Introduzione a Lo Stoicismo ellenistico [PDF]


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Introduzione a LO STOICISMO ELLENISTICO di Margherita Isnardi Parente

Editori Laterza Mauritius_in_libris

I FILOSOFI Ogni volume di questa collana co- ~ stituisce un ampio capitolo di storia ~ della filosofia, dedicato a un autore o a una corrente di pensiero. Le singole «Introduzioni» offrono gli strumenti critici essenziali per intendere l'opera dei filosofi alla luce delle più recenti prospettive storiografiche. 0

ISBN 88-420-4312-5

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Lire 18000 (i .i.)

9 788842 043126 Mauritius_in_libris

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I FILOSOFI 59

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© 1993, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 1993

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la scienza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

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INTRODUZIONE A

LO STOICISMO ELLENISTICO DI

MARGHERITA ISNARDI PARENTE



EDITORI LA TERZA

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Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel settembre 1993 nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-4312-2 ISBN 88-420-4312-5

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LO STOICISMO ELLENISTICO

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Nelle note sono state usate sigle solo nel caso delAVVERTENZA le raccolte più importanti, e vengono via via spiegate (SVF per gli Stoicorum Veterum Fragmenta di H. v. Arnim, FDS per i Fragmente zur Dialektik der Stoiker di K.H. Hiilser, DK per i Fragmente der Vorsokratiker di H. Diels e W. Kranz). Le testimonianze dei dossografi sono tratte per la maggior parte da Doxographi Graeci (Dox. Gr.), ed. H. Diels, Berlin 1879, ed. anast. 1965. Epicuro è citato o dalla raccolta Epicurea di H. Usener, Leipzig 1887 (per le testimonianze) o dalla più moderna raccolta di G. Arrighetti, Torino 1960, 1973 2 . I commentatori di Aristotele sono citati dai CAG (Commentaria in Aristotelem Graeca) editi dall'Accademia di Prussia, col nome dell'editore e la pagina del testo. Altre indicazioni sono date di volta in volta in nota.

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PREMESSA

È luogo comune di tutte le trattazioni relative alla Stoa che di tale scuola Crisippo sia stato il 'sistematizzatore'; e ciò è relativamente vero, a patto di non voler con ciò intendere che quella sistemazione che Crisippo diede a momenti incoativi e quella mediazione che operò fra le divergenze dei predecessori debbano essere intese come rappresentative della scuola nel suo insieme, e che da questa 'sistemazione' si debba dedurre un volto poi stabilmente unitario di essa. Questo modo tradizionale di presentare la Stoa antica - identificandola con le sue fasi anteriori al contatto diretto con Roma, rappresentato da Panezio - deriva dall'immagine che ne avevano i pensatori della prima età imperiale, usi a identificare per lo più gli stoici con Crisippo. Per Plutarco 1, per Galeno (che tuttavia non dimenticava il suo debito verso Posidonio)2, 1 Nelle due operette completamente dedicate alla refutazione delle tesi stoiche, Le contraddizioni degli Stoici e Le nozioni comuni secondo gli stoici, l'autore sul quale Plutarco si basa fondamentalmente è Crisippo, anche se non mancano citazioni di altri stoici, talvolta anch'esse 'verbatim' e con titolo dell'opera, come Zenone, o Cleante, o Antipatro di Tarso (cfr. De stoic. rep. 1051d-1052b, per Antipatro, 1034d per Cleante, e altrove). 2 Galeno tratta delle teorie crisippee dell'anima e delle passioni passim per buona parte del suo De Hippocratis et Platonis placitis; per quei passi in cui emerge in particolare la citazione espressa di Posidonio (De Hippocr. et PI. plac. IV-VI) cfr. più oltre, cap. V, in particolare le note 62-65; essi sono oggi compresi, e commentati, nelle raccolte relative a questo autore.

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per quel Diogeniano che ci è noto attraverso Eusebio di Cesarea3, ancora per Plotino4, Crisippo rappresentava la scuola, e l'immagine di questa si incentrava da un lato nei 'paradossi' sul sapiente (nei quali si riconosceva peraltro un'eredità di Zenone), dall'altro nel fatalismo, più tipica caratteristica crisippea. O, in generale, si può dire che si riconoscesse come stoico tutto ciò che dai predecessori era passato in Crisippo e aveva ricevuto da questi un assetto definitivo e una formulazione precisa. Panezio era lontano e sostanzialmente estraneo, o qualcosa ne filtrava tutt'al più attraverso Cicerone, per il quale aveva avuto cosl grande importanza; Posidonio, non dimenticato dai filosofi e vivo soprattutto fra gli scienziati o i cultori delle scienze, era però considerato uno stoico anomalo, non certo caratterizzante l'immagine della scuola, e spesso veniva citato per le sue posizioni anticrisippee. Eppure, non abbiamo che a dare un rapido sguardo alle testimonianze relative agli immediati successori di Crisippo per renderci conto di quanto breve sia stata la durata. della 'sistemazione' crisippea. Nel II secolo si scrivevano 3 Eusebio, Praeparatio Evangelica, VI, 2, 14-3, 13; 7, 44-8, 38 (cfr. A. Gercke, Chrysippea, «Philologus», Suppi. XIV, Leipzig 1885, pp. 691748). Posso rimandare in proposito a M. Isnardi Parente, Diogeniano, gli Epicurei e la tyche, in Aufstieg u. Niedergang d. romischen Welt, 36.4, Berlin-New York 1990, pp. 2424-45. 4 Dipende da Crisippo la trattazione che Plotino fa della teoria del fato o della provvidenza (Enn. III, 1-3, trr. 3, 47, 48) ma anche la forma in cui son rese le dottrine stoiche più particolari, come quella delle categorie o dei generi dell'essere (Enn. VI, 1, 25 sgg.): per la quale egli mostra di basarsi in pieno sulla teoria quadripartita di Crisippo senza tener conto di ulteriori svolgimenti, che non mancano invece nella Stoa. Si può notare, ancora più in particolare, che, parlando della teoria stoica delle qualità, Plotino mostra di ignorare del tutto gli sviluppi di cui ci parla Simplicio (In Aristotelis Categorias, p. 208, 33 sgg. Kalbfleisch; SVF Il, 388) che fa distinzione fra qualità corporee e incorporee, menlre Plotino si attiene ancora del tutto alla teoria crisippea delle qualità come pneumata, dotate di fisicità e corporeità (Enn. VI, 1, 29; ivi, 3, 15-16). Ma Simplicio si riferisce certamente ad una fase ulteriore della teoria stoica: cfr. per questo più oltre, cap. IV.

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già opere di storiografia scolastica sulle differenze intercorrenti fra Cleante e Crisippo5, talvolta con preferenze per il primo dei due scolarchi; e il principale dogma fisicocosmico della scuola, quello della conflagrazione, del tempo ciclico e del ripetersi degli eventi, appare esser già stato sottoposto a dubbio dal primo successore di Crisippo nello scolarcato, Zenone di Tarso, che esercitava su di esso la 'sospensione del giudizio', declassandolo a teoria probabile 6 • La logica e la teoria degli incorporei conoscevano sviluppi nuovi; ben prima di Panezio, in campo etico, era iniziata la rivalutazione delle forze passionali ed emotive condannate dalla Stoa precrisippea e crisippea; la teoria dei doveri sociali e quella del progresso etico cominciavano a prevalere sul rigido intellettualismo di origine cinica, che ancora, pur mediandolo con altri motivi, Crisippo aveva accettato come eredità zenoniana; la Politeia di Zenone era respinta come non facente parte del patrimonio autentico della Stoa 7 • Ci si può chiedere come mai gli autori della prima età imperiale siano stati cosl poco sensibili agli sviluppi intermedi della scuola, per attingere a fasi precedenti. In parte, questo fenomeno si riallaccia a tutta una tendenza che caratterizzava il periodo, non solo nei riguardi di una singola scuola: i pensatori di quell'età amavano rifarsi lontano, e ciò in duplice senso, sia che intendessero proclamare una discendenza, sia che volessero al contrario negare e contrapporsi polemicamente 8 • Se il fenomeno è di larga por5 Ne scrisse una Antipatro e ce ne dà notizia Plutarco, De stoic. rep. 1033f ( = SVF III, Ant. Tars. 66). 6 Cfr. Eusebio, Praeparatio Evang. XV, 18, 2, che attinge al dossografo di età augustea Arie Didimo. 7 Cfr. Diogene Laerzio, VII, 4, per il gioco di parole 'sulla coda del cane' (indicante che la Politeia è stata scritta nel periodo cinico di Zenone). Parla di distacco della Stoa seguente dalla teoria politica di Zenone Filodemo, De Stoicis lpap. bere. 339), col. IX, 2 sgg., p. 100 Dorandi («Cronache Ercolanesi», XII, 1982). s Per questa caratteristica tipica dell'età cfr. le osservazioni di G. Cambiano, La filosofia in Grecia e a Roma, Roma-Bàri 1987 2 , pp. 118 sgg.; M. Vegetti, L'etica degli antichi, Roma-Bari 1989, pp. 301 sgg.

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tata culturale, e se questo appiattimento cronologico è stato già oggetto di considerazione e analisi, per ciò che riguarda specificamente la Stoa una delle ragioni può anche ravvisarsi nel modo con il quale questa scuola presentava se stessa. In essa - che era stata la fucina di forme letterarie tecniche adatte alla trasmissione della storia della filosofia; che aveva inaugurato, per cosl dire, la produzione di introduzioni, manuali, trattati - si continuava una tradizione di stoichei6seis o 'raccolte di elementi'; e queste raccolte sistematiche e scolastiche, di introduzione all'insegnamento filosofiço, si mantenevano per lo più fedeli al modello crisippeo. E significativo l'esempio di un pensatore, Ierocle, vissuto probabilmente fra I e II secolo a.C., il quale è autore da un lato di una Ethikè Stoicheiosis di tono e contenuto ortodosso, dall'altro di opere destinate ad un pubblico più vasto e di carattere filosofico-letterario (a noi giunte in excerpta nell'opera di Giovanni Stobeo) nelle quali risuonano accenti nuovi e diversi rispetto alla dottrina della Stoa antica, accenti che costituiscono l'eco di più recenti sviluppi 9 • Gli avversari della Stoa che ci hanno trasmesso un'immagine tutta crisippea della scuola attingevano probabilmente alla tradizione manualistico-scolastica, anche se alcuni di essi, come Plutarco, citano cosl spesso 'verbatim' Crisippo stesso da far pensare che ancora qualche opera di questo prolisso ed estremamente fecondo autore fosse loro direttamente attingibile. Quanto poi alla tradizione relativa al sapiente ed alle sue caratteristiche di indomabile rigore morale e di assoluta tensione etica, la Stoa romana o di età romana contribuiva a tenerla in vita: Epitteto e Seneca non guardavano, per la loro etica, a Panezio o Posidonio, e neanche ad Antipatro di Tarso, ma amavano 9 Per questa differenza fra la Stoicheiosis e gli excerpta tramandatici da Giovanni Stobeo (Eclogae, I, pp. 63-64; II, pp. 181-82 Wachsmuth; III, pp. 730-34; IV, pp. 502-4, 640-44, 671-73, 696-99 Hense) rimando a M. Isnardi Parente, ferocie stoico. Oikeiosis e doveri sociali, in Aufstieg u. Niedergang d. rom. Welt, II, 36.3, Berlin-New York 1989, pp. 2201-26, in part. 2220 sgg.

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rifarsi ad esempi che si ponevano a monte di questi, adattando quel rigore e quella tensione alle nuove situazioni emergenti 10 • La Stoa ellenistica, dalla fine del IV alla metà del I secolo, fu movimento di grande ricchezza nella sua varietà di posizioni, e la critica moderna deve oggi sforzarsi di ricostruire la sua storia. Purtroppo nessuna opera, di questa cosl vasta congerie, ci è pervenuta, e le testimonianze spesso non ci sono di alcun aiuto per stabilire i passaggi e fondare le attribuzioni. Attraverso una moltitudine di voci discordanti - testimonianze dossografiche, attacchi polemici, citazioni mutile e parziali, echi rivissuti, attribuzioni circostanziate e più spesso riferimenti generici - noi dobbiamo oggi tendere a superare gli appiattimenti sistematizzanti compiuti dagli antichi e spesso recepiti dai moderni. Nessuna delle scuole antiche, ad eccezione di quella di Epicuro, fu programmaticamente unitaria; e la stessa scuola di Epicuro, che Numenio molto più tardi lodava come una città priva di lotta politica al suo interno, unitaria e concorde, non poté in realtà non conoscere certi sviluppi e certe differenziazioni nel corso della sua storia. Gli epicurei proclamavano sapienti i loro kathegem6nes; ma gli stoici, a partire dall'età crisippea, consideravano i loro iniziatori, Zenone in primis, come uomini che si erano semplicemente avvicinati alla sapienza e alla virtù 11 • Era quindi permesso di progredire al di là del punto di sapienza cui quelli erano arrivati. 10 Per l'opposizione di Seneca all'etica della media Stoa cfr. oggi P. Grimal, Sénèque et le stoii:isme romain, in Aufstieg u. Niedergang d. rom. Welt, II, 36.3, pp. 1962-92, in part. 1973 sgg. 11 Cosl Plutarco, De stoic. rep. 1048d-e; Diogeniano presso Eusebio, Praeparatio Evangelica, VI, 8, 13-14. Zenone appare definito 'grande ma non sapiente' nel riferimento di Filodemo, De Stoicis, col. XIV, 15-16, p. 101 Dorandi. Più tardi, Posidonio annovererà fra i 'progrediti' Socrate, Diogene, Antistene (Diogene Laerzio, VII, 91 = fr. 29 Edelstein-Kidd).

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I. GLI INIZI: ZENONE

1. La 'logica' di Zenone. Gli antichi, che amavano fare la storia della filosofia secondo 'successioni' (diadochaz), e davano grande importanza al rapporto fra maestro e discepolo, consideravano la Stoa una scuola socratica: Zenone di Cizio, il suo fondatore, aveva studiato la filosofia presso Palemone accademico e presso Cratete cinico, e ciò bastava ad assicurare la discendenza della scuola da Socrate in forma non solo diretta, ma duplice 1. Fra il I e il II secolo a.C., Antioco di Ascalona e gli accademici della sua cerchia rimproveravano a Zenone di aver tradotto in nuovi termini e presentato come sua propria una dottrina che in realtà non era altro che quella accademica di Palemone, alterata in qualche tratto. Se una simile interpre1 Da Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII (d'ora in poi D.L., VII), 2, si deduce chiaramente la priorità del discepolato presso Cratete rispetto a quello presso gli Accademici. Diogene Laerzio accenna anche a un discepolato presso Senocrate (io scolarca antecedente non solo a Polemone ma anche a Crantore e discepolo diretto di Platone) il che urta con qualche difficoltà cronologica, anche se la cronologia di Zenone è incerta (cfr. nota cronologica infra). Rimando per la questione a Stoici antichi, «Classici della Filosofia» UTET, Torino 1989, a cura di M. Isnardi Parente, p. 9, nota 1. Per Zenone in generale cfr. K. v. Fritz, Zenon von Kition, «Real-Encyclopadie d. Altertumswissenschaft», X A 1, 1972, coli. 85-121 (d'ora in poi RE).

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tazione, che Cicerone doveva raccogliere, è frutto della consueta deformazione storiografica di cui è viziata la storia della filosofia antica, è però indubbio che essa contiene un nucleo di verità da recuperare 2 • Gli sviluppi di una dottrina che proviene, in origine, da scuola socratica si individuano facilmente sia nella logica, intesa in largo senso, sia soprattutto nell'etica di Zenone. La sua fisica è invece dominata da tutta una varietà di motivi; essa deve non poco a Platone, ad Aristotele, ma anche a quella filosofia 'presocratica' cui Zenone e Cleante affermavano apertamente di rifarsi quando esaltavano la dottrina di Eraclito. La fisica di Zenone è dominata dal concetto di corporeità e fisicità; e Zenone aspirava a rimontare al di là di Platone e a recuperare la visione precedente della phf sis, scartando gli insostenibili incorporei platonici. Tuttavia questo suo modo di considerare la realtà passava inevitabilmente attraverso Platone: la contrapposizione fra corporeità e incorporeo era stata formulata in precisi termini filosofici da Platone, e Zenone la presupponeva necessariamente. Vi sono, nell'opera di Platone, confutazioni della tesi secondo cui tutta la realtà è esprimibile in termini di corporeità fisica che sembrano anticipare più tardive confutazioni della fisica stoica 3 • Ma era in realtà Platone a dare per primo alla questione la sua espressione in precisa forma filosofica. Contro Platone, Antistene aveva già difeso lesistenza di 2 Per le testimonianze di Cicerone cfr. Acad. pr. 42, 121; De finibus bonorum et malorum, IV, 6, 15; e altrove. Il v. Fritz (Polemon, RE XXI, 2, 1953, coli. 2524-29) è più propenso ad accettare la testimonianza ciceroniana di quanto non lo fosse M. Pohlenz, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, Gottingen 1947-48 (trad. it. La Stoa. Storia di un movimento spirituale, Firenze 1967, con Intr. di V.E. Alfieri). 3 Cfr. in proposito J. Brunschwig, La théorie stoii:ienne du genre suprème et l' ontologie platonicienne (in Matter and Metaphysics, Fourth Symposium Hellenisticum, Siena 1986, Napoli 1988), pp. 65 sgg. Il Brunschwig ha notato come il passo di Clemente Alessandrino, Stromata, II, 4, 15, divenuto poi un frammento stoico nella raccolta di H. v. Arnim (Stoicorum Veterum Fragmenta, Leipzig 1901-1904, II, 359 =d'ora in poi SVF), sia in realtà una citazione dal Sofista di Platone (246a-b).

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sole entità corporee come oggetto del conoscere, la realtà dei cavalli contro la 'cavallinità' 4 • Da Antistene e da Cratete, ma anche da Stilpone megarico, Zenone ereditò la polemica contro le idee. Riteneva probabilmente che il Socrate più vero fosse quello dei Memorabili senofontei, i quali, sembra, erano stati il primo veicolo del socratismo nella sua formazione filosofica 5 • Contro Platone, egli affermava che le idee non sono né ti (qualcosa), né poi6n (qualità); né realtà sostanziale, quindi, né attributo qualitativo reale, ma solo forme simili a queste, immagini, forme secondarie e riflesse; e con ciò invertiva il discorso di Platone, secondo il quale immagini prive di realtà erano piuttosto le conoscenze dei sensi e le forme del sensibile. Le espressioni ti e poi6n erano già state usate da Platone per indicare l'una l'essere in sé, l'altra la sua forma apparente; e la formulazione che Zenone diede al suo discorso polemico non è forse altro che una ritorsione antiplatonica 6 • Le idee, quindi, sono forme secondarie create dall'immaginazione sulla base delle sensazioni; le quali invece sono prodotto di una azione di 'impressione' (tjposis) esercitata su di noi e sui nostri organi sensori dagli oggetti esterni; sl che la parola esatta per le forme mentali generali è quella di anatyp6mata, riflessi secondari della tjposis. Esse sono prive di rispondenza diretta nella realtà oggettiva, perché la realtà, la physis, non conosce se non singole realtà individue. Nasceva, con ciò, quello che più tardi si sarebbe detto concettualismo: si sarebbe precisato con Crisippo, ma in Zenone ne esiste già la prima, evidente formulazione. Le idee-anatyp6mata non dipendevano per lui da alcuna forma 4 Antistene, fr. V A 149 Giannantoni (Socraticorum Reliquiae, Roma 1984, 19892). 5 Di una discepolanza presso Stilpone di Megara parla D.L., VII, 2; e cfr. ivi anche per l'aneddoto significativo secondo il quale Zenone, giunto da poco in Atene, avrebbe acquistato da un venditore i Memorabili senofontei, mettendosi poi a cercare un uomo simile a Socrate, che lo stesso venditore gli avrebbe indicato in Cratete cinico. 6 Le espressioni sono usate da Platone in Epist. VII, 343b-c; rimando a Stoici antichi, Intr., p. 12, nota 9.

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avente uno status ontologico suo proprio, né trascendente né immanente: erano pure formazioni mentali 7 • Tutta la successiva tradizione filosofica attribuisce concordemente a Zenone la teoria della phantasia kataleptiké (rappresentazione che comprende, che 'afferra') come 'criterio della verità', o, in altri termini, segno distintivo della realtà dell'oggetto e della verità del nostro conoscerlo. Non possiamo comprendere appieno questa posizione gnoseologica se non teniamo conto dell'impostazione fisica zenoniana; come sempre meglio vedremo, fisica e logica, nella filosofia ellenistica, si implicano strettissimamente, e la fisica è condizione prima della teoria del conoscere. Per Zenone, nella realtà non esistevano altro che corpi fisici; e da ciò discendeva che sola ed unica conoscenza vera, avente cioè un referente reale e corrispondente ad essa, può essere quella che riguarda la corporeità ed i sensibili. Solo ciò che è corporeo è capace di essere causa e di produrre effetti: perciò la sola conoscenza che possieda valore di conoscenza vera, in quanto causata da qualcosa di reale, è quella del mondo sensibile, prodotta in noi direttamente da entità corporee esterne. Tale conoscenza poteva anche per Zenone, come già per Aristotele, esser chiamata phantasia o rappresentazione, in quanto formazione di immagini; ma, per essere vera, essa doveva rivelarsi anche effettivamente capace di 'afferrare' (quel katalambdnein che Cicerone tradusse poi con 'comprehendere') l'oggetto esterno. Zenone si serviva a questo scopo di metafore dotate di molta immediatezza, come quella del pugno che prende e stringe 8 • Ma che cosa ci assicura che la nostra rappresentazione 7 La più significativa delle testimonianze è quella di Ario Didimo presso Stobeo, Eclogae, I, 12, 3, p. 136 Wachsmuth = SVF I, 65 (per Ario Didimo cfr. Epitome phys., in H. Diels, Doxographi Graeci, Berlin 1879, p. 472). La parola anatyp6mata può risalire a Zenone; gli Stoici appaiono essere stati fin dall'inizio creatori di un nuovo vocabolario tecnico filosofico, ricco di espressioni specifiche fino allora ignote, non tratte dal linguaggio comune ma coniate espressamente, ex novo. B Cicerone, Acad. pr. 47, 144 = SVF I, 66.

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sia veramente 'comprendente' o 'comprensiva', e quindi vera, corrispondente all'oggetto? Non sembra che Zenone in proposito sia stato del tutto chiaro, se, come riportano le testimonianze, si limitava a dire che la conoscenza vera è quella apò tou hypdrchontos, che deriva da ciò che esiste o che è reale. Glielo rimproverarono più tardi gli scettici, obiettandogli, e non a torto, che in tale asserzione si celava una petizione di principio: come possiamo stabilire che la nostra conoscenza deriva da un oggetto 'reale' se questo è esattamente ciò che dobbiamo provare per esser sicuri della verità del nostro conoscere? 9 Zenone dava semplicemente una definizione di ciò che si intende per conoscenza vera, non l'indicazione di qualcosa atto a provare la verità di tale conoscenza. È però per noi assai interessante vedere come Zenone usasse già il termine hypdrchon in un senso che la Stoa ulteriore e Crisippo avrebbero confermato e precisato. Hypdrchon è il reale in quanto esistente in tutta la sua pienezza, in quanto dotato di corporeità e fisicità. Noi non possiamo conoscere direttamente una realtà incorporea, perché questa non può essere capace di produrre alcuna tjposis o impressione su di noi. Zenone ammetteva, come meglio vedremo tra poco, nella sua fisica, realtà che non sono corporee, come il vuoto, il luogo, il tempo. Ma queste realtà non ci impressionano e non possono mai essere oggetto di conoscenza diretta: dal corpo risaliamo al luogo, dagli eventi al tempo, quasi per una sorta di traslazione 10 • Né tempo 9 Sesto Empirico, Adv. logicos, I, 248 = SVF I, 59; da confrontarsi con Cicerone, Acad. post. 11, 41-42 = SVF I, 60, e con D.L., VII, 46. IO D.L., VII, 53 (gli incorporei sono citati i lektà e il luogo si conoscono katà mettibasin tinti, «in virtù di una sorta di traslazione»). Diogene Laerzio cita espressamente la sua fonte per la teoria stoica del conoscere, il dossografo Diocle di Magnesia. Del brano dossografico è stata data un'edizione a parte da U. Egli, Das Diokles - Fragment bei Diogenes Laertios, Konstanz 1981, oggi in K.H. Hiilser, Die Fragmente zur Dialektik der Stoiker, Stuttgart-Bad Cannstatt 1987-88 (d'ora in poi FDS); per il prospetto della disposizione che questo brano ha trovato nei volumi dei FDS cfr. ivi, IV, p. 1856.

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né luogo sono hypdrchonta, realtà in tutta la pienezza del loro status ontologico: sono semi-realtà, concomitanti e condizioni del reale. Zenone era peraltro particolarmente interessato al problema dell'errore nell'ambito della conoscenza sensibile; è, questo, un problema nuovo che emerge pienamente nella gnoseologia del primo ellenismo, mentre in Platone e in Aristotele primario era stato l'interesse per l'errore logico, che si annida nel ragionamento: Platone aveva concepito l'errore come enantiologia, giudizio intrinsecamente contraddittorio (il giudizio «Teeteto vola» del Sofista); Aristotele come ragionamento mal connesso o capzioso, sofisma 11 • Come si può verificare, si chiedeva ora invece Zenone, la non-rispondenza della conoscenza all'oggetto 'reale' che la impressiona, il caso della conoscenza inesatta o distorta di ciò ch'è oggetto dell'organo sensorio? Esempio classico era quello del remo, che è diritto, ma nell'acqua ci appare spezzato. Epicuro, sulla base di una diversa fisica, cercava di darne una spiegazione in termini, per l'appunto, fisici: la perdita di atomi nel tragitto che porta gli efdola ('simulacra') dall'oggetto fino a noi può causare certe distorsioni e alterazioni. Ma gli stoici non erano altrettanto precisi nelle spiegazioni di natura meccanicistica. Zenone rimandava tutto alla distinzione fra sensazione e d6xa: la conoscenza subisce una distorsione quando la d6xa, opinione, prevale sulla sensazione stessa, e noi diamo troppo precipitosamente il nostro assenso a quanto l' organo conoscitivo ci presenta. La d6xa è un assenso debole e precipitoso, una credenza alle impressioni concessa troppo presto, quando ancora manchino le condizioni per un assenso motivato. La vera conoscenza è, invece, quello in cui un contatto diretto e sicuro con l'oggetto esterno ci forzi ad un assenso non più reversibile 12 • 11 Cfr. Platone, Sofista, 263a sgg. (la parola enantiologia è in Soph. 236e, il verbo enantiologein in 268b). Aristotele, com'è noto, ha dedicato tutto il IX libro dei Topici (i cosiddetti Elenchi sofistici, o Re/utazioni dei sofismi) ai sillogismi errati e capziosi. 12 Le testimonianze sono numerose; cfr. Sesto Empirico, Adv. logicos, I, 151 ( = SVF I, 67-69); D.L., VII, 47 ( = SVF I, 69); Cicerone,

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La kataleptikè phantasia non basta da sola a costituire un'arte, come esercizio metodico, o una scienza. La scienza si raggiunge quando si forma nella nostra mente un complesso organico (sfstema) di rappresentazioni comprensive ben concatenate fra di loro; in questo caso la loro evidenza e la loro connessione fanno sl che la nostra conoscenza sia ametdptotos hypò l6gou, cioè che nessun ragionamento capzioso possa rovesciarla. Nella loro concezione della scienza, gli stoici si basavano molto più sul valore immediato di verità della conoscenza sensibile che non sul valore apodittico del ragionamento. La definizione che dava Zenone dell'arte non si differenzia da quella della scienza se non per il suo riferimento all'utilità della vita; dal punto di vista concettuale, si tratta in ogni caso di un complesso esercizio metodico che mette capo ad un sfstema di conoscenze sicure. Egli non fu quindi in alcun modo influenzato dalle distinzioni che Aristotele aveva fatte fra attività di tipo poietik6s, produttivo, e scienza (epistéme) in stretto senso, basata sulla dimostrazione logica 13 • Al di sopra di arte e scienza si poneva poi la sapienza, conoscenza di cose umane e divine: questa era solo del saggio, cioè di chi conosce la legge razionale che governa il tutto 14 • Acad. post. 11, 41 ( = SVF I, 68); e le testimonianze dossografiche raccolte in Stobeo, Eclogae, Il, 7, pp. 73 e 111 W. ( = SVF I, 68). Per la teoria di Epicuro cfr. Epistola ad Erodoto, in D.L., X, 48 sgg. ( = fr. 1 Arr. 2; Epicuro: Opere, ed. G. Arrighetti, Torino 1960, 19732). 13 Per la scienza cfr. i passi già citati nella nota precedente; la definizione zenoniana della téchne è data da più fonti, Sesto, Adversus rhetores ( = Adversus mathematicos, Il), 10; Olimpiodoro nel commento al Gorgia, In Platonis Gorgiam, p. 63, 11 sgg. Norvin; gli Sco/ii al grammatico Dionisio il Trace, p. 108, 31-33 Hilgard ( = SVF I, 73) e altre ancora. Rimando in proposito a Techne. Momenti del pensiero greco da Platone ad Epicuro, Firenze 1966, pp. 287 sgg. Per le varianti apportate da Crisippo al concetto di téchne cfr. J. Mansfeld, Techne. A new Fragmento/ Chrysippus, «Greek Roman Byzantines Studies», XXIV, 1983, pp. 57-65. 14 Per questa definizione dr. Sesto Empirico, Advmus physicos, I, 13. , E incerto se sia zenoniana; ma, anche se il secondo luogo di Sesto in cui la ritroviamo (Adversus physicos, I, 125 = SVF Il, 1017) riferisce un insieme di argomentazioni sull'esistenza degli dèi che non possono essere anteriori a Crisippo, la formula può essere stata inserita in quel contesto come espressione ormai tradizionale.

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Resta aperto il problema se si possa parlare di una vera e propria logica di Zenone, nel senso che si usa oggi dare al termine, o se la sua speculazione non sia andata oltre i confini di ciò che chiameremmo piuttosto gnoseologia. Se qualche aspetto di speculazione logica, comunque, può essergli attribuito, esso sembra contenuto in limiti ancora ristretti. Certo, egli conosceva la teoria del giudizio, che era stata formulata, oltre che da Platone e più compiutamente da Aristotele, anche, a loro modo, dalle scuole socratiche; e conosceva la teoria sillogistica di Aristotele, forse attraverso I' esegesi che ne veniva fatta parallelamente nel Liceo. Tuttavia, ciò che conosciamo della sua teoria del giudizio ci riporta piuttosto alla tematica del rapporto fra realtà corporee e incorporee che non a tematiche interessanti dal punto di vista strettamente logico; e quanto al sillogismo ipotetico, non sappiamo se egli andasse veramente più in là della forma che questo aveva assunto nella speculazione di Teofrasto e di Eudemo, che si richiamava ancora al sillogismo aristotelico, semplicemente concependo questo come introdotto da una premessa maggiore di tipo condizionale 15. Sul giudizio e sulla predicazione Zenone rifletteva nella forma seguente: se causa ed effetto sono entrambi realtà corporee (perché solo ciò che è corpo può agire e subire) fra di essi tuttavia si interpone qualcosa che corporeo non è. Se noi diciamo «il coltello taglia», corporeo è il coltello, e corporeo è il taglio che esso produce; ma I' azione che viene espressa dal predicato «taglia» non costituisce un fatto 15 Per il sillogismo ipotetico nel Liceo cfr. I. Bochenski, La logique de Théophraste, Fribourg en Suisse 1947, e in Italia L. Repici, La logica di Teofrasto, Bologna 1977. Per i rapporti e i confronti fra le due logiche, la peripatetica e la stoica, cfr. M. Frede, Stoische Logik, Gottingen 1974; ma per ciò che riguarda Zenone in particolare M. Schofield, The Syllogism o/ Zeno, «Phronesis», XXVIII, 1983, pp. 31-58. Da vedersi anche J. M. Rist, Zeno and the Origins o/ Stoic Logie, in Les Stoii:iens et leur logique, Colloque de Chantilly 1976, Paris 1978, pp. 387-400, il quale accentua il tema dei rapporti fra Zenone e i logici megarici.

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di natura corporea allo stesso modo dei due che abbiamo indicati 16 • Con questo Zenone veniva a scoprire una forma di relazione fra fatti di ordine fisico che si esprime in forma logica, e crea fra loro un passaggio di natura diversa; è quello che si sarebbe poi chiamato il 'predicato verbale' e che Cleante poi indicò col nome di lekt6n («ciò che si può dire o esprimere» riguardo a un dato oggetto) 17 • Crisippo avrebbe perfezionato tale intuizione creando la teoria del semainon e semain6menon, 'significante' e 'significato'; ma questo appartiene alla logica stoica ulteriore, della quale peraltro Zenone già con queste sue riflessioni poneva le premesse. Non si potrebbe, senza errore di precipitazione, attribuire a Zenone il sillogismo ipotetico nella forma che poi troveremo elaborata da Crisippo; se ve ne è un iniziatore, questi può essere forse Cleante. I sillogismi che noi conosciamo come zenoniani (e di cui sembra che Zenone si servisse per provare verità di ordine generalissimo, come quella del carattere razionale e animato dell'universo) hanno ancora uno schema logico simile a quello tradizionale aristotelico; e un passo isolato, reperibile in Sesto Empirico, che ci riporta uno di questi sillogismi zenoniani in forma ipotetica, è assai sospetto, come probabile anticipazione a Zenone di schemi che nella Stoa sarebbero entrati in uso più tardi 18 • Il sillogismo-tipo attribuito a Zenone è: «ciò che è 16 Testimonianza di Ario Didimo (Epitome phys., Dox. Gr., p. 457) presso Stobeo, Eclogae, I, 13, le, p. 18 W. (; SVF I, 89). lvi non si parla di incorporeo ma di symbebek6s; ma l'incorporeità del predicato, con l'esempio del tagliare, risulta più chiaramente da Sesto Empirico, Adv. physicos, I, 211 (; SVF II, 341), che anch'esso, per il rapporto evidente col passo sopra citato, si può richiamare a Zenone. 17 Per lo sviluppo dato da Cleante al ragionamento di Zenone cfr. più oltre, cap. Il, nota 12. 18 Sesto Empirico, Adv. physicos, I, 104 (; SVF I, 111). La frase comincia con un ei ( ; 'se') che le dà forma condizionale; ma tale forma non appare nelle altre testimonianze che abbiamo circa espressioni sillogistiche zenoniane e lo ei è stato iriserito probabilmente in omaggio allo schema crisippeo, divenuto poi caratteristico della Stoa e del sillogismo stoico.

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razionale è superiore a ciò che non lo è; ma nulla è superiore all'universo; quindi l'universo è razionale». Un simile sillogismo si basa ancora sui giudizi di tipo attributivodefinitorio, mentre i sillogismi tipici di Crisippo sarebbero stati puramente condizionali, e non più attributivi. Né Zenone sembra aver sottoposto le forme sillogistiche di per sé ad un esame logico-argomentativo, ma essersene servito ad uso dialettico-controversistico, per confutare teorie e obiezioni degli avversari 19 • L'argomentazione fu per lui ancora strumento, e non oggetto di scienza. 2. Le premesse della fisica zenoniana. Nel bagaglio concettuale che Zenone aveva portato con sé dall'Accademia di Palemone, c'era il t6pos della tripartizione della filosofia in logica, fisica, etica. La tripartizione era nata nell'Accademia di Senocrate, e sembra (a legger attentamente le testimonianze) essere stata formulata primariamente in base all'esigenza di dare ordine alla filosofia di Platone e di dividere razionalmente i dialoghi. La Stoa avrebbe reso canonica tale tripartizione nella filosofia ellenistica, nella quale si erano fatte più marcate le esigenze di sistematizzazione. L'articolazione tripartita era sentita come, insieme, una e molteplice, in quanto le tre parti della filosofia venivano concepite come implicantisi strettissimamente a vicenda e formanti una unità inscindibile 20 • Cfr. ancora le conclusioni di Schofield, Syllogism o/ Zeno cit. L'attribuzione a Senocrate è di Sesto, Adv. /ogicos, I, 16 ( = Senocrate, fr. 1 Heinze, 82 Isnardi Parente, rispettivamente nelle due raccolte R. Heinze, Zenokrates. Darstellung der Lehre und Sammlung der Fragmente, Leipzig 1892, e Senocrate-Ermodoro, Frammenti, a cura di M. Isnardi Parente, «La scuola di Platone», III, Napoli 1982). Uno spunto analogo in Aristotele, Topica, I, 105b 19, ci dice che la tripartizione cominciava ad essere corrente nell'Accademia; ma non per questo la si può considerare aristotelica, o peripatetica, come intende A. Graeser, Zenon van Kition, Berlin-New York 1975, p. 8. In virtù dell'attribuzione che Senocrate ne faceva a Platone stesso Cicerone parlerà più tardi della 'ra· tio triplex' come platonica (Acad. post. 5, 19). 19

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Come Zenone partisse dall'esigenza di una definizione della corporeità, si è già visto. La prima e fondamentale definizione dovette essere quella dell'identificazione di ciò che è corpo con ciò che può essere causa ed effetto, connessa con la negazione di potere causale agli incorporei intellegibili sostenuti da Platone e, diversamente, da Aristotele21. Tuttavia, degli incorporei Zenone non poteva del tutto liberarsi, e dovette in qualche modo ammetterne la sussistenza. Platone aveva già affermato che ciò ch'è fisico e sensibile deve necessariamente anche essere 'in altro', cioè nel luogo; e Aristotele aveva precisato !'ancor vago concetto platonico di ch6ra, luogo/spazio, in quello di un luogo definito, proprio di ciascun corpo fisico 22 . Zenone recuperò questi concetti nella sua fisica dando ad essi un posto di realtà secondarie rispetto a ciò che esiste realmente come corpo, e tuttavia necessarie. Non solo accettò e distinse i due concetti di luogo (contenente di un corpo) e di ch6ra (spazio racchiuso entro i confini di un recipiente), ma diede legittimità anche a quel ken6n, spazio vuoto extra-cosmico, che Aristotele aveva negato e respinto. Luogo, spazio interno, vuoto/spazio infinito, avevano tutti, per Zenone, la loro funzione; anche quest'ultimo, il più astratto per la mente, il più lontano dal nostro immediato conoscere, avrebbe avuto funzione di recipiente in un determinato periodo della vita del cosmo: il periodo, ciclicamente ritornante, della dissoluzione del1' ordine dell'universo e dell'espansione indefinita della ma21 Sesto Empirico, negli Schizzi pirroniani (II, 38-39 = FDS, 745; riecheggiato dallo ps. Galeno, Historia philosophos, 23, Dox. Gr., pp. 612-13) dà questa definizione senza indicarne gli autori, contrapponendoli ad 'altri' che definivano il corpo come entità tridimensionale, dotato, in più, di resistenza agli urti, quindi entità geometrico-fisica. Anche se altrove (Adv. physicos, I, 366) Sesto sembra attribuire la prima definizione ai 'pitagorici', la convergenza di più fonti che distinguono corporeità e incorporeità presso gli stoici in termini di causazione e impossibilità di causazione fa pensare che la prima delle due distinzioni sia quella originaria nella Stoa. Cfr. più oltre, nota 32. 22 Platone, Tim. 49a sgg.; Aristotele, Phys. IV, 208a sgg. 19 Mauritius_in_libris

teria 23 • Quanto all'altra ineliminabile realtà incorporea, quella del tempo, Zenone si teneva abbastanza vicino alla tradizione accademico-aristotelica, che prendeva le mosse dal Timeo, definendo il tempo intervallo (didstema) o 'scansione' del movimento, di egni tipo di movimento comunque, e non precipuamente, come nel Timeo, di quello dei cieli: sl che si può dire che nella Stoa fin dall'inizio c'è un forte rapporto fra tempo ed eventi, anche se poi Crisippo avrebbe modificato la definizione accentuando l'aspetto cosmologico 24 • Tuttavia Zenone lasciava cadere la nozione di 'numero' nella sua definizione del tempo (quella nozione di numero ch'è presente sia in Aristotele sia in Senocrate) in omaggio al principio per cui la quantità ha sempre nell'universo stoico un posto secondario, né le realtà primarie vengono mai concepite secondo schema matematico. Forse possiamo già attribuire a Zenone, dal momento che egli pose gli incorporei fisici come necessari, la distinzione fra ciò che è causa e ciò che, pur non essendolo, è una sorta di 'conditio sine qua non: tutti i processi del mondo sensibile e tutte le azioni della vita umana non si possono compiere né pensare compiuti se non presupponendo un tempo entro il quale si compiono. Il tempo, per esem23 Per la distinzione fra luogo e 'spazio interno1 o 'intervallo' cfr. Aezio, Placita, I, 18, 5-20, Dox. Gr., pp. 316-17 ( = SVF I, 95); per l'infinito vuoto privo di corpi, che potrà riempirsi di materia, D.L., VII, 140 ( = SVF I, 95). 24 Ario Didimo in Stobeo, Eclogae, I, 8, 40e, p. 104 W. (=Epitome Phys., Dox. Gr., pp. 461-62 = SVF I, 93); Simplicio, In Aristotelis Categorias, p. 350, 15 sgg. Kalbfleisch ( = SVF I, 93). Per i confronti con Platone, lAccademia, Aristotele, cfr. per Platone il Timeo, 37d-38b; per Aristotele, Phys. IV, 219a-b; per Senocrate, che dà una definizione particolarmente eclettica e conciliatoria, Aezio, Plac. I, 22, 2 ( = fr. 40 H., 159 I.P.). D. Pesce, La concezione stoica del tempo, «Paideia», XLVII, 1992, pp. 49-64, in part. 54, propone che a didstema si dia il significato di 'dimensione': il tempo sarebbe l'unica dimensione del movimento, a differenza deJle tre dimensioni dei corpi, e dimensione come 'estensione misurabile'. E proposta suggestiva e che può esser presa in considerazione, date le difficoltà che oggettivamente impone il termine didstema.

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pio, non è causa dell'apprendere (quello dell'apprendere era un paragone assai volentieri usato dai filosofi antichi); ma ne è la condizione ineliminabile; è fra le realtà 'senza di cui non', quelle che servono di presupposto alle realtà concrete e veramente esistenti, che non potrebbero altrimenti prodursi 25 . Nell'universo di Zenone vediamo ripresentarsi il problema dei principi, in una forma coerente all'impostazione materialistica della visione del reale. Egli concepiva l'universo come dotato di un principio attivo, igneo, intelligente (pyr technik6n, 'fuoco capace di procedere con arte') e di un sostrato dpoion, privo di qualità, chiamato variamente ousia (sostanza) o hyle (materia) o hypokefmenon (sostrato in senso proprio); questa seconda realtà costituiva l'elemento passivo, disposto a ricevere forma e ordine, soggetto ad assumere tutte le forme. Si riproducevano cosl i due principi aristotelici di materia e forma, e la teoria aristotelica della pr6te hyle, in una ritraduzione materialistica; entrambi, il principio attivo come quello passivo, concepiti in termini di corporeità fisica 26 • Se questi erano i principi dell'universo, altra cosa Zenone intendeva per elementi di esso: archaf, 'principi', e stoichefa, 'elementi', furono dalla Stoa fin dall'inizio distinti con maggior rigore di quanto non avesse fatto lo stesso Aristotele; questi aveva identificato gli elementi con una sorta di archaf enypdrchousai, 'principi immanenti', pur distinguendone in pari tempo la nozione di principio e dichiarando che il. principio è altro da ciò cui dà luogo, mentre gli elementi costitutivi sono omogenei a ciò che ne risulta 27 • 2 5 Clemente Alessandrino, Stromata, VIII, 9, 25; SVF II, 346 (nel]' ambito peraltro di una descrizione della serie causale che, nella sua completezza, non si può considerare anteriore a Crisippo). 26 È attribuito esplicitamente a Zenone, anche se poi ripetuto genericamente per gli 'stoici': cfr. Aezio, Plac. I, 3, 25; Dox. Gr., p. 289, ; SVF I, 85 (e analogamente Achille, Introductio ad Aratum, 3, p. 31 Maass). 27 Cfr. rispettivamente Metaph. V, 1013a 16 sgg., e XII, 1070b 22 sgg.

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Zenone radicalizzò l'immanenza di principi ed elementi al reale, stabilendo però una più precisa distinzione fra di essi. I quattro elementi tradizionali erano per lui le forme di qualificazione operate primariamente dal principio attivo all'interno del sostrato amorfo: gli stoicheia presupponevano quindi le archat'2 8 • La Stoa, fin dall'inizio, rifiutò sempre il quinto elemento aristotelico, l'etere come elemento privilegiato e incorruttibile, di cui si intende composta la parte superiore dell'universo. Dell'universo, Zenone predicava l'unità assoluta, rifiutando ogni teologia astrale e professando una forma di religiosità cosmologica, in virtù della quale il divinò si intendeva totalmente immanente, esplicantesi in forme fisiche e cosmiche. Affermava di aver dedotto da Eraclito la teoria del fuoco; e Cleante, che scrisse un'opera di Interpretazioni di Eraclito, accreditò ancor più questa esegesi, fornendo un'immagine della teoria zenoniana in termini eraclitei. Ma ci si può chiedere quanto ci fosse di veramente eracliteo nella teoria zenoniana del fuoco e quanto, nonostante tutto, permanesse, all'interno di questa, della teoria dell'elemento privilegiato. Il fuoco interno al mondo, affermava Zenone, è del tutto diverso dal fuoco elemento comune: un calore vivificante e costruttivo; una mente intelligente e provvidenziale. Sembra che già egli stesso, come poi fece più decisamente Crisippo, gli desse il nome di etere, che lo distingueva radicalmente dagli altri elementi cosmici. Al di là di Aristotele, il suo carattere di intelligenza provvidenziale che regge l'universo lo riallacciava 28 Per lo sforzo (non sempre riuscito) compiuto dalla Stoa per la distinzione reciproca di 'elemento' e 'principio' cfr. M. Lapidge, Archai and Stoicheia. A Problem in Stoic Cosmology, «Phronesis», XVIII, 1973, pp. 240-78. La teoria delle 'prime qualità' non è attribuita esplicitamente a Zenone dalle fonti, e I' Arnim ha raggruppato le testimonianze nel vol. II degli SVF, che dovrebbe contenere la fisica di Crisippo (frr. 405-411, pp. 133-35). Ma cfr. più oltre (note 30-31) per l'importanza della qualità come genere dell'essere nella teoria di Zenone, il che rende plausibile pensare che la divisione della realtà fisica in qualità possa risalire alla sua concezione dell'universo.

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ali' anima del mondo delle Leggi platoniche, ben più che al l6gos eracliteo concepito come trapasso costante da un opposto all'altro. Dell'universo fisico, Zenone aveva una concezione strettamente continuistica; accettando la molteplicità quadripartita degli elementi, egli evitò ogni concezione di questi che potesse in qualche modo condurre ad una posizione di tipo corpuscolare. Gli elementi si identificavano per lui con le prime e fondamentali qualità della sostanza fisica; quelle prime forme della corporeità, da cui poi attingevano il loro essere i corpi elementari veri e propri 29 (tutto ciò doveva essere probabilmente esposto nella sua opera Sul cosmo). Nella distinzione fra una ousia, che è principio, e una qualità (di natura corporea) che le è pertinente sta probabilmente la radice della prima distinzione fra i 'generi del1' essere' che gli stoici formularono. A differenza di Aristotele, che aveva parlato dei 'generi dell'essere' con l'occhio volto soprattutto all'aspetto logico, e cioè ai vari modi, determinabili in un numero fisso, nei quali l'essere si può esprimere e predicare (le 'categorie'), gli stoici davano all'espressione 'generi dell'essere' significato strettamente fisico: lessere era concepito come materiale in virtù dell'identificazione fra ousia e materia, e i suoi generi erano le sue forme, anch'esse concepite come fisiche. Zenone aveva di fronte a sé non solo lesempio di Aristotele, ma anche quello di Senocrate, il quale aveva ritenuto esser sufficiente la distinzione fondamentale fra ciò che è 'per sé', kath'haut6, e quello che è relativo ad altro, per definire le forme fondamentali in cui si articola lo status ontologico del reale; Senocrate aveva anche polemizzato con Aristotele per la moltitudine eccessiva delle 'categorie' da lui poste 30 • 29 Cfr. A.A. Long, Heraclitus and Stoicism, «Philosophia», V-VI, 1975-76, pp. 133-56. 30 Per Senocrate cfr. Simplicio, In Arist. Categ., p. 63, 22 sgg. K. ( = fr. 12 Heinze, 95 I.P.). Sulla divisione dei generi dell'essere in Zenone e l'importanza della qualità è da vedersi M.E. Reesor, The Stoic Concept o/ Quality,