125 36 12MB
Italian Pages 385 Year 1972
S. TOMMASO D'AQUINO
LA SOMMA TEOLOGICA TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA
XXXIII
I NOVISSIMI: b) Giudizio finale e destino eterno (SuppJ •• qq. 87-99)
CASA EDITRICE ADRIANO SALA~
Nihil obstat Fr. Victorius Scoccimarro, O. P.
Doct. S. Thcologiac Fr. Albertus Boccancgra, O. P. Doct. Phifosophiac et Lect. S. Theologiae Imprimi potest Fr. ~onardus Magrin\, O. P. Prior Provincialìs S. Marci et Sardiniac Florenliac die XXIV Augusli MCMLXXII IMPRIMATUR Facsulìs dic XXVI Augusti MCMLXXII
t Antonius Bagnoli Episc.
TUTTl I DIRITTI SONO RISERVATI
©
A1CMLXX Il - Casa Editrice Adriano Salani S.p.A.
--------Tip. Polìglolla t:ni\'. Gregoriana, Roma - MCMLXXII
Printed in llaly
I NOVISSIMI: b) Giudizio finale e destino eterno (Suppi., qq. 87-99)
I NOVISSIMI : b) Giudizio finale e destino eterno (Suppl.. qq. 87-99) TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE: del P. Tito S. Centi, O. P.
INTRODUZIONE 1- In un primo tempo avevamo pensato di pubblicare questo
ultimo volume dell'Opera senza introduziono, perché la vera introduzione al trattato doi No vissi mi ò quella del volume precedente. Ma l ~impogno col quale i teologi contemporanei stanno affrontando i temi dell'escatologia ci ha costretti a ritornare sulla nostra docisiono. Questi illustri colleghi infatti non risparmiano neppure quei problemi che nel Supplemento erano stati addirittura trascurati, quali il Purgatorio e il Limbo dei bambini. Come abbiamo accennato noi volume precedente (p. 8), per includere nell'opera quei duo regni dell'oltretomba ora stato necessario ricorrere a un'appendice. Ebbene in quosto caso noi non faremo altro che prendere in esame le discussioni attuali intorno aU'ultima questiono d'appondice, che in qualche modo integra ·il Supplemento.
Il Limbo dei bambini nelle discussioni teologiche attuali 2- Da qualche decennio i teologi sono all'opera per una sistemazione definitiva delle anime dei bimbi morti senza battesimo. Tra i regni d'oltre tomba, verso i quali guardiamo con trepidazione e smarrimento, data l'enormità della nostra ignoranza, quello che meno ci tocca personalmente, ma che più la.soia insoddisfatta la nostra sete di sapore, ò appunto quel luogo· di penombra in cui secondo la teologia tradizionale sono collocate quolle anime, che, senza aver ricovuto il battesimo, non hanno mai avuto modo di osprimere un atto cosciente di adesione o di ripulsa verso Dio. Come ricorda il P. Jean Galot su La Civiltà Cattolica (l 971, II, p. 229), pur essendo prevalsa a lungo in teologia e nell'insegnamonto catechistico la tesi cho codesti ·bambini erano da ritenere privi della visione beatifica, cioè del paradiso, senza soffrire però
8
IN"TRODUZIONE
lo pene dell'inferno, nel corso dei secoli c'è stata a intermittenza qualche voce discorde, che proponeva una salvezza anche per questi innocenti. Ma in questi ultimi decenni queste voci discordi si sono fatte più numerose e insistenti, cosicché in occasiono del Concilio Vaticano II fu proposto di discutere la questione e di definirla. Nello schema preparato dalla Commissione Teologica del Concilio si diceva : «11 Concilio dichiara vano e prive di fondamento tutte le sentenze secondo cui si ammetto per i bambini un mezzo [per conseguire la vita eterna] diverso dal battesimo ricevuto di fatto. Tuttavia non mancano motivi per ritenere che essi riceveranno oternamonto una certa felicità consona al loro stato ». Il Concilio insomma si proponeva, secondo la Commissione Teologica, di rifiutare le novità proposte in materia. Invece, approfittando della mancata definizione conciliare, non pochi teologi hanno cercato di definire loro stessi la questione, e precisamente in senso inverso. Alcuni hanno pensato di ricorrere per questo a una singolare opinione del Card. Gaetano, secondo la quale in punto di morte verrebbe offerta. a tutte le anime la possibilità di decidersi, in piena lucidità, per Dio o contro Dio. Tale momento di lucidità in extremis sarebbe offerto anche agli infanti, privi tuttora dell'uso di ragione. - La gratuità di tale affermazione è però molto più evidente e lampante di questo preteso momento di lucidità, che si vorrebbe accordare alle anime prima o immediatamente dopo il decesso. Perciò noi ci dispensiamo dal confutare questa celebre teoria, tante volte confutata dai teologi di tutte le scuole. Per il momento ci fermeremo ad esaminare la tesi più avanzata, proposta dal P. Galot nel 1971 su La Civiltà Cattolica (II, pp. 228 ss., 336 ss., 528 ss.).
*** 3 - Per l"illustre professore dell'università Gregoriana ]a teoria tradizionale peccherebbe contro la logica, nel sostenere che i bambini morti senza il battesimo sono privati della visione beatifica; non avrebbe formalmente a suo sostegno nessuna definizione del magistero ecclesiastico ; sarebbe contro l' «orientamento del Vangelo » ; e incompatibile oon la divina volontà salvifica universale. Perciò egli pensa di risolvere radicalmente il problema, non già appellandosi alla teoria della illuminazione concessa in extremis a tutte le anime, comprese quelle degli infanti, e neppure a quella del desiderio espresso
INTRODUZIONE
9
tacito dei genitori ; ma ricorrendo al desiderio universale cho ha la Chiesa di porgere il battesimo a tutti gli uomini. Codesto desiderio sarebbe a suo parere sufficiente perché tutti i bambini che si trovano in punto di morte senza aver potuto ricevere l'acqua battesimale, ottengono in sostanza gli effetti del battesimo. A questo sorprendente risultato ogli giunge senza addurre nessun vero luogo teologico ; ma per semplice induzione in base ai tre principi seguenti : a) «Il cristianesimo non è unicamente una religione di adulti . . . Non si deve quindi esigere dai bambini un atto di volontà personale per ottenere la salvezza ». b) «Il battesimo è principalmente un atto della Comunità, e il voto del battesimo è sempre comunitario prima d'ossore individuale: la Chiesa è sempre la prima a desiderare il battesimo e questo desiderio concerno tutti gli esseri umani ». e) «Il terzo principio è quello della efficacia concreta ed attuale, in ogni esistenza umana, della redenzione universale operata da Cristo» (n. 2092, p. 345 s.). 0
Sebbene la ricerca sia condotta con diligenza e competenza, ci sembra che la conclusione non sia accettabile ; perché alla radice di essa ci sono delle impostazioni e dei principi che non possiamo condividere, senza sovvertire assiomi fondamentali della teologia tomista. È verissimo che «il problema della sorte dei bambini morti senza battesimo potrebbe sembrare marginale, ma vi sono implicati principi essenziali dell'opera redentrice ... », e «impegna un certo modo di raffigurarsi il volto di Dio» (n. 2091, p. 240) ; ma proprio perché il P. Galot si mostra favorevole a un certo cliché antropomorfico nel rappresentarsi la bontà di Dio, ci sentiamo in dovere di reagire. « Un Dio », scrive il P. Galot, «che priverebbe della felicità celeste doi bambini che personalmente non hanno fatto alcun male, come potrebbe essere ancora un Dio delramore 1 » (ibid.). Una domanda di questo genere ci sembra poco seria sotto la penna di un teologo, sia perché pooo riguardosa verso tanti degnissimi colleghi, sia perché non tiene conto di troppe cose. La divina bontà, che non è a misura d'uomo, non può essere minimamente offuscata dalla diversità e varietà dei doni che Dio liberamente distribuisce alle sue creature. I bambini, come non esigono da Dio l'esistenza, cosi non possono esigere da lui una qualsiasi perfezione ; e meno che mai possono esigere la grazia e la gloria, che sono di ordine sopran-
10
INTRODUZIONE
naturale. La suddetta domanda del P. Galot ci sembra incompatibile con tutta una serie di domande che ricorrono sotto la ponna di un teologo, la cui autorità sarà sempre decisiva nel nostro campo : « O uomo, o chi sei tu che vieni a disputa con Dio ? Non mica dirà il vaso alrartigiano : Perché mi hai fatto così ? O che il vasaio non ha facoltà di fare della stessa pasta il vaso di uso onorevole, e quello di uso spregevole ? ••• » (Rom. 9, 20-23; cfr. Rom. II, 34-35). In sostanza ci sembra che il P. Galot parta da un ugualitarismo di moda, che può andar, bene come programma di un partito politico, ma non come· adeguazione al piano divino che comporta evidentissime diversità di programmi nell'ambito dolla modosima specie umana. Altrimenti alla sua domanda noi dovremmo affiancarne tante altre analoghe di questo tipo: Perché Dio ha fatto nascere tanti uomini prima della venuta di Cristo, sonza offrire loro la possibilità di usufruire come noi della luce evangelica 1 Perché tanti in paradiso (sopratutto i morti prematuramente) dovranno contentarsi di una gloria minima, quando il Signore avrebbe potuto aITicchirli delle grazie straordinario dei più grandi Santi ? ... 4 - Accettando quindi la condizione dei bambini del Limbo i teologi non peccavano affatto di «crudeltà montale »; ma si adattavano a un disegno di differenziazione, che emerge da troppi indizi, anche se non fosse esplicitamente conclamato dalla rivelazione divina. , Che la posizione di Innocenzo III, di S. Tommaso, di S. Bona ventura e dei loro discepoli non sia assurda, lo dimostra anche il P. Galot, quando per colpirla sente il bisogno di deformarla considerevolmente, traducendo l'espressione « poena damni », che questi teologi usano per descrivere la condizione di ohi muore col solo peccato originale, ricorrendo al termine «dannazione » (ibid., p. 232). Infatti dannazione evoca il concetto di condanna e di riprovazione personale, il che è formalmente escluso dai teologi suddetti. E neppure si può attribuire a questi ultimi la rottura di ogni rapporto di conoscenza e di amore con Dio per il solo peccato originale. Quando mai i sostenitori del limbo dei bambini hanno immaginato per loro «una felicità laica, senza Dio » (p. 231) 1 Nella felicità naturale loro attribuita dai buoni tomisti, nonostante la moda rigorista imposta dal Giansenismo nei secoli XVII e XVIII, la conoscenza e l'amore di Dio sono pur sempre al primo posto. D'altra parte non si può concedere ohe la visione beatifica, sia un'esigenza primaria della natura spirituale, come
IXTHODUZIONE
Il
pensa il P. Galot, perché questo comprometterebbe la soprannaturalità della beatitudine eterna. Infatti, nonostante la ristampa doi libri del P. De Lubac, la sua tesi sul soprannaturale è ben lungi dal persuadere la massa dei teologi.
*** 5 - Ma quello che più conta nel caso nostro sono gli indizi riscontrabili nella Scrittura, nella tradizione, e nei documenti del Magistero ecclesiastico, che sono le fonti autentiche della teologia. Ebbene, la maniera con la quale il P. Galot accantona questi indizi come non risolutivi nel senso tradizionale, ci sembra davvero troppo sbrigativa, specialmente per quel che riguarda i documenti del magistero ecclesiastico. Troppo lungo sarebbe seguirlo in questa analisi ; siamo perciò costretti a rimandare i nostri lettori al Dictionnaire de Théol. Oath., t. IX, coll. 760-771. Tra i pochi testi biblici da analizzare in proposito forse sarebbe stato opportuno rivolgere l'attenzione a un passo della prima lettera di S. Paolo ai Corinzi (1 Cor. 7-14), in eui a prima vista il P. Galot avrebbe potuto scorgere una conferma della sua tesi. In codesto versetto I' A postolo parlando dei matrimoni misti, ossia di quei coniugi cristiani che si trovano a convivere con un coniuge pagano, esorta i coniugi credenti a non rompere il vincolo quando la comparto non ostacola la fede. E porta a giustificazione del consiglio questa ragione : « Poiché il marito non credente si trova santificato dalla moglie, e la moglie non credente si trova santificata dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre ora sono santi ». Quest'ultima espressione parla appunto, come sembra, di bambini non ancora battezzati. Interpretarne però il vero significato è un'impresa piuttosto ardua. Ma in ogni ca.so è legittimo concludere, che so fosse vera la tesi del P. Galot, S. Paolo non avrebbe nessun motivo di eonsiderare «impuri » e «non santi » i figli di genitori infedeli, ossia non credenti, come invece il testo porta logicamente a conoludere, per la ragiono dei contrari. Invece il P. Galot ha preferito rifarsi all'affettuoso incontro di Gesù con i fanciulli (Mare. 10, 14) ; per dimostrare che «la via della salvezza ò ampiamente aperta ad ossi e non f~rebbe supporre che, in mancanza del battesimo, questi piccoli possano essere separati da Dio per l'eternità » (ibid., p. 235). Ma è evidente che l'episodio evangelico non ha nessun legame col problema· particolare di cui stiamo trattando. Per vedere in esso e nelle frasi che si riferiscono all'umiltà
12
INTRODUZIONE
e semplicità dei bambini un « orientamento del Vangelo » nel senso di una salvezza indiscriminata per tutti gli infanti morti senza battesimo, come fa il P. Galot, ci vuole molta buona volontà e fantasia. 6 - Il modo col quale il P. Galot utilizza i documenti del Magistero ecclesiastico sulrargomento ci sembra davvero singolare. Egli, cioè, sembra voler esasperare codeste affermazioni nel senso di una condanna alrinferno dei bambini che muoiono col solo peccato originale, per cogliere il pretesto di negare qualsiasi valore a tali affermazioni. Ora, ci sembra che questo non sia. un buon metodo per l'ermeneutica. E dopo tutto non si vede perché le definizioni del Magistero, nella loro laconicità, non debbano avvantaggiarsi delle chiarificazioni teologiche comuni nell'epoca in cui furono emanato. S. Tommaso d'Aquino, il quale almeno come metodologia teologica ha sempre tanto da insegnarci, procedeva ben diversamente. Anche nel caso nostro, pur avvertendo nelle parole che S. Agostino aveva fatto approvare nel Concilio di Cartagine dol 418 un tono polemico piuttosto imbarazzante (cfr. DENZ-S., 224), si guarda bene dal rilevarvi un errore, ma si affretta a ricordare le altre parole del Santo : «}.fitissima est pocna puerorum qui cum solo originali decedunt » (Enchirid., c. 93 ; ofr. Suppl., p. 69, a. 6). Rinunziando per brevità all'analisi dei testi accennati, concludiamo rilevando un'altra progiudizil}le che guida la soluzione del teologo gesuita, o che è implicita nel secondo e nel terzo principio ai quali egli dice di ispirarsi. Mentre la teologia tradizionale ha sempre considerato valido il principio che «Cristo non è venuto a curare la natura, ma le persone » (S. BONAVENTURA, In 2 Sent., d. 22, a. 1, q. 2), il P. Galot si appella a una «solidarietà nella redenzione» (p. 239), la quale è ricalcata esattamente sul principio contrario, che cioè Cristo è venuto a curare prima la natura che le persone. Sì direbbe cho nella sua concezione della salvezza operata da Cristo facciano sentire il loro peso le strane teorie soteriologiche del P. ~reilhard De Chardin. L'uni versalo volontà salvifica cui egli ama appellarsi ha troppo l'aspetto del moto dialettico, e poco quoilo dell'offerta gratuita cho attende la libera corrispondenza della creatura, sia sul piano individuale, che su quello sociale. Ora, è evidente che senza accettare il principio cho Cristo ha salvato non la natura, ma lo persone, non è più possibile comprendere come mai dopo la passione di Cristo, o specialmente dopo il battesi mo, si possa perpetuare la · trasmissione
INTROD.UZIO~E
13
del peccato originale. E d'altra parte non si capisco che cosa significa contrarre il peccato originale, se esso non comporta l'esclusione dalla beatitudine eterna. La somma condiscendenza della misericordia di Dio vorso gli uomini non sembra affatto indiscriminata, ma si rivolgo efficacemente ed effettivamente ai soli « preordinati », agli «eletti» (cfr. Rom. 8, 30; Ef. l, 4,14). E noi raccogliere i suoi eletti Dio agisco tra gli uomini alla manie!a umana, cioè servendosi della collaborazione degli uomini. E appunto per questo che il Signore esorta a pregare «il padrone della messe, perché mandi operai nel suo campo» (l\fatt. 9, 37; I . uc. 10, 2). Anche per la salvezza dei bambini come minimo di collaborazione umana è stata sempre richiesta tale collaborazione oon il conferimento del battesimo, oppure (nell'antico Testamento) con l'impegno effettivo a generare altri figli al popolo d'Israele, ossia al popolo di Dio. Invece secondo la tesi del P. Galot non ci sarebbe bisogno di nessuna collaborazione del genere : basterebbe la sola volontà salvifica universale da parte di Dio, e il desiderio vago, universale e implicito da parte della Chiesa, porch6 tutti i bambini vengano mondati dal peccato originalo. In sostanza egli ritiene sufficiente l'intenzione che la Chiesa ha avuto finora, pur essendo condizionata dal fatto che la massa dei suoi teologi o dei suoi pastori era persuasa dell'esistenza del Limbo per lo anime dei bambini morti senza battesimo. 7 - I-'a nuova teoria ci metto dinnanzi a nuovi problemi che un teologo deve pur affrontare. In quale momento, p. es., si dovrà pensare operante il desiderio della Chiesa ? Non si capisce perché esso debba funzionare solo nel momento della morte. Se è vero che la Chiesa tondo ad estendere per quanto è possibile il rogno della grazia, dovremo pensare che talo desiderio raggiunge i bambini anche nel sono 1naterno. E il P. Galot non esita a scrivere : ((Là dovo resistenza umana rimane un voto dei genitori o della società che non può trovare la sua realizzazione, come dubitare cho l'esistenza cristiana possa essere assicurata anch'essa, secondo il disegno di Dio, a titolo di semplice voto della Chiosa 1 » (n. 2092, pp. 342 s.). È vero che egli parla dei casi di aborto, ma non si capisce proprio perché il « votum Ecclesiae » debba attendere proprio l'istante della morte per divenire operante. Tanto più che nella sua prospettiva tutti i bambini sono da considerarsi in istato di grazia. E allora bisognerà pensare al limite di codesta ipotesi di lavoro - che la santificazione nel seno materno non sia un privilegio di S. Giovanni Battista? ma una condizione normale dei figli di Adamo.
14
INTRODUZIONE
Perciò, tirando le somme, ci sembra che la nuova teoria sia molto meno solida e sensata della dottrina tradizionale circa il Limbo dei bambini. Del resto, por quanto il P. Galot si sforzi di provare il contrario, una volta ammessa la sua tesi (che per i molti sembra di cui è costellata, è proposta, so non c'inganniamo, quale tema por una discussione più approfondita.), non si capisce come si possa ancora parlare dolla necessità del battesi1no. Pensiamo che por S. Agostino sarebbe molto difficile distinguere questa nuova teoria dalla tesi pelagiana. Certa.mente contro di essa egli rivolgorebbo a buon diritto le parole evangeliche: «So uno non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cioli » (Giov. 3, 5 ; cfr. DENz-S., n. 224 ). Conclusione
8 - La critica oui abbiamo sottoposto la suddetta ipotesi di lavoro coinvolge in gran parte anche lo tesi difese da altri studiosi, e che sono oosì ricapitolate da un moderno Dizionario di Teologia : «La dottrina sul limbo si sviluppò senza dubbio alcuno anzitutto dalle immagini dello se' ol tardo-giudaico o ,fu assai ampiamente trattata specialmente nella scolastica. La teologia odierna rimetto in discussione l'esistenza del limbus piierorum, richiamandosi specialmente alla mancanza di affermazioni dottrinali ecclesiastiche, poiché i passi dai quali il problema prende l'avvio, non intendono faro alcuna dichiarazione dirotta in proposito. l.ia ricorca sciontifioa, ancora a porta, escludo che si possa ammettere un consenso dei teologi del passato. II problema soggiacente alle discussioni va affrontato partendo dai concetti di volontà salvifica universale di Dio, di battesimo di desiderio o da una adeguata teologia della morte ». 1 9 - Il brano citato ci permette di presentare brevemente, per contrapposizione, lo nostre osservazioni in difesa della tesi tradizionale : a) Le ((immagini dello se' ol tardo-giudaico )) non furono oonosoiute dai teologi scolastici, se non in base ai testi della Scrittura Canonica. Ora, disfarsi di quei testi non è agevole per nessun vero teologo, cioè per un credente. D'altra parte~ non ci risulta che nella prima e neppure nella seconda scola1
K. HAIINF:R-TI. VoRGRIMLER, Dizionario di Teologia, Ed. italiana a cura di G. Ghi· berti e G. Ferretti, Hcrder-Moreclliana, 1968, pp. 356 s.
INTRODUZIOXE
15
stica si siano imbastiti ampi trattati sul J..,imbo. La laconicità di S. Tommaso è documentata in questo volume ; quella dei manuali «ad mcntem D. Thomae » arriva spesso al silenzio assoluto sull"argomonto. A conti fatti, so ne parlava in passato con maggiore sobrietà di quanto facciamo noi oggi. b) La ripresa delle discussioni sul Limbo dei bambini non può iniziare dal semplice a1·gomonto a silentio da parto del Magistero Ecclesiastico, e meno ancora dalla negazione di « un consenso dei teologi del passato». Ecco infatti come si esprimeva nel secolo scorso, senza incontrare contestazione, uno dei manuali più divulgati : «Senza nota di orosia non si può negare che i bambini privi di battesimo, in cui questo non può essere supplito in nossun modo, e che quindi passano col peccato originale all'altra vita, siano nell'impossibilità di raggiungere la salvezza eterna. Questa dottrina viene ritenuta dura e crudele dai Sociniani e dai razionalisti ... » (A. KNOLL, Institutiones Theol. Theoreticae, Oomp., § 511 ). e) Ritenere poi che «il problema soggiacente» debba essere affrontato solo partendo dalla volontà salvifica universale, dal battesimo di desiderio, e da una «adeguata teologia dolla morte » (in cui evidentemente dovrebbe figurare la fantastica teoria dell'opzione lucida nell'istante dol trapasso), significa dare per scontata una soluzione che non persuade, proprio per la sua unilateralità e por la fragilità dei suoi presupposti.
p.
TITO
s.
CENTI,
o. p.
QUESTIONE 87 La conoscenza che nel giudizio avranno i risuscitati rispetto ai meriti e ai demeriti. Passiamo ora a trattare di ciò che seguirà la resurrezione. Per prima oosa tratteremo della conoscenza che nel giudizio avranno i risuscitati rispetto ai meriti e ai demeriti ; secondo, del giudizio stesso in generale, ossia del tempo e del luogo in cui avverrà ; terzo, dei giudicanti e dei giudicati ; quarto, dell'aspetto in cui il giudice comparirà nel giudizio ; quinto, delle condizioni del mondo e dei risuscitati dopo il giudizio. Sul primo argomento si pongono tre quesiti : 1. Se nel giudizio ognuno verrà a conoscere tut.ti i propri peccati; 2. Se ognuno potrà leggere la coscienza dell'altro, 3. Se uno possa vedere allora con una sola intuizione tutti i meriti e tutti i demeriti. 1
ARTICOLO I Se chiunque dopo la resurrezione verrà a conoscere tutti i propri peccati.
,
SEMBRA che non tutti dopo la resurrezione verranno a conoscere tutti i peccati da loro commessi. Infatti : 1. Tutto oiò che conosciamo, o lo riceviamo come conoscenza nuova dal senso, o lo caviamo dal tesoro della memoria. Ma dopo la resurrezione gli uomini non potranno percepire i loro peccati oon i sensi, perché sono cose passate, mentre la sensazione si limita alle cose presenti. Inoltre molti peccati sono svaniti 1
La questione 87 non è che la trascrizione dell'art. 5 dcl commento fatto da 8. Tom· maso alla d. 43 del 4 Sent., con la sola trasformazione in alt.rcttauti articoli delle tre qu. SOLUZIONE DELLE DIFii"'ICOLTÀ : 1. Nella sua prima venuta Cristo venne nascostamente, secondo le parole di Isaia: «Veramente tu sei un Dio nascosto, o Santo d'Israele, Salvatore». Perciò affinché potesse essere conosciuto dai credenti, fu necessario predirne il tempo in maniera determinata. Ma nella seconda venuta egli verrà manifestamente, secondo le parole del Salmista : « Dio verrà. manifestamente». Perciò non ci potrà essere errore circa tale venuta. Quindi il paragone non regge. 2. Come nota S. Agostino, i segni ricordati nel Vangelo non tutti riguardano il secondo avvento, che avverrà alla fine del mondo : ma alcuni si riferiscono alla distruzione di Gerusalemme, che è già avvenuta ; molti altri si riferiscono alla venuta con la quale egli asidste quotidianamente la sua Chiesa, visitandola spiritualmente, inabitando in noi mediante la fede e la carità. Anzi i segni stessi che nei Vangeli e nelle Epistole sono riferiti al giudizio finale, non sono in grado di farci conoscere determinatamente il tempo del giudizio. Perché le calamità predette, quali premonitrici del vicino ritorno di Cristo, si sono prodotte fin dai tempi della Chiesa primiti va, talora in modo più grave, tal'altra in modo meno grave : cosicché persino il tempo degli Apostoli è stato chiamato « ultimo », come risulta dagli Atti, là dove S. Pietro, espone quel testo di Gioele : • E avverrà negli ultimi giorni, ecc.», applicandole il proprio tempo. Eppure da allora è trascorso molto tempo : e nella Chiesa le tribolazioni ci sono sempre state, ora molte, ora meno. Perciò non è possibile determinare i1 tempo in cui avverrà il giudizio, indicando il mese, l'anno, il secolo o il millennio, come scrive ancora S. Agostino : sebbene sia da credere che alla fine del mondo le suddette calamità saranno più numerose. Ma non è possibile determinare il numero delle calamità. che p1 e cederanno immediatamente il giorno del giudizio, o la venuta dell'Anticristo : poiché anche nei primi secoli della Chiesa ci sono state persecuzioni così gravi e tale abbondanza di errori, che alcuni allora aspettarono come vicina o imminente la venuta dell'Anticristo, come si legge nella Storia Ecclesiastica 1 e nel De Viris illustribus di S. Girolamo. La Storia Ecclesiastica cui accenna S. Tommaso è l'(lpcra più valida e più nota di lt~UAcbio di Cesarea [265-3.tO c.1. •Senza di essa •, scrive il .Cayré. •i primi tre secoli della Chiesa ci sarebbero quasi dcl tutto ina.cc. Di qui l'identica conclusione. RISPONDO : La facoltà di giudicare va attribuita alla povertà specialmente per tre motivi. Primo, per un motivo di congruenza. Poiché la povertà volontaria è propria di coloro che, disprezzando tutte le cose del mondo, si dedicano esclusivamente a Cristo. Perciò in essi non si riscontra nulla che possa farli deflettere dalla giustizia. Quindi essi sono resi idonei a giudicare, in quanto amano più di tutti la verità della giustizia. Secondo, a motivo del merito. Poiché all'umiltà corrisponde il meritc dell'esaltazione. Ora tra le cose che in questo mondo rendono un uomo disprezzato, la prima è la povertà. Ecco perché ai poveri è promessa la preminenza della potestà giudiziaria, in modo che «chi si umilia per Cristo venga esaltato ». Terzo, perché la povertà dispone al modo di giudicare di cui abbiamo parlato. Infatti da quanto abbiamo detto risulta che a un santo viene riconosciuta la funzione di giudice, perché il suo cuore sarà compenetrato di tutta la verità divina, potendo cosl manifestarla agli altri. Ora, nel progresso verso la perfezione la prima rinunzia che s'incontra è quella delle ricchezze esterne : perché queste sono le ultime ad essere acquisite ; e quanto è «ultimo nella produzione è il primo nel processo di distruzione ». Ecco perché tra le beatitudini, che segnano la via della perfezione, al primo posto troviamo la povertà.. Perciò alla povertà corrisponde come premio il potere di giudicare, in quanto essa è la prima disposizione all'esercizio di codesto potere. - Ed ecco perché i) potere suddetto non è promesso a- tutti i poveri, anche se volontari; ma a quelli che «abbandonata ogni cosa seguono Cristo » sulla via della perfezione. SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ : 1. Giustamente scrive s. Agostino : « Per il fatto che il Signore ha parlato di dodici troni non dobbiamo pensare che i dodici soltanto saranno chiamati a giudicare con lui : altrimenti, essendoci stata la sostituzione dcl traditore Giuda con l 'Aposto)o :Mattia, S. Paolo il quale ha lavorato più degli altri non otterrebbe un posto dove sedersi per giudicare ». Perciò « col numero dodici è stata indicata tutta la mo)titudinc dei giudicanti, perché abbraccia i due addendi del sette, '1ioè il tre e il quattro, che moltipHcati fanno dodici » : il dodici infatti è numero di perfezione. Oppure per il fatto che esso è composto di una coppia di sei che è numero perfetto. 1 O anche perché, stando al senso letterale, il Signore parlava ai dodici ApostoJi, in persona dei quali faceva tale promessa a tutti i suoi seguaci. 2. La verginità e il martirio uon predispongono al pari della 1
Queste riflessioni sul simbolismo dcl nwncro dodici si riscontrano quasi letteral-
GIUDICA~TI
E GIUDICA TI NEL GIUDIZIO
55
2. PRAETEREA, Matth. 19, super illud [v. 28], « Vos qui reliquistis omnia etc.», d.ic~t. Gl?ssa [ord.]: « 9u~ :cliquerunt omnia et secuti sunt Deum, hi iudices erunt : qui hc1ta habentes recte usi sunt, iudicabuntur ». Et sic idem quod prius. RESPONDEO DICENDUM quod paupcrtati debetur iudiciaria potestas specialiter propter tria. Prim?, ratiC?ne congruitatis .. Quia voluntaria paupertas est eorum qui, omnibus quae mundi sunt contemptis, soli Christo inhaercnt. Et ideo non est eis aliquid quod corum iudicium a iustitia deflectat. Unde idonei ad iudicandum redduntur, quasi verHatcm iustitiae prae omnibus diligentes. Secundo, per modum meriti. Quia humilitati respondet exaltatio pro merito. Inter omnia autcm quae hominem in hoc mundo despectum faciunt, praecipuum est paupcrtas. Unde et pauperibus cxcellentia iudiciariae potestatis promittitur, ut sic « qui propter Christum se humiliat, exaltetur & [Matth. 23, 12 ; Luc. 14, 11 ; 18, 14]. Tertio, quia paupertas disponit ad praedictum modum iudicand i. Ex hoc enim aliquis sanctorum indicare dicetur, ut ex dictis [a. l] patet, quia cor habcbit edoctum omni divina veritate, quam aliis potens erit manifestare. In progressu autem ad perfectionem primum quod relinqucndum occurrit, sunt exteriores divitiae : quia haec sunt ultimo acquisita ; «quod » autem « ultimum est in generatione, est primum in dcstrurtionc » [3 Ethic., c. 3, lect. 8]. Unde et inter b0atitudines, quibus est progressus ad perfcctionem, prima ponitur paupertas [Matth. 5, 3 ; Luo. 6, 20]. Et sic paupertati respondet iudiciaria potestas, inquantum est prima dispositio ad potestatem praedictam. - Et hinc est quod non quibuscumque pauperibus, etiam voluntaric, repromittitur potestas praedicta : sed illis qui, «relinquentes omnia, sequuntur Christum » [Matth. 19, 27, 28] secundum perfectionem vitae. An PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut Augustinus dicit, 20 De Oiv. Dei [c. 5] : « Nec quoniam super duodecim sedes sessuros esse ait, duodecim solos homines curo illo iudieaturos putare debemus : alioquin, quoniam in locum Iudae proditoris Apostolum Matthiam legimus ordinatum, Pau1us, qui plus aliis laboravit, uhi ad iudicandum sedeat non habl7bit. Unde duodenario numero significata est universa iud icantium multitudo, propter duas partes septenarii, scilicct tria et quatuor, quae in se ductae faciunt duodenarium » : duodf'narius autem est numerus perfectionis. Vcl propter hoc quod consistit in duplici senario, qui est numerus perfectus. Vel quia, ad Iittcram, duodecim Apostolis loquebatur, in quorum persona hoc omnibus eorum sectatoribus promittebat. AD SECUNDUM DICENDUM quod virginitas et martyrium non mente anche in S. Bonaventura (ofr. In 4 Sem., d. 47, a. l, q. 1, fine). Questa. concordanza ci ra ca.pire che per i medioevali il simbolismo numerico era un espe. diente didattico comune, in cui si esprimevano gli schemi tradizionali.
56
LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 89, aa. 2-3
povertà a ritenere nel cuore i decreti della giustizia di Dio. Come al contrario le ricchezze per la loro sollecitudine «soffocano la parola di Dio », secondo l'espressione evangelica. Oppure si deve rispondere che la povertà non basta da sola ad acquistare il merito del potere giudiziario : ma a lei corrisponde codesto merito, perché è il primo passo verso la perfezione. Perciò tra i passi successivi alla povertà, quali elementi della perfezione, si possono computare e la verginità e il martirio e tutte le altre opere di perfezione. Queste cose però non sono così principali come la povertà : poiché in ogni cosa la parte più importante è quella iniziale. 3. Colui che ha promulgato la legge, o che ha esortato al bene, eserciterà la funzione di giudice causalmente : poiché altri giudi· cheranno riferendosi alle sue parole. Perciò propriamente la facoltà di giudicare non corrisponderà quale merito alla predicazione o all'insegnamento. Oppure si può notare, secondo alcuni, che per la facoltà di giudicare si richiedono tre cose : primo, la rinunzia dci beni temporali, perché l'animo non sia impedito dal tendere alla perfezione della sapienza ; secondo, la conoscenza e l'osservanza abituale della divina giustizia ; terzo, l'insegnamento impartito ad altri di codesta giustizia. E allora l'insegnamento sarebbe il coronamento di quanto serve ad acquistare il merito del potere giudiziario. 4. Cristo nell'essere giudicato ingiustamente « umiliò se stesso » (egli infatti «fu immolato perché egli lo volle») ; e il merito corrispondente della sua umiltà è l'esaltazione implicita nel potere di giudicare, per cui, come dice S. Paolo, a lui sono soggette tutte le cose. Perciò il potere giudiziario è dovuto più a coloro ohe volontariamente si umiliano rinunziando ai beni temporali, per i quali gli uomini vengono onorati dai mondani, che a coloro i quali vengono umiliati dagli altri. 5. L'inferiore di autorità propria non può giudicare chi gli è superiore; egli però può farlo per l'autorità di chi è al disopra di essi, com'è evidente nel caso dei giudici delegati. Perciò niente impedisce che ai poveri [volontari] venga concesso come premio accidentale di giudicare gli altri, anche se questi hanno meriti superiori rispetto al premio essenziale.
ARTICOLO 3
Se gli angeli siano chiamati a giudicare. che gli angeli siano chiamati a giudicare. Infatti ; l. Nel Vangelo si legge: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria e assieme a lui tutti gli angeli ». 1 Ora, qui si parla della sua venuta come giudice. Quindi anche gli angeli sono chiamati a giudicare. · SEMBRA
GIUDICA~TI
E GIUDICA TI
~EL
GIUDIZIO
57
ita disponunt ad rctinendum in corde decreta divinae iustitiae sicut pauper~s : sicut e oontra~io e.xt.erio:e.s divitiae ex sua sollioitudine «suflocant verbum Dei », s1cut d1citur Luo. 8, 14. Vel dicondum quod paupertas non solum suffi.cit ad meritum iudiciariae potestatis : sod quia est prima pars pcrfeetionis, cui respondet iudiciaria potestas. Unde inter ea quae sequuntur ad paupertatem, ad pe.rfoctionem ~poetanti~, I?ossunt oomputarì et virginitas et. martyr1um et omnia perfcct1orus opera. Non tamen sunt ita principalìa sicut paupertas : quia principium est maxima . pars rei. An TERTIUM DICENDUM quod ille qui legem proposuit aut exhortatus est ad bonum, indica.bit causalìter loquendo : quia per oomparationem ad verba ab ipso proposita alii iudicabuntur. Et ideo non rospondet proprie potestas iudiciaria praedicationi vel doctrinae. Vel dicendum, secundum quosdam, quod tria requiruntur ad iudiciariam potestatem : primo, abdicatio temporalium curarum, ne impediatur animns a sapientiae petfcctione ; secundo, requiritur habitus continens divinam iustitiam scitam et observatam ; tertio, quod illam iustitiam alias docuorint. Et sic doctrina erit complens meritum iudiciariae potestatis. An QUARTUM DICENDUM quod Christus in hoc qucd iniuste iudicatus est, «seipsum humilia. vit )> [Ad Philipp. 2, 8] (« o blatus est » enim « quia voluit )) [Isai. 53, 7], (et meritum humìlitatis est iudiciaria exaltatio, qua ci omnia sub, scilicct exclusionem pcrpetuam a \Tision0 Dei : alias autcm pc)('nas scnsibiles non est inconveniens hominibus per daemoncs inftigi. In hoc tamen est differentia, quia meritum exaltat, scd peccatum deprimit. Unde, curo natura angelica sit altior quam humana, quidam propter exccllcntiam meriti in tantum exalt.abuntur quod talis exaltatio excedct altitu in maniera connaturale. Per accidens invece corrisponde alle esprcs-
LA VISIONE DELL'ESSENZA DIVINA
147
4. PRAETEREA, Augustinus, in libro De Videndo Deo [epist. cit. c. 11] : « Deum nemo vidit unquam »: « vcl in hac vita sicuti ips~ est ; vel in angelorum vita sicut visibilia ista quae corporali visione cernuntur ». Vita autem angelorum dicitur vita beata, in qua resurgentes vivent. Ergo, etc. 5. PRAETEREA, , ut dicitur in 3 De a. 2, Qc. 2 : I, d. 45, q. 3, a. I ; q. 20, e.a. 4, 5.
a Oonl.
Gent•• oo. 56, 59 ; De Verlt., q. 8, a. 4: ;
152
LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., q. 92, a. 3
Aristotele. Se quindi in quella beatitudine esso non conoscesse tutte le cose, rimarrebbe imperfetto. II che è assurdo. 6. Chi vede uno specchio vede le cose che risultano in esso. Ma nel Verbo di Dio risultano come in uno specchio tutte le cose: perché egli è la ragione e l'archetipo d'ogni cosa. Dunque i santi che vedono il Verbo per essenza, vedono tutte le creature. 7. Nei Proverbi si legge che « i giusti vedranno colmati i loro desideri». Ora, i santi desiderano conoscere tutte le cose : perché «tutti gli uomini per natura desiderano di conoscere », e d'altronde la natura non viene distrutta dalla gloria. Perciò Dio concederà loro di conoscere tutte le cose. 8. L'ignoranza è una delle penalità della vita presente. Ma la gloria toglierà ai santi ogni penalità. Quindi anche qualsiasi ignoranza. l)unquc essi conosceranno ogni cosa. 9. La beatitudine dei santi sarà prima nell'anima che nel corpo. Ma i corpi dei santi verranno trasformati nella gloria a somiglianza del corpo di Cristo, come insegna S. Paolo. Perciò anche le anime saranno perfette a somiglianza dell'anima di Cristo. Ora, l'anima di Cristo vedrà nel Verbo tutte le cose. Quindi tutte le anime dei santi vedranno nel Verbo tutte le cose. 10. L'intelletto al pari del senso conosce tutto ciò di cui riceve la forma. Ma l'essenza di Dio esprime qualsiasi cosa meglio di qualunque altra immagine di essa. Siccome quindi in quella visione beata l'essenza divina diviene quasi la forma del nostro intelletto, è chiaro che i santi nel vedere Dio vedono tutte le cose. 11. Averroè afferma che se l'intelletto agente fosse la forma dell'intelletto possibile, noi conosceremmo ogni cosa. Ora, l 'essenza divina rappresenta tutte le cose ben più chiaramente dell'intelletto agente. Dunque l'intelletto che vede Dio per essenza conosce tutte le cose. 12. Gli angeli inferiori vengono adesso illuminati da quelli superiori circa le cose che ignorano, perché non conoscono ogni cosa. Ma dopo il giorno del giudizio gli angeli non avranno più queste illuminazioni ; perché allora, come dice la Glossa, «cesserà ogni superiorità». Perciò anche gli angeli inferiori conosceranno tutte le cose. E per la stessa ragione le conosceranno tutti gli altri santi che vedranno Dio per essenza. IN CONTRARIO : l. Come insegna Dionigi, gli angeli superiori purgano gli inferiori hc, pur esistendo chiare definizioni circa l'P-tcrnità della pena dell'in ferno. non esistono definizioni circa l'ostinazione dei reprobi. Quest'ultima però si presenta come la spiegazione più logica o convincente della Prima. Di qui l'insistonza di s. Tommaso nel riproporla. in tutti 1 testi paralleli cita.ti sopro.. Anohe negli 1
4
VOLONTA' E
INTELLIGE~ZA
DEI DANNATI
293
damnati non habebunt bonam voluntatem [a. l]. Ergo damnati nunquam volent se non peccasse. Et sic idem quod prius. 3. PRAETEREA, secundum Damascenum [2 De fide orth., c. 4], «ghiera, né da parte della Chiesa militante, né da parte di quella trionfante. Adesso invece dobbiamo pregare per loro, 1 secondo le parole dell'Apostolo, «affinché Dio conceda loro il pentimento, e si liberino dai lacci del dia volo ». 3. La profezia comminatoria di un castigo allora soltanto è revo~ cata, quando cambia il merito di colui contro il quale era stata fatta. Di qui Ie parole di Geremia : «Io posso a ur:i tratto dire una parola contro una nazione e contro un regno per sradicarli,
ETER:\'"ITA' DELLE PENE
325
4. PRAETEREA, ad hoo facit quod in Psalmo [76, 8] dicitur:
«Nunquid in aeternum irascetur Deus ~ ». Sed ira Dei est eius punitio. Ergo Deus in aeternum homines non puniet. 5. PRAETEREA, Isaiae 14, super illud [v. 19], 6 Tu autem proiectus es etc. », dicit Glossa [interlin.] : e< Si omnes animae aliquando habebunt requiem, tu nunquam », loquens de diabolo. Ergo videtur quod omnes animae humanae aliquando requiem habebunt de poenis. SED CONTRA EST quod dicitur Matth. 25, 46, simul de electis et reprobis : «Ibunt hi in supplicium aeternum, iusti autem in vitam aeternam ». Sed inconvenicns est ponere quod iustorum vita quandoque finiatu.r. Ergo inconveniens est ponere quod reproborum supplicium terminetur. 2. PRAETEREA, sicut dicit Damascenus [2 De fide orth., c. 4], «hoc est hominibus mors quod angelis casus ». Sed angeli post casum irreparabiles fuerunt. Ergo et homines post mortem. Et sic reproborum supplicium nunquam terminabitur. RESPONDEO DICENDUM quod, sicut Augustinus dicit, 21 De Oiv. Dei [cc. 17, 18], quidam in hoc ab errore Origenis dcclinaverunt quod daemones posuerunt in perpetuum puniri, sed omnes homines quandoque liberari a poena, etiam infideles. - Sed haec positio omnino est irrationabilis. Sicut enim daemones sunt in malitia obstinati, et ita perpetuo puniendi, ita et animae hominum qui sine caritate decedunt : eum « hoc hominibus sit mors q uod angelis easus 1>, ut Damascenus dicit. An PRIMUM EltGO DICENDUM quod verbum illud est intelligendum de homine seeund urn genus suum : qui a a.b humano genere quandoque Dei indignatio est remota per Christi adventum. Sed illi qui in hac reconciliatione quae facta est per Christum, noluerunt esse vel permanere, in scipsis divina1u ira1u pcrpetuaverunt : cum non sit nobis aliquis modus reconciliationis concessus nisi per Christum. An SECUNDUM DICENDUM quod, sicut Augustinus dicit, 21 De Oi'V. Dei [e. 24], et Gregorius, 34 Moral. [c. 19] et 4 Dialog. [c. 44], quod sancti in hac vita ideo pro ini1nicis exorant, ut convertantur ad Deu1n : curo adhuc converti possint. Si enin1 esset nobis notum quod essent praesciti ad n1ortem, non magis pro eis quam pro daemonibus oraremus. Et quia post hanc vitam decedentibus sine gratia tempus conversionis non erit, nulla pro eis fiet oratio, neo ab Ecclesia militante nec a triumphante. Hic cnim pro cis orandum est, ut Apostolus dicit, 2 Tirn. 2, 25, 26, « ut det illis Dcns poenitcntiam, et resipiscant a diaboli laqueis ». An TJlJRTIUM DICENDUl\I quod prophetia co1nminatoria pocnac tunc solum immutatur quando variantur merita eius in qucm comminatio facta est. Unde Ierem. 18, 7, 8 : « Repente loquar adversus gentem et adversus regnum, ut eradicem et destruam et 1 Il discorso è piuttosto apocopato. È chiaro che questi ultimi non sono i dannati, ma i peccatori privi della grazia nella '1ta presente.
326
LA SO:\l:\:IA TEOLOGICA, Suppl., q. 99, aa. 3-4
rovesciarli e disperderli. Ma se quel1a nazione si sarà pentita del suo peccato, anch'io mi ripentirò dcl male che avevo divisato di farle». Perciò, siccome i meriti dei dannati non pos~ono mutare, la comminazione della pena si compirà in essi per sempre. Tutta via anche la profezia comminatoria in un certo senso si avvera sempre. Poiché, come nota S. Agostino oommentando il libro di Giona, « Ninive che era perversa fu distrutta, e fu edificata la Ninive buona che non esisteva: pur restando intatte le mura e le case, la città fu distrutta nei suoi costumi depravati». 4. Le parole dcl Salmista si riferiscono ai «vasi di misericordia» i quali non si sono resi indgni della misericordia divina : poiché nella vita presente, una certa ira di Dio, che si manifesta nelle miserie della vita, fa mutare in mC'glio i vasi di misericordia. Di qui le successive parole dcl Salmista : «Questo è un mutamento della destra dell 'Altist:1imo ». Oppure le Fiuddette parole vanno riferite alla misericordia che condona qualche cosa, o non a quella che libera totalmente, se si vogliono applicare anche ai dannati. Ecco perché il Salmista non si domanda se Dio «distoglierà le sue misericordie dall'ira», bensi «nell'ira»; perohé la pena non verrà eliminata del tutto, ma mentre essa perdura la misericordia interverrà a diminuirla. 5. La Glossa suddetta non parla in senso assoluto, ma per ipotesi impossibile, per mettere in risalto la gravità del peccato, o del diavolo stesso, o di Nabucodonosor.
ARTICOLO 4 Se almeno la pena dei cristiani venga abbreviata dalla divina misericordia.
SEMBRA che almeno la pena dei cristiani venga abbreviata dalla divina misericordia. Infatti : I. Nel Vange]o sta scritto : « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo». Ora, questo :::i è verificato per tutti i cristiani. Dunque tutti i cristiani dovranno finalmente salvarsi. 2. Il Signore ha detto : «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ». l\ia questo cibo e questa bevanda sono comuni a tutti i cristiani. Perciò tutti i cristiani in definitiva dovranno sai varsi. 3. S. Paolo scrive : «Se l'opera di qualcuno sarà bruciata, ne soffrirà danno ; egli però sarà salvo, cosi però come attraverso il fuoco » ; e parla di coloro che hanno avuto il fondamento della fede cristiana. Perciò tutti costoro finalmente si salveranno. IN CONTRARIO: 1. Sta scritto : «Gli iniqui non possederanno il regno di Dio». Ora, certi cristiani sono iniqui. Dunque non tutti i cristiani raggiungeranno quel regno. E quindi saranno puniti eternamente.
ETERNITA' DELLE PENE
327
disperdam illud. Si poenitentiam egerit gens illa a malo suo, agam et ego poenitentian1 super malo quod cogitaveram ei ». Unde, cum damnatorum merita mutari non possint, comminatio poenae semper in eis implP bitur. - .N ihilominus tamen prophetia comminationis sen1per quantum ad aliquem intellectum impletur. Quia, ut dicit Augustinus, in praedicto libro [21 De Civ. Dei, c. 24], «eversa est Ninive quae mala erat, et bona aerlifìcata est, quae non erat : stantibus enim moenibus atque domibus, eversa est civitas in perditis moribus ». AD QUARTUM: DICENDl7M quod i1Iud verbum Psalmi pertinet ad . Perciò dannati e anime purganti non sono puniti né dallo stesso fuoco né nell'identico luogo.
IL PURGATORIO
339
Et ideo illi qui purgatorium negant, contra divinam iustitiam loquuntur. Et propter hoc erroneum est, et a fide alienum. Unde Gregorius Nyssenus post praedicta [s. c. 2] verba subiungit : «Hoc praedicamus dogma veritatis servantes, et ita credimus ». Hoc otiam universalis Ecclesia tonot, «pro defunctis exorans ut a peccatis solvantur » : quod non potcst nisi de illis qui sunt in purgatorio intolligi. Ecc)esiae autom auctoritati quicumque resistit, hacresim incurrit. An PRIMGX ERGO DICENDU:\'I quod auctoriLas illa loquitur de labore operationis ad merendum, et non de labore passionis ad purgandum. An SECUNDUM DICENDUM quod m,alum non habct causam perfectam, sed « cx singularibus defectibus contingit : sed bonum ex una causa perfecta consurgit », u t Dionysius dicit [De Div. Nom., c. 4, lcct. 22J. Et ideo quiJibet defectus i1npedit a perfectione boni, sed non quodlibet bonum impcdit consun1mationem aliquam mali : quia nunquam est malum sine aliquo bono. Et ideo peccatum veniale impedit habentem caritatem ne ad perfectum bonum dcvcniat, scilicet vita1n aeternam, quandiu purgatur. Sed peccatu1n mortale non potcst impcdiri per aliquod bonum adiunctum quominus statim ad ulthnum rnalorum perducat. An TER'l'IUl\I DICENDUM quod ille qui in pcccatum n10rtale incidit, omnia bona ante acta mortificat, et quae in peccato n1ortali existens facit, mortua sunt: quia ipse, Dcum offendens, on1nia bona meretur an1ittere, quae a Deo habct. Unde ei qui in peccato mortali decedit, non 1nanct aliquod praemium post hanc vitam : sicut manet aliquando poena ci qui in caritate decedit, quae non semper delet omne malu1n quod invenit, sed solum hoc quod est sibi contrariuru.
ARTICULUS 2 Utrum sit idem locus quo animae purgantur, et quo damnati puniuntur. (4 Sent •• d. 21, q. 1, a. I, qc. 2)
An SECUNDU)I SIC PROCEDITUR. Videtur quod non sit idem locus quo animae purgantur, et quo da.mnati puniuntur. Quia poena damnatoru1n est aetorna : ut dicitur Matth. 25, 46 : « lbunt hi in ignen1 aeternum ». Sed purgatorius ignis est temporalis : ut supra [d. 21, cc. Solct otia1n, In illo] l\lagister dixit. F~rgo non si1nul puniuntur hi et illi eodem igne. Et sic oportct loca esso dist.incta. 2. PRAETEREA, poena inforni nominatur pluribus nominibus : ut in Psalmo [10, 7], « ignis, sulphur et spiritus procellarum, etc. ». Sed poena purga tori i non nisi uno nomine nominatur, seilicet «ignis ». Ergo non eodem igne et eoden1 loco puniuntur. 1
Si allude forse ai documenti di Gregorio lll o di Innocenzo III (cfr. DE!'."Z.-S., 583, 797).
340
LA SOMMA TEOLOGICA, Suppl., App. I, a. 2
3. Ugo di S. Vittore ha scritto : «È probabile ehe essi vengano puniti nel luogo in cui commisero le loro colpe ». - E S. Gregorio stesso narra che S. Germano, vescovo di Capua, trovò Pascasio a fare il suo pur~atorio nei bagni pubblici. Perciò le anime non si purificano nell inforno, ma in questo mondo. IN CONTRARIO : 1. S. Gregorio afferma, che «come sotto l'azione del medesimo fuoco l'oro risplende e la paglia fa fumo, così dal medesimo fuoco i peccatori vengono bruciati e gli eletti purificati». Dunque il fuoco del purgatorio è identico a quello dell'inferno. E quindi si tratta del medesimo luogo. 2. I santi patriarchi prima della venuta di Cristo erano in un luogo più no bile di quello che attualmente serve a purgare le anime dopo la morte= perché essi non soffrivano nessuna pena sensibile. Eppure quel fuoco confinava con l'inferno, o s'identificava oon esso ; altrimenti col discendere al limbo non si sarebbe potuto dire ohe Cristo «discese agl'inferi ». Perciò anche il purgatorio o è nell'identico luogo dell'inferno, o confina con esso. RISPONDO : Del luogo del purgatorio non è determinato nulla espressamente nella Scrittura, e le ragioni che si possono addurre non possono risolvere il problema. Tuttavia probabilmente, più in armonia con quanto dicono i Santi Dottori e con le rivelazioni fatte a molte persone, esistono due luoghi per fare il purgatorio. Il primo è secondo la legge comune. E questo è un luogo sotterraneo contiguo all'inforno, al punto che l'identico fuoco il quale tormenta i dannati nell'inforno, purifica i giusti che sono in purgatorio : sebbene i dannati, essendo inferiori nel merito, sono da collocare anche localmente al di sotto di essi. 1 Il secondo luogo per fare il purgatorio è quello accordato per una dispensa. E così si legge di alcuni che sono stati puniti in diversi luoghi : o per ammaestramento dei vivi; o per un aiuto a favore dei morti, in modo ehe, venendosi a conoscere da parte dei vivi, la loro pena venisse mitigata cea.to originR,le è un pna del senso corrisponde al piacere della colpa, secondo le parole dell'Apocalisse: «Quanto s'è gloriata cd è stata nelle delizie, ecc. ». Ebbene, nel peccato originale non c'è nessun piacere, come non c'è nessun'opcrazione : poiché il piacere accompagna l'operare, come nota Aristotele. Perciò al peccato originale non è dovuta una pena sensi bile. 1 RISPONDO : La pena dev'essere proporzionata alla colpa, secondo l'affermazione di Isaia: «In misura rimisurata la punirai gettando1a nell'esilio ». Ora, il difetto che si trasmette mediante l'origine, e che ha l'aspetto di colpa, non è costituito dalla sottrazione o dfatruzione