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Italian Pages 637 S. [638] Year 1992
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Francesco Adorno LA FILOSOFIA ANTICA I. La formazione del pensiero filosofico dalle origini a Platone VI-IV secolo a.C. LA FILOSOFIA ANTICA II. Filosofia, cultura, scuole, tra Aristotele e Augusto IV-II secolo a.C. LA FILOSOFIA ANTICA III. Pensiero, culture e concezioni religiose II secolo a.C. -II secolo d.C. LA FILOSOFIA ANTICA IV. Cultura, filosofia, politica e religiosità II-VI secolo d.C.
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FRANCESCO ADORNO IAFIWSOFIA ANTICA N. Cultura, filosofia, politica e religiosità ll -VI secolo d.C.
~ Feltrinelli www.scribd.com/Baruhk
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione agosto 1961 Prima edizione nell"'Universale Economica" ottobre 1992 ISBN 88-07 81138-3
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Parte prima
Cultura filosofica, politica e religiosità dal II al V secolo d. C.
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Capitolo primo
Da Diane di Prusa e Plutarco a Platino
l. Dione di Prusa. La politica culturale delflmpero nel Il secolo Difficile è dire se Dione di Prusa 1 in Bitinia, detto dall"' aurea bocca" (crisostomo), nato nel 40 circa, morto poco dopo il 114, sia stato uno stoico, un cinico, un platonico. Egli fu, senza dubbio, un grande retore, il primo e, forse, il maggior rappresentante di quella corrente che Filostrato di Lemno definirà neo-sofistica. Uomo di cultura, aggiornato nelle varie correnti di pensiero del suo tempo, seppe, di volta in volta, sfruttare i motivi piu vari e le piu varie tesi, in funzione di un suo principio, che chiaramente traspare da tutte le sue Orazioni: la cultura come elevazione morale, attraverso cui in un consapevole distacco dalle "verità," -in una misura faticosamente raggiunta, e perciò in una comprensione delle "ragioni" umane, determinare nella vita sociale e nella stessa pratica di governo le norme riconosciute come virtu nella vita privata: quella misura, appunto, che, di volta l Nato a Prosa, in Bitinia, nel 40 d. C., ricco e intelligente, colto in filosofia e in retorica, Dione, detto per la sua eloquenza "crisostomo" (dall'aurea bocca), venne presto a Roma. Esiliato da Roma, su decreto di Domiziano, nell'82, proibitogli anche il sog· giorno in Bitinia, condusse fino al 97, morte di Domiziano, vita oscura e peregrina. Reintegrato nei suoi diritti, Dione dapprima soggiornò nella sua patria, poi tornò in Roma. Fu in rappono e contatto diretto con Traiano e con gli uomini della sua eone, servendo come meglio poté gl'interessi di Prosa, ove piu e piu volte si recò. Nel 110-111, come risulta da una lettera di Plinio il Giovane a Traiano (ad Traian., 81), Dione era a Prosa. Poi ne sappiamo piu niente. Mori, probaoilmente, cittadino romano, con il cognome di Cocceiano, nel 114. Tutta la sua opera è raccolta in un insieme di 80 orazioni (l.6yoL), comprendente discorsi realmente pronunziati, trattati morali, filosofici, politici, in forma di discorsi. Fuori della raccolta rimangono un'opera Sui Geti, una In favore di Omero contro Plalone, e due scritti di critica: Contro i filosofi e A Musonio. Particolarmente interessanti sono le cosiddette orazioni diogeniche (VIII-X), le quattro Sul regno (I-IV), la XXXII (Agli Alessandrim), le due Tarsiche (XXXIII, XXXIV), l'Olimpica (XII), la Boristmica (XXXVI) e l'Euboica {Vll).
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in volta, si concreta come cortesia e generosità, benevolenza e perdono, rispetto per la verità e l'onestà (cfr. Sinclair, cit., p. 420). Discendente da una famiglia di elevata condizione, Dione, quando ancora viveva a Prusa, partecipò alla vita politica del suo paese, usando la sua eloquenza e la sua arte in aiuto dei propri amici (cfr. Oraz., 46, 8) .. A Roma, dove giunse ancora giovane, si legò di amicizia con gli uomini piu in vista della città e, sembra, anche con l'imperatore Tito. Dato il suo modo di intendere la cultura e il conseguente modo di intendere la politica e la vita sociale come misura e intelligente equilibrio, si capisce, in principio, il disprezzo di Dione, in Roma, per i "filosofi" cinici e stoici in particolare, per il loro atteggiamento di opposizione nei confronti del governo, ch'egli doveva vedere come rottura di quell'ideale vita sociale, libera e spregiudicata, ch'egli, nella sua posizione ellenistica, riteneva di potere attuare entro i termini delle antiche poleis greche. In realtà, Dione non poteva sopportare, com'egli stesso dice, i cosiddetti cinici, quei perdigiorno della filosofia, che si trovano ovunque nella Città ("ai crocevia, negli angiporti, all'ingresso dei templi, questi. uomini radunano e traviano schiavi e marinai e altra simile gente, snocciolando scherzi e grande varietà di pettegolezzi e di volgari arguzie. In tal modo essi non fanno alcunché di bene, anzi un gran male": Oraz., 32, 9). Ma quando, su decreto di Domiziano, fu colpito, come tanti altri filosofi, accusati di complotto contro lo Stato, dalla relegatio in perpetuum, e per quindici anni (dall'82 al 96, morte di Domiziano) dovette, in esilio, girovagare, senza potere neppure mettere piede nella natia Bitinia (il p'restigio da lui goduto in Bitinia avrebbe potuto essere pericoloso per Domiziano), travestendosi, assumendo falsi nomi, pur di proseguire nel suo insegnamento e di tentare la pacificazione tra le città in lotta tra di loro, e venne scambiato per quei tali "filosofi" ch'egli aveva disprezzato e nei quali aveva veduto la peste per l'armonia delle città, Dione nella sua lotta contro il tiranno, comprese il significato sia dell'opposizione cinica sia dell'opposizione stoica al governo, rendendosi sempre meglio conto che proprio il sistema di governo tipo quello di Domiziano, da Dione accomunato a quello di Nerone e· di Caligola, spezzava ogni possibilità di vita politica e sociale. È stato detto che Dione si converti: allora alla filosofia. In effetto Dione rimase quel grande avvocato ch'egli era. Approfondile proprie idee circa le condizioni che possono permettere una vita comune, sia tra privati cittadini, sia tra città e città, sia tra città e città e il governo centrale - e in tal senso, entro i termini della nuova situazione politico-sociale, Dione è davvero ravvicinabile ai sofisti antichi, - cercando di determinare il significato 8
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di cosa voglia dire vivere bene (il bene) e cosa vivere male (il male), proponendosi conseguentemente il vecchio problema se l'esilio sia davvero un male o se il male consista nel non saper vivere razionalmente. E cosi egli si trovò sulla linea, sullo axii!J.IX, delle discussioni proprie degli stoici e dei cinici suoi contemporanei (cfr. Oraz., 13). Nella tormentosa strutturazione e costituzionalizzazione dell'Impero, che soffriva, relativamente alla fondazione del suo potere di fronte al Senato e al popolo di Roma, dell'equivoco con cui, con Augusto, era nato, la grave esperienza di Domiziano portò i suoi successori, già con Cocceio Nerva (96-98), piu sensibilmente con Traiano (98-117) e con Adriano (117-136), in maniera ancora piu approfondita con Antonino Pio (138-161) e Marco Aurelio (161-180), a definire - se non il grosso problema dell'ereditarietà o dell'elezione; in questo periodo risoltosi con l'adozione, che fu, in fondo, un compromesso - la funzione del principe e la funzione stessa dello Stato, in un assolutismo in cui l'imperatore non è né un tiranno né un padrone, né un monarca di tipo orientale, ma il supremo magistrato dell'imper9. Di qui, sia pure per ragioni politiche, la sempre piu ampia provincializzazione, lo slargamento della cittadinanza, l'apertura del Senato, che perde sempre di piu il suo potere di classe di una Città-Stato, a uomini di origini diverse - per cui il Senato assume sempre piu la forma di un organo consultivo, - fino alla logica conseguenza della constitutio antoniniana (con Caracalla nel 212). È stato detto che "la provincializzazione - e quel che è stato spesso chiamato 'imbarbarimento' dell'impero - non sono conseguenze di una poco avveduta politica di Adriano e dei suoi successori, ma piuttosto il necessario effetto dell'inclusione in uno stato unitario, sotto il governo dell'Urbs, di genti di varia cultura. Nel vasto organismo dell'impero si è svolto uno scambio di elementi etnici e culturali, nel quale le civiltà superiori hanno assimilato forme diverse di cultura e nello stesso tempo si sono trapiantate in altre sedi, arricchendosi e rinvigorendosi di nuove energie. Il processo iniziatosi nell'età ellenistica prosegue su scala maggiore, favorito dall'unità politica e amministrativa. E diventa quindi sempre meno sostenibile il principio augusteo della preminenza dell'Italia sulle provincie: già Cesare aveva decisamente impostato una politica intesa· ad assimilare i sudditi ai cittadini. Piu conservatore - per principio o per prudenza politica - e meno aperto allo spirito cosmopolitico ellenistico, Augusto ha svolto una politica contraria al livellamento; ma ha pure avvertito che un ampliamento dell'impero avrebbe di necessità compromesso il sistema gerarchico da lui fondato. Non solo le vicende militari, ma già le esigenze della vita economica suggeriscono ai suoi sue-
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cessori una diversa politica, qual era del resto segnata dagli ideali filosofici del tempo e dai sempre piu intensi scambi culturali nell'àrnbito dell'impero" (G. Pugliese-Carratelli, La crisi dell'impero nell'età di Galliena, in "La Parola del Passato," IV, 1947, pp. 52-3). Sotto questo aspetto, già con Traiano, sembra chiaro in che senso gli imperatori del n secolo abbiano ascolato soprattutto le voci dell'opposizione stoica, che potevano dare loro le condizioni che ne giustificassero il potere. "La maggioranza di ·coloro che avevano avversato il governo dei Flavii non erano ostili al principato in sé, ma il loro atteggiamento nei riguardi di esso corrispondeva piuttosto a quello di Tacito. Essi lo accettavano, ma desideravano che fosse il piu pos-sibilmente vicino alla ~atarJ..e:(at stoica e il piu possibilmente diverso dalla tirannide, identificata con la tirannide militare di Caligola e di Nerone in particolare e con quella di Domiziano. Con l'ascensione di Nerva e di Traiano si concluse la pace tra la massa della popolazione dell'impero, e specialmente le classi colte della borghesia cittadina, e il potere imperiale ... Ciò che avvenne fu un nuovo adattamento del potere imperiale alle condizioni reali, non una riduzione di esso" (M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'Impero romano, trad. it., Firenze, 1946, pp. 140-141). Non fu, perciò, un caso che, poco dopo la morte violenta di Domiziano, Dione di Prusa sia stato reintegrato nei suoi diritti civili e che, dopo aver soggiornato qualche tempo nella sua città, ove partecipò attivamente alla vita politica di quella municipalità, sia rientrato in Roma chiamatovi dall'imperatore Traiano, divenendo alla fine cittadino romano e consigliere e propagandista delle idee politiche dell'imperatore, soprattutto nei paesi greco-orientali, dividendosi tra Roma e Prusa (100-110). Dione, attentissimo alla situazione politica del suo tempo, si rese conto che per rendere possibile la c@nvivenza (d'altra parte necessaria) tra le esigenze di libertà e di autonomia delle antiche "p6leis" greche (che Dione sempre difese: cfr. le Orazicmi bitiniche) e la città di Roma, bisognava che da un lato le città greche accettassero il potere di Roma e che, dall'altro lato, Roma fondasse il suo impero, non sul potere personale e tirannico di una città sulle altre, ma su di un potere capace di rendere uno lo Stato, in un'armonia di "nazioni," mediante cui ciascuna si articoli all'altra, a somiglianza dell'ordine cosmico, retto in unità per sua stessa natura da un unico principio, ragion d'essere del tutto (e tale avrebbe dovuto essere, sia pure per analogia, l'imperatore). Di qui il passo a prospettare come possibile Stato, rispondente alla natura, e perciò vero e divino, la "politèia regale" di tipo stoico, eia-
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baratasi tra la fine del 1 secolo a. C. e il 1 d. C., era breve e tale che poteva servire ai nuovi intenti politici e giuridici di. T raiano. Padre e benefattore (1tcx-rljp xcxt e:ùe:pyé't"rjt; ), non padrone ( 8e: