche in modo che possano continuare la «discesa» con un moto ininterrotto.
La differenza di potenziale che c’è tra i poli di un generatore è detta forza elettromotrice e garantisce, di volta in volta, il ripristino del «dislivello elettrico» che fa muovere le cariche. Tale movimento è quindi favorito dalla differenza di potenziale che c’è tra i poli del generatore, ma è in qualche modo ostacolato dalla natura dei conduttori attraversati. Non tutti i corpi conducono elettricità allo stesso modo: alcuni offrono una maggiore resistenza elettrica al passaggio della corrente, cioè l’intensità di corrente che si misura al loro interno è minore che in altri casi, a parità di differenza di potenziale. In questo capitolo imparerai a schematizzare semplici circuiti elettrici in cui scorre una corrente continua e a svolgere su di essi i calcoli necessari per determinare le grandezze elettriche relative a ogni componente.
120 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
I CIRCUITI ELETTRICI
1
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LA FORZA ELETTROMOTRICE
La cascata (1961) è una celebre litografia di Maurits Cornelis Escher, in cui è rappresentato il concetto di moto perpetuo (figura 1). Un inganno della percezione ci mostra uno strano circuito idraulico «impossibile» in cui l’acqua aziona le pale di un mulino e torna spontaneamente ad alimentare la stessa cascata. La disposizione delle colonne ci tende un tranello inviando al cervello indizi visivi contraddittori che ci inducono a ricostruire mentalmente uno spazio tridimensionale assurdo. Ma la conoscenza della fisica ci aiuta a non cadere vittime dell’imbroglio: al disegno di Escher manca qualcosa. L’acqua non risale spontaneamente un pendio e l’unica cosa che può fare, abbandonata a se stessa nel campo gravitazionale terrestre, è cadere. Solamente un pompa idraulica, che utilizzi energia e la→ campo g gravitazionale vori nel verso contrario alle linee del campo può restituire all’acqua l’energia potenziale pompa gravitazionale perduta lunidraulica go la discesa. Per fare ciò la pompa deve spingere l’acqua nel verso opposto rispetto al campo gravitazionale, mentre lungo la cascata il moto ha lo stesso verso del campo gravitazionale (figura 2). Per far scorrere le cariche elettriche in modo che la corrente elettrica sia continua bisogna fare una cosa analoga. L’equivalente della pompa idraulica è, in questo caso, il generatore di tensione, del quale la pila di Volta è un esempio. Il generatore compie lavoro contro le forze del campo elettrico, spingendo le cariche nel verso opposto rispetto a quello che avrebbero se fossero lasciate a se stesse. Ovviamente i concetti di «alto» e di «basso» che ci servono per ragionare nel campo gravitazionale terrestre, vanno riconsiderati alla luce del fatto che le cariche elettriche possono essere positive o negative e quindi possono respingersi o attrarsi reciprocamente. Comunque l’analogia funziona bene: se colleghiamo i poli opposti di un generatore con un filo conduttore, le cariche negative si muovono nel filo verso il polo positivo, attratte
Figura 1. La cascata perpetua di Escher inganna la percezione, ma non viola il secondo principio della termodinamica, per il quale il moto perpetuo è impossibile.
Figura 2. La pompa trasferisce energia all’acqua, la quale raggiunge una quota a potenziale più elevato e può tornare a cadere. Il moto dell’acqua sotto l’azione della pompa è opposto al campo gravitazionale.
121 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
5 Figura 3. Nel conduttore le cariche negative si muovono verso il polo di segno opposto, mentre nel generatore si muovono contro la forza elettrica, verso il polo dello stesso segno, in modo da ripristinare la differenza di potenziale tra i poli.
I CIRCUITI ELETTRICI
dalle cariche di segno opposto, mentre si muovono in direzione contraria all’interno del generatore, ripristinando la differenza di potenziale tra i poli (figura 3). La grandezza che quantifica la differen za di potenziale che è in grado di mantenere un generatore ai capi di un condutgeneratore tore è detta forza elettromotrice. La forza elettromotrice (fem) è pari alla differenza di potenziale ΔV che esiste tra i poli del generatore quando non sono collegati tra loro, ed è equivalente al lavoro che si deve compiere su una carica elettrica positiva unitaria per spostarla dal polo negativo al polo positivo del generatore contro il campo elettrico. Se la carica è positiva, allora la forza elettromotrice è il lavoro per spostarla dal polo negativo a quello positivo, mentre se la carica è negativa è il lavoro compiuto per spostarla dal polo positivo al polo negativo. La forza elettromotrice fem di un generatore è il rapporto tra il lavoro L compiuto per spostare una carica q tra i suoi poli e la carica q stessa. fem
L q
(5.1)
L’unità di misura della forza elettromotrice è il joule su coulomb, cioè il volt.
ESEMPIO f Ai capi di una pila «stilo» si misura una differenza di potenziale di 1,5 V. Qual è il lavoro compiuto per spostare una carica pari a e tra il polo negativo e il polo positivo della pila? Qual è dunque la forza elettromotrice della pila? SOLUZIONE Il lavoro compiuto per portare la carica e dal polo negativo al polo positivo è opposto al lavoro del campo elettrico per spostare la stessa carica dal polo positivo al polo negativo. Dalla formula (2.15): L e ΔV 1,5 V 1,6 10–19 C 2,4 10–19 J sostituendo questo valore nella formula (5.1) otteniamo f em ossia 1,5 V. La forza elettromotrice della pila è quindi pari a ΔV.
ΔV e e
DOMANDA La forza elettromotrice è una forza? Motiva la risposta in 5 righe.
122 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
I CIRCUITI ELETTRICI
2
5 IN LABORATORIO
LA RESISTENZA ELETTRICA
Quando applichiamo una differenza di potenziale ai capi di un conduttore, cioè quando colleghiamo quest’ultimo ai poli di un generatore, al suo interno circola una corrente elettrica con continuità. In tali condizioni si verifica che, al variare della differenza di potenziale, cambia anche l’intensità di corrente nel conduttore.
Le leggi di Ohm Video (6 minuti) Test (3 domande)
La prima legge di Ohm In molti casi tra la differenza di potenziale ΔV ai capi del conduttore e l’intensità di corrente i che circola al suo interno, vi è una semplice relazione matematica di proporzionalità (figura 4). Cioè all’aumentare di ΔV aumenta anche i, in modo che il loro rapporto sia costante per ogni conduttore.
i (A) Figura 4. Quando l’intensità di corrente e la differenza di potenziale sono direttamente proporzionali, il loro grafico su un piano (ΔV, i) è una retta che passa per l’origine.
0
V (V)
ΔV costante i I conduttori per i quali è valida questa regola, nota come prima legge di Ohm, sono detti ohmici. La differenza di potenziale ΔV applicata ai capi di un conduttore ohmico è direttamente proporzionale all’intensità di corrente i che circola nel conduttore. (5.2) ΔV Ri La costante di proporzionalità R è detta resistenza elettrica, la cui unità di misura è l’ohm (Ω): 1Ω
1V 1A
La resistenza R è una misura di quanto il conduttore «si opponga» al passaggio di corrente. Da un punto di vista microscopico la resistenza si spiega tenendo conto del fatto che all’interno del conduttore gli ioni del reticolo cristallino oscillano a causa dell’agitazione termica; maggiore è l’agitazione termica, maggiore sarà la resistenza che gli ioni del reticolo oppongono agli elettroni di conduzione. Se infatti applichiamo la stessa differenza di potenziale ΔV ai capi di due conduttori che hanno resistenze R1 R2, le intensità di corrente al loro interno sono i1
ΔV R1
i2
SIMULAZIONE La resistenza elettrica (PhET, University of Colorado)
ΔV R2
cioè i1 i2
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5
I CIRCUITI ELETTRICI
ESEMPIO f Una differenza di potenziale di 2,5 V viene applicata rispettivamente a un conduttore di resistenza R1 10 Ω e a un conduttore di resistenza R2 50 Ω. Quali sono le intensità di corrente i1 e i2 che attraversano rispettivamente i conduttori? i1
i2
R1
R2
V
V
SOLUZIONE Dalla prima legge di Ohm abbiamo che: i1 =
ΔV 2, 5 V = = 2, 5 × 10−1 A 10 Ω R1
i2 =
ΔV 2, 5 V = = 5, 0 × 10−2 A 50 Ω R2
DOMANDA Quanto vale la resistenza R3 di un terzo conduttore che è attraversato da una corrente di 40 mA quando ai suoi capi è applicata la stessa differenza di potenziale?
La seconda legge di Ohm Figura 5. a. La resistenza di un conduttore è direttamente proporzionale alla sua lunghezza. b. La resistenza di un conduttore è inversamente proporzionale all’area della sua sezione. c. La resistenza di un conduttore dipende dal materiale con cui è fatto.
La resistenza è una grandezza caratteristica del conduttore e dipende dalla sua forma, oltre che dal materiale di cui è composto. Misure di intensità di corrente e di differenza di potenziale effettuate su fili conduttori di diversi materiali, diverse lunghezze e sezioni attraversati da corrente mostrano un comportamento noto come seconda legge di Ohm. La resistenza elettrica R di un filo conduttore è direttamente proporzionale alla sua lunghezza ᐉ e inversamente proporzionale all’area della sua sezione trasversale S. R
ρ
C S
(5.3)
a
R1
R1 R2
R2 b
R1
R1 R2
R2 c
R1
rame
R2
carbonio
R1 R2
La costante di proporzionalità ρ, detta resistività specifica, si misura in ohm per metro (Ω m). A parole: s a parità di materiale e di sezione trasversale, un filo più lungo ha una resistenza elettrica maggiore di un filo più corto (figura 5a); s a parità di materiale e di lunghezza, un filo più sottile ha una resistenza maggiore di un filo più spesso (figura 5b); s a parità di lunghezza e di spessore del filo la resistenza dipende dal materiale con cui è fatto (figura 5c).
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I CIRCUITI ELETTRICI
ESEMPIO f Quanto è lunga la mina di grafite di una matita che a 20 °C ha una sezione di 1,8 mm2 e una resistenza di 1,3 Ω? Si assuma il valore 1,4 10–5 Ωm per la resistività specifica della grafite a 20 °C. SOLUZIONE Invertendo la seconda legge di Ohm (formula (5.3)) rispetto alla lunghezza ᐉ del conduttore, si ha:
C=
−6
SR 1, 8 × 10 m × 1, 3 Ω = = 0, 17 m = 17 cm ρ 1, 4 × 10−5 Ω ⋅ m 2
DOMANDA Qual è la resistenza di un filo di rame che ha lo stesso spessore e la stessa lunghezza della mina della matita? La resistività specifica ρ è una grandezza caratteristica del materiale che dà una misura di quanto il reticolo cristallino del conduttore ostacoli il movimento delle cariche elettriche. Per questo, oltre a dipendere dal materiale, dipende dalla sua temperatura: in particolare per i conduttori aumenta all’aumentare dell’agitazione termica. In tabella 1 sono riportate le resistività specifiche di alcuni materiali alla temperatura di 20 °C.
5 Materiale
Resistività (Ω m)
argento
1,62 10–8
rame
1,69 10–8
oro
2,35 10–8
alluminio
2,75 10–8
tungsteno
5,25 10–8
ferro
9,68 10–8
platino
10,6 10–8
carbonio
3,5 10–5
silicio
2,5 103
polistirene
107-1011
porcellana
1010-1012
vetro
1010-1014
teflon
1014
Tabella 1. Resistività specifiche di alcuni materiali alla temperatura di 20 °C.
La resistività come proprietà termometrica La resistività specifica dei materiali varia con la temperatura. Fissato come valore di riferimento quello della resistività specifica alla temperatura di 20 °C (ρ20°C), si verifica sperimentalmente che in un ampio intervallo di temperatura, lontano dal punto di fusione del materiale, vale la relazione: ρ(T) ρ20°C (1 α ΔT)
(5.4)
I superconduttori Si verifica sperimentalmente che al diminuire della temperatura, nella maggior parte dei materiali la resistività specifica tende a un valore costante. Tuttavia in alcuni casi, non appena la temperatura scende al di sotto di un valore critico, la resistenza del conduttore si annulla bruscamente. Questo
Freddy Eliasson / Shutterstock
dove α, misurato in K–1, è un coefficiente che dipende dal materiale e ΔT è la variazione di temperatura rispetto a quella di riferimento T 20 °C. La formula (5.4) è una legge empirica, valida in misura diversa entro limiti definiti per ogni materiale, ma consente di individuare, almeno entro tali limiti, una nuova proprietà termometrica. La regolarità con cui varia la resistività di certi materiali offre la possibilità di usare le sue variazioni per misurare la temperatura. I termometri a resistenza sfruttano proprio questa caratteristica, misurando indirettamente la temperatura attraverso una misura della resistenza di un particolare sensore (figura 6). Figura 6. Misurando la resistenza di un sensore è possibile risalire alla sua temperatura, e quindi alla temperatura del corpo con cui il sensore è in contatto termico.
125 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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I CIRCUITI ELETTRICI
fenomeno è detto superconduttività ed è un tipico comportamento quantistico della materia, cioè non è spiegabile in termini di fisica classica usando i concetti incontrati finora. L’unica analogia che possiamo intravedere è quella con i cambiamenti di stato di aggregazione: anche il passaggio alla superconduttività avviene a una temperatura critica, e si manifesta con un brusco e improvviso cambiamento di alcune proprietà della materia. Si tratta quindi di una transizione nella quale si modificano proprietà elettriche. Nei metalli il fenomeno della superconduzione, se si verifica, ha una temperatura critica di pochi kelvin o poco più, mentre esistono alcuni materiali ceramici la cui temperatura di transizione è superiore a 78 K, cioè alla temperatura di evaporazione dell’azoto liquido alla pressione ordinaria. La superconduttività ad alta temperatura è un settore di ricerca scientifica a tecnologica attuale e promettente, le cui scoperte possono avere un enorme impatto nella vita di tutti i giorni.
3
I CIRCUITI ELETTRICI
Se colleghiamo un dispositivo elettrico ai poli di un generatore, tramite dei fili conduttori, in modo che al suo interno vi sia un passaggio continuo di corrente, abbiamo realizzato un circuito elettrico. In generale
SIMULAZIONE Un kit per costruire un circuito
chiamiamo circuito elettrico un insieme di conduttori collegati tra loro e ai poli di un generatore, in modo da formare una struttura lineare chiusa, nella quale vi sia un passaggio di corrente con continuità.
(PhET, University of Colorado)
Per avere un circuito elettrico abbiamo quindi bisogno di un generatore con forza elettromotrice fem e una catena di conduttori. Tali conduttori possono essere dispositivi di vario tipo, collegati da fili metallici. Quando il collegamento tra gli elementi del circuito è continuo, cioè il circuito è chiuso, al suo interno vi è un passaggio di corrente. Quando invece il collegamento presenta un’interruzione, si dice che il circuito è aperto e non vi è passaggio di corrente elettrica. Il dispositivo che consente di aprire e chiudere un circuito a piacimento è detto interruttore (figura 7).
Massimiliano Trevisan
Figura 7. Un esempio di circuito elettrico in cui sono inseriti un interruttore e una lampadina.
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5
I CIRCUITI ELETTRICI
Per rappresentare un circuito in modo sintetico ed efficace, evitando di disegnare i dettagli di ciascun elemento, si usano dei simboli convenzionali e si collegano tra loro mediante linee che rappresentano i fili conduttori che collegano i vari elementi. Per il circuito in figura 7 i simboli corrispondenti agli elementi del circuito sono rappresentati in tabella 2. Ad essi abbiamo aggiunto il simbolo che rappresenta la resistenza R di un qualsiasi componente ohmico, detto anche resistore. Un resistore è un componente elettrico che segue la prima legge di Ohm. Si usa chiamare resistori dei piccoli componenti dotati di resistenza nota, molto usati in elettronica (figura 8).
choikh / Shutterstock
Sergei Devyatkin / Shutterstock
Figura 8. I resistori hanno una resistenza nota e vengono usati spesso in elettronica.
ELEMENTO DEL CIRCUITO
SIMBOLO
Generatore
Tabella 2. A alcuni simboli usati per schematizzare i circuiti elettrici.
Vydrin / Shutterstock
Lampadina Kochergin / Shutterstock
Resistore Thomas Wydra
Interruttore (aperto e chiuso) Kaspri / Shutterstock
Collegamento elettrico Flavia Morlachetti / Shutterstock
Attenzione: in tabella 2 abbiamo illustrato il collegamento elettrico come un filo elettrico, e in effetti nella realtà gli elementi dei circuiti sono collegati tra loro in questo modo. Tuttavia anche un filo elettrico, per quanto corto, ha una sua resistenza elettrica data dalla seconda legge di Ohm. Per
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I CIRCUITI ELETTRICI
questo, a rigore, anche al filo andrebbe associata una resistenza R, ma se il filo non è troppo lungo questa può essere spesso trascurata. Il simbolo di collegamento elettrico non corrisponde esattamente a un filo, ma indica semplicemente che i due elementi tra cui è posto sono collegati tra loro. In figura 9 è riportato un disegno del circuito di figura 7 e la sua rappresentazione mediante simboli. verso della corrente
Figura 9. I circuiti elettrici non vengono disegnati nei dettagli, ma rappresentati per mezzo di simboli convenzionali. In questo caso la lampadina è rappresentata mediante la sua resistenza.
i
verso della corrente
generatore lampadina a
resistenza della lampadina
generatore I
O
interruttore chiuso
interruttore chiuso
Prima legge di Kirchhoff per i nodi Un punto in cui convergono tre o più conduttori è detto nodo del circuito (figura 10a). Dal momento che la corrente elettrica è la grandezza macroscopica che rappresenta un moto ordinato di particelle cariche, che non si creano né si distruggono all’interno del circuito, la somma delle intensità delle correnti che entrano in un nodo è uguale alla somma delle correnti che escono dal nodo.
Figura 10. a. Un nodo del circuito è un punto in cui convergono tre o più conduttori. b. Se alle correnti che entrano nel nodo associamo il segno positivo e alle correnti che escono dal nodo associamo il segno negativo, la loro somma algebrica è nulla.
Questa regola è nota come prima legge di Kirchhoff o legge dei nodi. Se si stabilisce che le correnti entranti in un nodo hanno segno positivo e quelle uscenti dal nodo i1 i2 nodo hanno segno negativo, si può anche dire che la i3 somma algebrica delle correnti che convergono i 1 i2 i3 0 in un nodo è sempre nula b la (figura 10b).
Seconda legge di Kirchhoff per le maglie Si definisce maglia un tratto chiuso del circuito. È una maglia un sottoinsieme del circuito compreso tra due nodi collegati tra loro, dove ciascun collegamento tra i nodi è detto ramo (figura 11a). Se percorriamo una maglia e torniamo al punto di partenza, la differenza di potenziale complessiva è zero. Quindi se nel percorrere la maglia, la suddividiamo in più tratti e calcoliamo di tratto in tratto la differenza di potenziale, la somma di tutte le differenze di potenziale fino al punto di partenza è nulla (figura 11b). Cioè vale la seconda legge di Kirchhoff, o legge delle maglie:
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I CIRCUITI ELETTRICI
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la somma algebrica delle differenze di potenziale tra gli estremi dei diversi lati che costituiscono la maglia è nulla.
V1
ramo
1
2
V1 V2 V1
V2 V4 V3
maglia 4
3
V1 V2 0
V2 a
Figura 11. a. Una maglia è un percorso chiuso all’interno di un circuito. b. La differenza di potenziale totale è uguale alla somma delle differenze di potenziale parziali, quindi sul percorso chiuso della maglia è nulla.
b
La seconda legge di Kirchhoff discende dalla proprietà del campo elettrico di essere conservativo, per cui la circuitazione lungo un percorso chiuso è nulla.
Risolvere un circuito Per analizzare un circuito, cioè per risolverlo, bisogna conoscere le caratteristiche dei generatori e dei resistori, e determinare i valori della differenza di potenziale ai capi di ciascun elemento e dell’intensità della corrente che vi scorre. Risolvere un circuito significa determinare la differenza di potenziale ai capi di ogni resistore, il verso e l’intensità di tutte le correnti. Per fare ciò si utilizzano la prima legge di Ohm e le due leggi di Kirchhoff.
ESEMPIO f Ai capi di un generatore di tensione si misura una differenza di potenziale di 6,0 V. Il generatore è collegato a un resistore da 0,50 Ω come nel circuito illustrato nella figura. Qual è l’intensità della corrente che attraversa il resistore? Qual è la differenza di potenziale ai suoi capi?
i
R
SOLUZIONE Il circuito è composto da un’unica maglia e non sono presenti nodi. La prima legge di Ohm (formula (5.2)) ci permette di ricavare l’intensità di corrente i che circola nella maglia e quindi nel resistore: ΔV R dove ΔV è equivalente alla differenza di potenziale che si misura ai capi del generatore, il quale è collegato direttamente al resistore: i
i
6, 0 V 0, 50 Ω
12 A
La maglia è percorsa da una corrente di 12 A. DOMANDA Qual è l’intensità di corrente se il valore della resistenza raddoppia? Rispondi senza eseguire i calcoli.
129 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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I CIRCUITI ELETTRICI
4
RESISTORI IN SERIE E IN PARALLELO
In generale un circuito elettrico può avere una configurazione complicata con più componenti collegati tra loro in modi diversi. Tuttavia esistono due fondamentali modi per collegare due elementi conduttori tra loro (per esempio due resistori): in serie o in parallelo, cioè uno dietro l’altro o uno accanto all’altro con gli estremi collegati tra loro a due a due (figura 12).
V1 i
a
b
Due o più elementi di un circuito sono collegati:
R1
s in serie quando al loro interno circola corrente elettrica di uguale intensità; s in parallelo quando ai loro capi si misura la stessa differenza di potenziale.
R2
R1
i serie Figura 12. a. Due resistori sono collegati in serie se posti uno dietro l’altro consecutivamente e sono attraversati dalla stessa corrente elettrica. b. Due resistori sono collegati in parallelo quando hanno le estremità connesse a due a due e tra esse vi è la stessa differenza di potenziale.
R2 parallelo
ESEMPIO Per misurare la differenza di potenziale tra due punti A e B di un circuito si utilizza il voltmetro, collegandolo in parallelo al conduttore compreso tra A e B. Cioè dobbiamo inserire i puntali del voltmetro direttamente nei punti tra i quali vogliamo misurare la differenza di potenziale. In tal modo ai capi del voltmetro e del conduttore AB c’è la stessa differenza di potenziale. voltmetro
V
voltmetro
A
B
DOMANDA Perché per misurare l’intensità della corrente che circola in un conduttore, invece, dobbiamo inserire l’amperometro in serie al conduttore stesso? Rispondi in 5 righe. amperometro
A
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amperometro
I CIRCUITI ELETTRICI
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Resistori in serie Risolviamo ora un circuito in cui un generatore, ai cui capi vi è una differenza di potenziale ΔV, è collegato a due resistori di resistenze R1 e R2 collegati in serie (figura 13a). I resistori di resistenze R1 e R2 sono attraversati da corrente di uguale intensità i, mentre le differenze di potenziale ai loro capi ΔV1 e ΔV2 sono in generale diverse e, per la legge delle maglie, tali che ΔV ΔV1 ΔV2 Applicando la prima legge di Ohm (formula (5.2)) a ciascun resistore, si ha ΔV1 R1i
ΔV2 R2i
e
Cioè ΔV R1i R2i (R1 R2)i Alla serie di resistori si può sostituire un unico resistore di resistenza pari a R1 R2 (figura 13b), ciò corrisponde a considerare una resistenza Re equivalente attraverso cui scorre la medesima corrente i e avente ai sui capi la differenza di potenziale complessiva ΔV. ΔV Rei la resistenza equivalente Re risulta uguale alla somma delle single resistenze R1 e R2 Re R1 R2
i
V1
V2
R1
R2
Re
Re R 1 R 2
a
b
Figura 13. a. I resistori di resistenze R1 e R2 sono attraversati da corrente di uguale intensità, ma ai loro capi vi sono differenze di potenziale ΔV1 ⬆ ΔV2. b. Il circuito con i resistori in serie è equivalente a un circuito in cui al posto della serie si posto un resistore di resistenza Re R1 R2.
Questo risultato può essere facilmente esteso a un numero di resistori qualsiasi. La resistenza equivalente di n resistori collegati in serie è uguale alla somma delle resistenze dei singoli resistori: n
Re
∑ Ri i =1
(5.5)
ESEMPIO La differenza di potenziale che si misura ai capi di un generatore ideale è uguale alla sua forza elettromotrice, ma nella realtà un generatore ha una sua resistenza interna r, che comporta una discrepanza tra le due grandezze. Cioè la differenza di potenziale ΔV misurata ai capi di un generatore di tensione reale è minore della sua forza elettromotrice fem.
131 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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I CIRCUITI ELETTRICI
Consideriamo un semplice circuito costituito da un generatore e un resistore di resistenza R: generatore r
R
Se rappresentiamo la resistenza interna del generatore con un resistore r in serie con R, vediamo che la forza elettromotrice è responsabile della corrente che circola in entrambi. fem i (R r) iR ir La differenze di potenziale ΔV che si misura ai capi del generatore è uguale alla differenza di potenziale che si misura ai capi di R, per cui ΔV iR Cioè ΔV fem ir DOMANDA Che cosa dimostra questo risultato? Rispondi in 5 righe.
Resistori in parallelo Risolviamo ora un circuito in cui un generatore, ai cui capi vi è una differenza di potenziale ΔV, è collegato a due resistori di resistenze R1 e R2 collegati in parallelo (figura 14a).
Figura 14. Ai capi dei resistori di resistenze R1 e R2 vi è la stessa differenza di potenziale, ma al loro interno circolano correnti di intensità i1 ⬆ i2.
R1
i1
R2
i2
Re
R1 R2 Re R 1 R2
i i
a
b
Ai capi dei resistori di resistenze R1 e R2 vi è la stessa differenza di potenziale ΔV, mentre la corrente che li attraversa è in generale diversa e, per la legge di Ohm, pari rispettivamente a: i1
ΔV R1
e
i2
ΔV R2
Sostituendo ai due resistori collegati in parallelo un unico resistore di resistenza equivalente Re (figura 14b) la legge di Ohm si scrive: i
ΔV Re
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I CIRCUITI ELETTRICI
per la legge dei nodi i i1 i2 cioè ΔV ΔV ΔV = + Re R1 R2 Ovvero ΔV = ΔV Re
⎛1 1 ⎞ ⎜ + ⎟ ⎝ R1 R2 ⎠
semplificando ΔV a entrambi i membri si ha ⎛1 1 1 ⎞ =⎜ + ⎟ Re ⎝ R1 R2 ⎠ In generale, l’inverso della resistenza equivalente di n resistori collegati in parallelo è uguale alla somma degli inversi delle resistenze dei singoli resistori. n 1 1 (5.6) ∑ Re i =1 Ri
ESEMPIO f Il circuito in figura è alimentato da una differenza di potenziale di 4,5 V. Qual è l’intensità di corrente che attraversa rispettivamente i due resistori in figura, le cui resistenze sono R1 150 Ω e R2 200 Ω? Qual è la resistenza equivalente dei due resistori collegati in parallelo? È verificata la legge dei nodi?
i1
R1
i2
R2
i
SOLUZIONE Dalla prima legge di Ohm (formula (5.2)) ricaviamo le intensità della corrente i1 e i2 che attraversano i due resistori, ai capi dei quali vi è la stessa differenza di potenziale ΔV: ΔV 4, 5 V = = 3, 0 × 10−2 A = 30 mA i1 = 150 Ω R1 i2 =
ΔV 4, 5 V = = 2, 3 × 10−2 A = 23 mA 200 Ω R2
La resistenza equivalente al parallelo si ricava invertendo la formula (5.6): 1 1 1 1 1 = + = + Re R1 R2 150 Ω 200 Ω Cioè Re =
150 Ω × 200 Ω R1 R2 = = 85, 7 Ω R1 + R2 150 Ω + 200 Ω
La resistenza equivalente al parallelo è dunque inferiore a entrambe le resistenze R1 e R2.
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I CIRCUITI ELETTRICI
L’intensità ie della corrente che passa nel resistore equivalente si ricava dalla prima legge di Ohm: ie =
ΔV 4, 5 V = = 5, 3 × 10−2 A = 53 mA 85, 7 Ω Re
L’intensità totale i della corrente entrante nel parallelo è i i1 i2 30 mA 23 mA 53 mA ie cioè la legge dei nodi è verificata. DOMANDA Nel circuito viene inserito un resistore di resistenza R3 75 Ω, in serie ai due resistori collegati in parallelo. Qual è la resistenza equivalente del sistema di conduttori?
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LA POTENZA ELETTRICA
Il verso convenzionale della corrente elettrica comporta un movimento di cariche positive dal polo positivo al polo negativo di un generatore: all’esterno del generatore le cariche positive che attraversano il circuito elettrico si muovono spontaneamente nello stesso verso del campo elettrico generato dagli accumuli di carica presenti sui morsetti del generatore. Tali accumuli di carica vengono mantenuti a spese dell’energia interna del generatore, che lavora contro le forze del campo elettrico, spingendo le cariche positive verso il morsetto positivo e le cariche negative verso il morsetto negativo. Il generatore quindi mantiene la differenza di potenziale ai suoi poli compiendo un lavoro. La potenza elettrica P erogata dal generatore è uguale al lavoro compiuto contro le forze del campo su una carica q nell’unità di tempo, dato dalla formula (2.15). P
L Δt
q Δv Δt
dove L qΔV è il lavoro compiuto dalle forze del campo sulla carica q nell’unità di tempo. Se nel circuito circola una corrente elettrica di intensità i costante, allora la carica q è direttamente proporzionale all’intervallo di tempo Δt (formula (4.1)) q iΔt cioè sostituendo q nell’espressione della potenza elettrica si ha P ΔV i
(5.7)
La potenza elettrica erogata da un generatore che fa scorrere in un circuito una corrente continua di intensità i è pari al prodotto della differenza di potenziale ΔV che c’è tra i suoi poli e la corrente i.
L’effetto Joule È esperienza comune che i fili percorsi da corrente si riscaldino. Si pensi a una stufetta elettrica, per esempio, a uno scaldabagno, a un tostapa-
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I CIRCUITI ELETTRICI
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ne o a un asciugacapelli: un conduttore ad elevata resistenza viene percorso da corrente e la sua temperatura aumenta notevolmente (figura 15). Questo fenomeno macroscopico è detto effetto Joule, e corrisponde a un aumento dell’energia cinetica media delle particelle microscopiche che si manifesta al passaggio di corrente, a causa degli urti degli elettroni di conduzione con gli ioni del reticolo. Come sappiamo tutti gli elettrodomestici «consumano energia»: in generale parte di essa viene utilizzata per compiere lavoro e parte di essa è dissipata per effetto Joule. Quando un resistore si riscalda la sua energia interna aumenta a spese dell’energia potenziale elettrica. Per ogni resistore è possibile definire la potenza elettrica dissipata come l’energia «persa» per effetto Joule nell’unità di tempo.
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La potenza elettrica dissipata da un resistore per effetto Joule è la quantità di energia potenziale elettrica trasformata in energia interna del resistore nell’unità di tempo. Se un resistore è collegato a un generatore che eroga una potenza P espressa dalla formula (5.7) e al suo interno circola una corrente di intensità i, allora per la prima legge di Ohm la differenza di potenziale ai suoi capi è ΔV Ri E quindi, sostituendo questa espressione nella formula (5.7), si ottiene la potenza dissipata dal resistore: P R i2
(5.8)
Figura 15. Gli elettrodomestici che scaldano sfruttano il cosiddetto effetto Joule, per il quale in un conduttore percorso da corrente la temperatura aumenta.
ESEMPIO f Un resistore di resistenza pari a 10 Ω è collegato a due batterie da 1,5 V ciascuna, collegate in serie. Qual è la potenza dissipata dal resistore per effetto Joule? SOLUZIONE Le batterie collegate in serie forniscono una differenza di potenziale pari alla somma delle singole differenze di potenziale, cioè ΔV 1,5 V 1,5 V 3,0 V L’intensità della corrente che attraversa il resistore è, per la prima legge di Ohm, ΔV 3, 0 V i 0, 30 A R 10 Ω La potenza dissipata P si calcola direttamente dalla formula (5.8): P 10 Ω (0,30 A)2 0,90 W DOMANDA Qual è l’energia dissipata dal resistore in 35 min?
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I CIRCUITI ELETTRICI
TECNOLOGIA La lampadina a incandescenza
Massimo Catarinella
La lampadina a incandescenza è una delle invenzioni che ha rivoluzionato maggiormente la vita delle persone e la storia dell’era moderna. Prima della sua invenzione le notti erano illuminate con fiamme di sostanze che bruciavano lentamente e in modo regolare, che richiedevano un’attenzione continua e a volte complicate operazioni di accensione. Basti pensare ai lampadari che servivano per illuminare i grandi ambienti, con decine di candele che dovevano essere accese e sostituite dopo il consumo. Nei casi in cui i lampadari erano molto elevati rispetto al pavimento, come nei teatri, erano issati sui soffitti mediante argani meccanici. La lampadina a incandescenza, accesa con la semplice azione su un interruttore, ha modificato radicalmente non solo la qualità dell’illuminazione degli ambienti, ma anche le modalità costruttive degli edifici e le professionalità degli addetti. Se le lunghe operazioni di accensione dei lampadari richiedevano l’intervento di più persone, l’uso dell’interruttore rendeva accessibile l’operazione a chiunque e in qualunque momento. Di contro è stato necessaria la formazione di tecnici in grado di intervenire nella manutenzione dell’impianto.
filamento di tungsteno bulbo di vetro fili di rame
Come funziona la lampadina? attacco a vite
Una lampadina a incandescenza è formata da un bulbo di vetro al cui interno è contenuto un gas inerte a bassa pressione, di solito argon o kripdisco isolante ton, che riduce il rischio che il bulbo imploda sotto l’azione della pressiobottone ne esterna. Nel bulbo è presente un sottilissimo filamento di tungsteno, conduttore che ha un’elevata resistenza elettrica e che, al passaggio della correnSchema di una lampadina te, si surriscalda fino a raggiungere temperature tali che la radiazione a incandescenza. emessa sia visibile. La luce bianca prodotta da una lampadina a incandescenza è dovuta a una temperatura molto elevata, fino a circa 2700 K. Durante l’accensione il tungsteno, scaldandosi a bassa pressione, sublima dal filamento, il quale si assottiglia sempre più fino a spezzarsi. Per questo motivo le lampadine a incandescenza hanno una durata limitata.
Una tecnologia del passato Le lampadine a incandescenza sono state dichiarate fuori legge dall’Unione Europea e dal 2012 è vietata la totale produzione di lampadine di questo tipo. Esse infatti non rispettano le esigenze di risparmio energetico che attualmente sono all’attenzione mondiale. L’energia assorbita da una lampadina a incandescenza viene per lo più dissipata come calore, mentre solo una bassa percentuale, inferiore al 10%, contribuisce all’illuminazione. Oggi si stanno diffondendo le cosiddette lampade a basso consumo, in cui l’emissione luminosa è dovuta alla scarica di un materiale fluorescente. L’energia dissipata da queste lampade come calore è nettamente inferiore alle lampade a incandescenza, consentendo risparmi energetici fino al 70%.
DOMANDA Fai una ricerca sui tipi di lampade a basso consumo e sui materiali fluorescenti usati.
136 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
I CIRCUITI ELETTRICI
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NEUROSCIENZE L’attività elettrica del cervello V (V) Il nostro cervello e tutto il sistema V (V) di nervi ad esso connesso forma150 150 no un insieme di conduttori nei onde alfa onde beta quali viaggiano segnali basati su 100 100 fenomeni di natura elettrochimica. Visto in questo modo possiamo 50 50 considerare tale insieme una sorta di circuito elettrico estremamente 0 0 complesso, che ci consente di per1 t (s) 1 t (s) cepire il mondo esterno, di muo13-30 Hz: onde beta, caratteristiche 8-13 Hz: onde alfa, caratteristiche verci al suo interno, di pensare. dello stato di attenzione dello stato di rilassamento e meditazione Nel 1929 il medico tedesco Hans (coscienza di veglia) (coscienza a riposo) V (V) Berger scoprì che inserendo due aghi nel cuoio capelluto, in due po- V (V) onde delta 150 150 sizioni diverse, tra essi si misurava una differenza di potenziale. Negli onde theta anni successivi, grazie agli studi 100 100 dello statunitense Herbert Jasper, fu sviluppata una tecnica per la mi50 50 surazione dell’attività elettrica cerebrale, nota come elettroencefa0 0 lografia (EEG). Durante la normale 1 t (s) 1 t (s) attività cerebrale sono presenti pic4-8 Hz: onde theta 0,5-4 Hz: onde delta, caratteristiche cole differenze di potenziale eletcaratteristiche dello stato di sogno dello stato di sonno profondo trico, dell’ordine delle decine di mi(preconscio) (inconscio) crovolt (1 μV 10–6 V, che possono essere misurate attraverso elettrodi posti a contatto con la superficie del cuoio capelluto. Esse hanno un andamento oscillante e definiscono il fenomeno delle onde cerebrali. Dall’elettroencefalogramma, cioè dal tracciato che si ricava attraverso l’EEG, si osserva che le onde cerebrali hanno andamenti regolari che si differenziano l’uno dall’altro a seconda dell’attività svolta. Esse sono classificabili in 4 grandi gruppi, come illustrato in figura.
Fenomeni elettrochimici Le attività elettriche del cervello sono riconducibili a reazioni elettrochimiche che consentono il passaggio di informazioni da una cellula nervosa (neurone) all’altra, attraverso collegamenti detti sinapsi. Di tale passaggio di informazioni sono responsabili particolari sostanze, i cosiddetti neurotrasmettitori, quali l’adrenalina, l’istamina, la dopamina, la serotonina, l’insulina, eccetera. I neurotrasmettitori agiscono fondamentalmente in due modi: o come inibitori o come eccitatori, rispettivamente ostacolando o favorendo la propagazione di un impulso.
Alterazioni artificiali È possibile favorire o sfavorire la trasmissione di impulsi e quindi interferire con la comunicazione tra il cervello e il resto del corpo introducendo artificialmente sostanze che agiscono su tali meccanismi. Per esempio è possibile ridurre la sensazione di dolore attraverso l’uso di sostanze che inibiscono la comunicazione tra i recettori del dolore e il cervello, quali la morfina. L’acido glutammico presente nel glutammato monosodico, additivo alimentare per l’esaltazione della sapidità, svolge invece un’azione contraria. La capacità di inibire sensazioni dolorose o di favorire sensazioni piacevoli di alcune sostanze ha condotto spesso ad un uso incontrollato e inconsapevole delle stesse e quindi al loro abuso. Le cosiddette droghe interferiscono con gli equilibri elettrochimici del cervello e, in ultima analisi, con la percezione della realtà. DOMANDA Dall’esterno della scatola cranica non sarebbe possibile rilevare l’attività di un singolo neurone, per cui il segnale registrato con un EEG è dovuto all’attività sincronizzata di migliaia di neuroni. Quale segnale avremmo se non ci fosse tale sincronizzazione? Perché possiamo affermare che l’EEG, misurando la differenza di potenziale tra aree del cuoio capelluto, è proporzionale all’intensità di corrente che scorre tra i neuroni?
137 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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I CIRCUITI ELETTRICI
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO Luci in città Illuminare le città
Quando gli uomini impararono a controllare il fuoco la loro vita cambiò radicalmente: nell’immediato i primi benefici furono legati alla cottura dei cibi, che migliorò l’alimentazione facendo aumentare notevolmente la quantità di sostanze assorbite. Altro importante beneficio introdotto dal fuoco è di tipo tecnologico: dalla cottura dell’argilla, alla lavorazione dei metalli, le antiche comunità umane utilizzarono il fuoco per costruire una quantità di oggetti d’uso o di ornamento, che oggi riconosciamo come antenati di molti degli oggetti che ci circondano. Oltre a ciò, il fuoco ha rappresentato anche una fonte di riscaldamento nei periodi freddi, ma anche una sorgente di luce “artificiale”, cioè diversa da quella solare, per illuminare il buio della notte. Le attività umane iniziarono quindi a protrarsi oltre il calare del Sole, modificando profondamente la vita sociale. Le prime sorgenti di illuminazione artificiale furono dunque delle fiaccole, cioè dei piccoli falò portatili, ottenuti bruciando materiali caratterizzati da combustione lenta, come i legni resinosi. La fiaccola accompagnò l’umanità per millenni, fino a quando, probabilmente in Egitto, non fu inventata la lucerna. A prescindere dalla foggia, ispirata a diversi gusti e scopi in diverse epoche, e dal materiale, dalla terracotta al metallo, la lucerna è sostanzialmente un recipiente pieno di olio in cui è immerso parzialmente uno stoppino di materiale tessile, che pesca il combustibile per capillarità e ne consente una combustione lenta e graduale. La lucerna era poco efficiente e fumosa, ma – affiancata dalla candela, di invenzione celtica – costituì il principale sistema di illuminazione notturna degli ambienti interni per tutto il Medioevo.
Se anche all’interno delle abitazioni brillavano le luci delle candele, le strade delle città erano buie e pericolose. Nel XVI secolo le città erano sufficientemente grandi ed era molto rischioso avventurarsi per le strade nelle ore notturne, per via di possibili agguati e aggressioni con il favore del buio. In diverse città esistevano dei veri e propri accompagnatori a pagamento, che scortavano i viandanti per le vie cittadine, accompagnati da lanterne, in cambio di un compenso. Nel XVII secolo, in diverse città d’Europa – a partire da Parigi – furono emanati decreti che imponevano ai cittadini di collocare sull’esterno dei muri delle abitazioni delle lanterne accese. Tuttavia si trattava di una misura insufficiente perché la luce era fioca e non illuminava zone lontane dalla fiamma. L’introduzione successiva dei riverberi, cioè di riflettori metallici intorno alla lanterna, migliorò molto la situazione e ancora di più lo studio di lampade con forme più adatte a una areazione e quindi a una combustione ottimale. Per esempio tra il 1783 e il 1785 il medico svizzero François Ami Argand inventò una lanterna con uno stoppino di forma anulare, che godeva del vantaggio della doppia areazione e produceva una fiamma bianca e stabile, sorprendentemente pulita.
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Dalla fiaccola alla lanterna
Lampade a olio usate in diverse epoche: lampada di pietra rosa ritrovata nella caverna di Lascaux, in Francia, risalente a circa 18 000 anni fa; lampada a olio in bronzo di epoca romana; lampada del 1575 circa.
PAROLA CHIAVE
Forza elettromotrice
DOMANDA Una lampada ad arco è collegata a un generatore di tensione e tra i suoi elettrodi si verifica una scarica elettrica luminosa. Qual è il ruolo della forza elettromotrice del generatore?
Nel 1783 fu inventata la lampada Argand che, con una combustione regolata, era in grado di emettere una luce più bianca e più stabile delle semplici lanterne.
PAROLA CHIAVE
Resistenza elettrica
DOMANDA Perché nello schema di un circuito elettrico una lampadina a incandescenza può essere schematizzata attraverso la sua resistenza?
138 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
I CIRCUITI ELETTRICI
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DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Montgol-
Le lanterne a gas
L’illuminazione elettrica
fier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola–chiave associata: proprietà Nel XIX secolo le lampade a olio e Quando due elettrodi, tra i quali vi è una elevata differenza di potenziale, stoppino avevano raggiunto una quavengono avvicinati all’interno di un gas, tra essi può avvenire una scarica lità elavata, ma comunque non riusciluminosa detta anche arco voltaico. Nel 1814 Sir Humphry Davy mise a punto vano a raggiungere gli elevati livelli una lampada che utilizzava come sorgente di luce un arco voltaico in cui gli di efficienza delle nuove lampade a elettrodi erano due elementi in carbone affiancati. L’arco produceva una lugas. Le lampade a gas si dimostraminosità intensa e di colore bianco, ma aveva un inconveniente: gli elettrodi rono estremamente vantaggiose per si consumavano durante il funzionamento e, oltre a doverli continuamente termometriche] l’illuminazione pubblica e molte città avvicinare per non interrompere la scarica, dopo qualche ora era necessario fecero il passo decisivo nella seconda sostituirli. Nella seconda metà dell’800, tuttavia, le lampade ad arco cominmetà del secolo: a partire da Parigi si ciarono a essere usate per l’illuminazione pubblica cittadina e per illuminare i dotarono di veri e propri impianti per grandi ambienti, come i teatri, data l’elevata luminosità emessa. l’illuminazione stradale in ghisa, che Le lampade ad arco erano costose e ingombranti, per cui non si affermarono con le loro fogge caratteristiche, dicome tecnologia alternativa alle lampade ad olio, che comunque nel XIX seventarono anche apprezzati elementi colo continuavano a essere la principale fonte di illuminazione notturna. La DOMANDA Il volume occupato da un gas superiorità in una trasformazione a alle pressione costante è diretta- che in breve tempo si di arredo urbano. spettò invece lampade a incandescenza, In Italia, dove l’illuminazione stradadimostrarono semplici, luminose e relativamente economiche. Nei primi anni le notturna delle città era piuttosto del Novecento si cominciò a usare il filamento di tungsteno, che eliminava molarretrata rispetto al resto d’Europa, tissimi problemi di manutenzione e durata delle lampade che prima avevano il l’affermazione dell’uso del gas favofilamento di carbone. Le città poterono dotarsi, con costi di gestione relativarì il recupero del ritardo. Le città che mente limitati, di un impianto di illuminazione, che poteva raggiungere anche si avvantaggiarono maggiormente gli angoli più bui per mezzo di un semplice circuito elettrico, azionabile con un della nuova tecnologia trovavano un luogo anche molto distante, bisogno di addetti mente proporzionale alla sisua temperatura.interruttore Spiega in 5posto righeinperché questa affermazione nonsenza è nel nord industrializzato, tuttavia la che si recassero sul luogo per accendere o spegnere una fiamma. prima città italiana ad avere alcune Alle lampade a incandescenza si sono aggiunte le lampade a fluorescenza e, strade illuminate a gas fu Napoli, nel attualmente, le lampade a led. La tecnologia è talmente economica che dalle 1840. Il gas si affiancò all’illuminaziocittà si è passati in breve tempo all’illuminazione delle strade extraurbane ne basata sulle lampade a olio, che e delle campagne: paradossalmente ciò ha creato un problema inverso al nel frattempo erano arrivate ad elevabuio eccessivo delle notti non illuminate e attualmente abbiamo problemi ti livelli di efficienza e luminosità, ma di inquinamento luminoso, per cui il chiarore prodotto artificialmente nelle corretta. [parola–chiave associata: temperatura] non le sostituì mai del tutto. aree abitate, impedisce la visione del cielo stellato dalla superficie della Terra.
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DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di
Inaugurazione dell’impianto di Una veduta notturna di Napoli. I lampioni a gas parigini sono visibili illuminazione elettrica in Place de la ancora oggi. 250 m rispetto al suolo: essa non si muove né in verticale né in orizzontale. È verificato l’equilibrio Concorde a Parigi. Illustrazione dalla rivista «La Nature».
PAROLA CHIAVE
Circuito elettrico
DOMANDA I lampioni elettrici che illuminano una strada cittadina sono montati in serie o in parallelo? Motiva la risposta. termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola–chiave associata: equilibrio termico]
139 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI LA FORZA ELETTROMOTRICE di un generatore
pari alla differenza di potenziale che il generatore mantiene ai suoi capi
è
è
fem =
il rapporto fra il lavoro compiuto per spostare una carica q tra i suoi poli e la carica stessa
L = ΔV q
si misura in volt (V)
PRIMA LEGGE DI OHM quando ai capi di un conduttore vi è una differenza di potenziale ΔV, al suo interno si misura una corrente di intensità i, tale che
R è detta RESISTENZA ELETTRICA del conduttore
ΔV Ri
si misura in ohm (Ω) 1Ω=
relazione valida per i conduttori detti «ohmici»
1V 1A
SECONDA LEGGE DI OHM 艎 S
la resistenza elettrica di un filo conduttore dipende dalla sua lunghezza, dalla sua sezione e dal materiale di cui è fatto, secondo la relazione
R =ρ
ᐉ S
relazione valida per i conduttori detti «ohmici»
ρ = resistività si misura in ohm per metro (Ω m) dipende dal materiale e dalla temperatura
140 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
I CIRCUITI ELETTRICI
5
UN CIRCUITO ELETTRICO è un insieme di conduttori collegati fra loro e ai poli di un generatore, in modo da formare una struttura lineare chiusa, nella quale vi è un passaggio di corrente con continuità
collegamento elettrico
V
resistore di resistenza R
R
generatore ideale di tensione
interruttore
LEGGI DI KIRCHHOFF 1. la somma delle intensità delle correnti che entrano in un nodo è uguale alla somma delle correnti che escono dal nodo
NODO
è un punto in cui convergono tre o più conduttori
MAGLIA
2. la somma algebrica delle differenze di potenziale tra è un tratto chiuso gli estremi dei diversi lati che di un circuito costituiscono una maglia è nulla
RISOLVERE UN CIRCUITO significa determinare la differenza di potenziale ai capi di ogni resistenza, il verso e l’intensità di tutte le correnti due o più elementi di un circuito sono collegati RESISTORI IN SERIE
in serie: quando ai loro capi si misura la stessa ΔV in parallelo: quando ai loro capi circola corrente di uguale intensità i R1
R2
sono equivalenti a
Re
Re = R1 + R2 R1
RESISTORI IN PARALLELO
R2
sono equivalenti a
Re
1 1 1 = + Re R1 R2
la POTENZA ELETTRICA erogata da un generatore è pari a P = ΔVi e si misura in watt (W)
141 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
20 test (30 minuti)
5 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI 10 Perché la resistenza aumenta all’aumentare della lun-
LA FORZA ELETTROMOTRICE
ghezza dei conduttori? Prova a dare un spiegazione in termini della struttura microscopica della materia.
DOMANDE «Il potenziale che si misura tra i poli di un generatore collegati tra loro viene indicato come forza elettromotrice». Correggi questa frase, se necessario.
1
CALCOLI 11 Esercitando una pressione in un determinato punto
dello schermo di un dispositivo touch screen di tipo resistivo, viene chiuso un circuito ad esso associato.
2 Il lavoro compiuto per spostare una carica tra i capi
di un generatore dipende dal segno della carica? Qual è la relazione tra tale lavoro e la forza elettromotrice del generatore? 3 Quale relazione lega l’unità di misura del potenziale
elettrico con quella della forza elettromotrice? 4 Spiega in 5 righe, usando l’analogia con il caso gravi-
tazionale, perché se gli elettroni fossero liberi di muoversi da un polo all’altro di un generatore perderebbero energia. f Sapendo che, toccando il suo centro, il circuito viene chiuso su una differenza di potenziale di 2,1 10–12 V e che la resistenza caratteristica corrispondente a tale punto è 3,1 10–16 Ω, calcola la corrente che circola nello schermo in tale situazione.
CALCOLI 5 Una pila transistor ha la caratteristica di mantenere
una differenza di potenziale di circa 9,0 V tra i suoi due poli. f Quale carica potrebbe essere spostata dall’uno all’altro polo con un lavoro di 9,7 10–20 J? [1,1 10
–20
[6,8 103 A] C]
12 Due conduttori di alluminio hanno rispettivamente
lunghezza ᐉ e 3ᐉ e sezione 5S e 3S.
6 Una carica q 9,7 10 C viene spostata tra i poli –4
f Quale dei due ha una resistenza elettrica maggiore?
di un generatore grazie a un lavoro di 6,5 J. f Qual è la forza elettromotrice del generatore?
f In quale rapporto?
[6,7 103 V]
[il secondo; 5/1]
7 Una carica q del valore di 8,6 10–6 C si sposta su un
conduttore privo di perdite grazie alla forza elettromotrice di un generatore pari a 356 V.
13 Quale resistenza produce una bacchetta di vetro
nella direzione di lunghezza 1,5 m se la sua sezione è 2,5 cm2?
f Quale lavoro compie il generatore?
[6,0 1013 Ω]
[3,1 10–3 J]
14 Un metallo si trova alla temperatura di 35 °C e pre-
senta una resistività di 2,92 10–8 Ω m.
2
LA RESISTENZA ELETTRICA
f Se il coefficiente che quantifica la variabilità della resistività con la temperatura del metallo è α 4 10–3 K–1, di quale materiale si tratta?
DOMANDE
(Suggerimento: consulta la tabella 1.)
8 Una barra di rame e una barra di acciaio vengono
collegate a due generatori identici e al loro interno si misurano correnti elettriche di diversa intensità. Perché? Rispondi in 5 righe specificando quali leggi descrivono tale comportamento. 9 «I materiali per cui si ha una proporzionalità diretta
tra differenza di potenziale e corrente sono detti buoni conduttori di elettricità». Correggi questa frase, se necessario.
3
I CIRCUITI ELETTRICI
DOMANDE 15 Perché i cavi di collegamento dei vari elementi di un
circuito possono essere trascurati nella risoluzione dello stesso?
142 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
I CIRCUITI ELETTRICI 16 Disegna il verso della corrente in ciascun ramo del
circuito in figura quando sono chiusi tutti gli interruttori. Che cosa succede alle lampadine se l’interruttore A è aperto? lampadina 1
4
5
RESISTORI IN SERIE E IN PARALLELO
DOMANDE 22 «Tre elementi sono collegati in parallelo quando al
interruttore A
loro interno scorre la stessa corrente». Correggi la frase se necessario.
interruttore B
23 Come può essere calcolata la resistenza equivalente
di più elementi collegati in parallelo? lampadina 2
24 Misurando l’intensità di corrente che attraversa due
resistenze di un asciugacapelli otteniamo lo stesso valore. Come sono collegate le resistenze?
17 Individua nel circuito dell’esercizio 16 i nodi e le ma-
glie. Che cosa puoi dire della somma delle correnti entranti in ciascun nodo?
collegare tra loro i resistori in modo tale che la resistenza equivalente sia minore di R? In che modo? 26 Disegna un circuito in cui la serie di due resistori di
CALCOLI 18 Un interruttore viene chiuso su un circuito la cui resi-
stenza totale è 34 Ω. f Se il circuito è costituito da un’unica maglia su cui scorre una corrente di 16 A, quanto vale la differenza di potenziale prodotta dal generatore? [5,4 102 V]
19 Dato il circuito in figura calcolare la corrente i2 consi-
derando che i1 13,6 mA e i3 27,2 mA. i2
i1
V2 V
25 Due resistori hanno resistenze R e 2R. È possibile
VG
resistenze R1 e R2 è posta in parallelo a un resistore di resistenza R3. 27 Disegna un circuito in cui due resistori di resistenze R1
e R2 sono in parallelo tra loro e complessivamente in serie al parallelo tra due resistori di resistenze R3 e R4.
CALCOLI 28 In un circuito vi sono quattro resistori in serie la cui
resistenza è rispettivamente di 13,4 10–5 Ω, 4,76 10–4 Ω, 5,3 10–5 Ω e 7,63 10–6 Ω. Chiudendo un interruttore essi vengono collegati a un generatore e al loro interno scorre una corrente di 3,4 mA. f Qual è la tensione ai capi della serie? [2,3 10–6V]
V1
29 In un circuito vi sono due resistenze R1 e R2 collegate i4
i1
in serie e una resistenza R3 collegata in parallelo alla serie.
i3 [40,8 mA]
20 Considerando il circuito dell’esercizio 19 calcolare
l’intensità della corrente i3 quando i1 13,6 mA e i4 36,4 mA.
f Calcola la resistenza equivalente del circuito se i valori delle resistenze sono R1 4,3 Ω; R2 7,2 Ω e R3 5,6 Ω.
[3,8 Ω]
[22,8 mA]
30 Calcola il valore della resistenza equivalente del cir-
21 Nel circuito dell’esercizio 19 sono state misurate le dif-
cuito in figura in cui i valori delle resistenze sono R1 10,72 104 Ω, R2 3,56 104 Ω e R3 7,6 105 Ω.
ferenze di potenziale ai capi delle resistenze R1 e R2, che risultano essere rispettivamente ΔV1 3,7 102 V e ΔV2 53 V. f Qual è la differenza di potenziale ai capi del generatore?
V [423 V]
R2 R1
R3 [94,47 kΩ]
143 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
5 ESERCIZI 31 Considerato il circuito riportato in figura calcola la
resistenza equivalente sapendo che i valori delle resistenze sono R1 1,45 107 Ω, R2 6,32 107 Ω e R3 2,36 107 Ω.
ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 40 Spiega in 5 righe la funzione del generatore di ten-
V
R2
sione.
R3
41 «La resistività di un materiale è una grandezza adi-
R1
mensionale». Perché questa affermazione è errata? Qual è la sua unità di misura? [7,22 107 Ω]
5
42 Lo schema semplificato della serpentina di un forno
elettrico è un resistore collegato a un generatore. Quando la serpentina è percorsa da corrente, la sua temperatura aumenta. Come è chiamato questo fenomeno? Come si spiega?
LA POTENZA ELETTRICA
DOMANDE 32 In che modo un generatore mantiene la differenza di
potenziale ai suoi capi?
33 «La potenza elettrica relativa al lavoro effettuato dal
R
generatore su una carica q è direttamente proporzionale alla carica stessa». Correggi questa frase, se necessario. 34 Quale grandezza lega la differenza di potenziale ai
capi di un generatore con la potenza erogata?
43 Cosa bisogna calcolare per risolvere un circuito?
35 Che cosa avviene a livello microscopico all’interno di
44 «La seconda legge di Kirchhoff esprime una condi-
un conduttore quando a livello macroscopico parliamo di effetto Joule?
zione sull’intensità di corrente che circola in una maglia in funzione della resistenza di ciascun ramo della maglia stessa». Correggi questa frase, se necessario.
CALCOLI
45 In un impianto di illuminazione domestico i lampa-
36 In molte circostanze l’energia dissipata è energia uti-
le in realtà. Una piastra per crêpes presenta una resistenza complessiva di 132 Ω. f Considerato che al suo interno circola una corrente di 5000 mA calcolare la potenza assorbita dall’apparecchio. [3,31 kW]
37 Una macchina del pane che lavora per 80 minuti as-
sorbe una potenza di 900 W. f Qual è il lavoro compiuto?
dari sono collegati in serie o in parallelo? Da quale fatto puoi dedurlo? Che cosa puoi dire della differenza di potenziale ai capi di ciascun lampadario? L’intensità di corrente è la stessa per ogni lampadario? 46 «La resistenza equivalente di un parallelo di resistori
è la sommatoria degli inversi delle singole resistenze». La frase precedente è errata, correggila. 47 Qual è lo scopo del lavoro compiuto dal generatore?
38 Un generatore mantiene una differenza di potenzia-
le di 47 V ai suoi capi. f Sapendo che esso eroga una potenza di 5,5 kW calcolare l’intensità di corrente prodotta. [1,2 102 A]
39 Calcola la resistenza totale di un rasoio che assorbe
una potenza di 4,0 W sapendo che al suo interno circola una corrente di 12 A. [28 10–3 Ω]
di protezione per i sistemi elettrici capace di interrompere la corrente «rompendosi», quando questa supera una certa soglia. Ogni fusibile è capace di far passare una corrente massima differente. Spiega in 10 righe secondo quale principio funziona il fusibile.
144 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Massimiliano Trevisan
48 Il fusibile è un dispositivo [4,32 106 J]
5
I CIRCUITI ELETTRICI PROBLEMI 49 Nel nodo di un circuito convergono 6 conduttori. Le
correnti entranti nel nodo valgono rispettivamente 16,5 A e 86,6 A, mentre quelle uscenti valgono ix, 14,3 A, 35,0 A e 21,7 A. f Quanto vale ix?
di acciaio e collegati ai tralicci. Il motivo di questa scelta sta nel fatto che nonostante l’alluminio abbia una resistività maggiore del rame, ha tuttavia un costo inferiore.
[32,1 A]
50 Due terne di resistori R1, R2 e R3 vengono collegati
V
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secondo gli schemi illustrati nella figura. R2
R1
f Calcola la resistenza di un cavo di alluminio e di uno di rame entrambi di sezione pari a 200 mm2 e lunghezza di 100 km.
R3
V
R2
[13,8 Ω; 8,45 Ω]
R3
54 Per selezionare una temperatura diversa di riscalda-
R1
mento due resistori uguali di una stufa sono collegati in parallelo nel loro circuito di alimentazione. Ognuno di essi è escludibile tramite un interruttore.
f Quale circuito ha resistenza equivalente maggiore? f Qual è il valore della resistenza equivalente in ciascuno dei casi, se i valori delle resistenze dei resistori sono R1 1,45 107 Ω, R2 6,32 107 Ω e R3 2,36 107 Ω? [1,24 107 Ω; 7,22 107 Ω]
51 Una stufa elettrica assorbe una potenza di 1,66 kW
ed è alimentata da un generatore che produce una differenza di potenziale di 220 V. f Se la stufa è formata da due resistori identici collegati in parallelo tra loro, qual è il valore della resistenza di ciascuno di essi? [58,3 Ω]
52 Uno spremiagrumi che ha una resistenza di 4,35 Ω e
nel quale circola una corrente di intensità 5,60 A è collegato a un generatore di tensione. f Quanta potenza dissipa? Lo stesso generatore viene usato per alimentare due spremiagrumi identici collegati prima in serie e poi in parallelo. f Quanta potenza dissipa ciascuno di essi nei due casi? [136 W; 68,2 W; 136 W]
53 Negli elettrodotti, per il trasporto di corrente elettri-
ca ad alta tensione, si utilizzano conduttori di alluminio anziché di rame, usato invece per i collegamenti più corti. I cavi di alluminio sono poi legati a dei cavi
f Se il valore della resistenza di ogni resistore è pari a 60 Ω e il generatore produce una differenza di potenziale di 220 V, qual è l’intensità di corrente che circola su ognuno di essi quando sono entrambi collegati? f Qual è l’intensità di corrente che circola su un resistore quando l’altro non è collegato al circuito? f Perché questa soluzione riesce a differenziare la quantità di calore prodotta? [3,7 A; 3,7 A]
55 Un termometro digitale è basato sulla proprietà ter-
mometrica di un conduttore di platino la cui resistività varia con la temperatura secondo un coefficiente α = 3,6 10-3 K–1. f Calcola a quale temperatura in gradi centigradi si trova quando la sua resistività è uguale a 1,14 10–7 Ω m. f Quali grandezze elettriche occorre misurare per determinare indirettamente il valore della temperatura alla quale si trova il conduttore? [41 °C]
56 Un frigorifero assorbe una potenza di 53 W quando
è alimentato da un generatore che mantiene ai suoi capi una differenza di potenziale di 220 V. Qual è la resistenza elettrica del frigorifero? f Quanta energia utilizza in 180 minuti? Esprimi il risultato in joule e in kWh. [9,1 102 Ω; 5,7 105 J; 0,16 kWh]
145 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
5 ESERCIZI 57 Un apparecchio elettrico, che assorbe una potenza
B
di 200 W, è composto da due resistori di resistenza uguale, collegati in serie, ed è alimentato da un generatore che produce una differenza di potenziale di 220 V.
D
f Quanto vale ogni singola resistenza? f Qual è la potenza complessivamente assorbita da due apparecchi dello stesso tipo collegati in parallelo allo stesso generatore? [121 Ω; 400 W]
C E
6,02 1023 1023 1,60 1022 10–16
(Suggerimento: ricorda che l’intensità di corrente che circola all’interno di un conduttore è data dalla carica complessiva che attraversa una sezione trasversale del conduttore nell’unità di tempo.) (Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia 2011-2012) 2 Un circuito elettrico è costituito da tre resistenze col-
VERSO L’UNIVERSITÀ 1
La differenza di potenziale elettrico ai capi di una lampadina è costante e pari a 100 V. Per un periodo di tempo pari a 1000 s la lampadina assorbe una potenza elettrica di 160 W. Sapendo che la carica dell’elettrone è 1,60 10–19 C, quanti elettroni si può ritenere abbiano attraversato una sezione trasversale del filo che alimenta la lampadina nell’intervallo di tempo considerato? A 1022
legate in parallelo. Le prime due hanno un valore di 20 e 40 ohm rispettivamente, mentre il valore resistivo della terza è ignoto. Misurando la resistenza totale del circuito si ricava un valore di 12 ohm. qual è il valore più probabile della terza resistenza? A 120 ohm B 72 ohm C 48 ohm D 32 ohm E 240 ohm (Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2009-2010)
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CAPITOLO
Il campo magnetico
“
Su’ li bell’occhi soi do’ calamite Crisciu ce è stata pinta cu pinnieddhu. Beneditta la mamma ci la fice!
”
Serenata di Lecce e Caballino, in Canti popolari delle provincie meridionali, raccolti da A. Casetti e V. Imbriani, 1871
Non c’è angolo del mondo in cui non si conoscano il «sorriso enigmatico» e lo «sguardo magnetico» della Monna Lisa. La metafora non ha bisogno di spiegazioni: gli occhi della dama catturano come calamite l’attenzione di chi li guarda. L’immediatezza di questa immagine, che prende in prestito un fenomeno della fisica, fa da contrappeso alle difficoltà che si incontrano nel suo studio scientifico. In questo capitolo comincerai a conoscere il magnetismo dal punto di vista fenomenologico e ti avvicinerai alla sua trattazione quantitativa e formale. Vedrai, innanzitutto, che in alcuni casi la materia interagisce per mezzo di forze magnetiche reciproche, dovute alla presenza di poli magnetici, denominati convenzionalmente polo nord e polo sud. Analogamente a quanto accade nel caso delle cariche elettriche, i poli di tipo diverso si attraggono, mentre quelli di tipo uguale si respingono. L’interazione
magnetica tra dipoli presenta tuttavia delle differenze dall’interazione elettrica tra cariche. Per esempio possiamo trovare singole cariche positive e singole cariche negative, ma non possiamo separare un polo nord da un polo sud, cioè il più piccolo oggetto dotato di proprietà magnetiche è un dipolo magnetico. Nel 1820 si scoprì che un filo percorso da corrente agisce sull’ago di una bussola, cioè che le cariche elettriche in movimento generano un campo magnetico. Ciò consente di individuare nelle cariche in movimento la causa del magnetismo e di farne uno studio quantitativo attraverso le grandezze elettriche. Vedrai per esempio che il flusso del campo magnetico è nullo, ma anche che non è nulla la sua circuitazione, l’altra grandezza che caratterizza i campi vettoriali, individuando in essi la presenza di vortici.
Leonardo da Vinci, Monna Lisa, 1503-1514.
PAROLE CHIAVE Poli magnetici Interazione magnetica Circuitazione
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6
IL CAMPO MAGNETICO
1
IL MAGNETISMO
Il medico della regina d’Inghilterra Elisabetta I, William Gilbert (1544-1603), fu anche un pioniere negli studi su elettricità e magnetismo. La sua opera principale, il De Magnete, pubblicata nel 1600 (figura 1), contiene importanti osservazioni sui fenomeni magnetici allora noti, cioè sul fatto che alcuni materiali, come la magnetite, riescono ad attirare gli oggetti fatti di ferro. Per esempio osservò che una calamita (o magnete), cioè un corpo che presenta proprietà magnetiche permanenti, è sempre costituita da due estremità che hanno caratteristiche opposte. Esse sono dette poli magnetici, convenzionalmente indicati come polo nord e polo sud, e, se avvicinati l’uno all’altro, esercitano reciprocamente forze attrattive o repulsive a seconda dei casi (figura 2). In particolare
Figura 1. La prima opera scientifica sul magnetismo è il De Magnete di W. Gilbert.
due poli dello stesso tipo si respingono; due poli di tipo diverso si attraggono. N Figura 2. Due poli dello stesso tipo si respingono a vicenda, due poli di tipo diverso si attraggono.
S
S
N
N
S
Questa caratteristica, insieme al fatto che poli magnetici e cariche elettriche esercitano forze a distanza, potrebbe far pensare immediatamente a un’analogia tra il magnetismo e l’elettricità, con la semplice sostituzione del concetto di polo magnetico a quello di carica elettrica. Tuttavia, nonostante l’apparente somiglianza, i fenomeni elettrici e quelli magnetici hanno profonde differenze. Prima di tutto esistono materiali che possiedono proprietà magnetiche naturali, come la magnetite, mentre non esistono materiali elettricamente carichi in natura. Inoltre, mentre possiamo prendere separatamente cariche positive e cariche negative, i poli magnetici non possono essere isolati l’uno dall’altro. Cioè se dividiamo in due una calamita, otteniamo due calamite, ciascuna con un polo nord e un polo sud, e così via continuando a dividere le calamite in pezzettini sempre più piccoli. In altre parole ogni calamita, per quanto piccola, ha sempre un polo nord e un polo sud (figura 3).
S
N
S
S
N
S
S
N
N
S
S
N
N
N
N
S
Figura 3. Se dividiamo una calamita otteniamo nuovamente una calamita con i poli nord e sud.
Non è possibile dividere una calamita in modo tale da separare il suo polo nord dal suo polo sud. Anche il più piccolo magnete è ancora un dipolo e non esistono i cosiddetti monopoli magnetici, costituiti da un polo nord o un polo sud isolati.
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IL CAMPO MAGNETICO
6
Il campo magnetico Anche l’interazione magnetica si manifesta attraverso un’azione «a distanza», e anche in questo caso si può superare il problema concettuale introducendo il concetto di campo come modificazione delle proprietà dello spazio, dovuta alla presenza di un magnete: in questo caso a ogni punto è associato un valore della forza magnetica che agisce su un piccolo «magnete di prova». Se il magnete di prova è libero di muoversi si dispone parallelamente alla direzione della forza magnetica. In altre parole,
SIMULAZIONE Il campo magnetico di un magnete (PhET, University of Colorado)
il magnete di prova ci consente di individuare, punto per punto, la presenza del campo magnetico, che si manifesta attraverso la forza che agisce su esso.
Phil Degginger / Alamy
Faraday partì proprio da un’osservazione sui magneti per delineare il concetto di campo, già incontrato nella definizione di campo elettrico, che visualizzava in questo caso per mezzo della limatura di ferro. Infatti quando delle piccolissime pagliuzze, ottenute limando un pezzo di ferro, vengono poste in prossimità di un magnete, si dispongono ordinatamente lungo le linee del campo magnetico dando forma alle sue linee di forza. Si osserva che le linee si addensano intorno ai poli della calamita seguendo percorsi curvi (figura 4).
N
S
N
S
Ciascuna pagliuzza rappresenta un magnete di prova e individua, nel punto in cui è posta, la presenza di una forza dovuta alla presenza della calamita, ma in realtà anche in sua assenza è possibile definire in quel punto un determinato valore del cosiddetto campo magnetico. Le ideali linee di forza definiscono ¤ il vettore campo magnetico B, tale che: s la direzione del campo magnetico è, punto per punto, tangente alle linee di forza in quel punto; s il suo verso è quello per cui le linee di forza escono dal polo nord ed entrano nel polo sud; s la sua intensità dipende dalla densità delle linee di forza.
N
Figura 4. In prossimità di una calamita le pagliuzze di ferro si dispongono lungo linee curve che si addensano ai poli; le linee si dispongono in modo da unire un polo nord e un polo sud affacciati; le linee divergono da due poli di tipo uguale affacciati, senza intersecarsi.
ESEMPIO f Nello spazio «interno» di un magnete a barra, tra i poli nord e sud, le linee del campo magnetico sono parallele e quindi il campo è uniforme. Come si può ottenere un campo magnetico uniforme, senza dover entrare «dentro» un magnete? SOLUZIONE Nella regione di spazio compresa tra due poli magnetici opposti, posti l’uno di fronte all’altro, si osserva un campo magnetico uniforme.
N
S
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N
6
IL CAMPO MAGNETICO
Le linee del campo escono dal polo nord ed entrano nel polo sud, secondo direzioni rettilinee, parallele tra loro. DOMANDA La situazione sopra descritta può essere ottenuta avvicinando i poli opposti di due diversi magneti, ma anche con un singolo magnete di forma opportuna. Trova almeno un esempio in cui sia verificata quest’ultima eventualità.
2
EFFETTI MAGNETICI DELL’ELETTRICITÀ
Nel 1820 Hans Christian Oersted era un insegnante di fisica all’università di Copenaghen. Mentre preparava una lezione sulle correnti elettriche, si imbatté in un fenomeno sconosciuto: un ago magnetico posto nelle immediate vicinanze di un filo percorso da corrente subiva una rotazione e si disponeva lungo una direzione perpendicolare al filo (figura 5). Il professore capì che si trattava di un’osservazione importante: aveva infatti scoperto che le correnti elettriche esercitano forze su aghi magnetici, analoghe a quelle esercitate dalle calamite. In altre parole, Oersted si accorse che
a
Pictorial Press Ltd / Alamy
una corrente elettrica genera un campo magnetico.
i0 ago b Figura 5. a. Oersted osservò che un filo percorso da corrente esercita una forza su un ago magnetico. b. In assenza di corrente l’ago è orientato lungo il campo magnetico terrestre; in presenza di una corrente l’ago si orienta perpendicolarmente alla direzione del filo se posto nelle sue vicinanze.
La notizia fu accolta con grande interesse dalla comunità scientifica e si aprì un nuovo ambito di indagine, in cui i fenomeni elettrici e i fenomeni magnetici si sovrappongono, l’elettromagnetismo. Seguirono molti altri esperimenti, che indagarono il comportamento magnetico delle correnti elettriche, e permisero di quantificare le forze magnetiche attraverso grandezze elettriche. La separazione tra interazioni magnetiche ed elettriche fu lentamente abbandonata e si iniziò a parlare di interazione elettromagnetica, la cui definizione sarà completata nel capitolo «L’induzione elettromagnetica». Ci si i0 rese conto che le forze magnetiche e le forze elettriche sono manifestazioni diverse riconducibili a una stessa causa unificante, che noi percepiamo separatamente solo in particolari condizioni statiche. Nomi di spicco in questa fase sono quelli di Faraday e di Ampère: il primo, abilissimo fisico sperimentale, realizzò e interpretò esperimenti determinanti; il secondo, esperto matematico, riuscì a dare una veste teorica formale a una moltitudine di fenomeni.
Azione di un campo magnetico su un filo percorso da corrente Se un filo percorso da corrente genera un campo magnetico, allora è in grado di interagire, a sua volta, con un campo magnetico. In effetti anche i conduttori percorsi da corrente, oltre che le calamite, risentono dell’azione del campo magnetico. Ciò ci permette di definire l’intensità del campo magnetico, e quindi la sua unità di misura, attraverso la forza magnetica che
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IL CAMPO MAGNETICO
6
agisce su un filo percorso da corrente, le cui grandezze caratteristiche sono misurabili con facilità nel SI. Un filo rettilineo di lunghezza ᐉ percorso da corrente di intensità i, posto ¤ in una regione di spazio in cui vi è un campo magnetico B, è soggetto a una ¤ forza F la cui intensità è misurabile con un dinamometro (figura 6a), mentre la direzione e il verso sono dati dalla regola della mano destra (figura 6b). →
→
S
F
F
→
B
i
i Figura 6. La forza che agisce su un filo percorso da corrente all’interno di un campo magnetico è perpendicolare sia al filo che alle linee del campo.
N dinamometro a
b
Nel caso illustrato in figura 6 le direzioni della corrente nel filo e del campo magnetico sono perpendicolari tra loro. Nel caso più generale la direzione della forza che agisce sul filo è sempre perpendicolare al piano individuato dal campo magnetico e dalla corrente, cioè al palmo della mano, ma la sua intensità dipende dall’orientazione reciproca di questi ultimi. In definitiva la relazione matematica che lega le tre grandezze contiene un prodotto vettoriale: ¤
¤
¤
F iᐍ × B
(6.1)
¤
dove ᐉ è un vettore diretto lungo il filo nel verso della corrente e il cui modulo è pari alla lunghezza del filo. Se indichiamo α l’angolo formato da ¤ ¤ B e da ᐉ (figura 7), l’espressione della forza diventa F iᐉB sinα verso della forza uscente dal foglio →
i
B →
F
Figura 7. L’intensità della forza che agisce su un filo percorso da corrente all’interno di un campo magnetico dipende dall’angolo formato dal campo e dal filo.
艎
¤
¤
Nel caso particolare in cui ᐉ e B sono perpendicolari, si ha che l’intensità della forza che agisce sul filo è F iᐉB sinα iᐉB sin90° F iᐉB
(6.2)
151 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
IL CAMPO MAGNETICO
da cui B
F iC
(6.3)
Il campo magnetico può essere espresso mediante le unità del Sistema Internazionale newton, ampere e metro. A questa unità si dà il nome di tesla (T) dal nome dell’ingegnere serbo Nikola Tesla: 1T
1N 1 A 1 m
Cioè, un campo magnetico di 1 tesla agisce con una forza si 1 newton su un filo lungo 1 metro percorso da una corrente di 1 ampere. In figura (figura 8) sono illustrati gli ordini di grandezza di alcuni campi magnetici.
c
d
Kasuga Huang
NASA
Nikita Rogul / Shutterstock
b
NASA / JAXA
Figura 8. a. La Terra è un grande magnete il cui campo magnetico sulla superficie ha un’intensità dell’ordine di 10–5 T. b. Il campo magnetico di una calamita da frigorifero ha un’intensità dell’ordine di 10–2 T. c. Nelle macchie solari, regioni di intensa attività magnetica, il campo ha intensità dell’ordine di 10–1 T. d. Il campo magnetico di uno strumento diagnostico (risonanza magnetica) ha intensità dell’ordine di 1 T.
a
Campo magnetico di un filo percorso da corrente Utilizzando della limatura di ferro sparsa uniformemente su un piano perpendicolare al filo è possibile visualizzare le linee di forza del campo magnetico generato dalla corrente, mediante l’orientazione dei piccoli aghi magnetici che compongono la limatura. Si osserva che le linee del campo generato dalla corrente sono circonferenze concentriche al filo (figura 9). Le circonferenze si infittiscono vicino al filo e si diradano lontano da esso: questo significa che l’intensità del campo magnetico decresce allontanandosi dal filo. Immaginando che il filo sia molto lungo e posto nel
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6
IL CAMPO MAGNETICO
vuoto, detta d la distanza da esso e i l’intensità della corrente che vi circola, l’intensità del campo magnetico è data dalla relazione dimostrata sperimentalmente dai francesi Jean-Baptiste Biot (1774-1862) e Félix Savart (1791-1841), nota come legge di Biot e Savart: ⎛ μ0 ⎞ i ⎜ ⎟ ⎝ 2π ⎠ d
→
B
(6.4)
sciencephotos / Alamy
B0
i
dove μ0 è detta permeabilità magnetica del vuoto:
Figura 9. La limatura di ferro sparsa su un piano perpendicolare al filo percorso da corrente permette di visualizzare il campo magnetico generato dalla corrente.
μ0 4π 10–7 N/A2 4π 10–7 T m/A L’intensità del campo magnetico generato da un filo rettilineo molto lungo nel vuoto è direttamente proporzionale all’intensità della corrente che circola nel filo e inversamente proporzionale alla distanza da esso. Il verso convenzionale del campo magnetico si ricava puntando il pollice della mano destra nel verso della corrente: le linee di forza del campo sono in questo modo orientate lungo le altre dita della mano chiusa (figura 10).
i →
→
B
ESEMPIO f Quale deve essere l’intensità della corrente affinché a distanza di 10 cm da un filo (molto lungo rispetto a tale distanza), si misuri un campo magnetico di 5,0 × 10–5 T, pari circa al campo magnetico terrestre?
B
corrente uscente dal foglio
corrente entrante nel foglio
Figura 10. Se la corrente è uscente dal foglio, le linee di forza del campo magnetico da essa generato hanno verso antiorario. Se è entrante, hanno verso orario.
SOLUZIONE Invertendo la formula (6.4) rispetto all’intensità di corrente, si ha: d 10 × 10−2 m i = 2πB = 2π × 5, 0 × 10−5 T × = 25 A μ0 4 π × 10−7 m/A DOMANDA Qual è la differenza di potenziale che si deve applicare al filo affinché vi scorra una corrente di 25 A, se la resistenza del filo è 150 Ω?
Interazione magnetica tra fili percorsi da corrente Due fili rettilinei percorsi da corrente generano campi magnetici che interagiscono tra loro con una forza che può essere attrattiva o repulsiva a seconda del verso della corrente. Affiancando due fili molto lunghi rispetto alla distanza che li separa, e facendo scorrere in essi due correnti elettri-
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→
B
6 i1
i2
IL CAMPO MAGNETICO
i1
che, si verifica sperimentalmente che essi si attraggono se le correnti hanno lo stesso verso e si respingono se le correnti hanno versi opposti. Le linee dei rispettivi campi magnetici infatti sono concordi nel primo caso e contrastanti nel secondo (figura 11). L’intensità della forza F che agisce su un tratto di lunghezza ᐉ di uno dei due fili, posti a distanza reciproca d e percorsi da correnti i1 e i2, è data dalla legge di Ampère:
i2
F Figura 11. Se le correnti hanno lo stesso verso le linee dei campi magnetici sono concordi e i fili si attraggono, se le correnti hanno verso opposto le linee dei campi magnetici sono contrastanti e i fili si respingono.
⎛ μ 0 ⎞ i1i2 C ⎜ ⎟ ⎝ 2π ⎠ d
(6.5)
ESEMPIO f Un tratto di filo pari a 2,0 m è percorso da una corrente di 2,5 A. A quale distanza va collocato, nel vuoto, un secondo filo di uguale lunghezza e in cui scorra una corrente di 3,5 A lungo la stessa direzione, affinché tra essi vi sia una forza attrattiva di 1,0 10–3 N? SOLUZIONE Invertendo la legge di Ampère (formula (6.5)), rispetto alla distanza tra i fili d, si ha d=
μ 0i1i2C 4 π × 10−7 N/A 2 × 2, 5 A × 3, 5 A × 2, 0 m = = 3, 5 × 10−3 m −3 2πF 2π × 1, 0 × 10 N
DOMANDA Disegna un possibile circuito in cui entrambi i fili sono collegati allo stesso generatore.
3
CARICHE ELETTRICHE IN MOVIMENTO
Un filo percorso da corrente elettrica genera un campo magnetico, che in assenza di corrente si annulla. Poiché la corrente elettrica è definita in termini di cariche in moto ordinato, in ultima analisi, si può collegare la generazione di campi magnetici alla presenza di cariche in movimento. Ne segue che una carica elettrica in movimento genera un campo magnetico. Una carica che si muove in un campo magnetico interagisce con esso mediante una forza, detta forza di Lorentz.
La forza di Lorentz Su una carica in movimento in un campo magnetico agisce una forza perpendicolare sia al campo che alla velocità della carica, detta forza di Lorentz, in onore del fisico olandese Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928).
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IL CAMPO MAGNETICO
6
¤
L’espressione matematica della forza di Lorentz Fᐉ che agisce su una carica q in ¤ moto in un campo magnetico B con velocità v¤ è data dal prodotto vettoriale: ¤
¤
Fᐉ qv¤ B
(6.6)
L’intensità della forza di Lorentz è dunque Fᐉ qvB sinθ ¤
dove θ è l’angolo formato dalle direzioni di v¤ e di B; mentre la direzione e il verso sono determinati per mezzo della regola della mano destra (figura 12). →
F艎
→
→
B
B →
→
v
q0
v
q0 a
b
Figura 12. ¤ a. La forza F l che agisce su una particella carica ¤ che si muove con velocitठv in un campo magnetico B è ¤ ¤ perpendicolare sia a v che a B . ¤ b. Il verso di F l è uscente dal palmo della mano per cariche positive ed è entrante nel palmo della mano per cariche negative.
→
F艎
Osserviamo che la forza di Lorentz e la velocità della particella sono sempre perpendicolari, per cui la forza di Lorentz non compie lavoro e quindi non modifica l’energia cinetica della particella, ma deflette la sua traiettoria.
Moto di una particella carica in un campo magnetico uniforme Supponiamo che in una regione di spazio vi sia un campo magnetico unifor¤ me e costante B, come accade nella zona compresa tra i poli opposti di due magneti, e che una particella carica positivamente q vi entri con velocità v¤ costante perpendicolare alle linee di forza, come illustrato nella figura 13a. Rappresentando la situazione dall’alto, cioè dal punto di vista di un osservatore posto sul polo nord, le linee di forza entrano nel piano del foglio e vengono rappresentate come piccole croci che indicano il punto di entrata (figura 13b). La forza di Lorentz che agisce sulla carica all’interno del campo magnetico è diretta perpendicolarmente alla direzione del suo N moto e al campo stesso, cioè si manifesta → come una spinta laterale che fa curvare la v sua traiettoria. Dato che l’intensità del campo B e della velocità della particella carica sono costanti, anche la forza di Lorentz ha intensità costante e pari a S Fᐉ qvB sinθ qvB
a
Figura 13. ¤ a. La velocità v della particella carica positivamente è perpendicolare alle linee di forza del campo magnetico ¤ uniforme B . b. Viste dall’alto, cioè dal polo nord, le linee di forza del campo magnetico entrano nel piano del foglio. In tal caso sono rappresentate con piccole croci.
→
v
b
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S
6
in quanto la direzione della velocità è perpendicolare alle linee del campo → → magnetico, per cui θ 90° e quindi F艎 → ¤ F艎 v sinθ 1. La direzione di Fᐉ è sempre ¤ → → perpendicolare sia a v¤ che a B , per cui F F 艎 艎 → v essa appartiene sempre al piano di figura → v 14a. In definitiva la forza di Lorentz è una forza centripeta, diretta verso il centro di b una circonferenza di raggio r, quindi la particella carica si muove di moto circolare uniforme (figura 14b). Il valore di r si ricava confrontando la formula generale dell’intensità della forza centripeta Fcf con quella della forza di Lorentz: →
v
→
F艎
→
v
IL CAMPO MAGNETICO
a Figura 14. a. La forza di Lorentz spinge la particella perpendicolarmente al suo moto e al campo magnetico. b. Se il modulo di v e di B sono costanti la particella si muove di moto circolare uniforme.
Fcf
mv 2 r
FC
qv B
uguagliando le quali si ottiene:
mv 2 r r
qv B mv 2 qv B
cioè una particella di carica q in moto con velocità v costante e perpendicolare a un campo magnetico uniforme di intensità B percorre un’orbita circolare di raggio r
mv qB
(6.7)
ESEMPIO f Una particella carica si muove in una regione in cui vi è un campo magnetico uniforme di intensità 0,44 T, con velocità perpendicolare alle linee del campo e pari a 4,5 105 m/s, percorrendo una traiettoria curva con raggio di curvatura costante e pari a 1,1 cm. Qual è il rapporto tra la carica e la massa della particella? SOLUZIONE Invertiamo la formula (6.7) mettendo in evidenza il rapporto q/m: q v 4, 5 × 10 5 m/s = = = 9, 3 × 10 7 C/kg −2 m Br 0, 44 T × 1, 1 × 10 m DOMANDA La stessa particella si muove all’interno dello stesso campo magnetico con una velocità di 5,3 106 m/s. Qual è il raggio di curvatura della traiettoria in questo caso?
156 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO
4
6
SPIRE E SOLENOIDI
Modificando la forma di un filo percorso da corrente si modifica anche il campo magnetico da esso generato. Nella pratica sono molto usate configurazioni particolari: s la spira, cioè un filo conduttore avvolto con forma circolare (ma esistono anche di forma quadrata o rettangolare); s il solenoide, in cui il filo è avvolto in modo da formare un’elica cilindrica.
Campo magnetico di una spira percorsa da corrente Supponiamo di piegare il filo percorso da corrente e immaginiamo, con esso, le linee di forza del suo campo magnetico, che si addensano all’interno della curvatura e si diradano all’esterno. Se pieghiamo il filo in una spira circolare, dalla figura possiamo osservare che le linee del campo si chiudono a distanze dal filo maggiori mano a mano che ci si avvicina al centro della spira. Sull’asse della spira, intesa come la retta perpendicolare al piano della spira e passante per il suo centro, le linee di forza hanno direzione sempre più simile a quella di una retta (figura 15). i
R
Figura 15. Sull’asse della spira circolare le linee di forza del campo magnetico si chiudono all’infinito, cioè sono dirette lungo una retta perpendicolare al piano della spira.
i
i
→
B
In generale il campo magnetico generato da una spira circolare di raggio R percorsa da corrente di intensità i, è diretto lungo l’asse della spira stessa. Il suo verso è quello indicato dalla direzione del pollice quando le altre dita si avvolgono nel verso della corrente che circola nella spira (figura 16). La sua intensità sull’asse della spira è data dalla formula: μ 0iR 2
B0 = 2
R
(R2 + z )
dove z rappresenta la distanza, lungo l’asse, dal centro della spira. Ponendo z 0 in tale equazione si ottiene il valore del campo nel centro della spira:
B0
⎛ μ0 ⎞ i ⎜ ⎟ ⎝ 2 ⎠R
O
i
2 3
Figura 16. Nel centro della spira il campo magnetico è perpendicolare al piano della spira e il suo verso è indicato dal pollice quando le altre dita si chiudono nel verso della corrente.
(6.8)
157 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
IL CAMPO MAGNETICO
Azione di un campo magnetico su una spira percorsa da corrente Facciamo circolare una corrente continua all’interno di una spira quadrata immersa in un campo magnetico uniforme parallelamente alle linee del campo e libera di ruotare intorno a un asse ad esse perpendicolare (figura 17a). Per la formula (6.6) la forza che agisce sui tratti rettilinei della spira paralleli al campo è nulla, mentre quella sui tratti perpendicolari è a questi perpendicolare e mette in rotazione la spira. Su ciascuno di essi, infatti la forza ha uguale intensità e verso opposto F1 Biᐉ
F2 Biᐉ
per cui si ha una coppia che determina la rotazione del sistema. La rotazione si interrompe quando il piano della spira diventa perpendicolare al campo magnetico: in tale configurazione, infatti, le forze che agiscono sui fili si contrappongono annullandosi a vicenda (figura 17b). →
→
F2
F2 Figura 17. a. La coppia di forze magnetiche agenti sui due tratti rettilinei opposti della spira ne determina una rotazione. b. Il movimento rotatorio della spira cessa quando le forze si contrappongono lungo la stessa direzione.
S
S N
N
→
F1 i
i a
i
i
→
F1
b
In genere ciò non avviene immediatamente, perché la spira ha un’inerzia che fa proseguire il moto appena oltre la posizione di equilibrio. La coppia però richiama all’equilibrio la spira, la quale oscilla intorno alla configurazione di equilibrio fino a fermarsi. Tuttavia, se nell’istante in cui la spira ha oltrepassato la configurazione di equilibrio il verso della corrente viene invertito, si viene a formare una coppia opposta alla prima, che riporta la spira nella posizione in cui il suo piano è parallelo al campo. Invertendo nuovamente il verso della corrente, la spira può continuare a ruotare (figura 18). Figura 18. Il moto rotatorio continuo è dato dall’inversione, ogni mezzo giro, del verso delle forze che agiscono sulla spira, cioè della corrente che vi circola.
Una spira percorsa da corrente compie un moto rotatorio all’interno di un campo magnetico se il verso della corrente viene invertito ogni mezzo giro.
158 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO
6
Figura 19. I motori elettrici utilizzano le forze magnetiche che agiscono su conduttori percorsi da corrente.
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Andrey Burmakin / Shutterstock
Il dispositivo schematizzato è alla base del funzionamento di un motore elettrico in cui l’energia potenziale elettrica è trasformata in energia cinetica della spira (figura 19).
Campo magnetico di un solenoide percorso da corrente Avvolgendo più volte il filo percorso da corrente, a formare un’elica cilindrica, si ottiene un solenoide. N i Il solenoide può essere pensato come se fosse formato da tante spire circolari l’una accanto all’altra. Se la distanza tra le spire è molto piccola, quando nel solenoide circola una corrente elettrica, si forma un campo magnetico molto simile a quello di un magnete a barra (figura 20). i Se immaginiamo un solenoide di lunghezza infiS nita, vediamo che le linee di forza restano confinate nello spazio interno, dove il campo è uniforme e diretto lungo l’asse, mentre all’esterno il campo magnetico è nullo (figura 21). Se un solenoide reale è molto lungo rispetto alla distanza tra le spire, allora al suo interno il campo magnetico è approssimativamente uniforme, parallelo all’asse del solenoide e la sua intensità dipende dal numero di spire per unità di lunghezza. Se ᐉ è la lunghezza del solenoide, N è il numero di spire e i l’intensità della corrente che vi circola, si ha: B0
μ 0 Ni
C
(6.9)
Figura 20. Il campo magnetico generato da un solenoide percorso da corrente è simile a quello generato da un magnete a barra.
N
S
i
→
B →
B 0 Figura 21. Il campo magnetico di un solenoide infinito è nullo all’esterno e uniforme all’interno.
ESEMPIO f Qual è l’intensità del campo magnetico che si misura all’interno di un solenoide lungo 2,0 cm e formato dall’avvolgimento di 25 spire, nel quale passa una corrente di intensità 80 mA? SOLUZIONE Dalla formula (6.9) otteniamo direttamente B0 =
4 π × 10−7 T m/A × 25 × 8, 0 × 10−2 A = 1, 3 × 10−4 T 2, 0 × 10−2 m
DOMANDA In che modo possiamo raddoppiare l’intensità del campo magnetico interno al solenoide senza modificarne la lunghezza?
159 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
→
B 0
6
IL CAMPO MAGNETICO
5
IL CAMPO MAGNETICO NELLA MATERIA
Le formule viste finora valgono nel vuoto, tuttavia possiamo continuare a usare formule formalmente identiche ad esse anche in presenza di un mezzo materiale, a patto che al posto della permeabilità magnetica del vuoto μ0 si sostituisca la permeabilità magnetica assoluta μ, definita dalla formula μ μ0 μr
(6.10)
dove μr è la permeabilità magnetica relativa, pari al coefficiente di proporzio¤ ¤ nalità tra campo magnetico nella materia B e nel vuoto B0: ¤
¤
B μr B 0
Tabella 1. Campo magnetico di un filo rettilineo molto lungo, di una spira e di un solenoide nella materia.
(6.11)
La permeabilità magnetica è una misura di come la materia si comporta in presenza di un campo magnetico: a seconda del suo valore, si individuano diversi tipi di materiali. In tabella 1 sono riassunte le espressioni per i campi magnetici generati da un filo rettilineo a breve distanza da esso, da una spira sull’asse e nel suo centro, e da un solenoide al suo interno nel caso più generale in cui vi sia la presenza di un mezzo materiale.
CONDUTTORE PERCORSO DA CORRENTE i
LINEE DEL CAMPO
LIMITI DI VALIDITÀ
FORMULA
Valore a breve distanza d
⎛μ ⎞i B =⎜ ⎟ ⎝ 2π ⎠ d
verso della corrente uscente dal foglio
i
Filo rettilineo →
→
B
B
Valore sull’asse a distanza z dal piano della spira R
Spira circolare di raggio R
μ iR 2
B0 = 2
(R + z ) 2
i
Valore nel centro
⎛μ ⎞ i B =⎜ ⎟ ⎝2⎠R
L
Solenoide di lunghezza ᐉ e numero di spire N
N
S
Valore al suo interno lontano dai bordi
N i
i
160 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
B=
μ Ni
C
2
3
IL CAMPO MAGNETICO
6
Proprietà magnetiche della materia Non tutti i materiali hanno le stesse proprietà magnetiche: una calamita riesce ad attirare un pezzo di ferro, ma non avviene nulla se la avviciniamo a un pezzo di legno. In realtà tutti i materiali presentano proprietà magnetiche, ma in alcuni casi sono talmente deboli che non è facile rilevarli. Distinguiamo tre tipi di materiali: s i materiali ferromagnetici sono fortemente attratti dai magneti e la loro permeabilità magnetica è maggiore di 1; s i materiali paramagnetici sono debolmente attratti da un magnete e la loro permeabilità magnetica è di poco maggiore di 1; s i materiali diamagnetici sono debolmente respinti da un magnete e la loro permeabilità magnetica è minore di 1. Per comprendere tali differenze dal punto di vista microscopico, partiamo dall’osservazione che il campo magnetico di una spira percorsa da corrente assomiglia molto a quello di un magnete a barra, e in particolare il loro comportamento è lo stesso se ci poniamo a una distanza grande rispetto alla distanza tra i poli magnetici (figura 22).
N
i
S
Figura 22. Osservato a grande distanza il campo magnetico di una spira percorsa da corrente è equivalente a quello di un magnete a barra, cioè di un dipolo magnetico.
Questo fatto, noto come teorema di equivalenza di Ampère si enuncia dicendo che il campo magnetico di una spira percorsa da corrente è, a grande distanza, equivalente a quello di un dipolo magnetico. Le proprietà magnetiche della materia possono essere spiegate in termini di correnti elettriche microscopiche. Entro certe approssimazioni, infatti, gli atomi possono essere schematizzati come piccole spire percorse da corrente (correnti elementari), dovute al moto degli elettroni intorno al nucleo. Ciascun atomo si comporta quindi, secondo il teorema di equivalenza di Ampère, come un piccolo dipolo magnetico. Possiamo quindi immaginare che la materia sia fatta da tanti piccoli dipoli più o meno liberi di orientarsi ¤ secondo il campo magnetico Best in cui sono immersi. Le correnti elementari si sovrappongono e si sommano l’una all’altra, dando origine a correnti che si avvolgono sulla superficie del corpo, in quanto i contributi interni si compensano a vicenda. Se il corpo ha forma cilindrica le correnti complessive si avvolgono sulla superficie e l’effetto magnetico è quello di un solenoide. Nel caso delle sostanze ferromagnetiche le correnti elementari sono intense e generano un campo magnetico
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6
IL CAMPO MAGNETICO
che ha lo stesso verso del campo magnetico esterno. A seconda del tipo di materiale abbiamo il campo magnetico generato dalle correnti elementari è orientato parallelamente o in direzione opposta al campo magnetico esterno e ha una diversa intensità (figura 23):
Figura 23. a. Le correnti elementari si comportano complessivamente come una corrente che si avvolge sulla superficie del materiale. b. Il campo magnetico generato dalle correnti elementari ha lo stesso verso del campo magnetico esterno nelle sostanze paramagnetiche e ferromagnetiche. c. Invece è opposto al campo magnetico esterno nelle sostanze diamagnetiche.
s ferromagnetiche: le correnti elementari sono intense e formano un campo magnetico che ha lo stesso verso del campo magnetico esterno; s paramagnetiche: le correnti elementari sono deboli e formano un campo magnetico che ha lo stesso verso del campo magnetico esterno; s diamagnetiche: le correnti elementari sono deboli e formano un campo magnetico che ha verso opposto a quello del campo magnetico esterno. correnti complessive
→
→
B0 a
→
B0 b
B0 c
Ferromagnetismo Materiali come il ferro, il nichel, il cobalto o loro leghe sono fortemente attratti da un magnete. Questo accade perché in presenza di un campo magnetico essi si magnetizzano a loro volta e inoltre in molti casi la loro magnetizzazione permane anche se a un certo punto il campo si annulla. Se per esempio strofiniamo un ago di acciaio su una calamita, esso si magnetizza e diventa capace di attirare a sé altri aghi di acciaio (figura 24).
Massimiliano Trevisan
Figura 24. Alcuni materiali ferromagnetici si magnetizzano in presenza di un campo magnetico e la magnetizzazione permane anche in sua assenza.
Secondo una teoria proposta dal francese Pierre Weiss (1865-1940) la magnetizzazione residua si verifica perché i dipoli magnetici, grazie alle proprietà cristalline del materiale, si trovano ad avere la stessa orientazione all’interno di piccole regioni. Tali regioni, dette domini di Weiss (o domini ferromagnetici), si comportano come piccole calamite il cui campo magnetico è molto più intenso di quello dei singoli dipoli, in quanto gli effetti di questi ultimi si sommano l’uno all’altro. Quando i domini sono orientati casualmente, i loro effetti si compensano a vicenda e generano un campo magnetico macroscopico complessivo nullo. Quando però il materiale è immerso in un campo magnetico esterno, nel materiale compare una magnetizzazione indotta, in quanto i domini che sono orientati lungo
162 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO
la sua direzione si ampliano e gli altri si riducono. Se il campo applicato è sufficientemente intenso, questi ultimi possono arrivare a scomparire del tutto (condizione di saturazione), e l’oggetto si presenta come un unico grande dominio di Weiss, con un campo magnetico molto più intenso di quello esterno (figura 25). →
B
→
B 0
→
B
→
B 0
saturazione
6
Figura 25. Se i domini di Weiss sono orientati a caso, i loro effetti si annullano complessivamente e il campo magnetico macroscopico è nullo. In un campo magnetico esterno i domini allineati con esso si ingrandiscono; in condizioni di saturazione il campo magnetico all’interno del materiale ferromagnetico è molto più intenso di quello esterno.
Quando, in questa condizione, il campo magnetico esterno si annulla, nel materiale ferromagnetico i dipoli possono rimanere orientati lungo un’unica direzione: in tal caso diciamo che la sua magnetizzazione è permanente, abbiamo cioè ottenuto un magnete artificiale. Tuttavia ciò non accade al di sopra di una certa temperatura, tipica per ogni materiale ferromagnetico, detta temperatura di Curie (tabella 2). Ogni materiale ferromagnetico perde la sua magnetizzazione al di sopra della temperatura di Curie. TEMPERATURA MATERIALE (K)
(°C)
ferro (Fe)
1043 K
770 °C
cobalto (Co)
1402 K
1131 °C
631 K
358 °C
nichel (Ni)
Tabella 2. Temperatura di Curie di alcuni materiali ferromagnetici.
Ciò è comprensibile se pensiamo che la temperatura è legata all’agitazione termica microscopica. Al di sopra della temperatura di Curie le particelle, prima raggruppate in domini di Weiss, hanno energia sufficiente per muoversi a caso indipendentemente le une dalle altre e il materiale perde le sue proprietà ferromagnetiche.
Paramagnetismo Al di sopra delle temperatura di Curie la materia non può avere proprietà ferromagnetiche, in quanto l’agitazione termica contrasta l’allineamento dei dipoli microscopici all’interno dei domini di Weiss. In tal caso anche materiali quali ferro o il nichel si comportano come materiali paramagnetici, cioè vengono debolmente attratti da una calamita. Sono materiali paramagnetici l’alluminio, il platino, il calcio, il sodio, il potassio, l’ossigeno. Dal punto di vista microscopico dobbiamo immaginare che un materiale paramagnetico sia formato da tanti piccoli dipoli magnetici orientati a caso, tali che il loro campo magnetico complessivo sia nullo. Quando avviciniamo
163 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
Figura 26. a. Possiamo immaginare che all’interno di un materiale paramagnetico, in assenza di condizioni di magnetizzazione, ci siano dipoli magnetici orientati a caso. b. In presenza di un campo magnetico esterno essi tendono ad orientarsi nello stesso verso del campo esterno, ma l’agitazione termica contrasta questa tendenza. c. Il campo magnetico complessivo all’interno del materiale paramagnetico è leggermente più intenso di quello esterno.
IL CAMPO MAGNETICO
una calamita a un corpo paramagnetico, i dipoli interagiscono con il campo magnetico esterno e tendono ad allinearsi nello stesso verso del campo esterno ma tale allineamento è contrastato dal moto di agitazione termica. Solo un campo magnetico molto intenso riuscirebbe ad allineare tutti i dipoli di un materiale paramagnetico, pertanto il campo magnetico indotto all’interno del materiale è una piccola percentuale del campo magnetico esterno; il campo magnetico totale dato dalla somma del campo esterno e del campo magnetico indotto è leggermente maggiore di quello esterno. Inoltre in assenza di campo magnetico esterno la magnetizzazione dell’oggetto scompare (figura 26). →
B
a
→
B 0
b
→
B 0
c
Diamagnetismo
Figura 27. a. Possiamo immaginare che all’interno di un materiale diamagnetico, in assenza di condizioni di magnetizzazione, non vi siano dipoli magnetici. b. In presenza di un campo magnetico esterno si formano dipoli orientati in direzione opposta rispetto la campo magnetico esterno. c. Il campo magnetico complessivo all’interno del materiale diamagnetico è leggermente meno intenso di quello esterno.
Le sostanze diamagnetiche, quali il rame, l’argento, l’oro, la grafite, l’acqua, molti gas e molti composti organici, vengono debolmente respinte da una calamita. Dal punto di vista microscopico all’interno del materiale non vi sono dipoli magnetici, in quanto gli elettroni danno origine a un campo magnetico elementare nullo; pertanto in assenza di un campo magnetico esterno la magnetizzazione è nulla. La presenza di un campo magnetico esterno determina delle variazioni sui moti degli elettroni dell’atomo, che danno origine così a campi magnetici elementari, aventi verso opposto al campo magnetico esterno. Ne segue che il campo magnetico complessivo è di intensità leggermente inferiore rispetto a quest’ultimo (figura 27). →
B
a
→
B 0
b
→
B 0
c
Tutti i materiali in realtà hanno un comportamento diamagnetico, ma in alcuni casi è nascosto dalla presenza del comportamento paramagnetico. Il diamagnetismo è infatti molto più debole del paramagnetismo e necessita di campi magnetici molto intensi per essere osservato. Per concludere osserviamo che, mentre il paramagnetismo presenta una somiglianza con la polarizzazione per orientamento delle molecole dei dielettrici, il diamagnetismo fa piuttosto pensare alla polarizzazione per deformazione. In tabella 3 è illustrato uno schema riassuntivo del magnetismo nella materia.
164 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
IL CAMPO MAGNETICO
TIPO DI MATERIALE
COMPORTAMENTO MACROSCOPICO
Ferromagnetico
È fortemente attratto da un magnete
DIPOLI MAGNETICI MICROSCOPICI IN ASSENZA DI CAMPO MAGNETICO
DIPOLI MAGNETICI MICROSCOPICI IN UN CAMPO MAGNETICO ¤ ESTERNO Best
¤
CAMPO MAGNETICO INTERNO Bint
→
B int
→
B est 0
→
B est
→
B est
冷 Bint 冷 冷 Best 冷
→
Paramagnetico
È debolmente attratto da un magnete
B int
→
B est 0
Diamagnetico
È debolmente respinto da un magnete
→
B est
→
B est
→
B int
→
B est 0
→
→
B est
B est
冷 Bint 冷 冷 Best 冷
Tabella 3. Il magnetismo nella materia.
L’elettromagnete
Figura 28. Gli elettromagneti hanno le più svariate applicazioni: nel sollevamento dei rottami metallici (circa 2 tesla), nella tecnica diagnostica della risonanza magnetica (qualche tesla), nella ricerca scientifica (fino alle decine di tesla).
National High Magnetic Field Laboratory- University of Florida
Levent Konuk / Shutterstock
Se inseriamo un nucleo ferromagnetico all’interno di una bobina percorsa da corrente, il campo magnetico si intensifica e otteniamo un cosiddetto elettromagnete, o elettrocalamita. Otteniamo cioè un dispositivo in grado di generare un campo magnetico di elevata intensità, regolabile a piacere tramite l’intensità della corrente nella bobina. Gli elettromagneti sono in grado di generare campi magnetici di intensità dell’ordine del tesla, fino alla decina di tesla (figura 28).
worradirek / Shutterstock
冷 Bint 冷 冷 Best 冷
165 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
IL CAMPO MAGNETICO
ESEMPIO f Il solenoide del circuito illustrato in figura è uguale a quello dell’esempio precedente, ma al suo interno vi è un materiale ferromagnetico di permeabilità magnetica relativa μr 5000. Che cosa succede quando il circuito viene chiuso tramite l’interruttore? Sapendo che la differenza di potenziale ΔV ai capi del generatore è 12 V, la resistenza del circuito è 150 Ω, qual è l’intensità del campo magnetico all’interno del solenoide?
campanello
materiale ferromagnetico
R
din! SOLUZIONE Quando nel circuito circola corrente il solenoide genera un campo magnetico simile a quello di una barra magnetica con il polo nord verso l’alto. Se l’intensità N del campo è sufficientemente elevata, la barretta ferromagnetica viene attratta dal solenoide e il martelletto urta il R campanello, producendo un segnale sonoro. Un dispositivo S i di questo tipo è stato utilizzato come telegrafo elettrico per le comunicazioni a distanza. L’intensità della corrente che circola nel circuito è data dalla prima legge di Ohm: ΔV 12 V i= = = 8, 0 × 10−2 A 150 Ω R
i
i
Sostituendo il valore della permeabilità magnetica assoluta μ μ0 μr, al posto μ0 nella formula abbiamo:
(6.9)
B=
4 π × 10−7 Tm/A × 5000 × 25 × 8, 0 × 10−2 A = 6, 3 × 10−1 T 2, 0 × 10−2 m
DOMANDA Ritieni che il campo magnetico generato dal solenoide sia sufficientemente intenso da far suonare il campanello? Rispondi in 5 righe confrontando l’ordine di grandezza del campo con quello generato da una comune calamita (B ⯝ 10–2 T). Che cosa succede se si inverte la polarità del generatore?
6
LA CIRCUITAZIONE E IL FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO
Approfondiamo qui la trattazione della circuitazione, introdotta nel capitolo «Il campo elettrico», attraverso la sua definizione matematica. Abbiamo visto che la circuitazione del campo elettrico è nulla perché si tratta di un campo conservativo. Vediamo ora che cosa significa che la circuitazione di un campo vettoriale è diversa da zero, partendo dal caso del campo vettoriale delle velocità v¤ all’interno di un fluido. Dimostriamo che se il fluido è in moto vorticoso, la circuitazione è diversa da zero su qualsiasi percorso Γ che si sviluppi lungo vortice. Se scomponiamo ¤ il percorso lungo Γ in tanti tratti piccolissimi Δᐉi e calcoliamo per ciascuno di
166 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO
6
essi il prodotto scalare con il campo delle velocità v¤, tangente punto per punto al vortice, osserviamo che i valori ottenuti hanno tutti lo stesso segno e si rinforzano quindi l’uno con l’altro nel calcolo della circuitazione CΓ(v¤) (figura 29). CΓ (v¤) Σ (v¤ · Δᐉi ) 苷 0 ¤
(6.12)
i
→
v
→
v
→
Figura 29. Lungo il vortice di un fluido la circuitazione del campo delle velocità delle particelle del fluido è diversa da zero.
Shvaygert Ekaterina / Shutterstock
v →
v
→
v →
v
In generale, se il flusso del campo attraverso una superficie chiusa determina la presenza di sorgenti o pozzi del campo in una regione di spazio, la circuitazione determina invece la presenza di vortici, come è schematizzato in tabella 4. OPERAZIONI IN UN CAMPO VETTORIALE
FORMULA
CASO
SIGNIFICATO
Tabella 4. Operazioni in un generico campo vettoriale v¤.
LINEE DEL CAMPO
ΦΣ 0 ¤
Flusso del campo v attraverso una superficie chiusa Σ
Dentro Σ non ci sono sorgenti o pozzi del campo
I I Φ Σ = ∑ v i ⋅ ΔSi
ΦΣ 苷 0
Dentro Σ sono presenti sorgenti o pozzi del campo
CΓ 0 Circuitazione ¤ del campo v lungo un percorso chiuso Γ
Lungo Γ ci sono vortici del campo
CΓ = ∑ (vi ⋅ Δ i ) i
CΓ 苷 0
Lungo Γ non ci sono vortici del campo
167 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
IL CAMPO MAGNETICO
La circuitazione del campo magnetico Applichiamo la formula (6.12) al campo magnetico generato da un filo percorso da corrente, considerando un percorso chiuso Γ al suo interno. Suddividiamo la curva Γ in tanti tratti piccolissimi Δᐉk in modo da poter considerare uniforme il campo magnetico Bk su ciascuno di essi. Abbiamo dunque
CΓ ( B ) =
∑
k=1−n
( Bk ⋅ Δ
k)
(6.13)
Dato che le linee di forza del campo magnetico sono chiuse, la circuitazione dipende dalla curva Γ: se essa «gira intorno» a un filo percorso da corrente, cioè se la corrente attraversa la superficie che ha per contorno Γ, si dice che la corrente è concatenata al percorso Γ. In tal caso la circuitazione del campo magnetico, nel vuoto, è data dal teorema di Ampère: CΓ ( B ) = μ0
∑
k=1−n
(6.14)
ik
dove dentro il simbolo di sommatoria vanno considerate solamente le correnti ik concatenate con Γ, in quanto quelle esterne danno un contributo nullo alla circuitazione (figura 30). i
i
Figura 30. Se una corrente è concatenata con Γ allora dà un contributo non nullo alla circuitazione.
corrente concatenata con
corrente non concatenata con
Intuitivamente questo risultato può essere interpretato immaginando che il campo magnetico formi dei vortici intorno alle correnti. Inoltre, dal momento che la circuitazione può essere diversa da zero, allora il lavoro nel campo magnetico dipende dal percorso effettuato e quindi il campo magnetico non è conservativo.
Flusso del campo magnetico attraverso una superficie Analogamente al campo elettrico, definiamo il flusso di un campo magne¤ ¤ tico costante B attraverso una superficie piana orientata S , mediante la relazione: ¤
¤
¤
Φ(B ) B · S cioè
Φ BS cosθ
168 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
(6.15)
IL CAMPO MAGNETICO ¤
6
¤
dove θ è l’angolo tra i vettori B e S . L’unità di misura del flusso del campo magnetico è il tesla per metro quadro (T·m2), detto anche weber (Wb), dal nome del fisico tedesco Wilhelm Eduard Weber (1804-1891). Analogamente a quanto abbiamo fatto nel caso del campo elettrico, se B non è uniforme o la superficie non è piana, si divide la superficie in n elementi di area ΔS sufficientemente piccoli da poter essere considerati piani, si calcola per ciascuno di essi il flusso parziale ¤
¤
¤
ΔΦi (B ) Bi · ΔSi e si sommano tutti i contributi: n n I I I I Φ( B ) = ∑ ΔΦ( B ) = ∑ Bi ⋅ Δ Si i =1
(6.16)
i =1
Ricordiamo che il flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie è il numero di linee di forza che attraversano la superficie e che il flusso del campo attraverso una superficie chiusa determina la presenza di sorgenti o pozzi, cioè di punti in cui le linee del campo nascono o muoiono. Osservando le linee di un campo magnetico qualsiasi, non è difficile constatare che qualsiasi superficie chiusa si consideri, in qualunque posizione si metta, le linee entranti sono sempre in egual numero rispetto alle linee uscenti (figura 31). i
i
Figura 31. Il flusso del campo magnetico attraverso una qualsiasi superficie chiusa è uguale a zero.
Questo risultato è noto come teorema di Gauss per il campo magnetico. Il flusso del campo magnetico attraverso qualsiasi superficie chiusa è uguale a zero. ¤
ΦΣ (B ) 0
(6.17)
Questo significa che il campo magnetico non ha né sorgenti né pozzi: le sue linee di forza sono chiuse tra i poli nord e sud. In altre parole questo risultato esprime in forma matematica che non esistono poli magnetici isolati.
169 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
IL CAMPO MAGNETICO
STORIA DELLA FISICA Faraday «It [science] teaches us to be neglectful of nothing, not to despise the small beginnings – they precede of necessity all great things». (Michael Faraday, in Faraday life and letters, 1858)
Library of Congress Prints and Photographs Division Washington, D.C.
Michael Faraday (1791-1867) ha una storia che assomiglia per molti versi a una favola. Nacque povero e sicuramente non morì ricco. La scienza, alla quale dedicò la vita, diede a Faraday qualcosa di più: egli visse con semplicità, ma immerso nella sua più grande passione, che gli regalò il piacere di grandiose scoperte. I suoi risultati come chimico e abilissimo fisico sperimentale sono ancora oggi attuali e brillanti.
L’inizio di una favola La sua famiglia viveva in condizioni economiche piuttosto modeste e a 13 anni dovette lasciare la scuola per andare a lavorare. Questa non fu certo una sfortuna: il suo datore di lavoro, un legatore di nome George Ribau, gli consentì di guadagnare un’istruzione scientifica superiore a quella che avrebbe ricevuto a scuola. Faraday, infatti, lavorava tra i libri e poteva leggerli e studiarli, e questo alimentò in lui una vivace curiosità e una profonda passione per la scienza, che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.
Michael Faraday ritratto in un dagherrotipo realizzato da Mathew Brady.
L’incontro con la scienza accademica
La storia continua
© Pictorial Press Ltd / Alamy
Il giovane Faraday era apprezzato e stimato da Ribau e, grazie a lui, riuscì nel 1812 a ottenere dei biglietti per assistere ad alcune lezioni del chimico Humphry Davy, presso la Royal Institution. Durante le lezioni prese appunti; successivamente li rilegò confezionandoli in un fascicolo e li presentò allo stesso Davy, che entusiasta del lavoro gli offrì un impiego presso il suo laboratorio. Diventando l’assistente di uno scienziato affermato, Faraday entrò ufficialmente nella comunità scientifica, nonostante le sue umili origini. Faraday nel 1855 durante una delle Christmas lectures, lezioni appositamente preparate per i giovani.
In laboratorio Faraday era ineguagliabile. La sua perizia sperimentale e il suo intuito spiccatissimo ne fecero uno scienziato di prim’ordine, che presto si rese indipendente da Davy. Accanto all’attività scientifica coltivò interessi per la divulgazione e la didattica. Gli argomenti studiati dal grande scienziato sono molteplici: dallo studio delle leghe dell’acciaio, alla liquefazione dei gas, dai fenomeni elettrici e magnetici alla decomposizione elettrochimica. Nel 1825 scoprì il benzene isolandolo dal petrolio usato nelle lampade per illuminazione. Nonostante la scarsa preparazione matematica dovuta alla sua formazione particolare, svoltasi al di fuori dei circuiti istituzionali dell’istruzione, egli seppe orientarsi tra i fenomeni con un intuito eccezionale e delineò concettualmente una grandezza matematica del tutto nuova nel panorama scientifico dell’epoca. Egli pose infatti le basi del concetto di campo, sviluppato formalmente da James Clerk Maxwell, che analizzò e approfondì i suoi lavori.
DOMANDA Quale metodo usò Faraday per visualizzare le linee del campo magnetico? Spiega in 5 righe il ruolo di un magnete di prova per l’individuazione dell’intensità, della direzione e del verso del vettore campo magnetico.
170 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO
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BIOLOGIA Le bussole degli animali Come fanno gli uccelli migratori del Nord ad andare verso Sud nella stagione fredda, senza sbagliare direzione? E come fanno balene e delfini, dopo essersi spostati dietro a i flussi di krill, a tornare nei loro mari nella stagione degli accoppiamenti?
Gli animali migratori si orientano nello spazio grazie a complessi sistemi di navigazione, chiamati genericamente bussole biologiche. Un meccanismo piuttosto diffuso nella navigazione animale è quello della bussola solare, per il quale gli animali assumono un certo angolo di orientamento rispetto al Sole, che sono in grado di far variare a seconda dell’ora del giorno grazie a informazioni provenienti dal proprio ritmo biologico, calibrato in base all’alternarsi del giorno e della notte. In alcuni uccelli che migrano durante la notte è stata provata l’esistenza di un meccanismo di orientamento basato sulla posizione delle stelle, detto bussola stellare. Sono state fatte, infatti, osserva- La posizione del Sole aiuta gli animali migratori zioni all’interno di planetari nei quali l’orientazione dell’immagine durante il giorno grazie alla cosiddetta bussola della volta stellata è variabile a piacere, ed è stato visto che essi sono solare. in grado di riconoscere alcune costellazioni, in particolare quelle che si trovano vicino ai poli. «Spegnendo» singolarmente alcune stelle, infatti, tali uccelli restavano orientati secondo la direzione di migrazione, mentre apparivano disorientati quando veniva spenta la stella polare o le stelle che si trovano a meno di 35° da essa. Un’altra importante bussola biologica utilizza le informazioni sulla luce proveniente dalla volta celeste, che risulta polarizzata: la luce, che è un’onda elettromagnetica, può presentare un piano preferenziale in cui avviene l’oscillazione, detto piano di polarizzazione. La polarizzazione della luce è particolarmente utile per l’orientamento al crepuscolo, in assenza di Sole e di stelle.
Bussole magnetiche Diversi esperimenti effettuati variando il campo magnetico in cui si trovano gli animali, hanno dimostrato che essi dispongono anche di una sorta di bussola magnetica interna. Sono stati osservati i comportamenti di uccelli chiusi in gabbie circolari prive di qualsiasi punto di riferimento e si è visto che riuscivano a mantenere un’orientazione definita dal campo magnetico presente, sia naturale che artificialmente modificato. Nella maggior parte dei casi gli animali sono in grado di orientarsi misurando l’inclinazione delle linee di forza (e non il loro verso), che è nulla all’equatore e cresce in verso opposto verso i poli. Per quest’ultimo motivo in prossimità dell’equatore magnetico tali animali non sono in grado di orientarsi e devono ricorrere ad altre strategie. La coesistenza di più tipi di bussola, quindi, garantisce la possibilità di orientarsi in diverse situazioni e condizioni, tuttavia pone il problema della reciproca calibrazione.
Le linee di forza del campo magnetico terrestre fungono da guide per gli uccelli migratori.
Incidenti di percorso Ogni tanto si assiste a moltitudini di animali che sbagliano drammaticamente direzione: balene e delfini che si arenano su spiagge, uccelli che seguono rotte suicide. I fattori che inducono sugli animali false informazioni sulla direzione da seguire possono essere diversi. Tra essi l’interferenza con i meccanismi delle varie bussole provocata da attività umane quali sonar, segnali elettromagnetici, eccetera. Anche l’attività magnetica solare influenza il campo magnetico terrestre e potrebbe modificarlo a tal punto da fare letteralmente «perdere la bussola» agli animali che lo usano per orientarsi.
DOMANDA Come funziona una bussola? Spiegalo in 5 righe.
171 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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Le bussole biologiche
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IL CAMPO MAGNETICO
CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO CON Tracce nella storia Parole, immagini, suoni…
Il ricordo degli avvenimenti e delle opinioni degli uomini del passato giunge fino a noi attraverso il tempo, grazie alla conservazione della loro memoria. Si conservano gli usi e le tradizioni, come regole implicite della vita quotidiana, non scritte, non codificate; si conservano le filastrocche e le fiabe che, di bocca in bocca, raggiungono il presente dalla notte dei tempi. Sono legami profondi con il nostro passato, non affidati ad alcun segno grafico, ad alcun supporto materiale, ma solamente al modo di agire e alle tradizione orale. Si tratta di una memoria molto stabile, non facilmente cancellabile, ma tuttavia mutevole e soggetta a lenti e piccoli cambiamenti che nel tempo si sovrappongono, modificandone in parte il contenuto originale. Diversamente accade ai documenti scritti, che rappresentano una forma di memorizzazione del passato capace di raggiungere inalterata il presente, ma che sono soggetti a irreversibile distruzione con grande facilità. Ricordiamo che l’immensa biblioteca di Alessandria, edificata nel III secolo a.C., conteneva presumibilmente oltre 400 000 documenti, i quali andarono irrimediabilmente distrutti in un incendio. Solo l’utilizzo della stampa ha permesso di rinforzare questo tipo di memoria scritta: producendo più copie di un documento è possibile infatti aumentare la probabilità che esso riesca a sopravvivere agli eventi.
La scrittura ci consente di far durare nel tempo fatti e opinioni, attraverso racconti, resoconti, scritture private, o attraverso la registrazione di atti pubblici negli archivi ufficiali. Ritratti e busti realizzati dagli artisti del passato ci mostrano i volti e le fogge dei nostri avi; e ancor più la fotografia e il cinema ci permettono di ricostruire fedelmente l’immagine di un tempo lontano. Dal fonografo al grammofono, alle moderne tecnologie per la registrazione e riproduzione dei suoni, la nostra memoria del passato si arricchisce di nuovi elementi e, dal XIX secolo è sempre meno difficile la sua ricostruzione. I dati da conservare a nostra disposizione si sono tuttavia moltiplicati a dismisura, non solo perché sono aumentate le fonti di informazione, ma anche perché è aumentato il ritmo di produzione dei documenti stessi. Si pone dunque il problema dello spazio fisico necessario per memorizzarli, oltre che alla loro modalità di conservazione.
L’antica biblioteca di Alessandria non era solamente un archivio per libri e documenti, ma un vero e proprio centro di ricerca scientifica dove gli scienziati si confrontavano tra loro in un ambiente culturalmente ricco e stimolante. Tra il 1998 e il 2002 in sua memoria è stata costruita la nuova Bibliotheca Alexandrina, un enorme edificio in grado di raccogliere fino a 8 milioni di volumi.
PAROLA CHIAVE
Poli magnetici
DOMANDA Descrivi in 10 righe la magnetizzazione di un materiale ferromagnetico in termini di domini di Weiss.
© AF archive / Alamy
Cary Bass
Conservare il passato
Una scena del film Quarto potere (1941), di Orson Wells. La quantità di dati che la moderna società produce conferisce a quanti hanno il potere di gestirli e diffonderli, la facoltà di influenzare l’opinione pubblica, nonché la memoria degli eventi.
PAROLA CHIAVE
Interazione magnetica
DOMANDA Che cosa succede se si fa scorrere una calamita su un nastro magnetico?
172 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO
6
DOMANDA Quale legge descrive la proprietà termometrica che ha permesso ai fratelli Mon-
Soluzioni magnetiche
Memorizzare dati
C. / Shutterstock
Dmitry Naumov / Shutterstock
tgolfier di sbalordire il mondo con il loro pallone aerostatico? [parola-chiave associata: proprietà Dagli anni Venti del XX secolo alle varie strategie per I nastri magnetici sono stati utilizzati anche per memorizla memorizzazione dei dati del passato, si è aggiunto zare dati in formato digitale. Un dato in formato digitale il magnetismo. Il primo supporto in grado di registrare è rappresentato da una serie di cifre (dall’inglese digit). dati sfruttando le proprietà magnetiche della materia è Utilizzando il sistema di numerazione binario, che usa la il cosiddetto nastro magnetico. Esso è composto da una base 2 anziché la base 10, ogni numero è rappresentato sorta di doppio strato di materiale flessibile e resistente, da una sequenza di cifre uguali a 1 o a 0, ed è quindi posall’interno del quale è depositato un terzo strato di matesibile trasformare un dato in una sequenza di dipoli matermometriche] riale ferromagnetico, in grado di modificare la sua strutgnetici orientati verso l’alto o verso il basso. Per esempio tura a seconda del campo magnetico in cui è immerso. il numero 25 si scrive Inizialmente i nastri magnetici furono usati per registrare 251 · 24 1 · 23 0 · 22 0 · 21 1 · 20 1 1 0 0 1 e quindi memorizzare i suoni. La registrazione di un nastro audio avviene per mezzo di un segnale elettrico che Cioè può essere rappresentato da una sequenza di dipoli varia a seconda del suono e produce quindi un campo magnetici. magnetico che dipende dal suono stesso. Mentre il nastro 11001 DOMANDA Il volume occupato da un gas in una trasformazione a pressione costante è direttascorre il materiale ferromagnetico modifica la sua strut↑↑↓↓↑ tura in base al campo magnetico e fissa quindi le caratNella realtà non si lavora su singoli dipoli magnetici, ma teristiche del suono che l’ha prodotto. In fase di lettura su domini di Weiss, che hanno un’estensione e una staavviene il contrario: a partire dai cambiamenti del cambilità maggiore. Il nastro è in grado di memorizzare lunpo magnetico impressi sul nastro è prodotto un segnale ghe sequenze di dati, ma ha l’inconveniente di consenelettrico che riproduce il suono in un opportuno sistema tirne una lettura solamente sequenziale, oltre che essere di trasformazione e amplificazione. molto ingombrante. Nell’informatica Negli anni Sessanta del scorso i nastri magnetici mente proporzionale allasecolo sua temperatura. Spiega in 5 righe perché questa affermazione non è sono stati sviluppati supporti più compatti e versatili come i dischi magnetici iniziarono a essere usati anche per la memorizzazione (floppy disk e hard disk). di immagini in movimento. I dispositivi a uso domestiOggi esistono molte strategie di memorizzazione dei dati co più diffusi per la memorizzazione di musica e filmati digitali: dalle memorie ottiche a quelle basate sulle promediante nastri magnetici sono le musicassette e le viprietà dei semiconduttori, che tendono a ridurre sempre deocassette, che sono state completamente rimpiazzate più lo spazio necessario all’archiviazione. Il rischio di perda sistemi di memorizzazione ottica o elettronica negli dita dei dati è ridotto dalla semplicità con cui essi possoultimi 10 anni. corretta. [parola-chiave associata: temperatura] no essere duplicati.
ARENA Creative / Shutterstock
SeDmi / Shutterstock
DOMANDA Il pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier è in equilibrio meccanico alla quota di
250 m rispetto al suolo: essa non si muoveper nélain verticale né in orizzontale. È verificato l’equilibrio Dispositivi registrazione di audio e video su nastro magnetico.
PAROLA CHIAVE
I dati vengono memorizzati in formato digitale come sequenze ordinate di cifre uguali a uno o zero.
Circuitazione
DOMANDA Quale relazione c’è tra il fatto che un materiale ferromagnetico si magnetizza presentando un polo nord e un polo sud, con il fatto che la circuitazione del campo magnetico è diversa da zero? termico con l’ambiente? Motiva la risposta. [parola-chiave associata: equilibrio termico]
173 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI Due calamite si attraggono esercitando fra loro una INTERAZIONE MAGNETICA Ogni calamita è formata da due POLI MAGNETICI detti POLO NORD e POLO SUD poli magnetici uguali si respingono S
N
N
S
N
S
S
N
Una calamita genera nello spazio un CAMPO MAGNETICO B
che si può individuare tramite la forza magnetica che agisce su un piccolo magnete di prova punto per punto Una corrente elettrica genera un campo magnetico
poli magnetici opposti si attraggono S
N
S
N
che si può rappresentare tramite le linee di forza
S
N
i
a livello microscopico
Una carica in movimento genera un campo magnetico
le linee di forza sono anelli concentrici al filo, perpendicolari al verso della corrente
LA CIRCUITAZIONE DEL CAMPO MAGNETICO I I I C Σ (B ) = Σk (Bk ⋅ ΔC k ) è diversa da zero
I CΓ ( B ) = μ Σ k i k
il campo magnetico è non-conservativo
teorema di Ampère
174 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO ¤
CAMPO MAGNETICO B0 generato NEL VUOTO da FILO RETTILINEO percorso da corrente
LEGGE DI BIOT-SAVART
i 艎 d
FORZA MAGNETICA agente sul filo immerso in un campo B
μ0 i 2π d
B0 =
da cui
¤ ¤
F iᐉ·B
B=
F iC
unità di misura del capo magnetico tesla (T) 1 T 1 N/1 A · 1 m z
SPIRA CIRCOLARE percorsa da corrente
μ dR 2
B0 = R
2
i
(
R2 + z 2
)
3
sull’asse della spira N
SOLENOIDE percorso da corrente
B0 = μ 0
Ni L
all’interno del solenoide
L
¤
CAMPO MAGNETICO B0 NELLA MATERIA ¤
¤
B0 μr B0
μr permeabilità magnetica relativa μ μr μ0 permeabilità magnetica assoluta
TUTTI I MATERIALI PRESENTANO PROPRIETÀ MAGNETICHE Materiale
Comportamento macroscopico
Permeabilità magnetica
ferromagnetico
è fortemente attratto da un magnete
μ 1
paramagnetico
è debolmente attratto da un magnete
μ1
diamagnetico
è debolmente respinto da un magnete
μ1
175 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6
20 test (30 minuti)
6 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI 9 «Secondo la legge di Biot-Savart l’intensità di cam-
IL MAGNETISMO
po magnetico è direttamente proporzionale alla distanza dalla corrente che lo genera». Correggi questa frase, se necessario.
DOMANDE Descrivi almeno una analogia e una differenza tra cariche elettriche e poli magnetici.
1
10 In quali punti le linee di campo magnetico generato
dallo scorrere della corrente in un filo rettilineo sono più rade?
2 Che cosa accade quando spezziamo in due parti un
magnete? Descrivi in 5 righe il fenomeno macroscopico e un possibile modello microscopico che lo riproduca.
11 Che cosa accade se poniamo due fili conduttori per-
3 Fai almeno tre esempi in cui, nella vita di tutti i giorni,
12 «La legge di Ampère mette in relazione la corrente
corsi da corrente a una distanza piccola rispetto alla loro lunghezza?
si usano magneti.
elettrica e la forza che attrae dei fili percorsi da corrente con il campo magnetico da essi prodotto». Correggi questa frase se necessario.
4 In che modo possiamo rilevare la presenza di un
campo magnetico in una regione di spazio? 5 Guardando come si dispone la limatura di ferro, rico-
CALCOLI
nosci in quale delle due figure i poli vicini alle due barrette magnetiche sono opposti.
13 Ricava il valore del modulo del campo magnetico ad
una distanza di 34 cm da un filo rettilineo su cui scorre una corrente di 10 A. [5,8 10–6T]
14 Un filo percorso da corrente produce un campo ma-
gnetico di intensità B a una distanza d. f Come devo modificare l’intensità di corrente che attraversa il filo per ottenere lo stesso campo magnetico a una distanza pari al triplo della precedente? 15 A quale distanza mi trovo da un filo percorso da
3,4 A di corrente se rilevo un’intensità di campo magnetico di 3,0 10–5 T? Massimiliano Trevisan
[2,3 cm]
16 Un tratto di filo lungo 40 mm percorso da una cor-
rente di 9,2 10–2 A si trova immerso in un campo magnetico uniforme di 3,2 10–2 T. La direzione della corrente forma un angolo α rispetto alle linee di campo che lo attraversano.
6 Disegna le linee del campo magnetico generato da
→
B
due magneti allineati, con i poli magnetici dello stesso tipo posti l’uno di fronte all’altro.
S N
2
i
EFFETTI MAGNETICI DELL’ELETTRICITÀ f Quanto vale α se sul filo agisce una forza di 4,3 10–6 N?
DOMANDE 7 Disegna direzione e verso della forza che agisce su
un filo percorso da corrente immerso in un campo magnetico uniforme. In quale situazione l’intensità di tale forza è massima? 8 Esprimi il tesla, unità di misura del campo magnetico,
nei termini delle unità di misura fondamentali del SI.
[2°]
17 Un filo lungo 50 cm, percorso da una corrente di
7,23 10–3 A, è immerso in un campo magnetico uniforme di intensità B e si trova nella posizione per cui la forza che agisce su di esso è massima e pari a 3,2 N. f Quanto vale B?
176 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
[8,9 102 T]
6
IL CAMPO MAGNETICO
2,1 mT, perpendicolarmente alle linee di forza del campo?
18 Qual è l’angolo di inclinazione rispetto alla direzio-
ne delle linee di campo magnetico in cui è posizionato un filo percorso da corrente per cui si crea una forza di intensità pari alla metà della massima forza possibile?
[1,1 10–16 N]
25 Su un elettrone in moto con velocità 6,7 107 m/s
perpendicolarmente alle linee di forza di un campo magnetico uniforme di 1,7 10–2 T, agisce una forza di 5,4 10–15 N.
[30°]
19 Due fili rettilinei paralleli, lunghi 70 cm, percorsi da
corrente si trovano a una distanza di 15 cm. Quando sul primo filo scorre una corrente di 15 A, esso risente di una forza attrattiva verso l’altro filo di 1,82 10–4 N. f Qual è l’intensità della corrente sul secondo filo?
f Qual è il modulo della velocità dell’elettrone? [2,0 106 m/s]
26 Una particella ha una carica di 4,9 μC e si muove con
una velocità di 27 m/s in un campo magnetico uniforme le cui linee di forza sono perpendicolari al moto della particella.
f Qual è il suo verso? [13 A]
3
f Qual è l’intensità del campo magnetico se la forza di Lorentz che agisce sulla particella è 7,7 10–5 N?
CARICHE ELETTRICHE IN MOVIMENTO
[0,58 T]
DOMANDE
27 Un protone si muove lungo un’orbita circolare di rag-
20 Una particella carica negativamente attraversa un
gio 2,3 cm perpendicolare alle linee di forza di un campo magnetico uniforme di 0,28 T.
campo magnetico uniforme come illustrato in figura. Illustra la situazione dal punto di vista del polo nord, disegnando i vettori che rappresentano la velocità della particella e la forza di Lorentz.
f Qual è la velocità del protone lungo l’orbita, considerando la sua massa pari a 1,67 10–27 kg?
[6,2 105 m/s]
N
28 Una particella si muove di moto circolare uniforme di
raggio 3,4 cm con una velocità 7,1 106 m/s, all’interno di un campo magnetico uniforme le cui linee di forza sono perpendicolari all’orbita.
→
v
f Se l’intensità del campo magnetico è 1,2 mT, qual è il rapporto fra la carica e la massa della particella?
S
21 «La forza di Lorentz non modifica la velocità di una
particella carica in moto in un campo magnetico, perché è istante per istante perpendicolare alla traiettoria della particella». Perché questa affermazione è errata? 22 In quale caso la forza di Lorentz che agisce su una
particella carica in moto in un campo magnetico è nulla? 23 «La forza di Lorentz che agisce su una particella ca-
rica negativamente tende a far diminuire la sua velocità». Correggi questa frase, se necessario.
[1,7 1011 C/kg]
4
SPIRE E SOLENOIDI
DOMANDE 29 Disegna la direzione e il verso del campo magnetico
nel centro di una spira percorsa da corrente. 30 Quale forma deve avere un magnete per generare
un campo equivalente a quello generato da un solenoide? 31 Come deve essere costruito un solenoide affinché al
suo interno si abbia un campo magnetico approssimativamente uniforme?
CALCOLI 24 Quanto vale l’intensità della forza di Lorentz che
agisce su un protone che si muove con velocità 3,3 105 m/s in un campo magnetico uniforme di
CALCOLI 32 Al centro di una spira si ha campo magnetico di in-
tensità pari a B.
177 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6 ESERCIZI f Se il diametro della spira raddoppia, a parità di intensità di corrente, come cambia l’intensità del campo magnetico?
inversamente proporzionale al campo magnetico nel vuoto». Correggi questa frase, se necessario. 40 Che cosa accade se inseriamo un materiale ferroma-
gnetico all’interno di una bobina percorsa da corrente? Rispondi in 5 righe.
33 Un solenoide è formato da N spire e la sua lunghezza
è pari a 40 cm. È percorso da una corrente di 7,96 A e al suo interno è presente un campo magnetico di 1,0 10–2 T.
41 In quali categorie possiamo dividere le sostanze in
base al loro comportamento in un campo magnetico esterno a loro? Quali di esse hanno permeabilità magnetica minore di 1?
f Da quante spire è formato? [400]
34 Due spire di diverso raggio sono poste sullo stesso
piano e sono concentriche. Nella prima spira di raggio 20 cm circola la corrente di 10 A, mentre nella seconda di raggio 10 cm circola una corrente di valore sconosciuto tale da generare un campo che ha verso opposto a quello generato dalla prima spira. f Calcola il valore della corrente della spira più piccola affinché il campo magnetico totale al centro delle due spire sia nullo. [5 A]
5
CALCOLI 42 Il campo magnetico generato da una spira percorsa
da corrente è 3,20 10–5 T. f Se la spira viene posta in acqua (μr 0,99) come varia il suo campo magnetico? [3,17 10–5 T]
43 Quante spire possiede un solenoide di lunghezza
20 cm e percorso da una corrente di 13 A che, immerso in acqua, produce un campo magnetico di 4,5 10–2 T?
IL CAMPO MAGNETICO NELLA MATERIA
[556 spire]
44 Un filo percorso da una corrente di 10 A genera un
DOMANDE
campo magnetico di intensità pari a 6,76 10–6 T a una distanza di 34 cm, all’interno di un materiale.
35 Se strofiniamo un ago di acciaio su una calamita
esso acquista la capacità di attirare un altro ago di acciaio, ma se lo scaldiamo tale proprietà scompare. Perché?
f Calcola la permeabilità relativa del materiale. f Di quale tipo di materiale si tratta? [1,1]
36 «Al di sopra di un certo valore della temperatura,
detto temperatura di Curie, tutti i materiali sono paramagnetici». Riscrivi questa frase in modo corretto. 37 Scrivi una didascalia per questa immagine.
6
LA CIRCUITAZIONE E IL FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO
DOMANDE 45 Di quale grandezza si occupa il teorema di Ampère
per il campo magnetico? 46 Quale misura ci porta ad affermare che il campo ma-
gnetico non è conservativo? 47 Qual è l’unità di misura del flusso del campo magne38 «Per descrivere un materiale diamagnetico dal pun-
to di vista microscopico immaginiamo che sia formato da tanti piccoli dipoli magnetici, che sono orientati a caso in assenza di magnetizzazione. In un campo magnetico esterno i dipoli si orientano nella sua stessa direzione». Perché questa descrizione è sbagliata? 39 «La permeabilità magnetica relativa è direttamente
proporzionale al campo magnetico nella materia ed
tico attraverso una superficie, espresso nelle unità di misura fondamentali del SI? 48 Cosa esprime in fisica il fatto che il flusso del campo
magnetico attraverso una superficie chiusa è sempre nullo?
CALCOLI 49 Le linee di forza di un campo magnetico uniforme B
attraversano una superficie piana S.
178 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
IL CAMPO MAGNETICO f Qual è l’angolo tra la direzione del campo e l’orientamento della superficie per il quale il flusso del campo magnetico attraverso la superficie S è pari alla metà del massimo flusso ottenibile.
6
57 Disegna le linee del campo magnetico intorno al
polo sud di una barra magnetica molto lunga. 58 Le immagini ottenute con la limatura su una superfi-
50 Una superficie piana orientata S , di modulo 40 cm2,
cie piana sono bidimensionali, ma il campo magnetico si estende in realtà in tutto lo spazio tridimensionale. Rappresenta il campo magnetico in 3 dimensioni attraverso un disegno.
è posta in un campo magnetico uniforme B parallelamente alle sue linee di forza.
59 Come è disposto il magnete che ha generato il cam-
[60°] ¤
¤
¤
f Se il flusso di B attraverso S è di 1,84 10–2 Wb, ¤ quanto vale l’intensità di B ? [4,6 T]
po visualizzato mediante la limatura nella figura? Puoi stabilire con certezza la posizione dei poli nord e sud? Motiva la risposta in 5 righe.
51 Una superficie di modulo S pari a 0,30 m2 è immer-
sa in un campo magnetico uniforme di intensità B 5,78 10–4 T. f Qual è l’angolo che S forma con B se il flusso di B attraverso S è pari a 8,9 10–5 Wb? Massimiliano Trevisan
[59°]
52 Un sistema di correnti genera nel vuoto un campo
magnetico che lungo un percorso chiuso Γ ha circuitazione pari a 94,24 10–7 N/A. f Qual è il valore totale delle correnti concatenate con Γ? [7,50 A]
ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 53 Quale dei due solenoidi, percorsi da corrente della
stessa intensità, genera un campo magnetico più intenso nei punti A e B, posti alla stessa distanza da ciascuno? Motiva la risposta.
60 Il campo magnetico è un vettore definito punto per
punto in tutto lo spazio attraverso le linee di forza. In che modo tali linee individuano la direzione, il verso e l’intensità del vettore? 61 Un oggetto cilindrico di materiale ignoto è poggiato
su un piano in verticale. Avvicinando il polo nord di una calamita alla sua sommità essa viene respinta con una forza che fa cadere il cilindro lungo l’asse l’orizzontale. Di quale tipo di materiale è fatto il cilindro? Fai un’ipotesi motivandola in 5 righe. 62 Una carica elettrica q si
N
muove nelle vicinanze di una calamita, come illustrato in figura e la sua S traiettoria subisce una deviazione lungo la direzione uscente dal foglio. Si tratta di una carica positiva o negativa?
A
B
54 Una sarta raccoglie uno spillo servendosi di una ca-
lamita. È la calamita che attira lo spillo o è lo spillo che attira la calamita? Motiva la risposta in 5 righe. 55 In che senso possiamo affermare che un magnete di
prova ci consente di collegare il concetto di campo di forze al concetto di forza? 56 Perché le pagliuzze di limatura di ferro, se poste in
prossimità di un magnete, si dispongono lungo le linee del campo magnetico? Rispondi in 10 righe.
PROBLEMI 63 Qual è il valore del modulo del campo magnetico in
un punto A posto a una distanza di 2,5 cm da un filo rettilineo attraversato da una corrente di 10 A? f Qual è l’intensità della forza che agisce su un tratto di 10 cm di un secondo filo rettilineo percorso da corrente di uguale intensità e direzione, e posto parallelamente ad esso nel punto A? [8,0 10–5 T; 8,0 10–5 N]
179 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
6 ESERCIZI f Quanto vale l’intensità della forza di Lorentz che agisce sulla particella?
64 Due fili paralleli percorsi da corrente si trovano a una
distanza di 80 cm. f Qual è il modulo della forza che si genera su un tratto di filo lungo 46 cm, se nei due fili passano correnti rispettivamente di 3,2 A e 4,5 A? f Come deve essere indicativamente la lunghezza dei due fili per ottenere il risultato precedente?
f Se il raggio di curvatura della traiettoria è 25 cm, qual è la massa della particella? [7,6 10–10 N; 1,5 10–13 kg]
68 Una particella con carica pari a 2,6 10–8 C e massa
9,7 10–9 kg si muove perpendicolarmente alle linee di forza di un campo magnetico uniforme lungo una traiettoria curvilinea con raggio costante e pari a 65 cm.
[1,7 10–6 N]
65 Una spira quadrata di lato 10 cm è appoggiata su un
piano orizzontale privo di attrito. Nella spira circola la corrente di 1,0 A e metà della sua area è interessata da un campo magnetico costante di modulo 0,1 T con linee di forza perpendicolari al piano della spira. Sul lato della spira, opposto a quello che è immerso nel campo magnetico, è presente una molla ideale di costante elastica 1,0 N/m. La spira in queste condizioni tende a essere attratta nella zona in cui è presente il campo magnetico. La presenza della molla porta a una configurazione stabile.
f Se la velocità della particella è 1,7 m/s, qual è l’intensità del campo magnetico? f Qual è l’intensità della forza di Lorentz che agisce sulla particella? [0,98 T; 4,3 10–8 N]
69 Un pezzo di ferro di 150 g si trova inizialmente alla
temperatura di 25 °C in condizioni di magnetizzazione permanente. Successivamente assorbe una quantità di energia pari a 45 kJ e la sua temperatura aumenta. f Il pezzo di ferro è ancora magnetizzato alla temperatura finale? (Suggerimento: ricorda che la variazione di energia ΔE è legata alla variazione di temperatura ΔT dalla formula ΔE mcΔT, dove m è la massa dell’oggetto e c il suo calore specifico, in questo caso pari a 450 J/kg K.)
i
f Trascurando azioni elettriche o magnetiche sulla molla, è possibile stabilire di quanto si è allungata la molla? (Suggerimento: ricorda che la forza elastica è pari F kΔx, dove k è la costante elastica della molla e Δx l’allungamento.) [1,0 cm]
66 Un protone compie una traiettoria circolare con ve-
locità tangenziale costante pari a 2,7 104 m/s perpendicolarmente alle linee di forza di un campo magnetico uniforme di intensità 0,31 T (si consideri la massa del protone pari a 1,67 10–27 kg). f Qual è il raggio di curvatura della traiettoria del protone?
VERSO L’UNIVERSITÀ 1
Il campo magnetico terrestre esercita un momento di forza sull’ago di una bussola. Una delle seguenti affermazioni è certamente sempre vera: A B
C
f Qual è l’intensità della forza di Lorentz che agisce su di esso?
D
67 Una particella ha una carica di 2,6 10–8 C e per-
E
[9,1 10–4 m; 1,3 10–15 N]
corre con velocità tangenziale costante di 35 m/s una traiettoria curvilinea all’interno di un campo magnetico di 8,3 10–4 T, le cui linee di forza sono perpendicolari al suo moto.
Le interazioni magnetiche sono uno degli esempi in cui i principi della meccanica non sono validi. Data la natura dei momenti di forza, è necessario un meccanismo di richiamo altrimenti l’ago comincerebbe a ruotare, senza indicare il Nord. Per il secondo principio della dinamica, nell’emisfero australe l’ago della bussola comincia ad accelerare verso il polo Nord. Per il terzo principio della dinamica, l’ago della bussola esercita un analogo momento di forza sulla Terra. A causa della natura vettoriale del momento di forza, la bussola funziona correttamente solo nell’emisfero boreale.
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2011/2012)
180 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
L’induzione elettromagnetica a
“
What, then, can be a better or a stronger proof than this of the relation of the powers of magnetism and electricity?
”
Gadgetdude
Michael Faraday, On the various forces of nature and their relations to each other, 1894
Secondo il mito, a lungo Amore e Psiche si amarono al buio, finché la curiosità di lei non la indusse a scoprire il volto del suo amante: ne seguirono traversie e complicazioni, ma alla fine i due si unirono per sempre. A lungo gli esperimenti sull’elettricità e il magnetismo furono svolti «al buio», ed emersero solo aspetti parziali della fenomenologia. Dalla scoperta che un filo percorso da corrente genera un campo magnetico partirono una serie di esperimenti ed elaborazioni teoriche che fecero convergere le due classi di fenomeni, elettrici e magnetici, in un’unica descrizione, in cui l’interazione elettromagnetica rappresenta l’unificazione delle altre due. Elettricità e magnetismo, sono dunque aspetti di una stessa proprietà, che appare divisa solamente nel caso statico. Basta far muovere una carica elettrica perché essa mostri le sue proprietà magnetiche, così come un campo magnetico va-
riabile riesce a indurre una corrente elettrica. E allora una corrente elettrica variabile nel tempo, genera un campo magnetico variabile nel tempo, il quale a sua volta induce un’altra corrente elettrica che si sovrappone alla prima per il fenomeno dell’autoinduzione. Vedrai anche che la corrente elettrica delle nostre case viene generata in centrali dove l’energia cinetica di una turbina viene trasformata in energia potenziale elettrica, grazie al movimento reciproco di un circuito e un magnete. La corrente elettrica così ottenuta è detta alternata, perché variabile nel tempo tra due valori opposti. Studiare le correnti alternate può essere in generale complicato, perché cambiano istante per istante, ma usando una sorta di valore medio delle grandezze elettriche oscillanti, detto valore efficace, si possono approssimare con correnti continue e i calcoli si semplificano notevolmente.
Antonio Canova, Amore e Psiche, 1788-1793.
PAROLE CHIAVE Interazione elettromagnetica Autoinduzione Valore efficace
181 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
7
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
1
EFFETTI ELETTRICI DEL MAGNETISMO
L’esperienza di Oersted e tutte le osservazioni quantitative successive, viste nel capitolo «il campo magnetico», avevano mostrato che le correnti elettriche (quindi le cariche in movimento) erano soggette all’interazione magnetica. Faraday, che diede importanti contributi in questi studi, era anche convinto che esistesse una versione «invertita» del fenomeno, nella quale fosse possibile osservare, in qualche modo, una corrente elettrica generata da un magnete. Egli si chiese se inserendo una sorta di circuito chiuso, ma non alimentato, all’interno di un intenso campo magnetico, fosse possibile misurare una corrente, se pur di debole intensità.
Campi magnetici variabili e correnti elettriche Nel 1831 Faraday costruì un apparato sperimentale come quello in figura 1 formato da due bobine conduttrici avvolte intorno a un anello ferromagnetico. La bobina A è collegata a un generatore, quindi vi circola una corrente quando l’interruttore è chiuso; mentre la bobina B è collegata solamente a un sensibile strumento per la misura delle correnti elettriche (galvanometro). interruttore Figura 1. La bobina B non è alimentata da un generatore di tensione, ma è collegata a uno strumento per la misura della corrente elettrica.
galvanometro
generatore
A
B
Faraday osservò che mentre l’interruttore era chiuso e nel circuito A circolava corrente, l’indice del galvanometro del circuito B non si muoveva. Invece nel breve intervallo di tempo in cui l’interruttore veniva chiuso, o veniva aperto, l’ago dello strumento si muoveva bruscamente per poi tornare sul valore zero. Faraday interpretò correttamente il risultato, dicendo che il campo magnetico generato dalla bobina A riusciva a generare senza contato diretto, cioè a indurre, una corrente nella bobina B solamente durante le sue variazioni. In altre parole Le variazioni di un campo magnetico generano una corrente elettrica indotta.
Figura 2. Mentre si agisce sulla differenza di potenziale e l’intensità della corrente nel circuito induttore cambia nel tempo, cambia anche il campo magnetico generato e nel circuito indotto si misura una corrente elettrica.
Questo è vero anche in assenza dell’anello ferromagnetico (il quale ha solo la funzione di amplificare l’effetto) ed è verificabile inserendo un generatore capace di fornire una differenza di potenziale variabile nel circuito induttore A. Modificando la differenza di potenziale e quindi l’intensità di corrente che circola nel circuito induttore, cambia nel tempo il campo magnetico da esso generato e, di conseguenza, si misura una corrente elettrica nel circuito indotto B (figura 2). generatore variabile
V
amperometro
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
7
Magneti in movimento e correnti elettriche Il risultato evidenziato non è vero solamente per variazioni dell’inN tensità del campo magnetico, ma anche per variazioni di direzione e verso. Un esperimento che mostra e conferma quanto detto, consiste nell’inserire un magnete a barra in una bobina collegata con S un galvanometro. Durante l’inserimento del magnete il suo campo magnetico, pur non cambiando in intensità, cambia in direzione e verso: le linee del campo si muovono insieme al magnete e vengono trascinate dentro e fuori la bobina. Nella bobina si misura, di conseguenza, una corrente indotta (figura 3). Faraday si era avvicinato alla scienza per curiosità, mentre lavorava in una legatoria per contribuire alle deboli finanze familiari e non aveva avuto una formazione matematica solida. All’epoca per giunta, la matematica era in pieno sviluppo e si stava arricchendo di concetti e strumenti sempre più sofisticati. Faraday dovette reinventare un modo di pensare nel quale non fosse necessario utilizzare strumenti matematici complicati e che nello stesso tempo spiegasse in modo rigoroso i fenomeni osservati. Come abbiamo visto, introdusse il concetto di campo come modificazione dello spazio, che lui visualizzava attraverso le linee di forza e con esse compiva i suoi ragionamenti. In termini di linee di forza, dunque, elaborò i risultati degli esperimenti sull’induzione elettromagnetica, e concluse che
amperometro
Figura 3. Muovendo una barretta magnetica nei pressi di una bobina, si genera una corrente indotta al suo interno.
La corrente elettrica indotta in un circuito in presenza di un campo magnetico è proporzionale alla variazione del numero di linee di forza del campo che attraversano il circuito nell’unità di tempo. In altre parole, Faraday si rese conto che veniva indotta una corrente elettrica solo quando il conduttore «tagliava» le linee di forza del campo magnetico.
2
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
In termini matematici il numero di linee di forza di un campo è associato al flusso del vettore che lo definisce. In particolare, quindi il numero di linee di forza del campo magnetico tagliate dal circuito è dato dalla variazione del flusso del vettore campo magnetico attraverso una superficie racchiusa dal circuito. La formulazione matematica della regola trovata da Faraday fu fatta dal fisico tedesco Franz Ernst Neumann (1798-1895) e prende quindi il nome di legge di Faraday-Neumann. Essa si esprime dicendo che quando un circuito è immerso in un campo magnetico, le variazioni del flusso del campo magnetico attraverso una superficie delimitata dal circuito (flusso concatenato con il circuito), inducono una forza elettromotrice nel circuito stesso, che genera pertanto una corrente elettrica. La forza elettromotrice indotta fem è definita dall’espressione: I ΔΦ B fem = − Δt
SIMULAZIONE L’induzione elettromagnetica (PhET, University of Colorado)
(7.1)
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
La forza elettromotrice indotta in un circuito è proporzionale alla variazione del flusso del campo magnetico concatenato con il circuito stesso nell’intervallo di tempo considerato. La corrente elettrica i che circola nel circuito si può ricavare, una volta nota la resistenza R del circuito, dalla prima legge di Ohm: I f em 1 ⎛ ΔΦ( B ) ⎞ i= =− ⎜ ⎟ R R ⎝ Δt ⎠
ESEMPIO f Fra le espansioni di un elettromagnete vi è un campo magnetico uniforme di 1,0 T. Una spira che delimita una superficie di area pari a 50 cm2 viene inserita nel campo perpendicolarmente alle linee di forza in 0,10 s. Qual è la forza elettromotrice indotta? SOLUZIONE La variazione complessiva del flusso si ricava facendo la differenza tra il flusso finale, dato dalla formula (6.16) e il flusso iniziale, nullo: ¤
¤
¤
ΔΦ(B ) Φf Φi B · S 0 BS 1,0 T 50 10–4 m2 5,0 10–3 T m2 5,0 10–3 Wb Per la legge di Faraday-Neumann (formula (7.1)): I ΔΦ( B ) 5, 0 × 10 −3 Wb f em = − =− = − 5, 0 × 10 −2 V Δt 0, 10 s DOMANDA Verifica che 1 Wb/s è equivalente a 1 V, ricordando che 1 V è equivalente a 1 J/C.
Figura 4. Mentre avviciniamo il polo nord di un magnete a una spira, in questa viene indotta una corrente di intensità i, la quale genera un campo magnetico indotto Bi, che si oppone alla variazione di flusso che l’ha generata e tende a respingere il magnete.
La legge di Lenz Il segno «meno» che compare nella legge di Faraday-Neumann sta a indicare che la forza elettromotrice tende a opporsi alla variazione di flusso che la genera.
→
S
B
N
→
Bi i
Cioè il verso della corrente indotta è tale da creare un campo magnetico che si oppone al campo magnetico che l’ha generata. Nell’esperimento di Faraday (figura 1), quindi, la corrente indotta nella bobina B ha verso opposto alla corrente che circola nella bobina A. Questo importante enunciato è noto come legge di Lenz, dal fisico russo Emilij Kristianovic Lenz (1804-1865). Vediamo per esempio il caso di una barretta magnetica che si avvicina a una spira circolare (figura 4). Mentre il magnete si avvicina alla spira (il flusso aumenta) nella direzione del polo nord, nella
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
INTENSITÀ DEL CAMPO MAGNETICO ESTERNO B
Aumenta
Diminuisce
FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO ESTERNO B
¤
ΔΦ (B ) 0
¤
ΔΦ (B ) 0
LINEE DI FORZA DEL CAMPO MAGNETICO ESTERNO B
Diventano più numerose
Diventano meno numerose
VERSO DEL CAMPO MAGNETICO INDOTTO Bi
→
→
B in aumento
Ha verso opposto aB
Bi
→
→
B in aumento
Bi
i
i
→
Ha lo stesso verso di B
→
B in diminuzione
B in diminuzione
→
→
Bi
Bi i
spira è indotta una corrente i, la quale a sua volta genera un campo magnetico indotto Bi. Quest’ultimo, per la legge di Lenz, è tale da opporsi alle variazioni di flusso del campo magnetico della barretta B, cioè ha il polo nord rivolto verso esso. Viceversa accade se avviciniamo il magnete nella direzione del suo polo sud: la corrente produce un campo magnetico con il sud rivolto verso il magnete. In altre parole il campo magnetico indotto, generato dalle correnti indotte, tende a respingere la barretta quando questa si avvicina. Quando il magnete si allontana e la variazione di flusso è negativa, invece, il campo magnetico indotto ha lo stesso verso del campo magnetico della barretta. In tabella 1 è indicato il verso del campo magnetico indotto rispetto al verso del campo magnetico esterno e della variazione del flusso. La legge di Lenz è coerente con il principio di conservazione dell’energia: se infatti il campo magnetico indotto della spira avesse la stessa direzione della variazione del flusso, il suo contributo andrebbe a intensificare il campo magnetico e quindi la stessa corrente, che si alimenterebbe da sola all’infinito.
i
Tabella 1. Verso del campo magnetico indotto in relazione al verso del campo magnetico esterno.
Il pendolo di Waltenhofen f Un pendolo di rame è libero di oscillare tra le espansioni di un elettromagnete, tuttavia se quest’ultimo è acceso, il pendolo viene frenato e si blocca al suo interno. Perché? SOLUZIONE Il rame è un materiale diamagnetico che in genere non risente apprezzabilmente della presenza di un campo magnetico,
Istituto Fontana, Rovereto
ESEMPIO
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
tuttavia se muoviamo bruscamente la lamina di rame all’interno delle linee del campo in prossimità del suo bordo, l’elevata variazione del flusso induce correnti su essa, dette correnti di Focault (o correnti parassite). Le correnti hanno andamento vorticoso e generano, a loro volta, un campo magnetico che ha verso opposto al campo esterno in fase di avvicinamento e stesso verso in fase di allontanamento. Cioè la lamina tende ad essere respinta mentre entra nello spazio tra le espansioni del magnete e attratta mentre ne esce. La situazione si può schematizzare immaginando che la lamina sia, a sua volta, un magnete, che cambia polarità al passaggio nel campo magnetico per via delle correnti di Focault che circolano al suo interno.
→
N
v
S
→
N
→
F
S
→
F
N
N
S
N
S
v
S
N
→
v
→
i
F
S
→
v
i
→
F
Di fatto la lamina viene rallentata al passaggio nel campo magnetico e tende a fermarsi. Se il campo magnetico indotto è sufficientemente intenso il pendolo può fermarsi bruscamente. Se al posto di un conduttore compatto se ne usa uno formato da più parti unite insieme, le correnti parassite sono ostacolate dalla discontinuità delle superfici e quindi sono meno intense, per cui l’effetto frenante è ridotto.
Figura 5. a. La forza di Lorentz agisce sugli elettroni di conduzione in movimento nel campo magnetico e li accumula a un estremo della barretta. b. Ai capi della barretta si misura una differenza di potenziale elettrico. c. La forza di Lorentz agisce in direzione opposta rispetto al campo elettrico generato dalla distribuzione di cariche nella barretta. a
N →
S
B F艎 →
→
v
DOMANDA Trova almeno un’applicazione tecnologica delle correnti di Focault.
La forza elettromotrice indotta e la forza di Lorentz Conoscendo l’effetto di un campo magnetico su una carica in movimento si può trovare una spiegazione qualitativa al fenomeno dell’induzione magnetica nel caso in cui vi sia movimento relativo del circuito e del magnete. Se muoviamo una barretta metallica all’interno di un campo magnetico, sugli elettroni di conduziocariche b ne agisce la forza di Lorentz. Muovendo la barpositive c retta perpendicolarmente alle linee del campo, → → → → come illustrato nella figura 5, la direzione della E E F艎 F艎 ¤
V forza di Lorentz F ᐉ è perpendicolare sia alla ve¤ locità v della barretta (e quindi dei suoi elettrocariche ¤ negative ni di conduzione) che al campo magnetico B .
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
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Gli elettroni scorrono dunque lungo la barretta, accumulandosi a un estremo, mentre sull’estremo opposto restano scoperte delle cariche positive: in tal modo ai capi della barretta si viene a creare una differenza di potenziale elettrico. La barretta si comporta quindi come un generatore elettrico: nella pila il moto delle cariche in direzione opposta al campo elettrico avviene grazie all’energia ottenuta mediante reazioni chimiche; in questo caso invece viene utilizzata l’energia cinetica della barretta, trasformata in energia potenziale elettrica attraverso la forza di Lorentz opposta al campo elettrico. Tuttavia la forza elettromotrice indotta presenta importanti differenze rispetto a quella della pila: quest’ultima, infatti, è «confinata» all’interno del generatore, dove si manifesta come forza non conservativa che si oppone al campo elettrico tra cariche di segno diverso. La forza elettromotrice indotta, invece, coinvolge l’intero circuito in movimento nel campo magnetico. Il circuito, quindi, è il generatore di se stesso e al suo interno si sovrappongono due campi elettrici: uno dovuto alla separazione tra cariche di segno diverso, l’altro, opposto, dovuto all’induzione. Il primo è, come noto, conservativo; il secondo no.
3
L’AUTOINDUZIONE
Dato che le variazioni del flusso di un campo magnetico concatenato con un circuito generano in esso una corrente elettrica e che una corrente elettrica genera, a sua volta, un campo magnetico, allora un circuito in cui scorra una corrente variabile induce su se stesso una corrente elettrica che si sovrappone alla prima. Cioè mettendo insieme il fatto che le correnti elettriche producono campi magnetici e che i campi magnetici variabili inducono correnti elettriche, si delinea il fenomeno dell’autoinduzione. L’autoinduzione è il fenomeno per il quale le variazioni di correnti in un circuito elettrico generano una forza elettromotrice indotta sul circuito stesso. In effetti un circuito percorso da corrente variabile determina nello spazio circostante un campo magnetico variabile e quest’ultimo induce sul circuito una forza elettromotrice, in questo caso autoindotta, che sovrappone il suo effetto alle correnti esistenti. Tenendo conto della legge di Lenz, l’effetto della forza elettromotrice autoindotta è tale da opporsi alla causa che l’ha generata. Cioè la corrente indotta è opposta a quella circolante nel circuito: l’effetto dell’autoinduzione è una sorta di inerzia, cioè di opposizione, alle variazioni di corrente. In altre parole, a causa dell’autoinduzione, s un aumento dell’intensità della corrente in un circuito tende a indurre una corrente opposta che contrasta tale aumento, riducendo l’intensità complessiva istante per istante; s una diminuzione dell’intensità della corrente in un circuito tende a indurre una corrente opposta che contrasta tale diminuzione, aumentando l’intensità complessiva istante per istante.
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Figura 6. a. Finché nel circuito c’è un aumento dell’intensità di corrente, c’è anche una forza elettromotrice indotta che ne rallenta la crescita, ritardando il raggiungimento del valore massimo consentito dalla legge di Ohm. b. La lampadina A sembra accendersi all’istante, ma se amplifichiamo il fenomeno dell’autoinduzione con un solenoide avvolto intorno a un nucleo ferromagnetico, il ritardo è maggiore. La lampadina B si accende dopo la lampadina A anche se appartengono allo stesso circuito.
Figura 7. a. La brusca diminuzione dell’intensità della corrente induce una forza elettromotrice indotta che ne rallenta la decrescita, ritardando il suo annullamento. b. La lampadina A sembra spegnersi all’istante, mentre la lampadina B, in cui il fenomeno dell’autoinduzione è amplificato, si spegne con un ritardo rilevabile.
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
L’autoinduzione introduce pertanto una sorta di «ritardo» nella risposta alle variazioni di intensità di corrente. Quando si manifestano in corrispondenza delle brusche variazioni di intensità di corrente dovute all’apertura e alla chiusura di un circuito, le correnti di autoinduzione sono anche dette extracorrenti di apertura o di chiusura. Quando, per esempio, chiudiamo un circuito, la corrente inizia ad aumentare rapidamente creando un campo magnetico di intensità crescente. Le linee del campo concatenate con il circuito aumentano e si genera una forza elettromotrice indotta e una relativa corrente indotta opposta alla prima per la legge di Lenz. Complessivamente, quindi, l’intensità della corrente elettrica cresce più lentamente, fino ad assestarsi sul valore stazionario, per il quale non vi è più il fenomeno dell’induzione. Di fatto, quindi, l’intensità della corrente raggiunge con un certo ritardo il valore massimo consentito dalla legge di Ohm (figura 6a). L’evidenza di questo fenomeno dipende dalle caratteristiche del circuito: in presenza di solenoidi, per esempio, l’effetto è maggiore. Se costruiamo un circuito in cui due lampadine identiche siamo in parallelo tra loro, ma a una di esse mettiamo in serie una bobina avvolta su un nucleo di ferro, osserviamo che quest’ultima si accende in ritardo rispetto all’altra (figura 6b).
i
i i i 0
t (ms)
a
b
Analogamente, quando il circuito viene aperto, la corrente non si annulla all’istante, ma con un certo ritardo che dipende dalle caratteristiche del circuito. Infatti il flusso del campo magnetico dovuto alla corrente diminuisce e induce una corrente che ha lo stesso verso dell’altra: l’extracorrente di apertura restituisce l’energia assorbita dall’extracorrente di chiusura. In certi casi ciò può manifestarsi con una scarica luminosa tra i poli dell’interruttore (figura 7).
i
0
a
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t (ms) b
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
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L’induttanza Ogni circuito risponde in misura diversa alle variazioni di corrente. Per quantificare il fenomeno dell’autoinduzione e caratterizzare quindi i circuiti elettrici in questo senso, si introduce il coefficiente di autoinduzione, o induttanza L, definito dalla relazione: ¤
Φ(B ) Li
(7.2)
L’unità di misura dell’induttanza è l’henry (H), dal fisico statunitense Joseph Henry (1797-1878) equivalente al weber su ampere (Wb/A). Ogni circuito elettrico ha un certo valore di induttanza, che può essere aumentato in corrispondenza di alcuni componenti, come abbiamo visto nel circuito delle figure 6 e 7. I dispositivi che amplificano gli effetti induttivi in un circuito elettrico sono detti induttori (figura 8a). Negli schemi elettrici l’induttanza viene rappresentata mediante un apposito simbolo, che richiama la forma di una bobina (figura 8b).
a
Fdominec
L’induttanza di un circuito è il coefficiente di proporzionalità tra il flusso concatenato con il circuito e l’intensità della corrente che vi circola.
b
L
R
Circuito RL Analizziamo ora un circuito in cui vi sia un generatore, un resistore e un induttore, montati in serie come in figura 8b. Se sono note la forza elettromotrice del generatore, che indicheremo con la differenza di potenziale misurata ai suoi capi ΔV, la resistenza R e l’induttanza L, possiamo determinare l’andamento delle correnti in funzione del tempo, illustrato nelle figure 6 e 7 nei casi di apertura e chiusura del circuito. Si dimostra che l’andamento nel tempo della corrente elettrica è di tipo esponenziale:
it Figura 8. a. Alcuni induttori. b. Un circuito elettrico in cui è espressa la presenza di una resistenza e di una induttanza.
s dopo la chiusura l’intensità della corrente aumenta secondo la legge i ( t ) = i0 (1 − e
R − t L
)
s dopo l’apertura l’intensità della corrente diminuisce secondo la legge dove i0
ΔV . R
i ( t ) = i0 e
R − t L
Energia immagazzinata in un induttore Quando un circuito RL, in cui è presente un generatore, viene chiuso la corrente passa dal valore 0 al valore i. Per portare la corrente dal valore 0 al valore i, il generatore compie un lavoro contro la forza elettromotrice autoindotta. Per il principio di conservazione dell’energia, questa energia non viene distrutta, ma viene immagazzinata dal campo magnetico dell’induttanza. L’espressione dell’energia Ei immagazzinata da un’induttanza è
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
molto simile a quella dell’energia immagazzinata dal campo elettrico di un condensatore (formula (3.11)). Tale energia viene restituita quando il circuito viene aperto e la corrente passa dal valore i al valore 0. La quantità di energia Ei immagazzinata dall’induttore è data dall’espressione 1 2 Li (7.3) 2 dove L è l’induttanza dell’induttore e i è l’intensità della corrente che vi scorre. Ei
ESEMPIO Verifichiamo che l’espressione nella formula (7.3) corrisponde effettivamente a un’energia attraverso l’analisi delle unità di misura. Dato che l’unità di misura dell’induttanza è l’henry, cioè il weber su ampere, e quella dell’intensità di corrente è l’ampere, abbiamo: 1
Wb 2 N ⋅ A = 1 T ⋅ m2 ⋅ A = 1 ⋅m2 ⋅ A = 1 N ⋅m = 1 J A A⋅m
DOMANDA Se una bobina ha un’induttanza di 1,0 10–5 H, quale dev’essere l’intensità della corrente affinché l’energia immagazzinata sia 1,0 J?
Legge di Faraday-Neumann e induttanza Per lo studio dei circuiti elettrici conviene esprimere la legge di FaradayNeumann in una forma in cui compaia l’induttanza anziché il flusso del campo magnetico. Se in un intervallo di tempo Δt la corrente elettrica in un circuito subisce una variazione dell’intensità pari a Δi, passando da un valore ii a un valore if, allora la variazione del flusso del campo magnetico nel circuito è: ¤
ΔΦ(B ) Φf Φi L (if ii) L Δi La legge di Faraday-Neumann si scrive pertanto: I ΔΦ( B ) Δi fem = − = −L Δt Δt
(7.4)
La mutua induzione Un circuito percorso da corrente variabile è in grado di influenzare un secondo circuito posto nelle sue vicinanze. A sua volta quest’ultimo esercita un’influenza sul primo. Le variazioni di flusso del primo circuito, in cui circola una corrente variabile, inducono una corrente nel secondo circuito. Il flusso del campo magnetico indotto sul secondo circuito Φ1-2 è proporzionale alla corrente i1 che circola nel primo circuito: Φ1-2 Mi1
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
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A loro volta le variazioni dell’intensità di corrente i2 del secondo circuito inducono correnti sul primo e un campo magnetico il cui flusso è dato da Φ2-1 Mi2 Il coefficiente M, che dipende dai due circuiti, è detto pertanto coefficiente di mutua induzione, a sottolineare la reciprocità degli effetti. Con il coefficiente di mutua induzione la legge di Faraday-Neumann assume la forma fem = − M
4
Δi Δt
(7.5)
LA CORRENTE ALTERNATA
Prima del 1831, anno della scoperta dell’induzione elettromagnetica, la corrente elettrica era alimentata esclusivamente dalle pile voltaiche. Nel trentennio precedente i laboratori scientifici si erano dotati di batterie con decine e decine di elementi in serie, che fornivano differenze di potenziale di decine e decine di volt. I laboratori più importanti avevano batterie di centinaia di elementi fino ad arrivare alle 3000 unità del laboratorio di Sir Humphry Davy, in Inghilterra, dove lavorò lo stesso Faraday. La scoperta dell’induzione elettromagnetica rivoluzionò il mondo dell’elettricità, introducendo una nuova possibile strada per la produzione delle correnti. Divenne infatti possibile trasformare l’energia cinetica di una spira, in movimento rispetto a un campo magnetico, in energia potenziale elettrica, attraverso una forza elettromotrice indotta. Si poteva cioè magnete mantenere una differenza bobina i di potenziale all’interno di un circuito, con un metodo alternativo all’uso delle reazioni chimiche. Dato che la forza elettromotrice indotta sulla spira è dovuta alle variazioni del flusso del campo magnetico concatenato con la spira, è necessario che vi sia un ininterrotto movimento reciproco che garantisca il taglio delle linee di forza. Questa condizione è verificata, per esempio, nelle dinamo da bicicletta, dove un magnete ruota all’interno di una bobina (figura 9). Un altro sistema consiste nel far ruotare una spira all’interno di un campo magnetico fermo, come accade negli alternatori delle centrali elettriche. Un alternatore consiste fondamentalmente di una turbina che mantiene in rotazione una spira all’interno di un campo magnetico. L’energia cinetica della turbina, sia essa azionata da una corrente di acqua in caduta, o dal vapore di combustione, o dalla forza del vento, viene così trasformata in energia
Figura 9. La rotazione di un magnete all’interno di una bobina conduttrice vi induce una corrente.
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
potenziale elettrica che consente il passaggio di corrente nei conduttori collegati al sistema (figura 10).
Figura 10. Le correnti elettriche che scorrono nei nostri circuiti domestici sono generate dalla rotazione di conduttori all’interno di campi magnetici. La rotazione può essere mantenuta in diversi modi: a. turbina eolica; b. turbina termoelettrica; c. turbina idroelettrica.
i i0
1 giro 0
L’alternatore ha questo nome perché la corrente che produce non è continua, cioè non ha un’intensità costante nel tempo, ma alternata. Una corrente si dice alternata quando la sua intensità e il suo verso variano nel tempo. La variazione è dovuta al fatto che la spira ruota all’interno del campo magnetico e passa da posizioni in cui è perpendicolare al campo, ed è attraversata dal numero massimo di linee di forza (in un verso o nell’altro), a posizioni in cui è parallela al campo e non è attraversata da alcuna linea di forza. Analogamente la forza elettromotrice passa tra due valori uguali in valore assoluto, ma opposti in segno, passando per un valore uguale a zero. Quindi la corrente passa da un valore massimo in un verso, decresce fino ad azzerarsi, poi cresce nuovamente in direzione opposta fino a un massimo, per poi decrescere e nuovamente azzerarsi e così via. Se la rotazione della spira avviene a velocità angolare costante, l’andamento dell’intensità della corrente indotta nel tempo è di tipo t sinusoidale e dipende dalla sua frequenza ν di rotazione (figura 11):
i0
i(t) i0 sin(2πνt)
Figura 11. L’intensità della corrente alternata oscilla tra un valore i0 al valore opposto i0, annullandosi ogni mezzo giro.
Voith Siemens Hydro Power Generation
c
rtem / Shutterstock
b
pianisssimo / Shutterstock
a
(7.6)
dove l’ampiezza i0 della corrente oscillante è pari al rapporto tra l’ampiezza f0 della forza elettromotrice (cioè la forza elettromotrice massima) e la resistenza R della spira f0 i0 R La forza elettromotrice, a sua volta, oscilla con la stessa frequenza: f(t) f0 sin(2πνt)
(7.7)
Il valore efficace Dato che l’intensità di una corrente alternata oscilla tra due valori massimi in valore assoluto, passando per istanti in cui è nulla, a quale valore dobbiamo fare riferimento quando vogliamo studiarne gli effetti? Quando diciamo che la differenza di potenziale che vi è tra i poli delle nostre prese
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
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domestiche è 220 V, a quale valore ci riferiamo? Sicuramente non ci riferiamo al valore medio, che è nullo come per tutte le grandezze oscillanti sinusoidali. Del resto l’effetto della differenza di potenziale domestica, per quanto oscillante, è tutt’altro che nullo e consente il funzionamento di gran parte dei dispositivi elettrici d’usa comune. Per studiare i circuiti in cui circola una corrente alternata si ragiona in termini di valore efficace delle grandezze oscillanti. Il valore efficace è una sorta di «valore medio», in cui compaiono però i valori al quadrato, in modo tale che gli opposti non si annullino a vicenda. Questo tipo di calcolo è stato visto anche nella definizione della velocità quadratica media, a proposito della teoria cinetica dei gas (vedi il capitolo «La teoria cinetica dei gas»). Il valore efficace di una grandezza elettrica x(t) periodica è il valore quadratico medio della grandezza stessa durante un periodo di oscillazione. x eff
( x 2 )T
Il valore efficace xeff di una grandezza periodica è quindi la radice quadrata del valor medio dei quadrati della grandezza su un periodo T. La formula che definisce il valore efficace richiede l’uso di strumenti matematici avanzati, che qui non utilizziamo. Tuttavia se scriviamo l’espressione per la potenza dissipata dal circuito di resistenza R, istante per istante: P (t) R [i (t)]2 osserviamo che il suo valore medio su un periodo, pari alla potenza dissipata in media in un periodo, è pari a P (t )
R [i ( t )]2
Cioè P (t )
Rieff
E quindi Il valore efficace della corrente alternata equivale all’intensità di una corrente continua che dissipa la stessa potenza della corrente s alternata. D’altro canto la potenza non è mai negativa e oscilla tra il valore zero (per i 0) e un massimo Ri 20, dovuto all’ampiezza della corrente oscillante (figura 12), per cui il suo valore medio è P (w) P (t )
1 2 Ri0 2
P0 Ri02
ieff
i (A) potenza
1 P0 P0 2
Confrontando le due espressioni si ha i0 2
Figura 12. Il valore medio della potenza su un periodo è uguale alla metà dell’ampiezza dell’oscillazione.
i0
(7.8) 0
In altre parole, un circuito in corrente alternata può essere approssimato con un circuito in corrente continua in cui si usi
intensità di corrente T
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t
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
il valore efficace (costante) della corrente alternata. Cioè il valore efficace di una corrente sinusoidale equivale all’intensità della corrente continua che produce gli stessi effetti termici nello stesso intervallo di tempo. Analogamente si definisce la forza elettromotrice efficace: feff
f0 2
(7.9)
Per cui la potenza media può essere scritta come – P ieff feff
ESEMPIO f Una stufetta elettrica è alimentata con una forza elettromotrice alternata di valore efficace pari a 220 V. Qual è l’intensità della corrente efficace che circola nella stufetta, se la sua resistenza è 50 Ω? Qual è l’intensità di corrente massima circolante nella stufetta? SOLUZIONE La legge di Ohm per i circuiti in corrente alternata si scrive usando i valori efficaci, dove la differenza di potenziale efficace ΔVeff si assume pari alla forza elettromotrice efficace feff : ΔVeff Rieff Quindi ieff
Δ Veff R
220 V 50 W
4, 4 A
L’intensità di corrente massima, pari all’ampiezza dell’oscillazione, si ricava dalla formula (7.8): i0
2 ieff
6, 2 A
DOMANDA Qual è la potenza dissipata dalla stufetta?
5
IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE
Cariche elettriche in movimento generano campi magnetici e campi magnetici in movimento fanno muovere le cariche. All’interno del nucleo fluido del nostro pianeta, ioni metallici si muovono trascinati dal movimento rotatorio e generano correnti, le quali generano un campo magnetico il quale, ruotando, alimenta la corrente stessa, dando origine al campo magnetico terrestre.
Descrizione del campo geomagnetico La Terra dunque si comporta come un gigantesco magnete i cui poli non coincidono esattamente con i poli geografici, ma l’asse del magnete si discosta attualmente di circa 11° dall’asse di rotazione terrestre. Le linee del campo magnetico terrestre escono dal polo posto in prossimità del polo Sud geografico ed entrano nel polo opposto. Questo significa che il polo
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
nord magnetico è capovolto rispetto a quello 11° Polo geografico Nord geografico, tuttavia per semplicità, nel caso del Polo geomagnetico nord campo magnetico terrestre si chiama «polo nord» quello posto nell’emisfero boreale e «polo sud» quello posto nell’emisfero australe (figura 13). I poli magnetici non occupano posizioni fisse S sulla superficie terrestre, ma si muovono lentamente e in modo irregolare, arrivando a discostarN si anche migliaia di kilometri dal polo geografico corrispondente. Attualmente il polo geomagnetico nord si sta spostando dall’arcipelago artico canadese in direzione della Siberia con una velocità che è stata stimata intorno ai 64 km all’anno, molPolo geomagnetico sud Polo geografico Sud to più elevata rispetto alla velocità di circa 9 km all’anno rilevata negli anni Settanta. L’intensità del campo magnetico terrestre in prossimità della superficie Figura 13. La direzione cambia da luogo a luogo, con un massimo di circa 7 10–5 T in prossimi- del campo magnetico terrestre è attualmente inclinata di circa tà dei poli e un minimo di 2 10–5 T intorno all’equatore. Dalla figura 13 11° rispetto all’asse di rotazione vediamo, infatti, che le linee di forza del campo sono molto più dense ai terrestre. I poli magnetici poli che all’equatore. Anche l’intensità del campo geomagnetico, come la sono invertiti rispetto a quelli geografici, ma per semplicità sua direzione, non è costante nel tempo, ma cambia lentamente. Nel corso al polo Nord geografico si fa corrispondere il polo nord degli ultimi 160 anni, per esempio, si è ridotta del 10% circa. geomagnetico.
Il campo magnetico terrestre può essere rilevato mediante una bussola, costituita da un leggero ago magnetizzato, libero di ruotare intorno a un asse centrale ad esso perpendicolare. L’ago, interagendo con il campo geomagnetico, si allinea lungo la direzione delle sue linee di forza: sulla superficie terrestre esso indica pertanto la direzione nord-sud e la magnetizzazione dell’ago è tale che la sua punta indichi il polo nord geomagnetico (figura 14). Dato che il polo nord magnetico non corrisponde esattamente al polo Nord geografico, per individuare esattamente quest’ultimo è necessario apportare delle correzioni alla lettura della bussola, che variano da luogo a luogo e sono in genere riportate nelle carte. In Italia tale correzione è spesso trascurabile.
Kokhanchikov / Shutterstock
La bussola
Figura 14. L’ago della bussola è un piccolo magnete di prova per l’individuazione delle linee del campo magnetico terrestre.
Il paleomagnetismo e le inversioni magnetiche Tutte le variazioni della direzione e dell’intensità del campo magnetico terrestre, nell’ultima parte della storia geologica del pianeta, sono registrate nelle rocce. Nel magma dal quale si formano le rocce, infatti, sono presenti in genere piccole porzioni di materiali ferromagnetici che, quando la temperatura scende al di sotto della temperatura di Curie, orientano i domini di Weiss prevalentemente lungo la direzione del campo magne-
S N
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
tico nel quale sono immersi, e in misura che dipende dalla sua intensità. Risalendo al periodo di formazione della roccia, si può risalire all’intensità e all’orientazione del campo geomagnetico presente all’epoca. Negli anni Sessanta, studiando campioni di roccia provenienti dai fondali oceanici atlantici, è emerso che nel corso del tempo la polarità del campo geomagnetico ha subito brusche inversioni di tanto in tanto. La crosta oceanica atlantica si forma, infatti, per fuoriuscita regolare del magma dalla cosiddetta dorsale atlantica, una lunga spaccatura longitudinale. Il nuovo materiale roccioso spinge quello più vecchio, allontanando tra loro i continenti e rinnovando la crosta a partire dalla dorsale: il materiale più recente, è dunque disposto presso la spaccatura e longitudinalmente ad essa e via via che ci si allontana si incontra roccia più antica. Studiando il magnetismo residuo 4 3 2 1 oggi 1 2 3 4 milioni di anni dei fondali oceanici ci si accorse che polarità essi presentavano inversione della normale polarità secondo strisce longitudinapolarità li, a testimonianza che, nel corso del inversa tempo, il verso del campo magnetico litosfera terrestre ha subito delle brusche variazioni, cioè il polo nord e il polo dorsale medio-oceanica sud si sono scambiati più volte nella zona nella quale il magma si raffredda storia geologica terrestre (figura 15). “bloccando” la polarità magnetica della roccia Negli ultimi 160 milioni di anni Figura 15. Le rocce sono avvenute più di 300 inversioni complete del campo geomagnetico. In «nuove» si formano sul fondo media, quindi, esso si inverte ogni 300 000-1 000 000 di anni, ma l’intervallo oceanico per fuoriuscita tra un’inversione e l’altra è molto irregolare e apparentemente inspiegabile. del magma dalla dorsale L’ultima inversione registrata risale a circa 780 000 mila anni fa, durante l’era oceanica. Nel raffreddarsi, le porzioni di materiali pleistocenica.
ferromagnetici conservano traccia della direzione del campo magnetico terrestre dell’epoca.
Figura 16. Il campo magnetico terrestre si estende nello spazio interplanetario, modellato dall’interazione con il vento solare. Alcune particelle cariche del vento solare vengono catturate dal campo magnetico e restano intrappolate nelle fasce di Van Allen.
Le fasce di van Allen Nella figura 13 abbiamo disegnato le linee di forza del campo magnetico terrestre in prossimità della superficie, ma esse si estendono ben oltre nello spazio interplanetario. La loro forma è influenzata dalla presenza del vento solare, un Sole Terra flusso di particelle elettricafasce di Van Allen mente cariche, proveniente dall’atmosfera del Sole. Tali particelle interagiscono con il campo magnetico terrestre vento solare conferendogli una forma allungata con una lunga coda opposta alla posizione del Sole. Alcune di esse vengono «catturate» dal campo magnetico terrestre e restano intrappolate in due regioni, dette fasce di Van Allen, a forma di grosse ciambelle che avvolgono la Terra (figura 16). Le fasce di Van Allen proteggono gli organismi viventi dalle particelle ionizzanti, catturandole al loro interno e impedendo quindi che raggiungano la superficie della Terra. Le particelle cariche presenti nelle fasce di Van Allen si muovono spiraleggiando, per la forza di Lorentz, lungo le linee del
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
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campo magnetico e nelle regioni in cui l’intensità è maggiore possono entrare in collisione tra loro e con le particelle atmosferiche, provocando gli intensi bagliori luminescenti, noti come aurore polari (figura 17).
Alex0001 / Shutterstock
Figura 17. Il fenomeno delle aurore polari è legato alla presenza del campo magnetico terrestre.
Qual è la causa del campo geomagnetico? Le prime teorie sull’origine del campo geomagnetico ricorrevano alla presenza di un nucleo magnetizzato permanentemente, ma ciò è incompatibile con le condizioni di temperatura e pressione, che sarebbero superiori al punto di Curie. La scoperta che le correnti elettriche generano campi magnetici ha fatto subito pensare a un’origine di questo tipo, con la presenza di correnti elettriche interne al pianeta, circolanti sul piano equatoriale, in modo da avere i poli orientati all’incirca lungo l’asse terrestre. Tale ipotesi ha diversi problemi: prima di tutto le cariche dovrebbero essere molto intense per giustificare l’entità dell’interazione magnetica sulla superficie, poi il loro moto ordinato equatoriale sarebbe estremamente improbabile e inoltre non rende conto delle inversioni. Fra le teorie più moderne c’è quella della cosiddetta dinamo ad autoeccitazione, secondo la quale l’origine del campo geomagnetico risiede nel movimento delle particelle cariche presenti nel nucleo fluido, costituito da un plasma ad alta temperatura (3000-5000 K). In presenza di un campo magnetico iniziale, se pur debole, tali particelle vengono messe in movimento. Il nucleo interno, solido, è di materiale ferromagnetico e amplifica il campo magnetico generato dal moto delle cariche. Ne risulta un campo magnetico intenso orientato lungo l’asse di rotazione, che a sua volta ruota insieme alla Terra (figura 18). Tale movimento ne fa un campo magnetico variabile, che induce correnti elettriche nel nucleo esterno fluido, e così via. Secondo tale modello, quindi, a partire da un debole campo magnetico iniziale (sulla cui origine ci sono diverse ipotesi che qui non analizziamo per brevità) è possibile che si venga a creare una situazione tale da riprodurre il campo magnetico terrestre che osserviamo. Tuttavia resta ancora non chiaro il meccanismo che provoca le inversioni di polarità registrate nel corso della storia geologica. Per spiegarle è stato ipotizzato un modello in cui anziché una, vi sono due dinamo ad autoeccitazione, i cui campi magnetici sono opposti l’uno all’altro e di diversa intensità. Il campo magnetico totale sarebbe quindi dato dalla sovrapposizione di questi e le loro fluttuazioni nel tempo, spiegherebbero le inversioni, in quanto periodicamente l’uno potrebbe prevalere sull’altro.
nucleo esterno nucleo interno
Figura 18. Nel nucleo esterno, fluido, particelle cariche si muovono avvolgendosi intorno a cilindri il cui asse è parallelo a quello di rotazione terrestre.
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
ECONOMIA La guerra delle correnti Thomas Edison Thomas Edison è ricordato spesso come inventore. A lui si deve, per esempio, il brevetto del fonografo, primo dispositivo capace di registrare e riprodurre i suoni. Egli era, tuttavia, anche e soprattutto un imprenditore: spesso acquistava o si ispirava a prototipi da altri inventori e poi li migliorava rendendoli effettivamente utilizzabili e, soprattutto, commercializzabili. Tale è il caso della lampadina a incandescenza, il cui principio di funzionamento era già stato definito da altri, ma che lui fece perfezionare dai suoi collaboratori, riuscendo a farne un affare commerciale. Edison brevettò la lampadina negli Stati Uniti nel 1880, e iniziò subito a produrla negli stabilimenti di Melno Park (New Jersey) della Edison Electric Company (confluita poi nella General Electric), un’azienda che egli stesso aveva fondato appena due anni prima.
Nikola Tesla L’ingegnere serbo Nikola Tesla era un giovane di talento che dedicava moltissime ore al giorno ai suoi studi sull’elettricità e alle sue geniali invenzioni. Nel 1881 era disegnatore e progettista presso il Central Telegraph Office e nel 1883 diventò dipendente della Continental Edison Company: in quegli anni approfondì lo studio delle correnti alternate e costruì il primo motore a induzione di corrente alternata. L’idea della maggiore utilizzabilità della corrente alternata rispetto alla corrente continua lo accompagnò al cospetto di Edison, negli Stati Uniti, dal quale ottenne un contratto per lavorare nella sua squadra.
La «guerra» delle correnti Tesla lavorò duramente per Edison, convinto che alla fine avrebbe ottenuto il denaro per finanziare da sé i suoi progetti, ma le cose andarono diversamente: i due giunsero a un’insanabile frattura. Tesla perse il lavoro e lavorò per circa un anno come manovale, fino a quando il magnate George Westinghouse acquistò i suoi brevetti sui motori a corrente alternata, fondando la Westinghouse Electric Company, ed entrando così direttamente in concorrenza con Edison. Quest’ultimo, infatti, aveva brevettato un sistema di distribuzione della corrente continua che avrebbe dovuto affermarsi come standard per gli Stati Uniti, in mancanza di valide alternative. Westinghouse, con la corrente alternata, rappresentava un rivale pericoloso: nacque tra le due grosse compagnie elettriche una sfida commerciale che i giornalisti dell’epoca chiamarono guerra delle correnti. La guerra di mercato fu vinta da Westinghouse, nonostante la feroce campagna di Edison, che metteva in evidenza, anche con dimostrazioni eccessive, la pericolosità delle correnti alternate. Di contro, i vantaggi della corrente alternata rispetto a quella continua sono notevoli: il fatto di essere variabile nel tempo la rende facilmente adattabile. Grazie all’induzione elettromagnetica, infatti, una coppia di bobine affiancate è in grado di trasformare una corrente intensa, corrispondente a una bassa tensione, in una corrente meno intensa, corrispondente a una tensione più alta. In questo modo è corrente corrente possibile ottenere facilmente una corrente di intensità opprimaria secondaria flusso, portuna a seconda delle necessità. Nella distribuzione, per esempio, è utile usare tensioni elevate e intensità ridotte, per minimizzare le perdite di energia lungo la linea per eftensione tensione primaria secondaria fetto Joule; mentre per l’utilizzo domestico si usano basse tensioni e intensità di corrente più elevate. La distribuzione su lunghe distanze comporta perdite di energia che sono ridotte se la tensione ai capi dei cavi è alta. I trasformatori, utilizzabili con le correnti alternate, consentono di ottenere con facilità i valori della tensione desiderati.
numero di spire primario
Vp Np Vs Ns
numero di spire secondario
DOMANDA Perché se nell’avvolgimento primario circola una corrente continua non è indotta alcuna corrente nell’avvolgimento secondario? Rispondi in 5 righe.
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
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NEUROSCIENZE L’attività magnetica del cervello
Una tecnica molto recente Mentre le prime elettroencefalografie risalgono agli anni Trenta del secolo scorso, per avere le prime magnetoencefalografie utili si devono aspettare gli anni Settanta: la debole intensità del magnetismo cerebrale è rilevabile solamente con strumenti tecnologicamente avanzati, basati sull’uso di materiali superconduttori, che prima non erano disponibili. La prima MEG, risalente al 1968, è stata effettuata usando come rivelatore una semplice bobina a induzione, ma i segnali ottenuti erano molto disturbati e perciò inutilizzabili. Solo l’introduzione degli SQUIDs ha permesso di sviluppare una tecnica efficace. La MEG non è una tecnica invasiva ed è assolutamente non dolorosa. Inizialmente veniva usato un unico SQUID, a forma di anello, che veniva spostato in diverse posizioni intorno alla testa, ma attualmente si usano dei veri e propri caschi, che circondano la testa e permettono di ricostruire una mappa dell’attività magnetica complessiva, nei quali possono essere presenti oltre cento sensori. Tali caschi sono termicamente isolati, per impedire gli scambi termici tra i sensori, a bassa temperatura per sfruttare la superconduttività, e la testa del soggetto. La registrazione avviene in un ambiente schermato, in modo da ridurre al minimo il disturbo dovuto ad altri campi magnetici ambientali, come il campo magnetico terrestre.
Un centinaio di sensori posti intorno alla testa sono in grado di fornire una mappa completa dell’attività magnetica del cervello.
In questa immagine si vedono i campi magnetici generati in risposta a particolari stimoli sensoriali al pollice e al mignolo della mano destra. Già dopo pochi centesimi di secondo il cervello reagisce allo stimolo in maniera differenziata, in alcune zone di più, in altre di meno. Il passaggio di cariche elettriche all’interno dei neuroni induce un campo magnetico.
Elekta, Inc.
Il cervello e il sistema nervoso, ad esso collegato, possono essere considerati una sorta di complesso circuito elettrico all’interno del quale viaggiano i segnali di natura elettrochimica, che ci consentono di percepire, di agire, di pensare. I segnali sono cariche in movimento che definiscono correnti elettriche e quindi, di conseguenza, anche campi magnetici. Il cervello ha dunque un’attività magnetica, se pur debole, che può essere misurata attraverso dispositivi molto sensibili a semiconduttore (gli SQUIDs, o Superconducting Quantum Interference Devices), nella tecnica di neuro immagine detta magnetoencefalografia (MEG). Quando i neurotrasmettitori vengono rilasciati attraverso le sinapsi, provocano un passaggio graduale di particelle cariche tra cellule, cioè una corrente elettrica. Ad essa è associato un campo magnetico. I campi magnetici generati dalle correnti cerebrali sono molto deboli: come si vede dalla figura, la loro intensità, che non supera i 10–12 T, è comunemente dell’ordine dei 10–13 T. I campi magnetici generati dal nostro cervello sono dunque centinaia di milioni di volte più deboli del campo magnetico terrestre sulla superficie.
DOMANDA In risposta alla stimolazione sensoriale della mano destra, quale emisfero cerebrale presenta maggiore attività? Per rispondere fai una ricerca.
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO Un aiuto in casa La lavatrice
Il faraone Ramses II (1276-1213 a.C.) indossava un abito ricco di piccole e precisissime pieghe. Una moda raffinata, che richiedeva l’intervento di un utensile apposito, una sorta di lisciatoio piatto e pesante, usato anche per stirare i fogli di papiro, che veniva premuto a freddo sui tessuti. I primi a sfruttare l’aiuto del calore furono i cinesi nell’epoca Han (200 a.C.-200 d.C.), che dai bruciatori di profumo ricavarono un utensile in bronzo, dotato di un lungo manico, che veniva riempito di brace o di sabbia riscaldata e passato sui tessuti. Le tecniche orientali sono giunte in Europa con le crociate e, per secoli il ferro da stiro ha utilizzato più o meno la stessa strategia, pur modificando la sua forma: un contenitore metallico con manico isolante in cui venivano poste braci ardenti. In alternativa si poteva utilizzare una piastra da scaldare separatamente e da passare poi sui tessuti fino al suo raffreddamento. I ferri da stiro più sofisticati avevano alimentazioni ad alcool o a gas, ma la vera rivoluzione avvenne verso la fine del XIX secolo, quando fu brevettata la prima piastra elettrica, riscaldata per effetto Joule. Era il 1891 e la sua massa era di circa 7 kg: inizialmente, dunque, non costituiva una valida alternativa ai ferri da stiro del passato, ma ben presto la tecnologia si sviluppò e furono costruiti dispositivi sempre più leggeri ed efficienti. Negli anni Venti si sperimentò l’uso del vapore, che si diffuse capillarmente nelle case negli anni Sessanta, e da allora non sono state introdotte significative novità.
La lavatrice elettrica ha costituito una vera e propria rivoluzione per la vita delle donne, da sempre impegnate per ore nel lavaggio manuale dei tessuti. I primi dispositivi meccanici per il lavaggio furono sviluppati alla fine del XIX secolo: erano macchine azionate a manovella, che sfregavano e strizzavano i panni, simulando l’azione delle mani. Non offrivano grandi vantaggi rispetto al lavaggio interamente manuale, perché richiedevano comunque uno sforzo muscolare notevole e usuravano moltissimo i tessuti. Quando comparve il motore elettrico a induzione, capace di generare movimenti rotatori a partire da una corrente elettrica, tali dispositivi furono elettrificati, eliminando la necessità di azionarli manualmente. Tuttavia rimase l’inconveniente dell’usura precoce dei tessuti, che fu ridotto con i modelli con cestello a scuotimento (dagli anni Venti-Trenta) nei quali i panni non venivano sfregati, ma sbattuti. Le moderne lavatrici sono il perfezionamento di quest’ultima strategia e attualmente le innovazioni sono orientate sul risparmio energetico piuttosto che sulle modalità di lavaggio.
The Art Archive / Alamy
Smithsonian Institution - National Anthropological Archives
Il ferro da stiro
Le pieghe che adornavano le vesti più preziose degli antichi egizi richiedevano l’uso di appositi utensili per la stiratura.
PAROLA CHIAVE
In Oriente si iniziò a usare il calore per allentare i legami tra le fibre dei tessuti e favorirne quindi la stiratura.
Valore efficace
DOMANDA Il valore efficace della forza elettromotrice che alimenta la rete elettrica domestica è 220 V. Qual è la potenza media dissipata da un resistore di resistenza pari a 1000 Ω?
200 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Una lavanderia a mano del 1910 e una lavatrice del 1954 in una pubblicità. Una donna elegante si appoggia all’elettrodomestico, che le fa risparmiare fatica e tempo.
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L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
In cucina
Piccoli elettrodomestici
I due grandi protagonisti della cucina sono il frigorifero e il piano di cottura. Il primo è in grado di mantenere un ambiente a una temperatura più bassa di quella esterna, ed è una grande conquista della tecnologia, che ha rivoluzionato le abitudini e la qualità dell’alimentazione. Sono possibili diverse strategie di refrigerazione, tuttavia quella più diffusa prevede l’azione di un motore elettrico. Il fuoco di legna ha cotto i cibi per millenni. Fino al secolo scorso, soprattutto nelle campagne, erano diffusi forni e fornelli alimentati a legna e ancora oggi sono talvolta utilizzati per diverse esigenze. Nel corso del XX secolo, il gas, sempre più diffuso nelle abitazioni, ha soppiantato la legna come combustibile per il fuoco di cottura. Accanto a questo, però, convive l’effetto Joule della corrente elettrica che, riscaldando piastre e forni, costituisce una valida alternativa alla combustione. Ultimamente, poi, sono stati concepiti fornelli a induzione elettromagnetica costituiti da bobine nelle quali scorre una corrente variabile. Il campo magnetico indotto, variabile anch’esso, induce a sua volta correnti parassite nei fondi ferromagnetici delle pentole, scaldandole dall’interno per effetto Joule.
La cucina è il regno dei piccoli elettrodomestici che, dagli anni Quaranta del XX secolo, hanno popolato sempre più la vita quotidiana dei paesi sviluppati. Dai più semplici ed essenziali, derivati fondamentalmente dall’elettrificazione di dispositivi già esistenti, come il macinino da caffè, ai più complicati e compositi, come la macchina per fare il pane, che unisce all’azione meccanica delle pale per impastare, messe in movimento da un motore elettrico, la cottura, programmata da un dispositivo elettronico. Tra questi ci sono moltissimi apparecchi con le più svariate funzioni e le più svariate fogge, dai frullatori ai tostapane, dagli spremiagrumi alle yogurtiere. Fondamentalmente si tratta di strumenti che sfruttano l’induzione elettromagnetica per azionare un motore rotante o l’effetto Joule per riscaldare: l’introduzione dell’elettronica ha permesso di aggiungere loro nuove risorse come la programmazione delle azioni e la loro regolazione automatica durante il funzionamento. I piccoli elettrodomestici da cucina sono diventati ben presto oggetti di design da introdurre a pieno diritto nell’arredamento e, prima che diventassero sufficientemente economici da entrare in quasi tutte le case dei paesi sviluppati, erano considerati simboli di benessere economico e stato sociale.
piano in vetroceramica
campo magnetico
corrente elettrica scheda elettronica Nella cottura a induzione elettromagnetica si scalda direttamente il fondo della pentola, mentre il piano di cottura non si scalda molto nelle aree che non sono in contatto con essa. Il mimo, sceneggiatore e regista francese Jacque Tati
PAROLA CHIAVE
Interazione elettromagnetica
DOMANDA Un piano cottura a induzione provoca il riscaldamento di una pentola, di materiale ferromagnetico, senza passare per il riscaldamento dello strato di vetroceramica interposto tra le bobine e la pentola stessa. Spiega in 10 righe il fenomeno delle correnti parassite e il relativo effetto Joule.
Photos 12 / Alamy
nucleo di ferrite
(1907-1982), alle prese con una cucina sovrabbondante di elettrodomestici e attrezzature stravaganti, in una scena del film Mon Oncle (1958). L’autore ironizza sulla piccola borghesia consumista che in quegli anni si faceva strada in Europa.
PAROLA CHIAVE
Autoinduzione
DOMANDA Una grattugia elettrica per il formaggio è alimentata da una tensione di 7 V mediante un trasformatore che, attraverso due bobine affiancate, riduce la tensione efficace in ingresso, pari a 220 V. Spiega in 10 righe il fenomeno dell’autoinduzione che rende possibile ciò.
201 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI UNA CORRENTE ELETTRICA GENERA UN CAMPO MAGNETICO
INTERAZIONE ELETTROMAGNETICA
UN CAMPO MAGNETICO VARIABILE GENERA UNA CORRENTE ELETTRICA
INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
LEGGE DI FARADAY-NEUMANN I ΔΦ(B ) fem Δt
la forza elettromotrice indotta in un circuito è proporzionale alla variazione del flusso del campo magnetico concatenato con il circuito stesso nell’unità di tempo
LEGGE DI LENZ
la forza elettromotrice indotta tende a opporsi alla variazione di flusso che la genera
→
→
B
B
→
→
B
B
i i
→
→
B indotto
B indotto
LE VARIAZIONI DI CORRENTE IN UN CIRCUITO ELETTRICO GENERANO UNA FORZA ELETTROMOTRICE INDOTTA SUL CIRCUITO STESSO
AUTOINDUZIONE se la corrente aumenta viene indotta una corrente che contrasta tale aumento e l’intensità complessiva diminuisce
se la corrente diminuisce viene indotta una corrente che contrasta tale diminuzione e l’intensità complessiva aumenta
202 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
INDUTTANZA L di un circuito
è il coefficiente di proporzionalità tra flusso concatenato con il circuito e intensità di corrente
R t L
extracorrente di chiusura i (t ) i0 (1 e
I Φ(B ) Li
L
) i0
R t L
extracorrente di apertura i (t ) i0 e
ΔV R
R
V
UNA SPIRA IN ROTAZIONE IN UN CAMPO MAGNETICO GENERA UNA CORRENTE ALTERNATA
la sua intensità e il suo verso variano nel tempo
i(t) i0 sin(2πνt)
UNA CORRENTE ALTERNATA DISSIPA LA STESSA POTENZA DI UNA CORRENTE CONTINUA DI INTENSITÀ PARI A ieff
i0
i (t)
2 0
t
IL VALORE EFFICACE xeff DI UNA GRANDEZZA OSCILLANTE È IL VALORE QUADRATICO MEDIO DELLA GRANDEZZA STESSA DURANTE UN PERIODO x eff ( x 2 )T
UNA CORRENTE ALTERNATA PUÒ ESSERE STUDIATA PER MEZZO DEI VALORI EFFICACI DELLE GRANDEZZE ELETTRICHE OSCILLANTI USANDO LE FORMULE VALIDE PER LA CORRENTE CONTINUA esempio: 1a legge di Ohm ΔVeff Rieff
203 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
7
20 test (30 minuti)
7 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI 10 Si consideri la forza elettromotrice calcolata nel cir-
EFFETTI ELETTRICI DEL MAGNETISMO
cuito dell’esercizio 9. f Qual è l’intensità della corrente che circola nel circuito sapendo che esso ha una resistenza totale di 7,8 Ω?
DOMANDE Perché non è corretto affermare che un circuito induttore, tramite una corrente continua, può creare una corrente su un circuito indotto?
1
[0,19 A]
11 Quanto vale la resistenza di un circuito in cui viene
indotta una corrente di 3,4 A tramite una variazione di flusso di 2,57 102 Wb in un intervallo di tempo di 412 s?
2 In che modo possiamo generare una corrente elet-
trica, all’interno di un circuito elettrico, utilizzando una calamita?
[0,18 Ω]
3 Spiega in 5 righe il funzionamento della dinamo del-
la bicicletta servendoti della figura.
3
L’AUTOINDUZIONE
DOMANDE 12 Che cosa esprime il valore dell’induttanza in fisica? magnete
13 Quali sono le unità di misura dell’induttanza? 14 Come viene rappresentata l’induttanza nello sche-
ma elettrico di un circuito? 15 Descrivi in 3 righe il fenomeno della mutua induzione. bobina fissa
CALCOLI 16 A certo un istante un generatore, capace di mante-
2
nere una differenza di potenziale di 4,5 V ai suoi capi, viene collegato ad un circuito RL che presenta una resistenza equivalente di 3,2 10–1 Ω e un’induttanza di 4,7 H.
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
DOMANDE 4 Che cosa stabilisce la legge di Faraday-Neumann?
f Calcola la corrente che circola nel circuito dopo 4500 secondi. [14 A]
5 Cosa indica il segno meno che compare nella legge
di Faraday-Neumann?
17 Un circuito con un’induttanza di 6,8 H è collegato a
6 «Quando un magnete viene avvicinato a una spira il
campo magnetico inducente del magnete e quello indotto della spira sono discordi». Correggi questa frase, se necessario. 7 Qual è il verso del campo magnetico indotto di una
spira immersa in un campo magnetico esterno variabile se quest’ultimo diminuisce? 8 Quale tipo di forza viene utilizzata per spiegare il fe-
nomeno di induzione elettromagnetica nei circuiti?
un generatore di tensione di 7,1 10–2 V e con resistenza equivalente di 9,3 Ω. f In quale istante di tempo, dopo l’apertura del circuito, ottengo una corrente di 3,2 10–5 A? [4,0 s]
18 Un elemento riesce a immagazzinare un’energia di
4,3 J se alimentato con una corrente di 6,7 10–3 A? f Qual è il valore dell’induttanza? [1,9 105 H]
19 In un circuito con un’induttanza di 7,3 10–2 H la cor-
CALCOLI
rente passa da 4,6 A a 8,9 A in 7,3 s.
9 Se in 45 secondi il flusso di in campo magnetico in-
dotto in un circuito varia di 67 Wb, qual è il modulo della forza elettromotrice che induce il campo?
f Calcola la forza elettromotrice.
[1,49 V]
204 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
[4,3 10–2V]
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA 4
7
giungi a questa affermazione la precisazione che caratterizza i poli geomagnetici rispetto ai poli magnetici ordinari.
LA CORRENTE ALTERNATA
DOMANDE
27 La bussola può essere considerata un magnete di
20 Che cosa è il valore efficace di una grandezza oscil-
prova per rilevare la presenza del campo magnetico terrestre. In quali luoghi della Terra la sua direzione è circa perpendicolare alla superficie?
lante periodica? 21 A che cosa serve il valore efficace delle grandezze
elettriche nel caso delle correnti alternate?
28 Perché gli scienziati escludono che la causa del cam-
po magnetico terrestre sia la presenza di un grosso magnete nel suo nucleo?
22 «Il valore efficace di una corrente alternata e il valore
di una corrente continua con lo stesso modulo hanno in comune la potenza dissipata». Correggi questa frase, se necessario.
29 Che cosa sono le fasce di Van Allen?
CALCOLI
ESERCIZI DI RIEPILOGO
23 Calcola la forza elettromotrice massima di un gene-
ratore che lavora a una frequenza 70 Hz sapendo che dopo 2,6 s la sua forza elettromotrice è 118 V.
DOMANDE 30 Se potessimo costruire un solenoide di lunghezza in-
[1,3 102 V]
finita, come risulterebbe il campo magnetico indotto?
24 Un forno a microonde è collegato alla rete domesti-
31 In figura è riportato lo schema di un relè, cioè di un
ca, la cui forza elettromotrice efficace è 220 V, e al suo interno scorre una corrente alternata con un valore massimo di 3,86 A.
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interruttore azionato da un elettromagnete. Considerando che la bobina avvolge un conduttore, spiega in 10 righe il funzionamento del dispositivo.
f Qual è la potenza assorbita dall’elettrodomestico? [600 W]
25 A quanto equivale la forza elettromotrice massima
che alimenta un elettrodomestico che assorbe 0,50 W ed è alimentata con una corrente alternata di valore efficace 2,27 10–3 A? [3,1 102 V]
5
IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE
32 Perché l’inerzia di una spira in movimento rotaziona-
le in un campo magnetico è fondamentale per innescare e mantenere il moto rotatorio stesso? Quale tipo di corrente viene generata in questo modo? 33 Descrivi in 5 righe che cosa accade negli istanti che
seguono la chiusura di un interruttore che comanda l’accensione di una lampadina. 34 Una parte importante della progettazione dei circui-
ti elettrici di precisione è la realizzazione di un’adeguata schermatura dai campi magnetici. Prova a spiegarne l’utilità. 35 Qual è il ruolo dell’anello di materiale ferromagneti-
DOMANDE 26 «La Terra si comporta come una grossa calamita che
genera un campo magnetico le cui linee di forza entrano nel polo sud ed escono dal polo nord». Ag-
co nell’esperimento di Faraday per la scoperta dell’induzione elettromagnetica? 36 Che cosa accade quando un magnete viene allonta-
nato da una spira conduttrice? Rispondi in 10 righe.
205 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
7 ESERCIZI 37 Descrivi in 5 righe le principali differenze tra la forza
43 In un circuito è presente una forza elettromotrice di
modulo 1,87 10–5 V e la corrente varia di 3,3 A in un tempo di 6 s.
elettromotrice indotta e quella di un generatore. 38 «L’energia immagazzinata da un induttore è diretta-
f Qual è il valore dell’induttanza?
mente proporzionale all’intensità della corrente che lo attraversa». Correggi questa frase se necessario.
[3,4 10–5 H]
44 In un circuito è presente una forza elettromotrice di
39 A quale grandezza corrisponde il prodotto dei valori
8 V, una resistenza di 5,7 Ω e una bobina con induttanza 1,6 H.
efficaci della forza elettromotrice e della corrente alternata?
L
R
PROBLEMI
40 In un circuito composto da due resistenze in paralle-
lo di uguale valore, pari a 4,3 Ω, si ottiene un’induttanza tramite un flusso magnetico di 12,6 10–4 Wb e una corrente di 4,8 10–4 A.
it
Alexandr Shevchenko / Shutterstock
f Calcola il valore della corrente i0 che si misurerebbe a circuito chiuso se non ci fosse la bobina.
f Quanto vale l’induttanza del circuito?
f Calcola il valore della corrente che si misura dopo 0,43 s dall’apertura del circuito. [1,4 A; 0,30 A]
45 Una variazione di flusso di un campo magnetico di
4,7 10–3 Wb induce in un circuito una corrente di 7,4 10–4 A. →
f Se tale circuito viene collegato alla presa USB di un computer, che genera una differenza di potenziale di 5,5 V, qual è la corrente che vi scorre dopo 5 s dal suo collegamento?
B
30°
→
S
[2,6 H; 2,5 A]
41 Due circuiti posti a una distanza in cui possono inter-
ferire l’uno con l’altro presentano una mutua induttanza. f Se la forza elettromotrice indotta è di 4,1 10–3 V per una variazione che avviene in 453 s, qual è la variazione di flusso di campo magnetico? f Considerando poi che nel primo circuito scorre una corrente di 4,3 A mentre nel secondo di 7,6 A qual è il flusso indotto nel primo circuito? [1,9 Wb; 4,3 Wb]
42 In un circuito circola una corrente alternata, le cui
oscillazioni hanno una frequenza di 50 Hz. f Ricava il valore della corrente dopo 3,7 s, sapendo che la forza elettromotrice massima è di 4,7 V e la resistenza totale della spira che la genera è di 2,4 Ω. [1,16 A]
i
f Considerando che la variazione è avvenuta in un intervallo di 300 s, quanto vale la resistenza equivalente del circuito? [2,1 10–2 Ω]
46 Il campo magnetico concatenato a un circuito ha in-
tensità di 5,6 10–2 T e si diffonde attraverso una
206 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA superficie piana di 30 cm2 , inclinata di 30° rispetto le linee di campo.
VERSO L’UNIVERSITÀ
f Considerando che nel circuito scorre una corrente di 4,3 10–3 A, si calcoli l’induttanza del circuito stesso.
1
[3,4 10–2 H]
Una stufetta elettrica da 770 watt è collegata alla rete elettrica domestica che eroga 220 volt. Qual è il valore efficace della corrente elettrica circolante? 0,28 A C 3,5 A E 1,75 mA
A
47 Qual è il modulo della forza elettromotrice dopo 45 s
di una yogurtiera collegata a una rete a corrente alternata, con frequenza di 50 Hz, sapendo che essa dissipa una potenza di 10 W e la sua resistenza equivalente è 0,23 Ω?
7
62,8 A D 12,25 mA B
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2009/2010) 2 Perché una dinamo di bicicletta possa permettere
alla lampadina di accendersi deve: A margouillat photo / Shutterstock
B
[2,14 V]
C D E
avere una buona calamita. essere fatta di materiale superconduttore. avere un condensatore per accumulare cariche elettriche. avere olio refrigerante per disperdere il calore. essere collegata a una pila alcalina.
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2008/2009)
207 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
Le on onde elettr elettromagnetiche
“
If this electric field tries to go away, the changing electric field would create a magnetic field back again. […] They maintain themselves in a kind of dance – one making the other, the secondo making the first – propagating onward through space.
”
Richard Feynman, Robert B. Leighton, Matthew Sand, The Feynman lectures on physics, 1964
Vincent Van Gogh, Notte stellata, 1889.
PAROLE CHIAVE Onde elettromagnetiche Campo elettromagnetico Spettro elettromagnetico
Nella notte stellata di Van Gogh la luce degli astri e della Luna è in movimento e pervade lo spazio tutto intorno, inondandolo. Lo spazio e la luce sono protagonisti di questo capitolo, dove vedrai che anche per un fisico si tratta di realtà dinamiche: tutto ha origine, infatti, nel movimento delle cariche elettriche che, oscillando, diventano sorgenti di luce. Ciò avviene perché quando una carica elettrica è in movimento genera intorno a sé un campo magnetico, che si avvolge intorno alla corrente formando linee curve chiuse; ma se anche la corrente è variabile nel tempo, allora anche il campo magnetico da essa indotto varia, e induce a sua volta un campo elettrico non conservativo, le cui linee di forza sono anch’esse linee curve chiuse che girano intorno alle linee del campo magnetico. E così quando una carica elettrica oscilla avanti e indietro lungo un segmento, il campo elettrico e il campo
magnetico continuano ad avvolgersi perpendicolarmente l’uno intorno all’altro formando linee curve chiuse e propagandosi nello spazio come onde elettromagnetiche. Questo avviene perché campi elettrici e magnetici non sono realtà distinte, ma aspetti diversi di un’unica entità detta campo elettromagnetico. Le oscillazioni periodiche del campo elettromagnetico si propagano nel vuoto alla velocità di 300 000 km/s, con frequenze che vanno da poche decine di hertz a oltre i 1020 Hz, definendo quello che è chiamato spettro elettromagnetico, del quale la luce è una parte. L’elettromagnetismo comprende fenomeni complicati, spesso intricati, ma straordinariamente descrivibili con quattro brevi formule matematiche, le equazioni di Maxwell, che completano il quadro della fisica classica, chiudono il XIX secolo e preparano la strada ai nuovi panorami della fisica del Novecento.
208 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
1
8
L’ELETTROMAGNETISMO IN 4 RIGHE
Nell’intricata fenomenologia dell’elettromagnetismo emersa nel XIX secolo mancava un po’ di luce. C’erano infatti diverse leggi empiriche l’una apparentemente scollegata dall’altra, e mancava una loro sistemazione teorica più generale, che abbracciasse l’intera classe di fenomeni senza particolari restrizioni. Mancava una griglia formale che consentisse di unificare in una teoria unica e completa tutti i fenomeni elettromagnetici. Non c’erano molti elementi sui quali basarsi: i fatti definiti quantitativamente, in fondo, non erano così numerosi. Le misure elettriche erano comunque difficili da gestire e i risultati difficili da comprendere (figura 1). Con il concetto di campo e le linee di forza, Faraday aveva trovato un nuovo efficace modo di interpretare le cose, che gli consentiva senz’altro una visione d’insieme coerente e profonda. Tuttavia non riuscì a formalizzare le sue rappresentazioni e di fatto non costruì mai una vera e propria teoria. Fu lo scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) a convertire la visione di Faraday nel corretto formalismo matematico: tra i suoi numerosi e importanti contributi alla scienza vi è la sistemazione teorica dell’elettromagnetismo. Di fatto, Maxwell riuscì a descrivere tutti i fenomeni elettromagnetici per mezzo di quattro leggi che legano tra loro campi e sorgenti. Si tratta di quattro equazioni, dette equazioni di Mawxell, in cui il campo elettrico e il campo magnetico sono collegati tra loro a formare un’unica entità, il campo elettromagnetico.
Figura 1. Il raro fenomeno dei fulmini globulari, qui rappresentato in un disegno del 1886, è di natura elettromagnetica. La sua origine non è del tutto chiara e vi sono diverse teorie a riguardo.
Le equazioni di Maxwell sono la sintesi teorica dell’elettromagnetismo classico, basata sul concetto di campo elettromagnetico. In altre parole il campo elettromagnetico è la sede dell’interazione elettromagnetica, che abbiamo visto nel capitolo «L’induzione elettromagnetica», ed è matematicamente descritto dalle equazioni di Maxwell: I Φ( E )
Q ε0
I I ΔΦ( B ) C(E) =− Δt I Φ( B ) I C ( B)
(8.1)
(8.2)
0
(8.3)
I ⎛ ΔΦ( E ) ⎞ μ 0 ⎜i ε0 ⎟ Δt ⎠ ⎝
(8.4)
209 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Prima di cercare di comprendere ciascuna di queste equazioni singolarmente, osserviamole tutte insieme «da lontano». Notiamo innanzitutto che sono formulate in termini di flusso e circuitazione, che qui abbiamo espresso senza la specificazione della superficie chiusa Σ e del percorso chiuso Γ, sottintendendoli. Notiamo poi che le formule (8.2) e (8.4) contengono entrambe i campi elettrico e magnetico nella stessa equazione, e pertanto giustificano la definizione del campo elettromagnetico nella sua unità. Osserviamo, inoltre, una certa simmetria nella loro struttura matematica: laddove la circuitazione del campo elettrico è legata alle variazioni di flusso del campo magnetico, la circuitazione del campo magnetico contiene un termine in cui ci sono le variazioni di flusso del campo elettrico. Le equazioni (8.1) e (8.3), invece, non contengono mescolanze tra campi elettrici e magnetici, e non contengono nemmeno variazioni nel tempo. Nel caso in cui non si abbiano cariche in movimento, l’unica equazione che rimane diversa da zero è la formula (8.1), che descrive il campo elettrostatico; mentre nel caso in cui ci siano solo correnti costanti, diventa diversa da zero anche la formula (8.4), che descrive un campo magnetostatico. Il campo elettromagnetico si rivela solo quando compaiono variazioni nel tempo. Le equazioni di Maxwell sintetizzano in modo estremamente compatto tutta la moltitudine di fenomeni che abbiamo visto nei capitoli precedenti, e forniscono la base scientifica della tecnologia ad essi correlata (figura 2).
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Figura 2. Molte delle nostre attività quotidiane utilizzano indirettamente le leggi dell’elettromagnetismo.
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
Una riflessione Già un semplice sguardo superficiale alle equazioni di Maxwell può farci riflettere su un fatto. Una carica ferma, immobile nello spazio, genera esclusivamente un campo elettrico: mai ci verrebbe in mente dell’esistenza dei campi magnetici se non esistessero le correnti elettriche. E mai ci accorgeremmo che i campi elettrico e magnetico sono due aspetti di un’unica realtà, se non ci potessimo far variare nel tempo le grandezze elettriche e magnetiche. L’elettromagnetismo apre dunque uno squarcio nello studio scientifico della natura, mostrando la reale possibilità di scoprire cose nuove nascoste dentro cose «note». La fisica del XX secolo ne ha subito l’influenza e la teoria delle interazioni e della materia si è sviluppata con un’impostazione simile, in cui la ricerca dell’unificazione del noto è andata di pari passo con l’esplorazione dei fenomeni non ancora noti.
210 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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8
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
2
8
LE EQUAZIONI DI MAXWELL
Vediamo ora le equazioni di Maxwell una ad una, cercando di riconoscere in esse le leggi già incontrate nel capitoli precedenti nei loro casi particolari. Prima equazione. La prima delle quattro equazioni è il teorema di Gauss per il campo elettrostatico I Φ( E )
Q ε0
Come abbiamo visto nel capitolo «Il campo elettrico», si esprime dicendo che il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è direttamente proporzionale alla carica racchiusa da tale superficie. In termini di linee di forza questa equazione stabilisce che le linee di forza del campo elettrico sono aperte. In altre parole il teorema di Gauss ci dice che le cariche elettriche sono le sorgenti del campo elettrico. Dato che non compaiono altri termini nell’equazione, il campo elettrico non può che essere generato da cariche elettriche (figura 3).
Q
Q
Figura 3. Il campo elettrico è generato da cariche elettriche ferme.
Seconda equazione. La seconda equazione I I ΔΦ( B ) C(E) =− Δt rappresenta un modo diverso di scrivere la legge di Faraday-Neumann. Infatti equivale alla formula (7.4) qualora alla forza elettromotrice indotta fem ¤ ¤ sia sostituita la circuitazione C(E ) del campo E lungo un percorso chiuso Γ. Per mostrare come la forza elettromotrice indotta equivale alla circuitazione del campo elettrico consideriamo un circuito costituito da un percorso chiuso Γ, per semplicità di forma circolare (ma la dimostrazione è valida per un circuito di forma qualunque), immerso in un campo di induzione ¤ magnetica B che varia nel tempo. In queste condizioni si genera una forza elettromotrice indotta fem. Una carica di prova q che si muove nel circuito sarà sottoposta pertanto a una fem L/q, dove L è il lavoro della forza elettrica indotta. Per calcolare il lavoro L compiuto dalla ¤ dalla linea chiusa Γ, forza elettrica indotta F ei lungo il circuito, definito ¤ suddividiamo il circuito in tanti piccoli tratti Δᐉ (figura 4). ¤ Il lavoro elementare compiuto¤dalla forza F ei per spostare la carica di prova q lungo il tratto i-esimo Δᐉi è pari a:
Figura 4. La circuitazione ¤ del campo E lungo il percorso chiuso Γ è pari alla forza elettromotrice indotta.
艎1
艎3
211 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
艎2
8
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE ¤
¤
ΔLi Fiei · Δᐉi Il lavoro totale L si ottiene sommando i vari contributi elementari: n n L = ∑ Δ Li = ∑ Fi ei ⋅ Δi i =1
i =1
La forza elettromotrice sarà pertanto uguale a n Fi ei ⋅ Δi ∑ L f em = = i =1 q q che può essere espressa anche in funzione del campo elettrico indotto, essendo n ∑ Fi ei n f em = i =1 ⋅ Δi = ∑ E iei ⋅ Δi q i =1 n ¤ ei La sommatoria ∑ E ⋅ Δi altro non è che la circuitazione C(E ) del campo i =1
elettrico lungo la linea chiusa Γ. Abbiamo così dimostrato l’equivalenza tra la fem indotta nel circuito e la circuitazione lungo il circuito stesso. ¤ La seconda equazione di Maxwell ci dice che quando il flusso Φ(B ) concatenato con il circuito varia nel tempo perché varia il campo di induzione ¤ magnetica B , si genera un campo elettrico la cui circuitazione è diversa da zero. Pertanto nel caso non statico il campo elettrico non è conservativo. ¤ La terza equazione di Maxwell si riduce a C(E ) 0 nel caso statico, ossia ¤ quando B è costante nel tempo. Pertanto in condizioni stazionarie il campo elettrico è conservativo. In definitiva N
N
un campo magnetico variabile genera un campo elettrico indotto. →
→
E
E
S
S
→
→
冷 B 冷 aumenta
冷 B 冷 diminuisce
Figura 5. Le linee di forza del campo elettrico indotto formano linee chiuse intorno al campo magnetico che le ha generate.
Le linee di forza del campo elettrico non conservativo, indotto dalle variazioni del campo magnetico, formano linee chiuse intorno alle linee del campo magnetico stesso; le linee del campo elettrico giacciono su un piano perpendicolare alle linee di campo magnetico (figura 5).
Terza equazione. La terza equazione che prendiamo in esame è stata definita, nel capitolo «Il campo magnetico», come teorema di Gauss per il campo magnetico (formula (6.17)): I Φ( B )
0
per il quale il flusso del campo magnetico attraverso qualsiasi superficie chiusa è uguale a zero. In termini di linee di forza vuol dire che qualsiasi superficie chiusa si consideri all’interno di un campo magnetico, per ogni linea entrante ce n’è una uscente. Un campo vettoriale in cui il flusso attraverso una qualsiasi superficie chiusa sia nullo si dice solenoidale, ha linee di forza chiuse. La terza equazione ci dice quindi che
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
8
il campo magnetico è solenoidale, cioè ha linee di forza chiuse. Il fatto che il campo magnetico abbia linee di forza chiuse lo rende sostanzialmente diverso dal campo elettrico: mentre le cariche elettriche positive sono separate da quelle negative, non esistono poli magnetici isolati. Quarta equazione. A differenza delle altre il secondo membro dell’ultima equazione presenta due contributi. I C ( B)
I ⎛ ΔΦ( E ) ⎞ μ 0 ⎜i ε0 ⎟ Δt ⎠ ⎝ ¤
Restringiamo inizialmente l’analisi al caso statico, in cui E è costante nel tempo e consideriamo solo il primo, che abbiamo incontrato nel capitolo «Il campo magnetico» come teorema di Ampère (formula (6.14)), che nel caso vi sia un’unica corrente concatenata con il percorso Γ si scrive: I C ( B ) = μ 0 ∑ ik = μ 0i k
dalla quale discende che il campo magnetico non è conservativo. Fin qui, a parte la sistemazione teorica e la riscrittura in termini di campi, abbiamo incontrato leggi già note. In effetti queste leggi erano note anche a Maxwell, che le rielaborò, le strutturò, perfezionò la loro formulazione matematica in termini moderni; ma andò anche oltre, completando il quadro con un termine che aggiunge simmetria all’insieme. La seconda equazione (formula (8.2)) aggiunge una componente al campo elettrico nel caso non statico: accanto a quello conservativo (la cui circuitazione è nulla), compare un campo non conservativo la cui circuitazione non nulla è dovuta a variazioni del campo magnetico. In questa equazione campo elettrico e campo magnetico sono dunque legati da una relazione matematica che ne fa un’unica realtà. Convinto che dovesse esistere una simmetria tra campi elettrici e magne¤ tici, Maxwell ipotizzò che all’equazione che esprime la circuitazione di B mancasse un termine in cui doveva comparire una relazione analoga a quella della legge di Faraday-Neumann, con i ruoli del campo elettrico e magnetico scambiati. Alla corrente ordinaria i aggiunse pertanto la cosiddetta corrente di spostamento is: I ΔΦ( E ) is ε 0 Δt dovuta alle variazioni del flusso del campo elettrico e non determinata da un moto reale di cariche elettriche. Tale relazione è anche nota come legge di Ampère-Maxwell. L’introduzione della corrente di spostamento consente di superare i problemi che si pongono nell’applicazione del teorema di Ampère a un condensatore in fase di carica. Consideriamo un condensatore piano, in cui i
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
fili conduttori collegati alle armature sono attraversati da una corrente i. Se non ci fosse la corrente di spostamento avremmo una discontinuità netta ¤ della circuitazione di B nello spazio interno del condensatore, dove la corrente è nulla. Lungo i tre cammini Γ1, Γ2 e Γ3 illustrati in figura 6 avremmo dunque: ¤
¤
C1(B ) μ0i
¤
C2(B ) 0
C3(B ) μ0i
i Figura 6. La corrente di spostamento fa sì che la circuitazione del campo magnetico sia la stessa lungo i tre percorsi Γ1, Γ2 e Γ3.
i 3 →
1
C1 (B) 0 i
2 →
C2(B) 0
→
C3(B) 0 i
Aggiungendo la corrente di spostamento is, in modo tale che la circui¤ tazione di B sia la stessa lungo i tre percorsi Γ1, Γ2 e Γ3, cioè che il suo valore numerico sia equivalente alla corrente che carica il condensatore, la discontinuità scompare. In altre parole la corrente di spostamento dovuta alle variazioni del campo elettrico è equivalente, sia numericamente che negli effetti magnetici, alla corrente reale, cioè anche Figura 7. Le linee di forza del campo magnetico indotto formano linee chiuse intorno al campo elettrico che le ha generate.
un campo elettrico variabile nel tempo genera un campo magnetico.
Inoltre, come per il campo elettrico indotto, le linee di forza del campo magnetico, indotto dalle variazioni del campo elettrico, formano linee chiuse intorno alle linee del campo elettrico stesso; le linee del campo magnetico giacciono su un piano perpendi→ colare alle linee di campo elettrico. B Il segno discorde rispetto alla legge di Faraday fa sì che le linee del campo abbiano un verso opposto rispetto a quelle → 冷 E 冷 diminuisce del campo elettrico indotto (figura 7).
→
B →
冷 E 冷 aumenta
Teoria ed esperimenti L’elettromagnetismo classico ha preso corpo intorno a esperimenti spalmati su due secoli, non sempre comprensibili e di difficile sistemazione: dalle misteriose proprietà dell’ambra e della magnetite ai fluidi elettrici e magnetici, dalle scariche luminose alle correnti continue. A lungo non fu chiaro se la scarica di una bottiglia di Leida avesse la stessa natura dei fulmini e tanto meno se avessero la stessa natura anche le correnti «voltiane» e le correnti indotte. La base sperimentale dell’elettromagnetismo era dunque frammentaria, a volte confusa, disordinata. Alle stesse grandezze venivano a volte dati nomi diversi a seconda del contesto ed era davvero difficile districarsi nella moltitudine di «strani» fenomeni che spuntavano nei laboratori ogni qualvolta si aumentava una differenza di potenziale o si modificava la configurazione di un esperimento. La chiave di lettura unificante dell’intricato puzzle era il concetto di cam-
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
po, che Faraday aveva ben chiaro in mente, ispiratore e guida dei suoi decisivi esperimenti. Ma la svolta risolutiva per l’elettromagnetismo fu la teoria. Il lavoro di Maxwell, culminato nelle quattro equazioni che abbiamo brevemente visitato in questo paragrafo (riassunte in tabella 1), si svolse principalmente con carta e penna. L’interpretazione della forza elettromotrice indotta in termini di circuitazione del campo elettrico o l’aggiunta del termine mancante nella circuitazione del campo magnetico non derivarono dalla necessità di spiegare un fenomeno, ma di costruire una teoria sottostante ai fenomeni tutti. La teoria di Maxwell era dunque qualcosa di nuovo, che andava oltre alle evidenze sperimentali note allora e che, come vedremo più avanti, fu in grado di prevedere fenomeni sconosciuti, ancora prima che fossero osservati.
8
Tabella 1. Le equazioni di Maxwell in breve.
LE EQUAZIONI DI MAXWELL In formule
A parole
Linee di forza
3
I Φ( E )
Q ε0
I I ΔΦ( B ) C (E ) = − Δt
Le cariche elettriche sono le sorgenti del campo elettrico.
Le variazioni del campo magnetico generano un campo elettrico non conservativo.
Il campo elettrostatico ha linee di forza aperte che hanno origine nelle cariche elettriche.
Le linee di forza del campo elettrico, indotto dalle variazioni del campo magnetico, formano linee che si chiudono intorno alle linee del campo magnetico che le ha generate.
I Φ( B )
0
I C (B)
I ⎛ ΔΦ( E ) ⎞ ⎟ μ 0 ⎜⎜ i ε0 Δ t ⎟⎠ ⎝
Non esistono monopoli magnetici isolati.
Le correnti elettriche e le variazioni del campo elettrico generano un campo magnetico.
Il campo magnetico ha linee di forza chiuse.
Le linee di forza del campo magnetico, indotto dalle variazioni del campo elettrico, formano linee che si chiudono intorno alle linee del campo elettrico che le ha generate.
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
Immaginiamo di avere una carica elettrica Q in un punto dello spazio vuoto. Fintanto che la carica è ferma, l’unica equazione non nulla è la prima (formula (8.1)), la quale descrive la presenza di un campo elettrico, le cui linee di forza sono aperte. Immaginiamo ora che la carica inizi a oscillare avanti e indietro lungo un segmento AB, come se fosse attaccata a una molla, cioè di moto armonico (figura 8). A questo punto entrano in gioco anche le altre equazioni. Il moto della carica comporta una variazione periodica del campo elettrico, cioè della disposizione delle linee di forza nello spazio, e induce un campo magnetico, con linee di forza che si avvolgono intorno a quelle del campo elettrico, perpendicolarmente ad esso. Ma anche il campo magnetico indotto varia con periodicità, e quindi genera, a sua volta, un campo elettrico avvolto intorno alle sue linee di forza. Il campo elettrico varia, anch’esso, periodicamente e induce un campo magnetico variabile, e così via.
? A
B ?
Figura 8. Una carica ferma genera un campo elettrostatico conservativo con linee di forza aperte. Utilizziamo le equazioni di Maxwell per vedere che cosa succede nello spazio quando una carica oscilla avanti e indietro di moto armonico.
215 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
8
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
Il moto della carica comporta una variazione periodica del campo elettrico, cioè il campo elettrico varia in quanto la posizione della carica cambia nel tempo, e genera un campo magnetico variabile nel tempo che a sua volta induce un campo elettrico indotto. Ma anche il campo elettrico indotto varia con periodicità, e quindi genera, a sua volta, un campo magnetico che varia, anch’esso, periodicamente inducendo un nuovo campo elettrico e così via (figura 9). legge di Faraday legge di Ampere-Maxwell
i(t) crescente Figura 9. Una corrente variabile induce un campo magnetico variabile, che a sua volta induce un campo elettrico variabile, eccetera.
ecc, ecc... →
→
B (t) →
E (t)
B (t)
→
E (t)
Tali variazioni sono vere e proprie perturbazioni del campo elettromagnetico, che si propaga nello spazio, anche se la carica originaria smette di oscillare. Cioè i campi elettrico e magnetico oscillano su un piano perpendicolare alla direzione di propagazione, e avanzano trasportando energia da un punto all’altro, così come accade quando gettiamo un sasso in mezzo a uno stagno e le perturbazioni raggiungono la riva (figura 10). Le perturbazioni del campo elettromagnetico sono onde che si propagano nello spazio trasportando energia da un punto all’altro. carica oscillante Figura 10. Le perturbazioni del campo elettromagnetico prodotte da una carica oscillante si propagano nello spazio, come le onde sulla superficie di uno stagno.
perturbazioni del campo elettromagnetico
sasso gettato nello stagno
perturbazioni della superficie dell’acqua
Le equazioni di Maxwell prevedono dunque l’esistenza di onde elettromagnetiche come perturbazioni del campo elettromagnetico che si propagano nello spazio a partire da una carica in movimento.
Le sorgenti delle onde elettromagnetiche Come abbiamo visto nel capitolo «Le onde», queste hanno origine in un punto dello spazio detto sorgente, che coincide con il punto dal quale ha origine la perturbazione. Sorgenti oscillanti, inoltre, producono onde periodiche. Una carica che oscilla armonicamente lungo un segmento produce pertanto perturbazioni armoniche la cui frequenza è pari alla frequenza di oscillazione della carica. Tale sorgente può essere assimilata a una sorgente puntiforme, perché l’onda si propaga a grandi distanze da essa. L’onda che ne deriva ha un fronte sferico, cioè si propaga in tutte le direzioni dello spazio.
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
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La velocità delle onde elettromagnetiche Noi abbiamo ragionato qualitativamente, ma Maxwell previde l’esistenza di onde elettromagnetiche quantitativamente, svolgendo i calcoli a partire dalle quattro equazioni. Determinò la velocità vem con cui le onde elettromagnetiche avrebbero dovuto propagarsi nello spazio vuoto, pervenendo alla relazione 1 ε0μ 0
v em
Se sostituiamo i valori numerici della costante dielettrica ε0 e della permeabilità magnetica μ0 del vuoto, otteniamo: v em =
1 = ε0μ 0
1 8, 854 × 10
− 12
C2 −7 N 2 × 4 π × 10 N⋅m A2
1
=
8, 854 × 10−12 × 4 π × 10−7
2
=
= 2, 988 × 10 8 m/s
C N × 4 π × 10−7 2 N ⋅m 2 C s2
Circa dieci anni prima che Maxwell eseguisse questo calcolo, il francese Hippolyte Fizeau (1819-1896) aveva determinato sperimentalmente la velocità della luce, trovando un valore molto vicino alla velocità teorica delle onde elettromagnetiche. Il fatto lasciava ben poco spazio all’ipotesi che si trattasse di una coincidenza e, in effetti, misure più accurate confermano che la velocità delle onde elettromagnetiche previste dalla teoria di Maxwell coincide con la velocità della luce nel vuoto c. Maxwell concluse pertanto che la luce è un’onda elettromagnetica e, come tale, si propaga nel vuoto con velocità costante c: 1 c (8.5) ε0μ 0
Il profilo delle onde elettromagnetiche ¤
¤
I campi E e B sono perpendicolari tra loro. Essi variano in modo regolare, oscillando su un piano perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda. Pertanto l’onda che ne risulta è un’onda trasversale, essendo perpendicolare alla direzione di propagazione. Le onde elettromagnetiche sono onde trasversali in cui il campo elettrico e il campo magnetico sono perpendicolari tra loro. In un punto sufficientemente lontano dalla sorgente per poter approssimare il fronte sferico con un fronte piano, la direzione di propagazione dell’onda
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
e i campi elettrico e magnetico hanno un andamento come quello illustrato in figura 11. →
B
0 Figura 11. Il campo elettrico e il campo magnetico sono perpendicolari alla direzione di propagazione di un’onda piana.
→
E
→
k direzione di propagazione
L’ampiezza dell’onda elettromagnetica oscilla con la stessa frequenza ν di oscillazione della sorgente, mentre il periodo T e la lunghezza d’onda λ nel vuoto (figura 12) si ricavano, nota la velocità c di propagazione, dalle relazioni: λ c
T λ
cT
(8.6)
c ν
(8.7)
→
B
T 0 Figura 12. In ogni punto dello spazio l’onda elettromagnetica oscilla armonicamente nel tempo.
→
E
t
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L’ESPERIMENTO DI HERTZ
Uno dei dispositivi elettrici più usati nei laboratori scientifici del XIX secolo era il rocchetto di Ruhmkorff, dal fisico tedesco Heinrich Daniel Ruhmkorff (1803-1877) che lo inventò. Si trattava di un nucleo ferromagnetico sul quale erano avvolti due conduttori con un diverso numero di spire ciascuno. La bobina con il numero di spire minore era collegata a un generatore, l’altra finiva con due terminali posti l’uno di fronte all’altro (figura 13). Agendo ripetutamente su un interruttore la prima bobina genera un campo magnetico variabile che induce sulla seconda bobina una corrente, la cui intensità dipende dal numero di spire. La differenza di potenziale tra le punte terminali varia con la stessa frequenza di apertura e chiusura del circuito: il suo
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
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valore è tanto maggiore quanto più numerose sono le spire della bobina e può arrivare a migliaia di volt. Tra i terminali possono dunque verificarsi scariche elettriche. terminali
Luigi Chiesa
Figura 13. Fra i terminali di un rocchetto di Ruhmkorff si raggiungono elevate differenze di potenziale che possono generare scariche elettriche.
Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894) era un sostenitore della teoria di Maxwell ed era convinto che si potessero generare onde elettromagnetiche a partire da cariche oscillanti. Per avvalorare la teoria con una prova sperimentale utilizzò proprio un rocchetto di Ruhmkorff. Sostituì i terminali del rocchetto con una coppia di aste conduttrici. Facendo scoccare ripetutamente scintille tra le sfere, Hertz provocava intense oscillazioni del campo elettromagnetico. Per provare che tali oscillazioni si propagavano come onde elettromagnetiche doveva rilevarle in altri punti dello spazio: costruì dunque un conduttore metallico piegato ad anello con una interruzione sulla quale si affacciavano due piccole sfere, che usò come rivelatore (figura 14). Pose il rivelatore a qualche metro rivelatore di distanza dal rocchetto e iniziò a generare gli impulsi. Osservò che, quasi immediatamente, anche tra le sfere del rivelatore scoccava una debole scintilla. L’intenso campo elettrico variabile oscillatore aveva quindi generato onde elettromagnetiche che si erano propagate fino al rivelatore, mettendo a loro volta in oscillazione elettrica quest’ultimo. L’energia rocchetto trasportata dall’onda era, in determinate condizioni, sufficiente a provocare sul rivelatore una scarica.
Figura 14. Hertz diede la prova sperimentale dell’esistenza delle onde elettromagnetiche utilizzando una sorgente formata da un sistema oscillante collegato a un rocchetto di Ruhmkorff e come rivelatore un conduttore con gli estremi affacciati.
Hertz dimostrò sperimentalmente l’esistenza delle onde elettromagnetiche previste dalla teoria di Maxwell.
Risonanza e trasmissione delle onde elettromagnetiche Semplificando estremamente l’esperimento di Hertz, vediamo che esso consiste in una sorgente e un rivelatore schematizzabili entrambi come cariche oscillanti. Il cosiddetto oscillatore hertziano è un dipolo costituito da una carica positiva e una carica negativa che oscillano ai capi di una molla
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ideale. Esso produce perturbazioni del campo elettromagnetico, come illustrato in figura 15, e genera un’onda elettromagnetica il cui periodo è pari al periodo di oscillazione della molla ideale. R5
R5 R4
R4
R5
R5
R5
R5
R2
R2
R2
R2
R7 R3
R7 R3
R1 R1
R1 R1
R5
R4
R4
R5
Figura 15. Nella figura, che riproduce i disegni originali di Hertz, sono rappresentate le linee del campo elettromagnetico oscillante di un dipolo hertziano in 4 istanti di tempo corrispondenti a intervalli distanziati di un quarto di periodo.
R5
R5
R5
R3
R5
R7
R3 R7
La frequenza dell’onda è determinata dalla frequenza di oscillazione della sorgente, così come la frequenza di un suono è determinato dalla frequenza di vibrazioni di una sorgente meccanica come un diapason.
ESEMPIO f Qual è la lunghezza d’onda della radiazione generata da un oscillatore hertziano che compie un’oscillazione completa in 1,0 10–8 s?
SOLUZIONE Ricaviamo la lunghezza d’onda direttamente dalla formula (8.7): λ cT 3,0 108 m/s 1,0 10–8 s 3,0 m DOMANDA Quante oscillazioni compie il sistema in 1 s?
L’analogia con il diapason ci può aiutare a comprendere il ruolo del rivelatore. Se mettiamo due diapason identici in due posizioni diverse, non troppo lontani l’uno dall’altro, e ne percuotiamo uno, dopo un po’ anche l’altro inizia a vibrare. Come abbiamo visto nel capitolo «Le onde», questo fenomeno è detto risonanza, e consiste nell’aumento dell’ampiezza delle oscillazioni da parte di un sistema sollecitato con una frequenza pari alla sua frequenza di oscillazione propria. Il primo diapason emette onde di frequenza pari alla sua frequenza propria, il secondo (identico al primo) risuona se sollecitato da stimoli periodici con la stessa frequenza. Il concetto di risonanza si ritrova in diverse situazioni: anche quando abbiamo a che fare con oscillatori elettrici anziché meccanici. Il rivelatore dell’esperimento di Hertz è dunque un sistema oscillante che entra in risonanza quando è sollecitato con la frequenza emessa dalla sorgente, cioè è un risuonatore che ha la stessa frequenza propria della sorgente. Le sorgenti e i rivelatori di onde elettromagnetiche come quelli usati da Hertz, adatti a trasmettere e ricevere onde radio, sono dunque sistemi oscillanti in cui vi sono cariche elettriche che si muovono periodicamente e che si trovano in condizioni di risonanza. Nell’elettrotecnica tali disposi-
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tivi prendono il nome di antenne a dipolo, perché schematizzabili come dipoli elettrici oscillanti (figura 16).
Figura 16. Quando l’oscillatore B è investito con un’onda elettromagnetica di frequenza pari alla sua frequenza propria entra in risonanza: assorbe l’energia incidente e la riemette iniziando a sua volta a oscillare.
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LO SPETTRO ELETTROMAGNETICO
Come abbiamo visto nel capitolo «La luce», questa è un’onda elettromagnetica che può essere rilevata dal nostro sistema visivo. Essa è solo una piccola parte del cosiddetto spettro elettromagnetico, e comprende onde che hanno lunghezze d’onda che si trovano in un intervallo che va da 380 a 760 nm. Anche se invisibili, le onde elettromagnetiche si estendono ben oltre lo spettro visibile, con lunghezze d’onda che possono arrivare a decine o centinaia di kilometri, a partire da lunghezze d’onda inferiori al millesimo di nanometro.
Simon Smith / Shutterstock
In generale le antenne sono dispositivi che, posti a distanza l’uno dall’altro, trasportano energia e informazione tra punti diversi dello spazio (figura 17). L’antenna trasmittente è collegata con un circuito nel quale sono prodotte oscillazioni di campi elettrici e magnetici con opportune tecniche; l’antenna ricevente, collegata anch’essa a un circuito, fa l’operazione opposta e traduce in segnale elettrico l’onda elettromagnetica ricevuta.
David Acosta Allely / Shutterstock
Le antenne
Figura 17. A partire da un’antenna trasmittente l’onda elettromagnetica raggiunge diversi punti dello spazio, dove le antenne riceventi lo raccolgono e lo inviano a un sistema che riproduce il segnale elettrico corrispondente.
Lo spettro elettromagnetico è dato dall’insieme di tutte le possibili frequenze o lunghezze d’onda delle onde elettromagnetiche. A seconda della frequenza e della lunghezza d’onda le onde elettromagnetiche interagiscono in modo diverso con gli oggetti che incontrano lungo la loro propagazione. Per esempio la luce visibile viene in parte assorbita o diffusa e in parte riflessa dalle superfici degli oggetti macroscopici, conferendo loro il colore che vediamo. Un’onda elettromagnetica, cioè, trasporta energia che può essere o meno assorbita dagli oggetti che incontra sul suo percorso.
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Figura 18. Lo spettro elettromagnetico.
A seconda dell’intervallo di frequenze (e quindi di lunghezza d’onda) le onde elettromagnetiche prendono diversi nomi, che hanno origini storiche e dipendono dall’uso che se ne fa o il tipo di sorgente da cui sono prodotte (figura 18).
linee di trasmissioni forni a distribuzione radio su onde microonde dell’energia elettrica medie trasmissioni radio a modulazione di frequenza e televisive lunghezza donda (m) 105
103
frequenze molto basse 103 frequenza (Hz)
10
1
radio frequenze 105
101
103
microonde
107 108 109
lampade a apparecchiature UV incandescenza per abbronzatura artificiale
1011
106 107 infrarosso
109
1011
ultra raggi X violetto 1014 1015 1017 luce visibile
radiazioni non ionizzanti
raggi X per uso medico
1014 raggi
1019
1022
radiazioni ionizzanti
Onde radio Le onde radio sono state usate inizialmente nelle trasmissioni dei segnali radiofonici e in seguito televisivi. Hanno lunghezze d’onda tali che consentono loro di superare per diffrazione ostacoli di grandi dimensioni.
SIMULAZIONE Onde radio e campi elettromagnetici (PhET, University of Colorado)
Figura 19. L’onda radio può aggirare ostacoli di grandi dimensioni grazie all’uso di ripetitori. Se riflessa dalla ionosfera, l’onda radio può oltrepassare l’orizzonte. I satelliti rilevano le onde radio e le riemettono verso la superficie, raggiungendo un numero elevato di antenne riceventi.
Le onde radio hanno lunghezze d’onda il cui ordine di grandezza va dalla decina di centimetri alla decina di kilometri. A seconda della distanza tra sorgente e rivelatore, e quindi del tipo di ostacoli interposti, si usano lunghezze d’onda differenti e sorgenti di intensità differente. Per superare ostacoli molto grandi o per coprire distanze maggiori sono spesso usati i cosiddetti ripetitori, cioè antenne che ricevono il segnale dall’emittente di partenza e lo riemettono a loro volta, dopo averlo eventualmente amplificato. Le onde radio possono essere riflesse dalla ionosfera e riescono a raggiungere distanze maggiori al di là dell’orizsatellite zonte. In altri casi il segnale della stazione trasmittente viene onda spaziale inviato a un satellite, il quale lo invia nuovamente verso la suonda riflessa perficie terrestre per dalla ionosfera essere rilevato diretripetitore tamente alle antenne trasmittente ricevente riceventi (figura 19).
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Microonde Le microonde sono onde elettromagnetiche che possono essere prodotte artificialmente da speciali dispositivi formati sostanzialmente da tubi in cui è fatto il vuoto percorsi da flussi di elettroni, detti klystron o magnetron a seconda del tipo.
Iakov Filimonov / Shutterstock
Conosciamo le microonde perché sappiamo che sono usate nelle comunicazioni via satellite, nella telefonia cellulare e in un particolare tipo di formo per cuocere i cibi. A seconda della lunghezza d’onda le onde non trasportano la stessa quantità di energia al secondo, infatti si ha una potenza di qualche decimo di watt per la telefonia e di circa 1 kW per i forni. Nel forno a microonde, inoltre, la frequenza dell’onda è scelta in modo da entrare in risonanza con le molecole d’acqua, che quindi assorbono l’energia in modo molto efficace, innalzando la temperatura dei cibi che le contengono (figura 20). Di recente si sta prestando molta attenzione ai possibili effetti delle microonde sugli organismi viventi. Sono infatti utilizzate da poche decine di anni e ancora non è chiaro se a lungo termine possano verificarsi conseguenze dannose per la salute. Anche i corpi di uomini e animali, infatti, si comportano come antenne e assorbono con particolare efficienza onde elettromagnetiche con lunghezze d’onda nella regione delle microonde. I rischi ipotizzati sono molteplici: da possibili danni ai tessuti indotti dal riscaldamento, a possibili interferenze con la trasmissione dei segnali nervosi. Attualmente nessuna di queste è provata con certezza, ma si preferisce comunque adottare misure precauzionali, imponendo alle stazioni emittenti limiti superiori per l’intensità dei campi.
Maxx-rstockStudio / Shutte
Le microonde hanno lunghezze d’onda il cui ordine di grandezza va dal millimetro alla decina di centimetri.
Figura 20. Utilizziamo le microonde quotidianamente, nella telefonia cellulare e nei forni a microonde.
Infrarossi
NASA/JPL-Caltech/UCLA
Se scomponiamo un fascio di luce bianca con un prisma e spostiamo un termometro lungo la banda colorata, osserviamo che la temperatura aumenta procedendo verso il rosso e continua ad aumentare nella zona «buia» oltre tale colore. Questo fatto fu scoperto nel 1800, ma solo con la teoria delle onde elettromagnetiche si è stati in grado di inquadrarlo in una classe di fenomeni più ampia. I raggi infrarossi sono onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda che va da circa 700 nm al millimetro. L’origine degli infrarossi è principalmente dovuta all’emissione termica, cioè al moto incessante delle molecole noto come agitazione termica. Le molecole in movimento emettono energia nella regione dell’infrarosso e, viceversa, assorbono facilmente radiazione di questo tipo. Cioè, gli oggetti investiti da raggi infrarossi si scaldano, e a loro volta emettono raggi infrarossi (figura 21).
Figura 21. L’ammasso delle Pleiadi nell’infrarosso. Strumenti capaci di rilevare la radiazione infrarossa, in orbita intorno alla Terra, offrono immagini del cielo sconosciute ai nostri occhi.
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La luce visibile Il Sole emette onde elettromagnetiche di tutte le lunghezze d’onda, ma l’intensità massima si ha in un intervallo centrato intorno a una lunghezza d’onda di circa 500 nm. I nostri occhi sono in grado di rilevare tali onde elettromagnetiche, che pertanto vengono denominate «luce visibile».
Neale Cousland / Shutterstock
La luce visibile corrisponde a un’onda elettromagnetica con lunghezza d’onda compresa tra 380 nm e 760 nm.
Figura 22. La luce bianca è il risultato della sovrapposizione di più lunghezze d’onda che noi percepiamo come colori. Gli oggetti ci appaiono colorati, perché interagiscono in modo differenziato con le lunghezze d’onda incidenti.
L’insieme delle lunghezze d’onda (o frequenze) appartenenti al suddetto intervallo è detto spettro visibile e al suo interno si possono individuare dei sottointervalli corrispondenti a colori diversi. La cosiddetta luce bianca è data dalla sovrapposizione di vari colori e la visione colorata degli oggetti dipende dal fatto che alcune lunghezze d’onda vengono assorbite, mentre altre vengono diffuse dalla superficie dell’oggetto (figura 22).
Gli ultravioletti La radiazione emessa dal Sole ha anche una importante componente ultravioletta, corrispondente al frequenze che si trovano al di sopra del violetto, il colore dello spettro visibile di frequenza maggiore, ovvero di lunghezza d’onda minore. I raggi ultravioletti sono onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda che va da circa 10 nm a 400 nm.
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Sono invisibili all’occhio umano, ma sono in grado di provocare la fluorescenza in alcuni materiali (figura 23). Sono coinvolti in numerose reazioni chimiche, attivate dall’energia da essi trasportata, sia a livello organico che inorganico. Sappiamo, per esempio, che certi raggi ultravioletti stimolano la produzione di melanina, il pigmento che dà il colore scuro alla pelle, ma anche che possono favorire l’insorgenza di tumori.
Raggi X
Figura 23. Raffaello Sanzio, Dama con liocorno (1505-1506) in luce ultravioletta. La fluorescenza indotta dagli ultravioletti è un valido aiuto nello studio delle opere d’arte, in quanto mette in evidenza gli interventi di restauro o i ritocchi eseguiti con materiali diversi.
La lettera «x» rappresenta l’incognita in matematica ed è stata associata ai misteriosi raggi, scoperti per la prima volta durante esperimenti con tubi a vuoto in cui gli elettroni emessi dal catodo urtavano un bersaglio metallico. Il mistero era accresciuto dal fatto che, come mai si era osservato prima, i raggi X erano in grado di attraversare la materia e di impressionare successivamente una lastra fotografica in modo selettivo a seconda del materiale incontrato. Oggi sappiamo che i raggi X sono onde elettromagnetiche con lunghezze d’onda il cui ordine di grandezza va da 10–11 m a 10–8 m.
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
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Nonostante la pericolosità associata all’elevata energia che trasportano, in grado di danneggiare le cellule, la capacità di essere trasmessi o assorbiti dalla materia opaca alla luce in modo selettivo li rende molto utili nella diagnostica medica, per radiografie o TAC (tomografia assiale computerizzata), ma anche nello studio delle opere d’arte nelle quali interventi successivi hanno coperto immagini precedenti (figura 24).
Raggi γ Ministero per i Beni e le Attività Culturali
I raggi γ sono la componente più energetica dello spettro elettromagnetico, corrispondenti alle più piccole lunghezze d’onda. I raggi γ hanno lunghezze d’onda minori di 10–12 m. Sono emessi dalla profondità degli atomi, durante le reazioni nucleari e la radioattività e sono protagonisti degli eventi più violenti dell’Universo (figura 25). Riescono a oltrepassare spessi strati di materia e sono estremamente dannosi per gli organismi viventi. Per questo motivo, se da una parte ci si deve proteggere dall’esposizione ai raggi γ, dall’altra possono essere usati per distruggere i batteri e le cellule tumorali, contro le quali agiscono come veri e propri «proiettili» altamente energetici.
Figura 24. Un’immagine ai raggi X mostra che il liocorno della dama di Raffaello in origine era un cagnolino.
NASA / SkyWorks Digital
Figura 25. Rappresentazione artistica di un GRB. I cosiddetti lampi gamma o gamma ray burst (GRB) sono intense e imprevedibili esplosioni di raggi γ, di origine non ancora ben definita, che costituiscono il fenomeno più energetico finora conosciuto.
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BIOLOGIA Radiazioni elettromagnetiche ionizzanti e materia vivente
ra
dio
a m am
lun
ig ra gg
gh
e
de
etti viol
on
ssi
ultr a
rte
rag gi X
co
aro
infr
400nm
cro mi
700nm
Il Sole ci invia continuamente onde elettromagnetiche di ogni tipo.
NASA
Tali radiazioni sono dette ionizzanti e sono molto pericolose per il DNA, la molecola più importante per ogni organismo vivente. Il DNA è formato da una sequenza di segmenti più piccoli i quali, l’uno dopo l’altro, codificano il cosiddetto patrimonio genetico di ciascun individuo, differenziandolo dagli altri e permettendone la crescita e la riproduzione, cioè la vita. Se uno di questi segmenti viene modificato, direttamente dalle radiazioni o dai radicali liberi da esse formati, l’intero «progetto» dell’organismo vivente può risentire della modifica. Questo significa che l’organismo potrebbe smettere di funzionare come dovrebbe. Le radiazioni potrebbero indurre modificazioni del meccanismo di riproduzione delle cellule e dare il via al proliferare di cellule cancerose. Esistono meccanismi naturali di difesa e di riparazione, tuttavia l’esposizione a radiazioni ionizzanti va senz’altro ridotta.
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Le radiazioni ionizzanti
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Siamo continuamente immersi in un mare di onde elettromagnetiche, sin dalla nascita e per tutta la durata della nostra vita. Il Sole invia alla Terra energia che attraversa lo spazio vuoto sotto forma di onde elettromagnetiche: alcune ci illuminano, altre ci scaldano, altre ci fanno abbronzare… Non si può dunque parlare di effetti della radiazione sugli organismi senza specificare di quale tipo di onde si tratti, cioè senza specificare la loro lunghezza d’onda e, quindi, l’energia trasportata. Le onde elettromagnetiche che hanno una lunghezza d’onda maggiore, hanno una frequenza minore e trasportano un minor quantitativo di energia rispetto a quelle di lunghezza d’onda minore. Queste ultime sono le più pericolose per gli organismi viventi, perché la loro energia potrebbe essere sufficiente per provocare danni alle cellule. In particolare potrebbero essere in grado di ionizzare alcuni atomi e quindi modificare le strutture cellulari delle quali questi fanno parte.
Le radiazioni ionizzanti trasportano energie elevate e possono danneggiare il DNA contenuto nelle cellule degli organismi viventi.
Quali radiazioni?
Nel 1895 Wilhelm Conrad Röntgen scoprì i raggi X, riconoscendo immediatamente la loro capacità di penetrare nella materia. La prima radiografia della storia è quella della mano sinistra della signora Rontgen.
I raggi ultravioletti che inducono la nostra abbronzatura fanno parte delle radiazioni ionizzanti, anche se sono le meno energetiche e quindi le meno penetranti e pericolose. Tuttavia l’organismo ha sviluppato, nel corso dell’evoluzione, una strategia di difesa: il pigmento scuro (la melanina) non è altro che uno schermo che si oppone all’ingresso di radiazioni potenzialmente nocive. In assenza di melanina o di un’adeguata protezione la pelle è invece esposta al rischio. I raggi ultravioletti più dannosi sono comunque schermati dallo strato di ozono presente in stratosfera, il quale li assorbe coinvolgendoli in reazioni fotochimiche impedendo loro l’ingresso negli strati più bassi. Più energetici dei raggi ultravioletti sono i raggi X, ai quali siamo sottoposti durante le radiografie in dosi rigorosamente controllate e il più possibile ridotte. Ancora più pericolosi sono gli effetti dei raggi γ, emessi nei processi di decadimento radioattivo. I primi scienziati che lavorarono con i raggi X e la radioattività ignoravano la loro pericolosità e sono andati incontro spesso a gravi neoplasie.
DOMANDA Possiamo affermare che l’atmosfera è completamente trasparente ai raggi ultravioletti? Motiva la risposta in 5 righe.
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BIOLOGIA Radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti e materia vivente Le radiazioni meno energetiche, con frequenze al di sotto di quella corrispondente alla luce di colore rosso, non hanno la capacità di ionizzare la materia. Esse agiscono principalmente innalzando la temperatura dei corpi. I raggi infrarossi fanno parte di questo tipo di radiazione e sono continuamente prodotti dai nostri stessi corpi per il semplice fatto di essere «caldi». A questo proposito, infatti, si parla anche di radiazione termica. Gli effetti della radiazione termica sugli organismi viventi non sono meno importanti di quelli delle radiazioni ionizzanti: è noto, infatti, che al di sopra di una certa temperatura pochi organismi sono in grado di vivere: non a caso l’ebollizione dell’acqua nelle situazioni di scarsa igiene garantisce l’uccisione di molti degli agenti patogeni. Le microonde prodotte nei forni elettrodomestici, con una frequenza di 2,45 GHz, innalzano la temperatura dell’acqua contenuta negli alimenti, perché vanno in risonanza con le sue molecole polari amplificando la loro oscillazione. Dal punto di vista macroscopico ciò corrisponde, infatti, a un innalzamento della sua temperatura.
molecole d’acqua m
Le microonde L’esposizione prolungata a radiazioni a bassa frequenza, come le microonde, potrebbe riscaldare i tessuti al punto di danneggiarli. È noto, per esempio, che le microonde possono essere pericolose se molto intense: per esempio l’esposizione ad alte temperature può favorire l’opacizzazione permanente del cristallino dell’occhio (provocando la cosiddetta cataratta). Se osserviamo da vicino, durante la cottura, l’interno di un forno a microonde schermato male o in cattive condizioni di chiusura, potremmo incorrere in questo inconveniente. Tuttavia l’intensità delle microonde decresce rapidamente con la distanza e non sono state rilevate conseguenze dannose per la presenza di tali elettrodomestici nelle abitazioni. I cibi stessi non risentono di altri effetti se non quello del riscaldamento e la loro cottura è sostanzialmente equivalente alla cottura per conduzione (cottura in pentola). L’unica differenza è che nei forni a microonde i cibi vengono cotti dall’interno, anziché con l’intervento di sorgenti termiche esterne.
L’elettrosmog
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Le onde elettromagnetiche a bassa frequenza di debole intensità non sembra che abbiano conseguenze a breve termine sugli organismi viventi. Tuttavia la continua immersione in campi elettromagnetici a bassa frequenza è ritenuta una tipologia di inquinamento denominato genericamente elettrosmog. L’inquinamento elettromagnetico è dovuto fondamentalmente alle infrastrutture delle telecomunicazioni, che si basano proprio sulla trasmissione di segnali radio e microonde su lunghe distanze, e della produzione e distribuzione dell’energia elettrica. I campi elettromagnetici non sono in genere molto intensi, ma viviamo costantemente al loro interno e ciò rappresenta un’anomalia rispetto al passato. Per tale motivo attualmente sono in corso molte ricerche sugli effetti a breve e lungo termine dei campi elettromagnetici a bassa frequenza sugli organismi.
I dispositivi elettronici che inviano e ricevono segnali a distanza utilizzano onde elettromagnetiche a bassa energia.
DOMANDA Perché le onde a bassa frequenza sono più adatte alla trasmissione a distanza?
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO Quattro chiacchiere a distanza Una lunga controversia
Nel 1826 nasceva ad Aosta Innocenzo Manzetti, che sarebbe diventato un inventore assai creativo e ingegnoso. All’età di 23 anni costruì uno straordinario automa in grado di suonare il flauto, mosso da un motore pneumatico e in seguito una macchina per fare la pasta, una vettura a vapore, e altri congegni, ma soprattutto molti documenti testimoniano la realizzazione di un dispositivo in grado di trasmettere a distanza i suoni attraverso un filo percorso da corrente. Un lavoro pionieristico nella direzione del telefono, dunque, che sfruttava l’induzione elettromagnetica per riprodurre i suoni. Erano i primi anni Sessanta dell’Ottocento e, nello stesso tempo, un altro italiano stava compiendo analoghi esperimenti. Antonio Meucci aveva concepito e realizzato il telettrofono, uno strumento che usava per comunicare da una stanza all’altra con la moglie malata, e dedicò diversi anni al suo perfezionamento. Tuttavia la sua situazione economica era molto precaria e non riuscì a trovare il denaro sufficiente per un vero e proprio brevetto, per cui nel 1876 Alexander Graham Bell, con il brevetto n. 174465, diventò ufficialmente l’inventore del telefono. Il suo principio di funzionamento è basato sull’induzione elettromagnetica: un’onda sonora colpisce una membrana, le cui vibrazioni provocano delle variazioni di un campo magnetico, il quale, a sua volta, induce una corrente elettrica variabile in un conduttore. La corrente percorre il conduttore fino a raggiungere un’altra membrana: le variazioni del campo magnetico indotto dalla corrente riproducono le stesse vibrazioni iniziali e quindi il suono corrispondente.
Sulla base del suo brevetto Bell costruì un impero economico. Contemporaneamente, però, Meucci tentò di far fruttare i suoi lavori e di rivendicare la priorità dell’invenzione che, nonostante mancasse di brevetto ufficiale, era stata ampiamente conosciuta nel distretto di New York. La Globe Telephone Company di New York decise di commercializzare l’invenzione di Meucci, sostenendo peraltro ufficialmente la priorità dell’italiano, inoltrando una petizione al Procuratore Generale degli Stati Uniti. Nel 1884 la Bell Telephone Company citò in giudizio la Globe e nel 1886 iniziò il processo. L’opinione pubblica americana era a favore di Meucci e la stessa magistratura era propensa a riconoscere all’italiano la priorità dell’invenzione, tuttavia una strana sentenza locale dichiarò che il progetto di Meucci era di tipo meccanico e non elettromagnetico, per cui non veniva riconosciuto il diritto alla Globe di commercializzare apparecchi telefonici. La Globe ricorse in appello e, nello stesso tempo il Governo degli Stati Uniti aprì un’inchiesta. La controversia tra Bell e gli Stati Uniti durò a lungo tra rinvii e cavilli legali, fino alla sua risoluzione senza nulla di fatto, nel 1897. Meucci era già morto nel 1889. La questione rimase dunque aperta, mentre la Bell Telephone Company accresceva il suo capitale e il suo impero economico. Solo dopo 113 anni, il 16 giungo 2002, il 107° congresso degli Stati Uniti riconobbe ufficialmente a Meucci la paternità dell’invenzione del telefono.
Garibaldi Meucci Museum Photo courtesy of the Garibaldi-Meucci Museum
La dibattuta questione del telefono
Ricostruzione del 1932 del telettrofono di Meucci.
PAROLA CHIAVE
Antonio Meucci, oggi riconosciuto come inventore ufficiale del telefono. Fino al 2002 la priorità dell’invenzione del telefono era ufficialmente attribuita ad Alexander Graham Bell.
Onde elettromagnetiche
DOMANDA Con il termine «elettrosmog» si intende la presenza diffusa di onde elettromagnetiche di bassa frequenza, utilizzate principalmente nelle telecomunicazioni. Perché l’elettrosmog potrebbe essere dannoso per la salute?
PAROLA CHIAVE
Campo elettromagnetico
DOMANDA In che modo una carica oscillante genera un’onda elettromagnetica? Descrivi il processo in 10 righe, aiutandoti con un disegno.
228 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
8
Inizialmente il telefono fu utilizzato come strumento di lavoro da banchieri, ferrovieri, pompieri e in seguito da imprenditori e professionisti. Era quindi considerato un mezzo con il quale scambiare informazioni importanti, alternativo al telegrafo di Morse e di utilizzo decisamente più immediato, non essendo necessario l’uso di un alfabeto particolare. Con i primi telefoni, le distanze tra cui era possibile comunicare senza perdere qualità del segnale erano ridotte, e fino allo sviluppo di ricevitori efficienti non si superarono poche decine di kilometri: questi dispositivi si affermarono quindi per comunicazioni all’interno della stessa città. Le linee convergevano verso un centralino dove le addette centraliniste collegavano gli utenti per mezzo di spinotti. In breve, però, il telefono si diffuse capillarmente entrando anche nelle abitazioni come strumento per conversazioni private: nel 1890 negli Stati Uniti erano istallati 200 000 apparecchi telefonici e nei primi dieci anni del 1900 il loro numero arrivò a circa 7 milioni. Il telefono diventò un mezzo per conversazioni di ogni tipo, e con i miglioramenti tecnologici, arrivò a collegare tra loro diverse città. Una delle sfide più impegnative era costituita dal sistema di cablaggio: la posa dei cavi per una rete di utenti che cresceva a ritmo vertiginoso poneva diverse questioni, dai materiali usati alla scelta tra sistema aereo e sotterraneo, alla difficoltà della realizzazione di un cablaggio sottomarino. L’aumento degli utenti rese inoltre indispensabile l’uso di un sistema automatico per il collegamento degli apparecchi, in sostituzione di quello manuale affidato alle centraliniste. In Italia la prima centrale telefonica automatica, con selettori meccanici, fu costruita a Roma nel 1913.
La grande svolta della telefonia ha una data piuttosto recente e riguarda la possibilità di comunicare in assenza di fili, attraverso le onde elettromagnetiche. Inizialmente i telefoni «mobili» erano dei veri e propri apparecchi radio con i quali la voce viaggiava direttamente sotto forma di onda elettromagnetica, senza essere prima convertita in formato digitale, come avviene oggi. Il primo telefono mobile risale al 1973, ma si trattava di un oggetto molto costoso, oltre che ingombrante, e per oltre dieci anni rimase un bene di lusso o di servizio, per lo più utilizzato dalle forze dell’ordine per comunicazioni tra la centrale e le pattuglie. La cosiddetta telefonia cellulare è basata sulla suddivisione del territorio in celle dotate di antenne, che mettono in comunicazione i singoli apparecchi per mezzo la ricezione e la trasmissione di microonde. Il primo servizio di telefonia cellulare, in Giappone e negli stati Uniti, risale al 1979, ma il primo apparecchio commerciale, con una massa di 800 grammi, è stato messo in vendita nel 1983 con un prezzo di quasi 4000 dollari. Non è difficile immaginare i motivi per i quali le vendite non decollarono: le prime società che si lanciarono nell’affare chiudevano regolarmente i bilanci in passivo. Nei successivi dieci anni la telefonia mobile si diffuse lentamente, ma già nel 2000 gli abbonati dei soli Stati Uniti superavano i 100 milioni. Oggi i costi degli apparecchi sono notevolmente diminuiti, la loro efficienza è aumentata e la diffusione è arrivata praticamente a un livello di saturazione per cui, per mantenere attivo il mercato, vengono continuamente proposti prodotti dalle più svariate funzioni, che vanno al di là delle semplici telefonate.
Library of Congress
Una vista della Broadway a New York in una litografia del 1885.
PAROLA CHIAVE
Centraliniste al lavoro nel 1952.
Rico Shen
Dai cavi alle microonde
Seattle Municipal Archives
Usare il telefono
Il primo telefono cellulare in vendita, nel 1983, aveva una massa di circa 800 grammi ed era soprannominato brick phone, il mattone.
Spettro elettromagnetico
DOMANDA Perché nella comunicazione a distanza si utilizzano le microonde e le onde radio e non i raggi X?
229 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI LE EQUAZIONI DI MAXWELL DECRIVONO IL CAMPO ELETTROMAGNETICO NEL VUOTO
1
I Q Φ( E ) ε0
le linee di forza del campo elettrico sono aperte e hanno origine nelle cariche elettriche
Teorema di Gauss
LE CARICHE ELETTRICHE SONO LE SORGENTI DEL CAMPO ELETTRICO I I ΔΦ(B ) C (E ) Δt 2
3
→
→
le linee di forza del campo elettrico indotto formano Legge di → → linee chiuse E E Faradayintorno al campo Neumann→ → magnetico 冷 B 冷 aumenta 冷 B 冷 diminuisce Lenz I Φ(B ) 0 UN CAMPO MAGNETICO VARIABILE GENERA UN CAMPO ELETTRICO INDOTTO NON CONSERVATIVO B
I Φ(B ) 0 Teorema di Gauss per il campo magnetico
B
N
le linee di forza del campo magnetico sono linee chiuse
S
NON ESISTONO MONOPOLI MAGNETICI ISOLATI
4
I ⎛ I ΔΦ( E ) ⎞ C (B ) μ 0 ⎜⎜ i + ε ⎟⎟ Δt ⎠ ⎝ Legge di AmpèreMaxwell
→
→
E
E
→
→
B →
冷 E 冷 aumenta
B →
冷 E 冷 diminuisce
le linee di forza del campo magnetico indotto formano linee chiuse intorno al campo elettrico
UN CAMPO ELETTRICO VARIABILE GENERA UN CAMPO MAGNETICO
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LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
8
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
sono generate da CARICHE ELETTRICHE OSCILLANTI
→
B
sono ONDE TRASVERSALI campo elettrico e campo magnetico sono perpendicolari fra loro
0 direzione di propagazione
→
E
→
k
si propagano a VELOCITÀ COSTANTE
v
LA LUCE È UN’ONDA ELETTROMAGNETICA
1 ε0μ 0
v c
1 ε0μ 0
3, 00 × 108 m/s
LO SPETTRO ELETTROMAGNETIC0 è l’insieme di tutte le possibili frequenze o lunghezze d’onda delle onde elettromagnetiche onde radio microonde infrarossi luce visibile
aumenta la frequenza ν c = λν
ultravioletti raggi X raggi γ
aumenta la lunghezza d’onda λ
231 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
20 test (30 minuti)
8 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI linee di forza del primo campo
L’ELETTROMAGNETISMO IN 4 RIGHE
DOMANDE →
Molti fenomeni elettromagnetici erano ben conosciuti nei primi anni del XIX secolo e lo stesso Faraday aveva dato un importante contributo con il concetto di campo e di linee di forza. Quale è stato secondo te il grande contributo dato da Maxwell nello scrivere le sue equazioni dell’elettromagnetismo? (Rispondi in massimo 5 righe.)
1
n
spira linee di forza del secondo campo
f Calcola la circuitazione del campo elettrico lungo un cammino che coincide con il circuito in questione. Motiva la risposta.
2 Le equazioni di Maxwell descrivono «in toto» tutti i
fenomeni elettromagnetici in una teoria generale. Perché nella prima e nella terza non compare esplicitamente la dipendenza dal tempo?
CALCOLI
[0,0 Nm/C]
3
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
3 Una sfera conduttrice, in quiete, di raggio 1,0 m, è
uniformemente carica nello spazio vuoto.
DOMANDE
f Calcola il flusso del campo magnetico attraverso una superficie sferica di raggio R/2 concentrica con la sfera conduttrice. Motiva la risposta. [0,0 Wb]
2
LE EQUAZIONI DI MAXWELL
DOMANDE
8 «La luce si propaga nel vuoto a una velocità pari a c ε0μ 0». Correggi questa frase, se necessario. 9 Un’onda elettromagnetica è generata da una carica
elettrica oscillante. Quando la carica smette di oscillare, l’onda elettromagnetica cessa di propagarsi? Spiega in 10 righe il fenomeno rispondendo alla domanda posta. 10 Hai studiato nel corso degli anni le caratteristiche
4 Prendendo in considerazione la prima equazione di
Maxwell, commentare in massimo 5 righe l’affermazione seguente: «il campo elettrostatico non può che essere generato da cariche elettriche». 5 Guardando attentamente la seconda equazione di
Maxwell si può notare una certa analogia con la legge di Faraday-Neumann? È solo una coincidenza? Motiva in 5 righe la tua risposta. 6 L’affermazione che il campo magnetico è solenoida-
le è relativa alla presenza di un solenoide? Descrivi in massimo 10 righe il concetto di campo solenoidale e chiarisci dove si può trovare questo concetto nelle equazioni di Maxwell.
delle onde (per esempio il suono). A quale tipo di onde corrispondono le onde elettromagnetiche? È possibile che si possano propagare nel vuoto? Descrivi in 5 righe la differenza tra un’onda sonora e un’onda elettromagnetica. 11 Prendiamo in considerazione una sorgente di onde
elettromagnetiche (per esempio una carica oscillante); sappiamo che è possibile approssimare il fronte sferico con un fronte piano. Questa approssimazione è sempre valida oppure dipende da qualcosa?
CALCOLI 12 La nostra galassia contiene miliardi di stelle e tra
queste una delle più vicine alla Terra è Alpha Centauri. La luce che arriva da questa stella è partita all’incirca 4,3 anni fa.
CALCOLI 7 Un circuito quadrato di lato 10 cm è immerso in un
campo magnetico uniforme di 1,0 T le cui linee di forza formano, rispettivamente con la normale alla spira, un angolo di 45° nella metà superiore della spira e di 45° gradi per la metà inferiore.
f Quanto dista la Terra da Alpha Centauri? [4,1 1016 m]
13 Mario e Luigi sono, rispettivamente, in cima a due
torri identiche distanti circa 34,3 m l’una dall’altra.
232 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE
8
tivamente che cosa fanno i circuiti elettrici dei sistemi trasmittenti e riceventi.
Mario chiama ad alta voce Luigi e la voce arriva a Luigi in 0,1 s. f Quante volte un ipotetico segnale luminoso potrebbe percorrere, avanti e indietro in linea retta, la distanza tra Mario e Luigi in 0,1 s?
CALCOLI 18 Un’onda elettromagnetica prodotta da un oscillatore
hertziano ha lunghezza d’onda pari a 300 nm.
[circa 8,7 105 volte]
14 Uno spettacolo che si sta svolgendo in diretta da un
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teatro è ripreso da una troupe televisiva. Mario, distante 180 km in linea d’aria dal teatro, sta guardando lo spettacolo in televisione.
f Supponendo che non ci siano ripetitori del segnale, quanto vale il ritardo temporale tra la diretta teatrale e quella vista da Mario in televisione?
f Qual è la sua frequenza? [1,0 1015 Hz]
19 Il segnale di un sistema elettronico ha una frequenza
di 600 kHz ed è trasmesso da un’antenna la cui altezza è 1/10 della lunghezza d’onda delle onde radio emesse dalla stazione.
[6,0 10–4 s]
f Quanto è alta l’antenna? [50 m]
4
L’ESPERIMENTO DI HERTZ
20 Si consideri un’onda elettromagnetica di 3,0 1010 Hz.
f Quante lunghezze d’onda necessitano per coprire uno spazio di 10 cm?
DOMANDE
[10]
15 In fisica gli esperimenti servono a confermare o
confutare teorie: uno di questi esperimenti fu condotto da Hertz per avvalorare l’ipotesi di propagazione delle onde elettromagnetiche che aveva studiato Maxwell. Descrivi in 5 righe a cosa serve, nell’esperimento di Hertz, il rocchetto di Ruhmkorff. 16 In acustica sappiamo che mettendo due diapason
identici in due posizioni diverse, non troppo lontani l’uno dall’altro, e percuotendone uno, dopo un po’ anche l’altro inizia a vibrare. Questo fenomeno ha delle forti analogie con i risultati dell’esperimento di Hertz. Descrivi in massimo 10 righe il motivo di questa analogia. 17 Nella realtà che ci circonda spesso utilizziamo siste-
mi formati da un’antenna trasmittente e una ricevente. Basti pensare, per esempio, al funzionamento di radio, televisioni e telefoni cellulari. Descrivi qualita-
5
LO SPETTRO ELETTROMAGNETICO
DOMANDE 21 Il funzionamento della radio si basa sull’utilizzo delle
cosiddette frequenze radio che hanno lunghezze d’onda che spaziano da qualche cm a qualche km. Esse sono riflesse dalla ionosfera e quindi possono essere trasmesse a grandi distanze, ma a parte questa proprietà, perché si utilizzano queste onde e non, per esempio, le microonde? (Suggerimento: considera il fenomeno della diffrazione.) 22 Il forno a microonde che utilizziamo per scaldare o
cuocere i cibi velocemente utilizza le microonde per far entrare in risonanza le molecole d’acqua all’inter-
233 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
8 ESERCIZI no dei cibi. Perché è giusto affermare che i cibi si scaldano inizialmente dall’interno e non dall’esterno come nei forni tradizionali?
ché non si usano i raggi gamma? Rispondi in massimo 10 righe.
23 Da che cosa sono originati i raggi infrarossi? 24 Da che cosa è costituita la luce bianca? 25 Perché gli oggetti ci appaiono colorati?
CALCOLI 26 Calcola la frequenza di un raggio gamma di lunghez-
za d’onda 3 10–13 m. [1,0 1021 Hz]
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27 Un’onda elettromagnetica ha la frequenza di
1,3 1017 Hz. f A che parte dello spettro appartiene? [raggi X]
ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE
PROBLEMI
28 Quale delle equazioni di Maxwell esprime il fatto che
32 Una spira quadrata di lato 10 cm è immersa in una
non esistono monopoli magnetici isolati? 29 I vecchi modelli di televisore sono muniti di tubo ca-
todico, un dispositivo in grado di emettere un sottile fascio di elettroni. Se si avvicina allo schermo un cellulare accesso e attivo durante una conversazione telefonica, si osserva una distorsione dell’immagine e dei colori. Qualitativamente a cosa pensi che sia dovuto?
zona in cui è presente un campo magnetico perpendicolare al piano della spira che ha il seguente andamento B(t) a0 at con a0 uguale a 9,0 10–4 T e a uguale a 1,0 10–4 T/s. Al tempo t0 0 si accende il campo magnetico. f Calcolare la circuitazione (in modulo) del campo elettrico durante un intervallo Δt t t0. [1,0 10–6 V]
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33 Una spira circolare di raggio R 10 cm è immersa in
30 Gli oggetti ci appaiono di colori diversi a seconda di
come le rispettive superfici interagiscono con le lunghezze d’onda, dell’intervallo del visibile, che li investe. Perché i «colori» non sono generati dai decadimenti nucleari? 31 Le radiografie utilizzate nella diagnostica in ambito
medico si basano sull’utilizzo dei raggi X. I raggi X riescono ad attraversare i tessuti molli, ma vengono fermati dalle ossa. Secondo te come è possibile che si formi l’immagine delle ossa di un paziente? Per-
un campo magnetico le cui linee di forza sono perpendicolari al piano della spira. L’intensità del campo varia con la seguente legge B(t) B0 · 2– at, dove a 2,0 s–1. Al tempo t 0,5 s il flusso del campo magnetico vale 3,14 104 Wb. f Quanto misura il valore del campo magnetico all’istante t 0,5 s? Si trascurino tutti gli effetti di autoinduzione. [1,0 102 T]
34 Un condensatore piano, nel vuoto, ad armature ret-
tangolari di lati a 1,0 m e b 2,0 m passa in 10 s da una certa densità di carica a un’altra che supera quella iniziale di 0,5 10–6 C/m2. f Calcola la corrente di spostamento. [1,0 10–7 A]
35 In un mezzo materiale trasparente la luce si propaga
alla velocità di 2,5 105 km/s. Questo mezzo mate-
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8
LE ONDE ELETTROMAGNETICHE f Calcola il modulo della forza elettromotrice indotta nel passaggio dalla configurazione iniziale (lato della spira 10 cm) a quella finale della spira.
riale ha lo stesso valore numerico sia per la costante dielettrica relativa che per la permeabilità magnetica relativa. f Calcolarne il valore numerico.
[2,1 mV]
[1,2]
36 Un condensatore piano ha le armature quadrate di
40 In linea del tutto teorica, per misurare la profondità
di un pozzo (supposto vuoto) si può far cadere un sasso nel pozzo e misurare il tempo Δt dal momento del lancio al momento in cui si sente il suono (velocità del suono in aria 343 m/s). Supponi che il dato misurato in questo modo sia 2,8 s. Un altro modo potrebbe essere quello di emettere un sottile fascio di luce e di misurare il tempo necessario affinché il raggio ritorni alla sorgente.
lato 10 cm e tra le armature c’è il vuoto. In un intervallo di tempo Δt 0,1 s si misura una corrente di spostamento di 2,0 10–6 A. f Calcola di quanto varia la densità di carica delle armature nell’intervallo Δt.
[2,0 10–5 C/m2]
37 Un’onda elettromagnetica, che si propaga nel vuoto,
f Calcola Δt in questo caso.
ha una frequenza pari a ν 1016 Hz.
[1,6 μs]
f Qual è la sua lunghezza d’onda? f A quale tipo di onda dello spettro elettromagnetico corrisponde? [λ 30 nm]
VERSO L’UNIVERSITÀ
38 Nelle transizioni nucleari è possibile l’emissione da
parte del nucleo di un raggio gamma di energia di circa 8 MeV. La relazione che lega l’energia alla frequenza del raggio gamma è: E hν, dove E è l’energia espressa in joule, h una costante pari a 6,63 10–34 J·s e ν la frequenza in Hz.
1
Che cosa sono i raggi infrarossi? A B
f Calcola la lunghezza d’onda del raggio emesso. [1,6 10–13 m]
39 Un’ipotetica spira quadrata ha la possibilità di au-
mentare la lunghezza dei suoi lati fino a un massimo del 10% rispetto alla lunghezza iniziale. Tale variazione avviene in 1,0 s di tempo. La spira è immersa in un campo magnetico uniforme perpendicolare al piano della spira e d’intensità 1,0 T.
C D E
Sono raggi di natura elastica, come il suono ma con frequenza diversa. Sono raggi di natura elettromagnetica, che in assenza di dispositivi speciali non possono essere visti dall’occhio umano normale. Sono i raggi luminosi che danno origine alla nostra (umana) sensazione del colore violetto. Non sono onde elettromagnetiche, ma di altra natura. Sono ultrasuoni.
(Dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 1999/2000)
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CAPITOLO
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La relatività ristretta
Pablo Picasso, Due donne che corrono sulla spiaggia, 1922.
PAROLE CHIAVE Spaziotempo Simultaneità Massa relativistica
“
La tensione presente fa passare il futuro in passato, il passato cresce con la diminuzione del futuro, finché con la consumazione del futuro tutto non è che passato.
”
Agostino, Le confessioni, XI (IV secolo)
Due donne corrono sulla spiaggia l’una accanto all’altra, tenendosi per mano. Se una delle due iniziasse a correre a una velocità elevatissima, vicina a quella della luce, non solo lascerebbe l’altra inevitabilmente indietro, ma inizierebbe a invecchiare più lentamente della prima e apparirebbe molto più magra. Questo fatto, che sembra un’ipotesi molto fantasiosa è in realtà una conseguenza di un nuovo principio della fisica, che irrompe nel panorama scientifico all’inizio del XX secolo modificando radicalmente il modo di intendere lo spazio e il tempo. Non più entità separate e indipendenti, spazio e tempo diventano uno scenario unico, nel quale gli eventi si sviluppano in 4 dimensioni. Ma lo spaziotempo, così definito, non è semplicemente lo spazio finora utilizzato come scenario dei fenomeni con una coordinata in più: esso è una realtà dinamica che si dilata e si contrae quando i
corpi si muovono al suo interno. Se i treni potessero viaggiare a velocità prossime a quelle della luce, i vagoni dei treni in corsa si accorcerebbero e gli orologi dei passeggeri batterebbero i secondi al rallentatore: questo ci costringe a rivedere la definizione di simultaneità, come concetto relativo e non più assoluto e indipendente come nella fisica newtoniana. In questi termini la teoria della relatività appare molto lontana dal senso comune, ma è solo una questione di punti di vista. In definitiva, la teoria della relatività ristretta è una sorta di «revisione» del concetto di spazio, alla quale va aggiunta l’importante scoperta dell’equivalenza tra massa ed energia. Entrambe le grandezze sono accomunate dall’inerzia che oppongono alle variazioni di velocità, che ci consente di definire l’importante concetto di massa relativistica, altro argomento di questo capitolo.
236 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
1
9
I PRINCIPI DELLA RELATIVITÀ RISTRETTA
La teoria della relatività ristretta si colloca in un periodo importantissimo per la scienza, caratterizzato in diversi campi da una vera e propria «rivoluzione», che mette in crisi alcune concezioni radicate, come il determinismo e la causalità. Nella fisica iniziano drammaticamente ad aprirsi alcune crepe dell’interpretazione classica dei fenomeni, e contemporaneamente prende corpo un nuovo modo di pensare che divide nettamente le nuove generazioni di fisici dai loro predecessori. Come vedremo nel capitolo «La fisica quantistica», questa, caratterizzata da una revisione radicale di concezioni considerate fino ad allora incrollabili, è la grande protagonista della rivoluzione, ma ad essa si affianca la teoria della relatività ristretta, che propone un riesame dei concetti fondamentali di spazio e di tempo. Alla fine del XIX secolo, le equazioni di Maxwell avevano trionfato sulla moltitudine dei fenomeni elettromagnetici con una teoria che sembrava finalmente aver messo ordine in tanta confusione. Ci si aspettava che la teoria di Maxwell fosse collegata con continuità alla meccanica, fornendo semplicemente un nuovo schema per l’interpretazione di fenomeni nuovi, del tutto coerente con le teorie precedenti. Invece mostrava un problema piuttosto spinoso: le onde elettromagnetiche, previste dalla teoria, avrebbero dovuto avere una velocità c costante, perché legata a quantità costanti: 1 c ε0μ 0 Questo fatto era palesemente in contraddizione con il principio di relatività galileiana, per il quale le leggi della meccanica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Pertanto, passando da un sistema inerziale a un altro, che si muove con velocità costante v¤ rispetto al primo, anche la velocità delle onde elettromagnetiche (in analogia con le onde elastiche) dovrebbe cambiare secondo la regola della composizione galileiana delle velocità. Le velocità del sistema di riferimento e del segnale elettromagnetico, cioè, si dovrebbero sommare vettorialmente. Per esempio, rispetto a un osservatore fermo alla stazione, un certo segnale elettromagnetico dovrebbe avere una velocità diversa rispetto a un osservatore fermo su un treno in movimento (figura 1). Se consideriamo come sorgente di onde elettromagnetiche una lampada posta sul treno e puntata nello stesso verso in cui procede il treno, la velocità dell’onda elettromagnetica emessa misurata rispetto al treno sarà c, mentre rispetto a un osservatore fermo alla stazione dovrebbe essere la somma c v, data dalla somma delle velocità del treno e della velocità dell’onda elettromagnetica rispetto al treno. →
v
c
STAZIONE
cv
Figura 1. Se sul treno la velocità dell’onda elettromagnetica è c, un osservatore fermo alla stazione dovrebbe vedere un’onda elettromagnetica che viaggia con velocità c v.
237 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
9
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
In altre parole sembrerebbe che per l’osservatore fermo alla stazione (in moto relativo rispetto alla sorgente del segnale) non valgano le equazioni di Maxwell, perché altrimenti anche per lui la velocità dell’onda elettromagnetica sarebbe c: nelle 4 equazioni, infatti, non c’è alcun termine che tenga conto del cambiamento di sistema di riferimento. Alla fine del XIX secolo, si cercò di eliminare la discrepanza tra la teoria newtoniana della meccanica e quella maxwelliana dell’elettromagnetismo, rinunciando al principio di relatività. Si pensò quindi che i sistemi di riferimento inerziali non fossero tutti equivalenti, ma che ne esistesse uno in quiete assoluta, nel quale la velocità della luce fosse uguale a c. Inoltre, dato che la luce si comportava come un’onda, in analogia con le onde elastiche, si pensava che tale riferimento fosse solidale con un mezzo elastico dalle straordinarie caratteristiche di «impalpabilità» e «rigidità»: il cosiddetto etere.
L’esperimento di Michelson e Morley Per anni si fecero esperimenti raffinatissimi e precisissimi, nel tentativo di trovare il valore della velocità della Terra rispetto all’etere, ma nessuno riuscì nell’intento. Ricordiamo tra essi il famoso esperimento condotto nel 1887 dagli statunitensi Albert Abraham Michelson e Edward Morley. L’idea era quella di far percorrere alla luce due tratti di uguale lunghezza, ma lungo direzioni perpendicolari e di misurare la discrepanza tra le velocità nei due tratti attraverso la diversa figura di interferenza dei fasci luminosi. Se la Terra si fosse mossa nell’etere, infatti, ci sarebbe stato un vento d’etere, che avrebbe comportato una diversa velocità della luce a specchio seconda della direzione del moto. Se la luce avesse velocità costante nell’etere e la Terra si muovesse rispetto ad esso, allora la velocità della luce sulla Terra dipenderebbe dalla sorgente direzione e dalla velocità del moto. In pratica, si dovrebbe trovare una discrepanza tra la velocità della luce in una direzione parallela al moto della Terra nell’etere, e quella rispetto alla direzione perpendicolare. L’apparato sperimentale era montato su una lastra di pietra galleggiante in una vasca di mercurio al fine di smorzare le vibrazioni e facilitare le rotazioni. Il fascio di luce monocromatica proveniente dalla sorgente veniva diviso in specchio due, percorreva due cammini e poi si ricomponeva su uno schermo schermo dove si formava la figura di interferenza (figura 2). Figura 2. Nell’interferometro Ruotando il sistema nell’ipotizzato vento d’etere, si sarebbe dovuta troideato da Michelson vare la direzione del moto della Terra rispetto ad esso, evidenziata da uno un fascio di luce viene diviso spostamento delle frange di interferenza sullo schermo, dovuta a una vain due e compie due percorsi per poi ricomporsi riazione di uno dei cammini ottici. Per quanto attente e accurate fossero le su uno schermo mostrando misure, l’esperimento non riuscì nell’intento: qualsiasi angolo di rotazione frange di interferenza. forniva sempre lo stesso risultato, cioè la velocità della luce risultava essere la stessa lungo ogni direzione. Non c’era alcun vento d’etere quindi e la velocità della luce si confermava costante, con un valore numerico straordinariamente vicino a quello teorico previsto dalle equazioni di Maxwell. La conciliazione fra le teorie dell’elettromagnetismo e della meccanica restava dunque insoluta.
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
9
Una soluzione «di principio» Nel 1905 il fisico tedesco Albert Einstein (1879-1955) propose una soluzione spregiudicata al rompicapo. Convinto a priori della simmetria e della semplicità della natura, non era persuaso dal fatto che esistesse un sistema di riferimento privilegiato, assoluto, e che le leggi cambiassero forma passando da un sistema a un altro. Pensò quindi che, piuttosto che rinunciare al principio di relatività, si poteva rinunciare alle trasformazioni galileiane delle velocità: in fondo si trattava solamente di rivedere i concetti di spazio e di tempo, e di trovare un altro modo di esprimere matematicamente i cambiamenti di sistema di riferimento. Per Einstein era meno sconvolgente l’idea che il nostro spazio fosse qualcosa di diverso da quello che era sempre apparso, piuttosto che quella di una legge fisica che cambia a seconda del sistema di riferimento. In fondo non è difficile capire che un orizzonte geometricamente limitato è fonte di molteplici «inganni»: la superficie di un lago ci sembra piatta, anche se il lago appartiene alla superficie terrestre, che sappiamo essere curva (figura 3).
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Figura 3. Anche se a noi la superficie di un lago appare piatta, in realtà presenta una curvatura.
La teoria della relatività ristretta mostra che lo spazio, che noi abbiamo sempre trattato come se fosse tridimensionale ed euclideo, ha in realtà 4 dimensioni e regole del tutto diverse per calcolare la distanza tra due punti, cioè è non-euclideo. Così come per svelare l’inganno della Terra piatta bisogna aumentare le dimensioni del lago, fino a rendere percepibile la curvatura della sua superficie, per svelare l’inganno dello spazio euclideo bisogna avere una velocità elevata, prossima a quella della luce. A fondamento della nuova teoria, che analizzeremo nei prossimi paragrafi, è posto il principio di relatività ristretta, per il quale le leggi della meccanica e dell’elettromagnetismo sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. A cui si aggiunge il principio di invarianza di c: la velocità delle onde elettromagnetiche è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali. L’esperimento di Michelson e Morley, che dal punto di vista della ricerca dell’etere è stato un fallimento, è in realtà un’importante conferma sperimentale di quest’ultimo principio.
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
ESEMPIO I «fantasmi di De Sitter» Circa la metà delle stelle che possiamo osservare nel cielo sono stelle doppie, cioè formate da un sistema di due stelle che ruotano intorno al comune centro di massa. In genere una delle due stelle è più piccola dell’altra e può essere vista come una sorta di pianeta che ruota intorno alla stella maggiore. Il piano dell’orbita di alcune di queste stelle doppie contiene la Terra e quindi possiamo osservarle in una condizione simile a quella illustrata in figura. →
v
A
D osservatore →
B
v
Osservando il sistema centrando il telescopio sulla stella grande, vediamo la stella piccola alternativamente a destra e a sinistra di questa per via del moto di rotazione. Se la velocità della luce si sommasse vettorialmente a quella della stella, la sua immagine in B arriverebbe più velocemente della sua immagine in A. Tra le varie stelle doppie potrebbe essercene qualcuna per la quale il tempo impiegato dalla luce proveniente da A per raggiungere la Terra, sia esattamente uguale al tempo impiegato dalla luce proveniente da B più il tempo impiegato alla stella piccola per compiere mezzo giro intorno alla grande. In tal caso le due immagini della stella in A e in B arriverebbero a noi nello stesso istante e noi la vedremmo contemporaneamente a destra e a sinistra. Infatti se il modulo della velocità tangenziale della stella è v e il periodo di rotazione della stella è T, allora gli intervalli di tempo impiegati dalla luce a raggiungere la Terra, a una distanza D dal sistema, dalle posizioni A e B sarebbero rispettivamente T D D Δt B = + 2 c+v c −v Questi due intervalli di tempo possono essere uguali per un determinato valore della velocità di rotazione, ricavabile uguagliando le due espressioni e risolvendo l’equazione. L’olandese Willem de Sitter (1872-1934) osservò numerosi sistemi di stelle doppie e non riscontrò mai una situazione come quella descritta. Egli dimostrò che la velocità della luce che raggiunge un osservatore da una stella in avvicinamento o in allontanamento ha sempre lo stesso valore. Δt A =
DOMANDA Riscrivi correttamente gli intervalli di tempo ΔtA e ΔtB nel caso in cui la luce abbia sempre la stessa velocità, sia che provenga da A, sia che provenga da B.
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
2
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NUOVI CONCETTI DI TEMPO E SPAZIO
La teoria della relatività ristretta salva il principio di relatività, lo estende ai fenomeni elettromagnetici, ma lo colloca in un nuovo spazio, nel quale la velocità della luce è sempre la stessa, sia che la sorgente sia ferma, sia che si muova in qualsiasi direzione rispetto a chi osserva. Affinché ciò sia possibile è necessario modificare i concetti di spazio e di tempo, perché la velocità è una grandezza fisica da essi derivata. Cambiano dunque i concetti di lunghezza e di durata, ai quali finora abbiamo assegnato dei valori assoluti, misurati rispettivamente con un regolo graduato e con un cronometro, e considerati validi per ogni sistema di riferimento a prescindere dal suo moto relativo. Cioè finora abbiamo tacitamente dato per scontato che la lunghezza di un treno in corsa sia la stessa di un treno fermo, e che gli orologi dei passeggeri del treno battano i secondi in sincronia con quelli di chi li guarda dalla banchina. In realtà tutto ciò è solo approssimativamente vero, e l’approssimazione non sarebbe più valida se la velocità del treno si avvicinasse a quella della luce.
Un risultato contrastante Supponiamo che si osservi un raggio luminoso da due sistemi di riferimento diversi: uno in quiete rispetto alla sorgente, solidale all’osservatore O, e uno in moto rettilineo uniforme rispetto alla sorgente, solidale all’osservatore O. Per semplificare il ragionamento osserviamo il raggio la cui direzione di propagazione è parallela alla direzione del moto relativo dei due sistemi. Possiamo, per esempio, pensare a un segnale luminoso proveniente da una sorgente posta su un treno che si muove di moto rettilineo uniforme con velocità v¤, nel sistema di riferimento della stazione (figura 4). y
y' Figura 4. Il treno si muove ¤ con velocità costante v , diretta lungo l’asse x, nel sistema di riferimento della stazione.
→
O'
O
v
x x' z
z'
Per l’osservatore O la velocità della luce c è data dal rapporto Δx c Δt dove Δx è la lunghezza del vagone misurata dall’osservatore O e Δt è l’intervallo di tempo impiegato dalla luce per percorrere tale distanza, misurato con l’orologio dell’osservatore O. Dato che il treno si muove rispetto all’osservatore O nella stessa direzione del raggio di luce, per quest’ultimo la distanza percorsa da essa è maggiore e, usando le formule di trasformazione della meccanica newtoniana, pari a (Δx vΔt), dove v è il modulo della velocità del treno rispetto alla stazione. Infatti, mentre la luce viaggia dalla sorgente alla fine del vagone, il vagone si sposta in avanti allungandone il tragitto. Con le regole della meccanica newtoniana, quindi, la velocità
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9
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
della luce c rispetto all’osservatore O fermo alla stazione, dovrebbe essere espressa dalla formula c′ =
Δ x + v ′Δ t Δt
cioè c c Abbiamo pertanto due espressioni diverse per c nei due sistemi di riferimento, in contraddizione con il principio di invarianza della velocità della luce. In altre parole, le regole della meccanica newtoniana per trasformare le distanze percorse e gli intervalli di tempo sono incompatibili con il principio di invarianza di c.
x'
x
STAZIONE
Figura 5. Un osservatore fermo alla stazione vede le lancette dell’orologio solidale al treno ruotare più lentamente e il vagone accorciarsi.
Come vedremo nei prossimi paragrafi, le nuove regole, per le quali la velocità della luce è la stessa nei due sistemi di riferimento, prevedono che la lunghezza del vagone si accorci nella direzione del moto e che il tempo si dilati. Nel sistema di riferimento della stazione il vagone è dunque più corto e le lancette dell’orologio di O girano più lentamente (figura 5).
Il tempo, coordinata «spaziale» La durata, che nella meccanica newtoniana aveva un valore assoluto, con la teoria della relatività ristretta acquista un significato relativo, cioè dipende dal sistema di riferimento in cui viene misurata. Nella meccanica newtoniana il tempo era considerata una variabile, al variare della quale si studiavano i fenomeni, distinta dallo spazio: ora il tempo diventa una coordinata vera e propria e lo spazio acquista una dimensione in più. La coordinata temporale non è assoluta e a sé stante, ma si aggiunge alle coordinate spaziali, a formare un’entità nuova, lo spaziotempo, che si dilata e si restringe in relazione al moto degli oggetti. Ogni punto dello spaziotempo, detto evento, contiene informazioni sullo spazio e sul tempo ed è separato dagli altri eventi da una distanza spazio-temporale. Questo fatto comporta una revisione totale delle regole per il calcolo delle distanze tra i punti del nuovo spazio e un nuovo concetto di simultaneità. Prima di entrare nei dettagli, dobbiamo dare alcune definizioni che consentono di misurare il tempo in questo nuovo spazio.
La simultaneità Se un orologio in movimento scandisce il tempo in modo diverso da un orologio fermo, cioè se lo «scorrere» del tempo non è uniforme, come definire due eventi simultanei, cioè che avvengono contemporaneamente?
242 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
In altre parole, come facciamo a stabilire che due fenomeni si stanno verificando nello stesso istante, se tutto cambia quando li osserviamo da un treno in movimento? Il concetto di simultaneità viene ridefinito alla luce della teoria della relatività. Due eventi possono verificarsi nello stesso istante in un sistema di riferimento e in istanti diversi in un altro, in moto rispetto al primo. Poniamo, infatti, un osservatore O sul punto medio del segmento AB che unisce due led: essi si accendono simultaneamente se i due segnali luminosi raggiungono l’osservatore A nello stesso istante di tempo, misurato nel sistema di riferimento in cui osservatore e led sono in quiete (figura 6). Dato che in generale due eventi vengono percepiti quando un segnale (per esempio luminoso) che parte da ciascuno di essi raggiunge un rivelatore, diciamo che due eventi che si verificano in due punti diversi A e B in un sistema di riferimento sono simultanei se i segnali luminosi emessi da ciascuno di essi raggiungono nello stesso istante un rivelatore posto alla stessa distanza da A e da B. Facciamo ora un esperimento concettuale, ovvero un ragionamento coerente con la teoria, che non viene verificato y' sperimentalmente negli stessi termini, ma in eventuali altri contesti, e valutiamo che cosa accade dal punto di vista di un osservatore O che si trova su un treno che transita a velocità coO' x' stante accanto a O. Quest’ultimo vede O transitare in corrispondenza del punto medio tra A e B nello stesso A B istante in cui i led emettono il segnale luminoso (figura 7). Dato che il treno è in movimento, l’osservatore O, dal suo punto di O vista, non vede i due led accendersi nello stesso istante, cioè non li considera eventi simultanei. Infatti mentre i raggi luminosi, partendo rispettivamente da A e da B, viaggiano verso O, il treno si muove: il led B si avvicina a O e il led A si allontana da esso, mentre la velocità della luce da loro emessa è sempre la stessa. Quindi i segnali luminosi dei due led raggiungono O in istanti differenti, in quanto la luce percorre distanze differenti con la stessa velocità (figura 8). a
b
O'
A
B
A
B
O Figura 6. I led A e B, posti a uguale distanza da un osservatore O, si accendono simultaneamente se il loro segnale luminoso raggiunge O nello stesso istante.
Figura 7. O vede transitare O nel punto medio tra A e B nello stesso istante in cui riceve i segnali luminosi dei led.
Figura 8. a. Mentre i segnali luminosi viaggiano verso O con velocità c, il treno (e quindi O) si muove. b. Il segnale luminoso del led B raggiunge O quando il segnale del led A è ancora in viaggio. c. Dal punto di vista di O il segnale luminoso del led A arriva in un istante successivo rispetto a quello del led B. c
O'' O
x'
9
O'
x'
B
A
B
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x'
9
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
Con questo esperimento concettuale abbiamo dimostrato che se la velocità della luce è invariante, non è possibile definire la simultaneità di due eventi in assoluto, perché è una proprietà che dipende dal sistema di riferimento. Infatti abbiamo visto che gli eventi, simultanei per O, non lo sono per O. La simultaneità di due eventi è relativa, perché dipende dal sistema di riferimento nel quale si osservano. Realizzare un esperimento reale che confermi direttamente quello concettuale è estremamente difficile, tuttavia il suo scopo è illustrare una conseguenza coerente con la teoria: ogni conferma sperimentale della teoria conferma indirettamente la sua conclusione.
Orologi sincronizzati
A
A
A
d
d
d
Figura 9. Se gli orologi A e B, posti a una distanza d uno dall’altro, sono sincronizzati, allora un osservatore posto accanto a B non vede i due orologi segnare lo stesso istante di tempo contemporaneamente. L’orologio A appare «in ritardo» rispetto a B dell’intervallo di tempo impiegato dalla luce a percorrere d.
Abbiamo visto che quando due orologi sono in moto l’uno rispetto all’altro non ha senso parlare di eventi contemporanei. Quindi se due orologi sono sincronizzati in un certo sistema di riferimento, in cui sono entrambi in quiete, non lo sono più se posti in sistemi di riferimento in moto l’uno rispetto all’altro. Inoltre, per sincronizzare due orologi dobbiamo fare in modo che essi segnino lo stesso istante di tempo in corrispondenza di un evento simultaneo a entrambi. Per fare ciò dobbiamo tenere conto del fatto che la luce impiega del tempo a viaggiare da un luogo all’altro e l’immagine che riceviamo in un certo istante da ciò che ci circonda è, in realtà, quella relativa a un istante passato. Quando guardiamo il Sole, per esempio, riceviamo l’immagine proveniente da un istante passato da circa 8 minuti, perché questo è il tempo che la luce impiega a viaggiare dal Sole alla Terra. B Se due orologi A e B sono separati da una distanza d, il segnale luminoso impiega un intervallo di tempo d Δt a percorrere tale distanza. Per un osservatore c posto accanto all’orologio B gli orologi sono sincroB nizzati quando la differenza tra gli istanti di tempo da essi segnati è pari a questo intervallo di tempo. d Pertanto i due orologi sono sincronizzati quando il set0 c gnale luminoso emesso nell’istante t0 da A raggiunge B d B, quest’ultimo segna l’istante t 0 (figura 9). c
3
GLI INTERVALLI DI TEMPO SI DILATANO
La teoria della relatività è difficile da sperimentare direttamente: i treni non vanno alla velocità della luce e i cronometri non hanno sensibilità tali da apprezzare le variazioni previste per gli intervalli di tempo. Si può quindi sperimentare concettualmente, come abbiamo visto nel precedente paragrafo. Procediamo quindi in questo modo e prendiamo familiarità con il nuovo spazio anche dal punto di vista matematico.
244 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
9
Le formule che legano le durate e le distanze nei sistemi di riferimento in moto relativo hanno una forma poco intuitiva: non discendono dall’analisi di fenomeni osservati, anche perché osservare fenomeni relativistici richiede elevate velocità, con le quali non abbiamo comunemente a che fare nel mondo macroscopico. Esse sono state elaborate per via matematica, ancora prima che Einstein desse loro un significato fisico. Sono il risultato di un lavoro teorico, che ha trovato conferme sperimentali successivamente, come sempre più spesso vedremo accadere nel corso della fisica del XX secolo. Se i treni corressero a velocità prossime a quelle della luce, un osservatore fermo sulla banchina della stazione vedrebbe un passeggero muoversi al rallentatore e invecchiare più lentamente. D’altro canto per il passeggero del treno l’osservatore sulla banchina si muoverebbe con velocità prossima a quella della luce, rispetto al suo sistema di riferimento e quindi lo vedrebbe a sua volta invecchiare più lentamente. Ciascuno dei due, però, sul proprio sistema di riferimento svolgerebbe la sua vita «normalmente», scandita dal cosiddetto tempo proprio. Il ticchettio dell’orologio rallenta solamente se osservato da un sistema di riferimento in moto rispetto a quello in cui l’orologio è in quiete: anche se il viaggiatore del treno veloce invecchia più lentamente per chi lo osserva dalla banchina della stazione, dal suo punto di vista l’arco della sua vita comprende né più e né meno tutte le azioni che avrebbe svolto a terra. Il numero di secondi impiegati a compiere un’azione sono gli stessi, ma da un sistema di riferimento in moto relativo rispetto all’orologio, i secondi sono più lunghi. L’intervallo di tempo proprio (o tempo proprio) è la durata di un fenomeno misurata con un orologio in quiete rispetto al fenomeno stesso. L’intervallo di tempo proprio Δt0 è sempre più breve del corrispondente intervallo di tempo Δt misurato da un osservatore in moto rispetto al sistema di riferimento del fenomeno. Cioè un osservatore in moto uniforme rispetto a un orologio misura un intervallo di tempo Δt dilatato, rispetto al tempo proprio Δt dell’orologio, secondo l’espressione: Δt γΔt
(9.1)
dove il coefficiente di dilazione γ, detto fattore di Lorentz, che dipende dal modulo v della velocità relativa tra i due sistemi di riferimento, mediante l’espressione 1 γ 2 ⎛v ⎞ 1−⎜ ⎟ ⎝c ⎠ Cioè, ponendo β
v c
(9.2)
245 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
9
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
si può scrivere γ
1
(9.3)
1 − β2
nella quale si deve imporre la condizione v c, affinché l’espressione all’interno della radice quadrata sia positiva, e quindi già da questa formula si vede che la velocità di un corpo non può raggiungere né superare in valore assoluto la velocità della luce nel vuoto. È bene ribadire che la formula (9.1) non è il frutto dell’elaborazione di dati sperimentali, del tutto inaccessibili con i mezzi a disposizione agli inizi del XX secolo, ma è stata ricavata esclusivamente per via matematica, prima ancora che ci si rendesse conto che effettivamente descrive qualcosa che accade realmente. Vediamo che essa è compatibile con il principio di invarianza di c attraverso un altro esperimento concettuale.
ESEMPIO Dal grafico del fattore di Lorentz in funzione della velocità osserviamo che il suo andamento è crescente, ma al di sotto di un ampio intervallo di velocità è pressoché costante e vicino al valore 1. Cioè la dilatazione indotta dal fattore di Lorentz è trascurabile per velocità anche molto elevate rispetto alle velocità degli oggetti con i quali abbiamo comunemente a che fare. Per una velocità del 10% di c, cioè pari a 30 000 km/s, che corrisponde a 108 milioni di kilometri all’ora, il fattore di Lorentz è γ 0,1
fattore di Lorentz 1 v2 100 1 c2
10
1 0
1 2
⎛ 0, 1 c ⎞ 1−⎜ ⎟ ⎝ c ⎠
100 000
200 000
300 000 v (km/s)
1, 005
Cioè la differenza tra un intervallo di tempo proprio di un secondo e il corrispondente intervallo misurato in un sistema di riferimento che si muove a una velocità di 30 000 km/s è 5 millisecondi.
DOMANDA Il grafico del fattore di Lorentz ha una pendenza che aumenta considerevolmente per valori molto vicini alla velocità della luce. Il fattore di Lorentz per v 0,990 c è 7,089; qual è il suo valore se v 0,999 c?
246 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
9
Dimostrazione della dilatazione della durata Immaginiamo un orologio che misura l’intervallo di tempo proprio Δt tra l’emissione di un segnale luminoso e la sua successiva ricezione dopo una riflessione su uno specchio posto a una distanza d, come illustrato in figura 10a. Considerando che la luce percorre d due volte, nel sistema di riferimento solidale all’orologio si ha Δt
2d c
d
cΔt 2
cioè
Per un osservatore O’ posto su un treno che si muove con velocità –v¤ costante la luce percorre un tragitto più lungo, infatti vede l’orologio spostarsi in direzione opposta con velocità v¤ v¤ e il raggio luminoso percorrere una spezzata come quella in figura 10b. M
d
M
→
v
M
O'
O'
S R
S
R →
→
→
v' v
a
→
v' v
Figura 10. a. Nel sistema di riferimento solidale all’orologio la luce percorre un segmento avanti e indietro. b. Nel sistema di riferimento in moto rettilineo uniforme rispetto all’orologio, la traiettoria della luce è una spezzata.
b
Se usassimo le regole della fisica classica il raggio di luce verrebbe riflesso secondo le gli stessi percorsi, lungo un segmento percorso all’andata e al ritorno nel sistema di riferimento dell’orologio e lungo una spezzata nel riferimento mobile, ma nel secondo caso impiegherebbe lo stesso tempo che nel primo, perché alla sua velocità iniziale si sommerebbe vettorialmente quella del treno. La spezzata ha una lunghezza maggiore del doppio segmento, ma la velocità della luce sarebbe in tal caso maggiore e il tempo impiegato a percorrerla non sarebbe diverso. M Per il principio di invarianza di c, invece, la luce ha la stessa velocità nei due sistemi di riferimento e quindi l’osservatore O la vede D D partire, riflettersi e raggiungere nuovamente d l’orologio, in un intervallo di tempo più lungo Δt. Facendo riferimento alla figura 11, l’interR S H vallo di tempo tra l’invio e la ricezione del segnale, rispetto al sistema di riferimento O, è
Figura 11. L’intervallo di tempo tra l’emissione e la ricezione del segnale misurato dal sistema di riferimento in movimento è maggiore dell’intervallo di tempo proprio.
v t '
Δt ′ =
2D > Δt c
Cioè D
cΔt ′ 2
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9
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
Osserviamo che D è pari al lato del triangolo isoscele formato dalle due posizioni nelle quali l’osservatore in movimento vede l’orologio inviare e ricevere il segnale e il punto in cui esso è riflesso dallo specchio. L’altezza del triangolo è pari d e la base alla distanza che l’osservatore in movimento vede percorrere all’orologio nell’intervallo di tempo Δt con velocità v v (figura 12). Applichiamo il teorema di Pitagora ai triangoli rettangoli ottenuti tracciando l’altezza del triangolo isoscele 2
⎛1 ⎞ D 2 = ⎜ v Δ t ′⎟ + d 2 ⎝2 ⎠ cioè 2
2
2
⎛ cΔt ⎞ ⎛ v Δt ′ ⎞ ⎛ cΔt ′ ⎞ ⎟ ⎟ +⎜ ⎟ =⎜ ⎜ ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠
Svolgendo i calcoli otteniamo la formula relativistica della dilatazione della durata Δt Δt ′ = = γΔt 2 ⎛v ⎞ 1−⎜ ⎟ ⎝c ⎠
4
LE LUNGHEZZE SI ACCORCIANO
Se la durata di un fenomeno si dilata quando viene osservato da un sistema di riferimento in moto rispetto al fenomeno stesso, allora l’invarianza di c comporta una contrazione dello spazio nella stessa direzione del moto. Cioè se i treni corressero a velocità prossime a quelle della luce, affacciandoci al finestrino vedremmo gli oggetti più sottili di quanto non ci appaiano quando siamo fermi rispetto ad essi. Analogamente al tempo proprio, definiamo la lunghezza propria di un oggetto come la lunghezza che misuriamo quando siamo fermi rispetto ad esso. La lunghezza propria è la lunghezza di un corpo misurata nel sistema di riferimento in cui esso è in quiete. La lunghezza propria Δx di un corpo è sempre più lunga della corrispondente lunghezza misurata da un osservatore in moto rispetto al sistema di riferimento in cui il corpo è quiete. Per un osservatore in moto uniforme rispetto a un corpo la lunghezza del corpo stesso nella direzione del moto risulta contratta rispetto alla lunghezza propria secondo l’espressione: Δx′
Δx γ
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(9.4)
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
9
ESEMPIO Oltre a protoni, neutroni ed elettroni, esistono molte altre particelle piccolissime che «nascono» e «muoiono» in tempi brevissimi. Il muone è una di esse ed è prodotta nell’atmosfera a circa 10 km di quota e si dirige verso la superficie terrestre con una velocità pari a circa 0,998c. Se osservassimo dei muoni in quiete, li vedremmo nascere e morire in media in 2,2 10–6 s: un tempo insufficiente a raggiungere la superficie terrestre. Infatti, se h è la distanza tra il muone e la Terra, e Δt la durata propria della vita media del muone, si ha che lo spazio percorso con velocità 0,998 c è 0,998 c Δt 660 m Invece i muoni raggiungono la superficie terrestre, percorrendo una distanza decisamente maggiore. Il calcolo svolto poc’anzi, infatti non è corretto, perché mescola il tempo proprio del muone con lo spessore proprio dell’atmosfera. In realtà il muone viene osservato da Terra e quindi la sua vita media si dilata di un fattore γ. Dal punto di vista del muone lo spessore dell’atmosfera si assottiglia di un fattore 1/γ. 2
h′ =
⎛v ⎞ h = 1, 0 × 10 4 m × 1 − ⎜ ⎟ = 10 × 10 3 m × 0,063 = 630 m ⎝c ⎠ γ
Nel sistema di riferimento del muone, cioè, lo spessore dell’atmosfera è appena 630 m e in media molti di essi riescono a raggiungere la superficie terrestre. DOMANDA Come si descrive il fenomeno dal punto di vista di un osservatore terrestre? Scrivi un testo di 10 righe ed esegui il calcolo della dilatazione dell’intervallo di tempo della vita media del muone.
Dimostrazione della contrazione della lunghezza Se un treno si muove di moto uniforme e noi conosciamo la sua velocità, possiamo misurare la lunghezza Δx del marciapiede della stazione con un orologio, semplicemente misurando l’intervallo di tempo tra il transito del punto O del treno attraverso due traguardi posti all’inizio e alla fine del marciapiede (figura 12). Infatti se il moto del treno è rettilineo uniforme con velocità di modulo v, si ha Δx v Δt
→
→
v
v
t
O' A
B
A
O' B
x
Figura 12. Dal sistema di riferimento della stazione determiniamo la lunghezza del marciapiede attraverso la misura del tempo che impiega la testa del treno a percorrerlo, misurato con un orologio in quiete rispetto alla stazione.
249 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
In questo esempio la lunghezza Δx è la lunghezza propria e l’intervallo di tempo Δt è il tempo proprio, in quanto entrambe le misure sono effettuate interamente all’interno del sistema di riferimento della stazione. Se eseguiamo la stessa misura utilizzando un orologio solidale al treno, invece, le cose cambiano. A differenza della meccanica newtoniana, per la quale un orologio posto su un treno in movimento è sempre sincronizzato con l’orologio della stazione, nella teoria della relatività esso scorre più lentamente, cioè resta indietro rispetto a quest’ultimo. Questo significa che se utilizziamo l’orologio del treno, l’intervallo di tempo Δt è dilatato di un fattore γ rispetto al tempo proprio dell’orologio, per cui la lunghezza Δx (che continua a essere la lunghezza propria del marciapiede, perché misurata dalla stazione) risulta essere (figura 13): Δx v Δt v γ Δt
Figura 13. La lunghezza propria del marciapiede viene determinata attraverso un intervallo di tempo dilatato rispetto al tempo proprio.
→
→
v
v
t'
O' A
B
O'
A
B
x
Figura 14. La lunghezza del marciapiede, contratta rispetto alla lunghezza propria, viene determinata attraverso l’intervallo di tempo proprio.
Ma la quantità v Δt non è altro che la lunghezza del marciapiede Δx misurata con lo stesso procedimento (e lo stesso orologio) da un passeggero del treno. Un passeggero del treno, infatti, vede il marciapiede avvicinarsi con velocità v¤ di modulo pari a v, per cui la lunghezza Δx misurata non è la lunghezza propria; ma l’orologio in quiete rispetto al treno fornisce il tempo proprio Δt (figura 14): Δx v Δt
t
O' →
A
B
v
→
v
O'
A
B
x'
Dal confronto tra le due misure abbiamo quindi che la lunghezza del marciapiede è minore se misurata dal treno in movimento, contratta di un fattore γ: Δx Δx ′ γ
La composizione delle velocità Dato che le lunghezze si contraggono e gli intervalli di tempo si dilatano, le velocità non possono più comporsi con le stesse regole della meccanica newtoniana. Cioè se un passeggero di un treno che si muove di moto
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA y'
y
uniforme con velocità di modulo v rispetto alla stazione, inizia a correre lungo la stessa direzione di marcia del treno con velocità vx rispetto al treno (figura 15), la sua velocità vx rispetto alla stazione non è più
9
→
→
→
vx'
→
vx vx' v
→
v
O
vx vx v
z
O'
x x'
z'
Per ricavare questa formula di trasformazione delle velocità, infatti, si sottintende che l’intervallo di tempo Δt sia lo stesso in tutti i sistemi di riferimento e così per le lunghezze Δx. Nella teoria della relatività ristretta si può dimostrare che la velocità del passeggero che corre sul treno, dal punto di vista della stazione (vx) e dal punto di vista del treno (vx ) sono legate dalle relazioni equivalenti: v x′ + v v v′ 1 + 2x c v −v v ′x = x vv 1 − 2x c
vx =
Figura 15. La velocità del passeggero che corre sul treno misurata dalla stazione non è più la semplice somma vettoriale della sua velocità rispetto al treno e della velocità del treno rispetto alla stazione.
(9.5)
(9.6)
dove v è la velocità del treno rispetto alla stazione. Le formule (9.5) e (9.6) sono poco intuitive, ma se le velocità v, vx e vx sono piccole rispetto a c, i denominatori sono circa uguali a 1: ritroviamo le trasformazioni delle velocità a noi familiari.
ESEMPIO f Su un ipotetico treno che viaggia rispetto alla stazione a una velocità pari a c/2, un raggio di luce è emesso nella stessa direzione di marcia del treno. Qual è la velocità del raggio di luce nel sistema di riferimento della stazione? SOLUZIONE Il treno ha una velocità c 2 rispetto alla stazione, mentre il raggio di luce ha una velocità v
vx c rispetto al treno. La velocità vx della luce rispetto alla stazione si ricava direttamente dalla formula (9.5) c 3 c+ c v x′ + v 2 = 2 =c vx = = c 3 v v′ ⋅c 1 + 2x 2 c 1+ 2 2 c Vediamo quindi che usando le formule (9.5) e (9.6) la velocità della luce non cambia passando da un sistema di riferimento a un altro in moto uniforme rispetto al primo. DOMANDA Il risultato vale anche se la velocità del treno è c? Verificalo con un calcolo.
251 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
9
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
5
z
x Figura 16. Nella meccanica newtoniana i corpi si muovono nello spazio euclideo tridimensionale seguendo traiettorie di ogni tipo.
Figura 17. I punti dello spaziotempo sono detti eventi e le «traiettorie» dei corpi al suo interno sono dette linee di universo.
LO SPAZIOTEMPO
Nella fisica newtoniana lo spazio euclideo tridimensionale è lo scenario immutabile in cui si svolgono i fenomeni: i corpi possono muoversi al suo interno a loro piacimento, descrivendo traiettorie di ogni tipo (figura 16). La teoria della relatività ristretta ridisegna lo spazio con una dimensione in più e l’invarianza di c impone che le distanze lungo le 4 direzioni non siano immutabili, ma si accorcino e si dilatino durante il movimento dei corpi. I corpi non sono più entità separate dallo spazio in cui si muovono, ma lo modificano deformandolo. Mentre la farfalla della figura 16 si muove rispetto a un sistema di riferimento, i suoi assi spaziali si accorciano nella direzione del moto e l’asse temporale si allunga: maggiore è la velocità della fary falla, più è evidente tale modificazione. Il fatto che non ne facciamo comunemente esperienza è dovuto alle velocità relativamente basse rispetto a quella della luce nel vuoto. Uno spazio con queste caratteristiche possiamo soltanto immaginarlo, facendo un impegnativo sforzo di astrazione, perché oltre a non appartenere alla nostra esperienza, è difficile da rappresentare graficamente con un disegno statico. Un’ulteriore difficoltà consiste nel fatto che nei disegni si utilizzano due sole dimensioni, mentre lo spaziotempo ne ha quattro. Per raffigurarlo consideriamo dunque il moto di un corpo lungo una sola direzione, e utilizziamo l’immaginazione per estendere la rappresentazione al caso generale. Per rendere omogenee le unità di misura nelle varie direzioni, moltiplichiamo il tempo per il valore costante c e poniamo l’asse temporale ct lungo verticale; poniamo l’asse spaziale x lungo l’orizzontale, e chiamiamo evento ogni punto del piano così ottenuto. L’origine di questo sistema di riferimento ha il significato di «qui e ora», che corrisponde all’evento presente nel luogo in cui si trova il corpo considerato. Se il corpo è fermo, cioè non cambia posizione, il punto che lo rappresenta scorre sull’asse temporale verso il futuro, lasciando dietro di sé il passato. Se invece il corpo si muove con velocità v, la sua «traiettoria» nello spaziotempo, detta in tal caso linea di universo, si discosta dalla coordinata x 0. Le linee di universo che corrispondono alle bisettrici dei quadranti rappresentano il moto di oggetti che hanno una velocità costante pari a c (figura 17):
ct linea di universo
oggetto che si allontana dall’origine alla velocità della luce
ct1
qui e ora
x v 1 t1 x1
oggetto che si avvicina all’origine alla velocità della luce
tg 45 ° = 1 =
oggetto che si allontana dall’origine alla velocità della luce
futuro passato
oggetto che si avvicina all’origine alla velocità della luce
x
Δx v = cΔt c
Osserviamo subito che la linea di universo è qualcosa di molto diverso rispetto al grafico spazio-tempo della fisica newtoniana: in quel caso, infatti, non vi erano contrazioni dello spazio e il tempo «scorreva» uniformemente come una variabile assoluta. La velocità del corpo, cioè la pendenza della curva del moto nel grafico
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
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spazio-tempo, poteva aumentare senza alcun limite e raggiungere valori infinitamente elevati. Lo spaziotempo relativistico, invece, si deforma all’aumentare della velocità, la quale non riesce mai a superare il valore c: dato lo scambio dei ruoli tra assi spaziale e temporale, la pendenza assoluta della linea di universo non può mai essere inferiore a quella della luce (figura 18). x
ct
moto sempre più veloce
linea di universo di un raggio di luce
moto sempre più veloce
Figura 18. a. Il grafico spazio-tempo classico può avere una pendenza qualsiasi. b. La pendenza delle linee di universo nello spaziotempo non può essere inferiore alla pendenza della linea di universo della luce.
moti non ammessi 0 grafico spazio-tempo classico a
t
qui e ora
x
b
In altre parole i punti delle bisettrici dei quadranti dello spaziotempo bidimensionale rappresentano eventi che un corpo posto nell’origine può raggiungere solamente viaggiando alla velocità della luce. A velocità inferiori le linee di universo si sviluppano con pendenze maggiori e all’interno dell’area colorata in azzurro.
I coni di luce tempo
Se estendiamo il ragionamento fatto al caso in cui il moto futuro punti raggiungibili è bidimensionale, e quindi lo alla velocità della luce P spaziotempo è tridimensio- punti raggiungibili con velocità nale, le bisettrici corrispon- v c spazio Figura 19. Le linee di universo dono a una superficie conica passanti per l’origine si con il vertice nell’origine. Le svolgono all’interno del cono. punti non linee di universo che giacraggiungibili ciono sul cono collegano dal punto passato “qui e ora” eventi raggiungibili, a partire dall’origine, viaggiando alla velocità della luce. Le linee di universo si sviluppano all’interno dei coni che contengono l’asse temporale e non possono avere pendenza inferiori a 45° (figura 19). Nel caso generale i coni tempo Figura 20. Linee di universo diventano iperconi nello spab non ammesse nella teoria ziotempo a 4 dimensioni: la della relatività ristretta: la rappresentazione di questo linea a esce dal cono di luce; la B velocità nel punto B della linea a caso può essere solamente b è maggiore di quella della immaginata. Le linee di uniluce; la linea c rappresenta un c verso permesse dalla relativiviaggiatore dello spaziotempo x tà non escono dagli iperconi con il dono dell’ubiquità; la linea d rappresenta un viaggio e la velocità lungo esse non d y indietro nel tempo a una supera mai la velocità della velocità maggiore di quella luce (figura 20). della luce.
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
Le distanze nello spaziotempo Se rappresentiamo lo spazio euclideo tridimensionale della fisica newtoniana con un sistema di assi cartesiani ortogonali, il quadrato della distanza Δs — tra due punti A e B, cioè il quadrato della lunghezza del segmento AB, si esprime in funzione delle coordinate per mezzo dell’espressione del teorema di Pitagora generalizzata al caso tridimensionale (figura 21): — —)2 (Δx —)2 (Δy —)2 (Δz —)2 AB 2 (ΔsAB AB AB AB y
yB Figura 21. In due dimensioni la lunghezza del segmento AB si ricava a partire delle sue coordinate per mezzo del teorema di Pitagora.
B yAB
yA
0
A xAB
xA
AB 2 xA2B yA2B xB
x
Qualsiasi sbarretta di lunghezza AB può muoversi con qualsiasi velocità in qualsiasi direzione dello spazio euclideo classico, mantenendo invariata la sua lunghezza. Se lo spaziotempo quadridimensionale fosse anch’esso euclideo, basterebbe aggiungere una dimensione in più e definire il quadrato della distanza ΔS tra due punti (cioè tra due eventi) A e B come la somma di 4 termini invece che 3: AB2 (ΔSAB )2 (ΔxAB )2 (ΔyAB )2 (ΔzAB )2 (ΔctAB )2 Tuttavia questa espressione non resta invariata cambiando sistema di riferimento, in quanto gli intervalli di tempo di dilatano e le lunghezze si — contraggono durante il movimento, modificando il valore di AB . Si dimostra che il quadrato della distanza spazio-temporale ΔS tra due eventi, definito per mezzo dell’espressione (ΔS)2 (Δx)2 (Δy)2 (Δz)2 (Δct)2 cioè (ΔS)2 (Δs)2 c2(Δt)2 ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Abbiamo dunque un nuovo concetto di distanza tra punti dello spaziotempo, nel quale concorrono due contributi, uno spaziale positivo e uno temporale negativo. Ciò comporta che, a differenza di quanto avviene nello spazio euclideo, il quadrato della distanza spazio-temporale può essere anche negativa, come è schematizzato in tabella 1. Due eventi che hanno una distanza di tipo spaziale non possono influenzarsi in alcun modo l’uno con l’altro.
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
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QUADRATO DELLA DISTANZA SPAZIO-TEMPORALE
(ΔS)2 0
(ΔS)2 0
(ΔS)2 0
DISTANZA SPAZIO-TEMPORALE
Nulla
Di tipo spaziale
Di tipo temporale
CONDIZIONE
⎛ Δ s ⎞2 ⎜ ⎟ = c2 ⎝ Δt ⎠
⎛ Δ s ⎞2 ⎜ ⎟ > c2 ⎝ Δt ⎠
⎛ Δ s ⎞2 ⎜ ⎟ < c2 ⎝ Δt ⎠
SIGNIFICATO
Un raggio luminoso che parte dal primo evento mentre si verifica, raggiunge il luogo del secondo evento mentre quest’ultimo si verifica
Un raggio luminoso che parte dal primo evento mentre si verifica, raggiunge il luogo del secondo evento dopo che quest’ultimo si è verificato
Un raggio luminoso che parte dal primo evento mentre si verifica, raggiunge il luogo del secondo evento prima che quest’ultimo si verifichi
tempo
RAPPRESENTAZIONE GRAFICA
spazio
tempo
tempo
spazio
spazio
Tabella 1. Distanza spaziotemporale tra due eventi.
6
MASSA ED ENERGIA
La teoria della relatività impone un limite superiore alla velocità di un corpo. Dato che 1 γ 2 ⎛v ⎞ 1−⎜ ⎟ ⎝c ⎠ non possiamo avere corpi che vanno a velocità pari o superiori a quelle della luce, perché altrimenti il denominatore si annulla o l’argomento della radice quadrata diventa negativo. Questo vuol dire che il secondo principio della dinamica nella forma I I I I Δ(mv ) Δ p F ma Δt Δt dove p¤ mv¤ è la quantità di moto del corpo, non può essere più usato in questa forma: applicando una forza costante a un corpo per un tempo lungo a piacere, si potrebbe raggiungere una velocità maggiore di quella della luce. Per non rinunciare al secondo principio della dinamica, si definisce un nuovo concetto di massa, detta massa relativistica, che aumenta all’aumentare della velocità. In questo modo si spiega perché, nonostante l’applicazione di una forza costante per un tempo indefinito, non si raggiunga mai la velocità della luce: a parità di forza, aumentando la massa, diminuisce l’accelerazione. Se chiamiamo m0 la massa a riposo, misurata in un sistema di riferimento in quiete rispetto al corpo,
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
un osservatore in moto uniforme rispetto al corpo misura una massa m del corpo maggiore rispetto alla sua massa a riposo m0, secondo l’espressione: (9.7) m γm0 In questo modo la quantità di moto relativistica p¤r è definita come: p¤r mv¤ γ m0v¤
(9.8)
che ci consente di scrivere la formula relativistica equivalente al secondo principio della dinamica I I Δ pr (9.9) F Δt
Equivalenza massa-energia Nel grafico in figura 22 si vede l’andamento della massa in funzione della velocità: a partire da m0, valore minimo misurabile, la massa relativistica aumenta mentre la velocità si avvicina al valore c. Questo significa che quando spingiamo un corpo con una forza che compie lavoro e che quindi trasferisce sul corpo energia, parte di essa va a incrementare la sua velocità, ma parte di essa si trasforma in massa. Inoltre quando il corpo ha una velocità prossima a quella della luce gli incrementi di velocità sono piccolissimi, mentre aumenta enormemente la massa. Cioè l’energia ha un’inerzia che si oppone alle variazioni di velocità.
m0 0
100 000 Figura 22. La massa di un corpo aumenta sempre più velocemente mentre la sua velocità si avvicina al valore c.
200 000
300 000 v (km/s)
Questa affermazione è anche nota come equivalenza tra massa ed energia, espressa nella celeberrima formula E mc2
(9.10)
dove m è la massa relativistica; cioè esplicitamente: E = γ m0 c 2 =
m0 c 2 2
⎛v ⎞ 1−⎜ ⎟ ⎝c ⎠
Massa ed energia sono dunque grandezze fisiche equivalenti, legate da una costante universale moltiplicativa c elevata al quadrato, ed entrambe possiedono un’inerzia che si oppone alle variazioni di velocità. Identificando quindi l’inerzia di un corpo con la sua energia (equivalente alla sua massa) chiamiamo energia a riposo la quantità E 0 m 0c 2 pari all’energia corrispondente alla massa a riposo del corpo.
256 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
(9.11)
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
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L’energia totale E di un corpo in movimento espressa dalla formula (9.10) è dunque formata dalla somma dell’energia a riposo E0 e dell’energia cinetica Ec E E 0 E c γ m 0c 2 da cui si ricava l’espressione per l’energia cinetica Ec (γ 1)m0c2
(9.12)
ESEMPIO f La massa a riposo dell’elettrone è 9,11 10–31 kg. Qual è la sua massa relativistica quando si muove con una velocità pari a 0,95c? Qual è la sua energia? SOLUZIONE Dalla formula (9.7), in cui esplicitiamo il fattore di Lorentz, ricaviamo la massa: m = γ m0 =
9, 11 × 10−31 kg 2
⎛ 0, 95c ⎞ 1−⎜ ⎟ ⎝ c ⎠
= 2, 92 × 10−30 kg
L’energia si ricava dalla formula (9.10): E mc2 1,82 10–29 kg (3,00 108 m/s)2 2,63 10–13 J DOMANDA Qual è l’energia a riposo dell’elettrone?
Alcune considerazioni Dall’enunciazione dei due principi base della teoria della relatività, scaturisce una revisione totale dei concetti di spazio e di tempo, che costringe a rivedere tutta la meccanica, dalla cinematica alla dinamica. Si abbandonano i vettori tridimensionali dello spazio euclideo e si utilizzano nuovi elementi dello spaziotempo non-euclideo, detti quadrivettori. Essi non sono semplicemente vettori con una dimensione in più ma oggetti del tutto diversi, che si combinano tra loro in modo diverso. La teoria della relatività ristretta non è altro che la riscrittura della meccanica in questi termini e costituisce una soluzione all’inconciliabilità tra meccanica classica ed elettromagnetismo classico. Tuttavia, per quanto si tratti di una soluzione spregiudicata, non è una soluzione drastica: nonostante l’apparente «stranezza» delle sue conseguenze non mina la concezione della fisica come scienza in grado di prevedere con certezza l’evoluzione dei fenomeni. Accettata l’idea che lo spazio euclideo, nel quale crediamo di vivere, è solo l’approssimazione di uno spazio non-euclideo con una dimensione in più, possiamo continuare a svolgere tutti i nostri calcoli e le nostre previsioni. Si tratta solo di acquisire nuovi strumenti matematici da usare tutte le volte che la velocità dei corpi studiati si avvicina a quella della luce. Vedremo nel capitolo «La fisica quantistica» che tutto cambia radicalmente quando, invece che di oggetti veloci, vogliamo studiare il comportamento di oggetti molto piccoli: anche in tal caso la meccanica classica non funziona più, ma la soluzione, oltre a essere spregiudicata, è anche profondamente rivoluzionaria.
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
FILOSOFIA La teoria nella scienza secondo Karl Popper Nella fisica del XX secolo si assiste a uno scavalcamento della teoria rispetto alla fase sperimentale: in molti casi la formalizzazione della descrizione di una classe di fenomeni precede l’osservazione dei fenomeni stessi. È questo il caso della relatività ristretta, che fu elaborata prima ancora che si potessero osservare le sue manifestazioni: a partire da considerazioni astratte, attraverso esperimenti concettuali, è stato possibile derivare alcune deduzioni che sono state verificate sperimentalmente in seguito. Una teoria scientifica di tipo moderno, quindi, non è tanto la sintesi formale indotta da una serie di fatti già osservati, quanto una costruzione autonoma la cui validità è controllata dalle conseguenze da essa dedotte. Il filosofo Karl Popper (1902-1994) ha analizzato la struttura logica del metodo scientifico, giungendo a una distinzione tra scienza e non-scienza: la prima fondata sulla deduzione, la seconda sull’induzione. Fino ad allora si erano succedute teorie verificate, ma nessuna di queste riusciva a garantire in modo definitivo la sua infallibilità. Popper dimostra che la verifica non è sufficiente e individua nella falsificabilità il criterio per accettare una teoria scientifica come tale, nell’impossibilità di verificare la totalità degli eventi che la confermano. Una teoria considerata valida sulla base dei soli fenomeni osservati non è, secondo Popper, una teoria scientifica perché non può essere falsificata.
I limiti dell’induzione Come esempio di quanto detto prendiamo in prestito una storiella proposta dal filosofo Bertrand Russell (18721970): un tacchino che vive in un allevamento statunitense osserva che ogni giorno gli viene fornito un pasto alle 9 del mattino e, dopo qualche mese di osservazioni, induce una regola secondo la quale, indipendentemente dal tempo, dalla stagione, dal giorno della settimana, dall’umore dell’allevatore e regola dal tipo di abito indossato, il cibo gli viene dato ogni giorno alle 9 del mattino. generale L’inferenza del tacchino viene irrimediabilmente smentita il giorno di Natale, quando, invece che essere nutrito, diventa egli stesso il piatto della festa. processo La «teoria» costruita dal tacchino mediante un processo induttivo, sulla sola induttivo base di osservazioni empiriche verificate giorno dopo giorno, non è dunque una teoria scientifica: non c’è nulla che garantisca il perpetrarsi dell’evento. L’induzione è il procedimento logico con il quale si ricava una regola generale a partire da una moltitudine di fatti particolari. Il pensiero passa da un grado inferiore di organizzazione logica del mondo dell’esperienza a un grado superiore.
fenomeni particolari
L’uso della deduzione Popper sostiene che l’unico metodo scientifico valido sia quello basato sulla deduzione, cioè il controllo della teoria attraverso le conclusioni che se ne possono trarre. Il compito di un ricercatore è quindi quello di indagare su affermazioni che siano falsificabili, cioè delle quali si possa ricercare un controesempio. La possibilità di indagare su fenomeni che falsifichino un’affermazione regola è ciò che fa di essa una «teoria scientifica»: un ragionamento logico, per quanto generale logicamente corretto, non può essere assunto come fondamento della veridicità di un’affermazione, ma è solo uno strumento per controllare le sue conseguenze, processo cioè uno strumento critico. deduttivo In questo modo una teoria non può essere mai considerata «vera» ma solo «non falsa», e tale condizione ha un valore temporaneo. La deduzione è il procedimento logico con il quale si derivano le conseguenze particolari di un’affermazione generale. Questa fase del metodo scientifico permette la falsificazione di una teoria attraverso la ricerca della negazione di almeno una delle sue conseguenze.
fenomeni particolari
DOMANDA Trova una conseguenza che può essere dedotta dalla teoria della relatività ristretta. In che modo potrebbe essere falsificata?
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
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MATEMATICA La quarta dimensione Per disegnare un cubo su un foglio di carta dobbiamo ingannare la nostra percezione e utilizzare le regole della prospettiva, per cui le superfici ortogonali al foglio appaiono deformate rispetto alla forma quadrata che invece hanno nella realtà tridimensionale. Non è semplice creare l’illusione della profondità su un piano bidimensionale, e la scoperta del metodo geometrico per realizzarla è una conquista recente nella storia dell’arte: prima del Rinascimento, infatti, i tentativi di rendere la terza dimensione dello spazio non avevano avuto sempre esiti positivi. Se rappresentare lo spazio utilizzando una dimensione in meno è difficile, immaginare uno spazio con una dimensione in più richiede competenze matematiche decisamente superiori. Nel Presepe di Greccio, nella Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, Giotto (1267-1337) rappresenta la terza dimensione, ma non utilizza le regole della prospettiva.
L’ipercubo Proviamo, per esempio, a pensare a un cubo in quattro dimensioni, detto anche ipercubo o tesseratto. Per introdurre questo oggetto partiamo dal quadrato, figura piana formata da 4 segmenti uguali, paralleli a due a due e perpendicolari tra loro. Il cubo in 3 dimensioni è formato da (2 3) quadrati che hanno i lati in comune a due a due, 12 spigoli e 8 vertici. Analogamente, il cubo in 4 dimensioni è formato da (2 4) cubi che hanno le facce in comune a due a due, 24 quadrati, 32 spigoli e 16 vertici. Così come possiamo disegnare un cubo tridimensionale su un foglio di carta usando le regole della prospettiva, possiamo allo stesso modo rappresentare un ipercubo nello spazio tridimensionale: tuttavia in questo caso è richiesto un maggiore sforzo di immaginazione, visto che non abbiamo esperienza di spazi a quattro dimensioni! Così come possiamo sviluppare un cubo tridimensionale su un foglio di carta bidimensionale, possiamo sviluppare un cubo quadridimensionale nello spazio tridimensionale.
Sviluppi di un cubo tridimensionale e di un ipercubo a 4 dimensioni.
Costruzione di un ipercubo a partire da un segmento. Rappresentazione bidimensionale di un cubo a 4 dimensioni: dobbiamo fare un notevole sforzo di immaginazione per ricostruire mentalmente un’immagine della quale questa è solo una proiezione.
In Corpus Hypercubus (1954), il pittore surrealista Salvador Dalí (1904-1989) utilizza lo sviluppo di un ipercubo come una sorta di «iper-croce» per rappresentare la morte di Cristo.
DOMANDA «Su ogni vertice dell’ipercubo incidono 4 facce cubiche e 6 facce quadrate». Correggi questa affermazione, se necessario.
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LA RELATIVITÀ RISTRETTA
CON CONGLI GLIOCCHI OCCHIDI DIUN UNFISICO FISICO A Christmas carol Ebenezer Scrooge
Indietro e avanti nel tempo
A Christmas carol, o Canto di Natale, è uno dei più celebri romanzi di Charles Dickens (1812-1870). Protagonista del racconto è il vecchio, avido e avaro finanziere londinese Ebenezer Scrooge. È talmente attaccato ai suoi guadagni che costringe Bob Cratchit, suo impiegato sottopagato, a lavorare anche durante la vigilia di Natale, che egli considera un’inutile perdita di tempo, sottratto all’accumulo di ricchezze. La vicenda centrale è un istruttivo viaggio avanti e indietro nel tempo, che porta Scrooge a ravvedersi delle sue azioni insensibili verso le sofferenze altrui. Nell’epoca vittoriana, nella quale si svolge il racconto, l’Inghilterra stava vivendo un periodo di forte incremento delle attività industriali e, insieme a questo, anche un notevole aumento della popolazione e della miseria. Il sovraffollamento di alcuni quartieri londinesi, la disoccupazione, lo sfruttamento minorile contrastavano fortemente la ricchezza crescente di pochi privilegiati. Dickens, attraverso una sorta di favola natalizia, denuncia la situazione in pagine che hanno resistito al tempo e che, ancora oggi, possono essere rivisitate in termini sempre attuali. Non è un caso che Canto di Natale sia una delle storie che ha avuto il maggior numero di adattamenti cinematografici di ogni tempo.
Scrooge riceve un’inaspettata visita dal fantasma del suo vecchio socio in affari, condannato a portare in eterno le catene dalla sua avarizia, il quale lo mette in guardia sulle conseguenze di una condotta arida e ostile al prossimo. Successivamente giunge il momento di affrontare il suo primo viaggio nel tempo, accompagnato dallo spirito del Natale passato. Il vecchio avaro rivede, come uno spettatore invisibile, alcune scene della sua infanzia e del periodo di fidanzamento con Belle, una donna che lui trascura, troppo indaffarato a seguire i suoi affari. Assiste quindi alla rottura del fidanzamento, voluto dalla ragazza esasperata dal suo comportamento. Il viaggio successivo è guidato dallo spirito del Natale presente, che gli consente di fermare il tempo e viaggiare nello spazio a velocità infinita, trovandosi quindi in più luoghi nello stesso istante. Visita dunque diverse case in cui si stanno svolgendo i festeggiamenti per il Natale e scopre la triste condizione della famiglia del suo impiegato che, a causa della povertà, non è in grado di curare il figlio Tiny Tim, gravemente ammalato. Visita altre misere case di gente comune, fra cui quella di suo nipote Fred, in cui assiste a un’aspra critica nei suoi confronti per i suoi modi sgarbati e la sua avarizia. Scrooge incontra il fantasma del defunto socio in affari Jacob Marley.
Frontespizio della prima edizione di A Christmas carol, di Charles Dickens, illustrata da John Leech, 1843.
PAROLA CHIAVE
Spaziotempo
DOMANDA Possiamo viaggiare nel passato attraverso la memoria, facendo rivivere i nostri ricordi, ma non possiamo fisicamente tornare a eventi precedenti il nostro presente. Quale dovrebbe essere la velocità di un oggetto che tornasse indietro nel tempo? Disegna la sua linea di universo.
PAROLA CHIAVE
Simultaneità
DOMANDA La teoria della relatività afferma che non è possibile definire la simultaneità di due eventi. Questa frase è errata, correggila.
260 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
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Avanti e indietro nel tempo
Qualche «piccolo» problema
Lo spirito del Natale futuro accompagna Scrooge al cospetto della sua morte. Intorno alla sua salma si muovono squallide figure che, prive di ogni pietà per la circostanza, si appropriano di oggetti e beni a lui appartenuti, o gioiscono per non dover più saldare i propri debiti. Nella casa del suo impiegato, invece, regna una pesante tristezza: il piccolo Tiny Tim è morto, privato delle cure necessarie dall’avarizia del vecchio datore di lavoro del padre, cioè lo stesso Scrooge. Divenuto consapevole delle conseguenze della sua condotta, il vecchio avaro cade in preda alla disperazione, ma gli viene concessa un’altra possibilità. Compie, infatti, un altro viaggio nel tempo e ritorna al presente, deciso a cambiare il suo comportamento e quindi il corso della storia. È di nuovo la mattina della vigilia di Natale e può ricominciare una nuova vita: cordiale con tutti, generoso e solidale con la sofferenza altrui, si guadagna la stima dei suoi concittadini e nuove sincere amicizie. Al piccolo Tiny Tim viene così risparmiata una morte prematura, grazie alle cure rese possibili dalla sua nuova umanità.
Premesso che siamo tutti viaggiatori nel tempo, nostro malgrado, destinati a procedere inesorabilmente verso il futuro, la teoria della relatività non ci impedisce di raggiungere il futuro prima di altri. Viaggiando a una velocità prossima a quella della luce, i nostri orologi rallenterebbero rispetto a quelli rimasti in quiete e noi invecchieremmo più lentamente, trovandoci, al nostro «ritorno», più giovani di quanti non sono partiti insieme a noi. Questo fatto è stato più volte verificato sperimentalmente, per esempio con lo studio delle particelle subatomiche. Tuttavia, non potendo superare la velocità della luce, non saremmo in grado di tornare indietro, cioè di raggiungere nuovamente l’evento di partenza. I viaggi nel passato, indietro nel tempo, sono in teoria possibili assumendo ipotesi aggiuntive, e sono argomento di grande seduzione nella divulgazione scientifica. Se pur realizzabili, però, dovrebbero prevedere condizioni che impediscano la generazione di paradossi. È noto, infatti, che tornando indietro nel tempo potremmo uccidere noi stessi e quindi anche l’assassino di noi stessi, restando per questo vivi. Una delle contraddizioni più eclatanti di un ipotetico viaggio nel passato è quindi quella di anteporre l’effetto alla sua causa, sconvolgendo ogni connessione logica tra gli eventi. Riflettiamo: se Scrooge non fosse stato avido e scontroso non avrebbe assistito allo svolgersi di un futuro desolato e triste; ma non sarebbe diventato un uomo migliore se non avesse assistito alla sua squallida fine. A
ingresso
wormhole
B uscita Oggi si ritiene che un ipotetico viaggio verso il passato sarebbe possibile attraversando un cosiddetto wormhole, una sorta di scorciatoia che unisce punti dello spaziotempo altrimenti molto distanti. In questo modo, senza superare la velocità della luce, potrebbero essere collegati tra loro eventi con distanza spaziotemporale di tipo spaziale. L’ultimo degli spiriti. Scrooge è al cospetto della sua stessa lapide.
PAROLA CHIAVE
Massa relativistica
DOMANDA Quale dovrebbe essere la velocità di un elettrone affinché la sua massa sia pari a 1 kg?
261 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI PRINCIPIO DI RELATIVITÀ RISTRETTA
PRINCIPIO DI INVARIANZA DELLA LUCE NEL VUOTO
le leggi della meccanica e dell’elettromagnetismo sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali
la velocità delle onde elettromagnetiche è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziaii implicano
NUOVI CONCETTI DI SPAZIO E TEMPO
non è uno spazio euclideo
LO SPAZIOTEMPO
è uno spazio a 4 dimensioni, descritto da tre coordinate spaziali e una coordinata temporale
è il quadrato della distanza spazio-temporale ΔS
(ΔS)2 (Δx)2 (Δy)2 (Δz)2 (Δct)2
non cambia passando da un sistema di riferimento inerziale a un altro
tempo
linea di universo qui e ora spazio
nello spaziotempo gli eventi si svolgono all’interno dei «coni di luce»
262 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA RELATIVITÀ RISTRETTA
due eventi che si verificano in due punti A e B di un sistema di riferimento sono simultanei se i segnali luminosi emessi da ciascuno di essi raggiungono nello stesso istante un punto posto alla stessa distanza da A e da B
nuovo concetto di SIMULTANEITÀ
la SIMULTANEITÀ è un concetto relativo
nuovo concetto di DURATA
un osservatore in moto uniforme rispetto a un orologio misura una durata Δt dilatata rispetto alla durata Δt misurata in quiete
γ
FATTORE DI LORENTZ
nuovo concetto di LUNGHEZZA
9
Δt = γΔt dilatazione della durata
1 2
⎛v ⎞ 1−⎜ ⎟ ⎝c⎠
Δx ′
Δx
γ
contrazione della lunghezza
un osservatore in moto uniforme rispetto a un orologio misura una lunghezza Δx del corpo stesso contratta rispetto alla lunghezza Δx misurata in quiete
NESSUN CORPO PUÒ AVERE UNA VELOCITÀ UGUALE O SUPERIORE A QUELLA DELLA LUCE NEL VUOTO
nuovo concetto di MASSA RELATIVISTICA
un osservatore in moto uniforme rispetto al corpo misura una massa maggiore rispetto alla massa m0 misurata in quiete
la massa aumenta all’aumentare della velocità
m γ m0
L’ENERGIA HA UN’INERZIA CHE SI OPPONE ALLE VARIAZIONI DI VELOCITÀ
E mc2 EQUIVALENZA MASSA-ENERGIA
263 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
20 test (30 minuti)
9 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI due fotografie con il flash verso il centro dell’astronave, dove è situato un osservatore. I due flash partono in contemporanea rispetto a un osservatore al di fuori dell’astronave, ma i due lampi di luce non sono contemporanei per l’osservatore sull’astronave.
I PRINCIPI DELLA RELATIVITÀ RISTRETTA
DOMANDE La teoria della relatività ristretta si colloca in un periodo caratterizzato in diversi campi da una vera e propria «rivoluzione», che mette in crisi alcune concezioni radicate, come il determinismo e la causalità. Qual è stata la contraddizione tra leggi fisiche che ha portato all’elaborazione della teoria della relatività ristretta? Rispondi in 5 righe.
1
2 Secondo le equazioni di Maxwell, la velocità di pro-
pagazione delle onde elettromagnetiche è espressa mediante costanti universali, quindi anch’essa costante. In un primo momento si tentò di risolvere l’incongruenza tra questo fatto e la meccanica classica, secondo la quale la velocità di un corpo cambia a seconda del sistema di riferimento nel quale è misurata, rinunciando al principio di relatività. Descrivi questo fatto in 10 righe. 3 «La velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di
riferimento inerziali». Correggi questa frase, se necessario. 4 L’esperimento di Michelson e Morley è un’importan-
te conferma sperimentale del principio di invarianza della velocità della luce. Descrivi in 10 righe questo esperimento e le sue conclusioni.
2
NUOVI CONCETTI DI TEMPO E DI SPAZIO
f Quanto vale l’intervallo di tempo che separa l’arrivo dei due lampi? [6,7 10−10 s]
3
GLI INTERVALLI DI TEMPO SI DILATANO
DOMANDE 9 Nella teoria della relatività ristretta il concetto di
tempo non è più assoluto, ma dipende dal sistema di riferimento nel quale viene misurato. Che cosa si intende per «tempo proprio»? Rispondi in 5 righe. 10 Perché possiamo affermare che l’intervallo di tempo
proprio Δt0 è più breve del corrispondente intervallo di tempo Δt, misurato da un osservatore in moto rispetto al sistema di riferimento del fenomeno? 11 «Detto v il modulo della velocità di un corpo in moto
uniforme in un sistema di riferimento inerziale e c la velocità della luce nel vuoto, il fattore di Lorentz γ ha un valore γ 1 se v c; γ 1 se v c; γ 1 se v c». Correggi questa affermazione, se necessario.
CALCOLI
DOMANDE 5 Commenta in massimo 10 righe, descrivendone i
concetti fondamentali, la seguente affermazione: «Le regole della meccanica newtoniana per trasformare le distanze percorse e gli intervalli di tempo, sono incompatibili con il principio di invarianza di c». 6 Descrivi in massimo 5 righe i concetti di «spaziotempo» e di «evento» introdotti nella relatività ristretta. 7 Secondo la relatività ristretta un orologio in movi-
mento scandisce il tempo in modo diverso da un orologio fermo. Descrivi in massimo 10 righe come cambia il concetto di simultaneità passando dalla meccanica newtoniana alla relatività ristretta.
CALCOLI 8 Un’astronave immaginaria è lunga 300 m e viaggia c alla velocità costante v su una traiettoria rettili2
nea. Agli estremi dell’astronave vengono scattate
12 Un sistema di riferimento si muove rispetto a un si-
stema di riferimento fisso con β 0,98. f Quanto vale il fattore di Lorentz? [5,0]
13 Un oggetto si muove di moto rettilineo uniforme in
un sistema di riferimento inerziale. f Se il fattore di Lorentz è 6,0, quanto vale il rapporto fra il modulo della sua velocità e la velocità della luce nel vuoto? Esprimi il risultato con tre cifre significative. [0,986]
14 Uno stesso evento viene visto da due osservatori in
due intervalli di tempo tali che il primo è maggiore del secondo del 2,0%. Il primo osservatore si muove in direzione rettilinea rispetto al secondo, considerato fermo, con una certa velocità v. f Qual è il valore di v?
264 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
[5,9 107 m/s]
9
LA RELATIVITÀ RISTRETTA 4
22 Commenta in massimo 5 righe la seguente afferma-
LE LUNGHEZZE SI ACCORCIANO
zione: «Le linee di universo permesse dalla relatività non escono dagli iperconi dello spaziotempo quadridimensionale».
DOMANDE 15 «Un passeggero di un’astronave che si muove alla
velocità di 0,7c vede gli oggetti più sottili rispetto a quando l’astronave è ferma». Correggi questa frase, se necessario.
23 Nello spazio euclideo tridimensionale la distanza tra
due punti può essere positiva o nulla e mai negativa. Che cosa cambia nello spaziotempo a quattro dimensioni, nel quale si svolgono gli eventi secondo la teoria della relatività ristretta?
16 È corretto affermare che la lunghezza propria Δx di
un corpo è sempre maggiore della corrispondente lunghezza misurata da un osservatore in moto rispetto al sistema di riferimento in cui esso è in quiete? Perché?
CALCOLI 24 In campo astronomico le distanze vengono espresse
in anni-luce, che si indicano con a.l. L’anno-luce è la distanza percorsa dalla luce nell’intervallo di tempo di un anno.
17 Perché nella teoria della relatività ristretta non pos-
siamo usare la regola classica per la composizione delle velocità vx v'x v?
f Dati due eventi nello spazio quadrimensionale tali che Δx Δy Δz 0 e Δt 1,0 anno, calcola il quadrato della distanza spazio-temporale tra i due eventi.
CALCOLI 18 Un’astronave immaginaria, che ha una lunghezza pro-
pria di 300 m, si muove di moto rettilineo uniforme con velocità pari a c rispetto a una stazione spaziale,
[a.l.2]
3
in quiete rispetto a un sistema di riferimento inerziale. f Quanto è lunga l’astronave per un osservatore della stazione spaziale? [283 m]
19 L’astronave dell’esercizio 18 transita nuovamente nei
pressi della stazione spaziale con una velocità costante di modulo differente. Un osservatore a bordo della stazione spaziale misura, in tale situazione, una lunghezza di 270 m. f Qual è la velocità dell’astronave? [0,436 c]
20 Un razzo che ha lunghezza propria pari a 50 m viene
lanciato dalla Terra verso lo spazio. Un ipotetico osservatore spaziale, fermo in un sistema di riferimento inerziale, vedrebbe il razzo contratto di circa il 2% rispetto alla lunghezza propria, lungo la direzione del suo moto. f Qual è la velocità del razzo rispetto a tale sistema di riferimento? [0,2 c]
5
6
MASSA ED ENERGIA
DOMANDE 25 La meccanica classica non pone un limite alla velo-
cità che può essere raggiunta da un corpo. In teoria, applicando una forza costante a un corpo per un tempo sufficientemente lungo, il corpo potrebbe raggiungere una velocità maggiore di quella della luce. Dalla relatività ristretta sappiamo che questo non è possibile: come è stata superata questa discrepanza? 26 Perché, secondo la teoria della relatività ristretta,
possiamo affermare che un osservatore in moto uniforme rispetto a un corpo misura una massa m del corpo maggiore rispetto alla sua massa a riposo m0? 27 Nella meccanica newtoniana una massa m in quiete
ha energia cinetica nulla. Utilizzando la formula relativistica dell’energia cinetica possiamo ritrovare questo concetto anche nella teoria della relatività ristretta?
LO SPAZIOTEMPO CALCOLI
DOMANDE
28 Una particella ha massa a riposo di 0,511 MeV/c2. Ad
21 Nella teoria della relatività ristretta si utilizza la rap-
presentazione grafica delle linee di universo, nello spaziotempo a quattro dimensioni. Che cos’è una linea di universo?
essa viene fornita energia tale da portare il fattore di Lorentz a 101. f Calcola la sua energia cinetica finale. [51,1 MeV]
265 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
9 ESERCIZI 36 Commenta in massimo 10 righe la seguente affer-
29 Un neutrone ha un’energia totale di 939 GeV e la sua
mazione: «L’energia ha un’inerzia che si oppone alle variazioni di velocità».
massa a riposo è di 939 MeV/c2. f Calcola il fattore di Lorentz. [1000]
PROBLEMI
30 Un acceleratore di particelle porta alcuni protoni al-
l’energia di 10 GeV. La massa a riposo del protone è di 938 MeV/c2.
37 Un’ipotetica particella ha massa a riposo pari a
1,0 MeV/c2. Viene accelerata fino a quando il rapporto tra il modulo della sua velocità e la velocità della luce nel vuoto è pari a 0,9. f Di quanto, in percentuale, aumenta la massa della particella? [129%]
38 Un elettrone ha massa a riposo di 0,511 MeV/c2. Viene
accelerato in modo tale che il fattore β sia 0,9. f Calcola la quantità di moto espressa in MeV/c. CERN
[1,06 MeV/c]
f Calcola la velocità dei protoni. Esprimi il risultato con quattro cifre significative. [0,9956c]
ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE
39 Una navicella sta viaggiando alla ricerca di mondi
sconosciuti, a velocità costante e in direzione rettilinea. Nel centro di controllo a Terra c’è Luigi, mentre suo fratello gemello Mario si trova sul razzo. Dopo 9 anni, misurati sulla Terra, l’astronave arriva a destinazione. Gli orologi sulla navicella misurano 3 anni. f Che distanza ha percorso la navicella rispetto alla Terra? [8,49 a.l.]
31 Nella meccanica newtoniana molte formule sono
state ricavate dall’osservazione di dati sperimentali. Con le formule della relatività ristretta si è potuto procedere nello stesso modo? Rispondi in massimo 5 righe. 32 Descrivi in massimo 10 righe il concetto di simulta-
neità nella teoria della relatività ristretta. 33 La teoria della relatività ristretta mostra che lo spa-
zio non è tridimensionale ed euclideo, ma ha in realtà 4 dimensioni e regole del tutto diverse per calcolare la distanza tra due punti, cioè è non-euclideo. Quale conseguenza ha l’invarianza di c sullo spazio a 4 dimensioni? 34 Nella teoria della relatività ristretta si utilizzano spes-
so esperimenti concettuali. Descrivi in 10 righe di che cosa si tratta e fai un esempio. 35 Un treno immaginario, che può viaggiare a una ve-
locità prossima a quella della luce, attraversa in corsa una stazione. È corretto affermare che un osservatore fermo sulla banchina vede sfrecciare un treno di dimensioni ridotte rispetto a quelle del treno in quiete? Motiva la risposta.
40 Un oggetto si muove con velocità c lungo l’asse 2
delle x di un sistema di riferimento fisso. Si consideri un sistema di riferimento mobile che si muove in direzione rettilinea nel verso negativo dell’asse delle x del sistema fisso. Rispetto al sistema mobile la velocità dell’oggetto misurata è pari a
4 c. 5
f Con che velocità costante si muove il sistema di riferimento mobile rispetto a quello fisso? [c/2]
41 Un’astronave del futuro parte da una base spaziale
in direzione rettilinea verso un pianeta che dista 9,0 anni-luce da quest’ultima e mantiene una velocità costante pari a 0,9c per tutta la durata del viaggio. Il viaggio avviene lungo una traiettoria rettilinea in modo tale che l’asse x del sistema di riferimento della base e l’asse x del sistema di riferimento dell’astronave siano costantemente paralleli. f Qual è la durata del viaggio misurato dagli orologi dell’astronave? (Suggerimento: utilizza come valore c 1,0 anniluce/anni.)
266 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
[4,4 anni]
CAPITOLO
La fisica quantistica
“
Autolico: Ci sono sempre e solo una strada a destra e una strada a sinistra. Teseo: E se invece cercassi una terza possibilità?
”
M. Yourcenar, Chi non ha il suo minotauro?, 1963
La fisica quantistica si stacca dalla realtà che tutti conosciamo, per rappresentare un mondo governato da regole lontane dalla logica alla quale siamo abituati. Per noi un gatto c’è oppure non c’è, e non conosciamo un’alternativa a queste due opzioni. Un famoso esperimento concettuale ci mostra, invece, un gatto che c’è e non c’è allo stesso tempo, secondo le nuove regole di una nuova fisica, che descrivono molto bene il comportamento delle particelle microscopiche. Su scala atomica e subatomica il mondo è molto diverso da quello al quale siamo abituati, e non basta modificare i modelli per ottenere qualcosa che funzioni: bisogna modificare radicalmente il modo di pensare. Scompare, per esempio, il concetto di traiettoria e compare quello di stato quantistico. Si revisiona il concetto di causalità, basata su nessi logici ben definiti, e la probabilità diven-
ta protagonista della nuova rappresentazione: cadono le certezze della fisica classica per la quale i fenomeni sono in linea di principio prevedibili, quando siano note le condizioni iniziali, e si afferma una fisica della casualità. Tutto ciò che osserviamo non è certo, ma probabile, per sua stessa natura. Quest’ultimo punto è fondamentale. Finora avevamo ragionato in termini di «incertezza sperimentale», basandoci sull’assunto di una natura assolutamente deterministica, alla conoscenza della quale tendiamo attraverso misure via via più precise e accurate. Secondo tale schema di pensiero la natura è perfetta e prevedibile, mentre gli strumenti di indagine dell’uomo non lo sono e generano incertezza. Nella fisica quantistica questo assunto di prevedibilità non vale più e la natura stessa appare caratterizzata da indeterminazione, per principio e non per errore.
Antonio Ligabue, Gatto (particolare), 1952-1962.
PAROLE CHIAVE Stato quantistico Probabilità Indeterminazione
267 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA FISICA QUANTISTICA
UN PROBLEMA DI CONFINE: L’IRRAGGIAMENTO TERMICO
1
Figura 1. Schema degli apparati sperimentali per spettroscopia di assorbimento e di emissione di una sostanza gassosa.
Verso la fine del XIX secolo quasi tutti i fenomeni osservati venivano spiegati con la meccanica newtoniana, l’elettromagnetismo e la termodinamica. I fisici avevano una tale fiducia nelle basi teoriche sul quale poggiava la loro interpretazione del mondo, che quando mostrava dei problemi e sembrava non funzionare per spiegare fenomeni irrisolti, si attribuiva la spiegazione del fallimento a limiti sperimentali o ad altri problemi contingenti. I problemi più ostici riguardavano i fenomeni «di confine», cioè quelli che avrebbero dovuto «saldare» tra loro le tre branche. Al confine tra la meccanica e la termodinamica era sorta la teoria cinetica dei gas, mentre per conciliare l’incongruenza tra meccanica ed elettromagnetismo era stata definita una nuova teoria dello spazio e del tempo, la teoria della relatività ristretta. Le due teorie si svilupparono tra la diffidenza di molti scienziati che accettavano con difficoltà le modifiche sostanziali che introducevano: esse costringevano a riconoscere una maggiore autonomia al lavoro teorico rispetto al passato. La costruzione della teoria a partire dagli esperimenti non è sempre possibile quando si ha a che fare con oggetti molto piccoli, invisibili e numerosissimi, o quando si deve ragionare in termini di velocità della luce. Si ricorre quindi a esperimenti concettuali, coerenti con i principi, mediante i quali si sondano le situazioni più estreme e si raggiungono dei risultati, i quali vengono verificati successivamente dal punto di vista sperimentale. Questo modo di procedere, del tutto nuovo rispetto alla fisica classica che precede il XX secolo, caratterizza la fisica moderna. In altre parole, nella fisica moderna la costruzione della teoria non è più il coronamento di una fase sperimentale, ma ha uno sviluppo autonomo, talvolta guidato da questioni «estetiche» di simmetria. La teoria della relatività, per esempio, non nasce per spiegare il risultato negativo dell’esperimento di Michelson e Morley, ma per non rinunciare al principio di relatività, per il quale i sistemi di riferimento inerziali sono del tutto equivalenti. In quest’ottica l’esperimento citato diventa una conferma sperimentale della teoria. spettro di assorbimento
sorgente di luce bianca
prisma
schermo
idrogeno
a
spettro di emissione generatore
b
prisma lampada a idrogeno
schermo
Il problema della radiazione termica Se si mette un gas di atomi dello stesso tipo in un’ampolla, si fa attraversare da luce bianca e successivamente si disperde la luce attraverso un prisma, si osservano delle righe nere localizzate in zone ben precise dello spettro, che dipendono dal gas utilizzato. La serie di righe nere è il cosiddetto spettro di assorbimento, caratteristico della sostanza (figura 1a). In corrispondenza delle righe nere, la stessa sostanza ha anche uno spettro di emissione, ottenuto disperdendo attraverso un prisma la luce proveniente da una lampada in
268 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA FISICA QUANTISTICA
10
cui la sorgente luminosa è il gas stesso (per esempio idrogeno contenuto in un tubo a scarica) (figura 1b). spettro di assorbimento dell’idrogeno Gli spettri di assorbimento e di emissione di una stessa sostanza sono formati da una serie di righe caratteristiche, che occupano le stesse posizioni all’interno dello spettro continuo della cosiddetta «luce bianca» (figura 2). spettro di emissione dell’idrogeno Un corpo che ha uno spettro di assorbimento completamente nero, e quindi uno spettro di emissione continuo, contenente luce di tutte le frequenze, è detto corpo nero. In altre parole Figura 2. Spettri si definisce corpo nero un corpo che assorbe tutte le frequenze della radiazione incidente.
intensità relativa
L’intensità delle righe dello spettro di emissione, corrispondenti a determinate frequenze, e il rapporto tra energia incidente e energia assorbita nello spettro di assorbimento sono grandezze legate tra loro attraverso una funzione che dipende dalla temperatura. Cioè, osservando lo spettro di emissione di una sostanza, vediamo che la luce è più o meno intensa a seconda della temperatura e in misura diversa per frequenze diverse. Lo spettro di emissione di un corpo nero contiene dunque UV visibile infrarosso tutte le frequenze, ma in corrispondenza di frequenze diverse spettro prima di attraversare si ha una diversa intensità lumil’atmosfera terrestre nosa e in particolare il profilo spettro al suolo dell’intensità della radiazione emessa ha un massimo che dipende dalla temperatura. Un corpo che ha una temperatura 500 1000 1500 0 maggiore di quella dell’ambienlunghezza d’onda te ed emette radiazione termica, per il fenomeno che nel capitolo «Il calore» abbiamo definito irraggiamento, può essere spesso approssimato come corpo nero (figura 3). Alla fine del XIX secolo moltissimi fisici si impegnarono nello studio del corpo nero, alla ricerca di una formula matematica che, rappresentata su un grafico, riproducesse l’andamento della radiazione emessa: tale formula avrebbe dovuto legare la frequenza della radiazione emessa alla temperatura del corpo. Emersero diverse formule, ma nessuna era in grado di riprodurre in modo completo il comportamento della radiazione termica. Per esempio, nel capitolo «Il calore» (formula (2.6)) abbiamo studiato la legge di Stefan-Boltzmann, che fornisce la quantità di energia totale emessa per irraggiamento termico per unità di superficie e di tempo e che tuttavia non dà indicazioni sull’andamento dell’intensità per le varie lunghezze d’onda: E S Δt
di assorbimento e di emissione dell’idrogeno.
Figura 3. Il Sole può essere approssimato come un corpo nero a 6000 K. L’intensità della luce emessa dal Sole dipende dalla lunghezza d’onda e presenta un massimo intorno a 500 nm, corrispondente al colore verde. Il passaggio della luce attraverso i gas atmosferici comporta l’assorbimento di alcune frequenze.
εσT 4
dove: s σ è la costante di Stefan-Bolzmann, pari a 5,67 × 10–8 J/(s m2 K4); s ε è detta emissività, dipende dal corpo in esame e ha un valore compreso tra 0 e 1.
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LA FISICA QUANTISTICA u (kJ/nm)
800
(kJ/m4) 6000 T 5500 K
corpo nero
5000 4000
600 Figura 4. All’aumentare della temperatura il massimo dell’intensità della radiazione emessa da un corpo nero si sposta verso lunghezze d’onda minori.
legge di Rayleigh-Jeans
3000
T 5000 K
2000 400
1000 T 4500 K 0
200
0
T 4000 K T 3500 K
400 800 1200 1600 2000 (nm)
legge di Wien 2000
4000
6000 (nm)
Figura 5. La legge di Rayleigh-Jeans si accorda bene ai dati solo per lunghezze d’onda elevate, mentre la legge semiempirica di Wien segue meglio l’andamento dei dati per lunghezze d’onda piccole.
Più tardi il fisico tedesco Wilhelm Wien (1864-1928) scoprì che all’aumentare della temperatura il massimo dell’intensità luminosa si sposta verso lunghezze d’onda minori (e quindi frequenze maggiori), elaborando la cosiddetta legge dello spostamento di Wien (figura 4): λmax T costante
(10.1)
dove λmax è la lunghezza d’onda che corrisponde al massimo dell’intensità emessa e T è la temperatura assoluta del corpo. Successivamente lo stesso Wien trovò una relazione semiempirica, costruita per accordarsi ai dati sperimentali, della quale diamo solamente l’andamento grafico (figura 5). Sullo stesso grafico è riportato anche l’andamento della legge di Rayleigh-Jeans, elaborata per via teorica sulla base della teoria cinetica dei gas. Vediamo che la legge di Wien ha un migliore accordo con i dati sperimentali per lunghezze d’onda piccole (frequenze elevate) ma fallisce nella riproduzione dei dati per grandi lunghezze d’onda, mentre la legge di RayleighJeans funziona solo per grandi lunghezze d’onda (frequenze basse). La radiazione del corpo nero era dunque un problema di confine tra termodinamica ed elettromagnetismo, di non facile soluzione.
2
UNA SOLUZIONE RIVOLUZIONARIA
Nonostante le discrepanze con i dati sperimentali, Max Planck (1858-1947) era comunque convinto che la legge semiempirica di Wien fosse appropriata a descrivere la radiazione del corpo nero e si mise al lavoro per trovare una base teorica che la giustificasse. Cercò di ricavarla per via matematica, utilizzando le leggi della meccanica, dell’elettromagnetismo e della termodinamica. Per rappresentare il corpo nero utilizzò un modello: un piccolo foro aperto su una cavità che lascia entrare la radiazione, ma non la lascia uscire
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LA FISICA QUANTISTICA
10
Wojtek Jarco /Shutterstock
facilmente. Esso può essere dunque utilizzato come rappresentazione astratta del corpo nero, cioè di un corpo che non riflette la radiazione incidente, ma la assorbe scaldandosi. È esperienza comune, infatti, che il buco della serratura di una porta chiusa su una stanza buia è particolarmente scuro, cioè anche se vi inviamo luce, appare nero: la luce entra nel foro, ma non ne esce facilmente (figura 6).
il foro è un modello del corpo nero
Planck utilizzò questo modello e, per rappresentare la radiazione, immaginò che le pareti della cavità fossero costituite da oscillatori hertziani, cioè da dipoli elettrici oscillanti come molle ideali. I dipoli rappresentavano le sorgenti delle onde elettromagnetiche e la frequenza di oscillazione di ciascuno di essi determinava la frequenza della radiazione emessa (figura 7). Supponendo che il sistema fosse in equilibrio termico alla temperatura T, Planck pensò di derivare la legge semiv5 empirica di Wien applicandovi la termodinamica. Non riuscendo a venire a capo del problema con le leggi deterministiche della fisica classica, nel 1900 compì quello che egli stesso definì un «atto di disperazione», introducendo nel modello la probabilità. Innanzitutto suppose che l’energia della radiazione presente nella cavità fosse suddivisa tra i vari oscillatori, in modo tale che ciascun insieme di n oscillatori, caratterizzato da una frequenza propria ν, ne avesse una quantità εn nhν
Figura 6. Il foro di ingresso di una cavità può essere usato come modello astratto del corpo nero: la radiazione può entrare ma non uscire. Il buco di una serratura che si affaccia su una stanza buia è particolarmente «nero», cioè non lascia uscire facilmente la radiazione.
v3
8 πν2 c3
hν
e
(10.3)
−1
271 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
v4
Figura 7. Planck schematizzò le sorgenti della radiazione con oscillatori hertziani, ognuno con una frequenza propria.
(10.2)
hν kB T
v2
Poi impose che l’energia fosse distribuita statisticamente tra i vari oscillatori secondo una funzione di distribuzione (distribuzione di Boltzmann). Tale funzione fornisce la probabilità che, alla temperatura T, una frazione di oscillatori si trovi ad avere una certa quantità di energia e consente di ricavare l’energia media totale del sistema con opportuni calcoli, che qui non analizziamo. L’ipotesi sulla quale si basava Planck era quella di un’energia discreta, espressa come multiplo della quantità elementare hν: il quanto di energia. Tuttavia egli riteneva che il ricorso alla discretizzazione dell’energia fosse un mero artificio matematico, necessario per i calcoli. Di fatto, però, non solo la formula che trovò riproduceva esattamente il comportamento del corpo nero come nessun’altra relazione precedentemente ricavata riusciva a fare, ma la costante h, detta poi costante di Planck, rimaneva chiaramente evidente nell’espressione finale. L’espressione alla quale pervenne Planck, che descrive l’intensità della radiazione emessa da un corpo nero in funzione della sua temperatura T e della frequenza ν, è la seguente: ρ( ν, T ) =
v1
10
LA FISICA QUANTISTICA
dove k è la costante di Boltzmann e h è la costante di Planck: kB 1,38 10–23 J/K h 6,626 10–34 J s
ESEMPIO La formula di Planck, basata sull’ipotesi che l’energia all’interno della cavità sia suddivisa in piccoli «quanti», cioè porzioni discrete, e distribuita statisticamente tra le sorgenti oscillanti, riproduce esattamente l’andamento sperimentale della radiazione di fondo dell’Universo, un corpo nero alla temperatura di 2,725 K. intensità 400
300
200 curva ottenuta con la formula di Planck 100 dati
0
2
1
0,67
0,5 (nm)
DOMANDA A quale regione dello spettro elettromagnetico corrisponde il massimo dell’intensità della radiazione di fondo dell’Universo? Senza entrare nei dettagli matematici della formula mettiamo in evidenza le rivoluzionarie novità da essa introdotte. In primo luogo l’energia è distribuita statisticamente tra gli oscillatori hertziani che schematizzano le sorgenti della radiazione termica; e inoltre l’energia degli oscillatori non varia con continuità, ma per multipli interi della quantità hν. Cioè la formula, che tanto bene si accorda ai dati sperimentali, è stata ricavata ipotizzando che il profilo sia dovuto a una ripartizione «casuale», non dovuta a una regola deterministica, dell’energia tra le varie frequenze e contiene inoltre una condizione di quantizzazione, di discretizzazione, della stessa. Come dire che l’energia si distribuisce a caso e per quantità intere: qualcosa che contrasta nettamente con la visione classica della natura, per la quale natura non facit saltus (la natura non fa salti) e soprattutto segue regole deterministiche per le quali ad ogni effetto corrisponde una causa.
272 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA FISICA QUANTISTICA
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I fisici del tempo non accettarono facilmente la formula di Planck, e all’inizio non le riconobbero un significato fisico. Planck stesso tentò a lungo di «correggere» il suo lavoro in modo da eliminare tali «assurdità». Ma i suoi tentativi furono vani: egli aveva dato il via, senza volerlo, a una nuova fisica in cui la natura facit saltus (fa salti) e non si lascia prevedere con deterministica certezza. Nacque infatti la cosiddetta teoria dei quanti, che in seguito si sviluppò nella fisica quantistica, oggi utilizzata per interpretare e descrivere i fenomeni microscopici.
3
I FOTONI, GRANULI DI LUCE
Einstein era un giovane fisico, intraprendente e coraggioso. Prese sul serio la formula di Planck e, resosi conto che non era conciliabile con le equazioni di Maxwell, la utilizzò per compiere un’altra fondamentale revisione di concetti base della fisica. Nel 1905, oltre ad altri quattro articoli tra cui quello sulla relatività ristretta, pubblicò un lavoro in cui propose una teoria «quantizzata» della luce, sulla scia della quantizzazione degli oscillatori hertziani del modello di Planck. In tale lavoro Einstein rinunciò al concetto classico di continuità, non solo per l’energia degli oscillatori, ma per la luce stessa. Il risultato cui pervenne Einstein è che l’energia della radiazione elettromagnetica è composta da piccoli quanti, cioè «pacchetti» indivisibili, che successivamente furono detti fotoni. In altre parole, i quanti del campo elettromagnetico viaggiano nello spazio trasportando energia, come piccoli granuli di luce detti fotoni. I fotoni sono dunque le più piccole «particelle» di luce: una concezione del tutto nuova della radiazione elettromagnetica rispetto alla teoria ondulatoria di Maxwell, secondo la quale l’energia trasportata dall’onda si distribuisce con continuità nello spazio. Utilizzando questa ipotesi Einstein trattò uno di quei fenomeni di confine che non si riuscivano a spiegare mediante la fisica classica, l’effetto fotoelettrico, e ne risolse l’interpretazione con elegante semplicità.
L’effetto fotoelettrico
Figura 8. Apparato per lo studio dell’effetto fotoelettrico: la radiazione incide sul catodo metallico ed estrae elettroni dalla sua superficie, i quali vengono accelerati verso l’anodo facendo scorrere una corrente elettrica nel circuito.
L’effetto fotoelettrico è il fenomeno nel quale un metallo, colpito da radiazione elettromagnetica con determinate caratteristiche, emette vuoto elettroni. L’apparato sperimentale per verificare l’effetto fotoelettrico è schematizzato in figura 8. La radiazione elettromagnetica colpisce il catodo C e, se riesce a estrarre elettroni per effetto fotoelettrico, la differenza di potenC ziale ΔV tra gli elettrodi li accelera verso l’anodo A e nel circuito si misura una corrente elettrica di intensità i. Si verifica che elettroni
A amperometro
l’emissione di elettroni non dipende dall’intensità della radiazione incidente, ma dalla sua frequenza.
i generatore di tensione variabile
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A
10
Figura 9. L’intensità della corrente di saturazione dipende dall’intensità della luce incidente, il potenziale di arresto no.
LA FISICA QUANTISTICA
Al di sotto di un certo valore della frequenza della luce incidente pari alla frequenza di soglia νmin, per quanto intensa essa sia, non si misura alcuna corrente elettrica nel circuito. La corrente diventa improvvisamente diversa da zero in corrispondenza di una frequenza ben precisa della radiazione incidente, che dipende dal metallo con il quale è fatto il catodo. Se la frequenza della luce incidente è tale da provocare l’estrazione degli elettroni dalla superficie del catodo, allora modificando la differenza di potenziale tra gli elettrodi si può far variare il numero di elettroni che raggiungono l’anodo e quindi l’intensità della corrente. Per una data intensità della luce incidente, se si aumenta la differenza di potenziale aumenta la corrente che circola nel circuito, fino a un certo valore detto corrente di saturazione. Inoltre, se i correnti di saturazione la differenza di potenziaper diversa intensità della luce incidente le tra gli elettrodi viene i1 invertita, cioè se l’anodo frequenza della luce i2 viene reso negativo rispetincidente i3 to al catodo, l’intensità di min corrente diminuisce fino V0
V 0 ad annullarsi in corrispondenza di un determinato valore ΔV0 che non dipende dall’intensità della radiazione incidente. La grandezza ΔV0 è detta potenziale di arresto (figura 9). Riassumendo: s al di sotto di una frequenza minima non si ha effetto fotoelettrico; s l’intensità della corrente di saturazione dipende dall’intensità della luce incidente; s il potenziale di arresto annulla l’intensità della corrente qualunque sia l’intensità della radiazione incidente.
Una soluzione «simmetrica» L’effetto fotoelettrico era considerato un fenomeno di confine tra la radiazione elettromagnetica e la materia, la cui interpretazione nell’ambito della fisica classica presentava delle difficoltà. Infatti la teoria classica delle onde elettromagnetiche poteva descrivere l’estrazione degli elettroni mediante il campo elettrico oscillante, ma non spiegava assolutamente il fatto che l’emissione degli elettroni avvenisse improvvisamente al di sopra di un determinato valore della frequenza νmin della luce incidente. La spiegazione proposta da Einstein era basata su un assunto di «simmetria» tra la natura della materia e della luce, cioè sull’ipotesi che anche la luce avesse una struttura «granulare». In tale rappresentazione l’energia del campo elettromagnetico è quantizzata e viaggia in forma di singoli fotoni, che interagiscono individualmente con gli elettroni della superficie metallica. Il lavoro di estrazione Le degli elettroni dal metallo è compiuto a spese dell’energia E del campo elettromagnetico, quantizzata secondo la condizione di Planck (formula (10.2)), E hν
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(10.4)
LA FISICA QUANTISTICA
10
Gli elettroni sono legati al metallo e ne fuoriescono quando ricevono energia pari al lavoro di estrazione Le, che corrisponde a un certo valore della frequenza νmin (figura 10). 1
min
2 h 1
e
e
h 2
hmin
e
e
1 min 2
h 1 h min h 2
Figura 10. I quanti del campo elettromagnetico trasportano energia che dipende dalla frequenza delle oscillazioni: se l’energia trasferita agli elettroni è maggiore o uguale al lavoro di estrazione, essi fuoriescono dal metallo.
Tale valore è dunque legato al lavoro di estrazione dalla relazione Le hνmin E quindi l’effetto fotoelettrico si verifica solamente quando la luce incidente sul metallo ha una frequenza maggiore del valore ν min
Le h
(10.5)
L’energia massima degli elettroni espulsi è pari alla differenza tra l’energia fornita dai fotoni e il lavoro di estrazione Emax hν Le h (ν νmin)
(10.6)
ESEMPIO f La fotocellula schematizzata in figura è un dispositivo che sfrutta l’effetto fotoelettrico. Fintanto che la luce colpisce l’elettrodo fotocellula sensibile, gli elettroni fuoriescono da esso e nel circuito collee gato vi è una corrente elettrica. Affinché la corrente sia nulla nel i circuito deve essere inserito un
V generatore che genera una difA ferenza di potenziale pari al pogeneratore tenziale di arresto dell’elettrodo. L’anodo di una fotocellula, che ha una frequenza di soglia νmin pari a 4,8 1014 Hz, viene colpito da luce di frequenza 6,5 1014 Hz e nel circuito ad esso collegato si misura una corrente elettrica. Qual è il valore della differenza di potenziale che bisogna applicare tra gli elettrodi affinché sia impedito il passaggio di corrente? SOLUZIONE Affinché la corrente sia nulla, è necessario che l’energia massima degli elettroni che fuoriescono dal metallo sia uguale e opposta all’energia associata al potenziale di arresto, che dalla formula (2.14) è pari a eΔV0. La formula (10.6) diventa pertanto:
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LA FISICA QUANTISTICA
eΔV0 h (ν νmin) da cui
DOMANDA In quale regione dello spettro elettromagnetico si trova la frequenza di soglia della fotocellula? La soluzione proposta da Einstein impiegò circa vent’anni per essere accettata come una realtà fisica effettiva, perché in effetti risolveva la questione dell’effetto fotoelettrico ma creava una moltitudine di problemi concettuali a quanti vedevano nelle rappresentazioni e nelle modalità della fisica classica la chiave di lettura universale della natura.
4 Figura 11. Il modello atomico di J.J. Thomson, talvolta detto a panettone, prevede una carica positiva diffusa uniformemente all’interno di un volume nel quale sono disseminate le cariche negative.
GLI ATOMI, GRANULI DI MATERIA
Proprio negli anni in cui Einstein proponeva una teoria corpuscolare della luce, si strutturava la teoria corpuscolare della materia. L’atomismo si andava via via affermando: nel 1902 J.J. Thomson, che qualche anno prima aveva «scoperto» l’elettrone, propose un modello atomico in cui le particelle cariche negativamente (gli elettroni), erano immerse in un volume di carica positiva distribuita uniformemente (figura 11). Nel 1911 Ernest Rutherford (1871-1937) realizzò un importantissimo esperimento, nel quale indagò la struttura dell’atomo investendolo con particelle cariche e studiando ciò che emergeva dagli urti. Bombardò una sottilissima lamina d’oro con particelle cariche positivamente (nuclei di elio, chiamati allora particelle alfa) e osservò che (figura 12) s la maggior parte di esse attraversava indisturbata lo strato materiale; s alcune di esse subivano piccole deviazioni dalla traiettoria iniziale; s pochissime venivano respinte, come se avessero colpito un ostacolo. fascio di particelle
Figura 12. Apparato di Rutherford per lo studio della struttura atomica. Lo schermo raccoglie informazioni sulle traiettorie delle particelle che investono la lamina d’oro, le quali possono attraversarla o venirne respinte.
particelle respinte particelle deviate lamina sottile d’oro
sorgente di particelle
schermo fluorescente di metallo
la maggior parte delle particelle non devia
Dai risultati dell’esperimento, Rutherford concluse che la carica positiva all’interno degli atomi era concentrata in un volume piccolissimo rispetto
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LA FISICA QUANTISTICA
alle dimensioni degli atomi stessi. Le particelle alfa che venivano respinte, e che quindi avevano urtato contro un oggetto carico positivamente, erano infatti poche rispetto a quelle che subivano piccole deviazioni, ed erano ancora di meno rispetto a quelle che procedevano indisturbate. Il modello atomico che propose Rutherford prevedeva quindi l’esistenza di una parte centrale carica positivamente, detta nucleo, intorno alla quale ruotavano gli elettroni, come pianeti intorno a una stella (figura 13). Rutherford ebbe il merito di aver scoperto che gli atomi possiedono una parte centrale, dotata di carica positiva, molto più piccola delle dimensioni dell’atomo stesso: il nucleo.
Problemi dell’atomo classico Il modello atomico di Rutherford, conosciuto come modello classico dell’atomo, presentava un problema importante. Secondo la teoria classica dell’elettromagnetismo, un elettrone che ruota intorno al nucleo dovrebbe comportarsi come una sorgente oscillante di onde elettromagnetiche, cioè dovrebbe irraggiare tutto intorno energia come un’antenna. Irraggiando, dovrebbe perdere energia e quindi descrivere una traiettoria a spirale che converge sul nucleo il quale, essendo carico positivamente, lo attira a sé con una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Tutto ciò non accade e il modello non riesce a spiegare perché gli elettroni ruotano stabilmente intorno al nucleo senza perdere energia (figura 14). Secondo le leggi dell’elettromagnetismo classico un elettrone non può ruotare stabilmente intorno al nucleo senza perdere energia. Un altro problema riguardava le dimensioni degli atomi, che appaiono ben definite, mentre secondo il modello gli elettroni possono ruotare intorno al nucleo a qualsiasi distanza, determinando dimensioni diverse per atomi diversi.
10
Figura 13. Il modello atomico di Rutherford assomigliava a un sistema planetario nel quale il nucleo, carico positivamente, aveva il ruolo della stella e gli elettroni si comportano come i pianeti che le ruotano intorno.
elettrone carico negativamente
nucleo carico positivamente
Figura 14. Se un elettrone ruotasse intorno al nucleo dovrebbe perdere energia emettendo onde elettromagnetiche e descrivendo una traiettoria a spirale che convergerebbe sul nucleo.
Nel 1913 lo scienziato danese Niels Bohr (1885-1962) propose un modello, definito semiclassico, in cui gli elettroni erano in qualche modo vincolati a muoversi a distanze ben precise dal nucleo, come se si trovassero su una sorta di «gradini energetici». Egli propose che la distanza tra i gradini fosse «quantizzata» esattamente come l’energia del campo elettromagnetico, in modo tale che la distanza tra livelli consecutivi fosse una quantità definita: (10.7)
In altre parole, il modello di Bohr spiega la stabilità degli atomi imponendo una condizione di quantizzazione spaziale, secondo la quale le orbite degli elettroni intorno al nucleo sono stabili solo per determinate distanze da esso, che corrispondono a quantità di energia fissate. In tali condizioni gli atomi non irraggiano e, inoltre, è riprodotta la regolarità delle dimensioni
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Soluzioni sempre più ardite
ΔE hν
nucleo
elettroni
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LA FISICA QUANTISTICA
atomiche. Analizziamo per esempio l’atomo di idrogeno, formato da un unico elettrone. La condizione di quantizzazione proposta da Bohr per selezionare le orbite stabili è data da una relazione che lega il momento angolare Ln dell’elettrone al raggio r n dell’orbita. Il momento angolare L, che secondo le regole della fisica classica può assumere un valore qualunque, nel modello atomico di Bohr può essere solamente multiplo di quantità intere. Il momento angolare di un elettrone può avere soltanto valori discreti, cioè multipli di quantità intere. Il momento angolare è dato da L n p nr n m ev nr n dove pn è la quantità di moto dell’elettrone, pari al prodotto della sua massa me e della sua velocità vn; r n è il raggio della sua orbita circolare e la sua condizione di quantizzazione è espressa da Ln
nh 2π
(10.8)
dove n è detto numero quantico principale. La prima orbita stabile corrisponde a n 1, la seconda a n 2 e così via. Elaborando il modello si ottiene una relazione per trovare il raggio r n delle orbite permesse per l’atomo di idrogeno in funzione del numero quantico principale: r n Kn2 dove K è una costante che per l’atomo di idrogeno vale 5,3 10–11 m e corrisponde al raggio del livello energetico più basso, corrispondente a n 1. Cioè (10.9) rn (5,3 10–11 m)n2
Gli spettri atomici Il modello atomico di Bohr non solo spiegava la stabilità degli atomi, ma era in grado di spiegare per via teorica gli spettri di emissione e di assorbimento, difficili da giustificare con la fisica classica. Secondo tale modello, infatti, gli elettroni non possono spostarsi con continuità intorno al nucleo, ma possono solamente «saltare» da un livello all’altro assorbendo o mettendo una quantità di energia (un fotone) pari al dislivello, data dalla condizione (10.7). Pertanto, se un gas di atomi di un certo tipo viene investito con luce bianca, contenente quindi tutte le frequenze, i suoi elettroni assorbiranno solamente quelle che consentiranno loro il «salto» su livelli successivi (figura 15a). In corrispondenza di tali frequenze lo spettro di assorbimento avrà delle righe nere. Le righe dello spettro di emissione sono dovute al processo opposto: quando gli elettroni che si trovano su livelli energetici più elevati «saltano» su livelli inferiori ed emettono energia sotto forma di fotoni, i quali trasportano una quantità di energia pari al dislivello energetico (figura 15b).
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LA FISICA QUANTISTICA
n3 n2
n1
n3
n2
n1
a
b
A partire dalla condizione di quantizzazione (10.8) si può dimostrare che l’energia associata all’orbita n attraverso l’inverso del quadrato di n: En = −
K′ n2
10 Figura 15. a. Un elettrone passa su un’orbita superiore quando riceve energia pari al dislivello energetico tra l’orbita di partenza e quella finale, corrispondente a una determinata frequenza della radiazione incidente. b. Quando un elettrone che si trova su un’orbita passa a un’orbita inferiore emette energia, pari al dislivello energetico fra le orbite, sotto forma di radiazione.
dove K è una costante che per l’atomo di idrogeno vale 13,6 eV e corrisponde all’energia del livello energetico più basso detto livello fondamentale, corrispondente a n 1. En = −
13, 6 eV n2
(10.10)
Il numero quantico principale n determina l’energia associata all’orbita di raggio rn.
ESEMPIO f Di quale colore è la riga dello spettro dell’idrogeno che corrisponde al passaggio di un elettrone dal livello eccitato n 3 al livello n 2? SOLUZIONE Dalla formula (10.10) abbiamo E2 = −
13, 6 eV = − 3, 40 eV 22
E3 = −
13, 6 eV = − 1, 51 eV 32
Nel passaggio dell’elettrone dal livello n 3 al livello n 2 viene emessa un’energia ΔE pari a ΔE E3 E2 1,51 eV 3,40 eV 1,89 eV che, ricordando che 1 eV 1,6022 10–19 J, diventa ΔE 1,89 1,6022 10–19 J 3,03 10–19 J La frequenza ν della radiazione corrispondente si ricava dalla formula (10.7):
ν=
ΔE 3, 03 × 10−19 J = = 4, 57 × 1014 Hz h 6, 626 × 10−34 J ⋅ s
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LA FISICA QUANTISTICA
Tale frequenza corrisponde al colore rosso, pertanto la riga rossa dello spettro dell’idrogeno è dovuta al passaggio degli elettroni tra i livelli n 3 e n 2. DOMANDA Qual è la frequenza della radiazione emessa in seguito al passaggio di un elettrone dal livello n 2 al livello n 1? A quale regione dello spettro elettromagnetico corrisponde tale frequenza?
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Figura 16. La fisica classica prevede con certezza di principio la traiettoria di un pallone lanciato con determinate condizioni iniziali. Che cosa si può dire del moto di un elettrone?
DALLA TEORIA DEI QUANTI ALLA FISICA QUANTISTICA
Il modello atomico di Bohr è in genere detto semiclassico, perché nonostante preveda una condizione di quantizzazione, per la quale sono permesse solamente determinate orbite e il passaggio degli elettroni dall’una all’altra avviene mediante una sorta di «salto», il moto lungo esse segue le regole della meccanica classica. Bohr stesso considerava tale modello transitorio e non pienamente soddisfacente: era in grado di riprodurre diversi fenomeni altrimenti inspiegabili, ma presentava a sua volta interrogativi di difficile risoluzione. Per esempio, come faceva un elettrone a «decidere» su quale orbita saltare? Che cosa causava il passaggio tra un livello energetico all’altro? In particolare, quando un elettrone si trova a un determinato un livello energetico perché a un certo punto emette un fotone e si porta a un livello inferiore? E poi: quale dei livelli inferiori «sceglie»? Con quale criterio? Il nodo concettuale era notevole. Fino ad allora la fisica classica aveva prospettato ai fisici previsioni certe, il cui margine di incertezza era legato eventualmente a limiti sperimentali, mentre ora sembrava non fosse più possibile determinare con una legge matematica alcun fenomeno. Calcoli balistici rendevano possibi? le determinare con assoluta certezza (almeno in linea di principio) la traiettoria di un pallone ? lanciato con una certa velocità iniziale, ma non n3 ? sembrava esistere una formula analoga per den2 terminare la traiettoria di un elettrone che salta n1 da un’orbita all’altra (figura 16).
Il nuovo ruolo della probabilità La comunità dei fisici fu travolta da problematiche del tutto nuove, che richiedevano la costruzione di un nuovo modo di pensare, drammaticamente diverso da quello della fisica classica. Una delle grandi novità rispetto ai
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LA FISICA QUANTISTICA
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modelli passati è l’introduzione della probabilità come fondamento: se fino ad allora gli enunciati probabilistici erano stati usati, per esempio, nel caso di sistemi con moltissime particelle, in cui non è possibile applicare le leggi della meccanica per determinare il moto di ogni singola particella proprio a causa del numero così elevato di particelle, la nuova fisica quantistica assume la probabilità a principio fondamentale. Secondo tale interpretazione i processi microscopici non sono spiegabili con le regole della fisica classica, non perché non si conoscono tutti i dati possibili, ma perché è intrinsecamente impossibile conoscerli. Non è possibile prevedere con certezza la storia di un elettrone istante per istante con una legge del moto di tipo classico, perché nessuna legge deterministica è in grado di farlo, cioè le leggi della fisica quantistica non sono deterministiche. Per cominciare, nel 1917 Einstein propose un’interpretazione probabilistica dell’emissione di radiazione da parte degli atomi. Schematizziamo un atomo (per esempio di idrogeno) con due livelli energetici rappresentati da due righe parallele: una per il livello fondamentale E0, posta più in basso, e una per il livello eccitato E1, posta più in alto. Il numero di elettroni che occupano i due livelli dipende dalla temperatura del sistema macroscopico, cioè dalla sua energia interna che è distribuita statisticamente sulla totalità degli atomi, per cui ci saranno un certo numero di atomi con gli elettroni nel livello fondamentale e un certo numero di atomi con gli elettroni nel livello eccitato (figura 17).
n1
n0
E1
E0
Il passaggio di un elettrone dal livello fondamentale a quello eccitato può avvenire solamente per assorbimento di energia, quindi in seguito a uno stimolo ben preciso, per esempio un fotone che trasporta energia pari al dislivello energetico tra lo stato fondamentale e lo stato eccitato. Il passaggio inverso, da E1 a E0, comporta emissione di energia e può avvenire per mezzo di uno stimolo (emissione stimolata), ma anche spontaneamente (emissione spontanea) e la legge che descrive tale processo è di tipo statistico. La spiegazione dell’emissione di fotoni da parte degli atomi in termini statistici lascia ancora spazio a presunte regole deterministiche sottostanti, ma è comunque un passo importante verso la nuova fisica, nella quale la probabilità non è uno strumento per trattare sistemi formati da molte particelle, ma la regola fondamentale per lo studio di ogni singolo atomo, di ogni singola particella. Intorno al 1920 il terreno era fecondo e nel giro di pochi anni, in tre diverse parti del mondo, furono elaborate ben 3 teorie quantistiche formalmente diverse, ma fisicamente equivalenti, facenti capo ai nomi di Werner Heisenberg (1901-1976), Paul Adrien Maurice Dirac (1902-1984) e Erwin Schrödinger (1887-1961). Più avanti tracceremo alcuni tratti di quest’ultima teoria, che presenta caratteristiche più concrete, rispetto alle altre due che invece richiedono livelli di astrazione e formalizzazione non facilmente aggirabili.
Figura 17. Schematizzando ciascun atomo come un sistema a due livelli, a seconda della temperatura del sistema macroscopico, si avrà un certo numero di atomi n0 con gli elettroni nel livello fondamentale e un certo numero di atomi n1 con gli elettroni nel livello eccitato.
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LA FISICA QUANTISTICA
La lunghezza d’onda della materia Un passo significativo verso la nuova fisica quantistica fu fatto a opera del francese Louis de Broglie (1892-1987). Egli rifletté sul bizzarro comportamento della luce, che sembrava a volte comportarsi come un’onda, mostrando figure di interferenza, e a volte come una particella, urtando come una biglia contro gli elettroni di un metallo. Osservò a tal proposito che, se studiamo la luce dal punto di vista ondulatorio considerando distanze molto grandi rispetto alla sua lunghezza d’onda, possiamo utilizzare l’approssimazione dell’ottica geometrica in cui si trattano i «raggi» di luce come se fossero vere e proprie traiettorie di un corpuscolo, che segue le leggi della meccanica. De Broglie si chiese se un simile approccio potesse essere esteso, per «simmetria», anche alla materia, cioè si chiese se fosse possibile costruire una meccanica ondulatoria che stesse alla meccanica ordinaria così come l’ottica fisica sta all’ottica geometrica. Ovvero, osservando le analogie tra ottica geometrica e leggi della meccanica, si chiese se non esistesse anche un’analogia simmetrica tra l’ottica fisica ondulatoria e una meccanica ondulatoria. Associò quindi una lunghezza d’onda alle particelle materiali, attraverso la costante di Planck h e la quantità di moto p della particella stessa: λ
h p
(10.11)
Questa grandezza fisica è la cosiddetta lunghezza d’onda di de Broglie di una particella che ha quantità di moto p. Le particelle macroscopiche, che nelle unità del SI hanno quantità di moto piccole rispetto al corrispondente valore di h, hanno lunghezze d’onda di de Broglie molto piccole e quindi si comportano come un fotone «visto da lontano», cioè seguono traiettorie classiche. Tutto cambia, e gli effetti ondulatori diventano evidenti, a livello microscopico, dove il rapporto tra h e la quantità di moto può fornire valori finiti. Per esempio, facendo riferimento alla formula (10.8) un elettrone intorno a un nucleo di un atomo di idrogeno ha una quantità di moto definita per ogni livello n dalla relazione pn
nh 2π rn
corrispondente a una lunghezza d’onda di de Broglie pari a λn
Figura 18. Le orbite degli elettroni intorno al nucleo vengono viste come modi normali di onde stazionarie.
n6
r1
2π rn n
che per n 1 è pari alla lunghezza della circonferenza di raggio r1 e al crescere di n è pari a una sua frazione intera, cioè definisce un’onda stazionaria che «si richiude» intorno al nucleo. Come se le orbite stabili degli elettroni intorno al nucleo fossero i modi normali di oscillazione, che abbiamo visto nel capitolo «Le onde» a proposito di sistemi che oscillano con determinati vincoli (figura 18).
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LA FISICA QUANTISTICA
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La diffrazione degli elettroni
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A partire dal 1927 furono condotti una serie di esperimenti che verificarono quantitativamente il modello ondulatorio della materia di de Broglie. Bombardando un materiale cristallino con elettroni si rilevava infatti una figura di diffrazione del tutto simile a quella dei raggi X, cioè analoga a quella di un’onda elettromagnetica (figura 19). Cioè in opportune condizioni gli elettroni si comportano come onde, che investono un reticolo cristallino e al di la di esso si sovrappongono, mostrando interferenza costruttiva o distruttiva a seconda che siano in fase o in opposizione di fase in un determinato punto dello spazio (vedi il capitolo «Le onde»).
6
Figura 19. Confronto tra figure di diffrazione di raggi X (a sinistra) e di elettroni (a destra) che attraversano lo stesso materiale.
L’AMPIEZZA DI PROBABILITÀ
Erwin Schrödinger lavorò alla nuova fisica partendo dalle idee di de Broglie, sviluppandole in una vera e propria teoria ondulatoria della materia. Essa è una teoria quantistica, che si discosta dalla vecchia teoria dei quanti ed elimina qualsiasi forma di determinismo sin dalle fondamenta stesse della realtà. Come abbiamo accennato nel paragrafo 5, essa è equivalente ad altre due formulazioni di carattere meno intuitivo e pertanto la descriveremo come rappresentante della teoria quantistica in generale. Secondo questa teoria le onde di materia sono oscillazioni di una grandezza fisica del tutto nuova, nella definizione e nella concezione, detta ampiezza di probabilità. L’ampiezza di probabilità è espressa dal punto di vista matematico dalla cosiddetta funzione d’onda ψ, alla quale è associato un valore per ogni punto dello spazio, per ogni istante di tempo. Il significato fisico della funzione d’onda è poco intuitivo, perché è espresso in termini di probabilità, concetto estraneo alla fisica classica per la quale la localizzazione di un corpo nello spazio è determinata dalle sue coordinate. In questo caso, invece ogni «certezza» viene meno e la funzione d’onda ci fornisce la probabilità di trovare la particella in un luogo o in un altro. E precisamente: nei punti in cui ψ vale zero la probabilità di trovarvi la particella è nulla, e nei punti in cui è diversa da zero, la probabilità di trovarvi la particella è proporzionale al suo modulo al quadrato. La probabilità di osservare una particella in un punto dello spazio è proporzionale al modulo quadrato della funzione d’onda ψ. La funzione d’onda oscilla nello spazio fornendo punto per punto una probabilità in generale diversa. Se la rappresentazione classica di un corpo
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Figura 20. Nella rappresentazione classica del moto di un corpo, che possiamo usare nel caso macroscopico, punto per punto sono definite la sua posizione e la sua quantità di moto. Nella rappresentazione quantistica alla posizione di un corpo è associata una funzione d’onda con la quale possiamo determinare la probabilità di trovarlo in un punto piuttosto che in un altro.
Figura 21. a. Quando la sua quantità di moto è determinata, la probabilità di trovare la funzione d’onda oscilla con ampiezza non nulla in tutti i punti dello spazio. b. Definendo maggiormente la posizione della particella si perdono informazioni sulla quantità di moto. c. Una posizione determinata con probabilità al 100% comporta la perdita di informazione sulla quantità di moto.
LA FISICA QUANTISTICA
puntiforme che si muove lungo la direzione x è un punto a cui è associata ¤ una coordinata x e una quantità di moto p , la rappresentazione quantistica perde definizione, sfuma, e nello spazio risulta definita solamente l’ampiezza di probabilità che oscilla come un’onda punto per punto all’interno di un intervallo Δx (figura 20). (x)
x →
P' x'
0
x
rappresentazione del moto di una particella macroscopica nella meccanica classica
x funzione d’onda di una particella microscopica nella meccanica quantistica
Quindi, secondo la fisica quantistica non possiamo dire con esattezza quale sia la posizione di una particella, ma solamente quale sia la probabilità di trovarla in un certo punto all’interno di un intervallo in cui la funzione d’onda è diversa da zero. La probabilità è maggiore dove l’ampiezza della funzione d’onda in valore assoluto è maggiore. Inoltre, dato che la quantità di moto è proporzionale all’inverso della lunghezza d’onda (vedi formula (10.11)), essa è definita solamente se l’onda è periodica su tutto lo spazio e perde definizione stringendo l’intervallo Δx. In altre parole, meglio è definita la quantità di moto di una particella e meno è definita la sua posizione: una quantità di moto determinata da un unico valore corrisponde, infatti, a un intervallo Δx infinito. Viceversa, più la funzione d’onda si stringe intorno a un determinato valore della posizione della particella, più aumenta l’incertezza sulla sua quantità di moto (figura 21).
P è determinata
0
x
0
x
cresce l’indeterminazione su P
0
x
x diminuisce l’indeterminazione su x
x l’indeterminazione su x è massima a
b
c
Il principio di indeterminazione Il fatto sopra descritto mostra che non è possibile definire con precisione assoluta la posizione di una particella quantistica senza perdere definizione della sua quantità di moto e, viceversa, non è possibile conoscere la sua quantità di moto senza perdere definizione sulla sua posizione. Se chiamiamo Δx l’incertezza sulla posizione e Δp l’incertezza sulla quantità di moto, vale la relazione di indeterminazione
Δx ⋅ Δp ≥ dove ?
? 2
h . Diciamo quindi che 2π
284 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
(10.12)
LA FISICA QUANTISTICA
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istante per istante non è possibile conoscere con precisione arbitraria quale sia la posizione e la quantità di moto di una particella. Questa affermazione non dipende da difficoltà sperimentali per le quali è difficile determinare attraverso strumenti di misura i valori puntuali delle grandezze fisiche, ma rappresenta una caratteristica insita nella natura delle particelle stesse ed è pertanto nota anche come principio di indeterminazione. Assumendo per principio l’impossibilità di determinare contemporaneamente con precisione arbitraria posizione e quantità di moto, si sgretola definitivamente il concetto classico di traiettoria: è impossibile descrivere il moto di una particella quantistica, istante per istante, attraverso una coppia di ben determinati valori di posizione e velocità, ma si può solamente parlare dei loro «valori possibili» e della probabilità che vengano misurati in un certo punto dello spazio.
Il principio di complementarità Quando diciamo «particella» pensiamo in genere a qualcosa di ben localizzato nello spazio. Con la fisica quantistica questo non è più possibile e il concetto di «particella» si modifica radicalmente. Vediamo, per esempio, che un fotone o un elettrone, a volte si comportano come se fossero «palline» localizzate, me in altri casi si comportano come onde che oscillano in tutti i punti dello spazio. Ciò fa parlare di dualismo onda-corpuscolo, a indicare la doppia natura delle particelle quantistiche, che si manifesta a seconda dei casi. Le particelle quantistiche sono infatti onda e corpuscolo nello stesso tempo, ma di volta in volta possiamo osservare le caratteristiche dell’una oppure le caratteristiche dell’altro. Vale pertanto un principio di complementarità, per il quale il comportamento corpuscolare e quello ondulatorio di una particella quantistica si escludono a vicenda e non si manifestano mai insieme nella stessa situazione sperimentale. Questo vuol dire che se un esperimento permette di osservare il comportamento ondulatorio di una particella quantistica, non si può al tempo stesso osservare il suo comportamento corpuscolare.
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LE REGOLE DEL GIOCO: IL PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE
La fisica quantistica sembra avere per oggetto strani enti che hanno poco a che fare con la realtà. In effetti si tratta di una realtà molto lontana dall’esperienza quotidiana, che ne rende la comprensione piuttosto difficile. Il determinismo della fisica classica è senz’altro più familiare, consente verifiche dirette ed è ben radicato nel nostro modo di pensare. La fisica quantistica sovverte la familiare logica, per la quale tertium non datur: un’affermazione è vera o è falsa e non vi è una terza possibilità.
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LA FISICA QUANTISTICA
Infatti la natura stessa delle particelle quantistiche impedisce di distinguere con certezza tra le due opzioni «è lì» e «non è lì»: la posizione è una grandezza fisica indeterminata per sua stessa natura. Questo ci impedisce di disegnare la traiettoria di un elettrone e ci costringe a immaginare un mondo «assurdo» secondo il senso comune, dove la casualità diventa un principio. Tutti hanno difficoltà ad accettare tale rappresentazione ed ebbero difficoltà gli stessi fisici che, nei primi trent’anni del XX secolo, hanno costruito la fisica quantistica. Lo stesso Einstein, che tanto fece per la sua affermazione, espresse le sue perplessità circa l’interpretazione probabilistica della meccanica quantistica in una celebre frase, parafrasata in Dio non gioca a dadi. A volte conviene rinunciare a «capire» e imparare le cosiddette «regole del gioco», che nel caso della fisica quantistica consistono nell’utilizzare il principio di sovrapposizione, che abbiamo già incontrato nel capitolo «Le onde», per la funzione d’onda. Esso afferma che quando due o più onde incidono contemporaneamente in un punto dello spazio le loro ampiezze si sommano algebricamente: la stessa cosa accade alle funzioni d’onda. Se immaginiamo le funzioni d’onda come onde stazionarie, il principio di sovrapposizione ci consente di scomporle nella somma di modi normali di oscillazione (figura 22). modi normali 0 1 2
0 Figura 22. Un’onda stazionaria qualsiasi su una corda vincolata ai due estremi può essere considerata la sovrapposizione più modi normali di oscillazione.
1 3
0 1 4
0 0 0 0
1 5 1 6 1 7
艎
I
艎
II
艎
III
艎
IV
艎
V
艎
VI
艎
VII
Dal punto di vista fisico la funzione d’onda rappresenta uno stato quantistico, cioè un insieme di grandezze fisiche che definiscono il sistema studiato, e i suoi modi normali sono detti autostati. Il principio di sovrapposizione si traduce dicendo che il generico stato quantistico ψ di un sistema è, istante per istante, dato dalla sovrapposizione di più autostati ψ1, ψ2, ..., secondo la relazione ψ c1ψ1 c2ψ2 ...
(10.13)
Come esempio del principio di sovrapposizione per gli stati quantistici, rivisitiamo l’esperimento della doppia fenditura di Young per mostrare il comportamento ondulatorio della luce attraverso la formazione della figura di interferenza. Analizziamo ora l’esperimento usando la rappresentazione quantistica della luce. Pensando ai fotoni come alle più piccole particelle di luce, immaginiamo una debole sorgente, che invii un fotone alla volta verso le fenditure. Se
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LA FISICA QUANTISTICA
essi fossero particelle classiche, avrebbero due sole possibilità per raggiungere lo schermo: o passare dalla fenditura A o passare dalla fenditura B. In tal caso sullo schermo dovremmo vedere una macchia luminosa, cosa che invece sappiamo non accadere. Sappiamo, infatti, che sullo schermo si forma una figura di interferenza e la luce raggiunge anche zone in ombra rispetto alle due fenditure (figura 23).
A' A S B B' figura di interferenza
I fotoni, infatti, non sono particelle classiche e non hanno una traiettoria determinata. Nella rappresentazione quantistica del fenomeno il passaggio di un fotone per la fenditura A e il passaggio del fotone per la fenditura B sono due autostati, rappresentati dalle funzioni d’onda ψA e ψB, mentre un generico stato ψ per il quale il fotone parte dalla sorgente e arriva sullo schermo, è dato dalla loro sovrapposizione:
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Figura 23. Secondo la rappresentazione classica del moto dei corpi, un fotone può raggiungere lo schermo o passando attraverso A o passando attraverso B, e sullo schermo si formerebbe una macchia luminosa in A o in B. Sappiamo, invece, che al di là delle fenditure si forma una figura di interferenza e la luce si distribuisce sullo schermo secondo frange chiare e scure, che si estendono su una regione ampia dello schermo.
ψ c Aψ A c Bψ B Cioè secondo la rappresentazione quantistica non è possibile dire attraverso quale fenditura il singolo fotone passi, ma solamente quale sia la probabilità che passi per A e quale quella che passi per B. Di fatto, quindi, anche un singolo fotone mostra sullo schermo, al di là delle fenditure, una figura di interferenza, raggiungendo punti dello schermo altrimenti non raggiungibili (figura 24): è come se esso interferisse con se stesso, trovandosi istante per istante in una sovrapposizione dei due autostati. Abbiamo visto quindi che il principio di sovrapposizione contiene la rappresentazione della luce come onda elettromagnetica; vediamo ora che contiene anche quella corpuscolare. Se infatti abbiniamo a ciascuna fenditura un rivelatore di luce, che consenta di contare il numero di fotoni che passano attraverso l’una o l’altra, allora essi passano davvero attraverso l’una o l’altra, e sullo schermo appaiono due macchie A e B come si vede nella figura 23. cA A cB B
cA A cB B
A S
0
B
Figura 24. Il singolo fotone non segue traiettorie classiche dalla sorgente allo schermo, ma istante per istante il suo stato è dato dalla sovrapposizione dei due autostati ed è come se interferisse con se stesso, raggiungendo punti dello schermo altrimenti in ombra.
In termini di funzioni d’onda, osservare con il rivelatore il passaggio di un fotone attraverso la fenditura A, lo fa «cadere» nell’autostato ψA; mentre osservare il passaggio di un fotone attraverso la fenditura B, lo fa «cadere» nell’autostato ψB (figura 25 a pagina seguente). Cioè, nel momento in cui si effettua una misura della posizione del fotone, esso «si fa trovare» in uno
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degli autostati e la probabilità di ciascuno dipende dal rispettivo coefficiente cA o cB. Sullo schermo scompare la figura di interferenza, perché in tal caso lo stato del fotone che passa attraverso l’una o l’altra fenditura è determinato con probabilità del 100%. Figura 25. Se individuiamo il passaggio dei fotoni attraverso A o attraverso B sullo schermo si formano due macchie nelle posizioni A e B, e non si ha più interferenza.
cA A cB B A A
A'
B B
B'
S
Il gatto di Schrödinger
Figura 26. In questa illustrazione di John Tenniel per Alice nel paese delle meraviglie (1865) è rappresentato uno strano gatto che c’è e non c’è allo stesso tempo. «È la cosa più strana che mi sia capitata», dice Alice a se stessa quando il gatto scompare a partire dalla coda, lasciando il suo ghigno fluttuante su un ramo.
Figura 27. Finché la scatola resta chiusa lo stato del gatto è una sovrapposizione dei due autostati «gatto vivo» e «gatto morto».
Nel celeberrimo Alice nel paese delle meraviglie, lo scrittore britannico Lewis Carroll (1832-1898) ci fa incontrare uno strano gatto, che c’è e non c’è allo stesso tempo, materializzandosi su un ramo a suo piacimento: «Curioso! Ho veduto spesso un gatto senza ghigno, ma mai un ghigno senza gatto. È la cosa più strana che mi sia capitata!», dice la protagonista quando il felino decide di scomparire lentamente dalla punta della coda, lasciando che il «ghigno» rimanga sul ramo dopo che il resto si sia dileguato (figura 26). Un comportamento decisamente «strano» secondo gli schemi usuali del ragionamento classico, ma perfettamente «normale» secondo la fisica quantistica. Nel 1935, settanta anni dopo la pubblicazione di Alice nel paese delle meraviglie, un gatto è stato scelto come protagonista di uno dei più divulgati esperimenti concettuali della fisica quantistica. Il cosiddetto gatto di Schrödinger, mostra allo stesso tempo il ruolo della probabilità e della misurazione di una grandezza osservabile nella nuova teoria e le paradossali conclusioni a cui si giunge quando si applica alla realtà macroscopica. Un gatto viene messo in una scatola, chiusa su tutti i lati, in presenza di un atomo radioattivo e di una fiala di veleno. Un atomo radioattivo è un atomo instabile nel cui nucleo avvengono trasformazioni che liberano energia e modificano il nucleo stesso. La radioatgatto morto gatto vivo tività verrà affrontata nel dettaglio nel capitolo «La materia», qui ci basta sapere che si tratta di un fenomeno che avviene casualmente e comporta l’emissione di elevate quantità di energia. L’atomo ha una certa probabilità di decadere e, nel momento in cui lo fa ed emette la radiazione, un marchingegno rompe la fiala e il gatto muore avvelenato. Nella stato rappresentazione quantistica abbiamo a generico che fare con un sistema a due autostati,
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uno corrispondente al gatto vivo e uno al gatto morto: fintanto che la scatola rimane chiusa, il generico stato del gatto è dato dalla sovrapposizione di entrambi (figura 27). Secondo la logica comune, a scatola chiusa, il gatto può essere vivo oppure morto (tertium non datur), a seconda che l’atomo sia decaduto o meno, mentre nella fisica quantistica non è né morto né vivo fintanto che qualcuno non apra la scatola ed effettui un’osservazione. Nel frattempo, cioè fintanto che la scatola resta chiusa, il gatto quantistico si trova in uno stato generico, dato dalla sovrapposizione dei due autostati: ψgatto c1ψgatto vivo c2ψgatto morto Vivo o morto, quindi? Né l’uno, né stato generico l’altro, ma entrambi. Una situazione decisamente paradossale, che dimostra la difficoltà di spingere osservazione osservazione le regole della meccanica quantistica nel mondo macroscopico del quale abbiamo esperienza: la fisica quantistica ha poco a che fare con la nostra esperienza e il senso comune. Quest’ultimo torna a funzionare quando apriamo la scatola, gatto morto gatto vivo cioè quando effettuiamo un’osservazione e lo stato del gatto «cade» in uno dei due autostati. Possiamo infatti trovare un gatto vivo, oppure un gatto morto: tertium non datur (figura 28). L’esperimento concettuale mette in evidenza anche un’altra importante difficoltà: dal momento che prima della misura il gatto non è né vivo né morto, allora possiamo dire che in tale situazione il gatto «non è», cioè non ha un’esistenza ben definita. Solo vedere il gatto o sentire il suo miagolio o ricevere una qualunque prova della sua condizione, cioè solo una misura effettuata sul sistema, ci consente di renderlo «reale». La fisica quantistica, insomma, mette in subbuglio le stesse strutture fondamentali dell’essere.
Figura 28. Una misura fa «cadere» il sistema in uno dei due autostati. In tal caso il fatto che il gatto sia vivo esclude il fatto che il gatto sia morto.
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LA FISICA QUANTISTICA
FILOSOFIA
Io esisto, penso, provo dolore: tutto ciò è altrettanto certo quanto una verità geometrica? Si. E perché? Perché queste verità sono provate in virtù del principio che una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo. Io non posso nello stesso tempo esistere e non esistere, sentire e non sentire. La certezza fisica della mia esistenza, di pensare e di sentire, e la certezza matematica, hanno dunque lo stesso valore, benché siano di ordine differente.
Francois-Marie Arouet, più noto con il nome di Voltaire (1694-1778).
(Voltaire, Dizionario filosofico (1764), Einaudi, Torino 1955) Nell’Illuminismo domina un’estrema fiducia nel determinismo e nel fatto che la ragione umana possa appropriarsi completamente della conoscenza della natura, attraverso una matematica che non lascia nulla al caso. Che non si possa esistere e non esistere allo stesso tempo è una certezza matematica e non c’è spazio per altre eventualità. Nel XVIII secolo, il «secolo dei Lumi», trionfa la fisica newtoniana, capace di prevedere, almeno in linea di principio, presente, passato e futuro di qualsiasi sistema meccanico del quale si conoscano posizione, velocità, accelerazione. Ricordiamo che lo stesso Voltaire (1694-1778) curò la pubblicazione postuma della traduzione in francese dei Principia di Newton, eseguita dalla colta e brillante nobildonna Émilie du Châtelet con la quale aveva una relazione. Da illuminista, Voltaire era a favore della diffusione del sapere scientifico, come ingrediente fondamentale per il bene dell’uomo e della società, che l’ostico latino newtoniano rendeva difficoltosa.
George McCarthy/naturepl.com
Tertium non datur
A Madame du Châtelet (1706-1749) è dovuta la prima e unica traduzione in francese dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Newton.
Nemmeno due secoli dopo, tali certezze erano destinate a crollare sotto i colpi della casualità, e la celebrata «verità geometrica» cambiava radicalmente significato. La fisica quantistica, infatti, demolisce il determinismo classico introducendo il concetto di probabilità nelle stesse fondamenta della fisica, e la teoria della relatività ci proietta in uno spazio a 4 dimensioni che facciamo fatica a immaginare, così come facevano fatica gli abitanti delle bidimensionale Flatlandia (vedi la scheda «Flatlandia» nel capitolo «I vettori») a immaginare la terza dimensione. Nel 1764, anno della pubblicazione del Dizionario filosofico, Voltaire ignorava che potesse essere concepito un «gatto quantistico», capace di contravvenire alle regole della logica classica e quindi di esistere e non esistere contemporaneamente all’interno di una scatola. Ignorava che le rassicuranti leggi della meccanica newtoniana non fossero valide per i più piccoli granuli di materia: gli elettroni, per esempio, non ci consentono di definire una loro traiettoria, con posizione e velocità determinate istante per istante, ma solo un’ampiezza di probabilità, cioè una funzione che fornisce la probabilità di trovare la particella in un punto piuttosto che in un altro. Maurits Cornelis Escher si prende gioco delle nostre certezze incrollabili, proponendo una nuova geometria e una nuova logica. Mescola spesso tra loro concetti opposti, come esterno e interno, positivo e negativo, alto e basso, bianco e nero e, in questo caso, Concavo e convesso (1955).
DOMANDA Il nostro senso comune è molto vicino a quello di Voltaire, perché in effetti le nostre esperienze si svolgono in uno spazio per il quale possiamo usare, con buona approssimazione, le regole della geometria euclidea e le leggi della meccanica di Newton. Quali sono le condizioni per poter usare tali approssimazioni?
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Dirk Goldhahn
Una nuova geometria e una nuova logica
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LETTERATURA Così è (se vi pare)
Così la misteriosa signora Ponza, dopo essere stata nascosta per tutta la durata della commedia, si presenta a quanti si interrogavano sulla sua vera identità. Il marito, il signor Ponza, sostiene che sia la sua seconda moglie, sposata dopo la morte della prima. Questa morte aveva provocato così tanto dolore alla signora Frola, suocera del signor Ponza, che è impazzita, non riuscendo a farsene una ragione: per questo i due coniugi hanno preferito non infrangere la sua illusione nascondendo la vera identità della donna nascosta in casa. La signora Frola, di contro, è assolutamente convinta che quella donna, la signora Ponza, sia sua figlia, tenuta segregata in casa dal marito possessivo. Il signor Ponza, secondo la suocera, è impazzito e si è convinto che la moglie (sua figlia) sia morta: inscenando un secondo matrimonio la donna è tornata accanto al marito, ma questi non l’ha riconosciuta come prima e unica Luigi Pirandello nacque ad Agrigento nel moglie. 1867 e morì a Roma nel 1936. I tre personaggi si sono trasferiti in paese dopo essere scampati a un Nel 1934 ricevette il premio Nobel per la terremoto e nessuno li conosce: un valido motivo di curiosità per i paeletteratura. sani, che si interrogano sulla verità: una verità che Pirandello nega di poter conoscere. Interrogata, la signora Ponza rivela di essere sia la figlia della signora Frola sia la seconda moglie del signor Ponza e, al tempo stesso, di non essere nessuna, ma semplicemente quella che ciascuno è disposto a credere che sia.
George McCarthy/naturepl.com
Il prefetto: «Ah no, per sé, lei, signora: sarà l’una o l’altra!». Signora Ponza: «Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede.» (Luigi Pirandello, Così è (se vi pare), 1919)
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Alcuni studiosi hanno visto nella pirandelliana coesistenza di più individui diversi nello stesso personaggio una somiglianza con la fisica quantistica, in cui la stessa particella-onda può trovarsi contemporaneamente in più stati diversi in virtù del principio di sovrapposizione. La signora Ponza nega di essere l’una o l’altra donna, secondo quanto sostenuto dal signor Ponza o dalla signora Frola, ma l’una e l’altra e contemporaneamente né l’una né l’altra, creando una sorta di bisticcio logico che fa emergere il concetto di verità secondo Pirandello, il quale rifugge da ogni rigido inquadramento classico. Del resto, possiamo univocamente stabilire se l’opera sia una commedia o una tragedia? Le somiglianze a volte confondono, soprattutto quando avvicinano ambiti tanto diversi, ma possono servire a collocare la fisica quantistica nel più ampio panorama culturale dell’epoca in cui si definì e si affermò. La fisica del XX secolo sembra andare in una direzione diversa rispetto al «senso comune» e, se guardiamo le lettere e le arti in generale, possiamo renderci conto che si tratta di una tendenza diffusa. L’arte contemporanea, per esempio, tende a destrutturare le certezze del passato. Tuttavia va ricordato che, nonostante la rivoluzione nell’arte sia avvenuta contemporaneamente a quella che ha investito il mondo della fisica, fra scienziati e artisti non vi furono molti contatti e molte somiglianze, che oggi riconosciamo essere il frutto di una riflessione a posteriori.
Dirk Goldhahn
Una commedia «quantistica»
Nel 1967 Pablo Picasso ha donato alla città di Chicago una scultura che potrebbe essere un cavallo o una chitarra o una donna o un oritteropo o un babbuino, o forse tutte queste cose insieme.
DOMANDA Quando avviciniamo ambiti tanto diversi come la fisica e la letteratura, dobbiamo saper fare le dovute distinzioni. Quali somiglianze e differenze trovi tra la signora Ponza e il gatto di Schrödinger?
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LA FISICA QUANTISTICA
CON GLI OCCHI DI UN FISICO Il gioco dei dadi Antichi passatempi
Attraverso il Medioevo
Il gioco dei dadi mescola la sua storia con il gioco d’azzardo, per il quale si scommettono soldi su un evento di realizzazione non certa. Az-zahr, da cui «azzardo», in arabo è il dado, un piccolo oggetto a forma di poliedro, che si lancia e si lascia rotolare fino a quando non si ferma su una faccia che ne determina il punteggio. I dadi più diffusi hanno forma cubica, con sei facce uguali parallele a due a due, ciascuna con un punteggio diverso, dall’1 al 6. Con tre di questi dadi gli antichi romani giocavano alla zara, scommettendo prima del lancio sul punteggio complessivo dato dalla somma dei tre valori ottenuti. Il gioco d’azzardo era diffuso soprattutto nella Roma imperiale, ma non era ben visto e poteva essere praticato ufficialmente solo durante i Saturnali, feste in onore del dio Saturno. Ancora più antico dei dadi, e ad esso affine, è il gioco degli astràgali, o aliossi, piccole ossa delle zampe di capre e montoni che fungono praticamente da dadi a quattro facce: ciascuna di esse veniva segnata e le era attribuito un certo valore. Probabilmente il gioco degli astragali arrivò dall’Oriente e fu molto diffuso in Grecia e a Roma, come testimoniano numerosi ritrovamenti archeologici. Si tratta di un gioco semplice e longevo: dalle sue lontane e non ben definite origini ha attraversato i millenni ed è giunto a noi. In Italia è sopravvissuto tra i bambini della prima metà del secolo scorso, ma in altre parti del mondo, come in Afghanistan, è ancora in uso.
Il gioco dei dadi non era ben visto nemmeno nel Medioevo. Anzi, era addirittura condannato dalla Chiesa, che vedeva in esso un’errata modalità di affrontare la vita, affidandosi alla fortuna piuttosto che ad azioni consapevoli e mirate a conseguenze ben definite. Nonostante ciò i dadi, e con essi il gioco d’azzardo, prosperarono durante l’epoca medievale: moltissime testimonianze scritte dimostrano che si trattava di pratiche diffusissime in tutte le classi sociali. Una su tutte la testimonianza di Dante, che nel Purgatorio descrive una scena di vita comune: terminato il gioco della zara, il perdente rimane solo nel suo dolore e, ripetendo nuovi lanci dei dadi, cerca di imparare a ottenere risultati migliori: Quando si parte il gioco de la zara, colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo impara (Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, canto VI, versi 1-3) Il povero giocatore descritto da Dante pensava forse di riuscire a determinare il risultato dei dadi con un particolare modalità di lancio o, magari, attraverso un rituale scaramantico: quando il futuro diventa meno prevedibile, è comune affidarsi ad azioni che non hanno alcun legame logico con esso.
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Astragali e scultura in terracotta del IV secolo a.C. che rappresenta due giovani impegnate nel gioco degli astragali.
Il gioco dei dadi in un’illustrazione dal Trattato di aritmetica di Filippo Calandri, Firenze, secolo XV.
PAROLA CHIAVE PAROLA CHIAVE
Probabilità
DOMANDA Il modello di Planck per il corpo nero, che egli stesso definisce un «atto di disperazione», è basato sull’ipotesi di quantizzazione dell’energia e sull’uso della probabilità. Spiega in 10 righe il ruolo della probabilità nel modello di Planck.
Indeterminazione
DOMANDA Secondo la fisica classica, il giocatore descritto da Dante potrebbe, in linea di principio, imparare a lanciare i dadi in modo da far loro compiere delle opportune traiettorie, che gli facciano ottenere il risultato voluto. Perché per un eventuale «dado quantistico» ciò non è possibile, nemmeno in linea di principio?
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LA FISICA QUANTISTICA
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Verso la probabilità
La matematica dei dadi
Il 24 settembre 1501 nacque a Pavia Girolamo Cardano, uno straordinario personaggio del quale ci è pervenuta un’immensa quantità di scritti sui più disparati argomenti, dalla medicina all’alchimia, dall’ingegneria meccanica alla matematica. Tra essi vi è il primo studio conosciuto su questioni di probabilità, intitolato De ludo aleae (il gioco dei dadi). Cardano, non a caso, era un appassionato giocatore e nel gioco dei dadi sperperò diverse fortune: quando si dedicò al suo studio dal punto di vista matematico probabilmente sperava di aumentare le possibilità di vincere. Di fatto, comunque, gettò le basi della moderna teoria della probabilità, fornendo la prima definizione di probabilità di un evento come rapporto tra il numero dei casi in cui si verifica e il numero di tutti i casi possibili. In questo modo la probabilità che da un lancio di un dado non truccato esca il valore 1 (o qualunque altro valore) è 1/6, cioè una faccia (corrispondente all’evento favorevole) su sei facce (il numero totale di facce). Più tardi, intorno al 1612, anche Galileo Galilei si occupò del gioco dei dadi e di probabilità, nelle sue Considerazioni sopra il gioco dei dadi. Egli si interrogò sul motivo per cui nel gioco della zara certe somme si ottenevano con maggiore frequenza rispetto ad altre, analizzando l’insieme delle combinazioni possibili con tre dadi. In particolare, avendo notato che il 10 e l’11 erano «più vantaggiosi», cioè uscivano più spesso, del 9 e del 12, calcolò che i primi due si possono ottenere in 27 modi, mentre gli ultimi due in 25.
Il Cavalier de Méré, grande giocatore d’azzardo, era convinto che non vi fosse alcuna differenza di vantaggio tra scommettere sull’uscita di almeno un 6 su 4 tiri consecutivi di un dado alla volta, oppure sull’uscita di almeno due 6 su 24 tiri di due dadi alla volta. Si era cioè convinto che i due eventi avessero la stessa probabilità, in base a un ragionamento che si dimostrò – almeno nei fatti – errato: il cavaliere perse ingenti ricchezze e nel 1654 si decise a chiedere aiuto all’amico matematico Blaise Pascal (16231662). Questi affrontò il problema discutendone con il collega Pierre de Fermat (1601-1665). I due matematici giunsero a una conclusione diversa da quella del giocatore: infatti calcolarono il numero di risultati favorevoli nell’uno e nell’altro caso, rispetto a tutte le combinazioni realizzabili, e conclusero che il doppio 6 su 24 lanci è meno probabile del singolo 6 su 4 lanci. Ispirato da questa analisi, anche lo scienziato olandese Hans Christian Huygens (1629-1695) pubblicò un trattato sull’argomento, De ratiociniis in ludo aleae (1657). La teoria della probabilità iniziò dunque a delinearsi in un ambito «ricreativo», come applicazione a questioni di gioco, ma si rivelò presto adottabile in altri contesti. Per esempio, in ambito sociale, John Graunt (1620-1674) la utilizzò per l’analisi di dati demografici. Successivamente si sviluppò come una branca della matematica e più tardi ancora entrò nella fisica, con grande difficoltà, per la trattazione dei modelli microscopici della teoria cinetica dei gas. Si affiancò all’inizio alla concezione deterministica del mondo, senza tuttavia modificarla, fino alla rivoluzione della fisica quantistica, per la quale la realtà stessa è una sorta di gioco dei dadi, per cui possiamo affermare con certezza solo la probabilità di un evento e non il suo verificarsi.
Per ogni dado la probabilità di un singolo valore è pari a 1/6, cioè corrisponde a un caso favorevole su 6 possibili.
PAROLA CHIAVE
Stato quantistico
DOMANDA Dopo il lancio un ipotetico dado quantistico si trova nell’autostato corrispondente al valore 6. Quanti autostati ha il sistema? Definisci in 5 righe lo stato del dado quantistico durante il lancio, prima della lettura del risultato.
Georges de La Tour, I giocatori di dadi (1650-1651). Il gioco dei dadi è stato, nel corso della storia, un passatempo diffuso in tutte le classi sociali.
293 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI è un corpo che assorbe tutte le frequenze della radiazione incidente
PROBLEMA DELLA FISICA CLASSICA PROBLEMA DEL CORPO NERO
intensità della radiazione
legge di Planck legge di Rayleigh-Jeans
soluzioni proposte
CLASSICHE legge di Wien
LEGGE DI WIEN LEGGE DI RAYLEIGH-JEANS
NON CLASSICHE LEGGE DI PLANCK
0
lunghezza d’onda
RIPRODUCE MOLTO BENE IL COMPORTAMENTO SPERIMENTALE
è basata sul
MODELLO DEL CORPO NERO
v5
v1
v3
v4
v2
cavità con oscillatori hertziani con ENERGIA QUANTIZZATA
l’energia è distribuita statisticamente tra gli oscillatori
l’energia degli oscillatori varia per multipli interi di hν
PROBABILITÀ
QUANTIZZAZIONE
εn nhν h 6,626 × 10
–34
J s
QUANTI DI ENERGIA
QUANTIZZAZIONE DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA E hν
l’energia della radiazione elettromgnetica è composta da piccoli quanti indivisibili detti FOTONI
SPIEGA L’EFFETTO FOTOELETTRICO
l’emissione di elettroni da parte di un metallo colpito da radiazione elettromagnetica
L’EMISSIONE DI ELETTRONI DIPENDE DALLA FREQUENZA DELLA RADIAZIONE INCIDENTE E NON DIPENDE DALLA SUA INTENSITÀ
294 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA FISICA QUANTISTICA
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ATOMO SEMICLASSICO ¤ IDROGENO QUANTIZZAZIONE DELL’ENERGIA QUANTIZZAZIONE DELL’ORBITA
E n
13, 6 eV n2
il numero quantico principale determina l’energia degli elettroni il numero quantico principale
rn (5, 3 × 10−11 m)n2 determina l’orbita permessa
QUANTIZZAZIONE DEL MOMENTO ANGOLARE
nh Ln 2π
il momento angolare di un elettrone può avere solo valori discreti livelli energetici
l’elettrone ruota intorno al nucleo senza perdere energia
si spiegano gli spettri atomici
n4 n3 n2 n1 nucleo
CONCETTI IMPORTANTI DELLA FISICA QUANTISTICA PROBABILITÀ
le leggi della fisica quantistica non sono deterministiche
FUNZIONE D’ONDA ψ
la probabilità di osservare una particella in un punto è proporzionale a
冷ψ冷2
LA FUNZIONE D’ONDA RAPPRESENTA UN STATO QUANTISTICO DEL SISTEMA h p
LUNGHEZZA D’ONDA DI DE BROGLIE
a ogni particella con quantità di moto p è associata una lunghezza d’onda
λ
PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE
istante per istante non si può definire con certezza quali siano la posizione e la quantità di moto di una particella
Δx ⋅ Δp ≥
PRINCIPIO DI COMPLEMENTARITÀ
il comportamento corpuscolare e quello ondulatorio delle particelle quantistiche si escludono a vicenda
PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE
il generico stato quantistico ψ di un sistema è dato istante per istante dalla sovrapposizione di autostati ψ1, ψ2, ...
? 2
ψ = c1 ψ1 + c2 ψ2 + ...
295 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
20 test (30 minuti)
10 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI saltus. Descrivi in massimo 10 righe gli ostacoli che incontrò Planck a convincere la comunità scientifica della bontà teorica della sua formula.
UN PROBLEMA DI CONFINE: L’IRRAGGIAMENTO TERMICO
DOMANDE Fino alla fine del XIX secolo l’elaborazione di teorie o formule era in genere il risultato dell’interpretazione matematica dei dati sperimentali. La relatività ristretta e l’inizio della meccanica quantistica seguono questo approccio? Motiva la risposta in massimo 10 righe.
1
3
I FOTONI, GRANULI DI LUCE
DOMANDE 8 L’effetto fotoelettrico, insieme allo spettro di corpo
nero, faceva parte di quelle esperienze sperimentali non interpretabili tramite la fisica classica. Descrivi in non più di 10 righe in che cosa consiste l’effetto fotoelettrico e come è stato possibile interpretarlo correttamente.
2 Da che cosa sono caratterizzati gli spettri di emissio-
ne e di assorbimento di una sostanza? 3 Uno degli esperimenti che ha messo in crisi la fisica
classica è lo studio della radiazione di corpo nero. Descrivi in massimo 10 righe il problema del corpo nero e come la sua interpretazione classica fosse in disaccordo con i dati sperimentali.
9 Riassumi in massimo 5 righe le caratteristiche princi-
pali dell’effetto fotoelettrico. 10 La spiegazione di Einsten dell’effetto fotoelettrico
era basata su un assunto di «simmetria» fra la natura della materia e della luce. In che senso? Descrivi in massimo 5 righe.
CALCOLI 4 Una stella risulta ai telescopi di colore vicino al rosso
(λ 5,8 10−7 m). f Sapendo che la costante della legge di Wien è 2,9 10–3 m·K, che temperatura superficiale ha la stella?
CALCOLI 11 Il lavoro di estrazione per un certo metallo è pari a
2,3 eV. f Che frequenza di radiazione bisogna utilizzare per estrarre elettroni con energia cinetica di 3,0 eV?
[5000 K]
5 La temperatura superficiale del Sole è circa 5780 K.
f Utilizzando la legge dello spostamento di Wien determina la lunghezza d’onda corrispondente al suo massimo di emissione (il valore della costante della legge di Wien è riportata nell’esercizio 4).
[1,3 1015 Hz]
12 Una radiazione di energia pari a 2,1 eV è capace di
estrarre elettroni da un metallo con lavoro di estrazione Le. Gli elettroni escono con un’energia pari a 1,7 eV. f Quanto vale in joule il lavoro di estrazione Le?
[5,0 10–7 m]
[6,4 10−20 J]
2
UNA SOLUZIONE RIVOLUZIONARIA 4
GLI ATOMI, GRANULI DI MATERIA
DOMANDE 6 Nel tentativo di capire teoricamente la discrepanza
DOMANDE
fra i dati sperimentali e la teoria classica del corpo nero, Max Planck compì, secondo le sue parole, un «atto di disperazione», che lo portò a utilizzare un modello per schematizzare le sorgenti della radiazione. Descrivi in massimo 5 righe in che cosa consisteva tale modello.
13 Il primo modello atomico fu proposto da Thomson
7 L’idea di Planck della quantizzazione dell’energia
14 Descrivi in massimo 5 righe a quali conclusioni con-
non fu accolta da tutti positivamente, in quanto, secondo la visione della fisica classica, Natura non facit
dusse l’esperimento di Rutherford sul modello dell’atomo.
(lo scopritore dell’elettrone), tuttavia tale modello non rispecchiava i successivi risultati sperimentali di Rutherford. Descrivi in massimo 10 righe il modello di Thomson e le sue incongruenze con i risultati sperimentali.
296 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA FISICA QUANTISTICA f Calcola la sua quantità di moto.
15 Secondo le leggi dell’elettromagnetismo classico un
elettrone non può ruotare stabilmente intorno al nucleo senza perdere energia. Perché? Descrivi in massimo 5 righe.
[1,0 10–22 kg m/s]
24 Un protone ha massa pari a 1,67 10–27 kg e viaggia
nello spazio cosmico alla velocità di 3,97 107 m/s. f Calcola la sua lunghezza d’onda di de Broglie.
16 Nel modello di Bohr, per ottenere la stabilità dell’e-
lettrone che ruota attorno al nucleo viene imposta una relazione tra due grandezze fisiche relative all’elettrone. Di quali grandezze si tratta e in che modo queste si legano al numero quantico principale? Rispondi in massimo 10 righe.
10
[1,0 10–14 m]
6
L’AMPIEZZA DI PROBABILITÀ
DOMANDE CALCOLI
25 Nella teoria quantistica di Schrödinger si può gene-
ralmente affermare che «ogni certezza viene meno». Spiega in massimo 10 righe che cosa significa tale affermazione.
17 Un elettrone occupa il livello energetico corrispon-
dente a n 2 di un atomo di idrogeno. f Determina l’energia minima Emin che bisogna fornire all’elettrone per strapparlo all’attrazione del nucleo, sapendo che tale energia Emin è uguale in valore assoluto all’energia associata al livello energetico dato. [3,4 eV]
26 Un cardine della fisica quantistica è il principio di in-
determinazione. Descrivi in massimo 10 righe di che cosa si tratta. 27 Commenta in massimo 10 righe la seguente affer-
mazione: «Il comportamento corpuscolare e quello ondulatorio di una particella quantistica si escludono a vicenda e non si manifestano mai insieme nella stessa situazione sperimentale».
18 Calcola, secondo il modello di Bohr, il rapporto fra il
raggio dell’orbita dell’elettrone dell’atomo d’idrogeno nello stato n 2 e quello nello stato n 1. [4]
19 L’elettrone dell’atomo di idrogeno subisce una tran-
sizione dallo stato n 3 allo stato n 2.
CALCOLI 28 Supponiamo di conoscere la posizione di una parti-
f Calcola l’energia del fotone emesso.
cella subatomica, che viaggia lungo l’asse delle x, con un’indeterminazione pari a 3,0 10–12 m.
[1,89 eV]
5
f Determina la minima indeterminazione nella quantità di moto.
DALLA TEORIA DEI QUANTI ALLA FISICA QUANTISTICA
[1,8 10–23 kg·m/s]
29 Si misura la quantità di moto di una particella, che
viaggia lungo l’asse delle x, con un’indeterminazione di 3,0 10–19 kg m/s.
DOMANDE 20 Il modello atomico di Bohr viene definito semiclassi-
f Calcola la minima indeterminazione della posizione.
co. Spiega in massimo 5 righe il motivo di tale definizione.
[1,8 10–16 m]
21 Il modello atomico di Bohr era in grado di riprodurre
diversi fenomeni, tuttavia non riusciva a fornire una spiegazione su alcuni comportamenti degli elettroni. Di quali comportamenti si tratta? 22 Qual è stata la grande novità introdotta dalla mecca-
nica quantistica? Spiega in massimo 5 righe.
7
LE REGOLE DEL GIOCO: IL PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE
DOMANDE 30 I primi trent’anni del Novecento hanno portato tante
CALCOLI 23 Una particella ha una lunghezza d’onda di de Broglie
pari a 6,63 10–12 m.
novità dal punto di vista fisico, quasi sconvolgenti. Il tutto si può sintetizzare dalla celebre frase di Einstein: «Dio non gioca a dadi». Commenta in massimo 5 righe tale affermazione.
297 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
10 ESERCIZI fetto fotoelettrico, a seguito dell’assorbimento di un fotone da 10 eV, sfugge all’attrazione del nucleo.
31 Nel capitolo «Le onde» hai studiato il principio di so-
vrapposizione. Come può essere legato alla fisica quantistica?
f Che lunghezza d’onda di de Broglie possiede se il lavoro di estrazione è pari a 2 eV?
32 Descrivi in massimo 5 righe la differenza tra i risulta-
ti previsti dalla fisica classica e dalla fisica quantistica nel caso di una sorgente di fotoni che invii un fotone alla volta verso le due fenditure.
[4,3 10–10 m]
39 Una sottile lastra di metallo di massa 100 g e calore
specifico 0,1 kcal/kg °C è investita da una radiazione di frequenza 6,31 1013 Hz. A causa di questa interazione, la temperatura della lastra aumenta di un grado centigrado.
ESERCIZI DI RIEPILOGO
f Quanti fotoni sono necessari per far avvenire l’aumento di temperatura?
DOMANDE
[1,0 1021]
33 Secondo il modello atomico classico, agli elettroni è
consentita qualunque distanza dal nucleo. Che cosa prevede invece il modello di Bohr?
40 Una lastra metallica, appoggiata su un piano oriz-
zontale, è immersa in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo di intensità 1,0 10–3 T, con linee di forza perpendicolari al piano orizzontale. La lastra interagisce con fotoni di energia pari a 10 eV che, tramite effetto fotoelettrico, determinano la fuoriuscita degli elettroni superficiali della lastra in direzione perpendicolare alle linee di forza del campo magnetico. Gli elettroni, che hanno massa pari a 9,1 10–31 kg, descrivono una traiettoria circolare con raggio pari a 1,0 cm.
34 Il modello semiclassico di Bohr fornisce un modello
molto dettagliato dell’atomo e risolve varie incongruenze fra la teoria e gli esperimenti. Come può questo modello spiegare gli spettri a righe dell’atomo? Spiega in massimo 5 righe. 35 Il fisico de Broglie associò una lunghezza d’onda alle
particelle materiali attraverso la costante di Planck h e la quantità di moto p della particella stessa. Che cosa lo portò a questa idea così brillante? Rispondi in massimo 5 righe.
f Calcola l’energia di estrazione della lastra. [1,2 eV]
36 Il paradosso del gatto di Schrödinger è un esperi-
mento concettuale ideato da Schrödinger allo scopo di dimostrare come l’interpretazione classica della meccanica quantistica fosse inadeguata a descrivere un sistema fisico in cui il livello subatomico interagisce con il livello macroscopico. Descrivi dal punto di vista quantistico questo sistema fisico.
PROBLEMI
VERSO L’UNIVERSITÀ 1
Che cos’è un fotone? A B
37 Una pallina da tennis viene lanciata alla velocità di
50 m/s. f Sapendo che la lunghezza d’onda di de Broglie della pallina è pari a λ 1,3 10–34 m, determina la sua massa. [100 g]
38 Un elettrone avente massa pari a 9,1 10–31 kg è lo-
calizzato in un orbitale esterno di un atomo. Per ef-
C D
Lo stato energetico di un elettrone legato a un nucleo. La quantità di energia espressa dal prodotto della costante di Planck per la lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica La minima energia di un elettrone legato a un nucleo. Il quanto di energia associato a un’onda elettromagnetica.
(Concorso a borse di studio per l’iscrizione ai corsi di laurea della classe Scienze e Tecnologie Fisiche della SIF, 2006/2007)
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CAPITOLO
La materia
“
La materia è materia, né nobile né vile, infinitamente trasformabile, e non importa affatto quale sia la sua origine prossima.
”
Primo Levi, Il sistema periodico, 1975
I fisici del XX secolo, che si sono addentrati nei meandri della materia, nell’invisibile mondo delle particelle atomiche e subatomiche, hanno dovuto avere una grande fiducia nelle loro teorie prima ancora che gli esperimenti potessero dimostrare la loro veridicità, cioè prima ancora di poterle “toccare con mano”. Più si scende in profondità nell’atomo più la verifica sperimentale si fa difficile e indiretta. La prima particella elementare scoperta nella storia della scienza è l’elettrone. Successivamente si scoprì che il nucleo atomico è fatto di protoni e neutroni, i quali tuttavia non sono elementari, cioè sono a loro volta costituiti da particelle più piccole, i quark. Mentre gli elettroni sono vincolati al nucleo in virtù dell’interazione elettromagnetica che agisce su cariche di segno opposto, i quark sono vincolati tra loro dall’interazione forte, molto più intensa dell’altra, ma agente su distanze molto più brevi.
L’interazione forte, quindi, tiene insieme i nuclei degli atomi, ma talvolta, quando essi contengono molti neutroni e protoni, non ci riesce, e avviene un fenomeno detto decadimento α, per il quale dal nucleo più grande viene espulso un piccolo nucleo di elio, cioè una particella α. A volte può accadere che da un nucleo fuoriesca un elettrone, nel cosiddetto decadimento β, ma in questo caso il meccanismo è del tutto diverso. Nel nucleo, infatti, non sono presenti elettroni e la sua fuoriuscita dipende da una profonda trasformazione nucleare per la quale un neutrone diventa un protone (decade), emettendo appunto un elettrone. Responsabile di ciò è la quarta interazione fondamentale, l’interazione debole, che completa le forze della natura secondo la teoria del Modello Standard, nella quale sono descritte le interazioni e le particelle che vi prendono parte.
Caravaggio, L’incredulità di San Tommaso, 1600-1601.
PAROLE CHIAVE Particelle elementari Interazione forte Interazione debole
299 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
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GLI ELETTRONI
Come abbiamo visto nel capitolo «I passaggi di stato», la parola atomo deriva dal greco a[tomo" (àtomos), che significa indivisibile. Secondo Democrito, che ne introdusse il concetto, gli atomi erano le particelle oltre le quali non è più possibile spezzettare la materia, cioè erano particelle elementari. Nel XIX secolo l’ipotesi atomica della materia fu ripresa dal chimico inglese John Dalton (1766-1844), che la rielaborò in termini scientifici per spiegare le reazioni chimiche e la differenza tra le varie sostanze in termini di diverse combinazioni di atomi. Tuttavia la realtà fisica degli atomi fu provata solo verso la fine del XIX secolo e, sin da subito, ci si rese conto che non si trattava affatto di entità indivisibili, ma che erano formati da altre particelle più piccole. Un atomo non è una particella elementare, ma è a sua volta formato da elettroni, protoni e neutroni.
Dai raggi catodici agli elettroni Nella seconda metà del XIX secolo erano disponibili pompe da vuoto capaci di raggiungere pressioni sufficientemente basse per osservare i fenomeni sopra descritti. Si parlò allora di misteriosi raggi provenienti dal catodo, chiamati per questo raggi catodici, di natura ignota. Gli esperimenti di Crookes con l’anodo a croce di Malta avevano mostrato che si propagavano in linea retta. Altri esperimenti eseguiti con un mulinello interposto tra gli elettrodi mostrarono, inoltre, che questi raggi erano in grado di farne ruotare le pale e che quindi contenevano particelle dotate di massa (figura 1a). Successivi esperimenti rivelarono la natura elettrica dei raggi catodici: essi infatti venivano deflessi sia da campi elettrici che da campi magnetici. Utilizzando anodi forati i fasci elettronici venivano fatti passare tra due placche cariche o tra le espansioni di un magnete e le catodo anodo loro traiettorie subivano delle deviazioni dovute rispettivamente alle forze del campo elettrico e alla forza di Lorentz (figura 1b-c). Nonostante le informazioni sui raggi catodici fossero molto numerose, non fu semplice organizzarle in una a teoria che rendesse conto della loro natura e a lungo si contrapposero due ipotesi: una secondo la quale si trattava effettivamente di particelle dotate di massa e di carica, l’altra secondo la quale si trattava invece di ra anodo diazione simile alla luce. Non mancavano esperimenti a favore dell’una o dell’altra ipotesi, ma nessuno di essi era definitivo e probante, e lasciava comunque spazio b all’ipotesi contraria. La disputa sulla natura dei raggi catodici ebbe fine intorno al 1897, quando l’inglese JoN S anodo seph John Thomson (1856-1940) riuscì a sintetizzare e completare gli esperimenti citati, provando inequivocabilmente che si trattava di particelle cariche che oggi c
Figura 1. a. Il mulinello ruota se investito con raggi catodici, perché gli elettroni urtano contro le pale. b-c. I raggi catodici vengono deviati da campi elettrici e magnetici: gli elettroni, infatti, sono particelle cariche soggette all’interazione elettrica e, se in movimento in un campo magnetico, sono deviati dalla forza di Lorentz.
catodo
catodo
300 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA MATERIA
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chiamiamo elettroni. J.J. Thomson è ricordato come lo «scopritore dell’elettrone» e tale scoperta gli valse il Nobel per la fisica nel 1906.
Gli esperimenti di J.J. Thomson J.J. Thomson era un sostenitore dell’ipotesi particellare dei raggi catodici e assumendo che tali particelle fossero cariche, ne misurò la deflessione a opera di campi elettrici e magnetici. Ricordiamo che una particella di carica q che si muove con velocità uniforme v¤ perpendicolarmente a un campo ¤ ¤ magnetico uniforme B , è soggetta alla forza di Lorentz F l (formula 6.6), di intensità Fᐉ qvB La forza di Lorentz è perpendicolare al moto della particella e ne determina un’accelerazione centripeta che la fa muovere lungo una circonferenza di raggio (vedi formula (6.7)): mv r qB Conoscendo l’intensità del campo magnetico B, misurando il raggio di curvatura r del raggio catodico e selezionando particelle di uguale velocità v, Thomson riuscì a determinare sperimentalmente il rapporto m/q. Per farlo si servì fondamentalmente di tre apparati sperimentali, la cui strategia è sintetizzata in figura 2. anodo catodo
vuoto
N
particelle → con velocità v
S
Figura 2. Schema sintetico dell’apparecchiatura usata da Thomson negli esperimenti sui raggi catodici.
Eq vqB
In un tubo nel quale era fatto il vuoto per mezzo di una pompa, un fascio di raggi catodici veniva fatto passare attraverso un foro dell’anodo, per poi attraversare una zona in cui vi erano un campo magnetico e un campo elettrico uniformi e perpendicolari tra loro. Modificando i valori del campo elettrico e magnetico riuscì a compensarne i rispettivi effetti sul moto delle particelle che avevano una determinata velocità, in modo da farle emergere lungo la stessa direzione di entrata: in tal modo Thomson aveva selezionato particelle aventi tutte la stessa velocità v, lungo la direzione del fascio principale. Le particelle con velocità diverse avrebbero avuto deviazioni diverse, non compensate a vicenda dai campi elettrico e magnetico, e sarebbero emerse con angoli diversi. La velocità v delle particelle era dunque ricavabile uguagliando le intensità della forza elettrica Eq e della forza di Lorentz qvB: v
E B
Il fascio di particelle così selezionate, aventi tutte la stessa velocità, veniva successivamente fatto passare in un altro campo magnetico uniforme ad esso
301 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
perpendicolare. Dalla misura della distanza della macchia fluorescente sul fondo del tubo risalì al raggio r di curvatura della traiettoria all’interno del campo magnetico e poté quindi ricavare il rapporto m/q dalla formula (6.7): m q
Br v
Thomson eseguì le stesse misure con gas diversi ed elettrodi di materiali diversi e si accorse che il rapporto m/q era sempre lo stesso, a dimostrazione che si trattava di particelle tutte uguali e facenti parte degli elementi costitutivi della materia. Ipotizzò inoltre che tali particelle, gli elettroni, avessero una carica uguale e opposta a quella degli ioni idrogeno (H) e dedusse quindi una stima della loro massa come circa 1000 volte più piccola di quella dell’atomo di idrogeno (oggi sappiamo che tale rapporto è pari a 1837). La misura sperimentale della carica dell’elettrone fu eseguita nel 1909 dallo statunitense Robert Millikan (1868-1953), e contribuì anch’essa all’assegnazione di un Nobel.
Gli elettroni nell’atomo Come sono disposti gli elettroni nell’atomo? Per rispondere facciamo un breve excursus sui modelli atomici, richiamando quanto visto nel capitolo «La fisica quantistica». Il primo modello atomico risale al 1902 ed è opera dello stesso J.J. Thomson: secondo tale modello «a panettone» gli elettroni carichi negativamente erano distribuiti in un volume di materia carica positivamente. Nel 1911, per studiare dal punto di vista sperimentale il modello di Thomson, Ernest Rutherford fece l’esperimento che gli permise di proporre un nuovo modello di atomo, largamente composto da spazio vuoto, in cui quasi tutta la massa dell’atomo si concentrava in una porzione molto piccola carica positivamente (il nucleo) attorno alla quale ruotavano gli elettroni a distanze relativamente enormi. Ben presto la comunità scientifica si scontrò con una contraddizione. Per obbedire alle leggi della meccanica classica, l’atomo di Rutherford, avrebbe dovuto essere instabile, ovvero per effetto della forza elettromagnetica gli elettroni di carica negativa, muovendosi di moto circolare intorno al nucleo, avrebbero dovuto essere attratti dalla sua carica positiva perdendo progressivamente energia fino a cadere sul nucleo stesso. Per poter spiegare la stabilità degli atomi nel 1913, Niels Bohr introdusse la meccanica quantistica nel modello atomico di Rutherford e arrivò a concepire un atomo cosiddetto semi-classico. Il modello di Bohr era basato sul postulato che gli elettroni avessero a disposizione orbite fisse, ovvero quantizzate, cioé si trovassero in stati con un’energia già prestabilita, nei quali non emettevano né assorbivano energia, mantenuta così costante. Un elettrone poteva emettere o assorbire energia solo se effettuava una transizione da un’orbita all’altra, passando quindi a uno stato a energia minore o maggiore. Tale modello fu superato da un modello probabilistico, che teneva conto del principio di indeterminazione secondo cui è impossibile determinare contemporaneamente, mediante osservazione sperimentale, la posizione e la quantità di moto di una particella elementare, e cioè non è possibile definire con certezza dove si trova un elettrone in un determinato momento. Fu allora che Erwin Schrödinger ipotizzò la struttura dell’atomo
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LA MATERIA
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costituita da un nucleo centrale carico positivamente circondato da una nuvola di elettroni. Secondo la meccanica quantistica, per gli elettroni non si può più parlare di traiettoria (o orbita come nel caso dell’elettrone che ruota intorno al nucleo), bensì di orbitale, ovvero di uno spazio definito intorno al nucleo entro il quale l’elettrone ha una certa probabilità di trovarsi. L’orbitale atomico è la funzione d’onda dell’elettrone. Se facciamo un grafico tridimensionale della funzione d’onda nello spazio otteniamo la forma degli orbitali, cioè le zone dello spazio intorno al nucleo dove gli elettroni si possono trovare con maggiore probabilità (figura 3).
2
IL NUCLEO
Rutherford aveva scoperto l’esistenza del nucleo come corpo piccolissimo e carico positivamente posto al centro dell’atomo, grazie a un esperimento basato su una strategia del tutto nuova: egli aveva dedotto una struttura microscopica a partire dall’analisi di ciò che succedeva quando bombardava un pezzo di materia con un proiettile. Di fatto Rutherford aveva fatto urtare particelle contro particelle e aveva ricavato informazioni su fenomeni non visibili a partire dallo studio di ciò che emergeva da tali urti. La tecnica era decisamente innovativa e lo scienziato seguitò a usarla. Nel 1919, bombardando l’azoto con particelle alfa, osservò un fenomeno allora sconosciuto: l’azoto si era trasformato in ossigeno ed era emersa dal nucleo una nuova particella che fu chiamata protone. Fu chiaro dunque che il nucleo contenesse tali particelle, ma successivamente, nel 1932, James Chadwick (1891-1974) scoprì che al suo interno vi erano anche delle particelle neutre, che vennero chiamate pertanto neutroni. Con la scoperta del neutrone si arrivò ben presto a un modello dell’atomo pressoché completo, con al centro il nucleo, composto di protoni (elettricamente positivi) e neutroni (elettricamente neutri) e attorno gli elettroni (elettricamente negativi) (tabella 1).
Figura 3. Orbitali di un atomo di idrogeno. A seconda del livello energetico un elettrone ha una probabilità maggiore di trovarsi in determinate zone che in altre. Il colore più chiaro corrisponde a una probabilità maggiore.
Il nucleo è formato da protoni e neutroni, detti anche complessivamente nucleoni. PARTICELLA SIMBOLO
CARICA
MASSA
elettrone
e
1,6 10
protone
p
1,6 10−19 C
neutrone
n
0C
−19
C
SCOPERTA
me 9,1093826 10
−31
kg
mp 1,6726231 10−27 kg
J.J. Thomson, 1897
Tabella 1. Le particelle atomiche.
E. Rutherford, 1919
mn 1,67492729 10−27 kg J. Chadwick, 1932
303 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
Il nucleo è piccolissimo rispetto alle dimensioni dell’atomo. L’atomo, infatti, è praticamente vuoto e il suo diametro, dell’ordine di 10−10 m, è circa 100 000 volte più grande di quello del nucleo, che misura 10−15 m. Dato che i protoni sono molto vicini nel nucleo, sono soggetti a intense forze elettromagnetiche repulsive, tuttavia, sulla scala delle dimensioni del nucleo, tra essi si esercitano anche forze nucleari di tipo attrattivo molto intense. I nucleoni interagiscono fra loro con forze nucleari attrattive. Ogni nucleo è caratterizzato dal numero di protoni, il numero atomico Z, e dal numero di neutroni, abbreviato N. Il numero totale di protoni e neutroni nel nucleo viene definito numero di massa A: Anumero di massa Znumero atomico Nnumero di neutroni Due nuclei si dicono isotopi dell’elemento di numero atomico Z quando hanno lo stesso numero di protoni, ma un numero diverso di neutroni, per cui sono caratterizzati da uno stesso valore di Z ma da un diverso valore di N. Il protone e il neutrone hanno massa simile, che è quasi 2000 volte più grande della massa di un elettrone.
Primi segnali dal nucleo: la radioattività
Figura 4. L’energia emessa nei processi di decadimento radioattivo è dannosa per gli organismi viventi e pertanto le aree in cui è presente tale fenomeno vengono segnalate con opportuni cartelli.
Anche se il nucleo fu scoperto nel 1911 da Rutherford con il suo famoso esperimento, era già nell’aria l’idea che l’atomo avesse una struttura interna, sede di fenomeni fuori dal comune. Nel 1896, infatti, il fisico francese Henri Becquerel (1852-1908), scoprì che alcuni minerali, posti al buio in un cassetto, avevano lasciato delle tracce su lastre fotografiche, esattamente come se fossero stati sorgenti di luce non visibile. In effetti il fenomeno responsabile di quanto osservato da Becquerel, noto come radioattività, comporta profonde modificazioni del nucleo, diverse da qualsiasi fenomeno si conoscesse all’epoca, alle quali è associata un’emissione di energia (figura 4). Oggi sappiamo che la radioattività comporta la trasformazione del nucleo di un atomo, cioè la trasformazione di una sostanza instabile in un’altra più stabile. Diversamente da quanto accade in una reazione chimica, in cui i nuclei degli atomi restano invariati e gli elettroni si ridistribuiscono nello spazio legando atomi diversi tra loro e formando molecole di tipo diverso, nel decadimento radioattivo avviene una vera e propria trasformazione degli atomi stessi.
3
LA RADIOATTIVITÀ
I decadimenti nucleari si raggruppano in tre classi principali, il decadimento α, il decadimento β e il decadimento γ, secondo le emissioni ad essi associate, che furono distinte rispettivamente in raggi α, raggi β e raggi γ. La prima differenza tra questi tre tipi di «raggi» fu individuata in base al loro potere di penetrare nella materia: mentre i raggi α vengono fermati
304 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
da un foglio di carta, per i raggi β occorre qualche millimetro di alluminio, mentre per i raggi γ sono necessari diversi centimetri di piombo (figura 5). Tutti questi tipi di decadimento hanno in comune alcune proprietà generali:
particelle alfa particelle beta
fotoni gamma
piombo s il nucleo che decade è instabile; 2,5 - 5 cm s il fenomeno non dipende dalle proprietà ciralluminio foglio costanti (quali pressione, temperatura, specie di carta spessore 1 mm chimica); s le sostanze decadono nel tempo seguendo tutte la stessa legge, comune Figura 5. Raggi α, β e γ furono inizialmente distinti in base a tutti i fenomeni radioattivi. alla loro capacità di penetrare nella materia.
A questo proposito è importante evidenziare che il decadimento radioattivo è un processo statistico, cioè non possono essere fatte previsioni deterministiche, ma si può solamente dire qual è la probabilità che un certo nucleo decada in un certo intervallo di tempo. Alcuni nuclei atomici, detti radionuclidi, sono instabili (o radioattivi), cioè possono trasmutare spontaneamente (o decadere) in nuclei atomici di energia inferiore più stabili, in un intervallo di tempo chiamato tempo di decadimento, liberando dell’energia sotto forma di particelle o di radiazione. Il prodotto della trasformazione può essere instabile a sua volta e decadere nuovamente in un processo che continua nel tempo, attraverso la cosiddetta catena di decadimento, fino a quando gli elementi via via prodotti non raggiungono una condizione di stabilità. In natura esistono tre famiglie radioattive: la famiglia del torio (Th), la famiglia dell’attinio (Ac) e la famiglia dell’uranio (U) (figura 6).
Figura 6. In natura esistono tre grandi famiglie radioattive, da sinistra a destra: famiglia del torio, dell’attinio e dell’uranio.
234 92 245500 anni
U
238 90 4,5 miliardi di anni
U
235 92 700 milioni di anni
U
228 90 1,9 anni
Th
232 90 14,1 miliardi di anni
Th
223 88 5,7 anni
Ra
228 89 6,1 ore
Ac
231 90 26 ore
Th
224 88 3,5 giorni
Ra
231 91 33 000 anni
227 89 22 anni
Ac
223 87 22 minuti
Fr
220 86 55 secondi
Rn
212 84 3 107 sec.
Po
216 84 0,14 secondi
Po
Pb
212 82 10,6 ore
Bi
212 83 61 minuti
208 82 stabile
Pb
208 81 3,1 minuti
Tl
Pa 227 90 19 giorni
Th
234 90 27 giorni
Th
Pa
230 90 75 310 anni
Th
228 83 1602 anni
Ra
223 88 11 giorni
Ra
234 91 27 giorni
222 85 3,8 giorni
Rn
219 86 4,0 secondi
Rn
218 84 3,1 minuti
218 85 1,5 secondi
Po
215 84 1,8 msec
Po
Pb
211 82 36 minuti
211 83 2,1 minuti
Bi 207 82 stabile
Pb
207 81 4,8 minuti
Tl
Bi
214 83 20 minuti
Pb
214 82 26,8 minuti
210 84 131 giorni
Po
At
Tl
210 81 1,3 minuti
214 84 164,3 sec.
Po
Pb
210 82 22,3 anni
Hg
206 80 8,1 minuti
305 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Bi
210 83 5 giorni
Tl
206 81 4,2 minuti
206 82 stabile
Pb
11
LA MATERIA
Legge del decadimento radioattivo A causa del decadimento spontaneo dei suoi nuclei, la massa di una sostanza radioattiva diminuisce con il passare del tempo. L’intervallo di tempo necessario affinché la massa di un materiale radioattivo si dimezzi è chiamato periodo di dimezzamento T1/2. La probabilità di decadimento di un nucleo è costante nel tempo. I nuclei infatti non hanno memoria del tempo trascorso, e questo significa che la probabilità di decadere nel secondo immediatamente successivo non dipende da quanto tempo hanno sopravvissuto e, di conseguenza, il loro numero N(t) si dimezza in intervalli di tempo sempre uguali. La legge probabilistica che descrive il decadimento radioattivo è data dalla formula: N (t ) = N 0e
−
t τ
(11.1)
dove N0 è il numero di nuclei radioattivi a t 0 s; τ è una costante tipica detta «vita media» del nucleo; N(t) è il numero dei nuclei sopravvissuti all’istante t. La vita media τ di un elemento radioattivo, cioè il tempo medio di sopravvivenza prima di un decadimento, è legata al periodo di dimezzamento dalla relazione T1/ 2 (11.2) τ ln 2
ESEMPIO f Il carbonio-14 (o radiocarbonio) è un isotopo radioattivo del carbonio, avente 6 protoni e 8 neutroni, che si trova in piccole quantità nei composti organici. Comunemente gli organismi viventi ricevono carbonio-14 dall’ambiente durante il loro ciclo vitale, ma smettono di assumerlo con la morte. Per questo motivo è possibile risalire al tempo trascorso dopo la morte di un organismo a partire dalla misurazione del carbonio-14 in esso presente, sapendo che dopo tale evento la quantità di sostanza diminuisce secondo la formula (11.1), dove N0 è la concentrazione di carbonio-14 presente in atmosfera. Sapendo che il periodo di dimezzamento del carbonio-14 è misurando la quantità di sostanza presente in un organismo si può risalire alla data della sua morte che può essere avvenuta da 100 anni fa fino a 50 000 o 60 000 anni fa. Per questo motivo la misura del carbonio-14 è utilizzata per la datazione di reperti fossili. In una mummia egizia la quantità di radiocarbonio è pari al 60% di quella presente nell’atmosfera. Qual è presumibilmente l’età della mummia?
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Mikhail Zahranichny / Shutterstock
T1/2 5730 anni
LA MATERIA
11
SOLUZIONE Dal dato sperimentale: N (t ) N0
0, 60
si ricava e
−
t τ
= 0, 60
cioè −
t = ln 0, 60 = − 0, 51 τ
Ovvero: t = 0, 51τ = 0, 51 ×
T1/ 2 5730 anni = 0, 51 × ≈ 4200 anni ln 2 0, 69
DOMANDA La datazione dei reperti archeologici ottenuta con il radiocarbonio potrebbe non corrispondere all’effettiva data del decesso dell’organismo su cui è stata effettuata la misura. Perché? Quali cause potrebbero interferire con il risultato?
Il decadimento beta I cosiddetti raggi β sono in realtà elettroni che fuoriescono dal nucleo quando al suo interno un neutrone si trasforma in un protone. Dal punto di vista macroscopico il decadimento β comporta una trasformazione di un elemento in un altro (figura 8), secondo una formula generale: A Z
Y¤
A Z1
1º dimezz. rimane 1/2 percentuale rimanente di isotopo radioattivo originale
In figura 7 è illustrato un tipico andamento nel tempo del decadimento radioattivo di una sostanza. Per valori multipli del periodo di dimezzamento la quantità di sostanza si riduce a 1/2, 1/4, 1/8 eccetera.
Figura 7. L’andamento nel tempo della quantità di sostanza che decade è lo stesso per tutti i tipi di decadimento e segue una legge esponenziale.
2º dimezz. rimane 1/4
100
3º dimezz. rimane 1/8 4º dimezz. rimane 1/16
50 25 12,5 6,25 1
0
2 3 4 tempo di dimezzamento
Y e energia
Questo strano comportamento della materia fu spiegato solo nel 1934 da una teoria elaborata dal fisico italiano Enrico Fermi (1901-1954) nella quale viene introdotta l’esistenza di un’altra interazione fondamentale, l’interazione debole. Essa si manifesta Co-60 per mezzo della forza debole, che agisce a livello nucleare e diminuisce velocemente quando aumenta la distanza tra le particelle interagenti.
particella beta
Ni-60
Figura 8. Nel decadimento vi è una trasformazione del nucleo atomico di una sostanza nel nucleo atomico di un’altra sostanza con un numero di protoni diverso. All’interno del nucleo un neutrone si trasforma in un protone emettendo un elettrone, cioè una particella β.
L’interazione nucleare debole è responsabile del decadimento radioattivo, nel quale a una trasformazione del nucleo è accompagnata l’emissione di particelle β.
307 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
11
LA MATERIA
I neutrini Il bilancio energetico del decadimento β rappresentava un grattacapo per i fisici: facendo i conti, infatti, sembrava mancare un quantitativo di energia che bilanciasse la trasformazione e garantisse la validità del principio di conservazione più solido della fisica. Per salvare le leggi della conservazione dell’energia, il fisico austriaco Wolfgang Pauli (1900-1958) propose l’esistenza di una nuova particella neutra leggera anticipandone di ben ventisei anni la prima osservazione sperimentale. Enrico Fermi, qualche anno dopo, inserì questo costituente ultimo della materia, da lui battezzato neutrino (come diminutivo di neutrone, in quanto particella sempre neutra ma protone (carica positiva) molto meno massiccia del neutrone), nella sua teoria. p ve t udu Secondo la teoria di Fermi, ancora oggi utilizzata per n e p spiegare il fenomeno, il decadimento β è un processo radioattivo, dovuto alla forza debole, nel corso del quale in un W e neutrone nucleo instabile un neutrone n si trasforma in un protone p udd (privo di carica) n con l’emissione di un elettrone e e di un neutrino elettronico elettrone νe (figura 9): (carica negativa) (11.3) n ¤ p e− νe Figura 9. Il decadimento β comporta una trasformazione profonda all’interno di un nucleo: un neutrone neutro si trasforma in un protone positivo ed emette un elettrone negativo e un neutrino neutro.
Il neutrino è una particella molto piccola e sfuggente, cioè è molto difficile osservarla: per questo a lungo si è pensato che fosse privo di massa. Il valore della massa del neutrino è comunque molto piccolo, stimato da 100 000 a 1 milione di volte inferiore a quella dell’elettrone. Inoltre essendo neutra non è soggetta a interazione elettromagnetica. Non a caso ci sono voluti 26 anni per osservare il primo neutrino dopo l’ipotesi della sua esistenza stabilita su basi teoriche. I rivelatori di neutrini sono molto grandi, per aumentare la probabilità che entri in collisione con la materia e provochi in essa una trasformazione osservabile (figura 10).
Kamioka Observatory, ICRR (Institute for Cosmic Ray Research),The University of Tokyo
Figura 10. Nell’esperimento Super-Kamiokande, in Giappone, i neutrini attraversano una grande massa di acqua pura: quando un elettrone viene urtato emette luce, che viene rivelata da un sistema di fotomoltiplicatori, cioè dispositivi basati sull’effetto fotoelettrico.
308 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
Il decadimento alfa Le particelle α sono nuclei di elio, cioè sono formate da due neutroni e due protoni. Un atomo instabile può decadere ed emettere particelle α quando due protoni e due neutroni si avvicinano a sufficienza da formare un’unità indipendente sufficientemente veloce da fuoriuscire dal nucleo. Di fatto è come se un nucleo più grande perdesse spontaneamente un suo pezzettino più piccolo (figura 11). L’interazione nucleare che prende parte a questa trasformazione è detta interazione forte e fu introdotta dal fisico giapponese Hideki Yukawa (1907-1981) per spiegare il fatto che i nucleoni stessero insieme all’interno dei nuclei confinati in un volume tanto piccolo. L’interazione nucleare forte è responsabile del decadimento radioattivo, nel quale una trasformazione del nucleo è accompagnata l’emissione di particelle alfa.
4He 2
U-238
particella alfa (nucleo di elio)
Th-234
Figura 11. Nel decadimento α da un nucleo che contiene molti protoni e neutroni fuoriesce un piccolo nucleo di elio, la particella α, formato da due protoni e due neutroni. Il nucleo di partenza si trasforma pertanto in un nucleo diverso.
Il decadimento gamma Nel decadimento γ non avvengono trasformazioni all’interno del nucleo, e non vi è emissione di materia. I raggi γ sono infatti radiazione elettromagnetica estremamente energetica, che viene emessa da un nucleo quando le particelle nucleari passano da uno stato eccitato all’altro. Infatti, così come accade per gli atomi nel loro insieme, anche i nuclei possono trovarsi in un insieme definito di stati, ciascuno dei quali dotato di uno specifico valore di energia. Normalmente i nuclei si troparticella beta vano nello stato fondamentale, cioè in quello con energia più bassa. Tuttavia i nuclei prodotti in un decadimento raraggi gamma dioattivo possono essere in uno stato con energia superiore, ovvero in uno stato eccitato. Tali nuclei, trovandosi in una situazione instabile, subiscono un’ulteriore transizione allo stato fondamentale per effetto delle forze elettromaCo-60 Ni-60 gnetiche, con l’emissione di fotoni a energia molto elevata, pari alla differenza tra l’energia dello stato iniziale e quella nello stato finale. Figura 12. In seguito a un decadimento β il nucleo Questi pacchetti di energia elettromagnetica sono appunto i raggi γ (figura 12). della sostanza di arrivo può In sintesi, i decadimenti α e β coinvolgono forze nucleari e comportano trovarsi in uno stato eccitato l’emissione di particelle materiali dal nucleo, mentre il decadimento γ coin- e quindi decadere nello stato emettendo volge forze elettromagnetiche e comporta l’emissione di radiazioni elettro- fondamentale un fotone γ. magnetiche (tabella 2). TIPO DI DECADIMENTO
PARTICELLE EMESSE DAL NUCLEO
INTERAZIONE COINVOLTA
TRASFORMAZIONE DEL NUCLEO
β
elettroni
debole
cambia il numero di protoni
α
nuclei di elio
forte
cambia il numero di protoni
γ
fotoni γ
elettromagnetica
transizione fra stati energetici diversi
Tabella 2. Sintesi dei decadimenti radioattivi.
309 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
La radioattività artificiale Gli atomi possono decadere spontaneamente secondo la legge espressa dalla formula (11.1), oppure possono decadere in seguito a uno stimolo esterno. Per esempio se bombardati con particelle che colpiscono i nuclei come veri e propri proiettili. In particolare ciò accade quando un atomo viene bombardato con particelle α, come scoprirono nel 1934 i coniugi Pierre (1859-1906) e Marie Curie (1867-1934), che condivisero il Nobel con Becquerel per i loro studi sulla radioattività. Enrico Fermi intuì che l’effetto doveva essere maggiore se anziché le particelle α, cariche positivamente, si usavano i neutroni. Nel laboratorio romano di via Panisperna sperimentò la nuova tecnica con moltissime sostanze, confermando quanto ipotizzato. L’uso dei neutroni per bombardare gli atomi condusse a un’altra importante scoperta: in alcuni casi può accadere che un nucleo venga spezzato in due parti, nel fenomeno chiamato fissione nucleare che, insieme alla fusione, vedremo nel prossimo paragrafo.
4
FISSIONE E FUSIONE NUCLEARE
Le reazioni, cioè le trasformazioni, che avvengono all’interno del nucleo sono dette reazioni nucleari. Analogamente alle reazioni chimiche, nelle quali gli atomi si scambiano elettroni per formare molecole diverse, esse sono processi nei quali i nuclei reagenti si scambiano protoni e neutroni per formare altri nuclei. In tali reazioni viene liberata (reazioni esoenergetiche) o assorbita (reazioni endoenergetiche) una certa quantità di energia, detta energia di reazione. La formula che sta alla base di tutte le reazioni nucleari è la famosa formula (9.10): E mc2 in cui è espressa l’equivalenza tra massa ed energia: ogni trasformazione che comporta una variazione della massa comporta un’equivalente variazione dell’energia in modo tale che il bilancio sia pari e la conservazione della massa-energia non sia violata. Le reazioni nucleari di maggiore interesse dal punto di vista della produzione di energia si suddividono in: s reazioni di fissione, in cui un nucleo pesante cattura un neutrone e si divide in due o più nuclei più piccoli; s reazioni di fusione, in cui i nuclei leggeri si uniscono: le distanze tra i nucleoni diventano tali che la forza forte prevale su quella elettromagnetica, generando così un nucleo di massa maggiore.
La fissione nucleare Nel 1939 Otto Hahn, Lise Meitner e Fritz Strassmann scoprirono che quando l’uranio-235 veniva bombardato con neutroni si scomponeva in altri due
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LA MATERIA
elementi, liberando un’energia fino ad allora insospettata. Si trattava della cosiddetta fissione nucleare (figura 13). L’energia liberata da un processo di fissione si ricava dalla formula (9.10), considerando che la massa del nucleo di partenza è maggiore della somma delle masse dei due nuclei finali.
11
n 140Cs
n energia 235U
n
Figura 13. Se un neutrone colpisce un nucleo con un elevato numero di protoni e neutroni può spaccarlo in due nuclei più piccoli, liberando una grande quantità di energia.
93Rb
ESEMPIO f La fissione di un atomo di uranio-235 produce circa 200 MeV di energia. Qual è la differenza tra la massa dell’uranio e la somma delle masse del cesio e del rubidio che derivano dalla reazione illustrata in figura 13? SOLUZIONE La differenza di massa è approssimativamente equivalente all’energia prodotta, cioè dalla (9.10) m
E c2
Ricordando che 1 eV 1,602 10−19 J E 200 MeV 200 106 eV 200 106 1,602 10−19 J 3,20 10−11 J pertanto si ricava che m=
3, 20 × 10−11 J E = = 3, 56 × 10−28 kg ( 3, 00 × 10 8 m/s )2 c2
DOMANDA Quanta energia produce approssimativamente la fissione completa di 1 g di uranio-235? Ricorda che 1 mole di uranio-235 ha una massa di 235 g. Nei diversi esperimenti effettuati dal gruppo di Enrico Fermi, risultò anche che un neutrone ha una maggiore probabilità di essere assorbito da un nucleo quando è ridotto alla normale velocità di moto di agitazione termica degli atomi. Tale tecnica di bombardamento con i cosiddetti neutroni lenti fu brevettata dal gruppo di ricerca e costituì un importante elemento per la realizzazione della bomba atomica. L’assorbimento di un neutrone inoltre accresce il contenuto energetico del nucleo di un quantitativo, emesso poi sotto forma di radiazioni (radioattività). L’aspetto particolare di questo fenomeno fisico non risiede tanto nel grosso quantitativo di energia che viene liberato quanto nel fatto che nella reazione emergono due o tre neutroni (in termini statistici il numero medio è pari a
311 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
11
LA MATERIA
2,47) che a loro volta possono produrre due o tre fissioni e via dicendo. Si genera così una reazione a catena che, se non avviene in condizioni controllate come nei reattori nucleari a fissione, può produrre una violenta esplosione, come accade nella bomba atomica (bomba A). Controllare una reazione a catena significa fare in modo che il numero di neutroni in grado di innescare nuove fissioni si mantenga stabile, e che quindi la reazione si autosostenga. Se invece il numero di neutroni liberi prodotti a ogni ciclo di fissioni è superiore, anche di poco, a quello dei neutroni della generazione precedente, la reazione può diventare incontrollata. L’energia liberata nell’esplosione di un ordigno nucleare è immensa: basti pensare che in seguito alla fusione completa di 1 g di uranio-235 vengono liberati circa 8 1010 J di energia (figura 14).
Figura 14. I neutroni emessi nella reazione di fissione possono diventare a loro volta proiettili per attivare altre reazioni di fissione e così via. Se tali neutroni vengono assorbiti la reazione è controllata, altrimenti si genera una reazione a catena con una conseguente esplosione.
frammento di fissione 235U
neutrone
frammento di fissione
National Nuclear Security Administration / Nevada Site Office Photo Library,
Figura 15. Le esplosioni nucleari producono il caratteristico «fungo».
La bomba A fu realizzata nel 1942 nell’ambito del Progetto Manhattan, un programma di ricerche con i maggiori rappresentati della comunità scientifica di Los Alamos nel Nuovo Mexico alla guida di Robert Oppenheimer, iniziato segretamente nel 1940 dal governo statunitense per svolgere ricerche a scopo militare. Il progetto costò ben due miliardi di dollari e produsse effetti terrificanti. La scoperta dell’uranio-238 (che, assieme all’uranio-235, è uno dei due isotopi naturali dell’uranio) e più tardi quella del plutonio-239, diede ufficialmente inizio a quella che è stata chiamata Era Nucleare. Nel 1945 erano ormai disponibili quantità di uranio-235 e di plutonio-239 tali da costruire armi nucleari. Alle 5,30 del 16 luglio dello stesso anno a pochi chilometri di distanza da Los Alamos, ad Alamogordo, venne fatta esplodere una bomba A. Più tardi, nel giro di pochi giorni, furono fatte esplodere altre due bombe: una all’uranio, detta «Little Boy», sganciata su Hiroshima, e l’altra al plutonio, chiamata «Fat Man», su Nagasaki. A causa di ciò la fama dell’Era Nucleare si diffuse nell’intero globo (figura 15).
312 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA MATERIA
11
La fusione nucleare La fusione nucleare consiste nel processo n 14,1 MeV 2H opposto alla fissione: due nuclei diversi, posti sufficientemente vicini l’uno accanto all’altro, possono fondersi e formare un nuene energia en cleo più grande (figura 16). La fusione fu realizzata artificialmente per la prima volta da Mark Oliphant nel 1932 3H partendo dagli esperimenti sulla trasmuta4He energia zione nucleare di Ernest Rutherford avvenuti molti anni prima. In natura il processo di fusione è il meccanismo che alimenta il Sole e le altre stelle. che avviene nel loro centro, dove la materia (essenzialmente idrogeno) si trova sotto forma di plasma e dove si generano tutti gli elementi che costituiscono l’Universo. La temperatura del nucleo delle stelle, e in particolare del Sole, è dell’ordine di 107 K. A temperature così elevate gli elettroni vengono strappati dai nuclei generando un’emissione di energia pressoché costante, moderata dalla forza debole, che interviene nella trasformazione dei protoni in neutroni. Le reazioni nucleari che avvengono all’interno del Sole producono, tra l’altro, anche neutrini che raggiungono la Terra dopo pochi minuti. Essi sono dei «messaggeri» che portano sulla Terra informazioni su ciò che accade all’interno del Sole e sono forse l’unico mezzo per riuscire a capire in maniera diretta i processi di fusione che avvengono al suo interno (figura 17).
neutrino
Figura 16. Se due nuclei si avvicinano a sufficienza possono fondersi in un nucleo più grande.
Figura 17. I neutrini prodotti dal Sole raggiungono la Terra e molti di essi la attraversano da parte a parte.
Nei processi terrestri, la fusione nucleare è usata in forma incontrollata per la bomba a idrogeno (bomba H). La prima bomba H non è mai stata impiegata in operazioni belliche e venne sperimentata dagli Stati Uniti nel novembre del 1952 e dall’Unione Sovietica quasi un anno dopo. Seguirono il Regno Unito, la Repubblica Popolare Cinese e la Francia rispettivamente nel 1957, 1967 e 1968. Nel 1961, in una serie di test nucleari, l’URSS fece esplodere la più potente bomba H mai realizzata, chiamata «bomba Zar», che liberò un’energia oltre 4500 volte più potente della bomba A «Little Boy» lanciata su Hiroshima. La fusione potrebbe essere usata in forma controllata nei reattori a fusione nucleare, che tuttavia sono ancora in fase sperimentale. Ai fini della produzione di energia la fusione non ha gli inconvenienti della fissione, in quanto non produce scorie radioattive, ma per essere attivata richiede un quantitativo di energia tanto grande da non renderla competitiva. Per fare sì che la fusione avvenga, infatti, è necessario avvicinare moltissimo i nuclei, vincendo le intense forse elettromagnetiche repulsive con ingenti costi energetici.
313 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
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ANTIMATERIA, RAGGI COSMICI E ALTRE PARTICELLE
Dai primi del Novecento, in pochi decenni, la fisica fu sconvolta da teorie rivoluzionarie e osservazioni di fenomeni strani come le trasformazioni all’interno dei nuclei, per i quali non era possibile stabilire nessuna analogia con il mondo macroscopico. Non appena furono messe a punto tecniche per indagare la struttura atomica della materia, come per esempio il bombardamento con particelle, emersero comportamenti del tutto diversi da quelli ai quali gli scienziati erano abituati. Alcune particelle, per esempio, sono in grado di trasformarsi le une nelle altre, come avviene nel decadimento beta, cosa che non vediamo mai accadere a livello macroscopico. Questo fatto si può spiegare perché protoni e neutroni non sono propriamente particelle elementari, cioè non sono indivisibili, ma sono a loro volta formate da altre particelle chiamate quark. Le particelle elementari dello stesso tipo, infatti, devono essere tutte identiche tra loro e le loro caratteristiche non devono cambiare nel tempo. Oggi sappiamo che ciascun protone e ciascun neutrone è formato da 3 quark tenuti insieme dalla forza forte.
u
u d
u
protone
d d
neutrone
Figura 18. Protoni e neutroni sono formati da tre quark ciascuno, tenuti insieme dalla forza forte.
Così come la forza elettromagnetica agisce tra particelle di segno diverso, la forza forte agisce su particelle di colore diverso, come è stata chiamata la nuova proprietà. Neutrini ed elettroni non sono invece divisibili ulteriormente e vengono chiamati complessivamente leptoni. Leptoni e quark sono dunque i costituenti ultimi della materia. Le particelle formate da quark, come protoni e neutroni, sono chiamate genericamente adroni. Se la fisica del XVII secolo era popolata di fluidi, come il fluido calorico, il fluido elettrico e quello magnetico, e la fisica del XIX secolo era popolata di raggi, come i raggi X o γ, e i raggi α e β, la fisica del XX secolo è popolata di particelle: dai fotoni, particelle di luce, agli elettroni, nuova identità dei raggi β, dai quark ai neutrini. E i quark che formano protoni e neutroni, hanno nomi diversi, up (u) e down (d), e hanno carica rispettivamente 2/3 di e e 1/3 di e, in modo tale che un protone formato dall’unione di 2 quark up e un quark down, abbia carica e; mentre un neutrone, formato da un quark up e 2 quark down abbia carica neutra (figura 18). p = uud n = udd
2 2 1 e+ e− e 3 3 3 2 1 1 0= e− e− e 3 3 3 e=
Le cose non finiscono qui. Mentre da una parte alcuni fisici studiavano gli atomi e le loro particelle, altri fisici scoprivano l’esistenza di altri tipi di materia, popolata da particelle diverse da quelle note (neutroni, protoni, elettroni), e altri ancora scoprivano che ognuna di esse ha una sorta di «doppio» con carica opposta e cioè che a ogni particella di materia corrisponde una particella di antimateria. Le particelle si moltiplicarono a dismisura e proprio per
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LA MATERIA
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mettere ordine in tanta «confusione», nacque il modello a quark nel 1964. Vediamo ora alcune importanti tappe della fisica delle particelle del XX secolo.
L’antimateria, dall’ipotesi alla scoperta Alla fine degli anni Venti non era ancora stato spiegato il comportamento di una particella quantistica, come l’elettrone, quando si muove a velocità prossime a quelle della luce, ossia non era stato ancora stabilito un collegamento tra la meccanica quantistica e la teoria della relatività di Einstein. Nel 1928, nel tentativo di unificare la meccanica quantistica con la teoria della relatività, il fisico Paul Dirac formulò un’equazione, detta appunto l’equazione di Dirac. Tale equazione presentava due soluzioni, una positiva e una negativa. Fermandosi al livello matematico la cosa non suscita molto scalpore, ma avendo a che fare con un’equazione che descrive il mondo fisico le cose cambiano: la soluzione positiva, infatti, era associata all’elettrone, ma accanto ad essa ne compariva un’altra di segno opposto, che sembrava non corrispondere ad alcuna particella conosciuta. Fu allora che Dirac, con la spregiudicatezza tipica di un fisico teorico del XX secolo, avanzò l’ipotesi dell’esistenza di una sorta di elettrone positivo, classificato come antiparticella dell’elettrone. Nel 1932 Carl David Anderson confermò sperimentalmente l’esistenza dell’antielettrone, che battezzò positrone, anche se la dicitura logicamente corretta dovrebbe essere positone, come in alcuni casi viene chiamato. Qualche anno più tardi, nel 1955, i fisici Emilio Segrè e Owen Chamberlain scoprirono l’antiprotone e, un anno dopo, l’antineutrone, formati quindi da antiquark. Le tre particelle che costituiscono l’atomo (l’elettrone, il protone e il neutrone) avevano dunque anche l’antiparticella corrispondente. Mentre gli antielettroni si indicano con e, cioè esplicitando il fatto che si tratta di elettroni positivi, le altre antiparticelle si indicano in genere con una barra sul simbolo della particella, per esempio – protone p antiprotone p A partire dagli anni Sessanta la comunità fisica cominciò a interrogarsi sulla possibilità che un antiprotone e un antineutrone potessero legarsi in un nucleo di antimateria così come accade per un protone e un neutrone in un nucleo di materia. Nel 1965 fu osservato il primo nucleo di antimateria, ovvero il primo antinucleo, l’antiidrogeno anti-idrogeno deuterone, composto da un antiprotone e un antineutrone. Trent’anni protone antiprotone più tardi, nel 1995, per la prima volta u u u u venne creato l’antiatomo dell’atomo d d di idrogeno costituito da un antiprotone e un positrone (figura 19). positrone po elettrone Di recente sono stati rivelati raggi di antimateria creati all’interno di tempeste terrestri nonché dell’antimateria di pochissimi positroni proveniente da alcuni temporali tropicali al di sopra di 15 km dalla superficie terrestre. Quando l’antimateria e la materia si incontrano si annichilano, cioè scompaiono, e al posto loro compaiono due fotoni γ. Si tratta di una enorme quantità di energia data ancora una volta dalla relazione (9.10).
Figura 19. Un atomo di antiidrogeno è formato da un antiprotone e un antielettrone o positrone.
315 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
11
LA MATERIA
I raggi cosmici Già dai primi del Novecento si ebbero segnali di una radiazione ionizzante in atmosfera, che la rendeva conduttrice. Nel 1913 Victor Hess provò, con esperimenti effettuati da un pallone aerostatico, che la sorgente di tali raggi era lo spazio, infatti scoprì che a partire dalla superficie terrestre la loro presenza diminuiva per via dell’allontanamento dalla radioattività delle rocce, ma poi cominciava ad aumentare con la quota. Per questo motivo li chiamò raggi cosmici. Misure successive mostrarono che i raggi cosmici contenevano una componente molto penetrante, più penetrante dei raggi γ, e misure sempre più raffinate mostrarono che si trattava di particelle. Nei raggi cosmici fu trovato il positrone previsto dalla teoria di Dirac. Ma non mancarono le sorprese: i raggi cosmici si rivelarono presto un insieme di particelle, altamente energetiche, di ogni tipo conosciuto e sconosciuto. Tra le particelle allora sconosciute fu trovata una sorta di elettrone più pesante, il muone (indicato con il simbolo μ). E molte altre particelle che si comportavano in modo «strano» nel decadere da una specie instabile a una più stabile. Si ipotizzò dunque che esse contenessero un terzo tipo di quark, detto appunto strange (s). I raggi cosmici contengono dunque una enorme varietà di particelle di materia e antimateria, che a volte si scontrano annichilandosi in un fotone γ, a volte urtano le particelle presenti in atmosfera generando nuove particelle e, mentre raggiungono la superficie terrestre, decadono in particelle più stabili. Si parla dunque di sciami di particelle provenienti dallo spazio: dal Sole, per esempio, ma anche da eventi lontani nello spazio e nel tempo (figura 20).
Simon Swordy (U. Chicago), NASA
Figura 20. I raggi cosmici sono formati da particelle provenienti dallo spazio e che raggiungono la superficie terrestre dopo aver subito diverse trasformazioni dovute agli urti tra raggi cosmici stessi o con le particelle che compongono l’atmosfera e al naturale decadimento in particelle più stabili.
L’atmosfera ci scherma dalle radiazioni più pericolose, tuttavia al livello del mare noi siamo investiti da circa 200 particelle per metro quadro. Al di sopra dell’atmosfera i raggi cosmici costituiscono un problema per i satelliti
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LA MATERIA
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artificiali, perché interferiscono con l’elettronica, e nei viaggi spaziali di equipaggi umani possono avere effetti ionizzanti sui tessuti biologici. Non è facile, infatti, schermare i raggi cosmici che riescono ad attraversare spessi strati di materia. Basti pensare che per poter studiare i neutrini senza l’inevitabile disturbo dei raggi cosmici, sono stati costruiti laboratori sotterranei come quelli del Gran Sasso nei quali la roccia sovrastante funziona come un grosso «filtro» che assorbe i raggi cosmici riducendo il rumore che essi producono nel segnale.
Gli acceleratori di particelle Gli esperimenti compiuti nell’ambito della fisica delle particelle si basano sull’osservazione di particelle prodotte da macchine chiamate acceleratori di particelle. Un acceleratore di particelle è fondamentalmente una macchina capace di accelerare le particelle elementari (per esempio gli elettroni) a velocità prossime a quelle della luce per produrre urti tra le stesse ad altissima energia (figura 21).
CERN PhotoLab
Figura 21. Nell’acceleratore di particelle Large Hadron Collider (LHC) del CERN, a Ginevra, le particelle sono accelerate in direzioni opposte all’interno di un percorso circolare la cui circonferenza misura 27 km.
L’energia posseduta dalla particella è dunque concentrata in un volume piccolissimo e, quando si sprigiona in seguito all’urto, accadono cose difficilmente intuibili sulla base dell’esperienza comune. Tale energia, infatti, si trasforma in materia, sempre in virtù dell’equivalenza massa-energia data dalla formula (9.10). Negli acceleratori di particelle quindi si «crea» materia a partire da una quantità di energia estremamente concentrata nel volume di una piccola particella subatomica: quando una particella accelerata urta contro un bersaglio fermo o contro un’altra particella in moto in direzione opposta, dall’impatto emergono una quantità di altre particelle e antiparticelle di ogni tipo, che successivamente decadono in particelle sempre più stabili, fino ad arrivare ai protoni che sono le particelle più stabili che si conoscono. Per osservare tali eventi si usano appositi rivelatori che permettono di «fotografare» l’impatto e ciò che ne consegue. Dall’analisi di tali «tracce» di particelle lasciate nei rivelatori, i fisici riescono a risalire alla loro natura. Per esempio, all’interno di un campo magnetico la traccia di una coppia positrone-elettrone che emergono da un raggio γ è costituita da due traiettorie con curvatura opposta in quanto la forza di Lorentz che agisce su particelle di carica opposta ha verso opposto (figura 22).
Figura 22. All’interno di un campo magnetico uniforme è possibile distinguere un elettrone da un positrone, perché si muovono su orbite circolari in direzioni opposte.
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LA MATERIA
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IL MODELLO STANDARD
La materia è costituita da diversi tipi di particelle elementari. Ricordiamo che le particelle elementari sono indivisibili, cioè non sono costituite da altre particelle e non cambiano nel tempo. Particelle elementari dello stesso tipo sono tutte uguali tra loro, e quindi indistinguibili. Il concetto di particella elementare dipende dall’energia a disposizione, cioè è un concetto relativo. Infatti la possibilità di «dividere» in parti più piccole una certa particella dipende da quanta energia le viene fornita: non è detto, quindi, che con macchine più energetiche di quelle che riusciamo attualmente a costruire non si possano suddividere ulteriormente i quark. Oggi le particelle «più elementari» che conosciamo sono i quark e i leptoni. La miriade di particelle osservate dai fisici del XX secolo ha portato a una classificazione di quark e leptoni, nota come Modello Standard, nel quale compaiono i costituenti della materia ordinaria, ma anche quelli della materia instabile prodotta negli acceleratori di particelle. Accanto alle particelle che rappresentano i costituenti fondamentali della materia, dette complessivamente fermioni, il Modello Standard comprende anche le particelle che governano le forze fondamentali nel nostro Universo, dette bosoni. Per fare un esempio, quark che compongono i protoni e gli elettroni sono fermioni che interagiscono attraverso i fotoni, che sono i bosoni che mediano l’interazione elettromagnetica.
La materia e le forze I fermioni, che compongono la materia, si dividono quindi in due gruppi di particelle subatomiche: i quark e i leptoni, con gli antiquark e gli antileptoni che sono le relative antiparticelle (ovvero particelle uguali in tutto e per tutto, tranne che per alcune grandezze fisiche, come ad esempio la carica elettrica opposta). I quark, elettricamente carichi, sono di sei tipi e si accoppiano in tre generazioni: s quark up (u) e quark down (d), più leggeri e più stabili; s quark charm (c) e quark strange (s), sempre più pesanti e meno stabili; s quark top (t) e quark bottom (b), i più pesanti e instabili che si conoscono. A ogni quark corrisponde un antiquark. I leptoni sono anch’essi sei particelle diverse, che si suddividono in tre generazioni: s l’elettrone (e), il più leggero e il neutrino elettronico (νe), ad esso associato; s il muone (μ), di massa intermedia e il neutrino muonico (νμ), ad esso associato; s il tauone (τ), di massa maggiore e il neutrino tauonico (ντ) ad esso associato. Anche ai leptoni corrispondono i rispettivi antileptoni. Come abbiamo visto nel corso dello studio della fisica, le forze fondamentali sono quattro: la forza gravitazionale, la forza elettromagnetica, la
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LA MATERIA
forza forte e la forza debole. La forza gravitazionale governa il moto dei pianeti, la forza elettromagnetica agisce solo tra corpi dotati di carica elettrica e le forze debole e forte sono quelle che dominano a livello subatomico. Il Modello Standard è in grado di descrive solo le ultime tre, per le quali è definito un bosone mediatore: s il fotone è il bosone mediatore della forza elettromagnetica; s il gluone è il bosone mediatore della forza forte; s i bosoni W e Z sono i mediatori della forza debole.
quark
tre generazioni della materia (fermioni) bosoni I II III
leptoni
Nella figura 23 è illustrato in modo compatto lo schema delle particelle e le forze descritte dal Modello Standard. I quark, essendo elettricamente carichi, sono soggetti alla forza elettromagnetica e in natura non si trovano isolati ma sono tenuti insieme all’interno del nucleo dalla forza forte. I leptoni sono particelle elementari che interagiscono attraverso le forze deboli, elettromagnetiche (eccetto i neutrini che sono elettricamente neutri) e, come ogni oggetto dotato di massa, gravitazionali.
u
t
charm
top
photon
down
d e
strange
bottom
muon neutrino
b
gluon
electron neutrino
s
tau neutrino
Z boson
e
electron
Un nuovo concetto di campo
c
up
muon
tau
g Z0
W
W boson
Figura 23. Le particelle elementari che costituiscono la materia e quelle che mediano le forze tra esse possono essere raggruppate in uno schema compatto.
Nella teoria quantistica della materia rappresentata dal Modello Standard le interazioni sono dovute all’azione di una particella mediatrice, la quale viene scambiata tra le due particelle interagenti. La metafora più usata per illustrare in termini macroscopici questo concetto è quella della palla da tennis: immaginando che i due giocatori siano le particelle interagenti, il bosone mediatore è rappresentato dalla palla che i due si scambiano a vicenda. L’energia del campo è dunque traparticella bosone mediatore sportata dal bosone mediatore da una particella materiale dell’interazione all’altra (figura 24). Per esempio, nel caso di due elettroni che interagiscono a una certa distanza l’uno dall’altro, l’energia del campo elettromagnetico è trasportata da un fotone che ha una vita molto breve, detto «fotone virtuale», che viene scambiato dalle due particelle.
particella materiale
Nella teoria quantistica della materia microscopica le forze che agiscono tra particelle materiali (fermioni) sono dovute allo scambio di particelle virtuali (bosoni).
Figura 24. Il bosone trasporta energia e impulso tra le particelle interagenti, come fa una pallina da tennis tra due giocatori.
Quindi così come due elettroni interagiscono scambiandosi un fotone, due quark interagiscono scambiandosi un gluone, e così via. Un metodo molto usato per rappresentare le interazioni a è quello dei diagrammi di Feynmann, in cui le particelle sono rappresene e tate da frecce che indicano la loro evoluzione temporale e i bosoni mediatori sono rappresentati da linee ondulate, spezzate o elicoida li. Per esempio con i diagrammi di Feynmann e e possiamo rappresentare l’urto tra due elettroni che si muovono l’uno contro l’altro e successivamente cambiano direzione scambiandosi un fotone γ (figura 25).
Figura 25. Due elettroni che si muovono l’uno contro l’altro interagiscono scambiandosi un fotone virtuale.
319 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
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LA MATERIA
La massa delle particelle Il Modello Standard ha un piccolo «problema»: affinché la descrizione funzioni le particelle devono essere prive di massa, altrimenti non risultano rispettate le proprietà di simmetria del sistema. Qual è dunque l’origine della massa delle particelle? Per poter ovviare al problema, il fisico Peter Higgs, assieme a François Englert e Robert Brout, ipotizzò nel 1964 l’esistenza di un campo, il campo di Higgs, che permea tutto lo spazio e interagisce con i campi associati alle particelle, dando loro la massa giusta. In altre parole, secondo il modello, i fermioni hanno massa soltanto perché interagiscono con il campo di Higgs, il cui bosone mediatore, elettricamente neutro, è appunto il bosone di Higgs. La massa inerziale di una particella è determinata da quanto intensamente interagisce con il campo di Higgs. Il campo di Higgs fa dunque in modo che le particelle si oppongano alle variazioni del loro stato di moto, conferendo loro l’inerzia. I fotoni e i gluoni che non interagiscono con il campo di Higgs non hanno quindi massa. Attualmente la ricerca del bosone di Higgs è uno dei punti centrali della fisica delle particelle e anche ad essa è dedicato l’acceleratore di particelle Large Hadron Collider, situato a Ginevra nei laboratori internazionali del CERN.
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LA TEORIA DEL TUTTO
Una delle frontiere della fisica teorica è la ricerca di una teoria capace di ricollegare in un unico schema tutti i fenomeni fisici conosciuti, cioè la ricerca di una teoria del tutto. Attualmente, infatti non è possibile inquadrare insieme la teoria della relatività ristretta e generale, che vedremo nel capitolo «L’Universo», e la fisica quantistica. Non esiste, cioè una teoria quantistica della gravità e, pertanto, l’interazione gravitazionale rimane irrimediabilmente fuori dalla descrizione del Modello Standard. Precedentemente è stata proposta una teoria che sembrerebbe rispondere all’esigenza di un quadro unitario. La cosiddetta teoria delle superstringhe si basa sul principio che tutte le particelle elementari sono in realtà generate da modi normali di vibrazione di «corde» microscopiche, dette appunto stringhe. Esse hanno dimensioni pari a quella più piccola concepibile in fisica, ossia oltre la quale il concetto di dimensione perderebbe ogni significato fisico, ovvero la lunghezza di Planck, il cui valore sperimentale è lP 1,616 252 × 10−35 m data dalla formula ?G c3 dove G è la costante di gravitazione universale, c è la velocità della luce nel vuoto e ħ è la costante di Planck ridotta, pari a lP
?=
h = 1, 05 × 10−34 J ⋅ s 2π
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Secondo questa teoria, quindi, l’Universo è composto da una specie di «orchestra» di minuscole corde vibranti che si differenziano quindi dagli oggetti puntiformi del Modello Standard. Le stringhe non sono costituite da particelle più piccole, ma sono esse stesse elementari anche se estese nello spazio, tuttavia date le loro dimensioni, circa 1020 volte inferiori a quelle di un atomo, sembrano puntiformi anche se osservate dagli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione (figura 26). Le stringhe possono essere aperte o chiuse e forniscono uno schema consistente che descrive in maniera unificata il campo elettromagnetico e quello gravitazionale, come il Modello Standard non è in grado di fare. La teoria delle superstringhe è in grado di rendere conto delle quattro forze fondamentali, elettromagnetiche, gravitazionali, ma anche debole e forte, e di tutte le altre particelle fondamentali note. Tale teoria ha inoltre il vantaggio di essere consistente con le leggi della relatività di Einstein, dove spazio e tempo non sono più quantità assolute e distinte (come quelle newtoniane nella meccanica classica), ma relative e indistinguibili in un continuum spaziotemporale a dieci dimensioni: una temporale e nove spaziali, ovvero sei in più rispetto alle tre che si conoscono dall’esperienza quotidiana. Oltre a essere molte, le dimensioni in più previste dalla teoria delle superstringhe hanno una struttura arrotolata a forma di spazi di Calabi-Yau (figura 27). La teoria delle superstringhe è una teoria giovanissima, non ancora accettata come teoria dotata di un significato fisico, accertata sperimentalmente. Tuttavia è estremamente elegante dal punto di vista matematico e potente dal punto di vista della fisica: verificare sperimentalmente se le extra dimensioni nello spazio esistano o meno sarà una delle sfide più avvincenti della fisica delle particelle elementari.
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Carol and Mike Werner / Alamy
LA MATERIA
Figura 26. Secondo la teoria delle superstringhe le particelle non sono puntiformi, ma assomigliano a piccolissime corde vibranti.
Figura 27. La teoria delle superstringhe prevede un’altra revisione dello spaziotempo, le cui dimensioni extra sarebbero arrotolate a formare spazi di Calabi-Yau.
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LA MATERIA
LETTERATURA Il sistema periodico
Proprietà della famiglia Levi McCarthy/naturepl.com George
Che vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l’Universo e noi stessi: e che quindi il Sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite al liceo: a pensarci bene aveva persino le rime! (Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi, Torino 1975) Contrariamente alla concezione secondo la quale il valore della conoscenza scientifica sia esclusivamente «tecnico», Primo Levi vi scorge un valore addirittura «poetico». Nella poesia della tavola periodica di Mendeleev egli riconosce un’analogia con le assonanze: così come le parole dal suono simile si dispongono secondo uno schema ordinato nei versi poetici, elementi con caratteristiche simili sono distribuiti con ordine, a formare un sistema con una struttura organica ben precisa.
Primo Levi nel Laboratorio di analisi quantitativa dell'Istituto di Chimica dell’Università di Torino, febbraio 1940.
La ricerca di un ordine
All’epoca erano noti 63 elementi, che Mendeleev ordinò secondo una griglia con righe e colonne, considerando il loro peso atomico, ordinato in ordine crescente, e le loro caratteristiche chimiche come la capacità di legarsi ad altri atomi. In questo modo ottenne una disposizione logica e coerente, al punto che negli spazi della griglia che risultavano vuoti fu possibile prevedere l’inserimento di altri elementi con precise caratteristiche fisiche e chimiche, che furono trovati in seguito. La storia della sistemazione degli elementi non si esaurisce qui. Tuttavia anche se oggi il criterio ordinatore della tavola periodica è il numero atomico Z (cioè il numero di protoni presenti nel nucleo dell’atomo dell’elemento in questione), la sua struttura non ha subito significative modifiche pur essendosi arricchita di nuove conoscenze.
nome numero atomico simbolo peso atomico (u)
MAGNESIO
La tavola degli elementi LITIO
BERILLIO BERILL ILLIO O
3
4
6 941 6,9
9,012
SOD ODIO
MAGNESIO
11
12
22,99
Li Li Na
12
Mg
Be Be Mg
24,31
24,31
3
4
5
6
7
POTASSIO
CALCIO
SCANDIO
TITANIO
V VANADIO
CROMO
MANGANESE FERRO
COBALTO
19
20
21
22
23
24
25
26
27
39,10
40,08
44,96
47,87
50,94
52,00
54,94
55,85
58,93
RUBIDIO
STRONZIO
ITTIRIO
ZIRCONIO
NIOBIO
MOLIBDENO TECNEZIO
RUTENIO
RODIO O
37
38
39
40
41
42
43
44
45
85 5,4 47
87,62
88,91
91,22
92,91
95,94
(98,91)
101,1
102,9 9
CESIO CES IO
BARIO
LANT LAN TANIO
AFNIO
TAN ANT TALIO
WOLF OLFR RAMIO RENIO
OSMIO O
IRI IR RID DIO DIO
55 5
56
57
72
73
74
75
76
77 77
132 13 132,9 32,9 3 9
137,3
138 138,9 38,9 9
178,5 85
180 18 0,9 9
183 183,9 83,9 9
186,,2 186
190 19 90,2
192,2
K R Rb Cs Cs
Ca Sr Ba Ba
Sc Y
La La
Ti Zr Hf
V
Nb Ta Ta
Cr Mo W
Mn Tc Re Re
8
Fe Ru Os Os
9
Co Rh Rh Ir Ir
Gli elementi sono ordinati secondo il numero atomico (numero in alto a sinistra) e le loro configurazioni elettroniche, che sono responsabili del comportamento chimico e caratterizzano il gruppo di elementi che fa parte della stessa colonna.
DOMANDA Inizialmente gli elementi della tavola periodica erano ordinati secondo la massa atomica, oggi si utilizza uno schema ordinato secondo il numero atomico. Perché i due criteri non sono equivalenti?
322 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Dirk Goldhahn
Nel corso del 1800 lo sviluppo della chimica permise una conoscenza approfondita della materia, al punto che verso la metà del secolo si rese necessario mettere ordine nelle conoscenze acquisite. Grazie a continue scoperte di elementi nuovi ne erano stati riconosciuti circa una cinquantina e gli scienziati iniziavano a chiedersi se il loro numero fosse infinito. Sicuramente occorreva un criterio per ordinarli e caratterizzarli. Diversi chimici, per diversi anni, si cimentarono nella ricerca di un criterio per la classificazione della moltitudine di elementi, ma solo nel 1869 si ebbe la prima sintesi che rendeva effettivamente conto delle differenze e riproduceva le regolarità della materia: la «tavola periodica» costruita dal chimico russo Dmitrij Ivanovicˇ Mendeleev (1834-1907) può essere considerata una base per la chimica inorganica moderna. Inoltre al suo straordinario ordine sottostà un principio ordinatore «quantistico» che all’epoca era del tutto insospettabile. Mendeleev aveva cioè costruito uno schema che funziona bene a diversi livelli, da quello macroscopico delle caratteristiche fisiche che distinguono i materiali a quello microscopico del comportamento chimico e quindi, ancora più in profondità, della distribuzione degli elettroni intorno ai nuclei atomici.
LA MATERIA
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MEDICINA
La parola laser è l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, cioè amplificazione della luce per mezzo dell’emissione stimolata di radiazione. La luce prodotta da un laser è in genere monocromatica, coerente ed estremamente collimata, cioè il fascio è molto sottile e non si allarga significativamente anche a grandi distanze. La luce di un laser trasporta dunque energia molto «concentrata» e per questo può essere molto pericolosa per gli occhi, che sono organi molto delicati; inoltre quella prodotta dai dispositivi più potenti può addirittura provocare lesioni e ustioni alla pelle.
Come funziona un laser? Il principio di funzionamento del laser è basato sul comportamento quantistico degli elettroni. Schematizzando un insieme di atomi come un sistema a due livelli, immaginiamo che gli elettroni si trovino tutti nello stato fondamentale. È possibile fornire energia al materiale (fase di pompaggio), in modo tale da portare tutti gli elettroni in uno stato eccitato: in tale condizione (inversione di popolazione) è sufficiente che gli elettroni ricevano uno «stimolo» luminoso per passare allo stato fondamentale, emettendo pertanto un’onda elettromagnetica nella stessa direzione dell’onda stimolante. Tale luce viene successivamente amplificata in una cavità risonante, cioè un risuonatore formato da un segmento compreso tra due specchi nel quale le onde oscillano avanti e indietro, generando onde stazionarie, e provocando successive emissioni stimolate che amplificano l’intensità della luce complessiva fino al valore desiderato.
a
b
c
d
George McCarthy/naturepl.com
Il laser
a. Un elettrone riceve energia e si porta in uno stato eccitato. b. In seguito a uno stimolo l’elettrone torna nello stato fondamentale. c. Quando ciò avviene emette energia sotto forma di un’onda elettromagnetica che ha la stessa direzione dell’onda stimolante. d. Il successivo passaggio della luce all’interno di una cavità risonante amplificano la radiazione emessa.
Raymond Gregory / Shutterstock
Il laser in medicina
effetto termico: quando provoca un riscaldamento della zona interessata. Per esempio questo effetto è utilizzato in sostituzione del bisturi per incidere i tessuti con estrema precisione, favorendo contemporaneamente l’emostasi nei piccoli vasi. effetto fotochimico: quando provoca reazioni in particolari sostanze fotosensibili e non in altre. Per esempio in alcune terapie contro i tumori viene introdotta una sostanza fotosensibile che va ad accumularsi nella zona da trattare, la quale viene poi irradiata senza significativi danni per i tessuti circostanti. effetto elettromeccanico: quando provoca la ionizzazione all’interno dei tessuti. Le conseguenze di ciò si manifestano con un aumento della pressione del materiale colpito, che può provocare vere e proprie rotture, come avviene nella rimozione dei calcoli.
CMRF Crumlin
Le caratteristiche della luce di un laser sono molto utilizzate nella medicina, per gli usi più disparati a seconda della sua lunghezza d’onda e dell’energia trasportata. Infatti, dato che ogni tessuto assorbe in modo efficiente una certa lunghezza d’onda, si può operare selettivamente su alcuni di essi lasciando praticamente inalterati quelli circostanti. L’utilizzo del laser in medicina si basa principalmente su 3 possibili effetti che può avere sui tessuti, in base alla sua tipologia e al tempo di applicazione:
La luce laser è largamente usata nella medicina estetica e nella chirurgia oftalmica.
DOMANDA La lunghezza d’onda della luce emessa da un laser dipende dalla sostanza attiva che viene stimolata. Il tipo di luce generalmente prodotta con un laser ha lunghezze d’onda che vanno dall’infrarosso all’ultravioletto. A quale di questi due estremi corrisponde una distanza maggiore tra i due livelli energetici elettronici?
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LA MATERIA
CON GLI OCCHI DI UN FISICO Guerra e pace The «doomsday device»
Intorno al genio di Archimede di Siracusa sono nate diverse leggende, come quella degli «specchi ustori», particolari strumenti ottici riflettenti, capaci di concentrare l’energia del Sole al punto da riuscire a bruciare da lontano le navi nemiche. Nonostante sia improbabile che gli specchi di Archimede abbiano effettivamente avviato la combustione, tuttavia è plausibile che abbiano suscitato il terrore nel nemico: lo stesso scienziato, infatti, aveva progettato una quantità di macchine da guerra efficacissime, come catapulte e balestre, che sfruttando nozioni di meccanica riuscivano a concentrare grandi quantità di energia e a dirigerla verso il nemico. La conoscenza della fisica e delle sue leggi è da sempre considerata preziosa in guerra. Nella meccanica, per esempio, la balistica si sviluppa intorno allo studio del moto dei proiettili per evidenti applicazioni belliche, ma lo stesso si può dire di altri campi della scienza. Galileo Galilei riuscì a finanziare le sue ricerche scientifiche vendendo cannocchiali, presentati innanzitutto al doge di Venezia come strumenti con i quali i marinai veneziani potevano avvistare i nemici molto prima che essi vedessero loro. L’umanità ha sempre dimostrato grande dedizione alla guerra e la superiorità nella conoscenza delle leggi della natura si traduce immediatamente in superiorità sul nemico: le applicazioni tecnologiche della scienza sono state spesso, prima di tutto, applicazioni belliche.
Dalle catapulte ai cannoni, dai cannoni alle bombe, dalle bombe all’ipotetico ordigno capace di distruggere in un solo colpo l’intera umanità, o doomsday device, protagonista della pungente parodia sulla guerra fredda, Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (1964), del regista Stanley Kubrik. Nel film il dottor Stranamore è lo scienziato artefice del micidiale «ordigno fine di mondo», e ne caldeggia l’utilizzo contro il nemico, nonostante ciò comporti la contemporanea distruzione dell’intero pianeta. Durante la guerra fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica investirono ingenti risorse economiche nella progettazione e nella costruzione di armi nucleari dal potere distruttivo crescente, motivandola con una pretesa di effetto deterrente nei confronti del nemico. Portando la cosiddetta corsa agli armamenti alle estreme conseguenze, si sarebbe potuti arrivare alla paradossale situazione descritta nel film: un pretesto qualsiasi, un gesto di follia, avrebbe messo a repentaglio l’esistenza della vita sull’intero pianeta. Le prime armi nucleari furono progettate e realizzate a tempo di record durante la Seconda guerra mondiale, quando sembrava che la Germania nazista avesse avviato la costruzione di ordigni analoghi, che avrebbe senz’altro utilizzato contro i suoi nemici. Il programma di ricerca per la costruzione degli ordigni nucleari era denominato Progetto Manhattan, che, sotto la direzione scientifica del fisico statunitense Robert Oppenheimer (1904-1967), impegnava scienziati e ingegneri di prim’ordine. Molti di essi lavoravano a problemi parziali e non erano al corrente del disegno di insieme del progetto, che era invece coordinato da pochi direttori tecnici, tra i quali e l’italiano Enrico Fermi.
Affresco dello stanzino delle matematiche della galleria degli Uffizi a Firenze, che rappresenta la manus ferrea, macchina da guerra progettata da Archimede per affondare le navi nemiche.
PAROLA CHIAVE
Particella elementare
DOMANDA Nel romanzo Angeli e demoni di Dan Brown (2000) alcuni scienziati riescono a isolare una quantità di antimateria, piccola ma sufficiente a provocare un’esplosione di energia devastante; tuttavia i protagonisti del racconto riusciranno a scongiurare la catastrofe. Perché una piccola quantità di antimateria può avere effetti distruttivi?
Moviestore collection Ltd / Alamy
Macchine da guerra e altri «utili» strumenti
La sala della guerra nel film Il dottor Stranamore di Stanley Kubrik (1964).
PAROLA CHIAVE
Interazione forte
DOMANDA Durante una reazione di fissione nucleare, l’interazione elettromagnetica prevale sull’interazione forte e un nucleo atomico si divide in due nuclei più piccoli. Spiega in 10 righe il processo di reazioni a catena che porta a un’esplosione nucleare.
324 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
LA MATERIA
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Il momento della riflessione
Scienziati per la pace
Nel 1962 andò in scena per la prima volta I fisici, una commedia teatrale scritta lo svizzero Friedrich Dürrenmatt. Il protagonista della vicenda è un fisico nucleare, Möbius, che, resosi conto che le sue ricerche scientifiche avrebbero potuto avere ripercussioni devastanti per l’umanità, decide di fingersi pazzo e si fa internare in una clinica. Per carpire i suoi segreti, altri due fisici, appartenenti alle fazioni contrapposte di Stati Uniti e Unione Sovietica, fingendo di credersi uno Newton e uno Einstein, lo seguono nella casa di cura. Il protagonista cerca di impedire in tutti i modi che qualcuno si impossessi della pericolosa formula, ma alla fine ci riesce la direttrice della clinica, unica vera pazza, che ambisce a sottomettere il mondo intero. In uno dei 21 punti che seguono la commedia, Dürrenmatt afferma che se «il contenuto della fisica riguarda solo i fisici, i suoi effetti riguardano tutti» (F. Dürrenmatt, I fisici, trad. it di A. Rendi, Einaudi, Torino 1972), richiamando la scienza alla sua responsabilità nei confronti dell’umanità e del mondo. Pochi anni prima, tra il 1955 e il 1956 Bertolt Brecht (18981956) aveva pubblicato la terza e ultima versione della famosa Vita di Galileo, che può essere considerata un’opera fondamentale sullo stesso tema. Egli fa pronunciare a Galileo le parole
Nel 1995 il premio Nobel per la pace fu assegnato all’organizzazione non governativa Pugwash Conferences on Science and World Affairs, nata nel 1957, nel pieno della guerra fredda, dall’incontro di 22 scienziati provenienti da diversi paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. I fondatori del Pugwash presero spunto da un manifesto presentato da Albert Einstein e Betrand Russell il 9 luglio 1955, per promuovere una campagna per il disarmo nucleare, e firmato da altri 11 scienziati e intellettuali di fama mondiale. Tra questi anche il fisico Joseph Rotblat che abbandonò lo stesso progetto Manhattan nel quale era coinvolto, per questioni etiche. Nel tempo, numerosi altri scienziati di tutto il mondo hanno aderito all’organizzazione, sostenendone le istanze anche in anni in cui la politica internazionale era molto tesa e continuando l’azione di promozione della pace presso i governi. Negli stessi anni in cui le potenze mondiali schieravano l’una contro l’altra testate nucleari sempre più potenti e distruttive, i loro scienziati si stringevano la mano, uniti dall’obiettivo comune del disarmo e della pace. Oggi la questione dei rapporti tra scienza ed etica è di grande attualità e sempre più scienziati si impegnano nella promozione della pace, nella salvaguardia della salute pubblica, nel rispetto dell’umanità e della natura.
Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l’uomo. […] Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale…
United States Department of Defense (SSGT Phil Schmitten)
(B. Brecht, Vita di Galileo, in I capolavori di Brecht, trad. it. di E. Castellani Einaudi, Torino 1971)
PAROLA CHIAVE
L’organizzazione non governativa Pugwash Conferences on Science and World Affairs, nata nel 1957 dall’incontro di 22 scienziati provenienti da diversi paesi del mondo, negli anni della guerra fredda si è impegnata nella promozione della pace e del disarmo.
Interazione debole
DOMANDA In seguito all’esplosione di un ordigno nucleare si verificano fenomeni di decadimento radioattivo. Di quale tipo di decadimento è responsabile l’interazione nucleare debole? Spiega il fenomeno in 5 righe.
325 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
MAPPA DEI CONCETTI LA MATERIA È FATTA DI ATOMI formati da
ELETTRONI carica negativa
NUCLEO carica positiva formato da
sono
PROTONI carica positiva
PARTICELLE ELEMENTARI
NEUTRONI neutri
perché
non sono divisibili
sono identici l’uno all’altro
sono formati da
u
GLI ELETTRONI
u d
interagiscono fra loro per mezzo della
u
INTERAZIONE ELETTROMAGNETICA
protone
d d
up u
non sono particelle elementari
QUARK sono
neutrone
down d
PARTICELLE ELEMENTARI interagiscono fra loro per mezzo della INTERAZIONE FORTE
L’ATOMO nucleo (neutroni protoni)
Anumero di massa Znumero atomico Nnumero di neutroni
orbitali
ORBITALE
È LA FUNZIONE D’ONDA DEGLI ELETTRONI
326 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
11
LA MATERIA
IL NUCLEO IL DECADIMENTO RADIOATTIVO
VITA MEDIA N (t ) N0 e numero dei nuclei non decaduti
è un processo statistico DECADIMENTO β
numero iniziale di nuclei
l’INTERAZIONE DEBOLE è responsabile del decadimento β
particella beta
Co-60
t τ
−
Ni-60
cambia il numero di protoni nel nucleo
DECADIMENTO α l’INTERAZIONE FORTE è responsabile del decadimento α
particella alfa (nucleo di elio)
Th-234
DECADIMENTO γ particella beta
raggi gamma
Co-60
Ni-60
REAZIONI NUCLEARI FISSIONE: un nucleo pesante cattura un elettrone e si divide in 2 o più nuclei più piccoli FUSIONE: nuclei leggeri si uniscono formando un nucleo di massa maggiore
OLTRE L’ATOMO
n 140Cs
n
energia 235U
93Rb
n
2H
n 14,1 MeV
ene en energia ner 3H
non cambia il numero di protoni nel nucleo
l’INTERAZIONE ELETTROMAGNETICA è responsabile del decadimento γ
4He energia
MODELLO STANDARD
le particelle materiali (FERMIONI) interagiscono fra loro scambiandosi particelle virtuali (BOSONI) MATERIA ORDINARIA
tre generazioni della materia
quark
U-238
leptoni
4He 2
I
(fermioni) II
III
u
c
t
bosoni
up
charm
top
photon
down
d e
strange
bottom
muon neutrino
b
gluon
electron neutrino
s
tau neutrino
Z boson
e
electron
muon
tau
g Z0
W
W boson
particelle che si trovano nei raggi cosmici e negli esperimenti negli acceleratori di particelle
327 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
20 test (30 minuti)
11 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI
GLI ELETTRONI
3
DOMANDE
DOMANDE «I raggi catodici vengono deviati da campi elettrici e se si propagano all’interno di un campo magnetico, non subiscono l’azione della forza di Lorentz». Correggi la frase precedente se necessario.
1
LA RADIOATTIVITÀ
2 Descrivi in massimo 5 righe il concetto di orbitale.
10 Come sono classificati i decadimenti nucleari e in
base a quale criterio? 11 Qual è la principale differenza tra i raggi α, raggi β e
raggi γ?
12 Descrivi in massimo 5 righe quali sono le proprietà
comuni che hanno i tre decadimenti nucleari.
CALCOLI
13 Commenta in massimo 5 righe la seguente afferma-
zione: «Il decadimento radioattivo è un processo statistico».
3 In un tubo catodico la distanza tra il catodo e l’anodo
è 50 cm. Il campo elettrico generato all’interno vale 5,7 10–6 V/m. f Quanto vale la differenza di potenziale che accelera gli elettroni uscenti dal catodo?
CALCOLI
[2,9 10–6 s]
14 Il radon-222 ha un tempo di dimezzamento di
3,8 giorni. f Calcola in quanto tempo un campione di radon-222 si è ridotto di 1/10 di quello iniziale. Esprimi il risultato in giorni e con tre cifre significative.
4 In un tubo catodico un elettrone emesso dal catodo
subisce l’azione del campo elettrico diretto verso l’anodo. f Se la sua energia cinetica è di 1,6 10–17 J, quanto vale la differenza di potenziale tra catodo e anodo?
[12,6 giorni]
15 Un isotopo ha una vita media di 14 ore.
[100 V]
f Calcola il tempo di dimezzamento. [9,7 ore]
2
IL NUCLEO 4
DOMANDE
FISSIONE E FUSIONE NUCLEARE
DOMANDE
5 Da quali particelle è costituito il nucleo? 6 Descrivi in massimo 5 righe la differenza tra una rea-
16 Un’espressione che si usa spesso, parlando di fissio-
ne nucleare, è quello di reazione a catena. Descrivi in massimo 5 righe di che cosa si tratta.
zione chimica e un decadimento nucleare. 7 Descrivi in massimo 5 righe cos’è un isotopo di un
elemento chimico.
17 Perché possiamo affermare che la fissione e la fusio-
ne nucleare sono due processi opposti?
CALCOLI 8 L’uranio-238, che si indica con il simbolo 238 U, è un 92
isotopo dell’uranio impiegato nei reattori nucleari. f Sapendo che il suo numero atomico è Z 92, determina il numero di protoni e di neutroni del nucleo. [92, 146]
9 Quanti neutroni sono presenti nell’isotopo ura-
nio-239? (Suggerimento: risolvi prima l’esercizio 8.) [147]
5
ANTIMATERIA, RAGGI COSMICI E ALTRE PARTICELLE
DOMANDE 18 I neutroni e i protoni non sono particelle elementari:
da cosa sono costituiti? 19 «La carica elettrica di un quark down è 1/3e». Cor-
reggi la frase se necessario. 20 Che cosa sono i raggi cosmici?
328 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
11
LA MATERIA 21 Un acceleratore di particelle consente di ottenere
31 L’interazione debole e l’interazione forte sono re-
materia a partire da energia concentrata in un volume piccolissimo: su quale principio fisico si basa tale trasformazione? Descrivi in massimo 5 righe.
sponsabili rispettivamente del decadimento alfa e del decadimento beta. Descrivi in massimo 10 righe le principali caratteristiche di ciascuno di essi.
ATLAS Experiment © 2006 CERN
32 Una delle tante strade che si stanno ricercando per
6
IL MODELLO STANDARD
DOMANDE
avere energia pulita è la fusione nucleare controllata, perché attualmente questa strada è poco competitiva a livello economico? Perché è chiamata energia pulita? Rispondi in massimo 5 righe. 33 In che modo Dirac arrivò a ipotizzare l’esistenza
dell’antimateria? 34 Che cos’è un diagramma di Feynmann? 35 Il bosone di Higgs è un bosone mediatore previsto
dal Modello Standard, la cui esistenza non è ancora stata verificata sperimentalmente. Quale dovrebbe essere il ruolo del campo ad esso associato?
PROBLEMI
22 Cosa sono i fermioni e come vengono classificati?
Descrivi in massimo 5 righe. 23 «I quark in natura non si trovano isolati, ma sono te-
nuti insieme all’interno del nucleo dalla forza forte». Correggi questa frase, se necessario. 24 Quali sono le interazioni fondamentali? 25 Che cosa sono i bosoni «mediatori» e come vengono
classificati? Descrivi in massimo 5 righe. 26 Descrivi il meccanismo di interazione secondo il Mo-
dello Standard.
38 In un grammo di carbonio-12 è presente una piccola
quantità di carbonio-14 nella seguente proporzione: ogni 8,3 1011 atomi di carbonio-12 c’è un atomo di carbonio-14. Definiamo l’attività (numero di decadimenti al secondo, la cui unità di misura è il Bq) come il rapporto tra il numero di atomi di un certo isotopo e la vita media dell’isotopo. f Calcola l’attività del carbonio-14 in 12 grammi di carbonio-12 sapendo che il tempo di dimezzamento del carbonio-14 è di 1,81 1011 s. [2,77 Bq]
39 In un tubo a vuoto sono inserite due piastre di un
7
LA TEORIA DEL TUTTO
DOMANDE 27 Che cos’è la teoria del tutto? 28 Come vengono «modellizzate» le particelle elemen-
tari all’interno della teoria delle superstringhe?
condensatore piano che generano una differenza di potenziale di 1,0 V e le piastre sono a distanza d 10 m. Uno ione ideale senza neutroni (completamente ionizzato) ha un certo numero di massa A ed è praticamente in quiete vicino a una delle due armature. La carica dello ione è Q 6,8 10–19 C. f Calcola A, sapendo che viene accelerato con a 2,4 107 m/s2. [4]
ESERCIZI DI RIEPILOGO
40 In un tubo catodico la distanza tra il catodo e l’anodo
29 Che cosa indica il numero di massa di un atomo?
è 50 cm. Il campo elettrico generato all’interno vale 5,7 10–6 V/m. Un elettrone è emesso dal catodo con velocità iniziale che si può considerare praticamente nulla.
30 In quale tipo di decadimento si ha l’emissione di un
f In quanto tempo l’elettrone arriva all’anodo?
DOMANDE
neutrino elettronico?
[1,0 10–3 s ]
329 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
11 ESERCIZI 41 La fissione di un nucleo di uranio-235 fornisce me-
C
diamente un’energia di circa 200 MeV. Si consideri un reattore al cui interno ci sono 1,2 1018 fissioni al secondo.
D
f Supponendo che tutta l’energia di ogni fissione contribuisca alla potenza del reattore e quindi non ci siano perdite, qual è la potenza del reattore in MW? [38 MW]
E
Nel nucleo troviamo protoni, neutroni ed elettroni positivi. Il nucleo occupa il 10% del volume dell’atomo Il numero di massa A è dato da: (numero di protoni) (numero di neutroni) (numero di elettroni).
(Dalla prova d’ammissione al corso di laurea in Medicina Veterinaria 2004/2005) 2 Sapresti mettere in ordine decrescente per la capa-
VERSO L’UNIVERSITÀ 1
cità di penetrazione le radiazioni nucleari alfa, beta, gamma? A
Siamo in tema di Fisica Atomica. Trova l’unica affermazione corretta.
B
Le forze tra nucleoni sono a corto raggio d’azione. Le forze columbiane sono trascurabili entro il nucleo.
D
A B
C E
Gamma, beta, alfa Gamma, alfa, beta Alfa, beta, gamma Beta, alfa, gamma Beta, gamma, alfa
(Dalla prova d’ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia 2003/2004)
330 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
L’Universo
“ ”
Spirerò nel mio nido e moltiplicherò i miei giorni come la fenice.
Università di Aberdeen
Esodo, Gb (29,18)
Della fenice si parla nella Bibbia, ce ne parla Erodoto, ce ne parlano Ovidio e Tacito, e poi ancora Dante e tanti altri. Ancora oggi la fenice, uccello mitologico che ogni 500 anni muore, per poi risorgere dalle sue stesse ceneri, è in molte culture considerata il simbolo dell’immortalità. Gli antichi egizi adoravano un uccello dalle stesse proprietà, associato al Sole, che sorge e tramonta giorno dopo giorno. La fenice si presta a essere una metafora del Sole anche a un livello più profondo. Il Sole è infatti una stella, un corpo celeste luminoso e dinamico: nasce quando la sua temperatura raggiunge un livello tale da innescare reazioni nucleari, si sviluppa sprigionando energia e muore spargendo materia tutto intorno nell’Universo. Da quei resti potrà nascere una nuova stella. In questo capitolo vedrai che le stelle non sono tutte uguali, perché ciascuna è la fotografia di un diverso istante dell’evoluzione stellare.
Vedrai inoltre che le stelle meno massicce, come il Sole, hanno una storia diversa da quelle più massicce, e scoprirai come le stelle siano in grado di trasformare il semplicissimo idrogeno in tutti gli elementi che compongono la materia ordinaria, per poi diffonderli nello spazio mettendoli a disposizione di nuove stelle, dei pianeti e, nel nostro caso, della vita. Le condizioni della materia stellare sono diverse da quelle che sperimentiamo sulla Terra: le stelle sono fatte di un plasma molto caldo, cioè di un gas di atomi e ioni globalmente neutro, il cui comportamento peculiare ne fa uno stato della materia a sé rispetto ai gas comuni. Il plasma è lo stato della materia più abbondante dell’Universo. Il capitolo chiude il corso e si conclude con brevi cenni alla cosmologia moderna, la parte della fisica che si occupa di domande sull’origine dell’Universo e sul suo possibile destino.
Bestiario di Aberdeen, La fenice, XII secolo.
PAROLE CHIAVE Stella Plasma Universo
331 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
12
L’UNIVERSO
1
LE STELLE
L’astronomia è una scienza antichissima, che affonda le sue radici nella preistoria. La Terra ruota intorno al proprio asse e intorno al Sole, mentre i suoi abitanti vedono il cielo ruotare sopra di loro, scandendo così lo scorrere del tempo attraverso il ripetersi periodico dei fenomeni. Il Sole sorge e tramonta di giorno in giorno e nel cielo notturno scorrono le costellazioni, ripetendosi di anno in anno. L’astronomia è dunque legata alla misura del tempo, e la regolarità degli eventi astronomici ha mostrato agli uomini la possibilità di fare previsioni, per esempio di conoscere in anticipo il manifestarsi di un’eclisse. Nell’antichità non esistevano gli strumenti di cui disponiamo oggi per l’osservazione del cielo, che avveniva principalmente a occhio nudo, con l’aiuto di dispositivi più o meno sofisticati per misurare la posizione dei corpi celesti. Nel Medioevo, mentre nel mondo occidentale l’astronomia era malvista per questioni di ordine religioso, nel mondo arabo viveva periodi di grande favore, supportato da motivazioni religiose. Grazie a calcoli astronomici, infatti, è possibile determinare con precisione la qibla, cioè la direzione della Mecca verso la quale rivolgere le preghiere. Gli arabi costruirono grandi osservatori e raccolsero un gran numero di dati, catalogando moltissime stelle, che, non a caso, hanno ancora oggi nomi che derivano dall’arabo (figura 1).
Figura 1. Illustrazione tratta dal libro delle stelle fisse scritto in arabo intorno al 964 da Abd al-Rahma–n al-Su–fı–
Bibliothèque nationale de France
(903-986), nel quale sono raccolti importanti dati su stelle osservate a occhio nudo.
Classificazione delle stelle Già a occhio nudo è possibile riconoscere che le stelle che punteggiano il cielo notturno non sono tutte uguali ma si distinguono l’una dall’altra in base alla luminosità o al colore. Gli arabi iniziarono a raccogliere sistematicamente dati sulle stelle, classificandole in base al colore, alla posizione in cielo e a quella che oggi chiamiamo magnitudine apparente, un parametro che tiene conto della luminosità percepita dalla Terra. Questa dipende, oltre che dall’energia che la stella emette ogni secondo, anche dalla distanza che la separa dal nostro pianeta: alcune stelle più vicine a
332 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’UNIVERSO
noi appaiono più luminose di altre che, pur emettendo una potenza maggiore, sono più distanti. La magnitudine apparente m è legata alla percezione dello stimolo luminoso e dipende dalla luminosità L della stella percepita dalla Terra, cioè dall’energia proveniente dalla stella che giunge perpendicolarmente su una superficie unitaria nell’unità di tempo. Le sensazioni visive sono legate allo stimolo luminoso secondo la formula di Pogson: L m = m0 − 2, 5 log L0
(12.1)
12
STELLE
MAGNITUDINE APPARENTE
Sole
26,7
Sirio
1,46
Canopo
0,72
Arturo
0,04
Vega
0,03
Betelgeuse
0,58
Aldebaran
0,85
dove m0 e L0 sono rispettivamente la magnitudine apparente e la luminosità di una stella di riferimento, che PIANETI per convenzione è Vega, una luminosissima stella visibile nell’emisfero boreale. In tabella 1 sono elencati i valori Luna della magnitudine apparente di alcuni corpi celesti; si osVenere servi che agli oggetti più luminosi corrispondono valori negativi. Giove Le stelle non hanno tutte la stessa luminosità apparenMarte te e non hanno tutte lo stesso colore. Emettono radiazione elettromagnetica con intensità diverse per diverse Saturno lunghezze d’onda, in base alle sostanze di cui sono costituite e, soprattutto, in base alla loro temperatura superficiale. Una stella, infatti, si comporta approssimativamente come un corpo nero, il cui spettro di emissione presenta un massimo intorno a una lunghezza d’onda, che dipende dalla sua temperatura, secondo la legge dello spostamento di Wien (formula (10.1)).
MAGNITUDINE MASSIMA 12,5 4,4 2,6 2,8 0,3 Tabella 1. La magnitudine apparente di alcuni corpi celesti.
Il colore di una stella dipende dalla sua temperatura superficiale.
flusso normalizzato
Più una stella è calda, minore è la lunghezza d’onda corrispondente al massimo di emissione elettromagnetica. Inoltre, tale spettro presenta righe di assorbimento in corrispondenza di lunghezze d’onda caratteristiche del tipo di stella, che dipendono dai gas della sua atmosfera i quali, attraversati dalla radiazione proveniente dalle zone centrali, assorbono energia in base alla loro composizione chimica (figura 2). 4,5 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 H H 0,5 H H 0,0
assorbimento atmosferico Na H
Figura 2. Lo spettro della stella Vega mostra righe di assorbimento che corrispondono agli elementi chimici presenti nella sua atmosfera.
spettro di assorbimento 4000
6000
8000 10 000 lunghezza d’onda (Å)
333 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
12
L’UNIVERSO
In base al colore di una stella, e quindi in base alla sua temperatura, possiamo individuare 7 classi spettrali, elencate e descritte in tabella 2. CLASSE SPETTRALE
TEMPERATURA (K)
COLORE
O
30 000-60 000
blu
B
10 000-30 000
blu-bianco
A
7500-10 000
bianco
F
6000-7500
giallo-bianco
G
5000-6000
giallo
K
3500-5000
giallo-arancio
M
3500
rosso
ASPETTO
Tabella 2. Cassi spettrali.
A loro volta le classi sono suddivise in sottoclassi numerate con cifre dallo 0 al 9, per cui il nostro Sole, per esempio, risulta essere una stella di classe G2. La stella Vega, il cui spettro è illustrato in figura 2, è invece una stella bianca appartenente alla classe spettrale A0.
La distanza delle stelle
Figura 3. Le stelle che formano la costellazione di Cassiopea sono molto lontane tra loro, ma proiettano sulla volta celeste un’immagine che ce le fa idealmente collegare con una spezzata che forma una W.
Le stelle appaiono fisse nel cielo a causa della loro grande distanza da noi. È esperienza comune, infatti, che osservando da un treno in corsa un punto in lontananza sull’orizzonte esso appaia fermo. Inoltre l’immagine delle stelle sembra essere proiettata su una calotta sferica (la volta celeste) che avvolge la Terra, giustificando le prime immagini dell’Universo create dall’uomo, nelle quali la Terra era posta al centro di una o più sfere materiali rotanti incastonate di stelle. Le cosiddette stelle fisse sono state così raggruppate in costellazioni, disegni bidimensionali immaginari formati collegando stelle che, apparentemente vicine, spesso si rivelano distanti fra loro (figura 3). La percezione della profondità è infatti dovuta alla visione binoculare, cioè al fatto che gli occhi osservano lo spazio da due punti di vista diversi e ricevono immagini diverse, che vengono poi ricomposte dal cervello come un’unica immagine tridimensionale. Chiudendo alternativamente un occhio e poi l’altro, fissando un punto davanti a noi, possiamo notare che questo appare in posizioni diverse a seconda dell’oc-
334 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’UNIVERSO
chio con il quale lo stiamo guardando. Il cervello riesce a calcolare inconsciamente la distanza degli oggetti che ci circondano misurando la discrepanza tra le due immagini. Più un oggetto è lontano, minore è lo scostamento tra le immagini provenienti dai nostri occhi, che nel caso delle stelle è praticamente nullo. Per questo motivo non riusciamo a percepire la profondità dell’Universo. Per misurare la distanza delle stelle dalla Terra si ricorre a diverse tecniche. Una di queste è detta metodo della parallasse ed è un’estensione della visione binoculare. Di fatto consiste nell’osservare una stella da due posizioni diametralmente opposte sull’ellisse dell’orbita della Terra intorno al Sole, come se si trattasse di due occhi molto lontani fra loro. La distanza tra le posizioni apparenti di una stella vicina, sullo sfondo delle stelle più lontane, dipende dall’angolo pˆ di parallasse (figura 4). Dalla figura osserviamo che l’angolo pˆ è uguale all’angolo sotto cui, dalla stella, si vede la distanza fra la Terra e il Sole, presa in valore medio o ottenuta assumendo che l’orbita terrestre sia una circonferenza.
stelle distanti (fisse)
moto apparente della stella
p angolo di parallasse stella vicina
orbita della Terra intorno al Sole
L’angolo di parallasse di una stella è l’angolo sotto cui è visto il raggio dell’orbita terrestre dalla posizione della stella stessa. Attraverso l’angolo di parallasse è possibile definire un’unità di misura pratica per esprimere le distanze interstellari, il parsec (pc). Una stella posta alla distanza di 1 pc dalla Terra ha una parallasse di un secondo di grado. Si può dimostrare che la distanza d di una stella, espressa in parsec, è legata alla sua parallasse p espressa in secondi di grado, attraverso la relazione: 1 p
d
12
Figura 4. La posizione apparente di una stella vicina rispetto allo sfondo delle stelle lontane definisce l’angolo di parallasse.
(12.2)
Maggiore è l’angolo di parallasse, minore è la distanza della stella dalla Terra. La parallasse della stella più vicina a noi dopo il Sole, Proxima Centauri, è di 0,769 secondi di grado e corrisponde a una distanza dalla Terra dell’ordine di 1013 km. Altre unità di misura pratiche usate in astronomia per esprimere le distanze sono: l’unità astronomica (UA), pari alla distanza media della Terra dal Sole, e l’anno-luce (a.l.), pari alla distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un anno. In tabella 3 sono riportate le corrispondenze fra le unità di misura astronomiche. METRO (m)
ANNO-LUCE (a.l.)
PARSEC (pc)
UNITÀ ASTRONOMICA (UA)
METRO (m)
1
1,06 10–16
3,24 10–17
6,67 10–12
ANNO-LUCE (a.l.)
9,46 1015
1
0,307
6,33 104
PARSEC (pc)
3,09 1016
3,26
1
2,06 105
UNITÀ ASTRONOMICA (UA)
1,50 1011
1,58 10–5
4,85 10–6
1
Tabella 3. Unità di misura usate in astronomia.
335 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
12
L’UNIVERSO
ESEMPIO f Vega è una stella di classe spettrale A0, visibile nella costellazione della Lira. La sua distanza dal Sole è 25,3 a.l. Qual è la sua parallasse? SOLUZIONE Per poter usare la formula (12.2) bisogna trovare la distanza di Vega in parsec. Dalla tabella 3 abbiamo che
La parallasse è quindi: p
1 d
1 7, 77
0, 129 secondi d’arco
Scott Roy Atwood
d 25,3 a.l. 25,3 a.l. 0,307 pc/a.l. 7,77 pc
DOMANDA Qual è la distanza di Vega dal Sole in km e in UA?
Figura 5. Foto ripresa dal telescopio spaziale Hubble, in cui si vede la piccola Sirio B, in basso a sinistra, che ruota intorno alla grande Sirio A.
NASA, ESA, H. Bond (STScI), and M. Barstow (University of Leicester
Sistemi stellari e sistemi planetari Molte stelle si presentano in gruppi tenuti insieme dalla reciproca attrazione gravitazionale, e i corpi che fanno parte di questi sistemi stellari ruotano intorno al comune centro di massa. Quando una stella ha una massa molto maggiore delle altre, il centro di massa è spostato verso questa e le altre stelle le ruotano, di fatto, intorno. Ciò avviene, per esempio, nella stella binaria Sirio, in cui la più piccola Sirio B ruota intorno alla più grande Sirio A (figura 5). Altre stelle hanno intorno corpi più piccoli di vario tipo (pianeti, asteroidi, comete ecc.), detti sistemi planetari. I sistemi planetari sono di difficile osservazione, perché questi corpi sono molto piccoli e non emettono radiazione visibile. Un sistema planetario può far parte di un sistema stellare più complesso. La nostra Terra fa parte del Sistema Solare, costituito dalla stella Sole e da altri corpi che vi ruotano intorno. Tra essi i più grandi sono i pianeti, intorno ai quali possono ruotare più satelliti; vi sono poi i pianeti nani, come Cerere o Plutone, gli
336 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
12
L’UNIVERSO
asteroidi, la maggior parte dei quali si trova in una fascia tra le orbite di Marte e di Giove (figura 6a), e infine le comete, situate ai confini del Sistema Solare nella nube di Oort (figura 6b). di rio e a arte teroi ove r rcu ener r e M V Te M as Gi
a
2
no
tur
Sa
no
Ura
no
ttu
Ne
ton
Plu
b
e
NASCITA, VITA E MORTE DELLE STELLE
Le stelle, che ci appaiono come puntini luminosi fissi nella calma del cielo notturno, sono in realtà oggetti estremamente dinamici, coinvolti in processi spesso violenti, e in continua evoluzione. Una stella è un ammasso di materia allo stato di plasma. Il plasma è un gas ionizzato costituito da atomi, elettroni liberi e ioni in numero tale da bilanciare la carica totale e risultare quindi complessivamente neutro. Il suo comportamento è differente da quello di un gas composto da atomi o molecole neutri, pertanto quello di plasma è considerato uno stato della materia a sé.
Figura 6. a. Rappresentazione schematica del Sistema Solare, con distanze e dimensioni dei corpi non in scala. b. Si pensa che le comete abbiano origine nella nube di Oort, formata da milioni e milioni di piccoli corpi rocciosi ghiacciati che a volte penetrano fra i pianeti.
Il plasma è lo stato della materia più diffuso nell’Universo. Nelle stelle il plasma si trova a temperature molto elevate, dalle migliaia ai milioni di kelvin, ed è caratterizzato da una dinamica complicata, dominata da moti convettivi e da differenze di pressione e di temperatura da un punto all’altro della stella (figura 7). L’elevata temperatura delle stelle è dovuta a reazioni di fusione nucleare, che trasformano la materia liberando immense quantità di energia. Ciò che tiene insieme una stella è l’interazione gravitazionale, alla quale si oppone la pressione che tende a farla espandere: l’equilibrio tra queste due opposte tendenze determina la sua evoluzione nel tempo.
Lo spazio tra le stelle sembra vuoto, ma in realtà contiene un materiale rarefatto, detto mezzo interstellare, costituito da gas e polveri, con densità che vanno da qualche migliaia a centinaia di milioni di atomi per metro cubo. Le stelle nascono in alcune regioni, dette nubi, dove la densità del mezzo interstellare è più elevata rispetto al valore medio. Le particelle di materia che costituiscono
JAXA/Hinode
Nascita di una stella
Figura 7. Il Sole, ripreso con il telescopio TSX nella regione dei raggi X, mostra un esempio di turbolenza del plasma stellare.
337 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
NASA, Jeff Hester, and Paul Scowen (Arizona State University)
12
Figura 8. I cosiddetti «pilastri della creazione» sono formazioni colonnari di gas interstellare e polveri nella nebulosa dell’Aquila, fotografati dal telescopio spaziale Hubble, nei quali sono in atto processi di formazione di stelle.
L’UNIVERSO
le nubi sono soggette a forze repulsive dovute all’agitazione termica, ma si attraggono reciprocamente per effetto della gravità. In alcuni casi la massa e le dimensioni della nube sono tali che l’attrazione gravitazionale riesce a prevalere sulle forze repulsive e la nube «collassa», cioè inizia a contrarsi riducendo le proprie dimensioni e aumentando la propria densità (figura 8). La temperatura nel centro della nube aumenta progressivamente durante il collasso e a un certo punto raggiunge un valore dell’ordine del milione di kelvin, sufficiente a innescare le prime reazioni nucleari. La pressione del gas continua ad aumentare notevolmente, contrastando il collasso gravitazionale, fino a quando non si raggiunge una situazione di equilibrio, alla quale corrisponde la nascita della stella.
Stelle in equilibrio
Una stella giovane, cioè nel primo periodo della sua vita, è fondamentalmente una sfera di plasma con una zona centrale molto calda, nella quale avvengono le reazioni nucleari che liberano energia. La stella è in una fase stabile quando l’attrazione gravitazionale verso il centro della stella e la pressione del gas che tende a farla espanenergia pressione dere si compensano e quando si ha l’equiemessa degli strati librio fra l’energia prodotta dalle reazioni esterni nucleari e l’energia dispersa dalla superficie verso lo spazio (figura 9). pressione energia del gas prodotta La vita di una stella passa attraverso diverse fasi di equilibrio. La prima reazione nucleare che si verifica all’interno di una stella è quella per la quale due nuclei di idrogeno si fondono per formare un nucleo Figura 9. La stella è di elio: questa fase è la più lunga nella vita di una stella (circa il 90% della in una fase stabile quando l’attrazione gravitazionale vita complessiva). La sua durata dipende dalle dimensioni della stella, cioè verso l’interno è compensata dalla materia in essa contenuta, e può variare da poche decine di milioni dalla pressione del gas verso di anni per stelle di massa grande, fino a 10 volte quella del Sole, a decine l’esterno e quando l’energia prodotta dalle reazioni nucleari o centinaia di miliardi di anni per stelle di massa più piccola del Sole. Le nel centro è uguale a quella stelle grandi «bruciano» idrogeno più velocemente di quelle piccole. Questa dissipata dalla superficie. fase è attualmente attiva nel Sole e la sua durata è stimata intorno ai dieci miliardi di anni. La fusione dell’idrogeno porta alla creazione di nuclei di elio che, alle temperature a cui fonde l’idrogeno, non reagiscono. Quando tutto l’idrogeno presente nella parte centrale della stella si è trasformato in elio, le reazioni di fusione cessano e non viene più prodotta energia sufficiente a compensare quella dispersa dalla superficie. Viene quindi a mancare la spinta verso l’esterno in grado di bilanciare la gravità e la stella inizia di nuovo a contrarsi.
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La contrazione provoca un ulteriore innalzamento della temperatura che, raggiunti i 100 milioni di kelvin, diventa sufficiente a innescare la fusione dell’elio. Le nuove reazioni nucleari producono energia e si viene a ricreare una situazione di equilibrio tra la spinta della pressione verso l’esterno e della gravità verso l’interno. L’elio fonde generando atomi di carbonio, fino a quando anche questo processo non si interrompe e si instaura una nuova fase di compressione. Attraverso fasi successive si formano atomi sempre più pesanti, fino ad arrivare al ferro. Quando la superficie esterna della stella non è più in grado di dissipare energia, si espande notevolmente e si raffredda emettendo luce di colore rossastro. Le cosiddette giganti rosse hanno una temperatura superficiale bassa e la loro classe spettrale è di tipo K o M, mentre il loro raggio può arrivare a circa 1000 volte quello iniziale. Stelle di questo tipo particolarmente grandi sono anche dette «supergiganti rosse» (figura 10). In generale la vita di una stella si svolge attraverso alterne fasi di equilibrio e di contrazione: al termine di ogni contrazione la stella brucerà elementi più pesanti. Le reazioni che la stella riesce a innescare, e quindi il numero di queste fasi successive e l’intera durata dell’evoluzione della stella, dipendono dalla sua massa iniziale.
3
I DIVERSI DESTINI DELLE STELLE
Non tutte le stelle hanno la stessa storia, e il loro destino cambia a seconda della loro massa.
12
Andrea Dupree (Harvard-Smithsonian CfA), Ronald Gilliland (STScI), NASA and ESA
L’UNIVERSO
Figura 10. La supergigante rossa Betelgeuse si trova nella costellazione di Orione ed è circa 500 volte più grande del Sole.
Figura 11. La nebulosa planetaria IC418 con la nana bianca al centro, situata a circa 2000 anni-luce dalla Terra.
Stelle di piccola massa
NASA and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA)
Le stelle di piccola massa, di poco superiore a quella del nostro Sole, esaurito l’idrogeno si contraggono e cominciano a bruciare l’elio. In genere però, una volta esaurito l’elio, una stella di piccola massa non è in grado di innescare nuove reazioni nucleari e si contrae, mentre perde il suo involucro esterno, il quale si espande sempre più formando una nebulosa planetaria, cioè una nube molto estesa che circonda la stella. Quest’ultima si contrae diventando una nana bianca, cioè una stella compatta e molto piccola, avente circa le dimensioni di un pianeta (figura 11). La composizione di una nana bianca dipende dalle fasi evolutive della stella da cui è stata gene-
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L’UNIVERSO
rata: la maggior parte delle nane bianche è composta da elio o carbonio. Nonostante possa avere una massa circa uguale a quella del Sole, le sue dimensioni possono avvicinarsi a quelle di un pianeta: la densità di questi oggetti è dunque molto elevata, fino a 1010 kg/m3, e la temperatura può arrivare a 105 K; emettono luce di colore bianco, mentre ruotano rapidamente su se stessi. Nonostante la temperatura elevata, le nane bianche sono poco brillanti perché la loro superficie è poco estesa. La vita di una stella di piccola massa finisce così: la nana bianca, non essendo più in grado di produrre energia mediante reazioni nucleari, emette radiazione raffreddandosi e diventando così meno luminosa, fino all’ipotetico stadio di nana nera, un oggetto scuro e compatto sempre più freddo.
Il diagramma di Hertzsprung-Russell
luminosità (comparata con il Sole)
se
en qu
Figura 13. Possibile evoluzione di una stella di piccola massa.
luminosità (comparata con il Sole)
Figura 12. Nel diagramma di Hertzsprung-Russell ciascuna stella è rappresentata da un punto, in base alla sua luminosità e alla sua temperatura. A seconda del tipo di stella questo punto occupa una diversa regione del diagramma: la maggior parte delle stelle si trova nella cosiddetta sequenza principale.
Uno strumento molto utile per lo studio dell’evoluzione stellare è il diagramma di Hertzsprung-Russell, o brevemente diagramma HR, una rappresentazione grafica in cui la luminosità delle stelle è posta in relazione con la loro temperatura. Riportando, per ciascuna stella osservata, in ordinata la luminosità e in ascissa la temperatura, si ottiene un insieme 106 di punti che appaiono distribuiti 105 supergiganti con una particolare regolarità. A 104 seconda del tipo di stella, infat103 giganti ti, il punto corrispondente alla 102 coppia di valori di luminosità e 10 temperatura occupa una parti1 colare regione del diagramma. Sole 101 La maggior parte delle stelle si 102 trova all’interno di una fascia diagonale, denominata sequen103 nane bianche 4 za principale, nella quale si tro10 va anche il nostro Sole (figura 12). La posizione di una stella 30 000 10 000 6000 3000 temperatura in superficie (K) all’interno del diagramma non è fissa nel tempo: le stelle evolvono spostandosi in regioni diverse, a seconda della loro «età» e delle loro dimensioni. Il diagramma HR può essere dunque considerato una sorta di «fotografia» delle fasi più stabili dell’evoluzione stellare. Le stelle 104 gigante rossa si trovano nella sequenza princi103 pale durante la prima fase delza 102 la loro evoluzione, quella in cui pr inc 10 ipa avviene la fusione dell’idrogeno le 1 in elio. Nella figura 13 è mostrata protostella 1 10 l’evoluzione di una stella «piccola», dalla sua formazione, a par102 nana bianca 3 tire da una nube ad alte densità 10 (che emette nell’infrarosso), fino alla sua trasformazione in nana 10 000 6000 3500 temperatura in superficie (K) bianca.
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L’UNIVERSO
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Le stelle di massa superiore a circa il doppio della massa del Sole seguono un destino differente. Esse attraversano i vari cicli di contrazione e fusione con maggiore rapidità rispetto a quelle di massa più piccola, e la loro temperatura, nella regione più interna, può arrivare a valori dell’ordine di 1010 K. Al termine di questi cicli la stella è formata da gusci concentrici, con materiali di densità via via maggiore verso l’interno, composto di ferro e nichel. Gli strati più interni sono coinvolti in reazioni nucleari che per sostenersi necessitano di energia. Tale energia viene assorbita dagli strati di gas più esterni. In questo modo l’interno della stella si raffredda in pochi minuti, mentre la pressione diminuisce in modo altrettanto rapido. La stella non ha più energia per sostenere il suo peso e collassa improvvisamente su se stessa. Il nucleo si contrae e diventa in breve tempo densissimo e caldissimo, mentre su di esso precipitano gli strati sovrastanti, urtando e innescando reazioni nucleari che liberano un’immensa quantità di energia: la stella, diventata una supernova, esplode diffondendo intorno a sé radiazione e materia (figura 14). L’energia emessa in un minuto da una supernova è equivalente all’energia emessa dal Sole in 200 anni e, osservata da Terra, appare come un immenso e improvviso e luminosissimo bagliore. Il materiale espulso da una supernova è ricco di metalli e di altri elementi pesanti, non presenti in origine nel cosmo. L’abbondanza relativa di elementi dello stesso tipo nel nostro Sistema Solare fa pensare che esso sia nato da un residuo di una supernova. Le onde di pressione generate in un’esplosione di supernova possono, all’interno dei gas interstellari, dare luogo alla formazione di nuovi addensamenti: una stella può quindi nascere dalle «ceneri» di un’altra stella.
NASA/ESA/JHU/R.Sankrit & W.Blair
Stelle di grande massa
Figura 14. I resti della supernova di Keplero in un’immagine in cui è evidenziata la radiazione di diverse lunghezze d’onda oltre a quella visibile.
Stelle di neutroni e buchi neri Nell’esplosione di una supernova la parte esterna della stella viene scagliata nello spazio in tutte le direzioni ad alta velocità, mentre la parte centrale, costituita principalmente di ferro, collassa violentemente su se stessa contraendosi. Se la massa del nucleo della stella è solo di poco superiore alla massa del Sole, la contrazione prosegue fino a che non si raggiunge una particolare condizione di equilibrio caratterizzata da densità elevatissime, con valori fino a 1017 kg/m3, in cui tutta la massa è contenuta nel volume tipico di un asteroide. In tali condizioni gli elettroni sono letteralmente fusi con i protoni dei nuclei e formano un gas di neutroni. Il comportamento della materia in queste condizioni estreme non è ben noto, perché non è possibile sperimentarlo sulla Terra. Una stella di neutroni ha una temperatura dell’ordine dei 108 K ed emette radiazione principalmente nella regione degli ultravioletti, dei raggi X e dei raggi γ. Grazie alla rapida rotazione intorno a un asse e alla presenza di un campo magnetico, non perfettamente allineato ad esso, una stella di
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L’UNIVERSO
neutroni emette anche onde radio, ricevute dalla Terra mediante i radiotelescopi. La prima stella di neutroni è stata osservata nel 1967 come sorgente di onde radio oscillanti nel tempo in modo regolare, ed è stata definita pulsar, cioè «stella radio pulsante». Il campo gravitazionale di una stella di neutroni è estremamente intenso, ma lo è ancora di più quello di un buco nero. Se la massa del nucleo della stella è superiore a circa tre volte la massa del Sole, il collasso gravitazionale non si arresta. Non si riesce a raggiungere, cioè, una nuova condizione di equilibrio e la stella continua a contrarsi raggiungendo dimensioni infinitamente piccole e una densità praticamente infinita. Il campo gravitazionale di un buco nero è talmente intenso che inghiotte tutta la materia che gli si avvicina accrescendo continuamente la sua massa. La sua velocità di fuga è superiore a quella della luce, e questo rende impossibile l’emissione di onde elettromagnetiche di qualsiasi lunghezza d’onda, da cui la denominazione di buco nero. I buchi neri sono gli unici oggetti che non si possono osservare direttamente: la loro esistenza è stata prevista dalla teoria e successivamente è stata provata dallo studio del comportamento della materia che si trova nelle loro vicinanze. Per esempio, se un buco nero fa parte di un sistema binario di stelle, tende a consumare la compagna che gli ruota intorno attirando a sé il gas che la compone (figura 15). Il materiale della stella viene dunque «risucchiato» dal buco nero, raggiungendo elevatissime temperature ed emettendo raggi X, rilevabili con opportuni telescopi.
ESA/Hubble
Figura 15. Rappresentazione artistica di un buco nero che attrae la materia della stella compagna.
In figura 16 sono schematizzate le fasi principali dell’evoluzione stellare. stella tipo Sole
gigante rossa
nebulosa ane eta planetaria
Figura 16. Fasi principali dell’evoluzione stellare a seconda della massa della stella.
nana bianca
stella di neutroni nebulosa stellare
stella più massiva del Sole
supergigante rossa
supernova
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buco nero
L’UNIVERSO
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LE GALASSIE
Le stelle, i sistemi stellari, i sistemi planetari e il mezzo interstellare si trovano raggruppati in galassie, tenute insieme dall’attrazione gravitazionale. Tutta la materia all’interno di una galassia ruota intorno al centro di massa, formando strutture che possono avere diverse configurazioni geometriche. Le galassie più piccole contengono poche decine di milioni di stelle, mentre le più grandi possono arrivare a migliaia di miliardi di stelle. Il nostro Sistema Solare appartiene alla galassia denominata Via Lattea, che conta centinaia di miliardi di stelle. I puntini luminosi che vediamo nel cielo notturno sono per lo più stelle appartenenti alla Via Lattea, tuttavia tra questi è possibile individuare anche delle galassie, con l’aspetto di macchie estese che hanno fatto pensare a «nubi». Per esempio, sono galassie la cosiddetta nebulosa di Andromeda e le nubi di Magellano. Lo studio delle galassie ebbe inizio intorno agli anni Venti del secolo scorso ed è legato al nome di Edwin Hubble (1889-1953). Egli dimostrò che quelle che venivano definite genericamente «nubi a spirale» erano in realtà insiemi di stelle che, posti a grande distanza da noi, apparivano quindi relativamente piccoli e sfumati. Egli classificò le galassie secondo la loro forma, distinguendone tre grandi categorie: s galassie ellittiche, s galassie a spirale, s galassie irregolari Figura 17. Foto di una galassia ellittica presa dal telescopio spaziale Hubble.
NASA, ESA, and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA)
Le galassie ellittiche appaiono come dischi schiacciati, senza una struttura interna definita. La maggior parte di esse contiene una massa molto minore di quella della Via Lattea e ha un diametro di circa 200 pc; più rare sono invece le galassie ellittiche giganti, che probabilmente si sono formate dall’interazione remota di più galassie. Le galassie ellittiche contengono in gran parte stelle evolute e hanno quantità di gas e polvere interstellare ridotta. Esse vengono classificate con le sigle da E0 a E7 per eccentricità dell’ellisse crescente (figura 17). Le galassie a spirale presentano un «nucleo» centrale che somiglia a una galassia ellittica, con stelle molto vecchie e spesso un buco nero massiccio posto nel loro centro. Il «disco» periferico, costituito principalmente da stelle giovani, è appiattito e ruota intorno al centro della galassia. Le galassie a spirale si dividono in spirali di tipo Sa, Sb o Sc in
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base allo spessore dei bracci a spirale e all’importanza relativa del nucleo. La Via Lattea è una galassia di tipo Sb (figura 18).
ESO/P. Grosbøl
Figura 18. Galassia a spirale che si trova nella costellazione della Vergine a circa 75 milioni di anni-luce dalla Terra.
ESO/IDA/Danish 1.5 m/ R. Gendler, J-E. Ovaldsen, C. Thöne, and C. Feron
A questa categoria appartengono anche le galassie a spirale barrata, divise in sottogruppi SBa, SBb e SBc, nelle quali compare un addensamento di materia a forma di barra che attraversa il centro della galassia (figura 19).
Figura 20. Una galassia irregolare ripresa dal telescopio spaziale Hubble.
NASA, ESA, and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA)
Figura 19. Galassia a spirale barrata distante dalla Terra 50 milioni di anni-luce.
Le galassie irregolari non hanno una particolare simmetria e non hanno una parte centrale più densa. Sono ricche di gas e polvere interstellare e contengono molte stelle giovani. La loro irregolarità può essere dovuta a diverse cause: per esempio, potrebbero essere il risultato della fusione di più galassie o della perturbazione di una galassia più massiccia posta nelle vicinanze (figura 20).
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La sequenza di Hubble La classificazione delle galassie proposta da Hubble può essere schematizzata come nel disegno in figura 21: oltre alle tipologie sopra descritte vi è un tipo di galassia, denominato S0, che presenta un nucleo molto esteso. In esso non si riconosce una forma a spirale ma, diversamente da quanto accade per le galassie ellittiche, viste di profilo presentano una banda scura, che indica la presenza di materia che assorbe la luce.
Ville Koistinen
Figura 21. La classificazione di Hubble delle galassie.
La sequenza di Hubble presenta dei limiti. Essa è utile per caratterizzare le galassie dal punto di vista della morfologia, ma non rappresenta una sintesi della loro evoluzione, come si pensò in origine. Le galassie, cioè, non seguono uno sviluppo temporale per cui dalla tipologia E0 evolvono verso le tipologie Sc o SBc. Lo studio dell’evoluzione delle galassie è piuttosto recente, in quanto necessita di strumenti di osservazione e misura evoluti e potenti.
Le galassie interagiscono fra loro, attraendosi a vicenda e raggruppandosi in strutture chiamate ammassi di galassie. La Via Lattea fa parte, insieme a un’altra cinquantina di galassie, del Gruppo Locale, che a sua volta interagisce con un centinaio di altri ammassi di galassie, che si attirano reciprocamente fino a formare il superammasso della Vergine. I superammassi sono collegati tra loro da insiemi di galassie che formano degli enormi filamenti di materia. La struttura complessiva dell’Universo è dunque molto simile a quella di una «spugna» in cui la materia si raggruppa intorno ad ampi spazi vuoti (figura 22).
NASA, ESA, and E. Hallman (University of Colorado, Boulder)
Ammassi e superammassi
Figura 22. I filamenti di materia in una porzione di Universo ricostruita graficamente.
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L’UNIVERSO
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CENNI DI RELATIVITÀ GENERALE
L’interazione gravitazionale è la grande protagonista delle strutture macroscopiche dell’Universo, e per lungo tempo la legge di gravitazione universale di Newton si è rivelata appropriata a descrivere ciò che accade su grande scala. Tuttavia, dopo la formulazione della teoria della relatività ristretta, si impose l’esigenza di operare una sua revisione. Secondo la teoria newtoniana della gravità, tutta la materia esercita attrazione su altra materia tramite un’azione a distanza. L’azione a distanza implica un’azione istantanea della forza. Ciò ha come conseguenza che, se per esempio in questo istante il Sole esplodesse, immediatamente noi avvertiremmo una modifica della forza di gravità che ci tiene in orbita intorno ad esso, ma l’immagine dell’esplosione arriverebbe fra 8 minuti, perché questo è il tempo che impiega la luce a percorrere la distanza che ci separa dalla nostra stella. In pratica, secondo la legge di gravitazione universale, noi saremmo raggiunti da un’informazione sullo stato del Sole, viaggiante a una velocità superiore a quella della luce, in contraddizione con la teoria della relatività ristretta. Einstein, consapevole di questo limite della teoria, cercò di individuare una soluzione. Nel 1916 pubblicò la teoria della relatività generale, in cui la revisione dei concetti di spazio e tempo, operata con la relatività ristretta, diventa molto più profonda e radicale. La teoria della relatività generale estende ai moti accelerati i principi fondamentali della relatività ristretta. Il fulcro concettuale della teoria sta nella connessione tra le forze apparenti che compaiono nei moti accelerati e la forza di gravità. Quando ci troviamo all’interno di un vagone che si muove di moto → → uniformemente accelerato, ci sentiamo 冷a冷 冷g 冷 spingere in direzione opposta rispetto all’accelerazione, per effetto di una forza → mi a detta apparente, che dipende dalla nostra → g massa inerziale mi. Una spinta inerziale dello stesso tipo, avvertita all’interno di una navicella spaziale, potrebbe funzionare come una sorta di «gravità» simulata → mg g e darci l’impressione di stare in piedi sulla superficie terrestre, attratti dal centro del pianeta, in virtù della nostra massa gravitazionale mg (figura 23). In altre parole Einstein osservò che un sistema soggetto alla forza di gravità è fisicamente assimilabile a un sistema in moto accelerato. Tale affermazione costituisce il principio di equivalenza, che sta alla base della teoria della relatività generale: →
a
Figura 23. All’interno di un sistema accelerato con accelerazione costante ag avvertiamo una forza di inerzia equivalente alla nostra forza peso sulla superficie terrestre.
un sistema di riferimento inerziale in un campo gravitazionale uniforme è equivalente a un sistema di riferimento uniformemente accelerato rispetto al primo, in un campo gravitazionale nullo.
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L’UNIVERSO
La massa inerziale e la massa gravitazionale, concettualmente distinte, diventano pertanto grandezze equivalenti. Analizziamo come esempio il caso di un ascensore. Quando l’ascensore si muove di moto rettilineo uniforme, la reazione vincolare e la forza di gravità che agiscono sul passeggero si equilibrano: il passeggero avverte l’effetto della forza di gravità. Nell’ascensore in caduta libera, invece, tutto il sistema si muove con accelerazione di gravità g¤ e la reazione vincolare agente sul passeggero è nulla: il passeggero non avverte l’effetto della forza di gravità (figura 24).
Figura 24. Quando l’ascensore si muove di moto rettilineo uniforme il passeggero avverte l’effetto della forza di gravità. Nell’ascensore in caduta libera tutto il sistema si muove con accelerazione di gravità g¤: il passeggero non avverte l’effetto della forza di gravità.
reazione vincolante
→
mg
12
→
g
→
v 0 oppure 冷→ v 冷 cost
Le masse incurvano lo spaziotempo Assumendo che gravità e moti accelerati siano equivalenti, si può dimostrare che lo spaziotempo viene incurvato dalla presenza delle masse. La trattazione matematica della teoria è molto complessa, ma possiamo servirci di un esperimento concettuale per raggiungere una comprensione intuitiva di tale fatto. Immaginiamo di riprodurre la forza di gravità con un dispositivo come quello in figura 25, in moto circolare uniforme intorno al suo asse. Mentre il cilindro è in rotazione rispetto a un sistema di riferimento inerziale, i corpi sono premuti dalla forza centrifuga, in virtù della loro inerzia, sulle pareti dello stesso come se si trovassero sulla superficie di un pianeta. Quando il cilindro è in quiete il rapporto tra la lunghezza propria C0 della circonferenza e R0 del raggio è pari a 2π, secondo le regole della geometria euclidea C0 R0
Figura 25. Il sistema rotante con velocità uniforme è equivalente a un sistema in quiete in un campo gravitazionale uniforme; il righello parallelo al moto delle pareti si accorcia, il righello ad esso perpendicolare no.
2π
Quando invece il cilindro ruota con velocità angolare costante le cose cambiano: un osservatore interno al cilindro che misuri la circonferenza con un righello, posto ripetutamente lungo il perimetro della base, otterrebbe una lunghezza della circonferenza C C0, per via della contrazione del righello nella direzione del moto. Lo stesso osservatore, tuttavia, misurerebbe un raggio R R0, perché tale direzione è perpendicolare a quella del moto e non vi è alcuna contrazione. In definitiva all’interno del cilindro si otterrebbe un risultato diverso da quello della geometria euclidea: C ! 2π R
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L’UNIVERSO
Questo risultato è compatibile con uno spazio non euclideo curvo, in cui cioè la circonferenza non è «piatta». Nella figura 26 sono disegnati esempi di spazi geometrici curvi in cui il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il raggio sono maggiori o minori di 2π. In spazi di questo tipo la via più breve tra due punti non è un segmento rettilineo e la misura degli angoli interni di un triangolo non è pari a 180°. Figura 26. a. Su una superficie piana il rapporto tra la circonferenza e il raggio è uguale a 2π. b. Su una superficie sferica la lunghezza della circonferenza si restringe rispetto al raggio. c. Su una sella la lunghezza della circonferenza è dilatata rispetto al raggio.
Figura 27. Possiamo immaginare la curvatura dello spaziotempo ad opera delle masse con l’aiuto della metafora del telo teso, sul quale sia poggiato un oggetto pesante.
C 2R C 2 R C 2 R a
b
c
Dall’equivalenza tra moti accelerati e gravitazione, lo stesso risultato si dovrebbe ottenere all’interno di un campo gravitazionale. In definitiva la teoria della relatività generale comporta una deformazione dello spazio in presenza di una massa. Un’immagine suggestiva, molto usata nella divulgazione della teoria della relatività generale, è quella che richiama la curvatura di un telo teso sul quale sia appoggiata una massa che preme perpendicolarmente ad esso. Maggiore è la massa dell’oggetto appoggiato sul telo, maggiore è la deformazione dello stesso. Il moto di un corpo di piccola massa in prossimità di un corpo massiccio può essere visto come quello di una pallina che segue la deformazione del telo (figura 27). Considerando che lo spazio di cui parliamo è in realtà uno spaziotempo, anche la dimensione temporale viene incurvata e il tempo scorre quindi in modo diverso in prossimità delle masse. Inoltre, secondo questa teoria, la gravità è in grado di deflettere anche il percorso di un raggio di luce. Attenzione però: la metafora sopra illustrata ha un grave difetto, perché fa riferimento a un fenomeno che avviene all’interno di un campo gravitazionale, ovvero quando c’è una forza che tira verso il basso, la quale è responsabile della deformazione del telo. Lo spazio non è nulla di tutto ciò: non si deforma perché viene «tirato» e la sua curvatura non è causata dalla gravità, ma è la gravità stessa. La teoria della relatività generale si pone quindi come una nuova teoria della gravitazione, in cui la gravità è rappresentata dalla curvatura dello spaziotempo.
La lente gravitazionale La teoria della relatività generale non è di facile verifica sperimentale, perché l’entità della deformazione dello spazio dipende dalla massa ed è significativa solamente nel caso di grandi corpi massicci. Una delle prove
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a
NASA, ESA, A. Fruchter and the ERO Team (STScI, ST-ECF)
sperimentali classiche della teoria è il fenomeno fisico noto come lente gravitazionale. Dato che, secondo la teoria, la forza di gravità è in grado di deflettere i raggi luminosi, allora deve essere possibile ricevere la luce proveniente da oggetti «nascosti», cioè posti dietro a un corpo più grande. La luce dell’oggetto più lontano viene deviata dal corpo massiccio (la lente gravitazionale) e raggiunge l’osservatore formando un’immagine distorta o multipla dell’oggetto sullo sfondo (figura 28). b
immagini virtuali oggetto reale lente gravitazionale raggi di luce
ESEMPIO Una prima prova sperimenposizione immagine della stella della stella tale della teoria della relatività risale al 1919 e riguardò l’osservazione del fenomeno di lente gravitazionale. In occasione di un’eclissi di Sole, durante la quale l’astro era occultato dalla Luna, rendendo possibile l’osservazione di oggetti poco luminosi nelle sue vicinanze, furono effettuate accurate misure della posizione di stelle visibili in prossimità del disco solare. Le posizione di queste stelle, osservate dalla Terra durante l’eclisse, erano leggermente diverse rispetto a quelle delle stesse stelle osservate di notte, in assenza del Sole. La discrepanza tra le due posizioni si rivelò in perfetto accordo con la previsione della teoria della relatività generale.
Figura 28. a. L’immagine dell’oggetto reale posto dietro alla lente gravitazionale appare distorta e multipla. b. Una spettacolare immagine di lente gravitazionale nel gruppo di galassie Abell 2218 in cui le immagini delle galassie lontane appaiono come archi luminosi per effetto della presenza, lungo il percorso della luce, di un ammasso compatto e massiccio.
DOMANDA L’immagine della stella illustrata nel disegno è reale o virtuale?
Le onde gravitazionali Quando esplode una supernova la distribuzione della massa cambia bruscamente. Lo spazio, che inizialmente era fortemente incurvato intorno alla stella massiccia, subisce una variazione della sua deformazione, che inizia a viaggiare come un’onda dal centro dell’esplosione. I corpi posti a una certa distanza dalla supernova non sentono istantaneamente gli effetti
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L’UNIVERSO
dell’esplosione, come prevedeva la descrizione newtoniana della gravità, ma dopo un certo tempo. Le cosiddette onde gravitazionali, previste dalla teoria della relatività generale, si propagano infatti alla velocità della luce e gli effetti della gravità di un corpo raggiungono i vari punti dello spazio insieme all’immagine del corpo stesso. La teoria della relatività generale, quindi, concilia la teoria della relatività ristretta con quella della gravitazione, eliminando il problema dell’azione a distanza.
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CENNI DI COSMOLOGIA
La cosmologia è la scienza che studia l’Universo, che indaga la sua origine e si interroga sul suo destino. L’uomo si pone domande di questo tipo dalle origini della sua storia, tuttavia solo nell’ultimo secolo si è andato delineando un quadro concettuale che consente di cercare le risposte su basi scientifiche. Secondo la teoria scientifica della creazione nota come modello cosmologico standard, nei primi istanti della sua esistenza l’Universo era estremamente compatto e caldo: un minuscolo concentrato di energia dal quale sarebbe scaturito tutto. L’Universo non è un’entità statica, immutabile ed eterna, ma è in continua trasformazione.
Il Big Bang
Figura 29. In seguito al Big Bang la distanza tra i punti ha iniziato ad aumentare, cioè lo spazio ha iniziato a espandersi. Il Big Bang non è un’espansione nello spazio, ma è un’espansione dello spazio.
La teoria della relatività generale di Einstein è uno dei presupposti teorici di tale modello. Il fisico matematico russo Aleksandr Fridman (1888-1925) eseguì dei calcoli con le equazioni della relatività generale e trovò un’importante soluzione per la quale nell’istante iniziale della sua esistenza l’Universo si trovava in una fase in cui tutta la materia in esso contenuta era concentrata in un volume piccolissimo. Secondo i calcoli, in seguito a un evento catastrofico, noto come Big Bang, l’Universo ha iniziato a espandersi e ancora oggi ci troviamo in fase di espansione. Dal 1924 Hubble iniziò a raccogliere una serie di dati con quello che allora era il più grande telescopio costruito, con un diametro di 2,5 m, e confermò la teoria, mostrando che effettivamente le galassie si allontanano l’una dall’altra in modo compatibile con il modello (figura 29). Secondo il modello cosmologico standard tutto ha avuto inizio circa 14 miliardi di anni fa: l’Universo allora era un punto nel quale era concentrata tutta l’energia che ancora oggi ritroviamo in un volume estremamente più esteso. Non dobbiamo pensare che il Big Bang, cioè la «grande esplosione» dalla quale ha avuto inizio l’espansione, fosse situata in una particolare posizione dello spazio, perché lo spazio scaturì
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L’UNIVERSO
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proprio da esso. Lo spazio era dunque concentrato nel punto iniziale insieme all’energia che lo pervade e successivamente iniziò a espandersi e a raffreddarsi, disperdendo l’energia su un volume sempre più ampio. Dai calcoli teorici si ritiene che la temperatura dell’Universo 10–43 secondi dopo il big bang fosse di circa 1032 K. Lo stato della materia in tali condizioni è un plasma di particelle elementari come quark e leptoni, con la relativa antimateria, densissimo, turbolento e omogeneo. Tra 10–36 s e 10–34 s, l’Universo ha avuto una dilatazione rapidissima, quasi istantanea, detta inflazione. Questa violenta espansione ha fatto aumentare le sue dimensioni in una percentuale maggiore che nei successivi 14 miliardi di anni. L’Universo ha quindi continuato a espandersi e a raffreddarsi. Raggiunta una temperatura di 1012 K, a circa 10–4 s dall’esplosione, i quark si sono addensati in gruppi di 3 formando neutroni e protoni. Dopo circa 200 s, a una temperatura di 109 K, hanno iniziato a formarsi i primi nuclei atomici e per alcune centinaia di migliaia di anni non è accaduto nulla di significativo: l’Universo ha continuato a espandersi e a raffreddarsi. A un certo punto, però, l’agitazione termica delle particelle ha rallentato al punto che i nuclei sono stati in grado di catturare gli elettroni, formando i primi atomi. In quel momento l’Universo, che prima era opaco, in quanto i fotoni mescolati con la materia erano soggetti a continui processi di assorbimento ed emissione, divenne trasparente. Dopo 100 mila anni quindi, essendo i fotoni liberi di muoversi su grandi distanze, l’Universo divenne visibile in profondità in tutte le direzioni. Dopo circa 1 miliardo di anni, essendo meno agitato e turbolento, iniziarono a formarsi galassie, stelle e pianeti a partire da variazioni della densità e grazie all’interazione gravitazionale (figura 30). 1043 sec.
300 000 1 miliardo 15 miliardi 3 min. anni di anni di anni
1034 sec. 1010 sec. 1 sec.
Big Bang
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Figura 30. Rappresentazione schematica dell’evoluzione temporale dell’Universo a partire dal Big Bang.
e
e
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g e
e
La radiazione cosmica di fondo Le immagini del cielo che vediamo in un telescopio provengono dal passato e la distanza temporale che ci separa da esse dipende dalla velocità della luce. Se alziamo gli occhi al cielo, infatti, non vediamo l’aspetto delle stelle relativo al nostro presente, ma quello appartenente a un istante passato, perché la luce non ha velocità infinita e impiega del tempo a percorrere la distanza che ci separa da esse. I più potenti telescopi non riescono a raggiungere distanze maggiori di pochi miliardi di anni-luce, il che significa che non siamo in grado di percepire immagini più antiche di pochi miliardi di anni.
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L’UNIVERSO
Non abbiamo quindi prove dirette del Big Bang, avvenuto circa 14 miliardi di anni fa e possiamo solo ricostruire per via teorica gli eventi che si sono verificati nei primi istanti di esistenza dell’Universo. Tuttavia esistono delle prove indirette di quanto teorizzato. Una di esse è la radiazione cosmica di fondo, una sorta di residuo della grande esplosione. Quando la materia si è addensata, lasciando i fotoni liberi di propagarsi indisturbati, si è formata una sorta di gas di fotoni, cioè una radiazione diffusa, che ha iniziato a espandersi, raffreddandosi, ovvero disperdendo la sua energia su un volume sempre più grande. In altre parole la radiazione ha continuato l’espansione diminuendo la sua temperatura, cioè la sua energia, e quindi la sua frequenza. La prima prova della sua esistenza fu trovata nel 1965, da Arno Penzias (1933) e Robert Wilson (1936), due ricercatori dei Bell Laboratories, che lavoravano a un’antenna da usare per comunicazioni satellitari. Essi si accorsero che il segnale captato dall’antenna conteneva una componente di rumore che non riuscivano a spiegare, cioè una sorta di disturbo uniforme che non poteva dipendere da alcun fenomeno solito. Si trattava infatti della radiazione cosmica di fondo, un segnale nella regione delle microonde, corrispondente a un corpo nero a temperatura di 2,7 K: un valore in buon accordo con quello della teoria. Attualmente la radiazione cosmica di fondo è studiata con strumenti appositamente progettati, i quali ci hanno fornito ulteriori prove della teoria, mostrando la sua distribuzione nello spazio (figura 31).
NASA / WMAP Science Team
Figura 31. Immagine della radiazione cosmica di fondo ottenuta con il satellite WMAP.
Problemi aperti Il modello sopra descritto presenta alcuni problemi non ancora risolti. Per esempio prevede che nell’Universo vi sia molta più energia (anche sotto forma di materia) di quella osservabile. La materia visibile (a qualunque frequenza) sarebbe pari a circa il 4% dell’energia totale dell’Universo. Una parte di quel 96% che manca all’appello si dovrebbe trovare sotto forma di materia oscura, rilevata attraverso gli effetti gravitazionali sulla dinamica delle galassie o dall’osservazione di lenti gravitazionali in assenza di distribuzioni di massa visibili. Tuttavia tale materia non si vede, cioè non emette alcun tipo di radiazione conosciuta. Le ipotesi sulla natura della materia oscura o sul motivo per cui non si riescono a trovare sono prove certe della
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sua esistenza, sono numerose e argomento di ricerca attuale. C’è poi una percentuale residua di energia nell’Universo, denominata energia oscura, che pervade lo spazio vuoto ed esercita una pressione negativa nelle regioni che non contengono materia. Un altro interrogativo irrisolto riguarda l’antimateria: come mai il nostro Universo è fatto di materia, se, come sappiamo, la creazione di una particella prevede la creazione simmetrica della sua antiparticella? Che fine ha fatto l’antimateria dell’Universo? Oppure, è possibile che si sia formata più materia che antimateria? Inoltre, che cosa è accaduto nei primi istanti dopo il Big Bang? Una teoria che intenda descrivere tali estreme condizioni dovrebbe essere relativistica e quantistica allo stesso tempo, ma le due teorie sono ancora oggi distinte e non esiste ancora una teoria quantistica della gravità, in grado di comprenderle entrambe. E infine, qual è il destino dell’Universo? Continuerà a espandersi indefinitamente o a un certo punto la spinta iniziale si arresterà e l’attrazione gravitazionale tra le sue parti lo porterà a contrarsi nuovamente e a collassare su se stesso fino al finale Big Crunch, una sorta di Big Bang al contrario? Negli ultimi anni si sono aggiunte ipotesi diverse, tra le quali quella del Big Bounce, il grande rimbalzo, per la quale l’Universo oscilleBig Bounce rebbe tra implosioni ed esplosioni successive; oppure quella del Big Rip, il grande strapUniverso po, che si fonda sull’evidenza Big attuale sperimentale che l’espansione Bang dell’Universo sta accelerando e sta quindi procedendo verso Big Rip ? una sua lacerazione. Per potersi ? orientare a favore di un’ipotesi ? o di un’altra è necessario approfondire la conoscenza della materia oscura, dell’energia oscura e dell’eventuale quinta Big interazione, proposta da alcuni Crunch fisici per spiegare questa energia, i cui effetti avrebbero un espansione indefinita ruolo importantissimo nel destino dell’Universo (figura 32).
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Figura 32. Schema di alcune possibili ipotesi sulla storia e il destino dell’Universo.
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L’UNIVERSO
ASTRONOMIA NASA, ESA, G. Illingworth (UCO/Lick Observatory and the University of California, Santa Cruz), R. Bouwens (UCO/Lick Observatory and Leiden University), and the HUDF09 Team George McCarthy/naturepl.com
L’oscurità del cielo notturno Il medico e astronomo amatoriale tedesco Heinrich Wilhelm Olbers, nel 1823, mise in evidenza un fatto paradossale, noto pertanto come paradosso di Olbers: se l’Universo fosse infinitamente grande, immutabile ed esteso omogeneamente in tutte le direzioni, alzando gli occhi al cielo vedremmo stelle ovunque. Non potremmo distinguere il giorno dalla notte, perché la luce degli astri ci raggiungerebbe da ogni dove, così come quando osserviamo un bosco, le immagini degli alberi riempiono uniformemente il nostro campo visivo. La luce di tutte le stelle messe insieme illuminerebbe il cielo, per cui il fatto che la notte sia buia e le stelle stesse ci appaiano separate le une delle altre, richiede di modificare le ipotesi sulla struttura dell’Universo.
L’Universo non è infinito né eterno Una possibile spiegazione del paradosso consiste nell’ipotizzare che non sia infinitamente esteso. In tal caso, infatti, il numero di stelle non sarebbe infinito e la loro luce non arriverebbe a saturare il nostro campo visivo. Un’altra spiegazione consiste nell’assumere che ci sia un numero inferiore di stelle lontane e che, quindi, il loro contributo alla luce che raggiunge la Terra sia minore. Questo significherebbe che le stelle hanno avuto un’origine e non sono oggetti immutabili ed eterni. Infatti la luce delle stelle più lontane ci porta un’immagine del passato: l’oggetto più lontano che possiamo osservare a occhio nudo è Andromeda, la cui luce ci raggiunge dopo un viaggio lungo due milioni e mezzo di anni. Dato che la velocità della luce è finita, guardare lontano nello spazio equivale a guardare lontano nel tempo e le stelle più lontane ci appaiono quindi come le più giovani. Assumere l’ipotesi che le stelle più lontane e più giovani siano meno numerose implica che la luce di molte di esse potrebbe non essere ancora giunta a noi.
Anche con un potente telescopio ottico, come l’Hubble Space Telescope, le cui immagini non risentono dell’attenuazione dell’atmosfera terrestre, il cielo notturno è buio e stelle e galassie appaiono ben distanziate tra loro.
R2 A2
A1
R1
Alla luce della cosmologia moderna il paradosso di Olbers non è un paradosso in senso stretto, in quanto è accettata la concezione di un universo finito che abbia avuto un’origine nel tempo. Inoltre sappiamo, in base alle osservazioni sperimentali, che l’Universo è in espansione e ciò contribuisce a ridurre ulteriormente la luminosità del cielo notturno. Le galassie con le loro stelle, infatti, si allontanano da noi e, mentre lo fanno, la luce da loro emessa tende «al rosso» a causa dell’effetto Doppler. L’espansione dell’Universo implica una sorta di «stiramento» dello spazio e un aumento della lunghezza d’onda della radiazione che viaggia attraverso esso, il cosiddetto red shift, cioè uno spostamento verso il rosso della luce corrispondente. Le stelle più lontane appaiono quindi un po’ più fredde e meno luminose di quelle vicine.
La luminosità delle stelle più lontane è minore di quella delle stelle più vicine in misura inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza, ma il numero di stelle per unità di superficie, se la loro distribuzione fosse uniforme a qualsiasi distanza, sarebbe maggiore in misura direttamente proporzionale al quadrato della loro distanza e quindi il loro contributo sarebbe equivalente.
L’espansione dell’Universo comporta l’aumento della lunghezza d’onda della radiazione.
DOMANDA Quale altro fenomeno comporta una variazione della lunghezza d’onda della radiazione emessa da una sorgente?
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Dirk Goldhahn
L’Universo si espande
L’UNIVERSO
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ASTRONOMIA
I pianeti sono piccoli corpi celesti di massa sufficientemente elevata da avere una forma pressoché sferica, ma troppo piccola per innescare le reazioni di fusione che caratterizzano le stelle, pertanto non sono sorgenti di luce visibile. Un pianeta si caratterizza come tale in quanto gravita intorno a una stella su un’orbita non condivisa con altri corpi di massa confrontabile o superiore ad esso. Un sistema planetario è un insieme di pianeti che orbita intorno a una stella comune. Osservare un pianeta è molto difficile, perché non emette luce propria ed ha piccole dimensioni, pertanto fino agli anni Novanta del secolo scorso non erano stati osservati altri sistemi planetari e l’unico di cui si conosceva l’esistenza era il Sistema Solare. Dopo i primi anni di difficoltose osservazioni, dal 2000 in poi è aumentato notevolmente il numero di pianeti che sono stati individuati intorno a stelle di ogni tipo.
George McCarthy/naturepl.com NASA/JPL-Caltech/T. Pyle (SSC)
I sistemi planetari
Rappresentazione artistica del Sistema Solare a confronto con un ipotetico sistema planetario di una nana bruna, cioè di una piccola stella in cui le reazioni nucleari non sono più attive.
I pianeti che orbitano intorno a stelle simili al Sole si sono verosimilmente formati all’interno degli stessi processi che hanno portato alla formazione della stella. Durante il collasso della nube da cui ha origine la protostella, nella fase che precede l’innesco delle reazioni nucleari, la temperatura del disco di materia che la circonda (disco proto-planetario) diminuisce. La diminuzione della temperatura consente l’addensamento di piccoli granuli di materia solida che, a loro volta, possono aggregarsi tra loro. Se la materia presente nel disco è sufficientemente elevata, le dimensioni di questi aggregati di materia possono aumentare considerevolmente e, in seguito a urti reciproci e successive fusioni, raggiungere lo stato di pianeta solido. È probabile che la Terra si sia formata in questo modo. Per i grandi pianeti gassosi, come Giove, il discorso è diverso: essi si accrescono presumibilmente mediante un processo simile a quello che permette l’accrescimento stellare, ma la loro massa non è sufficiente ad accendere i processi di fusione.
NASA/FUSE/Lynette Cook
Formazione
Intorno alla stella Beta Pictoris, nella costellazione del Pittore, è presente un addensamento di materia che presumibilmente è un disco proto-planetario, qui illustrato in una rappresentazione artistica.
Così come la vita è presente sulla Terra, da sempre ci si chiede se non sia possibile trovarne anche su altri pianeti. Negli ultimi anni le osservazioni di sistemi planetari nella nostra galassia si sono moltiplicate e l’eventualità sembra essere sempre meno improbabile. La ricerca della vita nello spazio segue fondamentalmente due direzioni: da una parte lo studio delle forme di vita degli ambienti terrestri estremi, quali gli abissi oceanici o i ghiacci polari, dall’altra la ricerca di pianeti le cui condizioni potrebbero essere favorevoli al suo sviluppo. Ultimamente si è posta l’attenzione su una stella che si trova nella costel- Rappresentazione artistica del sistema lazione della Bilancia, Gliese 581, una nana rossa il cui diametro è circa planetario attorno alla stella Gliese 581. 1/3 di quello del Sole. Gliese 581 ha un sistema planetario che potrebbe comprendere pianeti ospitali alla vita. Nel 2008 dal radiotelescopio RT-70 dell’Agenzia Spaziale Ucraina sono stati inviati segnali radio in direzione del sistema planetario di Gliese 581: un’eventuale risposta non potrà raggiungere la Terra prima dell’anno 2049. DOMANDA Gliese 581 dista 20,5 anni luce dalla Terra. A quanti kilometri corrisponde tale distanza?
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ESO
Alla ricerca della vita
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L’UNIVERSO
CON GLI OCCHI DI UN FISICO Comete Portatrici di disgrazie?
Cause ed effetti
Nelle antiche notti buie e stellate, ogni tanto il cielo, lungo la fascia dello zodiaco, era attraversato da un misterioso corpo luminoso, in modo assolutamente inatteso e imprevedibile. Sin dai tempi dei primi osservatori del cielo, ci si chiese che cosa fossero quegli inquietanti oggetti volanti dalla chioma luminosa, che comparivano, attraversavano il cielo per poi scomparire nuovamente nel mistero. Le comete, con il loro moto irregolare e imprevedibile, hanno costituito un grande enigma per gli antichi astronomi. In primo luogo non si capiva bene che cosa fossero: fenomeni atmosferici o celesti? Nel tempo si susseguirono le ipotesi più disparate, da vortici di aria infuocati a luminosità dovute all’affiancamento di due pianeti. Aristotele confrontò il loro moto rettilineo e la loro irregolarità, con i moti circolari e regolari dei pianeti e delle stelle, e le classificò quindi come fenomeni atmosferici, avvicinandole dunque alla superficie terrestre. In analogia alle perturbazioni meteorologiche, si pensò quindi che le comete potessero in qualche modo influenzare lo svolgimento della vita degli uomini, i loro raccolti, la loro salute. Furono quindi ritenute portatrici di sventura, capaci di provocare eventi catastrofici come terremoti, inondazioni, epidemie. Un terremoto e il conseguente maremoto distrussero l’antica città greca di Elike, nel golfo di Corinto, nel 373 a.C., proprio mentre nel cielo splendeva una luminosa cometa: la credenza sembrava proprio essere confermata dai fatti.
Nel Medioevo la cattiva fama delle comete si rinforzò. Le cronache del tempo non mancarono di riportare, accanto alla disgrazia verificatasi, anche l’eventuale presenza di una cometa. Le comete e le disgrazie furono quindi collegati da improbabili nessi di causa ed effetto, al punto che ancora nel 1587 nell’Almanacco perpetuo di Rutilio Benincasa, si legge:
Nel 1668 l’astronomo Johannes Hevelius pubblicò la Cometographia, in cui sono disegnate le forme di molte comete, spesso assimilate a spade.
PAROLA CHIAVE
Stella
DOMANDA Nell’Almanacco perpetuo di Rutilio Benincasa, ad ogni colore di una cometa è associata una particolare sciagura da essa portata. Da che cosa dipende il colore delle stelle?
Cometa quando sarà veduta di color negro, o verde, o rosso significa terremoto. Cometa quando corre con la coda lunga significa sterilità e mancamenti di frutti. (Rutilio Benincasa, Almanacco perpetuo, Venezia 1656) Nella stessa pubblicazione sono riportate le cronache delle sciagure occorse nei secoli, affiancando ad ognuna di esse la cometa corrispondente. Si legge, per esempio, che nel 704 in Italia iniziò un periodo di carestia associato all’avvistamento di una grande cometa; nel 728 ben due comete provocarono a Costantinopoli una pestilenza che uccise oltre 300 mila persone; altre due comete nell’827 furono capaci di far piovere sangue e sassi, oltre che far tremare la Sassonia con un sisma distruttore; ben tre comete nel 1316 sono responsabili di fame e peste in molti paesi, oltre che di diabolici prodigi come far volare statue e udire voci spaventose… e così via.
L’arazzo di Bayeux è un ricamo lungo, quasi 70 metri, in cui sono narrate in sequenza le vicende della conquista normanna dell’Inghilterra dal 1066. In esso vi è la rappresentazione di una cometa, probabilmente la cometa di Halley, che fu avvistata proprio quell’anno, il 24 aprile.
PAROLA CHIAVE
Plasma
DOMANDA Il vento solare, un tenue plasma di particelle emesse dal Sole, spinge la coda di una cometa in direzione opposta al Sole stesso. Quale interazione ne è responsabile?
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L’UNIVERSO
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Finalmente libere?
Portatrici di informazioni
Le comete restarono a lungo legate ai destini degli uomini, fino a quando non si capì effettivamente che si trattava di corpi in moto intorno al Sole, similmente ai pianeti, ma con orbite molto più grandi. In occidente i primi dati significativi sul moto delle comete si devono ai lavori di Tycho Brahe, che resero possibile inquadrarle definitivamente come fenomeni celesti. Nel XVII secolo l’astronomo inglese Edmond Halley (1656-1742) applicò la teoria della gravitazione di Newton, al moto di alcune comete la cui comparsa era stata registrata, e riuscì a prevedere il successivo passaggio vicino alla Terra di una di esse. Purtroppo Halley morì prima di vedere confermata la sua predizione, ma la cometa in questione, che porta il suo nome, viene ancora avvistata ogni 76 anni: la prima registrazione del suo passaggio risale all’anno 66. Le comete furono quindi riconosciute dalla scienza come oggetti in orbita intorno al Sole, con una periodicità lunga, ma in molti casi regolare. Tuttavia la loro cattiva fama di portatrici di disgrazie, alimentata da una superstizione radicata, sopravvisse parallelamente alle spiegazioni scientifiche. Nel 1840 Alessandro Manzoni, nel XXXII capitolo dei Promessi sposi, ne testimonia la presenza, prendendone tuttavia le distanze con ironia:
Gli elementi visibili di una cometa sono la sua luminosa chioma e la sua lunga coda, presenti solamente quando essa è al perielio, in prossimità del Sole. Il piccolo nucleo ghiacciato, di forma in genere irregolare e di dimensioni lineari di qualche chilometro, sublima quando è investito dall’energia dei raggi solari, proiettando il materiale gassoso in direzione opposta alla stella. La coda che ne deriva può avere una lunghezza considerevole rispetto alle dimensioni del nucleo, e può arrivare anche a centinaia di milioni di kilometri. Ad ogni passaggio al perielio il nucleo riduce la sua massa in modo violento e vistoso, e ciò rende la vita della cometa relativamente breve e instabile, oltre a complicare i calcoli sulla sua traiettoria. Inoltre al suo passaggio la cometa lascia del materiale pesante sulla sua orbita che, attraversata dalla Terra, interagisce con i gas che compongono l’atmosfera dando luogo al fenomeno delle stelle cadenti. Le comete vengono da lontano. Si ipotizza che alcune di esse, il cui periodo di rivoluzione è dell’ordine delle centinaia o delle migliaia di anni, provengano dalla cosiddetta nube di Oort, una regione occupata da nuclei di comete che orbitano intorno al Sole su orbite circolari, e che formano quindi una sorta di nube sferica. La nube di Oort dovrebbe trovarsi a una distanza di circa 1 anno luce dal Sole, cioè oltre 200 volte la distanza di Plutone da esso. Ogni volta che una cometa si avvicina a noi, quindi, porta con sé preziose informazioni da luoghi lontani, altrimenti inaccessibili. Analizzando le polveri presenti in alcune comete, inoltre, sono state trovate alcune molecole organiche, che hanno fatto pensare all’ipotesi delle comete come portatrici di vita. Potrebbero essere infatti una possibile spiegazione all’origine della vita sulla Terra.
D’ugual valore, se non in tutto d’ugual natura, erano i sogni de’ dotti; come disastrosi del pari n’eran gli effetti. Vedevano, la più parte di loro, l’annunzio e la ragione insieme de’ guai in una cometa apparsa l’anno 1628, e in una congiunzione di Saturno con Giove […]Un’altra cometa, apparsa nel giugno dell’anno stesso della peste, si prese per un nuovo avviso; anzi per una prova manifesta dell’unzioni.
Non solo disgrazie: secondo le Sacre Scritture, la nascita di Cristo è stata annunciata da una cometa. Nell’Adorazione dei Magi, nella Cappella degli Scrovegni, Giotto la dipinge grande e luminosa, prendendo a modello la cometa di Halley, apparsa nel 1301.
PAROLA CHIAVE
Credit: Halley Multicolor Camera Team, Giotto Project, ESA
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1840)
Il nucleo della cometa di Halley fotografato al passaggio del 1986 dalla sonda Giotto.
Universo
DOMANDA Il passaggio delle comete è stato talvolta associato all’annuncio della fine del mondo. È possibile prevedere quale sarà la fine dell’Universo? Descrivi in 10 righe alcune ipotesi sul destino dell’Universo.
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MAPPA DEI CONCETTI LE STELLE sono caratterizzate da
LUMINOSITÀ
DISTANZA
COLORE
magnitudine apparente
si misura in parsec (pc)
dipende dalla temperatura superficiale della stella
⎛L⎞ m = m0 − 2, 5 log ⎜ ⎟ ⎜L ⎟ ⎝ 0⎠
1 pc 3,09 1016 m
L luminosità m0 e L0 valori di riferimento
CLASSI SPETTRALI PIÙ CALDE
UNA STELLA
PIÙ FREDDE
è un ammasso di materia allo stato di
PLASMA
è lo stato della materia abbondante nell’UNIVERSO
gas ionizzato globalmente neutro, costituito da atomi, elettroni, ioni
NASCE
dall’addensamento del mezzo interstellare
SI EVOLVE
attraverso reazioni di fusione nucleare, passando per diverse fasi di equilibrio
piccola massa
nebulosa planetaria ¤ nana bianca
MUORE
stella di neutroni
grande massa
supernova buco nero
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L’UNIVERSO
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STELLE gruppi di stelle tenuti insieme dalla reciproca attrazione gravitazionale
SISTEMI STELLARI
stelle intorno a cui orbitano altri piccoli corpi attratti da esse
SISTEMI PLANETARI
si attraggono reciprocamente e formano
ellittiche
GALASSIE
a spirale
irregolari
LE STRUTTURE DELL’UNIVERSO SONO DOVUTE ALL’INTERAZIONE GRAVITAZIONALE LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE
è una moderna teoria della gravitazione
è basata sul
PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
la gravità è rappresentata dalla curvatura dello spaziotempo
un sistema di riferimento inerziale in un campo gravitazionale uniforme è equivalente a un sistema di riferimento uniformemente accelerato rispetto al primo, in un campo gravitazionale nullo
le masse incurvano lo spaziotempo
L’UNIVERSO NON È UN’ENTITÀ STATICA, IMMUTABILE ED ETERNA, MA È IN CONTINUA TRASFORMAZIONE
HA AVUTO ORIGINE DAL BIG BANG
? Big Bang attualmente l’universo è in fase di espansione
15 miliardi di anni fa
0 origine del tempo e dello spazio
tempo
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20 test (30 minuti)
12 ESERCIZI 1
TEST INTERATTIVI 10 Una stella ha l’emissione massima alla lunghezza
LE STELLE
d’onda di 2,89 10−7 m. f Determina la sua temperatura superficiale.
DOMANDE 1
[104 K]
L’astronomia è una scienza molto antica. La sua evoluzione è stata caratterizzata da diverse «velocità» in diversi luoghi del mondo, anche nello stesso periodo. Nel Medioevo, per esempio, l’astronomia araba era più sviluppata di quella occidentale. Per quale motivo? Rispondi in 5 righe.
2
NASCITA, VITA E MORTE DELLE STELLE
DOMANDE 11 Per gran parte della loro vita le stelle sono costituite
da uno stato di materia chiamato plasma. Descrivi in massimo 5 righe le caratteristiche del plasma. 12 L’evoluzione di una stella è l’equilibrio tra due oppo-
ste tendenze: una di espansione e l’altra di contrazione. Illustra in 5 righe queste due tendenze e spiega a cosa sono dovute. 13 La maggior parte dello spazio nell’Universo è vuoto.
Come fanno a nascere le stelle? 14 «La prima fase della vita di una stella è caratterizzata
dalle reazioni di fusione dell’elio e successivamente del carbonio al suo interno». Correggi questa frase, se necessario. 2 Le stelle che brillano nel cielo notturno non sono tut-
te uguali, ma si distinguono l’una dall’altra in base alla luminosità o al colore. Che cosa rappresenta la magnitudine apparente di una stella? Spiega in 5 righe. 3 Hai studiato nei capitoli precedenti la legge di spo-
3
DOMANDE 15 Non tutte le stelle seguono lo stesso destino. Descri-
vi in 5 righe quali sono le condizioni perché una stella diventi una nana bianca.
stamento di Wien: è possibile applicarla a livello astronomico e perché? Rispondi in 5 righe. 4 Un modo per catalogare le stelle è l’utilizzo della
16 «Durante la sua evoluzione, una stella di massa simi-
le a quella del Sole, passa dallo stadio di gigante rossa a quello di nana nera». Correggi questa frase, se necessario.
«classe spettrale». Di cosa si tratta? 5 Descrivi in massimo 5 righe la differenza tra sistemi
stellari e sistemi planetari.
I DIVERSI DESTINI DELLE STELLE
17 Uno strumento molto utile per lo studio dell’evolu-
zione stellare è il diagramma HR. Che informazioni ci fornisce questo diagramma? Spiega in massimo 5 righe.
6 A quale classe spettrale appartiene una stella di
temperatura superficiale di 6200 K? 7 Una stella è al confine tra la classe spettrale M e K.
Qual è la sua temperatura superficiale?
18 In alcuni casi, la morte di una stella può portare alla
nascita di una nuova stella. Descrivi in 10 righe quando questa situazione si può effettivamente verificare.
CALCOLI 8 Una stella è situata a 100 pc da noi.
f A quanti anni-luce corrisponde questa distanza? [326]
9 Determina la parallasse della stella dell’esercizio 7. [0,01 secondi d’arco]
4
LE GALASSIE
DOMANDE 19 Descrivi in massimo 5 righe cos’è una galassia.
360 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
L’UNIVERSO
12
20 Il nome dell’astronomo Hubble è molto legato allo
26 «Secondo la teoria della relatività generale, la distan-
studio delle galassie e a lui si deve la prima classificazione. Su cosa è basata tale classificazione?
za minima tra due punti è sempre una linea retta». Correggi questa frase, se necessario.
21 Lo studio di Hubble ha portato alla definizione di una
27 Un’immagine suggestiva molto usata nella divulga-
«sequenza di Hubble», che però ha dei limiti. Quali sono?
zione della teoria della relatività generale è quella che rappresenta la curvatura dello spazio come un telo teso su cui è appoggiata una massa. Questa metafora, pur essendo molto efficace, contiene un difetto. Quale?
22 Descrivi in cinque righe le caratteristiche morfologi-
che della galassia in figura e prova a classificarla secondo la sequenza di Hubble.
28 Una delle verifiche sperimentali alle previsioni della
relatività generale è il concetto di lente gravitazionale. Di che cosa si tratta? Descrivi in massimo 5 righe.
6
CENNI DI COSMOLOGIA
DOMANDE
NASA, ESA, and the Hubble Heritage (STScI/AURA)-ESA/Hubble Collaboration
ESO/P. Grosbøl
29 Dopo la teoria della relatività generale e il lavoro di
23 Cosa sono gli ammassi e i superammassi? Spiega in
5 righe.
5
Fridman, si è cominciato a parlare di Big Bang. Quale è stata la prima verifica sperimentale dell’espansione dell’Universo? 30 Una sorta di «prova fossile» del Big Bang è la radia-
zione cosmica di fondo. Descrivi in 10 righe di che cosa si tratta. 31 «La materia visibile rappresenta il 50% dell’energia
totale dell’Universo». Correggi questa frase. 32 Uno dei problemi aperti del modello cosmologico
del Big Bang è la cosiddetta «materia oscura». Di cosa si tratta? Rispondi in massimo 5 righe. 33 Secondo le ultime teorie, quali sono i possibili destini
dell’Universo? Descrivi in massimo 10 righe.
ESERCIZI DI RIEPILOGO DOMANDE 34 Se due stelle hanno rispettivamente magnitudine
CENNI DI RELATIVITÀ GENERALE
apparente -3,0 e +0,1, quale delle due è più luminosa e perché? 35 Lo studio delle righe dello spettro di assorbimento di
DOMANDE 24 Secondo la teoria newtoniana della gravità tutta la
materia esercita attrazione su altra materia, tramite un’azione a distanza. Con l’avvento della relatività ristretta, si è dovuto rivedere questo concetto: perché? Rispondi in massimo 10 righe. 25 Su quale principio cardine si basa la teoria della rela-
tività generale? Rispondi in 5 righe.
una stella è fondamentale per conoscerne i materiali che la costituiscono. Perché? Rispondi in massimo 5 righe. 36 «Le costellazioni sono raggruppamenti di stelle vici-
ne tra loro». Questa frase è sbagliata. Correggila. 37 In passato, si pensava che la Terra si trovasse al cen-
tro di una o più sfere materiali rotanti incastonate di stelle. Effettivamente, le osservazioni fatte da terra
361 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
12 ESERCIZI possono far pensare facilmente a una configurazione del genere. Spiega in 5 righe perché. 38 Il parsec è una unità di misura astronomica. Da dove
deriva il suo nome? A quanti anni-luce corrisponde?
44 Il fenomeno di lente gravitazionale può portare a os-
servare immagini come quella qui riportata, che ci permettono di vedere, sotto forma di anello di luce un oggetto posto esattamente dietro a un altro. Prova a spiegare in 10 righe questo fenomeno.
39 «Le reazioni nucleari che tengono in vita una stella
sono reazioni di fissione dei nuclei d’idrogeno». Questa frase è sbagliata. Correggila. 40 Perché le nane bianche, pur essendo caldissime,
sono poco luminose? Rispondi in 5 righe. 41 «Le stelle di massa superiore a quella del Sole, alla ESA/Hubble & NASA
fine della loro evoluzione diventano tutte buchi neri». Spiega perché questa affermazione è errata, descrivendo in 5 righe le ultime fasi della vita di una stella massiccia. 42 I buchi neri non si possono osservare direttamente,
perché non lasciano sfuggire nessun tipo di onda elettromagnetica. Come è stata dimostrata sperimentalmente la loro esistenza? Rispondi in massimo 10 righe. 43 Perché si può affermare che la struttura complessiva
dell’Universo è molto simile a quella di una spugna? Rispondi in 5 righe.
45 Descrivi in 10 righe le fasi evolutive dell’Universo dal
Big Bang a oggi, secondo il modello cosmologico standard. 46 Due problemi aperti del modello cosmologico stan-
dard sono la spiegazione dell’assenza di antimateria e la comprensione dei primi istanti dopo il Big Bang. Illustra queste questioni in massimo 10 righe.
362 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
CAPITOLO
Physics in English
Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Physics talk
PHYSICS IN ENGLISH
FORMULAE SUBJECT
IN SYMBOLS
Q1 Q2
Coulomb’s law
F = k0
Permittivity of free space
1 k0 = 4πε0 I I F E= q0
Electric field
Gauss’ law
Electric potential energy
r2
The proportionality constant k0 (also known as the Coulomb force constant) is equal to the reciprocal of the product of four pi and the permittivity of free space ε0 (also known as the electric constant). The intensity of an electric field equals the ratio the ¤ force F that would be experienced by a stationary point charge (known as the test charge) to the charge q0 of the test particle. The electric flux through a closed surface equals the ratio of the total charge Qtot enclosed by the surface to the permittivity ε of the dielectric medium enclosed within the surface Ω.
1 Q1 Q2 4πε r
The electric or electrostatic potential energy of charge Q1 in the potential of charge Q2 is equal to the product of the reciprocal of four pi multiplied by the permittivity ε of the medium, the charges Q1 and Q2, and the reciprocal of the separation distance r of the point charges.
U=
U q0
V=
Current
i=
Ohm’s first law
ΔV = iR
Ohm’s second law
R =ρ
Magnetic field produced by an infinitely long straight wire carrying a current (BiotSavart law)
The electrostatic force acting simultaneously between two point charges is equal to the product of the proportionality constant k0, the charges Q1 and Q2, and the reciprocal of the square of the separation distance r of the point charges.
I Q ΦΩ ( E ) = tot ε
Electric potential
Lorentz force
IN WORDS
ΔQ Δt
C A
F = qv B
B=
μ0i 2π r
The electric potential at a point equals the ratio of the electric potential energy U of a charged particle at that location to the charge q0 of the particle. The electric current in a medium equals the electric charge transferred through a surface ΔQ over a time interval Δt. The potential difference across two points in a conductor equals the current in the conductor i multiplied by the electrical resistance R of the conductor. The electrical resistance R of a conductor equals the resistivity ρ of the material multiplied by the ratio of the length ᐉ and the cross section area A of the material. The force on a point charge due to an electromagnetic field equals the electric charge q of the particle multiplied by the vector product of the instantaneous ¤ ¤ velocity v of the particle and the magnetic field B. The magnitude of the magnetic field at a point due to an infinitely long wire carrying current equals the product of the magnetic permeability μ0 of free space and the current i in the wire divided by the product of two pi and the distance r of the evaluation point from the wire.
364 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Visit us online for the pronunciation of these formulae and many others
PHYSICS TALK
FORMULAE SUBJECT Gauss’ law for a magnetic field
Generalised Ampere’s law
Faraday-Neumann law
Speed of light
Beta velocity
IN SYMBOLS I ΦΩ ( B ) = 0
IN WORDS The magnetic flux through a closed surface Ω is zero. [The law is often referred to as a statement of the “absence of free magnetic poles”.]
I ⎛ I ΔΦ( E ) ⎞ ⎜ ⎟ B i Γ γ ( ) = μ 0 ⎜ Σ j j + ε0 Δ t ⎟⎠ ⎝
For an electric field that varies with time the circulation of the magnetic field around a closed path γ is equal to the product of the magnetic permeability μ0 of free space and the sum of the currents that penetrate through the surface bounded by the path γ and the displacement current: the product of the permittivity of free space ε0 and the rate of change of electric flux through the surface bounded by the path γ.
I ΔΦ( B ) emf = − Δt
When a circuit, whose material does not change over time, is subjected to a constant magnetic field, an electromotive force is induced which is equal to the change in the magnetic flux over time. The induced emf opposes the change in the magnetic flux hence the minus sign.
ε0μ 0
The speed of light in a vacuum equals the reciprocal of the square root of the product of the permittivity of free space ε0 and the permeability of free space μ0.
v c
Beta is the ratio of the velocity of an object (or an inertial reference frame) v to the speed of light c.
1
C=
β=
1
The Lorentz factor is equal to the reciprocal of the square root of the term one minus the square of β. [The Lorentz factor is always greater than or equal to one.]
Lorentz factor
γ=
Rest energy
E 0 = m0c 2
The total internal energy of a body at rest is equal to the product of its rest mass m0 (also called invariant mass) and the square of the speed of light.
E = hν
The energy of a photon is equal to the product of the Planck constant h and the frequency ν of its associated electromagnetic wave.
h ( Δ x )( Δ px ) ≈ 2π
In describing an elementary particle, the uncertainty in the position (Δx) multiplied by the uncertainty in its momentum (Δpx) is approximately equal to Planck’s constant divided by two pi.
Energy of a photon
Heisenberg uncertainty principle
Radioactive decay
1 − β2
N = N0 e − λ t
For a given sample of a specific radioisotope, the number of atoms present after a period of time t is equal to the initial number of atoms N0 (at time t 0) multiplied by the exponential function of λt , where λ is the decay constant for the radioisotope and t is the elapsed time.
365 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
PHYSICS IN ENGLISH
Reading comprehension
;B;JJHEC7=D;J?ICE1 Le cariche elettriche
“Static electricity” is electricity which is static? No! “Static electricity’” is a collection of different electrical phenomena; phenomena in which the amounts of positive and negative electric charge within a material are not perfectly equal. Where voltage is high and current is low. Where electrical forces (attraction and repulsion) are seen to reach across space. Widely spaced electrically charged objects may attract or repel each other. Hair might stand on end! Where electric fields (as opposed to magnetic fields) become very important. Electrostatics is about “charge”, and about the attract/repel forces which electric charge creates. The motion or the “staticness” of the charges is irrelevant. After all, the same forces continue to exist even when the charges start flowing. And charges that are separated or imbalanced can sometimes
flow along, yet the “static” effects are undiminished when the current begins. In other words, it’s perfectly possible to create flows of so-called “static” electricity. It’s very misleading to concentrate on the “staticness” of the charges. It derails our explanations and hides many important concepts such as charge separation, the density of imbalanced positive/negative charge, and the presence of voltage fields surrounding the imbalanced charges. Electrostatics is not about “staticness”: instead it’s about charge and forces. Imagine if water was explained just as badly as “static electricity”. In that case, most people would believe in two special kinds of water called “static water” and “current water”. We’d wrongly insist that “hydrostatics” was the study of static water. In that case, only the hydraulics expert would realize there’s no such thing as “static water”. In a similar way, “static electricity” has nothing to do with “electricity at rest”. (Taken from http://amasci.com/emotor/stmiscon.html#one)
EXCERCISES 1
True or false?
3 Match questions and answers.
a. In “static electricity” phenomena,
QUESTIONS
the amounts of positive and negative
ANSWERS
A
Is electrostatics 1 about “staticness”?
Of course they can, widely spaced electrically charged objects may attract or repel each other, for example hair may stand on end.
F
B
Can electrical forces act across space?
2
c. Widely spaced electrically charged objects cannot attract or repel each other.
Yes, in the misconception of the word “static”: neither electrostatic nor hydrostatic phenomena deal with the “staticness” of electricity or water.
C
Is there any correlation between electrostatic and hydrostatic?
3
No, it is all about charge and forces.
electric charge are perfectly equal.
T
F
T
F
T
F
T
b. Widely spaced objects may attract or repel each other. c. Electrostatics is about “staticness”. d. Flows of static electricity can be created. 2 Find the mistakes in each sentence and
correct. a. Charges that are separated or imbalanced can never flow along. b. Electrostatics is all about “staticness”.
d. Electrostatics is about the attract/repel forces which electric force creates. e. The motion or the “staticness” of the charges is relevant. f. “Static electricity” deals with “electricity at rest”.
A .........
B .........
366 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
C .........
READING COMPREHENSION
Of all the animals on Earth and in the oceans, sharks have the most acutely developed electroreception abilities. This sensory perception enables them to detect and interpret the electric field that is emitted by animals as well as by the Earth itself. It is used to hunt prey that may be concealed from vision and even as a gravitational device and stabiliser. The electroreception ability is enabled by the ampullae of Lorenzini. These are modified sensory organs situated on the snout or nose of the shark and can number from a few hundred (for the more placid sharks) to well over 1000 for active hunters and killers. The ampullae of Lorenzini are made up of a large pore, filled with a jelly-like substance. Gelatinous secretions are stored in cylindrical canals, which are attached to these bulbous pores. Minute sensory cells line the walls of each pore. These sense even faint electrical impulses from the environment around the shark and transmit the message
to the sensory nerve at the base of each pore. This nerve sends messages directly to the brain to inform the shark of gravitational electro-sensations or those of nearby prey. So acute is this sensory ability that they can detect a change in voltage of 10 millionths of a volt. The ampullae of Lorenzini are also able to detect changes in water pressure and temperature, although this is to a far lesser degree. The electroreception ability present in sharks is a significant survival tool as it allows them to seek out and find prey that is hidden behind rocks, or even under sand, just from sensing the natural electrical signals emitted by all animals. The prey is unable to control this emission of impulse, regardless of how motionless it remains. When an animal or person is injured, they emit erratic electrical impulses, attracting the shark. (Taken from http://www.sharks.org.za/electroreception.html)
EXCERCISES 1
True or false?
3 Match questions and answers.
a. Sharks are lacking in electroreception.
T
F
T
F
T
F
T
F
b. Sharks use the ampullae of Lorenzini to detect electric fields.
QUESTIONS A
What happens to the human electrical emission in a dangerous situation?
1
Sharks are predators, meaning that they need to find prey to survive. Using their electroreception ability they can even find prey hidden behind rocks and under sand.
B
How do sharks use their electroreception ability?
2
Sharks’ sensory organs, used to detect electric fields. These organs are situated on the snouts or noses of sharks, and are variable in number.
C
What are the ampullae of Lorenzini?
3
The human body emits erratic electrical impulses when in danger and these impulses are sensed by sharks.
c. Sharks cannot find prey if it is hidden behind rocks. d. Animals can stop the emission of electrical impulses if they want to.
ANSWERS
2 Complete.
Among . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . on Earth, sharks have . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the most . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . electroreception ability. A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . shark can . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . prey hidden behind . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . and under sand. The more animals sense . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the more they emit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . electrical impulses, that can be .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . detected by sharks. This ability is . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . by the ampullae of Lorenzini, a .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . organ situated on the .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of the shark. The number of ampullae of Lorenzini can . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . from a few hundred to over 1000. This ability is so . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . that sharks can detect a change in .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of 10 millionths of a volt.
A .........
B .........
C .........
rocks sensory animals enabled killer developed acute voltage erratic vary sharp easily detect danger snout
367 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
;B;JJHEC7=D;J?ICE2 Il campo elettrico
Sharks - Electroreception
PHYSICS IN ENGLISH ;B;JJHEC7=D;J?ICE3 L’elettrostatica
How is a plane protected from lightning strikes? Since the outer skin of most airplanes is primarily aluminium, which is a very good conductor of electricity; the secret to safe lightning hits is to allow the current to flow through the skin from the point of impact to some other point without interruption or diversion to the interior of the aircraft. Estimates show that each commercial airliner averages one lightning hit per year but the last crash that was attributed to lightning was in 1967 when the fuel tank exploded, causing the plane to crash. Generally, the first contact with lightning is at an extremity, the nose or a wingtip, lightning transits through the aircraft skin and exits through another extremity point, frequently the tail. Another related problem is the effect on computers and flight instruments. Shielding and surge suppressors insure that electrical transients do not threaten the on board avionics. Electricity finds it’s way from one place to the other via what’s called a “step leader”. The sheer power of the cloud will start to attract electrons
from the ground. These electrons will gather on anything that gathers charge (like a fence) or sticks up in the air (like a person), or that does both (like a telephone pole). That electric charge will start to work it’s way through the air, ionising it, until the leader working it’s way down and the leader trying to get up finally meet. When they do, there’s lightning. An aircraft will act as a conduit for step leaders. The way an aircraft tries to dissipate these step leaders is through the use of a “static wick”. A static wick is a piece of metal connected electrically to the frame of the aircraft, with one or two spikes or needles on the end. It is housed in a fiberglass rod to insulate it from the airplane. Because the spikes concentrate the electric charge around them, and they are connected to the airframe, they allow the airplane to dissipate any static electricity it may build up out into the air. (Taken from http://www.physlink.com/education/askexperts/ ae568.cfm)
EXCERCISES 1
True or false? a. According to estimates every commercial airliner receives several lightning hits T per year. b. Generally, after the first hit, lightning transits through the aircraft skin and T exits through another extremity point. T c. A fence may gather electrical charge. d. A “static wick” is a piece of metal T electrically connected to the aircraft.
transits fiberglass electrically lightning charge conduit insulates until dissipate air skin lightning finally down another aircraft piece F
3 Match questions and answers. QUESTIONS
F F
ANSWERS
A
Are aircraft crashes 1 due to lightning a common event?
It is a piece of metal, electrically connected to the aircraft.
B
What is a “static wick”?
2
Even though every commercial airliner averages at least one lightning hit per year the last crash due to lightning was in 1967.
C
Give some examples of common things that may gather electrons.
3
A fence, a person and a telephone pole are all examples of common things that may gather electrons.
F
2 Complete.
Electric . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . starts it’s way through the .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . The electrons ionise the air, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the leader working it’s way . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , and the leader trying to get up . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . meet, at this point we usually can see .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . The aircrafts usually act as a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . for step leaders, because lightning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . through the aircraft . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... , entering from a side and going out from ........................
Aircrafts use a “static wick” to . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the electric charge of . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A “static wick” is a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of metal connected . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . to the frame of the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... It is placed in a .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . rod that . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . it from the airplane.
A .........
B .........
368 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
C .........
READING COMPREHENSION
In 1800, the Italian scientist Alessandro Volta built the voltaic pile and discovered the first practical method of generating electricity. Count Volta also made discoveries in electrostatics, meteorology and pneumatics. His most famous invention, however, is the first battery. Alessandro Volta was born in Como, Italy in 1745. In 1774, he was appointed professor of physics at the Royal School in Como. While at the Royal School, Alessandro Volta designed his first invention, the electrophorus, in 1774: a device that produced static electricity. For years at Como, he studied and experimented with atmospheric electricity by igniting static sparks. In 1779, Alessandro Volta was appointed professor of physics at the University of Pavia and it was while there that he invented his most famous invention, the voltaic pile. Constructed of alternating discs of zinc and copper, with pieces of cardboard soaked in brine between the metals, the voltaic pile produced electrical current. The metallic conducting arc was used to carry the electricity over a greater distance. Alessandro
Volta’s voltaic pile was the first battery that produced a reliable, steady current of electricity. One contemporary of Alessandro Volta was Luigi Galvani, in fact, it was Volta’s disagreement with Galvani’s theory of galvanic responses (animal tissue contained a form of electricity) that led Volta to build the voltaic pile to prove that electricity did not come from the animal tissue but was generated by the contact of different metals, brass and iron, in a moist environment. Ironically, both scientists were right. Volt - The unit of electromotive force, or difference of potential, which will cause a current of one ampere to flow through a resistance of one ohm. Named after Italian physicist Alessandro Volta, a pioneer in the study of electricity. Photovoltaic - Photovoltaic are systems that convert light energy into electricity. The term “photo” is a stem from the Greek “phos” meaning “light” and “volt” cones from Volta. (Taken from http://inventors.about.com/od/utstartinventors/a/ Alessandro_Volta.html)
EXCERCISES 1
True or false? a. The electrophorus was Volta’s first invention.
T
F
b. Volta was a professor in Pavia in 1774.
T
F
T
F
invented electricity term copper double brine discs convert electricity devices Professor distances light arc from 3 Match questions and answers.
c. According to Galvani’s theory, electricity is not intrinsic to animal tissue. d. Photovoltaics are systems that convert light energy into electricity.
T
QUESTIONS A
How did Volta build his pile?
1
That electricity is intrinsic to animal tissue.
B
With which point of Galvani’s theory did Volta disagree?
2
He alternated discs of zinc and copper, putting between them pieces of cardboard soaked in brine.
C
What is a volt?
3
It is the unit for electric potential, electric potential difference, and electromotive force. This unit is named after Alessandro Volta.
F
2 Complete.
a. Volta .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the famous pile while he was .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in Pavia. b. Volta built his pile alternating . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of zinc and .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , with pieces of cardboard soaked in . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . c. To conduct . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . out of the pile and over great .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . he used a metallic conducting . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . d. Photovoltaic are . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . named after Alessandro Volta, they . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . light energy into . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e. The term “photo” comes from the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “phos” meaning “.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”. And the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “volt” comes .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alessandro Volta.
ANSWERS
A .........
B .........
C .........
369 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
;B;JJHEC7=D;J?ICE4 La corrente elettrica
Alessandro Volta
PHYSICS IN ENGLISH ;B;JJHEC7=D;J?ICE5 I circuiti elettrici
How hair-dryers work Many people are familiar with the daily routine of washing, drying and styling their hair. Although hair will eventually dry on its own if given enough time, most people reach for a hair-dryer to speed up the process. While science may have disproven the link between wet heads and catching colds, it’s still no fun to sit around with a head full of wet hair, especially in the winter. Hair-dryers, also known as blow-dryers, were first sold in the 1920s. At first they were pretty dangerous to use – hundreds of people were electrocuted when they dropped their hair-dryer into water-filled sinks and bathtubs. That isn’t as likely today, however, because of the advent of Ground Fault Circuit Interrupters (GFCI). Since 1991, all portable hair-dryers have been required by U.S. federal law to protect you
against electrocution should you accidentally drop one in water while it’s plugged in. This applies whether the hair-dryer is on or off. A GFCI is the larger, polarised plug that you’ll find on many consumer appliances. When they’re plugged in, GFCIs monitor the amount of current that’s running from one slot of a wall outlet through an electric circuit and back to the other slot. If they sense a leak in the current, they trip the circuit. What happens to a hair-dryer if you drop it in water when it’s not plugged in? You don’t run the risk of electrocution, since there’s no source of current, but you can certainly damage the hair-dryer if all of its components get wet. So, plugged in or not, it’s a bad idea to throw it in the tub. (Taken from http://www.howstuffworks.com/hair-dryer.htm)
EXCERCISES 1
True or false?
3 Match questions and answers.
a. Science has proved the link between catching colds and having wet hair or long periods of time.
T
F
b. The first hair-dryer was invented 50 years ago.
T
F
c. Hundreds of people have been electrocuted using hair-dryers.
T
F
d. Since 1991, all US hair-dryer must have a GFCI fitted.
T
F
QUESTIONS
ANSWERS
A
What happens to a hair-dryer if you drop it in water when it’s not plugged in?
1
A Ground Fault Circuit Interrupter; it is a device that protects people against electrocution if a hairdryer is accidentally dropped in water.
B
What is a GFCI?
2
Once you plug your hair-dryer in, the Ground Fault Circuit Interrupter monitors the amount of current running back and forth from the wall’s slot. If it senses a leak in the current, it trips the circuit.
C
How does a GFCI 3 work?
2 Complete.
Hair-dryers are common . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . that people have used since the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Before the introduction of the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , hair-dryers were pretty . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ; many people have been electrocuted . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . using a hair-dryer. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1991, all portable hair-dryers .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . been required by U.S. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . law to protect . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . electrocution. GFCI (Ground Fault Circuit Interrupter) is a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . plug that monitors the amount of .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . that’s running from one .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of a wall outlet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... an electric circuit and . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . to the other slot, if there is a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in the current, they trip the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A .........
B .........
circuit back dangerous GFCI devices whilst through have current 1920s since polarised federal against leak slot
370 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
As there is no source of current it is not dangerous for your own safety, but the device would get damaged.
C .........
READING COMPREHENSION
Magnetic materials should maintain a balance between temperature and magnetic domains (the atoms’ inclination to spin in a certain direction). When exposed to extreme temperatures, however, this balance is destabilised; magnetic properties are then affected. While cold strengthens magnets, heat can result in the loss of magnetic properties. In other words, too much heat can completely ruin a magnet. How it works. Excessive heat causes atoms to move more rapidly, disturbing the magnetic domains. As the atoms are sped up, the percentage of magnetic domains spinning in the same direction decreases. This lack of cohesion weakens the magnetic force and eventually demagnetises it entirely. In contrast, when a magnet is exposed to extreme cold, the atoms slow down so the magnetic domains are aligned and, in turn, strengthened. Ferromagnetism. The way in which specific materials form permanent magnets, or interact strongly with magnets. Most everyday magnets are a product of ferromagnetism.
Paramagnetism. A type of magnetism that occurs only in the presence of an external magnetic field. They are attracted to magnetic fields, but they are not magnetised when the external field is removed. This is because the atoms spin in random directions; the spins aren’t aligned, and the total magnetisation is zero. Aluminium and oxygen are two examples of materials that are paramagnetic at room temperature. Curie Temperature. Named after the French physicist Pierre Curie, the Curie temperature is the temperature at which no magnetic domain can exist because the atoms are too frantic to maintain aligned spins. At this temperature, the ferromagnetic material becomes paramagnetic. Even if the magnet is cooled, once it has become demagnetised, it will not become magnetised again. Different magnetic materials have different Curie temperatures, but the average is between 600-800 degrees Celsius. (Taken from http://www.ehow.com/how-does_4926450_heataffect-magnets.html)
EXCERCISES 1
True or false?
3 Match questions and answers.
a. High temperatures strengthen magnets. T
F
b. Extreme cold makes the atoms of a magnet slow down.
T
F
c. All materials have the same Curie temperature.
T
F
d. Once a magnet is ruined by high temperatures, it can never get its magnetism back.
T
F
2 Find mistakes and correct.
QUESTIONS
ANSWERS
A
What is the Curie temperature?
1
The mechanism through which some materials form permanent magnets, or are attracted by other magnets, is called ferromagnetism.
B
What is ferromagnetism?
2
When a magnetic material is exposed to low temperatures, its atoms slow down and, as a consequence, its magnetic domain is strengthened.
C
What happens to a magnetic material if it is exposed to low temperatures?
3
It is the temperature at which the magnetic domain of a material is permanently ruined and ceases to exist; it is different for different materials.
a. Cold can make a magnetic material lose its magnetic properties. b. Excessive heat causes atoms to move more slowly. c. Almost all everyday magnets are a product of paramagnetism. d. Paramagnetism occurs only in the presence of an internal magnetic field. e. Aluminium and oxygen are paramagnetic at high temperatures. f. At room temperature a ferromagnetic material becomes paramagnetic.
A .........
B .........
C .........
g. The average Curie temperature is between 600-800 degrees Fahrenheit.
371 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
;B;JJHEC7=D;J?ICE6 Il campo magnetico
How does heat affect magnets?
PHYSICS IN ENGLISH ;B;JJHEC7=D;J?ICE7 L’induzione elettromagnetica
Magnetic recumbent exercise bikes A magnetic eddy current brake or “magnetic ECB” capitalises on the magnetic field anomaly called an “eddy current.” Much like the way eddy currents form in water, the eddy currents around a magnetic field create their own swirling effects and their own magnetic field. These eddy currents can be used to create a braking effect by using the resistance of eddy currents to oppose the rotational movement of the flywheel on a recumbent exercise bike. The eddy currents that are generated are perpendicular to the flywheel’s direction of travel. In the case of magnetic eddy current brakes, the metal flywheel is exposed to a magnetic field from an electromagnet, creating eddy currents in the flywheel. The eddy currents meet resistance as charges flow through the flywheel, and this acts to slow down the rotation of the flywheel. Interestingly, the faster the flywheel is spinning, the stronger the effect, meaning that as the bike slows the braking (resistance) force is reduced, producing a very smooth “braking” action which results in extremely smooth transitions between resistance levels.
When you use a preselected program or set up your own user program – you can specify the resistance levels for each segment of the fitness program. So, let’s say you use the control panel and choose to begin your workout with a resistance level of 5 for the first segment, 9 for the second segment and 16 for the third segment through the sixth segment and then step the resistance back down to warm down; instead of feeling abrupt and rapid changes in the transition between the different resistance levels, you will feel a gradual change in the resistance level that is very comfortable to adapt to. Magnetic ECB resistance mechanisms are becoming increasingly popular. Magnetic resistance bikes offer more functionality because they are easier to adjust, have a more sophisticated resistance level, are smoother to use and are quieter than other types of resistance mechanisms. (Taken from http://www.bicycleman.com/recumbent-exercisebikes/magnetic-resistance-recumbent.htm)
EXCERCISES 1
True or false? a. Magnetic eddy current are used to accelerate recumbent exercise bikes.
T
F
b. Magnetic eddy currents create swirling effects and their own magnetic field.
T
F
resistance eddy creating recumbent smoother types result flow magnetic flywheel rotation 3 Match questions and answers. QUESTIONS
c. The use of eddy current brakes produce T very smooth “braking” actions.
F
d. The use of eddy current brakes is too expensive to become popular.
F
T
A
How can magnetic eddy currents be used in brakes?
1
The metal flywheel of the bike is exposed to a magnetic field from an electromagnet, creating eddy currents in the flywheel.
B
What are the advantages of a magnetic resistance bike?
2
Eddy currents create a braking effect using their resistance to oppose the rotational direction of the flywheel in recumbent exercise bikes.
C
3 How are magnetic eddy currents generated in a bike’s braking system?
It is easier to adjust, and smoother to use, moreover it is quieter and with a more sophisticated resistance level system.
2 Complete.
Magnetic ECB resistance offers many advantages compared to the other . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . of resistance mechanisms commonly used in . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . exercise bikes. The “braking” action is . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . and even the transitions between . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . levels are more comfortable. Magnetic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . currents are used to obtain this .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . The metal flywheel of the bike is exposed to a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . field from an electromagnet, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . eddy currents in the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . The eddy currents meet resistance as charges . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . through the flywheel, and this slows down the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. of the flywheel.
ANSWERS
A .........
B .........
372 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
C .........
READING COMPREHENSION
Like many of today’s great inventions, the microwave oven was a by-product of another technology. It was during a radar-related research project around 1946 that Dr. Percy Spencer, a self-taught engineer with the Raytheon Corporation, noticed something very unusual. He was testing a new vacuum tube called a magnetron, when he discovered that the candy bar in his pocket had melted. This intrigued Dr. Spencer, so he tried another experiment. This time he placed some popcorn kernels near the tube and, perhaps standing a little farther away, he watched with an inventive sparkle in his eye as the popcorn sputtered, cracked and popped all over his lab. The next morning, scientist Spencer decided to put the magnetron tube near an egg. A curious colleague joined Spencer, and they both watched as the egg began to tremor and quake. The rapid temperature rise within the egg was causing tremendous internal pressure. Evidently the curious
colleague moved in for a closer look just as the egg exploded and splattered hot yolk all over his amazed face. The face of Spencer lit up with a logical scientific conclusion: the melted candy bar, the popcorn, and now the exploding egg, were all attributable to exposure to low-density microwave energy. Thus, if an egg can be cooked that quickly, why not other foods? Experimentation began... Dr. Spencer fashioned a metal box with an opening into which he fed microwave power. The energy entering the box was unable to escape, thereby creating a higher density electromagnetic field. When food was placed in the box and microwave energy fed in, the temperature of the food rose very rapidly. Dr. Spencer had invented what was to revolutionise cooking, and form the basis of a multimillion-dollar industry, the microwave oven. (Taken from http://www.physicsclassroom.com/mmedia/waves/er.cfm)
EXCERCISES 1
True or false? a. Dr. Spencer was working on a different project when he discovered the effects of microwaves on food.
happening whilst think melted magnetron some research egg inventions testing energy technology concluded T
F
b. Dr. Spencer used some popcorn, an egg T and a hamburger to test his discovery.
F
c. The microwave oven industry is a multimillion-dollar industry.
T
F
d. During World War I, microwave ovens were already in common use.
T
F
3 Match questions and answers. QUESTIONS A
What was Dr. Spencer working on when he discovered the effects of microwaves on food?
1
A candy bar in his pocket melted while he was working on the magnetron.
B
How did Dr. Spencer build his first microwave oven?
2
He was testing a new vacuum tube called a magnetron.
C
Which was the first episode that made Dr. Spencer think that he should make some further researches on microwaves?
3
He built a metal box with an opening into which he fed microwave power. The energy entering the box was unable to escape, creating a high-density electromagnetic field.
2 Complete.
As has happened with many important . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , microwave ovens were a by-product of another . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dr. Spencer ran into this “invention” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . he was working on a radar-related . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . project. It was 1946, and he was . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . a magnetron: a new vacuum tube. After his work with the . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , Dr. Spencer discovered that the candy bar in his pocket had . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . This queer event made him . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . that maybe something new was . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . near the tube. He put .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . popcorn first and then an . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . close to the tube, and correctly . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . that exposure to low-density microwave .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . can cook food very rapidly.
ANSWERS
A .........
B .........
C .........
373 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
;B;JJHEC7=D;J?ICE8 Le onde elettromagnetiche
“Who invented microwaves?”
PHYSICS IN ENGLISH H;B7J?L?JÀ;GK7DJ?9 La relatività ristretta
Relativity Relativity begins with a modest question: how does your physics relate to my physics if we are moving relative to each other? Galileo gave one answer: we find exactly the same laws of mechanics if our relative speed is constant. Newton said the same thing but more elaborately by referring all motion to an absolute frame of reference in space and time. Nineteenth-century theorists found Newton’s absolute frame a convenient place to locate the hypothetical medium they called the ether, which propagated light and other electromagnetic waves. Ether physics was a prominent endeavour among Victorian scientists, but it had fatal flaws. For one thing, ether physicists could never agree on a standard model for the mechanical structure of the ether. Also questionable was the concept of motion through an ether anchored in Newton’s absolute frame of reference. A young patent examiner in Bern, Switzerland, named Albert Einstein published a paper in 1905 that resolved the ether problem by simply ignoring it. Einstein postulated two empirical principles that
could not be denied: the constancy of the speed of light, and a generalisation of Galileo’s relativity principle to include electromagnetic and optical phenomena. Beginning with these two principles, and without recourse to the ether concept, he proved that, for observers moving relative to each other at constant speeds, length and time measurements are different, perhaps drastically different if the speed is close to the speed of light. For example, if a stationary observer watches a clock moving at high speed he or she sees it ticking more slowly than an observer travelling with the clock. In addition to this “time dilation,” Einstein’s 1905 paper insisted that the length dimension of the clock, or of anything else, is contracted in the direction of motion for the stationary observer. Einstein designed his 1905 “special” theory of relativity with two limitations: it focused on “inertial” systems, and its scope did not include Newton’s gravitation theory. (Taken from W.H. Cropper, Great Physicists, OUP, New York, 2001, pp. 201-202)
EXCERCISES 1
True or false? a. Newton resolved the ether problem by simply ignoring it.
relativity ether give reference mechanics ignoring exactly Galileo up T
F
b. When he published his paper in 1905, Einstein was teaching at Bern University. T
F
c. Einstein’s theory did not include Newton’s gravitation theory.
T
F
d. Galileo did not give answers to the relativity problem.
T
F
3 Match questions and answers. QUESTIONS
ANSWERS
A
1 What were the main problems with the ether theory?
If a stationary observer watches a clock moving at high speed he or she sees it ticking more slowly than an observer travelling with the clock.
B
What were the foundations of Einstein’s 1905 theory?
2
Physicists could never agree on a standard model for the mechanical structure of ether. Moreover, Newton’s absolute frame of reference was at variance with the concept of ether.
C
Give an example of Einstein’s “time dilation”.
3
Two undeniable empirical principles: the constancy of the speed of light, and a generalisation of Galileo’s relativity principle.
2 Complete.
Since the time of Galileo, the concept of . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . has been in physicists’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . The first to . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. an answer to this question was . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . He postulated that we find . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . the same laws of . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . if our relative speed is .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Newton followed Galileo by .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . an absolute frame of . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in space and time. The situation got more . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . with the theorisation of Einstein cleared . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. the ether problem by simply . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . it, moving on to build his . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . theory. relativity adding minds constant complicated
A .........
B .........
374 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
C .........
READING COMPREHENSION
The Large Hadron Collider (LHC), the world’s largest and most powerful particle accelerator, is the latest addition to CERN’s accelerator complex. It mainly consists of a 27-kilometre ring of superconducting magnets with a number of accelerating structures to boost the energy of the particles along the way. Inside the accelerator, two beams of particles travel at close to the speed of light with very high energies before colliding with one another. The beams travel in opposite directions in separate beam pipes – two tubes kept at ultrahigh vacuum. They are guided around the accelerator ring by a strong magnetic field, achieved using superconducting electromagnets. These are built from coils of special electric cable that operate in a superconducting state, efficiently conducting electricity without resistance or loss of energy. This requires chilling the magnets to about 271 °C, a temperature colder than outer space. For this reason, much of the accelerator is connected to a distribution sys-
tem of liquid helium, which cools the magnets, as well as to other supply services. Thousands of magnets of different varieties and sizes are used to direct the beams around the accelerator. These include 1,232 dipole magnets of 15 m length which are used to bend the beams, and 392 quadrupole magnets, each 5-7 m long, to focus the beams. Just prior to collision, another type of magnet is used to “squeeze” the particles closer together, to increase the chances of collisions. The particles are so tiny that the task of making them collide is akin to firing needles from two positions 10 km apart with such precision that they meet halfway! All the controls for the accelerator, its services and technical infrastructure are housed under one roof at the CERN Control Centre. From here, the beams inside the LHC are made to collide at four locations around the accelerator ring, corresponding to the positions of the particle detectors. (Taken from http://press.web.cern.ch/public/en/LHC/HowLHC-en. html)
EXCERCISES 1
True or false?
3 Match questions and answers.
a. The LHC is a particle decelerator.
T
F
b. The LHC i can easily fit into a living-room.
T
F
c. It is really hot inside the LHC.
T
F
d. Inside the LHC the particles travel close to the speed of light.
T
QUESTIONS
ANSWERS
A
What kinds of magnets are used in the LHC?
1
At a temperature of 271 °C, which is colder than outer space.
F
B
2
a. The LHC is the world’s smallest particle accelerator. b. Inside the LHC several beams of particles travel at close to the speed of light.
At what temperature must the magnets be kept at to work properly?
The beams of particles are guided around by a strong magnetic field that is created using superconducting electromagnets.
C
3 How do scientists manage to control the path of the two beams of particles that travel inside the LHC?
Thousands of magnets of different varieties and sizes, including 1,232 dipole magnets of 15 m length and 392 quadrupole magnets, each 5-7 m long.
2 Find the mistake and correct.
c. The accelerator is connected to a distribution system of liquid helium, which heats the magnets. d. The LHC is the oldest part of CERN’s accelerator complex. e. The beams travel in the same direction in separate beam pipes. f. Making the particles collide is quite a simple job.
A .........
B .........
C .........
375 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
H;B7J?L?JÀ;GK7DJ?10 La fisica quantistica
How the LHC works
H;B7J?L?JÀ;GK7DJ?11 La materia
Enrico Fermi As a rule, scientists display their talents either as theorists or as experimentalist, but not both. Einstein, Maxwell, and Gibbs, for example, were great as theorists but not creative as experimentalists, while Faraday and Rutherford, great as experimentalists, were limited as theorists. Only Newton, displayed great talent both as an experimentalist, and as a theorist (and also as a mathematician). Enrico Fermi is another exception to the rule that physics is a bipartisan community. Fermi was, as his biographer and colleague Emilio Segre remarks, «from the first a complete physicist for whom theory and experiment possessed equal weight». He began as a theorist in 1926 by showing how to count the quantum states of atoms according to Pauli’s exclusion principle. In the 1930s, he built a complete theory of β-decay, beginning with another Pauli idea, that β-particles always appear in company with tiny particles that carry no electrical charge and almost no mass. This work was a pioneering effort in what is now known as quantum field theory. Fermi could have continued in this direction and become a dedicated theorist. Instead, he chose
to become an experimentalist armed with the technique of neutron bombardment. These efforts were also pioneering, and they led him finally to one of the landmark achievements of modern experimental physics: control of a nuclear chain reaction. At the age of twenty-five, he had, “practically attained the zenith of a university career in Italy”. Corbino expected Fermi to bring modern physics to Italy. As Segre remarks, «a new generation had to take over, and Fermi was to be its leader». Fermi’s first step to make himself and his subject known was to give popular lectures and write textbooks. The writing was done during summer vacations in his favourite mountain country, the Dolomites of northern Italy. There, according to Segre, he sometimes worked «lying on his stomach in a mountain meadow, armed with an adequate supply of pencils and bound blank notebooks, [writing] page after page, without a book for consultation, without an erasure or a word crossed out». (Taken from Da W.H. Cropper, Great Physicists, OUP, NY, 2001, pp. 344-348)
EXCERCISES 1
True or false?
3 Match questions and answers.
a. Fermi wrote his books lying on a beach.
T
F
b. Fermi’s work was important because it was the control of a nuclear chain reaction possible.
T
F
c. Fermi never worked in an Italian University.
T
F
d. Fermi was a pure theorist.
T
F
2 Find and correct mistakes.
QUESTIONS A
What was Segre’s opinion of Fermi?
1
He wrote them during summer vacations in the Dolomites, without a book for consultation, writing on blank notebooks, using pencils.
B
How did Fermi demonstrate that he was a great theorist?
2
With his theory of β-decay, Fermi became one of the pioneers of quantum theory.
C
Where did Fermi write his textbooks?
3
He thought he was one of the rare physicists whom theory and experiment possessed equal weight.
a. Einstein, Maxwell, and Gibbs were great as experimentalists. b. Emilio Segre was a writer. c. In 1926, Fermi showed how to count the quantum states of atoms according to Pauli’s inclusion principle. d. After working as a theorist Fermi dedicated his work to the technique of electron bombardment.
ANSWERS
A .........
B .........
e. Fermi made his subject known giving popular lectures and writing articles. f. Fermi wrote his books in the Dolomites using a typewriter.
376 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
C .........
More than just a novelty, a very rare phenomenon found with the Hubble Space Telescope can offer insight into dark matter, dark energy, the nature of distant galaxies, and even the curvature of the Universe. A double Einstein ring has been found by an international team of astronomers led by Raphael Gavazzi and Tommaso Treu of the University of California, Santa Barbara. The phenomenon, called gravitational lensing, occurs when a massive galaxy in the foreground bends the light rays from a distant galaxy behind it, in much the same way as a magnifying glass would. When both galaxies are exactly lined up, the light forms a circle, called an “Einstein ring”, around the foreground galaxy. If another more distant galaxy lies precisely on the same sightline, a second, larger ring will appear. The odds of seeing such a special alignment are so small that Tommaso Treu said that they had “hit the jackpot” with this discovery. “Such stunning cosmic coincidences reveal so much about nature. Dark matter is not hidden to lensing.”
The massive foreground galaxy is almost perfectly aligned in the sky with two background galaxies at different distances. The foreground galaxy is 3 billion light-years away. The inner ring and outer ring are comprised of multiple images of two galaxies at a distance of 6 billion and approximately 11 billion light-years. The distribution of dark matter in the foreground galaxy that is warping space to create the gravitational lens can be precisely mapped. In addition, the geometry of the two Einstein rings allowed the team to measure the mass of the middle galaxy precisely at a value of 1 billion solar masses. The team reports that this is the first measurement of the mass of a dwarf galaxy at cosmological distances. A sample of 50 suitable double Einstein rings would be sufficient to measure the dark matter content of the Universe and the equation of state of dark energy to a precision of 10 percent. (Taken from http://www.sciencedaily.com/releases/2008/01/ 080110102319.htm)
EXCERCISES 1
True or false?
3 Match questions and answers.
a. A double Einstein ring is quite a common observable phenomenon.
T
QUESTIONS
F
b. The distribution of dark matter that is warping space and creates gravitational T lensing can be precisely mapped.
F
c. To observe a double Einstein Ring three galaxies must be almost perfectly aligned.
T
F
d. The measurement of the mass of the dwarf galaxy was the first to be made at cosmological distances.
T
F
ANSWERS
A
What is gravitational lensing?
1
Observing two Einstein rings it is possible to measure the mass of the middle galaxy.
B
What can be measured through the geometry of two Einstein rings?
2
A sample of 50 suitable observations would be sufficient to measure the dark matter content of the Universe to a precision of 10 percent.
C
3 How many double Einstein rings observations are required to measure the dark matter content of the Universe?
2 Find and correct mistakes.
a. A team of Native American astronomers observed the double Einstein Ring. b. Gravitational lensing occurs when a massive galaxy in the foreground bends the light rays from a distant galaxy in front of it. c. This was the first measurement of the mass of a dwarf galaxy at planetary distances. d. Dark matter cannot be observed through gravitational lensing phenomenon.
A .........
B .........
It is a phenomenon that can be observed when a massive galaxy in the foreground bends the light rays from a galaxy behind it.
C .........
e. The inner ring and outer ring of this double Einstein ring are comprised of a single image of the two galaxies .
377 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
H;B7J?L?JÀ;GK7DJ?12 L’Universo
Hubble finds double Einstein ring
Unità di misura che non fanno parte del Sistema Internazionale Grandezza
Nome dell’unità
Simbolo
Equivalenza nel SI
lunghezza
unità astronomica
UA
1 UA 1,50 1011 m
parsec
pc
1 pc 3,09 1016 m
anno-luce
a.l.
1 a.l. 9,46 1015 m
angstrom
Å
1 Å 1010 m
giorno
d
1 d 8,64 104 s
anno
a
1 a 3,16 107 s
volume
litro
l, L
1 l 103 m3
angolo piano
grado sessagesimale
°
1 ° /180 rad
velocità
kilometro all’ora
km/h
1 km/h 1/3,6 m/s
energia
caloria
cal
1 cal 4,19 J
kilowattora
kWh
1 kWh 3,60 106 J
elettronvolt
eV
1 eV 1,60 1019 J
potenza
cavallo vapore
CV
1 CV 7,35 102 W
massa
unità di massa atomica
u
1 u 1,66 1027 kg
pressione
bar
bar
1 bar 105 Pa
millimetro di mercurio, torr
mmHg, torr
1 mmHg 1,33 102 Pa
atmosfera
atm
1 atm 1,01 105 Pa
grado Celsius
°C
1 °C 1 K
intervallo di tempo
temperatura
378 Stefania Mandolini LE PAROLE DELLA FISICA - Vol.3 © Zanichelli 2012 con Physics in English
Costanti fondamentali Nome della costante
Simbolo
Valore
costante di gravitazione universale
G
6,67 1011
temperatura standard (0 °C)
T0
273,15 K
costante dei gas perfetti
R
8,315 J/(mol K)
costante di Boltzmann
kB
1,38 1023 J/K
numero di Avogadro
NA
6,02 1023 (mol)1
velocità della luce nel vuoto
c
2,9979 108 m/s
costante dielettrica del vuoto
ε0
8,854 1012 F/m
permeabilità magnetica del vuoto
0
4 107 N/A2
carica elementare
e
1,60 1019 C
massa dell’elettrone
me
9,11 1031 kg
massa del protone
mp
1,673 1027 kg
massa del neutrone
mn
1,675 1027 kg
costante di Planck
h
6,63 1034 J s
raggio di Bohr
a0
5,292 1011 m
magnetone di Bohr
B
9,274 1024 A m2
Proprietà fisiche dell’aria secca (273 K, 1,01 105 Pa)
N ⋅ m2 kg2
Proprietà fisiche dell’acqua (293 K)
Grandezza
Valore
Grandezza
Valore
velocità del suono
3,32 102 m/s
densità
0,998 103 kg/m3
calore specifico (a pressione costante)
1,00 103 J/(kg K)
velocità del suono
1,48 103 m/s
densità
1,29 kg/m3
calore specifico (a pressione costante)
4,18 103
calore di fusione (273 K)
3,34 105