La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali [PDF]

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Zitiervorschau

Ernesto de Martino

LA FINE DEL MONDO CONTRIBUTO ALL'ANALISI DELLE APOCALISSI CULTURALI

A cura di Oara Gallini

Giulio Einaudi editore

Copyright© I977 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Indice

p. rx

xcv

Introduzione di Clara Gallini Nota redaz.ionale

La fine del mondo 3

Prefazione

xr

Capitolo primo

IJ

268

Documentazione psicopatologica ty .1. Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo 1. 1.2. Mutamento di significato r.I.J. Contenuto fobico . I. 1.4. Derealizzazione e depersonal.i.zzazione I.I.J. Delirio di negazione (sindrome di Cotard) I .I .6. Paranoia di distr112ione (reazione di Sansonc) r.r. 7. Mania e melancolia 1.1.8. Catatonia, schizofrenia I.2. Normalità e anormalità 1.2.1. Normalità e anormalità I.2.2. Letture critiche 1.3. Il caso del contadino bernese 1.4. Ilritualedel«mundus& ~- L'eterno ritorno ~.I. lterazione mi tico-rituale e tempo ciclico 1._5.2. Letture critiche I.J.J. Ilsimbolismomitico-rituale I.J-4· Storia, storiografia e storiogralÌa religiosa

14

86 92 94 113 I I8 I I9

133 I68 168

I8I

I94 2I2

2I8 2I 8

230

260

Mundus

I.I.

z83

Capitolo secondo

284

2.1.

304

2 .2.

Ipotesi di lavoro Letture critiche

Il dramma dell'apocalisse cristiana

VIII

p. 336 3.51

Indice 2.3. 24.

Fonti ncotestamentarie Dalla metastoria alla storia

359

Capitolo terzo

361: 367 389

3.1. 3.2. 3·3·

41.5

Capitolo quarto

41:7

4.1. 4.2. 4·3·

423

446

Epilogo

465 466 481

~.I.

55 5 555

6oo 628 629 636 653 668

Il dramma delPapocalisse marxiana

Apocalisseerivoluzione L'umanesimo marxiano Marxismo e religione

463

,504

Apocalisse e decolocizzazione

Ipotesi dilavoro Letturecritkhe L'umanesimo etnografico

L'apocalisse moderna

~-s."j:1:. L'apocalisse dell'occidente

5.x~2. Letture critiche: saggistica 5-I.-J. Letture critiche: opere letterarie 5 .i Il corpo e il mondo j.2.I. Letture critiche ,5.2 ..1. Le tecniche del corpo .5·3· L'ethos del ttascendimento 5·3·1. Fine del mondo come crollo dell'ethos del trascendimento 5·3·2. Mondo dato, natura e utilizzazione culturale 5·3·3· Vitale, economico, utile, valore, presenza 5·3·4· L'ethos del trascendimento

Appendice 687

Titoli possibili: Per una ricerca sulle apocalissi nell'attuale congiuntura culturale. Apocalìssi africane, apocalissi del terzo mondo e apocalisse europea. Prospettive etnologiche e antropologiche di una ricerca sulle apocalissi. Raccolta di letture critiche di Croce, Paci, Abbagnano, Heidegga-, Husserl

701:

Bibliografia Indice flnalitico

Introduzione

I.

Le note preparatorie a -«La fine del mondo». Leggere un'opera postuma, e ancor piu mettervi mano per pubblicarla, non è un'operazione indolore. Si perpetra una violenza tra le piu radicali: quella contro un morto, che ha scritto certe cose soltanto per sé e non ha piu la possibilità di intervenire criticamente sulle proprie pagine, trasformandole da discorso privato in messaggio pubblico. D'altra parte, un manoscritto interrotto è una provocazione diretta per tutti noi, che siamo rimasti. È qualcosa che avrebbe potuto, e voluto, essere in piena responsabilità, e della cui mancata realizzazione è imputabile una legge naturale che concerne tutti gli uomini, ma che concede solo ai suicidi la facoltà di scelta dei modi e dei tempi di esecuzione della sentenza. Ed ecco il nostro metter mano all'altrui opera interrotta, mediante una tecnica impositiva, che non è poi tanto distante da quei comportamenti cannibalici, cui giustamente De Martino attribuiva un intento di appropriazione del morto, al fine di assicurarne la continuazione sociale. Il nostro gesto unidirezionale si giustifica solo se si tien conto che quella che è stata interrotta, pur nella sua imperfezione (nel senso etimologico della parola), è un'opera di indubbio significato culturale, i cui messaggi essenziali sono almeno in parte recuperabili al silenzio e riproponibili a un'attenzione attuale. Quello che qui pubblichiamo non è un complesso strutturato, sulla via di una definizione formale, che ne avrebbe fatto un libro compiuto. Si tratta piuttosto di un insieme di note, piu o meno lunghe, piu o meno argomentate, da cui l'Autore avrebbe attinto per un'ulteriore stesura, che sarebbe stata quella definitiva del saggio su La fine del mondo. In prima approssimazione, potremmo indicare questo insieme come un complesso materiale preparatorio per un libro, che non poté essere scritto. Si tratta di un'opera incompiuta non tanto per quantità, quanto per qualità, nel senso che essa rappresenta la fase intermedia di un progetto.

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Clara Gallini

Quale fosse l'argomento del libro e la sua tematica centrale lo dice l'Autore stesso, in un Progetto dell'opera, in cui sommariamente ne tratta gli argomenti principali (organizzandoli anche secondo un abbozzo di capitoli) e il quadro teorico generale di riferimento. È il grande tema della fine del mondo, esaminato nel suo duplice aspetto di fine con o senza riscatto culturale. L'Occidente borghese vive oggi ed esprime simbolicamente (attraverso la letteratura, le arti figurative, la musica) il senso della propria fine: è un'apocalittica senza speranza, perché non è in grado di configurare in prospettiva nessun futuro diverso, nessuna paliogenesi'. In significativa opposizione, numerosi movimenti di decolonizzazione si organizzano oggi in chiave antibianca secondo modelli apocalittici positivi: come a suo tempo avvenne per i primi cristiani, anche per loro l'attesa di una prossima fine del mondo fonda ideologicamente un processo di costituzione di nuovi e diversi rapporti sociali, preludio di libertà. Si tratta- per l'Occidente e per il Terzo Mondo- solo di scelte storiche radicalmente diverse, o non piuttosto di una complessa dialettica, che nell'ambito di un momento storico unitario, vede da un lato emergere nuove forze culturali e dall'altro mettere in causa vecchie e radicate egemonie? Da questo interrogativo attuale altri ne partono, come invito a una riflessione critica sul senso dei nostri destini culturali e sulle nuove direzioni che ad essi si dovrebbero imprimere, se non si vuol cadere, come l'Occidente sta rischiando, nell'apocalisse della fine dei valori. Come si diceva, quelli che noi leggiamo sono appunti preparatori al libro. Frutto almeno di cinque anni di ricerca, furono interrotti solo alla vigilia della morte, giunta quasi repentina nel maggio I 9 6 5. Di questo grande progetto, poco ne era stato fatto conoscere all'esterno: una breve comunicazione su Il problema della fine del mondo al convegno di Perugia del r963 1 e il ben piu importante saggio Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche nella rivista «Nuovi Argomenti» del r964 '.Di un'altra comunicazione inedita, relativa alle apocalissi culturali del Terzo Mondo, riportiamo in Appendice il testo, molto utile per una ricostruzione della visione globale demartiniana sull'intera problematica. Quanto alle note preparatorie a La fine del mondo, si tratta di pagine 1

Il problema della fine del mondo, in AA.vv., Il mondo di domani, Olski, Roma I964, pp.

2;!j·}I. 2 Apocdissi culturali e apocalini psiçopa/ologicbe, in • bre I964, pp. I05·4I.

~Nuovi Argomenti~, 69·7I,

luglio-dicem.

Introduzione

XI

già approssimativamente divise dall'Autore secondo blocchi di argomenti e che- per quanto siano state stese per la maggior parte nella prima metà degli anni '6o- con buona probabilità inglobano anche un certo numero di appunti di origine precedente e destinazione diversa. È comunque impossibile una datazione piu precisa dei singoli appunti. Nel complesso, ci troviamo di fronte a un materiale vastissimo e allo stesso tempo frammentario, di cui non riesce sempre facile una presa complessiva. Nonostante la sua mole- anzi, in misura direttamente proporzionale ad essa -l'insieme di queste note sembra riferirsi a un livello di elaborazione relativamente iniziale, precedente a una avanzata strutturazione e stesura del libro. Consta infatti per lo piu di ipotesi di lavoro relative al tema principale o ad argomenti piu specifici, oppure di riflessioni storico-antropologiche o filosofiche di carattere teorico piu generale. In alcuni casi soltanto ci troviamo di fronte a pagine che potrebbero rappresentare una stesura quasi definitiva di brani da inserire nel libro. È anche lecito supporre che la stessa fase di raccolta del materiale non fosse stata ancora completata dall'Autore. Ad esempio, mentre le parti relative all'apocalisse cristiana sembrano essere a uno stadio relativamente avanzato, non è cosi per la parte relativa alle apocalissi dei movimenti di decolonizzazione. Sembra anzi che nel complesso esista un notevole scompenso tra la consistenza degli appunti che concernono le diverse apocalissi culturali - cui è riservato uno spazio relativamente limitato -e il resto delle note di vario carattere generale - che sono assai numerose, ricchissime e aprentisi in direzioni molto diverse. La crisi della presenza e in particolare le forme del «delirio di fine del mondo», la struttura e la funzione del simbolismo mitico-rituale, il senso della storia, la metodologia storica, le nuove direzioni che deve intraprendere l'umanesimo etnografico: ecco alcuni di quei temi collaterali, che contribuiscono all'arricchimento e alla risonanza di queste note tanto complesse. La ricerca sembra quindi aprirsi verso tutte le possibili direzioni che sono proprie dell'universo teorico di De Martino. È vero che conosciamo solo a grandissime linee le intenzioni dell' Autore circa l'organizzazione del materiale, le successioni dei temi e soprattutto lo spazio riservato a ciascuno di essi nella stesura definitiva del libro. Immaginarci quale avrebbe potuto essere questo ipotetico libro ci sembra d'altra parte inutile esercizio retorico. Vale già di per sé la realtà delle note che ci troviamo davanti, e che paradossalmente (ma non troppo) ci stimolano proprio in virtu della loro peculiarità di note non definitive.

XII

Clara Gallini

Potremo inizialmente provar tedio di fronte alla ripetizione di brani, che hanno tutte le caratteristiche di iterate variazioni su un tema. Ma poi ci accorgeremo che anche questo fa parte di una ricerca, e il ritrovare altrove, entro contesti differenti, lo stesso tipo di riflessioni ci diventerà segno di un provare e riprovare su oggetti diversi le stesse ipotesi teoriche. Oppure, al contrario, al di là delle ripetizioni, ci potremo inizialmente perdere tra queste note come in un labirinto, tante sono le apparenti deviazioni dal tema, cui l'Autore di continuo ci sollecita. Ma alla fine, da qualsiasi punto avremo iniziato la nostra lettura, ci troveremo ad aver percorso uno spazio che è esattamente quello che De Martino ha voluto. Potremmo anzi dire che ogni pagina, per quanto riferibile a una tematica dominante, contiene in sé il riferimento all'intero delle coerenze dell'Autore. E al di là del contenuto di ciascuna di esse- rispetto al quale possiamo esprimere consenso o dissenso- resta l'esempio dell'eccezionale vitalità di uno studioso, che si pone di fronte a una grande varietà di stimoli culturali deliberatamente selezionati e che reagisce ad essi in modo autonomo e del tutto coerente alla propria linea. Ed ecco che quanto all'inizio ci sarebbe potuto sembrare una mancanza- il fatto di non poter disporre di un libro in stesura definitivaviene a tramutarsi in positìvità. Ci è dato infatti di entrare nel vivo di un lavoro intellettuale in atto, con tutto il fascino e le sollecitazioni infinite che questo tipo di esperienza comporta. Leggiamo dunque queste note non come un'opera incompiuta, ma come un'opera aperta. I tre livelli di lettura. La struttura formale di La fine del mondo ci è nota solo a grandissime linee, in prima approssimazione corrispondenti alla divisione in capitoli proposta da De Martino nel Progetto dell'opera. Ed a questa abbiamo cercato di attenerci, nella misura del possibile, nell'organizzazione dei brani operata in sede redazionale. Ad ogni buon conto, anche se la conoscessimo meglio, non sarebbe che una struttura empirica, e quindi limitatamente significativa. Diventa allora piu interessante cercare in altre direzioni, eventualmente alla ricerca di quelle sequenze logiche interne, di quei possibili diversi piani di lettura che sottendono un'opera dall'argomento. senza dubbio unitario, per quanto arricchito di tematiche collaterali. Solo mediante questa operazione ritroveremo l'unitarietà del pen-

Introdu:done

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siero demartiniano all'interno dell'apparente dicotomia tra speci:fìcità e dispersione. Di fatto, questi possibili diversi piani di lettura si compongono entro una struttura logica che non è soltanto propria di La fine del mondo, ma che ritroviamo in tutte le opere demartiniane, a partire da Il mondo magico, anche se di volta in volta l'enfasi della scrittura può cadere piu sull'uno che sull'altro dei livelli che ne compongono l'insieme. Di questi livelli ne possiamo individuare tre, a loro volta corrispondenti a tre momenti dell'analisi. Risultano oggettivamente distinti l'uno dall'altro, ma anche dialetticamente interconnessi e interagenti, di modo che l'uno appare sempre imprescindibile da tutti gli altri. Sono i livelli dell'analisi storico-culturale, dell'analisi psicologica e di quella antologica. Partiremo da quel livello che De Martino avrebbe valutato come fondamentale: il livello antologico. Qui, è la problematica della presenza, intesa come presenza al mondo, come Dasein, di cui viene problematizzato il ci, cioè il qui-ed-ora dell'esserci. Relazione. che si fa~ di volta in volta, concretamente nella storia, comporta dunque un duplice e interrelato costituirsi entro forme specifiche sia della presenza che del mondo. Il farsi della presenza e del mondo si realizza nella costituzione di orizzonti storico-culturali determinati. Ma è anche costantemente minacciato dal rischio del crollo di tali orizzonti, che comporta di necessità anche il rischio di crollo della presenza al mondo. Questa minaccia, che si annida nel cuore dello stesso esserci, costin1isce un rischio antropologico costante; che peraltro il mito e il rito si fanno carico di segnalare e di .c.ontrollare, per operare sempre nuove forme di :reintegrazione culturaleJ D'altra parte, ciò che rende possibile questo continuo e progressivo riaflermarsi e rinnovarsi dell'esserci, difendendolo dal rischio di un crollo e assieme consentendogli di andare oltre i contenuti frenanti del momento critico, è una qualità propriamente umana, che De Martino indica come «ethos superumano del trascendimento)). · Nel complesso, tutto lo sforzo teorico sembra indirizzato verso la continuazione di quell'eterodosso tentativo - già intrapreso ne Il mondo magico - di messa in causa dello storicismo crociano attraverso il reimpiego critico di alcune categorie proprie dell'esistenzialismo e della fenomenologia. Quanto al livello antologico, è di fatto Il mondo magico a rappresentare - in misura molto maggiore che non i libri successivi - il punto di riferimento teorico qualificante, da cui partire per ulteriori esplorazioni. Non è certo un caso che entrambi i titoli delle due opere si organizzino attorno a questa parola-chiave di «mondo», indicato come

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Clara Gallini

l'oggetto da verificare sia in sede teorica che in sede storico-culturale. In Il mondo magico è la messa in causa della datità dell'esserci (sempre da intendersi come esserd-nel-mo.Pdo) e Pindicazione di quel particolare «mondo» culturale, il mondo· magico, che si costituisce come orizzonte di una presenza e di un mondo non ancora postisi come dato, ma proponentisi essi stessi come problema. In La fine del mondo è piuttosto lo sforzo teorico di individuare il nucleo originario di quelle drammatiche potenzialità di crollo e assieme di superamento, che si contendono lo stesso realizzarsi dell'essere della presenza-al-mondo. In questo quadro, costituisce novità qualificante, rispetto all'opera precedente, l'individuazione del principio trascendentale del trascendimento, inteso come ethos che rende possibile l'esserci-nel-mondo secondo forme culturali, di volta in volta storicamente determinate. Il problema di come si realizzi l'unità trascendentale dell'autocoscienza era glà stato posto in Il mondo magico, ma solo come indicazione di una questione che rimaneva aperta. Qui assurge ad oggetto da enucleare, e di cui si finisce per scoprire il valore di radice di tutte le possibili umane radici. Il secondo livello di lettura è quello che in prima approssimazione abbiamo indicato come livello psicologico e/ o psicopatologico. Per De Martino, è nel campo della definizione della presenza- da intendersi qui come «io» e come «persona»- entro il sistema dei riferimenti corporei e oggettuali che si dànno i termini reali del conflitto tra rischio di crisi e suo eventuale superamento. Le modalità del «delirio di fine del mondo>> che sembrerebbero proprie (anche se non esclusive) di certi stadi avanzati della schizofrenia vengono interpretate come manifestazione dl un crollo della presenza, che è assieme crollo di tutti i possibili significati della relazione io-mondo. Per converso, il costituirsi di uno schema corporeo e di un tessuto di definiti riferimenti oggettuali risulterà, per cosi dire, la manifestazione primaria di un corretto binomio io-mondo. Appaiono qui espliciti e deliberatamente ricercati i riferimenti non solo alla letteratura psichiatrica piu tradizionale, ma anche e soprattutto alla Daseinanalyse binswangeriana e alla fenomenologia di Merleau-Ponty, cui basti per il momento solo accennare. Ma anche a questo livello di ripensamento critico di un filone teorico assai vasto e non sempre omogeneo, emerge sin d'ora la novità della ricerca demartiniana, nella misura in cui tenta di dare dimensione sociale e culturale all'analisi del rapporto io-mondo. Gli schemi di riferimento a livello corporeo e oggettuale sono prodotti storici collettivi; la perdita di una individuale presenza-al-mondo indica il limite di

Introduzione

xv

un'intera cultura e il rischio dl una generalizzabile possibilità di catastrofe.

--

Quanto al terzo livello, quello dell'analisi etnografica e storico-culturale, potremmo ascrivervi -anche se con una certa forzatura, che però appare come tale oggi a noi, ma non ieri a De Martino- tutte quelle tematiche di fine del mondo, catastrofiche o ottimiste, che assumano consistenti dimensioni collettive. In entrambi i casi- né potrebbe essere diverso, date le premesse teoriche- l'immagine che ne esce sembrerebbe quella di un'opposizione speculare. I casi di crisi della presenza al mondo si configurano entro i termini spazio-temporali di un disagio della civiltà, cui non si riesce ad opporre alcuna forma di soluzione culturale: ed è allora la fine~ Al contrario, l'ethos del trascendimento risulterà vincente in tutte quelle situazioni, storicamente individuate, in cui la collettività sia giunta al controllo e al superamento culturale della crisi. Qui si innesta lo specifico interesse di De Martino per quelle tecniche che egli indica col nome di simbolismo mitico-rituale, e che ritiene si caratterizzino per la loro specifica funzione risolutoria, proprio in quanto simboli sodalizzanti. Ed è anche qui che De Martino compie il massimo sforzo teorico nel tentativo di realizzare il passaggio dai piani ontico e psicologico a quello dell'individuazione storica di concreti fenomeni culturali. Rivendicando l'istanza (che egli sottolinea come eredità crociana) di una concreta verifica nell'hic et nunc dello storicamente individuato, passerà all'esame delle precise e irripetibili coordinate spazio-temporali, che sono proprie a ciascun mondo culturale dato. Documentazione storiografica e documentazione etnografica diventano qui il livello privilegiato dell'analisi. Lo stato degli appunti non ci permette di ricostruire con sufficiente precisione Io spazio che De Martino avrebbe dedicato, nella stesura definitiva del libro, a ciascuno dei grandi temi presi in esame. Ci è lecito comunque presumere che - nonostante l'importanza fondamentale attribuita al primo e al secondo livello di analisi e nonostante lo spazio reale occupato da essi all'interno degli appunti che d sono rimasti - questo terzo livello fosse quello ritenuto da De Martino specifico e qualificante. Come si è già accennato, gli appunti relativi alle apocalissi del Terzo Mondo- cui peraltro avrebbe dovuto dedicare un intero capitolo- sono troppo scarsi e frammentari perché se ne possa ricavare qualche indicazione men che generica, almeno per quanto riguarda l'approfondimento dei singoli movimenti storicamente dati. Viene comunque ribadita la

XVI

Clara Gallini

funzione, che è soprattutto attuale, dell'interesse conoscitivo per i movi· menti di decolonizzazione: le apocalissi culturali del Terzo Mondo vanno viste e considerate nel piu vasto contesto delle apocalissi culturali del mondo moderno e contemporaneo, fatto che doverosamente comporta la necessità di un continuo confronto tra noi e gli altri e una messa in causa dei canoni giudicanti dell'etnologia tradizionale. Lo spazio che gli appunti riservano allo studio delle apocalissi culturali del mondo antico (e in particolare del protocristianesimo) è al contrario molto ampio, con la possibilità di estendere l'analisi verso direzioni interne quanto mai articolate. Qui, il .filo logico che sottende laricerca sulle diverse concezioni del «mondo)) e della sua «fine» sembra specifìcarsi nell'individuazione del variare storico della categoria «tem· p o». Ci troviamo di fronte a una trasposizione sul piano della ricerca storico-culturale di premesse pertinenti allivello della ricerca antologica: al pari del Tempo entro cui si dispiega l'Essere (per cui essere-nel-tempo e essere-nel-mondo finirebbero per essere equivalenti), il tempo storico con le forme contingenti e specifiche della sua progettualità diventa l'asse portante di una struttura da analizzare in sede storico-culturale. Ci riserviamo di discutere piu avanti tutti i limiti di una trasposizione, che ci sembra indubbiamente azzardata. Sta di fatto però che gli appunti sulla concezione del tempo nel mondo antico - dal tempo ciclico delle civiltà agrarie, fondato sulla concezione di una periodica morte e rinascita dal mondo, al tempo lineare proposto dal cristianesimo come nuovo orizzonte del mondo e della storia- contengono delle indubbie acquisizioni nel campo della ricerca storico-religiosa. Qui, De Martino sembra riprendere e continuare tematiche già toccate in opere precedenti, e specialmente in quelle parti di Morte e pianto rituale nel mondo antico, in cui confronta le due diverse concezioni del tempo e della storia proprie delle civiltà precristiane e cristiana. Ma la ricerca si allarga considerevolmente, in entrambe le direzioni. Il rituale romano del mundus patet -la fossa mundiale, centro del mondo, che una volta l'anno si spalanca per consentire l'uscita delle anime dei defunti, in una sorta di momento apocalittico rigorosamente controllato nella sua scansione temporale- diventa occasione per un ripensamento piu generale circa la struttura delle categorie di spazio e di tempo (a loro volta componenti fondamentali della categoria «mondo») nell'ambito delle concezioni religiose del mondo antico. Quanto all'apocalittica del protocristianesimo, le pagine ad essa riservate sono forse tra le meno discutibili e caduche di tutto il libro. Le novità sono almeno due: l'interpretazione, in chiave di crisi del cordoglio,

Introduzione

XVII

dei segni apocalittici immediatamente seguenti la morte di Cristo e delle stesse riapparizioni di Cristo sotto forma di «fantasma»; il lavoro culturale, da parte dei primi gruppi di cristiani, di differimento in un tempo sempre piu distante di una fine del mondo e di una parusfa, all'inizio intesi come dramma imminente e carico di minacce. Il differimento della parus!a avrebbe appunto comportato la costituzione di un largo orizzonte di operabilità culturali e, all'interno di esso, il sorgere di una nuova concezione del tempo e della storia. Passiamo ora sul versante opposto: quello della possibilità di un:crollo dell'Essere e del Tempo. Questo rischio di fine può essere çorso non solo a livello individuale, ma anche a livello di intere culture. De Martino crede di individuarne almeno due esempi, entrambi parte del dramma del mondo contemporaneo. Da un lato, alcune culture extraeuropee, sopraffatte dalla dominazio· ne bianca, si sono destrutturate ed hanno espresso le loro voci di agonia elaborando miti di una prossima fine del mondo, senza riscatto. · Dall'altro, l'Occidente- che pur tuttavia ha elaborato strumenti per un approccio .alla realtà non piu- di esclusivo stampo· magico-religioso è esso stesso travagliato da una crisi di valori, che soprattutto concerne i livelli della cultura borghese dominant~. Rifiutando di analizzarsi entro corretti termini di classe, il disagio si estrinseca qui come crisi allp stato puro, elaborandosi in complessi deliri apocalittici, in cui è di scena la malattia del rapporto tra io-corpo e mondo-oggetti. È contro questa minaccia che oggi siamo chiamati a combattere, per prospettarci un diverso mondo futuro, in cui si liberino finalmente i valori dell'intersoggettività. La concezione marxista dell'uomo e della storia starebbe indicando una nuova strada di elaborazione laica di questi valori, che si devono riconoscere come umani e storici. Ma comporterebbe anch'essa due elementi da criticare: sul piano teorico, non riconoscerebbe la funzione fondamentale assolta dall'ethos superumano del trascendimento; sul piano teorico-pratico, si proporrebbe talvolta piu come utopia che come reale strumento di incidenza sulla storia della lotta di classe. E anche da questo modo «apocalittico» di concepire e vivere il marxismo bisognerà attentamente guardarsi. È di fatto tutta da inventare e fondare ex novo un'etica laica che radichi i propri valori sul riconoscimento dell'origine e destinazione umana dei beni culturali. Per giustificare filosoficamente questa ricerca, si dovrà anzitutto tener conto che l'essere-nel-mondo è piuttosto un esserci-nel-

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Clara Gallini

mondo, a sua volta un essere insieme, che si caratterizza anzirutto secondo gli aspetti di una necessità doverosa. La stessa partecipazione politica non è dunque che uno dei possibili modi per schierarsi con quelle forze sociali e culturali che oggi si battono per la costruzione di un mondo migliore. A questo punto, possiamo ritener conchiusa la nostra sommaria ricostruzione delle intenzioni di un libro che, se si volesse, potrebbe anche essere percorso capovolgendo o mescolando i suoi possibili livelli di lettura. Lo stesso appello etico (e forse piu etico che politico) da noi posto come finale e che sembrerebbe naturale conseguenza dell'analisi storicoculturale delle apocalissi del mondo moderno e contemporaneo, potrebbe altrettanto motivatamente conginngersi a quel livello antologico, da cui ha preso le mosse il nostro breve sunto. Di fatto, l'insieme delle coerenze demartiniane ha tutti gli aspetti di una circolarità perfetta.

Un libro-«summa1>. Se trascendiamo per un istante la problematica che specificamente concerne le apocalissi culturali e cerchiamo piuttosto di cogliere nella sua totalità il senso del libro (o meglio: di queste note sparse), ci sembra di essere immessi in un continuo ritrovare il De Martino di sempre, ormai ben noto e frequentato. Possiamo accostarci a La fine del mondo come a una summa di tutto il suo pensiero. Ripercorriamone brevissimamente le tappe, tenendo conto che l'interesse di De Martino sembra sempre aver prediletto lo studio di quelle forme culturali- il mito, il rito- ascrivibili a quel campo, che piu pertinentemente si potrebbero indicare come ideologico. Questo concetto ovvio ed elementare va ribadito, a scanso di tutti i quei fraintendimenti che potrebbero sorgere durante o dopo la lettura di quel magma cosf pluridirezionale che è l'insieme delle note preparatorie a La fine del mondo. Produzione giovanile a parte l, nella storia del pensiero di De Martino siamo in grado di individuare alcune tappe fondamentali, oltre le quali le sue posizioni possono dirsi ormai stabilite e assestate e tali da fondare teoricamente le sue piu importanti ricerche storico-culturali sfociate nei 3

Sull'elaborarsi del concetto di religione nel ptimo De Martino (all'incirca prima de Il mando A. BINAZZI, Ritratti crit.zci di contemportJn/!Ì. Ernesto d~ }t[.;rtino, in «Belfagon,

mggico) si veda

2.41, 1969, pp. 678•93.

Introduzione

xtx

tre grandi libri di storia religiosa del Sud: Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958)~ Sud e magia (1959), La terra del rimorso (1961) 4 • In Naturalismo e storicismo (1941) afferma la necessità di aprirsi all'etnologia per rivedere criticamente, anche alla luce delle sue acquisizioni, i parametri del nostro umanesimo storiografico (qui da intendersi: umanesimo proprio dello storicismo crociano). Non elabora ancora una sua teoria dell'uomo e della storia né, al suo interno, della struttura e funzione del rito , . In Il mondo magico (1948) compare per la prima volta- per non essere piu abbandonato- il concetto-chiave di crisi della presenza e quello di reintegrazione culturale mediata dalla magia, in quanto tecnica istituzionale operante come strumento di controllo della crisi'. Immediatamente dopo, il saggio Intorno a una storia del mondo popolare subalterno (1949} introduce - su un versante di analisi di evidente ispirazione gramsciana -la nuova problematica di una definizione del concetto di cultura e soprattutto di un esame di quelle dialettiche egemonia-subalternità, che si manifestano non solo a livello di classe ma anche a livello di cultura 7 • Questa nuova prospettiva teorica sarà determinante per tutti i suoi studi sulla religione popolare del Sud, che peraltro piu che un momento teorico rappresentano momenti-vertice di una verifica storico-culturale di premesse elaborate in altra sede. Il reale allargamento teorico della scoperta dell'esistenza di dinamiche di egemonia-subalternità nello specifico campo dell'ideologico gli avrebbe di fatto consentito di non considerare piu la magia come elemento isolato, ma come elemento strutturalmente affine alla religione, da intendersi come campo ideologico dominante. Ma per giungere a questa affermazione - che si dichiara pienamente solo nelle grandi opere meridionalistiche - era necessario un passaggio teorico intermedio, fondamentale in quanto in esso si sarebbe determinata la qualità stessa strutturale non solo della magia, ma anche della religione. 4 Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento p~g;1no al pianto di Mtuia, Einaudi, Torino 19,-81; Morte e pianto rituale. D11llam.mto funebre antico al pianto di Maria, Boringhleri, 'forino v;Jn' (con modificazione dd titolo per espa·esso dcsiderìo dell'autore); Sud e magia, Feltrinelli, Milano t9J9: La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Stld, Il Saggiatore, Mila· no 1961, Ricorderemo sin d'ora che disponiamo di una completa ed esattissima bibliografia deruartiniana, cui rinviamo per ulteriori e piu approfondite analisi: M. CANPINI, Eme sto de Martino. Nota biobibliogrl.l/ica, in «Uomo c: Cultura. Rivisra di studi c:tnologicil•, v. ro, luglio-dicembre 1972., pp.

223·68. 5 Nat11ralismo e storicismo nell'etnologia, Laterza, Bari 194I (ma finito di sra.mpare nell'ottobre I5140). 6 Il mo11do magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino 1948. 7 Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, in «Società», '• 1949, pp. 4II·J'.

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In Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto (1954)', De Martino specifica (a parziale correzione delle tesi di Il mondo magico) che non è soltanto la magia, ma ogni forma di vita magico-religiosa a caratterizzarsi in modo specifico. E individua anche la peculiarità intrinseca ad ogni forma di riscatto magico-religioso, indicandola come un processo di destorifi.cazione, da intendersi come alienazione da un sé angosciante e come processo che a sua volta consentirebbe di stare nella storia «come se» non ci si stesse. Precisa inoltre che la tecnica di destorifi.cazione fa necessario riferimento a crisi storicamente determinate ed è anche dotata di una relativa efficacia pratica. Nei tre libri sulla religione popolare nel Sud, il concetto di destorificazione (in quanto destorifi.cazione del negativo) verrà ripreso e riverifìcato nell'esame di singole situazioni e tecniche specifiche, peraltro senza sostanziali innovazioni teoriche, a parte l'impiego (che è relativamente tardo) del1a piu precisa locuzione di «simbolismo mitico-rituale>>, per indicare l'insieme dei modelli ideologici e comportamentali organizzati secondo W"la struttura metastorica 9 • I lunghi appunti della Fine del mondo dedicati all'argomento vedranno laricerca diramarsi in molteplici direzioni (tempo sacro, spazio sacro soprattutto}, ma non comporteranno nessuna revisione critica delle posizioni precedentemente assunte. Conclusioni analoghe si potrebbero trarre per tutte quelle tematiche, proprie degli altri livelli di ricerca, che De Martino persegue nel corso dell'intera sua opera. L'ambizioso intento di costruire una summa dell'intero suo pensiero doveva essere presente nelle sue stesse intenzioni, se cosf nota all'interno del brano, che intitola Progetto dell'opera: L'opera si iscrive ... in quel moto umanistico che, dopo l'epoca ddle scoperte e della fondazione dei grandi imperi coloniali, trapassa dall'umanesimo filologico-classicistico all'umanesimo etnografico. Inoltre l'opera consente di riconsi1 Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», XXIv-xxv, I953·54, pp. 1·.1'; dr. anche Crisi della presen:ta e reintegronione religiosa, in «Aut. Aut~>, 3r, r9,6, pp. 17·38. L'indicazione del passo avanti teorico compiuto rispetto alle tesi de Il mondo magico è in Fenomenologia religiosa cit., p. 19, nota " «Nel Mo~tdo magico, p. 77 sgg. sono esemplificate le forme piu prop.riamente magiche del riscatto ... E. tuttavia da avvertire che in questo libro il rischio dì non esserci non è raginn strutturantesi sempre secondo la medesima regola fissa, il simbolismo mitico-rituale si distingue formalmente non solo dalle strutture logico-razionali, ma anche dalle strutture proprie di altri simbolismi che costituiscano un orizzonte di riferimenti storici. Scopre inoltre la funzione del simbolismo. A mito e rito attribuisce funzioni giustificatrici e mediatrici di un reale non totalmente dominato, e quindi conferisce ad essi la caratteristica primaria di costituire l'orizzonte teorico di riferimento per l'unica prassi sociale possibile, date certe condizioni materiali. Di fatto, non liquida mito e rito come espressioni di un irrazionale, vuoi da stigmatizzare, vuoi magari da evocare con nostalgia come paradiso perduto di una mistica unificazione con la natura. Ne scopre la logica interna e il rapporto col mondo della prassi. Oggi, a distanza di quella generazione culturale di cui si diceva, pos-

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siamo anche motivatamente imputare a De Martino un eccesso di genericità nell'individuazione di quel mondo della prassi, che viene piu postulato entro termini idealistico-crociani di quanto non venga realmente esaminato come quadro di relazioni tra uomo e uomo, uomo e materia. Ma è pur vero che egli seppe individuare, con un tempismo degno di tutto rispetto, la funzione anche pratica assolta dall'ideologia. E in questa prospettiva indicò anche in modo assai pertinente l'ambigua caratteristica propria di un ideologico che, in condizioni sociali ed economiche determinate, da un lato ne denuncia le contraddizioni, dall'altro ne rende possibile non solo il riprodursi ma anche un eventuale superamento. Mito e rito dunque come (sempre a condizioni date) il massimo di ogni possibile razionalizzazione e quindi come unico possibile quadro teorico entro cui la prassi sociale trovi linguaggio ed espressione.

Il problema unificante. Tra le scomode proposte demartiniane destinate a diventare anacronistiche e senza seguito dobbiamo includere anche quella tesi dell'unità delle scienze sociali e storico-culturali, cui si è già fatto cenno. Fu questo un discorso forse sostenibile nel primo dopoguerra, quando l'esigenza di aprirsi agli studi socio-antropologici era pionieristica ed entravano, come una grande marea, le sollecitazioni delle discipline piu diverse, davanti alle quali si richiedeva una risposta sincronica e globale. L'istanza era comunque corretta, nella misura in cui denunciava la necessità di individuare un'ipotesi teorica sufficientemente valida come punto di partenza per la conoscenza dell'insieme del campo socio-culturale e per un ulteriore studio dei singoli fenomeni interni ad esso. Questa istanza non si realizzò. Con gli anni '6o, in misura via via crescente, a una richiesta di massa di informazione socio-antropologica si è andata contrapponendo, a livello accademico, un proliferarsi di specializzazioni, !attizzate secondo interessi localistici, e troppo spesso chiuse al dibattito culturale tra gli stessi «addetti ai lavorh>. È una carenza che probabilmente si connette alla rapida e tumuln10sa crescita di discipline nuove alla nostra tradizione, e che a sua volta va inquadrata nell'ambito piu generale della crisi universitaria e della fatiscente dinamica culturale tra istituzione e suoi utenti. Mi sembra utile denunciarla qui, in un'occasione che invita a confronti e bilanci. De Martino non teorizzò mai esplicitamente l'unitarietà delle scienze umane. L'ideale che egli perseguiva era piuttosto una meta da raggiun-

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gere che un dato di fatto scontato. La sua scelta si indirizzò sempre, e in modo consapevole (già a partire da Naturalismo e storicismo) verso l'individuazione di un «problema unificante»: unificante perché al limite delle diverse discipline settoriali, che non denegava come tali e di cui avrebbe poi anche inteso avvalersi nell'ambito di ricerche interdisciplinari (comunque da condursi sotto la direttiva specifica di chi quel «problema unificante» aveva individuato). Questa sua dimensione, per cosi dire, globalistica, si riflette anche nello stile della sua scrittura. Lo spessore e l'organicità della sua pagina fanno di lui un tipo di studioso, di cui ormai si va perdendo lo stampo. Fu forse uno degli ultimi umanisti, se con questo termine dal sapore volutamente arcaico vogliamo indicare quelle particolari figure di intellettuali che sentivano l'esigenza di inserire la loro specifica ricerca entro una concezione totale dell'uomo e della storia. Ma fu anche, proprio per questa ragione, uomo profondamente moderno, che tradusse nel solo linguaggio di cui allora potesse disporre l'e· sigenza di rompere coi codici chiusi e settorializzati delle diverse disci· pline, per recuperare la totalità delle dimensioni dell'uomo nella storia. Fu un tentativo ambizioso, il suo, e non privo anch'esso di contrad· dizioni. Di fatto, sarebbe col tempo andato di pari passo all'ambizione, altrettanto moderna ma sostanzialmente divergente, di condurre delle ricerche interdisciplinari. Ma queste ricerche, quando poterono realizzarsi (come nel caso di La terra del rimorso) finivano per relegare i collaboratori al rango di comprimari, cui riservare lo spazio di un'appendice: mentre il discorso reale, quello compiuto e definitivo, sarebbe sempre rimasto il suo ... Il suo tentativo umanistico - singolo o di équipe che dir si voglia cadde comunque fuori tempo. Cadde troppo tardi rispetto alle tendenze generali di una cultura in cui i grandi sconvolgimenti delle guerre e il rapido processo di divisione sociale del lavoro intellettuale avevano ormai fatto quasi piazza pulita di quei modelli di studiosi, che potremmo indicare come « umanisti ». Ma cadde anche troppo presto - ed è questo il problema che dà piu da pensare-, in tempi in cui la messa in discussione dell'unidimensionalità umana alla luce di una nuova ricerca di politicizzazione del personale sarebbero sembrate per lo meno prospettive fantascientifiche. Fu cosi che anche queste importanti istanze demartiniane non solo costituirono un monstrum per lo meno abnorme, ma finirono per configurarsi entro gli inevitabili termini di un individualismo drammatico e contestabile.

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Il rapporto soggetto-oggetto. È entro questo quadro che va valutata e compresa la caratteristica stilistica forse piu saliente della pagina demartiniana: quel suo intenso pathos che la sorregge e che sembra al contrario essere rifiutato da gran parte del linguaggio socio-antropologico, spesso improntato a forme di una neutralità pretestuosamente oggettivistica. Anche questo particolarissimo stile non è casuale, ma frutto di una scelta teorica fatta in perfetta coerenza, ed espressione di istanze tutt'altro che banali. È l'istanza - non moralistica, ma culturale - di verificare su se stessi, sulla propria persona, le corrispondenze o le smentite di quelle leggi comuni a tutti, che De Martino cercava di individuare su un piano storico-sociale piu generale. Ne deriva un tipo di scrittura non neutrale, che rifugge dalla falsa oggettività, per varie ragioni. Anzitutto, in diretta polemica col presunto oggettivismo di molti indirizzi etnologici del suo tempo, giustamente e tempestivamente accusati di mascherare dietro una apparenza di neutralità scientifica istanze teoriche piu che discutibili (in quanto o fideistiche o politicamente antidemocratiche), De Martino dichiara fin dall'inizio le proprie ipotesi di ricerca, richiamandole poi punto per punto alla verifica •. Inoltre, ha il coraggio di dichiarare anche se stesso in prima persona e di confrontarsi momento per momento con la dinamica della ricerca. Ne deriva una tensione soggettooggetto, che può essere anche tacciata di retorica, ma che di fatto è la risultante di una precisa concezione del rapporto tra ricercatore e ricercato. In effetti, per De Martino- nonostante la sua convinzione dell'esistenza di culture «altre)>, cioè diverse dalla nostra - l'altro non è mai totalmente altro. La sua pagina è anche il luogo dove si dispiega quello stesso «dramma storico», per cui lo sciamano discende :fino agli abissi della crisi, per recuperarla ma anche controllarla entro forme comunicabili e socializzabili. Catabasi e anabasi: in questa duplice operazione di discesa negli abissi e di ritorno col magico talismano si opererebbe un processo culturale, in cui la costruzione storica dello sciamano si differenzierebbe dall'analisi storiogra:fìca dello studioso solo in virtu dei diversi gradi di consapevolezza raggiunti dall'uno e dall'altro. • Si veda, da ullimo ma csplicitllmentc, A pruposito di rma storia delle rt:ligioni s:enza opzioni ti.loso{iche: la storia delle religioni di P. Tacchi-Venturi, in « Rh·ista Storica Italiana», 75, 1973, pp. 818-:>.8.

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Dovremo piu avanti tornare su questa - tanto affascinante, quanto irrimediabilmente datata e soprattutto politicamente equivoca - dimensione di un personaggio che afferma la necessità di un esorcismo solenne, da operarsi in nome della Ragione, di quei fantasmi da lui stesso creati. Ci basti per il momento aver individuato una caratteristica dimensione del rapporto soggetto-oggetto della ricerca, che distingue lo stile demartiniano non certo solo da quello alquanto anodino degli etnologi italiani suoi contemporanei, ma anche da quello della piu parte dei colleghi d'oltralpe. Se d è lecito un confronto, potrà semmai essere fatto con certe pagine di Leiris o di Lévi-Strauss. Ma entrambi costoro si trovarono quasi costretti a dividersi in due, .riservando spazi differenziati, da una parte al linguaggio specialistico- settoriale, ma valorizzato come «scientifico», e in Lévi-Strauss per giunta anche come «oggettivo» - dall'altra al linguaggio della confessione individuale - assai meno settoriale, ma devalorizzato come «soggettivo», letterario. Mi riferisco in particolare al diario tenuto da Leiris in margine alla spedizione Dakar-Gibuti 5 e a quei vari brani di Tristi tropici, con la loro denuncia della strada senza uscita in cui si viene a trovare, in quanto individuo, l'etnologo che studiando culture diverse porti con sé la «colpa» di essere occidentale. Anche De Martino si faceva carico di analoghi sensi di colpa (tra il cattolico e il borghese), derivanti da un'incapacità storica di concepire il rapporto tra due culture come un fatto politico, che concerne in egual misura gli uni e gli altri. Sostanzialmente, e nonostante tutte le buone intenzioni, finisce per parlare a titolo individuale. Non si identifica in un movimento. La singolarità della sua proposta consiste piuttosto nel ten· tativo di non scindere in due la persona, dilacerandola tra pretestuosi discorsi soggettivo-individualistici e altrettanto pretestuosi discorsi oggettivo-scientifici. Tenta un accordo tra i due piani. Ho forti dubbi che ci sia riuscito, proprio per i condizionamenti oggettivi in cui si trovava ad operare, e che, negli anni in cui scriveva, vedevano ancora una forte radicalizzazione della distanza tra intellettuali e masse. Ma c'è anche da chiedersi se, negli anni in cui si determinò la maturazione culturale di De Martino, si sia fatto altrove, nel campo della ricerca antropologica, di piu e di meglio. L'A.frique Fant6me, Paria 1934: sulla que11tionc: dei due linguaggi cfr. B. La missione etnografico e linguistictJ DoktJT-Gibuti, in «La critica sociologica », 36,

5 M. LEIKlS,

JtONE,

in particolare pp.

Il)-~4·

CALTAGIr.97~·76,

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Etnologia e impegno politico. La problematica dei rapporti tra ricerca e militanza è tahnente centrale in De Martino, da non poter essere ignorata da chi voglia tentare di riappropriarsi delle sue istanze, riattualizzandole rispetto a una situazione politica, sociale e culturale peraltro assai mutata rispetto agli aruù in cui scriveva. È questo uno dei punti che richiede un minimo di precisazione cronologica, in cui si segua l'itinerario di De Martino sia sul piano della teoria che su quello della prassi politica. Come buona parte dell'intelligencija democratico-borghese dell'immediato dopoguerra, anch'egli avrebbe condiviso la teoria dell'impegno civile e politico dell'intellettuale. La sua era stata una lunga maturazione. Passò attraverso le esperienze della guerra partigiana in Emilia-Romagna e poi delle lotte contadine nel Meridione. Partiticamente, si sarebbe spostato sempre piu a sinistra, passando da posizioni di tipo azionista (durante la guerra partigiana) al socialismo (fu segretario di federazione a Bari) e infine al comunismo (dal I950) '. Ma quella che intendiamo tracciare qui non è la sua biografia politica, per quanto interessante essa sia e per quanto sarà necessario tornarvi in seguito, quando verrà il momento di chiederci ragione della sua eterodossia anche e soprattutto rispetto a quel Pci, cui peraltro avrebbe dato la propria adesione per ben sette anni. Ci interessa piuttosto rimanere allivello teorico, con tutti gli interrogativi che già esso comporta. Anche per De Martino, come per alcuni intellettuali progressisti di quegli anni, la teoria dell'impegno sarebbe sembrata il piu naturale sviluppo, in senso socialista, delle premesse dell'umanesimo storicistico e del suo ideale di una religione civile, da cui ciascun individuo traesse motivazione per il suo vivere sociale. La possibilità di un nesso tra crocianesimo e marxismo, anche su questo punto, sembrava allora evidente e reale. In questi termini si esprimeva un Bianchi Bandinelli' o un Antonio Ban:6 che, tra il I 94 I e il I 949 scriveva una serie di saggi (poi raccolti sotto il titolo L'uomo copernicano), in cui proponeva i nuovi valori presenti nell'umanesimo marxista • Le tappe essenziali dellll carriera politica di De Martino sono llatzialmente ricostruibili da GAN· Ernesto de Martino cir., oltre che da alcuni riferimenti occasionali del GAL~SSO, Croce cit.

DINl,

7 Di R. Bianchi-Bsndinelli si veda, da ultimo sull'argomento, Da/ diario di un borgbest: e altri scritti, .Mondadori, Milano 1948: cfr. anche Dibattito sul/4 cultura cit., pp. I;J sgg.

1

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e, contro le mitologie borghesi del progresso, della libertà o dell'irrazionalismo romantico, indicava come direttiva quella dell'impegno morale di ciascuno nelPopera collettiva di costruzione sociale 8 • Le posizioni di De Martino sarebbero gradatamente maturate in questa direzione. Ancora in Naturalismo e storicismo fa proprie le tesi di Omodeo della necessità di abbracciare gli ideali etico-pratici dischiusi dalla religione civile, la religione della libertà. Ma nel I949 (è questo un anno-chiave per lui) dichiarerà la propria volontà di «impegno pratico di militante della classe operaia» in quel saggio Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, importante perché teorizza per la prima volta la necessità che l'etnologo, in quanto intellettuale, compia una precisa scelta di parte. Non avrebbe piu abbandonato la linea dell'«impegno» neppure quando (siamo ormai agli inizi degli anni '6o) essa cominciava ad essere contestata dalle avanguardie, nella misura in cui la problematica della cultura di classe veniva a porsi al centro del dibattito politico. Tracce delle generose intenzioni demartiniane restano ancora nelle stesse note preparatorie a La fine del mondo. A proposito della teoria dell'impegno, vorremmo fare alcune poche osservazioni che ci permettano di valutare piu precisamente il peso e il signi.fìcato delle posizioni di De Martino. Anzitutto, ci sembra di un certo interesse notare come questo movimento di intellettuali «impegnati»- che fu reale, anche se elitario- sia sorto da noi con un notevole anticipo rispetto alle altre nazioni: ad esempio, la Francia, che solo nei tormentati anni della guerra di Algeria avrebbe autonomamente riscoperto la tematica dell'e1tgagement, a sua volta calandola all'interno di premesse per lo piu elaborate in seno all'esistenzialismo sartriano '. La nostra teoria dell'impegno si radica storicamente sulla guerra partigiana e sulle grandi lotte operaie e contadine del dopoguerra e rappresenta un primo importante momento di crisi degli ideali borghesi. In ogni caso, riflette una sorta di spirito azionista, che ne denuncia anche limiti e ambiguità. Da una parte, sembra caratterizzarsi nel senso di una ripresa delle tesi gramsciane postulanti la necessità di un intellettuale al servizio delle masse. Dall'altra, sembra continuare e far proprie quelle tesi della «religione della libertà» e dell'« andare verso il popolo», di cui è quasi superfluo stigmatizzare origini e finalità liberais A. B.\NFI, L'uomo copernicawo, Mondadori, Milano 1949· Sulla concezione umanistica banfiana, strettamente connessa a una difesa degli ideali della ragione, dr. F. PAPI, Il ptnsiero di NJt011io Bcmfi, l'arenti, Firenze 1516r, pp. 474 sgg. ' Cfr. M. G. SATTA, lA rivùta., Les Temps mndemcs» e la decolonizz:az:ione francese, in« Annali della Facoltà di M~gistero dell'Università di Cagliari,., n. 5., vol. I, 1976, pp. I-'1·91.

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borghesi. Individualismo intellettuale e approccio umanistico alla storia (comportante in ogni caso un continuo appello alla necessità di affermazione di «valori umani») sono in effetti i limiti teorico-pratici di un'intelligendja, che solo molto piu tardi avrebbe iniziato a fare autocritica su questo punto 10 • L'impegno civile e politico di De Martino trova una collocazione non anacronistica rispetto a una tendenza culturale in atto, anche se il suo percorso non è privo di spunti originali, proprio nella misura in cui viene calato entro i suoi interessi di storico della cultura. Anzitutto, la sua individuazione delle caratteristiche di specificità proprie dell'ideologia magico-religiosa avrebbe comportato un ripensamento critico delle posizioni crociane precedentemente espresse in Naturalismo e storicismo, che ancora identificavano il piano etico (e quindi etico-politico} con quello religioso 11 • Di qui, anche il suo ulteriore interesse per lo studio di quei «simbolismi civili», di cui tempestivamente segnalava l'importanza, anche se alla sua datata sensibilità culturale ancora rimaneva estraneo il problema che oggi riterremmo capitale: cioè quello del rapporto produttore-utente di questi particolari tipi di messaggio 11 • Verso direzioni assai piu corpose sarebbe comunque andata la sua scelta di fondo: quella di fare della ricerca etnologica il prodotto di un «impegno» politico dell'intellettuale. È questa una dimensione che entrerà, e in modo definitivo, a far parte viva di tutta la sua scrittura. E se spesso, anche nel corso delle note preparatorie a La fine del mondo -questa volta davvero con relativo ritardo rispetto alle nuove autocritiche di quegli anni- d capiterà di imbatterci in un io borghese, dichiaratamente tale, dilacerato da crisi e contraddizioni proprio perché consapevolmente tale, roso da sensi di colpa tipicamente borghesi e assieme dall'ansia di raggiungere con l'anima la classe, non scandalizziamocene. Riconosciamo piuttosto a De Martino il coraggio, molto raro sia ieri che oggi, di essersi dichiarato fino in fondo per quello che credeva e voleva essere, senza finzioni o mascheramenti, e soprattutto senza adesione di maniera a qualsiasi forma di conformismo ideologico. Il suo fu un tentativo per lo meno onesto, anche se i suoi risultati non 1° Cfr. in particolare R. LUPERINI, Gli intellettuali di sinistra e l'ideologia della ricostruzione nel dopoguerra, Edizioni di «) costitui senza dubbio un importante esempio per le scelte culturali del suo allievo. Quanto allo studio del cristianesimo, Omodeo avanzò da subito istanze storicistiche e laiche, riconoscendo anche la necessità di non limitarsi al puro esame di un pensiero teologico, ma di collegarsi alla conoscenza delle forme di civiltà che lo avrebbero espresso. È vero che il suo concetto di civiltà finiva per dissolversi - assai piu idealisticamente di quanto non sarebbe avvenuto in De Martino- nell'equivalente concetto di Spirito ed è vero che per lui la storia culturale si dichiara principalmente come prodotta da grandi individui-leader. Ma il recupero storicistico della conoscenza del cristianesimo non fu privo di conseguenze. Come prima cosa, portò a una critica radicale di tutta la tradizione (principalmente germanica) di studi vetero e neotestamentari, imputata di far opera apologetico-teologica, e non storica. In particolare poi, Ornodea criticava tutte quelle tendenze a ricostruire un ipotetico momento originario del cristianesimo, sorta di utopistico Ur, che piu che a intenti di conoscenza del reale processo genetico di un momento culturale miravano a intenti di sistemazione di una dottrina. Di fatto, risponderebbe alla stessa logica la costruzione di astrazioni quali «ellenismo», «romanitb, «cristianesimo)>, nella misura in cui costituiscono modelli statici, ipotizzati al di fuori di un reale divenire storico. Tutti questi punti ritornano come parte essenziale della metodologia storico-religiosa di De Martino, fino alle specifiche note sul cristianesimo e la storia delle religioni, nelle pagine di La fine del mondo. D'altra parte, lo stesso richiamo a non considerare il cristianesimo (o il cattolicesimo) • A. OMOPEO, Storia delle origini crisliam!, vol. I: Gesu, Principato, Messina 1913- (19232 ); rn., Il senso della sloria, Einaudi, Torino 1949 (raccolta di scritd variamente datati, tra cui anche una recensione ~ Naturalismo e sloricismo nell'etnologia, molto pos,itiva, a parte l11 riserva di fondo circa la tesi dcrnartiniana che l'etnologia sia una disciplina storica).

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come categoria astratta trova in De Martino una forma di verifica del tutto nuova e molto importante, in tutti quei saggi sul folclore religioso del meridione, che partono dal presupposto dell'esistenza non di uno, ma di tanti cattolicesimi storici: storici e di classe, come anzi preciserà, operando in questo modo un'altra apertura del suo storicismo verso nuove direzioni materialistiche. Altro personale e ulteriore sviluppo delle tesi di Omodeo- anche se non esclusive di quest'ultimo - diventa in De Martino l'affermazione delle necessità di non ricondurre e ridurre un fatto storico ai suoi antecedenti, ma di esaminarlo come sintesi nuova, costituente il nuovo fatto storiografìco. È una tesi che non ha modo di comparire negli appunti preparatori a La fine del mondo, ma che viene sempre applicata allo studio della genesi e dello sviluppo storico di tutti gli esempi di folclore magico-religioso meridionale studiati nei suoi saggi fondamentali. Anche qui, il processo di riappropriazione delle tesi di Omodeo finisce per sfociare in nuove ed originali sintesi teoriche: il rifiuto di ricondurre comportamenti o ideologie magiche a meri ipotetici «antecedenti classici» comporterà di fatto la messa in causa della nozione di «sopravvivenza folclorica», di vecchia matrice evoluzionistica e comunque sempre di largo impiego nel campo degli studi demologici. È davvero singolare che nelle note preparatorie a La fine del mondo De Martino non abbia tributato a Omodeo storico delle religioni quel riconoscimento di eredità che esprime tutto per il Croce filosofo. Tanto piu singolare, se si tien conto del fatto che è di Omodeo l'individuazione del cristianesimo come momento-chiave della nostra storia, da valutare e comprendere non solo in quanto formazione culturale nuova e differente rispetto a quelle del mondo antico, ma anche come inizio di uno sviluppo storico, le cui conseguenze sono ancora attuali. Ed ancora piu singolare, se è vero che Omodeo - per sua dichiarazione, nel bilancio della sua vita di studioso- l'interesse al «sogno messianico» e alle immagini apocalittiche avrebbe costituito il momento unificante di tutte le sue ricerche storiche: da quelle sul cristianesimo a quelle sul Risorgimento•. • De Martino commemorò Adolfo Omodeo in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», XIXxx, 1943·46, pp. 2,·60 in pagine in cui necessariamente non prende ancora distanze critiche da lui. Piu di dieci anni piii tardi, in Storrcismo e ìrrJzionalismo nella storia delle religio,i, ivi, xxvm, I, I 9 57, p. 1 o 3, riconoscerà com e eredità omodeiana il rifiuto di ricetcru:e gli antecedenti di un fenomeno storico-religioso. Ma l'nssimilv.ione non riconosciuta che D.e Martino fa dello storko napoletano va dal teorico all'anedmtico. Nello stesso articolo citato, De Martino afferma la necessità di non confondere i piani dell'esperienza religiosa e della critica storico-religiosa e a supporto della sua te!ii cita il divieto mitsingen ist verboten.' che compilfit~bbe nelle sale musicali tedesche. Orn, nella =nsione a w. orro, Gli dei ddla Grecia (che e del I~4I), in Il S~IJSO della storia cit., p. 2I, Orno-

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Di fatto, l'eredità «apocalittica» del maestro napoletano si sarebbe ben presto trasformata in De Martino in un qualcosa di profondamente nuovo e diverso: la sensibilità, tutta moderna e inquieta, indirizzata verso una apocalittica che, al di là dei cristiani primitivi, avrebbe conosciuto come attori anche i non appagati figli dell'Europa della crisi.

Ragione e non ragione. Operavano su di lui tentazioni di segno contrario. C'è in effetti un altro De Martino, che non è piu l'aspirante etnologo impegnato e neppure lo storicista che tenta rardua (e impossibile) operazione di una lettura materialistica delle premesse dell'idealismo. :È il De Martino filosofo della crisi. Personaggio complesso, le sue corrette istanze di una conoscenza delle origini, della struttura e della funzione delle forme culturali, si intrecciarono sempre con un sottile, ambiguo giocare con un irrazionale ad ogni momento evocato per operare su di esso un esorcismo: solenne. Nonostante gli appelli a una solare ragione crociana, nonostante i tenta· tivi di assimilare Gramsci e Marx. Sf, De Martino, per quanto rifiutasse energicamente di riconoscerlo - ma sempre in nome di una Ragione altrettanto trionfante quanto astratta- era strettamente imparentato con la letteratura europea della crisi. Intratteneva con essa un irrinunciabile rapporto di odio ed amore, che gli impedf sempre, anche negli ultimi anni (soprattutto negli ultimi anni) di ritenere chiuso questo capitolo e di dedicarsi ad altre tematiche. Se ci fu anzi un grande ritorno all'argomento, fu proprio in quest'ultimo suo lavoro, che parla di apocalissi ed assume come interlocutori validi filosofi. esistenzialisti e letterati del diw sag10. Questo suo giocare con la crisi è una delle irrinunciabili (e tutt'altro che secondarie) dimensioni demartiniane, che pure fa parte delle sue grandi fedeltà culturali, e va analizzata e compresa. Anche De Martino è uno dei testimoni del crollo di quel mito del Progresso e della Ragione, su cui a lungo si era retta la cultura borghese, e alla cui messa in causa avrebbero col tempo contribuito molti fattori storici di origine diversa: da una parte, la lotta di classe, con la sua midea, esattamente per gli stessi fini teorici, utilizza l'esempio di «Quel divieto d'accompagnnr col canto che un tempo faceva mosua di sé nelle sale della Germania». Dice anche che l'esempio non è suo, ma va attribuito a un collega critico d'arte (forse longhi? }, che sollecitava a non confondere cspe. rier12a artistica e critica d'arte,

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naccia alla stabile posizione di privilegio dei ceti dominanti, dall'altra, le stesse risposte da parte della borghesia, che attraverso guerre e totalitarismi cercò di recuperare le posizioni perdute, riorganizzando le proprie tecniche di potere. È soprattutto nella Germania tra le due guerre che si dibatterono i temi della crisi dell'Occidente e del trionfo della non-ragione. In particolare, Il tramonto dell'Occidente di Spengler (che è del 1919) fu il primo esemplare di una letteratura apocalittica, destinata cogli anni a godere di un crescente successo. Esito naturale ne sarebbero state le riutilizzazioni delle sue tesi centrali da parte dei vari teorici prenazisti e nazisti (Klages, Ji.inger, Baumler, Rosemberg, ecc.), profetizzanti il sorgere di un nuovo mondo retto dall'irrazionale. Vitalismo e intuizionismo - piu precisamente caratterizzati in una gnoseologia dell'imperscrutabile, dell'inesprimibile profondo, costituenti la misteriosa trama di ogni realtà individuale e collettiva -,·rifiuto del mito del «progresso» sostituito da quello della «decadenza» da un momento di perfezione originaria oppure dall'altro mito (comunque logicamente interrelato) di una storia eterna, che non è storia, ma «eterno ritorno» di un medesimo ineffabile principio: questi, in sintesi, i presupposti di un'operazione che come conseguenza filosofica avrebbe portato ad un'equiparazione tra mito e storia e come conseguenza politica a un avallo della mistica nazista '. La Germania degli anni del nazismo avrebbe conosciuto anche altre messe in causa delle forme e dei limiti della Ragione borghese. Si sarebbe anche imputato ad essa di essere esclusivamente una ragione di dominio, in grado di rendere piu complesse le proprie tecniche di egemonia, in virtti dell'avanzamento del processo storico di una divisione sociale del lavoro, destinata a trasformare la rag10ne in precisa ragione di classe. Sono le tesi della scuola di Francoforte, che credette di operare un ribaltamento logico, in senso antinazista, rispetto alla distruzione della ragione operata dagli avversari. Ma quanto poteva anche avere il valore di una coraggiosa denuncia finiva pur tuttavia per trasformarsi anch'esso in equivoca proposizione idealistica che, rimanendo all'interno di una Ragione assunta a parametro, semplicemente capovolgeva i termini del vecchio mito del progresso, per avanzare anch'essa discutibili ipotesi degenerative. ' Si veda, per questo, o. LUKAcs, La distru-;;iom! della TQgione, trad. it. Einaudi, Torino 1959 (che- detto per inciso- è una delle opere inspiegabi\mente mai utili?.zate da De Martino). Va anche ricordato come il dibattito rdgione-ragione, iniziato durante il secondo dopoguerra, avrebbe continuato per buona parte degli anni '50 a fomÌI'e materiale nella discussione tra Jaspers e Heidegger: vedasi, per questo P. OltODI, Introduzione a K. JASPERS, Ragione e antiragionc nd nostro tempo, tra d. i t. San soni, Firenze r 970.

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Lo spettro dcll'apocalis~e d~ll'~cidente, in quanto apocalisse della ragione, sta clavanti a De Martino, fin dal suo primo libro. Precocemente denunciò lo ·scatenarsi di quello che allora indicava come «irrazionale)> e come «insorgere dei tetri miti della razza e del sangue», in pagine di coraggiosa denuncia delle teorie e delle pratiche naziste, che prendono anche dichiaratamente posizione nei confronti del fortunato libro di Klages. Naturalismo e storicismo, che vede le stampe nel 1941, tenta di compiere una duplice operazione: eli denuncia di quegli «irrazionalismi» moderni che avrebbero tradito la possibilità di un ulteriore progresso della ragione, e di giustificazione dei nuovi interessi per lo studio di quel pensiero dei primitivi, che sino ad allora era stato devalorizzato come irrazionale. La risposta agli irrazionalismi tedeschi si situava dunque su un versante dichiaratamente antifascista, anche se non aveva avuto modo di conoscere (fenomeno peraltro generalizzato a tutta la cultura italiana a lui contemporanea) il diverso versante delle critiche antinaziste elaborate in seno alla scuola di Francoforte. Per De Martino, la battaglia per la ragione intendeva di fatto inserirsi all'interno di una perfetta ortodossia crociana. I suoi antecedenti piu immediati sembrano essere rappresentati dallo studio di Croce su Holderlin • e dalle critiche di Omodeo alla cultura tedesca 7 , che entrambi polemizzano contro il pericoloso fascino esercitato dal mito germanico del ritorno alle origini. E si potrebbe anche ricordare la critica, ancor piu scoperta, di Omodeo nei confronti di W alter Otto, i cui Dei della Grecia erano stati pubblicati nel 1941 in traduzione italiana, e eli cui stigmatizza il «misticismo sordido», scaturente non dalla verità, ma «dall'abiura della ragione» 8 , Abbiamo parlato di antecedenti. Ma altrettanto potremmo parlare di esiti, prossimi e a distanza. La fine del mondo recupera esattamente la stessa tematica, per conferirle un respiro ecumenico. Siamo ormai agli inizi degli anni '6o. Molte cose sono cambiate, anche sul piano politico. Le lotte di classe sembrano essersi spostate a livello internazionale. Ma il rischio reale, per De Martino, è sempre rappresentato dalla non-ragione. :E: la borghesia occidentale che sta sull'orlo dell'abisso, e lo spettro della guerra nucleare diventa, oltre che possibilità reale, immagine simbolica di un sempre presente rischio di crollo dei valori. 6

In «Critica»,

XXXIX,

I94I, p. :1.07,

7 Intorno al problema tedesco,

ria dr., pp. 464-75). 1

ivi,

Gli dei della Grecia cit., p. 28.

XXXVIII, I940, pp. '-:1.7

sgg. (ristampato in Il senso della sto-

Introduzione

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Ma perché - vien fatto di chiederci - la fine dei valori borghesi dovrebbe significare, tout court, la fine dell'Occidente? ·:B questo uno dei problemi che - nonostante tutte le buone intenzioni del demartiniano etnocentrismo critico- suscitano oggi le maggiori pèrplessità in noi lettori degli anni '70.

Mito e logos. Sempre negli anni tra le due guerre, l'interesse per il mito- inteso in prima approssimazione come irrazionale che si contrapporrebbe allogas- maturò sulla coscienza di quella che appariva come crisi della cultura europea. Coscienza inquieta e borghese, avrebbe espresso quel filone di ricercatori specialistici nel campo della etnologia e della storia delle religioni (Frobenius, Otto, ecc.) rispetto ai quali De Martino avrebbe polemizzato a lungo, pur ritenendoli sempre interlocutori validi e privilegiati. I termini del .conflitto tra mito e ragione sembravano insuperabili. Se mai polemica si dava, era per operare una scelta tra l'uno o l'altro dei campi. Ad esempio, Thomas Mann, dal suo esilio in Svizzera già a partire dal 1934 aveva intrecciato su questi temi una :fitta corrispondenza con Karl Kerényi, destinata a continuare fino al 1952. Nella prima lettera -forse la piu esplicita- Mann dichiara apertamente tutto il suo dissenso rispetto alla moda «irrazionalistica» di quegli anni e al movimento di opinioni che si era venuto creando attorno alle tesi di Klages. Critica Kerényi mettendolo in guardia dal rischio di abbandonarsi irrazionalisticamente ai miti del «ritorno alla natura»: ma le sue sono soltanto riser· ve. La scelta ideologica è chiara: Giuseppe e i suoi fratelli deve essere un romanzo mitologico in cui «l'eterno ritorno~ sarà la chiave esplica· tiva. I miti greci di Kerényi potranno dunque continuare ad essere suscita tori di corrispondenza, purché se ne evitino gli eccessi irrazionalistici. Bene è essere per l'equilibrio: spostarsi a sinistra, quando la bilancia inclina troppo a destra, e viceversa '. Diamo atto a De Martino (che comunque in quegli anni non poteva conoscere i terni dibattuti nell'epistolario Mann-Kerényi) di una chiarezza di posizioni democratiche indubbiamente piu decisa. Ma di questo si ' T. MANN e K. KERÉNYI, Ge.rpriich in Brie/e11, Rhein Vel'lag, Zi.irich r96o [trad. it. Romanzo e mitologia. Un cartel!.gia, Il Ssggiatore, Milano z96o). La lettera .:i~ata è del 20 febbr-dio '934·

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è già parlato abbastanza, almeno per il momento. Qui ci interessa piuttosto fare un'altra osservazione, che ci sembra capitale per una corretta comprensione delle coordinate storiche operanti in De Martino: è esattamente all'interno del dibattuto contrasto ragione- non ragione che va collocato il primo sorgere in Italia degli studi sul mito e sul rito. In questo campo, De Martino non fu all'inizio del tutto isolato, anche se le sue posizioni lo avrebbero subito portato a diversificarsi in senso piu marcatamente storidstico rispetto alle altre tendenze a lui contemporanee. Ma neppure avrebbe mai rinunciato al postulato di quella tensione drammatica tra ragione e non ragione che, indicata in questi termini in Naturalismo e storicismo, a partire da Il mondo magico si sarebbe precisata e ormai definita nei termini (non del tutto coincidenti) della dialettica presenza- crisi della presenza. Certo è che, dagli albori del secondo conflitto mondiale fino circa alla fine degli anni '40, De Martino si trovò a riflettere su queste tematiche con un linguaggio che traeva il proprio lessico da un campo semantico condiviso da altri studiosi di diversissima provenienza culturale e di diversissimo orientamento teorico. Fu dapprima una coincidenza da cui era escluso qualsiasi reciproco collegamento: il che è abbastanza indicativo della diffusa sensibilità, tutta moderna per quegli anni, rispetto al dibattuto tema del contrasto ragione- non ragione. Ci sarebbero stati poi incontri e rapporti di scambio, piu o meno polemici. Fu quello un momento di grande fervore culturale, quando la scoperta del pensiero «primitivo» significò (almeno per alcuni) sprovindalizzazione degli studi, messa in causa dell'idealismo, apertura verso settori inesplorati anche e soprattutto nel campo delle scienze umane. Per renderei conto di quanto tutto ciò significasse e soprattutto su quale deserto entroterra si inserisse, basti un solo esempio: fino al 1948, anno in cui usci il primo volume di Miti e leggende, raccolta curata e introdotta da Raffaele Pettazzoni, non si disponeva in Italia di un minimo di testi accessibili che non appartenessero al campo dominante della mito• greca IO . l og1a Nella Prefazione allibro, Pettazzoni dice di aver iniziato a raccogliere il materiale documentario durante la guerra, «quando dalla realtà tristissima il pensiero cercò rifugio nella fantasia, e dalla frequente consuetudine con le voci di un'umanità primitiva nacque il proposito di divulgarne alcune nella nostra lingua». Pettazzoni non elaborò mai una sua teoria 10 11. l'ETIAZZONl,

Miti e leggende, vol. I: Afri,;a, Australia, Utet, Torino xg48.

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che andasse oltre la ovvia affermazione che il mito, per la cultura entro cui circolava, costituisse una «storia vera» 11 • Diversa è la tensione teorica degli altri personaggi che, a vario titolo, si sarebbero interessati al pensiero mitico: a Torino, Cesare Pavese, a Milano, il gruppo dei giovani ban:fiani, Remo Cantoni e poi Enzo Paci, ma anche uno studioso di mito greco, Mario Untersteiner, che, pur partendo da formazioni molto diverse, si trovarono a ricercare in direzioni analoghe. Qualche data: Naturalismo e storicismo vede le stampe nel 1940 (ma è messo in circolazione l'anno successivo); Il pensiero dei primitivi di Cantoni esce pure neli941, ma con un leggero anticipo rispetto allibro di De Martino 12 ; La fisiologia del mito di Untersteiner è del 1946 (in essa si fa riferimento anche a Cantoni; ben presto poi il filologo classico sarebbe entrato in contatto con Pavese) u; Il mondo magico esce nel 1948 (anche se la sua stesura è per buona parte antecedente); Ingens Sylva di Paci è del 1949 14 ; tra il 1946 e il 1950 compaiono i saggi di Pavese sul mito e sul simbolo, poi raccolti da Itala Calvino in Letteratura americana ed altri saggi 1'. Per tutti, nonostante le diversità di origine ed orientamenti, la scoperta del mito si calava all'interno di una professione di antifascismo (anche se non a una precisa scelta di classe) e di una ricerca di definizione di origine e forme della non-ragione 1". 11 La Prefazione a Miti e leggende cit., ristampa il testo di un precedente saggio: Verità del mito, in «Studi e Mllteriali di Storia delle Religioni •. XlCI, I947·48, pp. xo4-6. Si veda ancora, dello stesso autore, Forma e verità del milo, in «Nuovi Argomenti,., 37, marzo-aprile 1959, pp. 49 sgg. 11 R. CANTONI, Il pensiero dei primitivi, Garzanti, Milano X94I (Il pensiero dei primitivi. Preludio a un'antropologia, 2• ed. riveduta e ampliata, Mondadori, Milano x963}. l! M. UNTERSTIIINEII, L4 fisiologia del mito, Garzanti, :\>1ilano 19-16; dr. anche la sua recensione a c. PAVESE, Dialoghi con Leucò, in .. L'cduCliZione politica,, Il, r, novembre-dicembre 1947, pp.

344-46. Untersteiner, in lettera datata 6 giugno I972, cosi mi 5Crive: «Ecco quanto desidera sapere: la mia conoscenza di Pavese data t!Rl giorno in cui egli mi inviò di S11a iniziativa copia dei dialoghi con Leucò. Egli vi aggiunse una le[[era affettuosa. Letto il libro, capii che me lo aveva mandato quale autore della Fisiologia del Mito ... " Sui rapporti Untersteiner-Pavese (e in particolare sull'influenza della ricostruzione del mondo religioso preellenico sui Dialoghi con Lcucò, cfr. L. sEccr, Mitologia zoloc.ìa e ctlltura nazionale cit., pp, 2J·]O.

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testimonianze, di nuovo singolarmente convergenti attorno ai due suoi libri sul «mondo»: Il mondo magico vide anche interventi critici di Paci sulla questione del mito e delle categorie 11 ; nelle note preparatorie a La fine del mondo, un buon numero di pagine (da noi sunteggiate in Appendice) comprende una critica serrata di De Martino alle tesi di Paci, che viene variamente attaccato, ma comunque ritenuto interlocutore valido. La peculiare qualità della Ragione demartiniana trova dunque le sue radici culturali in uno scorcio di tempo, che può essere abbastanza precisamente circoscritto al decennio degli anni '40. La sua fu- e tale sarebbe rimasta- una proposta che, pur rifiutando come ipotesi malsana quella dell'esistenza di una dialettica antologica tra logos mito, tra Esse.re e Nulla, purtuttavia avrebbe anch'essa finito per riproporci l'immagine, ambigua ed astratta, di una Ragione trascendentale che, se da un lato può e deve trionfare, dall'altro può sempre crollare negli abissi della nonragione. Di fatto, anch'egli si trovò ad elaborare i propri strumenti critici all'interno di un campo semantico, di cui altri avevano determinato il lessico.

e

Alcune suggestioni esistenzialistiche e fenomenologiche. Parlare eli crisi della ragione o, su un piano traslato, di crisi della p~ .senza, senza tener conto di alcune fondamentali suggestioni esercitate dall'esistenzialismo sarebbe per lo meno fuorviante. :È questo un punto che stranamente non è stato mai toccato dai peraltro poco numerosi esegeti di De Martino, e che al contrario è da ritenere quasi altrettanto capitale quanto fu lo storicismo nella formazione dell'universo teorico di De Martino. La sua posizione nei confronti dell'esistenzialismo è a dir poco ambigua, e si muove secondo una linea esattamente opposta a quella da lui seguita nei confronti della filosofia di Croce. A partire da Il mondo magico, stigmatizzò come morboso e malsano l'esistenzialismo, in quanto :filosofia del nulla, con argomentazioni che ripetono quasi testualmente le severe reprimende dell'illustre maestro napoletano". Mantenne sempre Cfr. sopra, p. XLVII, nota I4. Quanto alle critiche di Croce all'esisten~ialismo, denigrato come moda ormai quasi tramontata e comunque rispondente a "disposizioni d'animo torbide e malsane" vedasi l!. CROCE, Una cri· tit:a all'esisten;;;ialismo, in «Quaderni della cdticn, 1, 194,, pp. I07-9· 11 19

Clara Gallini

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salda questa sua posizione, che ribadisce ripetutamente anche nelle note di La fine del mondo. Salva solo certi aspetti dell' «esistenzialismo positivo italiano>> (Abbagnano in particolare), di cui rivaluta l'ottimismo storico: e qui sembrerebbe fermarsi. Eppure, la sua utilizzazione dell'esistenzialismo è molto piu larga e incisiva di quanto egli stesso non sia disposto a riconoscere. Se impieghiamo il termine generico di esistenzialismo, lo facciamo deliberatamente, perché cosi si indicava in quegli anni (e lo stesso De Martino l'avrebbe fatto) la varietà delle correnti di pensiero giunte dalla Danimarca e dalla Germania già da prima della seconda guerra mondiale. Anche i diversi esistenzialismi d'oltralpe possono essere ascritti a quella varietà di prodotti culturali sorti dalla «distruzione della ragione», piu che motivatamente stigmatizzati da Lukacs non solo come irrazionalistici e borghesi ma anche come originati da quella stessa matrice del crollo del mito della ragione e del progresso che avrebbe anche ingenerato quegli altri prodotti culturali di cui si è già parlato. Ma va anche tenuto conto del significato che l'esistenzialismo assunse in Italia. Qui, la sua fortuna e la sua rielaborazione relativamente autonoma da parte di alcuni nostri :filosofi. si caratterizza per un certo ribaltamento delle sue latenti funzioni politiche, per cui è una parte dell'intelligendja borghese antifascista a riappropriarsi della filosofia del Nulla (cosi anche si amava chiamarla) per operare mediante essa una prima contestazione alle sane vigenti certezze culturali lo. _Se richiamo qui in pochissime parole un momento storico-culturale molto piu complesso e articolato, è per sottolineare di nuovo come in Italia gli interessi per !'«irrazionale» mitico si siano da molto presto sposati agli interessi per l'analisi esistenziale. Ciò non signilìca che tutti gli esistenzialisti italiani fossero necessariamente studiosi del ~pensiero dei primitivi» (Abbagnano per esempio non compi scelte di questo genere), significa però il contrario: cioè che tutti gli studiosi di «pensiero dei primitivi» sarebbero prima o poi passati attraverso esperienze esistenzialistiche piu o meno coinvolgenti. Di fronte al problema della collocazione da assegnare al mito nella nostra civiltà e, per converso, a quello della collocazione dei reciproci ruoli di mito e logos nelle civiltà primitive, il ricorso strumentale piu ovvio era sembrato quello fornito dall'esistenzialismo. Di fatto, la aporia 211

Su queste, ed altre, caratteristiche dell'esistenzialismo italiano vedansi in pattkolare

A. SAN-

TUCCI, Esistctr:.ialismo e filosofia il aliano, II Mulino, Bologna 1959 e E. GAarN, CrontJchc di filosofia it~lilma, Laterza, Bari 1966, vol. II, pp. 47I·fh; 538·6I.

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fondamentale di Cantoni e poi di Paci- ma anche di Pavese, Untersteiner, e perfino dello stesso De Martino, sebbene in misura molto piu vigile - fu quella di trovare conferme alle proprie o altrui teorie del mito riportandole ad analogie che sembrava ovvio rintracciare nell'ambito delle tematiche proposte dall'esistenzialismo. Per i piu, quando si trattò di entrare in merito alla definizione delle qualità inerenti a quelle che oggi definiremmo col nome di strutture mitiche, il rimando piu immediato correva- in modo piu o meno critico, piu o meno sofisticato- ad analogie tra il pensiero mitico-magico e certe situazioni psicologico-esistenziali descritte appunto dalla .filosofia della crisi e a loro volta trasposte a emblema antologico universale. Nessuno fu s.fiorato dal dubbio che queste presunte conferme non fossero altro che convergenze culturali, piu o meno consapevoli, piu o meno casuali. Come dubitare, per esempio (cos.i per Cantoni e Paci) che il tempo «partecipato» dei primitivi non trovasse impressionanti riscontri nel «tempo vissuto» dell'uomo moderno? Come dubitare che Bergson potesse dare la mano a Heidegger? È comunque molto diverso il peso culturale giocato dall'esistenzialismo su De Martino rispetto ai .filosofi milanesi. In Cantoni e Paci si può dire che la fusione tra esistenzialismo e interesse per il mito sia, se non certo iniziale alla loro formazione culturale, comunque risultato di un processo simultaneo e concomitante. In De Martino, al contrario, l'interesse allo studio del pensiero magico-religioso preesiste dagli stessi anni in cui si laureò con Omodeo, con una tesi a metà teorica sul concetto di religione e a metà storica su un rituale della Grecia antica'\ Ma questa scelta di campo troverà una prima fondazione teorica solo in quel Mondo magico, in cui la definizione del rapporto tra presenza e storia viene costruita facendo reagire su premesse crociane una serie di elementi propri dell'esistenzialismo. E qui, di nuovo, il nostro inquietante personaggio si immergerà in piena consapevolezza nel sottile gioco di evocazione del nulla esistenziale, per trasformarlo in un oggetto diverso (la crisi esistenziale) e infine operare su di esso il solenne esorcismo della ragione crociana ... Altri meglio di noi potranno analizzare il modo in cui De Martino, già in Il mondo magico, riutilizzò Heidegger di Sein und Zeit, valutando anche la distanza che separa i due autori quanto a intenzioni di storiciz21 Queste due diverse parti della tesi di laurea •arebbc:ro pOi sfociate rispertivamc:ute in Il concetto di rdigionc, in« La Nuova lta!in, 4 (1933), pp. 32,-29 e I Gephyrismi, in c Studi e Materiali di Storia dclle Religioni», x, 1934, pp. 64-79.

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Oara Gallini

zazione dell'antico. Il Dasein di De Martino non è deiezione negativa) ma un esserci in cui il ci si configura storicamente entro contesti storicoculturali determinati; altrettanto storicamente determinati sono presenza e mondo; l'orizzonte che segna il limite di ogni possibile oltre non è statico e limitativo (come sembrerebbe sia per Heidegger), ma è una dinamica costruzione culturale, fatta di simboli e di azioni valorizzanti l'oltre stesso; l'esserci è soprattutto un dover-esserci, in cui la dimensione doverosa si tradurrebbe in un imperativo etico di trascendimento verso l'oltre. Queste, in sintesi, le forme dell'implicita (e in La fine del mondo anche esplicita) polemica di De Martino nei confronti di Heidegger, che non è certo un rifiuto di giocare sul suo stesso campo. È comunque una appropriazione molto particolare quella che De Martino compie rispetto all'esistenzialismo. Da un lato, tende a una sorta di identificazione tra Dasein e storia nel senso crociano con tutte le connotazioni ottimistiche che questa identificazione comporta; dall'altro reagisce- in misura molto piu marcata e profonda di quanto non sia disposto a riconoscere - a quella tematica del '> organizzantesi come «struttura» determinata (concetto cui De Martino era approdato verso la fine degli anni '5o) abbia in qualche modo influito anche un ripensamento critico delle tesi di Eliade relative all'esistenza di «strutture mitiche» presenti entro la psiche umana. Anche su questo punto comunque, gli orientamenti sarebbero stati opposti: mentre le strutture mitiche di Eliade sembrano archetipali (e quindi in parte debitrici di suggestioni di provenienza yunghiana), le strutture simboliche di De Martino si caratterizzano per una loro relativa logica interna e soprattutto per la loro storicità. 21 Questo saggio rapptesenta la piu ma!Ula e complctn rassegna reorica di tutti gli indhizzi di studi storico-religiosi che De Martino ritiene opportuno prendere in considerazione. 19 M. ELI ADE, Le };!oythe de l'étemel retour. An·hétypes italismo avanzato) che avrebbero condizionato il ritardato interesse per la sociologia. Sulla qllestione cfr. l Convesso na:donole di psichiatria democratica. (Relazione dello segreteria uscente), Aierr.o, 24-26 settembre I!176, pp. U·I3, e G. JEB.VIS, Manuale critico di psichiatri proietta, per risolverlo nd fascinans, il tremendum abissale in cui quotidianamente rischia di essere inghiottito... La convergenza di intenti culturali che si era realizzata durante gli anni '40 attorno alle nostre prime ricerche stù mito e sulla magia aveva toccato ambiti per lo piu accademici, eccezion fatta per la presenza, piu esterna, di un Pavese, letterato e organizzatore della cultura. Il dibattito che si aprf dopo la comparsa, sulla rivista «Società» di Intorno alla storia culturale del mondo subalterno (1949) fu molto diverso: allargatosi ben presto a riviste non specialistiche e a quotidiani, vi parteciparono politici, filosofi, letterati, uomini di cultura l. Altri dibattiti sarebbero seguiti, ma molto meno larghi del primo: una breve partita a due con Cirese nel I95I e nel1954 un dibattito che, prendendo spunto da alcune critiche mosse da De Martino a Giarrizzo, vide l'intervento di Cirese e Lanternari •. La tematica era di grande attualità: i rapporti tra cultura e classe, il valore da attribuire al folclore come fenomeno culturale e lo spazio da assegnare allo studio del folclore, cosi rinnovato, nel campo delle nostre discipline storiche. l Si vedano per questo i materi.ill documentari taccoltì da ANGELINI, DibatJìto .rulla cultura cit. 4 Sì veda il materiale documentario racc:oho di CLEMENTE-MilON!-SQUILLACClO"l"TI, Aspetti del dibdtlito sul /olkloT~ dt. e ulteriori informxzionì bibliografiche in GANDINI, Ernesto de Martino cit., pp. 250 e 252-y~.

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Com'è facilmente intuibile, furon toccati problemi in grado di diventare anche politicamente attuali. Non coprivano però certo l'intero arco degli interessi culturali di De Martino, e lasciavano fuori quella che alla lunga si sarebbe rivelata come forse la piu sostanziale delle sue dimensioni: lo studio del rapporto tra pensiero magico-religioso e società che lo esprime. Per tutti gli anni '50, De Martino fu sostanzialmente privo di interlocutori validi. Quanto ai colleghi etnologi - a parte il giovane Lanternari, che avrebbe maturato interessi storicistid sempre piu dichiaratil'ambiente doveva essere alquanto disperante. Quale fosse la situazione di questo tipo di studi, ce lo ha di recente descritto lo stesso Lanternari, in pagine fortemente critiche 5 • Di scarso livello culturale, la nostra etnologia pagava ancora l'eredità di lunghi amoreggiamenti col fascismo. Nei migliori dei casi, perduravano ancora indirizzi che identificavano studi di razza e studi di cultura, o si affermavano come eredi e continuatori della scuola di Vienna, con la sua teorizzazione dei «cicli culturali» e la sua tesi dell'esistenza di un monoteismo primordiale. Vigeva anche l'assioma che per fare dell'etnologia bisognasse necessariamente occuparsi di popoli «primitivi». De Martino non era andato in Africa e avrebbe pure affermato che si può fare dell'etnologia anche nel nostro Mezzogiorno: bastava questo per non farne un etnologo patentato. D'altra parte, quali confronti di metodo sarebbero stati possibili? Gli unici accademici che non avessero dimostrato aprioristiche chiusure nei suoi confronti furono Pettazzoni e Cocchiara, in virtu dell'orientamento laico e storicistico di entrambi. Soprattutto riguardo all'erudito storico delle religioni De Martino avrebbe sempre tributato grande rispetto, riconoscendogli il merito di aver condotto una importante battaglia per la laicità della storia delle religioni e di aver tempestivamente proposto una correlazione tra ideologia religiosa e livello socio-economico del rispettivo gruppo sociale 6 • Ma, oltre a questo pur importante scambio di reciproche manifestazioni di stima 1 , troppo divergevano le ' v. LANTEil.NARI, Ernesto àe Martino ctnolog,o meridio"'alista: vent'anni dopo, in «L'Uomo. Società tradizione sviluppo», I, x, aprile 1977, pp. 29·"· • Cfr. in particolare E. DE MARTINO, Le sckm:e rdigiose e la cultr1ra itafj,ma, in «Strada maestra•, 2, 1:969, pp. 71-91 e Biblioteca Comunale tdo popolare subalterno», in «Società», 6, 1950, pp. 95 •1 o6; De Martino replichcr~ subito dopo nella stCS5a sede: Ancora sulla storia del mondo popolare stlbt~ltemo, ivi, pp. 306-9 e di nuovo ancora Luporini in una nota conclusiva, ivi, pp. 309·I:lò.

• La linea del partito, e le relative dialettiche interne, di quegli anni è ancora tutta da rico-

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fu visto essenzialmente come teorico della crisi - era anche questo, ma non solo questo. La generica diffidenza nei confronti delle sue abnormi proposte si configurò talvolta in polemiche esplicite, a lungo andare origine di un'autoesclusione. ·· ~ Non mi riferisco soltanto all'intervento di Alicata che, nel 1954, accomunando De Martino a Levi (accostamento teorico che il nostro avrebbe decisamente rifiutato), lo accusa di una non marxista scissione tra intento teorico-conoscitivo e intento pratico-politico, di sottovalutare la «necessità di combattere le "tendenze piu tradizionali" e quindi conservatrici», e pertanto di favorire la fortuna di quelle tendenze che del primitivo esalterebbero «il carattere alogico, "religioso", i valori "esistenziali", ecc.»'". Alicata non faceva che riprendere e sviluppare una ben piu dura, incisiva e autorevole stigmatizzazione di Togliatti, il quale, già nel 1952, in una riunione della Commissione culturale nazionale {cui partecipò anche Salinari come responsabile della sezione culturale centrale) si era espresso esattamente in questi termini allusivi: L'esistenzialismo è venuto e partito come una foggia nel vestire. Le piu varie correnti di rinascita spiritualistica e nazionalistica sono alimentate coi mezzi piu diversi e bizzarri, che vanno dalle cosiddette poesie, che nessuno sa cosa siano e cosa vogliano dire, alle serissime indagìn i sulla validità cono sci ti v a della stregoneria e alla descrizione analitica dell'animo del pederasta attivo e passivo 11 •

Il fraintendimento delle intenzioni demartiniane è palese e liquidatorio. Per lui, la magia non possedeva certo «validità conoscitiva>) in assoluto, né era riproponibile come strumento accessorio alla lotta di classe. Riconosceva piuttosto che, entro condizioni storico-culturali determinate, il pensiero magico poteva assolvere a fondamentali funzioni teorico-pratiche. Una critica poi che lo riducesse entro gli schemi di un pretestuoso e banale «esistenzialismo» di moda finiva per non tener conto degli sforzi di De Martino verso quella direzione di un inserimento del marxismo ~truire. In p~rticolare sul rl:lllismo •ocialista si veda N. MISLER, La t•i~ italia11a al realismo, lvlazzottn, Milano ~973· In generale sul populismo in letteratura il rinvio ormai classico è a A. ASOR ROSA, Scrittori e popolo. Il populis,Jo nella letteratura italiana cont~mprmmea, Samonà e Savelli, Roma 196.:; (il problema del populismo è comWique assai piu generale c andrebbe ulteriormeme esaminato nello sped6co campo della politica culturale del partito). 10 Il saggio di M. -~LlCA~',\, Il meridionalismo 11011 si può fermare ad Eboli, in «Cronache meridionali "• 9, 19,4, è ristampato nella raccolta La battaglia delle idee, con Pt-efazione di L. Gruppi, Edi((]ti Riuniti, Roma 1968, pp. ,6-74 (la crilica a De Martino è a p. 68). 11 L'intervento è ora raccolto in P. TOGLIATTI, La politica ct~ltt~rale, a cura di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. rn-2.o6 (la citazione è da p, 197; la spaziatura è nostra).

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sul ceppo del crocianesimo, che avrebbe potuto incontrarsi con operazioni analoghe, approvate e favorite in seno al partito stesso". Le ragioni della marginalizzazione culturale di De Martino possono essere state diverse, e non credo esclusivamente imputabili ai suoi reali amoreggiamenti con la letteratura della crisi. Dovremmo altrimenti spiegarci le ragioni della fortuna politico-pratica (nonostante i rabbu:ffi di Alicata) di un Carlo Levi, che senza dubbio batte De Martino di molte lunghezze in fatto di civettamenti con Bergson e vagheggiamenti di un'ipotetica «civiltà contadina» che, tra l'altro, inizialmente avevano trovato piu che appropriata collocazione sotto le ali della politica di Olivetti, industriale e repubblicano, fautore di interventi di «comunità» nel Sud". Carlo Levi però - e non è certo l'unico - si inseriva in modo piu acquiescente in quella linea del nazional-popolare attraverso la quale, negli anni del realismo socialista, il partito cercava di far passare un'artificiosa e provinciale immagine sana e progressiva della nazione e delle sue masse popolari. Fu questa una scelta culturale che doveva comportare molte rinunce. Va anche tenuto conto che questa scelta andava parallela a una generalizzata diffidenza nei confronti di ogni possibile approccio allo studio della psicanalisi e delle discipline antropologico-sociali, per lungo tempo sospettate di inficiamento borghese". Di fatto, in quegli anni, se il nostro pensiero marxista cominciava a rinnovarsi dopo la forzata interruzione degli anni della guerra (penso in particolare a Banfi, Luporini, Geymonat e soprattutto a Della Volpe), la sua rinascita ancora prendeva le mosse all'interno di discipline assai ben consolidate nella nostra tradizione culturale, come la filosofia o l'estetica. Entriamo qui in modo eccessivamente schematico in un problema, che dovrebbe essere riesaminato sotto molti versanti. Ne toccheremo solo uno in particolare, che interessa De Martino in quanto storico delle religioni: lo spazio consentito dal partito a questo genere di studi. Lo studio dei rapporti tra religione e società e i particolari problemi che essi ponevano nel contesto del cattolicesimo italiano non poteva non " Sulle prime scoperte del marxismo da parte degli intellettuali del primo dopoguerra dr.

G. FA-

LASCHI, Fcrmenli an/i-idealistici, I94J·1950, in «Ideologie», 7, 1969, pp. 3.2-5r; M. SABllATINI, Su/ blocco politico degli intellettuali di sinistra, ivi, in particolare pp. ,8·6o, ed anche LL'PEKINI, Gli in-

tellettuali di siiJistra cit.

n Sll Carlo Levi (ed anche gli influssi bergsoninni in lui) cfr. G. DE DONATO, Saggio su Carlo Levi, De Donato, Bari I974· ,. Quanto alle diffidenze rispetto alla psicanalisi e alla polemica Banfi.Musatti s;·oltasi tra il '49 c il 'JI, cfr. DAVID, La psicanalisi in I t!llia ci r., pp. 7J·77 (lo stesso David SC!Jnala l'inizio di un ceti() disgelo solo a partire dalla metà degli anni '~u: i bi d., pp. 82-84).

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concernere la politica culturale del partito. La linea scelta fu quella di un diplomatico compromesso tra chiusure e ortodossia, comunque deleterio e oscurantista. Da un lato, venne favorita- e anche con considerevole ritardo- l'espressione, minimale e circoscritta, di un marxismo ortodosso, che tecrizzava la religione come meccanico riflesso delle strutture sociali, riflesso a sua volta caratterizzato prevalentemente in senso oscurantista: mi riferisco agli studi di Ambrogio Donini, sfociati nel fortunato manuale Lineamenti di storia delle religioni, uscito per gli Editori Riuniti nel I9)9·

Dall'altro, nulla si fece per una conoscenza delle principali pagine teo· riche dei classici del marxismo su una questione che, anche a questo livello, è tutt'altro che ovvia e scontata. Presso gli Editori Riuniti venne pubblicata solo una piccola antologia dei saggi di Engels sul cristianesimo primitivo, radunati sotto il titolo Sulle origini del cristianesimo ( r 9 53). Va detto a onore di De Martino che egli molto tempestivamente si sarebbe battuto (ma con le edizioni Einaudi) per una pubblicazione antologica degli scritti di Marx ed Engels sulla religione: anche qui, con nessun successo". In effetti, la prudenziale linea togliattiana nei confronti delle masse cattoliche - a qualsiasi livello di potere esse appartenessero - finiva inevitabilmente per veder partire segnali di luce rossa da quei vari settori di cultura laica che, a diverso titolo, si occupassero di analizzare da vicino struttura e funzionamento del cattolicesimo italiano. De Martino era laico, ma non condivideva quelle forme di critica alla religione (penso, per quegli anni, a nomi pur battaglieri come quelli di Ernesto Rossi o Aldo Capitini) che ne stigmatizzassero esclusivamente gli aspetti oscurantistici e di sfruttamento economico. Giustamente diffidava di atteggiamenti in ultima analisi di tipo liberai-borghese. Ma il suo appello per una conoscenza critica dei contenuti del «mondo magico» del Meridione e per una sua oggettiva contestualizzazione entro le dinamiche egemonia-subalternità cadeva per lo meno fuori tempo e fuori luogo rispetto alle scelte del partito. I contrastati rapporti tra De Martino e il Pd sarebbero inevitabilmente sfociati sul radicalizzarsi delle reciproche posizioni, per finire in un sof" Di questo progetto resta documentazione nel caneggio inedito De Martino- Pavese, di cui so· pra, p. LI x, nora 2 6 . V a anche cl etto cb e la r. i us t a esigenza posta da De Martino non ha ancora trovato sufficiente e valido compimento nelle due amologie di scritti marxiani ed cnge\siani sulla rcli· gione, sinora edite in Italia: K. l\·!A~X e F. ENGELS, Sulla religione, Snmonà e Savelli, Roma r969; e K. MARX, Sulla re/igio>le, a rura di L. Parinetto, Sapere:, Milano r972.

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ferto distacco. La sua silenziosa uscita dal Pci (che è del 1957 e non è determinata dai fatti di Ungheria) viene come conseguenza di reiterate e insoddisfatte richieste di libertà culturale, per sé e per gli intellettuali operanti nel partito 16 • Richieste individualistico-borghesi di un vittoriane· simo in ritardo? Troppo facile e sbrigativo sarebbe liquidare in questo modo l'espressione di valide istanze di conoscenza delle relazioni tra società e cultura, che tenessero conto di suggerimenti marxiani, tutti da tiscoprire. La mancanza di un rapporto dialettico tra il nostro studioso e il partito si sarebbe pagata al prezzo di un irrigidimento non creativo per il primo e di un isolamento dalle conseguenze ambigue per il secondo. In che misura possiamo dire siano cambiate le cose agli inizi degli anni '6o, quando De Martino annota le sue varie riflessioni attorno a La fine

del mondo? Nonostante il mutamento del clima politico generale, non si può dire che sia stata sperimentata una qualsiasi forma di verifica in chiave marxista del fenomeno religioso. In questo senso, De Martino ha ragione di stigmatizzare con parole molto dure la scarsezza numerica e la qualità estremamente rozza e infantile degli studi marxisti nel campo della teoria della religione e della storia delle religioni. Dobbiamo di fatto riconoscere che, se le cose hanno cominciato a migliorare, è solo in questi ultimi anni, e non certo nel campo della cultura italiana. D'altro lato, proprio nelle note a La fine del mondo, le letture demart1niane dei classici del marxismo vanno in direzioni per lo meno contraddittorie. Non sono poche le notazioni di considerevole rilievo, che npercorrono in modo piu consapevole la fondamentale intuizione demartiniana che il simbolismo magico-religioso costituisca una certa forma di orizzonte teorico della prassi sociale. Per queste ragioni, insiste su una lettura di Marx, che tende a non privilegiare gli aspetti dequalificanti di una religione, da intendersi come «oppio del popola>>. Insiste piuttosto, e molto correttamente, sulla tesi che per Marx la religione costituirebbe una varietà eli struttura ideologica, caratterizzata da una forma peculiare: quella del «percorso indiretto» (Umweg) che, a condizioni sociali date, l'uomo compirebbe per giustificare e render possibile i rapporti pratici materiali. Con1• Negli anni della destalinizzazione (e precisamente nel 1956-57 ), De Martino intreccia su questi temi una fìtta corrispondenza con Pietro Secchia, ancora inedita. Il rema ritorna- nel quadro eli un'autocritica che egli ritiene o spera ancora po~sibilc all'interno dci partito- nella risposta a Otto domt.mde sullo stato gt1ida, in «Nuovi Argomenti,., z:s, marzo-aprile ISJ:S7, pp. 76-9~- Per un'analisi piu panicolare, cfr. GALASSO, Croce cit., pp. 232-~8.

Introduzione

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seguentemente (e a questo punto, quasi prevedlbilmente) De Martino finirà per identificare il marxiano «percorso indiretto» con quel ricorso alla metastoda che, stando alle sue tesi, costituirebbe la qualità formale secondo cui si strutturerebbe l'ideologico religioso. D'altro lato, qui anche si fermano quelle parti delle sue meditazioni sui classici del marxismo, su cui vale la pena di tornare a riflettere. Il resto- e non è poco- si muove verso direzioni a dir poco cosi stravaganti, da costringerci brutalmente alla domanda di quanto in realtà De Martino, a un livello teorico piu generale, praticasse i principi piu elementari di un materialismo dialettico, peraltro ormai non del tutto estranei alla nostra cultura degli inizi dlegli anni '6o. Alcuni esempi sono già stati fatti a suo tempo; comunque, non mi sembra molto produttivo insistere su una serie di ovvi errori teorici, che ogni lettore sarà in grado di riconoscere, quando percorrerà quella parte delle note preparatorie a La fine del mondo che concernono la tematica dell'umanesimo marxiano. Mi sembra invece piu utile porre il problema, piu che degli errati, delle rinunce compiute da De Martino nel suo ultimo studio rispetto aprecedenti acquisizioni di indubbia importanza. In ogni caso, resta almeno come interrogativo il problema di una possibile incidenza, su errori e rinunce, del grande isolamento culturale che si era andato creando attorno al nostro studioso proprio negli anni piu fecondi della sua ricerca.

De Martino meridio.nalista? Credo che un buon numero di lettori di La fine del mondo rimarrà deluso nelle sue aspettative, quando si accorgerà di non trovare in tutte queste pur :fitte pagine il ruo De Martino, quello che è stato riscoperto in questi ultimi anni dalle nuove generazioni: il De Martino meridianalista, che analizza e denuncia le dinamiche di egemonia e subalternità culturale. Nelle note a La fine del mondo, la Lucania, con la sua miseria e la sua risposta culturale, è presente solo in un frammento di ricordo di viaggio, significativo e molto caro all'Autore: l'incontro col contadino che si smarrisce ed entra in crh;i quando, portato per qualche chilometro in automobile, non vede piu il campanile del suo paese, il campanile di Marcellinara... Perdita del centro, perdita di un mondo sociale e culturale, fatto di relazioni tra uomini e di simboli di queste relazioni: piccola «fine del mondo» vissuta tra le campagne del Meridione. Non certo fatto cul-

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turale centrale, che vada al di là di un episodio usato a guisa di metafora. E anche di questo dovremo dar ragione, esaminando la cosa su due fronti: quello delle opinioni del lettore e quello delle opinioni di De Martino. È indubbio che De Martino condusse inchieste sul campo che ebbero per oggetto il folclore religioso del Meridione. Ed ha ben ragione Lanternari, quando ne rivaluta l'importanza storica: furono le prime inchieste scientifiche, e politicamente motivate, che con intenzione si opponevano nel metodo a quelle forme di colonizzazione culturale, rappresentate negli anni '50 dalle ricerche di comunità condotte da équipes di antropologi culturali statunitensi 17 • Soprattutto per queste ragioni oggi si riscopre De Martino nell'ambito di un complesso momento di revit1al degli interessi per il folclore che, se da un lato si caratterizza come equivoco aspetto di una cultura di massa, dall'altro comporta anche lati piu seri, indirizzati verso tentativi di ricerca e conoscenza storica del nostro passato. È facile comunque prevedere che, se quakhe delusione le note a La fine del mondo comporteranno, sarà meno nella direzione dei filosofi lettori di Ilmondo magico che non in quella dei giovani ammiratori di Sud e magia. In ogni caso, La fine del mondo rompe decisamente con uno stereotipo di comodo, che potrebbe suonare all'incirca cosi: De Martino fu prima filosofo-etnologo, poi si occupò di meridione e di ricerca sul campo. Oppure, piu semplicemente: De Martino fu un meridionalista, che si occupò in particolare della cultura magico-religiosa del Sud. Ci piaccia o non ci piaccia, le cose non stanno cosi. E vanno almeno comprese, magari anche per riaffermare- come anch'io san fortemente tentata di fare -la validità e importanza primaria di certi approcci teorico-pratici che De Martino avrebbe finito, piu o meno esplicitamente, per considerare come secondari rispetto a un ordine di priorità teoriche che possono anche non coincidere con le nostre. È vero che le sue consapevolezze .• anche rispetto alla «questione meridionale», furono molto precise e piu che anticipatrici. Contestava il meridionalismo classico, rimproverandogli di aver escluso dalla sua ottica, prevalentemente economicistica, la considerazione di quell'importantissimo problema che è quello della cultura. Con questa sua scelta di campo si riappropriava, riveri:6.candola entro un settore ben definito, dell'intera problematica dei Quaderni dal carcere, che concerne il ruolo teoricopratico della cultura e la necessità della conoscenza di esso. Non è solo questa sua scelta di campo a fare di lui un meridionalista 11 LANTERNA!!.!,

Ernesto de Martino cit., pp.

40 ~gg.

Introduzione

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per lo meno poco ortodosso. Di fatto, egli non si occupò solo di Meridione, ma anche di Meridione. Lo specifico culturale che egli prendeva in e~ame poteva- almeno in potenza- essere scambiato con altri, qualora fossero state tenute ferme le tesi teoriche fondamentali e fossero state trovate motivazioni politico-culturali sufficientemente valide. Potrei ricordare varie circostanze in cui rifiutò di essere indicato come meridionalista 18 : ma, anche se non d fossero state, rimarrebbe immutata la sostanza delle cose: il «mondo magico» del Sud rappresentò per lui un importantissimo, ma non esclusivo oggetto di indagine storico-culturale. Il nucleo stabHe delle fedeltà demartiniane va cercato altrove, e cioè nell'impianto teorico della sua concezione del rapporto tra crisi della presenza e reintegrazione culturale operata dal simbolismo mitico-rituale. Se, a un certo punto della sua storia intellettuale, deliberatamente scelse di isolare la cultura meridionale come oggetto di studio, lo fu per una serie di motivi politico-culturall di ordine relativamente contingente, anche se di una contingenza assai rilevante. Genesi e motivazioni di questo suo interesse sono analizzati in molte sue pagine, a partire almeno da quelle Note lucane !~,che oggi ci sembrano anche le piu datate nel senso di un approccio individualistico-patetico (in fondo, ancora populista) alla miseria del Meridione. Queste scorie furono via via depurate, quanto piu si venne dichiarando, in modo consapevole, la necessità di affrontare la conoscenza della cultura del meridione utilizzando mezzi scientifici di analisi. Ed è anche questa una delle tante valide istanze demartiniane, la cui eredità è ancor oggi tutta da recuperare. Quando indico come contingenti le ragioni dell'interesse di De Martino per il Meridione, non intendo certo riferirmi a motivazioni di ordine personale, quanto piuttosto a tutto quel particolare clima populista, che fu caratteristico di tanta parte della nostra cultura del dopoguerra e che dominò almeno fino alla metà degli anni '50. De Martino avrebbe contestato il populismo con una serie di validissime ragioni: ma anche qui (come a suo modo era avvenuto anche per altri referenti culturali, ad esempio la filosofia esistenzialistica) un indirizzo dominante, o comunque non ignorabile, divenne per lui ulteriore campo di riferimenti semantici all'interno del quale operare critiche e scelte relativamente autonome. Nonostante abbia importanti antecedenti nel campo della nostra stoFaedo qui ricorso al ricordo di alcune affermazioni fatte oralmente da De Martino. 10 Nore lucane, in «Società», 6, 1950, pp. 6-'o-67 (ristampato in Furore, simbolo, valore, Il Saggiatore, ì'•.filnno 1962, pp. IO?· .li). 18

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ria culturale e soprattutto letteraria, come fenomeno che investi anche consistenti settori della cultura di massa (basti pensare al cinema neorealistico), la voga del populismo in Italia si colloca soprattutto nel primo decennio postbellico. Per quanto interessa il nostro argomento specifico, noteremo come essa- in modo non sempre limpido e rigoroso- abbia anche costituito matrice dei nostri primi studi socio-antropologici sul campo. Riviste come «Il Politecnico» e demartiniano un'ulteriore dimensione che lo riscatta dal suo errore teorico di origine. È vero, De Martino parte da un equivoco. Ma anche questo equivoco -come tanti altri che abbiamo incontrato nel corso di queste pagine- è il prodotto sbagliato di un'esigenza corretta. La fine del mondo può anche essere letto come una drammatica testimonianza di una ricerca del significato della civiltà occidentale e, piu in generale ancora, del significato della storia. Se discutibile è il metro del confronto tra noi e gli altri, è pur vero che questa esigenza di confronto si motiva su istanze teorico-conoscitive dalle molteplici implicazioni. La proposta di un «etnocentrismo critico» è una complessa operazione di verifica culturale di se stessi sugli altri, al fine di una messa in causa dei propri valori, non per sfuggire verso l'esotico, ma per recuperarsi a un occidente da migliorare. Sul piano teorico, è senza dubbio la proposta piu matura che sinora sia uscita dal campo degli studi etnologici, che negli anni in cui De Martino scriveva continuavano per lo piu ad esprimersi nei termini di un contestabile relativismo culturale e, in tempi piu vicini a noi, stanno di nuovo conoscendo pericolose forme di revival di un esotismo rinnovato nel senso di un'esaltazione di presunti valori comunitari, antieconomici e antistatali, ipoteticamente propri di civiltà «primitive» non per condizioni storiche, ma per scelta deliberata l l . La proposta demartiniana non consente fughe da noi stessi, e propone " Mi riferisco .Ue tesi di R. }aulin e soprattutto di P. CLASTRES, La société con tre /' état. cherches d'anthrapa/ag,ie po/itique, Les Editions de Minuit, Paris X974·

R~

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un'autocritica costruttiva. Vero è che vorremmo poter contribuire in qualche modo al verificarsi di condizioni storiche, per cui fosse possibile compiere questa autocritica non solo rispetto agli altri, ma anche e soprattutto assieme agli altri, nel quadro di una comune scelta di campo di lavoro politico-culturale. Sta di fatto però che, senza la proposta dell'etnocentrismo critico, forse non saremmo in grado oggi di chiederci come si possa fare di piu e di meglio. L'etnocentrismo critico è uno dei modi entro cui si traduce, concretamente e storicamente, quel trascendentale «dover essere» che giustifica e fonda sul piano antologico ogni manifestazione culturale umana. A tutta la scrittura di De Martino sottende una profonda tensione etica. Ed anche sotto questo profilo il nostro scrittore emerge come personaggio singolare, turgido groviglio di proposte, tra un passato che viene rifiutato e un futuro che da soli non si è in grado di pre:ligurare nel modo piu convincente. Il suo problema non è piu quello cattolico del «perché>) l'uomo stia al mondo: al contrario, egli si chiede «come» l 'uomo ci possa e ci debba stare. La sua istanza antologica è di fatto vivificata e resa plausibile da un'altra piu reale e attuale: quella etica, alla ricerca di nuove motivazioni, storiche e laiche, dell'essere dell'uomo nella storia. Qui sta anche la novità della sua proposta, De Martino analizza i termini > sfocia senza rimedio in una sfuggevole utopia umanistica. Ma apre anche delle questioni di fondo, che non possono rimanere eluse. Su quali fondamenta porre le premesse del nostro essere sociale? Come pensare un mondo migliore, in cui non solo i rapporti di produzione, ma tutti i rapporti sociali siano privi di alienazione? Quali dispositivi mettere in atto perché una cultura non si distrugga, ma si rinnovi per il meglio? E cosa intendere per meglio? E forse piu importante che dare delle risposte è porre degli interrogativi, perché altri, tutti assieme, cerchino nella direzione indicata. È questa, oserei dire, la proposta generale che ci viene dall'insieme di tutte le note a La fine del mondo, opera aperta che di continuo esige, da parte del lettore, non neutrali scelte di fondo. CLARA GALLINI

Nota redazionale

r. Qualità del materiale. Quelli che noi leggiamo sono appunti preparatori a un libro, che non poté essere scritto. Ci troviamo di fronte a un materiale vasto e allo stesso tempo frammentario, di cui non riesce sempre facile una presa complessiva. Nonostante la sua mole- anzi, in misura direttamente proporzionale ad essa - l'insieme di queste note ed appunti sembra riferibile a un livello di elaborazione .relativamente iniziale, precedente a una qualsiasi strutturazione e stesura del libro. Consta infatti per lo piu di ipotesi di lavoro relative al tema generale {le apocalissi culturali) o a temi specifici, di letture critiche di autori diversi (citati, riassunti e commentati) e infine di riflessioni storico-antropologiche di carattere teorico piu generale. In alcuni casi soltanto ci troviamo di fronte a pagine che potrebbero rappresentare una stesura quasi definitiva di brani da inserire nel libro . .:È anche lecito supporre che la stessa fase di raccolta del materiale non fosse stata ancora completata dall'A. Ad esempio, mentre le parti relative all'apocalisse cristiana risultano a uno stadio relativamente avanzato quanto a strutturazione generale del discorso, non è cosi per la parte relativa alle apocalissi dei movimenti di decolonizzazione. Sembra anzi che nel complesso esista un notevole scompenso tra la consistenza degli appunti che concernono l'analisi delle apocalissi culturali e il resto della documentazione usata a supporto o a contorno di questo tema, che risulta assai enfatizzata. È anche vero però che conosciamo solo a grandissime linee le intenzioni dell'A. circa la organizz~ione del materiale e le successioni dei singoli temi. Su questo punto disponiamo di poche indicazioni, comunque preziose, e in particolare di un Progetto deWopera, in cui si indicano l'oggetto del libro, il quadro teorico generale di riferimento e infine una sommaria divisione per capitoli. Va anche subito premessa un'altra osservazione riguardo alla qualità del materiale. Oggetto specifico dello studio sono le apocalissi culturali: ma questa problematica specifica si inquadra in altre di ordine piu gene-

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Nota redazionale

tale. La struttura e la funzione del simbolismo mitico-rituale, il senso della storia, la metodologia storica, le nuove direzioni dell'umanesimo etnografico e - a livelli antologici di ordine ancor piu generale - la problematica della «presenza~> e dell'esserci-nel-mondo, sono tutte direzioni di ricerca che l'A. non ritenne secondarie, ma fondamentali all'individuazione dell'oggetto specifico di analisi e assieme imprescindibili perché l'oggetto stesso assumesse un piu vasto e attuale significato culturale. Di qui provengono peraltro tutte le difficoltà per un ordinamento del materiale che ovviamente non può seguire, a posteriori, troppo rigidi criteri classificatori.

2.

Stato del materiale.

L'insieme degli appunti relativi a La fine del mondo è raccolto in ventidue cartelle. Ciascun appunto, o brano, può occupare meno di una pagina, una pagina o phi pagine. Brevi intestazioni, dattiloscritte o manoscritte, possono indicarne l'argomento. Manca di qualsiasi datazione (il che pregiudica la possibilità di un esame diacronico dello svolgersi della ricerca). Ciascuna pagina è invece molte volte contrassegnata da una nu· merazione progressiva, di cui si dirà oltre. Le annotazioni sono quasi sempre dattiloscritte, con varia interlineatura a seconda dei brani, ma senza un criterio unitario. Talvolta (ma non sempre) uno stesso brano può essere scritto con variazioni interne di interlineatura: in questi casi, la citazione diretta o il sunto del pensiero di un autore preso in esame sono scritti a interlinea I, mentre le osservazioni e i commenti dell'A. sono a interlinea 2. In altri casi, la pagina è battuta a interlinea I, ma vengono separati a interlinea 2 i singoli capoversi o blocchi di argomenti: a questo tipo di scrittura abbiamo uniformato la nostra trascrizione. Le correzioni d'autore possono essere di due tipi: a) correzioni di parole o di brevissimi tratti: in questi casi, sono indifferentemente dattiloscritte o manoscritte; b) cambiamento di parti di frase, di intere frasi o periodi: in questi casi, spesso l'A. lascia incompiuta (e spesso sema cancellatura) la parte da rifiutarsi, e riinizia piu oltre la nuova frase o il nuovo periodo. Quanto all'ordinamento interno del materiale, cosi come proposto dall'A., sembra sonunariamente indicato dal fatto che ciascun blocco di ap· punti si trova contenuto in cartelle diverse, contraddistinte tra loro (il ph.i delle volte, ma non sempre) da una siglatura in lettere e numeri ro-

Nota redazionale

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mani. All'interno delle cartelle, a sua volta, ciascun foglio è contrasseonato (nella maggior parte dei casi, ma non sempre) da un numero pro"'ptessivo. '' Va subito detto che ciascuna cartella, per quanto raccolga materiale relativamente omogeneo, non contiene mai materiale totalmente omogeneo. Sono poco frequenti casi-limite, in cui la continuazione di una pagina sia stata trovata in una cartella diversa da quella contenente l'inizio del brano. In svariati casi risulta però evidente la non pertinenza di molti appunti al tema prevalente della cartella, mentre risulta piu facile la correlazione con altri appunti facenti parte di cartelle diverse. Inoltre, la stessa siglatura (in lettere e cifre) delle varie cartelle non sembra corrispondere a una progressione logica degli argomenti, almeno nel modo con cui essa è presentata dal Progetto dell'opera, di cui diremo oltre. Nel complesso, l'organizzazione degli appunti fatta dall'A. sembra dunque piuttosto rapida e approssimativa, e può pertanto valere solo come indicazione di massima ai fini di un ordinamento del materiale. Infine, altri appunti molto simili quanto a linguaggio e contenuto sono stati raccolti dall'A. in altre cartelle separate da quelle di La fine del mondo. Si tratta di note organizzate in funzione di un altro eventuale studio, di ordine teorico, sulla struttura e funzione del simbolismo mitico-rituale. Nel complesso, contengono materiale preparatorio a studi precedenti (lamento funebre, tarantismo pugliese, ecc.), e quindi largamente superato. Ma vi sono stati aggiunti alcuni appunti, senza dubbio piu recenti, che tengono conto della problematica sia storica che filosofica, che occupava l'A. negli anni in cui si dedicava a La fine del mo11do. Questi brani sono stati da noi estrapolati e inseriti anch'essi nella presente raccolta di inediti. 3· Trascrizione e ordinamento del materiale.

Indicheremo schematicamente i criteri da noi seguiti. Quanto alla trascrizione: a} L'interlineatura è stata unifonnata, al fine di rendere piu agevole la lettura dei singoli brani. Dato il carattere degli appunti, che nel loro interno spesso si strutturano secondo blocchi (progressivi o discontinui) di annotazioni, si è esteso all'intera trascrizione il criterio - come si è visto, seguito dall'A. in un certo numero di casi- di separare mediante interlineatura piu marcata i capoversi o i vari blocchi logici all'interno dei singoli brani.

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Nota redazionale

b) La grafia delle eventuali intestazioni dei brani è stata uniformata. Quanto alle parole straniere, si è sempre mantenuta la grafia dell'A., ad eccezione dei nomi propri russi che sono stati uniformati alla traslitterazione correntemente usata. c) Sono stati corretti i piu evidenti errori di dattilografia. Si sono aggiunte alcune parole evidentemente mancanti. Si è intervenuto nella punteggiatura. Si tratta, nel complesso, di «forzature» del testo, non numerose ma necessarie per la corretta comprensione di appunti, che l'A. probabilmente non sempre dovette rileggere. Si è ritenuto superfluo indicare l'avvenuta correzione. d) Si è tenuto conto solo delle varianti definitive di parole, gruppi di parole, frasi o periodi successivamente corretti o sostituiti dall'A. anche senza previa cancellatura. Non sono quindi state indicate le stesure precedenti. L'applicazione di rigidi formalismi filologici ci è sembrata eccessiva rispetto alla finalità di un'agevole lettura di un testo, già cosi complesso.

e) Le lacune (che nella quasi totalità dei casi concernono l'inizio o la fine di una pagina, di cui non è stato reperito il raccordo) sono indicate con puntini tra parentesi quadre.

/)Le parti (intestazioni, brani, raramente pagine) scritte a mano dall'A. sono riportate tra parentesi onciali. Quanto all'organizzazione: a) Si è seguito il criterio di pubblicare tutto il materiale significativo.

Sono stati esclusi: I. Qualche frammento di annotazioni (spesso neppur numerate) che avessero l'evidente carattere di refuso. 2. Singoli articoli di studiosi vari, qualora siano stati solo raccolti e riportati interamente in traduzione senza commento. Se ne fornisce comunque, a suo luogo, l'indicazione bibliografica. 3. Quella parte di raccolta di fonti neotestamentarie relative all'escatologia cristiana, che non sia stata né commentata né semplicemente organizzata in una pagina contenente citazioni diverse. Anche per questa parte, si fornisce a suo luogo un'indicazione che ne consenta il reperimento. 4· Un'intera cartella di circa duecentocinquanta fogli contenente letture critiche di Croce, Paci, Abbagnano, Husserl, Heidegger. Si tratta di una cartella non siglata, collocata assieme a tutte le altre

Nota redazionale

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relative a La fine del mondo, ma concernente una tematica filosofica che si collega molto latamente a questo oggetto specifico. L'inserimento di questa cartella avrebbe ulteriormente appesantito la già considerevole mole degli inediti, e poco aggiunto all'illustrazione della parte teorica cui può essere riferita, e qui da noi raccolta nel blocco intitolato L'ethos del trascendimento. Se ne dà comunque in Appendice una sommaria descrizione. Ne sono però stati estrapolati sei brani di argomento piu specificamente antropologico e storico-religioso, che vengono pubblicati tra i presenti inediti. b) Sono stati inclusi, ai fini di completamento e confronto, alcuni brani provenienti da cartelle diverse da quelle di La fine del mondo, relative alla raccolta di riflessioni sulla genesi, struttura e funzione del simbolismo mitico-rituale. c) Ciascun brano pubblicato porta al suo inizio un numero progressivo, dato da noi. Può portare un'ulteriore sottonumerazione nei seguenti casi: I. che si tratti di varianti di stesura di un medesimo brano; 2. che si tratti di parti, chiaramente successive, di letture critiche di un medesimo testo.

d) I singoli brani sono stati raccolti e organizzati secondo blocchi di argomenti relativamente omogenei, articolati su tre livelli: I. Blocco principale, corrispondente alla divisione in tre capitoli, Prefazione ed Epilogo, come indicato dall'A. nel Progetto dell'opera (cfr. br. I). 2. Blocchi secqndari, facenti capo a ciascun blocco principale. Per questa suddivisione, si è tenuto conto della tematica prevalentemente trattata nelle singole cartelle. Per ottenere il massimo dell'omogeneità, una volta individuata la tematica, si sono scartate dal blocco quelle annotazioni che non ci sono sembrate pertinenti e se ne sono eventualmente aggiunte altre, a nostro avviso piu ailini, di diversa provenienza. Va anche precisato che non sempre una cartella conteneva appunti relativi all'argomento di un solo blocco, ma poteva contenerne due o piu. 3· Sottoblocchi, facenti capo a ciascun blocco secondario. I loro criteri costitutivi talvolta hanno coinciso con quelli esposti sopra, nel punto 2 (cartella contenente argomenti relativamente omogenei). In altri casi, si è intervenuto con nostre divisioni del materiale secondo temi.

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Nota redazionale

e) Quanto alla progressione degli argomenti: r. L'ordine di disposizione dei singoli blocchi principali segue, come

si è detto, l'ordinamento in tre capitoli proposto dall'A. Non potendo però distinguere il materiale preparatorio al1a Prefazione da quello preparatorio all'Epilogo, lo si è lasciato unificato e posto come quinto blocco principale. Al primo blocco si è riservata quasi esclusivamente la stesura dei vari progetti del libro. 2. La disposizione dei singoli blocchi secondari e sottoblocchi all'interno di ciascun blocco principale segue invece criteri prevalentemente nostri (a parte la generica indicazione fornita dalle cartelle). In alcuni casi l'ordine dei diversi temi successivi cerca di seguire le linee di sviluppo logico proposte dall'A. in appunti da noi considerati come pagine-chiave. Nella piu parte dei casi però il materiale è stato organizzato disponendo in progressione: :z.r. appunti di ordine generale, ipotesi di lavoro relative al singolo tema trattato; 2.2.letture critiche sull'argomento, possibilmente disposte secondo l'anno di edizione dei testi esaminati; 2. 3. ampliamento delle riflessioni dell'A. verso tematiche storiche, antropologiche, ecc. di ordine piu generale.

f) Ciasam blocco principale, blocco secondario e sottoblocco porta un titolo e uno o piu numeri d'ordine. I titoli dei blocchi principali sono quelli proposti dall'A. nel Progetto dell'opera (br. r). Gli altri titoli e la numerazione sono stati dati da noi, per agevolare la lettura e il reperimento degli argomenti. g) Ciascun blocco principale, blocco secondario e sottoblocco è preceduto da una breve nota redazionale, in cui si descrive lo stato del materiale e si fornisce una chiave di lettura molto sommaria, che non pretende di essere definitoria, ma vuole piu che altro indicare la successione logica secondo cui è stato da noi organizzato il materiale.

A conclusione va detto che l'ordinamento degli inediti di Ernesto de Martino, da noi proposto, non va inteso nei sensi di una rigidità formale e doverosa. Lo impedisce la qualità stessa di questi appunti, nati come momento di vigile e libera riflessione, ali 'interno di un quadro di coerenze teoriche già costruite e assieme da verificare in campi diversissimi tra loro. Ciascun brano ha un tono che è dominante per noi, ma potrebbe non esserlo per altri. Le sue possibilità di raccordo a brani da noi assegnati a blocchi e sottoblocchi diversi da quello cui è stato assegnato sono

Nota redazionale

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varie e numerose, proprio perché in ogni singola annotazione l'A. non perde mai di vista il quadro complessivo di riferimento. Per questo, al di là degli stessi contenuti- sui quali si può esprimere accordo o disaccordo- resta il fascino di un puzzle, in cui ciascuna tessera porta dinamicamente in sé il duplice segno di un riferimento specifico e assieme di una presenza, talvolta segreta, talvolta esplicita, dell'intero disegno generale. C. G.

Prefazione (br. r-8)

Si radunano qu.i otto brani, di inquadramento generale alla problematica delle apocalissi culturali, che in una certa misura possono servire da chiave di lettura per le sezioni particolari del libro. Il materiale- proveniente da diverse cartelle- è stato organizzato cosi: Brani I e 2: il Progetto dell'opera, in due versioni assai simili quanto allo schema dei capitoli. Tale Progetto (che ci indica anche il titolo del libro) sembra essere il definitivo, o comunque riferirsi a una fase assai avanzata del lavoro. Brani 3-5: schemi probabilmente precedenti. In particolare, il br. 5 fa riferimento a una serie di esempi - Aiora, lamento funebre, ecc. - che non verranno piu trattati. In ogni caso, mancano riferimenti al rituale del mundus, che sarà invece uno dei temi centrali dell'opera. Brani 6-8: sembrano voler presentare l'intera tematica non tanto secondo i diversi esempi storico-culturali, quanto secondo un approccio metodologico piu generale, che considera come primario l'esame del rapporto crisi- reintegrazione culturale.

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La fine del mondo.

Contributo all'analisi delle apocalissi culturali. Progetto dell'opera. Prefazione Introduzione Capitolo I Mundus Capitolo II Il dramma dell'apocalisse cristiana Capitolo III Apocalisse e decolonizzazione Capitolo IV Il dramma dell'apocalisse marxiana Epilogo L'opera vuoi essere un contributo all'analisi etnologica delle apocalissi culturali, intendendo per etnologia la comparazione critica delle storie degli etne oggi viventi, a partire dalla storia della cultura occidentale come centro di riferimento e al tempo stesso come unità di misura destinata ad essere messa in causa e ad essere a sua volta misurata nel corso della misurazione confrontante, dando luogo in tal modo ad un incremento della consapevolezza antropologica (o umanistica). L'argomento delle apocalissi culturali si presta in modo particolare a saggiare le potenze di questa «etnologia riformata» perché come occidentali e come borghesi portiamo oggi un acuto senso del , e tale «finire»~ quale che sia il modo col quale lo viviamo- forma documento interno attuale, nodo operativo presente, e quindi stimolo alla problematizzazione deliberata mediante la ripresa sistematica della nostra storia culturale e mediante il confronto di questa storia con quella delle culture «aliene». L'opera si iscrive quindi in quel moto umanistico che, dopo l'epoca delle scoperte e della fondazione dei grandi imperi coloniali, trapassa dall'umanesimo filologico-classicistico all'umanesimo etnografico. Inoltre l'opera consente di riconsiderare in una piu matura prospettiva la tematica del Mondo ma-

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Prefazione

gico (il rischio di non poterei essere in nessun mondo rnlturale possibile}, di M orte e pianto rituale nel mondo antico (la crisi del cordoglio nel mondo antico e nella civiltà cristiana), le ricerche etnografiche nell'Italia meridionale (il ritorno irrelato del cattivo passato in La T erra del rimorso e i limiti con cui Cristo è andato oltre Eboli in Sud e magia). Ma anche spunti e motivi di Naturalismo e storicismo nell'etnologia confluiscono in quest'opera, soprattutto per quanto concerne la problematica di una etnologia che metta in causa la civiltà occidentale e che si lasci quindi guidare dal criterio fondamentale dell'etnocentrismo critico. Nella esecuzione dell'opera si fa valere l'istanza della ricerca interdi~. sciplinare (con una particolare formula metodologica) particolarmente in rapporto alla necessità di confrontare le apocalissi culturali con i loro rischi psicopatologici e di determinare il carattere di difesa e di reintegrazione che le apocalissi culturali rappresentano rispetto a tali rischi. Ad illustrare questo rapporto e questo carattere viene prescelto un documento psicopatologico della fine, in cui il contenuto del delirio si riferisce a frammenti disarticolati di configurazioni storico-religiose di civiltà cerealicole, e si analizza il divérso orientamento di queste figurazioni e di quel delirio (cap. I: Mundus). Dopo un rapido esame della tematica delle periodiche distruzioni e rigenerazioni del mondo nel quadro dell'eterno ritorno, si analizza il dramma dell'apocalisse cristiana, cercando di individuare, nel documento neotestamentario, i rischi psicopatologici della «fine» e la struttura della syntéleia ton aion nel quadro del piano irreversibile della storia della salvezza (cap. n: Il dramma dell'apocalisse cristiana). I movimenti profetici di liberazione dei popoli già coloniali nell'epoca della decolonizzazione formano oggetto del capitolo nr: e anche qui cercando di cogliere il dramma fra rischio psicopatologico ( soprattutto nelle culture di cacciatori e raccoglitori) e reintegrazione culturale (cap. m: Apocalisse e decolonizzazione}. Il capitolo IV valuta la apocalisse marxiana come proposta di demistificazione radicale delle varie immagini rnitiche del «finire», e come compito operativo che tematizza il «cominciare» umano in quanto consapevole fondazione del mondo: ma, al tempo stesso, si indicano i limiti interni connessi all'apocalisse marxiana, cioè Poccultamento di quell'ethos del trascendere che sta alle radici della stessa fondazione inaugurale di un mondo economico-sociale come di tutte le altre fondazioni valorizzatrici (cap. rv: Il dramma dell'apocalisse marxiana). L'epilogo si intrattiene piu distesamente sull'ethos del trascendere valorizzante, conducendo il discorso antropologico sulla base dei risultati dell'analisi etnologica.

Prefazione

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Progettr:;• ddi':ope.ra. r. Prefailo1oe u. Intr.oèbJI.ZJ,o1.Tie M U',lj;~ M':!'" IV. Il drammilll .dell'apocalisse cristiana v. Apocilis.~;e ·e decolonizzazione VI. Il dt:mMIDJil. d·ell'apocalisse marxiana III.

Sezioni' .dd :n.zggiò in preparazione su« La fine del mondo». A. DoCtJrmento· psichiatrico. B. Doclblnelil~O

etnopsichiatrico.

c. DOClJI11!l.ei!lliO· leuerario e filosofico. D. E. F. G.

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Documea:no marxiano. DoC'Il11Gemo emologico: popoli primitivi ed escaton. Documen.t·c:t ctr.nstiano: Cristianesimo primitivo ed escaton, Docwnent1:1 ·cr1stìano: storia dell'occidente ed escaton.

L'analisi de!la esperienza e del pensiero della fine nelPEuropa contemporanea: a) Dalla ·crisi delia teologia della storia a quella del concetto di progres:s.o. b) Il mondo pr[\o"'· di senso e la disçesa agli inferi nella letteratura, nelle arti figuii'a:tive e nella musica. Il documoentto clinico della :fine: il vissuto di fine del mondo nella schizofrenia, na ~;ind:rome di Cotard, le esperienze di spersonalizzazione e di derealizzazloiiJ!e. Il differimemo della fine nella dinamica del Cristianesimo primitivo. I temi milllena:ristic;i dell'occidente. ed il loro significato storico-culturale. ·· I temi miHenaTisrici ed escatologici del terzo mondo e i compiti che pongono alb civiltà moderna.

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Prefazione

Ai ora. Lamento. Struttura incantesimi Iucani. Akitu. Ciclicità del divenire in India (exempla della ripetizione rituale del mito delle origini). Calendario romano. Morte rituale nei riti di pubertà. L'escaton giudaico-crisd.ano. Utilizzazione tarantismo. Movimenti di liberazione del terzo mondo. Spengler. L'istinto di morte (Giinther Anders). Samuel Beçkett, Robbe-Grillet, G. Marcel. HOlderlin. Nietzsche. L'esistenzialismo ateo di Sartre. Che il mondo possa finire è un tema antico quanto il mondo, per quanto la sua importanza culturale, la tonalità con cui è vissuto, la dinamica in cui è immesso siano diversi nella varietà delle epoche e degli ambienti storici, dei gruppi sociali e degli individui, e infine delle forme di coerenza culturale alla cui dinamica partecipa.

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:a) L'esserci-nel-mondo, Ia presenZ:!t.

·.b) Il rischio di non esserci-nel-mondo, di perdere la presenza. 'c) La ragione (le forme di coerenza culturale) come reintegrazione del-

la presenza nel mondo. La ragione simbolica. I valori.

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Il doverci essere nel mondo degli uomini. L'ethos del trascendimento della vita nella valorizzazione intersoggettiva. Riconoscimento della intrasensibilità di questo ethos fondatore di tutti i trascendimenti, suprema regola dell'oltre che non può essere oltrepassata.

Il mondo come patria culturale dell'operabile secondo valori. La operabilità del mondo come progettante comunitario orizzonte del fare. La progettazione comunitaria dell'utilizzabile in quanto testimonianza inau-

Prefazione

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gurale della valorizzazione .W~!E:r.sqggettiva della vita. Economia e società primo orizzonte della domesticità del mondo, nello sfondo di un mondo appaesato. La dialettica m:tem.s!i di positivo e negativo in ciascuna fonna di valorizzazione.

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crollo dell'ethos del u~.c:en/dimento su tutto il fronte del valorizzabile: rischio radicale de]]'esistere, Il mutamento di segni dell'ethos del trascendimento valorizz;;mt,::!: 1e: la destrutturazione progressiva dell'appaesamento culturale del mondo. n :mutamento di segno nel documento psicopatologico e in quello· [.etr:e:nuio-filosofìco. Le difese storico-culturali da questo rischio. La iterazione rituale di un mito di origine e dli f"-'i'Ddazione, l'anticipazione rituale di un mito di compimet'ito e risolmi·Ctne d,Efinitiva {escatori}. L'escaton cristiano. L'escaton nelle civiltà c,c.[,:::mr:alli: in movimento. Il progresso deUa presa di coscienza della storicitài ddla condizione umana attraverso a) la iterazione rituale del mito deUe origini (massimo occultamento della storia); b) l'anticipazione rituale dd mito di compimento (la storia come speranza di un termine futuro della storia); c) la storia fra origine e termine ricevente senso da un eventiJI midco centrale, la incarnazione dell'uomo-dio; d) il riconoscimento dellla centralità di ciascun uomo vivente nella società e nel mondo, e della integraìe l!]manità della cultura e della storia. Il simbolismo civile come unico p•a.§.sibile.

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a) Il dover essere nel mam:l.oo eome ethos del trascendimento della vita nel valore. Il dover essere nel mondo come apertura alla valorizzazione della vita, alla progettazior.IIJJe comunitaria dell'operabile secondo forme di coerenza culturale. La progettazione comllJil!lÌtalt"Ìa dell'utilizzabile come forma inaugurale della vita intersoggettiva. Il mondo come orizzonte cUlturale di operabilità della vita. La domesticità, la ovvietà, ecc . .dlel mondo. b) Il rischio del crollo .del va1orizzabile. La crisi radicale dell'ovvio, del domestico, dell'operabile: ncl.: x) il mutamento di segno dd mondo nel documento psicopatologico; 2) il mutamento di segno del mondo nel documento letterario e filosofico contemporaneo.

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Prefazione

c) La ripresa del rischio di non-esserci al mondo nell'orizzonte culturale della ripetizione rituale del mito di origine e di fondazione del mondo. d) La ripresa del rischio di non esserci al mondo nell'orizzonte culturale dell'anticipazione rituale dell'escaton: r) l'escaton cristiano; 2) l'esca ton nei movimenti di liberazione dei popoli coloniali.

e) La ripresa del rischio di non esserci nell'orizzonte culturale dei simboli civili.

Capitolo primo «Mundus» (br. 9-I58)

In questo capitolo l'A. intende prendere in esame tutta la dinamica che va dalla crisi esistenziale al simbolismo mitico-rituale, inteso come strumento di reìntegraz.i.one culturale. La documentazione psicopatologica relativa alla descrizione delle forme assunte dal «delirio di fine del mondo» viene contrapposta alla documentazione storico-religiosa: cioè a quel complesso di riti e/o di miti, largamente diffusi nel mondo antico, che periodicamente celebrano la fine_e la rinascjta òel woçdu In particolare, l'attenzione intende rivolgersi all'esame-del rituale romano indicato col nome di fJ/Jink• JM't:t. M~s c;] la fossa che, t~ volte l'anno, veniva apertl! ritualmente, p_ey_c.h~ i m~J.J..O.JJ:J.~IO ll~çj,[~4re..sJ.illa.lf.l".J:l3.. I g!Qt~ul~.a.­ ap_s_rliL~Q~~J~~~-12!o__sg~Jàs~l!i.YJUID ...considerati..!!.fCI.asn,eaogni attività umana restava sospesa, celebrandosi cosL in form;ùi.witatq_ e~.~i.m"boll6çiliia temporanea , 20 ( r949), pp. 258-62. Ricollegandosi alle ricerche del biologo von Uexkiill, Biltz nota come l'uomo sia un ente «aperto al mondo», laddove gli animali sono necessariamente collegati alla loro U mwelt (p. 2 59).

x.r.r. Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

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Vi è un mondo in una matrice, un mondo del neonato, un mondo del giovane in famiglia, un mondo della maturità. Biltz non prende in censiaerazione che questi mondi non possono essere considerati per sé, in un astratto uomo in sviluppo, ma nel quadro di «mondi storico-culturali•• definiti (pp. 259 sg.).

J. Bilz, Menschliche Reifung im Sinnbild, Leipzig 1948, ha esaminato i sogni dei bambini e degli adolescenti nelle crisi di trasformazione, e ha n·ovato fra le metafore del mutamento quella del crollo (Untergang). Il soggetto che sta davanti ad una metamorfosi deve in certo senso morire. Diceva già Plutarco: «L'uomo vigoroso muore quando diventa vecchio, muore l'adolescente quando diventa uomo, il bambino quando diventa ragazzo». Stirb und Werde!: cosf suona l'imperativo. Come dice ancora Plutarco: «L'ostinato adolescente deve morire per diventare sposo». (Platone, sentiero di morte; Puskin) (p. 26o ). GlL~ç_hizof~~nicLdi tutte le classi sociali, paesi e popoli usano piu o meno le stes~~ ...metafore per indicare l'irruzione della malattia. Essi, fra l'altro, sono convinti «che realmente la struttura del mondo va in rovina, minacciandoli dì annientamento». «Ill~~-c~.llq_~_quelJ> nasce e si mantiene nell'impegno del tra· scendere, nella presenza che «oltrepassa» la situazione, e che sta tutta in questo oltrepassare cosf come la mondanità sta tutta nel vario risultato che procede da questo movimento. Il crollo della presenza, il ricadere dell'energia del trascendere, il venir meno dell'oltrepassare come compi· to, è quindi il crollare del mondo: il mondo si avvia verso il finire perché si avvia verso il finire della presenza chiamata ad iniziarlo e a mantenerlo sempre di nuovo: il firmamento crolla perché Atlante piu non lo

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Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

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regge. Nella «caduta» del mondano la presenza vive angosciandosi il suo proprio abdicare, esperisce l'intenzionalità che non riesce piu a trovare ;: suo compimento. Tale «caduta» o «crollo» assume nel vissuto due :1spetti polari contrapposti: per un verso l'intenzionalità vaga allo stato }ibero, secondo un vuoto oltre onniallusivo e minaccioso che travagli i singoli ambiti percettivi caricandoli di una tensione verso un vuoto «oltre~, minacciosamente onniallusivo; per un altro verso il vuoto eccesso ~!i semanticità dei singoli ambiti percettivi coinvolge, in quanto «vuoro», un difetto di semanticità, di progettabilità, di operabilità di questi ~tessi ambiti, che sono vissuti come «rigidi»,« artificiali», «inerti», «morti)>, fuor d'ogni intenzionalità possibile. Da una parte sta dunque l'immaf:ine terrificante dell'universo in tensione, nel quale ogni ambito percetrivo accenna a rischiose coinonie con tutti gli altri, scaricandosi secondo somiglianze accidentali che diventano altrettante occasioni per identità sostanziali; dall'altra sta l'immagine non meno terrificante dell'universo sderotico, i cui ambiti percettivi sono investiti da una inerzia mortale, impartecipi di qualsiasi «oltre» che li collochi in un ordine, finti e teatrali rispetto alla verità della vita, o addirittura composti in una sorta di rigidità cadaverica. In altri termini il vissuto di fine del mondo oscilla fra il , 1947, 105/2, pp. 35-43; Le dessinateur schizophrène au travail. Conférence inédite à la société franç. Esthétique, 13 marzo 1948; Le style des dessins schizophréniques: il sont bourrés, in «Ann. Méd. Psychol.)>, 1948, 106/ x, pp. 430-34; Le style des dessins schizophréniques: la symétrie et l'équilibre, in «Ann. Méd. Psychol.», I 948, 106/ I, pp. 434-37; La main du dessinateur schizophrène, in Premier Cotzgrès mondial Psychiatr., Paris 1950, n. 3· Nei disegni spontanei dello schizofrenico si notano, dal punto di vista strutturale, i seguenti elementi: La stereotipia, cioè la ripetizione del disegno nel suo insieme: questa tendenza alla fissazione stereotipa, si congiunge alla rigidità, alla defor· mazione, alla semplificazione, alla meccanizzazione. Alla stereotipia sono associate le iterazioni, cioè le ripetizioni immediate d'un atto motore o verbale che, una volta terminato, è ripetuto senza utilità: nel disegno la

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Capitolo primo Mundus

iterazione si traduce nella serie di tratti identici piu o meno ravvicinati, cerchi o settori concentrici, zig-zag o arabeschi. L'orrore del vuoto, che rende i disegni pieni come un uovo. La utiliz. zazione al massimo dello spazio, la sua geometrizzazione> allo stesso modo come, avendo orrore del tempo, del divenire, dell'imprevedibile, si geo.. metrizza il tempo mediante una pianificazione tendenzialmente totale, e una semplificazione schematica, degli atti da compiere. La tendenza al ritocco per sovrapposizione (senza cancellature, senza vere e proprie correzioni), lo scrupolo inesauribile della «rifinitura», magari del particolare minimo. Tendenza all'equilibrio e alla simmetria, al monumentale, al «perfezionamento», come geometrismo. Importanza della cornice: suo significato di protezione della composizione dal rischio di recedere nel caos. Tendenza alla frammentarietà della composizione, allo sparpagliamen· to o alla dispersione dei suoi elementi: assenza di prospettiva (mondo senza «profondità», cioè senza orizzonte di agibilità dinamica, di movi· mento possibile), oggetti in tensione, deformati «fissati nel loro defor· marsi». Superstizione della immobilità> della immutabilità, della fissità spazio· temporale. La trasparenza degli oggetti (la inconsistenza degli oggetti trova espres· sione nella trasparenza con cui sono dis~gnati); la omissione di tratti reali degli oggetti; l'aggiunta di leggende, scritte, nomi per sottolineare le rap· presentazioni e per aumentare la loro potenza di convinzione; la molte· plicità dei punti di vista dell'oggetto. Aderenza al modello come reazione di difesa, angosciata, di fronte alla dissoluzione della persona e alla fuga del mondo oggettivo. Convenzionalismo: oppure, ove il suo conato di aderenza morbosa fallisce, defor· mazione del mondo, o proiezione di sé nel mondo.

1 .x.x.

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La stilizzazione come risultato delle tendenze alla semplificazione (il concreto ha «troppi» particolari), alla ripetizione (il concreto ha troppi mutamenti, il divenire è insopportabile): la semplificazione geometrizzante c la ripetizione detemporalizzante come elementi della stilizzazione. Rapporto con le «tendenze ritmiche» della nostra vita psicomotrice. L'agglutinazione delle immagini (forme umano-animali, umano-vegetali, ecc.), lo spostamento e il mascheramento (sostituzione di un gruppo di immagini con un altro che lo rappresenta). La proiezione delle immagini: derivante dall'assenza di distinzione fra percezione e rappresentazione, fra me e mondo esterno, fra idea e atto, fra parola e oggetto, fra imitazione soggettiva di un evento e prodursi dell'evento (mondo «magico)>).

Lo spazio dello schizofrenico è la negazione di quello vissuto e la sua sostituzione con uno spazio primordiale, sacro, immutevole, invulnerato dal caos delle forme. Il tempo: mentre il maniaco tende a vivere nel presente astratto, e il melanconico nell'astratto passato (con una negazione dell'avvenire che giunge sino al suicidio), lo schizofrenico tende a «negare» il tempo, al completo arresto del suo flusso vivente, alla sua spazializzazione non già come strumento mentale di controllo pratico ma come esperienza immediata e riduzione totale: di qui la pietrifìcazione, la mineralizzazione, la esperienza di morte e di assenza di significato dinamico delle cose, la loro morte perché non indicano piu centri di azione socialmente e storicamente possibile; di qui, anche, la esperienza di «immortalità» come interpretazione di un mondo che non può piu divenire, che si è «fermato». Se si dovesse rappresentare questo tempo secondo una immagine nello stile che le è omogeneo, si potrebbe disegnare un quadrante le cui ore sono rappresentate da dodici teste di morto rigorosamente identiche. I malati si riferiscono a un tempo sacro, mitico degli inizi, prima della apparizione della storia, cosi come si riferiscono ad uno spazio mitico e sacro. Questa negazione della storia è negazione del tempo vissuto ... La stereotipia, la ripetizione degli atti e delle forme, possono essere considerati come rito di abolizione periodica del tempo (pp. x68 sg.).

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Capitolo primo

Mundus

Assenza di movimento: rigidità del tratto; inflessibilità; frammenta. risma e discontinuità; colori freddi, a larghe zone contigue, accrescono l'impressione di immobilità, di «morte delle passioni». Simbolismo dei colori.

I simboli e i temi plastici: - Valbero, proiezione emozionale di sé, o dei membri della famiglia, o del rapporto di transfert; per lo piu alberi esotici, mai alberi da frutto: l'albero spoglio, morto, solitario, sradicato, pietrificato, ecc. - La via deserta, sbarrata, senza sbocco, incassata fra montagne, che sparisce sotto la vegetazione. -Barriere protettive davanti agli oggetti proiezione del me. -La montagna altra proiezione del me; desolata, immensa, lontana nelle nuvole, calvario, con una caverna, in un orizzonte piatto, immenso, sperduto. - Casa senza porte né finestre, dove non si può vivere, dove non si può entrare, senza caminetto, senza fumo; la casa dove sono morto: miserabile, in rovina. -Antiche rovine; o castello che si specchia in un lago; con stereotipia di balconi; isolate, o serrate le une sulle altre o gruppi di buildings; geometriche, ecc. -Acqua, associata talora all'albero. -Il sole. - La folgore. -Il bestiario simbolico. -L'occhio. -Le scene. La fuga dal tempo: verso il senza tempo, verso I'illud tempus. O verso il tempo favoloso, o il passato (o il presente) esotico. Fuga nello spazio, il presente esotico. Pietrifì.cazione delruniverso. La fuga da sé, la propria disumanizzazione: fuga nell>animale, nel ve· getale, nel minerale, nell'automatico e macchinale. Maschera. Pietrifica· zione.

r .I .I. Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

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L. Binswanger, Grundformen und Erkenntnis menschlichen Daseins, 1962\ pp. 28 sg. pp. 28 sg.: La parola tedesca Sehnsucht esprime il contrasto tra annipresenza o prossimità dell'amore e lontananza spaziale: «Es ist- dice J)inswanger- das eigentliche deutsche Wort fi.ir den griechisc:hen Eros unJ seine im Symposion und Phaidros entwickelte Dialektik»: una parola che da sola rende testimonianza «von Wert und Ehre deutscher Sprache». Binswanger ricorda i versi di ElisabettaBarret-Browning: «The n (pp. 2 sg.). A proposito della fine del mondo come tema delirante la psichiatria si mantiene, e non senza ragione, estremamente cauta. Essa infatti denunzia il pericolo di unificare astrattamente, nella genericità del tema, processi di significato clinico diverso, partecipi di dinamiche morbose distinte. La fine del mondo appare nella schizofrenia incipiente, negli stati oniroidi

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Capitolo primo .Mundus

o confuso-onirid a sfondo mistico, nel delirio cronico, nello stato allucinatorio epilettico a contenuto apocalittico, in determinati stati nevrotici, cronici a sfondo ansioso, in psicosi indotte di tipo collettivo: in ciascuno di questi quadri nosologici il tema della fine del mondo si determina in modo diverso, passando dal vissuto primario di un radicale mutamento dell'io e del mondo alla varia gamma delle interpretazioni secondarie e delle afferenze cclturali, e presentano pertanto un valore diagnostico tut· t'altro che univoco. Ma per quanto questa cautela sia giustificata sul piano psichiatrico, soprattutto in vista di fini diagnostici e terapeutici, resta intatta la legittimità di una analisi esistenziale rivolta a identificare il vis~ suto di fine del mondo come rischio trionfante nella malattia psichica e come rischio che si apre alla reintegrazione in virtu nelle escatologie, nelle apocalittiche e nei millenarismi culturalmente condizionati. La fine del mondo si definisce appartenente alla fisiologia di una data vita culturale o alla psicopatologia di una data biografia individuale per il senso del dinamismo in cui è inserita: siamo nella fisiologia della vita culturale quando «la :fine del mondo» denota un orizzonte mitico-riruale per entro il quale il rischio del vissuto privato e incornunicabile, di un mondo che finisce, viene ripreso e reintegrato secondo valori intersogget· tivi e comunicabili, mediando un margine operativo per l'esserci nel mon· do; quando invece il dinamismo è di senso opposto, e gli orizzonti cultu· rali si disarticolano e crollano recedendo verso il vissuto privato e incomunicabile di un «finire>> senza ripresa efficace, allora siamo nella sfera psicopatologica individuale. Nel primo caso il giudizio spetta soprattutto allo storico della cultura, nel secondo essenzialmente allo psichiatra: ma per la organica connessione che sussiste tra la fine del mondo come rischio e la fine del mondo come riscatto, lo storico non può fare a meno delle indicazioni dello psichiatra, e lo psichiatra non può sottrarsi - proprio nella sua pratica professionale di diagnosticatore di morbi psichici- al~ l'impegno di un giudizio storiografico, che restituisca l'episodio morboso alla singola biografia del malato e la biografia del malato alla concretezza di un certo contesto storico-culturale. L'esperienza del mondo che diventa tutt'altro da sé e che si demanda· nizza comporta un «essere-agito-da», appunto perché è colpita alle radici la presenza come agire. E questo essere-agito-da emerge anche in primo piano come diventar tutt'altro delle stesse funzioni psichiche, come estra· niarsi di sé a sé, come spossessamento del pensare, del volere, del sentire. Non soltanto il divenire mondano perde la sua fluidità, progettabilità e

r.r.r. Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

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n~u!rahilità, ma lo stesso divenire psichico è vissuto in atto di incepparsi. :··~·c,IJJJ soltanto gli ambiti percepiti entrano nella crisi del troppo o del

"'Jop_pa poco di semanticità, ma lo stesso pensare acquista una duplice ,ens~~::me.

Oc.cotre analizzare: - m:r,e} «mondo» come si comportano i singoli ambiti percepiti; -nell'io come si comportano i singoli contenuti; -mel rapporto io-mondo come si comporta il mondo rispetto all'io e l'io rispetto al mondo. Cris.i dei singoli ambiti sensibili: :fine del mondo. Cri!;i dei singoli contenuti dell'io: estraneità, essere-agito, eco del penSl~to.

De·tlusso del mondo nell'io e dell'io nel mondo: crisi del limite tra io e mondo.

_La schizofrenia è la piu filosofica delle malattie psichich~bon già, ovviamente, nel senso che lo schizofrenico sia un filosofo (egli è la negazione del sapere e dell'amore, le due grandi forze che fanno l'uomo), ma nel ~.ens.o- che l'uomo sano, cioè capace di risanare sempre di nuovo in sé e negli altri la ferita esistenziale, può attraverso l'analisi dei vissuti schizo::·renici prender coscienza di quel rischio estremo cui è esposta l'esistenza um:aJna, la caduta dell'ethos del trascendimento. La lotta contro questo riscbio individua l'uomo in quanto fondatore di vita culturale, in quanto eroe dell'opera intersoggettiva «razionale», comunicabile di fronte alle t·~ntazioni della disgregazione e del caos: è la lotta contro questo rischio c-be individua l'umano in quanto movimento del privato al pubblico, e ausmltazione interiore delle pubbliche voci che risuonano nel mondo, in U:n.a data epoca storica e nel quadro di un.a particolare cultura: ma appunto per questo la schizofrenia, che è il mutamento di segno di tutto questo, ha u.n grande potere pedagogico per ogni uomo che avendo optato per la r:agio:ne combattente, intende misurare in tutta la sua ampiezza e profondità il fronte del nemico. la psicosi maniaco-depressiva ci illumina non tanto sul rompersi del rapporto col mondo, quanto piuttosto del sé che oscilla dalla colpa mostruosa all'accelerazione senza orizzonte di tutti i processi psichici: ma questa «colpa mostruosa» non è forse da interpretare come la colpa radicale di chi perde la radice stessa dello scegliere secondo valori?

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Capitolo primo

M undus

La fine del mondo come crisi dell'ethos del trasce1zdimento valorizzante lungo tutto il fronte del valorizzabile e quindi come crisi del valor:e inaugurale del progetto comunitario dell'utilizzabile.

Questa crisi può essere lumeggiata come: A. catastrofe degli enti intrilmondani e del mondo come orizzonte; B. catastrofe dell'esserci; c. catastrofe del confine io-mondo nelle due modalità della irruzione del mondo nell'esserci e del deflusso dell'esserci nel mondo; n. catastrofe del tempo; E. conati anastrofici irrisolventi. A. Catastrofe degli enti intramondani: I) vissuto del «mutamento di significato»; 2) res tua agitur; 3) il troppo e il troppo poco di semanticità degli enti intramondani; 4) il crollo dell'ordine degli orizzonti di domesticità culturale e il carattere di catastrofe cosmica della crisi degli enti intramondani; 5) onniallusività irrelata degli enti intramondani in travaglio e l'universo in tensione. B. La catastrofe dell'esserci: I) (I vissuti di depersonalizzazione. La eco del pensiero, i vissuti di spossessione e di pubblicizzazione del pensiero. I vissuti di colpa.) c. La catastrofe del confine io-mondo. D. La catastrofe del tempo: I) il ritorno irrelato e cifrato del cattivo passato; 2) il restringersi del futuro; 3) la inoperabilità della presentificazione intenzionante; 4) osservazioni teoriche sul «rimosso» e sul « rescisso ». E. I conati anastrofici irrisolventi: I) il rifiuto sistematico di ogni richiamo intramondano come comportamento-limite dell'inoperabile della fine: la polarità stupordistruzione materiale delle tentazioni intramondane; 2) flessibilità cerea e imitazione speculare; 3) polizzazione in enti intramondani come in «rocche della permanenza)>; 4) il concedersi al mondo crollante coperti dallo scudo protettivo delle stereotipie mimiche, scolpiti nella ostentata immutevolezza: di cicli iterativi (da «eterni ritorni»), in quanto segni di impartecipazione e di isolamento rispetto al mutare inoperabile del mondo.

I .I .I.

Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

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5) cancellazione del processo mediante il riassorbimento del termine

nell'inizio, e destorificazione del corpo e delle sue tecniche; 6) conati anastrofici di reintegrazione della personalità e del mondo. Il nuovo mondo. La «fine del mondo» come crisi dell'ethos del trascendimento valoriz. zante nel valore inaugurale del progetto comunitario dell'utilizzabile. La catastrofe degli enti intramondani, del proprio esserci, e della stessa delimitazione di un esserci rispetto al mondo, di un mondo rispetto al. l'esserci. Fase vaga di «mutamento di significato».

Res tua agitur. La crisi degli enti intramondani: il loro troppo e il loro troppo poco di semanticità.

Il crollo dell'ordine degli orizzonti di domesticità culturale e il carattere di catastroficità cosmica della crisi degli enti intramondani. Onniallusività e forza degli enti intramondani: l'universo in tensione. Deformazioni mostruose dell'accadere in quanto oltre irrelato dell'intramandano, suo «troppo» o «troppo pocm> rispetto alla «norma», e sua ~< onniallusi vità » irrelata. La catastrofe dell'esserci e i vissuti di depersonalizzazione. L'irruzione del mondo nell'esserci e il deflusso dell'esserci nel mondo. L'essere-agito-da. La catastrofe del tempo: il ritorno irrelato e cifrato del «cattivo passato>), il restringersi del futuro, la inoperabilità della presentificazione i menzionante. I comportamenti dell'inoperabile della fine: il rifiuto sistematico di tutti i richiami mondani: l'immobilità stuporosa e la distruzione della tentazione mondana.

78

Capitolo primo Mundus

La flessibilità cerea, la ecolalia, la ecoprassia. Il barricarsi in enti intramondani come in «rocche della permanenza». Le stereotipie come segni di impartecipazione e di isolamento, come ostentabili immutevolezze, come scudi protettivi di «eterni ritorni», onde potere, cosi protetti, concedersi al mondo crollante. Il conato parmenideo di riassorbire il termine nell'inizio, cancellando il processo, e la destorHicazione delle tecniche del corpo. I conati anastrofici di ricostituzione magica della personalità e del mondo. )4

(Corpo in tensione) possesso del corpo, in crisi. Det1usso psichico. Fine del mondo. Universo in tensione. Onniallusività rischiosa. Forza. Spersonalizzazione. IX, 4; X, 6; XVIII, 2, r ) «Angoscia». 2) Il mondo sta per finire (p. 574). 3) Il mondo è crollato (pp. 709, 904). 4) Alterazioni della sensibilità corporea e spersonalizzazione, vissuto di estraneità ecc. (pp. 410, 1531, 233, 387, 389, 391, 39.5, 746, 1366, 1418, 160, 402, 410, II73, 1291, 1531, 1379). 5) (Deflusso dell'io- suo scaricarsi nel mondo?) 6) Catatonia- ritualismi, polarizzazione, imitazione speculare, «punto di rottura»: aggressività distruttiva. 7) La ricostruzione magica del mondo (p. 974). 8) Inflazione dell'io e deliri di grandezza. CRISI

CONATI DI DIFESA

Il mondo sta per finire, è già finito. L'universo è in tensione. anniallusività. Forza o debolezza degli oggetti. Rischiose coinonie.

ricostruzione magica del mondo.

Spersonalizzazione, alterazione del- inflazione dell'io, delirio di granla sensibilità corporea, vissuto di dezza. estraneità da sé a sé.

I. x.x.

Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

79

deliri di persecuzione e reintegrazioni magiche ...

Essere-agito-da.

catatonia, polarizzazione, imitazione speculare, ritualismi e stereotipie

]aspers. Inoperabilità del mondo: Mutamento radicale del mondo. Stranezza, non domesticità del mondo. Ganz-Andere. Forza. Artificialità del mondo. Lontananza del mondo. Velo, muro che separa dal mondo. Importanza - de re tua agitur - di questo mutamento. Senso di irrealtà del mondo.

Inoperabilità dell'io: Mutamento radicale dell'io. Non essere padroni dei propri pensieri, atti, sentimenti: estrazione di sé a sé. Furto dei pensieri, pubblicità del pensare, perdita della intimità e della sfera del «privato». Essere fatto (Gemachtsein). Sentirsi meccanici, automi, morti, non piu inseriti in un divenire fluido e scorrevole, che in modo ovvio «Va da sé». Eternità ed immortalità. Perdita della propria esistenza corporea. Le personalità alternanti. I vissuti di possessione da parte di altre personalità.

Le difese improprie: La difesa catatonica, il comportamento speculare, la flessibilità~ rea, l'aggressività come distruzione della tentazione del divenire mondano. Stereotipie e manierismi, le rocche della permanenza.

La colpa radicale e il vuoto della accelerazione vitale: melancolia e mama. La non operabilità di particolari situazioni: le fobie.

8o

Capitolo primo Mundus

Il ritorno del cattivo passato, dei distacchi storici lasciati in crisi. Il distacco dal ventre materno, il distacco dal seno, il distacco dalla situa~ zione edipica, il distacco dalla famiglia, la scelta dello sposo possibile, della società possibile, dell'orizzonte culturale possibile. Sintomi cifrati e passato critico, simboli aperti al valore e mondo operabile.

~~~~ale

l

persecuzione (Le difese improprie / volontà nel regime inoperavolontà ""'accelerazione bile del mondo) grandezza vitale

negativismo 36

-Il mutamento di significato. - Res tua agitur. - Le forme della depersonalizzazione.

- Il troppo e il troppo poco di semanticità degli enti intramondani. -Il crollo degli orizzonti di domesticità culturale del mondo. - Risonanza cosmica della crisi degli enti intramondani. - La onniallusività irrelata degli enti intramondani in travaglio e l'universo in tensione. -La sindrome di Cotard. -La reazione di Sansone. - La colpa radicale e la melancolia. -L'essere agiti da, la perdita della intimità, influenze e macchinazioni occulte. La pluralità delle esistenze psicologiche contemporanee e successive. -La inoperabilità del mondo nella sua forma radicale: la catatonia. Gli ambiti mondani inoperabili e le fobie. -La inoperabilità del mondo e la ripetizione: ecolalia, ecomimia, ecoprassia, flessibilità cerea, stereotipie. -La inoperabilità del mondo e i conati irrisolventi di ricostruzione magica. - Il conato della accelerazione vitale: la mania.

1.1 .I.

)."

Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

81

Mutamento di significato. Depersonalizzazione e derealizzazione. a) Res tua agitur. b) Il troppo e il troppo poco eli semanticità degli enti intra.mondani. c} Il crollo degli orizzonti di domesticità culturale. d) Il carattere di catastrofe cosmica degli enti intra.mondani. e) La onniallusività irrelata degli enti intramondani in travaglio e l'universo in tensione. /) Il delirio di negazione. g) Colpa e dannazione- accelerazione vitale e grandezza. h) La perdita della intimità. i) L'essere agito da: un pensiero, una persona seconda, altre persone e cose. l) Le inoperabilità del mondo: I) circoscritte: fobie; 2) generalizzate: stupore. m) La ripetizione: I) ecolalia; 2) ecomimia; 3) ecoprassia; 4) già visto; 5) stereotipie; 6) fless. cerea. n) I conati di ricostituzione magica di sé e del mondo. o) Le reazioni di accelerazione vitale di grandezza. p) La distruzione del mondo.

,~

Le esperienze (o i vissuti) deliranti primari (Primare Wahnerlebnisse) nel loro rapporto con il tema dell'absurde e dell'unheimlich nella

letteratura della crisi. II carattere repentino di un mutamento nella realtà. La malata di Sandberg: c'è qualche cosa, dimmi dunque che cosa. L'inizio «derisorio». B. Il qualche cosa si manifesta: a) Come perdita radicale della ovvietà dell'utilizzabile. b) Quindi come bizzarria, spaesamento, stranezza, artificialità degli oggetti e degli eventi quotidiani. c) Come essere-agito-da, e come allusività al malato. d) Come eccesso minaccioso di semanticità degli ambiti percettivi, come universo in tensione. Tendenza degli ambiti percettivi alla deformazione. e) Come difetto di semanticità, anch'esso minaccioso, degli ambiti percettivi.

A.

82

Capitolo primo

Mundus

f) Come coinonie rischiose e caotiche dei diversi ambiti percettivi. g) Come vissuti di spersonalizzazione (Jaspers, p. 102; Janet).

h) Come catastrofe del proprio corpo: sindrome di Cotard. i) Il restringersi dell'orizzonte di operabilità del mondo e il regresso verso la immobilità catatonica. Ecolalia, ecoprassia, flessibilità, ecc. Le fobie come tappe di questo regresso. l) Il vero e proprio vissuto di crollo del mondo. m) I tentativi magici di ricostruzione del mondo. n) La sindrome di Sansone. o) Fine del mondo e rinnovamento radicale: disforia ed euforia. p) La colpa radicale senza oggetto. q) La vuota accelerazione vitale della mania. Come detlusso (scarica dell'io nel mondo). Come irruzione del mondo nell'io. Come possessione incontrollata (essere-agito-da).

39

Perdita del privato, della intimità, polarmente opposta alla perdita degli altri, alla commozione con gli altri.

L'assurdo, la nausea, la noia nella letteratura della crisi. I corrispondenti dati psicopatologici: il carattere repentino di un mutamento radicale di segno della realtà e l'inizio derisorio: l'ammalata di Sandberg ricordata da Jaspers. I caratteri del «mutamento)>: a) La perdita della «ovvietà» del mondo dell'utilizzabile. b) La bizzarria, lo spaesamento,la stranezza, l'artificialità degli ambiti percettivi dati. Le cose perdono il loro nome. c) L'essere-agito-da e il rovesciamento dell'intenzionalità. L'insidiosità e il carattere cospirativo dell'accadere, secondo rischi che accennano tutti al malato. d) L'eccesso di semanticità e l'universo in tensione. L'oltre deforme e mostruoso che travaglia gli ambiti percettivi. e) Il difetto di semantidtà e l'afflosciarsi degli ambiti percettivi. f) L'irrelato e caotico trapassare degli ambiti percettivi l'uno nell'al· tro, il disfarsi del mondo. g) La catastrofe del proprio corpo e la sindrome di Cotard. h) I vissuti di depersonalizzazione e la perdita del con-essere.

I .l. I.

Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

83

i) Il deflusso delrio nel mondo e l'irruzione del mondo nell'io. il regresso dell'operabile che conduce attraverso il fissarsi di ambiti operativi interdetti (fobie), allo stupore catatonico. m) Il vissuto di crollo del mondo e dell'io. n) La reazione di Sansone. o) Apocalisse disforica ed euforica. p) La colpa radicale senza «oggetto». q) L'accelerazione maniaca e i deliri di grandezza. l) Il restringersi dell'orizzonte di operabilità del mondo, e

Da collocare: - perdita del privato, della intimità; -perdita degli altri, del con-essere; -l'anima rubata, i pensieri rubati; -la pluralità delle esistenze psicologiche simultanee e la possessione; -la pluralità delle esistenze psicologiche successive e le personalità alternanti; - il ritorno cifrato del cattivo passato sotto forma di sintomo morboso, di estraneità psichica.

40

Mutamento della realtà e angoscia. Universo in tensione. Onniallusività rischiosa degli ambiti sensibili e loro «forza». Mondo teatrale, artificiale; inconsistenza dei limiti. L'essere-agito-da e il vissuto persecutorio. Alterazione della sensibilità corporea e depersonalizzazione: il corpo come forza che si scarica nel mondo. Catatonia, polarizzazione, imitazione speculare {ecolalia, ecomimia}, ri tualismi. Aggressività distruttiva. Il proporzionamento fittizio della presenza alla ampiezza del rischio: conati di reintegrazione magica.

~~

Vissuti di spersonalizzazione. Il «mutamento» del mondo. Il mondo «strano», «artificiale», «teatrale». 2. Passaggio dal senso di mutamento di significato alla irruzione della Stimmung dinne del mondo. Storch e Kulenkampfl, l9 .50.

-12

Il tutt'altro della volta celeste: il cielo che crolla sulla terra, gli astri che si spengono, ecc.

I.

84

Capitolo primo Mundus

Il tutt'altro del giorno in cui si opera: le tenebre, il sole che si oscu. ra, ecc. Il tutt'altro dell'acqua, della pioggia: l'acqua diluviale, inondante e sommergente. Il tutt'altro del suolo saldo su cui si cammina: il «terreno che manca sotto i piedi», il terremoto, lo sprofondarsi del suolo.

43

Ganz-Andere di R. Otto e estraniazione del mondo. Orizzonte della ripetizione mitica e conati nello stesso senso. Il vissuto di estraneità del mondo e della persona. Il vissuto di essere-agito-da. Il vissuto di immobilità e di ripetizione. L 'estraneità. L'essere agito da; la forza. La perdita dell'esserci nello spazio. La perdita dell'esserci nel tempo. La perdita dell'esserci con gli altri. La perdita dell'esserci nel mondo. La perdita del trascendimento e la perdita della situazione: -la perdita dell'esserci nello spazio (lo spazio sacro come riscatto); -la perdita dell'esserci nel tempo (il tempo sacro come riscatto); -la perdita dell'esserci con gli altri (l'ascesi); -La perdita defi>esserci nel mondo. L'orizzonte della riduzione del presente alla ripetizione. L'orizzonte del tutt'altro. L'orizzonte del riassorbimento nelle origini metastoriche di fondazione. L'orizzonte della anticipazione del futuro. L'orizzonte escatologico e millenaristico.

44

La caduta dell'ethos del trascendimento: - I vissuti di spersonalizzazione, i vissuti di spossessarnento. -I vissuti di morte.

x. I. 1. Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo

85

-Il restringimento dell'orizzonte operabile: a) Le fobie. b) La dissoluzione degli ambiti percettivi. Le onniallusività delle tra-

sformazioni. Tutto può diventare tutto. c) La prossimità rischiosa e la lontananza, ecc. d) Le stereotipie. La fissazione nel minimo. Scatologia, ecc. e) L'immobilità. -Il tutt'altro e la sua «ambivalenza». - Il ritorno cifrato nel sintomo del cattivo passato. - La colpa mostruosa e la depressione melancolica. - La eccitazione maniaca. -Deliri di persecuzione e deliri di grandezza. - La totale conversione dell'ethos del trascendimento in scarica meccanica : ovvero si accompagna addirittura con una connotazione euforica, gioviale, umoristica o eccezionalmente persino maniaca. «Non esiste piu nulla, io sono morto, non morirò mai, non ho piu stomaco, non ho sedere, mai e poi mai potrei morire» diceva quasi scherzando una malata della clinica di Sainte-Anne. Oppure la catastrofe si colora di termini immaginativi pittoreschi, lirici, di proporzioni apocalittiche. In questi casi i malati mettono capo ad una sorta di reverie metafisica «in cui l'idealismo, il solipsismo prendono un accento particolar·

I.I.J.

Delirio di negazione (sindrome di Cotard)

II7

mente pungente, quello di una :filosofia e di una dialettica del puro nulla, della solitudine immensa e infinita di un essere ridotto ad essere nulla al centro del vuoto» (ibid. ). Sul rapporto fra «sentimento di irrealtà» e «tema della fine del mondo>> cfr. A. Crémieux e]. Cain, Début apparent par choc émotionnel et angaisse de la fin du monde, «Ann. Médico-Psycho.»; I948, n, pp. 76-8o.

Ey, p. 438. Ey, pp. 438 sgg., distingue: I deliri di negazione degli stati melancolici: Idee di negazione, di immortalità, di enormità, di dannazione e di possessione. Disturbi della sensibilità (analgesie e parestesie), allucinazioni visive, auditive e psicomotrici; forte ansietà e agitazione ansiosa intermittente o continua e frequente. Stati di inazione e di resistenza all'azione: mutismo, rifiuto di alimentazione, ostinazione, spirito di contraddizione; tendenze impulsive al suicidio e alle automutilazioni; i malati sono inquieti, sgarbati e in perpetuo stato di squilibrio emozionale. Deliri di negazione postmelancolici, sopravviventi alle esperienze deliranti primarie. Delirio paranoide di persecuzione. Negli stati schizofrenici: Ricorda che« meritano di essere segnalate certe analogie» fra la follia eli opposizione che Cotard e Séglas facevano rientrare nei deliri di negazione, e il negativismo catatonico. I temi di depersonalizzazione1 di distruzione del tempo, di «fine del mondo», aspetti cosi frequenti del pensiero schizofrenico, assorbono il tema di negazione della massa autistica in cui resta sovente indiHerenziato (p. 442). Ey, p. 449: Il delirio di negazione rappresenta una alterazione della realtà oggettiva e soggettiva vissuta dalla coscienza del malato come un annientamento diffuso se non globale della realtà, e osservata dagli psichiatri come dissoluzione della costruzione del mondo in quanto relazione dell'essere a ciò che è. In un certo senso, il delirio di negazione che nega la realtà a ciò che è, è il contrario dell'attività allucinatoria che la conferisce a ciò che non è.

n8

Capitolo primo Mundus

r. r.6. Paranoia di distruzione (reazione di Sansone) (br. 59). La paranoia di distruzione (o reazione di Sansone), esplosione di fu. rare distruttivo, è intesa come «distruzione materiale delle tentazioni intramondane>~. Sull'argomento disponiamo di un brano, di commento allo studio di Schiff.

,9

Schifi 1946, Paranoia di distruzione (reazione di Sansone). · P, Schifi, La parano"ia de destruction: réaction de Sansone et phantasme de la fin du monde, in «Annales Médico-Psychol.», 104 (1946), pp. 279-89. Schiff chiama «reazione di Sansone» una «paranoia di distruzione» caratterizzata da un fantasma catastrofico di fine del mondo e da una reazione catastrofica attiva, con la quale il malato si vendica di un mondo e di una società ostili annientando se stesso e i suoi nemici. Come SanM sane, questi malati fanno crollare l'edificio su loro stessi e sui loro nemici. Schiff parla di una regressione alla onnipotenza fantasmica, magica e distruttiva dello stadio sadico-anale (scuola di Melania Klein). Ma Schifi nota anche che l'idea dell'annientamento dell'universo «è in relazione con i problemi fondamentali delle origini e dei fini, pone la quistione dell'essere», e aggiunge: : i mutamenti imposti al corpo dall'esterno si tramutano in permanenze indefinitamente protratte, cioè ogni nuova posizione del corpo e delle sue membra viene subito isolata dal divenire e mante.

x.I .8. Catatonia, schizofrenia

135

nuta 1 cioè cancellata nel suo carattere di un inizio cui segue qualcosa, o di una domanda cui segue risposta, o di novità che manifesta nel modo piu elementare e piu perentorio la storicità della situazione umana. Quando il mutamento concerne invece non il proprio corpo, ma il mondo esterno, e si manifesti non alla cenestesia ma alla vista e all'udito, la riduzione del divenire alla permanenza dell'essere assume altre forme. Quanto alla vista, il mondo si denunzia come una molteplicità di ambiti sensibili, la difesa della polarizzazione isola uno di questi ambiti, anche minuto o irrilevante, e vi si immerge come se il mondo si riducesse ad esso; ciò esprime la riduzione materiale della molteplicità sensibile alla unità di un singolo sentito e il rifugiarsi in questa unità come in una munita rocca della permanenza. Come il mutamento introdotto nella posizione del proprio corpo viene isolato e indefinitamente mantenuto, cosi il mutamento che appare alla vista come molteplicità di ambiti possibili non è accettato come tale, ma viene ridotto a un sentito isolato1 nel quale d si immerge in un conato di permanenza. La riduzione del mutamento visto o udito alla permanenza dell'essere si manifesta anche nella imitazione speculare: qui il rifiuto della domanda dà luogo alla semplice ripetizione della domanda stessa, nel senso che il mutamento visto o udito non è occasione di una risposta ma stimolo di una ripetizione mimica o fonica, che isola subito questo mutamento e ne soffoca la tentazione al divenire mediante la inerzia del ripetere: in tal modo il mutamento viene cancellato con una risposta che ripete la domanda, e la minaccia di un inizio che potrebbe ridischiudere il divenire subisce l'esorcismo dell'inizio che non inizia nulla 1 tranne l'imitazione o la eco che lo ripete, risolvendolo in permanenza. La catatonia, col suo estremo radicalismo, potrebbe essere assimilata alla difesa dell'assediato che si ripara dietro l'ultima barricata su cui tuttavia l'avversario continua a premere aprendo qua e là delle brecce pericolose: la flessibilità cerea, la polarizzazione e la imitazione speculare si configurano- per mantenere il paragone- quali conati per chiudere queste brecce o per istituire difese di fortuna. Ma se ora ci volgiamo allestereotipie, l'immagine piu adeguata sembra essere quella dell'assediato che tenta una sortita, e che si caccia in mezzo al nemico, ma protetto per quanto possibile dai suoi colpi mortali. Le stereotipie infatti concedono qualche cosa al mutamento, al mondo, ma d'altra parte riplasmano il comportamento introducendovi un segno di isolamento e di impartecipazione. Si atteggia il volto o il capo in modo che scolpisca qualche visibile immu-

136

Capitolo primo Mundrts

tevolezza e si attraversa il mutare dentro questa armatura che separa e protegge. Se l'esser scolpito in qualche segno del permanere non può esser mantenuto con tutto il rigore possibile, se la demonidtà del mutare lambisce e si insinua, allora il mutare viene :finalmente accolto, ma ridotto alla ripetizione dell'identico, cioè ad un mutare che è tale solo in apparenza, perché in effetti è «eterno ritorno» della identica serie di mutamenti successivi, un iniziare ed un seguire che sistematicamente si annullano attraverso il ritorno allo stesso identico inizio. Per quanto il divenire possa accumulare domande su domande ed esigere risposte su risposte, sempre diverse in rapporto alle sempre diverse domande, la stereotipia come difesa contrappone una unica risposta, che rigorosamente si ripete: una risposta che in effetti non risponde al mondo, ma unicamente all'esigenza di attraversarlo senza esserne lambito.

Qui noi tocchiamo un momento importante della funzione del ritualismo. Proprio perché dominato da quella forma di permanenza che è la ripetizione rigorosa di uno stesso ciclo di atti, e proprio perché in questo ripetere è efficace non tanto la qualità del ripetuto quanto la forma della ripetizione destorificatrice, il ritualismo racchiude in germe un momento di separazione protettivo dal mondo, di fuga ristoratrice dal divenire: nell'angoscia della storia che non si ripete (e che proprio perché non si ripete angoscia) ci si ritira nella munitissima rocca della metastoria che si ripete (e che ristora proprio perché è il regno della ripetizione, divenire apparente, ritorno dell'identico, inizio e successione che si annullano riproducendo sempre di nuovo l'inizio). D'altra parte poiché il ritualismo separa dal divenire, è essenzialmente azione separata, al riparo da qualsiasi contaminazione del mutare, dell'innovare, dell'alterare. La paradossia del ritualismo sta appunto qui, e riproduce quella della catatonia, della polarizzazione, della flessibilità cerea e della imitazione speculare: infatti al ritualismo si accompagna la oscura coscienza che il divenire minaccia il cuore stesso del comportamento ritualistico, e che il tentativo di evadere nella metastoria della ripetizione facendo parte della storia che non si ripete non sia sottratto alla novità e alla iniziativa. Di qui nasce lo scrupolo caratteristico della esatta iterazione, la mania di es a ttezza, il dubbio dell'errore nella esecuzione, la necessità di riprodurre il comportamento ritualistico nel timore di aver lasciato intrudere qualche novità denunziante il divenire e di esser venuti a patti col mondo per un attimo solo: quell'attimo che facendo breccia nella barricata della ripetizione, rischia di farla crollare lungo tutto il suo fronte!

r.r.8. Catatonia, schizofrenia

137

La pura angoscia del divenire costituisce un vissuto nettamente psicopatologico che vi coinvolge tutti i momenti del divenire stesso e che comporta come conato di difesa estrema il rifiuto di qualsiasi rapporto col mondo, e quindi, al limite, la immobilità dello stupore catatonico, con la sua caratteristica tensione. Si tratta di un conato, che si svolge sotto il segno della contraddizione e della inanità, poiché il mondo preme da tutte le parti con i suoi richiami, cosi come dall'inconscio emergono molteplici sollecitazioni: d'altra parte il sistematico rifiuto di ogni rapporto col mondo, per quel tanto che è spasmodico rifiutare, lascia trasparire proprio quel rifiutante che, malgrado tutto, continua ad essere nel mondo, è sempre di nuovo lambito dal divenire e non può non concedersi in misura sia pure minima al fluente scorrere del tempo. Anzi lo stesso rifiuto sistematico del divenire è inserito nel divenire, e a suo modo diviene: la difesa, per questa paradossia, accentua il suo carattere improprio proprio nella misura in cui pretende di essere radicale. Al limite questa sorta di tentata immobilità parmenidea è minacciata da una duplice rottura: quella del ristabilirsi di un qualche rapporto col mondo e quella delPirrompere di un cieco furore indirizzato ad interrompere quel rapporto me· diante l'aggressione e la distruzione materiale. Se la difesa catatonica è quella dell'assediato che si barrica davanti al nemico incalzante e che non è mai sicuro dietro la barricata, la difesa ritualistica è quella dell'assediato che tenta una sortita oltre la barricata, concedendosi al mondo, ma secondo la nuova paradossia di ridurre il divenire alla ripetizione, Tale riduzione equivale ad un nuovo conato di negazione del divenire stesso: infatti il divenire umano, per quel che ha di specificamente umano, non è mai ripetizione ma irreversibile corso di situazioni sempre nuove, nelle quali le memorie di situazioni analoghe già esperite e di comportamento corrispondenti già impiegati non annulla mai il carattere di novità della situazione stessa, è impegno di iniziativa originale, di scelta e di decisione qui ed ora, per riuscire a produrre il valore nuovo, la iniziativa creatrice personale. In questa dialettica fra memoria retrospettiva e slancio prospettico si inserisce la presenza. Famiglia e società, e quindi cultura nel suo complesso, foggiano la misura della nostra esistenza, stabiliscono l'orizzonte di sicurezza dell'esserci: e nella misura in cui la cultura cui apparteniamo non riconosce dipendenze irrazionali, serviti e disumane e non ha dogmatizzato l'imperio della natura, noi ci siamo nella storia con sicurezza e libertà. Coloro che, nella loro vita, hanno memorie anguste di comportamenti efficaci e una pesante eredità di scacchi subiti, di momenti critici non oltrepassati, sono presenze fragili, esposte alla crisi radicale. n

Janet, pp. n-66.

Les automatismes psychologiques di Pierre Janet {1889) si aprono con il problema dei in cui la comunicazione intcrsoggettiva e l'opera dell'uomo in società hanno avuto luogo- tanto è vero che quelle civiltà sono esistite-, il «mondo» dell'alienazione presenta carattere di non essere compatibile con nessuna vita culturale, e di segnare il crollo della stessa cultura come possibilità. Ciò vale per qualsiasi civiltà e per qualsiasi epoca, che hanno, tutte, i loro malati e che tutte combattono a loro modo contro i rischi di un esperire che si viene privatizzando all'infinito e che impedisce la comunicazione. In altri termini se l'esserci-nel-mondo costituisce la norma della presenza, la condizione del suo emergere e del suo impegnarsi sempre di nuovo nel processo di presentifìcazione, come potrà chiamarsi ancora «mondo» quello della presenza che rischia di non poterei essere in nessun mondo culturale possibile? E come si può valutare come > e di «malattia» non può ritenersi fondato se non si tien conto del «significato dinamico» che la ideologia della influenza ha nella biografia di un singolo industriale milanese o di una singola contadina lucana. Se la credenza del latte rubato diventa nella contadina lucana il centro di tutti i suoi comportamenti quo· tidiani, se tale credenza diventa parassitaria e invade tutta la vita psichica rompendo progressivamente il rapporto col mondo storico, se il ricorso a controfatture non ristabilisce nessun equilibrio psichico, ma anzi concorre a isolare il soggetto con l'ambiente, moltiplica i conflitti, e impedisce qualsiasi vita di rapporto, dobbiamo concludere che si tratta di un disordine psichico anche nell'ambiente lucano. Ciò significa che per giudicare della anormalità psichica occorre fare riferimento anche alla efficacia reintegratrice che di fatto esercita un dato orizzonte simbolico mitico-rituale. Un professore dell'università di Oxford, affetto da alcuni disturbi os~ sessivi, chiese una volta allo psichiatra William Brown se fosse preoccupante la sua coazione a misurare avanti e indietro l'aula durante le lezioni in sequenze stereotipe di sette passi. Al che Brown rispose: > (p. 56). In altri termini mentre il pensiero arcaico e quello indiano tornano alla cosmogonia in virtu della loro concezione ciclica del tempo, la psicanalisi torna all'infanzia; in entrambi i casi, si ha un ritorno che guarisce {o che salva). Il paradiso psicanalitico è il periodo dallo stadio prenatale sino allo svezzamento, seguito da una rottura che è traumatica. Jung, a sua volta, scopre l'inconscio collettivo, luogo degli archetipi o strutture psichiche giammai state individuali e consapevoli (ibid. ).

246

Capitolo primo

Mundus

Il comune a tutte le formule mitiche è che «l'essenziale ha avuto luogo prima di noi, e anche prima dei nostri genitori» e che noi ripetiamo il primordiale, siamo una eco continua delle origini. Per la psicanalisi l'es~ scnziale della malattia è avvenuto nell'infanzia: la diversità è fondamen~ tale. La psicanalisi riconosce che il sintomo è un simbolo chiuso di una crisi che torna, e opera tecnicamente per reinserire tale simbolo nella corrente della coscienza, teorizzando in tal modo esplicitamente la ripresa e la rein~ tegrazione. La destorifìcazione mitico-rituale pone invece in primo piano il ritorno alle origini e lo stare nella storia come se non si stesse: la ripresa si effettua ma non è affatto teorizzata, aru:i la condizione di funzionamento della tecnica mitico-rituale è che chi la opera ignori o dimentichi che si tratta di una tecnica di ripresa.

u'

Eliade, Morphologie et fonction des mythes. Traité, pp. 3.50 sgg. La funzione principale del mito è di fissare i modelli esemplari di tutti i riti e di tutte le azioni umane significative (p. 35I ). Oltre gli atti strettamente religiosi, il mito serve parimenti di modello ad altre azioni umanamente significative: alla navigazione e alla pesca, per esempio (ibid. ). A p. 338 ricorda Van der Leeuw: «Un rito è la ripetizione di un frammento del tempo primordiale». E «il tempo primordiale serve di modello a tutti i tempi. Ciò che è accaduto un giorno si dpete incessantemente. Basta conoscere il mito per comprendere la vita» {L'homme primitif et la religion, pp. r2o e I2I}. p. 338: Il mito è ripetibile per ogni azione umanamente significativa ed è al tempo stesso metastorico e, al tempo stesso, un cominciamento storico: il momento in cui la divinità ha creato o organizzato il mondo, il momento in cui l'eroe incivilitore o l'antenato hanno rivelato una data attività economica, ecc.

Ibid.: L'inizio mitico in quanto apertura sul grande tempo, in quanto illud tempus. Ricorda Marcel Mauss: «le cose religiose, che avvengono

I.,.a. Letture critiche

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nel tempo, sono legittimamente e logicamente considerate come aventi luogo nell'eternità», e ciò- commenta Eliade- perché ciascuna di queste «cose religiose» ripete all'infinito l'archetipo, cioè ripete quel che ha luogo ai pri.tnordi, al momento in cui essendo rivelati un rito o un gesto religioso, si sono nello stesso tempo manifestati nella storia. pp. 338 sg.: Mircea Eliade ritiene «apparente» il paradosso «evento storico= ierofania» e «tempo storico= tempo mitico», e crede che a dissiparlo «basti ricollocarsi nelle condizioni particolari della mentalità primitiva)) che tali equazioni ha concepito. Il primitivo si interessa alle azioni umane, le trova significative, «nella misura in cui ripetono gesti rivelati dalla divinità, dagli eroi incivilitori e dagli antenati}), Ciò che non ha modello metastorico non ha importanza. Dove è da osservare che qui è eluso ogni tentativo di ricostruzione ierogenetica: capire le paradossie primitive significa semplicemente ricollocarsi nelle condizioni particolari della mentalità primitiva, ponendo accanto alla nostra concezione della storia la concezione della storia come sistema dei modelli metastorici che la storia ripete, e accanto alle serie irreversibili di eventi unici la serie reversibile di eventi che ripetono il modello metastorico. Il difetto è proprio in quell'accanto: perché il discorso comprensivo non è mai formato da discorsi che siano ammessi l'uno accanto all'altro in una sorta di indulgenza relativistica, e in un morfologico descrittivismo complicato da richiami all'immediato rivivere le parti che stanno accanto; la comprensione è in un discorso unitario, genetico, che dà incremento a quel che noi siamo oggi, facendo risultare questo «nostro» oggi da quel che allora siamo stati. Solo nella chiarezza autobiografica riusciamo a comprendere l'altro. Dire che per il primitivo sono significativi solo gli eventi che hanno un modello metastorico (mitico), e che un evento è per il primitivo insignificante perché non ha precedente mitico {p. 339) è un enunciare che le cose stanno cosf perché stanno cosi, e un descrivere la coscienza mitica primitiva nella sua limitazione: ma il vero problema ierogenetico è di far risultare in modo necessario tale limitazione, comprendendone la funzione esistenziale, la qualità culturale. Per una comprensione del genere il punto di partenza è però quel tanto di coscienza umanistica che in ogni uomo non può mancare, per angusta che sia. La coscienza umanistica è il riconoscimento di una sfera di azioni che dipende dali 'uomo, il sapere che se l'uomo non assume l'iniziativa, non elabora certe tecniche, non evita determinati ostacoli non si ottengono i corrispondenti risultati. Nella pie-

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Capitolo primo Mundus

tra scheggiata, nelle trappole della caccia, nelle battute di caccia, nel trapianto, nella semina, nel raccolto, nel passaggio dal bastone da scavo alla zappa, o dalla zappa all'aratro è inclusa una innegabile coscienza umanistica, un ritrovarsi come persona che deve decidere su situazioni presenti, inventando tecniche e strumenti, ovvero impiegando bene le tecniche e gli strumenti della tradizione. p. 339: Il rito è sempre ripetizione di un mito, ma non è sempre ripetizione periodica. Ogni momento del tempo, purché sia collegato a una operazione importante (come la battuta di caccia, per esempio), può essere ierofanizzato, cioè ricondotto all'illud tempus. Tuttavia, sebbene un evento non periodico possa essere destorifi.cato sul piano mitico e riassorbito in esso mediante un rito legato che, in rapporto a ciò non è periodico, vi è una spiccata tendenza alla periodizzazione dei riti. Ciò avviene sia perché effettivamente i momenti critici dell'esistenza, e le corrispondenti situazioni a significato sociale, si appoggiano a periodi biologici o stagionali, sia perché- mediante un artificio tecnico- è possibile ridurre aperiodicità il ricorso al nesso mitico-rituale. La crisi della pubertà varia come tempo da individuo a individuo, ma è sempre possibile in una tribu celebrare i riti di pubertà a intervalli regolari facendovi partecipare tutti i ragazzi compresi fra un limite inferiore e un limite superiore di anni: in concreto vi saranno ritardi e anticipi rispetto alle singole crisi individuali, ma, a un di presso, la riduzione è tecnicamente utile. A proposito dei rituali non periodici, collegati alla semplice iterazione di un gesto archetipo, mitico (p. 340) Eliade mette l'accento sulla tendenza a valicare i quadri collettivi periodici: mentre l'accento andava messo al contrario sulla periodizzazione e sulla socializzazione della ripetizione rituale del mito. La tecnica della destorificazione mediante iterazione dei modelli metastorici occulta la storicità della situazione presente non solo nel senso che la decisione attuale viene riassorbita nel già deciso in illo tempore, e «garantita» per tale decisione, ma anche nel senso della abolizione del passato e della riplasmazione del momento attuale come inizio assoluto. La proliferazione storica si rende visibile nella successione di periodi sempre nuovi, nell'accumularsi del tempo passato, col suo carico di elementi negativi, e con i suoi rischi di ritorno irrelato delle situazioni critiche non oltrepassate. Il nesso mitico-rituale offre la opportunità tecnica di istituire punti nodali di passaggio storico, nei quali vengono «fatti tornare»

I ..5.2. Letture critiche

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e quindi «risolti» i simboli del passato critico (confessione dei peccati, ritorno ed espulsione dei morti...) cancellando il periodo passato, e ritornando alla prima volta quando il cosmo naturale sociale e morale nacque dal caos (orgia e reintegrazione). Si ha cosf in tali punti noda1i la destorifìcazione della successione storica di periodi del tempo: la proliferazione storica del divenire, per cui ad un «anno» segue un altro anno, viene periodicamente amputata, cioè sempre di nuovo ricondotta - per cosf dire - al punto zero: alla successione dei periodi si sostituisce il riassorbimento periodico del rischio della successione, con tutte le sue storiche sporgenze. Ciò comporta, per un altro verso, la risoluzione del tempo in una serie di assoluti inizi: ogni anno nuovo comincia da capo, è un ass non ci si stesse: il che però non significa che non ci si sta, che cioè non si opera e si decide volta per volta (e come si potrebbe?), ma la coscienza che accompagna lo storico operare è subordinata, protetta e dischiusa da1la coscienza miticorituale egemonica di una opera divina già tutta compiuta, in quella volta che vale tutte le volte e che in tutte le volte è riattuabile.

I;6

La fluidità del divenire significa semplicemente che la presenza non resta senza margine di operabilità e di progettabilità del divenire stesso. Se una situazione critica resiste alla decisione della presenza, se non si sa precisamente che cosa fare per sciogliere un nodo della propria esistenza, si continua a decidere per tutte le altre situazioni e anche la situazione critica riceve in un modo o nell'altro, in un tempo piu o meno lungo, la risposta adeguata. Si consideri per esempio la crisi del cordoglio che accompagna la perdita di una persona cara: anche se, davanti alla immobile spoglia, si esperisce il tremendo evento davanti al quale non c'è nulla da fare, in realtà si continua a fare, ad operare: i pi6 forti nel muto raccolto interiore dolore, i pi6 deboli nella disperazione, eseguono il lavoro del cordoglio, che segna il trapasso, lentissimo e doloroso, dalla persona viva che comunicava con noi nel dialogo delle parole e degli affetti, alla persona morta, con la quale possiamo solo monologare rammemorandone le opere e impegnandoci in determinate fedeltà verso di esse («mio padre mi ha insegnato ... ») Occorre andar oltre la situazione luttuosa, questo comanda il lavoro del cordoglio: che se davvero questa situazione d fa prigionieri, e la morte della persona cara non si trasforma in una nostra scelta della sua morte, nel nostro farla morire interiormente che ne serba il meglio della sua vita, allora cominciamo a morire noi stessi con ciò che è morto e nella alternativa senza esito di rendere reversibile il tempo storico andiamo smarrendo la stessa potenza morale che, decidendo le alternative, rende possibile l'esserci-nel-mondo. Chi non oltrepassa una situazione critica ne resta prigioniero e ne subisce la tirannia: la presenza ri-

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Capitolo primo Mundus

masta senza margine davanti alla situazione luttuosa perde la fluidità, la operabilità, la progettabilità del divenire mondano, che in ogni situazione tende a ripetere la situazione luttuosa, a diventare il morto e la nostra òisperazione o il nostro terrore. I morti non fatti morire dai vivi tendono a tornare in modo irrisolvente, magari in una maschera che li rende irriM conoscibili e contaminando tutto il fronte delle situazioni possibili nella vita reale. 137

(Fine del mondo e morte.) Il pensiero che l'individuo singolo finirà inevitabilmente col morire rischia di diventare un sintomo morboso nella misura in cui si isola nella coscienza e la invade paralizzandola; chi si chiude in questo pensiero per ciò stesso comincia a morire, e di una morte che è la peggiore di tutte in quanto si annunzia come vuoto del pensare, come vano fantasticare e c~ me crescente terrore del nulla morale che avanza. Poiché proprio questa è la medicina della morte, il rinnovantesi impegno a operare se la individua fra tutte le altre, prendendo rilievo per entro la stessa tradizione giudaico-cristiana: in questa prospettiva va segnalata l'importanza dell'opera di Cullmann: d'altra parte la esigenza di riadattare il Cristianesimo a questo senso della esistenza storica, senza tuttavia dissolvere il messaggio cristiano, sta al centro del problema della demitizzazione del Nuovo Testamento. Oltre questi rapporti fra storia e vita religiosa, storia e Cristianesimo, storia e mito~ vi sono poi le quistioni piu strettamente connesse alla metodologia della ricerca storiografi.ca, e al significato e al valore della storia nel quadro delle scienze umane. Questa riconsiderazione del problema della storia è stata largamente influenzata dalla crisi di uno storidsmo angustamente europeocentrico, e dalla immediata assunzione della storia dell'occidente come modello della storia umana; dal-

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Capitolo primo

Mundus

la crisi del concetto di «progresso» unilineare promossa dalla etnologia e dalla orientalistica; dal costituirsi di fatto, sulle rovine dell'epoca coloniale, di una «terza forza» di nazioni e di civiltà la cui storia è certo impartecipe aHe esperienze storiche dell'occidente (mondo classico, Cristianesimo delle origini e medievale, umanesimo e rinascimento, riforma, nascita della nuova scienza e illuminismo, romanticismo e positivismo, ecc.), ma è tuttavia partecipe ad altri sviluppi storici che non possono in alcun modo essere valutati come «fasi attardate» o «deviazioni» dello sviluppo occidentale. Altri problemi di rilievo si riferiscono ai rapporti fra la ricerca storica e la etnologia, la antropologia, la sociologia, la psicologia, la etnopsichiatria, ecc. come anche al posto della ricerca storica nelle ricerche interdisciplinari concernenti determinati fenomeni culturali. O. Cullmann. R. Bultmann, Geschichte und Eschatologie, 1958. Jaspers-Bultmann.

I'4

L'oggettivismo, il neutralismo, il tecnicismo sono incompatibili con la ricerca storiografica, ancorché la storiografìa è scienza oggettiva, che comporta una assidua catarsi mentale dal mondo immediato delle passioni, e ancorché si avvalga di tecniche diverse di analisi (etnografica, archeologica, filologica, psicologica, psichiatrica). La identità di storiografìa e di > databile e del «dove» geografico del Regno, il costituirsi della paradossia del già- non ancora- ora in quanto storia che si salva, la cristologia paolina e il quarto Vangelo, e, d'altra parte, il costante movimento che tende a dar orizzonte all'operabilità mondana di fronte al rischio di un mondo «già» finito, o volgente a fine imminente, o già salvato o prossimo ad esserlo in modo definitivo per una irruzione imminente che consuma nell'attesa ora angosciata e ora gaudiosa: tutto ciò va inteso appunto come il vero dramma di fondazione del Cristianesimo in quanto religione che

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Capitolo secondo

Il dramma dell'apocalisse cristiana

dischiude la civiltà cristiana, la rese possibile nelle sue opere e giorni: dramma di fondazione che, per lo storico, va molto oltre la figura di Gesu, del resto cosf problematica ad essere isolata con certezza storiografìca. Una storia del protocristianesimo non può essere che la individuazione delle grandi linee di questo dramma complessivo di fondazione, da Gesu a Giovanni.

167

(Christus und die Zeit. Osservazioni in margine.) L'esistenza storica è sempre, in quanto esistenza culturalmente determinata, un orizzonte particolare di trascendimento dei momenti critici secondo valori intersoggettivi. Le diverse culture si individuano appunto secondo il numero, la qualità, la frequenza dei rischi di crisi radicale ed il carattere del dispositivo di valorizzazione reintegratrice. Vi sono tre grandi dispositivi di reintegrazione rispetto alla crisi radicale: primo dispositivo è il seguente: occultamento della storidtà della condizione umana mediante la riduzione del presente critico e del futuro incerto a modelli m i s ti ci di fondazione e di risoluzione: la iniziativa, la scelta, la decisione responsabile non possono ancora prodursi accompagnati dalla coscienza di una origine e destinazione integralmente umana dell'operare e si proteggono in un «come se» caratteristico: si opera ripetendo modelli metastorici di comportamento, la proliferazione del divenire è sistematicamente riassorbita nella coscienza egemonica della iterazione rituale di sempre identiche origini rnitiche. Il secondo dispositivo è il seguente: la storia, che nel precedente modello veniva continuamente riassorbita nelle origini mitiche, qui invece manifesta alla co-scienza culturale egemonica la dimensione del futuro nel senso di un percorso finito verso un termine ultimo, mitico anch'esso, di carattere escatologico. È la prospettiva giudaica: si opera per entro l'orizzonte di una storia compresa fra origine e termine, fra creazione, patto e attesa dei giorni di Jahve; si opera spiando i segni del favore o della collera divina e interpretando tutta la storia, dalla origine al termine escatologico, come storia santa del popolo speciale. Terzo dispositivo, quello cristiano. L'evento escatologico non è collocato al termine della storia, ma al centro, a partire dal quale comincia la fine[ ...]

z.r. Ipotesi di lavoro

z68

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L'eterno ritorno come immagine del tempo si collega al simbolismo mitico-rituale delle forme di vita religiosa indipendenti dalla tradizione giudaico-cristiana. Il simbolismo mitico-rituale di tali forme mistifica il divenire storico -lo occulta ad una possibile coscienza integrale di essomediante l'articolazione del divenire in «momenti critici tipici dell'esistenza», mediante il riassorbimento di questi momenti critici tipizzati in un modello metastorico di fondazione e di risoluzione in ilio tempore: di guisa che ripetendo ritualmente il modello delle «origini>> ogni «ora)> e ogni «domani» critici sono ricondotti ad un «già» operato da numi, una volta per tutte le volte. Il modello del centro della storia umana fra origine e termine appartiene invece al Cristianesimo: centro che, in quanto evento decisivo, dà senso al divenire mondano, e assegna alle singole epoche della salvezza un posto univoco nel «prima» e nel «poi» e nell'intero «piano» che si dispiega dalle origini al termine. La ripetizione, in questo nuovo orizzonte, non concerne piu le origini (la fondazione originaria), ma lo stesso evento centrale: il tempo naturale e mondano, gli anni astronomici, vengono riassorbiti ciascuno nello stesso anno liturgico, e l'anno liturgico che si ripete ogni anno ripete a sua volta il tempo dell'evento centrale col suo vertice nella Pasqua di Risurrezione. L'immagine dell'anno liturgico racchiude quindi, come limite iòeale, la completa destorifìcazione del tempo: come in una caverna dominata dall'eco, il Cristo vi è infinitamente ripetuto, anche se il suono ha diversi gradi di altezza. Ogni messa ripete l'evento centrale, ma la messa diNatale e soprattutto quella di Pasqua si richiamano con maggiore pregnanza ad esso: ogni mese, ogni giorno, ogni ora, ogni istante possiede- sempre come limite ideale - il suo significato ripetitivo, la sua possibilità calendariale di essere riassorbito e santificato nella direzione del centro. Ogni giorno ha il suo santo, ogni ora la sua preghiera e ogni mese, la sua festa. Tuttavia, proprio perché viene ripetuto non un mito delle origini ma un evento centrale della storia della salvezza, la paradossia cristiana del tempo esplode in tutta la sua drammaticità: mentre la ripetizione del Cristo accenna ad una destorificazione radicale, la ripetizione dell'evento centrale che dà senso alla storia umana fa apparire e crescere la coscienza della storia per entro la stessa coscienza ripetitiva mitic~rituale. Appaiono cioè il «processo irreversibile», il differimento degli ultimi giorni e il Regno che già è cominciato e si dilata, lo Spirito Santo dal Cristo agli uomini del periodo dalla prima alla seconda parusia, la testimonianza umana capace di affrettare il Regno, l'amore al di sopra della fede e della speranza, il tempo che ancora deve scorrere dopo l'evento centrale afEn.

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Capitolo secondo

Il dramma dell'apocalisse cristiana

ché il Vangelo sia predicato a tutte le genti e il maggior numero possibile si salvi: tutti momenti che accennano alla responsabilità della decisione individuale nel qui e nell'ora, ad una responsabilità che in ultima istanza non ha nulla di ripetitivo. Il simbolismo mitico-rituale riassorbe nella ripetizione rituale della fondazione mitica la proliferazione storica del divenire, la mistifica, la occulta, e con questa mistificazione e occultazione protegge l'operare civile della crisi esistenziale. Ma quando, col Cristianesimo, la coscienza della storia è cominciata ad apparire per entro la stessa coscienza mitica, quando, col Cristo, il tema della ripetizione delle origini è stato sostituito con quello della ripetizione del centro del corso storico, e il divenire fu vissuto come epoche della salvezza alle quali tutte, passate presenti e future, quel centro dava significato di «piano» da una origine ad un termine, tutto l'antico simbolismo mitico-rituale accolse nel suo seno una profonda paradossia. L'esigenza di un orizzonte simbolico della crisi tuttavia resta: di un orizzonte che abbracci un evento fondatore e :una meta prospettica, e che dia senso alla vita comunitaria, nella unità di un'epoca. Gli anni x-30 sono decisivi per il cristiano in quanto anni della nascita, della predica:zione, della passione, della morte e della risurrezione di Cristo: e per quasi duemila anni una civiltà è vissuta nella memoria di quegli anni e nell'anticipazione degli ultimi giorni di cui quegli anni segnavano l'annunzio e la garanzia. Ma una volta che il simbolismo cristiano ha liberato il senso della storia non è piu possibile in buona fede credere al carattere decisivo di quegli anni in quanto anni della incarnazione del Logos nella persona di Gesu di Nazareth. Occorre ricomporre il nostro simbolismo su un piano esclusivamente civile, partecipando ad un orizzonte epocale determinato, con un inizio e una meta non assoluti, ma relativi a questa epoca, e non affidati a numi ma interamente a uomini e ai loro istituti. Un evento iniziale e fondatore impiantato nel cuore della storia, interamente operato da uomini e destinato ad uomini, un nuovo corso in svolgimento, una meta in prospettiva; questo non può essere che una rivoluzione, i dieci giorni che sconvolsero il mondo. (Cullmann, p. 109). Ci separano duemila anni dai giorni di Cristo, e anche una distanza spaziale: la Terra Santa. Ma alla comunità cristiana primitiva lo scandalo, la follia della croce doveva apparire molto maggiore che a noi, poiché in un villaggio ben noto, un uomo fra gli altri si

..

2.1.

Ipotesi di lavoro

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era proclamato figlio di Dio ed era stato condannato a morte come un delinquente. Se la fine incombe, e se questo incombere è vissuto come prossimità e radicalità angoscianti, oppure se la fine è sperimentata come già avvenuta, di guisa che ormai è iniziata un'epoca di disfacimento e di crollo che corre rapidamente verso la catastrofe, allora il mondo, la storia, non sono piu operabili e ogni margine per la vita culturale si restringe e si annienta: ma la fine di cui parla il N.T. non è questa, per quanto vi appaia come momento ripreso e riscattato. Vi appare il momento della prossimità incombente, soprattutto nell'epoca della predicazione eli Gesu, ma si tratta di una prossimità che non si concentra nel dove e al quando, che ricaccia anzi questo dove e questo quando per dare orizzonte ai temi della metanoia, della testimonianza, della preparazione, della vigilanza, dell'amore, di una estrema tensione dell'operare comunitario. Dopo la morte di Gesu questo margine si allarga, la cristologia indica nella croce una fine che appartiene al passato e che è garanzia della seconda parusfa: la Pentecoste ridischiude il futuro, cioè l'epoca compresa fra le due parusfe, e quest'epoca non è soltanto operabile per coloro che hanno ricevuto lo Spirito Santo, ma si configura un programma di vita cristiana che può affrettare, far crescere, il Regno. Sorge la Chiesa, i sacramenti sono istituzionalizzati, e attraverso l'eucaristia la morte e la risurrezione di Cristo diventa principio di vita comunitaria, momento calendariale di concentrazione e di diffusione di energie operative per la vita di ogni giorno, nella prospettiva degli ultimi giorni sempre piu allontanantesi e sempre di nuovo differita. Fede nell'evento di salvezza già avvenuto come surrogato dell'aspettativa ancora incompiuta dd Regno di Dio; oppure: fede nell'evento di salvezza già avvenuto come fondamento dell'attesa della seconda parusia. Questa alternativa ermeneutica è da respingere. Il «già avvenuto» come surrogato psicologico del «non ancora avvenuto» è criterio interpretativo insufficiente: si deve piuttosto parlare di una dinamica dell'imminenza del Regno futuro alla attualità del Regno che già comincia, dall'attesa degli ultimi giorni alla anticipazione mediatrice di opere testimonianti, dalla fine prossima all'evento decisivo già accaduto e al presente riscattato per questa apertura.

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Capitolo secondo

Il dramma dell'apocalisse cristiana

L'escaton si affina nel principio etico: «agisci come se la tua decisione fosse l'ultima possibile e quindi non correggibile da una ulteriore decisione: come se si trattasse di una decisione di risonanza cosmica e definitiva; come se tu fossi in punto di morte e dettassi le ultime volontà». Ma non è questo l'escaton protocristiano anche se esso può mediare, e ha mediato di fatto, il senso di una suprema responsabilità umana nell'accadere terreno. I69

Non certo come giudizi interpretativi, ma come semplici ipotesi di lavoro da provare e riprovare in sede etnologica, storico-religiosa e storicoculturale, valgono le seguenti considerazioni: La destorificazione del negativo (passato, attuale, possibile) mediante la destorifìcazione mitico-rituale che riassorbe la proliferazione del divenire umano, con i suoi momenti di incerteZ".la, di precarietà, di conflitto irrisolvente, nella iterazione rituale di un identico atto di fondazione mitica paradigmatica operato sul piano metastorico. «Si sta nella storia come se non ci si stesse», nel senso che i momenti critici di un determinato regime di esistenza. cioè la storicità di tale regime, lt>: scelte culturali e le iniziative che comporta, vengono occultati alla coscienza, non riconosciuti, e sempre di nuovo ricondotti nella sfera di comportamenti archetipi consumati una volta per tutti in illo tempore, con tutta la potenza esemplare degli operatori mitici. In prospettiva nasce un regime protetto per quel tanto di iniziativa, di innovazione, di decisione irripetibile e di scelta che ogni vita culturale richiede. Sempre in questa prospettiva, fuori di questa possibilità e di questo obbligo religioso di ripeterlo secondo il suo statuto di fondazione delle origini mitiche, il mondo crolla, perde la sua operabilità di fatto proprio perché la storicità perde la sua maschera protettiva destorificatrice, e perdendola si disgrega, in un caos di momenti critici non oltrepassabili. Insediamento, agricoltura, allevamento del bestiame, lavoro artigiano, commercio, stratificazione sociale, burocrazia statale, ecc. nella misura in cui dilatano le potenze civili dell'uomo fanno emergere nella coscienza culturale il senso del tempo, quel muoversi instancabile verso il futuro che caratterizza tale coscienza. Cosf entra nel mito il futuro, sotto forma di destorificazione del futuro nell'escaton. Al riassorbimento del presente nel passato mitico si collega la prefi.gurazione presente del termine futuro, il profetismo, il millenarismo, l'escatologismo.

2.r. Ipotesi di lavoro

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Di contro al tempo ciclico dei greci e di contro ogni metafisica, per cui la salvezza è sempre disponibile nello «al di là», il tempo del Nuovo Testamento è concepito come sviluppo rigorosamente unilineare della Rivelazione e della Salvezza: e tale sviluppo riceve senso da un evento storico centrale decisivo, la morte e la risurrezjone di Cristo, di guisa che tutti i punti della retta del tempo, tutte le sue divisioni particolari, sono valutabili a partire da questo evento storico centrale decisivo, serbando tuttavia il loro peculiare significato temporale. È questa ciò che il N. T. designa come otxovo[J.La. (Eph., r, ro; 3, 2; Kol., I, 25; Eph., 3, 9), cioè il complessivo piano divino della salvezza, e È tale nascita. Il problema che si pone O. Cullmann, se il centro del Cristianesimo primitivo sia o meno la storia della salvezza ridistribuita rispetto all'evento storico di Cristo-Dio, non è un problema storiografico. Sia pure accertato che, per il Cristianesimo primitivo, valesse questa visione salvifera della storia come nucleo centrale: per lo storico non basta identificare l'es-

2 .2. Letture critiche

305

senza del Cristianesimo primitivo, ma occorre individuare le ragioni umane (consapevoli e inconsapevoli) di questa particolare coscienza del divenire storico, e gli umani valori che (consapevolmente o inconsapevolmente) ne vennero mediati (per esempio l'amore). Non si tratta di identificare l'essenza del Cristianesimo primitivo, cioè dove batteva l'accento della sfera cosciente, ma di ricostruire un movimento di cui la coscienza della storia della salvezza mediante Cristo al centro del divenire storico sta come risultato. Secondo Cullmann, pp. 41 sg., Ai6n nel primitivo Cristianesimo si articola nei seguenti distinti significati: a) il tempo illimitato, senza principio né fine, e quindi propriamente infinito, eterno: come tempo di Dio tende a perdere ogni significato temporale concreto; h) il tempo limitato compreso fra creazione e fine del mondo; c) il tempo illimitato quanto al principio e limitato quanto alla fine: cioè il tempo «prima» della creazione; d) il tempo limitato quanto al principio ma illimitato quanto alla fine: cioè il tempo «dopo» la fine del mondo. Questa economia del tempo neotestamentario è governata dal «piano divino» che determina i kair6i- i momenti adatti- di questa successione rettilinea di ai6nes: il Cristo sta al centro del processo, nel senso che la data del suo evento e della sua opera manifesta agli uomini la totale economia del tempo, mediando agli uomini- una volta per sempre- il piano divino di salvezza. La tesi di Cullmann ha il limite di presentare la concezione protocristiana del tempo come una totalità statica, senza sviluppo, come una essenza. L'autore coglie senza dubbio molto bene la distinzione fra tale concezione e quella anticotestamentaria o greca o iranica (e si potrebbe aggiungere indiana), ma non ci espone le fasi distinte, le accentuazioni diverse, che per entro la stessa storia del Cristianesimo primitivo dagli antecedenti giudaici della predicazione di Cristo, da questa sino alla morte di Gesu, dalla morte di Gesu sino a Paolo e a Giovanni subirono i temi dell'Ai6n, del kair6s, del Regno, della parusia, e di quant'altro ha attinenza con la fine del mondo e con rescatologia, con il divenire cosmico e con la storia della salvezza. Il Cristianesimo primitivo viene offerto qui come un blocco monolitico, caduto dal cielo, e quindi senza storia in se stesso, e che la ellenizzazione doveva poi scalfire o addirittura spezzare (gnosticismo). Ma

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Capitolo secondo

Il dramma dell'apocalisse cristiana

c'è da chiedersi, a proposito del tempo, se la fine del mondo, l'attesa del Regno, ecc. si configurarono con accento diverso in Gesu e dopo la morte di Ges6., nei Vangeli sinottici e in Paolo, nel quarto Vangelo e nell'Apocalissi. Proprio la storia di questa diversa accentuazione forma problema onde occorre sciogliere il rapporto Christus und die Zeit negli altri: Gesu e il tempo; i sinottici e il tempo; Paolo e il tempo; il quarto Vangelo e il tempo; l'Apocalisse e il tempo. I limiti del lavoro di Cullmann sono in fondo quelli del protestantesimo, cioè di una ricerca orientata verso una essenza del Cristianesimo che è stata tradita e che occorre riguadagnare.

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Tempi ultimi, Spirito Santo, Chiesa, eucaristia. Cullmann, p. 63: .

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Capitolo secondo

Il dramma dell'apocalisse cristiana

Sulla imminenza del Regno Marco, 9, 1; Matteo, xo, 23 e Marco, 13, 30; Paolo, I Tess., 4, 1,5; ma, modificando la propria opinione, Cor., 5, I sgg.; Philip., r, 23. Ma questi mutamenti dell'opinione di Paolo sulla prossimità della parus(a non hanno mutato in Paolo il complessivo schema temporale della salvezza: la speranza di Paolo non subisce modifiche. Ciò, secondo Cullmann, starebbe ad indicare che questa speranza non era radicata nel futuro ma in un evento passato centrale, un fatto cioè che non poteva essere toccato dal ritardo della parusia ( 76 sg. ). Giovanni, 3, 18: I1 giudizio ha già avuto luogo. Giovanni, 5, 28 e 12, 48: Il giudizio si produrrà nel futuro, nei giorni estremi. Commento di Cullmann, p. 77: «Senza dubbio il Vangelo di Giovanni accentua con forza maggiore degli altri scritti neotestamentari, la decisione già avvenuta, il giudizio già compiuto nel credere o nel credere nell'opera di Cristo. Ma la speranza in un giudizio finale è solo piu saldamente fondata in questa già avvenuta decisione».

I Joh., 2, 18: «Ragazzi è l'ultima ora!»: cioè ora è già il futuro, il futuro ha orizzonte a motivo del punto iniziale passato, il Cristo. Cullmann, pp. 77 sg.: «Nella luce del Cristianesimo primitivo tutto il complesso di questioni che si riferisce al rapporto oc Attesa del Regno Prossimo - Ritardo della Parusia ", per quanto psicologicamente abbia importanza diventa senza rilievo da un punto di vista teologico». Cullmann, p. 8o: scrivere il passo segnato al margine del libro col lapis.

Ibid.: «Noi stiamo cosi in una parte del tempo nella quale siamo già stati salvati da Cristo, e in cui già sussiste lo Spirito Santo caratteristico del nuovo periodo, ma in cui non è eliminato il peccato che caratterizza la intera parte del tempo che precede la parusia». Qui- pp. 75-80- è possibile ravvisare il limite caratteristico della prospettiva di Cullmann. Il fatto che nel N. T.le espressioni impiegate battono l'accento ora sulla «imminenza», ora sul carattere «futuro» ora sulla «indeterminatezza cronologica)> del Regno, e ora sul tema del Regno che «già» è cominciato e cresce e si dilata sino al giorno del suo definitiv o compimento, viene rimandato a «cause psicologiche» secondarie per la considerazione teologica: per la quale tutte queste determinazioni stanno

2.2. Letturecritiche

.313

organicamente insieme in una essenza data tutta in una volta, e cioè lo spostamento del centro dal futuro al passato, col conseguente mutamento di prospettiva della storia della salvezza: il giudaismo appartiene all'epoca in cui la parusia sarà, il Cristianesimo all'epoca compresa fra la prima e la seconda parusia, fra l'inizio del Regno e il suo compimento, fra la promessa già fatta e il compimento futuro della promessa stessa. Ma da un punto di vista storico proprio ciò che Cullmann chiama «motivazioni psicologiche•> prende un rilievo di primo piano. Il Regno predicato da Gesu, quello dei Vangeli sinottici scritti dopo la morte di Gesu, quello della cristologia paolina, quello del quarto Vangelo e quello dell'Apocalisse partecipano di un movimento storico in cui gli accenti si spostano in un certo modo e secondo una certa coerenza e necessità, che la ricerca storiografica deve ricostruire e comprendere. Ciò che nel Nuovo Testamento appare, per il credente, sullo stesso piano, cioè come dato tutto in una volta con i suoi vari accenti, per lo storico manifesta una successione di momenti di sviluppo: per il credente il Regno comincia con la predicazione di Cristo, per lo storico esso comincia con la predkazione di Gesu di Nazareth e si viene modificando come prodotto storico in una mutazione di accenti che non è secondaria o meramente psicologica, ma primaria per la compt~nsione. Per il credente il Regno appare in primo luogo come una nuova prospettiva della salvezza realizzantesi nel tempo: per lo storico la coscienza protocristiana del tempo diventa problema, sia nel senso che questa coscienza non si mantiene astrattamente identica ma presenta piani e momenti di sviluppo, sia nel senso che oltre questa coscienza si distende la sfera delle motivazioni inconsapevoli o dei risultati che solo piu tardi maturarono, sia infine nel senso fondamentale che, per lo storico, il Regno non può non essere opera culturale umana non consaputa come tale (gli uomini fanno la storia ma non sanno di farla), e pertanto spetta allo storico rintracciare sia le motivazioni umane non consapute come tali, sia la necessità storica e la storica funzione di questo non-sapere (o di questo sapere mitico ). Nella prospettiva di Cullmann (l'essenza del Cristianesimo primitivo) opera invece ancora la preoccupazione religiosa immediata; mascherata nel proposito di ripetere la sola coscienza protocristiana del tempo, senza nessun riferimento al suo movimento storico e alle sue storiche motivazioni «umane». Cullrnann, p. 87: «L'essenziale per la comprensione della concezione protocristiana non sta nel presupposto che noi, a differenza dei primi cristiani, sappiamo che Adamo non è stata una persona storica come Gesu: ressenziale per tale comprensione sta invece da parte nostra nel capire

3I4

Capitolo secondo Il dramma dell'apocalisse crjstiana

che l'intera storia della salvezza, nelle sue parti storiche e in quelle non storiche, rappresenta un unico organico divenire svolgentesi nella stessa linea temporale in costante progresso e che nel protocristianesimo tale rapporto non può essere sciolto dalle sue ragioni teologiche». Senza dubbio quando ci poniamo il problema della coscienza che il Cristianesimo primitivo ebbe del tempo non possiamo in alcun modo far operare la nostra coscienza della distinzione fra mito e storia come se fosse presente alla coscienza protocristiana. Effettivamente per la coscienza cristiana Adamo come mito, Gesu di Nazareth come personaggio storico e il Cristo come mito non si distinguono secondo le nostre categorie di mito e storia. Ma lo storico non esaurisce il suo compito nel determinare in che misura il suo concetto di storia non appartiene alla coscienza degli operatori storici di cui si occupa, e, via positiva, come si riflette nella coscienza di questi operatori la storia di cui sono protagonisti. Compito dello storico del protocristianesimo è di ricostruire le motivazioni umane (consapevoli o inconsapevoli) e le condizioni culturali complessive per cui ebbe luogo la coscienza cristiana della storia, cioè per cui nacque il Vangelo come «buona novella» e non come serie di dati biografici accuratamente raccolti e commentati dagli storiogra:fi Matteo, Luca, Marco e Giovanni. Cullmann, pp. 84 sgg.: «Racconti sulla origine e sulla fine del divenire sono solo profezia in quanto sono oggettivamente solo oggetto di rivelazione e soggettivamente solo oggetto di fede. Qui non hanno luogo conferme ottenute mediante accertamento umano dei fatti storici. Ma ciò che viene attestato nei libri della Bibbia piu strettamente storici, può almeno in parte essere controllato storicamente, indipendentemente da ogni fede». Però anche questi libri presentano i fatti storici non come storia ma come profezia rivelata sulla storia, e quindi includono affermazioni che non sono storicamente controllabili, come per esempio la rappresentazione della storia di Israele come storia del popolo eletto. Nei Vangeli si racconta la storia di Gesu figlio di Dio, in cui vi sono fatti che possono essere storicamente controllati, ma ciò che piu è importante, cioè Gesu è figlio di Dio, resta un dato precluso allo storico. Analogamente i \'angeli non sono biografie, ma evangeli, buona novella. Gli Atti son la storia della efficacia dello Spirito Santo nella Chiesa: «anche qui non abbiamo da fare con un vero e proprio scritto storico, poiché non è storicamente determinabile l'azione dello Spirito Santo nel divenire storico della vita della comunità primitiva e della diffusione del V angelo». Vi

2..2.

Letturecritiche

31.5

sono poi tratti singoli non storicamente accertabili che si riferiscono agli stessi dati biografici: per esempio la nascita virginale. A proposito di quanto afEerma Cullmann, pp. 84 sgg., è da osservare: che le scritture non siano libri di storiografia sembra sin troppo ovvio: ma ciò non ha nulla da vedere col fatto che non siano libri «storici», cioè prodotti culturali umani: è questa necessariamente la prospettiva dello storiografo che si accosta ad essi come documenti. In quanto non sono libri storiogra:fici- scritti cioè nell'intento di raccontare il corso di eventi umani e consaputi come tali- essi racchiudono affermazioni di fede, come per esempio che Gesu è figlio di Dio o che la sua nascita è virginale, ecc. ecc.; ma in quanto libri storici a cui lo storiografo si avvicina, anche le affermazioni di fede appartengono senza residuo alla storia umana e pongono allo storiografo il problema del come e del perché della storia si venne formando quella coscienza non certamente storiografìca, ma rnitica, che caratterizza il protocristianesimo. Insomma lo storiografo se ha il compito di ricostruire la genesi umana dei prodotti culturali non può arrestarsi come incompetente davanti ai prodotti culturali che racchiudono una coscienza non storiografica, ma è chiamato a rigenerare storicamente nelle ,~ 'Dotivazioni, nella sua struttura e nella funzione la coscienza mitica . · L Jria umana. O una storiografìa del Cristianesimo è possibile, e al: 10 è assumendo il principio inerente alla ricerca storiografica, e cioè che il Cristianesimo è un prodotto culturale umano, che in tutte le sue parti, nessuna esclusa, può essere ricondotto alle ragioni umane che lo produssero: o non è possibile, e allora è impossibile integralmente, in quanto lo storico cerca umane genesi umanamente motivate e il Cristiane~ simo presenta invece eventi che rientrano in un piano di operazioni divine. Siamo qui di fronte ad un aut-aut, ad una scelta, ed ogni tentativo di compromesso dà luogo a contraddizioni insanabili. Tale contraddizione è occultata quando d si limita a descrivere la coscienza cristiana della storia: ma l'occultamento è ottenuto a prezzo di proibirsi di raccontare come questa coscienza si è formata e quale funzione ha assolto, cioè è ottenuto sospendendo nell'essenziale il compito dello storiografo, o limitandolo arbitrariamente solo a certi documenti o a certi aspetti di essi, e sottraendone altri per principio all'esame storiogra6.co, poiché sarebbero di pertinenza esclusiva del teologo. Che le scritture non siano testi storiografici è verità cosi ovvia da sconfinare nella banalità: ma ciò non ha nulla da vedere col fatto che, per

316

Capitolo secondo

Il dramma dell'apocalisse cristiana

lo storiografo moderno essi siano soltanto documenti integralmente storici cioè testimonianze di prodotti culturali integralmente umani, dei quali lo storiografo ha il compito di ricostruire la genesi, il condizionamento e il significato integralmente umani, al di là della coscienza che ne ebbero gli operatori. Senza dubbio tale coscienza - quel che gli operatori credevano di patire e di fare- è un momento non accidentale del processo da ricostruire: e lo storiografo deve intenderne la funzione mediatrice storicamente non sostituibile. Ma non può né ripetere immediatamente questa coscienza, né d'altra parte cancellarla prestandole in modo immediato la propria coscienza e le proprie categorie interpretative. Ciò che gli operatori credevano di fare e di patire non può essere ridotto a ciò che essi effettivamente facevano (perché ciò che credevano è di importanza decisiva per rendere possibile ciò che effettivamente fecero), né a ciò che essi effettivamente fecero (perché la coscienza che ne ebbero va rigenerata e compresa nella sua funzione).

z74 •3

Cullmann, pp. 122 sgg. (cfr. p. 62, 72) mette in evidenza come il «futuro» per il protocristianesimo non è, come nel giudaismo, dò che dà signilìcato alla storia della salvezza: n telos cristiano è già avvenuto, è l'ephapax del Cristo, ed il futuro, in questa prospettiva del centro, diventa soltanto il compimento del telos. Mentre l'escatologia giudaica si distende fra patto e giorno di Jahve, l'escatologia cristiana assegna all'evemo del Cristo il carattere di un inizio storico decisivo di dò che si compirà con la seconda parusia. Se il giudaismo vive dell'attesa del telos futuro, il Cristianesimo vive invece dell'attesa del compimento del telos già raggiunto nell'evento centrale della storia della salvezza. Ma questa contrapposizione è tipologica, schematica, per «essenze», non genetica, propriamente storiografica. Riproduce il risultato di un processo che certamente ha avuto luogo nel Cristianesimo primitivo, ma come se questo risultato fosse già tutto dato sin dalla predicazione di Gesu, e come se la sua morte non avesse introdotto modifiche sostanziali nel processo. Il passaggio dalla imminenza del Regno predicato da Gesu al tema cristologico del significato della croce nella economia della salvezza non costituisce problema per Cullmann: il teologo di Basilea non fa di.stinzione fra il documento cristiano elaborato dopo la morte di Cristo e la predicazione di Gesu prima della sua morte, e ripete la prospettiva neotestamentaria post mortem senza generarla storicamente dalla prospettiva ante mortem di Gesu e dei suoi discepoli. Lo spostamento di accento dall'im-

2.2.

Letture critiche

317

minenza degli ultimi giorni agli ultimi giorni già iniziati e avviati al compimento in virtu della morte e della risurrezione di Cristo, esula dalla interpretazione di Cullmann. In realtà lo storico non è formulatore di «essenze»: una «essenza» del Cristianesimo primitivo staticamente concepito riecheggia tradizionali motivi della teologia protestante, ma è estranea al pensiero storico. Occorre individuare la «crisi» della fine e il riscatto culturale operato dal Cristianesimo mediante il ridischiudersi dell'orizzonte della storia operabile, del futuro significante. Occorre intendere il generarsi della prospettiva del Victory Day, e comprendere come, attraverso il «già» e il «non ancora», la prima e la seconda parusia, l'inizio e il compimento, si dischiude il tempo operabile cristiano, in una caratteristica tensione che evita i tempi non operabili sia della imminenza della catastrofe sia della catastrofe già avvenuta (ancora una volta perché operare?) Il senso del tempo cristiano va dall'immenso della catastrofe al compimento di una promessa.

·4

La imminenza del Regno, la attesa del suo prossimo avvento, ha, secondo Cullmann, la sua radice nella fede che l'evento di salvezza è già accaduto, si è già prodotto. Non è dunque da dire- sempre secondo Cullmannche la fede nel Salvatore che ha «già» salvato sia un surrogato della delusa attesa del prossimo avvento del Regno, ma, al contrario, proprio questa fede ha generato l'attesa prossima. L'essenziale nell'annunzio «, 1946, pp. 97 sgg., Cullmann osserva che il problema centrale neotestamentario nato dal ritardo della parusfa non è questo ritardo o rinvio come tali, ma il fatto che ad onta di esso, sperimentato ed esplicitamente formulato dai primi cristiani, la specifica speranza protocristiana ne risulterà scossa: non perse cioè il suo carattere escatologico di un già che si faceva parente di un non-ancora e che sollevava l'ora alla tensione sempre rinnovata di questo già- non an-

cora. In tutto il N. T., a cominciare dallo stesso Gesu, quindi sin dall'inizio, l'attesa prossima non è il prius ma la conseguenza della fede in ciò che è già accaduto e che accade nel presente neotestamentario: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono (e ancora: «se io col dito di Dio esorcizzo i demoni, il regno di Dio è già tra di voi»; «ho visto precipitare giu dal cielo Satana come una folgore»; «Cristo è risorto dai morti, le potenze gli sono sottoposte; egli siede alla destra del Signore, egli domina»).

Osservazioni

al ritardo della parusia la de-escatologizzazione del cristianesimo primitivo, poiché il problema è di individuare una dinamica del Regno, una qualità del modo di esperirlo, per cui già sin dall'inizio era al coperto dai rischi del rinvio, cos( come fu poi al coperto dai rischi della morte violenta del maestro e ne riplasmò l'evento nella cristologia. È senza dubbio una impostazione errata attribuire

m.r

Matt., 25, 5: parabola delle vergini savie e delle stolte xpov~~ov"t'oc; ~~ -.ou WIJ.cptov ma ritardando lo sposo ... Atti, I , 6: xu p~t, E~ t'li "t'l;J xpc'li (il "t'O,J"t'((,l ci:rcoxa.1hO'"t', r 948, p. 66 5 ).

l76.r

Alla tesi di Cullmann Erich Grasser, Das Prohlem der Parusieverzogerung ecc., I96o, 2a ed., pp. I4 sg. oppone che per Gesu il senso della storia della salvezza procede, come per la apocalittica giudaica, dalla profezia della fine: «soltanto per la comunità primitiva dopo la Pasqua il già avvenuto è il telos in quanto senso e meta della storia della salvezza, anzi è da osservare che anche presso Paolo e anche presso testimonianze piu tarde questo modo di intendere la salvezza non si è ancora compiutamente svolto, in quanto presso di loro il \luv risulta determinato in modo affatto decisivo attraverso la ÈÀ:rctc; nel compimento futuro. Solo con Giovanni tale svolgimento perviene in certo modo al suo termine». Sempre a p. r4 del contributo del Grasser, nota I, si rimprovera a Cullmann di aver poco tenuto in conto «la distinzione fra la coscienza del compimento in Gesu e quella che ne ebbe la comunità cristiana primitiva)>. Anche se Cullmann compie la distinzione fra queste due coscienze del compimento, egli afferma tuttavia il diretto legame che le stringe reciprocamente, e non sembra rendersi abbastanza conto che la coscienza del compimento nella Chiesa per la comunità primitiva «è qualificata in modo radicalmente diverso per il fatto che, nel frattempo, hanno avuto luogo la morte e la Risurrezione». La coscienza del compimento per Gesu ha indissolubili legami nel senso del futuro (parusia), per la comunità primitiva altrettanto indissolubili nel senso del passato (Risurrezione).

2.2.

m

Letture critiche

Storia ed escatologia. L'interesse per R. Bultmann nella cultura italiana è un fatto relativamente recente, di cui rendono testimonianza fra l'altro, la traduzione italiana del contributo di R. Marlé (Bultmann e finterpretazione del Nuovo Testamento, Brescia 1958), il saggio di G. Miegge (L'evangelo e il mito nel pensiero di Rudolf Bultmann, Milano 1956), alcune monografie di F. Bianco (in «Archivio di filosofia» del 1956 e del 19.57) e infine il numero di «Archivio di filosofia», dedicato al problema della demitizzazione ( 1967) col titolo, Storia ed escatologia. L'anno scorso Peditore Bompiani ha pubblicato la traduzione italiana delle Gilford Lectures tenute dal Bultmann ad Edimburgo dal7 febbraio al2 marzo 19.52 (History and Eschatology, Edimburgh University Press, 1957), già tradotte in tedesco (Geschichte und Eschatologie, Tiibingen r 9 58). Il problema del rapporto fra divenire storico e momento escatologico, al pari di quello fra messaggio e mito nel Nuovo Testamento, rappresenta - cosi come si configura nel pensiero di Bultmann - una tipica eredità della tematica religiosa cristiana in un'epoca culturale come la nostra in cui il crollo dei «piani della storia» di provenienza[. .. ]

m.r

Il problema del rapporto fra divenire storico e momento escatologico si muove in Bultmann nei limiti circoscritti di un'operazione di identificazione e di salvataggio di un nucleo della fede religiosa cristiana che è compatibile con la civiltà moderna e col suo senso della storicità della condizione umana. Dentro questi limiti il pensiero del Bultmann è da valutare come un episodio della crisi della storia universale come ) Dispiegarsi eventi.

21,34-36 Eucar. Noi speravamo ecc. ma invece ... siamo già al terzo giorno.

II Petr. 3, 4 Da quando i padri sono morti ... 3, 8 Un giorno davanti al Signore= mille anni= un giorno. 3, 9 Il Signore non tarda nel compiere la sua promessa; come qualcu;l no pensa, ma t!!r4~ per paziemare_, in_g10do che tutti giungano al • --.. ; pentimento, 3, IO ' Il giorno del Signore= come un ladro.}

{Johan.

x9o

Ma viene il tempo, anzi è questo Viene l'ora ed è questa Preghiamo il Padre che vi darà un altro consolatore, perché sia con voi per sempre Il Consolatore che vi farà ricordare tutto quello che vi ho detto Vado e torno Ancora un poco e piu non mi vedrete un altro poco e mi vedrete di nuovo. Tempo di parto nel dolore Ecco viene l'ora anzi è già venuta

14,16 I4,24

14,18; 14,28 r6, r6 sgg.

r6,32

Atti. Apparizione agli apostoli e l'annunzio dello Spirito interpretato come il tempo in cui Gesu avrebbe ristabilito il Regno di Israele. (Signore è questo il tempo? r, 6). Rinvio del «tempo» e annunzio della discesa dello Spirito come potenza di testimonianza per Gesu «in Gerusalemme, in tutta la Giudea, nella Samaria e fino ali'estremità della terra» ( r, 8). Ascensione, e fine delle apparizioni di Gesu: Perché state guardando verso il cielo? ( I, II). Discesa dello Spirito: 2, r sgg. Negli ultimi giorni si spandeva il suo Spirito sopra ogni cosa, 2, I7 sgg. Teoda e Giuda il Gali15

348

Capitolo secondo

II dramma dell'apocalisse cristiana

leo «falsi Cristi» prima di Cristo: 5, 36-37 (cfr. II> 27). Giuda falso profeta, che esercitava la magia: I3, 6. Simon Mago. Gli esorcisti giudei: I9, I3. Filippo l'evangelista annunziante l'evangelo del Regno di Dio e di Gesu Cristo: 8, 12.

Paolo. I Tess., 5, I sgg. Il tempo e il momento: il giorno del Signore verrà come il ladro. II Tess., 2, 3· Il giorno del Signore non è imminente: falsi profeti, ecc. Chi non vuoi lavorare non mangi. Il Tess., 3, 6-12, cfr. I Tess., 4, u-12; 13, II: la salvezza è a noi piu vicina di quanto abbiamo creduto. Romani, r 3, I 2. È già notte inoltrata, il giorno si avvicina. I Corinti, VII, 29 sgg. Il tempo è breve, ecc. I Cor., XV, 53· Noi non morremo tutti, non tutti saremo trasformati.

ITess.,V,). IITess., 2, 3.}

191

192

19'

I94

Non piu- non ancora Filipp., III, I2-I4· Lo Spirito come «primizia» (Rom., VIII, 23) e come «pegno» del Regno futuro. I Cor., I, 22; V, 5· (Mc., 13, 24 sgg.) per il prossimo futuro si attende la parus!a dd Figlio dell'Uomo e in risposta a ciò (Mt., 24, 3) la crw"tÉÌI.ELcx 'tou rxtwvoç;. Mc., 13, ro-II: xrxL ei:ç 1utv't'cx "tà. EW'I'J 'ltpw..-ov oe~ X1'Jpvxi}7j\lcxL 't'Ò eurxy~ yÉÌI.t.o\1 e a tutte le genti pagane deve prima essere predicato il Vangelo. Mt., 24, 14-I5: xrxt XTJpux1h]crE"trxt. ..-ou..-o 1:ò EurxyyÉÀ.Lo\1 't'ijç ~c.c:crLÀ.ELrxç; ~v ~À.n 'tU oi.xoviJ.É'IIll ei.:; IJ.Gtp't'upt.o'\1 'ltlXO'I.'II 't'ot,:; iii)waw, xrxh61:E i)~EL 't'Ò ·tÉÌI.oç; e_ questo Vangelo del Regno sarà predicato in tutto il mondo per essere testimonianza a tut ti i pagani, e poi verrà la fine. I due testi sono chiari: «prima» deve essere predicato ai pagani il van~ gelo, dopo sarà la :fine. E la fine è introdotta dall'apparizione dell'Anti-

2.3. Fonti neotestamentarie crist~_. In entrambi

349

i testi la missione come_ pxesagio divino nominato in-

Sleille con ~çjagure della fin~: guerr~, fame, ca~!J.~trqfj_cosmjçh~, p~t!!eçJJ.­ zioni, ecc. e con l 'aumento della cattiveria umana: l'~vve~~~ _9el Regno non dipende dunque dal successo della predicazione, ma dal fatto della predicazione stessa, Cullmann, p. I 4 r. Nello stesso senso accenna Atti, I, 6-7, dove è detto che il tempo compreso fra la Resurrezione e la data sconosciuta della seconda parusfa deve essere dedicato alla evangelizzazione del mondo, compito risultante dalla dynamis, dalla potenza, che gli apostoli hanno ricevuto con lo Spirito. Cullmann, p. 141, cita anche Apocalisse, 6, I-8, interpretando il primo dei quattra..cavalieri dell'apocalisse come «il cavaliere. della missione», assimilabile ad A p., 19, I r. La predicazione missionaria come caratterizzante l'epoca compresa fra Risurrezion-e e la seconda pa~usf_a.

la

I9-'

Apparizioni Gesu. Le donne al sepolcro. L'Angelo. Mt., 26,

2 sgg. A Maria di Magdala Mc., I6, 9· Le donne al ritorno M t., 28, 9-ro. Agli undici in Galilea sul monte che Gesu aveva loro indicato Mt., 28,

r6. Ai due che erano in cammino per andare in campagna Mc., r6, 12- ai discepoli di Emaus. A mensa Marco I6, II. Ai due di Emaus. A Simon Pietro- Luca, 24,33- e poi a tutti i discepoli a mensa. A Tommaso- Giov. Atti! Ascensione} Pentecoste I, 9 sgg.

IITess.,II. ORA

GIÀ:·

NON ANCORA

A!W~1lt.~ q~~ _Regnq, s1,1a garanzia nel p~ssato ~ suo compimento n~l

futuro: questa tensione caratterizza la strnttura del messaggio cristiano: ma secondo una diversa accentuazione dei tre momenti e del loro istante e una diversa qualità del loro contenuto in rapporto alle due epoche della predicazione di Gesu sino alla sua morte, e dalla predicazione apostolica

350

Capitolo secondo

Il dramma dell'apocalisse cristiana

dopo la morte di Gesu. Nella predicazione di Gesu dovette prevalere una esperienza del vuv orientata verso la imminenza del Regno, garantita nel passato del regno messianico della apocalittica giudaica; nella predicazio· ne apostolica dopo la morte di Gesu il viiov si orientò verso l'anticipazione attuale di un eschaton indeterminato e tuttavia certissimo sulla base del già accaduto. Marco

Marco

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Matteo

Matteo

Luca Trad.orale

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Matteo

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Luca

2.4.

Dalla metastoria alla storia (br. I96-2o1). Si raccoglie qui un piccolo complesso di appunti, di diversa provenienza, concernenti il confronto tra le cqnc~zioni metastoriche_dd_djvenire ( etet~Q _rit()rno, u,nilinearità. cristiana J.:ra arché ed e ~chato!J) e una conceZione moderna e laica, che fondi i propri valori sull'origine e destinazione umana dei beni culturali. /

........'

Si dànno tre imm~ni fondamentali del divenire storico~l'etemo rit