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Italian Pages 187 Year 2010
Sergio Landucci
LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA DI KANT Introduzione alla lettura
@ Carocci editore
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la edizione Quality Paperbacks, dicembre 2010 la edizione, "Seminario filosofico", 1993 (3 ristampe) © copyright 1993 by Carocci editore S.p.A., Roma
Finito di stampare nel dicembre 2010 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN
978-88-430-5945-4
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.
Indice
Awertenza
9.
I.
Gli esordi del Kant morale
II
2.
La Critica deUa ragion pratica
21
2.I. 2.2. 2.3. 2.4.
Premessa La legge morale L'imperativo categorico Alcuni chiarimenti 2+r. La "ragion pratica~' I 2+2. La "facoltà di desiderare" I 2+3. Le "massime" della volontà
2.5. 2.6. 2.7. 2.8. 2.9. 2.10. 2.II. 2.12. 2.13.
Moralità e santità Moralità e felicità Moralità e legalità Il test dell'universalizzazione La motivazione morale L'autonomia della volontà Il «fatto» della ragione. La libertà del volere La fede razionale
3·
La struttura della Ragion pratica
3.r.
L'Analitica
21 24 30 39
44
48 56 61 70 76 83 95 IIO
n9 n9
7
3.2. 3.3.
123 125
La Dialettica La Dottrina del metodo
127
4·
Sulla genesi della Ragion pratica
5·
Dopo la Ragion pratica: religione, diritto e sto-
ria
135
6.
La Ragion pratica nella storia della filosofia
159
Nota bibliografica
179
8
Avvertenza
Conformemente al titolo, questo volumetto non è un'introduzione alla morale di Kant considerata in modo complessivo, ossia qualcosa come un capitolo o paragrafo di manuale, ampliato. Ma non è neppure un "commentario'', in dimensioni ridotte, della Critica della ragion pratica. Un'introduzione· alla morale di Kant in generale potrebbe esser senz'altro più agevole. Un commentario, anche se di mole modestf.\, seguirebbe l'opera partizione per partizione, senza evitare le questioni che sono poste dalla lettura di essa, ma pro., cedendo su binari prefissati. Un'introduzione alla lettura dell' o;. pera non· può neanch'essa evitare quel genere di questioni (altrimenti non aiuterebbe a leggerla), ma non è obbligata a se,. guida partizione per partizione. La strada che s'è seguita è, in effetti, intermedia. Nella par.. te centrale di questo volumetto - quella dedicata specificamente alla Critica della ragion pratica - si comincia col porre il lettore di fronte alle primissime pagine dell'opera (poche, ma quanto mai dense). Poi, si procede secondo i temi fondamentali, riferendosi liberamente al complesso dell'opera. Infine, viene esposta suècintamente, in un paragrafo apposito (PAR. 2.13), la parte intitolata Dialettica della ragion pratica pura. Neì rimandi alla Critica della ragion pratica si farà riferimento, senza premettere alcuna sigla, direttamente alle pagine della traduzione contenuta nel volume: I. Kant, Scritti morali, a cura di Pietro Chiodi, UTET, Torino 1970 e ristampe successive. 9
LA "CRITICA DELLA RAGION PRATICA" DI KANT
Nei rimandi alle altre opere che si trovano tradotte nel medesimo volume (la Fondazione della metafisica dei costumi, La
religione nei limiti della semplice ragione, e l'Antropologia dal punto di vista pragmatico), l'indicazione delle pagine sarà preceduta dalla sigla SM. Altre sigle, per le opere citate c:on una qualche frequenza:
Ak Gesammelte Schri/ten, voll. I (Reimer, Berlin
1900) -
xxix
(de Gruyter, ivi, 1983).
FS Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, a cura di G. Solari e G. Vidari, revisione ed aggiunte a cura di N. Bobbio, L. Firpo, V. Mathieu, UTET, Torino 1965, e ristampe successive.
LE Lezioni dt' etica, a cura di A. Guerra., Laterza, Bari 199L MC La metafisica dei costumi, a cura di G. Vidari, revisione di N. Merker, Laterza, Bari 199r.
RP ·Critica della ragion pura, a cura di P. Chiodi,
UTET, Torino 1967, e ristampe successive. SP Scritti precritici, a cura di P. Carabellese, revisioni ed aggiunte a cura di R Assunto, R. Hohenemser e A. Pupi, Laterza, Bari 1990.
Nelle citazioni da qu~ste traduzioni, s'opererà tacitamente, quando il caso, qualche lieve modifica.
IO
I
Gli esordi del Kant morale
Fra il secolo scorso ed il nostro, s'era fissata un'immagine stan~ dardizzata dell'evoluzione intellettuale di Kànt. Si diceva - e talora si continua a dire - ch'egli avrebbe preso le mosse dalla filosofia dominante in Germania nella. prima metà del xvm secolo, e cioè dalla sistemazione scolastica del pensiero di Leibniz. ad opera di . Christian Wolff e della sua scuola fiorentissima (per poi passare attraverso una fase intermedia di quasi-empirismo, prima d'approdare al "criticismo"). Negli ultilni decenni, è stato invece dimostrato che .wolffiano Kant non lo fu mai, bensl si mosse fin dall'inizio su vie di ricerca proprie, anche se non senza compromessi eclettici r. Cosl è senz'altro. per il suo primo p~onùnciam~nto pubblico a proposito della «filosofia pratica», nelle pagine finali (244-6, in SP) della Ricerca sul!'evidenza dei prindpi della teologia naturale e della morale, del 1763. Kant vi prende in considerazione la teoria che poneva il principio della morale nella promozion~ della maggior «perfezione», quella che lo poneva nell'obbedienza al volere divino;. e quella che faceva dipendete la moralità da un. «sentimento» specifico, qualificato appunto come «morale». Di un'altra teoria - l'eudemonismo - qà invèce per scontato che non possa neanche esser presa in considerazione quale teoria morale: I. Cfr. G. Tonelli, Elementi metodologici e metafisici in Kant dal 1745 al 1 1768, Ediz. di 'Filosofia", Torino· 1959; N. Hinske, La via kantiana alla filosofia trascendentale. Kant trentenne, trad. it. Japadre, L'Aquila ;r987.
II
LA "CRITICA DELLA RAGION PRATICA" DI KANT
Chi prescrive ad un altro quali sono le azioni eh' egli deve compiere od omettere se vuol favorire la ptoptia felicità, potrebbe bensl includete nei suoi precetti tutte le dottrine della morale, ma in tal caso queste cessano d'essere obblighi ... [In tàl caso,] si tratta soltanto di regole per una condotta prudente onde ottenere il proprio scopo.
Risultano pertanto originarie, in Kant, l'opposizione fra la moralità e la ricerca della felicità, e l'esclusione della ''prudenza" daU' àmbito morale. Solo per la teoria del "sentimento morale", egli accenna agli autori di essa: «Hutc:heson ed altri ... » {e cioè, prima, Shaftesbury, e, po!, Hume).· Per l'etica della felicità; non c'era certo bisogno di far nomj: era ovvio il riferimento all' èpkureismo (anziché, per esempio, all'eudemonismo aristotelico, che Kant non ha mai preso in considerazione ravvicinata). Non ce n'era ·bisogno, dato il pubblico a cui Kant si ·rivolgeva, neanc~e per l'etica della "perfezione" e l'etica del volere di Dio: erano, questi, i principi sostenuti, rispettivamente, da Wolff (e dai suoi infiniti .seguaci) è dall'antiwolffiano Crusius, il quale ebbe effettivamente· molta importanza, in generale, per il Kant di questi anni. Tra Wolff e Crusius, Kant si dichiarava neutrale, perché pensava çhe dai loro principi non fosse comunque possibile derivate norme concrete. La sua simpatia andava alla teoria del sentimento morale, proprio perché gli sembrava ·che, in · quest'altro rnodo, si potesse pervenire a valutazioni determinate 2 • Tuttavia, di fatto, era da Crusius che Kant riprendeva quello che considerava come il concetto centrale dell'etica: il concetto dell'obbligazione (Verbindlichkeit, «normatività»: in SP). Esso è espresso dal verbo dovere; ma - osservava Kant ..::. questo può avete. due significati completamente diversi: o iO 'devo 2.. Simpatia, perché Kant cominciava con l'asserire: «Solo ai nostri tempi s'è cominciato a capire che [ ... ] 1a facoltà di sentire il bene è il sentimento», anziché la conoscenza; ma poi concludeva: «è ancora da stabilire se», dei principi fondamentali della morale, «decida la sola facoltà· conoscitiva oppure il sentimento».
12
I. GLI ESORDI DEL KANT MORALE
fare qualcosa se voglio qualcos'altro, nel qual caso quel che de,, vo fare è un mezzo rispetto al fine che voglio raggiungere; op .. pure devo fare qualcosa non in vista d'altro, quindi senza con .. dizioni («immediatamente», dice Kant; e cosl s'esprimerà. ancora nella stessa Critica della ragion pratica e nelle altre opere rno .. rali degli anni Ottanta e Novanta). E solo nel secondo caso si ha l'obbligazione morale. · Ecco dunque che, fin dal suo primo pronunciamento pubblico sull'etica, Kant punta già su quelli che rimarranno sempre i concetti centrali nel suo pensiero in materia: l'obbligo morale, e la «legge» che ce l'impone. Il che egli dice ora con un barbaro latino: .«necessitas legalis»; dove necesst'tas significa però una necessità "morale"; e quindi nient'altro che obbligatorietà 3 ; ma è detta legalis (con riferimento alla legge morale, ovviamente, e no11,alle leggi civili), per opporla alle regole d'opportunità o di prudenza -- non "leggi", codeste - che eventualmente si rivelino necessarie onde raggiungete determinati fini 4 • Fin da ora, Kant si presenta cioè come un "deontologista". Si definisce così, oggi, chi .sostenga che si danno doveri morali assoluti, o che si dà il dovere per il dovere, di contro a chi sostenga che i doveri morali sarebbero invece giustificati solo da çonsiderazioni relative agli effetti prevedibili· di determinati comportamenti o della pratica di determinate regole d'azione ("teleologismo'', o consequenzialismo, si chiama oggi quest'altra posizione, i cui rappresentanti sono gli utilitaristi dei vati indirizzi 5 ).. 3. È il primo esempio d'una tendenza terminologica che perdurerà fino alla Ragion pratica ed oltre: ad usare le modalità cosiddette aletiche, relative cioè alla verità ("possibile", "impossibile" e "necessario"), per qualificare le corrispondenti modalità deontiche: "lecito", "vietato" ed "obbligatorio". Quest'irritante uso terminologico proveniva a Kant tanto dal wolffismo quanto da Crusius. 4. Anche Crusìus aveva parlato, alla lettera, di un'«obbligazione legale>> (gesetzlù:he Verbindlichkeit) per indicare l'obbligazione morale, 5. L'utilitarismo ha la sua prima formwazione esplicita e sistematica in un'opera pressoché contempOranea alla Critica della ragion pratica: l'Introduzione ai princìpi della morale e della legislazione di Jeremy Bentham. Si veda,
13
LA uCRITICA DELLA RAGION PRATICA" DI KANT
Anche in un altro scritto del 1763, Kant qualifica il principio della morale come una legge, indicandone la sede nel «cuore» dell'uomo. La chiama anche «sentimento morale», e la caratterizza come la legge dell'amore per il prossimo. Nell'obbedienza ad essa, e, rispettivamente, nella trasgressione di essa, a seconda di quali moventi prevalgano nell'animo - dice - consistono il merito ed il demerito morali. Se un animale non è suscettibile di merito e demerito, è perché non agisce in accordo o in contrasto con una «legge interiore» (SP, pp. 266-8). . A rimanere in campo sono dunque; qui, la tesi che il principio della morale abbia forma di legge; e l'equiparazione di essa ad un sentimento. Per quest'ultimo punto, c'è da segnalare che ancor più della scuola del senso morale, operò su Kant, pro~ prio in questi stessi anni, la suggestione di Rousseau ch'egli risentì profondamente 6 • Inoltre, si ha, ora, un'indica~ione di contenuto: l'amore per il prossimo, cristianamente. E, poiché lo dà quale contenuto della legge interiore, Kant non s'è ancora teso conto di ciò di cui si renderà tonto nelle opere morali di v~nt'anni dopo: che l'amore non può venir comandato, e quindi che una legge dell'amore è, a rigore, una contraddizione (dr. SM, pp. 55 e 225 s.). Fa la sua prima comparsa,. qui (SP, p. 285), anche un'altra tesi d'impronta cristiana, ma destinata a rimanere sempre, questa, un cardine. dell'etica di Kant: ·Dio, che vede nel più profondo dei cuori, ha riservato a sé solo il diritto di giudicate (come dice la Bibbia), perché a noi è impossibile inferire ç 0 n ora,l'antologfa L'utilitarismo classico da Bentham a Sidgwick a cura di F. Fa~ giani, Edizioni Busento, Cosenza 1990. Per un primo orien'tamento sul contrasto fra. deontologismo e teleologismo, cfr. W. K. Frankena, Etica. Un'introduzione alla filosofia morale, trad. it. Comunità, Milano 1981. 6. Fra l'altro, in un appunto autobiografico risalente a questi anni, si trova; .«Per inclinazione, sono un ricercatore. Sento tutta la sete di conoscere [ ... ]. Un tempo, credevo che solo in ciò consistesse l'onore dell'umanità e disprez~avo il v.olg~ che non ne sa nulla, M'ha fatto cambiare opinione, p~r tandom1 sulla via giusta, Rousseau. Quell'accecante superiorità svanisce, ed io apprendo ad onorare gli uomini [... ]» (Ak, xx, p. 44). ·
I. GLI ESORDI DEL KANT MORALE
sicurezza la virtuosità o meno d'un uomo dalle sue azioni. S'in.. tenda: dalle azioni in quanto· comportamenti esteriori, in contrapposizione all'atteggiamento interiore verso di esse 7 • Da sù .. bito, quindi, Kant è non soltanto un deontologista,. ma anche un intenzionalista (se si può dire, in questo senso). Esclude, doè1 che il dovere morale si riferisca a comportamenti esteriori (al contrario di quel che sostengono, non soltanto gli utilìtaristi, ma. anche i "deontologisti" del nostro secolo). Nella Ricerca sull'evidenza dei prindpi della teologia naturale e della morale, il terna centrale era il riconoscimento di concetti non risolubili in altri più semplici e di proposizioni indimostrabili (in filosofia ..... sosteneva Kant - molto più numerosi, gli uni e le altre, di quanto si ritenga di solito) 8 • Come esempi di nozioni non risolubili in altre, comparivano; fra i sentimenti del1' animo umano, quello del "bello" e quello del "sublime". Un altro tema, questo della distinzione fra tali· due sentimenti, di derivazione inglese 9 ; e sul quale Kant tornerà, poi, ancora nella prima parte della Critica del Giudizio, ma intanto, sùbito (1764), nelle Osservazioni sul sentimento del bello e su quello del sublime. E nelle pagine centrali (301-5, in SP) di questo scritto di psicologia empirica, più che d'estetica, si trova l'altro intervento sulla morale, del Kant quarantenne. 7. Anche in uno scritto del 1766: le «vere intenzioni», i «motivi segreti» di molti sforzi che magarì risultino poi infruttuosi per impotenza a realizzarli effettivamente, oppure la «malizia nascosta» in azioni apparentemente buone, tutto ciò non risulta dalle azioni in quanto «eventi fisici» (SP, p. 367). 8. Cosi è anche per quella bontà, non ulteriormente analizzabile, che il sentimento morale ci rivelerebbe immediatamente in taluni comportamenti, a confronto di altri. Quanto ai principi sostenuti, rispettivamente, da Wolff e da Crusius, questi non sono assolutamente dimostrabili, perché - sostiene Kant - «da nessuna considerazione d'una cosa o d'un concetto, qualunque essi siano, è possibile dedurre cosa si debba fare», a meno che non si tratti d'un mezzo per un fine ulteriore (SP, p. 245). 9. Basti ricordare E. Burke, Inchiesta sul bello e il sublime (1757), trad. it. Edizioni "Aesthetica",. Palermo l99I. Bello è un prato fiorito, sublime una montagna incombente; bello, un lago quieto, e sublime il mare in tempesta. Bello, Raffaello; sublime, Michelangelo.
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LA !'CRITICA DELLA RAGION PRATICA" DI .KANT
L'attacco è perentorio: «Fra le qualità morali, solo la virtù
vera è sublime». Questa è la prima enunciazione d'un modo di pensare che, ancora una volta, rimarrà sempre costante in Kant, fin n.ella Fondazione della metafisica dà costumi e nella Critica della ragion pratica (anche se, di norma, allora Kant eviterà di usare qualificazioni estetiche e psicologiche in campo morale); Tant'è vero che la prima caratterizzazione complessiva dell'etica di Kant, come formulata in quelle opere mature, si troverà in uno scritto di Friedrich Schiller intitolato Grazia e dignità ro. Ora, la "grazia" corrispondeva al bello, e la "dignità" al sublime; e Schiller sosteneva che Kant aveva considerata la virtù morale solo come ·sublime,· giustappunto, anziché anche come bella: in quanto l'aveva fatta consistere tutta nella repressione delle inclinazioni sensibili da parte del "dovere", anziché anche nella possibile armonia di dovere ed inclinazioni. Kant accetterà solo in parte codesta interpretazione (cfr. SM, pp. 342 s.); ma non c'è dubbio ch'essa cogliesse nel segno. In ogni caso, Kant parlava della virtù vera, nel q64, per mettere in guardia contro la confusione con ciò che della virtù morale ha soltanto lapparenza, ma illusoria, ed anche con ciò che le assomiglia effettivamente, ma ingannevolmente. L'apparenza illusoria della virtù si ha nelle azioni determinate dal sentimento dell'onore; la somiglianza ingannevole con la virtù veta, nelle azioni determinate dal buon cuore, come quelle ispirate dalla pietà o dalla compiacenza per gli altri. Certo, ben preferibili, le motivazioni del secondo genere, che non la preoccupazio.Qe per il proprio onore. Una molla potente del comportamento umano, quest'altra (e si pensi, al riguardo; alle società d'ancien régime), tale che induce anche a sacrifici i più pesanti, ma fondata su un pregiudizio ben meschino e futile: che sia lopinione altrui a decidere del valore del nostro agire, mentre è sicuro che chi agisca per apparire virtuoso, non è affatto virtuoso, perché mosso, 'in realtà, dall'ambizione. rn. Trad, ìt. in Schiller; Saggi estetici,
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UTET,
Torino :i:951, pp.
137
ss.
L
GLI ESORDI DÉL KANT MORALE
Il criterio che Kant propone per distinguere, dalla virtù genuina, quel che c'è il rischio che vada confuso con essa, è il seguente: tanto la pietà ela compiacenza quanto il senso dell'onore possono sì indurre anche ad azioni a cui indurrebbe pur la virtù vera> ma, se questo avvenga oppure no, è meramente casuale. Lo mostra il fatto che tali motivazioni possono tutte indurre anche ad azioni in contrasto con la virtù~ Ad esempio: la pietà può indurre a soccorrere chi si trovi in difficoltà, ma anche a scapito di quanto strettamente dovuto, invece, ad altri (si pensi, per esempio, ad un debito che s'abbia da restituire). Ed ecco comparire, cosl, l'aspetto "sublime",. o, se si vuole, duro, della virtù: non potrà mai esser ·moralmente virtuoso consentite che un impulso abbia il sopravvento su un dovere, perché tutti gli impulsi (o inclinazioni naturali) sono «ciechi»,· in ~e stessi, .e quindi potenzialmente in conflìtto con la moralità. E già il linguaggio rigoristico che rimarrà sempre tipico di Kant. Dalla compiacenza per. gli altri, poi, possono derivare anche tutti i vizi: per far piacere a qualcuno, si può accondiscendere ad esser bugiardi, beoni, e cosl via. Quanto al sentimento dell'onore, non c'è neppur bisogno d'esempi: basta fare un ritratto realistico del ·comportamento di chi ne sia dominato. Il fondamento positivo della virtù genuina è l'agire in base a «prindpi»; i quali, poi, per essere tali, non possono essere se non 'universali. Meno felice è, da parte di Kant, la traduzione di codesta tesi in termini di sentimento, ché 1a motivazione alla virtù vera sarebbe il sentimento della «bellezza» e della «dignità» della natura umana. Infatti, se «la virtù vera è sublime», significa che non è bella (solo la "dignità"· è il corrispettivo del sublime); e "bello", infatti, è il buon cuore. D'altra parte, se il sentimento della "bellezza" della natura umana viene inteso co~ me fondamento d'una «benevolenza universale» (come Kant l'intende), allora non s'è più guidati ciecamente dalla simpatia verso alcuni a scapito del resto, ma si agisce, in realtà,. per un "principio". Quel che importa è comunque che qui Kant mette al centro
LA "CRITICA DELLA RAGION PRATICA" DI KANT
dell'etica quel criterio che poi manterrà sempre una funzione discriminante, fra motivazioni morali e motivazioni riportabili ad impulsi: il criterio dell'universalità. Semmai, qui inteso ancora in un senso prossimo a quello di imparzialità verso gli altri, anziché - come sarà poi, nella Fondazione della metafisica dei costumi e nella Critica della ragion pratica - quale criterio formale intrinseco («Agisci in modo da poter volere che la tua massima divenga una legge universale»); ma già da ora fatto dipendere dall'assunzione di "prindpi", a regola del proprio comportamento. Si ha l'impressione che, a bloccare uno sviluppo del criterio dell'universalità nella. direzione che assumerà poi, è~ ora,. un residuo attaccamento alla teoria di specifici sentimenti mora.li. Un ben maggior distacco da essa si nota invece nel famoso intervento polemico del 1766, I sogni d'un visionario spiegati con i sogni della metafisica; dove - accanto ad una ripresa sommaria di ·quanto sostenuto nelle Osservazioni -- si trova anche detto, del . sentimento morale, che si può sl usare quest'espressione per qualificare l'efficacia pratica della legge morale (ossia il suo funzionare da movente effettivo della volontà), ma solo come nome d'un fenomeno che non perciò risulta spiegato: un po' come avviene col termine "attrazione'' nella fisica di _Newton (SP, p. 367). E questa rimarrà la posizione definitiva di Kant sull'argomento: la medesima dichiarazione, sul sentimento .morale, si troverà nel paragrafo intitolato ad esso nella Metafisica dei costumi, del 1797 (MC, p. 252). La simpatia di Kant per la teoria di Shaftesbury e seguaci s'era dunque esaurita nel giro di tre o quattro anni (come d'altronde ben risulta dalle sue Riflessioni private n). A conclusione del decennio in cui erano comparse le opere sulle quali ci siamo soffermati finora, s'avrà quella Dissertazione accademica (e quindi in latino) sulla forma ed i princìpi del n. Sono molte migliaia di appunti ì più vari, presi lungo mezzo secolo. Per quel che ci riguarda qui, alcuni si trovano tradotti in S. Vanni Rovighi, Introduzione a.Ilo studio di Kant, La Scuola, Brescia 1981, pp. 220 ss.
18
I. GLI ESORDI DEL KANT MORALE
mondo sensibile e di quello intelligibìle, che inaugura il criticismo. Sul nostro tema, in essa si trova solo questo: la filosofia morale si fonda sull'idea della «perfezione morale»; pertanto è una disciplina filosofica· pura, pertinente cioè interamente al1'«intellett0>>, e per niente affatto alla sensibilità: «C'è quindi ben donde biasimare Epicuro [. .. ], e con lui taluni novatori che l'hanno in qualche modo seguìto, seppur alla lontana, come Shaftesbury e i suoi seguaci» (SP, p. 432). Ma non è poco. Tanto è netto, qui, il rifiuto che la morale abbia a che fare con la sensibilità, che s'esprime in un'apparente grossolanità come l'accostamento dei teorici del sentimento morale all' epicureismo: fu fatto sùbito rileva.re a Kant; ma egli lo ripeterà anche nella Fondazione della metafisica dei costumi (cfr. SM, p. rn2) e nella Critica della ragion pratica, p. 177· In, alternativa, Kant s'appropria, ora, proprio della tesi più in auge, in quel tempo, in Germania, come quella di Wolff (la «perfezione» morale); alla quale, viceversa, egli non aveva mai prestato particolare attenzione, in precedenza, e che poi rifiuterà espressamente· nella Fondazione (cfr. 'SM, pp. 102 s.) e nella Ragion pratica, p. 179· _ In queste opere mature - una volta costituitosi piena.mente il criticismo, nel giro di quel decennio che va dalla Dissertazione (;r770) alla Critica della ragion pura (r781) -, la filosofia morale rimarrà sì una disciplina filosofica pura, ma non più attinente allrnintelletto" (al quale verrà demandata la conoscenza del mondo fenomenico), bensì alla "ragione", alla quale verrà riservata la sfera dell'" assoluto,,; o "incondizionato". E questa non sarà una differenza semplicemente terminologica: implicherà addirittura la differenza fra il criticismo ancora a metà del 1770 ed il criticismo compiuto degli anni Ottanta.
2
La Critica della ragion pratica
2.1
Premessà
Kant ha scritto tre opere dedicate interamente alla morale:. la Fondazione della metafisica dei costumi, 1785; la Critica della ragion pratica, J788; i Princìpi metafisici della dottrina della virtù - seconda parte della Metafisica dei costumi -, 1797 (nel 1781 era uscita la Critica della ragion pura; nel 1783, i Pro.{egomeni ad ogni futura metafisica ·che vorrà presentarsi come -s.cienza; nel 1790, la Critica del Giudif.io). . Per il rapporto fra di esse, sarebbe fuorviante basarsi sulla lettera dei titoli, come se solo la Fondazione della metafisica dei costumi avesse funzione di premessa nei confronti della Metaflsica dei costumi. Invece, hanno tale funzione tanto la Fondazio-ne quanto la Ragion pratica. In entrambe le opere si tratta cioè di una fondazione, giustappunto, della filosofia morale, laddove i Prindpi metafisici della dottrina della virtù ne espongono il «sistema». Simile articolazione dipende dall'architettonica della filosofia fissata da Kant dacché delineò il criticismo. Egli ha infatti pensato la «critica» come una fondazione della «metafiska», e, quest'altra, come "sistema" (un senso di metafisica, quindi, ben diverso da quello tradizionale). ·Di sistemi, e quindi di "metafisiche", per Kant se ne danno due: della natura e dei costumi (denominazione arcaicheggiante, quest'ulti~a, in quanto si rifà 21
LA "CRITICA DELLA RAGION PRATICA'' DI l(ANT
all'etimologia di "etica" e "morale", per designare la parte della filosofia che ha per oggetto il comportamento umano). A fondare la