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Italian Pages 175 [178] Year 2012
Giorno dopo giorno siamo sempre più indebitati: diventiamo debitori nei confronti delio Stato, delle assicurazioni private, delle imprese... E per onorare i nostri debiti siamo sempre più costretti a farci «imprenditori» delle nostre vite, del nostro «capitale umano». Il nostro orizzonte materiale ed esistenziale viene così del tutto stravolto e il nostro futuro preso in ostaggio. Il debito, sia privato che pubblico, è la chiave di volta attraverso la quale leggere il progetto di un'economia fondata sul paradigma neoliberista. Passando per Marx, Nietzsche, Deleuze e Foucault, Maurizio Lazzarato dimostra che il debito è anzitutto un dispositivo politico e che la relazione creditore/debitore è il rapporto sociale fondamentale che sta alla base delle società contemporanee. Perché il debito non è solo un meccanismo economico, è soprattutto una tecnologia di governo e di controllo delle soggettività individuali e collettive. Come sfuggire alla condizione neoliberista dell'uomo indebitato? Per Maurizio Lazzarato ciò che dobbiamo rimettere in discussione è proprio «il sistema del debito», oggi alla base della struttura del capitalismo. Maurizio Lazzarato, sociologo e filosofo, vivs e lavora a Parigi dove svolge attività di ricerca sulle trasformazioni del lavoro e le nuove forme dei movimenti sociali. La fabbrica dell'uomo indebitato è già stato tradotto in otto lingue.
FuoriFuoco
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Titolo originale; La fabrique de l'homme Essai sur la condition néolibérale © Editions A m s t e r d a m 2 0 1 1
endetté
©DeriveApprodi2012 per la traduzione italiana Traduzione dal francese di Alessia Cotulelli e Emanuela Turano Campello Revisione della traduzione di Ilaria Bussoni I edizione: marzo 2 0 1 2 DeriveApprodi srl piazza Regina Margtierita, 2 7 0 0 1 9 8 Roma tei 0 6 8 5 3 5 8 9 7 7 fax 0 6 9 7 2 5 1 9 9 2 [email protected] www.deriveapprodi.org Progetto grafico: Andrea Wòhr I m m a g i n e copertina: A n o n y m o u s Art Sudio, Elena Bertani and Simone Romano, Attiens 2 0 0 3 L'editore rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto sull'immagine di copertina ISBN 9 7 8 - 8 8 - 6 5 4 8 - 0 4 2 - 7
Maurizio Lazzarato
La fabbrica deiruomo indebitato Saggio sulla condizione neoliberista
La svolta autoritaria del neoliberismo Prefazione all'edizione italiana
L'indebitamento dello Stato era, al contrario, l'interesse diretto della frazione della borghesia che governava e le^ giferava per m e z z o delle Camere. Il disavanzo dello Sta to era infatti il vero e proprio oggetto della sua specula zione e la fonte principale del suo arricchimento. Ogn anno u n nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni u n nuovo prestito offriva all'aristocrazia finanziaria u n a nuova occasione di t r u f f a r e lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni piìi sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era u n a nuova occasione di svaligiare il pubblico, che investe i suoi capitali in rendita dello Stato. K. MARX, Le lotte di classe in Francia L'uscita dalla crisi si fa fuori dai sentieri tracciati dall'Fmi. Questa istituzione continua a proporre lo stesso tipo di modello di aggiustamento fiscale, che consiste nel diminuire i soldi che si danno alla gente - i salari, le pensioni, i finanziamenti pubblici, m a anche le grandi opere pubbliche che generano lavoro - per destinare il denaro risparmiato al pagamento dei creditori. È assurdo. Dopo quattro anni di crisi non si può andare avanti a togliere denaro sempre agli stessi. È esattamente quello che si vuole imporre alla Grecia! Tagliare tutto per dare tutto alle banche. L'Fmi si è trasformato in un'istituzione con lo scopo di proteggere unicamente gli interessi
finanziari.
Quando si è in una situazione disperata, com'era l'Argentitia nel 2 0 0 1 , bisogna saper cambiare carte. R()BI:RTO LAVAGNA, ministro argentino dell'Economia tra il 2 0 0 2 e il 2 0 0 5
Mftio di vcnt'anni dopo la «definitiva vittoria sul comunismo» e a quindici anni dalla «fine della storia», il capitalismo è entrato in un'impasse storica. Dal 2007 è vivo grazie alle trasfusioni di somme astronomiche di denaro pubblico. Eppure continua a girare a vuoto. Nel migliore dei casi, riesce a riprodursi, ma dando un colpo di grazia, con rabbia, a ciò che resta delle conquiste sociali degli ultimi due secoli. Da quando è scoppiata la «crisi dei debiti sovrani» fornisce uno spettacolo esilarante del proprio funzionamento. Le regole economiche di «razionalità» che i «mercati», le agenzie di rating e gli esperti impongono agli Stati per uscire dalla crisi del debito pubblico sono le stesse che hanno prodotto le crisi del debito privato (d'altra parte all'origine della prima). Le banche, i fondi pensione e gli investitori istituzionali esigono dagli Stati il riordino dei bilanci pubblici, quando ancora detengono miliardi di titoli spazzatura, che sono il risultato di una politica di sostituzione di salari e reddito con un sistema di credito. Le agenzie di rating, dopo aver dato un giudizio di triplice A a titoli che oggi non valgono più niente (con un campione di 2679 titoli su 17.000, relativi a prestiti immobiliari, una banca ha fatto un'analisi dei giudizi di Standard & Poor's: il 99% aveva una triplice A al momento dell'emissione, ma oggi il 90% ha giudizi che scoraggiano l'investimento: non-investment grade), hanno la pretesa, contro qualunque buon senso, di detenere il giusto giudizio e la buo-
na misura economica. Gli esperti (professori di economia, consulenti, banchieri, funzionari di Stato ecc.) la cui cecità sui disastri che la presunta autoregolazione dei mercati e della concorrenza ha prodotto sulla società e sul pianeta è direttamente proporzionale alla loro servitù intellettuale - sono stati catapultati dentro governi «tecnici», che ricordano irresistibilmente i «comitati d'affari della borghesia». Più che di «governi tecnici» si tratta di «tecniche di governo» autoritarie e repressive che segnano una rottura persino con il «liberalismo» classico. Ma al colmo del ridicolo stanno probabilmente i media. L'«informazione» dei telegiornali e i talk-show ci spiegano che «la crisi è colpa vostra, perché andate troppo presto in pensione, perché spendete troppo in cure mediche, perché non lavorate così a lungo e così bene come si dovrebbe, perché non siete abbastanza flessibili, perché consumate troppo. Insomma, avete la colpa di vivere ben al di sopra dei vostri mezzi». La pubblicità, invece, che viene regolarmente a chiudere il becco ai discorsi colpevolizzanti di economisti, esperti, giornalisti e uomini politici, afferma esattamente il contrario: «Siete del tutto innocenti, non avete alcuna responsabilità! Nessun errore e nessuna colpa macchia la vostra anima. Tutti, senza eccezione, meritate i paradisi della nostra merce. È un vostro dovere consumare in modo compulsivo». Gli «ordini» e le ingiunzioni veicolati dalle semiotiche significanti del senso di colpa e dalle semiotiche iconiche e simboliche dell'innocenza si scontrano. C'è aperta contraddizione tra la morale ascetica del lavoro e del debito e la morale edonista del consumo di massa, esse non sono più ricomponibili.
Più che a un'uscita dalla crisi, tutta questa agitazione somiglia a un circolo vizioso nel quale il capitalismo sembra impantanato. La visione delle nostre classi dirigenti non va mai oltre il loro portafogli, c'è da aspettarsi il peggio. La ferocia con la quale i governi tecnici e non perseguono il rimborso del debito e la difesa della proprietà privata (i rappresentanti delle banche e dei fondi creditori del debito greco hanno provato, stando al «New York Times», a portare in giudizio alla Corte europea per i Diritti dell'uomo lo Stato greco, che violerebbe dei diritti fondamentali: «property rights are human rights») non indietreggia di fronte a niente. Persino la recessione e la depressione (Grecia) sono mali minori di fronte all'eventualità di non mantenere la promessa di rimborsare il debito. In una recente intervista, il presidente della Bce propone, con un cinismo alquanto tatcheriano, rimedi che non solo sono all'origine della crisi, ma che non faranno altro che aggraverla: diminuzione dell'imposizione per arricchire i ricchi e riduzione delle spese sociali per impoverire i poveri. I politici sono ridotti a fare i contabili e i «procuratori» (Marx) del capitale. Sarkozy ha proposto che le entrate per pagare «gli interessi del debito greco vengano depositate su un conto bloccato che funzioni da garanzia affinché i debiti dei nostri amici greci vengano saldati». Angela Merkel, «favorevole» all'idea, ritiene che la cosa consentirebbe di essere «sicuri che questi soldi siano disponibili in modo durevole». Se vi è una costante nel capitalismo, è appunto quella di uno stato di guerra al quale il liberalismo sembra condurre in forma quasi «automatica». La guerra inter-capitalistica appare oggi meno intensa di quella che ogni singolo capitale nazionale conduce
contro il proprio nemico interno. I diversi capitalismi, in disaccordo su come dividersi la torta dello sfruttamento mondiale, convergono su come intensificarla all'interno dei singoli Stati. Per uscire dalla crisi, i tempi sono quelli delle «riforme» strutturali: regolazione della finanza? Ridistribuzione della ricchezza.' Riduzione delle disuguaglianze, della precarietà, della disoccupazione? Fine della scandalosa «assistenza» dello Stato sociale e dei regali fiscali ai ricchi e alle imprese? Le uniche «riforme di struttura» immaginate e messe in opera sono due: ristrutturazione del mercato del lavoro accompagnata dalla riduzione dei salari e drastici tagli alle spese sociali, a cominciare, come sempre, dai sussidi di disoccupazione. Il modello di riferimento è tedesco. In una delle sue comparsate televisive, Sarkozy ha citato la Germania nove volte e il governo tecnico di Mario Monti seduce la novella «lady di ferro», dalla quale riceve diretti «consigli». Il modello tedesco
Da dieci anni la Germania porta avanti politiche di flessibilizzazione e di precarizzazione del mercato del lavoro e di rigidi tagli allo Stato sociale. Al parlamento europeo, Daniel Cohn-Bendit ha chiesto ad Angela Merkel: «Com'è possibile che un paese ricco come la Germania abbia il 20% di poveri?»". L'ex sessantottino è un grosso ingenuo o soffre di amnesia? Meglio dire un cinico ipocrita, visto che è stato il governo «rossoI. Le statistiche dicono 14,5% di poveri, dato comunque notevole. È risaputo che i numeri della povertà non diminuiscono con la «crescita», anzi. Cosa che la dice lunga sulla natura di quest'ultima.
verde» di Schròder ad aver introdotto, tra il 2000 e il 2005, la gran parte delle leggi all'origine della situazione attuale: quelle di un «pieno impiego precario» cho luimio trasformato disoccupati e «mattivi» in una massa impressionante di working poors. Servono un mi ti imo di storia e qualche dato per scovare le miserie del modello tedesco che la troika (Europa, Fmi, Bce) sta imponendo a tutti i paesi europei. Tra il 1999 e il 2005 il governo «rosso-verde» ha portato avanti, appoggiandosi allo slogan «Fòrdern und fordern» (promuovere ed esigere), quattro riforme dell'assistenza alla disoccupazione e del mercato del lavoro, l'una più catastrofica dell'altra (legge Harzt). Nel gennaio 2003 la legge Harzt II ha introdotto i contratti «mini-job», una sorta di contratto di lavoro al nero legalizzato (sollevano i datori di lavoro dalle contribuzioni sociali e non garantiscono agli assunti né copertura per la disoccupazione né pensione), e i contratti «midi-job» (salario tra i 400 e gli 800 euro), spingendo tutti a farsi imprenditori della propria miseria. Nel gennaio 2004, la legge Harzt III ristruttura le agenzie per l'impiego nazionali e federali, con l'obiettivo di intensificare il controllo dei comportamenti e della vita e l'accompagnamento individuale dei lavoratori poveri. Una volta pronti i dispositivi di governo dei lavoratori poveri, il governo rosso-verde approva una serie sbalorditiva di leggi per «produrli». La legge Hartz IV, entrata in vigore il primo gennaio 2005, prevede: - Riduzione della durata delle indennità, da tre anni a un anno; irrigidimento delle condizioni di accesso e obbligo di accettare qualunque lavoro proposto. Per avere diritto al sussidio di disoccupazione oc-
corre essere stati assunti per almeno dodici mesi nel corso dei due anni precedenti la perdita dell'impiego. Dopo un anno di sussidio, il disoccupato percepisce l'aiuto sociale (l'equivalente di un reddito di solidarietà) pari a un importo di 359 euro a persona, rivalutato a 374 euro. Una relazione dell'agenzia federale per l'impiego indica che un lavoratore su quattro che perde il proprio impiego riceve direttamente l'aiuto sociale (Arbdtslosengeld IL ALG II) e non l'indennità di disoccupazione (ALG I). La ragione sta nella tipologia di impiego che il lavoratore ha appena perso: precario o mal pagato. - Riduzione delle indennità versate ai disoccupati di lunga durata che rifiutino di accettare lavori sottoqualificati. - 1 disoccupati devono accettare impieghi a un salario di I euro l'ora (addizionale al sussidio disoccupazione che percepiscono). - Possibilità di ridurre gli indennizzi dei disoccupati che hanno dei risparmi e dunque possibilità di accesso ai conti bancari degli «assistiti». Possibilità di valutare lo standard dell'alloggio deir«assistito» e di richiedere, se necessario, un trasferimento. I beneficiari dell'aiuto sociale Hartz IV sono stimati in 6,6 milioni, di cui 1,7 milioni di bambini. I restanti 4,9 milioni di adulti sono in realtà dei workingpoors impiegati per meno di 15 ore settimanali. Nel maggio 2011, le statistiche ufficiali ormai dichiaravano cinque milioni di contratti mini-job, con un aumento del 47,7%, preceduti solo dal boom dell'interinale (+134%). Si tratta di forme di contratto molto diffuse anche tra i pensionati: 660.000 di loro cumulano le II
pensioni a un mmi-job^ Una parte importante della popolazione, il 21,7%, nel 2010 è assunta part-time. L'istituto di statistica tedesco ha misurato l'aumento della precarietà e delle forme che essa assume: tra il 1999 e il 2009, tutte le forme di lavoro atipico sono crosciute almeno del 20%'. Le più colpite sono le fatnigiic rnonoparentali (le donne) e gli anziani. Nella cornice del pieno impiego precario, il tasso di disoccupazione ufficiale esibito come un segno del «miracolo economico tedesco» non significa granché! L'esercito di workingpoors in continua espansione non è formato unicamente da precari, ma anche da lavoratori con un contratto a durata indeterminata. Nell'agosto 2010, una relazione dell'istituto del lavoro dell'università di Duisburg-Essen ha infatti stabilito che oltre 6,55 milioni di persone in Germania ricevono meno di 10 euro lordi all'ora, con un aumento di 2,26 milioni in dieci anni. Per la maggior parte sono vecchi disoccupati che il sistema Hartz è riuscito ad «attivare»: quelli con meno di 25 anni, gli stranieri e le donne (69% del totale). D'altra parte, due milioni di occupati guadagnano meno di 6 euro all'ora nell'oltre-Reno, mentre nell'ex Repubblica democratica tedesca sono in molti a ti2. Se rispetto al totale rappresentano solo il 3%, in termini di flusso sono in costante aumento. Nel 2 0 0 0 erano solo 4 1 6 . 0 0 0 . Ma in dieci anni il loro numero è aumentato del 58%. Nel 2007, il governo tedesco ha portato Tetà pensionabile da 65 a 67 anni, quando l'età reale di pensionamento è di 62,1 anni per gli uomini e di 61 anni per le donne, cosa che comporta una precarizzazione e un abbassamento travestito del livello delle prestazioni. 3. L'ii gennaio 2012, Destatis pubblica il rapporto «Ombre e luci sul mercato del lavoro», nel quale si legge: «Il numero di impieghi cosiddetti atipici - part-time a meno di venti ore settimanali, incluse le attività marginali, gli impieghi temporanei e l'interinale - tra il 1 9 9 1 e il 2 0 1 0 è aumentato di 3,5 milioni, mentre il numero di attivi che dispongono di un impiego regolare è precipitato di circa 3,8 milioni».
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rare avanti con meno di quattro euro all'ora, cioè 720 euro al mese a tempo pieno. Risultato: i workingpoors rappresentano il 20% degli occupati tedeschi. Durante la crisi finanziaria, il governo è ricorso massicciamente alla disoccupazione parziale, che consente all'impresa di versare solo il 60% della normale retribuzione e di pagare solo la metà delle contribuzioni sociali. Altro risultato della svolta iniziata da Schròder; rispetto al Pil, dal 2002 la quota dei salari è scesa del 5% oltre-Reno. I cambiamenti voluti dai «rosso-verdi» sono significativi: dopo anni di proliferazione caotica e selvaggia della precarietà, di sottoimpieghi e sotto-salari, era venuto il momento di introdurre una regolazione e una razionalizzazione della povertà e della precarietà, costituendo un «vero» e «coerente» mercato del lavoro di «pezzenti», che spingerà alla flessibilità e all'adeguamento alla ragione economica anche i meglio occupati. È la popolazione nel suo complesso - precari, working poors, lavoratori qualificati - a diventare fluttuante, disponibile alla flessibilità permanente. Le diverse componenti della «forza lavoro» sociale sono ormai una semplice variabile di aggiustamento della congiuntura economica. Il programma «rosso-verde» si è guadagnato il nome che porta: «Agenda 2010»''; perché dieci anni dopo la prima legge Hertz i risultati sono, fuor di metafora, micidiali. In Germania, l'aspettativa di vita dei 4. La socialdemocrazia, dopo essersi convertita all'economia sociale di mercato (ordoliberalismo) nel Dopoguerra, il primo giugno 2003 si è convertita al neoliberismo, approvando l'Agenda 2 0 1 0 con una maggioranza dei delegati deir8o%. Il 15 giugno 2003 il congresso dei Verdi ha adottato con una maggioranza pari al 9 0 % lo stesso programma, che prevede anche un sistema pensionistico a capitalizzazione, la privatizzazione dei servizi pubblici ecc.
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più poveri - di coloro che arrivano solo al 75% del reddito medio - diminuisce. Per le persone a basso reddito, stando alle cifre ufficiali, è scesa da una media di 77,5 anni nel 2001 a 75,5 nel 2011. Nei Lànder dell'Est di'l paese e ancora peggio: l'aspettativa media di vita è scesa da 77,9 a 74,1 anni. La Germania è il primo paese europeo a seguire gli Stati Uniti sulla strada del progresso liberista. Ancora due decenni di sforzi per «salvare il sistema pensionistico» e la morte coinciderà con l'età della pensione. Anche la guerra interna ha i suoi «bombardamenti chirurgici» mirati. Nell'ex Germania dell'Est l'aspettativa di vita arriva a 66 anni, appena un anno prima del diritto alla pensione. Mors tua, vita mea! Ma poco importa: l'economia è sana, le «agenzie» danno giudizi positivi, i creditori si abbuffano e l'aspettativa di vita della parte più ricca della popolazione continuerà ad aumentare. Serve una breve digressione su Peter Hartz, promotore delle leggi sul regime di disoccupazione e della riforma degli aiuti sociali; perché la sua condanna a due anni di prigione con condizionale e al pagamento di una multa di 576.000 euro è un esempio della «corruzione» consustanziale al modello neoliberista. Peter Hartz, ex responsabile delle risorse umane di Volkswagen e grande moralizzatore degli Anspruchdenker, dei «profittatori del sistema», ha ammesso di aver versato a Klaus Volkert, sindacalista dell'IG Metall ed ex presidente del consiglio di fabbrica del costruttore di automobili tedesco, diverse mazzette, per pagare prostitute e viaggi esotici. Klaus Volkert, inevce, è stato portato in giudizio per incitamento all'abuso di fiducia, esattamente come l'ex direttore del personale, Klaus-Joachim Gebauer, accusato di complicità. 14
Fare della povertà e della precarizzazione una variabile strategica della flessibilità del mercato del lavoro è quanto, dietro il ricatto del debito, sta avvenendo in Italia, Portogallo, Grecia, Spagna, Inghilterra e Irlanda^ La Francia si è impegnata su questo terreno con l'arrivo al potere di Sarkozy, anche se qui i risultati non sono così eclatanti come in Germania. Grazie ancora una volta a un uomo di centro-sinistra, Martin Hirsch, assunto dal presidente di destra in occasione della sua apertura a «sinistra», in Francia verrà sperimentata la trasformazione dell'aiuto sociale (Reddito minimo di inserimento - Rmi - , a 454 euro a persona) in arma di produzione di working poors (Reddito di solidarietà attiva - Rsa). È con le tecnologie di governo dei poveri che si testano dispositivi di potere e di controllo che in un secondo tempo verranno estesi all'insieme della società, cosa che non sembra interessare né la sinistra né i sindacati. Il Reddito di solidarietà attiva comporta il superamento dei dualismi fordisti (disoccupazione/impiego, salario/ reddito, diritto del lavoro/diritto all'assistenza sociale, legge/contratto) e organizza la loro sovrapposizione e il loro concatenamento grazie alla figura del workingpoor. Fissa in maniera stabile lo statuto di un lavoratore/assistito che 5. L'Europa procede a marcia forzata verso il modello americano del libero licenziamento. Il governo spagnolo ha approvato, il i o febbraio 2012, leggi che perseguono la stessa logica; facilitazione dei licenziamenti, riduzione delle indennità di disoccupazione e taglio dei salari. Le indennità di disoccupazione passano da un massimo di 42 a 24 mensilità. I licenziamenti per ragioni finanziarie, con una cassa integrazione limitata a 12 mensilità, vengono facilitati. Per licenziare con ragioni finanziarie, è sufficiente che l'azienda abbia tre semestri consecutivi di ribasso di vendite, anche se continua a fare profitti. Dopo tre trimestri di ribasso di vendite, le imprese possono imporre ribassi di salario unilaterali. Il rifiuto comporta il licenziamento.
permette di accumulare salario di attività e reddito di «solidarietà». Questa confusione tra «salariato» e «assistito», tra lavoro, disoccupazione e assistenza sociale, tra diritto del lavoro e diritto al Welfare, è la condizione della costruzione di un mercato del lavoro secondario, che ha per norma il sotto-impiego e un sotto-salario. Il Reddito di solidarietà attiva segna così l'ufficiale abbandono dell'obiettivo del pieno impiego e l'istituzione di politiche di «piena attività», intesa come un'attività per tutti, indipendentemente dalla durata e dalla qualità dell'impiego®. Anche la riforma del mercato del lavoro che il «governo tecnico» italiano si sta apprestando ad approvare s'ispira direttamente al modello tedesco. Il ministro delle Politiche sociali Fornero, in una lettera alla «Stampa» del 4 marzo lo dice a chiare lettere. La traduzione della realtà tedesca nella Nuova Lingua con la quale si esprime la «governance», è un capolavoro di ipocrisia e di falsità: 6. Con il Reddito di solidarietà attiva si passa da una logica statutaria e istituzionale (uguali diritti per tutti!) a una logica contrattuale e discrezionale (per accedere ai diritti il beneficiario deve firmare un contratto preventivo) che, avendo di mira situazioni specifiche, approfondisce il solco di ogni politica sociale: l'individualizzazione. Il contratto di inserimento è un ibrido tra «legge» e «contratto» che, secondo Alain Supiot, non esprime l'uguaglianza e l'autonomia dei contraenti ma l'affermazione di un'asimmetria di potere: «Il loro oggetto [dei contratti di inserimento] non è scambiare beni determinati, né stringere un'alleanza tra uguali, ma legittimare l'esercizio del potere», visto che il contraente, per poter ottenere il sussidio, è costretto a firmare. Si passa da una logica del diritto deir«avente diritto» a una logica che subordina il sussidio a un investimento soggettivo, la cui prima prova è rappresentata da un «lavoro su di sé», volto a dimostrare di «essere disponibili al sotto-impiego e a un sotto-salario». Il Reddito di solidarietà attiva effettua un rovesciamento della logica dell'aiuto sociale, cioè un rovesciamento del «debito». Chiude una volta per tutte la breccia aperta dal Reddito minimo di inserimento
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L'esempio più recente di una riforma complessiva del mercato del lavoro e degli strumenti di protezione sociale - prescindendo dal percorso recentemente avviato dalla Spagna - è offerto dagli interventi realizzati in Germania all'inizio del decennio scorso quando il Paese era ritenuto il «malato d'Europa», incapace di crescere e di superare l'urto della riunificazione. Le riforme tedesche hanno interessato tutti gli aspetti del mercato del lavoro e del Wdfare: migHoramento degli strumenti di istruzione professionalizzanti e facilitazione del passaggio tra scuola e lavoro; sostegno alla partecipazione al mercato del lavoro e all'occupazione, anche parziale, delle fasce più svantaggiate; rafforzamento del legame tra il godimento di particolari trattamenti e l'effettiva azione di riqualificazione e di ricerca di lavoro; potenziamento dell'attività dei centri per l'impiego; introduzione di maggiore flessibilità, sia con nuove tipologie contrattuali sia negli spazi della contrattazione tra impresa e lavoratore. Dietro il ricatto del debito, lo Stato intende portare a termine quel passaggio, inaugurato negli anni Ottanta, dal Wdfare (diritti e servizi sociali) al Workfare (subordinazione delle politiche sociali alla disponibilità e alla flessibilità del pieno impiego precario). La svolta autoritaria del neoliberismo sta per farla finita col «modello sociale europeo», perché, come a f f e r m a dentro il diritto all'assistenza sociale: un sussidio non vincolato al «lavoro» e privo di «contropartita» diretta. Il Reddito minimo di inserimento affermava, anche se in modo ambiguo, un debito della «nazione» nei confronti dei «cittadini piti svantaggiati». Il Reddito di solidarietà attiva, al contrario, ha come obiettivo quello di indicizzare il sussidio a un sottoimpiego, alla disponibilità all'occupabilità e a un contratto di inserimento. Oltre a istituire un workingpoor, ne forma il senso di colpa, poiché il lavoratore viene implicitamente ritenuto responsabile della propria condizione e dunque in debito con la società e con lo Stato.
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Mario Draghi, non possiamo più permetterci di «pagare la gente che non lavora». A ogni cambiamento di fase economico-politica ritroviamo sempre lo Stato e la sua amministrazione al comando delle operazioni. Proprio come ha favorito e spinto le politiche neoliberiste del credito negli anni Ottanta e Novanta, è allo Stato che spetta l'organizzazione della loro continuità nelle nuove forme autoritarie e repressive del rimborso del debito e della figura dell'uomo indebitato. Cade così un'altra illusione della sinistra, quella che oppone alla logica della proprietà privata del mercato la logica di un «pubblico» statale. Non c'è né autonomia del politico, né neutralità dello Stato. Le sue amministrazioni agiscono in profondità sull'economia, la «società» e le soggettività, come la costruzione del mercato del lavoro dimostra in modo paradigmatico. Crisi della finanza o crisi del capitalismo?
Non si tratta tanto di dimostrare l'onnipotenza del capitalismo quanto di rilevarne la debolezza, a medio e lungo termine. Se le controriforme strutturali andranno drammaticamente a colpire una gran parte della popolazione, non tracciano per questo alcuna strada di uscita dalla crisi. Gli esperti, i mercati, le agenzie di rating e gli uomini politici, non sapendo né dove andare né come, dietro il ricatto dei deficit di bilancio, perseguono le politiche neoliberiste di produzione e di intensificazione delle differenze di classe che sono la vera origine della crisi. La macchina capitalistica si è ingrippata non perché non fosse ben regolata, non perché vi fossero dei8
gli eccessi o perché i finanzieri fossero avidi (un'altra illusione della «sinistra» regolatrice!). Tutto questo è vero ma non coglie la natura della crisi attuale, che non è cominciata con il disastro finanziario. Quesf ultima è piuttosto il risultato del fallimento del programma neoliberista (fare dell'impresa il modello di qualunque relazione sociale) e della resistenza che la figura soggettiva da questi promossa (il capitale umano e l'imprenditore di se stessi) ha incontrato. È questa resistenza, anche se passiva, che ostacolando la realizzazione del programma neoliberista ha trasformato il credito in debito. Se il credito e il denaro esprimono la loro comune natura di «debito», è perché l'accumulazione è bloccata, è incapace di garantire nuovi profitti e di produrre nuove forme di assoggettamento, non il contrario. Tra il 200I e il 2004, negli Stati Uniti, la crescita del 10% del Pil è stata possibile unicamente perché misure di rilancio dell'attività hanno iniettato nell'economia 15,5 punti di Pil: riduzione dell'imposizione di 2,5 punti del Pil, credito immobiliare passato da 450 a 960 miliardi (1300 prima della crisi del 2007), aumento delle spese pubbliche di 500 miliardi. A cavallo del secolo, la Germania era nella stessa situazione. La crescita del Pil tedesco tra il 2000 e il 2006 è stata di 354 miliardi di euro. Ma se paragonata ai numeri del debito nello stesso periodo (342 miliardi) , non è difficile constatare che il risultato reale è una «crescita zero». È stato il Giappone a entrare per primo - dopo l'esplosione della bolla immobiliare negli anni Novanta (e la successiva esplosione del debito per rimettere in sesto il sistema bancario) - in una «crescita zero» che 19
volge ormai alla recessione. Meglio di altri paesi, il Giappone rivela la natura della crisi contemporanea. I.f ragioni dell'impasse del modello neoliberista non vanno cercate unicamente nelle contraddizioni econoniiclie, seppure molto reali, ma anche e soprattutto in ciò che Guattari chiama «crisi della produttività di soggellivilà». Il miracolo giapponese, che è stato capace di forgiari' iitia forza lavoro collettiva e una forza sociale «molto integrata al macchinismo» (Guattari), sembra girare a vuoto, preso anch'esso, come tutti i paesi sviluppati, nelle maglie del debito e dei suoi modi di soggettivazione. Il modello soggettivo «fordista» (impiego a vita, un tempo unicamente dedicato al lavoro, il ruolo della famiglia e la sua divisione patriarcale dei ruoli ecc.) è esaurito, e non si sa con cosa sostituirlo. La crisi del debito non è una follia della speculazione, ma il tentativo di mantenere in vita un capitalismo già malato. Il «miracolo economico» tedesco è una risposta regressiva e autoritaria alle impasse che si erano già manifestate prima del 2007. È per questa ragione che la Germania e l'Europa sono così feroci e inflessibiH con la Grecia. Non solo in nome del «I want my money back» (quello dei creditori), ma anche e soprattutto perché la crisi finanziaria apre una nuova fase politica, nella quale il capitale non può più contare sulla promessa di una futura ricchezza per tutti come negli anni Ottanta. Non può più disporre degli specchietti per le allodole della «libertà» e dell'«indipendenza» del capitale umano, né di quelli della società dell'informazione o del capitalismo cognitivo. Per dirla come Marx, può solo contare sull'estensione e l'approfondimento del «plusvalore assoluto», ovvero un allunga20
mento del tempo di lavoro, un incremento del lavoro non retribuito e dei bassi salari, dei tagli ai servizi, della precarizzazione delle condizioni di vita e di impiego, sulla diminuzione della speranza di vita. L'austerità, i sacrifici, la produzione della figura soggettiva del debitore non rappresentano un brutto momento da superare in vista di una «nuova crescita», ma tecnologie di potere, di cui solo l'autoritarismo, che non ha più niente di «liberale», può garantirne la riproduzione. Il governo del pieno impiego precario e la tagliola del saldo del debito richiedono l'integrazione nel sistema politico democratico - che dagli anni Ottanta Sanziona su altro che la rappresentanza - di interi blocchi del programma delle estreme destre. La resistenza passiva che non ha aderito al programma neoliberista rappresenta la sola speranza di fiiggire alle «tecnologie di governo» dei «governi tecnici» del debito. Di fronte alla fiera degli orrori dei piani di austerità imposti alla Grecia, c'è chi dovrebbe dirsi, in un modo o nell'altro, de tefabula narraturl È di te che si parla. Berlino, 5 marzo 2012
Avvertenza
In Europa, alla stregua di altre parti del mondo, la lotta di classe oggi si dispiega e concentra intorno al debito. Con una crisi del debito che arriva a toccare gli Stati Uniti e il mondo anglo-sassone, ovvero i paesi che hanno prodotto, oltre all'ultimo disastro finanziario, soprattutto il neoliberismo. La relazione creditore-debitore, che sarà al centro della nostra argomentazione, intensifica i meccanismi di sfruttamento e di dominio in forma trasversale, senza fare alcuna distinzione tra occupati e disoccupati, consumatori e produttori, attivi e inattivi, pensionati o beneficiari di sussidi. Di fronte al capitale, che si presenta come il Grande Creditore, il Creditore universale, sono tutti «debitori», colpevoli e responsabili. Una delle principali poste in gioco del neoliberismo resta quella della proprietà - com'è chiaramente dimostrato dalla «crisi» attuale - , poiché la relazione creditore-debitore esprime un rapporto di forza tra proprietari (di capitale) e non proprietari (di capitale). Attraverso il debito pubblico a indebitarsi è l'intera società, cosa che non impedisce, ma esaspera, «le disuguaglianze», che sarebbe venuto il momento di chiamare «differenze di classe». 23
Le illusioni economiche e politiche di questi ultimi quarantanni cadono l'una dopo l'altra, rendendo le politiche neoliberiste ancora piri brutali. La new economy, la società dell'informazione, la società della conoscenza sono tutte solubili nell'economia del debito. Nelle democrazie che hanno trionfato sul comunismo pochissime persone (qualche funzionario dell'Fmi, dell'Europa e della Banca centrale europea, insieme a qualche politico) decidono per tutti secondo gli interessi di una minoranza. La grandissima maggioranza degli europei viene tre volte deprivata dall'economia del debito: deprivata del già debole potere politico concesso dalla democrazia rappresentativa; deprivata di una quota sempre maggiore della ricchezza che le lotte trascorse avevano strappato all'accumulazione capitalistica; ma soprattutto, deprivata del futuro, ovvero del tempo, come decisione, scelta, come possibile. La successione delle crisi finanziarie ha fatto violentemente emergere una figura soggettiva che era già presente, ma che oggi ormai investe l'insieme dello spazio pubblico: la figura deir«uomo indebitato». Le realizzazioni individuali promesse dal neoliberismo («tutti azionisti, tutti proprietari, tutti imprenditori») ci spingono verso la condizione esistenziale di quest'uomo indebitato, responsabile e colpevole del suo stesso destino. Questo saggio vuole proporre una genealogia e un'esplorazione della fabbrica economica e soggettiva dell'uomo indebitato. Dopo la precedente crisi finanziaria, scoppiata insieme alla bolla di internet, il capitalismo ha messo da parte le narrazioni epiche elaborate intorno ai «personaggi concettuali» dell'imprenditore, dei creativi, del lavoratore indipendente «orgoglioso di essere il pa24
drone di se stesso», i quali, nel perseguire unicamente i loro privati interessi, lavorano per il bene di tutti. L'investimento, la mobilitazione soggettiva e il lavoro su di sé, predicati dal management fin dagli anni Ottanta, si sono trasformati in un imperativo ad assumere su di sé i costi e i rischi della catastrofe economica e finanziaria. La popolazione deve farsi carico di tutto ciò che le imprese e lo Stato sociale «esternalizzano» verso la società, dunque anzitutto del debito. Per i padroni, i media, gli uomini politici e gli esperti, le cause della situazione non sono da ricercare nelle politiche monetarie e fiscali che scavano il deficit - operando un massiccio trasferimento di ricchezza verso i più ricchi e le imprese - , né nel susseguirsi delle crisi finanziarie che, dopo essere di fatto scomparse durante i «gloriosi trenf anni», continuano a ripetersi e a estorcere strabilianti somme di denaro alla popolazione, nel tentativo di evitare ciò che viene chiamato «crisi sistemica». Per tutti costoro, colpiti da amnesia, le vere cause di queste crisi incessanti risiederebbero nelle eccessive pretese dei governati (in particolare di quelli dell'Europa del Sud), che vogliono vivere come «cicale», e nella corruzione delle classi dirigenti, che in realtà hanno sempre svolto un ruolo nella divisione internazionale del lavoro e del potere. Il blocco di potere neoliberista non può e non vuole «regolare» gli «eccessi» della finanza, perché il suo programma politico è ancora quello rappresentato dalle scelte e dalle decisioni che ci hanno portato all'ultima crisi finanziaria. Con il ricatto del default del debito sovrano, intende invece portare fino in fondo questo programma, di cui fin dagli anni Settanta fantastica la completa applicazione: ridurre i salari a un li25
vello minimo, tagliare i servizi sociali per mettere il Welfare al servizio dei nuovi «assistiti» (le imprese e i ricchi) e privatizzare qualunque cosa. Per analizzare non solo la finanza, ma anche l'economia del debito, che la ingloba e la supera, nonché la sua politica di assoggettamento, siamo privi di strumenti teorici, di concetti, di enunciati. In questo libro intendiamo tornare all'analisi del rapporto creditore-debitore compiuta dal Deleuze e Guattari con L'anti-Edipo. Pubblicato nel 1972 - e anticipando teoricamente lo spostamento che il Capitale avrebbe successivamente operato - questo testo ci consente, alla luce di una lettura della Genealogia della morale di Nietzsche e della teoria marxiana della moneta, di riattivare due ipotesi. Anzitutto, l'ipotesi secondo la quale il paradigma sociale non è dato dallo scambio (economico e/o simbolico), ma dal credito. Alla base della relazione sociale non c'è l'uguaglianza (dello scambio), ma l'asimmetria del rapporto debito/credito che precede, storicamente e teoricamente, la relazione tra produzione e lavoro salariato. Poi, l'ipotesi che vede nel debito un rapporto economico indissociabile dalla produzione del soggetto debitore e della sua «moralità». L'economia del debito riveste il lavoro, nel senso classico del termine, di un «lavoro sul sé», così da far fiinzionare in modo congiunto economia ed «etica». Il concetto contemporaneo di «economia» ricopre sia la produzione economica che la produzione di soggettività. Le categorie classiche della sequenza rivoluzionaria dei secoli XIX e XX - lavoro, sociale e politica - vengono attraversate dal debito e in larga parte da questo ridefìnite. Occorre dunque avventurarsi in territorio nemico e analizzare l'econo26
mia del debito e della produzione dell'uomo indebitato, nel tentativo di costruire armi utili a combattere le battaglie che si annunciano. Poiché la crisi, lungi dal chiudersi, rischia di estendersi.
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La fabbrica dell'uomo indebitato
Il debito come fondamento del sociale
«Non è una crisi, è una truffa!». I M A N I T E S T A N T I DELLA P U E R T A D E L S O L
«Non è u n piano di salvataggio, è una svendita». SINDACALISTA GRECO
«Con il credito torniamo a una situazione propriamente feudale, cioè a u n ordine in cui una frazione del lavoro è dovuta in anticipo al signore, al lavoro asservito». JEAN BEAUDRILLARD
Il 12 ottobre 2010, l'Unedic, che in Francia raccoglie le contribuzioni per la disoccupazione dei salariati e distribuisce i sussidi per i disoccupati a regime generale, i lavoratori intermittenti, gli interinali, gli stagionali ecc., pubblicava questo comunicato: L'Unedic si felicita della conferma dei giudizi sui propri titoli a lungo e a breve termine da parte delle tre agenzie Pitch (AAA- Fi+), Moodys (AAA- P-i) e Standard & Poor's (AAAA-I+). La revisione dei giudizi è iniziata dopo il consiglio d'amministrazione del 29 giugno 2010 e si è conclusa 18 ottobre scorso. L'eccellenza del rating permetterà all'Unedic
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di portare a termine il proprio programma di finanziamento, garantendo così la continuità del servizio dei sussidi di disoccupazione. Il io settembre 2010, l'ultima previsione di equilibrio tecnico della cassa di disoccupazione in effetti rivelava una previsione di debito globale dell'Unedic vicina ai 13 miliardi di euro entro la fine del dicembre 2011.
Com'è possibile che un'attività e delle operazioni che si svolgono nelle agenzie di quotazione e negli uffici ovattati delle banche e degli investitori istituzionali possano avere un'incidenza sui disoccupati e i precari - siano essi stagionali, intermittenti 0 interinali? L'Unedic presenta periodicamente dei deficit. Innanzitutto perché assistiamo a un calo delle contribuzioni, la cui causa principale è la defìscalizzazione dei contributi a carico del datore di lavoro (ogni anno le finanze pubbliche si fanno carico di 22 miliardi di contributi spettanti ai datori di lavoro in nome della «politica dell'occupazione»); inoltre perché i contributi destinati ai lavoratori precari, intermittenti e interinali non riescono a coprire le esigenze di indennizzo. Con l'esplosione del lavoro «precario» (contratti a tempo determinato, intermittenti, stagionali, interinali') di cui possono le imprese possono beneficiare, il sistema degli indennizzi è «strutturalmente» in deficit. I. Nel 2005 i contratti a tempo determinato rappresentavano 1 1 4 % delle contribuzioni del sistema di protezione contro la disoccupazione, a fronte del 2 2 % delle indennità versate. Sul fronte del lavoro interinale, il rapporto era del 3% contro il 7%. Rispetto agli 1,7 miliardi di euro di contributi versati all'Unedic, il lavoro precario è costato 8,2 miliardi di euro di prestazioni, cioè un mancato introito di 6,5 miliardi. Il sistema d'indennizzo degli intermittenti dello spettacolo, a fronte degli 1,3 miliardi di prestazioni versate nel 2 0 0 9 a circa 1 0 6 . 0 0 0 beneficiari, ha incassato soltanto 223 milioni di euro di contributi. Il deficit ammonta quindi a più di un miliardo di euro.
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Anziché aumentare la contribuzione a carico del datore di lavoro, l'Unedic - come qualunque impresa che si rispetti - ha preso in prestito del denaro emettendo obbligazioni sui mercati finanziari. Nel dicembre 2009 ha preso in prestito 4 miliardi di euro, e altri 2 miliardi nel febbraio 2010. Le istituzioni finanziarie si sono affrettate ad acquistare questi titoli e in poco meno di un'ora era tutto venduto. Un simile entusiasmo da parte degli investitori è facilmente spiegabile. Le agenzie internazionali di rating (le stesse ad aver espresso cattivi giudizi su Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna, facendo subire un'impennata agli interessi sul debito e imponendo politiche di rigore di bilancio; le stesse ad aver indicato i «titoli spazzatura», causa principale della crisi dei subprìme; le stesse ad aver fornito giudizi favorevoli alle imprese condannate per malversazione, come Enron; le stesse a non essersi accorte di niente prima dell'arrivo dell'ultima crisi finanziaria) hanno dato, come afferma il comunicato, dei «buoni rating» e quindi delle «garanzie» agli investitori. Così, per «salvare il sistema» di indennizzazione dal «fallimento» (il ricatto è sempre lo stesso), occorre introdurre in un'istituzione privata, ma «di interesse pubblico» come l'Unedic, la logica finanziaria, con le seguenti conseguenze: I. Il tasso d'interesse applicato a questi 6 miliardi di prestito è di circa il 3%, il che significa che le indennità di disoccupazione diventano una nuova fonte di profitto per le istituzioni finanziarie, i fondi pensione e le banche. Se Mood/s abbassa il rating, come ha fatto recentemente per l'Irlanda, la Grecia 0 il Portogallo, il tasso al quale l'Unedic prende in prestito il denaro aumenta, e la finanza può così effettuare un prelievo 33
ancora più alto sulle indennità dei disoccupati, cosa che si traduce in una disponibilità di reddito inferiore da distribuire in forma di sussidi. 2. I giudizi delle tre agenzie incomberanno sui tavoli di trattativa della convenzione per la copertura della disoccupazione, che decidono della durata e dell'ammontare dei sussidi e che si svolgono ogni tre anni. Per conservare buoni giudizi, sindacati e confmdustria agiranno in funzione delle esigenze delle agenzie di rating e non di quelle dei disoccupati, poiché gli interessi da pagare variano in funzione dei rating. 3. Attraverso il «potere di valutazione», le agenzie di rating fanno il loro ingresso nella gestione del regime di disoccupazione. La gestione paritaria dell'assicurazione contro la disoccupazione, garantita dai sindacati dei lavoratori e dalla confìndustria, si apre agli investitori privati che d'ora in avanti avranno diritto di parola. La «valutazione» delle agenzie diventa un elemento di valutazione generale dello «stato di salute», deir«efficacia» e della «produttività» del sistema di assicurazione contro la disoccupazione. Durante la lotta degli intermittenti e quella dei disoccupati nell'inverno 1997-1998, sia gli uni che gli altri avevano tentato di scuotere il duopolio sindacato/confidustria per aprire la gestione del sistema contro la disoccupazione alle categorie «precarie», rappresentate malissimo dai sindacati, i quali pensavano e agivano come difensori dei diritti dei salariati a tempo pieno. La rivendicazione che voleva più democratica la gestione delle casse di assicurazione non è mai andata in porto. In compenso, i «capitalisti industriali», i capitalisti delle assicurazioni e lo Stato hanno fatto entrare, con discrezione, i capitalisti finanziari. 34
Non conosciamo tutte le condizioni del prestito sottoscritto dall'Unedic. Ci limitiamo a sperare che i tassi (il costo del prestito) siano meno «usurari» di quelli firmati dagli enti locali che, non potendo ricorrere al Tesoro, devono a loro volta ricorrere ai mercati finanziari. Il tasso di indebitamento delle regioni e dei dipartimenti francesi dal 2001 è aumentato del 50%. Un caso tra tanti: il 9 febbraio 2011, il Consiglio generale della Seine-Saint-Denis ha deciso di fare causa a tre banche (Depfa, Calyon, Dexia) con le quali aveva sottoscritto dei cosiddetti prestiti tossici, con l'obiettivo di fare annullare i contratti. Il primo gennaio 2.011, il debito della Seine-Saint-Denis ammontava a 952,7 milioni di euro ed era costituito per il 71,7% da prestiti strutturati, i cosiddetti prestiti tossici. Il dipartimento ha sottoscritto complessivamente 63 prestiti tossici. Questi stessi prodotti finanziari sono stati venduti a numerose comunità locali. Sono legati a indici altamente volatili, che possono causare forti aumenti dei tassi d'interesse pagati dalle collettività. «Il tasso iniziale, per tre anni, era dell'1,47%, a fronte di un tasso attuale del 24,20%, il che rappresenta un sovraccosto di 1,5 milioni di euro l'anno, cioè quasi il costo di un asilo nido», ha dichiarato alla stampa un amministratore. Quello che le contribuzioni per la disoccupazione dei salariati e gli enti locali pagano ai creditori costituisce soltanto una piccolissima parte del salasso che la finanza internazionale esercita ogni anno sul reddito della popolazione di una nazione. In Francia, il pagamento degli interessi del debito di Stato ammontava nel 2007 a oltre 50 miliardi di euro. Quesf onere è al secondo posto del bilancio del35
lo Stato francese, dopo quello dell'Istruzione e prima di quello della Difesa. Ogni anno assorbe la quasi totalità dell'imposta sul reddito". L'aumento del debito dello Stato è uno dei principali risultati delle politiche neoliberiste che, dalla metà degli anni Settanta, perseguono l'obiettivo di trasformare la struttura del finanziamento delle spese dello Stato sociale. Da questo punto di vista, la legge più importante adottata da tutti i governi e inscritta in diversi trattati europei è il divieto di finanziare il debito sociale attraverso la Banca centrale. Gli enti locali, come tutti i servizi sociali del Welfare, non possono più essere finanziati attraverso l'emissione di moneta da parte della Banca centrale, ma devono ricorrere ai «mercati finanziari». Ciò che chiamiamo «indipendenza dalla Banca centrale», tradotto in linguaggio corrente, significa piuttosto dipendenza dai mercati, poiché questa legge stabilisce l'obbligo di ricorrere ai creditori privati e alle condizioni dettate dai proprietari di titoli, di azioni e di obbligazioni. Prima di questa legge, lo Stato poteva finanziarsi presso la Banca centrale senza pagare interessi, rimborsando il debito in funzione delle proprie entrate. È stato calcolato che la somma aggiornata di tutti gh interessi del debito pagati dal 1974 (data in cui è stato introdotto in Francia l'obbligo, per lo Stato, di finanziarsi sui mercati) rappresenta quasi 1200 miliardi di euro, su 1641 miliardi del to-
2. Il rimborso della quota capitale del debito, che fa parte del servizio del debito, rappresenta per lo Stato circa 80 miliardi di euro, cioè la somma di tutte le altre entrate fiscali dirette (imposta sulle società, imposta sui capitali, ecc.). In totale, il servizio del debito dello Stato rappresenta 118 miliardi di euro, che corrisponde al totale delle risorse fiscali dirette, 0 pressoché alla totalità dell'Iva (circa 130 miliardi di euro).
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tale del debito pubblico. Gli interessi del debito rappresentano la misura del furto che i mercati operano sulla popolazione da quaranf anni a questa parte. La «cattura» del valore avviene anche nei confronti delle imprese. Le politiche neoliberiste le hanno trasformate in semplici attività finanziarie, ed esse «versano più ai loro azionisti di quanto non ricevano da loro in fondi»'. Il consumo, che nei paesi industrializzati costituisce la quota maggior del Pil (negli Stati Uniti raggiunge il 70%), è un'altra importantissima fonte di «rendita» per i creditori. Negli Stati Uniti, le spese più importanti di una famiglia (l'acquisto di una casa, l'acquisto e la manutenzione di una macchina e le spese per gli studi) si fanno a credito. Ma il consumo dipende dal debito anche per l'acquisto di beni correnti, per lo più pagati con carta di credito. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, l'indice di indebitamento delle famiglie rispetto al loro reddito disponibile è rispettivamente del 120% e del 140%. La crisi dei subprime ha dimostrato che all'interno delle grandi masse di crediti cartolarizzati (i debiti trasformati in titoli negoziabili in borsa), accanto al settore immobiliare, ai crediti auto e ai prestiti studenteschi, troviamo le carte di credito. Attraverso il consumo, senza saperlo intratteniamo un rapporto quotidiano con l'economia del debito. Portiamo con noi la relazione creditore-debitore, in tasca e nel portafogli, inscritta nel microchip della nostra carta di credito. Quel piccolo «quadrato» di plastica nascon3. E.M. Mouhoud e D. Plihon, Le savoir et lafinance. La Découverte, Paris 2009, p. 124.
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de due operazioni che hanno l'aria insignificante, ma le cui implicazioni sono di grande rilievo: l'apertura automatica di una relazione di credito che instaura un debito permanente. La carta di credito è il modo piìi semplice per trasformare il suo possessore in debitore permanente, neir«uomo indebitato» a vita''. Perché parlare di economia del debito piuttosto che di finanza
Attraverso il semplice meccanismo dell'interesse, vengono trasferite somme colossali dalla popolazione, dalle imprese e dal Welfare ai creditori. È il motivo per cui Gabriel Ardent riteneva, già negli anni Settanta, che il sistema finanziario, allo stesso modo del sistema monetario e di quello creditizio, fosse un «potente meccanismo di sfruttamento». La cosiddetta economia «reale» e l'impresa costituiscono solo alcune delle parti del sistema di valorizzazione, di accumulazione e di sfruttamento capitalistico: «Guardandolo da vicino, il sistema finanziario è forse più oppressivo»'. Il prestito è «uno dei migliori strumenti di sfruttamento che l'uomo abbia saputo inventare per fare in modo che alcuni possano, fabbricando della 4. «Rispetto al credito al consumo il pagamento tramite carta di credito è un vero e proprio salto di qualità. Mentre quesf ultimo si faceva soltanto su esplicita richiesta, il sistema della carta automatizza il credito; l'inversione dell'iniziativa qui è esemplare, con la carta il rapporto di credito è sempre già vigente, per instaurarlo basta solo usare la carta (...). Il sistema di pagamento tramite carta istituisce una struttura di debito permanente. Siamo continuamente debitori nei confronti di qualche entità commerciale o bancaria, e godiamo di un anticipo sul reddito», A. }. Haesler, Sociologie de l'argent etpostmodemité, Droz, Genève 1995, p. 282. 5. G. Ardent, Histoirefinancière de l'antiquité à nosjours, Gallimard, Paris 1976, p. 320.
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carta, appropriarsi del lavoro e della ricchezza altrui»®. Ciò che i media chiamano «speculazione» costituisce una macchina di cattura o di predazione del plusvalore a servizio dell'accumulazione capitalistica attuale, all'interno della quale è impossibile distinguere la rendita dal profitto. Il processo di cambiamento delle fiinzioni di direzione della produzione e di proprietà del capitale, che ha cominciato a svilupparsi all'epoca di Marx, è oggi del tutto compiuto. Il «capitalista realmente attivo» si trasforma, come diceva già Marx, in «un semplice dirigente e amministratore di capitale» e «i proprietari di capitali» in capitalisti finanziari o in redditieri. La finanza, le banche, gli investitori istituzionali non sono semplici speculatori, ma i (rappresentanti dei) «proprietari» del capitale, mentre quelli che un tempo erano i «capitalisti industriali», gli imprenditori che rischiavano i loro capitali propri, sono ridotti a essere semplici «fianzionari» («salariati» o retribuiti con azioni) della valorizzazione finanziaria. È allora necessario togliere alla rendita qualunque connotazione morale, poiché l'eutanasia del redditiere, la sua esclusione dall'economia - diversamente dagli auspici di Keynes, che ne aveva fatto la parola d'ordine della ristrutturazione del capitalismo dopo la crisi del '29 - significherebbe l'eutanasia non della «speculazione», ma semplicemente del capitalismo. Significherebbe l'eutanasia della proprietà privata e del patrimonio, i due pilastri politici dell'economia neoliberista. Del resto, è l'insieme dell'accumulazione capitalistica contemporanea a essere assimilabile a una rendita. Il mercato immobiliare, il continuo au6. !bid., p. 442.
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mento dei prezzi di acquisto degli immobili e del costo degli affìtti, costituisce una rendita (e che rendita, specialmente negli Stati Uniti!), allo stesso modo di quella che si paga alla proprietà intellettuale ogni volta che si acquista un prodotto coperto da diritti d'autore. Ma non per questo dobbiamo fossilizzarci su una semplice posizione di denuncia. Ridurre la finanza alla sua funzione speculativa significa trascurarne il ruolo politico di rappresentante del «capitale sociale» (Marx), che i capitalisti industriali non riescono e non possono assumere, e la funzione di «capitalista collettivo» (Lenin), che si esercita, attraverso tecnologie di governo, sulla società nel suo insieme. Ciò significa, allo stesso tempo, trascurare la sua funzione «produttiva», la sua capacità di generare profitti. Il peso delle società finanziarie, assicurative e immobiliari sul totale dei profitti delle imprese degli Stati Uniti negli anni Ottanta ha quasi raggiunto e negli anni Novanta ha superato quello delle imprese del settore manifatturiero. In Inghilterra, rappresenta il primo settore dell'economia. Peraltro, è impossibile separare la finanza dalla produzione, poiché è parte integrante di tutti i settori di attività. La finanza, l'industria e i servizi lavorano in simbiosi. L'industria automobilistica, per fare un solo esempio, funziona interamente su meccanismi creditizi (acquisti rateali, leasing ecc.), tanf è vero che i problemi di una General Motors riguardano tanto la produzione di automobili quanto, se non soprattutto, la debolezza della Gmac, la sua filiale specializzata nel credito al consumo indispensabile per vendere i suoi prodotti ai consumatori. Siamo cioè in un pe40
riodo storico nel quale la finanza è consustanziale a tutta la produzione stessa di beni e servizi'.
Nel neoliberismo, ciò che chiamiamo in modo riduttivo «finanza» esprime il crescente potere della relazione creditore-debitore. Il neoliberismo ha spinto all'integrazione del sistema monetario, bancario e finanziario attraverso tecniche che rivelano la volontà di fare della relazione creditore-debitore una fondamentale posta in gioco politica, perché essa esprime, senza ambiguità alcuna, un rapporto di forza fondato sulla proprietà. Dentro la crisi, il rapporto tra proprietari (di capitale) e non proprietari (di capitale) moltiplica la propria influenza su tutti gli altri rapporti sociali. Una di queste tecniche è la «cartolarizzazione»®, che dal 1988 in Francia rende possibile (legge del 23 dicembre 1988, votata su proposta del socialista Pierre Bérégovoy) la trasformazione di un titolo di credito (debito) in un titolo negoziabile sui mercati finanziari. Ciò che chiamiamo finanziarizzazione non costituisce tanto una modalità di finanziamento degli investimenti®, quanto piuttosto un enorme dispositivo di ge7. C. Marazzi, Finanza bruciata, Bellinzona, Edizioni Casagrande, p. 44. 8. La cartolarizzazione è uno strumento finanziario che, ricorrendo a società ad hoc, consiste nel trasferire a investitori degli attivi finanziari a titolo di credito (ad esempio fatture emesse e non saldate o prestiti in corso), trasformandoli in titoli finanziari emessi sul mercato di capitali. In linguaggio borsistico, un tìtolo rappresenta un valore, un'azione, un prestito... Possiamo dire, ad esempio, che una banca procede a una «cartolarizzazione» nel caso in cui converta un bene in un titolo negoziabile in borsa. 9. Le imprese non ricorrono al mercato finanziario per finanziare i propri investimenti, ma preferiscono autofinanziarsi. Tutte le grandi imprese quotate in borsa si autofinanziano; utilizzano fondi propri fino al g o % della loro esigenza di finanziamento. Ricorrono al mercato finanziario per accrescere la quota di «rendita», che non è generata all'interno dell'impresa.
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stione di debiti privati e pubblici, quindi di gestione della relazione creditore-debitore grazie alle tecniche di cartolarizzazione. Di conseguenza, piuttosto che di finanza preferiamo parlare di «debito» e di «interesse». Qui, non analizzeremo «la finanza», i suoi meccanismi interni, la logica che presiede alle scelte dei traders ecc., analizzeremo piuttosto la relazione tra creditore e debitore. Cioè, contrariamente a ciò che predicano tutto il santo giorno gli economisti, i giornalisti e gli «esperti», la finanza non è un eccesso di speculazione che bisognerebbe regolare, una semplice funzionalità capitalistica che garantisce l'investimento; non rappresenta nemmeno un'espressione dell'avidità e della cupidigia della «natura umana» che bisognerebbe ragionevolmente controllare, bensì una relazione di potere. Il debito è la finanza dal punto di vista dei debitori che devono rimborsarlo. L'interesse è la finanza dal punto di vista dei creditori, proprietari di titoli che gli garantiscono di godere del debito. Economia del debito sembra essere un'espressione politicamente più appropriata di finanza o di economia finanziaria o persino di capitalismo finanziario, poiché comprendiamo immediatamente di cosa si tratta: del debito che greci, irlandesi, portoghesi, inglesi, islandesi non vogliono pagare e contro il quale scendono in piazza da mesi; del debito che legittima l'aumento dei costi delle tasse universitarie inglesi e che a Londra scatena violenti scontri; del debito che giustifica il taglio di 800 euro a famiglia, sempre in Inghilterra, per riassestare conti pubblici messi sotto sopra dalla crisi finanziaria; del debito che giustifica la controriforma delle pensioni in Francia; del debito che determina i tagli all'educazione in Italia e contro i 42
quali insorgono gli studenti romani; del debito che taglia i servizi sociali, i finanziamenti alla cultura, gli assegni di disoccupazione, i minimali sociali in Francia e, con il nuovo patto di stabilità, in Europa. Una volta stabilito che le crisi attuali non sono la conseguenza di una divaricazione tra finanza e produzione, tra la cosiddetta economia «virtuale» e l'economia «reale», ma che esprimono una relazione di potere tra creditori e debitori, dobbiamo focalizzarci sull'influenza crescente del debito sulle politiche neoliberiste. La fabbrica del debito
Il debito non è quindi un handicap per la crescita; al contrario, costituisce il motore economico e soggettivo dell'economia contemporanea. La fabbrica dei debiti, ovvero la costruzione e lo sviluppo di un rapporto di potere tra creditori e debitori, è stata pensata e programmata come il cuore strategico delle politiche neoliberiste. Se il debito è così centrale per capire, e dunque combattere, il neoliberismo, è perché quesf ultimo è articolato fin dalla nascita intorno alla logica del debito. Una delle svolte del neoliberismo è costituita da ciò che alcuni economisti hanno definito come il «colpo del 1979», che, rendendo possibile la costituzione di enormi deficit pubblici, ha spalancato la porta all'economia del debito e costituito il punto di partenza di un rovesciamento dei rapporti di forza tra creditori e debitori. Nel 1979, per iniziativa di Volker (all'epoca presidente della banca Federai Reserve e consigliere economico del primo staff Obama), i tassi nominali (gli interessi da pagare per rimborsare il de43
bito) sono più che raddoppiati, passando dal 9% al 20%, mentre nel periodo precedente erano stati in media negativi. «Questi tassi elevati hanno creato di sana pianta degli indebitamenti comulativi degli Stati (debito pubblico) o dei paesi (debito estero). Le classi agiate costruiscono così un dispositivo di polarizzazione estrema dalle proporzioni gigantesche tra creditori e debitori»'", che va a tutto vantaggio dei creditori. L'impossibilità di mediare il debito sociale (cioè il debito dello Stato sociale) attraverso dispositivi monetari (ricorso del Tesoro alla Banca centrale) costringe allo sviluppo dei mercati finanziari, sviluppo che è ancora una volta organizzato, sollecitato e imposto, passo dopo passo, dallo Stato - in Francia lo si è fatto, per lo più, sotto i governi socialisti. È dunque attraverso la gestione dei debiti degli Stati, creati da quanto accaduto del 1979, che i mercati finanziari si sono strutturati e organizzati. Gli Stati non si sono limitati a liberalizzare i mercati finanziari, ma hanno accompagnato l'organizzazione e la strutturazione del loro fìjnzionamento. Hanno quindi aperto (diversificando la gamma dei titoli emessi sui mercati primari) e dato importanza (aumentando i volumi delle transazioni sui mercati secondari) ai mercati dei titoli pubblici attrattivi per i risparmiatori. La curva dei tassi d'interesse per questi titoli è diventata il parametro di riferimento per la formazione del prezzo degli attivi, sostituendo i tassi di base bancari". 10. G. Duménil e D. Lóvy, l,a Jinance capitaliste: rapports de production et rapportsde classe, in l.a Finam e capitaliste, PUF, Paris 2 0 0 6 , p. 167. 11. M. Aglietta p A. Orli'-aii, l.a monnaie entre violence et conjìance. Odile Jacob, Paris 2002, p. 244.
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Le politiche monetarie, le politiche di deflazione salariale (blocco dei salari), le politiche dello Stato sociale (riduzione delle spese sociali) e le politiche fiscali (trasferimenti verso le imprese e gli strati più ricchi della popolazione di diversi punti del Pil in tutti i paesi industrializzati) convergono verso la creazione di enormi debiti pubblici e privati. La riduzione del debito, oggi all'ordine del giorno in tutti i paesi, non è in contraddizione con la sua creazione, poiché si tratta della continuazione e dell'ampliamento del programma politico neoliberista. Da una parte si tratta di riprendere, attraverso politiche di austerità, il controllo sul «sociale» e sulle spese sociali del Welfare, cioè sui redditi, sul tempo (della pensione, delle ferie, ecc.) e sui servizi sociali che sono stati strappati dalle lotte all'accumulazione capitalistica. È una posta in gioco chiaramente enunciata dal programma della confidustria francese, «La rifondazione sociale», la cui direzione è passata, alla fine del secolo scorso, dalle mani degli industriali della metallurgia a quelle di assicuratori e finanzieri. Denis Kessler, che ne è l'ideologo, all'epoca del suo lancio nel 1999, affermava che occorre reintrodurre «l'esigenza economica dentro un sociale che, a volte, ha troppa tendenza a giocare con la propria emancipazione o persino a volerla dominare»". Dall'altra parte, si tratta di perseguire e approfondire il processo di privatizzazione dei servizi dello Stato sociale, cioè la loro trasformazione in terreno di accumulazione e di profitto per le imprese private. Queste ultime devono 12. D. Kessler, L'avenirde laprotection sociale, «Commentaire», n. 87, aut o m n e i g g g . p . 625.
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«reinternalizzare» la protezione sociale che avevano esternalizzato durante il Fordismo, «delegandola» allo Stato (gli assicuratori nella fattispecie, testa di ponte della nuova direzione della confìdustria francese, ritengono di esser stati «derubati» nel 1945). I piani di austerità imposti dall'Fmi e dall'Europa alla Grecia e al Portogallo hanno come parametro guida quello di «nuove privatizzazioni». Un sindacalista greco, a proposito delle misure imposte dall'Fmi e dall'Europa, fa notare che si tratta di una «svendita» bella e buona piuttosto che di un piano di «salvataggio». L'economia del debito è dunque vettore di un capitalismo nel quale il risparmio dei lavoratori salariati e della popolazione - i fondi pensionistici, l'assicurazione-malattia, i servizi sociali «gestiti dentro un universo di concorrenza»'' - tornebbe a essere una funzione d'impresa. Nel 1999, Denis Kessler stimava in 2600 miliardi di franchi, ovvero il 150% del bilancio dello Stato, il bottino rappresentato per le imprese dalle spese sociali. La privatizzazione dei meccanismi di assicurazione sociale, l'individualizzazione della politica sociale e la volontà di fare della protezione sociale una funzione d'impresa sono i fondamenti dell'economia del debito. L'ultima crisi finanziaria è stata colta, da parte del blocco di potere dell'economia del debito, come l'occasione per approfondire ed estendere la logica delle politiche neoliberiste.
13. Ibid.,p. 662.
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Il debito, vettore di uno specifico rapporto di potere
Il debito agisce contemporaneamente come una macchina di cattura, di «predazione» o di «prelievo» sulla società nel suo insieme, come uno strumento normativo e di gestione macro-economico, e come un dispositivo di ridistribuzione dei redditi. Funziona anche come dispositivo di produzione e di «governo» delle soggettività collettive e individuali. Per rendere conto delle nuove funzioni della finanza, la teoria economia eterodossa di André Orléan parla di «potere creditore» e di «potenza creditrice», la cui forza «si misura con questa capacità di trasformare il denaro in debito e il debito in proprietà e, facendo questo, con la capacità di influire direttamente sui rapporti sociali che strutturano le nostre società»'^'. Il pensiero di Orléan definisce la relazione creditore-debitore come il pilastro intorno al quale avviene la trasformazione della «governance» (termine della neolingua del potere che significa comando) capitalistica: «Siamo passati dalla regolazione fordista che privilegiava il polo industriale e debitore a una regolazione finanziaria che mette in avanti il polo finanziario e creditore»''. Ma la relazione creditore-debitore non si limita a «influire direttamente sui rapporti sociali», poiché è anch'essa un rapporto di potere, uno dei più importanti e universali del capitalismo contemporaneo. Il credito o debito e la sua relazione di potere creditoredebitore costituiscono un rapporto di potere specifico, che implica modalità specifiche di produzione e di 14. M. Aglietta e A. Orléan, La mannaie entre violence et confiance, dt., p. 182. 15. !bid.,p. 248.
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controllo della soggettività (una forma particolare di homo oeconomicus, «l'uomo indebitato»). La relazione creditore-debitore si sovrappone alle relazioni capitak'-lavoro, Stato sociale-utente, impresa-consumatore e le attraversa trasformando gli utenti, i lavoratori e i lonsunialori in «debitori». Il debito secerne una «morale» propria, insieme diversa e complementare a quella del «lavoro». La coppia «sforzo-ricompensa» dell'ideologia del lavoro viene rivestita dalla morale della promessa (di onorare il proprio debito) e dell'errore (di averlo contratto). Come ricorda Nietzsche, il concetto di «Schuld» (errore, colpa), concetto fondamentale della morale, risale al concetto materiale di «Schulden» (debiti). La «morale» del debito induce una moralizzazione tanto del disoccupato, deir«assistito», dell'utente dello Stato sociale quanto di intere popolazioni. La campagna stampa tedesca contro i parassiti e i nullafacenti greci testimonia la violenza della colpevolizzazione intrinseca all'economia del debito. I media, i politici, gli economisti, quando parlano del debito, hanno un solo messaggio da trasmettere: «siete colpevoli». I greci indorano la pillola al sole mentre i protestanti tedeschi sgobbano per il bene dell'Europa e dell'umanità sotto un cielo uggioso. Il potere del debito si rappresenta come se non si esercitasse né tramite repressione, né tramite ideolo già: il debitore è «libero», ma le sue azioni, i suoi com portamenti devono svolgersi nei limiti definiti dal de bito che ha contratto. Ciò vale sia per l'individuo che per una popolazione o un gruppo sociale. Siete liberi nella misura in cui assumete lo stile di vita (consumo, lavoro, spese sociali, imposte, ecc.) compatibile con il rimborso. L'uso di tecniche per educare gli individui a 4«
vivere col debito inizia prestissimo, ancor prima dell'ingresso nel mercato del lavoro"'. Il potere del creditore sul debitore assomiglia molto all'ultima definizione che dà del potere Foucault: un'azione su un'altra azione, azione che mantiene «libero» colui sul quale si esercita il potere. Il potere del debito vi lascia liberi, e vi incita e spinge ad agire affinché possiate onorare i vostri debiti (anche se, come l'Fmi, ha una tendenza a uccidere i «debitori» con l'imposizione di politiche economiche che favoriscono la «recessione»). Il neoliberismo governa attraverso una molteplicità di rapporti di potere: creditore-debitore, capitalelavoro, Welfare-utente, consumatore-impresa ecc. Ma il debito è un rapporto di potere universale, poiché tutti vi sono inclusi: persino coloro che sono troppo poveri per avere accesso al credito devono pagare degli interessi a dei creditori attraverso il rimborso del debito pubblico; persino i paesi che sono troppo poveri per dotarsi di uno Stato sociale devono rimborsare i loro debiti. i6. Negli Stati Uniti l'8o% degli studenti che portano a termine un master in giurisprudenza accumula un debito di 77.000 dollari, se hanno frequentato una scuola privata, e di 50.000, se si tratta di un'università pubblica. Secondo uno studio dell'Association of American Medicai Colleges, l'indebitamento medio degli studenti che completano una scuola di specializzazione in medicina è di 1 4 0 . 0 0 0 dollari. Una studentessa che ha finito con successo un master in giurisprudenza dichiara a un quotidiano italiano: «Credo che non riuscirò a rimborsare i debiti contratti per pagare i miei studi, ci sono giorni in cui penso che quando morirò, avrò ancora da pagare le rate mensili per l'università. Oggi ho un piano di rimborso scaglionato su 27 anni e mezzo, ma è troppo ambizioso perché il tasso è variabile e riesco soltanto a pagare [...]. Faccio molta attenzione alle mie spese, annoto ogni spesa su u n quaderno, il caffè o il biglietto dell'autobus [...]. Tutto deve essere programmato [...]. Ciò che mi preoccupa di più è che non riesco a risparmiare e il mio debito è sempre lì e mi terrorizza», «la Repubblica», 4 agosto 2008.
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La relazione creditore-debitore riguarda la popolazione attuale nel suo complesso, ma anche quella futura. Gli economisti ci dicono che ogni neonato francese nasce già con 22.000 euro di debito. Non è più il peccato originale che ci è trasmesso alla nascita, ma il debito delle generazioni precedenti. L'«uomo indebitalo» è sottoposto a un rapporto di potere creditore-debitorc che l'accompagna nell'arco di tutta la sua vita, dalla nascita alla morte. Se una volta eravamo indebitati con la comunità, gli dèi, gli antenati, ormai è con il «dio» Capitale. Ci mancano gli strumenti teorici per analizzare tutta la portata del rapporto di potere tra creditore e debitore e le diverse funzioni che il debito ricopre. Il concetto di speculazione corrisponde solo a una parte del funzionamento del debito e impedisce di vederne le funzioni produttive, distributive, di cattura e di modellamento della soggettività. Per questo vogliamo tornare al pensiero di Deleuze e Guattari che sono sempre stati fedeli, rendendola operativa dentro il capitalismo contemporaneo, all'argomentazione della seconda dissertazione della Genealogia della morale: «Nel credito - e non già nello scambio - Nietzsche scorge l'archetipo dell'organizzazione sociale»'^. Occorre sottolineare, una volta per tutte, che da quest'affermazione non dobbiamo dedurre la scomparsa o l'inesistenza dello scambio, ma semplicemente che esso funziona a partire da una logica che non è sempre quella dell'uguaglianza ma dello squilibrio, del differenziale di potenza. 17. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia e altri testi, trad. it. di F. Polidori, Einaudi, Torino 2 0 0 2 , pp. 202-203. questo libro, del 1963, già si parla di debito e delle sue ricadute sulla soggettività.
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Vedere nel debito l'archetipo del rapporto sociale significa due cose. Da un lato, far cominciare l'economia e la società con un'asimmetria di potenza, e non con uno scambio commerciale che implica e presuppone l'uguaglianza, introdurre differenze di potere tra gruppi sociali e dare una nuova definizione di moneta, poiché questa si manifesta immediatamente come comando, come un potere di distruzione/creazione sull'economia e la società. Dall'altro, far cominciare tutto col debito significa rendere l'economia immediatamente soggettiva, poiché il debito è un rapporto economico che, per realizzarsi, implica un modellamento e un controllo della soggettività, così che il «lavoro» sia indissociabile da un «lavoro su di sé». Nel corso di questo saggio verificheremo, grazie al debito, una verità che riguarda tutta la storia del capitalismo: ciò che definiamo come «economia» sarebbe semplicemente impossibile senza la produzione e il controllo della soggettività e delle sue forme di vita. I due autori deli anti-Edipo, dove la teoria del debito è per la prima volta ampliamente sviluppata e utilizzata, resteranno allo stesso modo sempre fedeli anche a Marx, e soprattutto alla sua teoria della moneta. In un'intervista del 1988, nel periodo di pieno sviluppo neoliberista, Deleuze sottolinea l'importanza di ritornare alla concezione marxista della moneta: «È il denaro che regna al di là, è esso che comunica, e quello che attualmente ci manca non è una critica del marxismo, ma una moderna teoria del denaro che sia all'altezza di quella di Marx e la porti avanti»'^ Deleuze e 18. G. Deleuze, Pourparler, trad. di S. Verdicchio, Quodlibet, Macerata 2000, pp. 202-203.
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Guattari interpreteranno la teoria marxiana, da un laIo, ;i partire dalla relazione tra creditore e debitore e, dall'a11 ro, a partire dall'univocità del concetto di produzione: la produzione della soggettività, delle forme di vita, delle modalità di esistenza, non rimanda alla sovraslnilliira, tna la parte dell'infrastuttura «economica». inoltre, nell'economia contemporanea, la produ/.iotie di soggettività si rivela essere la prima e la più importante l'orma di produzione, «merce» che rientra nella produzione di tutte le altre merci. Per ciò che riguarda la moneta, essi affermano che non deriva dallo scambio, dalla semplice circolazione, della merce; non costituisce neppure il segno o la rappresentazione del lavoro, ma esprime un'asimmetria di forze, un potere di prescrivere e imporre modalità di sfruttamento, di dominio, di assoggettamenti futuri. La moneta è, innanzitutto, moneta-debito, creata ex nihilo, che non ha nessun equivalente materiale se non in una potenza di distruzione/creazione dei rapporti sociali e, soprattutto, dei modi di soggettivazione. Questa deviazione teorica ci sembra essenziale per poter comprendere più avanti come la relazione creditore-debitore modelli l'insieme dei rapporti sociali nelle economie neoliberiste. Non si tratta qui di proporre una nuova teoria totalizzante del neoliberismo, ma di porre le basi sulle quali potremo in un secondo tempo poggiarci per rileggere le trasformazioni attuali subite dalle nostre società attraverso l'economia del debito.
La genealogia del debito e del debitore
Debito e soggettività: il contributo di Nietzsche
Il rapporto creditore-debitore come base del rapporto sociale L'economia del debito sembra aver prodotto un cambiamento di grande rilievo all'interno delle nostre società, e cercheremo di interpretarne il significato attraverso la seconda dissertazione della Genealogia della morale. L'economia neoliberista è un'economia soggettiva, vale a dire un'economia che sollecita e produce processi di soggettivazione, dove il modello non è più, come nell'economia classica, l'uomo del libero scambio e il produttore. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta, questo modello era rappresentato dall'imprenditore (di se stesso), secondo una definizione di Michel Foucault che con questo concetto sintetizzava la mobilitazione, l'impegno e l'attivazione della soggettività attraverso tecniche di management di impresa e governo sociale. Dacché si succedono le crisi finanziarie, invece, la figura soggettiva del capitalismo contempo-
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raneo sembra essere incarnata dair«uomo indebitato». Questa figura, già esistente - dato che ha rappresentato il fulcro della strategia neoliberista - ha ormai investito l'insieme dello spazio pubblico. Nelle società neoliberiste il complesso dei ruoli assegnati dalla divisione sociale del lavoro («consumatore», «utente», «lavoratore», «imprenditore di se stesso», «disoccupato», «turista» ecc.) è attraversato dalla figura soggettiva dcir«uomo indebitato», trasformando questi ruoli in consumatore indebitato, in utente indebitato e, infine, come nel caso della Grecia, in cittadino indebitato. Quando non è il debito individuale, è il debito pubblico a pesare, letteralmente, sulla vita di ognuno, perché ognuno deve farsene carico. Per un lungo periodo, ho ritenuto che questa implicazione soggettiva derivasse principalmente dai cambiamenti avvenuti all'interno dell'organizzazione del lavoro. Oggi vorrei sfumare questa affermazione con l'aiuto di un'ipotesi complementare: è il debito e il rapporto creditore-debitore a costituire il paradigma soggettivo del capitalismo contemporaneo, dove il «lavoro» è al tempo stesso un «lavoro su di sé», dove l'attività economica e l'attività etico-politica della produzione del soggetto vanno di pari passo. È il debito a tracciare, addomesticare, fabbricare, modulare e modellare la soggettività. Di quale soggettività si tratta? Attraverso quale macchinazione il debito fabbrica il soggetto? A questo proposito, Nietzsche aveva già detto l'essenziale. Nella seconda dissertazione della Genealogia della morale, in un solo colpo mette fuori gioco l'insieme delle scienze sociali: la costituzione della società e l'educazione dell'uomo («disciplinare con l'educazione la bestia da preda uomo così da farne un animale 54
mansuefatto e civilizzato, un animale domestico»') non risultano né dallo scambio economico (contrariamente alla tesi avanzata da tutta la tradizione dell'economia politica, dai fìsiocratici a Marx, passando per Adam Smith), né dallo scambio simbolico (al contrario dalle tradizioni teoriche antropologiche e psicanalitiche), ma dal rapporto tra creditore e debitore. Nietzsche fa del credito il paradigma della relazione sociale, scartandone ogni spiegazione «all'inglese», ossia basata sullo scambio o l'interesse. Cos'è il credito/il debito nel suo significato più immediato.^ Una promessa di pagamento. Cos'è un titolo finanziario, un'azione o un'obbligazione? La promessa di un valore futuro. «Promessa», «valore» e «futuro» sono anche le parole chiave della seconda dissertazione di Nietzsche. Per Nietzsche, il «più antico e originario rapporto tra persone che esista» è il rapporto tra creditore e debitore.'È in questo rapporto che «per la prima volta si misurò persona a persona»^ Di conseguenza, l'errore della comunità o della società è stato innanzitutto quello di generare un uomo capace di promettere, un uomo in grado di rispondere di se all'interno della relazione creditore-debitore, ossia in grado di onorare il proprio debito. Fabbricare un uomo capace di mantenere una promessa significa costruirgli una memoria, munirlo di un'interiorità, di una coscienza che possa opporsi all'oblio. È all'interno di questa sfera di obbligazioni del debito che cominciano a fabbricarsi la memoria, la soggettività e la coscienza. 1. F. Nietzsche, Genealogia della morale, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano 20II, p. 31. Tutte le citazioni di questo paragrafo sono estratte dalla prima e dalla seconda dissertazione. 2. Ivi, p. 58.
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Deleuze e Guattari, commentando questi passaggi della Genealogia della morale, fanno notare che l'uomo si costituisce tramite la rimozione della memoria biocosmica e tramite la costituzione della memoria delle parole, attraverso le quali formuliamo la promessa'. Ma se la promessa implica una memoria della parola e della volontà, non è sufficiente fare una promessa per essere svincolati dal debito. La seconda dissertazione è una straordinaria demistificazione del funzionamento di ciò che la filosofia analitica chiama il «performativo». Il performativo della promessa, se da un lato realizza l'atto di promettere invece di limitarsi a descriverlo, dall'altro non costituisce di per sé il rimborso del debito. La promessa è senz'altro un «atto di parola», ma l'umanità ha prodotto una molteplicità di metodi, l'uno più «spaventoso e sinistro» dell'altro, per garantire che il performativo non resti una semplice parola, un flatus vocis. Il performativo della promessa implica e presuppone una «mnemotecnica» della crudeltà e una mnemotecnica del dolore che, come la macchina della colonia penale di Kafka, scrivono la promessa di rimborso direttamente sul corpo. «Si incide a fuoco qualcosa affinché resti nella memoria: soltanto quel che non cessa di dolorare resta nella memoria»''. Allo stesso modo, la «fiducia» - parola magica di tutte le crisi finanziarie, ripetuta come un incantesimo da tutti i servitori dell'economia del debito (giornalisti, economisti, uomini politici, esperti) - non è garantita dalla semplice enunciazione; necessita di garanzie corporee e incorporee. 3. G. Deleuze e F. Guattari, L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. di A. Fontana, Einaudi, Torino 2 0 0 2 , pp. 213-214. 4. F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 49.
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Per infondere fiducia nella sua promessa di restituzione, per dare una garanzia della serietà e santità della sua promessa, per imporre, in se stesso, alla propria coscienza la restituzione come dovere e obbligazione, il debitore dà in pegno, in forza del contratto, al creditore, per il caso che non paghi, qualcosa d'altro che ancora «possiede», su cui ha ancora potere, per esempio il proprio corpo o la propria donna o la propria libertà o anche la propria vita (oppure, stando a determinati presupposti religiosi, persino la sua beatitudine, la salvezza della sua anima, e infine, forse, anche la pace nel sepolcro)^ In questo modo, la sfera del diritto delle obbligazioni del debito rappresenta il fulcro del mondo delle «tetre faccende» (Nietzsche), quali sono i concetti morali - «colpa», «colpevolezza», «coscienza» e «cattiva coscienza», «repressione», «dovere», «sacralità del dovere». Educare un animale a promettere presuppone la realizzazione preventiva di un'altra azione: rendere «dapprima l'uomo, sino a un certo grado, necessario, uniforme, uguale tra gli uguali, coerente alla regola e di conseguenza calcolabile»®. «Grazie all'eticità dei costumi» - al «peculiare lavoro dell'uomo su se stesso» - «e alla sociale camicia di forza l'uomo venne reso effettivamente calcolabile»^. Dunque, il debito implica una soggettivazione che Nietzsche chiama un «lavoro su se stesso, automartirio». Questo lavoro è quello della produzione del soggetto individuale, responsabile e debitore di fronte al proprio creditore. Quindi, il debito - quale rapporto 5-Ivi, p. 526. Ivi, pp. 46-47 7. Ivi, p. 47.
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economico - ha la particolarità che, per potersi dispiegare, richiede un lavoro etico-politico di costituzione del soggetto. E il capitalismo contemporaneo sembra aver scoperto da solo le tecniche nietzschiane per la costruzione di un uomo capace di promettere: il lavoro è al tempo stesso un lavoro su se stesso, un automartirio, un'azione su se stessi. Il debito implica un processo di soggettivazione che segna allo stesso tempo il «corpo» e lo «spirito». Osserviamo che, partendo dalla lettura di Nietzsche, Foucault, Deleuze e Guattari, tutti questi autori formulano un concetto non-economista dell'economia (la produzione economica implica la produzione e il controllo della soggettività e delle sue forme di vita, l'economia presuppone una «eticità dei costumi», il desiderio di far parte deir«infrastruttura»). «L'uomo si caratterizzava come» l'«animale apprezzante di sé». Ma l'origine della misura, della valutazione, della comparazione, del calcolo e della contabilità (tutte funzioni relative alla moneta) non è da ricercare dentro lo scambio economico © il lavoro, ma nel debito. In effetti, l'equivalenza e la misura non si forgiano nello scambio, m a nel calcolo delle garanzie di rimborso del debito: Sul corpo del debitore il creditore poteva infliggere ogni sorta d'ignominia e di tortura, tagliarne giù tanto quanto pareva commisurato alla entità del debito - e ben presto e ovunque si dettero, da questo punto di vista, precise valutazioni, in parte orribilmente estese al più piccolo dettaglio, valutazioni, legittimamente stabilite, delle singole membra e parti del corpo^ 8. Ivi, p. 52.
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Anche qui, l'economia sembra divenire nietzschiana: la sua misura non è più solamente oggettiva (l'orario di lavoro), ma anche soggettiva, in quanto fondata su dispositivi di valutazione; da qui il potere economico dell'opinione pubblica all'interno delle nostre società. Il concetto di debito ha, inoltre, conseguenze sui paradigmi sociopolitici di comprensione e di genealogia dei rapporti sociali e delle istituzioni. L'asimmetria di potere che lo costituisce ci libera della «fantasticheria» che attribuiva la nascita dello Stato e della società a un contratto (o, nella versione contemporanea, a una convenzione): «Colui che può comandare che cosa mai ha a che fare con contratti!»®. Ci libera anche da un'interpretazione del processo di costituzione della società come passaggio dallo stato di natura alla società e al politico. I processi di costituzione della società non si realizzano tramite cambiamenti progressivi, tramite consenso, convenzioni o rap|)resentanza, ma tramite «frattura», «salto», «costrizione». È solo in seguito a fratture, salti e costrizioni che si stabiliscono nuovi contratti e nuove convenzioni. Se avessimo bisogno di un'ulteriore conferma di questo stato di cose, basterebbe guardare, anche con occhio pigro, a come si è imposto il neoliberismo. Sicuramente non tramite contratti o convenzioni, ma attraverso effrazione, violenza e usurpazione. L'accumulazione originaria del capitale è sempre contemporanea al suo sviluppo, non ne costituisce una fase storica, ma una contemporaneità sempre rinnovata.
9. Ivi, p. 76.
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Il tempo del debito come possibile, scelta, decisione La società dominata dall'attività bancaria, vale a dire dal credito, condiziona il tempo e l'attesa, condiziona il futuro, come se tutte queste attività fossero massicciamente conteggiate in anticipo rispetto a essa, in anticipo rispetto a essa per l'aspettativa e lo sconto. JEAN-JOSEPH GOUX
La domanda più importante che solleva la seconda dissertazione della Genealogia della morale è quella sul tempo e sulla soggettivazione «etico-politica» che ne consegue, dato che la memoria che si tratta di fabbricare non è una memoria che conserva il passato, ma una memoria del futuro. Tanto per il creditore quanto per il debitore occorre fabbricare una «memoria della volontà», che rende possibile «far delle promesse» verso il futuro'". Cos'è il credito? Una promessa di saldare un debito, una promessa di rimborso in un futuro più o meno lontano, ma sempre imprevedibile, perché sottoposto all'estrema incertezza del tempo. Per Nietzsche, plasmare una memoria dell'uomo significa poter «disporre anticipatamente del futuro», «vedere e anticipare il lontano come presente» o ancora «rispondere di sé come awenire»'\ Concedere un credito obbliga a fare una stima di ciò che è inestimabile - i comportamenti e gli avvenimenti futuri - e costringe ad arrischiarsi nell'incertezza del tempo. Alle tecnologie del debito spetta dunque di neutralizzare il tempo, cioè il rischio a esso collegato. Devono, cioè, anticipare e scongiurare qua-
10. Ivi, p. 46. 11. Ibid.
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lunque imprevedibile «divergenza» dei comportamenti del debitore che l'avvenire può celare. Alla luce dell'economia del debito neoliberista, la seconda dissertazione della Genealogia della morale si tinge così di una nuova attualità: il debito non è solo un dispositivo economico, è anche una tecnologia securitaria di governo volta a ridurre l'incertezza dei comportamenti dei governati. Educando i governati a «promettere» (a onorare il proprio debito), il capitalismo dispone anticipatamente «del (loro) futuro» dato che le obbligazioni del debito permettono di prevedere, calcolare, misurare e stabilire equivalenze tra i comportamenti attuali e quelli futuri. Sono gli effetti di potere del debito sulla soggettività (colpevolezza e responsabilità) a consentire al capitalismo di gettare un ponte tra il presente e il futuro. L'economia del debito è un'economia del tempo e della soggettivazione secondo un'accezione specifica. In effetti, il neoliberismo è un'economia proiettata'verso il futuro, dato che la finanza è una promessa di ricchezza futura e, di conseguenza, non commensurabile alla ricchezza attuale. Inutile gridare allo scandalo, perché non c'è corrispondenza tra «presente» e «futuro» dell'economia! Ciò che conta è la pretesa della finanza a voler ridurre ciò che sarà a ciò che è, ovvero ridurre il futuro e i suoi possibili alle relazioni di potere attuali. In quesf ottica, tutta l'ingegneria finanziaria ha solo una finalità: disporre anticipatamente del futuro, oggettivandolo. Questa oggettivazione è di tutf altra natura rispetto a quella dell'orario di lavoro; oggettivare il tempo, disporne anticipatamente, significa subordinare alla riproduzione dei rapporti di potere capitalistici qualunque possibilità di scelta e di decisione racchiusa dall'av5i
venire. Così il debito si appropria non solo del tempo di lavoro attuale dei salariati e della popolazione nel suo insieme, ma esercita un diritto di prelazione anche sul tempo non cronologico, sul futuro di ognuno e sull'avvenire della società nel suo complesso. La strana sensazione di vivere in una società senza tempo, senza possibilità, senza una rottura immaginabile, trova nel debito la propria principale spiegazione. La relazione tra tempo e debito, cioè tra il prestito di denaro e l'appropriazione del tempo da parte di colui che dà in prestito, è nota da secoh. Se, nel Medioevo, la distinzione tra usura e interesse non era molto chiara - dato che la prima era considerata semplicemente un eccesso della seconda (ah! la saggezza degli antichi!) - , c'era, di contro, un'idea molto precisa su dove portasse il «furto» di colui che dava in prestito denaro e in cosa consistesse la sua colpa: vendeva tempo, qualcosa che non gli apparteneva e di cui l'unico proprietario era Dio. «Cosa vende in effetti l'usuraio, se non il tempo che intercorre tra il momento in cui presta e quello in cui viene rimborsato con l'interesse? Ma il tempo non appartiene che a Dio. Ladro di tempo, l'usuraio è un ladro del patrimonio di Dio»". Per Marx, l'importanza storica del prestito usuraio (una «denominazione arcaica dell'interesse») risiede nel fatto che, contrariamente alla ricchezza consumatrice, esso rappresenta un processo generatore assimilabile a (e precursore di) quello del capitale, cioè del denaro che produce denaro. Un manoscritto del XIII secolo, citato da Jacques le Goff, sintetizza bene sia 12. J. Le Goff, La borsa e la vita, trad. it. di S. Addamiano, Laterza, RomaBari 2003, p. 33.
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quesf ultimo punto che il tipo di tempo di cui il prestatore di denaro si appropria: del tempo della vita e non solo del tempo di lavoro. Gli usurai peccano contro natura volendo fare generare denaro dal denaro come un cavallo da un cavallo o un mulo da un mulo. Oltre a ciò, gli usurai sono dei ladri (latrones) poiché vendono il tempo che non gli appartiene; e vendere un bene altrui contro la volontà del proprietario è un furto. Inoltre, dal momento che non vendono nuli'altro che l'attesa di denaro, cioè il tempo, essi vendono i giorni e le notti. Ma il giorno è il tempo della luce e la notte il tempo del riposo. Perciò essi vendono la luce e il riposo. Non è dunque giusto che abbiano la luce e il riposo eterni"'. Mentre nel Medioevo il tempo apparteneva solo ed esclusivamente a Dio, oggi, in quanto possibile, creazione, scelta e decisione, è il principale oggetto dell'espropriazione/appropriazione capitalistica. Se ci si allontana dal punto di vista economico - nel quale tutto il mondo sembra essere ormai invischiato - cosa rappresentano le enormi quantità di moneta concentrate nelle banche, nelle assicurazioni, nei fondi pensione ecc., e manipolate dalla finanza, se non delle potenzialità, delle immense concentrazioni di possibili? La finanza bada a che le uniche scelte e decisioni possibili siano quelle della tautologia del denaro che produce denaro, della produzione per la produzione. Mentre nelle società industriali rimaneva ancora un tempo «aperto» sotto forma di progresso o di rivoluzione - oggi, il futuro e i suoi possibili, schiacciati dalle somme di denaro 13. Ivi, pp. 34-35.
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esorbitanti messe in moto dalla finanza e destinate a riprodurre i rapporti di potere capitalistici, sembrano essere bloccati; semplicemente perché il debito neutralizza il tempo, il tempo come creazione di nuove possibilità, cioè materia prima di tutti i cambiamenti politici, sociali o estetici. È questa materia prima a esercitare e organizzare il potere di distruzione/creazione, il potere di scelta e quello di decisione. L'economia come processo di soggettivazione La seconda dissertazione di Nietzsche, oltre a porre la relazione creditore-debitore come paradigma sociale, contiene un altro insegnamento fondamentale, che occorre approfondire. Come già detto, la relazione creditore-debitore è inseparabilmente un'economia e un'«etica», poiché presuppone - perché il debitore possa farsi garante di «sé» - un processo etico-politico di costruzione di una soggettività dotata di una memoria, di una coscienza e di una moralità che la spingono contemporaneamente alla responsabilità e al senso di colpa. Produzione economica e produzione di soggettività, lavoro ed etica sono quindi inscindibili. L'economia del debito porta dunque all'acutizzazione di una scoperta dell'economia politica classica, secondo la quale l'essenza della ricchezza è soggettiva In effetti, qui il termine soggettivo non significa sol tanto la messa a disposizione di capacità - fisiche e in tellettuali - e di tempo (il tempo di lavoro) in cambio di un salario, ma anche produzione di soggettività indi viduale. In questo senso, l'economia del debito modi fica al tempo stesso il concetto di «lavoro» e quello di «politica». Credo che i miei amici del capitalismo co64
gnitivo si sbaglino quando considerano la «conoscenza» la fonte della valorizzazione e dello sfruttamento. Non è una novità il fatto che la scienza, l'abilità, le innovazioni tecnologiche e organizzative rappresentino le forze produttive - Marx l'aveva già affermato alla metà del XIX secolo; ma la presunta economia della conoscenza non rappresenta la totalità dei rapporti di classe che la teoria del capitalismo cognitivo le attribuisce. Essa non è altro che un dispositivo, un tipo di attività, un'articolazione dei rapporti di potere che affianca una molteplicità di altre attività e di altri rapporti di potere, sui quali non esercita alcuna egemonia. Al contrario, essa deve sottomettersi agli imperativi dell'economia del debito (tagli selvaggi agli investimenti «cognitivi», alla cultura, alla formazione, ai servizi ecc.). Senz'altro, non è partendo dalla conoscenza che si gioca il destino della lotta di classe, né sul versante del capitale né su quello dei «governati». In effetti, ciò che è richiesto e che attraversa tanto l'economia quanto la società contemporanea non è la conoscenza, ma l'imperativo di diventare «soggetto» economico («capitale umano», «imprenditore di sé») - imperativo che interessa allo stesso modo il disoccupato e l'utente dei servizi pubblici, il consumatore, il più «umile» dei lavoratori, il più povero o il «migrante». Nell'economia del debito, divenire capitale umano o imprenditore di se stessi significa assumersi i costi e i rischi di un'economia flessibile e finanziarizzata; costi e rischi che sono ben lungi dall'essere soltanto quelli dell'innovazione, perché sono anche e soprattutto quelli della precarietà, della povertà, della disoccupazione, dei servizi sanitari ormai insufficienti, della carenza di alloggi ecc. «Fare di se stessi un'impresa» (Foucault) si65
gnifìca farsi carico della povertà, della disoccupazione, della precarietà, del reddito minimo sociale, degli stipendi bassi, dei tagli alle pensioni ecc., quasi fossero «risorse» e «investimenti» dell'individuo, da gestire come un capitale, il «proprio» capitale. È ormai flagrante che i concetti di imprenditore di se stesso e di capitale umano devono essere interpretati partendo dal rapporto creditore-debitore, cioè dal rapporto di potere più generale e deterritorializzato attraverso il quale il blocco di potere neoliberista governa la lotta di classe. Dentro la crisi, il «sovrappiù» che il capitalismo sollecita e cattura - in qualunque ambito - è ìassunzione su se stessi dei costi e dei rischi esternalizzati dallo Stato e dalle imprese, e non la conoscenza. I differenziali di produttività non derivano principalmente dal «sapere» o dall'informazione, ma dalla presa in carico soggettiva di questi costi e di questi rischi, che sia nella produzione della conoscenza, nell'attività dell'utente o in qualunque altro tipo di attività. È questa «soggettivazione», sommata al lavoro nel senso classico del termine, a far crescere la produttività - per parlare come gli economisti del capitale. La figura soggettiva di questa presa in carico è quella del debitore affetto da senso di colpa, cattiva coscienza e responsabilità, che perde, man mano che affonda dentro la crisi, le proprie velleità imprenditoriali e i canti epici che gli albori del neoliberismo avevano inneggiato alla gloria dell'innovazione e della conoscenza. Mentre si preoccupano poco di investire in una più che improbabile «società della conoscenza» - da sempre annunciata e mai realizzata - i capitalisti sono, in compenso, rigidamente inflessibili nell'imporre ai governati di farsi carico di tutti i rischi e di tutti i disastri 66
economici da loro stessi creati. Dentro la crisi del debito sovrano, non c'è in alcun modo in gioco la conoscenza, il capitalismo cognitivo, la creatività o il capitalismo culturale; eppure, è proprio questo il terreno che il capitale ha scelto per portare avanti la propria lotta di classe. Per questo l'economia del debito si caratterizza per una duplice espansione dello sfruttamento della soggettività: estensiva (perché non riguarda solo l'occupazione nel settore industriale e in quello dei servizi, ma ogni attività e condizione) e intensiva (perché riguarda il rapporto a sé, nella forma di un'imprenditoria di sé - all'origine sia del «proprio» capitale che della propria cattiva gestione - il cui paradigma è il «disoccupato»). L'economia del debito invade anche il terreno del politico, utilizzando e sfruttando i processi di costituzione «etico-politica» per trasformare ogni individuo in soggetto economico indebitato. Queste trasformazioni del capitalismo, che toccano la vita e la soggettività, non sembrano sfiorare minimamente le teorie politiche di Rancière e di Badiou. Perché occuparsi di economia del debito, di sfruttamento del «lavoro su di sé» e di appropriazione/espropriazione del tempo (come occasione, scelta, decisione), quando il processo di soggettivazione politica è ritenuto svolgersi sempre allo stesso modo - fosse all'interno delle città greche o nell'Impero romano (la rivolta degli schiavi), nella Rivoluzione francese, nella Comune di Parigi o nella Rivoluzione russa - , ovvero a partire dalla questione universale dell'uguaglianza? Sarebbe una perdita di tempo occuparsi di trasformazioni del capitalismo, visto che non possiamo dedurre la rivoluzione dall'«economia»! Per Rancière e Badiou, la politica è indipendente dair«economia» 67
semplicemente perché l'immagine che hanno di quest'ultima e del capitalismo in generale è quella, caricaturale, veicolata dagli economisti stessi. Contrariamente a ciò che enunciano queste teorie rivoluzionarie, democratiche 0 semplicemente economiche, la forza del capitalismo risiede nella propria capacità di articolare, sotto diversi aspetti, r«economia» (e la comunicazione, il consumo, il Welfare ecc.) alla produzione di soggettività. Dire, come Badiou e Rancière, che la soggettivazione politica non è deducibile dall'economia è completamente diverso dal porsi domande sulla loro articolazione paradossale. Il primo caso traduce l'illusione di una politica «pura», dato che la soggettivazione, articolata al niente, non raggiungerà mai una consistenza necessaria per esistere; il secondo inaugura al contrario dei cantieri di sperimentazione e di costruzione politica, poiché la soggettivazione deve, per resistere e rafforzarsi, operare una rottura, rìattraversando e riconfigurando l'economico, il sociale, il politico, ecc. I due Marx Un Marx molto nietzschiano Un testo di gioventù di Marx, Estratti dal libro di James Mill, «Élemens d'economie politique», permette di completare e approfondire la natura della relazione creditore-debitore'^'. In questo testo, straordinario sotto 14. K. Marx, Estratti dal libro di James Mill, «EUmens d'economie politique», in K. Marx, F. Engels, Opere Complete, a cura di Nicolao Merker, Editori Riuniti, Roma 1976, voi. IH, pp. 229-248 [anche in trad. it. a cura di M. Tronti, Appunti su James Mill, in K. Marx, Scrìtti inediti di economia politica, Editori Riuniti, Roma 1963].
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molti punti di vista, Marx descrive un rapporto di credito molto differente da quello analizzato nel III libro del Capitale. In quest'ultimo, che è in realtà un accostamento di appunti più o meno redatti, il credito è semplicemente una delle tre forme che può assumere il capitale (finanziaria, industriale e commerciale) e la relazione creditore/debitore è vista come una questione tra capitalisti. Al contrario, in Estratti dal libro di James Mill, è il «povero» a essere il debitore, ed è sul povero che il creditore fa vertere un giudizio «morale», per valutarne la solvibilità. Ciò che viene misurato come garanzia di rimborso sono le «virtù sociali», le «capacità sociali», la «carne e il sangue», la «moralità» e r«esistenza» stessa del povero. Queste pagine di gioventù arricchiscono la costruzione del personaggio concettuale dell'«uomo indebitato», che abbiamo iniziato a delineare grazie all'aiuto prezioso di Nietzsche. Per Marx, la relazione creditore-debitore è al tempo stesso diversa e complementare rispetto alla relazione capitale-lavoro. Se prescindiamo dal contenuto della relazione tra creditore e debitore (il denaro), costatiamo che il credito sfrutta e sollecita non tanto il lavoro, ma l'azione etica e il lavoro di costituzione di sé a un livello al tempo stesso individuale e collettivo. Ciò che viene interpellato attraverso il rapporto di credito è la moralità del debitore, il suo modo di vivere (il suo «ethos») e non le sue capacità fìsiche e intellettuali, come nel lavoro (materiale o immateriale poco importa). L'importanza dell'economia del debito risiede nel fatto che essa si appropria e sfrutta non solo il tempo cronologico del lavoro, ma anche Yazione, il tempo non cronologico, il tempo in quanto scelta, decisione, scommessa su ciò che succederà e sulle forze (fiducia, desiderio, coraggio. 69
ecc.) che rendono possibile la scelta, la decisione, l'agire. Lasciamo la parola a qualche pagina di Estratti dal libro di James Mill, datate 1844: Nel credito, la cui espressione più compiuta è la banca, sembra che il potere della potenza materiale ed estranea sia spezzato, che il rapporto dell'autoalienazione sia soppresso e l'uomo sia di nuovo in relazioni umane con l'uomo [p. 232]. Il credito sembra funzionare all'inverso rispetto al mercato e al rapporto capitale-lavoro. Dà l'impressione che le relazioni sociali tra le persone non si presentino più invertite in un rapporto sociale tra cose, come nel funzionamento della relazione capitale/lavoro. Il feticismo della merce («il potere esterno, materiale») non sembra più operare, poiché l'uomo si confronta direttamente con u n altro uomo, dandogli fiducia. Ma questa soppressione della estraneazione, questo ritomo dell'uomo a se stesso e dunque all'altro uomo non è se non parvenza; e tanto più essa è una autoestraneazione, una disumanizzazione assai più infame ed estrema, in quanto il loro elemento non è più la merce, il metallo, la carta, ma l'esistenza morale, l'esistenza sociale, la stessa interiorità del cuore umano; in quanto, sotto le spoglie deWaJiducia dell'uomo verso l'uomo, essa è la massima sfiducia e l'estraneazione perfetta [p. 232-233]. Il credito realizza e manifesta, ancor più del lavoro, l'essenza soggettiva della produzione, perché ciò che è in gioco - secondo un'altra traduzione dello stesso passaggio - è «l'esistenza morale, l'esistenza comunitaria, l'intimo del cuore umano». Per agire - cioè per iniziare 70
qualcosa la cui realizzazione è sottoposta alla variabile del tempo - e per arrischiarsi nell'ignoto, l'imprevedibile e l'incerto, occorrono altre forze rispetto a quelle investite nel lavoro: la fiducia negli altri, in se stessi e nel mondo. La relazione creditore-debitore non rappresenta nienf altro che r«illusione» della fine della subordinazione dell'uomo alla produzione «del valore» economico e la sua elevazione alla «produzione di valori» fondati sulla comunità e sui sentimenti più nobili del cuore umano (la fiducia, il desiderio, la riconoscenza dell'altro ecc.) - e non più sul lavoro salariato, il mercato e la merce. Con il credito, ci dice Marx, l'alienazione è completa, poiché ciò che è sfruttato è il lavoro etico di costituzione di sé e della comunità. La fiducia, condizione dell'agire, si trasforma in diffidenza di tutti nei confronti di tutti e si materializza in seguito in richiesta di «sicurezza». La circolazione di debiti privati è una circolazione di interessi egoistici e individuali. Presuppone, dietro l'apparenza di riconoscenza dell'altro, una diffidenza preliminare, poiché l'altro è u n rivale, un concorrente e/o u n debitore. Che cosa costituisce l'essenza del credito} Prescindiamo qui del tutto dal contenuto del credito, che è di nuovo il denaro. Dunque prescindiamo dal contenuto di questa fiducia, per cui un uomo riconosce l'altro anticipandogli dei valori e - nel migliore dei casi, quando cioè non si fa pagare il credito, ossia quando non è un usuraio - accorda al suo simile la fiducia che consiste nel non considerarlo un farabutto ma un «braVuomo». Per «braVuomo» chi dà fiducia intende qui, come Shylock, un uomo «in grado di pagare» [p. 233]. La fiducia a cui ricorre il credito non ha nulla a che 71
vedere con la fiducia in nuove possibilità di vita e quindi in una forza generosa nei confironti di se stessi, degli altri e del mondo. Al contrario, si limita a essere una fiducia nella solvibilità e fa, di quesf ultima, il contenuto e la misura della relazione etica. I concetti «morali» di buono e cattivo, di fiducia e diffidenza, sono tradotti in solvibilità e insolvibilità. Le categorie «morali», attraverso le quali «misuriamo» l'uomo e la sua azione, sono una misura della ragione economica (del debito). Dunque, nel capitalismo la solvibilità è la misura della «moralità» dell'uomo. E anche nel caso in cui «un ricco concede un credito a un povero» - cosa che, alla sua epoca, costituiva un'eccezione e non la regola - Marx osserva: Ma anche ammettendo questa eccezione, concedendo questa possibilità romantica, la vita del povero, il suo talento e la sua attività, continueranno a valere per il ricco come una garanzia della restituzione del denaro prestato; cioè, dunque, tutte le virtù sociali del povero, il contenuto della sua attività vitale, la sua stessa esistenza, rappresentano per il ricco il rimborso del suo capitale con gli interessi abituali. La morte del povero è quindi il peggiore dei casi per il creditore. Essa è la morte del suo capitale con tutti gli interessi [p. 233]. Il credito implica una «valutazione morale» del debitore da parte del creditore, cioè una misura «soggettiva» del valore. Il punto è che ciò che viene valutato non sono soltanto le competenze e le abilità del lavoratore, m a anche l'azione del povero nella società (le «virtù», le «attività», la «reputazione» sociali), cioè il suo stile di vita, il suo comportamento sociale, i suoi valori, la sua stessa esistenza. È tramite il debito che il 72
capitale può appropriarsi delle forze sociali ed esistenziali del povero, e non solo delle sue capacità fìsiche e intellettuali esercitate dentro il lavoro. Si pensi a tutta l'infamia che c'è nello stimare un uomo in denaro, come accade nel rapporto di credito. [...] Il credito è il giudizio economico sulla moralità di un uomo. Nel credito, al posto del metallo o della carta, l'uomo stesso è diventato l'intermediario dello scambio, non però in quanto uomo, ma in quanto esistenza di un capitale e dei suoi interessi. Il medio dello scambio è dunque certamente tornato e trasferito, dalla sua figura materiale, nell'uomo, ma solo perché l'uomo stesso, estraniato a sé, è diventato egli stesso una figura materiale [pp. 233-234]. Dunque, il credito sfrutta non solo i rapporti sociali in generale, ma anche la singolarità dell'esistenza. Sfrutta il processo di soggettivazione, toccando l'individuazione stessa dell'esistenza. In sintesi, il giudizio «morale» ricade sulla «vita». Ma la «vita» di cui parliamo non è quella biologica (la salute, la nascita e la morte) - come nel concetto di biopolitica - e ancor meno la vita cognitiva, ma la vita «esistenziale». Qui, l'esistenza significa potere di autoaffermazione, forza di autoposizionamento, scelte che fondano e recano modelli e stili di vita. Qui, il contenuto del denaro non è il lavoro, ma l'esistenza, l'individualità e la morale umana; la materia del denaro non è il tempo del lavoro, m a il tempo dell'esistenza: Non è già il denaro ad esser superato nell'uomo, nel rapporto di credito, ma è l'uomo stesso che viene mutato in denaro, ovvero è il denaro che si è incorporato in lui. Lindividualità 73
umana, la morale umana è diventata essa stessa sia un articolo di commercio, sia un materiale in cui esiste il denaro. Non più moneta e carta, ma la mia propria esistenza personale, la mia carne ed il mio sangue, la mia virtù ed il mio valore sociali sono la materia, il corpo dello spirito del denaro. Il credito strappa il valore del denaro non più dal denaro stesso, ma dalla carne umana e dal cuore umano [pp. 233-234]. Il testo di Marx riprende quello di Nietzsche in più punti. Il rapporto di credito mobilita e sfrutta la «moralità dei costumi», la costituzione etico-politica di se stessi e della comunità. La sua azione si iscrive sul corpo impegnato nella produzione della «virtù sociale». Ma, a differenza di Nietzsche, il discorso non riguarda più le società «arcaiche», ma l'economia capitalistica a cui l'uomo, addomesticato, è incatenato. Il debito «oggettivo» nel Capitale di Marx Seconda lettura di Marx. È utile ritornare rapidamente alla teoria che Marx ha esposto nel III libro del Capitale. Se ci permettiamo questa digressione, è allo scopo di comprendere le evoluzioni del ruolo del credito nell'opera di Marx. Se nel primo testo analizzato, Marx ha trattato di ciò che potremmo chiamare il debito soggettivo o esistenziale, qui a essere trattato è il debito oggettivo. Marx non riprende la ricca analisi degli effetti soggettivi del debito sviluppata nell'arco della sua giovinezza. Concentrandosi unicamente sulle funzioni «sistemiche», permette tuttavia di fare piazza pulita di parecchi luoghi comuni incessantemente ripetuti dai commentatori della crisi finanziaria. In primo luogo, il carattere speculativo, parassitario. 74
usuraio del capitale finanziario è indissociabile dal suo molo funzionale: «Una banca rappresenta da un lato la concentrazione del capitale monetario, cioè di coloro che danno a prestito, d'altro lato la concentrazione di quelli che prendono a prestito»''. In secondo luogo, nonostante esso assuma diverse forme (commerciale, industriale, monetario, finanziario), esiste un solo capitale e un solo processo di valorizzazione. Già all'epoca di Marx era assurdo separare uri«economia reale» da una presunta «economia finanziaria». È la formula del capitale finanziario, ovvero il denaro che si autovalorizza (AA') a rappresentare pienamente la logica del capitale. Per gli occidentali, in maggioranza cristiani, non dovrebbe essere difficile seguire il ragionamento di Marx secondo cui il valore si presenta come «una sostanza motrice di se stessa», per la quale il capitale industriale, commerciale e finanziario sono anch'esse forme a servizio del suo «automovimento». Come in teologia la Santa Trinità si distingue nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, il capitale si distìngue in tre forme differenti (industriale, commerciale e finanziario). Ma Marx va ben oltre. Benché definisca i capitalisti finanziari con ogni sorta di epiteto («banditi onorevoli!», «usurai» - e nonostante non esistano per lui capitalisti buoni, gli industriali, e capitalisti cattivi, i finanzieri e i banchieri), Marx ha la lucidità che manca a quasi tutti i commentatori, in particolare a quelli di sinistra. Già alla sua epoca, Marx definisce la posizione specifica occupata dal capitale finanziario rispetto al capitale industriale: da una parte esso rap15. K. Marx, Il capitale. Libro III, a cura di Maria Luisa Boggeri, Editori Riuniti, Roma 1 9 8 9 , p. 477.
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presenta il «comune» della classe capitalistica e, dall'altra, il denaro concentrato nelle banche è denaro in «potenza», diversamente dal capitale industriale che è sempre attualizzato. Non rappresenta una ricchezza attuale m a una ricchezza futura, ovvero la possibilità di scelta e di decisione sulla produzione e sui rapporti di potere a venire. Nella sua forma finanziaria, il capitale accumulato nelle banche si presenta come «capitale in generale», semplice astrazione, m a si tratta di un'astrazione potente, poiché si manifesta come «valore autonomo», «indipendente» dalla sua attualizzazione in settori specifici; esiste come potenza «indifferenziata» capace di qualunque realizzazione. Si manifesta, dunque, in quanto potere di prescrizione e di anticipazione del valore futuro, in quanto potere di distruzione e di creazione. Sul mercato monetario si trovano di fronte unicamente chi dà a prestito e chi prende a prestito. La merce non ha che una forma, il denaro. Tutte le forme particolari che il capitale assume, secondo il suo investimento in particolari sfere di produzione o di circolazione, sono qui cancellate. Esso esiste qui nella forma omogenea, uguale a se stessa, del valore autonomo del denaro. La concorrenza fra le sfere particolari qui cessa; esse sono tutte riunite nella figura di chi prende a prestito, ed anche il capitale si trova di fronte a tutti nella forma nella quale esso è ancora indifferente rispetto alla determinata natura e maniera del suo impiego'^ Così, è soltanto nella sfera finanziaria, a causa della sua indifferenziazione, che il capitale si mostra coi6. Ivi, p. 436.
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me «capitale comune» della classe di capitalisti: «Il capitale industriale che compare come capitale sostanzialmente comune di tutta la classe solo nel movimento e nella concorrenza fra le diverse sfere, si manifesta qui realmente, con tutto il suo peso, come tale, nella domanda e nell'offerta di capitale»''. Il dispositivo capitalistico non si soggettivizza nel capitalista industriale (quesf ultimo ha solo una funzione di gestione e di direzione della produzione), m a nel capitalista finanziario (la cui possibilità, di decidere e di scegliere in quanto proprietario, è deterritorializzata). Diversamente delle molte forme del capitale industriale, è al capitale finanziario che spetta la rappresentazione degli interessi del «capitale sociale». Si aggiunge a ciò che, con lo sviluppo della grande industria, il capitale monetario, in quanto esso appare sul mercato, è rappresentato in grado sempre maggiore, non dal singolo capitalista, dal proprietario di questa o quella frazione del capitale che si trova sul mercato , ma si presenta come una massa concentrata, organizzata, che, del tutto diversamente dalla produzione reale, è posta sotto il controllo del banchiere che rappresenta il capitale sociale'^ È la sua forma generale, la sua indifferenza a qualunque specificità industriale, quale essa si manifesta nel credito, a consentire al capitale di sfruttare il sociale. Il credito permette al singolo capitalista o a colui che è tenuto in conto di capitalista, di disporre completamente, entro certi limiti, del capitale e della proprietà altrui, e per conse17. Ibid. 18. Ivi, pp. 436-437.
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guenza del lavoro altrui. La possibilità di disporre del capitale sociale che non gli appartiene gli permette di disporre del lavoro sociale''. Per Lenin, che in un'epoca per molti aspetti somigliante a quella attuale riprende e sviluppa il punto di vista di Marx, le banche e i banchieri svolgono un ruolo politico di primaria importanza, poiché forniscono «coerenza» e strategia ai capitalisti industriali, i cui interessi sono troppo eterogenei per poter rappresentare la classe dei capitalisti: «queste semplici cifre sono sufficienti [...] a mostrare come dalla concentrazione del capitale e dall'aumentato giro d'affari sia stata modificata radicalmente l'importanza delle banche. In luogo dei capitalisti separati sorge un unico capitalista collettivo»^". La «coerenza» e la strategia sono quelle della logica A-A' che, pretendendo di produrre denaro attraverso il denaro, rivela allo stesso tempo la propria «irrazionalità». Irrazionalità che si manifesta in tutti i periodi «liberali» e conduce, in modo pressoché automatico, alle crisi più violente, che ogni volta aprono le porte a politiche autoritarie (come è successo con la Prima guerra mondiale e con il Fascismo). Benché il capitale finanziario abbia subito profondi cambiamenti, questi scritti di Marx sono ancora attuali. L'agire e la fiducia nella logica del debito Nell'economia del debito, non è più possibile di19. Ivi, p. 521. 20. V. Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalism.o, in Id., Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1955-1970, voi. 32, p. 216.
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stinguere il lavoro dall'agire, come faceva ancora Hannah Arendt. Con il credito, l'azione diventa un elemento della dinamica economica, e perfino il suo motore! Il capitalismo contemporaneo, attraverso la soggettivazione implicita nel debito, integra l'azione e le forze che rendono questo possibile. Non a caso il debito sfrutta l'azione etica della costituzione sia della comunità che dell'individuo, mobilitando le forze che sono all'origine deir«esistenza morale, l'esistenza comunitaria». Tra tutte queste forze, dedicheremo particolare attenzione alla «fiducia», parola magica della crisi in corso, che rappresenta un sintomo dello spostamento delle frontiere dello sfruttamento capitalistico, al di là dell'uso inflazionato che ne fanno gli economisti, i giornalisti e gli esperti. Per ricostruire il concetto di azione e di fiducia, è necessario fare una piccola digressione filosofica che il lettore potrà anche saltare. L'interesse di questa digressione risiede nel fatto che ci permette di capire come e perché il capitahsmo faccia presa sull'azione, ovvero sul tempo non cronologico e dunque sulla capacità di scegliere e di decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo. Secondo la teoria dell'agire del pragmatista americano William James, ogni volta che ci confrontiamo con un'alternativa reale, un'alternativa esistenziale qualunque, poiché attualizza alcuni possibili e ne annulla altri, come nel caso dei problemi «morali», la scelta non dipende unicamente dall'intelletto, dalla «cognizione», dal sapere e dalla conoscenza"', tutf altro. Essa chiama in causa anzitutto «le 21. La linea di autori citati in questo paragrafo - Pascal, Kierkegaard, Nietzsche, James, Deleuze - configura quello che Deleuze descrive come
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nostre tendenze attive», le nostre «forze più intime», la nostra «natura passionale», i nostri «impulsi più cari», ovvero «l'intimo del cuore umano» di cui ci parla Marx e che James definisce come un insieme di forze attive («la forza d'animo, la speranza, l'incanto, l'ammirazione, l'ardore») e che sintetizza nel concetto di «desiderio». La misura, la stima, la valutazione «di ciò che è bene, o delle cose che sarebbe bene esistessero» non possono essere delegate alla speculazione filosofica, né al sapere scientifico. «La scienza ci può dire ciò che esiste; ma per confrontare i valori, sia di ciò che esiste, sia di ciò che non esiste, non dobbiamo ricorrere alla scienza, ma a quello che Pascal chiama il nostro cuore»"^ La potenza del nostro agire e «il successo di un'azione dipendono dall'energia impiegata nell'atto e l'energia a sua volta è subordinata all'intima certezza di riuscire», cioè alla convinzione/fiducia in ciò che si fa, alla convinzione/fiducia nel mondo e negli altri. Dunque l'atto dipende dall'intensità della convinzione/fiducia e quesfultima dalle «tendenze attive», dalle emozioni e dagli impulsi più intimi del cuore una sostituzione del paradigma della credenza col paradigma del sapere, fatto che rappresenta un'alteriore buona ragione per dubitare della pertinenza del paradigma del «capitale cognitivo». Persino la scienza, forza produttrice per eccellenza di questo paradigma, per esistere richiede altro dalla conoscenza: «Una filosofia, una "fede" deve sempre preesistere, affinché la scienza derivi da essa una direzione, un senso, un limite, un metodo, un diritto all'esistenza. [...] È pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza» (Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 146). È impossibile pensare alla «produzione» contemporanea come a una «produzione di conoscenze attraverso conoscenza». La produzione di qualcosa di nuovo, tanto a livello economico quanto politico o soggettivo, richiede altro rispetto al «sapere». 22. W. James, La volontà di credere, trad. it. di P. Bairati, Rizzoli, Milano, 1984, p. 76.
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umano. La convinzione/fiducia è definita da James come una «disposizione ad agire». Il modo di intendere la potenza dell'agire rimanda a un «metodo soggettivo, il metodo della convinzione fondata sul desiderio». Ma la convinzione/fiducia o disposizione ad agire può definirsi in due modi diversi. In un caso è la convinzione-abitudine e nell'altro è la convinzione-fiducia (o fede) a provocare l'azione. Nel primo caso il mondo è determinato, compiuto, tutto è già dato, cosicché la convinzione risiede nelle convinzioni già stabilite. Nel secondo caso, quello che ci interessa, il mondo è in divenire. È incompleto, indeterminato, e quest'incompletezza e indeterminazione fanno appello al nostro potere di agire e quest'ultimo alla fiducia. È questa seconda concezione della fiducia a essere «mobilitata» e orientata dal credito (la forza del capitalismo non è soltanto negativa, essa risiede nella capacità di orientare le passioni, i desideri e l'azione a proprio vantaggio), poiché si tratta appunto di anticipare un'azione futura il cui risultato non può essere garantito anticipatamente. Il credito è un dispositivo di potere che si esercita su possibili indeterminati, la cui attualizzazione/realizzazione è sottoposta a un'incertezza radicale e non probabilistica. Il nostro mondo incerto, instabile e in divenire, è, per utilizzare le parole di Walter Benjamin, un mondo «povero» di esperienza, perché quest'ultima, come ricorda James, «è sempre in via di cambiamento». Ma è proprio la povertà dell'esperienza (non sappiamo di cosa sia fatto l'avvenire) a mobilitare la fiducia (convinzione), il desiderio, l'intimo del cuore umano, necessari per rischiare in questo mondo privo di certezze. Queste forze sono esaltate e acuite dall'indetermina8i
zione del futuro. Infatti, a cosa ci costringe la povertà di esperienza? «A ricominciare di nuovo, a ricominciare di nuovo», afferma Walter Benjamin. Il «barbaro»"', che definisce sia in Benjamin che in James l'uomo contemporaneo, «non vede niente di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie [...]. Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre a un incrocio»'"'. La fiducia trasforma la povertà di esperienza in politica della «sperimentazione». Come agire in questo mondo, come arrischiarsi in un'azione il cui esito è incerto, visto che non sappiamo di cosa sarà fatto il futuro.^ Per agire in condizioni di incertezza occorrono fiducia (fede) in se stessi, fiducia nel mondo e fiducia negli altri. Occorre stringere un tacito accordo con se stessi, con il mondo e con gli altri per agire in un mondo in cui le «massime quotidiane» non possono servire a dirigere l'azione. L'agire rappresenta quindi un salto nell'ignoto, che il «sapere» e la «conoscenza» non possono in alcun modo aiutarci a oltrepassare. Il nostro scetticismo e le nostre difficoltà politiche non sono cognitivi, ma etici, poiché «si vive in avanti ma si pensa all'indie23. I «barbari», in Walter Benjamin, 0 i «rozzi» {tough-minded), in William James, sono individui plurali che sanno adattarsi a un mondo instabile e incerto, a una verità in divenire, a un mondo nel quale l'attuale è solo uno dei casi del possibile. I «barbari» accettano il mondo per com'è, le cose per quelle che sono, mentre i «sentimentali» {tsnder-minded) sono «razionalisti» che accorrono in soccorso di questo mondo incerto, nel tentativo di trasformarlo in un «altro mondo», in un «mondo migliore», nel quale le cose specifiche formano una totalità ideale che le ingloba, dando loro stabilità e senso. Cfr. W. James, Pragmatismo: un nome nuovo pervecchi modi dipensare, trad. it. di S. Franzese, Nino Aragno editore, Milano 2007, pp. 12-14. 24. W. Benjamin, Esperienza e povertà, trad. di F. Desideri, «Millepiani» [numero monografico: Walter Benjamin. Il carattere distruttivo. L'orrore del quotidiano], n. 4 , 1 9 9 5 , p. 12.
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tro» dice James citando Kierkegaard. Vivere in avanti significa «credere nel mondo e nelle nuove possibilità di vita» che esso racchiude, aggiunge Deleuze. La convinzione/fiducia è qui una forza che, gioiosa e fiduciosa, dà «un «potere generoso». La fiducia è così la condizione di ogni atto di creazione, che si tratti di creazione artistica, di creazione etica o di creazione politica. Secondo James, l'uomo contemporaneo dovrebbe trovarsi a proprio agio con questo mondo «barbaro», poiché il suo potere d'azione non si esercita sui «fatti grezzi», ma sui possibili, che sono, secondo una definizione di Guattari, una «materia di scelta, materia di opzione» (è necessario scegliere poiché si tratta di «possibili ambigui», di virtualità che celano diverse alternative). Il fatto di essere nel mondo con le nostre percezioni, le nostre sensazioni e le nostre conoscenze, non è ancora sufficiente per agire. Perché possa darsi potere di azione, occorre che il possibile superi l'attuale («un po' di possibile sennò soffoco», direbbe Kierkegaard), occorre che il mondo contenga dell'indeterminato, un tempo aperto in divenire, ovvero un «presente» che racchiuda biforcazioni possibili e dunque possibilità di scelta, dei rischi esistenziali. Sono queste possibilità e queste biforcazioni imprevedibili che il debito si sforza di neutralizzare. Il «barbaro» esige «dal mondo delle qualità con le quali possano misurarsi le nostre emozioni e le nostre tendenze attive». Il desiderio e la fiducia si esercitano su un «presente vivo», ovvero sulla «zona plastica» che è la «zona delle differenze individuali e delle modifiche sociali che esse provocano»"'. Questa zona pla25. W. fames, La volontà di credere, cit., p. 261.
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stica è «cinghia di trasmissione dell'incerto, il punto d'incontro del passato e del futuro». Affinché il potere di azione possa dispiegarsi, abbiamo bisogno di credere (avere fiducia) nel «presente vivo», il presente come possibile, cioè nel mondo e nelle nuove possibilità di vita che esso cela. La potenza di agire è subordinata a un'affermazione esistenziale, a un «sì» che esprime un autoposizionamento. Presuppone la speranza e la fiducia che anticipano ciò che ancora non è dato, che rende possibile l'impossibile. Nel mondo «barbaro» la fiducia e la speranza (le passioni, le emozioni, il desiderio) non determinano tanto una presa di posizione, un partito preso rispetto alle convinzioni esistenti, ma piuttosto uriautovalidazione di nuove convinzioni, di nuovi valori, di nuove connessioni, di nuovi significati e di nuove forme di vita. Al contrario, la paura e tutte le emozioni e le passioni tristi costituiscono una neutralizzazione della potenza di agire'®. 26. Un esempio del modo in cui gli elementi soggettivi partecipano alla determinazione della nostra potenza di azione e degli eventi del mondo ci viene fornita da James a partire da una situazione banale (un salto pericoloso durante una passeggiata in montagna). «Non avendo una tale esperienza, non ho prove della mia capacità di portarla a termine con successo; ma la speranza e la fiducia in me stesso mi assicurano che non fallirò il bersaglio e consentono ai miei piedi di compire ciò che sarebbe stato impossibile senza la spinta di quelle emozioni soggettive. Ma supponete che, al contrario, le emozioni di paura e di sfiducia abbiano il sopravvento; o ancora che avendo appena letto "Ethic of B e l i e f , sento che sarebbe disdicevole agire in base ad un'ipotesi non ancora dimostrata, - ragione per cui, a quel punto, io esito tanto a lungo che alla fine, esaurito e tremante, cadendo in un momento di disperazione totale, mi scivoli un piede e io cada nell'abisso. [...] Esistono quindi casi nei quali la fede produce la propria verifica. Credete, e avrete ragione, poiché vi salverete» (Ivi, p. 120). Ciò non significa affatto che volere = potere, poiché la soggettività non fa altro che aggiungere qualcosa al mondo: l'interpretazione dei segni che lo riguardano. «Supponete che guardando il vecchio mondo e vedendo quanto esso
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La finanza è un terribile strumento di controllo del tempo dell'azione, di neutralizzazione del possibile, del «presente vivo», della «zona plastica di trasmissione dell'incerto», del «punto di incontro del passato e del futuro». Chiude i possibili dentro una cornice definita pur proiettandoli in un futuro. Il futuro è per essa la semplice anticipazione del dominio e dello sfruttamento presente. Ma se abbiamo superato la soglia critica di incertezza sul futuro dei rapporti di sfruttamento e di dominio, allora a crollare è un presente privo di possibili. La crisi è dunque crisi del tempo ed emergenza di un tempo della creazione politica e sociale, che la finanza può soltanto tentare di distruggere. Siamo esattamente in questa situazione! La logica del debito soffoca le nostre possibilità di azione! Deleuze e Guattari: piccola storia del debito Per cercare di comprendere più precisamente la specificità della logica del debito nell'economia contemporanea, ci rivolgeremo adesso alla lettura che Deleuze e Guattari fanno dello sviluppo storico del debito. In effetti, nel lavoro di Deleuze e Guattari, il sia pieno di miseria, vecchiaia, malvagità e dolore e quanto incerto sia il futuro, si lasci andare alle conclusioni del pessimismo, coltivi in sé disgusto e terrore, cessi di lottare e infine si suicidi. In tal modo aggiunge alla massa M di fenomeni mondani, indipendenti dalla sua soggettività, il complemento soggettivo X, che trasforma la totalità in un quadro completamente nero senza nessun raggio di bene che lo illumini» (Ivi, p, 124). «Non si dica che X è una componente troppo infinitesimale per mutare il carattere dell'immensa totalità nella quale è inclusa. Tutto dipende dal punto di vista della preposizione filosofica in questione. Se dobbiamo definire l'universo dal punto di vista della nostra sensibilità, il materiale critico del nostro giudizio fa parte del regno animale considerato quantitativamente, insignificante quale esso è» (Ivi, p. 121).
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debito ricompare a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, in quanto elemento di analisi del capitalismo contemporaneo. Unendo la teoria nietzschiana del credito all'interno delle società arcaiche alla teoria marxiana della moneta all'interno del capitalismo, tracciano una piccola storia del debito, che ci spinge a una lettura non-economica dell'economia non basata sullo scambio, ma su una relazione di potere asimmetrica tra creditore e debitore. Una lettura non-economica dell'economia significa che, da un lato, la produzione economica è inseparabile dalla produzione e dal controllo della soggettività, nelle sue varie forme; dall'altra, che la moneta - prima di rispondere a funzioni economiche di misura, mezzo di scambio, pagamento e tesaurizzazione - è espressione di un potere di comando e di distribuzione delle caselle e dei compiti dei governati. Nei suoi corsi degli anni 1 9 7 1 , 1 9 7 2 e 1973, tenuti all'università di Vincennes, Deleuze torna sulle considerazioni sviluppate con Guattari neììanti-Edipo a proposito della teoria marxiana della moneta'^ Rileggendola a partire dall'asimmetria del rapporto di credito, cioè dell'economia del debito, gettano le basi per la comprensione di una moneta nella quale le funzioni economiche e politiche sono indistinguibili. In tal modo, mettono a frutto la revisione del concetto di «potere» fatta da Foucault - anch'esso stimolato dalla rilettura di Nietzsche - , rendendola uno strumento 27. F. Guattari e G. Deleuze, L'anti-Edipo, cit., pp. 263-264. In questo libro in genere ci si sofferma, unicamente e ingiustamente, sulla critica della psicanalisi che esso presenta, laddove sviluppa una teoria del debito e della moneta che supera le teorizzazioni formulate dai marxisti sullo stesso tema.
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operativo per la comprensione della moneta: il capitale è innanzitutto un potere di comando e di prescrizione, che si esercita attraverso il potere di distruzione/creazione della moneta. L'anti-Edipo e questi corsi, scritti e pensati molto prima dell'introduzione di politiche neoliberiste, ci aiutano a comprendere perché il debito e la finanza lungi dal rappresentare patologie del capitalismo o l'avidità e la cupidigia di poche persone - costituiscano dei «dispositivi strategici» che orientano gli investimenti e determinano così le modalità di «distruzione» del vecchio ordine mondiale capitalistico e di «creazione» di uno nuovo. I sistemi finanziari e bancari sono al centro di una politica di distruzione/creazione, all'interno della quale l'economico e il politico si sovrappongono. Se vogliamo comprendere come l'economia del debito in un secondo tempo riconfiguri i poteri, occorre innanzitutto chiarire i legami tra economico e politico. Nei corsi di Deleuze, la critica si concentra sui differenziali di potere espressi dalla moneta e di cui gli economisti hanno difficoltà ad accorgersi. Il capitalismo dissimula oggettivamente il fatto che la moneta abbia due funziori'alità fondamentalmente distinte: quella del reddito e quella del capitale. Nel primo caso, la moneta è un mezzo di pagamento (salario e reddito) , che acquista una quantità di beni già disponibili imposti dalla produzione capitalistica - e si limita a riprodurre i rapporti di potere e le modalità di assoggettamento fissati da tale produzione e a essa necessari. Nel secondo caso, la moneta funziona come struttura di finanziamento (moneta di credito e quasi-moneta della finanza), cioè ha la possibilità di sce87
gliere e di decidere le produzioni e le merci future e quindi i rapporti di potere e di assoggettamento che le sottendono. La moneta come capitale esercita un diritto di prelazione sul futuro. La moneta-reddito non fa che riprodurre rapporti di potere, la divisione del lavoro e le assegnazioni a funzioni e a ruoli prestabiliti. In quanto capitale, la moneta ha invece la capacità di riconfìgurarli. È quanto accaduto, in modo esemplare, con l'arrivo del neoliberismo. La moneta-debito ha rappresentato l'arma strategica di distruzione del Fordismo e di creazione dei contorni di un nuovo ordine capitalistico mondiale'". Da qui in poi, la finanza/debito non è più una semplice convenzione, una semplice funzionalità dell'economia reale, ma rappresenta il capitale sociale e il «capitalista collettivo», il «comune» della classe dei capitalisti, come già sapevano Marx e Lenin. La posizione di Deleuze prolunga la teoria di Marx, ripulendola di numerose ambiguità: impossibilità di considerare un'economia mercantile in quanto tale, poiché essa deriva dall'economia monetaria e dall'economia del debito - che distribuiscono i poteri, gli assoggettamenti e le dominazioni - e, allo stesso tempo, ne è subordinata; impossibilità di far derivare la moneta dalla merce, ma persino dal lavoro, poiché la moneta precede di diritto e di fatto precede il lavoro, la merce e lo scambio. È questa a ordinarli, a comandarli, a organizzarne la distribuzione. Lasimmetria di potere, i differenziali di potere che si esprimono nella moneta-debito valgono per tutte le società: società ar28. Il sistema bancario, la moneta di credito e la finanza realizzano questa dissimulazione convertendo un flusso nell'altro.
caica, società antica, società feudale, capitalismo. Ciò che attraversa e informa una società non è mai un circuito di scambio, ma è un circuito completamente differente che non rimanda all'aritmetica. A entrare in un rapporto di scambio non sono quantità uguali o disuguali, ma sono delle quantità di potenza differenti, «ordini di potenza nel senso matematico della parola potenza, sono delle potenzialità differenti»'». Lo scambio non è mai primo. In effetti, proprio come nessuna economia funziona a partire dallo scambio economico, nessuna società funziona a partire dallo scambio simbolico. Sia l'economia che le società sono organizzate partendo da differenziali di potere, da uno squilibrio di potenzialità. Ciò non significa occorre sottolinearlo nuovamente - che lo scambio non abbia alcun valore, ma che funziona a partire da una logica che non è quella dell'uguaglianza, ma dello squilibrio, della differenza. All'interno delle società arcaiche, non esistono forme di scambio, non esistono forme di equivalenza [...], esiste un sistema di debito e il debito è affetto fondamentalmente da uno squilibrio funzionale [...]. Per esempio, lo squilibrio tra dare e ricevere oggetti di consumo è funzionalmente non riequilibrato, lo squilibrio è fondamentale e costante, la cosa funziona solo se c'è squilibrio'". È proprio questo l'oggetto fondamentale della polemica tra Leach e Lévi-Strauss, quando Leach afferma che lo squilibrio è una parte fondamentale del sistema. 29. G. Deleuze, Cours du 28 mai 1973. Cfr. www.webdeleuze.com/php/ index.html. 30. G. Deleuze, Cours du 7 mars 1972.
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una parte del suo funzionamento, mentre Lévi-Strauss lo considera una conseguenza patologica del sistema. Leach ha ragione: a livello di ogni flusso, di ogni flusso che rientra in un prodotto composto, esiste uno squilibrio fondamentale relativo ai flussi interessati. Questo squilibrio è continuamente recuperato tramite un prelievo da un altro flusso, da un flusso qualificato in altro modo. Per esempio, 10 squilibrio tra colui che distribuisce gli oggetti di consumo e colui che li riceve sarà compensato da tuttaltro flusso, 11 flusso del prestigio in cui chi distribuisce riceve prestigio [...]. Direi che, fondamentalmente, l'unità economica nelle cosiddette società primitive consiste in combinazioni finite che fanno intervenire in esse e nel loro funzionamento squilibrato tutti i flussi qualificati in modo differente; ed esiste un intero circuito del debito che si delinea a partire dai suoi componenti finiti circolanti. È il regime del debito finito; e il regime dei legami disegna precisamente il circuito del debito finito''. Il debito infinito Il passaggio dal «debito finito» al «debito infinito», che avviene con l'uscita dalle società arcaiche, costituisce un avvenimento le cui conseguenze si fanno tuttora sentire, poiché il capitalismo si è appropriato di questo passaggio per produrre un uomo indebitato che non finirà mai di rimborsare il proprio debito. In effetti, con i grandi imperi - che, centralizzando e concentrando il potere in forme «statali», segnano la fine delle società arcaiche - e con l'avvento delle religioni monoteiste 31. Ibid.
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che centralizzano e concentrano il potere «spirituale» il debito non può più essere estinto: al sistema di combinazioni finite e mutevoli («ti creo un blocco finito di alleanze e di parentele») delle società arcaiche, si sostituisce un regime del debito infinito. Il cristianesimo «ci ha firegato l'infinito», cosa che equivale a dire che siamo in un regime sociale in cui non la si fa finita con niente, in cui l'indebitamento è per la vita. Il debito [...] viene proiettato neirassociazione reattiva e si trasforma così in rapporto tra un debitore che non finirà di pagare e un creditore che non finirà di consumare gli interessi del debito: «debito verso la divinità»'". Colpo di genio del cristianesimo, poiché la «santissima trinità» include a sua volta il creditore e il debitore: Dio stesso che si sacrifica per la colpa dell'uomo, Dio stesso che si ripaga su se stesso. Dio come l'unico che può riscattare l'uomo da ciò che per l'uomo stesso è divenuto irriscattabile - il creditore che si sacrifica per il suo debitore, per amore (dobbiamo poi crederci?) - , per amore verso il suo debitore!" Il cristianesimo, introducendo l'infinito, ha profondamente reinventato il regime del debito; un rinnovamento di cui il capitalismo diventerà in seguito l'erede. All'interno delle formazioni imperiali precedenti al cristianesimo, il debito era appunto infinito, poiché, in }2. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, cit., p. 213. 53. F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 82.
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virtù del loro funzionamento «statale» - a differenza delle società arcaiche - non era possibile rimborsarlo: non era dunque possibile riequilibrare le differenze di potere determinate dallo scambio, sempre disuguale. Ma il debito restava ancora «esterno» all'individuo e alla sua coscienza. La specificità del cristianesimo consiste nel fatto che ci colloca non solo dentro un regime del debito, ma anche dentro un regime del «debito interiorizzato». «Il dolore del debitore è interiorizzato, la responsabilità del debito diventa un senso di colpa». In questa piccola storia del debito a volo d'uccello, Deleuze scandisce un altro passaggio fondamentale: mentre il «debito interiorizzato» della religione cristiana ha ancora una natura trascendente, nel capitalismo ha un'esistenza «immanente». Il capitalismo reinventa a livello economico quell'infinito che il cristianesimo introduce nella religione: il movimento di capitale come automovimento del valore, del denaro che genera denaro e che, grazie al debito, spinge sempre più in là i propri limiti. Con il capitahsmo, la valorizzazione capitalistica e il debito divengono processi infiniti che si alimentano a vicenda. Marx insiste sulla germinazione attraverso la quale il denaro produce più denaro, tramite la quale il denaro si manifesta come automovimento che cresce su se stesso e i cui limiti vengono continuamente superati. Il capitale ha dei limiti immanenti, ma che riesce a riprodurre su una scala sempre più estesa. Questo regime dell'infinito è il regime di distruzione/creazione, che si esprime innanzitutto nella e attraverso la creazione/distruzione della moneta. Prima di arrivare al capitalismo propriamente detto, facciamo una digressione verso l'Antica Grecia e il 92
Medioevo, per verificare la continuità storica del rapporto debito-potere-misura che abbiamo ritrovato nella Genealogia della morale. Nello stesso periodo in cui viene scritto L'anti-Edipo, Michel Foucault sviluppa una concezione della moneta che, come per Deleuze e Guattari, si oppone all'interpretazione tradizionale che la fa derivare da un'economia mercantile. La moneta deriva direttamente dall'esercizio del potere sul debito e sulla proprietà, e non dallo scambio di merci. «La comparsa della moneta è legata alla formazione di un nuovo tipo di potere, un potere che ha per ragion d'essere quella di intervenire nel regime della proprietà, nel gioco dei debiti e dei saldi»'''. L'interpretazione dell'origine mercantile della moneta, che la confina a funzioni di rappresentazione di valori e di utilità all'interno dello scambio, «scambiando il segno per la cosa in sé, costituisce una sorta di radicale errore filosofico originale»". L'istituzione della misura, di cui la moneta è un'espressione, non è di orìgine «economica». Nel corso del 1971, ritroviamo la relazione misura-debito stabilita da Nietzsche, grande ispiratore della teoria foucaultiana di potere: Di cui notiamo chiaramente come è legata a tutto un problema di indebitamento contadino, di trasferimento di proprietà agricole, di rimborso dei crediti, di equivalenza tra derrate o prodotti di fabbrica, di urbanizzazione e di istituzione di una forma statale. Al centro di tale pratica della misura appare l'istituzione della moneta'*'.
34. M. Foucault, Lefons sur la volontéde savoir, Gallimard, Paris 2011, p. 132. 35. Ivi, p, 128. 36. Ibid.
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Da questa complessità di rapporti di potere gli economisti isolano il commercio, facendone, insieme all'utilità, l'origine della società dell'uomo. Una specie di tartuferia «inglese», direbbe Nietzsche. Misura, valutazione e stima sono sempre una questione di potere, prima di essere una questione economica. L'origine della stima, della valutazione, della misura, è al tempo stesso religiosa e politica: «Che sia tiranno o legislatore, colui che detiene il potere è il misuratore dello spazio politico: il misuratore di terre, di cose, di ricchezza, di diritti, di potere e di uomini»". Iflussi barbarici Grazie a uno splendido commento di Deleuze sul libro di Georges Duby, Le origini dell'economia europea, possiamo approfondire la natura di diversi flussi indissolubilmente economici e di potere che attraversano e organizzano l'economia e la società. Le funzioni «economiche» della moneta (misura, tesaurizzazione, equivalente generale, mezzo di pagamento) dipendono da un flusso di altra natura, cioè di altra potenza. Se il denaro non è sorretto da una corrente di potere, crolla e le funzioni economiche di misura e di mezzo di pagamento della moneta crollano con esso. È quanto accaduto all'economia europea dopo la caduta dell'impero carolingio, quando venne a mancare il flusso di potere imperiale. Fu possibile rilanciare l'economia solo grazie a un flusso di distruzione/creazione, cioè a un potere di deterritorializzazione «barbarico», che fece letteralmente rinascere lo scambio e 37. Ivi, p. 127.
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le differenti funzioni della moneta. L'economia mercantile non ha alcuna autonomia, alcuna possibilità di esistenza autonoma indipendentemente da un flusso di potere, da una potenza di deterritorializzazione. Dalla periferia dell'impero, i Vichinghi, con le loro navi, e gli Ungheresi con i loro cavalli (flussi di mobilità, flussi migratori, flussi nomadici, flussi guerrieri di potenza superiore alla mobilità contadina) si scagliano sull'Impero, saccheggiano villaggi, tombe e monasteri. Compiono una sorta di sbrigliamento, una liberazione di denaro in tutta Europa, che reimmette nell'economia una nuova potenza monetaria che la moneta, ridotta al suo valore di acquisto o al suo valore di scambio, aveva completamente perso, attraverso la distruzione compiono un investimento economico'*. Le correnti meno mobili (i contadini) si sottomettono al flusso nomade e mobile (i guerrieri barbari). Le correnti «barbariche» sono correnti deterritorializzate m a anche deterritorializzanti. Se il denaro - in quanto mezzo di pagamento, misura ecc. - è un flusso deterritorializzato, la sua forza deterritorializzante non deriva dal denaro in se stesso, ma dai flussi di potere distruttori/creatori trasmessi dai barbari (o, piìi tardi, dai capitalisti o dalle forze rivoluzionarie). I flussi monetari impotenti ricevono potenza dal flusso nomade, migratorio, mobile, barbaro. Di fronte ai barbari, i contadini fuggivano ed erano colpiti, nella loro fuga, da un coefficiente «secondario» di deterritorializzazione che, a sua volta, fuggendo, poteva 38. G. Deleuze, Cours du ^juin 1973.
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acquisire una potenza che non aveva nel caso dell'agricoltura stanziale. Il potere di distruzione/creazione non è una proprietà del denaro in quanto tale: il denaro deve essere trasformato in capitale, cioè in potere di distruzione/creazione. Nel neoliberismo, il dispositivo che compie questa trasformazione in potere è quello della borsa, della finanza e del debito. Iflussi capitalisti Deleuze insiste: nessuna economia ha mai funzionato come economia mercantile. Di qualunque formazione sociale si tratti, un'economia non può circoscrivere gli scambi e far funzionare i circuiti di scambio basandosi solo sulla moneta in quanto potere d'acquisto, ma necessita di un altro flusso. «Lo scambio è evidentemente secondo rispetto a un qualcosa di tutf altra natura[. UJn'altra natura ha un senso molto rigoroso e significa un flusso di un'altra potenza»'». Nel capitalismo, lo stesso denaro esprime flussi di potere eterogeneo: il flusso di potere d'acquisto - che rappresenta un insieme di mezzi di pagamento (salario e reddito) che si realizzano tramite l'acquisto di beni già prodotti, già esistenti, - è strettamente subordinato, come flusso di potere minore, ai flussi di fì^nanziamento - che non rappresentano un semplice «potere d'acquisto», una semplice corrispondenza tra denaro e beni, ma un potere di prescrizione, di ordinamento, cioè un insieme di possibilità di scelta, di decisioni che si esercitano sul futuro, che anticipano ciò che saranno la produzione, le relazioni di potere e 39. Ibid.
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le modalità di assoggettamento. La potenza della moneta come struttura di finanziamento non deriva da un potere d'acquisto maggiore, la forza di un capitalista non dipende dal fatto che sia più ricco di un operaio. Il suo «potere deriva dal fatto che manovra e determina la direzione dei flussi di finanziamento», cioè dispone del tempo, in quanto decisione, scelta, possibilità di sfruttare, di sottomettere, di comandare e di dirigere altri uomini. La moneta in quanto potere d'acquisto è, per Deleuze, ciò attraverso cui riterritoriaHzziamo e saldiamo i flussi di lavoro al consumo, alla famiglia, all'impiego e all'assoggettamento (operaio, professore, uomo, donna ecc.), che sono altrettante assegnazioni della divisione del lavoro. Dunque, la rivendicazione salariale può essere, come nella maggior parte delle politiche sindacali, un modo per accettare e riconoscere questi assoggettamenti e queste relazioni di potere; ma la rivendicazione salariale e il potere d'acquisto possono anche rappresentare il punto di rottura di questa riterritorializzazione, il rifiuto di questi assoggettamenti, a condizione che il flusso salariale sia espressione di un flusso di altra natura, di altra potenza. Allo stesso modo in cui il capitalista deve trasformare il denaro (mezzo di pagamento) in capitale, il proletariato deve trasformare i flussi di potere d'acquisto in flussi di soggettivazione autonoma e indipendente, in flussi di interruzione della politica del capitale, cioè in flussi al tempo stesso di rifiuto e di fuga dalle funzioni e dagli assoggettamenti ai quali è costretto. Il capitale ha un controllo sul flusso di potere d'acquisto degh operai, principalmente perché è padrone di un flusso di finanziamento, cioè è padrone del tempo, delle scelte e
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delle decisioni-»". La moneta in quanto capitale ha un potere di distruzione/creazione di cui la moneta in quanto potere d'acquisto non dispone*»'. Il flusso di finanziamento, cioè il denaro in quanto capitale, è un potere mutevole, un flusso creatore, un insieme di «segni potenza», perché impegna l'avvenire, perché esprime una forza di prescrizione e costituisce un potere di distruzione/creazione che anticipa ciò che ancora non c'è. I flussi di finanziamento sono un potere deterritorializzato e deterritorializzante che non arriva dopo l'economia, ma le è immanente. Operano sui possibili e sulle loro attualizzazioni. La materia del denaro, in quanto capitale, è appunto il tempo, ma non tanto il tempo di lavoro, quanto il 40. G. Deleuze, Cours du 22 févrìer 1972: «Per quanto siate ricchi, per quanto forte sia il vostro potere d'acquisto, il denaro in quanto potere d'acquisto definisce u n insieme di segni impotenti che ricevono la loro potenza solo dall'altro flusso, il flusso del finanziamento. E come il denaro in quanto potere d'acquisto è regolato dalle regole dello scambio, l'altro flusso è regolato da tutf altre leggi, ossia dalle leggi di creazione e di distruzione della moneta». 41. Un'altra buffa curiosità! Un documento della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), firmato da Claudio Borio e Piti Disyatat, rimprovera alle maggiori autorità economiche americane di confondere la monetareddito con la moneta-capitale. A partire da questa distinzione, criticano la tesi della Federai Reserve, portata avanti principalmente da Bernanke, secondo la quale le condizioni monetarie della crisi hanno la loro causa principale nel denaro facile, in un «ingorgo globale del risparmio», a sua volta prodotto dalle eccedenze di conto corrente accumulate dai paesi emergenti (soprattutto la Cina) e ricollocate dagli Stati Uniti. La tesi dell'eccesso di risparmio, che esonera da qualunque responsabilità le banche e le autorità monetarie europee e americane, si fonda sulla confusione tra la moneta come reddito e la moneta come capitale. «L'attenzione non giustificata rivolta ai confi correnti è sintomo dell'incapacità di stabilire una differenza sufficientemente chiara tra risparmio e finanziamento», scrivono. Il primo è un reddito non consumato, mentre il secondo rappresenta un capitale. «Gli investimenti, e le spese in senso generale, richiedono un finanziamento, non dei risparmi».
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tempo come possibilità di scelta, di decisione, di comando, cioè il potere di distruzione/creazione delle forme sociali di sfruttamento e assoggettamento. Al contrario, il denaro in quanto mezzo di pagamento è un «segno impotente», perché funziona solo come strumento per acquistare merci già esistenti, stabilendo «una relazione biunivoca tra la moneta e una gamma imposta di prodotti»''\ Nel potere d'acquisto, «il denaro rappresenta una taglio-prelievo possibile su un flusso di consumo» dato (delle relazioni di potere date); nella struttura del finanziamento, il denaro funziona come una «possibilità di taglio-stacco» che riarticola catene di valorizzazione e di accumulazione del capitale, riconfigura la composizione della forza lavoro e della popolazione e delinea nuove modalità di assoggettamento. La specificità del potere capitalistico non deriva da una semplice accumulazione di potere d'acquisto, ma dalla capacità di riconfigurare i rapporti di potere e i processi di soggettivazione'". 42. F. Guattari e G. Deleuze, Vanti-Edipo, cit., p. 259. 43. Queste considerazioni sulla moneta hanno una portata più generale, perché si estendono alle relazioni di potere che non riguardano l'economia. La produzione di enunciati, come opinioni o comunicazioni, non si realizza a partire da uno scambio verbale che presuppone l'uguaglianza tra i locutori (come nella teoria di Jacques Rancière, ad esempio), ma a partire dai differenziali di potere di flusso. «Il potere consiste per l'appunto nel primato che i flussi di potere superiore hanno sui flussi di potere inferiore. In altre parole, considerare il potere in termini di scambio e partendo dal valore dello scambio è un'impresa tanto stupida quanto quella di cercare nello scambio la condizione della produzione degli enunciati [...]. È per questo che una creazione di enunciati non funziona mai a partire dal circuito dello scambio; è per questo che, in effetti, tale circuito dello scambio non interviene 0 non vale che in rapporto a un circuito di un altro potere, che è il circuito della creazione-distruzione», G. Deleuze, Cours du 4juin 1973.
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Occorre segnalare che, dentro le crisi, il risanamento dei disastri compiuti dalla moneta in quanto capitale (moneta «virtuale», perché deve ancora realizzarsi) si fa con la moneta-reddito (salari e salari sociali, moneta attuale). Deleuze e Guattari, facendo derivare la moneta dal debito e affermando la sua «natura» infinita - che si combina all'infinito con la «produzione per la produzione» - hanno ben presto, e per tutta la durata del loro lavoro, compreso una delle principali trasformazioni del capitalismo contemporaneo. Questa breve storia del debito dovrebbe essere completata da una breve storia dell'imposta, poiché le politiche neoliberiste sono anche, e in modo indissolubile, politiche fiscali. Questa intuizione, che qui non possiamo approfondire, viene sviluppata soprattutto in Millepiani. Basandosi sulle ricerche di Will, M. Foucault mostra come, in certe tirannidi greche, l'imposta sugli aristocratici e la distribuzione di danaro ai poveri erano un mezzo per ricondurre il danaro ai ricchi, per allargare singolarmente il regime dei debiti, per renderlo ancora più forte, prevenendo e reprimendo ogni riterritorializzazione possibile attraverso i dati economici del problema agrario. (Come se i Greci avessero scoperto a loro modo ciò che gli americani ritroveranno dopo il New Deal: che pesanti imposte di Stato sono propizie ai buoni affari). Insomma, il danaro, la circolazione di danaro, è il modo per rendere il debito infinito. Ed ecco quel che celano i due atti di Stato: la residenza o territorialità di Stato inaugura il grande movimento di deterritorializzazione che subordina tutte le filiazioni primitive alla macchina dispotica (problema agrario); l'abolizione dei debiti o la loro trasformazione contabile preparano un servizio di 100
Stato interminabile che subordina a sé tutte le alleanze primitive (problema del debito). Il creditore infinito, il credito infinito ha sostituito i blocchi di debito mobili e finiti. C'è sempre un monoteismo all'orizzonte del dispotismo: il debito diventa debito d'esistenza, debito dell'esistenza dei soggetti stessi. Viene il momento in cui il creditore non ha ancora prestato mentre il debitore non cessa di rendere, poiché rendere è un dovere, mentre prestare è una facoltà, come nella canzone di Lewis Carroll, la lunga canzone del debito infinito: Un uomo può certo richiedere il dovuto, / ma quando si tratta di prestito, / può allora scegliere / il tempo che più gli aggrada". Vorrei insistere sull'importanza di un libro quale L'anti-Edipo, che si è collocato esattamente sul terreno prescelto dal blocco di potere capitalistico per portare avanti la propria contro-rivoluzione, rovesciando il '68. L'azione neoliberista ha da allora confermato, attraverso la gestione del debito, la natura di lotta di classe del X X I secolo annunciata neganti-Edipo: ìunivocità della produzione, che riguarda al tempo stesso e ind i f f e r e n t e m e n t e l'economia e la soggettività. L'economia del debito è un'economia che necessita di un soggetto capace di rispondere di sé nel futuro, di un soggetto capace di promettere e di mantenere la propria promessa, di un soggetto che su di sé esercita un lavoro. Se è vero che l'economia politica classica e Marx scoprono l'essenza della ricchezza nell'attività soggettiva - irriducibile al dominio della rappresentazione - , forse hanno avuto il torto di mischiarla al «la44. F. Guattari, G. Deleuze, L'anti-Edipo, dt., pp. 222-223.
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voro». Ora che comprendiamo meglio come funziona la relazione creditore-debitore, è arrivato il momento di analizzare precisamente come trovi la propria collocazione nell'economia neoliberista e come essa riconfiguri il campo politico e sociale.
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L'influenza del debito nel neoliberismo
Foucault e la nascita del neoliberalismo Il debito costituisce il rapporto di potere più deterritorializzato e più generale attraverso il quale il blocco di potere neoliberista organizza la propria lotta di classe. Il debito rappresenta un rapporto di potere trasversale che non conosce né frontiere di Stato, né dualismi di produzione (attivo/non-attivo, occupazione/disoccupazione, produttivo/non produttivo), né distinzioni tra economia, politica e sociale. Agisce a livello immediatamente planetario, attraversando tutte le popolazioni, accompagnando e sollecitando la creazione «etica» dell'uomo indebitato. Come può questa trama di relazioni tessute dal debito attraversare i diversi dispositivi del potere e le molteplici modalità di soggettivazione? Per capirlo, metteremo alla prova gli strumenti teorici che abbiamo riattivato con la teoria del potere di Michel Foucault, la cui derivazione nietzschiana, che costituisce il nostro punto di partenza, è esplicitamente rivendicata. Come il debito ha riconfigurato il potere sovrano, il
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potere disciplinare e il potere biopolitico a partire dagli anni Settanta? Nella sua importante opera sul neoliberalismo, Nascita della biopolitica, Michel Foucault, senza tenere conto di quanto aveva affermato nello stesso corso sulle funzioni della moneta nella Grecia antica, tralascia di prendere in considerazione le funzioni della finanza, del debito e della moneta, a fronte del fatto che, dalla fine degli anni Settanta, costituiscono i dispositivi strategici del governo neoliberista. L'economia del debito interviene indistintamente su diverse zone geopolitiche (Sud-Est asiatico, Sud America, Europa) o popolazioni nazionali (Argentina, Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, ecc.); diventa uno strumento di pressione nella maggior parte dei conflitti sociali ed esercita il proprio potere sugli individui (indebitamento delle famiglie), incarnando così il punto di vista del «capitalista collettivo». Al contrario, sia detto en passant, la metarmorfosi del capitalismo e della moneta, avvenuta a cavallo degli anni Settanta, non sfugge a Gilles Deleuze, che riassume così il passaggio dal governo disciplinare al neoliberismo contemporaneo : «Il controllo è a breve termine e a rapida rotazione, ma anche continuo e illimitato, mentre la disciplina era di lunga durata, infinita e discontinua. Euomo non è più l'uomo rinchiuso, ma l'uomo indebitato»'. Per Foucault, i neoliberali non intendono più ì homo oeoconomicus come il soggetto dello scambio e del mercato, ma come un imprenditore (di sé). La descrizione foucaltiana delle tecnologie neoliberali, istituite per trasformare il lavoratore in «capitale umano» che I. G. Deleuze, Poscritto sulle società di controllo, in Pourparler, cit., p. 239.
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deve garantire da sé la formazione, la crescita, l'accumulazione, il miglioramento e la valorizzazione di «sé» in quanto «capitale», è contemporaneamente imprescindibile e ingannevole. Certamente, il «lavoratore» non è più considerato unicamente come un semplice fattore di produzione; non è più, per essere precisi, una forza lavoro, ma un capitale-competenza, una «macchina-competenze», che va di pari passo con uno «stile di vita, un modo di vivere»', una posizione morale «imprenditoriale» che determina «un genere di relazione dell'individuo con se stesso, con il tempo, con l'ambiente, con il futuro, col gruppo, con la famiglia»'. Tuttavia, l'ingiunzione a fare dell'individuo «una sorta di impresa permanente e molteplice» avviene in una cornice completamente diversa da quella descritta da Foucault : quella dell'economia del debito. Infatti, il punto di vista di Nascita della biopolitica è ancora quello degli ordoliberali tedeschi, per i quali l'impresa e l'imprenditore industriali erano al centro del progetto deir«economia sociale di mercato». Foucault resta attaccato a questa versione «industriale» del neoliberalismo del Dopoguerra, mentre nel corso degli anni Settanta emergono e si affermano una logica di impresa, questa volta finanziarizzata, e un capitalismo il cui interesse collettivo è rappresentato dagli imprenditori finanziari, che impongono un nuovo «governo dei comportamenti» e una nuova individualizzazione che non ha più molto a che vedere con le
2. E. A. Seillière, presidente della Confìndustria francese nel periodo della «rifondazione sociale», conferenza stampa del 20 giugno 2 0 0 0 . 3. M. Foucault, Nascita della biopolitica: corso al Collège de France (igySigjgj, trad. it. M. Bertani e V. Zini, Feltrinelli, Milano 2007, p. 196.
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politiche degli ordoliberali del Dopoguerra. Come suggerisce Foucault, il governo neoliberale deve sempre agire sulla società stessa, dentro la sua trama e il suo spessore, tenendo conto e persino facendosi carico dei processi sociali per fare spazio, all'interno dei processi sociali, non solo alla concorrenza e all'impresa, ma, caratteristica decisiva, anche e soprattutto al debito e alla sua economia. Gli ordoliberali auspicavano una politica economica e sociale il cui obiettivo principale fosse la «deproletarizzazione» della popolazione (costruzione di piccole unità di produzione, aiuti all'accesso alla proprietà, azionariato «popolare» ecc.). Quest'ultimo avrebbe dovuto scongiurare il pericolo politico costituito dalle grandi concentrazioni industriali, dove il proletariato avrebbe potuto organizzarsi e diventare una forza politica autonoma, come accadde tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Gran parte di queste politiche di «deproletarizzazione» passavano attraverso il Welfare e attraverso una cogestione delle imprese che predisponevano un reale trasferimento delle ricchezze verso i salariati, così da coinvolgerli nella gestione capitalistica della società: «un salariato che è anche capitalista non è più un proletario»; questo indipendentemente dalla crescente «salarizzazione dell'economia». Con i neoliberisti contemporanei, la deproletarizzazione fa un salto in avanti a parole («tutti proletari, tutti imprenditori»), ma nei fatti si trasforma nel suo contrario, soprattutto a causa della deflazione salariale e dei tagli al bilancio dello Stato sociale. In questo modo, l'economia del debito organizza una precarizzazione economica ed esistenziale che è il nome nuovo di una realtà vecchia: la proletarizzazione, soio6
prattutto delle classi medie e dei lavoratori delle nuove professioni, di quella che un tempo era chiamata, prima dell'esplosione della bolla, new economy. Crediamo che l'economia del debito fornisca un'immagine più nitida delle nuove incarnazioni soggettive del capitale, sulle quali la popolazione nel suo insieme viene sollecitata a modellarsi, immagine molto diversa da quella ostentata dalla new economy degli anni Ottanta e Novanta e dalla descrizione effettuata dallo stesso Foucault. Se l'azione neoliberista si regge contemporaneamente e indifferentemente sull'economia e sulla soggettività, sul «lavoro» e sul «lavoro su di sé», riduce quest'ultimo a un'ingiunzione a diventare il proprio padrone, nel senso di «assumere su di sé» i costi e i rischi che l'impresa e lo Stato esternalizzano nella società. La promessa di ciò che il «lavoro su di sé» avrebbe dovuto apportare al «lavoro» in termini di emancipazione (godimento, realizzazione, riconoscimento, sperimentazione di forme di vita, mobilità) si è ribaltata nell'imperativo di farsi carico dei rischi e dei costi che non vogliono assumersi né le imprese né lo Stato. Bloccando i salari (con la deflazione salariale) e riducendo drasticamente le spese sociali, le politiche neoliberiste contemporanee producono un capitale umano o un «imprenditore di sé» piìi o meno indebitato e più 0 meno povero, ma comunque ancora precario. Per la maggior parte della popolazione, diventare imprenditore di sé significa limitarsi alla gestione, secondo i criteri dell'impresa e della concorrenza, della propria occupabilità, dei propri debiti, della diminuzione del proprio salario e dei propri redditi, della riduzione dei propri servizi sociali. Con il Reddito di solidarietà atti107
va (Rsa) di Martin Hirsch, dal povero si esige una competenza «manageriale» per amministrare il «cumulo» di «assistenza» e di lavoretti. Non serve allora creare la propria piccola impresa individuale per essere imprenditori di se stessi, basta comportarsi come se lo fossimo, adottandone la logica, i comportamenti, il modo di relazionarsi al mondo, a se stessi e agli altri. Dalla crisi finanziaria provocata dallo scoppio della bolla Internet, il capitalismo ha abbandonato le proprie narrazioni epiche costruite intorno alla libertà, all'innovazione e alla creatività dell'imprenditore, alla società della conoscenza ecc. La popolazione deve semplicemente farsi carico di tutto ciò che la finanza, le imprese e il Welfare «esternalizzano» sulla società, punto e basta! L'autonomia e la libertà, che l'attività imprenditoriale avrebbe dovuto portare al «lavoro», in realtà si sono rivelate una dipendenza maggiore e più intensa, non soltanto dalle istituzioni (impresa, Wdfare, finanza), ma anche da se stessi - «finalmente padroni!», potremmo leggere su un depliant pubblicitario sullo status di autoimprenditore. Indipendenza che possiamo interpretare, con un po' di ironia, come la colonizzazione del superio freudiano da parte dell'economia, poiché r«io-ideale» non deve più limitarsi a essere l'autorità custode e garante della «morale» e dei valori della società, ma anche è soprattutto il custode e il garante della produttività dell'individuo! Continuiamo a ricadere nel binomio di economia ed etica, di lavoro e lavoro su di sé. La feroce critica rivolta dall'anti-Edipo alla psicanalisi freudiana e lacaniana può essere letta come l'anticipazione dell'estensione della «cura» e del transfert «analista/analizzato» alla gestione della forio8
za lavoro dentro l'impresa e alla popolazione dentro la società. La moltiplicazione dell'intervento degli psicologi, dei sociologi e di altri esperti del «lavoro su di sé», lo sviluppo del coaching per i lavoratori delle fasce più alte e del monitoraggio individuale obbligatorio per i lavoratori poveri e i disoccupati, l'esplosione di tecnologie di «cura del sé» nella società sono i sintomi di nuove forme di governo degli individui che passano anche e soprattutto attraverso il modellamento della soggettività. Prima di immergersi nell'esplorazione di questo modellamento della soggettività da parte dell'economia del debito, occorre soffermarsi ancora sulle trasformazioni operate dall'economia del debito sull'organizzazione del potere e dell'economia a un livello più generale dentro le nostre società contemporanee. Queste trasformazioni ci consentiranno di capire in cosa l'economia del debito abbia radicalmente trasformato le nostre possibilità di azione a un livello sia soggettivo che collettivo. Come il debito riconfigura il potere sovrano, disciplinare e biopolitico In che modo l'economia del debito e il rapporto creditore-debitore attraversano la più importante e più innovativa classificazione del potere, quella stabilita da Foucault.5 Quesf ultimo, pur producendo un'analisi notevole e in tempo reale dell'avvento del neoliberismo, ha saputo anticipare solo parzialmente la riconfigurazione del potere sovrano, del potere disciplinare e del potere biopolitico operata dal neoliberalismo.
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Il potere sovrano L'economia del debito riconfìgura anzitutto il potere sovrano dello Stato, neutralizzando e facendo concorrenza a una delle sue regie prerogative, la sovranità monetaria, ovvero il potere di creazione e di distruzione della moneta. Negli anni Settanta, la «finanza» ha avviato un processo di privatizzazione della moneta, che si è sviluppato in un secondo tempo e che è, per altro verso, la madre di tutte le privatizzazioni. Osserviamo da subito come, per salvare la privatizzazione della moneta minacciata dalla crisi finanziaria, i neoliberisti non abbiano esitato a invocare la «nazionalizzazione» delle perdite della crisi finanziaria del 2007, nazionalizzazione che consideravano, peraltro, come l'onore assoluto: quello dell'ingerenza dello Stato sulla libertà dei mercati. La finanza si è appropriata della maggior parte delle funzioni della moneta bancaria, al punto tale che la politica delle banche centrali è fortemente condizionata dalla richiesta di liquidità da parte della sfera finanziaria. La moneta scritturale, moneta che si esprime con semplici giochi di scrittura, viene emessa dalla banche private a partire da un debito - debito che in tal modo ne diventa l'intrinseca natura, così da prendere il nome di «moneta debito» o ancora «moneta di credito». Essa non è ricondotta ad alcun parametro materiale, non rimanda ad alcuna sostanza se non alla relazione col debito stesso. Così, con la moneta scritturale, non solo si produce il debito, ma la stessa moneta è «debito» e nient'altro che una relazione di potere tra creditore e debitore. All'interno della zona euro, l'emissione di moneta/debito priva-
to rappresenta il 9 2 , 1 % del totale della moneta in circolazione nell'aggregato monetario più importante. Anche la finanza fa concorrenza alla sovranità monetaria. I titoli negoziati sui mercati borsistici rappresentano una «forma embrionale di moneta». «La loro liquidità è solo parziale, [ma] il loro ambito di circolazione è già incredibilmente vasto, non solo come strumento di riserva, ma anche come strumento di scambio per alcune transazioni»^. Come suggerisce Marazzi l'offerta di moneta, a partire dagli anni Novanta, si è sviluppata indipendentemente da qualunque obiettivo quantitativo fissato dalle autorità monetarie centrali. Le banche centrali degli Stati si sono limitate a finanziare questa domanda di liquidità. L'«indipendenza» della Banca centrale nei confronti del Tesoro è in realtà il nome della sua dipendenza dai mercati. Nello stesso periodo, intorno all'economia del debito si è costituito un nuovo blocco di potere che vede agire congiuntamente ciò che ci si ostina a considerare separatamente: la cosiddetta economia «reale», l'economia «finanziaria» e lo Stato. È lo Stato che ha deliberatamente trasferito il proprio diritto assoluto di creazione monetaria al settore «privato». In realtà, contrariamente a quanto sostiene la grande maggioranza degli economisti, degli esperti e dei giornalisti, non esiste concorrenza e conflitto tra la politica finanziaria e la politica monetaria dello Stato, ma una nuova alleanza neoliberista che raggruppa le banche, gli investitori istituzionali, le imprese private, i governi, interi settori dell'amministrazione, ma anche i media e i rappresentanti del mondo accademico. Al4. A. Orléan, Lepouvoirdelajìnance,
Odile Jacob, Paris 1 9 9 9 , p. 242.
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leanza che, in forma sistematica, non smette di attaccare la logica del Wdfare e le sue spese sociali. Se esiste, appunto, un conflitto, esso si colloca tra due concezioni dello Stato e della politica monetaria e sociale dello Stato, ma è da tempo che il blocco neoliberista ha vinto e conserva una posizione egemonica all'interno dell'economia, delle amministrazioni, dello Stato, dei partiti politici, delle imprese e dei media. Questo nuovo blocco di potere non sarebbe mai riuscito a emergere senza l'intervento dei poteri pubblici (senza l'intervento dei governi, tanto di destra che di sinistra - in Francia sostanzialmente quello dei socialisti - , degli Stati e delle banche centrali). E, come dimostra l'ultima crisi finanziaria, è sempre lo Stato (come «prestatore di ultima istanza») a consentire la riproduzione di rapporti di potere capitalistici centrati sul debito. Contro le teorie del declino dello Stato-nazione e per affermarne al contrario la vitalità, si è osservato che il numero degli Stati-nazione è aumentato e non diminuito con l'avvento del neoliberismo. Ma il problema non sta in questo, poiché ciò che è cambiato sono le funzioni dello Stato-nazione, le sue modalità di intervento e le sue finalità. Al contempo, è sconvolgente vedere come le agenzie di rating, per conto del blocco di potere finanziario, del quale rappresentano un elemento strategico, siano quotidianamente in grado di far fare giri di valzer a Stati e governi greco, irlandese, islandese, portoghese, italiano, spagnolo (i sei governi saltati) e inglese, per parlare soltanto della crisi finanziaria più vicina. Il potere sovrano degli Stati è seriamente messo a repentaglio dall'intervento delle agenzie di rating, degli investitori 112
finanziari^ e delle istituzioni finanziarie quali ITmi. Gli Stati europei si limitano ad applicare politiche economiche e sociali dettate dai mercati (ovvero dal blocco di potere economico-politico-fìnanziario) a partire dal nuovo patto di stabilità europeo. Le elezioni che si svolgono in questi paesi si fanno su programmi economici già dettati dai vincoli economici e finanziari decisi all'esterno del territorio nazionale. Il potere disciplinare Dopo quest'analisi della riconfigurazione del potere sovrano degli Stati da parte dell'economia del debito, occorre vedere come quesfultima riconfiguri il principale potere disciplinare descritto da Foucault sulle orme di Marx, cioè l'impresa. Infatti, l'eutanasia del debito equivale all'eutanasia keynesiana del redditiere, ripristinando, come mai prima d'ora nella storia del capitalismo, il potere dell'azionista su tutti gli altri attori dell'impresa e soprattutto sui salariati. I detentori dei titoli di proprietà del capitale sono i soli, insieme ai manager, a loro volta trasformati in azionisti, a trarre beneficio dagli incrementi di produttività. 5. «Possiamo distinguere tre categorie di investitori istituzionali: i fondi pensione che gestiscono il risparmio della previdenza nei paesi in cui il finanziamento delle pensioni è fondato su un regime di capitalizzazione (soprattutto gli Stati Uniti e il Regno Unito); i fondi comuni o società di investimento dette anche Sicav (Società di investimento a capitale variabile) e le compagnie di assicurazione. Nell'economia mondiale il peso degli investitori è diventato considerevole. Alla fine del 2 0 0 6 , il portafoglio commerciale dei loro attivi ammontava a circa 6 2 . 0 0 0 miliardi di dollari, cifra che supera il Pil complessivo dei principali paesi industrializzati. Questa somma va raffrontata ai quasi 2 0 0 0 miliardi di attivi accumulati dalla Cina come conseguenza delle sue eccedenze commerciali», E. M. Mouhoud, D. Pilhon, Le savoirde lafinance, cit., p. 44.
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Così la finanza mette in atto un «governo» dell'impresa i cui principi generali sono i seguenti: «Primato dell'azionista sul dirigente dell'impresa; subordinazione della gestione dell'impresa all'interesse dell'azionista; in caso di conflitto di interesse, preponderanza dell'interesse dell'azionista»''. Decreta e impone all'impresa una nuova «misura» del valore che passa attraverso l'attuazione di nuove norme contabili internazionali, dette Ifrs (International Financial Reporting Standards), che sono state elaborate nell'esclusivo interesse degli investitori e degli azionisti e che sono state applicate a partire dal primo gennaio 2 0 0 5 a tutte le imprese europee quotate in borsa. Questa nuova contabilità deve permettere di confrontare le performance finanziarie delle imprese in qualunque momento e qualunque siano i settori di attività. Le norme commerciali considerano l'impresa come un attivo finanziario il cui valore è calcolato dal mercato. [...] Solo la «società di capitali» (società anonima, ad esempio) ha un'esistenza giuridica. Al contrario, l'impresa economica, nel senso di unità produttrice di beni e servizi, non è riconosciuta dalla legge. I soggetti di un'impresa che non siano gli azionisti, nella fattispecie i salariati, non sono considerati come proprietari della ricchezza prodotta, benché vi contribuiscano in modo diretto^ Sono gli azionisti o le istituzioni finanziarie che rappresentano l'impresa a decidere, a comandare e a 6. A. Orléan, Lepouvoirde iajìnance, cit.,p. 216. 7. E. M, Mouhoud e D, Pilhon, Le savoir de lafinance, cit., p. 75.
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ordinare le forme di valorizzazione, le procedure di contabilità, i livelli salariali, l'organizzazione del lavoro, i ritmi e la produttività al suo interno. La contrattualizzazione delle «relazioni sociali» è l'ennesima «innovazione» imposta dalla finanza. Nelle imprese, innanzitutto, e da qualche anno anche nei «servizi sociali», definisce un processo di individualizzazione volto a neutralizzare le logiche «collettive». Persino per il sussidio di disoccupazione o il reddito minimo sociale, i beneficiari devono firmare un «contratto individuale» per poter accedere al sussidio. Così, l'impresa non è piii un luogo di conflitto tra salariati e datori di lavoro e il servizio sociale non è più luogo di esercizio di poteri fortemente asimmetrici tra agenti che rappresentano l'amministrazione e utenti (disoccupati, malati, beneficiari di un sussidio). L'istituzione impresa o il servizio sociale è un insieme di contratti individuali, che lega tra loro diversi attori che, nel perseguimento del proprio interesse individuale, sono alla pari. Non c'è dunque contraddizione, ma convergenza, tra ciò che chiamiamo ancora economia reale ed economia virtuale. Gran parte dei redditi delle imprese è costituita da redditi finanziari. Gli investimenti in prodotti finanziari da parte di società non finanziarie sono aumentati più rapidamente rispetto ai cosiddetti investimenti produttivi in macchinari e forza lavoro. La dipendenza delle imprese nei confronti dei redditi finanziari continua ad aumentare. «Nella tendenza alla finanziarizzazione dell'economia non finanziaria, il settore manufatturiero non è solo quantitativamente predominante, ma è anche quello che fa da traino al processo». Questo basta, afferma Christian Marazzi, 5
per lasciar cadere definitivamente la distinzione tra economia reale ed economia finanziaria, proprio come occorre smettere di identificare il capitalismo col solo capitalismo industriale, sia dal punto di vista teorico che storico. Il potere biopolitico Infine, la politica del debito investe in pieno ciò che Foucault chiama biopotere. Non si limita a fare delle spese sociali la fonte di nuovi profitti per i creditori (assicurazione e investitori istituzionali), ma trasforma la natura stessa del Welfare. Alle assicurazioni «collettive» contro i rischi (vecchiaia, salute, disoccupazione, ecc. ) si sostituiscono, ogni volta che si può, le assicurazioni private. Riducendo contemporaneamente spese sociali e imposte (riduzioni che vanno a vantaggio in particolare delle imprese e degli strati più ricchi della popolazione), la politica neoliberista dello Stato opera un doppio processo: un trasferimento massiccio di risorse verso le classi piìi agiate della società e le imprese e un aumento dei deficit di bilancio come conseguenza delle politiche fiscali, deficit che diventano a loro volta fonte di reddito per quei creditori che acquistano i titoli del debito degli Stati. Così nasce il «circolo virtuoso» dell'economia del debito che fa dire a Warren Buffet, oracolo della borsa americana, con la franchezza e la lucidità propria dei reazionari: «In questo paese va tutto benissimo per i ricchi, non siamo mai stati così prosperi. È una lotta di classe, ed è la mia classe a vincere». In materia di Welfare, il processo strategico del programma neoliberista consiste in una progressiva trasformazione dei «diritti sociali» ii6
in «debiti sociali», che le politiche neoliberiste tendono a loro volta a trasformare in debiti privati, parallelamente alla trasformazione degli «aventi diritto» in «debitori» presso le casse di assicurazione contro la disoccupazione (per i disoccupati) e presso lo Stato (per i beneficiari di minimi sociali e di sussidi). La trasformazione dei diritti sociali in debiti e degli utenti in debitori è la realizzazione dell'individualismo patrimoniale che «ha per fondamento l'affermazione di diritti individuali, dentro una concezione di questi diritti del tutto finanziaria che li equipara a dei titoli»®. L'utente trasformato in «debitore», diversamente da ciò che accade sui mercati finanziari, non deve rimborsare con denaro contante, ma con comportamenti, atteggiamenti, modi di agire, progetti, impegni soggettivi, tempo dedicato alla ricerca del lavoro, tempo utilizzato per formarsi secondo i canoni dettati dal mercato e dall'impresa. Il debito rimanda direttamente a una disciplina di vita e a uno stile di vita che implicano un lavoro su di «sé», un negoziato permanente con se stessi, una produzione di soggettività specifica: quella dell'uomo indebitato. È proprio in questo senso che possiamo affermare che il debito riconfigura il potere biopolitico, implicando una produzione di soggettività propria all'uomo indebitato. Dunque, riconfìgurando il potere sovrano, il potere disciplinare e il potere biopolitico, l'economia del debito ricopre contemporaneamente una funzione politica, produttiva e distributiva.
. A. Orléan, Lepouvoirde lafinance., cit., p. 244.
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La governamentalità neoliberista alla prova del debito: egemonia o governo? Cos'è il capitalismo? Avendo già esplorato la riconfigurazione compiuta dall'economia del debito sulle diverse forme di potere, occorre ora interrogarsi più precisamente su come nel capitalismo si eserciti il potere. Cosa si intende per economia del debito e che rapporto possiamo stabilire tra il capitale finanziario, il capitale industriale e lo Stato? Possiamo parlare di egemonia del capitalismo finanziario sulle altre forme del capitale (industriale, mercantile)? Domande insidiose, i cui termini sono forse mal posti. È inutile cercare un fondamento a ciò che chiamiamo capitalismo (l'industria, la finanza, Io Stato o la produzione di conoscenza), poiché non esiste un nucleo unico dal quale deriverebbero le sue relazioni di potere, e non esiste u n luogo, un'istituzione, un dispositivo più strategico degli altri, nel quale si concentri il suo potere e dal quale effettuare trasformazioni (siano esse neoliberiste o rivoluzionarie). Non c'è un unico rapporto (economico, politico, di indebitamento, di conoscenza) che possa contenere, totalizzare e dominare tutti gli altri. Ciascun dispositivo economico, politico o sociale produce gli effetti di potere che gli sono propri, attiva tattiche e strategie specifiche e investe i «governati» secondo processi di assoggettamento e di asservimento differenti. Ma, allora, perché parlare di economia del debito? Ciò che io chiamo economia del debito è un concatenamento che tiene insieme queste molteplicità. L'unità di tale molteplicità non è sistemiii8
ca, ma operativa, cioè costituisce una «politica» che dà luogo a composizioni e unificazioni sempre parziali e temporali. E, nel capitalismo, la «politica» è sempre definita in relazione alle urgenze e agli imperativi del conflitto di classe. La necessità di reagire e di superare i rapporti di forza cristallizzati a partire dal '68 ha portato alla costituzione di un blocco di potere che ha agito, spesso a tentoni, su diversi dispositivi di potere contemporaneamente (privilegiando di volta in volta il mercato, l'impresa o lo Stato). Ma la trama di fondo che tiene insieme tali dispositivi è la relazione creditore-debitore, che non ha avuto sempre lo stesso peso, né la stessa funzione, ma che si è rivelata essere, pragmaticamente, quella più utile ed efficace. La crisi del 2 0 0 7 ne ha ulteriormente accresciuto l'utilità e l'efficacia agli occhi del potere neoliberista, coniugando «estrazione del plusvalore» e controllo della popolazione a un livello di generalizzazione e di trasversalità che il capitalismo industriale non è in grado di garantire. La relazione creditore-debitore è quella maggiormente in grado di gestire la crisi della dinamica liberista, poiché fa passare in primo piano la questione della proprietà. Ma si tratta per questo di egemonia.^ Il concetto gramsciano di «egemonia» (egemonia del capitale finanziario) sembra essere meno operazionale di quello, foucaultiano, di «governamentalità». Il capitalismo non è una struttura o un sistema: esso si elabora, si trasforma, si organizza e si dota di procedure più o meno adeguate, a seconda degli imperativi dello sfruttamento e del dominio. Il potere del capitalismo, come il mondo che vuole dominare e fare proprio, è sempre in corso. Il blocco di potere che si è com119
pattato attorno all'economia del debito è costituito da relazioni di potere che sono al tempo stesso eterogenee - perché rispondono a logiche differenti (lo Stato con le sue funzioni regie e di controllo della popolazione attraverso lo Stato sociale; l'industria e la sua accumulazione che passa per il lavoro; la finanza che pretende di far a meno del lavoro; il politico che organizza il consenso, ecc.) - e complementari - perché fanno fronte allo stesso «nemico». Ciò che li unisce e li consolida o li separa e li indebolisce è lo svolgimento della lotta di classe. La loro unità e i rapporti di forza interni sono un processo politico di composizione che non è presupposto, poiché risultato di una costruzione. Per usare le parole di Lenin, la governamentalità ha prodotto un capitalista collettivo che non si concentra sulla finanza, ma opera trasversalmente dentro l'impresa, l'amministrazione, i servizi, i partiti politici, i media e l'Università. Questa soggettivazione politica dota i capitalisti della stessa preparazione, della stessa visione dell'economia e della società, dello stesso vocabolario, degli stessi metodi: insomma, della stessa politica. Se la governamentalità neoliberista è senza dubbio costruita intorno al debito - che ingloba le altre relazioni di potere in modo sempre problematico - occorre storicizzarne lo sviluppo, poiché, passando da una sequenza politica all'altra, si modifica. Quella che Foucault descrive in Nascita della biopolitica non sembra più adatta a spiegarne l'operato a partire dagli anni Novanta, poiché ciò che la governamentalità limiterà è appunto la produzione della libertà, di cui Foucault fa la condizione del «liberalismo». La libertà, nel liberalismo, è sempre e in primo luogo la libertà della proprietà privata e dei proprietari. Quando
questi «diritti dell'uomo» vengono minacciati - dalla crisi, dalla rivolta o da tutf altri fenomeni - per garantire la loro perpetuazione occorrono regimi di governamentalità diversi da quello liberale. Così, il problema di «governare il meno possibile» ha creato le condizioni e ha poi lasciato il campo - come sempre nella storia del capitalismo - a politiche molto più autoritarie. Leggendo Nascita della biopolitica, alla luce di ciò che succede oggi, siamo colpiti da una certa ingenuità politica, poiché la parabola che il «liberalismo» traccia conduce sempre agli stessi risultati: crisi, restrizione della democrazia e delle libertà «liberali» e attuazione di regimi più o meno autoritari, a seconda dell'intensità della lotta di classe portata avanti per mantenere i «privilegi» della proprietà privata. Dunque, è sempre pragmaticamente e storicamente che occorre interrogarsi sulla funzione dei diversi rapporti di potere, domandandosi non cosa sia il capitalismo, ma come funzioni a partire dalla lotta di classe, di cui solo i grandi reazionari parlano con qualche pertinenza - come Warren Buffet, l'uomo di riferimento della borsa americana. La crisi dei subprime È per questo che la crisi che stiamo vivendo non è soltanto una crisi finanziaria, ma anche un fallimento della governamentalità neoliberale sulla società. Il modo di governo fondato sull'impresa e sull'individualismo proprietario è fallito. La crisi, svelando la natura delle relazioni di potere, porta a forme di controllo molto più «repressive» e «autoritarie», che non devono più preoccuparsi della retorica della «libertà». 121
della creatività e dell'arricchimento come negli anni Ottanta e Novanta. Nella sua genealogia e nel suo sviluppo, la crisi dei subprìme mostra il funzionamento di un blocco di potere, in cui l'economia «reale», la finanza e lo Stato costituiscono gli ingranaggi di uno stesso dispositivo e di uno stesso progetto politico, che abbiamo chiamato economia del debito. Anche qui, l'economia «reale» e la «speculazione» finanziaria sono indivisibili. Mentre l'economia «reale» impoverisce i governati in quanto «salariati» (blocco dei salari, precarietà ecc.) e in quanto detentori di diritti sociali (riduzione dei sostegni al reddito, diminuzione dei servizi pubblici, dei sussidi di disoccupazione, delle borse di studio per gli studenti, ecc.), la finanza promette di arricchirli con il credito e l'azionariato. Nessun aumento di salari diretti e indiretti (pensioni), ma crediti al consumo e spinta alla rendita finanziaria (fondi pensione, assicurazioni private); nessun diritto all'alloggio, ma prestiti immobiliari; nessun diritto alla scolarizzazione, ma prestiti per pagare gli studi; nessuna garanzia sociale contro i rischi (disoccupazione, sanità, pensione), ma investimenti nelle assicurazioni individuali. Il dipendente e l'utente della previdenza sociale devono rispettivamente guadagnare e spendere il meno possibile per ridurre il costo del lavoro e il costo della previdenza sociale, mentre i consumatori devono spendere il più possibile per smaltire la produzione. Ma, nel capitalismo contemporaneo, il dipendente, l'utente e il consumatore finale coincidono. Ed è la finanza a pretendere di risolvere questo paradosso. La crescita economica neoliberista determina differenziali di reddito e di potere sempre più importanti, impoveren122
do i salariati, gli utenti e una parte della classe media, mentre pretende, dall'altro lato, di arricchirli, con un meccanismo molto ben esemplificato dai crediti subprime: ridistribuire redditi senza intaccare i profitti, ridistribuire redditi riducendo le imposte (soprattutto ai ricchi e alle imprese), ridistribuire redditi tagliando i salari e le spese sociali. In questa condizione di deflazione salariale e di distnizione dello Stato sociale, per arricchire tutti non resta altro che il ricorso al credito. Come fiinziona questa politica.^ «Hai un salario basso, non c'è problema! Indebitati per comprare una casa, il suo valore aumenterà e diventerà la garanzia per altri prestiti». Ma non appena aumentano i tassi di interesse, questo meccanismo di «distribuzione» dei redditi attraverso il debito e la finanza - crolla. La logica del debito/credito è una logica politica di governo delle classi sociali all'interno della globalizzazione. La gestione dei subprìme lo esprime in modo paradigmatico. L'esplosione del mercato immobiliare e del credito facile sono stati due modi per tranquillizzare i lavoratori e la classimedia e per farli aderire al programma a lungo termine del «regime liberista». Quando ci si potevano permettere, a credito, una casa, una macchina, vacanze a Parigi, si era obbligati a credere nel successo dello globalizzazione. Adesso, cominciano a rendersi conto che era una strategia di Wall Street per sottrargli fino all'ultimo dollaro del patrimonio. Ma ormai non sanno più dove sbattere la testa, perché la casa era la loro ultima riserva patrimoniale in caso di necessità"'. 9. Intervista a Robert Manning, autore del best-seller: Credit Card Nation, Basic Books, New York 2 0 0 1 .
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L'economia americana è fondamentalmente un'economia del debito. La finanza non rappresenta principalmente un fenomeno di speculazione, ma costituisce il motore della crescita e ne definisce la natura. Il 30 giugno 2008, il debito aggregato degli Stati Uniti - famiglie, imprese, banche e pubblica amministrazione - supera i 51.000 miliardi di dollari, a fronte di un Pil di 14.000 miliardi di dollari. Negli ultimi otto anni (gli anni di Bush), negli Stati Uniti, il debito medio delle famiglie è aumentato del 22%; l'ammontare dei prestiti non pagati è aumentato del 15%: il debito degli studenti universitari è raddoppiato. L'insegnamento di uri «arte del vivere indebitati» è ormai parte integrante dei programmi americani di educazione nazionale. L'aumento della domanda non si realizza più, in sostanza, attraverso il debito pubblico, ma attraverso il debito privato, scaricando i costi e i rischi sulle famiglie «indebitate». L'indebitamento degli ultimi anni ha quindi fortemente contribuito allo sviluppo e all'espansione della finanza e, del resto, è a partire del credito immobiliare che è scoppiata l'ultima crisi finanziaria. In altri termini, come sostiene Christian Marazzi, per sorreggere la domanda globale di beni e servizi, si è passati dal deficit spending pubblico al deficit spending privato. Il debito pubblico non è affatto scomparso, soprattutto negli Stati Uniti, dove la leva fiscale è estremamente insufficiente per equilibrare la crescita delle spese pubbliche. Ciò nonostante, il sostegno alla domanda globale avviene attraverso i mercati finanziari e le banche, come nel caso dei suhprìme. La finanza è una macchina da guerra per la privatizzazione, che trasforma i diritti sociali in crediti, in 124
assicurazioni individuali e in rendita (azionaria), e quindi in proprietà individuale. Andate tutti dal vostro banchiere, la finanza ha scovato le tecniche più sofisticate per trasformarvi in proprietari e in consumatori a carta di credito. A essere fallita non è la «speculazione», la presunta divaricazione tra finanza ed economia reale, ma la pretesa di arricchire tutti senza mettere mano al sistema della proprietà privata. All'interno del capitalismo, la proprietà è lo scoglio di tutte le politiche: hic Rhodus, hic saltai A questo livello, la lotta di classe si esprime nello scontro tra due modelli di «socializzazione» della ricchezza: diritti per tutti e garanzie sociali versus crediti e assicurazioni individuali. A crollare è il progetto politico di trasformare tutti in «capitale umano» e imprenditori di se stessi. Con i subprime, i capitalisti hanno creduto alla loro stessa ideologia: trasformare chiunque in «proprietario», ivi inclusi i «più poveri della working class e della classe media». «Tutti proprietari!», annunciava il programma elettorale di Sarkozy, mentre lo slogan originale di Bush parlava di «società dei proprietari». Ciò che viene ratificato, al contrario, è la riconversione della maggioranza della popolazione in debitori e di una minoranza in redditieri. Il fallimento dell'individualismo proprietario porta in primo piano l'economia del debito e il risvolto meno felice della relazione creditore-debitore, quella del rimborso. L'economia del debito ha obiettivi fortemente politici: la neutralizzazione dei comportamenti collettivi (garanzie sociale, solidarietà, cooperazione, diritti per tutti) e della memoria storica delle lotte, delle azioni, delle organizzazioni collettive dei «salariati» e dei «proprietari». La crescita trainata dal credito (finanza) 125
pensa in questo modo di esorcizzare il conflitto. Confrontarsi a soggettività che considerano i sussidi, le pensioni, la formazione ecc. come diritti collettivi garantiti dalle lotte non è la stessa cosa che governare «debitori», piccoli proprietari, piccoli azionisti. La crisi dei subprime non è quindi unicamente una crisi finanziaria: segna anche il fallimento del programma politico dell'individualismo proprietario e patrimoniale. Questa crisi è prevalentemente simbolica, poiché attiene alla rappresentazione per eccellenza della «proprietà individuale»: la casa. A breve termine, il fallimento delle politiche neoliberiste sarà l'occasione, per il blocco di potere costituito dall'economia del debito, di trarre vantaggio dalla situazione di crisi in cui ha fatto sprofondare il mondo intero. Chi pagherà le montagne di debiti accumulati per salvare le banche e il sistema di potere dell'economia del debito.^ Non c'è alcun dubbio sulla risposta del blocco di potere neoliberista. Ma si tratta di una strategia in cui gli apprendisti stregoni neoliberisti rischiano di non riuscire a controllare granché! La crisi del debito sovrano Il problema del debito è ancora e sempre presente. È semplicemente slittato dal debito privato al debito sovrano degli Stati. Le enormi somme che gli Stati hanno concesso alle banche, alle assicurazioni e agli investitori istituzionali devono ora essere «rimborsate» dai contribuenti (e non dagli azionisti e dai compratori di titoli). Il carico più importante peserà sui salariati, sugli utenti dello Stato sociale e sugli strati più poveri della popolazione. Con il denaro «pubblico» si 126
sono salvate le banche, nazionalizzandone le perdite. L'iniezione monetaria da parte dello Stato nella società - che in realtà, come abbiamo visto con Deleuze, è un flusso di potere - ha tentato di ristabilire e riconsolidare il rapporto di forza tra creditori e debitori. Gli Stati non hanno portato aiuto a una struttura funzionale di finanziamento dell'economia reale, ma a un dispositivo di dominio e di sfruttamento proprio del capitalismo contemporaneo. E, non senza cinismo, i costi della restaurazione di questa relazione di sfruttamento e di dominazione si faranno pagare a coloro che la subiscono. Qui si apre una nuova sequenza politica, di cui è impossibile anticipare le conseguenze. La volontà di approfittare della crisi per portare a compimento il programma neoliberista (riduzione dei salari a un livello di sussistenza, riduzione delle spese sociali e trasformazione dello Stato sociale, intensificazione delle privatizzazioni) è per il Capitale un programma rischioso, poiché indebolisce lo Stato - dispositivo centrale del controllo politico e del modellamento della soggettività - inasprendo la lotta di classe. Prestando fede alla loro stessa retorica, secondo la quale il mercato non ha bisogno dello Stato, le agenzie di rating hanno aperto le ostilità, indicando su quale debito sovrano puntare (europeo innanzitutto!). Mettendo gli Stati in condizioni di fallimento, permettono d'imporre ai paesi in deficit politiche salariali e sociali che la governance neoliberista sognava dagli anni Settanta. Poiché «non ci sono alternative», occorre dunque rimborsare dei creditori già arricchiti da quaranf anni di predazione del debito pubblico. La Grecia - dopo che nel 2 0 I 0 ha abbassato i salari, aumentato l'età pensio127
nabile, bloccato le pensioni, aumentato l'Iva - mette in atto, su richiesta dell'Europa e dell'Fmi, un secondo piano che, sommando austerità ad austerità, prevede 6 miliardi di euro di tagli nel 2011, 26 miliardi tra il 2 0 1 2 e il 2015, privatizzazioni (l'azienda elettrica, la lotteria, il vecchio aeroporto di Atene, alcuni porti e marine) equivalenti a 50 miliardi di euro, un aumento settimanale del lavoro dei dipendenti statali di 2 ore e mezza e la soppressione di 2 0 0 . 0 0 0 posti di lavoro nel settore pubblico. Nel 2 0 1 0 , 1 2 0 . 0 0 0 negozi hanno chiuso; nel 2011, è stata la volta di 6 0 0 0 ristoranti, a fronte di una diminuzione dell'affluenza del 54%. Tutto ciò che vale qualcosa deve essere svenduto. Che le entrate per lo Stato diminuiscano proporzionalmente non sembra preoccupare l'Fmi e quel covo di neoliberisti che è l'Europa. La sola cosa che importa è che i creditori (e soprattutto le banche tedesche e francesi, che, detenendo alcuni titoli del debito greco, si vedranno salvate una seconda volta dal denaro «pubblico») vengano rimborsati. Per essere sicuri della buona riuscita di tale programma, la vendita di tutti questi attivi dovrà essere posta sotto sorveglianza, se non sotto la responsabilità, di esperti stranieri. Con questo nuovo piano di «aiuto», il debito della Grecia è passato dal 150 al 1 7 0 % del Pir°. I piani di salvataggio dell'Europa IO. Curiosità a proposito dei greci: non accade spesso, in un giornale di economia, che si prenda in giro la retorica del «lavoro», centrale tanto nei discorsi del socialista Jospin quanto in quelli del conservatore Sarkozy. Il titolo dell'articolo rovescia il famoso slogan della campagna elettorale di quest'ultimo: «Lavorare di più per... indebitarsi di piti». Prendendo a pretesto una dichiarazione di Angela Merkel a proposito della Grecia - «Non possiamo avere una moneta comune e una situazione in cui alcuni hanno molte più ferie e altri molte meno, perché a lungo andare la cosa non funziona», rilasciata con dati Ocse alla mano - , Philippe Brossard, presi-
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e dell'Fmi stanno per far affondare anche l'Irlanda in una recessione e in una disoccupazione di cui non si vede l'uscita. Un economista americano, John Coffee, in un'intervista rilasciata il 9 lugho 2 0 1 1 a «La Stampa», quotidiano del gruppo Fiat, parlando del debito pubblico italiano - oggetto di attacchi da parte dei mercati nei primi giorni di luglio - svela cosa ci sia dietro il salvataggio della Grecia. A una domanda relativa alla situazione del debito italiano, i cui titoli sono detenuti in gran parte dalle «famiglie» italiane, quindi da piccoli e piccolissimi risparmiatori, risponde: In assoluto, è vero che il fatto che il debito sia nelle mani delle famiglie dà stabilità, ma siamo in una fase in cui la Grecia rischia il fallimento e la Banca centrale europea vuole evitarlo per salvare le banche francesi e tedesche, che ne subirebbero le conseguenze. Se, al contrario, fosse stata l'Italia a essere in fallimento, l'onere maggiore sarebbe toccato alle famiglie e non alle banche europee. Questo può portare la dente di Macrorame (società indipendente di studi economici e finanziari) si diverte a torchiare i cliché «lavoristi». I campioni del lavoro sono i greci, con 2 1 1 9 ore all'anno. «Lavorano» il 5 2 % in più rispetto ai tedeschi (1380 ore). Inoltre, lavorano per un periodo piìi lungo. In Grecia, il 3 1 % della popolazione tra i 59 e i 65 anni lavora, contro il 2 3 % della Germania. La produttività del lavoro (produzione per ora lavorata) è, sempre secondo rOcse, di 34 dollari l'ora in Grecia, contro i 57 degli Stati Uniti, i 55 della Francia e i 53 della Germania. Lontana da queste performance, è di poco inferiore a quella del Giappone (38 dollari), m a superiore a quella della Corea (25 dollari). La conclusione logica del finanziere: più si lavora, più ci si indebita. Dal finanziere questo paradosso economico sarà chiamato la congettura di Salvador-Merkel: «duplice omaggio» alla nostra rude formichina tedesca, che strigliando le cicale meridionali ci ha riportato sulla buona strada, e a Salvador (Henri, non Dali), che aveva anticipato l'idea nel 1965: «Il lavoro è la salute (della finanza). Non c'è niente da fare. Bisogna conservarlo».
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Bce ad aiutare prima la Grecia che l'Italia. I mercati lo sanno bene e si comportano di conseguenza. I mercati lo sanno, mentre i giornalisti, apparentemente, lo ignorano. Immaginiamo per un solo istante cosa succederebbe se i media avessero il coraggio di dire la verità, sostituendo ogni volta l'annuncio «salvataggio della Grecia» con «salvataggio delle banche francesi e tedesche»: ci ritroveremmo in tutf altro quadro politico. II Portogallo, dopo quattro piani di austerità in un anno - nel tentativo di sfuggire ai piani di salvataggio dell'Europa e dell'Fmi, che, come ha recentemente ricordato l'ex presidente brasiliano Lula, impongono condizioni che aggravano i problemi anziché risolverli - ha dovuto accettare un aiuto di 80 miliardi di dollari, che ha immediatamente distribuito ai propri creditori (le banche) francesi, spagnoli e tedeschi, che detengono la maggior parte del suo debito. Quanto agli islandesi, dovrebbero pagare 1 2 . 2 0 0 euro a persona per il fallimento di una banca privata. Unici cittadini a essere stati consultati con un referendum, hanno rifiutato per due volte i piani di austerità proposti. Il governo inglese ha realizzato un piano di austerità che prevede di ridurre di 81 miliardi di sterline (92,7 miliardi di euro) le spese pubbliche da qui al 2015 - il che significa, per le collettività locali, una riduzione media del 2 8 % del loro budget in questo arco di tempo. In altri paesi europei, che le agenzie di rating non hanno ancora abbattuto completamente, e persino in paesi come la Germania, sono in atto piani di austerità del valore di miliardi di euro, che colpiscono i salari, i redditi e gli stili di vita degli stessi strati sociaH. 130
Ma è negli Stati Uniti, epicentro della crisi e culla del neoliberismo, che le politiche neoconservatrici rischiano di andare al fondo della propria logica, approfittando della crisi finanziaria. Il democratico Obama si vanta di aver negoziato il più importante taglio nelle spese sociali mai realizzato negli Stati Uniti, come se si dovesse andare orgogliosi di un nuovo New Deal, ma al contrario. Nel novembre 2010, ha concluso un accordo con il Congresso americano, ormai a maggioranza repubblicana, per prolungare di due anni le riduzioni fiscali concesse da Bush alle fasce più ricche della popolazione. La legge Obama-Bush, come è stata chiamata negli Stati Uniti, estende la riduzione fiscale anche a coloro che hanno un reddito superiore a 250.000 dollari. Questi ricchi rappresentano solo il 5% della popolazione, ma le loro imposte costituiscono oltre il 4 0 % delle entrate fiscali relative all'imposta sui redditi. In cambio di qualche spicciolo ai disoccupati, il regalo ai ricchi è stato più che sostanzioso: intorno ai 315 miliardi di dollari in due anni. Per avere un'idea dell'ordine di grandezza di questo regalo, occorre ricordare che, nel 2008, il sostegno dello Stato americano alla propria economia ammontava a 800 miliardi di dollari in due anni, il più consistente nella storia del paese. Ciò nonostante, i neoconservatori si sono dedicati con pazza gioia alla drastica riduzione delle spese del Welfare in differenti Stati della federazione, aspettando di imporre le stesse politiche allo Stato federale. In un'intervista, Arianna Huffmgton ricorda che queste politiche sono attive in quarantacinque Stati dell'Unione". Nel II. «Un americano su cinque è senza lavoro o sottoimpiegato. Un credito immobiliare su otto sfocia in un pignoramento. Un americano su otto vive di buoni pasto. Ogni mese, oltre 1 2 0 . 0 0 0 famiglie dichiarano falli-
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febbraio 2011, per tre giorni, migliaia di contestatori, sindacalisti e democratici insieme, hanno manifestato a Madison, capitale del Wisconsin, contro i progetti del nuovo governatore, il repubblicano Scott Walker, che si è fatto eleggere con la promessa di riassorbire i deficit di bilancio pur riducendo le imposte. Il suo progetto avrebbe dovuto consentire di risparmiare 300 milioni di dollari (intorno ai 220 milioni di euro) nei successivi due anni (il deficit di bilancio dello Stato è di 5,4 miliardi). Il progetto di riduzione del debito prevedeva di congelare parzialmente, per via legislativa, i salari dei dipendenti pubblici, di ridurre le loro pensioni e altre componenti della loro copertura sociale e di annullare una serie di diritti sindacali, non ultimo degli obiettivi dei politici dell'austerità in tutto il mondo. I negoziati sul tetto del debito, tra democratici e conservatori, assomigliano a una caricatura, purtroppo ben fatta, della lotta tra classi sociali in America. I conservatori non vogliono toccare gli scandalosi vanmento. La crisi economica ha fatto piazza pulita di oltre 5 0 0 0 miliardi di dollari di fondi pensione e risparmi! Tanto più che, parallelamente, massicci tagli di bilancio si sono abbattuti su molti servizi pubblici [...]. Almeno quarantacinque Stati hanno tagliato servizi fondamentali per i più deboli: bambini, anziani, portatori di handicap, malati, senza tetto. Per non parlare degli studenti, bersaglio sistematico. Il diavolo si nasconde nei dettagli. La California ha appena soppresso CalWORKs, un programma di assistenza economica alle famiglie in stato di necessità: 1,4 milioni di persone, di cui due terzi bambini. Il Maine ha ridotto drasticamente le borse di studio e i fondi agli alloggi per senza tetto. L'Alabama ha abolito i servizi che permettevano a i i o o anziani di restare a casa propria piuttosto che andare in case di cura. Il Michigan, il Nevada, la California e lo Utah hanno soppresso i rimborsi delle spese dentistiche e oftalmologiche ai beneficiari di Medicaid, l'assicurazione sanitaria dei più poveri. Potrei continuare l'elenco. E, mentre la miseria si insedia nel paese, continuiamo a spendere miliardi per guerre inutili». Arianna Huffmgton, Third World America: How Our PoUticians Are Abandoning the Middle Class and Betraying the American Dream, Crown, New York 2 0 1 0 .
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taggi fiscali concessi ai ricchi e alle imprese e vogliono ottenere la riduzione del deficit con tagli selvaggi alle spese sociali, cioè vogliono applicare al bilancio federale ciò che è già in atto negli Stati dell'Unione. La Francia, a partire dall'inizio degli anni Duemila, ha velocemente recuperato il ritardo sugli Stati Uniti quanto alle politiche fiscali favorevoli ai ricchi (in particolare ai più ricchi tra i ricchi") e alle imprese. Il dibattito che si è sviluppato in parallelo, nella primavera del 2 0 I I , sui beneficiari di sussidi e sull'imposta sul patrimonio, è l'ennesima versione, del tutto priva di remore, della lotta di classe portata avanti dalle politiche fiscali e sociali: applicare una «doppia pena» ai beneficiari di un Reddito minimo di solidarietà (400 euro al mese). In quanto colpevoli della loro situazione, costoro dovrebbero rispettare i «doveri» che gli vengono imposti (obbligo di controllo individuale, obbligo di accettare qualunque offerta ragionevole di impiego dopo aver rifiutato due volte) e fornire, inoltre, lavoro gratuito, proprio mentre il governo francese stacca un assegno di vari miliardi di euro ai contribuenti dell'Isf (Imposta di solidarietà sul patrimonio), riducendo quasi a un quarto l'imposta sul patrimonio dei più ricchi (il tasso applicabile oltre i 17 milioni di euro di patrimonio passerà dall'i,8 allo 0,5%!). Le nicchie fiscali, che costituiscono un ulteriore dispositivo di «assistenza» ai ricchi, rappresentano tra i 60 e gli 12. Nel 2 0 1 0 , lo scudo fiscale aveva permesso a 925 contribuenti, con un patrimonio superiore ai 16 milioni di euro, di guadagnare dal fisco in media 381.000 euro. La legge Tepa del 2007 che avrebbe dovuto - senza scherzo - favorire il lavoro, l'impiego e il potere d'acquisto, ha prodotto, oltre una riduzione senza precedenti dell'imposizione fiscale sulle successioni e le donazioni, una generale retorica sul lavoro che, in ultima istanza, si è risolta unicamente nel sostegno al patrimonio.
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8o miliardi di euro all'anno, e vengono offerte senza alcuna contropartita, né in termini di doveri, né in termini di «lavoro socialmente utile». Miliardi di cui le classi sociali più disagiate dovranno farsi carico. Attraverso il debito sovrano, l'uomo indebitato rischia di diventare la condizione economico-esistenziale più diffusa al mondo. E allora, lo scacco subito dalla governamentalità neoliberista al momento della crisi dei subprime rischia di trasformarsi, a breve termine, in una vittoria a favore dell'economia generalizzata del debito. È dunque necessario vedere come, attraverso la crisi del debito sovrano, la logica del debito investa ciò che Foucault chiamava il «sociale». Il debito e il mondo sociale I tre debiti: privato, sovrano e sociale Nei periodi di crisi, come quello che oggi imperversa, non è diffìcile vedere su cosa si fondi la «fiducia» di cui parlano continuamente i politici, gli economisti e gli esperti. Certamente non sugli altri uomini, su di sé e sul mondo. Si fonda su dispositivi di potere capaci di riprodurre e di governare le relazioni di sfruttamento e di dominio del capitalismo e soprattutto sulla moneta e sul debito sovrano dello Stato come garanzia, insomma sulla loro continuità. La moneta (debito) privata ci ha fornito l'ennesima dimostrazione della sua incapacità a garantire la riproduzione delle relazioni di potere e il loro governo con una strategia diversa da quella dell'avidità, dell'appropriazione privata, della sete di arricchimento personale e dello sfruttamento di tutte le risorse fisiche, intellettuali e 134
morali. Lo Stato, anche quando ci riesce, non ripristina la fiducia, ma la «sicurezza», della quale è l'unico a poter garantire l'esercizio. Il coordinamento dei debiti privati richiede ancora l'intervento della trascendenza dello Stato. È il debito sovrano e non il mercato, in ultima analisi, a garantire e a rendere possibile la circolazione dei debiti privati. Così, la privatizzazione della moneta sfocia necessariamente su ciò che i liberali dicono di detestare, ovvero l'intervento della potenza dello Stato. È ciò che la crisi attuale rivela: l'emissione privata della monetacredito non può che fare appello all'intervento dello Stato, visto che i debiti privati sono privi di un coordinamento immanente (l'autoregolazione del mercato). È a questo punto che accade una cosa sorprendente, che dà la misura della «follia» del capitalismo: il debito sovrano è, a sua volta, oggetto e occasione di speculazione da parte dei creditori e dei loro rappresentanti, dediti a distruggere in modo sistematico la mano molto visibile che li ha salvati. Non saremo noi a rimpiangere questa «follia» che in fondo mina uno dei fondamenti del controllo della popolazione, lo Stato-nazione e la sua amministrazione! Passando di crisi in crisi finanziaria, entriamo in uno stato di crisi permanente che poco sotto chiameremo «catastrofe», per indicare la discontinuità con il concetto di crisi. Così, nel fenomeno monetario e nel credito, ritroviamo anche le impasse del capitalismo descritte da Foucault nella Nascita della biopolitica: per poter governare contemporaneamente l'eterogeneità dell'economia e quella del politico occorre un terzo elemento, un terzo piano di riferimento: il sociale. Il potere politico del sovrano, secondo Foucault, si esercita infatti 135
su un territorio (e su soggetti di diritto) che è abitato anche dai soggetti economici che, anziché detenere dei diritti, hanno interessi (economici). ìlhomo oeconomicus è una figura eterogenea e non sovrapponibile alìhomojurìdicus. L'uomo economico e il soggetto di diritto danno luogo a due processi costitutivi radicalmente eterogenei: ogni soggetto di diritto si integra nella comunità politica con una dialettica di rinuncia, poiché la costituzione politica presuppone che il soggetto giuridico trasferisca i propri diritti a qualcun altro. L'uomo economico, al contrario, si integra nell'insieme economico con una moltiplicazione spontanea dei propri interessi, senza rinunciarvi. Al contrario, è soltanto perseverando nel proprio interesse egoistico che c'è soddisfazione dei bisogni di tutti. Secondo Foucault, né la teoria giuridica, né la teoria economica, né la legge, né il mercato sono in grado di conciliare questa eterogeneità. Occorre un nuovo ambito, un nuovo campo, un nuovo piano di riferimento che non sarà né l'insieme dei soggetti di diritto né l'insieme dei soggetti economici. Affinché la governabilità possa conservare il proprio carattere globale e non si separi in due branche (arte di governare economicamente e arte di governare giuridicamente), il liberismo inventa e sperimenta un insieme di tecniche di governo che si esercitano su un nuovo piano di riferimento: la società civile, la società o il sociale. La società sarà l'oggetto di questa grande macchinazione che raggiungerà il massimo sviluppo nel Welfare. Per poter governare, occorre introdurre lo Stato sociale tra l'economia e il sistema politico, occorre introdurre i diritti sociali tra i diritti politici e gli interessi economici. La società non è lo spazio in cui si producono una 136
certa distanza o una certa autonomia rispetto allo Stato, ma il correlato delle tecniche di governo. La società non è una realtà prima e immediata, ma qualcosa che fa parte della moderna tecnologia del governo, che ne è il prodotto. La questione del debito si articola alla stessa maniera. Tra il debito privato e il debito sovrano dello Stato, occorre introdurre il «debito sociale» (lo Stato sociale), un debito la cui gestione, attraverso ciò che Foucault descrive come tecnologia di controllo «pastorale», permette l'individuaUzzazione del governo dei comportamenti e la totalizzazione della regolazione delle popolazioni. È così che possiamo collegare i processi di soggettivazione che esamineremo agli aspetti più macroeconomici dell'economia del debito, ed ecco perché ci è sembrato necessario pensarli insieme. Collegarli è tanto più importante quanto il fallimento della governamentalità neoliberista dimostrata dall'ultima crisi economica e finanziaria non farà che accentuare questa logica di investimento della sfera sociale da parte dell'economia del debito nelle nostre società. In questo modo, al concatenamento tra mercato, Stato e sociale, che definisce il governo della società in Foucault, corrisponde il concatenamento di tre debiti che definiscono il governo della moneta/debito: il debito privato, il debito sovrano e il debito sociale (il debito dello Stato sociale). Affinché la governamentalità possa operare, occorre introdurre, tra le polarizzazioni che il capitalismo instancabilmente riproduce (l'individualismo del mercato e il collettivismo dello Stato, la libertà individuale e la libertà totalizzante dello Stato), la gestione allo stesso tempo individualizzante e totalizzante del debito sociale. Gli eventi accaduti da137
gli anni Novanta, e che hanno conosciuto una forte accelerazione nel corso del primo decennio del nuovo secolo, segnano una discontinuità rispetto alle affermazioni di Foucault in Nascita della biopolitica. Nella crisi, l'eterogeneità dell'homo oeconomicus e dell'homo juridicus non è piìi garantita dal «sociale», ma dalla produzione dell'homo debitor (l'uomo indebitato). Per operare la conversione della produzione del sociale nella produzione dell'uomo indebitato, occorre operare una conversione dello Stato sociale, luogo privilegiato di questa produzione; cosa che il blocco di potere costruito intorno alla politica del debito è impegnato a fare da quaranfanni. Anche qui gli attrezzi teorici da noi predisposti ci permettono di comprendere quello che implica la produzione dell'uomo indebitato. Dall'ultima crisi finanziaria, viviamo in questo senso una svolta decisiva. Le battaglie che un tempo si svolgevano intorno al salario, oggi sembrano avere luogo intorno al debito e soprattutto al debito pubblico, che rappresenta una sorta di salario socializzato. Infatti, le politiche neoliberiste di austerità si concentrano e passano fondamentalmente per la restrizione di tutti i diritti sociali (pensione, sanità, disoccupazione ecc.) e per la riduzione dei servizi, degli impieghi nel pubblico e dei salari dei funzionari, nella prospettiva della costituzione dell'uomo indebitato. La produzione del sociale da parte del Welfare operava contemporaneamente come strumento di controllo sulla vita degli utenti e come viatico riformista di redistribuzione del reddito e accesso a una molteplicità di servizi e di diritti. Oggi che la strada riformista è bloccata, resta solo il controllo attraverso la politica del debito. 138
Da strumento di riformismo del capitale, il Welfare diventa mezzo di istituzione di regimi totalitari. Lo Stato sociale ha, in questo modo, cambiato completamente funzione. In queste condizioni un New Dial è semplicemente impossibile. Non si tratta affatto di equilibrio economico, di imperativi economici, ma di una politica di totalizzazione e di individualizzazione del controllo autoritario dell'uomo indebitato. È questo aspetto che spiega l'impossibilità di un ritorno al capitalismo riformista che da qui in avanti esploreremo. L'ipocrisia, il cinismo e la sfiducia nelle tecniche di soggettivazione del debito Gli strumenti teorici di Marx e di Nietzsche che abbiamo velocemente riattivato possono rilevarsi molto efficaci nel farci capire il modo in cui l'economia del debito modella a proprio piacere i processi di produzione di soggettività. Da una parte, essa si appropria e trasforma dall'interno ciò che Michel Foucault chiama potere pastorale: «arte del condurre, del dirigere, dell'accompagnare, del prendere per mano, del manipolare gli uomini, del seguirH passo passo; un'arte che ha la funzione di farsi carico degli uomini individualmente e collettivamente per tutto il corso della loro vita e in ogni momento della loro esistenza»''. Seguiremo il processo di controllo e di produzione della soggettività messo in pratica sugli utenti (disoccupati, lavoratori poveri e beneficiari di sussidi) dalle istituzioni dello Stato sociale contemporaneo. Dall'altra parte, la valutazione, di 13. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (2977-1978), trad. it. di P. Napoli, Feltrinelli, Milano 2005, p. 124.
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cui sia Nietzsche che Marx descrivono l'importanza nell'economia del debito, diventa una tecnologia di governo - per classificare, gerarchizzare e dividere i governati - di innegabile efficacia in tutti gli ambiti: economico, sociale, nonché in quello della formazione (e soprattutto all'università). Se prima abbiamo analizzato l'azione del «debito oggettivo», il suo funzionamento sistemico o macchinico, adesso si tratta di esaminare gli effetti del «debito soggettivo», del debito «esistenziale» sui comportamenti dei governati. Nel testo del 1844 "^he abbiamo commentato, Marx aggiunge che il quadro affettivo nel quale si manifesta la relazione tra creditore e debitore, sia nel settore privato che in quello pubblico, è quello dell'ipocrisia, del cinismo e della diffidenza. questa ipocrisia ed impostura reciproca viene spinta fino al paradosso die ai semplice giudizio su chi è privo di credito, che cioè egli è povero, si aggiunge anche il giudizio scellerato che egli non è degno di fiducia né di riconoscimento e che, dunque, è un paria della società, è un uomo corrotto [...] a causa di questa esistenza del tutto ideale del denaro la falsificazione non può essere intrapresa dall'uomo su nessurialtra materia che non sia la sua propria persona, egli stesso deve fare di sé una falsa moneta, deve carpire con inganno il credito, deve mentire ecc., e questo rapporto di credito - tanto da parte di chi dà la fiducia, come da parte di chi ne ha bisogno - diventa oggetto di commercio, oggetto di inganno e abuso reciproco'"*.
14. K. Marx, Estratti dal libro di James Mill, «Elémens d'économin politique», dt.,p.234.
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Ritroveremo questa stessa cornice affettiva nello Stato sociale contemporaneo. Con il neoliberismo, il rapporto creditore-debitore ridefmisce il potere biopolitico, poiché lo Stato sociale non si limita ad intervenire sul piano «biologico» della popolazione (nascita, morte, malattia, rischi ecc.), ma sollecita un lavoro etico-politico su di sé, un'individualizzazione che rileva contemporaneamente un misto di responsabilità, colpevolezza, ipocrisia e diffidenza. Quando i diritti sociali (disoccupazione, sussidi, minimi sociali, sanità) si trasformano in debito sociale e in debito privato, e l'utente in un debitore che deve rimborsare attraverso l'assunzione di comportamenti conformi, a cambiare radicalmente, nel senso annunciato da Marx, è il funzionamento delle relazioni soggettive tra le istituzioni «creditrici» che distribuiscono i diritti e i «debitori» che beneficiano dei sussidi o dei servizi. Sebbene le tecniche mnemoniche messe in pratica dal governo neoliberista non siano nella maggior parte dei casi così atroci e sanguinarie come quelle descritte da Nietzsche (supplizi, torture, mutilazione), il loro senso rimane comunque immutato: costruire una memoria, trascrivere sul corpo e sull'anima la «colpevolezza», la paura e la «cattiva coscienza» del soggetto economico individuale. Affinché funzionino gli effetti di potere del debito sulla soggettività dell'utente, occorre uscire dalla logica dei diritti individuali e collettivi ed entrare nella logica dei crediti (gli investimenti del capitale umano). La comprensione di questo fenomeno mi è apparsa in tutta la sua flagranza durante una serie di ricerche e di attività militanti svolte nell'ambito del Coordinamento degli intermittenti e dei precari dell'ile de Fran141
ce (Cip)'^ Qui sotto sono trascritti alcuni commenti provenienti dai laboratori di ricerca portati avanti insieme a intermittenti dello spettacolo e a destinatari di sussidi, commenti che sintetizzano la fine dell'epoca dei «diritti sociali». La trasformazione delle indennità di disoccupazione in debito è un lungo processo nel quale possiamo individuare alcuni passaggi che ricorrono aU'utilizzo di quelle che sappiamo essere tecnologie di produzione di un «soggetto» debitore. Infatti, i diritti sono universali e automatici poiché riconosciuti socialmente e politicamente, mentre il debito è concesso a partire da una valutazione della «moralità» e si fonda sull'individuo e sul lavoro su di sé che egli deve attivare e gestire. Il processo di individualizzazione, che è una costante delle politiche sociali, viene ora strutturato e informato dalla logica del debito. Ogni individuo è un caso a sé, che occorre analizzare con cura poiché, come per le pratiche per ottenere un credito, sono i progetti del debitore, il suo stile di vita, la sua «solvibilità» a costituire la garanzia del rimborso del debito sociale che ha contratto. Come per un credito bancario, si concedono dei diritti sulla base di un fascicolo individuale, dopo un esame, dopo aver raccolto informazioni sulla vita degli individui, sui loro comportamenti, sui loro modi di vivere. L'individualizzazione praticata dalle istituzioni creditrici (agenzie per l'im-
15. Si tratta di due ricerche: la prima portata avanti tra il 2 0 0 4 e il 2005, i cui risultati costituiscono il libro InUrmittents et précaires, Éditions Amsterdam, Paris 2 0 0 8 . La seconda portata avanti nel quadro di un progetto regionale dell'Ile de France (Pieri), il cui obiettivo era studiare le diverse forme di precariato. È possibile trovare i testi di quesfultima ricerca sul sito del Coordinamento degli intermittenti e dei precari dell'Ile de France, www.cip-idf.org.
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piego, cassa degli assegni familiari) introduce l'arbitrio e la discrezionalità, poiché tutto viene indicizzato non su norme generali e uguali per tutti, m a sull'idiosincrasia di ogni singola soggettività. U n intermittente descrive il processo in corso in questo modo: L'attribuzione e l'ammontare della mia indennità sono indicizzati a partire dal mio comportamento sul lavoro (in una forma molto moralizzante: premio per l'anzianità, la tenacia, la regolarità, la «professionalità», ecc.). La mia «pratica» all'agenzia per l'impiego (come viene calcolata l'indennità) è specificatamente adattata al mio «caso», mi si cuce addosso un abito su misura, e il mio caso è sempre più singolare. Si tratta di un profilo individuale e puntuale. La possibilità di ricorrere a una regola comune, valida per tutti, enunciata in modo chiaro, si riduce. Mobilitando il «sé» di ciascuno, l'individualizzazione praticata dalle istituzioni si «moralizza», poiché si tratta di modellare l'azione futura del debitore, di anticipare il suo divenire incerto. Ciò che occorre controllare e costruire sono i comportamenti futuri. Nella cornice del neoliberismo, ciò che l'istituzione giudica, valuta, m i s u r a è in fin dei conti lo stile di vita degli individui, che si vorrebbe conformare a una concezione di «vita buona» per l'economia'®. Le valutazioni rimandano, in ultima analisi, ai modi di vivere e di esse-
i6. «Le valutazioni, restituite al proprio elemento, non sono valori ma modi di essere, di esistere, da parte di chi giudica e valuta; fungono cosi da principi a quei valori ih base a cui si giudica. Questo spiega perché le convinzioni, i sentimenti, i pensieri che abbiamo, siano sempre frutto del nostro modo di essere o del nostro stile di vita», G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, cit., p. 4.
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re di coloro che giudicano, dunque dell'economia. Ecco alcuni estratti dei laboratori che abbiamo portato avanti, nel quadro della ricerca, con i beneficiari del reddito minimo d'inserimento (Rmi). L'oggetto dell'incontro era il «monitoraggio individuale» (un colloquio mensile col consigliere «che accompagna» il beneficiario dell'indennità di disoccupazione o di altri sussidi, che rappresenta l'aggiornamento di ciò che Michel Foucault definiva «potere pastorale») inerente, per l'appunto, gli stili di vita e i modi di essere dei beneficiari. Una volta mi stava facendo delle domande sui miei interessi, su quello che avrei voluto fare nella vita e sul perché avessi scelto di fare ciò che avevo fatto e le ho restituito la domanda: «e lei perché lavora nel sociale?». Perché pensavo che ci stessimo spingendo oltre e non fossi tenuto a raccontarle la mia vita. [...] Penso che se insisteva, era a causa dell'immagine che si era fatta di me, di come interpretava la situazione: che fossi qualcuno che non aveva ancora trovato la propria professione, la propria strada e che doveva aiutarmi a capire meglio quello che mi stava accadendo, perché avevo delle capacità ma dovevo ancora trovare la mia strada. Non sopportavo questa specie di rapporto nel quale dovevo giustificarmi, raccontare la mia vita e allora non le ho raccontato niente - sicuramente, mi avrà presa per una specie di minorata mentale. La relazione con l'istituzione rimanda sempre al sé dell'utente, obbliga incessantemente l'utente/debitore a convocare il proprio «io», a negoziare e a entrare in concorrenza con se stessi. Come afferma Nietzsche, il compito principale del debito consiste nella costruzione di un soggetto e della sua coscienza, di un sé 144
che crede alla propria individualità e che si fa garante delle proprie azioni, del proprio modo di vivere (non soltanto del suo lavoro) e che ne è responsabile. Le tecniche utilizzate nel monitoraggio individuale toccano l'intimità, ciò che vi è di più soggettivo, spingono il beneficiario a farsi domande sulla propria vita, sui propri progetti e sulla loro validità. Lo Stato e le sue istituzioni agiscono sulle soggettività, mobilitano 1'«intimo del cuore», per orientarne i comportamenti. I bilanci delle competenze, ad esempio, te li propongono continuamente e stai fresco se capisci in cosa consistono, c'è sempre una dimensione che tocca l'intimo. Conosco persone che hanno fatto dei bilanci delle competenze approfonditi e nonostante l'aspetto estremamente orientato verso il lavoro, si tratta comunque di un esercizio che non viene dato a tutti, che non siamo per forza abituati a fare, una specie di bilancio della propria vita in cui tu ti poni delle domande, rifletti su te stesso, come una sorta di intrusione nella forma di una lingua disgustosa che ti obbliga alla riflessività. Nel «monitoraggio individuale» occorre rendere conto di se stessi. Una volta al mese i beneficiari devono raccontarsi (o dare spettacolo) e giustificare ciò che fanno della loro vita e del loro tempo. Anche nel caso in cui resistano a quest'intrusione nella loro vita privata, a questa violenza compiuta sulla loro persona e soggettività, non sono per questo meno sconvolti dal «lavoro su di sé» al quale le istituzioni li sottopongono. Nel regime del debito, l'individualizzazione delle politiche dello Stato sociale non è più solamente disciplinare, poiché implica un'analisi dettagliata della ca145
pacità di «rimborso» che ogni volta viene misurata singolarmente. Comporta sempre una valutazione «morale» sulle azioni e i modi di vivere degli individui. Il rimborso non sarà effettuato in denaro, ma attraverso gli sforzi costanti del debitore per massimizzare la propria occupabilità, attivarsi nell'inserimento del mercato del lavoro o nell'inserimento sociale, essere disponibile e attivabile sul mercato del lavoro. Il rimborso del debito corrisponde a una normalizzazione dei comportamenti e a una conformità alle norme di vita decretate dall'istituzione. Questa relazione «soggettiva» tra i funzionari e il beneficiario, di cui abbiamo seguito lo sviluppo nel controllo individuale, anziché garantire il superamento del feticismo, ristabilendo il «rapporto dell'uomo con l'uomo» di cui parla Marx, si manifesta come l'origine e il colmo del cinismo e dell'ipocrisia nelle nostre società «finanziarizzate». Il cinismo e l'ipocrisia non sono contenuti soltanto nelle relazioni tra banchieri e clienti, ma anche nelle relazioni tra Stato e utenti dei servizi sociali. Allo stesso modo in cui il credito capovolge la fiducia in diffidenza, il Wdfare sospetta che tutti gli utenti, soprattutto i più poveri, siano degli imbroglioni che vivono a spese della società, approfittando dei sussidi anziché lavorare. Nelle condizioni di diffidenza generahzzata instaurata dalle politiche neoliberiste, l'ipocrisia e il cinismo sono i contenuti della relazione sociale. Allo stesso modo in cui, secondo Marx, il credito sconfina nella vita privata di colui che lo domanda «spiandolo», il Wdfare si introduce nella vita privata degli individui per controllare l'esistenza degli utenti. Qui si dimostra in modo eccellente come la diffidenza sia la 146
base di questa fiducia economica; il ponderare con sospetto se il credito deve o non deve essere accordato; lo spiare i segreti della vita privata ecc. di chi chiede il credito; [...] Nel credito di Stato lo Stato ha in tutto e per tutto la medesima posizione che sopra ha l'uomo... [...] Avendo il riconoscimento morale di un uomo, come anche \afiducia nello Stato ecc. assunto, nel sistema del credito, la forma del credito, si svela il segreto che si cela nella menzogna del riconoscimento morale, si rivela l'immorale infamia di questa moralità, l'impostura e l'egoismo di quella fiducia nello Stato, e si mostra per quel che realmente è''. «Lo spiare i segreti della vita privata di chi chiede» 1 sussidi è ciò che mettono in pratica, sempre più spesso, gli agenti del Wdfart, poiché il presupposto della loro azione è la «diffidenza» verso i poveri, i disoccupati, i precari, tutti «imbroglioni» e «approfittatori» in potenza. Le istituzioni non si accontentano di entrare nell'intimità della persona, di sorvegliare i comportamenti dei beneficiari. Entrano fisicamente nella vita privata degli individui. Attraverso i loro funzionari, si autoinvitano nelle case per indagare e interrogare sullo stile di vita dei beneficiari: un agente si presenta presso il beneficiario, entra nell'appartamento o nella casa, ispeziona le stanze, il bagno per verificare quanti spazzolini ci sono, chiede di vedere le bollette della luce e del telefono, le ricevute dell'affitto, si informa sul modo di vivere e soprattutto verifica se il beneficiario vive da solo. Infatti, se c'è un convivente, quesf ulti-
17. K. Marx, Estratti dal libro di James Mill, «EUmens d'économie politique», dt.,pp. 234-235.
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mo si suppone che provveda ai suoi bisogni, e dunque i sussidi sono sospesi. L'azione del debito non consiste solamente nella manipolazione di enormi quantità di denaro, nei giochi sofisticati delle politiche finanziarie e monetarie; forma e configura anche le tecniche di controllo e di produzione dell'esistenza degli utenti, senza le quali l'economia non avrebbe presa sulla soggettività. La valutazione e il debito Dai testi già citati di Nietzsche e di Marx possiamo ricavare un'altra considerazione di portata decisamente attuale: è nel debito che si radica la valutazione, intesa come tecnologia di governo dei comportamenti, che ormai si esercita in tutti i settori economici e sociali. L'economia eterodossa che studia il potere finanziario sembra confermare l'intuizione di Nietzsche e di Marx. A differenza dell'opacità e del segreto che caratterizzano la fabbrica e l'industria, il potere finanziario si definisce anzitutto come un potere di valutazione «pubblica», che ha la pretesa di rendere trasparente qualunque organizzazione, di rendere visibili e quindi valutabili (misurabili) qualunque relazione e qualunque comportamento degli attori di ogni istituzione, che si tratti dell'impresa, della cassa di disoccupazione, dell'ospedale o dell'Università. La relazione creditore-debitore implica un cambiamento radicale della misurazione del valore. Si passa da una misurazione oggettiva a una soggettiva, che si esercita tramite la valutazione. André Orléan afferma: La potenza del mercato è una potenza di valutazione pub148
blica [...]. Il potere finanziario è un potere di influenza che controlla i debitori, sottoponendoli a un giudizio certificato, rendendoli oggetto di pubblicità all'interno della comunità finanziaria [...]. In questa prospettiva, possiamo persino affermare che si tratta di un potere di opinione'®. André Orléan arriva a dire che «il potere passa dalla produzione alla valutazione, dal lavoro all'opinione». Partendo da queste considerazioni, ci sembra giusto interrogare la natura falsamente pubblica della valutazione finanziaria. La valutazione della cassa francese che gestisce i sussidi di disoccupazione (Unedic) da parte delle agenzie di rating, con la quale abbiamo aperto questo libro, ci mostra tutti i limiti del concetto di valutazione pubblica. Essa non ha niente di democratico, poiché concerne unicamente la comunità finanziaria. La stima è il risultato dell'operato delle agenzie di rating, pagate dalle imprese, dalle banche o dalle istituzioni che sono incaricate di valutare, in un colossale conflitto d'interesse di cui nessuno sembra preoccupato. Le agenzie di rating non sono strutture di valutazione indipendenti, ma, al contrario, sono parte integrante del blocco di «potere creditizio». Lo spazio pubblico tracciato dalla valutazione finanziaria è quello di nuove oligarchie, i cui metodi sono profondamente antidemocratici, poiché mirano a sostituire e a distruggere ciò che resta della gestione «paritaria» (la cogestione di sindacati e confindustria delle istituzioni del Welfare) quale si è andata formando nel X X secolo, a partire dal New Deal. La gestione paritai8. A. Orléan, Le Pouvoir de lafinance, dt., p. 210.
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ria, anche degenerata nel corporativismo, rappresentava comunque un accenno di «democrazia sociale» istituzionale. Da allora si è ossificata nella costrizione di un monopolio sindacale, tanto degli imprenditori che dei salariati, e, se è vero che essa si presta senza vergogna al giudizio e alla valutazione della finanza, continua a rifiutarsi di tenere conto dei principali interessati (disoccupati, utenti, cittadini). Perché la valutazione sociale sia democratica, devono emergere istanze e dispositivi democratici altri rispetto a quelli corporativistici del paritarismo sindacale, impreziositi dal potere finanziario. L'aumento della valutazione è in realtà assimilabile a una espropriazione e alla confisca del potere di agire. Alla moltiplicazione delle tecnologie di management concentrate sulla valutazione, corrisponde, appunto, un restringimento dello spazio di calcolo, scelta e decisione concesso ai lavoratori salariati, agli utenti e ai governati in genere. Il fenomeno è particolarmente evidente in quelle professioni e in quei mestieri considerati ancora oggi come un paradigma dell'autonomia, dell'indipendenza e della libertà del lavoro non salariato («essere padroni sé»). Così, un collettivo di piccoli allevatori/coltivatori («Faut pas pucer»'»), mobilitato contro l'applicazione di pulci elettroniche alle loro greggi, ha portato avanti una riflessione che chiarisce ciò che abbiamo chiamato la fine della retorica dell'imprenditore di se stesso e del proprio capitale umano, dominante negli anni Ottanta e Novanta. Se per lavoro intendiamo la possibilità di valutare problemi e situazioni e di fare delle scelte, e non solo un'attività di ese19. «Niente pulci» [N.d.X],
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cuzione, l'allevatore/coltivatore - che dovxebbe rappresentare il modello stesso del lavoro indipendente, autonomo e libero - è sottomesso a vincoli che gli impediscono di lavorare. Il controllo delle amministrazioni nazionali ed europee, che si traduce nell'obbligo di rispettare scrupolosamente un insieme di direttive, a cui si aggiunge la sorveglianza esercitata da strumenti informatici, trasforma il lavoratore indipendente, il piccolissimo imprenditore, in «assistito». Le sovvenzioni europee della Politica agricola comunitaria (Pac) sono, in realtà, «debiti» concessi a condizione che i «debitori», in qualunque settore di attività, si attengano scrupolosamente a ciò che le amministrazioni «creditrici» prescrivono; dove far pascolare le greggi, in quale stagione, il numero di animali per ettaro ecc. Tutto deve essere riferito e giustificato (le date, il numero di capi di bestiame, le vaccinazioni, le malattie degli animali). Ogni volta che si verifica un problema, la decisione cala dall'alto e la soluzione è imposta uniformemente a tutti. I pastori non sono più in condizione di valutare i rischi e di fare delle scelte, a partire dalle proprie competenze e abilità. I loro gesti sono previsti in anticipo e standardizzati, attraverso una modellizzazione informatica che li rende controllabili. I comportamenti diventano automatici e non contengono alcun «valore di calcolo», alcuna valutazione propria, ma riproducono calcoli e valutazioni già codificate dall'amministrazione, alle quali è obbligatorio attenersi. La libertà e l'autonomia - che il lavoro con gli animali, nel bel mezzo della «natura», sembrava promettere - si sono trasformate in una dipendenza generalizzata nei confronti delle istituzioni di controllo della 151
produzione e della distribuzione dei redditi; dipendenza che definisce la condizione dell'uomo indebitato. Ma, nella questione delle «pulci», è anche il problema della dipendenza che ci interessa: oggi in Occidente siamo tutti degli assistiti, dall'amministratore di una PMI a chi gode di un reddito minimo di solidarietà, dall'agricoltore al dirigente dinamico, dal funzionario all'artista sovvenzionato. Piii o meno drogati di lavoro, il nostro modo di vivere - basato sulla monetarizzazione di tutto, le telecomunicazioni a banda larga, l'energia illimitata e lo Stato onnipresente - è di per sé una forma di assistenza generalizzata". Aggiungiamo solo che la prima categoria «assistita», quella che riceve maggiori «aiuti» dallo Stato, è quella delle imprese e, in particolare, quella delle grandi imprese. Il controllo dei gesti, delle azioni e delle decisioni è garantito da strumenti informatici che, attraverso l'applicazione a ogni animale di un chip elettronico (lo stesso utilizzato dai pass «Navigo» della rete di trasporti parigini), fanno rientrare pecore e allevatori dentro una modellizzazione e programmi che contengono opzioni e scenari previsti in anticipo dalle amministrazioni nazionali ed europee. Il chip trasforma gli animali in «flussi di carne», dei quali si può sapere in tempo reale numero, distribuzione, stato di salute. La tecnologia industriale a flusso continuo e zero stock, applicata all'allevamento, trasforma gli animali in «banche dati» e gli allevatori in semplici controllori del processo tecnico-economico gestito per conto del20.www.nanomonde.org/IMG/pdf/lettrefautpaspucer.pdf.
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lo Stato. I pastori diventano le variabili «umane» di processi socio-tecnologici e amministrativi che li superano e li privano di qualunque influenza su ciò che fanno. È impossibile «pensare», decidere e agire al di fuori dei dispositivi di gestione contabile e informatica e delle loro semiotiche (cifre statistiche, percentuali, tassi e discorsi). Ai pastori viene sottratta la capacità di valutare e di assumere rischi, gli viene impedito di mettersi alla prova in situazioni impreviste, di problematizzarle e di inventare soluzioni per uscirne. Devono limitarsi a seguire e a rispettare protocolli e procedure stabilite. Ciò che ci espone ai rischi (della presunta «società del rischio») non è la complessità dell'infrastruttura tecnicosociale-economica, ma il fatto che il processo di valutazione e di decisione è sottratto a qualunque prova e verifica democratica ed è esercitato da minoranze (finanziarie, economiche, politiche) che, proprio perla loro posizione, sono profondamente «incompetenti». L'investimento soggettivo, svincolato da ogni tensione all'autonomia e all'indipendenza, si riduce all'obbligo di farsi carico, individualmente, di tutti i rischi del mestiere e della congiuntura economica, eseguendo scrupolosamente le direttive delle amministrazioni. L'esaurimento della retorica del «capitale umano» e dell'imprenditore di se stesso si è ulteriormente accelerato dopo la crisi finanziaria del 2007, accentuando la proletarizzazione degli strati sociali che non erano, fino a quel momento, salariati e la proletarizzazione delle nuove professioni nate con l'economia dei servizi e della conoscenza (secondo le definizioni della retorica capitalistica). Nel neoliberalismo, contrariamente alle promesse 153
di libertà e di indipendenza, l'economia è amministrata e controllata dallo Stato. La relazione tra pastori e amministrazione e istituzioni di controllo è, come per gli utenti dello Stato sociale, informata dal sospetto, dalla diffidenza e dall'ipocrisia, poiché, al pari degli utenti dei servizi sociali e dei beneficiari dei diversi diritti sociali, essi sono potenzialmente degli imbroglioni. Le privatizzazioni hanno istituito tecnologie di management che concentrano e centralizzano la valutazione all'interno delle direzioni delle grandi imprese (France Télécom, Renault ecc.) e delle amministrazioni. Gli effetti di questa espropriazione sono, per salariati e utenti, letteralmente mortali. I centri per l'impiego e ciò che resta dello Stato sociale vorrebbero fare dei disoccupati, e più in generale degli utenti, delle persone autonome, proprio mentre le privano della possibilità di esercitare la loro personale valutazione. In totale contraddizione con il senso della parola «autonomia», si aumentano le restrizioni, si moltiplicano i controlli, gli accompagnamenti, i monitoraggi personaHzzati; disoccupati e beneficiari dell'assistenza sociale sono convocati ogni mese, sollecitati per posta, invitati a fare l'esperienza dell'inutilità in stage di formazione. Per renderli più «liberi», attivi e dinamici, gli si impongono comportamenti, linguaggi, semiotiche e procedure. Etimologicamente, «autonomia» significa darsi una propria legge. Nei centri per l'impiego o negli uffici delle casse sociali, le leggi sono quelle del lavoro, della concorrenza e del mercato. «Autonomia» significa poter produrre la propria regola di riferimento. Nei centri per l'impiego, le regole di riferimento sono sempre il lavoro, il mercato, la concorrenza. 154
Nelle istituzioni della società disciplinare (scuola, esercito, fabbrica, prigione), vigeva l'obbligo alla passività; ormai, si suppone sia l'obbligo air«attività» a mobilitare le soggettività. Ma si tratta di un'attività vuota, poiché priva della possibilità di valutare, di scegliere e di decidere. Diventare «capitale umano» ed essere imprenditore di se stesso sono nuove norme di occupabilità. L'apice della sottrazione della possibilità di valutare si è toccato quando si sono fatte scelte e prese decisioni in occasione della messa in pratica dei piani di austerità che riguardano tutti i paesi europei. I cittadini sono stati esclusi dalla valutazione, dalla scelta e dalla decisione a vantaggio degli esperti (finanzieri, banchieri, uomini politici, funzionari dell'Emi), le cui azioni e le cui teorie sono all'origine della crisi. Il debito come assoggettamento sociale e asservimento macchinico Un'ultima osservazione sul testo di Marx ci permetterà di considerare, in modo più preciso, come la moneta/debito abbia fatto «presa» sulla soggettività: È ovvio che il creditore, oltre alle garanzie morali, ha anche la garanzia della coercizione giuridica, nonché altre garanzie più o meno reali". La morale, la promessa e la parola sono del tutto insufficienti a garantire il rimborso del debito. Per far «presa» veramente sulla soggettività, occorre presup21. K. Marx, Estratti dal libro di James Mill, «Elémens d'economie politique», cit.,p.233.
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porre - oltre alla promessa, la parola e la morale - il funzionamento di «macchine» giuridiche e poliziesche (Marx) e di «macchine» mnemotecniche che lavorano e fabbricano il soggetto (Nietzsche). A partire dal lavoro di Deleuze e Guattari, è possibile articolare l'azione congiunta della «morale» e della parola, da una parte, e delle macchine, dall'altra. La moneta/debito implica la soggettività in due modi eterogenei e complementari: r«assoggettamento sociale» compie sul soggetto una presa molare, mobilitando la sua coscienza, la sua memoria, le sue rappresentazioni, mentre r«assoggettamento macchinico» effettua una presa molecolare, infrapersonale e preindividuale della soggettività, che non passa né per la coscienza riflessiva e le sue rappresentazioni, né per il «sé». La moneta/debito funziona a partire dalla costituzione di un soggetto giuridico, economico e morale (il creditore e il debitore). Essa rappresenta un potente vettore di assoggettamento sociale, un dispositivo di produzione di soggettività individuali e collettive. I tedeschi e i marchi tedeschi, o gli americani e il dollaro, sono un buon esempio della forza di questo assoggettamento (e l'euro un buon esempio della sua debolezza). La moneta/debito cerca e fabbrica la fiducia degli individui, rivolgendosi alla loro coscienza, alla loro memoria e alle loro rappresentazioni. Diventando un oggetto di identificazione, contribuisce fortemente a istituirli come individui/cittadini della nazione. Ma questa presa sull'individuo resterebbe «discorsiva», ideologica, «morale», se non ci fosse una modalità di implicazione molecolare e preindividuale della soggettività, un asservimento macchinico, che non passa né per la coscienza, né per la rappresentazione. 156
né per il soggetto. Nel funzionamento macchinico della carta di credito, ad esempio, il rapporto «intersoggettivo» fondato sulla fiducia è progressivamente frammentato «in operazioni sociotecnologiche e ricomposto artificialmente nei giochi di scrittura della rete monetaria»'^ Questo funzionamento macchinico non fa appello al «soggetto». Quando utilizziamo un bancomat, ci è richiesto di rispondere alle intimazioni della macchina, che prescrive di «comporre il codice», di «selezionare l'importo» o di «ritirare i biglietti». Queste operazioni «non richiedono certo atti di virtuosismo intellettuale - tutf altro, saremmo tentati di dire. Ciò che ci viene richiesto è di reagire subito, di reagire velocemente, di reagire senza sbagliare, altrimenti si rischia di essere momentaneamente esclusi dal sistema»^'. Qui, non c'è più il soggetto che agisce, ma il «dividuale» che junziona in modo «asservito» al dispositivo sociotecnologico del circuito bancario. Ciò che il bancomat attiva non è l'individuo, ma il «dividuale». È Deleuze a utilizzare questo concetto per dimostrare che, negli asservimenti macchinici, «gli individui sono diventati dei "dividuali", e le masse dei campioni, dati, mercati o "banche"»"''. La carta di credito è un dispositivo nel quale il dividuale funziona come un ingranaggio, un elemento «umano» che si concatena agli elementi «non umani» della macchina sociotecnologica dei circuiti bancari. L'assoggettamento sociale mobilita gli individui, mentre l'asservimento macchinico attiva i «dividuali» 22. A. J. Haesler, Sociologie de l'argmt et postmodemité, dt., p. 206. 23. Ibid. 24. G. Deleuze, Poscritto sulle società di controllo, in Pourparler, dt., p. 237.
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in quanto operatori, agenti, elementi o pezzi «umani» della macchina sociotecnologica dell'economia del debito. Così, il «soggetto» individuale scrive e firma gli assegni, si impegna e impegna la propria parola, mentre il pagamento tramite carta bancaria, effettuato dal dividuale non è altro che un'iscrizione nell'ipertesto di una rete elettronica. Mentre con l'assegno restiamo padroni della scrittura, gli unici abilitati a esporla, con la carta di credito non ci resta che l'imposizione o l'apposizione di un segno o di una traccia (firma, sigla, codice segreto o impronta digitale). L'ipertesto bancario, la sola cosa che si aspetta da noi per librarsi nei suoi giochi di scrittura è un impulso [...]. Questi giochi di scrittura non avranno più un autore, ma si autoprocesseranno insieme, formando allegorie che ci resteranno per sempre sconosciute. Allora, l'impulso che daremo per attivare il sistema significherà contemporaneamente la nostra espulsione in quanto autori oggettivi, razionali e minimamente riflessivi"'. L'individuo fa «uso» della moneta; il dividuale è adiacente alla macchina-credito e non agisce, non fa uso, funziona secondo programmi che lo utilizzano come uno dei loro componenti. Al dividuale la moneta/debito non chiede né fiducia, né consenso; semphcemente gli impone di funzionare correttamente in base alle istruzioni ricevute. E questo vale per tutte le macchine con cui entriamo in contatto quotidianamente. Il rispetto degli ordini dettati discrimina sulla possibilità di accesso all'informazione, alle bancono25. A. J. Haesler, Sociologie de l'argent etpostmodemité, dt., p. 285.
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te, ai biglietti di treno o di aereo acquistati in rete, a un parcheggio, a un computer, a un locale, a un conto in banca, ecc. Questa duplice «presa» sulla soggettività, questo duplice modo di coinvolgerla e sfruttarla, è forse uno dei contributi più importanti di Deleuze e Guattari per la comprensione del capitalismo. Il pensiero critico contemporaneo, prendendo in considerazione solo l'assoggettamento, rischia di ritirarsi in una specie di idealismo soggettivo estraneo alle macchine, ai macchinismi, ai sistemi sociotecnologici, alle procedure, ai dividuali. Una volta uscito dalla fabbrica, l'insegnamento di Marx sulla natura «macchinica» del capitalismo sembra essere andato perso. In queste teorie, le macchine e gli asservimenti macchinici scompaiono, quando invece invadono la nostra vita quotidiana, visto che parliamo, vediamo, pensiamo e viviamo assistiti da ogni sorta di macchinismo. Anche il concetto foucaultiano di governamentalità non prende in considerazione gli asservimenti macchinici e il loro funzionamento. Il governo fa presa sulle condotte, cioè sui comportamenti, sulle azioni dei «soggetti» individuati, ma non sul funzionamento macchinico dei dividuali. La moneta/debito costituisce sicuramente una tecnologia di governo dei comportamenti, ma funziona anche e soprattutto come asservimento che «governa» in modo «cibernetico» i dividuali, tramite ricorrenze macchiniche efeedback. Nell'asservimento, «c'è un processo di apprendimento di una gestualità procedurale a carattere quasi automatico»^®. Potremmo rivolgere la stessa critica alla sociologia 26. Ihid.
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e alla filosofìa della norma, di cui Foucault è uno dei più sottili espositori. L'assoggettamento sociale fìinziona sulla base della norma, della regola, della legge, ma l'asservimento, al contrario, conosce solo i protocolli tecnici, le procedure e i modi di utilizzo, semiotiche insignificanti che non richiedono di agire, ma di reagire. L'assoggettamento implica e sollecita il rapporto a sé, mette in gioco tecnologie del sé. L'asservimento macchinico, invece, smonta contemporaneamente il sé, il soggetto e l'individuo. La norma, la regola e la legge fanno presa sul soggetto, m a non sul dividuale. Abbiamo insistito molto sull'assoggettamento. In realtà, rappresenta solo una delle modalità di produzione e di controllo della soggettività. La critica del neoliberalismo non può in alcun caso ignorare gli asservimenti, poiché i macchinismi sono incomparabilmente più sviluppati che in epoca industriale. Antiproduzione e antidemocrazia Per finire, occorre interrogarsi sul momento che stiamo attraversando. Possiamo ancora parlare di crisi finanziaria, di crisi nucleare, di crisi alimentare, di crisi climatica? «Crisi» mantiene una connotazione positiva. Può indicare una situazione passibile di superamento. Per il capitalismo è stata a lungo l'occasione di un nuovo inizio, di un New Deal, di un nuovo «patto» per una nuova crescita. Oggi, tuttavia, abbiamo la netta sensazione che non sia più così, che siamo giunti a una svolta, poiché le situazioni che viviamo somigliano più a catastrofi che a crisi. Se capiamo per quali motivi un New Deal è oggi impossibile - cosa che permette di vedere meglio il concetto di antiproduzioi6o
ne - , allora comprenderemo quali soluzioni non sono da considerare e quali sono le strategie disponibili per fare fronte alla catastrofe contemporanea. Nel capitalismo contemporaneo, la «produzione» sembra indissociabile dalla «distruzione», poiché, come suggerisce Ulrick Beck, «la paura proviene dalla zona produttiva della società». I «progressi considerevoli» della scienza producono simultaneamente una potenza nucleare militare capace di distruggere svariati pianeti della dimensione della Terra, il cui prolungamento «civile» infetta l'ecosistema attraverso temporalità che sfuggono all'umano e che ci fanno vivere in uno stato di eccezione permanente; la produzione industriale moltiplica la produzione dei beni di consumo e contemporaneamente moltiplica l'inquinamento dell'acqua, dell'atmosfera e della Terra, sregolando il clima; la produttività agricola, nel nutrirci ci avvelena; il capitalismo cognitivo distrugge il sistema «pubblico» di formazione a ogni livello; il capitalismo culturale produce un conformismo che non ha uguali nella storia; la società dell'immagine neutralizza ogni immaginazione, e così via. Deleuze e Guattari chiamano questo funzionamento del capitalismo «antiproduzione» e lo definiscono come il segno di una discontinuità rispetto al capitalismo, così come era stato descritto da Smith, Marx o Weber. Infatti, Marx, proprio come gli economisti classici, distingueva ciò che era produttivo (il lavoro di un operaio impiegato da un capitalista) da ciò che era improduttivo (il lavoro dei domestici, secondo l'esempio fornito da Adam Smith, i quali, pur essendo molto più numerosi degli operai, si limitano a consumare e non a produrre nuove ricchezze). Questo è ani6i
Cora il punto di vista a partire dal quale critichiamo la «finanza» in quanto improduttiva, al contrario deir«industria» considerata come la fonte di ricchezza delle nazioni. Deleuze e Guattari ci dicono che questa coppia produttivo/improduttivo non è più operativa. L'antiproduzione stabilisce una nuova divisione della realtà dell'economia capitalistica che non ricopre la distinzione produttivo/non produttivo, poiché si sviluppa per l'appunto all'interno di ciò che Marx e l'economia politica classica definivano «produttivo». L'antiproduzione (i domestici di Smith, l'esercito, la polizia, le spese «improduttive» delle classi che vivono di rendita) non si oppone più alla produzione, non la limita né la firena. «L'effusione del capitale d'antiproduzione caratterizza tutto il sistema capitalistico; l'effusione capitalistica è quella dell'antiproduzione nella produzione a tutti i livelli del processo»"'. Il XIX secolo, Marx e marxisti inclusi, aveva ancora una concezione «progressista» del capitalismo. Il fìituro dell'umanità dipendeva dallo sviluppo della «produzione» e dal «produttore». Se paragonato alla rendita, c'era un risvolto «rivoluzionario» del capitalismo, che sarebbe bastato sviluppare, spingere all'estremo per creare così le condizioni di un altro sistema politico e sociale. La prima metà del XX secolo ha smentito questo scenario e, dopo la Seconda guerra mondiale, l'ingresso in una nuova sequenza si è rivelato evidente. Una volta stabilita e riconosciuta la presenza dell'antiproduzione nella produzione, il capitalismo perde qualunque carattere progressivo. Abbiamo qui un'altra conferma di ciò che abbiamo affermato in 27. G. Deleuze, F. Guattari, Vanti-Edipo, cit., p. 267.
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precedenza, partendo da alcune considerazioni di Foucault: l'impossibilità del riformismo e di un nuovo New Deal è inscritta nell'antiproduzione. La crisi permanente nella quale viviamo dagli anni Settanta è una delle manifestazioni dell'antiproduzione. Dopo lo scoppio della bolla finanziaria della new economy, il versante dell'antiproduzione ha preso il sopravvento sul risvolto «produttivo» del capitalismo. L'illusione «progressista» che la Silicon Valley, la net economy, la new economy avevano suscitato negli animi più disponibili sembra lasciare il posto a ciò che Ulrick Beck chiama la potenza di «autodistruzione» del capitalismo, il cui crollo finanziario del 2007 è solo una manifestazione. I dispositivi di antiproduzione non sono semplicemente inseparabili dal capitalismo, ma gli sono soprattutto indispensabili. L'antiproduzione ha il compito di «introdurre la mancanza là ove ce riè troppo»"**: la crescita (il «troppo») è una promessa di felicità mai realizzata né realizzabile, poiché l'antiproduzione ha il compito di produrre la mancanza a qualunque livello sia giunta la ricchezza di una nazione. Il capitalismo non è soltanto un sistema che spinge sempre più avanti i propri limiti, è anche un dispositivo che riproduce all'infinito, indipendentemente dal livello di ricchezza raggiunto, condizioni di sfruttamento e di dominio, ovvero di «mancanza». La crescita «debole» degli ultimi trenf anni ha comunque raddoppiato il Pil nei paesi del Nord, accentuando le ineguaglianze sociali, economiche e politiche. D'altra parte, l'antìproduzione contemporanea (l'antiproduzione della società della conoscenza, del capitalismo culturale, del capi28. Ibid.
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talismo cognitivo) non determina soltanto un impoverimento economico della gran parte della popolazione, ma è anche una «catastrofe» soggettiva poiché, come afferma con molta ironia L'anti-Edipo, affianca al capitale e al flusso di conoscenza un capitale e un flusso equivalente di fesseria, che ne operano pure l'assorbimento e la realizzazione, e che assicurano l'integrazione dei gruppi e degli individui al sistema. Non solo la mancanza in seno al troppo, ma la fesseria nella conoscenza e nella scienza^'. In quanto focolai e vettori di «fesseria», restano da aggiungere solo l'arte, la cultura e la comunicazione colonizzate dalle industrie culturali. Il capitalismo cognitivo e culturale fornisce la soggettività non di «conoscenza», ma di stupidità, anche quando questa è qualificata e sovraqualificata (laurea triennale, specialistica, master). Assume il suo pieno significato il duplice ritratto che André Gorz traccia del «lavoratore scientifico e tecnico», padrone d'un flusso di conoscenza, d'informazione e di formazione, ma così ben assorbito nel capitale da coincidere con il riflusso d'una fesseria organizzata, assiomatizzata; cosicché, la sera, rientrando a casa, trova le sue macchinette desideranti armeggiando su un televisore, o disperazione! Certo, lo scienziato in quanto tale non ha alcun potere rivoluzionario, ed è il primo agente integrato dell'integrazione, rifugio della cattiva coscienza, distruttore/orzato della propria creatività'".
29. Ibid. 30. Ivi, p. 268.
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La teoria dell'antiproduzione ha trovato, quindici anni piìi tardi, nella sociologia della «società del rischio» una versione edulcorata in cui perde completamente le proprie connotazioni e la propria forza politica. Ulrik Beck, papa della società del rischio, effettua una duplice operazione. Innanzitutto riconosce la «potenza di autodistruzione del capitalismo trionfante». La «produzione sociale delle ricchezze» è ormai inseparabile dalla «produzione sociale di rischi». La vecchia politica di distribuzione dei «beni» (redditi, lavoro, previdenza sociale) della società industriale procede appaiata a una politica di distribuzione dei «mali» (pericoli e rischi ecologici). «Coloro che oggi mettono in pericolo la nazione sono i garanti del diritto, dell'ordine, della razionalità, della democrazia stessa»''. Inoltre, non soltanto scagiona i «responsabili» da qualunque responsabilità, ma fa dell'antiproduzione l'unica via di salvezza dell'umanità. Nel caso del nucleare civile, ad esempio, le pratiche e le modalità di mobilitazione del movimento antinucleare, ovvero le modalità di pensiero e di azione collettiva, non potranno mai, a suo parere, costituire le condizioni di un contropotere in grado di imporre un rovesciamento di questa politica energetica. «In fin dei conti, se esiste un contropotere nucleare, esso non è da cercare tra le schiere di manifestanti che bloccano il trasporto di combustibile. La punta di lancia dell'opposizione all'energia nucleare sta [...] nell'industria nucleare stessa»'", poiché l'industria e le istituzioni avrebbero acquisito una capacità di problematizzazione, di rifles-
31. U. Beck, La sociétédu rìsque mondialisé, «Le Monde», 25 mars 2 0 1 1 . 32.Ibid.
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sione, che gli consentirebbe di rovesciare, di correggere, di adattare e migliorare la propria azione, dietro l'impulso di cittadini illuminati a loro volta dalla riflessività. La montagna della «seconda modernità» ha partorito il topolino del potere che si trasforma in contropotere, in autoriflessione, nella capacità di imprese come Tepco, che gestiva la centrale di Fukushima, di interrogarsi sulla propria strategia, di metterla in discussione e modificarla. Allo stesso modo «la punta di lancia di opposizione» alla politica del debito non può essere altri che quel blocco di potere che ha provocato la catastrofe finanziaria. Ma questa riflessività della seconda modernità... è la dimostrazione che potremmo passare tutta la vita ad aspettarla! Così, una volta nazionalizzate le perdite, la «riflessività» che le banche, gli investitori e le assicurazioni hanno adottato, è la seguente: «Tutto deve continuare come prima!». Al contrario della teoria consensuale della «società del rischio», retorica del capitalismo contemporaneo, l'unico modo per bloccare e rovesciare non i «rischi» della finanziarizzazione, ma il potere distruttore del debito (l'antiproduzione del capitalismo contemporaneo che oggi si esprime con la politica di indebitamento) risiede nella capacità di azione e di pensiero collettivo dei debitori. La «riflessività», proprio come nelle società industriali, va imposta alle istituzioni e alle strutture di governo attraverso una lotta che divida la società, che rompa il consenso. Potremmo affermare esattamente la stessa cosa delle politiche nucleari. Il cambiamento dipenderà solo dalla forza del movimento antinucleare, certamente non dalla «riflessività» dell'industria nucleare e dei governanti. Sempre di recente, in Italia e in Germania, la rinuncia al nuclea66
re è stata imposta contro la volontà dell'industria e dei governanti. L'unica «riflessività» che l'industria nucleare o il blocco di potere della finanza possono avere è la seguente: come continuare fino alla catastrofe? Che «tutto continui come prima» è la definizione di catastrofe fornita da Walter Benjamin. Il funzionamento del debito fa piazza pulita della politica dalla «concertazione» tra cittadini, esperti e controesperti, politici, imprenditori ecc. Cancella d'un tratto la democrazia consensuale della «seconda modernità» alla Beck, poiché lo scenario che si svolge sotto i nostri occhi è del tutto diverso. L'economia del debito non è caratterizzata soltanto dall'antiproduzione, ma anche da quello che potremmo chiamare antidemocrazia. Se usiamo la categorizzazione dei regimi politici stabilita dai Greci, possiamo facilmente constatare che il credito non è il luogo della «valutazione pubblica» in cui si esercita il potere del popolo (democrazia). Al contrario, quarantanni di politiche neoliberiste hanno neutralizzato le già deboli istituzioni rappresentative e la crisi ha consolidato tutti i regimi politici che i Greci opponevano alla democrazia. Le scelte e le decisioni che riguardano intere popolazioni vengono prese da un'oligarchia, da una plutocrazia e da un'aristocrazia (il «governo dei migliori», rappresentato molto bene dalle agenzie di rating, che sono gli esperti migliori, esclusivamente nella sensibilità che hanno nei confronti degli interessi dei creditori). L'integrazione di questi tre regimi antidemocratici sviluppa non la crescita ma la corruzione. In certi paesi europei (Italia, Grecia, Spagna, Inghilterra), è più visibile che altrove, ma li riguarda tutti, perché la corruzione, l'ipocrisia, la diffidenza non so167
no fenomeni di un mal governo, ma, come ricorda Marx, una condizione strutturale della politica del debito e del credito. Dietro il ricatto del fallimento degli Stati si realizza così il più vecchio programma controrivoluzionario, quello della Trilaterale (1973): il governo dell'economia presuppone drastiche limitazioni alla democrazia e una riduzione, altrettanto drastica, delle attese dei governati. All'inizio di luglio 2011, il governo italiano aveva presentato un piano di austerità di 87,7 miliardi di euro di tagli da realizzare entro il 2014, piano che nella sua iniquità, al pari di quelli adottati da altri paesi europei, lasciava margini di incertezza sul contenuto e sull'arco temporale fissato per la sua attuazione. Sono bastati due giorni di speculazione sui titoli del debito sovrano italiano per accelerare la manovra. Il giorno successivo alla vendita massiccia di titoli di Stato detenuti dagli investitori, maggioranza e opposizione, dietro pressione dei «mercati», si sono affrettate a trovare un accordo per approvare il piano. I governi e i parlamenti sono semplici esecutori delle decisioni e delle scadenze fissate altrove rispetto a quella che ancora chiamiamo «sovranità» nazionale. Il problema del liberalismo non è, come credeva Foucault, quello di «governare il meno possibile», ma, spinto dalle contraddizioni da lui stesso generate ed esasperate, quello di ordinare e di stabilire il più possibile con il «meno di democrazia possibile»; nel liberalismo, e nelle sue successive evoluzioni, non è questione di concorrenza, ma di monopolio e di inedita centralizzazione di potere e denaro. In quaranf anni, il neoliberismo è diventato un'economia che, alla luce di quanto accade con il debito sovrano, non può essere 168
altrimenti definita che come «economia del ricatto». Allo stesso modo, la gestione delle «risorse umane» dentro l'impresa e la funzione pubblica avviene all'insegna di un ricatto fondato sul lavoro e sulle delocalizzazioni. I conflitti politici sulle pensioni e i diritti sociali sono continuamente sovrastati da una stessa politica del ricatto. È dunque del tutto coerente che un'economia criminale si sviluppi parallelamente al liberismo e ne costituisca insieme un fenomeno strutturale e un pilastro. Il ricatto è la forma di governo «democratico» nel quale sfocia il neoliberismo.
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Conclusione
Sorge dunque una domanda essenziale: a quali condizioni possiamo riattivare una lotta di classe che l'iniziativa capitalistica ha completamente spostato sul terreno «astratto» e «deterritorializzato» del debito? Marx diceva che la crisi riesce a far entrare nella «testa di legno» dei capitalisti cose che altrimenti non avrebbero mai accettato. Qui, la «testa di legno» da forare è quella dei dirigenti e degli intellettuali della sinistra sindacale e politica, poiché il debito dovrebbe cancellare con un unico colpo di spugna tutte le loro illusioni. Il debito impone, come terreno di lotta, una trasversalità di tutti gli ambiti: trasversalità tra Stati e spazi nazionali, tra sfera economica, politica e sociale, tra figure dello sfruttamento e del dominio. Siamo obbligati a portarci a questo livello di generalizzazione e di deterritorializzazione, se non vogliamo farci spazzare via o schiacciare dal Grande creditore. Lo spazio politico sul quale avviare la lotta non può in alcun modo essere quello dello Stato-nazione. Il debito si fa beffe delle frontiere e delle nazionalità, poiché sul piano dell'economia mondo conosce solo creditori e debitori. Per le stesse ragioni, il debito ci co171
stringe anche ad assumere una prospettiva diversa rispetto a quella del lavoro e dell'occupazione, per poter pensare a una politica all'altezza del Capitale in quanto «Creditore universale». Il debito supera le divisioni tra occupazione e disoccupazione, tra attivi e inattivi, tra produttivi e assistiti, tra precari e garantiti, divisioni a partire dalle quali la sinistra ha costruito le proprie categorie di pensiero e azione. La figura dell'«uomo indebitato» è trasversale alla società nel suo insieme e richiede nuove solidarietà e cooperazioni. Inoltre, dobbiamo pensare alla trasversalità tra «natura e cultura», poiché il neoliberalismo ha ulteriormente appesantito il debito che abbiamo contratto nei confìronti del pianeta e di noi stessi in quanto viventi. Una delle condizioni indispensabili alla lotta di classe è la reinvenzione di una «democrazia» che attraversi e riconfiguri ciò che persino le teorie più sofisticate continuano a pensare separatamente - la politica, il sociale e l'economia - , visto che il debito le ha già integrate all'interno di un dispositivo che le articola e le organizza. L'economia del debito sembra realizzare pienamente il modo di governo suggerito da Foucault. Perché possa esercitarsi, deve ricorrere al controllo del sociale e della popolazione trasformata in popolazione indebitata, condizione indispensabile per essere in grado di governare l'eterogeneità della politica e dell'economia, ma sotto un regime autoritario e non più «Hberale». Se non è possibile ridurre la politica al potere, se la politica non è semplicemente il calco positivo del negativo della politica del debito, se non possiamo dedurre una politica dall'economia (dal debito), comunque nel capitalismo non abbiamo mai visto nascere 172
un'azione politica se non dall'interno e contro la politica del Capitale. Dove scovare le ragioni del «torto» e le condizioni del «litigio» se non a partire dai rapporti di sfruttamento e di dominio attuali? Il negativo che il debito disegna, definisce le condizioni storiche dalle quali si allontana la lotta per inventare nuove forme di soggettivazione e nuove possibilità di vita. Ma queste condizioni sono, ogni volta, storiche, singolari, specifiche; e oggi si annodano intorno al debito. Il compito più importante consiste nell'immaginare e sperimentare modalità di lotta che abbiano l'efficacia di blocco che aveva lo sciopero nella società industriale. Il livello di deterritorializzazione del comando capitalistico ci costringe a questo. Le teste di legno dei capitalisti e dei governanti riescono a sentire solo il linguaggio della crisi o quello della lotta. Se abbiamo delineato un percorso teorico e politico intorno all'economia del debito, non è tanto per fornire una nuova teoria generale e globale del neoliberalismo, ma per fornire un punto di vista trasversale a partire dal quale possano dispiegarsi le lotte. La lotta contro l'economia del debito e soprattutto contro il suo senso di colpa «morale», che non è altro che una morale di paura, necessita anche di una specifica conversione soggettiva. Nietzsche può darci ancora qualche indicazione: «La compiuta e definitiva vittoria dell'ateismo potrebbe affrancare l'umanità da tutto questo suo sentirsi in debito verso il proprio principio, la propria causa prima. Ateismo e una sorta di seconda innocenza sono intrinsecamente connessi»'. I. F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 8i. Sul debito nell'opera di Kafka si veda anche il mio: Expérimentations politiques, Éditions Amsterdam, Paris 2 0 0 g .
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La ripresa della lotta di classe lì dove serve, ovvero dove è più efficace, deve riconquistare, rispetto al debito, questa «seconda innocenza». Una seconda innocenza non più verso il debito divino, ma verso il debito terrestre, il debito che pesa sui nostri portafogli e che modula e formatta le nostre soggettività. Non si tratta dunque semplicemente di annullare i debiti o di rivendicare un default - quand'anche darebbe estremamente utile - , ma di uscire dalla morale del debito e dal discorso nel quale esso ci imprigiona. Cercando di giustificarci rispetto al debito, abbiamo perso tempo o abbiamo semplicemente perso. Qualunque giustificazione già vi rende colpevoli! Occorre conquistare questa seconda innocenza, liberarsi da colpevolezza, dovere, cattiva coscienza e non rimborsare un centesimo. Occorre battersi per la cancellazione del debito, il quale, ricordiamolo, non è un problema economico, ma un dispositivo di potere che non soltanto ci impoverisce, ma ci porta alla catastrofe. La catastrofe finanziaria è lungi dall'essere finita, perché nessuna regolamentazione della finanza è possibile. D'altra parte, le oligarchie, le plutocrazie e gli «aristocratici» al potere non hanno programmi politici di ricambio. Ciò che l'Fmi, l'Europa e la Banca centrale europea ordinano, dietro ricatto dei «mercati», sono ancora e sempre rimedi neoliberisti che non fanno altro che aggravare la situazione. Col secondo piano di austerità greco, e quand'anche le previsioni delle agenzie di rating che scommettono sul fallimento parziale del debito greco avessero buon esito, non cambierebbero le conseguenze per i popoli europei. Saranno comunque continui salassi. Il ricatto del debito si abbatte su tutti gli europei come un destino ine174
luttabile. Non c'è altra possibilità se non rimborsare il Grande Creditore! Le uniche istituzioni a essere uscite dall'ultimo fallimento finanziario sono le banche, che continuano a fare profìtti e a distribuire dividendi grazie alla nazionalizzazione delle perdite. Ma il problema è soltanto rimandato. A meno di non trovare un debito non più sovrano ma cosmico, così da creare e sfruttare una bolla finanziaria extraterrestre, non vedo come uscire da questa catastrofe continuando a imporre e ad applicare quegli stessi principi che l'hanno causata. Il capitalismo funziona sempre in questo modo: deterritorializzazione delirante e ipermoderna, che spinge i propri limiti sempre più in là, e riterritorializzazione razzista, nazionalista, maschilista, patriarcale e autoritaria, che tratteggia un modo di vivere infame: «vivere e pensare come porci» - con tutto il rispetto per i maiali - , un modo di vivere di cui l'Italia berlusconiana ha fatto una messa in scena di incomparabile volgarità. In un'intervista alla televisione greca del 1 9 9 2 , Felix Guattari, beffardo e provocatore, anticipava gli obiettivi mai resi pubblici dell'accanimento finanziario che incombe sui «piccoli» Stati europei: La Grecia è il cattivo alunno dell'Europa. È la sua qualità. Per fortuna ci sono cattivi alunni come la Grecia che portano la complessità. Che portano il rifiuto di una certa normalizzazione franco-tedesca, ecc. Dunque, continuate a essere cattivi alunni e resteremo amici... NapoU, 15 luglio 2 0 1 1
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Indice
La svolta autoritaria del neoliberismo. Prefazione all'edizione italiana
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Il modello tedesco Crisi della finanza o crisi del capitalismo? Avvertenza Il debito come fondamento del sociale Perché parlare di economia del debito piuttosto che di finanza La fabbrica del debito Il debito, vettore di uno specifico rapporto di potere
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La genealogia del debito e del debitore
53 Debito e soggettività: il contributo di Nietzsche 53 I due Marx 68 L'agire e la fiducia nella logica del debito 78 Deleuze e Guattari: piccola storia del debito 85
Linfluenza del debito nel neoliberismo Foucault e la nascita del neoliberalismo
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Come il debito riconfigurazione il potere sovrano.
disciplinare e biopolitico La governamentalità neoliberista alla prova del debito: egemonia o governo? Il debito e il mondo sodale Antiproduzione e antidemocrazia Conclusione
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