Introduzione a Dewey [PDF]

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Zitiervorschau

Prima edizione 1973

INTRODUZIONE A

DEWEY DI

ALBERTO GRANESE

EDITORI LATERZA

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari CL 20-0566-2

JOHN DEWEY

I.

IL GIOVANE DEWEY:

PSICOLOGIA ED ETICA

l. La situazione culturale in America negli anni della formazione deweyana.

Le linee maestre del pensiero filosofico deweyano si definiscono lungo un itinerario che lo stesso Dewey, in uno scritto autobiografico 1, ha caratteriz­ zato nei termini di un passaggio dall'assolutismo allo sperimentalismo e che si può anche considerare, nella sua prima fase, una sorta di conversione dallo spiri­ tualismo al naturalismo. Questo processo si compie nei vent'anni che separano il primo saggio deweyano

The Metaphysical Assumptions of Materialism (1882) dagli Studies in Logica! Theory (1903). Dopo di allora il pensiero del filosofo americano si svilupperà lungo un percorso sostanzialmente retti­ lineo, ricco di approfondimenti, ma senza svolte. Per comprendere la formazione del pensiero ·de­ weyano occorre rifarsi innanzitutto alle trasforma­ zioni culturali indotte dal diffondersi della filosofia idealistica nel Nuovo Continente fin dai primi de­ cenni dell'Ottocento. Come J. H. Muirhead ha chia-

-

-

1 Cfr. Contemporary American Philosophy, a cura di G. P. Adarns e W. P. Montague, New York 1930, II, pp. 13-27.

7

rito nel saggio How Hegel come to .America 2 già nei primi decenni del secolo XIX la 6loso6a ameri­ cana aveva cominciato a risentire l'influenza dell'idea­ lismo tedesco che trovava buon ac:coglimento nel clima spiritualistico caratterizzato dall'eredità puri· tana dei « padri pellegrini» fornendo gli strumenti per una più penetrante polemica contro il materia­ lismo, quella stessa alla quale era improntato il tra­ scendentalismo emersoniano. Emerson aveva caratte­ rizzato il suo trascendentalismo in termini sostanzial­ mente idealistici, come « una protesta contro il ma­ terialismo », mettendo in evidenza come esso i � i­ stesse più che « sulla esperienza », sui « dati dei sensi», sulla ,

XVI,

1882,

la sola base pensabile per il materialismo è una conoscenza che trascende i fenomeni �>, aggiungendo che « per conoscere i fenomeni materiali sono neces­ sari i fenomeni mentali » 6 • Le cose non esistono per la mente se non come idee, o fenomeni, della mente. La conoscenza della sostanza materiale implica quindi l'esistenza della sostanza spirituale. La mente non può essere concepita come una meta successione di feno­ meni. « Perché si abbia conoscenza reale di un essere reale, scrive Dewey, deve esservi qualcosa che per­ siste attraverso gli stati che si susseguono e che per­ cepisce la loro relazione con l'essere e con se stessa �> 7• Se la mente è. essa stessa un fenomeno o un gruppo di fenomeni è assurdo che possa andare al di là dei fenomeni e attingere la conoscenza della realtà in cui dovrebbe consistere la sua propria spiegazione e quella degli altri fenomeni. Il carattere auto-distruttivo del materialismo deriva dal fatto che per provare la na­ tura fenomenica della mente si deve assumere che essa sia una sostanza, giacché la pretesa conoscenza antologica implica necessariamente un soggetto che conosce. Se il materialismo vuole presentarsi su una base pensabile deve muovere da presupposti i cui svi­ luppi contraddicono, distruggendola, alla teoria stessa 8• «

Con The Panteism of Spinoza (1882) Dewey as­ segna alla filosofia il compito di determinare « il si­ gnificato del Pensiero, della Natura e di Dio » e di stabilire quali relazioni intercorrono tra questi tre concetti, e caratterizza il panteismo come una teoria nata dall'esigenza di riconciliare la natura e l'io nel­ l'assoluto facendo del pensiero e dell'essere una cosa sola; e riconducendo ad un unico ordine il pensiero e l'esistenza. Dewey si propone di indagare se la fi­ losofia spinoziana abbia raggiunto posizioni accetta­ bili nel tentativo di unificare l'ordine mentale e quello 6 Ibid. 7 Ivi, p. 2 1 1 .

8 lvi, p. 213.

12

naturale riportandoli ad uh comune principio infinito. La conclusione di questa analisi è che lo spinozismo fallisce irrimediabilmente il suo scopo. Esso vuoi pre­ sentarsi come un panteismo, ma non riesce ad essere altro che un pancosmismo, ossia una forma di mate­ rialismo che si sforza, senza successo, di tener conto dell'esigenza di una spiegazione non-materiale del mondo sovrapponendo allo schema meccanicistico uno schema spiritualistico caratterizzato dagli attri­ buti formali di una volontà e di una intelligenza ca­ paci di condizionare la realtà. In effetti la tesi spino­ ziana di una realtà unica, che dovrebbe sommare le caratteristiche della materia e dello spirito ed avente un fondamento antologico da cui derivano i modi more geometrico, ossia meccanicisticamente, è esposta secondo Dewey alle stesse obiezioni a cui va incontro il materialismo « grezzo » che fa della causazione fi­ sica il criterio esplicativo di ogni realtà. La conce­ zione panteistica non può dar conto del mondo finito, per il fatto stesso che tende a divinizzare gli oggetti e quindi a negarne il carattere limitato e mondano. Se, per converso, anziché divinizzare gli oggetti del mondo finito, si risolve in essi il principio divino, i caratteri di assolutezza, perfezione e infinità propri dell'esi­ senza divina perdono ogni rilevanza e non trovano collocazione logica nel sistema. L'esame e la critica del panteismo spinoziano, che riecheggia abbastanza evidentemente quella hegeliana, mette in luce l'interesse del giovane Dewey per il problema del rapporto tra determinismo causale e li­ bertà dello spirito, ossia per un tema che, nelle forme più diverse, aveva dominato il pensiero speculativo dell'Ottocento. 3. Relazioni e relativismo.

La critica all'antologia materialistica si sviluppa e si traduce nella confutazione dell'epistemologia sen13

ststtca, che viene respinta da Dewey in Knowledge and the Relativity of Feeling ( 1883) con l'argomento idealistico che l'oggetto della conoscenza deve essere relativo ad una coscienza pensante 9• La relatività delle sensazioni presuppone l'esistenza di un assoluto che può coincidere o col mondo fisico o con una qualche altra realtà esterna alla coscienza. Il problema è di stabilire se la teoria sensistica riesca a dar conto della relatività delle sensazioni e al tempo stesso del­ l'assoluto al quale le sensazioni si riferiscono. La ri­ sposta è negativa: « la sensazione, in quanto sensa­ zione, non può fornire la prova della propria relati­ vità » 10; essa è relativa al soggetto e non può supe­ rarlo per attingere un fondamento assoluto. Il sensi­ smo, in sintesi, è incompatibile col relativismo. La relatività della sensazione può essere coerentemente affermata soltanto in rapporto ad un oggetto che co­ stituisca il fondamento di tutte le relazioni e questo fondamento non può che essere l'autocoscienza. della .filo­ sofia consiste nel riconoscimento sia della motiva­ zione fondamentale al riflettere e al teorizzare che è il tentativo di risolvere quelle situazioni proble­ matiche di cui l'ordine naturale è intessuto, sia dalle deviazioni che i condizionamenti sociali e i malintesi logici hanno determinato rispetto a quella motiva­ zione che va allora recuperata e tenuta pr es en te , senza che si debba con questo « degradare » la < riflessione. Allo stesso modo una scienza non si degrada ma si affina quando precisa meglio il proprio oggetto e di­ viene criticamente consapevole della materia grezza di cui si alimenta e in cui si sforza di J>orre . ordine. La filosofia ha la sua radice « non già in unlmpulso speciale o in una sezione staccata della espe rie nz a ma nell'intera categoria umana » 37 e . la situazione umana « cade interamente al di dentro della natu r a » . Essa riflette i tratti della natura; ,

mostra in modo indiscutibile che nella stessa natura le qualità e le relazioni, le individualità e le uniformità, la finalità e l'efficacia, la contingenza e la necessità, .. sono inestricabilmente legate insieme. Gli aspri conflitti e le felici còincidenze di questa interpretazione fanno del­ l'esperienza ciò che essa è consapevolmente; la loro ap­ parizione evidente crea il dubbio, costringe all 'i n dagin e , esige la scelta, ed impone la fedeltà alla scelta che è stata fatta. Se in natura vi fosse armonia completa la vita sarebbe un'efflorescenza spontanea. Se la. disarmonia non ci fosse nell'uomo e nella natura, se d foss e solo tra l'uno e l'altra, l'uomo sarebbe il pad rone senza s crupoli della natura o un suo suddito querulo ed oppresso. Solo la peculiare mescolanza di riuscita e di fallimento del­ l'uomo nella natura costituisce l 'e sperienza. Le rigide

antitesi del pensiero filosofico - scopo 37 lvi, p. 155.

59

e meccatzismo,

soggetto e oggetto, necessità e libertà, spirito e corpo, individualità e generalità - sono tutti tentativi di for­ mulare il fatto che la natura ispira e parzialmente con­ ferma i significati e i beni, e nelle congiunture critiche ritira il suo aiuto e schernisce le sue stesse creature 38 •

Il rischio implica anche la scelta e la responsa­ bilità e in un certo senso la ragione è l'organo della scelta responsabile. Solo in via degenerativa essa di­ viene una realtà a sé stante o il salvacondotto per l'ingresso in un mondo di verità e di valori assoluti, come accade all'uomo di cercarne quando stanco di sentirsi un suddito impotente cerca di compensarsi della propria frustrazione illudendosi di essere un sovrano onnipotente. Spesso gli uomini coltivano questa illusione deresponsabilizzante mentre la ra­ gione cerca · di liberarsene. Quando l'uomo scopre che egli non è un piccolo dio nelle sue forze attive e nelle sue realizzazioni, conserva la precedente arroganza afferrandosi stretto alla nozione che, ciò nondimeno, in qualche regno, per esempio nella conoscenza o nella contemplazione estetica, egli è al di fuori e distaccato dalla corrente degli eventi che interagi­ scono e mutano; ed essendo in quel regno solo ed ir­ responsabile salvo che di fronte a se stesso, egli è un dio. Quando percepisce chiaramente e adeguatamente che è dentro la natura, che è una parte delle sue azioni reci­ proche, vede che la linea da tracciarsi non è quella tra azione e pensiero o tra azione e valutazione, ma tra l'azione cieca, servile e insignificante e l'azione libera, significante diretta e responsabile. La conoscenza, come lo sviluppo di una pianta e il movimento della terra, è un modo di azione reciproca; ma è un modo che rende gli altri modi luminosi, importanti, validi, capaci di dire­ zione, perché in virtù di esso le cause si trasformano in mezzi e gli effetti in conseguenze 39,

Ivi, pp. 155·6, 39 lvi, pp. 158-9.

38

corsivo nostro.

60

3 . La rzcerca della certezza.

un Queste tesi sono ulteriormente libro del 1929, The Quest for CerttJ.•ir. della certezza), il cui significativo sottot1 dio della relazione fra conoscenza e azione che il fondamentale impegno dell'uomo è fuggire il pericolo e l'incertezza e che la sviluppa e si giustifica in funzione di questa sità, la filosofia, che è un uso altamente affinato e in un certo senso formalizzato della ragione, si pre­ figge · il compito di ricercare ciò che è immutabile; poiché tutte le questioni riguardanti l'azione pratica implicano un elemento di incertezza « noi possiamo ascendere dalla credenza alla conoscenza solo iso­ lando quest'ultima dal fare e dall'operare pratica­ mente » 40• Ma la stessa filosofia può riunire ciò che ha separato, giacché questa separazione non è intrin­ seca a un pensiero riflessivo maturo, ma deriva piut­ tosto dalla prima amplificazione teorica di uno stato emotivo che corrisponde ad una situazione di poten­ ziale negatività di cui occorre prendere coscienza. La filosofia è in un certo senso il male, ma si tratta di un male in cui è oscuramente implicita l'indicazione di un atteggiamento più giusto ed equilibrato; la filosofia è in grado di produrre un antidoto e far maturare un livello di consapevolezza che non può invece esistere nelle situazioni di impatto imme­ diato e di interazione grezza e irriflessiva con la realtà. Se il termine non fosse estraneo a Dewey si potrebbe parlare di una sorta di correlazione dialettica tra il momento della riflessione che su­ pera l'immediatezza e quello che recupera il rap­ porto con la matrice naturale e supera l'estraneità del pensiero alla realtà. Il potere delle idee consiste nel loro far la spola tra le situazioni concrete da cui emergono e i livelli « superiori » dove si formulano 40

The Quest for Certainty, 61

New York 1929, p. 26.

ipotesi ricostruttive. « L'idealismo è qualcosa di spe­ rimentale e non di astrattamente razionale; è con­ nesso a bisogni esperiti ( experienced) e concerne la proiezione di operazioni che rigenerano ( remake) il contenuto effettivo degli oggetti esperiti » 41• La fun­ zione di mediazione delle idee era già stata preci­ sata da Dewey anni prima in un passo di Intelli­ genza creativa:

Se mai dobbiamo avere una filosofia che interverrà fra l'adesione ad una regola confusamente empirica e l'ossequio a una subordinazione sistematizzata dell'intel­ ligenza a finalità preesistenti, essa si potrà trovare sol­ tanto in una filosofia che riponga la misura ultima del­ l'intelligenza nella considerazione di un avvenire deside­ rabile e nella ricerca dei mezzi atti a realizzarlo progres­ sivamente. Quando il professato idealismo si dimostra un pragmatismo angusto - angusto in quanto dà per concessa la definitezza di scopi determinati dalle condi­ zioni storiche è giunto il momento per un pragma­ tismo che sia empiricamente idealistico, proclamante l'es­ sem.iale connessione dell'intelligenza con un futuro non realizzato, con possibilità che implicano una trasfigura­ zione 42• -

La filosofia riconquista se stessa « quando cessa di essere un mezzo di trattare i problemi dei filosofi e diventa un metodo, coltivato da filosofi, per trat­ tare i problemi degli uomini �> 43• Sono questi i ter­ mini in cui Dewey �nuncia la teoria del superamento « dialettico » dell'alienazione filosofica, fissando i ca­ ratteri di un movimento che va dall'adesione imme­ diata alle situazioni all'evasione intellettualistica e che ha la propria ragione e la propria giustificazione nel superamento di ciò che è immediato e nel con­ seguimento di una forma di concretezza mediata, di una concretezza, vale a dire, che non rifiuta l'astra4 1 lvi, p. 167. 42 Intelligenza 43 lvi, p. 105.

creativa, trad. 62

it., Firenze 1957, p. 64.

zione, ma l'accetta come fattore di mediazione, senza mai dimenticare la sua finalità principale. Non c'è bisogno di preannunciare un programma par­ ticolare per notare che il bisogno centrale di qualsiasi programma è attualmente una concezione adeguata della natura dell'intelligenza e del suo posto nell'azione [ . . ] . Prendere la mente nel suo nesso coll'ingresso del nuovo nel corso del mondo significa essere sulla strada per scor­ gere che l'intelligenza è essa stessa la più promettente di tutte le novità, la rivelazione del significato di quella trasformazione del passato nel futuro che è · la realtà di ogni presente. Rivelare l'intelligenza come organo della guida di questa trasformazione, il solo direttore della sua qualità, significa rendere la chiarificazione del presente di infinito significato per l'azione. Elaborare questi con­ vincimenti circa la connessione dell'intelligenza con ciò che gli uomini subiscono a causa delle loro azioni e col­ l'emergenza e la direzione del creativo, del nuovo, nel mondo è di per sé un programma che terrà occupati i filosofi fino a che qualcosa di più valido non gli si im­ ponga 44• .

IV.

ARTE E RELIGIONE

l . L'estetica deweyana.

Il presupposto della continuità

è riaffermato da

Dewey anche a proposito dell'esperienza estetica, della quale si occupò nel 1934 nell'opera intitolata appunto Art as Experience. Anche l'arte, come la scienza, soffre delle separazioni che le vengono im­ poste · dall'intellettualismo astratto: « Quando gli og­ getti artistici sono separati sia dalle condizioni ori­ ginarie che dall'operazione nell'esperienza, si co­ struisce intorno ad essi un muro che rende quasi 44

lvi, p. 106.

63

opaco il loro significato generale, di cui si occupa la teoria fuori dall'associazione con i fini e i materiali di ogni altra forma di sforzo, impegno e risultato umano » 1• Il compito che allora si pone è quello di stabilire la continuità tra le forme di esperienza affi­ nata e intensificata che sono le opere d'arte e gli eventi quotidiani, le azioni e le sofferenze che per universale riconoscimento costituiscono l'esperienza. Le cime dei monti non galleggiano senza che nulla le sostenga; né si può dire che esse poggino semplicemente sulla terra. Essi sono la terra in una delle sue operazioni manifeste. È compito di coloro che si occupano della teoria della terra, geografi e geologi, di rendere evidente questo fatto nelle sue varie implicazioni [ ] . Il teorico che si vuole occu­ pare dell'arte da un punto di vista filosofico deve svol­ gere un compito simile 2• ...

Dewey fa osservare che « normalmente vi è una reazione ostile ad una concezione dell'arte che la mette in rapporto con le attività di una creatura vi­ vente nel suo ambiente » 3, nonostante il senso del­ l'esperienza estetica stia in gran parte proprio in que­ sto rapporto. L'oggetto estetico non è « un intruso » nell'esperienza o come « lusso ozioso » o come « idea­ lità trascendente ». L'estetica è « uno sviluppo chiarifi­ cato e intensificato dei tratti che appartengono ad ogni esperienza normalmente completa » 4• Affermare la continuità tra arte e vita non sarebbe tuttavia suf­ ficiente se non si mettessero in luce gli aspetti della vita e dell'esperienza che l'arte fa specificamente emergere e chiarisce. C'è nell'arte, per Dewey, un significato ed un contenuto di « celebrazione » e di « consumazione » emotiva dell'esperienza, che rivela la profondità del legame tra la struttura materiale dell'esistenza e le sue proiezioni immaginative. Par1 Art

as

Experience, New

2 lvi, pp. 3-4. 3 lvi, p. 27. 4 lvi, p. 46.

York 1934, p . 3 .

64

lando di arte come esperienza Dewey mette in ri­ lievo il fatto che l'emozione estetica, con i suoi refe­ renti materiali ed oggettuali è un aspetto rivelatore dell'esperienza. La « bellezza » di un quadro o di una poesia costituiscono una sorta di sintesi, una sublimazione ricostruttiva. Se Croce aveva parlato dell'arte come di una categoria dello spirito, Dewey ne parla come di una categoria o aspetto essenziale dell'esperienza in cui si colgono molti significati fon­ damentali e generali che un'analisi puramente intel­ lettuale non sarebbe atta a porre in luce. I giudizi estetici si presentano quindi in Dewey come una sottoclasse dei giudizi di valore, arricchita di riferi­ menti esistenziali estremamente pregnanti. Si tratta quindi di una « categoria » a sé stante, irriducibile ma non isolata in cui si codificano e si intensificano i dati di una realtà nella quale nulla è indifferente. L'intensità dell'emozione estetica riconferma la tota­ lità e la multilateralii:à dell'adèsione umana alla · si­ tuazione e all'ambiente; in essa si opera una fusione che può anche apparirè estraniazione; allora la ca� pacità di fruizionç estetica diventa estetismo : . il bello si nega come prodotto storico-sociale ( e naturale) per contrapporsi alla realtà materiale ed alla natura, come categoria separata e « superiore ». Ma il retto intendimento estetico implica una negazione della ne­ gazione che potremmo ancora una volta definire « dia­ lettica ». L'alienazione estetica, che era il frutto del porsi autonomo dell'intensificazione dell'esperienza ri­ spetto ai suoi dati, è superata nella presa di coscienza della sua funzione specifica. È significativo che Dewey sia arrivato a trattare questa difficile materia quando già aveva argomentato la sua presa di posizione con­ tro il dualismo. Il carattere strumentale dell'intelli­ genza era in fondo facilmente documentabile, mentre l'« emozione estetica » lanciava una sfida più impe­ gnativa. Nei fenomeni del gusto poteva ancora arroc­ carsi un'assiomatica irriducibile, protetta da quella sorta di indifferenza pratica che le arti « belle » 65

possono tentar di accampare rispetto al piano della razionalità o anche dei valori etici. Il valore estetico poteva costituire l'ultima zona di resistenza alla smi­ tizzazione naturalistica, ma Dewey affronta l'ostacolo forte dei suoi argomenti più « collaudati » . L'arte - egli scrive - è una qualità che permea un'esperienza; non è, se non in senso figurato, l'esperienza stessa. L'esperienza estetica è sempre più che estetica. In essa · un complesso di materie e di significati, non este­ tici in sé diventano estetici cosl come entrano in un movimento ritmico ordinato verso la consumazione [ . .. ] . L'esperienza estetica è una manifestazione, una registra­ zione ed una celebrazione della vita di una civiltà ed è anche il giudizio ultimo sulla qualità di una civiltà 5•

L'intensi6cazione emotiva dell'esperienza, o me­ glio dei suoi tratti significativi ha un valore equi­ valente, forse con un carattere di maggior profon­ dità, all'intensi6cazione intellettuale che si realizza nella sfera teorica. Nell'arte come esperienza, l'attualità e la possibilità o l'idealità, il vecchio e il nuovo, l'obbiettivo materiale e la risposta personale, l'individuale e l'universale, il su­ perficiale e ciò che è in profondità, il senso e il signifi­ cato sono integrati in una esperienza in cui sono tutti trasfigurati dal significato che gli appartiene quando sono isolati nella riflessione. ) 25 • Dewey af­ ferma infine che « la libertà di indagine, la tolleranza delle opinioni diverse, la libertà di comunicazione, la diffusione di ciò che viene scoperto fra tutti gli individui, in quanto ultimi consumatori intellettuali, sono caratteristiche del metodo democratico come di quello scientifico. Quando la democrazia riconosce apertamente l'esistenza di problemi e la necessità di esaminarli come problemi come suo motivo di orgo­ glio, relega i gruppi politici che si vantano di rifiu­ tare di ammettere opinioni incompatibili all'oscurità che è già il destino di tali gruppi nella scienza » 26• Per converso Dewey respinge, anche se non total­ mente, le teorie secondo le quali nell'indagine scien­ tifica dominata dal laissez-faire « i gusti e le prefe­ renze dei ricercatori individuali hanno avuto la fa­ coltà di regolarne il corso fino a tal punto che l'at­ tuale confusione e il caos morale del mondo è cau24 lvi, 25 lvi, 26

lvi,

p. 1 10, corsivo pp. 1 16-7. p. 1 17.

nostro.

87

sato dalla tacita connivenza della scienza con l'atti­ vità individualistica senza controllo nell'industria » TI. Egli denuncia gli inconvenienti di una scienza diretta da1la politica e da essa regolamentata e cita l'esem­ pio aberrante della Germania nazista la quale decreta « que1la che è la verità scientifica relativamente alla razza », mentre Mosca « stabilisce che il Mendelismo è scientificamente falso e detta il corso che deve es­ sere seguito dalla genetica » 28• Ammette tuttavia che « astrazion fatta da casi speciali, una generale atmo­ sfera di controllo delle opinioni non può esistere senza reagire in modo essenziale su ogni forma di attività intellettuale, sull'arte come scienza » 29• L'in­ teresse « disinteressato » per la scienza « ha svilup­ pato una morale che ha delle caratteristiche partico­ lari » 30 ed è un dato della realtà quanto certe forme di uso strumentale della scienza. Dewey afferma che « per certe persone e in certa misura la scienza ha creato una nuova morale [ ] L'esistenza dello spirito e dell'atteggiamento scienti­ fico, anche su scala ridotta, dimostra che la scienza è in grado di sviluppare un tipo particolare di dispo­ sizioni e di intenzioni; che è qualcosa di più che fornire mezzi più efficaci per realizzare desideri che esistono indipendentemente dalla scienza » 31• . . .

.

Diffondere le qualità che formano l'atteggiamento scientifico è tutt'altra cosa della diffusione dei risultati della fisica, della chimica, della biologia e dell'astronomia, per quanto importanti possano essere. La differenza co­ stituisce il motivo che dà al problema un carattere morale. La questione se la scienza sia in grado di influenzare la formazione dei fini per i quali gli uomini lottano o si limiti a aumentare la possibilità di realizzare quelli già costituitisi indipendentemente da essa, equivale alla que­ stione se la scienza abbia un'efficacia morale intrinseca. Storicamente la posizione secondo cui la scienza è priva TI

30

lvi, lvi,

p. p.

153. 167.

28

31

lvi, lvi,

p. p.

88

154. 169.

29 Ibid.

di una qualità morale è stata sostenuta dai teologi e dai loro alleati metafisici. Infatti questa posizione inequivo­ cabilmente afferma la necessità di ricorrere a qualche fonte di guida morale. Che una posizione simile sia ora presa in nome della scienza è un segno della confusione che pervade tutti gli aspetti della cultqra, ovvero un cattivo presagio per la democrazia. Se il controllo della condotta si risolve in un conflitto fra desideri senza la possibilità che i desideri e i fini siano determinati in base a opinioni scientificamente sicure allora l'alternativa pratica è lotta e conflitto fra le forze irrazionali per con­ trollare i desideri 32 •

Questa posizione si riallaccia apertamente alle tesi che Dewey aveva sostenuto già decenni prima nel saggio Le condizioni logiche per la trattazione scientifica della moralità, nel quale è affermata la possibilità di controllo logico dei giudizi morali e si afferma « che i giudizi scientifici hanno tutti i carat­ teri logici dei giudizi etici » 33 •



VI.

' L ULTIMO DEWEY.

LOGICA E TRANSAZIONE

l . Logica e valori.

Nello scorcio degli anni '30 Dewey riprende di­ rettamente i grandi terni della logica e della valuta­ zione in quelle che sono probabilmente le sue opere più significative dell'ultimo periodo: Logic, the Theory of Inquiry ( 1 938 ) e The Theory of Valua­ tion ( 1939 ) Per quanto riguarda la logica i presup­ posti di How we Think e degli Studies in Experi­ mental Logic sono sostanzialmente mantenuti, anche se il fattore psicologico sembra perdere parte del .

32 33

lvi, p. 177. Problems of Men, trad. it., Problemi di tutti, Milano

1950, p. 269.

89

rilievo che aveva assunto in quelle precedenti ricer­ che. Dopo essersi dichiarato in dubbio « se esista qualcosa che possa essere chiamato pensiero nel senso di una realtà strettamente psicologica » Dewey pro­ pone l'identificazione di pensiero e indagine: « O la parola pensiero, egli scrive, non ha niente a che fare con la logica oppure essa è semplicemente sino­ nimo di ' indagine ' e il suo significato è fissato da ciò che assodiamo circa quest'ultima » 1• La teoria logica è quindi « la formulazione sistematica di una indagine controllata », mentre le forme logiche, « si sviluppano nell'ambiente ed a causa del controllo che porta a conclusioni di giustificata asseribilità » 2 • Considerata in termini di « teoria dell'indagine » la logica assume un valore oggettivo, in un senso ben diverso, tuttavia, da quello affermato nell'am­ bito della tradizione razionalistica e delle dottrine metafisiche. I recenti sviluppi della logica e l'impor­ tanza dei risultati conseguiti in questo campo ren­ dono Dewey cauto nella riduzione psicologistica della materia logica e lo fanno più attento ai suoi aspetti formali, sulla linea di un compromesso che cerca di conciliare il carattere strumentale della logica con quell'esigenza di rigore e di « perfezione » che i lo­ gici matematici avevano fatto valere cosl vigorosa­ mente. Vi si colgono anche significative attenuazioni per quanto concerne il carattere empirico della logica e la preminenza delle situazioni esistenziali sulle strutture formali. Dewey accenna al « sicuro pro­ gresso » della materia logica e riconosce che le « re­ lazioni espresse con parole quali è, non-è, se-allora, soltanto (nessuno fuorché) , e, o, alcuni-tutti, appar­ tengono all'ambito della materia d'indagine della lo­ gica in un modo cosl inconfondibile da farne un campo specifico » 3• Egli continua a considerare la l

Logic, the Theory of Inquiry, trad. it., Logica, teoria dell'indagine, Torino 1949, p. 56. 2 lvi, p. 57. 3 lvi, p. 3 1 .

90

logica come una disciplina evolutiva e operativa e sostiene, contro le impostazioni più affermate in quegli anni, che la logica è una teoria naturalistica e una disciplina sociale, ma, accennando alla « fon­ damentale differenza fra logica e metodologia », ri­ conosce che l'indagine « per essere indagine nel senso completo della parola, deve soddisfare certi requi­ siti suscettibili . di essere enunciati formalmente », requisiti che sono « precedenti e indipendenti ri­ spetto all'indagine », osservando che tale concezione « è il fondamento ultimo dell'idea che essi siano completamente e necessariamente a priori e conosci­ bili per mezzo di una facoltà chiamata ragion pura » 4• Per capire e impostare correttamente i problemi della logica si deve tenerne presente, secondo Dewey, la matrice biologica e la matrice culturale. Si può tut­ tavia parlare di un'autonomia della materia logica in quanto la logica « non è costretta, come credeva d'essere obbligata a fare la corrente logica nota nella storia della filosofia come cc empiristica ", a ridurre le forme logiche a mere trascrizioni dei materiali empirici che ne precedono la formazione. Esatta­ mente come le forme artistiche e giuridiche sono su­ scettibili di trattazione e sviluppo indipendente, al­ trettanto accade alle forme logiche, anche se l ' cc in­ dipendenza " in questione è provvisoria, non defini­ tiva e completa » 5 • Le forme logiche « hanno origine dal materiale d'esperienza e successivamente intro­ ducono nuovi modi d'operare coi materiali prece­ denti, modi che modificano quel materiale medesimo dal quale esse si sviluppano » 6• In tal modo la lo­ gica viene liberata « dall'inosservabile, dal trascen­ dentale e dall' ' intuitivo » 7 e si struttura, sia pure in termini di rigorosa astrazione, come tecnica e strumento di indagine, intendendosi per indagine, '

4

lvi, p. 49.

lvi, p. 155. 6 l vi, p. 156.

s

7 Ibid.

91

secondo la definizione dello stesso Dewey, « la tra­ sformazione controllata e diretta di una situazione indeterminata in altra che sia determinata, nelle di. stinzioni e relazioni che la costituiscono, in modo da· convertire gli elementi della situazione originale in una totalità unificata » 8• È un luogo comune, afferma Dewey, « che la logica abbia a che fare piuttosto con la forma che con la materia » 9• Insistendo an­ cora sulle « deficienze del formalismo » Dewey af­ ferma che « i risultati del rigido formalismo logico� cioè di ogni teoria che postuli delle forme [ ] giun­ gono a un punto critico nella questione del rapporto della logica col metodo delle scienze naturali » 10• Il presupporre che delle forme pure realizzino la ri­ chiesta applicazione alla realtà « è un motivo in più per confondere il valore funzionale direttivo di una relazione logica formale prescrivente condizioni da soddisfare con una intrinseca proprietà strutturale » 1 1 • Il tipo di applicazione esistenziale che si ha nel tra­ sformare la funzione proposizionale ed ha osservato che c'è in Dewey lo sforzo di ritrovare « la vera moralità nell'impegno a favore dell'attuazione di possibilità inerenti nell'esperienza come nei suoi ancora non realizzati sviluppi >> 58• Sullo sfondo della « categoria della socialità >> e in rapporto all'esigenza di superare lo spirito dogmatico per favorire lo sviluppo di quello sperimentale, Borghi colloca « l'approfondimento che Dewey compl, nell'ultima fase del suo pensiero, della .

ss I fondamenti della concezione pedagogica di Dewey, ivi, p. 343. 56 Ivi, p. 358. ;; lvi, p. 359. ss Intelligenza creativa, cit., p. 19.

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sua dottrina relazionale elaborando il punto di vista transazionale, e insistendo sull'aspetto pluralistico e sperimentalistico della sua concezione » 59• Un contributo particolarmente significativo alla conoscenza e all'approfondimento del pensiero dewe­ yano hanno dato Charles Morris, Joseph Ratner e Morton G. White. Morris pone al centro della propria analisi l'in­ terpretazione funzionalistica del pensiero e della vita mentale in genere data da Dewey in connessione al concetto di esperienza ed alla teoria strumentalistica, e si sforza di dimostrare come l'apparenza di un sim­ bolismo funzionale, sia per Dewey l'aspetto primario di quella che comunemente si definisce l'attività della mente. Morris insiste, di conseguenza, sulla riduzione della materia concettuale a qualità e momenti del comportamento organico, traendo con ciò dalle teorie deweyane alcune delle premesse che gli serviranno anni dopo per la definizione delle teorie proposte con Segni linguaggio e comportamento e Lineamenti di una teoria dei segni, interpretando Io strumenta­ lismo deweyano nei termini di una teoria compor­ tamentistica. Le funzioni logiche e i significati, quali Dewey li intende, scaturiscono, per Morris, da un contesto comportamentistico, giacché sono le esi­ genze del comportamento a far assumere agli eventi quel ruolo ), XII, 1915, pp. 505-23; 533-43. Democracy and Education, New York 1916. Essays in Experimental Logic, Chicago 1916. On Understanding the Mind of Germany, « Atlantic Monthly », CXVII, 1916, pp. 251-62 ; ristampato in Characters and Events, 1929. Voluntarism in the Roycean Philosophy, ), XXI, 1916, pp. 245-54. Tbe Pragmatism of Peirce, « Journal of Philosophy >), XII, 1916, pp. 709-15. The Need for a Recovery of Philosophy, in Creative In­ telligence, Essays in the Pragmatic Attitude, New York 1917. The Concept of the Neutra! in Recent Epistemology, « Journal of Philosophy >) , XIV, 1917, pp. 1 61-3.

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