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Italian Pages 309 Year 1966
S. TOMMASO D'AQUINO
LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA
xv LA CARITÀ {li-Il, qq. 23 - 33)
CASA EDITRICE ADRIANO SALANI
Nihil obstat
Fr. Ludovicus Merlioi O. P. Doctor S. Theologiae Fr. Albertus Boccanegra O. P. Lector et Doctor Philosophiae
Imprimi potest Fr. Jnnocentius > (q. 66, a. 2). Egli stabiJisce così questo principio: il possesso dei beni può essere privato, cd è bene che lo sia per un complesso di circostanze~ ma l'uso deve rimanere comune. Per questa singolare posizione l'Aquinate è stato persino accusato di comunismo. Di qui la precisazione di A. Vikopal : «Accusare S. Tommaso di comunis1no e di individualismo, significa non avere capito il suo pensiero. Per lui sono concezioni inaccettabili della proprietà, tanto la comunistica quanto rindividualistica, perchè l'uomo non è solo un individuo isolato, nè solo ens socialr?, ma conte1nporaneamente è individuo ed ens sociale e quindi deve rispettare tutti. e due gli aspetti della proprietà n (l..Jn. dottrina del gni. Infatti .. effuse nei P ~ r cuorl la carità lo Spirito " deJ Pad1·e e ùel Figlio, e che amiamo col a re e Col Flglio )) (DENZ.-S., 395).
LA 80!\C\fA TEOLOGICA, II-II, q. 24, aa. 2-3 3. L 1 Apostolo scrive: ((Ora il fine del precetto è la carità che proviene. da un cuore puro~ da una coscienza buona e da una fede sincera n. l\1a queste tre cose si riducono ad atti umani. Perciò la carità è causat.a in noi dagli atti p!'eccdenti, e non per infusione. I~ co:s:TnARro: L Apostolo insegna: «La carità di Dio si è riversata ne.i nostri ruori per Io Spirito Santo che ci fu dato n. 1 HISPO:\DO: Come sopra abhlarno detto, la carità è un'amicizia dcll'u"mo ron Din, tonnata snHn compartecipazione della beatitudine tlt~rna. Ora, questa con1partecipazione non è basata sui beni di nntura, ma sui doni df!Ila grazia. Perciò la carità supera le capacit~) deJla natura. E quello che sorpassa le capacità della natura non può essrre di ordine naturale, nc? essere acquisito con le facoltà naturali: poichè un effetto non puù superare la propria causa. Dunque la carità non può t.rovarsi in noi per natura, nè essere acquisita con le fol'ze naturali, ma è dovuta all'infusione dello Spirito Santo, che è l'nmore d.el Padre e del Figlio, e la cui partecipazione a noi offcrtrn è preei~amente Ja carità crenota, cmne sopra abbiamo detto. Sou;zrnxE DEI.LI~ DU'FJCOLT,\: 1. Dionigi qui parla dell'amore di Dio fondato sulla partecipazione dei beni naturali, e quindi presente rwr nat uro in tuttl gli esseri. La carità invece si basa su di una compa.rteeipazione di orùine soprannaturale. Perciò l'argomento non reµ:ge. 2. In SP str·sso Dio è s01nn1amente conoscibile, e tuttavia non è così conoscibile, JWr noi, per i lhniti della nostra conoscenza, che dipende rln.1le cose sensibili. Allo stesso moclo Dio è sommamente amabile in se stesso come. og~etto della beati.tudine, ma non è cosl an1abile ywr noi, per l' in cli ù8zione dcl nostro affetto verso i beni visibili. E quindi per am.ar-e così sommarnente Dio è necessario che nei nostri cuori venga infnsfl la carità. a. Quanrlo si dice che la caritù proviene in noi ((da un cuore ru r·o, da una cosei(•nza bnfllH't e da una fede sincera», l'affermazìonr; va riferita all'atto ddla cari! à, che viene suscitato appunto dalle tre cose indicate. Oppure si vuol dire che codesti atti prepanrno nn uomo a. ricevere P infusione della carità. - I .. o stesso si dica dPll'afferurnr.ione di S. Agostino, che u il timore introduce la carità)); e ò.i quella della Glo:;:so, che «la fede genera la speranza, e la spPr:rnza In carità)'. 1
ABTICOLO 3 Se ]a caJ'ità venga infusa secondo Je capacità naturali.
SEMBRA
elle .fa cnriiù. venga infusa secondo le capacità naturali.
Infatti: Nel Vangelo si lrggc, ehr: {( a ciascuno fu dato secondo la sua eapacitù n. Ora, uell 'uomo ln carità non può essere preceduta che da facoltà naturali ; poicbù, cmne abbiamo detto, non esiste nes1
:'\'el suo r.ommento al lesto 1iaolìuo l'Autore mette hene in evidenza, cl1e
la carìtù cliffusa nei uost:ri ruo1·i dallo Spirito non è soltanto la carità con la
IL SOGGETTO DELLA CARITÀ
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a. PRAETEREA, Apostolus dicit, I ad Tim. 1, 5: >. Dunque nella vita presente la carità può creRcere serupre di più. RISPo:xoo: All'aumeuto di una. forma si può fissare un li1nite per tre 1nofrvi. Primo, per la natura della forma medesima, la quale può avere una dnta rnisura, che una volta raggiunta non si può andare oltre, senza passare a un'nltra forma. Ciò è evidente nel caso del prJJlore, di coi uno pa.ssu i limiti con una alterazione conSEMBRA
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1.li rarità. PercùJ rl numero clPgli atti imperfetti influisce dispositivamente e sul
numero degli atti più (erventi e su.Ila liJro intensità, perchè tiene la volontà in esercizio. Tutto questo peri) non impeùisce che ci possano essere anime generose.
IL SOGGETTO DELLA CARITA
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AD SECUNDeM DICENDUM quod etiam in generatione virtutis acquisitae non quiliDet actus complet generationem virtutis: sed qui. libet operatur ad eam ut disponens, et ultimus, qui est perf ectior, agens in virtute omnium praecedentium, reducit eam in actum. Sicut etiam est in multis guttis cavantibus lapidem. AD TERTIVM DICENDUM quod in via Dei procedit aliquis non solurn dum actu caritas eius augetur, sed etiam dun1 disponitur ad augmentum. ARTICULUS 7 Utrum caritas augeatur in infinitum. , sent., d. 17, q. 2,
a.
4; 3, d. 29, a. 8, qc. 1, ad 2; De Virtut., q. 2, a. 10, acl .3 tn opp.
AD SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod caritas non augeatur in infinitum. Omnis enim motus est ad aliquem flnem et terminum, ut dicitur in 2 Metaphys. [c. 2, lect. 4]. Sed augmentum caritatis est quidam motus. Ergo tendit ad aliquem finem et terminum. Non ergo caritas in infinitum augetur. 2. PRAETEREA, nulla forma excedit capacitatem sui subiecti. Sed capacitas creaturae rationalis, quae est subiectum caritatis, est finita. Ergo caritas in infinitum augeri non potest. 3. PRAETEREA, omne finitum per continuum augmcntum potest pertingere ad quantitatem alterius finiti quantumcurnque 1naioris: nisi forte id quod accrescit per augmentum sernper sit minus et minus; sicut Philosophus dicit, in 3 Physic. [c. 6, lect. 10], quod si uni lineae addatur quod subtrahitur ab alia linea quae in infinitum dividitur, in infìnitum additione facta, nunquam pertingetur ad quandam determinatam quantitatein quae est composita ex duabus lineis, scilicet divisa et ea cui additur quod ex alia subtrahitur. Quod in proposito non contingit: non enim necesse est ut secundum caritatis augmentum sit minus quam prius; sed magis probabile est quod sit aequale aut maius. Cum ergo caritas patriae sit quidda1n finiturn, si caritas viao in infinitum augeri potest, sequitur quod caritas viae possit adaeqnare caritatem patriae: quod est inconveniens. Non ergo caritas viae in infinitum potest augeri. SED CONTRA EST quod Apostolus dicit, Ad Philipp. 3, f2. ((Non quod iam acceperiin, aut iam perfectus sim: sequor autem si quo modo comprehendam )). Ubi dicit Glossa [Lornb. ex Prospero]: (( Nemo fidelium, etsi multum profecerit, dicat, Sufficit mihi. Qui enim hoc dicit, exit de via ante finem n. Ergo semper in via caritas potest magis ac magis augeri. RESPONDEO DICENDUM quod terminus augmento alicuius f ormae potest praefigi tripliciter. Uno modo, ex ratione ipsius formae, quae habet terminat arn mensuram, ad qua.m cum perventum fuer~t, non potest ultra procedi in form.a, sed si ultra processum fuer1~, pervenietur ad aliam formam: sicut patet in pallore, cuius term1nos per continuam alterationem aliquis transit, vel ad albe~pact di ele\. 1\1a il fuoco, finchè dura, tende sempre a salire. Quindi la carità, finchè durR., può sa.lire; ma non può discendere, ossia diminuire. 1 RISPONDO: La grandezza che la carità possiede in rapporto al proprio oggetto non può nè diminuire nè aumentare, come abbiamo già visto. Ma siccon1e aumenta nella grandezza che possiede in rapporto al soggetto, qui dobbiamo esaminare se da questo lato essa possa dirninuire. Orn, se diminuisce, bisog-na che diminuisca o per un atto, o per la sola cessazione dell'atto. Ebbene, per la cessazione dell'atto diminuiscono, e talora periscono, le virtù acquisite, come sopra abbiarno detto: infatti a proposito dell'amicizia il Filosofo afferma, che ({molte amicizie ha già sciolto il silenzio», cioè il non ricordare e il non tratta.re con l'amico. E questo avviene per il fatto che la conservazione di una cosa dipende dalla causa di essa. Ora, causa della virtù acquisita è l'atto umano. Ecco perrhè col cessare de.gli atti umani, \a virtù acquisita decresce e quindi si corrompe. 1\-la questo non può avere luogo nella carità: perchè la carità non è causata dagli atti umani, bensì da Dio soltanto, come abbiamo visto sopra. Perciò anche col cessare dell'atto essa non diminuisce e non si corrompe, se in questa cessazione non c'è peccato. Rimane dunque stabiJito che la diminuzione della carità può essere causata, o da Dio, o dal peccato. Ma Dio non produce in no:l una privazione, se non corne castigo, sottraendo la grazia in pena del peccato. Dunque a lui non si addice diminuire la carità altro che per punizione. ~Ia la puni7.ione è dovuta al peccato. Dunque, se la carità diminuisce, causa di tale diminuzione non può essere che il peccato: causa, cioè, o efficiente o meritoria. Ebbene, il peccato mortale in nessuno dei due modi diminuisce la carità, ma la distrugge totalmente: come causa efficiente, perchè ogni peccato rnortale, lo vedremo in seguito, è incompatibile con la carità; come causa meritoria, perchè chi peccando mortalmente agisce contro 1a carità, merita da Dio la sottrazione di essa. Parimente non può diminuire la carità neppure il peccato veniale: nè come causa efficiente, nè come causa rneritoria. Non come causa efficiente, perché esso non tocca 1R carità. Infatti quest'ultima ha per oggetto il fine: invece il peccato veniale è un disordine relativo ai 1nezzi. Ora, non di.minu isce lamore del fine, per il fatto che si com1nette un disordine relativo ai mezzi: capita, p. es., che alcuni infer1ni, pur amando 1nolto la guarigione, sono disordinati nell'osservare la dieta prescritt.a; così pure in campo speculativo le false opinioni ammesse nelle deduzioni dai principii non diminuiscono la certezza dei principii. - Inoltre la diminuzione della carità il peccato veniale non può rneritarla. Infatti quando uno manca in cose piccole, non merita di soffrire menomazioni in cose grandi. Poichè Dio non si allontana dall'uomo più di quanto questi si allontana da lui. Perciò chi commette un disordine in rapporto ai mezzi non rnerita una nienomazione nella carità, con la quale viene ordinato all'ultimo fine. 1 E chiarlssimo in questo caso il valore puramente dialettico dell'argomento tn contrarto. non solo per noi moderni, ma anche per s. Tommaso, il quale riteneva valida la teor·ia del quattro elementi. Infattl un esempio metaforico come
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pades ignis atque ftammarum ». Sed ignis, quandiu manet, semper ascendit. Ergo caritas, quandiu manet, ascendere potest; sed descendere, idest diminui, non potest. RESPONDEO DICENDUM quod quantitas caritatis quam habet in comparatione ad obiectum proprium, minui non potest, sicut nec augeri, ut supra [a. 4, arg. 1; a. 5] dictum est. Sed cum augeatur secundum quantitatem quam habet per comparationem ad subiectum, hic oportet considerare utrum ex hac parte diminui possit. Si autem diminuatur, oportet quod vel diminuatur per aliquern actum; vel per solam cessationem ab actu. Per cessationem quidem ab actu diminuuntur virtutes ex actibus acquisitae, et quandoque etiam corrumpuntur, ut supra [I-II, q. 53, a. 3] dictum est: unde de amicitia Philosophus dicit, in 8 Ethic. [c. 5, lect. 5), quod u multas amicitias inappellatio solvit ))' idest non appellare amicum vel non colloqui ei. Sed hoc ideo est quia conservatio uniuscuiusque rei dependet ex sua causa; causa autem virtutis acquisitae est actus humanus ; unde, cessantibus humanis actibus, virtus acquisita diminuitur et tandem totaliter corrumpitur. Sed hoc in caritate locum non habet: quia caritas non causatur ab humanis actibus, sed solum a Deo, ut supra [a. 2] dictum est. Unde relinquitur quod etiam cessante actu, propter hoc nec diminuitur nec corrumpitur, si desit peccatum in ipsa cessatione. Relinquitur ergo quod diminutio caritatis non possit causari nisi vel a Deo, vel ab aliquo peccato. A Deo quidem non causatur aliquis def ectus in no bis nisi per modum poenae, secundum quod subtrahit gratiam in poenam peccati. Unde ne.e ei competit di1ninuere caritatem nisi per modum poenae. Poena autem debetur peccato. Unde relinquitur quod, si caritas diminuatur, quod causa diminutionis eius sit peccatum, vel effective vel meritorie. N&utro autern modo peccatum mortale diminuit caritatem, sed totaliter corrumpit ipsam: et effective, quia omne peccatum mortale contrariatur caritati, ut infra [a. 12] dicetur; et etiam rneritorie, quia qui peccando mortaliter aliquid contra caritatem agit, dignum est ut Deus ei subtrahat caritatem. Similiter etiam nec per peccatum veniale caritas diminui potest: neque effective, neque meritorie. Effective quidem non, quia ad ipsam caritatem non attingit. Caritas enim est circa finem ultimum: veniale autem peccatum est quaedam inordinatio circa ea quae sunt ad finem. Non autem diminuitur amor finis ex hoc quod aliquis inordinationem aliquam committit circa ea quae sunt ad ftnem: sicut aliquando contingit quod aliqui infirmi, multum amantes sanitatem, inordinate tamen se habent circa diaetae observationem; sicut etiam et in speculativis falsae opiniones circa ea quae deducuntur ex principiis, non diminuunt certitudinem principiorum. - Similiter etiam veniale peccatum non meretur diminutionem caritatis. Cum enim aliquis delinquit in minori, non meretur detrimentum pati in maiori. Deus enim non plus se avertit ab homine quam homo se avertit ab ipso. Unde qui in?-rdinate se habet circa ea quae sunt ad finem, non meretur detr1mentum patì in caritate, per quam ordinatur ad ultimum finem. questo non pnò costit.uire la base per una ana.Iogia di comportamento tra cose tanto diverse.
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LA SOJVIMA TEOLOGICA, II-II, q. 24, aa. 10-11
Concludendo, la carìtà propriamente non può diminuire in nessun modo. Si può chiamare però in senso improprio una diminuzione della carità la predisposizione alla perdita di essa: predisposizione che si cmnpie coi peccati veniali, o con la cessazione degli atti di carità. 1 SoLCZIONI. Ergo neque caritas fuit. Si ergo caritas semel habeatur, nunquam arnittitur. 3. PRAETEREA, Gregorius dicit, in homilia Pentecostes [homil. 30 in ElJang.], quod u arnor Dei magna operatur, si est: si desinit operari, caritas non est». Sed nullus magna operando amittit caritatem. Ergo, si caritas insit, amitti non potest. 4. PRAETEREA, liberum arbitrium non inclinatur ad peccatum nisi per aUquod motivum ad peccandum. Sed caritas excludit omnia motiva ad peccandum: et amorem sui, et cupiditatem, et quidquid aliud huiusmodi est. Ergo caritas amitti non potest. SEn CONTRA EST quod dicitur Apoc. 2, 4: e< Habeo adversum te pauca, quod caritatem primam reliquisti )), RESPONDEO DICENDUM quod per caritatem Spiritus Sanctus in nobis habitat, ut ex supradictis [a. 2; q. 23, a. 2] patet. Tripliciter ergo possumus considerare caritatem. Uno modo, ex parte Spiritus Sancti moventis animam ad diligendum Deum. Et ex hac parte caritas impeccabilitatem habet ex virtute Spiritus Sancti, qui infallibiliter operatur quodcumque voluerit. Unde impossibile est haec duo simul esse vera, quod Spiritus Sanctus aliquem velit movere ad actum caritatis, et quod ipse caritatern amittat peccando: nam donum perseverantiae cornputatur inter ((beneficia Dei quibus certissime liberantur quicumque liberantur H, ut Augustinus dicit, in libro 2 De Praed. San.et. [c. 14]. Alio modo potest considerari caritas secundum propriam rationem. Et sic caritas non potest nisi illud quod pertinet ad caritatis rationem. Unde caritas nullo modo potest peccare: sicut nec calor potest infrigid are ; et sicut etiam iniustitia non potest bonum fa.cere, ut Augustinus dicit, in libro 2 De Serm. Dom. in Monte [c. 24]. Tertio modo potest considerari caritas ex parte subiecti, quod est vertibile secundu1n arbitrii libertatem. Potest autem attendi comparatio caritatis ad hoc subiectum et secundum universalem rationem qua comparatur forma ad materiam; et secundum specialem rationem qua comparatur habitus ad potentiam. Est autem de ratione formae quod sit in subiect.o amissibiliter quando non replet totam potentialitatern materiae: sicut patet in formis generabilium et corruptibilium. Quia materia horum sic recipit unam formam quod remanet in ea potentia ad aliam formam, quasi non repleta tota materiae potentialitate per unam formam; et ideo una forma potest amitti per acceptionem alterius. Sed forma corporis caelestis, quia replet totam materiae potentialitatem, ita quod non remanet in ea potentia ad aliam formam, inamissibiliter inest. - Sic igitur caritas patriae, quia replet totam potentialitatem rationalis mentis, inquantum scilicet omnis actualis chi crede e pecca non fu mal realmente giustificato .... sia scomunicato" (DENZ.~S., 1573; crr. 1537). - Nel suo Commento giovanile alle Sentenze l'Antore aveva scritto : u L'opintone di chi afferma che la carità non si può perdere, per la sua intrinseca natura. è simile all'opinione di Socrate 11 quale riteneva che chi possiede la sapienza non può peccare, per la nobiltà e certezza di essa, come
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LA SOI'vl:VIA TEOLOGICA, II-Il, q. 24, aa. 11-12
la potenzialità dell'anima razionale, portandola verso Dio in ogni suo atto. Al contrario la carità dei viatori non attua così la potenzialità del soggetto: poichè non se1npre si porta attualmente verso Dio. E quindi, quando non tende attualmente verso Dio, può capitare un atto che fa ·µcrùere la carità. È proprio invece di un abito spingere la potenza ad agire, in quanto l'abito ìa sen1brare buono ciò che gli si addice, e cattivo t:he è I'essenza stessa della bontà. Ecco perchè la carità della patria non si può perdere. Invece la carità dei -viatori, nel cui stat~ non si vede l'essenza di Dio, che è l'essenza stessa della bontà~ può essere perduta. SOLUZIONE mn. . LE 01FJ.. Ora, l'onore che si deve a Dio, ossia l'onore di latria, è diverso dall'onore dovuto a una creatura, che è l'onore di dulia. Dunque rarnorc de] !HOssìmo è diverso dall'amore di Dio. 3. ((La speranzn genera la rarità n, come dice la Glossa. Ora, la speranza è cosi lirnitata a Dio, che la Scrittura rimprovera quelli i quali sperano nell'uo1no: (( l\ilaledetto l'uon10 che ha fiducia nelJ'uomo )). Dunque la carità è così eschisiva per Dio, da non estendersi al prossirno. 2
t 'Non si r.apisC'c pcrchè tutlL i tenlogi nel commentare questo artirolo insistano ;n lunglle dii'ìqulsizioni sull'oggetto formale della carità. L'Autore ne ha già parlato nella questione 23, a. 4, trattando della specUkazione di questa vir·tù 1vedl sopra p. 36). 3 Dalla conclusione ìnar,cetta.bile delle dlfficoltà si comprende bene che lo scopo principale dell'Autore in questo p1·imo articolo C'onsiste non tanto nel di-
QUAESTIO 25
De obiecto caritatis in duodectm arUcutos divisa.
DIUNm: considerandurn est de obiecto caritatis. Circa quod duo
consideranda occurrunt: primo quidem de his quae sunt ex caritate diligenda; secundo, de ordine diligendorurn [ q. 26]. Circa primum quaeruntur duodechn. Primo: utrum solus Deus sit ex caritate diligendus, vel etiam proxirnus. Secundo: utrum caritas sit ex caritate di1igenda. Tertio: utrum creaturae irrationales sint ex caritate diligendae. Quarto: utrum aliquis possit ex caritate seipsum diJigere. Quinto: utrum corpus proprium. Sexto: utrum peccatores sint ex caritate diligendi. Septimo: utrum peccatores seipsos diligant. Octavo: uh·um inimici sint ex caritate diligendi. Nono: utrum sint eis signa amicitiae axibenda. Decimo: utrum angeli sint ex caritate diligendi. Undecimo: utrum daemones. Duodecimo: de enumeratione diligendorum ex caritate. ARTICULUS 1 Utrum dileetio caritatis sistat in Deo, an se extendat etiam ad proximum. De Vtrtut., q. 2, aa. 4, 8; Ad Rom., c. 13, Iect. 2.
Videtur quod dilectio caritatis sistat in Deo, et non se extendat ad proximum. Sicut enim Deo debe1nus amorem, ita et timorem: secundum illud Deut. 10, 12: « Et nunc, Israel, quid Dominus Deus petit nisi ut timeas et diligas eum? n, Sed alius est timor quo timetur homo, qui dicitur timor humanus; et alius timor quo timetur Deus, qui est vel servilis vel filialis; ut ex supradictis [ q. 19, a. 2] patet. Ergo etiam alius est amor caritatis, quo diligitur Deus; et alius est amor quo diIigitur proximus. 2. PRAETEREA, Philosophus dicit, in 8 Ethic. [ q. 8, lect. 8) quod , ut patet per Philosophum 8 Ethic. [c. 5, lect. 5]. Creaturae autem irrationales non possunt communicationem habere in vita humana, quae est secundum rationem. Unde nulla amicitia potest haberi ad creaturas irrationales, nisi forte secundurn metaphoram. - Tertia ratio est propria caritati: quia caritas fundatur super communicatione beatitudinis aeternae, cuius creatura irra.tionalis capax non est. Unde amicitia caritatis non potest haberi ad creaturam irrationalem. Possunt tarnen ex caritate diligi crea tu rae irrationales sicut bona quae aliis volumus: inquantum scilicet ex caritate volumus eas conservari ad honorem Dei et utilitatem hominum. Et sic etiam ex caritate Deus eas diligit. Unde patet responsio ad primum. An SECU~DUM DICENDUM quod similitudo vestigii non causat capacitatem vitae aeternae, sicut similitudo imaginis. Unde non est similis ratio. AD TERTIUM DICENDUM quod fides se potest extendere ad omnia quae sunt quocumque modo vera. Sed amicitia caritatis se extendit ad illa sola quae nata sunt habere bonum vitae aeternae. Unde non est simile. ARTICULUS 4 Utrum homo debeat seipsum ex caritate diligere.
s
Sent., d. 28,
a. 6; De Virtut., q. 2, a. 7.
An QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod homo non diligat seipsum ex caritate. Dicit enim Gregorius, in quadam homilia [homil. 17 in Evang. ], quod « caritas minus quam inter duos haberi non potest )), Ergo ad seipsum nullus habet caritatem. 2. PRAETE.REA, amicitia de sui ratione importat reamationem et aequalitatem, ut patet in 8 Ethic. [cc. 2, 7; lectt. 2, 7]: quae quidem non possunt esse homini ad seipsum. Sed caritas amicitia quaedam est, ut dictum est [ q. 23, a. 1]. Ergo ad seipsum aliquis caritatem habere non potest. 3. PRAETEREA, illud quod ad caritatem pertinet non potest esse vituperabile: quia u caritas non agit perperam ll, ut dicitur I ad Cor. 13, 4. Sed amare seipsum est vituperabile: dicitur enim 2 ad Tim. 3, I, 2: cc In novissimis diebus instabunt tempora periculosa, et erunt homines arnantes seipsos ». Ergo homo non potest seipsum ex caritate diligere. SED CONTRA EST quod dicitur L1rnit. 19, 18: « Diliges amicum tuum sicut teipsum )), Sed amicum ex caritate diligimus. Ergo et nosipsos ex caritate debemus diligere. RESPONDEO DIC&."'lDUM quod, cum caritas sit amicitia quaedam, sicut dictum est [ q. 23, a. 1], dupliciter possumus de caritate loqui. Uno modo, sub communi ratione amicitiae. Et secundum hoc dicendum est quod amicitia proprie non habetur ad seipsum, sed a.liquid maius amicitia: quia amicitia unionem quandam importDatti ricorda espressamente la duplice finalità della loro creazione («l'onore di io• e «vantaggio del prossimo") e l'obbligo di curarne la conservazione.
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LA so:Ml\IA TEOLOGICA, II-II, q. 25, aa. 4-5
Dionigi insegna che l' a1nore è « una forza unitiva >> ; mentre con se stesso uno ha. l'unità, che è più forte dell'unione. Perciò, come l'unità è principio dell'unione, così l'amore col quale uno ama se stesso è forrna e radice dell'amicizia: abbiamo infatti amicizia per gli altri 1 in quanto ci comportiamo con loro come verso noi stessi. Aristotele perciò insegna, che ((i sentimenti di amicizia verso gli altri derivano dagli affetti verso se stessi n. Del resto anche [in L'ampo ::;peculativo J ùei prineipii nou si ha scienza, 1na qualche cosa di più) cioè intelligenza. Secondo, possiamo parlare deHa carHà sotto l'aspetto della sua propria natura, cioè in quanto a1nicizia dell'uomo con Dio principallnente, e quindi con gli esseri che a lui appartengono. E tra questi c'è anche l'uorno stesso che ama. Ecco quindi che tra le cose che uno an1a con amore di carità, perchè attinenti a Dio, c'è anche se stesso. S0Lt:z10NE DELLE mFFH.:.01:rÀ: 1. S. G1·egorio parla delle carità sotto l'aspetto generico di amicizia. 2. Sotto tale aspetto si procede anche nella seconda difficoltà. 3. Gli amatori di se stessi sono ripresi in quanto si amano secondo la loro natura sensibile, che essi contentano. E questo non è amare se stessi realmente, secondo la natura razionale, volendo a se stessi i beni che forn1ano la perfezione dell'anima. Ebbene, alla carità appartiene amare se stessi principaln1ente in questo modo. ARTICOLO 5 Se l'uomo debba a.mare con amore di carità il proprio corpo.
SEIVIBRA che l'uorno non debba an1are con amore di carità il proprio corpo. Infatti: 1. Noi certo non amiamo uno col quale non vogliamo convivere. Ora, gli uomini che hanno la carità aborriscono di convivere col corpo, secondo l'espressione di S. Paolo: «Chi mi libererà da questo corpo di morte·? n, u avendo egli il desiderio di andarsene e di essere con Cristo n. Dunque i1 nostro corpo non si deve amare con carità. 2. L'amicizia della. carità è fondata sulla partecipazione al godimento di Dio. 1\fa il corpo non può essere partecipe di questo godirnento. Pez·ciò il corpo non deve essere amato con amore di carità. 3. La carità, essendo un'an1icizia, si può avere per quelli che sono capaci di riamare. Ora, il nostro corpo non è capace di riamarci nella carità. Dunque non dev'essere amato con amore di carità. IN coSTRARIO : S. Agostino stabilisce quattro cose da amarsi con la caritàr e una di queste è il proprio corpo. 1 RISPONDO: n nostro corpo si può considerare sotto due aspetti: primo, nella sua natura; secondo, nella corruzione della colpa e della punizione. Ebbene, la natura del nostro corpo è stata creata non da un cattivo principio, corne fantasticano i Manichei, ma da Dio. E quindi possia1no usarne a servizio di Dio, come dice S. Paolo:
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Vedi lufra a. 12, ln cul l'Autore offre una serie ben ordinata degli oggetti
L'OGGETTO DELLA CARITÀ
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tat, dicit enim Dionysius [De Div. Nom., c. 4, lectt. 9, 12] quod amor est . Ora, odiare il male di uno e amarne il bene hanno Io stesso movente. Perciò quest odio perfetto appartiene alla carità. 2. Come dice il Filosofo, non si devono sottrarre i benefici delJ1amirizia agli amici che peccano, finchè c'è la speranza della loro correzione: nnii bisogna soccorrerli più nel ricuperare la virtù, che nel ricuperare il danaro eventualmente perduto. quanto l'onestà è più affine all'amicizia del danaro. Se però essi cadono nella malvagità estreina e diventa.no incorreggibili, allora si deve loro rifiutare la familiarità. Ecco perchè le leggi divine ed umane con1andano di uccidere questi peccatori, da cui si può presumere più il danno per gli altri che la loro emenda. - Tuttavia il giudice non compie questo per odio verso di loro, ma per l'amore di carità, che fa preferire il bene pubblico alla vita di una persona singola. ·-- Inoltre la morte inflitta dal giudice giova anche al peccatore: se egli si converte serve all'espiazione della colpa; e se non si converte~ alla cessazione di essa, in quanto cosl gli viene tolta la possibilità di fare altri peccati. 3. Le imprecazioni del genere, che si riscontrano nella sacra Scrittura, si possono spiegare in tre modi. Primo, come predizioni, e non come aspirazioni. In questo senso, p. es. : «Sian travolti i (I
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i Il testo cui si atceona tl!cc testualmente: «Se uno viene a mc e non odit1 suo padre e sua ma(Jre e la rno~He e i figli e le sorelle e perfino 1a sua vita, non può essere mio discepolo"· E dov&roso però notare con gli esegeti moderni
L'OGGETTO DELLA CARITÀ
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cundum illud Psalm. [9, 18]: u Convertantur peccatores in infernum )). Ergo peccatores non sunt ex caritate diligendi. 4. PRAETEREA, pl'opriurn amicorum est de eisdem gaudere et idem velie. Sed caritas non facit velle quod peccatores volunt, neque facit gaudere de hoc de quo peccatores gaudent; sed magis facit contrarium. Ergo peccatores non sunt ex caritate diligendi. 5. PRAETEREA, « proprium est amicorum simul convivere n, ut dicitur in 8 Ethìc. [c. 5, lect. 5]. Sed cum peccatoribus non est convivendu1n: secunduzn illud 2 ad Cor. 6, 17: u Recedite de 1nedio eorum u. Ergo peccatores non sunt ex caritate diligendi. SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in I De Doct. Christ. [c. 30], quod cum dicitur, « Diliges proximum tuum ))' n manifestum est omnem hominem proximum esse deputandum ». Sed peccatores non desinunt esse homines: quia peccatum non tollit naturam. Ergo peccatores sunt ex caritate diligendi. RESPOND.EO DICENDUM quod in peccatoribus duo possunt considerari: scilicet natura, et culpa. Secundurn naturam quidem, quam a Deo habent, capaces sunt beatitudinis, super cuius communicat.ione caritas fundatur, ut supra [a. 3; q. 23, aa. 1, 5] dictum est. Et ideo secundum naturam suam sunt ex caritate diligendi. Sed culpa eoru1n Deo contrariatur, et est beatitudinis impedimentum. Unde secundum culpam, qua Deo adversantur, sunt odiendi quicumque peccatores, etiam pater et mater et propinqui, ut habetur Luc. 14, 26. Debemus enim in peccatoribus odire quod peccatores sunt, et diligere quod homines sunt beatitudinis capaces. Et hoc est eos vere ex caritate diligere propter Deum. AD PRIMUM ERGO DlCENDUM quod iniquos Propheta odio habuit inquanturn iniqui sunt, habens odio iniquitatem ipsorum, quod est ipsorum malum. Et hoc est perfectum odium, de quo ipse dicit [Ps. 138, 22]: . Se si debba amare il prossimo più del proprio corpo; 6. Se i prossiini si debbano amare uno più di un altro; 7. Se si debba preferite il prossimo migliore, o il prossimo a noi più unito; 8. Se queJJo unito a noi coi vincoli del sangue, o quello unito per altri rapporti; R Se uno con la carità debba amare più il figlio rhe il padre; 10. Se debba amare più Ia madre che il padre; 11. Se debbR amare la rnoglie più del padre e della madre; 12. Se uno debba amare più il benefattore che il beneficato; 18. Se l'ordine della carità 1·imanga inalterato nella patria celeste. 1
ARTICOLO 1 Se esista un ordine nella carità. z
che. neHn carità non esista nessun ordine. Infatti: 1. La carità è una virtù. :\Ja nelle altre virtù non viene assegnato nessun ordine. Quindi non si deve assegnare neppure nella carità. 2. Come oggetto della fede è la verità prima, così oggetto della carità è la suprema bontà. Ora, nella fede non viene stabilito un dato ordine, rnn tutto è da credersi ugualmente. Dunque anche nella carità non si de\·e stabilire nessun ordine. 3. La carità risiede nf\.Ilrt volontà. Ma ordinare non spetta alla volontà, bensì alla l'ag-ione. Dunque non si deve attribuire nessun ordine alla carità. IN" COX'fRARIO: Sta sc1·itto: n Egli mi ha introdotto nel tinello; e ha ordinato in zrn:. Ja carità n. RISPo'.'\no: Come inse~na il Filosofo, il prima e il dopo si concepiscouo in relnziorH' a un principio. Ora, l'ordine implica una dispo· sizione di cosE: secondo un prima e un dopo. Perciò dove c'è un principio deve esserci lllJ ordinP.. Ma sopra abbiamo detto che l'amore SEMBRA
1 Xella c0mpibzione ì: E'\-ìdente la rttpcrHh~n1.a rial teslo clelle Sentenze: 3 Sent., d. 2erò dimostra di non conoscere. - Nel suo errore c'è però qualcosa di vero: è certo infatti che l'amore di con~mpiscenza è un inc:entivo iniziale del nostro aftetto: ma quando finalmente Dio ci appare come amico, lo amiamo per n suo va.1ore Intrinseco, per se stesso.
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LA
SO:\f~1A
TEOLOGICA, II-11, q. 26, aa. 3-4
gione questo deve verificarsi neU 'amicizia della carità, che si fonda sulla partecipazione ai doni della grazia. E quindi con la carità l'uomo è tenuto ad an1are Dio, bene universale di tutte le cose, più di se stesso; perchè in Dio la beatitudine si trova come nel principio universale e radicale di tutti gli esseri chiamati a parteciparne. i Sol.llZIONF~ DELLE DlFFICOLTA: 1. n Filosofo parla dei sentiinenti di amicizia verso altri, nei quali il bene cui l'amicizia si riferisce si trova secondo unn certa misura J)articolare: non già dei sentirnenti di amicizia verso un altro in cui il bene suddetto si trova corne bene universale del tutto. 2. La parte cert arnente arna il bene del tutto, perchè ad essa conviene: però non rama in modo da riferire il bene del tutto a se stessa, n1a piuttosto volgendo se stessa al bene del tutto. 3. Volere la fruizione di Dio è amare Dio con amore di concupiscenza. Ora, con l'amore di a1nicizia noi amiamo Dio più che con lamore di concupiscenza: perchè Dio in se stesso è un bene più grande di quanto noi ne possiamo partecipare godendo di lui. Perciò, assolutamente parlando, l'uomo con la carità ama Dio più di se stesso.
ARTICOLO 4 Se con la carità si debba amare se stessi più del prossimo. 2
che con la carità non si debba amare se stessi più del prossimo. Infatti: 1. L'oggetto priucipale della carità è Dio, come sopra abbiarno detto. ~Ia talora il nostro prossimo è più unito a Dio di noi stessi. Dunque in tal caso si deve anwre più il prossimo di noi stessi. 2. Xoi evitiarno con più attenzione il danno di colui che maggiormente amiamo. Ora, l'uomo è soBecitato dalla carità a sopportare dei danni per il prosshno; dice infatti la Scrittura: ((Chi non cura il proprio danno in pro dell'arnica, è giusto>>. Quindi l'uomo deve amare con la rarità viù gli altri che se stesso. 3. S. Paolo affenna che la carità e< non cerca i propri vantaggi n. Ora, è certo che noi amiamo di più l'essere di cui maggiormente cerchia1no il bene. Dunque non è vero che uno con la carità ama se stesso più del prossi1110. IN CONTRARIO: Sta scrit lo: cc Arnerai il prossimo tuo come te stesso n; dal che si din1ostra che l'amore dell'uomo verso se stesso è il rnodello dell'amor~ verso gli altri. Ma il modello è superiore al1a copia. Dunque l'umno deve amare con la carità più se stesso che il prossimo. SEMBRA
1 Per non t.rovare ingenue e ott imistid1e le conclusioni e le cons! aerazioni dell'Autore si devo ce net presenre il suo intento. Non si tratta di dimostrare che l ·uomo e pe1· costituzione un esse1·e socialmente altruista, così da esserlo poi all'atto pratico. Ma si tratta 1H analizzare la struttura metafisica del nostro esser-e, per vedere che in 1·c.a1tà. noi potr·emmo e ùovremrno sempre rivolgerci a Dio eon un amore più profonòo e. più intenso cli quello che portiamo a noi
st.As.c:ii
L'ORDINE DELLA CARITÀ
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quae fundatur super communicatione donorum gratiae. Et ideo ex caritate magis dcbet homo diligere Deum, qui est bonum commune omnium, quam seipsum: quia beatitudo est in Deo sicut in communi et fontali omnium principio qui beatitudinem participare possunt. AD PRIMCM ERGO DICENDUM quod Philosophus loquitur de amicabilibus quae sunt ad alterurn in quo bonum quod est obiectum amicitiae invenilur secundurn aliquem particularem modum: non auten1 de a1nicabiJibus quac suut ad alterun1 in quo bonum praedictum invenitur secundum rationem totius. AD SECUNDUM DICE:SDUM quod bonu Ill totius diligit quidem pars secundum quod est sibi conveniens: non autem ita quod bonum totius ad se referat, sed potius ita quod seipsam refert in bonum totius. An TERTIUM DICENDUM quod hoc quod aliquis velit frui Deo, pertinet ad amorem quo Deus amatur amore concupiscentiae. Magis autem amamus Deum amore amicitiae quam amore concupiscentiae: quia maius est in se bonum Dei qua1n participare possumus fruendo ipso. Et ideo simpliciter homo magis diligit Deum ex caritate quam seipsum. ARTICULUS 4 Utrum homo ex caritate magis debeat diligere seipsum quam proximum. Infra, q. M, a.
s, ad 2;
3 Sent.,
!t ad Ttm.,
d. 29, a. 5 ; De Vtrtut., q. 2, a. c. 3, lect. 1.
g;
An QUARTUM src PROCEDITUR. Videtur quod homo ex caritate non magis debeat diligere seipsum quam proximum. Principale enim obiectum caritatis est Deus, ut supra [a. 2] dictum est. Sed quandoque homo habet proximum magis Deo coniunctum quam sit ipse. Ergo debet aliquis magis talem diligere quam seipsum. 2. PRAETEREA, detrimentum illius quem magis diligimus, magis vitamus. Sed homo ex caritate sustinet detrimentum pro proximo: secundum illud Proverb. 12, 26: uoo:mn·H. Viiù Yicine a i sensi ; rnentre l 'ultin10 tern1ine della conoscenza sì ha in quell'essere che è più distante dalla scnsihilità. Perciò in base a questo si deve concludere che 1 amore, il qual è è un ai to de.Ile potenze appetitive, anche nello stato dei viatori, tende prirua. di tutto a Dio, e da lui si estende alle altre cose: e quindi 1a carità ama Dio immediatamente, e le altre cose mediante Dio. 1 JU\'ece nella conoscenza avviene il cont.1·ario: petchè conosciamo Dio attraverso le cose, cioè con1e si conoscono le cause dagli etietl i, oprmre per via di eminenza e di negazione, secondo le spiegazil>Ili ùi Dionigi. SoLcZIOXE D1narsl dì scnli mmHt (·he n1m ~>. Perciò non può dirsi virtù ciò che ostacola la deliberazione». Ma la misericordia ostacola la deliberazione, cmne nota Sallustio: 1 r il hene comune, spirituale o temporale, deIIa patria. Perciò, siccome i vincoli della milizia sono ordina1i 1
i La risposta. ffi(1gi~tralc nella sua hrevità è sostanzialmente completa ed esauriente. Orazi.a e natura >&i t.ro~ano ai·monizzate meravigliosamente nel pensiero dell'Aquinate, come sono armonizzate nella vita dei santi dall' infinita sapienza di Dio. s. Tommaso non è però cosi pedante come alcuni sospettano.
LA BENEFICENZA
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commilitonem quam consanguineum hostem. Ergo beneficia non sunt magis exhibenda magis coniunctis. 3. PRAF.TEREA, prius sunt debita restituenda quam gratuita beneficia impendenda. Sed debitum est quod aliquis impendat beneficium ei a quo accepit. Ergo benefactoribus rnagis est benef aciendum quam propinquis. 4. PRAETER.EA, magis sunt diligendi parentes quam filii, ut supra [q. 26, a. 9] dictum est. Sed magis est benefaciendum filiis: quia ((non debent filii thesaurizare parentibus n, ut dicitur 2 ad Cor. 12, 14. Ergo non est magis benefaciendum magis coniunctis. SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in 1 De Doct. Christ. [c. 28]: u Cum omnibus prodesse non possis, his potissimun1 consulend u1n est qui, pro locorum et temporum vel quarumlibet rerum opportunitatibus, constrictius tibi, quasi quadam sorte, iunguntur "· RESPONDEO DICENDUM quod gratia et virtus imitantur naturae ordinem, qui est ex divina sapientia institutus. Est autem talis ordo naturae ut unumquodque agens naturale per prius magis diffundat suam actionem ad ea quae sunt sibi propinquiora: sicut ignis magis calefacit rem sibi magis propinquam. Et similiter Deus in substantias sibi propinquiores per prius et copiosins dona suae bonitatis diffundit; ut patet per Dionysium, 4 cap. Cael. Hier. Exhibitio autem benefici o rum est quaed am actio caritatis in alios. Et ideo oportet quod ad magis propinquos simus magis benefici. Sed propinquitas unius ho1ninis ad alium potest attendi secundum diversa in quibus sibi ad invicem homines communicant: u t consanguinei naturali cornmunicatione, concives in civili, fideles in spirituali, et sic de aliis. Et secundum diversas coniunctiones sunt diversimode diversa beneficia dispensanda: nam unicuique est magis exhibendum beneficiu1n pertìnens ad illarn rem unicuique quam 1nagis nobis coniunctus, simpliciter loquendo. Tamen hoc potest variari secundum diversitatem locorum et temporum et negotiorum: nam in aliquo casu est magis subveniendum extraneo, puta si sit in extrema necessitate, qua1n etiam patri non tantarn necessitatem patienti. AD PRIMI:M ERGO DICENDUM quod Dominus non prohibet simpliciter vocare arnicos aut consanguineos ad convivium: sed vocare eos ea intentione quod cc te ipsi reinvitent ». Hoc enim non erit caritatis, sed cupiditatis. Potest tamen contingere quod extranei sint magis invitandi in aliquo casu, propter maiorem indigentiam. Intelligendum est enim quod magis coniunctis magis est, ceteris paribus, benefaciendum. Si autem duorum unus sit magis coniunctus et. alter rnagis indigens, non potest universali regu] a detern:1inari cui sit magis subveniendum, quia sunt di versi gradus et indigentiae et propinquitatis: sed hoc requirit prudentis iudicium. An SECCJNDUM DICENDUM quod bonum commune multorum divinius est quam bonum unius. Cndc pro bono coinmnni reipuhlicae vel spiritualis vel temporalis virtuosum est qnod aliquis etia1n pro{.triam vitam cxponat periculo. Et ideo, cun1 cmnmunicatio in belda auspicare nei singoli casi un'armonia prestabilita dalla dialettica. Per ben tre volte nena soluzione delle difficoltà. egli fa appello alla discTezione : «non si può determinare con una norma generale .... ; nel caso si richiede il giudizio di una persona prudente n (ad 1, cf r. ad 3).
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LA
SOM~IA
TEOLOGICA 1 l I-II, q. 31, aa. 3-4
alla tutela della patria, il soldato che presta in guerra il suo aiuto a un commilitone non l'offre a una persona privata, ma a soccorso di tutto lo stato. E quindi non c'è da meravigliarsi, se in questo un estraneo va preferito a un proprio consanguineo. 3. Il debito è di due specie. Il primo è da enumerarsi non tra i he.ni di colui che deve, ma tra quelli di colui a cui esso è dovuto. Se unot p. es., ha nelle mani il danaro, o la roba di un altro, perchè J' ha rubata~ o J' hn avuta in prestito, o in deposito, o in altro modo, in tal caso è tenuto di più a rendere il debito che a fare del bene ai congiunti. A meno che questi non fossero in tale necessità, da rendere lecito jmpoRsessar.si del] a roba altrui per soccorrere un indigente. Purchè. chi ha dirìtto a quella restituzione non si trovi in una simile necessità. Tuttavia in codesti casi bisogna valutare col ~iudizio di una persona prudente la condizione dell'uno e dell'altro individuo in ba.se alle varie circostanze: poichè in simili congiunture non si può dare una regola generale, per la varietà dei singoli casi, come scrive il Filosofo. C'è poi un altro debito, da computarsi tra i beni di colui che deve, e non tra quelli di chi attende di riceverlo: e cioè quando esso è dovuto non a rigore di giustizia, ma per una certa equità morale, come avviene nei benefici ricevuti gratuitamente. Ora, i1 beneficio di nessun benefattore è cosi grande come quello dei genitori: perciò nella riconoscenza i genitori vanno preferiti a tutti gli altl'i; a meno che dall'altra parte non ci sia il peso di una grave necessità, o di qualche altra condizione: il comune vantaggio, p. es., della Chiesa o dello stato. In tutti gli altri casi si deve misurare il legame di affinità e la grandezza del beneficio ricevuto. E anche qui non è pos8ibile determinare con una norma universale. 4. I g-enitori sono come i superiori: perciò l'amore dei genitori tende a beneficare, mentrr l'amore dei figli tende a onorare i genitori. Tuttavia in caso cli eRtremn necessità sarebbe più tollerahilc abbandorrnre i figli che i genitori; non essendo lecito abbandonnre questi ultimi in ne8sunn mnniera, a motivo dei heneftci da essi ricevuti, corr1e nota il Filosofo. ARTlCOLO 4 St-- la beneficenza sia una virtù speciale. RF.~fBRA
che la beneficenzn sia una speciale virtù. Infatti: 1. I precP.tti sono ordinhti alle virtù: poichè, a detta del Filosofo, «i Jegh::ln.tori ternlono a rendere gli uomini virtuosi n. Ma i precetti dell'amore e della henrficenza sono dati come distinti nel Vanr;relo: ((Amate i v0Rtri nerniri; fate dP.l bene a ouelli che vi odiano». Dunque l~ hPnefkenza ?i una virtù distinta dalla carità. 1 2. I vizi si rontrappnngono alle virtù. Ma alla beneficenza si contrappongono alcuni vizi sprdali, C"he importano un danno del prossimo, e cioè: Jn rapina, n fnrto e altri vizi del genere. Perciò la beneficenza è una speciale virlù. i Nella soluzione l'.-\uto:rc rtl'o:rrerà al principio che i precetti non comandano gli abiti ma gli atti virtuosi: e quindi l'enunciazione evangelica di atti distinti non compromette runità aena virtù cui essi appartengono. Gli esegeti moderni ln\·ece sono portati a vede1·e nell'ennncìazione in parola, che S. Tommaso ba
LA BENEFICENZA
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Ucis ordinetur ad conservationem reipublicae, in hoc miles impendens commilitoni auxilium, non iinpendit ei tanquam privatae personae, sed sicut totam rempublicam iuvans. Et ideo non est mirum si in hoc praefertur extraneus coniuncto secundum carnem. AD TERTIUM DICENDUM quod duplex est debitum. Unum quidem quod non est numerandum in bonis eius qui debet, sed potius in bonis eius cui debetur. Puta si aliquis habet pecuniam aut rem aliam alterius vel furto sublatam vel mutuo acceptam sive depositam, vel aliquo alio si1nili modo, quanturn ad hoc plus debet homo reddere debitum quam ex eo benefacere coniunctis. Nisi forte esset tantae necessitatis articulus in quo etiam liceret rem alienam accipere ad subveniendurr1 necessitatem patienti. Nisi forte et i1le cui res debetur in shnili necessitate esset. In quo tamen casu pensanda esset utriusque conditio secundum alias conditiones, prudentis iudicio: quia in talibus non potest universalis regula dari, propter varietatem singulorum casuum, ut Philosophus dicit, in 9 Ethic. [c. 2, lect. 2]. Aliud autem est debitum quod computatur in bonis eius qui debet, et non eius cui debetur: puta si debeatur non ex necessitate iustitiae, sed ex quadam morali aequitate, ut contingit in beneflciis gratis susceptis. Nullius autem benef actoris beneficium est tantum sicut parentum: et ideo parentes in recompensandis beneficiis sunt omnibus aliis praeferendi; nisi necessitas ex alia parte praeponderaret, vel aliqua alia conditio, puta communis utilitas Ecclesiae vel reipublicae. In aliis autern est aestimatio habenda et coniunctionis et beneficii suscepti. Quae similiter non potest communi regula determinari. An QUARTt;M DICENDlJM quod parentes sunt sicut superiores: et ideo amor parentun1 est ad benefaciendum, arnor autem filiorurn ad honorandum parentes. Et tamen in necessitatis extremae articulo magis liceret deserere filios quam parentes; quos nullo modo deserere licet, propter obligationem beneftciorum sus('eptorurn ; ut patet per Philosophum, in 8 Ethir.. [c. 14, Iect. 14 ].
ARTICULUS 4 U trum beneficentia sit virtus specialis. AD QUARTUM SIC PROCIWITlJR. Videtur quod beneficentia sit specialis virtus. Praecepta enirn ad virtutes ordinantur: quia > (GAROFAl.o S., a aera Biblìlia, n Vecchto Testamento, II, Torino, 1960, p. 135),
LA SOMl\'IA TEOLOtilCA, II-li, q. 32, a.a. 3-1.
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l:N col\iTRAHio: S. Ag;osli no insegna: >. Ora, la correzione è un'ele1nosina spiri.tuale. Dunque le elemosine spirituali sono da preferirsi a quelle rnaterinli. HISPO'.\tm: Il confronto di due 1ipi di elemosine si può fare in due 1nodi. Primo, in senso assoluto: e allora le ele1nosine spirituali valgono di più per tre ragioni. Innanzi tutto perchè ciò che si offre è di maggior valore: si tratta, c'ioè di un bene spirituale, che è supel'iore al bene 1naterialr., come si rileva dal detto dei Proverbi: u Voglio darvi un bel regalo: non abbandonate il rnio insegnamento>), - In secondo luogo per la superiorità di ciò che si soccorre: voichè lo spirito è più nobile del corpo. Perciò un uomo, come deve }ffovvcdere a se stesso più nello spirituale che nel materiale, così deve fare col prossimo, che egli è tenuto ad amare come se stesso. In t.erzo luogo per la superiorltà degli atti con i quali si soccorre il prossimo: poichè le azioni spirituali sono I)iù nobili di quelle corporali) che in qualche rnodo sono servili. Secondo, queste elemosine si possono confrontare in rapporto a casi particolari, nei qunH certe elemosine materiali per alcuni sono da t>referirsi. Per chi rnuore di fame, p. es., il cibo è da preferirsi all' insegnamento : (( per l' indigente n, a detta del Filosofo, u è meglio guadagna.re che filosofare H, 1 sebbene in senso assoluto questo sia una cosa 1nigliore. 2 Sor.ezIOl\iE DEI.LE nrFFICOLT.~: 1. È meglio dare a chi ha maggior bisogno, a pariht di condizioni. l\tla se chi ha meno bisogno è mi~ gliore, e richirde cose più buone, allora anche l'offerta a lui fatta ò n1igliore. Ed è questo precisamente il caso nostro. 2. La rico1npensa~ se non è cercata, non diminuisce il merito e la lode dell'e1ernosina; come la gloria umana non diminuisce il valore della virtù, quando non è desiderata; come Sallustio dice ùi Catone, che ((quanto più fuggiva la gloria, tanto più la gloria lo accompagnava H. Così avviene nelle elemosine spirituali. - E tuttavia. la ricerca dei beni spirituali non sminuisce il merito, come Ja ricerca di que.Hi ma.1erialì, 3, Il merito di chi fa l'elen10sina va misurato su quanto deve ragionevolmente soddisfare la volontà di chi la riceve: non su quanto può soddisfare una volontà disordinata. AHTICOLO 4
Se relemosina corporale possa avere un effetto spirituale. SE!.U3HA che t'elemosina corporale non possa avere un effetto spiri! uale. Infatti: 1. L effetto non può, essere superiore alla sua causa. Ma i beni spirituali sono surieriori a quelli corporali. Dunque un'elemosina cor]lorale non può avere effetti spirituali. 1
J
Ui r1ui ii detto:
«
Prius \·i vere dcirnle phUosophari
».
L'ELEMOSINA
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SED CONTRA EST quod Augustinus, in libro I De Serm. Dom. in Monte [c. 20], super illud [Matth. 5, 4-2], «Qui petit a te, da ei », dicit: '' Dandum est quod nec tibi nec alteri noceat : et cum negaveris quod petit, indicanda est iustitia, ut non eum inanem dimittas. Et aliquando melius aliquid dabis, cum iniuste petentem correxeris >>. Correctio autem est eleemosyna spiritualis. Ergo spirituales eleemosynae sunt corporalibus praeferend ae. RESPONDEO DICENDUM quod comparatio istarum eleemosynarum potcst attendi dupliciter. Uno modo, simpliciter loquendo: et secundum hoc eleemosynae spirituales praeeminent, triplici ratione. Primo quidem, quia id quod exibetur nobilius est, scilicet donum spirituale, quod praeeminet corporali: secundum illud Prov. 4, 2: « Donum bonum tribuam vobis: legem meam ne derelinqu atis n. Secundo, ratione eius cui subvenitur: quia spiritus nobilior est corpore. Unde sicut homo sibi ipsi rnagis debet providere quantum ad spiritum quam quantum ad corpus, ita et proximo, quem debet tanquam seipsum diligere. - Tertio, quantum ad ipsos actus quihus subvenitur proximo: quia spirituales actus sunt nobiliores corporalibus, qui sunt quodammodo serviles. Alio modo possunt comparari secundum aliquem particulare1n casum, in quo quaedam corporalis eleemosyna alicui spirituali praefertur. Puta, magis esset pascendum fame morientem quan1 docendum: sicut et ((indigenti» secundum Philosophum [3 Topic., c. 2], « melius est ditari quam philosophari », quarnvis hoc sit simpliciter melius. AD PRIMUM ERGO DICENOUM quod dare magis indigenti melius est, ceteris paribus. Sed si minus indigens sit melior, et melio1·ibus indigeat, dare ei melius est. Et sic est in proposito. AD SECUNDUM DICENDUM quod recompensatio non minuit merH u1n et laudem eleemosynae si non sit intenta: sicut etiam humana gloria, si non sit intenta, non minuit rationem virtutis; sicut et de Catone Sallustius dicit [ Catalin., Comparat. M. Cat. et C. Caes.] quod «quo magis gloriam fugiebat, eo magis eum gloria sequebatur n. Et ita contingit in eleemosynis spiritualibus. - Et tamen intentio bonorum spiritualium non minuit meriturn, sicut intentio bonorum corporalium. AD TERTIUM mcENDUM quod meritum dantis eleemosynam attenditur secundum id in quo debet rationabiliter requiescere voluntas accipientis: non in eo in quo requiescit si sit inordinata.
AHTICULUS 4 Utrum eleemosynae corporales habeant etTectum spiritualem. AD QUARTUM SIC PROCErHTUR. Videtur quod eleemosynae corporalcs non habeant effectum spiritualem. Effectus enirn non est potior sua causa. Sed bona spiritualia sunt potiora corporalibus. Non ergo eleemosynae corporales habent spiri tu al es eff ectus. 2 Il B. Umberto De Romanis, che fu Maestro Generale dei Predicatori [125-i1263]. nel suo opuseolo De Hrwtlttone Praellìcatorum, c. 1,2. eosi 1·lmprovera.
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LA 801\iIMA TEOLOGICA, II-II, q. 32, a. 4
2. Offrire cose materiali per queHe spirituali è peccato di simonia. l\1a questo peccato è assolutarnente da evitarsi. Perciò non si devono fare delle elemosine, per acquistare dei beni spirituali. 3. Accrescendo la causa, si accresce I 'effetto. Perciò se l'elemosina corporale causasse un effetto spirituale, una più grande ele1nosina dovrebbe produrre un maggior vantaggio spirituale. Il che è contro ciò che dice il Vangelo a proposito del1a vedova, che mise due S{Jicciol i uel gazofilacio, e ehe, a detta del Signore, tinzione è fond.amentale, e affiora in quasi tutti gli aI'ticoU della que.st.ione presente, per clìstinguere lo stretto obbligo di giustizia da quello più indeterminato della ra1•ità. 2 A proposito dt questo ctover·e di I.lì ustizia cosi si esprime s. Caterina da Siena, mettendo ler montem et stato 101·0" (Dialogo della Divina Provvidenza, c. 122). La Santa attribuiva a questa colpevole negligenza dei superiori ecclesiasticl la decadenza della vita religiosa nelle comunità, e la rovina della vlta cristiana in mezzo al popolo. a La dottrina dell'Autore, che rispecchia con esattezza il pensiero della Chiesa, evita i due eccessi opposti: il timore sel'vile di fronte all'autorità, che scende tino all'adulazione e alla supina acquiescenza; e la spavalda insubordinazione di chi protende di dettar legge ai superiori. Abbiamo in proposito la condanna di questa proposizione di Wyclif nel concilio di Costanza [14l5]: "I sudditi possono a loro arbitrio correggere i loro superiori che peccano 11 (cfr. DENZ.-S., 1167). Egli partiva dall'altro principio ugualmente condannato: "Nessuno è un'autorità rivtle, nessuno t> prelato, nessuno è vescovo, ment1·e si trova in pecrato mortale » (ibld., 1165).
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LA SOMMA TEOLOGICA, Il-II, q. 33, a. 4
a ve va toccai o l'arca. Ora, il n1onte e l'arca raffigurano i prelati. Dunque i prelati non devono essere corretti dai sudditi. 2.. All'affermazione di S. Paolo: «Gli resistei in faccia))' la Glossa aggiunge: u con1e pari)). Perciò, siccome un suddito non è pari al suo prelato, non deve correggerlo. 3. S. Gregorio afferma: ((Non presuma di correggere la vita dei santi se non chi si stima migliore di essi». Ma nessuno deve si imarsi migli0r0 rlel proprin prela1o. Dunque i prelati non vannn mai cor1·ett i. IN CONTRARIO: S. Agostino ha scritto nella Regola: >. Sed in gestis Sanctorum invenitur facta publica denuntiatio peccati occulti nulla secreta monitione praecedente: sicut legitur Gen. 37, 2 quod Ioseph ; et Act. 5, 3, 4, 9 dicitur quod Petrus Ananiam et Saphiram, occulte defraudantes de pretio agri, publice denuntiavit nulla secreta admonitione praemissa. Ipse etiam Dominus non legitur secreto admonuisse Judam antequam eum denuntiaret. Non ergo est de necessitate praecepti ut secreta admonitio praecedat publicam denuntiationem. 3. PRAETEREA, accusatio est gravior quam denuntiatio. Sed ad publicam accusatione1n potest aliquis procedere nulla admonitione secreta praecedente: deter1ninatur enim in Decretali [c. Qualiter, de Accusation.] quod « accusatione1n debet praecedere inscriptio n. Ergo videtur quod non sit de necessitate praecepti quod secreta admonitio praecedat publicarn denuntiationem. 4. PRAETEREA, non videtur esse probabile quod ea quae sunt in communi consuetudine religiosorum sint contra praecepta Christi. Sed consuetum est in religionibus quod in capitulis aliqui proclamantur de culpis nulla secreta admonitione praemissa. Ergo videt.ur quod hoc non sit de necessitate praecepti. 5. PRAETEREA, religiosi tenentur suis praelatis obedire. Sed quandoque praelati praecipiunt, vel communiter omnibus vel alicui specialiter, ut si quid scit corrigendum, ei dicatur. Ergo videtur quod teneantur ei dicere etiarn ante secretam admonitionem. Non ergo
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Si parla del l'apitolo delle colpe. che anche oggi si conserva tra le praticbe della vita monastica. Esso però non è più universalo come ai tempi dell'Autore; poichè esistono delle famiglie religio~ in cui non è praticato de iure, e in altre non viene più praticato de facto, essendo caduta in disuso la proclamazione reciproca, contro lo spirito di questa osservanza così antica e cosi schiettamente evangelica. In sostanza n capitolo delle colpe è esercizio rii correzione fraterna, anche se limitato alle mancanze ordinarie di regola o di costituzioni, e alle colpe esterne. Perciò f1uando in una comunità religiosa viene meno il coraggio della proclamazione e l'umiltà di accettarla, e' è il dubbio fondato che in essa sia venuto a mancare lo !3pirito evangelico.
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S0l\1~1A
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di precetto che l'arrunonizione segreta preceda la pubblica denuncia. IN CONTRARIO: S. Agostino nel cornmentare le parole evangeliche, «Correggilo tra te e lui solo», a1nmonisce: ((Mira alla sua correzione, risparmiandogli la vergogna. Perchè allora per vergogna comincerebbe a difendere il suo peccato, e così renderesti peggiore chi avresti voJ uto rendere rnigliore )) . Ora, il precetto della carità ci obbliga a evitare che i nostri fratelli diventino peggiori. Dunque l'ordine de.Ha correzione fraterna è di precetto. RISPO~Do: Per la pubblica denunzia dei peccati dobbiamo distinguere. Infatti i peccati sono o pubblici, od occulti. Se sono pubblici non si deve provvedere soltanto al colpevole perchè diventi fiiù onesto, ma anche agli altri che sono a conoscenza del peccato, perchè non ne siano scanùalizzati. Perciò questi peccati devono essere rilnproverati pubblicamente, stando all'esortazione dell 'Apostolo: ((Quelli che sbagliano riprendili in faccia a tutti, perchè anche gli altri abbiano paura n ; parole queste che, a detta di S. Agostino, si riferiscono ai peccati pubblici. Se invece si tratta di peccati occulti, allora valgono le parole del Signore: u Se il tuo fratello ha peccato contro di te .... >> : poichè quando uno offendesse te pubblicamente davanti agli allri, allora non peccherebbe solo contro di te, ma anche contro gli altri, che ne riinangono turbati. Siccome però anche con i peccati occulti si può predisporre l'offesa di altri, dobbiamo qui suddistinguere. Infatti ci sono dei peccati occulti che sono di danno corporale o spirituale per il prosshno: quando uno, p. es., tratta segretamente la consegna della città al nernico; oppure quando un eretico privatamente distoglie i credenti dalla fede. E poichè in tal caso chi pecca segretamente non pecca solo contro di te, ma anche contro gli altri, bisogna subito procedere alla denunzia, per impedire codesto danno: a meno che uno non fosse fermamente persuaso di poterlo impedire con un'ammonizione segreta. Ci sono invece delle colpe che fanno del male solo a chi pecca e a te! contro cui si pecca, o perchè sei danneggiato dall'atto peccarr1inoso, o alrneno dalla conoscenza di esso. In tal caso si deve badare soltanto a soccorrere il fratello colpevole. E, come il medico del corpo, se puù, dà la guarigione senza il taglio di nessun membro; e se non può, taglia quello meno necessario, per conservare la vita di tutto ]'organismo; così chi cerca l'emenda del proprio fratello è tenuto a e.n1endarne Ja coscienza, senza comprometterne la farnn. La quale è utile innanzi tutto allo stesso colpevole: non soltanto nell'ordine temporale, in cui uno viene molto danneggiato con la perdita di essa; ma anche nell'ordine spirituale, poichè il timore dell'infamia trattiene molti dal peccato ; e quindi se vedono di essere infarnati, peccano senza ritegno. Ecco perchè S. Girolamo scriveva: cc 11 fratello va corretto in disparte; perchè non si ostini nel peccato una volta perduto il pudore, o la vergogna n. In secondo luogo si deve salvare la fama del fratel1o colpevole, perchè P infamia dell'uno ricade sugli altri, secondo quelle parole di S. Agostino: u Quando si denunzia falsamente, oppure realmente si scopre un delitto di qualche cristiano, gli avversari incalzano, si agitano, brigano perchè si creda lo stesso di tutti». 1 E anche 1
Dai tempi di S. Agostino le cose non sono cambia.te affatto. Dj nuovo e' è
LA CORREZIONE FRATERNA
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est de necessitate praecepti ut secreta adrnonitio praecedat pub1icam denuntiationern. SEn CONTRA EST quod Augustinus dicit, in libro De Ve rbis Dom. [serro. 82], exponens i1lud [1\fatth. 18, 15], n Corripe ipsum inter te et ipsum solum n : (( Studens correctioni, parcens pudori. Forte enirn prae verecundia incipit defendere peccatum suum, et quem vis facere meliorem, facis peiorem ». Sed ad hoc tenemur per praeceptum caritatis ut caveamus ne frater deterior efficiatur. Ergo ordo correctionis fraternae cadit sub praecepto. RESPONDEO DICENDUM quod circa publicam denuntiationern peccat.orum distinguendum est. Aut enim peccata sunt publica, aut sunt occulta. Si quidem sint publica, non est tantum adhibendum remedium ei qui peccavit, ut melior fiat, sed etiam aliis, in quorum notitiam devenit, ut non scandalizentur. Et ideo talia peccata sunt publice arguenda : secundum illud Apostoli, f ad Tim. 5, 20 : « Peccantem coram omnibus argue, ut ceteri timorem habeant >> ; quod intelligitur de peccatis publicis, ut Augustinus dicit, in libro De Verbis Dom. [loco cit., c. 7]. Si vero sint peccata occulta, sic videtur habere locum quod Dominus dicit [Matth. 18, 15]: « Si peccaverit in te frater tuus »: quando enim te offendit publice coram aliis, iam non solum in te peccat, sed etiam in alios, quos turbat. Sed quia etiam in occultis peccatis potest parari proximorum offensa, ideo adhuc distinguendum videtur. Quaedam enim peccata occulta sunt quae sunt in nocumentum proximorum vel corporale vel spirituale: puta si aliquis occulte tractet quomodo civitas tradatur hostibus; vel si haereticus privatim homines a fide avertat. Et quia hic ille qui occulte peccat non solum in te peccat, sed et.iam in alios; oportet statim ad denuntiationem procedere, ut huiusmodi nocumentum impediatur: nisi forte aliquis firmiter aestimaret quod statim per secreta1n admonitionem posset huiusmodi mala impedire. Quaedam vero peccata sunt quae sunt solum in n1alum peccantis et tui, in quem peccatur vel quia a peccante lacderis, vel saltem ex sola notitia. Et tunc ad hoc solum tendendum est ut fratri peccanti subveniatur. Et sicut medicus corporalis sanitatem confert, si potest, sine alicuius membri abscissione; si autem non potest, abscindit rnembrum minus necessarium, ut vita totius conservetur: ita etiam ille qui studet emendationi fratris debet, si potest, sic emendare fratrem, quanturn ad conscientiam, ut fama eius conservetur. Quae quidem est utilis, primo quidem et ipsi peccanti: non solum in temporalibus, in quibus quantum ad multa homo patitur detrimentum amissa fama; sed etiam quantum ad spiritualia, quia prae timore infamiae multi a peccato retrahuntur, unde quando se infamatos conspiciunt, irrefrenate peccant. Unde Hieronymus dicit [3 Comrnent. in M atth., ad 18, 15] : « Corripiendus est seorsum frater: ne, si semel pudorem aut verecundiam amiserit, permaneat in peccato)). Secundo debet conservari fama fratris peccantis, tum quia, uno infamato, alii infamantur: secundum illud Augustini, in Epist. ad Plebem Jlipponensem [epist. 78]: « Cum de aliquibus qui sanctum nomen profitentur aliquid criminis vel falsi sonuerit vel veri patuerit, instant, satagunt, ambiunt ut de omnibus hoc eresolo la molteplicità e la potenza dei mezzi pubblicitari, a cominciare dalla stampa quotidiana e periodica.
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pcrehè divulgau nelle reazioni psieologiclte di chi è pubblicamente comprnmesso: normalmente egli si abbandona al peccato che è il supremo dei ma.li - senza rtteg-no. Perciò solo in casi estremi si deve procedere .alla pub-
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datur ». Tum etiam quia ex peccato unius publicato alii provocantur ad peccatum. - Sed quia conscientia praeferenda est famae, voluit Dominus ut saltem cum dispendio famae fratris conscientia per publicam denuntiationem a peccato liberetur. Unde patet de necessitate praecepti esse quod secreta admonitio publicam denuntiationem praecedat. AD PRIMUM ERGO DICE~Dt:M quod omnia occulta Deo sunt nota. Et ideo hoc modo se habent occulta peccata ad iudicium divinum sicut publica ad hurnanurn. - Et tarnen plerumque Deus peccatores quasi secreta admonitione arguit interius inspirando, vel vigilanti vel dormienti, secundum illud lob 33, 15 ss.: «Per somnium in visione nocturna, quando irruit sopor super homines, tunc aperit aures virorum, et erudiens eos instruit disciplina, ut avertat hominem ab his quae fecit ». Ao SEct;NDUM DICE..'1Dt:M quod Dominus peccaturn Iudae, tanquam Deus, sicut publicum habebat. Unde statim poterat ad publicandurn procedere. Tamen ipse non publicavit, sed obscuris verbis eurn de peccato suo admonuit [Matth. 26, 21 ss. ; lVIarc. 14, 18 s.;;. ; Luc. 22, 21 ss. ; Ioan. 13, 21 ss. ]. - Petrus autem publicavit peccatum occultum Ananiae et Saphirae tanquam executor Dei, cuius revelatione peccatum cognovit. - De Ioseph autem credendum est quod fratres suos quandoque adrnonuerit, licet non sit scriptum. Vel potest dici quod peccatum publicum erat inter fratrcs: unde dicit pluraliter: (( Accusavit fratres suos 11. AD TERTIUM DICE~DUM quod quando imminet periculum multitudinis, non habent ibi locurn haec verba Dornini: quia tunc frater peccans non peccat in te tantum. AD QUARTUM DICENDCM quod huiusmodi proclarnationes quae in capitulis religiosorum fiunt sunt de aliquibus levibus, quae famae non derogant. Unde sunt quasi quaedan1 cornmernorationes potius oblitarum cu1parum quam accusationes vel denuntiationes. Si essent tamen talia de quibus frater infarnaretur, contra praecepturn Domini ageret qui per hunc rnodurn peccatum fratris publicaret. AD QUINTt:M DICENoUM quod praelato non est obediendurn contra praeceptum divinum: secundum illud Act. 5, 29: « Obedire oportet Deo magLs quam hominibus n. Et ideo quando praelatus praecipit ut sibi dicatur quod quis scivcrit corrigendum, intelligendurn est praeceptum sane, salvo ordine correctionis fraternae: sive pracceptum fiat comrnuniter ad omnes, sive ad aliquem specialitcr. Sed si praelatus expressc pracciperet contra hunc ordinem a Domino constitutum, et ipse peccaret praecipiens et ei obediens, quasi contra praeceptum Domini agens: unde non esset ei obedicnd um. Qui a praelatus non est iudex occultorum, sed solus Deus: unde non habet potcstatem praecipiendi atiquid super occultis nisi inquantum per aliqua indicia rnanifcstantur, puta per infamian1 vel alirprns blica denun:z:la dei peccati occulti : quando cioè si tratta cli salvaguardare il bene comune, oppure quamlo il bene stesso del colpevole esige quest·atto di apparente crudeltà. La rama infatti, che è superiore alle i·icchezze, è intel'iore all'onestà della vita. 2 L'Autore esclude cl1e si possano denunziare pubblicamente in questa torma peccati occulti. Diverso è il raso della riprensione e della denunzia di peccati pubblici. Allora valgono piuttosto le parole di S. Alberto Magno: "Questa norma l,di denunciare le colpe pubblicamente] va ancora osservata nella vita religiosa; poichè se si correggesse in privato ciò che è ormal noto pubblicamente a molti, presto sl distruggerebbe la disciplina regolare» (In 4 Sent., d. 19, a. 21).
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cioè dalla cattiva fama o dai sospetti; nei quali casi il prelato può comandare alla stessa maniera che il giudice secolare o ecclesiastico può esigere il giurarnento di dire la verità. 1 ARTICOLO 8
Se alla pubbliea denunzia debba precedere il ricorso ai testimoni.
SEMBRA che alla pubblica denunzia non debba precedere il ricorso ai testhnoni. Infatti: 1. I peccati occulti non si devono n1.anifest.are agli altri: perchè così, a detta dì S. Agostino, uno sarebbe più « propalatore)) della colpa, che u correttore H del proprio fratello. Ora, chi ricorre ai testirnoni inanifesta ad altri la colpa del suo fratello. Dunque nei peccati occulti prin1a della denunzia pubblica non si deve ricorrere ai testimoni. 2. Un uomo è tenuto ad ama!'e H prossimo come se stesso. Ma per il proprio peccato occulto nessuno ricorre ai testimoni. Quindi non ci si deve ricorrere neppure per i peccati occulti del proprh• fratello. 3. Si 11ortano i testimoni per provare un fatto. Ma nei peccati occulti non si può avere una prova dai testimoni. Perciò questo ricorso ai testimoni è inutile. 4. 1'ella Regola S. Agostino insegna che il peccato «prima si deve rnanifest.nre al superiore che ai testhnoni n. Ora, mostrarlo al superiore significa dirlo alla Chiesa. Dunque il ricorso ai testimoni non deve precede.re la puhhlica denunzia. IN co"!'1TRARlO: Stanno le aft"ermazioni del Signore. 2 HISPONDO: :E giusto che da un estremo all'altro si passi attra.ve-rso 11n punto intermedio. Ora, nella correzione fraterna il Signore Yolle che il pI'irJcipio fosse occulto, in modo che un fratello correggesse l altro tra loro due soli; mentre volle che la fine fosse pubblica, con la deuunzia. fatta a'ln Chiesa. Perciò è conveniente che in rnezzo si metta il ricorso ai testimoni, in rnodo che da principio si dica la colpa del fratello a J.ìOChi, che. possono essere di gio\'amento e non di oi:;taco"lo, per emendarlo almeno così, senza infauda di fronte a tutti. SoLUZlo~E mnJ",E DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni ritengono che nella carità fraterna si debba osservare quest'ordine: dap-prima si deve correggere il f rntello in segreto; r. se dà retta, va bene. Se invece nou rlà ascoH.o, e i1 peccato è rigorosamente occulto, allora essi dicono 1
1 Quest'ultima soluzl » Ioannem n » lob )) » Mattheum » » Psalmos » " Threnos = Comm. in libros Metaphysicorum » » • Metereologicorum " v • Perihermeneias » Physicorum • "' • PoUticorum
=
=
I)
))
301
ADDREVIAZIOKI
= Comm.
in libros Posteriol'Um Analyticorum = Quaestio {Quaestiones) disputata {ae) = Quaestio de quodlibet In Primurn (Secundum, Tertium, Quar~ tum) Ljbrum Sententiarum Somma Teologica >> n Parte I, questione .. ., ar-
Post. A na1.yt. Qu. {Qq.) disp. Quodl. 1 (2, s, 4) Sent.
S Teol. I-I, q ...• a ... , ad ....
ticolo ... , soluzione .... I-11. Q.•• , a .. ., ad .... 11-ll, q ... , a .. ., ad .... lll, • I> J) Su1r1>l. » 1 »
»
»
))
»
Prima Secundae. cioè sezione I della Seconda Parte, ecc. Seconda Secundae. ecc. Parte IIJ, ecc. Supplemento della Parte l ll, ecc.
» »
I)
»
e) Opere generalL C. I. C. DENZ.-8.
Codex luris Canonici. ::::: DE~ZINGER - SCttìb~METZER,
Enchiridion Symòolorum:
defìnitionum, ecc.VACANT - MANGENOT - AMANN. Dictionnaire de Théo-
D. T. C. Ench. l'atr. Enc. Catt. D#ct. Bibl. Enc. lt. MG
-
-
lO(Jie Catholique. Paris, 1903 ss. Routr DE JoURNEL, Enchiridion Patrts t1cum. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1949 ss. de la Bible, Paris, 1895 ss. EnciclOpedia Italiana, Milano, 1929 ss. MIGNE, Cursus Patrologiac, series Grneca.
= Dictionnatre
ML
•
»
»
»
Latina
d) Bibliografia tomistica. A.no. Biòl. Tom. Bui. Thom. C. Tom. D. Tnom. (P.) DF.UT. THOM.
Diz.. Tom. Introd. Gen. Introd. R. Se. Ph. Théol. Rev. Thom.
Anoelicum, Roma. Bibliografia Tomistica nella Introduzione generale. Bullettn Tliomiste, Parigi. = La Ciencia Tomista, Salamanca. = Divus Thomas, Piacenza. Dle Deutsche Thomas A.usoabe. (Edizione tedesco· Jatina della Somma con note e Commenti a cura dei PP. Domenicani e Benedettini, Salisburgo, Pustet, 1934 ss.). Diz.ionarto dei termini tecnici tomistici. (Annesso alla nostra Introduzione generale). Il nostro volume di Introduzione generale a tutta la somma. La rispettiva introduzione di ogni trattato.
==
Revue àes Sciences Philosophiques et Théoloo·lques, Parigi. Revue Thomiste. St. Maximin. var.
302
ABBREVIAZIONI
SOM, FRANC.
SUMA ESPAN.
SU:\fM. • 1i>5, 165 n U), 6) : 203 -· (!), 6): 203 - (9, 7): 155n (H, 8): 99! 129, 135 - (9, 12): 125 - (10, 7 s.) : 41. JlJ etaphysicorurn (2, 2) : 67 -
CONCILII:
w,
(5. H): 123. Phu.-;iconon (2, 6) : !15 - (2, 7ì : 1 ,{'1' 17"\) ('.J, 6\ \)I ,~--· t I \'9 ... ' /)) ;y : 4 . t . 1""'' l fl\1 •. 63" (8, , ex ,( ··, ... '1 . I
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Polifitor,un (1,
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(2, 9): 213.
Top-iconun (2, 7) : .H) ·-· (3, 2) : 2 J3. 1
BAIO 1\l. BANEZ
: 9, 61, 81,
131~ 160,
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(S.) 16.
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BARSOTTI D. 297. [ )~"I >:"";:; I ,I O ("' ,-,. \J ')!O ---1'a, 9::-r.; ._.,,)O. l·!ER.,.