148 13 5MB
Italian Pages 130 Year 2011
Responsabile editoriale Roberto De Meo Redazione Chiara Cacciarini Collaborazione redazionale Lorenzo Bartalesi Revisione Laura Guasti Progetto grafico Adria Villa Referenze iconografiche Archivio Giunti/foto Nicola Grifoni, Firenze, p. 97; Archivio Giunti/foto Rabatti & Domingie, Firenze, p. 71. © 2010. Foto Scala, Firenze/Heritage Images, p. 43. Ove non altrimenti indicato le immagini sono tratte dall’Archivio Giunti. L’Editore si dichiara disponibile a regolare le eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte. www.giunti.it © 2011 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese, 165 - 50139 Firenze - Italia Via Dante, 4 - 20121 Milano - Italia ISBN 9788809769243 Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl Prima edizione digitale 2010
JACQUES
LE GOFF LA CITTÀ MEDIEVALE
INDICE
1. 2. 3. 4. 5.
Introduzione Le origini della città Ma l’anima è il commercio Mendicanti ma potenti Un nuovo spazio per il pensiero La parabola del Comune
Documenti Cronologia Bibliografia
7 9 31 47 59 83 105 121 127
Introduzione
Come un’araba fenice, la città medievale risorge dalle ceneri dell’impero romano, devastato dalle invasioni barbariche. La rinascita arriva con il cristianesimo: intorno ai vescovi si ricostituisce un centro di autorità e di potere. Con la rivoluzione agricola e commerciale dei primi secoli del secondo millennio, la città vede moltiplicarsi monumenti, case, strade e piazze per accogliere una popolazione sempre più numerosa che affluisce dalle campagne. Diventare cittadino spesso non significa soltanto l’affrancamento dalla servitù della gleba, ma anche la conquista di libertà e franchigie che esaltano le capacità individuali, unite in uno sforzo di cooperazione e di mutuo soccorso mai tentato prima nella storia della civiltà. La realtà urbana scardina così la rigida gerarchia feudale, inventando una nuova coscienza politica; nascono i Comuni, portando con sé un nuovo anelito di libertà e autonomia. 7
Crogiuolo di un potente rinnovamento culturale e religioso, il centro urbano vede sorgere meravigliose costruzioni architettoniche: mirabile espressione della nuova arte gotica e rappresentazione del mondo si uniscono in un sublime afflato mistico. Ripercorrendo le sue strade tortuose e imbattendosi negli uomini e nelle donne che la popolano, si comprende come questa figlia del Medioevo, la città, sia stata davvero la madre dell’odierna coscienza europea.
8
1. Le origini della città
9
Nella pagina precedente: Un particolare dalla Tabula Peutingeriana conservata presso la Biblioteca Nazionale di Vienna; si tratta della riproduzione, datata intorno al XII-XIII secolo, di un’antica “carta stradale” del IV secolo raffigurante città e strade dell’impero romano. Al centro si può riconoscere la stilizzazione di Roma, con l’indicazione delle vie principali che si dipartono dalla sua cerchia. 10
La città è un fenomeno antico nella storia delle società. Fa la sua comparsa per la prima volta nel Vicino e Medio Oriente (Catal Hüyük in Anatolia intorno al 6000 a.C., Gerico nella valle del Giordano in Palestina tra l’8000 e il 4000 a.C. e in Mesopotamia dal quarto millennio in poi) e in seguito nelle piane fluviali prima dell’India e poi della Cina. Gran parte delle città del Vicino e del Medio Oriente sono sorte in seguito a una fase di concentrazione del potere in un palazzo o in un tempio intorno a cui si era sviluppato un agglomerato di tipo urbano, man mano che la popolazione cresceva e le funzioni religiosa, politica, economica e culturale si diversificavano più nettamente. In Occidente, la città è nata e si è sviluppata secondo modelli diversi da quelli delle città asiatiche. Invece che scaturire dal tipo di potere religioso o monarchico, si è costituita come centro di potere più o meno autonomo: è il caso della città greca 11
nell’Antichità e della città comunale nel Medioevo. Anche sotto l’impero romano e durante la fase della creazione degli Stati feudali nel Medioevo, città e municipi mantennero una relativa autonomia. All’inizio del Novecento, il sociologo tedesco Max Weber si è soffermato su questa originalità della città occidentale che, del resto, la rende un’eccezione. Dal canto suo, Roberto Lopez ha insistito sul carattere unificato, centralizzato della città occidentale rispetto alla giustapposizione più o meno anarchica di diversi insiemi di costruzioni nelle città asiatiche. Una tendenza all’unificazione e alla centralizzazione che si riscontra tanto nella struttura, nella pianta, nel progetto urbanistico della città, quanto nella mentalità dei cittadini. Quello che conta nella città occidentale, quello che ne crea la personalità, non sono tanto le pietre, i monumenti, le strutture materiali, quanto gli uomini e le donne che vi abitano, la presenza dominante dei cittadini. Da questo punto di vista, la città medievale rappresenta un periodo fondamentale nella formazione del modello urbano occidentale. L’originalità di questo modello si esplica nelle tre grandi funzioni della città: centro di potere, centro economico e focolaio di civiltà. 12
Dalla città romana ai nuclei urbani dell’Europa medievale A lungo gli storici si sono chiesti se la città medievale fosse una continuazione della città romana o una creazione nuova. In generale, oggi la risposta è assai sfaccettata, soprattutto perché gli scavi archeologici hanno permesso una migliore valutazione delle conseguenze delle “invasioni barbariche” (periodo che va essenzialmente dal III al VII secolo, tra Antichità e Medioevo) e perché le nuove concezioni storiografiche hanno attribuito maggiore importanza agli aspetti materiali e quotidiani della vita, ai costumi, alla mentalità, alla sensibilità e al sistema di valori delle società. Roberto Lopez ha detto bene: più che di continuità, bisogna parlare di «persistenza». Persistenza prima di tutto nella localizzazione delle città. Quasi tutte le città romane diventeranno città medievali: ancora oggi, nel centro di molte città si riconosce l’ubicazione delle antiche mura. Questo è vero a Chester, in Inghilterra, come a Colonia, Worms e Ratisbona in Germania; a Vienna in Austria e ad Avenches in Svizzera; a Strasburgo, Rouen, Bourges e Autun in Francia; a Pamplona, Tarragona e Saragozza in Spagna; a Bologna, Pavia, Verona, Firenze e in tante altre città d’Italia. 13
Circhi, teatri, terme vengono utilizzati a lungo; il re franco Chilperico fa persino costruire dei circhi nuovi nel VI secolo a Soissons e a Parigi. Ma anche se la scomparsa dei principali monumenti della città antica è più lenta di quel che si è potuto pensare, nel VII secolo questi monumenti non hanno comunque più vita perché, sotto la pressione del cristianesimo, sono stati distrutti, abbandonati o adibiti a nuove funzioni: pietre e colonne sono state impiegate nella costruzione delle chiese. Così, perdendo i suoi templi, i fori, i teatri, gli stadi e le terme, il nucleo urbano diventa radicalmente diverso da quello antico. Alcune città scompaiono, trasformandosi in rovine che risorgeranno in minima parte: sant’Ambrogio, nel IV secolo, parla di «cadaveri di città». Anche se gli scavi archeologici hanno dimostrato, in alcuni casi, che le distruzioni sono state inferiori a quelle ipotizzate, il bilancio resta pesante. Dopo la guerra greco-gotica e gli attacchi dei longobardi e dei saraceni, l’Italia meridionale, come dice Ernesto Sestan, è «un vero e proprio cimitero di città». L’Italia settentrionale e centrale viene colpita anche nella sua rete urbana: nel Veneto e nell’Istria, dove si contavano venticinque civitates, ne sono scomparse sette. Eppure in Italia, cen14
tro secolare del sistema urbano antico, la persistenza delle strutture urbane sarà più lunga e più importante che altrove. Ma non sono soltanto le invasioni e le guerre a provocare il declino dei centri urbani: movimenti strutturali più profondi, il cui processo è iniziato durante l’impero romano, sono le cause fondamentali di questo regresso delle città. La depressione demografica si combina infatti alla fuga nelle campagne di una parte della popolazione urbana. La progressiva disorganizzazione della rete di comunicazione terrestre e marittima, il ripiegamento della produzione artigianale nelle grandi proprietà rurali (villae), il peso delle imposte e delle esazioni urbane di ogni tipo spingono i cittadini a ritirarsi in campagna. Scomparsi i centri vitali, le arterie maestre e i nodi economici, sopravvivono solo villaggi isolati: la Tarda Antichità e l’Alto Medioevo sono epoche di ruralizzazione dell’Occidente. Vescovo e città: un binomio costante tra IX e X secolo Tuttavia, oltre ad assumere una nuova funzione, le città superstiti conoscono l’assestamento, se non addirittura il rifiorire delle attività e la comparsa di 15
nuove forme di prestigio e di potere. Le città diventano i centri della nuova religione, che a poco a poco insedia il proprio potere nell’antico spazio dell’impero romano, e in seguito conquisterà nuovi territori nell’Europa settentrionale e orientale, prima di tutto in Germania, nel corso dell’VIII e del IX secolo. Avvenimento di capitale importanza, il cristianesimo ha conquistato prima di tutto le città ed è poi penetrato nelle campagne molto lentamente. Compare così un nuovo tipo di centro urbano: la città vescovile. La presenza di un vescovo in un agglomerato a carattere urbano è di tale importanza che soltanto le città vescovili ricevono il nome di civitas. A partire dal IV secolo, il vescovo non è soltanto il capo religioso della città, ma ne assicura anche la direzione in ogni campo, economico e sociale, culturale e politico. Egli incarna la figura del santo patrono che ormai svolge il ruolo di protettore della città, di intermediario presso Dio, di ambasciatore e difensore nei confronti dei capi pagani o eretici che minacciano la città (uno degli esempi più notevoli è Milano, divenuta la città di sant’Ambrogio). Così, quasi ovunque il vescovo assume i diritti pubblici nella città, che questo potere venga o meno ufficialmente riconosciuto dai principi bar16
Un affresco di Sano di Pietro del 1446 conservato presso il Palazzo Pubblico di Siena raffigurante san Pietro Alessandrino con il modello della città. Tra gli edifici, rappresentati fedelmente all’interno delle mura, si distinguono i simboli del potere religioso e civile senesi: il Duomo e, appunto, il Palazzo Pubblico con la cosiddetta Torre del Mangia. 17
bari anglosassoni, franchi, longobardi e visigoti. La crisi del potere alla fine del periodo carolingio, tra il IX e il X secolo, permette al vescovo di consolidare e di allargare la propria autorità sulla città. Estendendosi ai dintorni dell’agglomerato urbano, il potere episcopale può affermare il proprio ruolo economico e prepararsi a diventare uno dei principali elementi del rinnovamento economico della città, avviato nel X secolo. «Il gruppo edilizio episcopale» afferma Giovanni Tabacco «(la cattedrale, semplice o doppia, il battistero, il palazzo del vescovo), collocato talvolta fuori dalle mura, ma di solito, almeno in Gallia, internamente a esse, spesso in un angolo diametralmente opposto al palazzo regio o comitale, rappresentava la traduzione in termini topografici e architettonici del significato assunto dall’autorità vescovile nel quadro della collettività urbana di fronte all’ordinamento politico-militare». In tal modo, la “città vescovile” assolve a una funzione “precomunale” (cfr. documento 1). In generale, è il cristianesimo a trasformare profondamente la città in maniera spettacolare. Il tessuto urbano si riorganizza intorno a numerose chiese; i monasteri urbani e suburbani che vi vengono costruiti, le feste religiose e le campane che 18
risuonano dall’alto dei campanili innalzati dal VII secolo in poi, ritmano il nuovo tempo urbano: quello della Chiesa. Sebbene un gran numero di tombe di santi martiri (fondamentali luoghi di devozione e di attrazione dell’abitato) restino situate al di fuori della città, le reliquie dei santi seguono invece il movimento d’inurbamento; i cimiteri si sviluppano accanto alle chiese, i morti che l’antica religione relegava lungo le strade esterne rientrano nella città, ormai città di vivi e di morti. Da nessun’altra parte l’influenza del vescovo e la trasformazione della città da parte del cristianesimo è forte come a Roma, il cui vescovo reclama un potere superiore nell’Occidente cristiano. Il tipo esemplare del vescovo che trasforma la città con il proprio potere e la propria azione è Gregorio Magno, papa dal 590 al 604. Alla fine del millennio la grande urbanizzazione dell’Occidente A partire dal X secolo, più o meno precocemente, più o meno rapidamente, in maniera più o meno significativa, la Cristianità occidentale viene investita da un movimento generale di urbanizzazione, risultato della coincidenza di un insieme di sviluppi. Il primo di questi fattori è la crescita della popolazio19
ne, effetto della fine delle grandi invasioni, della relativa tranquillità portata dal movimento di “pace” animato dalla Chiesa e ispirato o sostenuto dalle masse popolari. Il sovrannumero di abitanti che le campagne non sono in grado di assorbire si riversa nelle città o nelle loro prossimità immediate. Il miglioramento della produzione agricola è dovuto a una serie d’innovazioni tecniche, spesso modeste: la maggiore efficacia degli strumenti di lavoro grazie all’uso più frequente del ferro; la comparsa dell’aratro a ruota, più efficace di quello antico, che pure continua a essere ampiamente usato; la diffusione di nuovi attrezzi, come l’erpice; l’adozione di colture dei terreni più redditizie grazie alla sostituzione della rotazione triennale con quella biennale (che prevede il riposo degli appezzamenti per due anni su tre invece che per un anno su due). Tutti questi progressi permettono di migliorare le rese e di produrre eccedenze in grado di nutrire la città, centro di consumo. Il progresso dell’artigianato supera quello agricolo, in particolare nel campo tessile (sostituzione del telaio verticale con quello orizzontale) e nella produzione di energia. Il mulino ad acqua conosce uno sviluppo straordinario, insieme alle sue applicazioni industriali: mulino da ferro, mulino da tanno 20
per il cuoio, mulino per follare i panni, fino allora follati con i piedi, mulino da birra e, naturalmente, mulino da farina. I mulini si moltiplicano non soltanto nelle campagne, ma anche nelle città e nei dintorni, lungo una rete molto fitta di canali e di corsi d’acqua grandi e piccoli; alcuni galleggiano sui fiumi, come a Parigi, diventando dei mulini-barche. Lo stimolo economico, essenziale allo sviluppo urbano, si manifesta soprattutto con la ripresa del commercio a lungo raggio (marittimo e terrestre), che trasforma la città in nodo delle vie commerciali e nella sede principale degli scambi, grazie allo sviluppo delle fiere e dei mercati urbani e suburbani. La città viene inoltre favorita dal desiderio degli abitanti di dotarsi d’istituzioni e di poteri che uniscano un certo grado di libertà (economica e giuridica) alle esigenze di sicurezza e di giustizia che i vecchi poteri politici in declino non possono più offrire. Il potere vescovile, infatti, viene compromesso dalla decadenza morale della Chiesa nei secoli IX e X, mentre i poteri pubblici e regi sfuggono dalle mani regali e imperiali, usurpati dappertutto. Dal X al XIII secolo la scomparsa del servaggio rurale e il continuo movimento di affrancamento dei servi arricchisce la città di popolazione e di manodopera. 21
La città raddoppia: dal castro primitivo ai nuovi borghi Spesso, la città medievale è un agglomerato suburbano sorto vicino a un’antica città o a un nucleo urbano primitivo (castrum), chiamato grod o hrad nei paesi slavi. Questo castrum primitivo era talvolta situato su un’isola fluviale (come, per esempio a Wroclaw e a Poznan), chiamato wik o portus nell’Europa settentrionale: Huy, Dinant, Namur, Maastricht, Gand e Valenciennes sull’Escaut, Quentovic all’imbocco della Manica nella Francia odierna, Dorestad sul delta del Reno, in Germania vicino al mare del Nord. Ma poteva sorgere anche nell’entroterra, come nel caso di Schleswig, Brema e Goslar. Nei pressi di questi nuclei urbani si sviluppano nuovi agglomerati, chiamati nei paesi slavi pogrodzie (equivalente al latino suburbium) e nel resto dell’Occidente cristiano burgus (it. borgo, ingl. borough, ted. Burg, fr. bourg). Per esempio, ad Arras, accanto all’originario nucleo galloromano, dal IX secolo in poi si sviluppa il borgo di Saint-Vaast intorno all’abbazia omonima; e a Limoges, accanto al centro con la cattedrale, sorge un borgo intorno all’abbazia di San Marziale. In Francia, quasi tutte le antiche città galloromane si sono duplicate, triplicate, moltiplicate. 22
In Italia, per esempio a Genova, accanto all’antica civitas o castrum, che includeva il castello, la chiesa di Santa Maria di Castello e la cattedrale di San Lorenzo, si costituisce un borgo che riesce a fare di San Siro, la sua chiesa principale, una seconda cattedrale. I borghi o sobborghi nei pressi dell’antica civitas sono spesso numerosi. A Pisa, accanto alla vecchia città romana sulla riva destra dell’Arno, si sviluppano i borghi di Forisporta sulla stessa riva destra e di Chinsica sulla riva sinistra del fiume. Reims e Parigi, Colonia e Firenze: l’importanza delle mura Oltre alla ricostruzione di quelle preesistenti, il sorgere di nuove mura che racchiudono la città insieme ai suoi borghi e sobborghi, e a volte di mura ulteriori, rese necessarie dallo sviluppo urbano, è la manifestazione dell’evoluzione quasi generale delle città verso l’unità e la crescita. Tra la fine del Duecento e i primi del Trecento, la città di Reims e il borgo di San Remigio vengono delimitati da un’unica cerchia di mura. A Tours, la cinta del XIV secolo unisce il borgo di San Martino e il borgo di San Giuliano all’antica città vescovile. A Parigi, dove le mura del Tardo Impero proteggevano soltanto l’Ile de la Cité, all’inizio del XIII se23
colo, la cinta di Filippo Augusto ingloba il centro economico della riva destra della Senna, le Halles e il porto di Grève e, sulla riva sinistra, la città universitaria (il futuro Quartiere Latino). A Colonia, accanto alla vecchia città compresa nelle mura romane, una cinta del X secolo protegge il borgo mercantile sorto tra la città e il Reno; nel 1106 e nel 1180, altre due cerchie racchiuderanno l’espansione dell’insieme città-borgo. A Firenze, l’antica cerchia romana è inglobata alla fine del XII secolo entro una nuova cinta più estesa, ma sempre limitata alla riva destra dell’Arno. All’inizio del XIV secolo, verrà costruita un’altra cerchia per proteggere un territorio molto più vasto sulle due rive. Dante, nostalgico dell’antica Firenze, nel Paradiso (XV, 97-99) evoca con malinconia una città virtuosa nelle sue antiche mura: Fiorenza, dentro la cerchia antica, Ond’ella toglie ancora e terza e nona Si stava in pace, sobria e pudica.
Le città medievali di nuova fondazione Nonostante il gran numero di città medievali sorte da quelle romane, l’urbanizzazione medievale è caratterizzata anche dalla creazione di molte città 24
La porta San Frediano, costruita fra il 1332 e il 1334 come accesso alla sesta cerchia muraria di Firenze sulla strada per Pisa, qui riprodotta in un particolare dell’opera di Filippino Lippi Madonna col bambino e san Giovannino fra i santi Martino di Tours e Caterina d’Alessandria (1494 circa) nella cappella dei Nerli a Santo Spirito a Firenze. 25
nuove, soprattutto nell’Europa settentrionale e orientale, poco o affatto toccate dalla colonizzazione e urbanizzazione romana. Anche l’Italia settentrionale e centrale vede sorgere nuove città. Spesso chiamate “villanova”, “borgofranco”, “castelfranco”, per la maggior parte vengono create da città che vogliono mantenere la popolazione in eccedenza entro i confini del proprio territorio, e creare delle postazioni difensive contro le città vicine, spesso nemiche. Questo processo si manifesta dapprima in Lombardia e nel Veneto, poi in Toscana. Lodi viene creata nel 1158; Alessandria, che prende nome dal principale avversario dell’imperatore, il papa Alessandro III, sorge tra il 1164 e il 1168 contro Federico Barbarossa e i suoi partigiani. Verona crea Villanova di Verona nel 1185 e così fanno Brescia con Orzinuovi nel 1193, Treviso con Castelfranco Veneto nel 1199 e Padova con Cittadella nel 1210. Anche il Piemonte e la valle del Po vedono sorgere tutta una serie di castelli franchi. Nel XIII secolo Siena costruisce Monteriggioni contro i fiorentini e Lucca Castelfranco sull’Arno contro gli stessi nemici. Soltanto tardi, a partire dal 1290, i fiorentini insediano contro i loro nemici (gli Ubaldini, la popolazione del Mugello e «quel26
li di là dai monti») le cinque “Terre Nuove”: Castello San Giovanni, Castelfranco, Terra Santa Maria, San Barnaba e Firenzuola. Anche nella Francia del XII e XIII secolo vengono creati un certo numero di agglomerati dotati di franchigie per attirarne gli eventuali abitanti. Questi nuovi centri prendono il nome di sauveterre (salvaterra), villefranche (città franca), villeneuve (città nuova): così, per esempio, Villeneuve-l’Archevêque e Villeneuve-le-Roi in Borgogna. Talvolta, queste creazioni sono dovute all’iniziativa di immigranti contadini, gli hôtes (ospiti), che spesso si mettono sotto la protezione di un monastero (per esempio Saint-Denis, Saint-Riquier, Cluny, Moissac, Aurillac, Saint-Omer e altri), di un signore, ecclesiastico o laico, o dello stesso re. Come nel caso dei castelli del Lazio, alcune di queste creazioni falliscono. I nuovi agglomerati rimangono dei villaggi o addirittura scompaiono, come Saint-Riquier. Molti mantengono una dimensione intermedia tra villaggio e città: non sempre, né ovunque, la distinzione tra questi due tipi di abitato è molto netta. La Francia meridionale conosce uno sviluppo particolarmente intenso di città nuove dove l’intervento regio è preponderante. Il re di Francia de27
ve lottare prima contro i conti di Tolosa e i loro protetti, gli eretici catari, poi contro i re d’Inghilterra installatisi nell’estremo Sudovest, a Bordeaux e in Guienna. Luigi IX crea le città nuove di Carcassonne e di Aigues-Mortes sul Mediterraneo, primo porto regio destinato a diventare punto d’imbarco per le crociate. Suo fratello, il conte Alfonso di Poitiers, fonda Villefranche-de-Rouergue nel 1256, Villeneuve-sur-Lot nel 1264 e Villefranche-de-Lauraguais nel 1270. Anche suo figlio, Filippo III l’Ardito, e suo nipote, Filippo IV il Bello, fondano nuove città. Queste città, chiamate generalmente bastides, sono perlopiù costruite secondo una regolare pianta quadrata. Prima del 1100 vengono fondate in Inghilterra ventuno città nuove, cui vanno ad aggiungersene altre diciannove nelle prime tre decadi del XII secolo, mentre nel Galles ne sorgono diciotto. Quarantanove città vengono fondate in Inghilterra tra il 1191 e il 1230, dopodiché il Paese sembrerà saturo di boroughs. Ma al tempo della conquista del Galles, tra il 1277 e il 1287, il re Edoardo I ne fonderà altre dieci. La colonizzazione tedesca di vasti spazi dell’Europa orientale dall’XI al XIII secolo provoca 28
un vasto movimento di urbanizzazione, spesso sugli anteriori nuclei urbani slavi. Nel 1158-1159, per esempio, il duca di Sassonia Enrico il Leone crea Lubecca sul wik fondato nel 1143 dal conte Adolfo di Schauenburg. Nel 1230 la città sarà racchiusa in una vasta cerchia di mura tra i due fiumi Trave e Wakenitz. A Kalisz, a ovest dell’attuale Polonia, su un vecchio grod slavo difensivo, esistito dal IX al XII secolo, sorge verso est un sobborgo (podgrodzie) con funzione economica sul fiume. Nel XII secolo la “città vecchia” si sviluppa a nord e sorge una nuova città di colonizzazione tedesca nel XIII secolo, su un quadrivio di vie fluviali e terrestri. Questa città riceve uno statuto di locatio, istituendovi un diritto tedesco che permetterà all’attività economica di svilupparsi appieno.
29
2. Ma l’anima è il commercio
31
Nella pagina precedente: Rappresentazione delle botteghe artigiane tratta dal codice De Sphaera (fine XV secolo) conservato nella Biblioteca Estense di Modena. Si riconoscono, nella parte sinistra, dal basso verso l’alto: il corazzaio, l’orologiaio, l’amanuense; nella parte destra: l’organista, lo scultore, il dipintore. 32
L’unificazione topografica procede generalmente di pari passo con quella amministrativa e politica. Ma borghi e sobborghi, dilatando la città unificata, rappresentano essenzialmente un’agglomerazione economica: mercati, case e botteghe di mercanti e di artigiani. Lo sviluppo economico è alla base dello sviluppo urbano. A Pisa, per esempio, il sobborgo di Forisporta è il regno dei mestieri edili e della lana; quello di Chinsica, invece, dei mestieri alimentati dal commercio lontano: speziali, pellicciai e pellettieri. Ad Arras, nell’XI secolo si viene a creare un sobborgo commerciale, non prossimo alla città ma a ridosso del borgo di SaintVaast, dove si svolgono i mercati della Grande e Petite-Place e il mercato del pesce. Rispetto al numero di abitanti, la città medievale rimane comunque di modeste dimensioni. Più della metà delle città “importanti” oscillano infatti tra le dieci e le ventimila anime. Le città che supe33
rano i 50.000 abitanti sono rare: verso il 1300 non dovevano essere più di una dozzina. L’Italia è il Paese delle città di tutte le dimensioni, soprattutto delle grandi città. Stime verosimili attribuiscono 100.000 abitanti a Firenze e a Venezia, 80.000 a Milano, 60.000 a Bologna e Genova, 50.000 a Siena e Palermo. In Spagna, Cordova conta sicuramente 60.000 abitanti e Barcellona 50.000. A nord delle Alpi, soltanto Gand e Londra raggiungono le 60.000 anime e l’unico mostro urbano rimane Parigi, probabilmente con circa 200.000 abitanti. Bisogna insistere su questo ruolo essenziale, proprio della città medievale. Essa è prima di tutto un centro di consumo e il mercato che rifornisce i suoi abitanti vi detiene un posto di primaria importanza. Prendiamo un caso particolarmente spettacolare, ma anche esemplare: Milano alla fine del XIII secolo, come viene descritta in uno splendido testo. L’autore, Bonvesin de la Riva, membro del Terzo Ordine laico degli Umiliati, è un maestro di grammatica che scrive un elogio della sua città natale dal titolo De magnalibus Mediolani (Le meraviglie di Milano; cfr. documento 2). Bonvesin de la Riva esagera quando attribuisce a Milano 200.000 abitanti invece dei probabili 34
80.000, ma, combinando la realtà all’immaginazione, mostra perfettamente come viene percepita una città (ed è questa una ragione di orgoglio) in quanto centro di consumo: «Nella sola città si consumano ogni giorno, in media, milleduecento moggi di grano e anche più. […] I forni che in città […] cuociono il pane ad uso dei cittadini sono trecento. […] I bottegai, che vendono al minuto un numero incredibile di mercanzie, sono sicuramente più di mille, i macellai sono più di quattrocentoquaranta; nei loro macelli vengono vendute in abbondanza ottime carni di ogni tipo di quadrupedi adatti al nostro consumo; i pescatori che quasi ogni giorno pescano in abbondanza nei laghi del nostro contado pesci di ogni tipo, trote, dentici, capitoni, tinche, temoli, anguille, lamprede, granchi e ogni altro genere di pesci grossi o minuti, sono più di diciotto; quelli che pescano nei fiumi sono più di sessanta; quelli che portano in città il pescato nei ruscelli innumerevoli dei monti assicurano di essere più di quattrocento». Corporazioni, arti e mestieri: gli artigiani nelle città del Duecento Ma la città medievale è anche un centro di produzione artigianale e di scambi commerciali. Lo svi35
luppo dei mestieri specializzati nel quadro della divisione urbana del lavoro spinge gli artigiani a darsi un’organizzazione. Una necessità interna li porta a istituire delle regole, gli “statuti”, per accrescere il loro potere collettivo e regolamentare la concorrenza (c’è chi è giunto a definire le corporazioni dei “cartelli”). Ma esiste anche una pressione esterna: quella di autorità regie, signorili o comunali, preoccupate di controllare e inquadrare questi nuovi ambienti sociali più o meno ai margini dell’organizzazione feudale. Una delle più antiche testimonianze di organizzazione di artigiani riguarda Pavia. Si tratta in questo caso di una raccolta, che risale ai primi dell’XI secolo, di privilegi regi concessi ai gruppi di artigiani e di mercanti della città, e di una lista delle tasse e prestazioni fornite da questi gruppi a favore del fisco regio. In cambio, questi gruppi godevano del privilegio di esercizio esclusivo di una professione all’interno del territorio urbano. Nella Francia del Nord, sotto il nome di “ghilda”, “ansa” o “carità”, si costituiscono delle associazioni di mercanti e di artigiani fin dall’XI secolo a Valenciennes, Saint-Omer, Parigi, Arras, Tournai; e nel XII secolo (il gran secolo delle corporazioni nascenti) a Douai, Cambrai, Amiens, Rouen, 36
La pagina dei maniscalchi dalla Matricola della Società dei Fabbri di Bologna (1366) conservata a Roma nella Biblioteca del Senato e della Repubblica; in alto sono raffigurati la Vergine, san Pietro e san Petronio, protettori della città, al centro il Miracolo di sant’Alò che ferra la gamba mozzata di un cavallo e in fondo gli stemmi del Comune e dell’Arte. 37
Strasburgo, Saint-Denis, Pontoise, Chartres, Etampes, Orléans, Bourges. La specializzazione di questi mestieri, secondo la denominazione ormai abituale, è spesso molto forte. A Parigi, il Livre des Métiers, raccolta degli statuti delle corporazioni realizzata probabilmente nel 1268 dal prevosto Etienne Boileau per ordine di Luigi IX, annovera centotrenta professioni regolamentate, di cui diciotto nell’alimentazione, ventidue nella lavorazione dei metalli, ventidue nel tessile e nel cuoio, trentasei nell’abbigliamento e così via. In Inghilterra, la funzione economica delle città è così evidente che la maggior parte dei nuovi borghi (boroughs) si organizza intorno a un mercato. Il movimento si amplia dopo la conquista normanna del 1066. Anche in questo Paese il secolo d’oro è il Duecento. Le corporazioni a Firenze (in Italia vengono chiamate “Arti”) sono particolarmente potenti. L’Arte de’ Mercanti si organizza nel 1182, l’Arte del Cambio nel 1206, l’Arte della Lana nel 1212, l’Arte di Por Santa Maria (dal nome della strada che porta al Ponte Vecchio e dove si vendono panni di seta) nel 1218. Poi viene l’Arte dei Medici e Speziali e l’Arte dei Pellicciai. L’Arte de’ Mercanti diventa l’Arte di Calimala, dal nome della 38
strada dove si trovano le botteghe e i laboratori specializzati nella tintura e nella fabbricazione dei più bei panni di lana d’Occidente. Lo sviluppo urbano medievale attira nelle città gruppi più o meno numerosi di ebrei. Dal momento che l’esercizio di gran parte dei mestieri, soprattutto agricoli, viene loro negato, gli ebrei si riversano nelle città per praticarvi attività economiche legate allo sviluppo dell’economia monetaria e del prestito a interesse. Spesso detestati in quanto stranieri e specialisti di pratiche tacciate di usura, vengono sempre più perseguitati, soprattutto dalla metà del XIV secolo in poi, quando le epidemie di peste nera ne fanno i capri espiatori, vittime di pogrom. Alla fine del Medioevo vengono perlopiù relegati nel ghetto, territorio di protezione ma anche di isolamento. Gli ebrei svolgono un ruolo importante nel movimento economico e culturale delle città medievali. A titolo d’esempio, citiamo Marsiglia dove, fin dall’XI secolo, una cerchia di mura riunisce alla città antica il nuovo quartiere economico e due quartieri ebrei; oppure, alla fine del Medioevo, Pisa e Livorno, città dove – come ha dimostrato Michele Luzzatti – regna «un quotidiano rapporto di convivenza fra ebrei e cristiani» in un clima eccezionalmente favorevole. 39
Nascono le fiere: il mondo occidentale si incontra nella Champagne Di più: la città medievale è un centro di scambi. A seconda dell’importanza della città, il commercio si svolge a corto raggio (regionale) o a lungo raggio (internazionale). Inoltre, in alcune città nascono delle fiere: nel XII e XIII secolo, importanti sono quelle di Winchester, di Northampton e di Stanford in Inghilterra; quelle di Ypres, di Lille e di Bruges in Fiandra; nei secoli XIV e XV, inoltre, si susseguiranno grandi fiere internazionali prima a Francoforte, poi a Ginevra e a Lione. Ma le fiere medievali più celebri si svolgono nella Champagne, dalla metà del XII fino all’inizio del XIV secolo. Queste fiere si tengono a Lagny, Bar-sur-Aube, Provins e Troyes, e si succedono nell’arco di tutto l’anno: un mercato quasi permanente del mondo occidentale, dove i mercanti, ma anche gli abitanti, godono di importanti privilegi. La stabilizzazione e lo sviluppo delle fiere sono intimamente legati alla crescita del potere dei conti di Champagne e al liberalismo della loro politica. Vengono concessi dei salvacondotti validi su tutto il territorio comitale e l’esenzione da numerose tasse e diritti. Inoltre, i conti di Champagne assicurano l’ordine all’interno delle fiere, controllano la 40
legalità e l’onestà delle transazioni fra mercanti, garantiscono le operazioni commerciali e finanziarie. Vengono creati dei funzionari speciali, le guardie delle fiere. Questa pubblica funzione viene spesso affidata a borghesi, almeno fino al 1284: a partire da questa data, i re di Francia, divenuti signori della Champagne, nominano dei funzionari regi. Oltre alle ragioni puramente economiche, il controllo delle operazioni finanziarie e il carattere semipubblico dei cambiavalute attribuiscono a queste fiere il ruolo di una primitiva clearing house, poiché si è ormai diffusa l’abitudine di regolarvi i debiti per compensazione. Le città che possiedono una zecca e sono economicamente forti trasformano la propria moneta in un simbolico strumento di prestigio. Nel Duecento, la crescita della qualità e del valore degli scambi permette la ripresa della coniatura di monete d’oro, interrotta dall’epoca di Carlomagno. Due città conoscono uno straordinario successo in questo campo: Firenze con il fiorino dal 1252 e Venezia con il ducato dal 1284. Entrambe le città ne fanno il loro emblema. Sulla faccia del fiorino c’è il giglio, simbolo di Firenze, e sul dorso san Giovanni Battista, patrono della città; sul ducato veneziano, da un lato è raffigurato il patrono san Marco, dall’altro il doge ai piedi del santo. 41
Quando il denaro diventa merce: un nuovo ceto urbano Il commercio del denaro è una delle attività economiche più importanti della città, legata al mercato e agli scambi di mercanzie. Crescita urbana e diffusione della moneta e dell’economia monetaria sono strettamente interdipendenti. Dal XII al XIV secolo si possono distinguere tre livelli di commercio urbano del denaro e tre rispettivi tipi di mercanti che lo maneggiano. Queste categorie variano a seconda delle regioni, dei paesi, delle città. Tuttavia, in questo campo, si possono grosso modo individuare i “lombardi”, i “cambiavalute” e i “cambisti”. I lombardi e con loro i “caorsini” (rispettivamente italiani – si può dire che l’organizzazione del credito europeo è tutta dei popoli latini – e originari della Francia meridionale) sono i prestatori su pegno, usurai che praticano il prestito di consumo a breve scadenza. Le somme che prestano “alla spicciolata” per uno o due mesi, a volte per tre o sei, non sono destinate a un uso economico, ma al consumo personale; in un periodo difficile per chi ricorre al prestito dando in pegno oggetti personali: vasellame, abiti, utensili, armi e così via. Non bisogna sottovalutare la potenza economica di questi 42
Miniatura conservata alla British Library di Londra (1350-1399 circa) che illustra l’attività di un cambiavalute, qui intento a conteggiare il valore degli oggetti offerti dal cliente, che poi cambierà in moneta. Molto spesso, infatti, oltre ai lingotti d’oro, venivano tradotti in denaro anche oggetti di materiali preziosi come gioielli e vasellame. 43
lombardi. Per soddisfare le esigenze di una clientela numerosa e reintegrare le forti spese imposte dalla propria attività, gestiscono grossi capitali raccolti per associazione familiare o grazie al deposito di terzi. A Bruges, all’inizio del XV secolo, i caorsini posseggono un ampio edificio sul quai della parrocchia di Sant’Egidio e uno più piccolo dove alloggiano. Ma il loro orizzonte resta limitato. Dopo i lombardi, i cambiavalute. Tengono il loro “banco” o “tavola” all’aperto, nello spazio antistante al negozio che dà sulla strada, come quello di tutti gli artigiani. Sono raggruppati nella stessa zona per facilitare le operazioni dei propri clienti: a Bruges tengono la loro tavola vicino alla GrandePlace e alla Grande-Halle-aux-Draps; a Firenze, allestiscono i loro “banchi in mercato” sul Mercato Vecchio e sul Mercato Nuovo; a Venezia dispongono i loro “banchi di scritta” sul ponte di Rialto; a Genova, presso la Casa di San Giorgio. Innanzitutto assolvono a due funzioni tradizionali: il cambio della valuta (da cui prendono il nome) e il commercio dei metalli preziosi; sono i principali fornitori di moneta in cambio di metalli preziosi, che ricevono dalla loro clientela sotto forma di lingotti, più spesso di vasellame. Col passare del tempo, l’accettazione dei depositi e il reinvesti44
mento su prestito vanno ad aggiungersi alle vecchie operazioni: i cambiavalute diventano veri banchieri. Ma al vertice si trovano coloro che a Bruges vengono chiamati cambisti, quelli che a Firenze tengono i “banchi grossi”: i mercanti banchieri propriamente detti. La loro attività non si è specializzata. Al commercio di prodotti di ogni tipo, realizzato con importazione ed esportazione su scala internazionale, aggiungono una molteplice attività finanziaria: commercio di cambiali, accettazione di depositi e operazioni di credito, partecipazione a parecchie “società”, pratica dell’assicurazione. Spesso sono anche produttori, “industriali”, come i Medici che possiedono a Firenze due fabbriche di panno e una di seta.
45
3. Mendicanti ma potenti
47
Nella pagina precedente: Particolare della vetrata degli Apostoli della cattedrale di Chartres realizzata grazie alle donazioni della corporazione dei fornai, come si capisce dal soggetto rappresentato. L’usanza di queste sovvenzioni è la testimonianza dello stretto legame istituitosi tra la città e la cattedrale: durante la sua costruzione, infatti, vengono coinvolte molteplici arti e corporazioni, che hanno così la possibilità di fissare per l’eternità la gloria del proprio mestiere. 48
Fin dalle origini, la città medievale è stata un centro religioso da cui il cristianesimo è partito alla conquista dell’Europa. Il monastero era un microcosmo urbano, ma la città vescovile è stata il primo modello della città medievale: la parrocchia è un elemento fondamentale del Comune. I principali monumenti della città medievale sono le chiese: monasteri urbani e suburbani sono i poli della vita cittadina. Nelle città vescovili dell’Alto Medioevo (come Ginevra, Lione, Treviri, Aquileia) la cattedrale è il centro di una “città santa” che comprende spesso una doppia chiesa, un battistero e il palazzo vescovile. L’altro modello è quello di San Giovanni in Laterano a Roma, in cui si riconosce un’influenza imperiale: un’unica chiesa a cinque navate e un transetto, oltre al battistero e al palazzo vescovile. Nella città romanica, in coincidenza con il risveglio urbano, la “città santa” subisce una parziale 49
riduzione, con il passaggio a un monumento di grandi dimensioni, ma unico: la cattedrale semplice. Il legame tra la città e la cattedrale si afferma in maniera spettacolare nel periodo gotico, che coinvolge soprattutto la Francia, poi l’Inghilterra, l’Impero, la Spagna e solo più tardi l’Italia. L’arte gotica è prima di tutto una manifestazione urbana, e della città manifesta, con le dimensioni degli edifici e soprattutto delle cattedrali, la tendenza alla dismisura. Nel Duecento la cattedrale diventa così il centro di un cantiere di lunga durata nel cuore stesso della città e sconvolge il tessuto urbano. Queste grandi cattedrali ricoprono superfici enormi: Parigi 5.500 metri quadrati, Bourges 6.200, Reims 6.650, Amiens 8.000 , Colonia 8.900. Lo stesso gigantismo si ritrova in Italia: nella cattedrale di Siena, che risale ai primi anni del Duecento, a Orvieto dal 1228, a Firenze dal 1296 e a Milano dal 1389. Nel 1284 crollano le volte della cattedrale di Beauvais, che s’innalzavano a 48 metri di altezza. In seguito alle critiche di alcuni ambienti laici ed ecclesiastici e alla crisi economica successiva al crollo demografico del XIV secolo, soprattutto dopo la Peste Nera del 1348, la costruzione di alcune 50
cattedrali viene interrotta. Non appena iniziati, i lavori per il Nuovo Duomo di Siena sono sospesi, mentre la cattedrale di Narbona rimane incompiuta. Quelle di Colonia, Milano e Firenze saranno terminate soltanto nell’Ottocento. Gli ordini mendicanti alla conquista della città La fisionomia e l’aspetto delle città sono profondamente modificati nel XIII secolo da un movimento religioso di carattere essenzialmente urbano: l’insediamento degli ordini mendicanti, fondati sull’umiltà e la povertà per combattere l’eresia e rispondere ai bisogni della nuova società urbana. Ai frati predicatori, o domenicani, di san Domenico e ai frati minori, o francescani, di san Francesco d’Assisi vengono ad aggiungersi gli agostiniani e i carmelitani. Fuggendo l’isolamento per venire a vivere tra gli uomini, questi ordini costruiscono dei conventi nelle città; i domenicani si insediano soprattutto nelle grosse città di almeno 5.000 abitanti, i francescani anche nelle città piccole e nelle borgate. A seconda della loro importanza, le città vedono sorgere uno, due, tre, anche quattro conventi mendicanti. In base al loro numero, si potrebbe addirittura stabilire un criterio di gerarchia delle città. 51
Il papato impone che una certa distanza separi un convento di un ordine mendicante da quello di un altro ordine, per evitare la concorrenza e avvolgere le grandi città in una rete di edifici religiosi. Grazie a questo policentrismo religioso, i conventi diventano i centri dei quartieri in cui viene suddivisa la città. Gli ordini mendicanti s’installano dapprima in edifici piccoli e umili, case private ricevute in dono; in un secondo tempo, il prestigio rapidamente acquisito permette loro di costruire – contro il desiderio dei loro fondatori – chiese grandi, che rivaleggiano con la cattedrale in dimensioni e bellezza. Gran parte di queste chiese sono scomparse in molti Paesi, vittime della Riforma o delle leggi emanate contro gli ordini religiosi durante il XVI secolo, o dopo la rivoluzione francese; ma, laddove sono sopravvissute (come in Italia), restano testimoni imponenti e vivaci del potere che i frati esercitano nella città a partire dal XIII secolo. Così per esempio, a Firenze, Santa Maria Novella, iniziata nel 1278, e San Marco, sorta nel XV secolo in uno spirito di riforma, entrambe conventi domenicani; e ancora il convento francescano di Santa Croce, cominciato nel 1252, e quello agostiniano di Santo Spirito, la cui chiesetta del 52
Dipinto murale attribuito a Giotto e conservato nella Basilica superiore di San Francesco ad Assisi (1296-1300): in questa scena, la settima tra le ventotto del ciclo delle Storie di san Francesco, viene illustrato l’episodio del 1209 in cui il santo riceve dalle mani di papa Innocenzo III la bolla con la quale viene approvata la Regola dell’Ordine francescano. 53
XIII secolo verrà sostituita nel Quattrocento dalla grande chiesa del Brunelleschi; e infine quello di Santa Maria del Carmine, i cui lavori iniziano nel 1268. A Venezia, al convento domenicano di San Giovanni e Paolo (Zanipolo) del XIII secolo rispondono la francescana Santa Maria Gloriosa dei Frari, Santa Maria del Carmine, innalzata dai carmelitani, e Santo Stefano, eretta dagli agostiniani. Gli ordini mendicanti stringono stretti legami con le famiglie più potenti del patriziato urbano, che si fanno sotterrare fastosamente nelle chiese dei frati. A Firenze, per esempio, benché le loro tombe si trovino nella chiesa di San Lorenzo, i Medici fanno riferimento al convento di San Marco. Alcune confraternite, legate a molte chiese, soprattutto a quelle dei conventi mendicanti dal XIII secolo in poi, alimentano la devozione urbana, diffondendo soprattutto il culto della Vergine, dello Spirito Santo e di san Domenico. Le chiese, inoltre, sono il punto di partenza delle processioni che attraversano la città rispettando l’ordine gerarchico delle rigide strutture sociali e professionali cittadine. Già nel 590, il papa Gregorio Magno aveva organizzato a Roma 54
grandi processioni durante le quali si pregava perché cessassero le calamità: alluvioni del Tevere, carestia ed epidemia di peste. Le chiese svolgono anche la funzione di reliquiari. Nel XV secolo, i pellegrini che s’imbarcano da Venezia per la Terrasanta prevedono di passare almeno un mese nella città di san Marco per visitare le innumerevoli reliquie di santi. Con gli ordini mendicanti, straordinaria importanza assume la predicazione, che attira la folla nelle chiese o sul sagrato. Ad Augusta, per esempio, a metà del XIII secolo, il domenicano Alberto Magno pronuncia una serie di sermoni, in latino davanti ai chierici e in tedesco davanti ai laici, il cui tema è la città. Queste prediche elaborano una vera e propria teologia della città. Le chiese dei mendicanti non sono sempre abbastanza grandi da contenere la folla che si raduna ad ascoltare le prediche; vengono quindi costruite delle piazze antistanti le chiese, oltre a podi o cattedre, talvolta in pietra, davanti alla facciata della chiesa. «Quell’anno [1222] mi trovavo allo studium di Bologna» riporta Tommaso da Spalato «il giorno dell’Assunzione, e ho visto san Francesco predicare sulla piazza, davanti al palazzo pub55
blico». Quando Antonio da Padova, vera e propria stella della predicazione francescana, compie un giro in Francia, a Limoges la folla è tale che l’unico luogo che possa contenerla sono le rovine del circo antico. Nel Quattrocento, le celebri prediche di san Bernardino da Siena mobilitano la popolazione di intere città ed è proprio la città con i suoi abitanti, le loro attività, i loro problemi, la loro mentalità, a diventare l’obbiettivo principale della sua predicazione. Poi, alla fine del Quattrocento, a Firenze, il domenicano Girolamo Savonarola rivoluzionerà un’intera città; la scuoterà, rendendone il governo e la riforma i temi essenziali della sua predicazione; la terrorizzerà facendo leva sui bambini e gli adolescenti; alla fine, la piazza della città sarà il teatro del suo martirio. Ai tempi della grande contestazione eretica, le città si trasformano in casse di risonanza dell’eresia e in centri della predicazione che lotta contro di essa. Il canonico regolare fiammingo Jacques de Vitry, che visita l’Italia nel 1216, scrive: «Giunsi in una città, vale a dire Milano, che è un covo di eretici, dove rimasi per alcuni giorni e predicai in vari luoghi la parola di Dio. A stento si trova in tutta la città chi resista agli eretici, eccettuati 56
taluni santi uomini e donne religiose [che hanno ricevuto dal papa] l’autorizzazione a predicare e a opporsi agli eretici»: gli Umiliati.
57
4. Un nuovo spazio per il pensiero
59
Nella pagina precedente: Particolare di miniatura medievale che illustra lo svolgimento di una lezione universitaria. Il termine universitas, usato inizialmente sia per le corporazioni di docenti e studenti che per quelle di altre categorie professionali, si restrinse in seguito al campo degli studi per indicare l’insieme dei soggetti che riuniva; il loro luogo di ritrovo era invece chiamato studium. 60
Tradizionalmente, la città si oppone alla campagna come la coltivazione alla natura e la civiltà allo stato selvaggio. Così era nell’Antichità romana, dove urbs (la città) e rus (la campagna) formavano una coppia antagonista. Questa opposizione perdura nel Medioevo: il contadino (rusticus) è uno zotico in confronto al cittadino civilizzato; ma se il contrasto rimane forte in Italia, è meno sentito altrove, come nella Francia settentrionale, dove è spesso difficile individuare la differenza tra città e campagna, e dove il termine ville indica, propriamente parlando, tanto una città quanto un villaggio. Nel Medioevo, esiste una vera contrapposizione solo tra foresta e luoghi abitati e coltivati. All’uomo della città si contrappone l’uomo selvaggio, coperto di una folta pelliccia come un animale, raffigurato in arazzi e sculture, soprattutto durante il XIV e XV secolo nelle regioni germaniche. 61
Nel XII secolo, al monastero si sostituisce la città come crogiuolo di cultura e centro scolare. A nord delle Alpi la città coesiste con il castello, centro di cultura cavalleresca e cortese. Recentemente si è voluto sottolineare che in Italia, dove la nobiltà abita anche in città, si diffonde una cultura tanto cavalleresca quanto borghese, perché la borghesia ha assimilato o imitato la cultura nobiliare. La diffusione delle scuole in Francia e in Italia: nasce la cultura dei laici Uno degli aspetti più importanti della cultura urbana è lo sviluppo delle scuole. Le scuole cattedrali vescovili e capitolari, come quelle di Liegi, Reims e Verona, sono state attive e talvolta brillanti nell’Alto Medioevo. Nell’XI secolo, la maggior parte delle scuole episcopali dell’Italia settentrionale attira molti giovani chierici dalla città e dalle campagne: quelle di Milano, Reggio, Faenza, Bologna, Parma, dove studiano san Pier Damiani e Anselmo da Besate; e ancora quelle di Lucca, Siena e Arezzo in Toscana. Nel XII secolo, in particolare in Francia, queste scuole sono diventate grossi centri di teologia: a Laon, a Parigi, dove è nata la scolastica, a Chartres, dove l’insegnamento della filosofia e delle arti libe62
rali ha dato vita a un umanesimo cristiano, grazie alla riscoperta degli autori antichi, e a una riflessione cristiana sulla natura. Anche i monasteri urbani, come quello di San Vittore a Parigi, hanno svolto un ruolo importante in questo risveglio degli studi. Ma l’irresistibile slancio del movimento scolare urbano viene impresso soprattutto dall’insegnamento di maestri privati che raccolgono intorno a sé studenti a pagamento. Basato sulle arti liberali, l’insegnamento di due discipline fondamentali si sviluppa soprattutto in due città: il diritto a Bologna e la teologia a Parigi, intorno a maestri celebri come Irnerio e Abelardo. Il movimento di scolarizzazione si estende presto anche ai bambini, nell’insegnamento oggi chiamato elementare. Ai bambini – talvolta anche alle bambine – si insegna a leggere, scrivere e far di conto. Le città sono i focolai dell’alfabetizzazione dell’Occidente. Già nella prima metà dell’XI secolo un cronista borgognone notava che «gli italiani mandano a scuola i loro figlioli anche se non intendono prepararli alla carriera ecclesiastica». Fin dal 1179, i borghesi di Gand ottengono dalla contessa di Fiandra il riconoscimento di queste scuole “laiche”. Secondo Giovanni Villani, a Firenze nel 1338 imparano a leggere dagli otto ai diecimila 63
ragazzi e ragazze, e circa milleduecento allievi apprendono le tecniche commerciali in sei scuole di matematica, prima di andare a fare l’apprendistato nella bottega di un mercante. L’acquisizione di una conoscenza più o meno vasta in diritto e in retorica rappresenta un altro aspetto essenziale della cultura urbana. L’ars notaria impartisce la formazione giuridica e amministrativa necessaria ai notai dei Comuni italiani e ai judices (giudici) di molte città della cristianità. Insieme alla grammatica, l’ars dictaminis, che fiorisce a Bologna e in molte città dell’Italia settentrionale, l’ars notaria forma numerosi specialisti della redazione epistolare e di ogni altra sorta di scritto. Grazie anche alle cancellerie, si diffonde così tra i laici l’uso della scrittura; e in questo la città svolge un ruolo fondamentale. Girolamo Arnaldi ha sottolineato l’importanza nelle città italiane dei notai (il notaio-cronista) nella redazione delle cronache cittadine e nella formazione di una cultura e di un patriottismo urbano. La fine del Medioevo vedrà un enorme sviluppo di queste cronache cittadine (Städtechroniken) nelle città tedesche: scritti che diventeranno un aspetto importante dell’evoluzione della storiografia. 64
La virtù della Grammatica, soggetto affrescato nella sala delle Arti liberali e dei pianeti a Palazzo Trinci (Foligno, XV secolo). La personificazione della Grammatica insegna a leggere a un fanciullo tramite un codice che riporta quelli che nel Medioevo erano considerati gli elementi base dell’apprendimento: il salterio, l’alfabeto e le preghiere. 65
Nel Trecento il volgare dei mercanti sostituisce il latino Le tecniche, le “arti meccaniche”, sono escluse dall’insegnamento universitario. Il sistema corporativo, l’organizzazione artigianale, la bottega rimediano a questa carenza: «All’insegnamento delle tecniche, comprese le arti figurative, l’architettura, la fabbricazione e l’impiego di attrezzi e macchine specializzate, l’arte della navigazione e della cartografia, e in molta parte la stessa mercatura, si provvede col garzonato». Roberto Lopez aggiunge: «La cultura mercantile è un fatto eminentemente e tipicamente cittadino: non si può non ricordare la tradizione dei libri delle pratiche mercantili, di abaco e di conti, gli innumerevoli rapporti di viaggi, i dizionari bilingui». Il bisogno della popolazione urbana di comprendere i testi e le misure che la riguardano, e la pressione che esercita a questo scopo, trasformano la città nel territorio di conquista delle lingue volgari. Dal 1302 a Bruges la contabilità urbana, redatta in latino fino al 1299, dopo due anni di compilazione ibrida, è tenuta in volgare. Spesso, dalla metà del XIII secolo in poi, nella Francia meridionale si usano contemporaneamente il francese d’oïl (la lingua della cancelleria regia), il latino (la lingua comune) e l’occitanico. 66
Nel Trecento, in Italia, l’uso della lingua volgare sostituisce il latino nella redazione degli statuti urbani a Siena (1309-1310), a Perugia (1342), ad Ascoli (1377). Nel 1379, il Consiglio di Zurigo si rivolge al vicario del vescovo di Costanza affinché assuma, a spese della città, due o tre dotti che traducano “ze tusch” (in tedesco) le carte della cancelleria episcopale. Alle origini dell’Università Seguendo il modello degli altri mestieri urbani, studenti e insegnanti delle scuole di alcune città si organizzano in corporazioni, con una grossa differenza: gli studenti – anche coloro che non avevano intenzione d’intraprendere la carriera ecclesiastica – sono chierici che hanno ricevuto gli ordini minori. Così nascono le università. La più antica, Bologna, diretta dagli studenti, diventa il maggiore centro d’insegnamento del diritto, grazie alla rinascita del diritto romano e allo sviluppo di quello ecclesiastico. Proprio in questa città, infatti, verso il 1140, il monaco Graziano redasse il Decretum, che sarebbe all’origine del Corpus iuris canonici. A partire dal 1180 si costituisce la corporazione universitaria di Parigi, governata dai maestri, che diventerà il regno della teologia. 67
Dopo queste due precorritrici, nel XIII secolo sorgono università a Oxford e Cambridge (12081209), a Vicenza, Arezzo, Vercelli, Padova (1222). Dopo la crociata contro gli albigesi, il papato fonda quella di Tolosa nel 1229, per combattere i catari. A Montpellier, dopo il declino delle scuole di Salerno, nel 1220 è ufficialmente istituita l’università di medicina. L’imperatore Federico II creò l’università di Napoli nel 1224; quelle di Salamanca e Valladolid sono fondate dal re di Castiglia rispettivamente nel 1218 e prima del 1250. La creazione di collegi permise di accogliervi dei borsisti poveri; anche se la maggioranza degli studenti era di origine nobile o borghese, il sistema degli esami creò, per la prima volta in Occidente, un mezzo di promozione sociale diverso dal sangue e dalla ricchezza. Le università forniscono alla Chiesa e ai governi comunali e principeschi gli alti funzionari. Nel XIV e XV secolo, seguendo il ritmo di urbanizzazione di quei paesi, apparvero istituti universitari nell’Impero (a Heidelberg nel 1385; a Praga nel 1347-1348; a Vienna nel 1365), in Ungheria (a Pecs nel 1367), in Polonia (a Cracovia nel 1364), in Scozia (Saint Andrews, 1410-1413), nei paesi scandinavi (a Uppsala nel 1477 e a Copenhagen nel 1478) e in Portogallo (a Lisbona nel 1290 e a Coimbra nel 1308). 68
Le università costituiscono nella cristianità una vasta rete d’insegnamento superiore. A tutt’oggi restano una delle basi dell’identità europea. Nasce la mentalità cittadina La cultura urbana produce nuovi bisogni, nuove strutture nei rapporti con il numero, lo spazio e il tempo. Lo spirito calcolatore, combinato alla volontà d’inventariare le ricchezze urbane, spinge i cronisti cittadini, soprattutto in Italia, verso preoccupazioni statistiche, che presto diventeranno le stesse delle autorità cittadine, antenate dei governi degli Stati nascenti. Un Bonvesin de la Riva alla fine del Duecento, un Giovanni Villani nella prima metà del Trecento mettono in cifre Milano e Firenze (cfr. documento 3). Il potere della nuova società e delle nuove istituzioni comunali è tradotto nella ristrutturazione dello spazio. Il nuovo urbanesimo elegge a proprio centro la piazza pubblica «vetrina del potere comunale», secondo l’espressione di Jacques Heers. Il tempo irregolare dei dotti, troppo legato alla liturgia religiosa e al tempo naturale, indietreggia davanti all’affermazione di un tempo più regolare, più razionale, divisibile in parti uguali, al servizio del lavoro, delle attività economiche e dell’uso del 69
tempo borghese. Le campane laiche che suonano l’inizio e la fine dei periodi lavorativi, poi gli orologi meccanici che sgranano il tempo in ore uguali, fanno avanzare nella città il tempo del mercante a scapito di quello della Chiesa (cfr. documento 4). Cultura urbana e immaginario urbano producono una mentalità cittadina o ne sono i prodotti? Jacques Rossiaud ha posto il problema in modo adeguato: «Che c’è di comune tra il mendicante e il borghese, tra il canonico e la prostituta, tutti cittadini? Fra l’abitante di Firenze e quello di Montbrison (piccola città nel centro della Francia)? Fra il neocittadino della prima crescita e il suo discendente del secolo XV?». Ed ecco le risposte. Primo: «Se diverse sono le loro condizioni come la loro mentalità, il canonico, per forza di cose, va a incontrarsi con la prostituta, col mendicante e col borghese. Gli uni e gli altri non possono ignorarsi e si integrano in un medesimo piccolo universo che impone delle forme di socievolezza sconosciute al villaggio, un modo di vivere specifico: l’uso quotidiano del danaro e, per certuni, un’apertura obbligatoria sul mondo». Secondo: «La cultura cittadina è la medesima a Firenze e a Montbrison […]. È una questione di gradazione, non di nature […]. Se non esiste un 70
Particolare dalla rappresentazione del Martirio del Savonarola in piazza della Signoria a Firenze conservata presso il Museo di San Marco (Firenze). La piazza assume per eccellenza il ruolo di spazio pubblico in cui si manifesta il potere comunale, in questo caso sotto forma di esecuzione esemplare nei confronti del frate Girolamo Savonarola. 71
“sistema urbano”, si sviluppa un Occidente cittadino i cui membri sono tutti un po’ parenti, fanno parte di una specie di clan che ha i suoi ricchi e i suoi poveri, ma in cui, all’origine, c’è la comunanza del sangue». Terzo: «Ogni periodo della storia ha il suo tipo di cittadino», ma per tutto il Medioevo i cittadini hanno un punto in comune, quello espresso nel 1314 dal francescano fra’ Paolino: «Fargli mestiere a vivere con molti». Se, oltrepassando le porte della città, il contadino che vi emigra prova un sentimento di “sicurezza” al riparo delle mura, si accorgerà presto che, tranne nel caso (difficile) in cui riesca a integrarsi in un potente clan familiare, senza antenati non potrà contare sulla solidarietà familiare: «I cittadini hanno una coscienza molto netta della fragilità familiare». Anche se non va a unirsi alla massa dei “senza nome e famiglia”, difficilmente riuscirà a condividere la ricchezza cittadina basata sul denaro. Come dice L. K. Little: «Il denaro è il sangue della città, il suo fluido vitale». I prezzi sul mercato, le mode e le situazioni trasformano continuamente la città. Come dice Adam de la Halle in Le jeu de la Feuillée (1276), riferendosi agli abitanti di Arras, il grande simbolo 72
della popolazione urbana è la ruota della fortuna. Colui che riesce a installarsi all’interno della cinta di mura è presto costretto a riflettere «sul valore del lavoro e del tempo»: l’uno e l’altro si contano in denaro. Il cittadino fa concretamente l’esperienza sintetizzata nel Quattrocento nella formula di Leon Battista Alberti: «Il tempo è danaro». Anche se, in confronto alle violenze militari che quasi ininterrottamente devastano le campagne circostanti, la città è al riparo nelle sue mura, essa rimane comunque teatro di violenze individuali. «A Firenze, a Venezia, a Parigi, a Lilla, Digione, Avignone, Tours o Foix» informa Jacques Rossiaud «gli archivi giudiziari svelano un’impressionante serie di vendette commesse a sangue freddo; di calde risse individuali o di gruppo che si risolvono a colpi di coltello o di bastone ferrato; di stupri molto spesso collettivi che segnano in modo duraturo delle povere ragazze strappate di notte, picchiandole, alla loro camera». Nel Medioevo, la notte urbana è la più pericolosa; così temibile e temuta, giuridicamente diventa un’aggravante di delitti e crimini. Gli ordini mendicanti giustificavano il loro insediamento in città, descrivendola come il grande ricettacolo dei vizi che avevano il dovere di combattere. 73
Le tentazioni della civiltà: i vizi e le virtù del cittadino europeo La mentalità urbana è sì soggetta a tante tentazioni e peccati, ma è anche impregnata di quei valori che fanno della città «un agente di civilizzazione» dei costumi. Le solidarietà, le amicizie di vicinato plasmano all’interno della città una nuova mentalità, aperta alla socievolezza e al mutuo soccorso. Membri di una stessa parrocchia o di uno stesso quartiere amano chiacchierare insieme, in casa o sulla strada. Battesimi, matrimoni, funerali riguardano non solo i parenti, ma anche i vicini. Le feste di quartiere che ancora oggi accompagnano in alcune città italiane manifestazioni urbane come i pali, non sono altro che la sopravvivenza di questa mentalità. Anche la buona cucina diventa un elemento determinante della fama cittadina. Spiega Jacques Rossiaud: «Il borghese dedica alla tavola grandissime cure, ne va dell’onore della famiglia; e lo stesso vale per i professionisti del forno e della pentola – non c’è città senza pasticcieri, rosticcieri, albergatori, capocuochi – che talvolta preparano i pranzi in città, i pranzi di nozze e i banchetti delle confraternite. Anche la buona cucina può diventare un elemento della fama cittadina». 74
La mentalità urbana, segnata dalla cortesia nobiliare che si sforza d’imitare, gira intorno a un modello di curialitas propriamente cittadino: l’urbanità. Sempre Rossiaud spiega che «valore fondamentale dell’urbanità, l’onestà dei costumi si rivela immediatamente nell’atteggiamento e nel gesto, tutti gli autori di canzoni o di lodi insistono sulla “civiltà” dei loro concittadini. Esistono delle cortesie cittadine diverse da quelle delle corti […]; i cittadini aderivano lentamente e in modo inuguale a questa urbanità grazie a riti che li costringevano a vivere in pace, a dominare la loro violenza o la loro paura, a liberarsi dalla loro follia». La città è dunque un addio allo stato selvaggio, alla barbarie; idealmente, è il regno della concordia. L’evoluzione dell’immaginario collettivo urbano Il modo in cui si rappresentano i luoghi, soprattutto quello dove si vive, è un elemento molto importante della storia degli uomini. A partire dal IX secolo, una serie di descrizioni elogiative di città, in versi o in prosa, le laudes civitatum, elencano gli elementi che creano la gloria e la bellezza di una città: la dignità del fondatore, la qualità del sito, la solidità e le dimensioni delle mu75
ra, l’abbondanza delle risorse naturali, i costumi degli abitanti, gli ornamenti e gli uomini nobili che vi hanno vissuto e che vi vivono ancora. L’accento viene posto specialmente sulla capacità difensiva e la bellezza delle mura e delle porte, sul «cerchio di mura turrite». Milano gode della fecondità dei campi che la circondano, dell’abbondanza delle sorgenti e delle fontane, dei buoni costumi dei suoi abitanti, buoni cristiani che hanno «la carità generosa» e che «s’affrettano tutti con zelo alla chiesa di Dio», senza dimenticare l’attività economica che ne produce la ricchezza. Gli uomini nobili sono i santi che proteggono la città e prima di tutto il «grande vescovo Ambrogio», ma anche il «grande vescovo Teodoro» insieme al pio re Liutprando, anche lui santo. Così si forma una “coscienza cittadina” che è una delle grandi forze culturali, sociali e politiche della società medievale. Il patriottismo medievale è prima di tutto cittadino. Il modello ideale della città medievale viene dall’Apocalisse: una Gerusalemme in cui si confondono città terrestre e celeste, che alla fine dei tempi scenderà in terra. Proprio questa Gerusalemme fatta di pietre preziose, d’oro e di perle for76
Una curiosa rappresentazione di Roma della fine del XIII secolo contenuta nel Liber Historiarum Romanorum (Biblioteca Statale Universitaria di Amburgo); la capitale assume qui la forma del leone, simbolo del dominio e della potenza nei confronti degli altri animali, a sottolineare il ruolo di predominanza rivestito dalla città. 77
nisce l’immagine della città: i suoi elementi essenziali sono le mura, le porte, le torri, cui va ad aggiungersi l’elemento centrale della città antica, il forum, la piazza. Ma la pianta quadrata (o rettangolare) della città viene presto soppiantata da quella circolare, secondo l’idea orientale della perfezione. A questo modello ideale positivo si oppone il modello della città “cattiva”: Babilonia. Nell’immaginario medievale la città oscilla sempre tra questi due modelli: Gerusalemme e Babilonia; la prima, città del Bello e del Bene, la seconda, città del Peccato e del Male. E Alberto Magno, nelle sue prediche di Augusta, paragona all’inferno le strette strade della città e le piazze grandi al paradiso. Quello di Roma è un caso tutto particolare. La Roma concreta, reale, spopolata, piena di rovine, comincia a essere quell’esempio di decadenza di cui si lamenteranno gli europei, soprattutto a partire dal XVI secolo; ma sopravviverà l’immagine dell’antica urbs rigenerata dalla città cristiana degli apostoli, gloriosa sopra tutte le altre. Molte città, in Italia e fuori, si presentano come una “seconda Roma”. Ma, soprattutto per gli eretici e gli avversari della Chiesa romana, Roma è anche la Bestia dell’Apocalisse, la grande prostituta, la nuova Babilonia. 78
La città è soprattutto, però, una comunità di uomini e donne. L’immaginario urbano medievale è dominato dall’affermazione di sant’Agostino secondo cui la città non risiede nelle sue pietre, ma nei suoi abitanti, nei cittadini: «Civitas in civibus est». Nell’immagine materiale e spirituale della città, la verticalità è essenziale: l’altezza delle chiese, dei campanili e dei palazzi comunali, l’insieme delle torri di cui sono costellate le case dei nobili – elemento di difesa militare e segno di superiorità, di prestigio – rendono la città medievale un “grattacielo”. Città “turrita”: così, nel Medioevo, viene definito il quartiere riservato ai nobili, alle grandi famiglie che abitano in palazzi sovrastati da torrioni, come ad Aix-en-Provence, la “città delle torri”. La città verticale è affermazione di potenza e di orgoglio, ma anche slancio verso Dio. Come ogni simbolismo nel Medioevo, il sacro e il profano sono strettamente mescolati nella verticalità urbana. Le autorità avvertono acutamente l’importanza dell’immagine. L’urbanesimo, grande preoccupazione dei dominanti, unisce all’utilità una politica di prestigio. Molto presto le città si accaparrano l’immaginario nobiliare, rappresentando lo stereotipo urbano nel sigillo, elemento essenziale del potere e dell’autorità cittadini. 79
Nel Basso Medioevo l’immagine urbana s’interiorizza: un’intera città arriva a incarnarsi nella festa “carnascialesca”. Nella Firenze medicea del Quattrocento il punto culminante del tempo festivo della città si sposta verso l’Epifania e il carnevale diventa la grande festa cittadina. Il palazzo dei Medici, fuori dell’antico nucleo della città romana, diventa il punto centrale della vita sociale e politica. Il principe costringe la città a identificarsi nella propria immagine. Feste e trasgressioni: dalle processioni al carnevale In alcune città del Nord della Francia, i ricchi borghesi fondano delle associazioni culturali, i “puys”. Questo avviene, per esempio, ad Arras, uno dei centri più importanti della rinascita del teatro, la cui scenografia viene addirittura a identificarsi con la città stessa, come si nota nel Jeu de la Feuillée di Adam de la Halle. In questo tipo di teatro, la città manifesta anche un recupero inquieto del folclore contadino, vissuto allo stesso tempo come attrazione e minaccia. L’“inurbamento” del folclore, spesso messo in scena da gruppi di giovani e favorito da ghilde e da corporazioni, si manifesta fin dal XII secolo in In80
ghilterra, nella Francia settentrionale e nell’odierno Belgio. Fanno allora la loro comparsa i primi carnevali: mostri, animali, giganti, nani, draghi e uomini selvaggi (il green man, l’uomo verde che, coperto di lunghi peli e brandente il bastone nodoso, è una presenza ossessiva), che sfilano nelle processioni o diventano i simboli protettori della città (così per esempio accade per i draghi di Tournai, ma anche a Ypres, a Béthune, a Bruxelles e a Gand). Spesso la città, soprattutto in Italia, cerca, se non di proibire – cosa molto difficile – perlomeno di controllare queste feste di giovani e di nobili, durante cui viene dato libero sfogo alla violenza. Pur rappresentando la varietà delle manifestazioni festive dei gruppi, dei quartieri e delle parrocchie, queste feste minano la coesione e l’armonia della città. Gli statuti di Pisa, Pistoia, Firenze, Bergamo, Brescia si sforzano di limitare queste “bataiole”. I pali, oggetto della concorrenza politica, che dapprima venivano corsi fuori dalla città, rientrano all’interno delle mura. A Bologna, il palio del vescovo, quello di San Pietro, patrono della cattedrale, è in concorrenza con i due pali di San Petronio dal 1141 e di San Bartolomeo dal 1249, istituiti dal Comune, e con un terzo palio che celebra la vittoria dei bolognesi su Bernardo Visconti nel 1361. I tre 81
pali comunali si svolgono nella Piazza Maggiore. Il più celebre è senz’altro quello di San Giovanni a Firenze. Particolarmente popolare, quella del “carroccio” era una delle processioni più fastose: il carro da guerra, simbolo della città, ne evocava la continuità della funzione militare. E a Milano alla fine del XIII secolo, Bonvesin de la Riva descrive entusiasticamente un carroccio simile. Questa sete di cultura dei cittadini non è soltanto utilitaristica. Christian Bec, che ha studiato i libri dei mercanti fiorentini del Tre e Quattrocento, ha sottolineato gli aspetti disinteressati di questa letteratura. Nei regolamenti urbanistici, nella costruzione degli edifici urbani, pubblici, religiosi o privati, si vede lo sviluppo di una preoccupazione estetica collettiva, il contributo della città e dei cittadini alla diffusione del gusto per il bello.
82
5. La parabola del Comune
83
Nella pagina precedente: Particolare dal ciclo di affreschi Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo di Ambrogio Lorenzetti (1338-1339) nella Sala della Pace del Palazzo Pubblico di Siena; la figura centrale rappresenta la personificazione del Comune, seduta sotto le tre virtù teologali (Fides, Caritas e Spes) e attorniata da Fortitudo, Prudentia, Temperantia, Iustitia, Magnanimitas e Pax. Ai suoi piedi, oltre alla lupa e ai gemelli figli di Remo, fondatori di Siena come “novella Roma”, si vedono i cittadini del Comune. 84
In Italia, la tradizione istituzionale e politica dello sviluppo urbano è particolarmente precoce: la città medievale realizza il modello più compiuto di autogoverno, il Comune, proprio nell’Italia settentrionale e centrale. Anche se sovrani e signori mantengono i propri diritti e un certo potere in molte città, e se il Comune medievale non è una democrazia come non lo era stata la città antica, la città comunale incarna comunque una rivoluzione politica, oltre che sociale. A metà del Duecento, tipico rappresentante della società signorile transalpina, il vescovo di Frisinga Ottone, zio dell’imperatore Federico Barbarossa, arrivando in Lombardia constata con stupore: «I lombardi sono così attaccati alla loro libertà che, per evitare l’insolenza dei signori, preferiscono essere governati da consoli invece che da principi. […] Non temono di elevare al rango di cavaliere e a tutti i gradi dell’autorità giovani di bassa condi85
zione, e addirittura artigiani delle vili arti meccaniche, che gli altri popoli allontanano come la peste dalle situazioni più onorevoli». Per riuscirvi costituiscono comunità e associazioni che, per gradi o con la forza, si accaparrano i diritti e il potere degli antichi signori, soprattutto dei vescovi. A Mans, nel 1070, gli abitanti si rivoltano contro il duca di Normandia, Guglielmo il Bastardo, all’epoca impegnato nella conquista dell’Inghilterra; in seguito il signore della città reprimerà duramente la ribellione. Un cronista locale scrive: «Fecero allora una associazione che chiamarono commune, si unirono con un giuramento e costrinsero i signori della campagna circostante a giurare alleanza al loro commune». È la prima volta che compare la parola “commune”. Nel 1047, prendendo come esempio la gente di Worms che ha scacciato il vescovo «che li governava troppo severamente», gli abitanti della città di Colonia si ribellano contro l’arcivescovo. A Laon, nel 1116, il vescovo rifiuta le clausole di un Comune che clero, magnati e popolo hanno appena costituito con un «giuramento collettivo di aiuto reciproco»: «Comune, parola nuova e detestabile» esclama il cronista benedettino che racconta la rivolta del popolo di Laon. Perseguitato, il vescovo si 86
nasconde in un barile, ma viene scoperto, tirato fuori per i capelli e massacrato. Il suo cadavere viene trascinato per le strade; il dito dove portava l’anello, simbolo del suo potere, viene mozzato. Libertà vigilata per i neonati Comuni Nell’Italia settentrionale, la comparsa dei consules civitatis (consoli della città) è la chiave di volta dell’evoluzione della città vescovile verso la città comunale. «Il consolato della città» dice Giovanni Tabacco «presuppone una iniziale concordia per lo meno formale, intorno ai maiores (maggiorenti); […] la magistratura consolare nacque […] dalla volontà dei maggiorenti di rappresentare l’intera collettività cittadina». In seguito, vengono coniati i termini di Comune e di città (Comune civitatis o respublica civitatis). A Milano, come nella maggior parte delle città del regno d’Italia, il consolato viene menzionato per la prima volta alla fine dell’XI secolo. La formazione del Comune segue processi diversi. A Genova e a Pisa, per esempio, sempre alla fine dell’XI secolo, all’origine del Comune non è il riavvicinamento dei nobili al popolo, ma l’istituirsi di diverse associazioni, nate per ragioni economiche e militari, in compagnia communis. 87
Nel resto della cristianità, soprattutto in Francia, si ritrova questa stessa differenza tra consolati e Comuni, che conduce a diverse situazioni giuridiche e amministrative. L’autogoverno viene esercitato nel Nord dagli “scabini” e dai “consiglieri” nel Sud, e presenziato dai sindaci nel Nord e nel Sud dai consoli. Ma l’ottenimento di libertà e franchigie, di natura soprattutto economica e finanziaria, non porta sempre alla concessione di una carta comunale da parte del signore o del sovrano. L’essenziale è dunque ottenere quei privilegi che mettono la città al riparo dall’arbitrio del signore o del re. Nel dominio regio, i celebri coutumes di Lorris, ottenuti dal re Luigi VII nel 1155, assicurano alla città il controllo della propria economia. Fin dal 1066 a Huy, sulla Mosa, fuori dal regno di Francia, il vescovo di Liegi concede agli abitanti importanti diritti di natura economica, giudiziaria e amministrativa. Nel corso del XII secolo si costituiscono nel Nord della Francia le città comunali o di ampie franchigie, nel Sud le città consolari. Anche in Germania, dove viene creato il detto «Stadtluft macht frei» (l’aria della città rende liberi), generalmente le città conquistano soltanto le franchigie, che assicurano loro un autogoverno essenziale, ma non una libertà completa. In Spagna, 88
Una pagina tratta dagli Statuti del Comune della città di Bologna promulgati nel 1376, anno in cui s’insediò il nuovo governo formalmente libero dai vincoli papali. All’interno del capolettera è rappresentato san Pietro, scelto in questo caso come rappresentante della diocesi e della città, il cui mantello è fermato da una spilla raffigurante lo stemma cittadino. 89
invece, le città ottengono i fueros, privilegi soprattutto economici. Ma il processo si compie più tardi che in Italia e in Francia, alla fine del XII secolo e all’inizio del Duecento. Una parvenza di democrazia tra le famiglie nobili e quelle del popolo La comunità urbana di Colonia, ribellatasi all’arcivescovo nel 1074 e da lui riconosciuta nel 1109, costituisce un consiglio urbano (Rat) solo nel 1216. Fin dalla metà del XII secolo, questa città è di fatto governata da un “club di ricchi” (Richerzeche) che raggruppa grandi mercanti e proprietari fondiari, e possiede un proprio sigillo e un proprio municipio. Colonia è, come dice Philip Dollinger, «l’iniziatrice della vita urbana nella Germania del Nordovest». La formazione di un diritto urbano «nel quale si mescolavano costumi locali, privilegi regii o signorili e prestiti da diritti esterni» gioca un ruolo decisivo. Appare a Soest nel 1100 circa; quello di Dortmund è adottato dalla maggior parte delle città della Vestfalia; dalla fine del XII secolo, il diritto di Magdeburgo è applicato in molte centinaia di città dell’Est. “Il governo dei mercanti”, come è stato chiamato da alcuni, non è onnipotente, giunge a patti con i nobili e i signori, estromettendo dal potere la 90
maggior parte della popolazione urbana: quando nelle città italiane il popolo arriva al potere alla fine del XIII secolo, rappresenta soltanto il cinque (come a Firenze) o il dieci per cento (come a Padova) della popolazione delle grandi città, dove «la politica non è per i poveri». Anche se, come afferma Roberto Lopez, «il Comune è una democrazia bambina, inesperta, capricciosa, che non si libererà mai da tutti i suoi difetti», il movimento urbano rappresenta nei suoi princìpi un fenomeno rivoluzionario. A differenza del contratto feudale che lega un inferiore a un superiore, il giuramento che lega i membri della comunità urbana primitiva è egualitario. Pur inserendosi all’interno della feudalità, alla gerarchia feudale verticale sostituisce e contrappone una società orizzontale. Quando a Neuss, nel 1259, bisogna imporre una tassa necessaria al Comune, poveri e ricchi giurano «egualmente» di pagare in proporzione alle loro rispettive risorse. Quasi fino alla fine del XV secolo, la mobilità sociale – altro elemento di dinamismo urbano – rinnova gli strati dirigenti della società urbana. Anche a Venezia, quando l’oligarchia di un ristretto numero di famiglie aristocratiche trionfa nel 1297 con la “Serrata del Maggior Consiglio”, come dice Ro91
berto Lopez, «resta aperta la valvola dell’aggregazione di nuove famiglie, e si introducono misure di previdenza sociale». Le istituzioni urbane legate alle strutture sociali non rimangono immobili. In Italia, si distinguono generalmente tre fasi: la fase comunale (all’incirca nel XII secolo); la fase podestarile (XIII secolo), in cui la città, rosa dalla disunità e dalla violenza, rimette il potere – o perlomeno lo fa arbitrare – a una personalità estranea alla città e alle sue fazioni, il podestà; la terza fase, generalmente a partire dalla fine del XIII secolo, è quella popolare in cui il potere viene assunto dalle grandi famiglie del “popolo”, che ne allontanano le famiglie nobili, i “magnati”. È il caso di Firenze con le Ordinanze di Giustizia del 1293. Guelfi e ghibellini, popolo grasso e minuto: le fazioni in lotta In ognuna di queste fasi i conflitti, pacifici e violenti, non cessano di dividere le città. Gli scontri sono particolarmente acuti in Italia e in Germania, dove il potere imperiale è debole. Si è voluto interpretare questi conflitti in termini di “lotta di classe”, ma gli storici oggi tendono piuttosto a insistere sull’importanza della rivalità tra clan e fazioni, spesso a base dinastica o familiare, con differenti vesti politiche. 92
Così, prendendo i colori del papa o dell’imperatore, nelle città italiane si affrontano guelfi e ghibellini: a Firenze, “bianchi” e “neri”, sorti da due consorterie rivali, i Cerchi e i Donati. Popolo grasso e popolo minuto, arti maggiori e arti minori, “grandi” e “piccole” corporazioni di mestieri in Germania (grosse e kleine Zünfte), gros e menus in Francia, si abbandonano a lotte accanite. A Colonia, l’onnipotente “club dei ricchi” (Richerzeche) si scioglierà soltanto nel 1396. Talvolta, queste lotte sfociano in rivolte o ammutinamenti violenti, quasi sempre soffocati e duramente repressi dai ricchi. Il conflitto più esteso ha luogo a Firenze, nel 1378: un gruppo appartenente a una classe inferiore, gli operai non qualificati dell’Arte della Lana, svolgono una parte importante nel tumulto dei Ciompi, (cfr. documento 5). La sconfitta del movimento dei Ciompi ha come risultato, secondo le parole di Alberto Tenenti, di «ricacciare e respingere in una posizione del tutto marginale le classi inferiori della città». La città produce quindi i propri bassifondi: si riempie infatti di una popolazione di poveri che sopravvive oscillando continuamente tra lavori temporanei e mendicità, tra mendicità e crimine. Per accogliere almeno una parte di queste pericolose 93
categorie sociali (oltre che i malati e gli infermi senza risorse), a partire dal Duecento la città crea gli ospedali. Così, per esempio, nel 1287, viene creato a Firenze l’ospedale di Santa Maria Nuova, per iniziativa di Folco Portinari, padre della Beatrice cantata da Dante. Città e campagna: le inseparabili nemiche Ipotizzando una forte contrapposizione con la campagna, a lungo la città è stata considerata un elemento estraneo alla feudalità. Oggi, però, questa concezione è stata ampiamente riveduta. Non solo, infatti, la città giunge a un compromesso con la feudalità e viceversa; secondo Jacques Heers la città sarebbe addirittura «il terreno di elezione della feudalità». Questa commistione con la società feudale avverrebbe secondo Heers prima di tutto con l’intrusione dei signori: «I signori fondiari hanno accaparrato ogni sorta di diritti nella città stessa»; poi trarrebbe forza dal deterioramento delle strutture urbane: «Il regime feudale, pieno di conseguenze sul piano sociale, si è perfettamente impiantato nelle città e ha inevitabilmente provocato una grave disorganizzazione del tessuto urbano, delle forme di vita e delle modalità di habitat». Tuttavia, pur essendo giusta, la reazione di Heers è esagerata. 94
Prima di tutto, sebbene appaia come il sistema urbano più feudale a causa della presenza dei nobili nelle città, l’Italia è anche il Paese dove il movimento comunale, il sentimento dei cittadini incarnato nei monumenti e il “governo dei mercanti” sono stati più spettacolari. Allora, chi ha divorato l’altro: il signore o la città? «L’intensità dei rapporti e dei conflitti,» afferma Roberto Lopez «e l’estensione stessa del territorio controllato, variano molto da un Paese all’altro: in Inghilterra, le città medievali sono isole non feudali in mari feudali; nell’Italia centrosettentrionale sono sovrani politici, centri economici e poli intellettuali e sociali per l’intero territorio che le circonda. Ma in entrambi i casi la storia della città non può prescindere da quella della campagna e dei contadini». Questo è vero soprattutto in Italia: «La città forma col suo territorio un corpo inseparabile». In Le meraviglie di Milano, Bonvesin de la Riva scrive sempre, «nella città quanto nel contado» e fa del «comitato nostro» un «paradiso di delizie». Questa unità che la città medievale forma con il proprio territorio, la propria banlieue (spazio sul quale esercita il “banno”, cioè il potere di comando), si riscontra prima di tutto nel campo economico. 95
La principale causa di sviluppo delle città sono le eccedenze agricole: in quanto centro di consumo, la città sollecita la produzione rurale del suo territorio; in quanto centro di produzione artigianale, la città vi sviluppa le sue colture “industriali”. Sempre Roberto Lopez parla di «simbiosi» tra città e campagna: «A che servirebbero le piante industriali, il lino e la canapa dei Paesi Bassi e dell’Alta Italia, le colture specializzate di guado o pastel tra Pavia e Voghera, o la vinicoltura pregiata, che ha quasi interamente soppiantato ogni altra coltivazione in parte della Borgogna e in molte altre regioni, se non ci fossero i territori delle città e i bevitori borghesi?». La mobilità della popolazione: i contadini affluiscono nella città che cresce Questi legami economici possono unire le città a lontane campagne produttrici di materia prima per le loro industrie, svolgendo così un importante ruolo politico. Durante la Guerra dei cent’anni le città della Fiandra preferiscono l’Inghilterra, le cui campagne producono la lana necessaria alla loro industria tessile. In Provenza e in Aragona le città possiedono dei pascoli e prendono parte alla transumanza delle 96
Un altro particolare dal ciclo di affreschi Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo di Lorenzetti dove sono messi in evidenza i rapporti ideali tra città e campagna: mercanti e cittadini entrano ed escono dalle mura della città vegliati dalla personificazione della Sicurezza, in alto a destra, che sorregge significativamente un criminale appeso al cappio. 97
greggi. In Toscana, i proprietari cittadini impongono ai loro fittavoli rurali un contratto, la mezzadria, che rimodella per i secoli a venire il paesaggio agrario. D’altro canto, nelle città sopravvivono più o meno a lungo aspetti rurali. Dal punto di vista demografico, l’attrazione della città sulla campagna circostante è notevole. Gran parte degli immigrati dei centri piccoli e medi affluisce da un raggio di una trentina di chilometri intorno alla città. Il rapido ripopolamento è dunque dovuto in gran parte a contadini immigrati più o meno recentemente. La presenza contadina nella città ha conseguenze sia dal punto di vista sociale che culturale. I contadini hanno spesso difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro urbano e vanno a ingrossare la folla dei poveri e degli emarginati. A tal punto il modello urbano penetra nelle campagne, soprattutto nell’Italia settentrionale, che alcuni comuni rurali imitano le istituzioni di quelli urbani. Anche se, grazie alla dipendenza dalla città, il contado beneficia di una certa prosperità economica e l’accelerazione del movimento di affrancamento dei contadini significa una notevole sicurezza di persone e di beni, questa dominazione è soprattutto uno sfruttamento. 98
La città italiana medievale vuol dare un’immagine ideale dei suoi rapporti con il contado, come si può vedere nell’affresco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti a Siena, in cui i rapporti fruttuosi e felici tra città e campagna vengono rappresentati dalla porta della città attraverso cui uomini e prodotti entrano ed escono nei due sensi. Ma la protezione della città sul proprio contado ha i suoi limiti: tra Duecento e Cinquecento, frequenti sono le espulsioni di “forestieri” durante le carestie. Vengono così allontanati dalle mura molti contadini immigrati: la cerchia cittadina può diventare anche un confine di esclusione nei confronti degli abitanti della campagna. La fine dell’autonomia: muoiono i Comuni, nascono le signorie Dal XIII secolo in poi, la città medievale perde, del tutto o in parte, un elemento essenziale della propria identità: l’autonomia politica, il diritto a governarsi da sola. Il processo di asservimento delle città a un potere superiore segue due percorsi. Nel primo caso, la città è inglobata nella costruzione di uno Stato centralizzatore e unificatore, come avviene in Francia. La cattiva amministrazione dell’alta borghesia e soprattutto la sua 99
politica finanziaria, allo stesso tempo inefficace e ingiusta (il grosso delle imposte urbane ricade sui meno abbienti), comporta e giustifica l’intervento regio. Il sovrano affida alle istituzioni regie la verifica dei conti delle città, sottomettendole ai suoi ufficiali: i “balivi” e i “siniscalchi”. Viene così a stabilirsi un modus vivendi tra governo centrale regio e municipalità urbane. Le città di una certa importanza formano le cosiddette bonnes villes, chiamate a fornire sussidi e contingenti militari al re, alimentando il prestigio e la prosperità dello Stato monarchico. Di solito, all’interno di questi Stati centralizzatori, una città – i cui monumenti e il cui impianto urbanistico esaltano la gloria del sovrano – diventa la residenza abituale del re e la sede dei principali organismi del governo. Questa città viene chiamata caput regni: la capitale. Nella capitale francese, Parigi, il centro monumentale, politico e simbolico diventa il palazzo, prima quello dell’Ile de la Cité, notevolmente ingrandito da Filippo il Bello, poi, nel XIV secolo, il Louvre. Alcune fortezze vi manifestano la forza del potere monarchico: lo stesso Louvre, ma soprattutto la Bastiglia e lo Châtelet, sede della polizia regia. Poiché nei processi di tutto il regno si moltipli100
cano gli appelli alla giustizia regia, da ogni dove arrivano a Parigi delegati incaricati di difendere le cause in Parlamento: la capitale del regno diventa anche quella della giustizia. Parigi si ribella al re al tempo delle due grandi crisi legate alla Guerra dei cent’anni: a metà del XIV secolo, durante la prigionia in Inghilterra del re Giovanni il Bello, insorgono i mercanti, capeggiati da Etienne Marcel; all’inizio del XV secolo, invece, la capitale è conquistata dai borgognoni, alleati degli inglesi. L’altro processo, che si sviluppa soprattutto in Italia, conosce due fasi che si susseguono una dopo l’altra. La prima è la costituzione di una città-Stato a capo di un contado più o meno esteso, come nel caso di Milano o di Firenze. Talvolta, alle grandi città marittime dotate di entroterra (è il caso per esempio della Terraferma veneziana, che ai primi del Quattrocento comprende Bergamo, Verona, Vicenza, Treviso, Padova) si aggiungono i possedimenti d’oltremare. Venezia e Genova acquisiscono larghe porzioni insulari e costiere dell’impero bizantino; Corsica e Sardegna passano nelle mani di Genova e Pisa. Ma con una città principale e le altre a lei sottomesse, questi Stati conservano un carattere forte101
mente urbano. Solo che, in queste grandi città repubblicane, il governo è sempre meno esercitato per delega di tutta la comunità: le signorie collegiali impersonano ormai qualcosa di superiore che non ha conti da rendere ai cittadini ma solo a un gruppo ristretto, effettivo detentore del potere. Tiranni e capitani di ventura all’alba del Rinascimento La seconda fase si identifica con l’assoggettamento delle città-Stato alla tirannia di un singolo o di una dinastia. Nascono così le “signorie”. I condottieri, capi delle bande militari, svolgono un ruolo particolarmente importante in questa evoluzione. Dal XIII secolo appaiono i “signori”: uno dei più dispotici è Ezzelino da Romano, signore di Verona, Vicenza e Padova, morto nel 1259. Gli Scaligeri diventano padroni di Verona. Dante deplora nel Purgatorio: «Le città d’Italia tutte piene son di tiranni». Nel Trecento e nel Quattrocento regnano prima i Visconti e poi gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara, i Bentivoglio a Bologna, i Montefeltro a Urbino, i Malatesta a Rimini; infine, i Medici a Firenze. La corte di questi signori diventa centro del potere e focolaio di arte e cultura: il Rinascimento sorge sul cadavere delle città comunali. 102
In Germania e nei paesi imperiali limitrofi, le città si uniscono in una confederazione, essenzialmente basata su interessi economici e commerciali comuni: l’Ansa, che raggiungerà il suo apogeo tra Quattro e Cinquecento. Se alla fine del XV secolo in tutta Europa la città medievale – tranne che in Germania – perde la propria indipendenza, l’essenza della sua struttura materiale, della sua cultura, della sua mentalità sopravvive ancora oggi. Quell’essenza che è uno dei fondamenti dell’Europa in costruzione.
103
DOCUMENTI
I MAGGIORI CENTRI URBANI IN EUROPA ALL’INIZIO DEL XIII SECOLO
Città con popolazione sopra gli 80.000 abitanti Città con popolazione fra i 30.000 e i 60.000 abitanti Città con popolazione sotto i 30.000 abitanti
106
1. Il binomio vescovo-città è una costante dell’Alto Medioevo. Nel brano proposto, lo storico Giovanni Tabacco ricostruisce la nascita della città vescovile, soffermandosi proprio sul legame tra l’esercizio dell’autorità episcopale e la tradizionale autonomia della città come centro amministrativo di un territorio. Il tipo della città vescovile – peculiare dell’Alto Medioevo latino-germanico – può essere definito con grande chiarezza quando si prescinda dalla varietà delle forme in cui potere regio, aristocrazie militari, sviluppi culturali condizionano enti ecclesiastici e collettività cittadine. La città vi appare infatti come comunità di chierici, di maggiorenti e di popolo operanti in collaborazione con il più eminente tra i cittadini, il vescovo, nel quale si assommano responsabilità religiose e civili che assumono il massimo rilievo nella città, ma che dalla città si irradiano con varia intensità sul territorio diocesano. Ciò è tanto vero, che il nome stesso di civitas viene in quei secoli normalmente applicato soltanto ai centri abitati in cui il vescovo risiede. […] La figura istituzionale della città come centro dell’ordinamento municipale di un territorio risultava dunque integrata dal rilievo che essa andava assumendo come sede e fulcro dell’autorità episcopale. L’integrazione divenne anzi ben presto il maggiore 107
strumento di sopravvivenza della città come istituzione dotata di qualche autonomia. Via via che l’impero, declinando, si irrigidiva nello sforzo di respingere o di contenere l’afflusso germanico, lo spazio lasciato al libero gioco delle forze locali si restringeva. Non che gli organi centrali dell’impero si proponessero – come più volte si è detto in passato – di soffocare le autonomie municipali; ma le esigenze fiscali, aggravatesi in proporzione diretta con il crescente impegno militare, aumentavano il peso delle responsabilità dei curiali. Il conseguente graduale ritrarsi dei maggiorenti locali dal tradizionale spontaneo coinvolgimento nella vita pubblica della città suggeriva a sua volta un più diretto e definito intervento statale, rispetto a quello consueto degli organi provinciali dell’impero. […] In tal modo la città divenne spesso sede ufficiale – oltre che del vescovo e, dove sopravvissero, della curia e delle magistrature municipali – anche di un conte come capo militare e giudice, circondato da un nucleo barbarico di guerrieri. Ma di fronte al temibile nucleo guerriero, stretto intorno a un comandante di ascendenza etnica estranea alla popolazione, e di fronte a una curia ridotta di numero, di attribuzioni e di credito, la chiesa vescovile fu la sola istituzione capace di riassumere in sé qualcosa della tradizione della città co108
me area di civiltà superiore e come centro legittimo dell’organizzazione sociale di un territorio. G. TABACCO, La città vescovile nell’Alto Medioevo, in P. Rossi (a cura di), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, pp. 327-329. 2. Con il De magnalibus Mediolani (1288), il grammatico milanese Bonvesin de la Riva compose una cronaca della città di Milano con l’intento di esaltarne le virtù e la magnificenza. Basandosi sull’osservazione della realtà quotidiana e ricostruendone la storia attraverso le cronache medievali e i libri ecclesiastici, Bonvesin de la Riva offre un ritratto minuzioso e divertito della sua città. In questo brano si sofferma a descrivere il carattere dei milanesi mettendone in risalto la buona indole per poi contrapporla a quella «perversa» dei loro governanti. Considerata sotto il profilo degli abitanti, Milano sembra a me la più splendida fra tutte le città del mondo. I nativi della città, di ambedue i sessi, hanno una loro caratteristica statura, sono allegri di aspetto e molto amichevoli; non sono intriganti, sono meno inclini a imbrogliare rispetto ai popoli stranieri e per queste qualità più di tutti si distinguono fra le altre genti. Vivono in modo dignitoso, 109
ordinato, magnifico; indossano vesti eleganti, dovunque essi siano, in patria come altrove, sono molto generosi nello spendere, sono guardati con onore e onore a loro volta arrecano, e piacciono per la loro condotta di vita. La loro lingua è facile da comprendere per tutti quelli che non la conoscono, più di quanto non sia il contrario; e così pure più facile è distinguerli per il loro aspetto in mezzo agli stranieri. A tutti, da qualunque terra provengano, offrono un modello di religiosità, come viene con molti esempi riconosciuto sia dentro che fuori la loro patria, e sono dunque in ogni terra stimati più di tutti gli altri popoli. Qualcuno a questo punto obbietterà: «Come puoi lodare i Milanesi per la loro condotta di vita? Tutti ne conoscono gli odi e i tradimenti reciproci, le discordie intestine, la ferocia con cui si distruggono!» Io rispondo che questo argomento non ha valore, così come non ne avrebbe il seguente «Fra i dodici apostoli c’erano rivalità, ci fu il tradimento di Giuda, ci fu anche chi negò Cristo tre volte; dunque gli apostoli non vanno lodati». Ma qualcuno ancora obbietterà: «Perché dunque, se hanno le qualità che vai dicendo, tutte queste virtù non tengono a freno la malvagità?» Io rispondo: perché la potenza temporale più spesso tocca ai per110
versi, e i figli delle tenebre nelle loro cattive azioni spesso agiscono con più ardore e accortezza dei figli della luce nelle proprie. Ma ciò lascio considerare a voi: io proseguirò per la mia strada. B. DE LA RIVA, Le meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, A. Mondadori, Milano, 2009, pp. 37-39. 3. La più celebre delle cronache fiorentine è senza dubbio quella composta da Giovanni Villani intorno al 1338. Uomo d’affari attento agli aspetti più vari della società del suo tempo, Villani ci ha lasciato un’accurata descrizione delle caratteristiche demografiche, economiche, politiche e culturali della città toscana, senza tuttavia nascondere l’entusiastica ammirazione per la magnificenza di una delle più grandi e floride città medievali. In questi tempi avea in Firenze le ‘nfrascritte signorie forestieri, che ciascuno tenea ragione, e avevano colla da tormentare, la podestà, il capitano del popolo, l’esecutore degli ordini della giustizia, il capitano della guardia, overo conservatore del popolo, tutte queste IIII signorie avieno albitro di pulire reale e personale; il giudice della ragione e appellagione, il giudice sopra le gabelle, l’uficiale sopra la piazza e vittuaria, l’uficiale sopra gli ornamenti delle donne, quello della mercantia, quello 111
sopra l’arte della lana, gli ufficiali ecresiastici, la corte del vescovo di Firenze e di quello di Fiesole, e dello inquisitore della eretica pravità. Altre dignità e magnificenza della nostra città di Firenze non sono da lasciare di mettere in memoria per dare aviso a quelli che verranno dopo di noi. Ell’era dentro bene albergata di molti belli palagi e case, e al continovo in questi tempi s’edificava migliorando i lavori di farli agiati e ricchi, recando di guori asempro d’ogni miglioramento e bellezza. Chiese cattedrali e di frati d’ogni regola, e monisteri magnifici e ricchi; oltre a cciò non era cittadino che non avesse posessione in contado, popolano o grande, che non avesse edificato od edificasse riccamente troppo maggiori edifici che in città; e ciascuno cittadino ci peccava in disordinate spese, onde erano tenuti matti. Ma ssì magnifica cosa era a vedere, ch’uno forestiere non usato venendo di fuori, i più credeano per li ricchi difici d’intorno a tre miglia che tutto fosse della città al modo di Roma, sanza i ricchi palagi, torri e cortili, giardini murati più di lungi dalla città, che inn altre contrade sarebbono chiamati castella. In somma si stimava che intorno alla città VI miglia avea più abituri ricchi e nobili che recandoli insieme due Firenze non avrebbono tante: e basti assai avere detto de’fatti di Firenze. 112
G. V ILLANI , Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Fondazione Pietro Bembo, Ugo Guanda, Parma, 1991, Vol. III, Libro XII, pp. 200-202. 4. Lo storico Marino Berengo ricostruisce l’evolversi dello spazio pubblico nella città medievale. Dalla piazza, luogo di intervento diretto del cittadino nelle decisioni pubbliche, al palazzo comunale, in cui il potere viene esercitato dagli eletti dal popolo. Ne emerge un quadro storico in cui le trasformazioni del tessuto urbano riflettono l’evoluzione delle modalità di partecipazione civile alla vita della città. Due punti di riferimento sono stati di solito preliminari nell’orientare lo svolgimento della vita collettiva in una città. La chiesa con cura d’anime (episcopale o anche parrocchiale che fosse); e il luogo in cui convenire e raccogliersi per discutere e decidere sugli interessi comuni, determinati dalla convivenza urbana. Non sempre, e soprattutto non subito, le due esigenze han richiesto spazi diversi; e a lungo i luoghi sacri hanno ospitato le istituzioni civiche nel loro funzionamento e, in particolare, nelle adunanze cui dovevano ricorrere. Non tutte le città hanno potuto disporre della propria chiesa entro la cerchia delle mura: i giuspatronati signorili possono aver saldamente ancorato la 113
sede parrocchiale una o due miglia fuori da una delle porte, e i conventi degli ordini mendicanti hanno solo parzialmente colmato il vuoto che si era creato. Ma questi erano squilibri che le forze attive delle città in cui si erano determinati avvertivano come tali, e s’impegnavano a rimuovere. Quei due cardini associativi non erano di fatto sostituibili; ma il secondo si rese concreto e visibile, assunse cioè una forma stabile ed entrò nella coscienza quotidiana dei cittadini assai più tardi del primo […]. Fra Due e Trecento molte piazze europee si sono gremite di uomini, capifamiglia quasi sempre, chiamati ad ascoltare e anche (non sempre) a decidere, dal suono delle campane issate sul campanile della chiesa o della torre; o quando queste mancassero, dagli squilli dei trombettieri. I fueros castigliani e poi le ordinanze regie si fan cura di spiegare che sono valide solo le delibere emanate da assemblee tenute la domenica: esprimono quindi un’esigenza di partecipazione attiva dei cittadini, e una mancanza di ricorso alle deleghe che sono tipiche di una struttura municipale ancora elementare e in fase di formazione. La piazza è dunque la sede naturale di un’assemblea plenaria, cui si accede colla sola qualifica di esser membro di quella comunità urbana, di esser 114
cittadino; e se le condizioni climatiche e atmosferiche non la rendono praticabile, a sostituirla c’è la chiesa, che quasi sempre sorge su uno dei suoi lati. […] E di chiese e piazze colme di popolo adunato per deliberare (e talvolta per imporre la propria volontà al di fuori e contro quella degli organi istituzionali), la storia delle città europee offre innumerevoli esempi, soprattutto quella dei comuni italiani. Le riunioni all’aperto o tra le navate della cattedrale non derivano infatti soltanto dalla mancanza di una sede municipale: continuano in realtà a effettuarle a lungo, sino al Cinquecento (si pensi, ad esempio, ai parlamenti di Firenze) proprio le città di quell’Italia centrosettentrionale che sono state le prime a darsi un palazzo pubblico. […] Nelle città lombarde l’edificio del Comune è sorto dapprima accanto al palazzo episcopale e talvolta nell’area stessa del suo giardino (donde il nome di Broletto a Brescia, Pavia, Milano); poi se n’è venuto allontanando e la piazza del podestà o del Comune ha costituito un polo di riferimento nuovo e diverso rispetto a quello della cattedrale. Le città toscane avviano questo processo edilizio più tardi, a metà Duecento e con uno spirito diverso: alle costruzioni centrate sulla grande sala della ragione che occupa tutto il primo piano (che era stata la 115
soluzione lombarda) subentrano edifici compatti, quasi derivati dai castelli. […] Nei grandi centri un palazzo non basterà più, e a quello del Comune si aggiungeranno quelli dei priori, del popolo, del capitano di giustizia e altri ancora: la rapida crescita istituzionale e amministrativa dello stato cittadino non è stata però l’unica causa di questa proliferazione. La lotta politica e la difficoltà di convivere sotto un medesimo tetto di forze in conflitto o in precario equilibrio (guelfi e ghibellini, nobiltà e popolo, ecc.) ha accelerato il processo. M. BERENGO, L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed età moderna, Einaudi, Torino, 1999, pp. 171-174. 5. Ecco come lo studioso tedesco Robert Davidsohn, alla fine del secolo scorso, nella sua classica opera su Firenze, interpreta il movimento dei Ciompi nei termini di una lotta di classe. Il duca di Atene […] concesse agli scardassieri […] di costituire una particolare corporazione simile ad un’arte, mentre essi finora erano stati tenuti sotto lo stretto controllo dell’Arte della Lana. Dopo la sua cacciata essi perdettero nuovamente questi vantaggi. Ma ormai si era risvegliata in loro la coscienza di sé, che rimase viva soprattutto nei 116
piccoli artigiani, e l’aspirazione al diritto di associazione condusse una generazione più tardi ad una delle rivoluzioni più movimentate e sanguinose del Medioevo italiano. Essi si erano serviti dell’effimera potenza raggiunta soprattutto per ottenere più alti salari […]. Sulla base di un migliorato rapporto salariale il popolo minuto cominciò da allora a sentirsi forte di fronte alle altre classi. Durante il periodo del duca d’Atene, come le classi superiori assunsero vesti e costumi francesi, così anche il popolo minuto seguì la moda straniera, ma in un modo suo, senza spesa: i francesi del duca, con calcolato cameratismo, si rivolgevano spesso ad essi chiamandoli “compare”; e così anch’essi tra loro si chiamarono, invitandosi a bere o brindando insieme, “compère” o “compare”, donde nacque il termine popolare storpiato di “ciompa” o “ciompo”. Questa denominazione divenuta storica non indicava affatto, in origine, una qualsivoglia precisa appartenenza all’industria tessile, né il cardatore o battilana, cui più tardi si riferì, ma semplicemente il compare, che non era un vero compare, ma il popolano senza beni e posizione. Quando trentacinque anni dopo la cacciata del tiranno scoppiò quel grande movimento, lo si chiamò logicamente la ri117
voluzione o tumulto dei ciompi. […] I rivoluzionari del 1378 non indicarono se stessi mai come “ciompi”, ma come “popolo di Dio”. Questo nome venne attribuito loro anche ufficialmente nell’imborsazione per il sorteggio delle cariche, e doveva appunto significare che essi erano uomini senza beni, che riponevano le loro cose nelle mani di Dio, sebbene, per esasperata avversione all’Arte della Lana, nella lotta per liberarsi da essa, si fossero uniti ai “ciompi” anche i tintori, benestanti, e per odio contro l’Arte di Por Santa Maria che li opprimeva, anche altri mestieri, come i sarti, i farsettai, i cappellai, i fabbricanti di stendardi e bandiere, i tessitori di seta pesante e broccato, i calzaiuoli o calzettai, e i fabbricanti di calzoni a maglia e di cappucci. I rivoltosi riuscirono ad ottenere il diritto di unirsi, prima in tre, poi in due arti. […] Oltre ai tintori e ai mestieri già ricordati ne fecero parte i cardatori e i battilana, i fabbricanti di cardi, i saponai, i fabbricanti di pettini, i rammendatori di panni, i lavandai, i cimatori, i barbieri, i fabbricanti di reti […]. L’essenza del movimento risulta perciò quella di un moto di classe, rivolto contro il ceto medio fino allora dominante, anche se per ragioni particolari alcune parti di esso si schierarono a fianco del popolo basso. Il carattere di quella lotta riluce anche 118
dall’alleanza, in sé innaturale, del popolo minuto con i grandi e dall’utile che i magnati ne seppero trarre più tardi, avendo nuovamente il popolo grasso bisogno di loro nella lotta contro i “minuti” [...]. Una volta abbattuto il movimento i grandi ricevettero dalle mani del ceto medio la mitigazione degli Ordinamenti e l’ammissione a tutti gli uffici, eccetto a quello dei priori. I ciompi come tali perdettero la propria rappresentanza nel governo, mantenendo però per alcuni anni una parte in esso, in quanto costituivano due delle arti minori alle quali, nel loro insieme, spettavano cinque degli otto posti nel collegio dei priori. Ma nel 1382 anche questo nuovo assestamento, fondato in modo così tumultuoso, fu di nuovo eliminato del tutto. R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, vol. IV, parte III, Sansoni, Firenze, 1965, pp. 9-12.
119
CRONOLOGIA
CRONOLOGIA LA CITTÀ MEDIEVALE
IL MONDO CONTEMPORANEO
1070
Prima menzione, nella città di Mans I turchi selgiuchidi conquistano in Francia, di un regime comunale. Gerusalemme.
1075
In Olanda viene fondata la città di Delft, importante centro per la tessitura degli arazzi e la produzione della birra.
Gregorio VII emana il Dictatus papae, che sancisce la supremazia della Chiesa e del papa, cui devono obbedienza sia le istituzioni ecclesiastiche che i sovrani laici.
Tra il 1081 e il 1106, vi sono attestazioni di consoli in varie città italiane: Pisa (1081), Milano (1097), Arezzo (1098) e Siena (1100).
I normanni, guidati da Roberto il Guiscardo, sconfiggono l’esercito imperiale bizantino di Alessio I nella battaglia di Durazzo.
A Soest (Germania) appare una prima forma di diritto urbano. Quello di Dortmund, di pochi anni dopo, sarà adottato dalla maggior parte delle città della Vestfalia.
In Inghilterra re Enrico I promulga lo “Statuto delle libertà”, il documento precursore della Magna Charta Libertatum concessa da Giovanni Senzaterra nel 1215.
Il re di Francia Luigi VII concede alla città di Lorris libertà e franchigie (coutumes) che assicurano agli abitanti il controllo della propria economia. Tali libertà definiranno lo statuto delle altre città francesi.
Prima discesa di Federico Barbarossa in Italia, dove viene incoronato re d’Italia a Pavia e imperatore a Roma. I bizantini entrano in conflitto con i normanni in Sicilia e conquistano la costa da Taranto ad Ancona.
Enrico il Leone fonda la città di Monaco che gode di autonomia commerciale. L’anno successivo fonda Lubecca che diventerà la principale città della Lega Anseatica. Federico I fonda la città di Lodi.
Durante la dieta di Roncaglia il Barbarossa rivendica a sé e all’Impero i diritti di imporre tributi, coniare le monete, promulgare le leggi, nominare i magistrati e guidare l’esercito. Il papa lo scomunica.
Inizia una fase di grande urbanizzazione in Italia settentrionale e centrale: vengono create città per mantenere la popolazione nei confini e per creare postazioni difensive. Sorgono Alessandria (1164), Villanova di Verona (1185), Orzinuovi (1193), Castelfranco Veneto (1199) e Cittadella (1210).
Il sovrano inglese Enrico II emana le costituzioni di Clarendon che ripristinano il controllo del re sull’amministrazione della giustizia suscitando l’opposizione del clero. Nella Marca veronese si costituisce una lega imperiale tra le città di Verona, Treviso, Vicenza e Padova.
1081 1100
1155
1158
1164
122
CRONOLOGIA LA CITTÀ MEDIEVALE
IL MONDO CONTEMPORANEO
Si costituisce a Parigi la corporazione universitaria. Già nel 1140, a Bologna, il monaco Graziano aveva redatto il Decretum all’origine del Corpus iuris canonici. Nel 1208-1209 nascono le Università di Cambridge e Oxford, nel 1222 quella di Padova.
In Francia si avvia il regno di Filippo II Augusto, che condurrà una vittoriosa guerra contro i sovrani inglesi (1187-1206). Muore l’imperatore Manuele Comneno, gli succede il figlio Alessio, sotto la reggenza di Maria di Antiochia.
1180
Nascita delle prime corporazioni artigiane. Sorgono a Firenze, tra le altre, l’Arte de’ Mercanti (1182), l’Arte del cambio (1206), l’Arte della Lana (1212) e l’Arte di Por Santa Maria (1218).
Il 24 giugno nasce Francesco d’Assisi. Filippo II espelle gli ebrei da Parigi. A Costantinopoli rivolta del popolo contro Alessio II e massacro dei latini sostenuti dall’imperatore.
1182
Viene siglata la pace di Costanza tra i Comuni del Nord Italia e l’Impero: i Comuni conquistano il diritto all’autodeterminazione, ma devono riconoscere la sovranità imperiale.
Ha luogo in Giappone la grande battaglia di Kurikara che rappresenta un momento determinante nella grande guerra civile conosciuta come la “Guerra Gempei”.
1183
Primo trattato generale di leggi e Saladino infligge una pesante sconcostumi d’Inghilterra di Ranolfo fitta ai Templari nella battaglia di Glanvill. Hattin e conquista Gerusalemme.
1187
Prime menzioni di podestà a Firenze e Genova. Il regime podestarile sostituisce quello consolare sino all’arrivo della Signoria (seconda metà del XIII sec.) Tra il 1191 e il 1230 sorgono in Inghilterra quarantanove città.
Si conclude la terza crociata con la riconquista di Acri, Jaffa e la conquista di Cipro. Dopo la morte di Federico I, il figlio Enrico VI di Hohenstaufen è imperatore del Sacro Romano Impero.
1191
Filippo II Augusto inventa la “capitale” Parigi apportando miglioramenti difensivi ed estetici alla città. Le strade vengono pavimentate e viene ampliata la cinta muraria che arriva ad includere Les Halles, il porto di Grève e la città universitaria.
I crociati e i veneziani saccheggiano e devastano Costantinopoli. Nasce l’Impero latino d’Oriente che durerà sino al 1261.
1204
123
CRONOLOGIA LA CITTÀ MEDIEVALE
IL MONDO CONTEMPORANEO
1224
L’imperatore Federico II di Hohen- Ultima visita di Francesco d’Assisi zollern fonda lo studiumdi Napoli per al Monte della Verna e composiformare i funzionari del regno. zione del Cantico delle creature.
1228
Viene iniziata la costruzione del Canonizzazione di Francesco Duomo di Orvieto e della Basilica d’Assisi. Le chiese dei predicatodi Assisi. La ghibellina Pistoia vie- ri sono dichiarate “conventuali”. ne sconfitta dalla guelfa Firenze.
1240
A partire dal 1240 si afferma il fenomeno delle signorie soprattutto in Lombardia (i Visconti a Milano), nella pianura padana (Gonzaga a Mantova e d’Este a Ferrara), in Veneto (Scaligeri a Verona) e in area umbro-marchigiana (Malatesta a Rimini, Montefeltro a Urbino).
I mongoli si spingono fino alle pianure a nord del Mar Nero e distruggono Kiev. L’anno seguente, sotto la guida di Bath Khan invadono l’Ungheria. Nella battaglia della Neva il principe russo Alexander Nevsky sconfigge le armate svedesi.
1252
Lo sviluppo dei commerci permette la ripresa della coniatura di monete d’oro. A Firenze viene coniato il fiorino. Nello stesso anno, sempre a Firenze, viene iniziata la costruzione del convento francescano di Santa Croce.
Ferdinado III di Castiglia muore e gli succede il figlio Alfonso X. Il suo regno sarà caratterizzato dalla lotta contro la nobilità ribelle e da aspirazioni al potere imperiale.
1256
Con il diretto intervento regio, nella Francia meridionale si sviluppano città nuove: Carcassonne, Aigues-Mortes,Villefranche-de-Rouergue (1256), Villefranche-deLauraguais (1270).
Bologna è la prima città europea ad abolire la servitù della gleba. Ezzelino III “il tiranno” viene cacciato da Padova dove inizia l’ascesa della famiglia dei Da Carrara.
1268
Viene realizzato a Parigi, dal prevosto Etienne Boileau, il Livre des Métiers; una raccolta degli statuti delle corporazioni che annovera le professioni regolamentate. Iniziano a Firenze i lavori per la costruzione del convento agostiniano di Santa Maria del Carmine.
Corradino di Svevia scende in Italia per rivendicare il diritto alla successione sul trono di Sicilia. Viene sconfitto a Tagliacozzo da Carlo d’Angiò. A Venezia, per ridurre il potere delle famiglie, vengono elaborate nuove procedure di elezione del doge.
1284
Venezia conia il ducato. Sulla faccia Battaglia della Meloria: la flotta gec’è raffigurato il patrono della città, novese infligge a Pisa una sconfitta San Marco, sul verso il doge. che ne segna il definitivo declino.
124
CRONOLOGIA LA CITTÀ MEDIEVALE
IL MONDO CONTEMPORANEO
Il grammatico milanese Bonvesin de la Riva compone il De magnalibus Mediolani in cui viene descritta la città di Milano.
Battaglia di Worringen tra il duca Giovanni I di Brabante e l’arcivescovo di Colonia Siegfried II per il possesso del ducato di Limburg.
1288
Firenze insedia contro Siena le cinque “Terre Nuove”: Castello San Giovanni, Castelfranco, Terra Santa Maria, San Barnaba, Firenzuola.
I crociati sbarcano ad Acri, stretta d’assedio dai Mamelucchi d’Egitto. L’ultimo baluardo cristiano in Terra Santa cadrà l’anno seguente.
1290
Firenze impone modifiche allo “statuto del podestà” di Pistoia. Tre anni prima, con le “Ordinanze di Giustizia”, il popolo fiorentino aveva allontanato le famiglie nobili dalla città. Iniziano i lavori di costruzione di Santa Maria del Fiore.
Scontro tra il re di Francia Filippo il Bello e papa Bonifacio VIII sulle immunità godute dalla Chiesa. Con la battaglia di Dunbar, l’Inghilterra si annette i territori della Scozia.
1296
L’uso della lingua volgare sostitui- Muore Carlo d’Angiò e gli sucsce il latino nella stesura degli sta- cede il figlio Roberto d’Angiò, tuti urbani: Siena (1309), Perugia capofila del fronte guelfo in Italia. (1342), Ascoli (1377).
1309
Sotto la spinta di una grande crescita demografica, Firenze amplia la propria cinta muraria secondo il progetto di Arnolfo di Cambio.
Nella battaglia di Crecy l’esercito inglese, guidato da Edoardo III, sconfigge quello francese, agli ordini di Filippo IV.
1346
Cola di Rienzo si proclama tribuno del popolo ed emana gli “Ordinamenti dello buono Stato”. Vengono fondati istituti universitari in tutto l’Impero: Praga (1347), Cracovia (1364), Vienna (1365).
A Messina, prima apparizione della peste nera in Italia che imperverserà in Europa sino al 1352 uccidendo più di un terzo della popolazione.
1347
A Firenze esplode un conflitto cittadino in cui giocano un ruolo importante gli operai non qualificati dell’Arte della Lana: il “tumulto dei Ciompi”.
Inzia il grande scisma d’Occidente (1378-1417). I cardinali francesi eleggono un proprio antipapa ad Avignone.
1378
Ha inizio la costruzione del Duomo Nella battaglia del Kosovo i turchi ottomani sconfiggono i serbi. di Milano.
1389
125
BIBLIOGRAFIA L. BENEVOLO, Storia della città, Vol. 2: La città medievale, Laterza, Roma-Bari, 2006; M. BERENGO, L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed età moderna, Einaudi, Torino, 1999; R. BORDONE, La società urbana nell’Italia comunale (sec. XI-XIV), Loescher, Torino, 1984; G. P. B ROGIOLO , S. G ELICHI , La città nell’Alto Medioevo italiano. Archeologia e storia, Laterza, Roma-Bari, 2006; B. DE LA RIVA, Le meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, A. Mondadori, Milano, 2009; G. CHERUBINI, Le città europee del Medioevo, Bruno Mondadori, Milano, 2009; E. ENNEN, Storia della città medievale, Laterza, Roma-Bari, 1975; G. FASOLI, F. BOCCHI, La città medievale italiana, Sansoni, Firenze, 1973; A. FRUGONI, C. FRUGONI, Storia di un giorno in una città medievale, Laterza, Roma-Bari, 2007. M. G INATEMPO , L. S ANDRI , L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento (sec. XIII-XVI), Le Lettere, Firenze, 1990; 127
A. GROHMANN, La città medievale, Laterza, RomaBari, 2005; E. GUIDONI, La città dal Medioevo al Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 1981; J. HEERS, La città nel Medioevo in Occidente. Paesaggi, poteri e conflitti, Jaca Book, Milano, 1995. J. LE GOFF, L’immaginario urbano nell’Italia medievale (sec. V-XVI), in C. de Seta (a cura di), Il paesaggio, Storia d’Italia, Annali, vol. V, Einaudi, Torino, 1982; R. S. LOPEZ, Intervista sulla città medievale, a cura di M. Berengo, Laterza, Roma-Bari, 1984; M. PELLEGRINI, Vescovo e città. Una relazione nel Medioevo italiano, secoli II-XIV, Bruno Mondadori, Milano, 2009; P. ROSSI (a cura di), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, Edizioni di Comunità, Torino, 2001; J. ROSSIAUD, Il cittadino e la vita di città, in J. Le Goff (a cura di), L’uomo medievale, Laterza, RomaBari, 1993.
128