Introduzione a Anselmo d'Aosta [PDF]

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Zitiervorschau

© 1987, Gius. Laterza

&

Prima edizione 1987

Figli

INTRODUZIONE A

ANSELMO D'AOSTA DI

SOFIA VANNI ROVIGHI

EDITORI LATERZA

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel gennaio 1987 nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-2828-X ISBN 88420-2828·2

ANSELMO D'AOSTA

I. L'UOMO

Anselmo d'Aosta, come lo chiamiamo noi italiani dal­ la sua città di nascita, o di Canterbury, dalla sua sede episcopale, ebbe la fortuna di un biografo intelligente accanto a sé: il monaco Eadmero, che gli fu segretario nel periodo dell'episcopato a Canterbury. È vero che Eadmero fu testimone diretto solo di quest'ultimo perio­ do della vita di Anselmo, ma l'intimità con il suo vescovo gli permise di poter conoscere da lui anche avvenimenti della vita passata, sl che - fatte le debite riserve sul carattere miracoloso di certi avvenimenti interpretati se­ condo il gusto medievale - possiamo fidarci di quello che ci dice anche su fatti anteriori agli anni precedenti il periodo di Canterbury, specie quando la sua testimonian­ za si accorda con quello che del carattere di Anselmo ci attestano i suoi scritti, in particolare le sue lettere. Da Aos �( dove nacque nel 1 033, si vedono due mon­ tagne più alte delle altre, con cime di neve perenne; il Grand Combin e il Ruitor e si capisce che un bambino, al quale era stato insegnato che, al di sopra di noi, in Cielo, vi è un Dio che regge e sostiene ogni cosa, imma­ ginasse che una di queste montagne fosse la sede di Dio e del suo regno, e sognasse di poter dare la scalata alle montagne per raggiungerlo. Anzi, Anselmo bambino so­ gnò una volta di essere stato in Paradiso, di aver visto 3

il Signore nel suo trono e di aver anche ricevuto da lui un pane bianchissimo. Il ricordo di quel sogno infantile dové essersi impresso nella mente di Anselmo che deve averlo raccontato a Eadmero e da questi è riferito all'ini­ zio della sua Vita (cap. 2). A quindici anni Anselmo chiese di essere accolto in un monastero (non è detto quale), ma l'abate non volle riceverlo per timore di inimicarsi il padre che allora non era favorevole alla vocazione monastica del figlio. Alla morte di lui Anselmo fu libero di scegliere la sua strada, ma nel frattempo era venuto meno il suo proposito di vita monastica, ed egli si diede a una vita mondana, spe­ cialmente dopo la morte della madre. Col padre era in disaccordo, anzi, secondo quanto riferisce Eadmero, dal padre era perseguitato, tanto che decise di lasciare la casa e la patria e di andare al di là delle Alpi per il Monce­ nisio 1• Eadmero ci dice che viaggiò per tre anni in Bor­ gogna e in Francia per abbordare poi in Bretagna, all'ab­ bazia del Bee. Il termine della peregrinazione ci fa capire anche quale ne fosse lo scopo : Anselmo cercava un luogo che fosse un centro di cultura - e i centri di cultura erano allora, nell'Europa feudale, le abbazie benedettine, come due secoli dopo, nella civiltà comunale, saranno le scuole cittadine -. Si fermò in � all'abbazia del Bee, dove era priore e maestro Lanfranco di Pavia. Eadmero ci dice che la fama di Lanfranco era grande e attirava alla sua scuola i clerici, ossia gli studiosi da ogni parte del mondo 2• Leggendo quello che ci resta di lui (De corpore et sanguine Domini, in_polemica con Berengario di Tours, annotazioni alle Lettere di S. Paolo), si dura fatica a spie­ gar�i questa fama e a capire che anche Anselmo condivi­ desse l'ammirazione per la singolare sapienza di Lanfranco l Da Aosta il Gran San Bernardo sarebbe stato più vicino, ma il viaggio era probabilmente più disagevole. 2 Vita S. A., I, cap. 5. Indicherò cosl la Vita Sancii Anselmi di Eadmero, edizione critica di R. W. Southern: Su Lanfranco si veda J. de Montclos, Lanfranc et Berenger, La controverse eucharistique du XI siècle, Spicilegium Sacrum Lovaniense, 37, Leuvan 1971.

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m e ne '"'"""eU m,P.,oro; m• b Iom• di ica dovuta probabilmente alla sua posizione nella con Berengario, polemica che, nella discussione su .. gomento teologico particolare ( la presenza di Crist l'Eucarestia), implicava il problema generale dell'uso d logica nella teologia, ossia, in ultima analisi, la funzionew della ragione nella teologia 3• Ora Lanfranco, sebbene, contro Berengario, combattesse quella che ai suoi occhi era una subordinazione della Rivelazione alla ragione, era ben lontano dall'escludere la logica nell'esercizio della esposizione delle verità di fede. Anche Lanfranco faceva uso della logica, e dimostrava nella discussione di cono­ scere bene la logica vetus 4• Dall'insegnamento della grammatica e della logica ricevuto al Bee Anselmo ebbe quella formazione logica che dimostra nel De grammatico. Si capisce quindi che serbasse verso Lanfranco una profonda gratitudine. In lui aveva infatti un maestro e da lui fu spronato ad uno studio intenso, anche oltre quello che gli suggeriva il mae-stro .

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3 « Relictis sacris auctoritatibus, ad dialecticam confugium facis. Et quidem de mysterio fidei auditurus ac responsurus quae ad rem debeant pertinere, mallem audire ac respondere sacras auctoritates quam dialecticas rationes. Verum contra haec quoque nostri erit studii respondere, ne ipsius artis inopia me putes in hac tibi parte deesse; fortasse jactantia quibusdam videbitur, et ostentationi magis quam necessitati disputabitur. Sed testis mihi Deus est, et conscientia mea, quia in tractatu divinarum litterarum, nec propo· nere, nec ad propositas respondere cuperem dialecticas quaestiones ve! earum solutiones. Etsi quando materia disputandi talis est ut [ per] hujus artis regulas valeat enucleatius explicari, in quantum possum, per aequipollentias propositionum tego artem, ne videar magis arte quam veritate sanctorumque Patrum auctoritate confi. dere, quamvis beatus Augustinus, in quibusdam suis scriptis, et maxime in libro De doctrina christiana hane disciplinam amplis­ sime laudet, et ad omnia quae in sacris litteris ·vestigantur pluri· mum valere confirmet » (Lanfranco, De corpore et sanguine Do­ mini, adversus Berengarium, cap. 7. P.L. 150, col. 416-17. Cfr. anche In Coloss. II, 3, P.L. 150 col. 323, In I Cor., ibid. col. 157). 4 Cioè la traduzione latina dell 'Isagogé di Porfirio, delle Cate· gorie e del De interpretatione di Aristotele coi commenti di Boezio. 5

Possiamo quindi capire che fra i due uomini cosl di­ versi ci fosse amicizia e reciproca stima. Ma Southern osserva giustamente che, quando paragoniamo Lanfranco e Anselmo, non dobbiamo averli presenti nella loro matu­ rità e vedere in Lanfranco l 'uomo d'azione, l'abile orga­ nizzatore ecclesiastico dell'Inghilterra, uomo di fiducia di Guglielmo il Conquistatore, disposto al compromesso pur di salvare i valori essenziali e, d'altro lato, il contem­ plativo, il teologo e filosofo, l'uomo che afferma che la bontà morale esige· che ciò che è giusto sia voluto perché

giusto ( voluntas servandi rectitudinem voluntatis prop­ ter ipsam rectitudinem ), che neppure per salvare tutte le

è

creature si possa andar contro la volontà di Dio 5• Con queste salde persuasioni morali e con la sua decisa volontà di seguirle si capisce che egli fallisse quando, come arci­ ve5covo di Canterbury, dovette esercitare anche una atti­ vità politica. Quando Anselmo nel 1 059 arrivò al Bee, Lanfranco era il prestigioso maestro di logica, solo più tardi, quando divenne l'uomo di fiducia di Guglielmo, rivelò la sua abilità di uomo pratico, e Anselmo rivelò le sue doti speculative quando Lanfranco era lontano, pri­ mate di Canterbury. Ma questi due uomini, cosl diversi conservarono una reciproca stima, come è provato dal fatto che Lanfranco, divenuto arcivescovo di Canterbury, invitò a sé Anselmo che si era recato in Inghilterra per visitare i feudi inglesi dell'abbazia del Bee, e gli chiese consiglio su varie questioni. Eadmero esprime la differenza fra Lan­ franco e Anselmo dicendo che il primo eccelleva aucto· ritate vel multiplici rerum scientia, Anselmo in sanctitate vel Dei sapientia 6, frase che indica bene la superiorità di . Lanfranco nella vita pratica e la superiorità di Anselmo nella vita contemplativa. Anche a Lanfranco però era rima­ sta dalle sue origini come professore, la convinzione del­ l 'importanza della cultura: a Canterbury egli raccolse una ricca biblioteca. Non possiamo ricostruire la biblioteca s Cur Deur homo, l, 2 1. 6 Vita S. A., l, cap. 30. 6

del Bee, che andò dispersa, ma il catalogo del Bee del secol6 XII d dice che essa deve essere stata raccolta da Lanfranco secondo il medesimo piano che presiedette a quello di Canterbury, e solo avendo a disposizione una buona biblioteca Anselmo poteva scrivere le sue opere 7• Anselmo era andato al Bee per ascoltare un maestro famoso, non per farsi monaco, ma dopo un periodo di intenso studio, pensò cbe faceva già una vita da monaco e che, divenendo monaco, egli avrebbe acquisito con la sua fatica un merito di fronte a Dio. Gli si presentavano tre scelte possibili: farsi monaco al Bee, o in altra abba­ zia, o rimanere secolare. Una volta deciso per la vita monastica, gli rimanevano le altre due possibilità: al Bee o in un'altra abbazia? Nelle abbazie cluniacensi c'era un ordine troppo severo per lui; restava solo la prima solu­ zione: farsi monaco al Bee. Anche a questa si presentava una difficoltà: al Bee c'era già un maestro famoso 8 e An­ selmo non avrebbe potuto esercitare l'insegnamento, o esercitandolo sarebbe stato in secondo piano. Ma, riflet­ tendo, Anselmo si rese conto che questi dubbi nascevano dal desiderio di avere successo, ossia da uno stato d'ani­ mo in contrasto con l'umiltà dello spirito monastico che deve accettare di essere al di sotto di tutti: tanto meglio se, a confronto con Lanfranco, egli fosse giudicato di nes­ sun valore. Cosl, anche dietro consiglio del vescovo di Rouen, Maurilio, Anselmo decise di fare la professione monastica al Bee, fu un monaco esemplare e continuò ad essere devotissimo a Lanfranco. A questi non sfuggirono le doti morali e intellettuali del discepolo, tanto che, quando Lanfranco nel 1063 fu eletto abate di Santo Ste­ fano di Caen, e dovette quindi lasciare il Bee, Anselmo 7 R. W. Southern, Saint Anse/m and bis Biographer, Cam­ bridge 1966, p . 18. 8 « Nam et Cluniaci districtio ordinis, et Becci supereminens prudentia Lanfranci qui illic monacus est me aut nulli prodesse, aut nichili valere comprobabit >> (Vita S. A., I, cap. 5). Una nota di Southern dice che non sappiamo in che cosa le consuetu­ dini di Cluny differissero da quelle del Bee. 7

gli succedette come priore, dopo soli tre anni di vita monastica . Per quindici anni Anselmo fu priore al Bee, e in questi quindici anni diede prova di saggezza, di bene­ volenza, suscitando simpatia e affetto intorno a sé, tanto che in una lettera ai suoi monaci, scritta quando era arci­ vescovo di Canterbury, ricordò che quasi tutti coloro che erano entrati come monaci al Bee vi erano entrati per­ ché c'era lui 9• Non mancarono fra i monaci anche quelli che, ritenendo di avere maggiori diritti di lui, disappro­ varono la sua elezione a priore dopo solo tre anni di pro­ fessione monastica e gli mossero guerra suscitando dis­ sensi e conventicole, ma Anselmo vinse con la bontà la loro avversione. Quello che Eadmero dice della pazienza e della benevolenza di Anselmo è confermato dalle sue let­ tere; possiamo quindi prestargli fede quando rif�risce due episodi che attestano come Anselmo fosse capace di farsi­ tutto a tutti, e avesse per i suoi monaci un affetto ma" terno 10• Il primo di questi due episodi si riferisce ai primi anni nei quali Anselmo era priore, ai suoi rapporti con un giovane monaco, Osberno, pieno di ingegno, ma discolo e forse sobillato dagli anziani dissenzienti a fare ogni sorta· di dispetti al suo superiore. Anselmo lo prese con le buone, gli concesse tutto quello che poteva, chiuse gli occhi su quello che si poteva lasciar correre senza · detrimento dell'ordine, e cosl se lo cattivò. Quando Osber­ no gli si fu affezionato e ·cominciò ad ascoltarlo, Anselmo se lo prese a cuore in modo speciale, se lo formò coi colloqui, i consigli, le esortazioni, non risparmiando nep­ pure le correzioni più dure, che Osberno ormai accettava, perché le sapeva dettate dall'affetto. Era diventato un per­ fetto monaco, e Anselmo aveva su di lui molte speranze Multi propter me, et fere omnes Beccum vemsus >>, Ep. IV, p. 22. Indico con Opera l'edizione critica di F. S. Schmitt: Sancti Anselmi Cantuariensis Episcopi, Opera omnia, Edimburgi 1946-6 1 . IO ll gli presero la mano e lo forzarono ad accettare. Eadmero, sia nella Vita sia nella Historia novorum, e Anselmo nelle sue let­ tere 24 insistono a lungo sulle resistenze di Anselmo, ma finalmente egli cedette, spinto anche dalle esortazioni del vescovo di Rouen, Guglielmo 25, e dalle insistenze del mo­ naco di Canterbury, Osberno 211• Per accettare la nomina Anselmo doveva avere il consenso dei monaci del Bee, dei quali era abate, e in una lettera scritta poco dopo l'elezione ( 6 marzo l 09 3 ) egli chiede il consenso ai suoi monaci esprimendo il dolore di separarsi da loro e l'an­ goscia per le pene che lo avrebbero aspettato nel suo nuovo compito, ma persuaso che fosse suo dovere accet­ tare per non lasciare vacante la sede primaziale di Can­ terbury v. Ci fu tuttavia chi pensò che egli avesse accet72 Vita S. A. p. 65, nota. Ep. 148; Opera IV, p. 4. 24 Ep. 148-160; Opera IV, pp. 4-3 1 . 2S Ep. 154; Opera IV, p. 15. 2l\ Ep. 149; Opera IV, pp. 6-10. TI I monaci del Bee dovevano avergli scritto esprimendogli il 23

loro affetto e il loro dolore se egli li avesse lasciati, e Anselmo risponde: « Nel mio intimo leggo e rileggo le vostre lettere, le penso e ripenso spesso davanti a Dio. Con quale animo vede egli dentro di me, e fuori è attestato dalle mie lacrime, dalle grida e

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tato l'alta carica per ambizione, per desiderio di potenza e di ricchezza; anche fra i monaci del Bee non tutti die­ dero il consenso all'accettazione di Anselmo. Ora, seb­ bene Anselmo dicesse che gli bastava il giudizio della sua coscienza e gli importava poco esser giudicato dagli uomi­ ni 28, questo poteva per lui valere rispetto a uomini che non lo conoscevano, non per i « suoi » monaci del Bee. Si sentiva moralmente a posto, ma non affettivamente, e alla lett(:ra che abbiamo citata ne fece seguire un'altra, molto pii1 lunga, per giustificarsi. Soffre per doversi sepa­ rare da loro, e ancora di più soffre per aver loro procu­ rato dolore. > (Ep. 77; Opera III, p. 199). 8 « De illis quidem, quae in ilio opusculo dieta sunt, quae salubri sapientioque consilio monetis in statera mentis sollert.ius appendenda et cum eruditis in sacris codicibus conferenda, et ubi ratio deficit, divinis auctoritatibus accingenda: hoc et post pater­ nam amabilemque vestram admonitionem et ante feci, quantum potui » (Ep. 77; Opera III, p. 199). Penso che i libri sacri e le divine autorità si riferissero non solo alla Bibbia, ma anche alle dottrine dei Padri, poiché nel seguito Anselmo dice che le sue fonti sono stati i testi canonici o gli scritti di Sant'Agostino. Cfr. nota seguente. 9 « Nam haec mea fui t intentio per totam illa m qualemcumque disputationem, ut omnino nihil ibi assererem, nisi quod aut ca­ nonicis aut beati Augustini dictis incunctanter posse defendere vi­ derem; et nunc quotiescumque ea quae dixi retracto, nihil aliud me asseruisse percipere possum ... Ea enim ipsa sic beatus Augu­ stinus in libro De trinita/e suis magnis disputationibus probat, ut eadem quasi mea breviari ratiocinatione inveniens eius confisus auctoritate dicerem » (Ep. 77; Opera III, p. 199). E in certo senso è vero che le argomentazioni del Monologion riassumono quelle di Agostino, come si cercherà di far vedere, almeno in qualche caso; ma sono ripensate da Anselmo in modo originale.

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altri! E poiché il Monologion era stato intanto apprezzato da molti, che gli chiedevano una copia dello scritto, An­ selmo ne fu quasi intimorito. A Reginaldo, abate di S. Ci­ priano a Poitiers, Anselmo scrive: « Se potessi non obbe­ dire alla vostra volontà non vi manderei quell'opuscolo che mi chiedete con tanto desiderio, e da cosl lontano. Temo infatti che, se andrà in mano di alcuni, preoccu­ pati più di criticare ciò che hanno sentito dire che di capirlo, se per caso vi leggeranno qualcosa che non hanno ancora sentito o a cui non hanno prestato attenzione, subito grideranno che ho scritto cose nuove (inaudite) e contrarie alla verità. E poiché io, lontano, non potrò ri­ spondere, essi non solo, negando la verità, crederanno di difenderla, ma persuaderanno anche altri, di quelli che credono temerariamente prima di conoscere cosa vi sia di reprensibile, che io sono un assertore di falsità » 10• (Come si vede, questo è un atteggiamento che si ripete spesso nella storia.) Anselmo si riferisce qui alle dottrine trinitarie, ma ciò che egli dice vale per tutto il Monolo­ gion. E nonostante le riserve di Lanfranco, Anselmo non si sentl affatto di distruggerlo. Nella lettera che sottoponeva il Monologion al giudi­ zio di Lanfranco, An�elmo, che gli aveva mandato I'opu­ sculum senza un titolo, aveva pregato Lanfranco di dar­ gliene uno; ma non risulta che Lanfranco gli abbia pro­ posto un titolo: il titolo Anselmo lo trovò da sé e fu: Esempio di meditazione sulle ragioni della fede 11• Non IO

Ep. 83; Opera III, pp. 207-208. Exemplum meditandi de ratione fidei, Proslogion, Prooe­ mium, Opera I, p. 94. Tullio Gregory mi fece osservare la difli. coltà di tradurre ratio fidei; penso che si potrebbe .tradurre o razionalità della fede o le ragioni della fede, come preferisco. Fides va quindi inteso nel senso di fides quae creditur (ciò che è oggetto della fede), non di fides qua creditur (l'atto di fede). Più complicato spiegare ciò che vuoi dire ratio per Anselmo, ma 11

di questo si parlerà via via esponendo il suo pensiero. Cfr. di chi scrive « Ratio » in S. Anselmo d'Aosta, in Sapientiae Procerum Amore (Miscellanea J. P. Muller), Editrice Anselmiana, Roma 1975, pp. 65-79. 23

aveva però indicato il nome dell'autore, il suo nome, e lo premise al testo solo quando glielo comandò l'amico Ugo arcivescovo di Lione, con la sua autorità di Legato Apo­ stolico. Allora egli abbreviò il titolo in quello di Mono­

logion .

Lo scritto nacque dall'insegnamento che Anselmo im­ partiva ai suoi monaci quando era ancora priore. E furono proprio questi discepoli a insistere perché Anselmo met­ tesse per iscritto quello che aveva detto nelle sue lezioni. Lo dice Anselmo nel Prologo e lo confermano le lettere u. Oggetto del Monologion 13 è l'essere di Dio (divini­ tatis essentia) 14 e àlcune altre verità connesse con questa; il metodo è quello prescritto dagli stessi ascoltatori che gli chiesero di mettere per iscritto i suoi discorsi, ed è che nulla vi fosse affermato in base all'autorità della Sacra Scrittura, ma ogni affermazione fosse giustificata dall'evi­ denza della verità e dalla cogenza della ragione (quidquid per singulas investigationes finis assereret, id ita esse [ . ] ..

et rationis necessitas breviter cogeret et veritatis claritas patenter ostenderet). La rationis necessitas è la necessità del nesso fra una affermazione e l'altra, la veritatis claritas è l'evidenza immediata, il mostrarsi della verità. La ratio comprende tutti e due i momenti : la connessione neces­ saria fra una proposizione e l'altra per arrivare ad una affermazione che è evidente per se stessa. E, nel suo di-

12 Ep. 72, dove Anselmo dice chè Maurizio è « unus ex illis quorum maxime [il Monologion] factum est instantia » Opera III, p. �93; Ep. 74 a Maurizio, dove Anselmo dice: « Scripturam, quam te instante et quibusdam aliis fratribus feci . . », Opera III, p. 1 96 Il Scritto nel 1076. È la prima opera filosofica di S. Anselmo. Prima aveva scritto alcune Orazioni. 14 Essentia non ha in S. Anselmo il significato (che· ebbe dopo la traduzione latina della Metafisica di Avicenna) di essenza come contraddistinta da esistenza o da essere in atto, ma il significato di ciò che fa essere come la luce fa che una cosa sia lucente. Essentia, esse et ens stanno fra loro come lux, lucere e lucens (Monol. cap. 6). .

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scorso su Dio, Anselmo, nel Monologion, mantiene sem­ pre questo rigore; spessissimo introduce le sue afferma­ zioni con un patet, manifestum est, ratione docente cer­ tum (cap. 8), mihi ducem rationem sequenti (cap. 29),

cum omnia quae de il/a... potui animadvertere rationis robur inflexibile teneant (ibid). E si potrebbero moltipli­ care le citazioni. Tutto quello che è detto nel Monologion

è detto (o almeno Anselmo ritiene possa essere detto) sola ratione (cap. l ). Razionale è il procedimento stesso del Monologion, che non parte da un concetto di Dio, ma da ciò che offre l'esperienza, inferisce che questo non potrebbe essere, sarebbe contraddittorio senza l'esistenza di un sommo bene, di una somma essenza dalla quale dipendano tutte le cose; deduce da questi primi concetti raggiunti altri attributi della somma essenza, e solo dopo aver dedotto questi (fra i quali l'intelligenza e la volontà), nell'ultimo capitolo conclude: e questo è Dio. Il nome di Dio com­ pare solo alla fine. Il procedimento del Monologion ri­ sponde all'esigenza espressa da Kant ne L'unico argo­

mento possibile per una dimostrazione dell'esistenza d� Dio: « Quando dico: Dio è una cosa esistente, pare che

io esprima la relazione di un predicato con un soggetto. Ma in verità c'è una inesattezza in questa espressione. A parlare esattamente si dovrebbe dire: qualcosa di esistente è Dio >> 15• Il logico Anselmo si era reso conto che, in filosofia, ossia sola ratione, non si può partire dal con­ cetto di Dio, ma ci si può solo arrivare. I discepoli di Anselmo gli avevano chiesto di giusti­ ficare razionalmente le dottrine della fede senza fare ap­ pello all'autorità della Scrittura, e Anselmo si mette nei panni di uno 16 che prescinda dalla rivelazione cristiana, o perché a lui non è giunta la predicazione cristiana o perché non presta fede a tale predicazione (aut ·non 15

Kant, Scritti precritici, Laterza, Bari 1953, p. 1 14. 16 « ...in persona alicuius tacite secum ratiocinando quae ne· sciat investigantis .. . » Prosl. Prooemium; Opera I, p. 93. ·

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audiendo aut non credendo ignora!) 17• Cosl, seguendo la

guida della ragione, Anselmo procede a dimostrare l'esi­ stenza di un sommo bene, di un sommamente grande, di un sommo ente. II primo argomento parte da una _constatazione inne­ gabile: tutti vogliamo godere delle cose che riteniamo buone, e ci troviamo di fronte a innumerevoli cose buone, ma che cosa fa buone le cose che giudichiamo tali? Non è la stessa natura delle cose diverse, poiché ciò che costi­ tuisce la natura di una cosa non può appartenerle più o meno, e invece ci sono cose più o meno buone: debbono dunque esser tali in virtù di un'unica bontà. All'obiezione che diversa è la bontà di diverse cose (per esempio la bontà di un cavallo consiste nella sua forza e nella sua velocità, ora forza e velocità non sono buone in altri soggetti, per esempio in un ladro) Ansel­ mo risponde che la forza e la velocità di un cavallo sono buone perché lo rendono utile, mentre sono dannose nel ladro. C'è dunque una bontà che fa capo al concetto di utile, ma non è questa la bontà originaria, poiché il con­ cetto di utile è un concetto relativo: utile a chi? · a che cosa? L'utile rimanda dunque a ciò che è bene in sé (honestum) e solo per rapporto con questo si può par­ lare di bontà delle diverse cose buone. « Ora chi potrebbe negare che ciò in virtù di cui tutte le cose sono buone debba essere un gran bene »? 18• E non solo è un gran bene, ma è il sommo bene, poiché ciò che è bene per se stesso, è bene per quanto è possibile esserlo e non mutua da altro la sua bontà; non ha quindi bisogno di altro. L'argomento è tipicamente platonico;agostiniano; An­ selmo riprende il discorso di Agostino nel libro ottavo De Trinitate, che passa dai beni al bene: . Non basta ad Anselmo la cit.,

5 Citato p. 58.

da R. W. Southern, Saint Anse/m and bis Biographer,

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conoscenza di Dio per ea quae facta sunt; egli desidera vedere Dio in se stesso, « sia pure da lontano, sia pure dal profondo della nostra miseria ». E l'argomento del Proslogion, l'unico argomento; dovrebbe indicarci un aspetto di Dio che ci permetta di coglierne l 'esistenza e i principali attributi. Non è solo la preghiera che occupa tutto il primo capitolo quella che ne attesta il carattere e in certo modo lo conclude nel capitolo 14 6; sono anche le parole che introducono al famoso argomento: « Dunque, Signore, che dai l'intelligenza della fede, dammi di capire, per quanto sai che possa giovarmi, che tu esisti, come crediamo, e sei quello che crediamo » (Prosl. cap. 2). Il dunque col quale inizia il secondo capitolo connette ciò che segue con la conclusione del primo capitolo: � Ma anche lo stolto, per negarne l'esistenza, deve capire ciò che dice, e quindi deve avere nella mente il concetto di Dio, ossia di . > . « No » , risponde il discepolo. « E se, di fronte a un. cavallo bianco e a un bue nero, uno ti dice : " Picchialo ", sai tu quale devi picchiare? ». > dicendo « è in chiesa >> o « vive da uomo onesto » o « ha potere su tutta la città » o ecc. 14• Infine si conclude che facere è implicito anche nei verbi intransitivi: chi siede, infatti, fa sedere e chi patÌ· sce fa patire (qui sedit facit sessionem et qui patitur pati­ tur passionem ) 15 • Questa affermazione è giustificata dalla identificazione di fare con essere causa di, e in questo senso i! fare, è implicito anche nei concetti negativi, come quando nel Vangelo Gesù dice: > (Giov., II, 20-2 1 ). E Anselmo annota: si vuoi dire che in tutte le altre cose vi è la necessità che impedisce loro di fare qualcosa e le costringe a non farla. Cosl, quando diciamo : >; nella cultura infatti nella quale vive Anselmo non si ritiene che ogni uccisione sia un male, forse con più sincerità di quanta se ne professi oggi proclamando la sacralità della vita umana, m a giustificando i n concreto largamente molte uccisioni che sono vera· mente ingiuste.

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que che la « sconvenienza », ossia l 'immoralità di una azione, è colta indipendentemente dalla sua giustificazione teoretica: prima (quoad no.r) si coglie il valore o il disva­ lore di un tipo di azione, e poi si conclude se essa possa o no essere attribuita a Dio. Sebbene la definizione della iu.rtitia sia fondata su una concezione metafisica, come si è visto seguendo il De veritate, l'etica anselmiana ha una tendenza intuizionistica; voglio dire: presenta i valori mo­ rali come colti immediatamente. Anselmo non ha dubbi nell'esprimere le valutazioni morali. Ricordiamo la risposta data da Anselmo a Lan­ franco che gli chiedeva se il vescovo Elfego potesse consi­ derarsi martire perché aveva preferito la morte piuttosto che. dare ai nemici un riscatto che avrebbe potuto otte­ nere solo gravando con un ingiusto balzello i suoi sudditi. La risposta affermativa, fondata su varie considerazioni, era poi riassunta cosl : > e la > pubblicarono ciascuna un fascicolo speciale dedicato a S. Anselmo.

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Id., Bine friihe Rezension des Werkes De concordia ' des hl. Anselm von C., in « Revue Bénédictine » , 48 ( 1936), pp. 4 1-70. Id., Ein weitel"er Textzeuge fiir die I Rezension von « De concordia ��. in « Revue Bénédictine » , 48 ( 1936), pp. 318320. Id., Les corrections de Saint Anselm, à son Monologion, in « Revue Bénédictine » , 50 ( 19 38 ), pp. 194-205. Id., Cinq recensions de l'Epistola De Incarnatione Verbi de saint Anselme de Cantorbéry, in « Revue Bénédictine » 5 1 ( 1 939), pp. 257-87.

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INDICE

ANSELMO

o' AosTA

I.

L'uomo

II.

La ratio all'opera nel Monologion

20

III.

Il Proslogion

44

I V.

Logica e analisi del linguaggio

63

V.

Verità, legge morale, libertà

80

VI.

Libertà umana, grazia e predeterminazione

3

102

VII. La redenzione

1 12

Storia della critica

131

BIBLIOGRAFIA

149

l. Opere di S. Anselmo, p. 1 5 1 Il. Traduzioni, p. 152 III. Concordanze, p. 153 IV. Studi Critici, p. 153. -

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