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Italian Pages 316 Year 2008
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Jürgen Tautz
Il ronzio delle api con fotografie di Helga R. Heilmann
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Autore Prof. Dr. Jürgen Tautz BEEgroup Biozentrum Universität Würzburg Am Hubland 97074 Würzburg Germany e-mail: [email protected]
Fotografie di Helga R. Heilmann BEEgroup Biozentrum Universität Würzburg Am Hubland 97074 Würzburg Germany www.beegroup.de
Traduzione di Massimo Caregnato Tradotto dall’edizione inglese: The Buzz about Bees – Biology of a Superorganism Springer-Verlag Berlin Heidelberg 2008 traduzione di David Sandeman dall’edizione originale tedesca: Phämomen Honigbiene di Jürgen Tautz Copyright © Spektrum Akademischer Verlag Versione in lingua italiana: © Springer-Verlag Italia 2009
ISBN 978-88-470-0860-1
e-ISBN 978-88-470-0861-8
Springer-Verlag fa parte di Springer Science+Business Media springer.com Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore, e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo di illustrazioni e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione su microfilm o in database, o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge.
Collana ideata e curata da: Marina Forlizzi Redazione: Paola Teti Coordinamento editoriale: Barbara Amorese Progetto grafico e impaginazione: Valentina Greco, Milano Progetto grafico della copertina: Simona Colombo, Milano Immagine di copertina e fotografie: Helga R. Heilmann Stampa: Printer Trento, Trento
Stampato in Italia Springer-Verlag Italia S.r.l., via Decembrio 28, I-20137 Milano
Una colonia di api è senza dubbio il modo più meraviglioso che la natura possiede di organizzare la materia e l’energia nello spazio e nel tempo
Dedicato a Martin Lindauer, mentore del BEEgroup di Würzburg, encomiabile scienziato e splendida persona
Prefazione all’edizione inglese Già tradotto in dieci lingue, a prima vista questo libro può sembrare una semplice opera sulle api mellifere e sulla loro biologia. Vi sono contenute, invece, informazioni più profonde che si riferiscono ad alcuni principi fondamentali della biologia moderna. Le api sono soltanto gli attori che ci conducono nel mondo della fisiologia, della genetica, della riproduzione, della biofisica e dell’apprendimento, e che ci introducono ai principi della selezione naturale che sottende l’evoluzione delle forme di vita, dalle più semplici alle più complesse. Il libro confuta l’intrigante concezione delle api quali icone antropomorfiche di individui laboriosi dediti al sacrificio personale, e presenta la colonia di api come un essere integrato e indipendente, un “superorganismo” dotato di una propria, quasi soprannaturale e imprevedibile, intelligenza di gruppo. Si rimane sorpresi nell’apprendere che non esiste un’ape, a partire dalla regina fino ai fuchi e alle operaie sterili, che possiede individualmente la supervisione o il controllo della colonia. Attraverso una rete di sistemi di controllo integrati e di reazioni di risposta, e di comunicazione tra gli individui, la colonia giunge a decisioni unanimi dal basso verso l’alto, attraverso una specie di “intelligenza di sciame”. Esistono di fatto notevoli paralleli possibili tra l’organizzazione funzionale di una colonia di api sciamatorie e il cervello dei vertebrati. Il ronzio delle api interesserà a molti tipi lettori diversi: gli studiosi di storia naturale potranno apprezzare le raffinate fotografie; gli studenti che intendano intraprendere un corso di biologia dovrebbero avvicinarsi a questo libro leggendolo come un manuale che li aiuterà a comprendere i principi su cui si basano le scienze biologiche, e che fornirà un piccolo assaggio del fascino e della complessità dei sistemi biologici. Gli apicoltori vi troveranno i principi scientifici che spiegano la maggior parte dei comportamenti che già conoscono, e alcune informazioni fondamentali che potrebbero far riconsiderare alcune pratiche tradizionali. Gli insegnanti vi troveranno utili immagini che illustrano in maniera intuitiva i principi biologici fondamentali e il riscontro del fatto che la comprensione dei sistemi biologici richiede un’integrazione tra tutte le discipline scientifiche. I biologi professionisti potranno apprezzare una nuova illustrazione dei principi evolu-
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IL RONZIO DELLE API
tivi, la presentazione della colonia di api come un superorganismo, e le conseguenze della selezione della discendenza e della selezione naturale su tale tipo di sistema. Coloro che credono ancora nelle teorie creazioniste e in un disegno di un’intelligenza superiore potranno fermarsi a riflettere sulle inaspettate proprietà dei sistemi complessi, dotati di organizzazione propria e capacità di adattamento. Siamo tutti, giorno per giorno, sempre più testimoni del cambiamento climatico in atto nel nostro pianeta, che porta nelle nostre case anche la consapevolezza che alcuni organismi si trovano al limite della sopravvivenza. Poiché queste forme viventi hanno sviluppato un’elevata specializzazione per le nicchie alle quali si sono adattate, anche un piccolissimo cambiamento ambientale in un periodo di tempo relativamente corto potrebbe significare la loro fine. Prive delle generazioni di individui necessarie per approfittare di piccole variazioni genetiche che possano aiutarle a uscire dalla propria nicchia, esse scompaiono e si uniscono al lungo elenco di esseri per sempre conservati nella capsula temporale del mondo fossile o, più recentemente, registrati negli inquietanti archivi tenuti dall’uomo. Si potrebbe essere portati a pensare che organismi come gli esseri umani e le api mellifere, che possono esercitare una certa forma di controllo sul territorio immediatamente circostante, ne risultino avvantaggiati. Dotati di grande mobilità, siamo capaci di spostarci verso luoghi più accoglienti e, in quelli che non lo sono, di costruire luoghi sicuri dove vivere. Si tratta di un pensiero incoraggiante, ma purtroppo semplicistico e ingannevole, perché la questione della tela intrecciata della vita che ci avvolge e dalla quale dipendiamo è in realtà molto più complessa. Siamo tutti coinvolti e la minaccia più grande è la nostra stessa inammissibile ignoranza e lo sdegnoso trattamento del mondo naturale al quale apparteniamo. Lo sfruttamento dei sistemi naturali perpetrato dall’uomo senza una dettagliata comprensione delle loro dinamiche e vulnerabilità ha sconvolto equilibri delicati, costituitisi in migliaia di anni. Se lo sregolato sfruttamento avrà fine, un nuovo equilibrio verrà ristabilito nel tempo, ma non sempre a nostro vantaggio. Le api mellifere sono importanti per la nostra stessa vita. Senza api, non ha luogo l’impollinazione della maggior parte delle nostre colture. Senza impollinazione, non ci sono frutti, e non ci sono semi. Niente di più semplice. Se le api sono minacciate, lo siamo anche noi. E più di un
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Würzburg e Laubach, Gennaio 2008 Jürgen Tautz, David C. Sandeman*
* David C. Sandeman è il traduttore dell’edizione inglese (Tautz J. (2008) The Buzz about Bees. Springer-Verlag Berlin Heidelberg)
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE INGLESE
indicatore suggerisce che le api sono in pericolo. Faremmo meglio a capirle bene e, attraverso di loro, giungere a una più profonda conoscenza dell’enorme complessità del mondo naturale. Questo libro è un buon modo per cominciare.
Prefazione all’edizione originale tedesca Le api mellifere hanno destato l’interesse del genere umano sin dall’inizio della storia documentata, e probabilmente anche da prima. L’uomo ha sempre apprezzato il miele delle api e ha riconosciuto sin da subito l’importante ruolo svolto da un prodotto naturale, quale è la cera d’api. L’ordinata vita comunitaria di migliaia di api all’interno delle loro colonie e l’incredibile regolarità nella geometria dei loro favi hanno affascinato generazioni di osservatori. Per l’uomo moderno, le api non sono soltanto essenziali collaboratori nell’agricoltura, ma anche un indicatore dello stato dell’ambiente e la prova di un immutato legame tra il genere umano e la natura. Storicamente, e in tutte le culture che le conoscono, le api sono un emblema di qualità positive e piacevoli quali armonia, duro lavoro e altruismo. Le moderne ricerche hanno rivelato alcuni dettagli della natura delle api che potrebbero privarle in una certa misura di questo status “mitizzato”, ma allo stesso tempo ci restituiscono uno spaccato del funzionamento di una delle più meravigliose forme di vita a noi note. Questo libro intende illustrare, almeno in parte, il fascino delle api e si propone, inoltre, di far combaciare le nuove scoperte con le informazioni già disponibili. Va detto, tuttavia, che una conoscenza esaustiva del mondo delle api è ancora molto lontana, e diverse emozionanti scoperte restano ancora da compiere. In questo libro si sostiene che le colonie di api mellifere possiedano un insieme di caratteristiche che le accomuna a un gruppo di organismi altamente sviluppato, i mammiferi, con l’unica differenza di essere state in grado di unirle all’immortalità degli organismi unicellulari. In questo modo, le colonie di api sono riuscite a combinare le strategie di sopravvivenza sia organismi multicellulari che unicellulari e occupano, di conseguenza, un posto di rilievo tra gli esseri viventi. Le immagini spesso parlano più chiaramente di lunghe descrizioni scritte, specialmente nelle scienze naturali. Per tale ragione abbiamo deciso, sin dall’inizio di questo progetto, di concepire un libro che ponesse una grande enfasi sull’alternanza di testo e figure.
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Würzburg, Novembre 2006 Jürgen Tautz, Helga R. Heilmann
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ORIGINALE TEDESCA
Abbiamo evitato di proposito, con alcune eccezioni, riferimenti alla letteratura scientifica, ad autori e ricercatori. È stato invece prodotto un sito web collegato all’opera rivolto ai lettori interessati (http://www.beegroup.de), contenente importanti integrazioni e informazioni contestuali a ogni capitolo, che comprendono riferimenti alla letteratura esistente, link su internet, fotografie, videoclip, file audio o materiale simile. Lavoreremo per aggiornare il sito periodicamente, allo scopo di presentare sempre informazioni all’avanguardia, come avviene in questo libro. L’ape è per noi un “fenomeno” nel vero senso della parola. L’originaria parola greca per fenomeno, jaio¢meno, definisce qualcosa che si rivela, o appare, e siamo convinti che questo termine costituisca una perfetta caratterizzazione di questo cosiddetto superorganismo, poiché la sua natura ha diverse volte dimostrato le caratteristiche di un “fenomeno”. I passi che stiamo facendo verso la scoperta di questo superorganismo, che rivela i propri segreti in maniera così cauta, sono piccoli. Ma quello che si può imparare dallo studio delle api è così gratificante che ogni sforzo merita di essere compiuto. Più riusciamo a penetrare nella vita nascosta delle api, più grande è il nostro stupore, e allo stesso tempo, più profonda è la nostra ambizione di esplorare questo mondo meraviglioso. Karl von Frisch, grande maestro della ricerca sulle api, una volta disse opportunamente che: “Una colonia di api è come un pozzo magico; più acqua vi si preleva, più ne arriva”. Se, dopo aver letto questo libro, vi soffermerete a osservare la prima ape che incontrate con più attenzione del solito, ripensando a qualche affascinante aspetto della sua vita, avremo ottenuto un gran risultato. Si ringraziano i membri del BEEgroup di Würzburg, e lo staff di Elsevier/Spektrum Akademischer Verlag per l’assistenza durante la stesura e la pubblicazione di questo libro.
IL RONZIO DELLE API
Indice Prefazione all’edizione inglese
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Prefazione all’edizione originale tedesca
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Prologo La colonia di api – Un mammifero composto da tanti corpi
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L’animale domestico più piccolo al mondo – Una guida illustrata
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Le api erano inevitabili
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L’immortalità si propaga
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Le api – Un modello di successo
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Cosa ne sanno le api dei fiori
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La vita sessuale delle api e le spose vergini
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La pappa reale – Una dieta personalizzata
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L’organo più grande della colonia – Costruzione e funzionamento del favo
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Un’intelligenza raffinata
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L’importanza della famiglia: il miele conta più del sangue?
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Il cerchio si chiude
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Epilogo Il futuro per le api e il genere umano
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Bibliografia
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Fonti iconografiche
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Indice analitico
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Prologo La colonia di api – Un mammifero composto da tanti corpi I mammiferi devono la loro dominanza a caratteristiche presenti anche nel superorganismo costituito dalla colonia di api.
Se seguiamo tutti i canoni tradizionali, le api mellifere sono insetti, su questo non ci piove. Ed è sempre stato così, da quando sono comparse sulla Terra nella loro forma attuale, circa trenta milioni di anni fa. Nel XIX secolo, però, fu loro attribuito lo “status” di vertebrati, dopo che l’apicoltore ed ebanista tedesco Johannes Mehring (1815-1878) mise in relazione con perspicacia la colonia di api a un singolo “essere”, paragonabile a un animale vertebrato. In base a questo confronto, le api operaie rappresentano gli organi del corpo necessari alla manutenzione e alla digestione, mentre l’ape regina e i fuchi rappresentano rispettivamente gli organi genitali femminili e maschili. Il concetto dell’accostamento della colonia di api a un unico animale fu indicato con il termine tedesco Bien, che esprime l’“interpretazione organica di un individuo”. La colonia di api veniva considerata un complesso indivisibile, un unico organismo vivente integrato. Successivamente, sulla base degli studi già svolti sulle formiche, il biologo americano William Morton Wheeler (1865-1937) coniò nel 1911 il termine “superorganismo” per indicare questo particolare tipo di forma vivente (etimologia: latino: super=sopra; greco: organon=strumento). Vogliamo ora portare all’estremo questa acuta e semplice osservazione e paragonare la colonia di api non solo a un vertebrato, ma addirittura a un mammifero: sono molte, infatti, le caratteristiche che sembra avere in comune con questo tipo di animali. Potrebbe apparire un raffronto forzato, ma non lo è se, invece di soffermarci sulla filogenesi dell’ape, ci con-
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IL RONZIO DELLE API
centriamo sull’insieme di quei caratteri evolutivi funzionali che hanno reso dominante la più recente evoluzione dei vertebrati, la classe dei mammiferi. Prendendo in considerazione criteri differenti e i loro aspetti di originalità, i mammiferi possono essere distinti dagli altri vertebrati, e accostati direttamente alle api mellifere. I mammiferi, così come le api, presentano un tasso riproduttivo molto basso (Fig. 1, Cap. 2, 5). Le femmine dei mammiferi producono il nutrimento (latte) per la propria prole attraverso speciali ghiandole; anche le api femmine producono il nutrimento (pappa reale) per la prole attraverso specifiche ghiandole (Fig. 2, Cap. 6). L’utero dei mammiferi offre agli individui in sviluppo un ambiente controllato e difeso, indipendente dalle variabili tipiche del mondo esterno; le
Fig. 1 Nelle colonie di api nascono soltanto poche api regine all’anno, che crescono all’interno di speciali celle a forma di dito
Fig. 2 Le larve di ape vivono in un vero paradiso: sono immerse in una gelatina nutritiva prodotta dalle api nutrici
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Per i biologi, il fatto che tali originali e fondamentali aspetti evolutivi tipici dei mammiferi, noi umani compresi, siano presenti anche in una colonia di api è una questione molto interessante.
Fig. 3 Il microclima del nido di covata è controllato in maniera precisa dalle api adulte
Fig. 4 Le api termoregolatrici mantengono le pupe a una temperatura corporea costante che, in condizioni ottimali, non varia di oltre 1°C rispetto a quella dei mammiferi
PROLOGO
api proteggono la propria progenie in sviluppo in un ambiente simile: l’“utero sociale” costituito dal favo di covata del nido (Fig. 3, Cap. 7, 8). I mammiferi presentano una temperatura corporea costante di circa 36 °C; le api mantengono la temperatura dei favi di covata contenenti le pupe a circa 35 °C (Fig. 4, Cap. 8). I mammiferi, grazie al cervello di grandi dimensioni, possiedono capacità cognitive e di apprendimento tra le più sviluppate fra tutti i vertebrati; le api possiedono capacità di apprendimento altamente sviluppate e un’abilità cognitiva che supera addirittura quella di alcuni vertebrati (Fig. 5, Cap. 4, 8).
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IL RONZIO DELLE API
Fig. 5 Le api apprendono rapidamente quali fiori possiedono nettare e dove si trovano, e come trarre il massimo vantaggio da essi
L’attribuzione alla colonia di api del titolo di “mammifero onorario” o, in altre parole, di organismo che è stato in grado di sviluppare strategie condivise con i mammiferi, ci dà l’idea che non si tratti di una semplice somiglianza superficiale. E infatti non lo è. Per trarre altre informazioni su questo fenomeno, andando oltre la semplice illustrazione di alcune sorprendenti analogie, è necessario chiedersi perché questi caratteri vengono condivisi. A questo proposito, sarà senz’altro utile identificare i “problemi” rilevanti per i quali gli animali hanno “trovato” la stessa soluzione. Per prima cosa, potremmo porci questo quesito: “Abbiamo davanti ai nostri occhi la soluzione, ma di che problema si trattava? Conosciamo la risposta, ma qual era la domanda?” Un gruppo di organismi che compie un passo avanti nell’evoluzione può disporre di un vantaggio sui propri concorrenti, a seconda del grado di condizionamento apportato dalla natura casuale dell’ambiente sulla loro esistenza. I fattori ambientali possono variare in maniera inaspettata, e quando questi vanno a condizionare un’ampia gamma di caratteri in una popolazione, tali caratteri acquisiscono un “valore”, poiché determineranno la capacità di riproduzione della popolazione stessa. Gli organi-
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PROLOGO
smi che presentano un migliore adattamento prosperano, quelli meno adattati scompaiono. Questo è il succo della teoria di Darwin sulla dinamica dell’evoluzione. Vista l’imprevedibilità della direzione o dell’intensità dei cambiamenti ambientali, in teoria un organismo dovrebbe produrre una progenie il più possibile vasta e variata, per preparare la futura esistenza della propria specie a diversi possibili e sconosciuti scenari. Quando, nel corso del processo evolutivo, gli organismi riescono ad adattarsi, o addirittura a controllare un vasto numero di parametri ambientali, e quindi ottengono più o meno libertà dalle imposizioni dell’ambiente, possono permettersi di sfruttare questa condizione e produrre meno progenie. I mammiferi e le api appartengono entrambi a questa speciale categoria di esseri viventi. L’indipendenza da fonti di energia poco costanti, e da una qualità variabile di nutrimento, garantita dall’autoproduzione del cibo, la protezione dai nemici fornita dalla costruzione di uno spazio vitale protetto, e l’indipendenza dagli agenti atmosferici ottenuta con il controllo del clima nel proprio habitat, sono tutti evidenti vantaggi rispetto agli organismi che non dispongono di tali possibilità. Tali caratteristiche “tipo-mammifero” garantiscono a questa classe di animali e alle api una notevole indipendenza dalle condizioni ambientali dominanti, raggiunta grazie a una complessa organizzazione sociale e comportamentale, che permette l’uso efficiente del materiale e dell’energia disponibili (Cap. 10). Un tasso riproduttivo più basso è possibile in conseguenza di queste condizioni di vita, controllate in modo ottimale. La popolazione di organismi con un tasso riproduttivo minore, e che sono altamente competitivi, raggiunge una dimensione stabile grazie a un numero ridotto di discendenti all’interno di un quadro determinato di possibilità offerte dall’habitat. Di fronte a un cambiamento delle condizioni ambientali, però, la loro capacità di adattamento sarebbe scarsa, data la quantità limitata di discendenti, a meno che non abbiano già ottenuto il controllo sul parametro ambientale critico grazie alla costruzione di parte della propria nicchia ecologica per sé stessi, in grado di assicurare la sopravvivenza nei momenti difficili. E se non fosse ancora sufficiente, le api mellifere si spingono oltre il semplice controllo del proprio ambiente: le loro colonie sono, in condizioni otti-
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IL RONZIO DELLE API
mali, potenzialmente immortali. Il superorganismo di una colonia di api possiede la capacità di modificare continuamente il proprio corredo genetico, come si trattasse di un “camaleonte genomico” (Cap. 2), per evitare di introdursi in un “vicolo cieco evolutivo”. In generale, il controllo attraverso reazioni di risposta (feedback) è indicativo degli organismi viventi. Ogni organismo controlla in maniera precisa il proprio “ambiente interno”. Questo processo permette di regolare a un giusto livello il flusso di energia e il passaggio di materiale e informazioni attraverso l’organismo. La temperatura corporea è il risultato dell’addizione e della sottrazione di energia, mentre la massa corporea è il risultato di un equilibrio tra l’aggiunta e la rimozione di materiale. Nel 1939, nel suo libro “La saggezza del corpo”, W.B. Cannon coniava il termine “omeostasi” per descrivere questa regolazione dello stato corporeo. La fisiologia è il campo della biologia che si occupa dello studio di questo tipo di processi regolatori negli organismi. Trasposta all’analisi delle condizioni controllate entro una colonia di api concepita come un superorganismo, o come un “mammifero in tante parti”, la fisiologia sociale si occupa delle entità regolatrici della colonia di api controllate in maniera omeostatica, di come le api siano in grado di farlo e a quale scopo (Capp. 6, 8, 10). La fisiologia dei mammiferi e la fisiologia sociale delle api sono giunte a interpretazioni straordinariamente simili. Strategie di vita, evolutesi in maniera indipendente in gruppi diversi di organismi, vengono descritte come analoghe o convergenti. Le ali di un uccello e quelle di un insetto costituiscono un esempio di tale analogia. Il problema comune, per il quale l’invenzione delle ali rappresenta una soluzione, è lo “spostamento attraverso l’aria”. Date le caratteristiche comuni presenti nei mammiferi e nelle api, siamo portati a chiederci:“Qual era il problema comune che doveva essere risolto da questo insieme di strategie convergenti?” Sembra che, grazie a tutte le loro caratteristiche, i mammiferi e le api raggiungano un livello di indipendenza dall’ambiente ineguagliato da qualsiasi altro gruppo di organismi. Questa indipendenza non necessariamente si estende per tutta la vita di ciascun individuo, ma piuttosto si limita alle fasi particolarmente vulnerabili del ciclo vitale dell’organismo (Cap. 2).
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PROLOGO
Le strategie utilizzate dalle colonie di api sono decisamente simili a quelle dei mammiferi e permettono a un numero relativamente basso di individui riproduttori, ma estremamente ben preparati e accuratamente protetti, di vivere e diffondersi nel mondo. A tale scopo, le api hanno sviluppato abilità e comportamenti specifici fra i più sorprendenti nel mondo degli esseri viventi. E ora stiamo soltanto cominciando a comprendere questa trama altamente complessa.
L’animale domestico più piccolo al mondo – Una guida illustrata Le api mellifere non rappresentano soltanto un affascinante modello di un successo evolutivo. Il loro contributo all’impollinazione le rende anche di notevole importanza economica per l’uomo.
Le api mellifere…
… hanno come nome scientifico Apis mellifera, che significa “ape portatrice di miele”
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IL RONZIO DELLE API … vivono in colonie composte da circa 50.000 individui in estate e circa 20.000 in inverno
… raccolgono dai fiori nettare e polline. Il nettare è la materia prima per il miele, mentre il polline è per le api una fonte di nutrimento ricca di proteine
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… costruiscono il favo con la cera che producono in speciali ghiandole. Depositano il miele e il polline nelle celle esagonali del favo, usate anche come nido per le pupe
L’ANIMALE DOMESTICO PIÙ PICCOLO AL MONDO – UNA GUIDA ILLUSTRATA
… trasportano il miele nella borsa melaria, una parte dell’apparato digerente, e il polline in piccoli “cesti” collocati sulle zampe posteriori
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IL RONZIO DELLE API … sono utili all’uomo soprattutto come impollinatrici delle colture
… sono allevate dall’uomo in arnie artificiali che consentono di raccogliere il miele, il polline, la propoli e la pappa reale
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I maschi delle api, o fuchi, sono funzionali solo alla riproduzione, cioè all’accoppiamento con le femmine
L’ANIMALE DOMESTICO PIÙ PICCOLO AL MONDO – UNA GUIDA ILLUSTRATA
All’interno della colonia, tutte le api operaie sono femmine sterili
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IL RONZIO DELLE API In ogni colonia è presente solo una regina, facilmente riconoscibile dal lungo addome Le api raccolgono resina da gemme, frutta, fiori e foglie delle piante per produrre a loro volta una resina sigillante detta “propoli”, usata per rivestire l’arnia. L’uomo usa la propoli raccolta dalle arnie a scopi curativi
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Le uova di ape si schiudono, le larve crescono e quando raggiungono le dimensioni adatte, si trasformano in pupe all’interno delle celle
Le api femmine nascono da uova fecondate, mentre i fuchi, di dimensioni maggiori, nascono da uova non fecondate
L’ANIMALE DOMESTICO PIÙ PICCOLO AL MONDO – UNA GUIDA ILLUSTRATA
L’ape regina depone un solo uovo per ogni cella del favo, ma riesce a deporre fino a 200.000 uova ogni estate
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IL RONZIO DELLE API Le api operaie attraversano diverse fasi “occupazionali” durante la loro vita: possono essere, ad esempio, pulitrici, muratrici, nutrici e guardiane. Quando raggiungono un’età avanzata, lasciano il nido e diventano api bottinatrici
Le api che vivono nell’arnia si occupano della protezione della covata
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Le api mellifere comunicano tra loro attraverso segnali chimici e tattili. Il linguaggio della danza è un aspetto molto importante del loro sistema di comunicazione
L’ANIMALE DOMESTICO PIÙ PICCOLO AL MONDO – UNA GUIDA ILLUSTRATA
Le api che volano all’esterno dell’arnia si occupano della bottinatura
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IL RONZIO DELLE API In estate, le api allevano numerose giovani regine in celle dalla struttura speciale, e le alimentano attraverso una dieta particolare. Le giovani regine si accoppiano solo una volta nella propria vita, durante il volo nuziale, ma con molti fuchi
L’ape regina viene alimentata con pappa reale durante tutta la sua esistenza, e riceve costanti cure da parte di un seguito di api ancelle
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Le api mellifere sopravvivono all’inverno raccogliendosi in un’unica colonia. Le api si aggregano in un denso grappolo e si mantengono al caldo facendo vibrare i muscoli delle ali. Le scorte di miele costituiscono la fonte di energia necessaria per questa attività
L’ANIMALE DOMESTICO PIÙ PICCOLO AL MONDO – UNA GUIDA ILLUSTRATA
Le api sciamano per propagare le proprie colonie. L’ape regina anziana abbandona l’arnia originaria assieme a un gruppo consistente di individui
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IL RONZIO DELLE API
Le api si difendono con il loro pungiglione
Per il ruolo che svolge nell’impollinazione delle colture, l’ape mellifera è considerata la terza specie per importanza economica tra gli animali domestici europei
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L’ANIMALE DOMESTICO PIÙ PICCOLO AL MONDO – UNA GUIDA ILLUSTRATA
L’ape è il più importante agente nella conservazione della biodiversità delle angiosperme
Le api erano inevitabili Condizioni evolutive favorevoli hanno portato alla comparsa delle api.
La vita sul nostro pianeta, nel suo sviluppo e nella sua diffusione, ha sempre seguito principi costanti sin dal momento della sua comparsa, che si può far risalire a quattro miliardi e mezzo di anni fa. Una serie di semplici regole, ma fondamentali, e di formule di facile comprensione ha portato alla creazione di un mondo organico dalla straordinaria diversità e dall’incredibile complessità. Il motore alla base della dinamica dell’esplosione della vita è la “volontà di sopravvivere”, dove per “sopravvivenza”si intende l’abilità di riprodursi più velocemente di altri organismi in competizione. Riprodursi, da un punto di vista puramente astratto, significa produrre repliche di se stessi. Con il termine “replica” intendiamo riferirci proprio a “clone”. Perché è questo il senso con cui, nel mondo degli esseri viventi, il materiale ereditario produce vere e proprie copie di sé stesso. Gli acidi nucleici, macromolecole assemblate grazie a un grande numero di legami-ponte che formano una catena, sono riusciti ad affermarsi come unico materiale ereditario. Ogni anello in questa catena è composto da una delle quattro diverse basi organiche, più una molecola di uno zucchero e una molecola di acido fosforico. Una base di un anello che si trovi libero nell’ambiente circostante, e vicino a una catena esistente, durante la fase di replicazione finirà col legarsi solo a un tipo di anello fra quelli liberi, contenente la base complementare. Quando tutte le basi nella catena si sono legate alla propria specifica base complementare, si ottiene una replica “in negativo” dell’originale. Separato dallo stampo originale, questo “negativo” produrrà, attraverso l’unione con le basi complementari, una copia identica della catena originale. Allo sviluppo di questo tipo di molecole sulla terra, e alla loro dominanza su possibili (ma a noi sconosciute) alternative, è seguita un’avvincente iterazione perpetua: repliche di repliche hanno costruito un’ininterrotta linea di materiale ereditario per miliardi di anni, che si è estesa fino agli organismi viventi di oggi.
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IL RONZIO DELLE API
Non è difficile immaginare che le molecole che erano riuscite a replicarsi fossero già in competizione tra di loro per ottenere le risorse necessarie alla loro riproduzione. Le materie prime scarseggiavano già allora, e continuarono a diminuire man mano che crebbe il loro fabbisogno. Le molecole che iniziarono a impiegare gli enzimi allo scopo di velocizzare e rendere più efficiente la produzione di repliche furono in grado di scavalcare i concorrenti. Lo sviluppo di nuove molecole, tuttavia, richiede una riproduzione sì precisa, ma non totalmente priva di errori. Un livello tollerabile di errori nelle repliche garantisce l’esistenza di variabilità. Senza di essa, non ci sarebbe mai niente di nuovo. Da questo punto di vista, niente è cambiato nel corso dei millenni. Le mutazioni casuali dovute a errori nella riproduzione costituiscono un’importante risorsa per la comparsa di nuove forme viventi. Così, le nuove “versioni” prodotte costantemente possono presentare svantaggi che portano alla loro rapida scomparsa, o possono prosperare grazie alle loro caratteristiche vantaggiose per la sopravvivenza. Il risultato è una ricca variabilità tra gli acidi nucleici. Catene diverse racchiudono le istruzioni che costituiscono l’informazione genetica, detta anche genoma, di organismi specifici e che portano all’enorme biodiversità esistente. Dopo oltre quattro miliardi di anni, un periodo di tempo per noi difficilmente concepibile, il mondo è ancora gremito di molecole di acidi nucleici che si sono costituite in catene con infinite combinazioni di legami totalmente diverse fra loro. Queste catene non sono, però, osservabili in libertà nell’ambiente: hanno “acquisito” molteplici forme di “confezioni”. Ma perché i nucleosidi hanno scelto di ripararsi nelle profondità degli organismi? Non si tratta di isolamento dettato da timore.Tutt’altro: questi spregiudicati acidi nucleici sono sempre intenti a migliorare le proprie prestazioni rispetto ad altri acidi nucleici in diretta competizione con loro. In che modo la “confezione” li aiuta a raggiungere il proprio obiettivo?
La vita si complica Se vogliamo schematizzare le caratteristiche apparse nel corso dell’evoluzione, dallo scarno materiale ereditario originale (gli acidi nucleici) autoriprodottosi fino alle forme attuali, ecco cosa otteniamo:
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sono apparse nel tempo strutture sempre più complesse; le strutture complesse raggiungono congiuntamente risultati migliori rispetto ai singoli elementi di cui sono costituite; le strutture sono in grado di determinare il comportamento degli elementi di cui si costituiscono.
Il materiale ereditario di per sé stesso non diventa affatto più complesso. Le tre affermazioni precedenti riassumono la tendenza che risulta dall’evoluzione della “confezione”, il cosiddetto fenotipo dell’organismo, che il materiale ereditario (il “genoma”) sfrutta per condurre la battaglia con gli altri organismi, e per “sopravvivere e riprodursi meglio dei concorrenti”. Le prime cellule che in seguito costituirono una primordiale forma di organizzazione complessa apparvero circa tre miliardi e mezzo di anni fa. Esse presentavano già importanti elementi funzionali, ma non contenevano ancora il genoma all’interno di un nucleo. Si trattava di esseri unicellulari indipendenti che assorbivano dall’ambiente circostante il materiale e l’energia necessari a riprodurre il proprio genoma. Ancora oggi esistono esseri unicellulari indipendenti che hanno un ruolo importante nell’economia naturale: i batteri. Si tratta di organismi unicellulari che si sono fermati a una fase iniziale dell’evoluzione, ma comunque in grado di competere con gli organismi pluricellulari. In caso contrario, non sarebbero più fra noi. Le prime fasi dell’evoluzione degli organismi pluricellulari risalgono a 600 milioni di anni fa, circa tre miliardi di anni dopo l’apparizione delle forme di vita unicellulari. Con un grande passo avanti, gli organismi unicellulari originariamente indipendenti si aggregarono in esseri pluricellulari. Nel passaggio a questo successivo livello di complessità, le cellule non rinunciarono immediatamente alla propria indipendenza, ma costituirono delle semplici colonie. Grazie a questo fatto abbastanza casuale, le cellule “scoprirono” due vantaggi: la divisione dei compiti e la cooperazione. E fu così che venne a crearsi un “veicolo”provvisto di caratteristiche che le molecole del genoma riuscirono sfruttare al meglio per la riproduzione della propria diversità. Dall’aggregazione dei mattoni allora disponibili, si sono sviluppate strutture complesse, questo è innegabile. Ma come mai forme di vita costituite da corpi complessi dispongono di vantaggi? E quali sono questi vantaggi?
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Un vantaggio evidente risiede nell’opportunità di delegare compiti diversi a singoli elementi. Grazie a questo tipo di specializzazione, problemi di natura diversa possono essere affrontati allo stesso tempo, invece che in sequenza, come avviene nelle creature unicellulari. Assieme alle funzioni specializzate dei diversi tipi di cellule all’interno degli organismi pluricellulari, sorse anche la possibilità di integrare le varie attività: si spalancarono nuove strade per l’interazione con l’ambiente. Si trattò chiaramente di un passo evolutivo di grande successo, poiché gli organismi pluricellulari determinano l’aspetto attuale del mondo vivente. La morte programmata è apparsa con le forme di vita pluricellulari. I veicoli che i genomi avevano creato nella forma di organismi pluricellulari erano esseri mortali. Qualcuno potrebbe osservare che non fu un grande inizio, se l’intenzione era quella di affrontare una lunga lotta competitiva per la sopravvivenza. Ma un modo per risolvere questo dilemma c’era: bastava salvare dalla morte solo una piccola parte di cellule, e utilizzarle per creare la linea “immortale” di repliche. Era questo il modo per bilanciare il vantaggio dato dall’efficienza dell’organizzazione pluricellulare con la breve durata della vita. Attraverso questo meccanismo, gli animali pluricellulari delegano il trasferimento del genoma a cellule specializzate, le cellule germinali maschili e femminili. Grazie a loro sono nate le generazioni di stirpi e la trasmissione del genoma si svincolò dalla morte del suo portatore. La costituzione di sottostrutture complesse a partire da elementi stabili portò, quindi, alla nascita di organismi pluricellulari e alla soluzione del problema della mortalità del genoma.
La linea germinale I salti quantici evolutivi descritti nel paragrafo precedente hanno un fattore in comune: la possibilità di forgiare il materiale da costruzione esistente in strutture sempre nuove e più complesse. Si raggiunsero così nuovi livelli di complessità, e ognuno di essi apportò nuove possibilità al mondo degli organismi viventi. Se si segue la logica dell’organizzazione degli elementi in strutture fondamentali ordinate, il salto quantico successivo consisterebbe nella costituzione di sistemi ancora più complessi attraverso l’aggregazione
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Cellule
Organismi pluricellulari
Superorganismi
Fig. 1.1 Salti quantici di rilievo nell’evoluzione della complessità degli organismi. Una linea infinita di elementi che nascono da repliche, e continuano a vivere come repliche (qui identificate con cerchi rossi), è riuscita a sopravvivere senza soluzione di continuità dalla comparsa della vita fino a oggi. Inizialmente, le singole cellule custodivano la linea immortale nel proprio nucleo, trasmettendo il genoma di generazione in generazione. Quando gli esseri unicellulari si costituirono in organismi, si circondarono di strutture sempre più complesse, ma mortali. La linea, comunque, fu in grado di proseguire grazie alle cellule germinali. I superorganismi, come le colonie di api mellifere, nacquero a partire da singoli organismi. Tra di essi, solo le regine e fuchi, individui riproduttori, sono responsabili della perpetuazione della linea germinale. Negli organismi individuali, le cellule somatiche formano il sistema di supporto. Nel superorganismo della colonia di api, questo ruolo è assunto dalle api operaie. Nel diagramma, gli elementi incapaci di replicarsi sono rappresentati dai cerchi senza riempimento. Essi sono stati creati essenzialmente per assistere gli elementi riproduttori
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Materiale ereditario (genoma) = molecole autoreplicanti
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di individui in superorganismi (Fig. 1.1). Un osservatore della dinamica delle prime fasi della progressione evolutiva sulla terra, avrebbe già potuto prevedere, prima o poi, la comparsa di un superorganismo. L’unica condizione necessaria era la disponibilità di materie prime appropriate. Se si segue ulteriormente questa linea di pensiero, a un certo punto, i superorganismi stessi dovrebbero aggregarsi tra loro per formare il livello successivo: un essere capace di prevalere sui superorganismi. Per ora, l’evoluzione non ha raggiunto questa fase. La raggiungerà mai? Esistono segnali, rappresentati in particolare da alcune specie di formiche, che i progressi necessari potrebbero essere già in svolgimento.
Il superorganismo Le api mellifere, come ci appaiono oggi dopo circa 30 milioni di anni di storia, potrebbero essere definite “quasi inevitabili”. Presto o tardi, insomma, dovevano “succedere”. Forse in passato avevano una forma del corpo leggermente diversa, ma anche se non con l’aspetto delle api attuali, di fatto non c’è un’alternativa che possa competere con l’organizzazione alla base del “superorganismo della colonia di api”. In ogni caso, le api si sono potute sviluppare soltanto perché hanno trovato condizioni necessarie. Avanzare sul piano teorico la proposta della comparsa di un superorganismo è una cosa, identificarlo nella realtà è un’altra. Nel mondo naturale, superorganismi di un certo rilievo si trovano, eccezion fatta per le termiti, appartenenti a una tassonomia separata, soltanto tra gli imenotteri e in particolare tra le formiche, le api mellifere, i calabroni e le vespe. Il Capitolo 9 fornisce tutte le risposte sulle condizioni che furono necessarie alla comparsa del superorganismo. Ci limiteremo ora a concentrare il nostro interesse sul presente, riservando le considerazioni sul passato alle pagine successive. Nel superorganismo della colonia delle api troviamo un sistema altamente complesso; tuttavia, come accade per i sistemi più semplici, si tratta semplicemente di un veicolo per il genoma. Anche se presentato in una raffinata confezione, lo “scopo” del genoma è sempre lo stesso, e cioè quello delle molecole del brodo primordiale: una proliferazione più efficiente di
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quella degli organismi concorrenti. Le molecole, ovviamente, non “perseguono” intenzionalmente un obiettivo. Ma se si osserva lo scorrimento del processo evolutivo, gli elementi che sopravvivono si comportano come se avessero perseguito attivamente l’obiettivo di replicarsi. Questa affermazione serve a descrivere il processo, ma spesso questo concetto viene semplificato con termini antropomorfici quali “…le molecole fanno il possibile per…” oppure “…vogliono…”, o “…hanno l’obiettivo di…”. Individui specializzati all’interno dei superorganismi assumono il ruolo di portatori del genoma, proprio come avviene per le cellule germinali negli organismi pluricellulari. All’interno di una colonia è presente un numero ridotto di individui sessualmente attivi con il compito di trasmettere direttamente i geni. La maggioranza degli individui, invece, non si riproduce, ma svolge compiti importanti per la manutenzione della colonia, come la supervisione della crescita della prole e il controllo della qualità degli individui sessualmente attivi. Le strutture più complesse, come abbiamo detto precedentemente, riusciranno a raggiungere risultati migliori rispetto ai singoli elementi di cui sono costituite? E questo vale anche per le api? Le strutture complesse,poiché costituite da unità elementari, possiedono un numero maggiore di componenti delle strutture semplici. Ciò che ne deriva è la possibilità di un’interazione dei componenti all’interno di loro stesse. È questa la ragione per cui, in certe condizioni, le strutture complesse mostrano proprietà che non si spiegano con le proprietà possedute individualmente dagli elementi. Che a volte l’insieme abbia un valore maggiore della semplice somma delle sue singole parti era cosa nota e già teorizzata da Aristotele. Ed ecco come, sulla base del flusso di informazioni che intercorre tra tutti gli individui, una colonia di api è capace di “prendere decisioni” che le api non sarebbero in grado di prendere autonomamente. Il vantaggio che la colonia di api ha tratto dall’unione delle diverse abilità degli individui verrà illustrato nel Capitolo 10,“Il cerchio si chiude”. Un sistema complesso riesce davvero a influenzare e a determinare le proprietà dei suoi singoli componenti? Questa rappresenta un’altra questione di rilievo per le colonie di api. Le caratteristiche individuali delle api sono determinate da condizioni di vita che, a loro volta, sono controllate dalle api stesse. I Capitoli 6 e 8 tratteranno in dettaglio queste proprietà fondamentali nella biologia delle api mellifere.
L’immortalità si propaga Per vivere, le api traggono energia e materia dall’ambiente e li riorganizzano in maniera da garantire alle colonie le condizioni migliori per propagarsi. Questa è un’osservazione sul comportamento delle apiessenziale per comprendere il successo e le eccezionali prestazioni di questa specie.
Riproduzione e sessualità sono due processi distinti e sostanzialmente indipendenti. La riproduzione può avvenire senza atto sessuale, e l’atto sessuale senza riproduzione. Riproduzione è duplicazione, e la forma più semplice in cui si verifica è la divisione cellulare. Al contrario, la sesssualità si basa sulla fusione delle cellule germinali provenienti da due individui di sesso diverso. Il risultato è un aumento della diversità di una popolazione. Tale diversità è importante, in quanto offre alla selezione naturale un’ampia gamma di possibilità tra cui scegliere per indirizzare, e conservare, la progressione evolutiva. Le mutazioni all’interno del genoma hanno lo stesso effetto, ma non possono essere indotte, e avvengono in momenti e in posizioni casuali. La sessualità, invece, non dipende da questa casualità e produce con certezza individui con nuovi caratteri a ogni fecondazione. Di regola, gli animali più evoluti si riproducono attraverso l’accoppiamento sessuale, e di conseguenza sessualità e riproduzione non possono essere indipendenti. Tuttavia, rapporti sessuali senza riproduzione sono praticati dalle forme di vita unicellulari: due organismi unicellulari si fondono tra loro, si scambiano materiale genetico, e poi si separano. Da questa fusione risultano ancora una volta due organismi unicellulari, e di conseguenza non avviene nessun tipo di riproduzione, ma a causa dello scambio di materiale genetico, si creano individui geneticamente nuovi. Il risultato è un aumento nella diversità nella popolazione.
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Riproduzione e sessualità Le insolite procedure riproduttive e sessuali delle colonie di api mellifere e di api prive di pungiglione tropicali le collocano in una posizione unica nel regno animale. Di regola, gli animali che si riproducono attraverso rapporti sessuali si accoppiano e concepiscono una prole che, nelle dovute condizioni, si accoppierà a sua volta, dando origine alla generazione successiva. Il comportamento delle api, invece, è differente. Vi proponiamo un esperimento di facile realizzazione con un pensiero astratto: se tutti gli individui sterili all’interno di una colonia di api scomparissero all’improvviso alla nostra vista, ciò che rimarrebbe nell’arnia sarebbe solo un unico individuo femmina, la regina. Una volta l’anno, vedremmo questa femmina allevare tre figlie che, un anno dopo, si propagherebbero allo stesso modo, nella solita arnia o in un luogo diverso. Ogni estate, farebbero la loro comparsa migliaia di individui maschi, o fuchi, che poi lascerebbero l’arnia per accoppiarsi con le giovani regine delle arnie circostanti (Fig. 2.1). Da questo punto di vista, il comportamento sessuale e la propagazione delle api non sarebbe particolarmente eccezionale, se non fosse per il numero insolitamente ridotto di femmine riproduttrici, e per il fatto che queste femmine vivono per molti anni, mentre i maschi rimangono in vita solo per un breve periodo, e per l’estremo squilibrio esistente tra femmine e maschi. Un altro fatto degno di nota è che generazioni successive di femmine riproduttrici sono separate da un’alternanza di periodi di tempo brevi e più lunghi. Un numero di figlie pari a due o tre per ogni periodo di riproduzione è davvero limitato, se paragonato ad altri insetti la cui unica femmina può produrre fino a 10.000 discendenti fecondi, divisi più o meno equamente in maschi e femmine. Gli individui femmina sono chiaramente più preziosi rispetto ai maschi nel processo riproduttivo. Questi ultimi, infatti, sono la fonte di cellule spermatiche di poco valore e prodotte in massa, mentre le femmine producono un numero relativamente basso di preziose cellule uovo. Da un punto di vista puramente tecnico, un numero molto ridotto di maschi all’interno di una popolazione sarebbe sufficiente per fecondare tutte le femmine.
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Fig. 2.1 Se facessimo diventare di colpo invisibili tutte le api sterili all’interno del nido, rimarrebbero solo la regina e, alle volte, alcuni fuchi, come in questa immagine
Questo rende ancora più sorprendente la situazione che riscontriamo nelle api, che presentano un numero così ridotto di femmine rispetto a un numero così vasto di maschi. La condizione contraria sarebbe facile da comprendere, poiché un numero scarso di maschi sarebbe in grado di produrre sperma in quantità sufficiente per la fecondazione di tutte le cellule uovo. La successione regolare di periodi lunghi e brevi tra una nascita e l’altra di femmine fertili, le regine, è un altro motivo di sorpresa. In un dato periodo di tempo, la maggior parte degli animali accumula tante generazioni quante ne permettono la loro fisiologia e l’ambiente. Perché, allora, le api hanno scelto questa strada così singolare? La nascita di così poche figlie femmine è, per molti aspetti, estremamente rischiosa. Secondo Charles Darwin, la sovrapproduzione di molti e differenti discendenti è un requisito importante per l’evoluzione. Al contrario, nelle api la procreazione è molto limitata. La conseguenza è che esiste
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soltanto una gamma limitata di variazioni all’interno della specie delle api, e il processo di selezione naturale si trova ad avere un numero ridotto di possibilità tra cui scegliere. Inoltre, se i pochi discendenti esistenti venissero sterminati, i loro geni scomparirebbero dal serbatoio genetico. Solitamente, le specie animali che si occupano intensivamente della propria prole, e che quindi le garantiscono inizialmente una vita in un ambiente protetto, generano però un numero ridotto di figli. In casi ottimali, la cura da parte dei genitori si protrae fino alla maturità sessuale dei giovani. Messi al sicuro e costantemente protetti, i figli si fanno portatori di geni di generazione in generazione con una certezza maggiore rispetto a quanto avviene quando la prole è lasciata in balia dell’ambiente. Sarà utile ricordare qui le gravidanze dei grandi mammiferi, che di solito portano alla nascita di uno o due individui. In questo caso, i figli ricevono cure costanti per un lungo periodo. Quanto più ridotto è il numero di figli, tanto più lunghe e costanti sono le cure che ricevono. Questo sistema è paragonabile a quello utilizzato dalle api. Questa specie, infatti, ha sviluppato un sistema ottimale di cure di lunga durata per le sue giovani femmine feconde. Ma torniamo al nostro esperimento astratto: se ora facessimo comparire tutte le api sterili nella colonia, l’arnia ci apparirebbe improvvisamente popolata da molte migliaia di femmine sterili (Fig. 2.2).
Colonie figlie Le numerose api femmina sterili forniscono alla regina un ambiente protetto e offrono in dote a ogni giovane regina l’intera colonia quando la vecchia regina lascia il nido assieme a circa il 70% delle api operaie. La giovane regina che rimane nell’arnia, la figlia riproduttrice dell’anziana e ormai diventata regina, riceve in dono non solo un terzo delle api operaie, ma anche favi pieni di miele, polline e di larve in sviluppo. Non si potrebbe immaginare un inizio migliore per la vita di un’ape regina. Una colonia di api può produrre più di uno sciame. Dopo l’allontanamento dello sciame primario, nel nido rimane spesso un numero sufficiente di api tale da permettere un’ulteriore suddivisione tra due giovani regi-
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L’IMMORTALITÀ SI PROPAGA Fig. 2.2 I “mattoni” del superorganismo della colonia delle api sono costituiti dalla regina fertile, da numerose api operaie sterili e, nel periodo dell’accoppiamento, da una grande quantità di fuchi
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ne. Nel caso in cui ciò avvenga, gli sciami secondari che si riuniscono attorno a una regina, non raggiungono le dimensioni dello sciame primario. Le loro capacità di sopravvivenza dipendono dalla dimensione; le probabilità che sciami secondari di dimensioni molto ridotte hanno di sopravvivere sono scarse. La formazione di un numero molto ridotto di femmine riproduttrici si riflette nella divisione dell’arnia in poche colonie figlie, ognuna di esse raggruppata attorno alla propria nuova regina. La riproduzione attraverso la costituzione di un’intera colonia figlia è una strategia alquanto insolita, e fra gli insetti è nota soltanto nelle api mellifere, nelle api prive di pungiglione (che ai tropici assumono il ruolo delle api mellifere), e in alcune formiche in cui la riproduzione coincide con la divisione del nido. La sciamatura avviene nel periodo compreso tra aprile e settembre, in base alla latitudine geografica. Le nuove regine vengono generate quando lo sviluppo dei singoli membri nell’arnia ha raggiunto un picco e la covata è abbastanza grande da riuscire a compensare la perdita di adulti nella colonia originaria in seguito all’allontanamento dello sciame primario. I preparativi per la sciamatura iniziano da due a quattro settimane prima della partenza di massa: appaiono, infatti, le cellette delle regine che sporgono dal bordo inferiore del favo come piccole protuberanze (Fig. 2.3). La colonia può presentare queste particolari celle per lunghi periodi, ma le uova vi vengono deposte solo durante il periodo subito precedente la sciamatura. All’interno di una colonia si possono trovare fino a 25 celle di questo tipo contenenti potenziali regine, ma la maggior parte delle larve presenti non sopravvive. Il momento della sciamatura arriva quando la prima di queste larve è sufficientemente grande e le operaie possono chiudere la sua cella, per farla progredire alla fase di pupa. La regina anziana lascia il nido alcuni giorni prima che la nuova regina emerga nell’oscurità dell’arnia. Subito prima della partenza, le operaie destinate ad accompagnare la regina anziana riempiono le proprie sacche melarie con il miele prelevato dalle riserve del nido (Fig. 2.4). Questa provvista dura al massimo dieci giorni, un periodo di tempo durante il quale è necessario trovare un nuovo sito per il nido, e ristabilire una vita regolare per la colonia.
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Fig. 2.3 La costruzione di nuove cellette per le regine è il primo passo della colonia nei preparativi per la sciamatura. Le cellette per le regine sono situate lungo il bordo inferiore dei favi
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Poco prima di abbandonare l’arnia, le api sciamanti corrono tutt’intorno in un movimento febbrile, producono segnali attraverso vibrazioni ad alta frequenza, e stimolano la regina sciamante mordendole e tirandole zampe e ali. Un flusso torrenziale di api comincia a volare via dall’arnia (Fig. 2.5), riempiendo l’aria attorno al nido con il proprio brusio durante la formazione di un grande grappolo nelle vicinanze (Fig. 2.6). Esso servirà come base di partenza per la ricerca di una nuova casa. Il grappolo dello sciame è costituito da uno spaccato degli individui appartenenti all’arnia originaria, in cui vengono lasciate le api più giovani e quelle più anziane. Nel caso in cui l’arnia originaria, contenente la nuova regina, non sia abbastanza grande da produrre ulteriori divisioni dopo la partenza dello sciame primario, le api operaie distruggono le rimanenti celle delle regine, comprese le larve. Quando l’arnia avrà ristabilito le proprie dimensioni, le api ricominceranno ad allevare nuove larve nelle celle delle regine.
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La riproduzione per mezzo di poche, ma completamente efficienti, colonie figlie ha conseguenze importanti sull’intera vita delle api. Questo processo conferisce loro una potenziale immortalità, e permette la diffusione nell’ambiente di intere colonie che costituiscono delle “copie immortali”. Le colonie figlie non possono però considerarsi delle “copie genetiche” della colonia originaria. Ciascuno dei nuovi superorganismi possiede la propria struttura genetica. Gli individui all’interno di una colonia sono tutti figli della stessa madre. Solo i geni di cui la madre è portatrice – contenuti nelle uova o nello sperma maschile conservato nella ghiandola spermatica che essa possiede – possono essere presenti nella progenie che costituisce il profilo genetico della colonia. Anche se le nuove regine fossero gemelle omozigoti, non potrebbero produrre colonie con la stessa struttura geneti-
Fig. 2.4 Le api operaie riempiono le proprie sacche melarie con il miele prima della sciamatura. Lo sciame dovrà trovare una nuova casa e occuparla prima di esaurire queste riserve
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Fig. 2.5 Le api sciamanti “si riversano” letteralmente fuori dal nido
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ca, perché il comportamento suicida dei maschi, che muoiono dopo essersi accoppiati una volta (Cap. 5), garantisce che la prole di due regine non sia mai la stessa. La parte della colonia che rimane dopo la sciamatura è, naturalmente, identica a quella che se n’è andata, poiché tutti gli individui discendono dalla stessa madre che ha lasciato il nido. Però questa situazione è destinata a mutare nel momento in cui la nuova giovane regina comincia a deporre le proprie uova. Quando tutti gli individui originari saranno morti, il ricambio genetico sarà completato. Una colonia di api che occupi lo stesso nido per un periodo di tempo prolungato si trasforma, come un “camaleonte genetico”, con ogni nuova regina. Il superorganismo è sempre lo stesso, ma in realtà diverso.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 2.6 Lo sciame si insedia vicino al vecchio nido e invia delle esploratrici a cercare una nuova casa
Lo sciame primario della vecchia regina conserva, a sua volta, il proprio patrimonio genetico fino alla sostituzione della regina.
Il ciclo di vita del superorganismo Ogni generazione di organismi pluricellulari ha un ciclo di vita che comprende quattro fasi. Il ciclo comincia con la fase unicellulare, solitamente rappresentata dalla cellula uovo fecondata, seguita da una seconda fase di crescita e sviluppo. La terza fase comincia con l’arrivo della maturità sessuale. L’ultima fase, che spesso coincide con la terza, è il periodo della riproduzione. Le quattro fasi costituiscono una generazione.Tra le specie anima-
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li, la durata di una generazione può variare. Le singole fasi, infatti, dipendono dall’ambiente. Le stagioni, e le relative condizioni climatiche, con le loro influenze dirette e indirette, sono un fattore importante nella determinazione della durata di una generazione. La durata di una generazione di un’ape regina, a partire dallo sviluppo embrionale dell’uovo fino all’accoppiamento, è al massimo di un mese. Ma questo non significa che una nuova generazione di api regine venga prodotta ogni quattro settimane. Il periodo della generazione si complica con la divisione in fasi alterne di diversa durata: una fase iniziale di un mese e una seconda fase con una durata di quasi un anno. Un mese non è altro che la durata della generazione dalla deposizione dell’uovo destinato a produrre la nuova regina fino al momento del suo accoppiamento. La seconda fase della generazione, che dura quasi un anno, termina quando questa regina depone un uovo che diventerà la nuova regina, da cui si svilupperà la generazione successiva. In questo modo, viene stabilito un ritmo per cui generazioni successive di regine sono separate da periodi di durata molto diversa fra loro. Questa sequenza di durate diverse di generazioni è una strategia possibile solo nei superorganismi: la regina produce continuamente uova che producono api femmine, destinate a rimanere sterili. Api femmine feconde vengono prodotte solo al bisogno, grazie a una dieta speciale fornita dalle operaie alle larve allevate nelle cellette delle regine. Le operaie possono allevare individui riproduttori sostanzialmente in qualsiasi momento poiché, eccetto alcune settimane durante l’inverno, ci sono sempre larve presenti nell’arnia. Le nuove regine vengono normalmente allevate una volta l’anno, e dopo il breve sviluppo, dall’uovo all’accoppiamento, depongono uova per tutta l’estate. Le api operaie nella colonia determinano quindi la dinamica delle generazioni successive, manipolandole attivamente la cadenza temporale, ed estendendo la struttura temporale della breve generazione fisiologica della regina fino a un anno. Questa manipolazione permette alle api di far combaciare la durata della generazione degli individui riproduttivi con il ritmo della divisione e separazione della colonia attraverso la sciamatura. La divisione in colonie figlie coinvolge l’intera colonia e conduce a un ciclo diverso e semplificato rispetto a quello dei singoli individui. La
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colonia elude la fase unicellulare e non presenta nemmeno una vera e propria fase di crescita. Solo la dimensione della colonia subisce cambiamenti nel corso delle stagioni associabili a un aumento o decremento individuale del numero dei suoi membri: un’intensificazione degli individui in primavera, un (grande) calo durante la sciamatura all’inizio dell’estate, e una moria di individui in inverno. In teoria, la colonia è sempre in grado di affrontare una divisione, ma sono necessari alcuni preparativi per intraprendere questo passo. Perché gli altri animali pluricellulari non fanno la stessa cosa? Perché non si dividono come fanno gli organismi unicellulari? Lo sviluppo e la differenziazione degli elementi nell’organismo pluricellulare, a partire dalla fase unicellulare, è un processo dispendioso e complesso. Raggiungere l’immortalità attraverso la semplice e uniforme divisione di singoli componenti cellulari altamente specializzati non assomiglia per niente alla suddivisione che avviene in un’arnia tra api sostanzialmente simili e fisicamente separate. In natura non esistono “felini immortali” capaci di dividersi in tanti esemplari, creati per eludere le complicate procedure sessuali, poiché sarebbe tecnicamente troppo difficile. La genetica è in grado di spiegare la generale preferenza verso un ciclo di vita a quattro fasi. Come abbiamo già spiegato, l’associazione della riproduzione a un atto sessuale contribuisce ad aumentare la diversità all’interno di una popolazione, una condizione essenziale per l’evoluzione, come già teorizzato da Darwin. La sessualità, e la predisposizione di alcune cellule del corpo alla propagazione in organismi pluricellulari, implica la morte delle altre cellule che compongono il corpo. La divisione dei compiti tra le cellule germinali e le cellule del corpo, che ritroviamo negli organismi pluricellulari, ha introdotto il principio della morte nella storia della vita, non per casualità o per sventura, ma come principio programmato e generale (Fig. 1.1). Le api hanno trovato una strada a loro confacente in questo difficile panorama evolutivo. Hanno conseguito un vantaggio senza perderne un altro, riproducendo l’intera colonia attraverso la semplice divisione (sciamatura) e allevando allo stesso tempo individui riproduttori con generazioni la cui durata è sincronizzata con il ciclo di tale divisione. Attraverso
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Morte e immortalità Noi esseri umani possiamo vantarci dell’antica origine delle nostre città: alcune hanno una storia plurimillenaria, altre festeggiano il loro cinquecentenario. Ovviamente, le case e le strade originarie non esistono più, e nemmeno gli abitanti non sono gli stessi. Invece lo sono gli insediamenti e la posizione geografica che sono stati occupati costantemente come unità. Allo stesso modo, le colonie di api rappresentano unità costanti. L’eternità di una colonia di api è resa possibile da una sostituzione costante dei propri membri. Le operaie vengono sostituite in un periodo variabile compreso tra quattro settimane e dodici mesi, in base alla stagione, e le regine ogni tre-cinque anni. La vita dei fuchi, così come quella di molte operaie, dura solo due-quattro settimane. Una colonia composta da 50.000 api presenta un tasso di mortalità giornaliero di 500 individui, pari a un ricambio dell’1% al giorno e un ricambio completo della colonia, a eccezione della regina, in un periodo di circa quattro mesi. Questo ricambio costante non concorre all’alterazione dell’identità genetica della colonia. La struttura genetica della colonia muta completamente, però, quando una nuova regina diventa responsabile della nuova discendenza. Questo passo è l’inizio della “morte genetica” che pervade la colonia in
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la conservazione degli individui riproduttori, esse hanno preservato la possibilità della variabilità genetica. Le api si avvalgono quindi di un ricambio continuo di cellule germinali, come fanno tutti gli altri animali e piante che si riproducono sessualmente (Fig. 1.1). A differenza di altri animali multicellulari, esse conservano queste linee immortali di cellule germinali in un superorganismo anch’esso immortale, la colonia. La strategia della riproduzione della colonia attraverso la divisione, di conseguenza, finisce col semplificare il suo ciclo di vita e lo rende, in teoria, immortale. Il principio dell’immortalità raggiunta attraverso la fissione binaria si trova, pertanto, nelle forme di vita più elementari, gli organismi unicellulari, così come in quelle più complesse, i superorganismi.
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questa fase. Le nuove regine, con le proprie uova e con lo sperma dei fuchi con cui si sono accoppiate, sono dotate di un nuovo corredo genetico e questo vale per tutta la loro prole, che nel tempo va a popolare la colonia e a sostituire le api originarie. Tale avvicendamento avviene regolarmente con la nascita di una nuova regina e la divisione della colonia attraverso la sciamatura. Lo stesso rinnovamento genetico e la ricostituzione della colonia si può svolgere anche quando, in caso di emergenza (per esempio, la morte accidentale della regina), la colonia è costretta ad allevare una nuova regina a partire dalle larve disponibili (Fig. 2.7). Questo sistema di riserva consente anche alla colonia di sostituire una vecchia regina, diventata inefficiente, con una nuova regina che, durante il volo di accoppiamento, raccoglierà nuovo sperma e comincerà ad allevare api operaie. Una colonia di api che risiede in un’unica località, e che cambia regina ogni anno attraverso il naturale procedere della sciamatura, cambia il proprio “colore” genetico ogni anno. La potenziale immortalità delle colonie a fissa residenza potrebbe rappresentare un problema per le colonie di nuovo insediamento in un’area, dove potrebbero non trovarvi uno spazio adeguato. Nella pratica, tuttavia, questo problema non sussiste. Malattie, parassiti, predatori, carestie, scarsità di acqua o catastrofi quali un incendio in una foresta hanno un effetto regolatore, che spesso conduce alla fine di un’esistenza potenzialmente infinita, e contribuisce a creare lo spazio necessario ai nuovi arrivati. La probabilità di sopravvivere non è molto alta nemmeno per gli sciami che abbandonano una colonia. Quasi tutti gli sciami secondari non riescono a fondare una colonia, in particolare nel caso in cui si tratti di uno sciame debole e quando trovano cattive condizioni atmosferiche (Fig. 2.8). Gli sciami che sopravvivono alla prima stagione, tuttavia, hanno buone probabilità di perpetuare la propria esistenza.
L’organizzazione dei materiali e dell’energia La colonia originaria, in ogni caso, deve pagare il suo prezzo dovuto al lento, ma costante, abbandono di un grande numero di colonie figlie completamente autonome.
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L’IMMORTALITÀ SI PROPAGA Fig. 2.7 In risposta a un’emergenza, vengono costruite in poco tempo nuove cellette per le regine all’interno del nido di covata
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IL RONZIO DELLE API Fig. 2.8 Questo sciame non ha trovato una casa nuova in tempo per sfuggire a un temporale
La creazione di colonie figlie non è per le api una faccenda secondaria: la loro intera biologia si basa sullo sfruttamento di materiale ed energia tratti dall’ambiente, e sulla loro manipolazione allo scopo di produrre colonie figlie della migliore qualità. Si tratta di un concetto fondamentale per comprendere la natura delle abilità e delle prestazioni delle api. Le api si lasciano alle spalle l’autosufficienza e la protezione dei propri nidi per raccogliere materiale ed energia per mantenersi in vita, e per prepararsi e attuare la divisione annuale della colonia.
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L’IMMORTALITÀ SI PROPAGA Fig. 2.9 Il miele è la fonte di energia solare nell’oscurità dell’arnia. L’energia solare è catturata dalle piante, e trasformata chimicamente nello zucchero contenuto nel nettare. Le api mellifere trasportano il nettare all’interno del nido e accumulano l’energia solare chimicamente convertita sotto forma di miele
Come fanno le api a gestire il flusso di questo materiale ed energia attraverso una colonia? Il sole regola la vita sulla terra: consente alle piante di catturare e fissare l’energia che emana e di sintetizzare materia organica. Il materiale vegetale che ne risulta, assieme all’energia conservata in esso, viene poi utilizzato dagli animali. Questo è particolarmente vero per la manutenzione di una colonia di api, e per la produzione delle colonie figlie. Per questo motivo, le api sono completamente dipendenti dalle angiosperme (Fig. 2.9).
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IL RONZIO DELLE API
COLONIE DI API MELLIFERE
PIANTE ANGIOSPERME
COLONIE FIGLIE
FRUTTI
GIOVANI REGINE
SEMI
Fig. 2.10 La biologia delle colonie di api e quella di molte piante angiosperme sono strettamente legate. Le colonie di api producono colonie figlie con giovani regine portatrici delle cellule germinali femminili. Le angiosperme producono frutti contenenti semi. Il flusso ininterrotto di materiale ed energia dai fiori alla colonia di api permette la sostituzione costante dei membri della società e quindi l’esistenza di una “colonia eterna” che crea la sequenza perpetua di colonie figlie
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L’IMMORTALITÀ SI PROPAGA
Lo sfruttamento delle angiosperme da parte delle api non è unilaterale. Piante angiosperme e api si sostengono a vicenda nel più importante compito degli esseri viventi, quello della propagazione. Visitando i fiori, le api trasportano il polline da uno all’altro, e quindi si fanno esecutrici dello scambio sessuale necessario ai fiori per sviluppare i frutti contenenti i semi. Le colonie figlie sono il “frutto” della colonia di api, la cui produzione dipende dal nettare e dal polline raccolti. Per continuare questa analogia con le piante, ovviamente molto semplificata, gli individui riproduttori contenuti nelle colonie figlie sono i “semi” delle api (Fig. 2.10).
Le api – Un modello di successo Le api sono un gruppo animale relativamente povero in termini di diversità di specie, ma esercitano una vasta influenza sul biotopo.
La diversità di specie fra le api mellifere è notevolmente bassa. Sono note solo nove specie del genere Apis, non esattamente un record per la classe degli insetti. Esse sono raggruppate, assieme ai calabroni, nella famiglia degli Apidi (Apidae). Otto tipi di api mellifere vivono in Asia, mentre solo una specie, l’Apis mellifera, è presente in due continenti, Europa e Africa. Qui si sono sviluppate molte razze che possono incrociarsi tra di loro. L’Apis mellifera si è poi diffusa in tutto il mondo grazie all’intervento umano. Il fatto che esista un’unica specie su due interi continenti potrebbe conferire a questo genere animale un’immagine marginale e insignificante. Cadremmo però in errore se considerassimo le api un ininfluente gruppo di nicchia a causa della loro scarsa diversità. Basti pensare fino a che punto un altro genere molto povero in termini di diversità, il genere Homo, abbia contribuito a cambiare l’aspetto del pianeta. Il ruolo svolto dall’uomo, per sua natura e dimensione, è paragonabile al contributo che le api hanno dato al dominio delle angiosperme sul mondo vegetale (Fig. 3.1).
Una “garbata” impollinazione Le angiosperme sono apparse sulla Terra 130 milioni di anni fa. Inizialmente, il vento rappresentava il loro unico postillon d’amour. Lo scambio sessuale era piuttosto inefficiente e richiedeva enormi quantità di polline, sparse in un viaggio dai risultati altamente imprevedibili e, la maggior parte delle volte, fallimentari. E nelle zone prive di vento, non poteva proprio funzionare. Un progresso significativo fu legato alla scoperta del polline quale fonte di nutrimento da parte degli insetti, che allora si limitavano a divorare le
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IL RONZIO DELLE API Fig. 3.1 L’immensa diversità di specie che caratterizza le angiosperme è in notevole contrasto con lo scarso numero di specie di api che le impollinano
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Fig. 3.2 I coleotteri delle rose (Cetonia aurata) hanno oggi un comportamento sprezzante dei fiori, simile a quello che gli insetti avevano all’inizio della loro collaborazione con le piante: li divorano. Il coleottero delle rose è provvisto di un rostro sul capo, con il quale raggruppa le antere in modo da abbatterne il maggior numero possibile
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antere che lo contenevano (Fig. 3.2). Così facendo, gli insetti contribuivano a trasportare una quantità sufficiente di polline dalle antere dei fiori di una pianta agli stami di altri esemplari presenti nelle vicinanze. Questo comportamento piuttosto sprezzante nei confronti dei fiori è ancora tipico oggi del coleottero delle rose (Cetonia aurata). Le piante, però, necessitano di un sistema efficiente e senza danni collaterali per trasportare il polline da un fiore all’altro. Ed ecco che le angiosperme hanno trovato nelle api un prezioso elemento con cui sono riuscite a stringere una solida alleanza, in seguito a un lungo percorso evolutivo affrontato insieme. Christian Conrad Sprengel fu il primo a descrivere questa relazione in un pregevole libro pubblicato nel 1793, intitolato “Das entdeckte Geheimnis der Natur im Bau und in der Befruchtung der Blumen” (Il segreto rivelato della natura della costruzione e fecondazione dei fiori). Nonostante le sue acute teorie siano oggi molto apprezzate, Sprengel non trasse grandi soddisfazioni dal suo lavoro. Le sue dissertazioni furono completamente ignorate dal mondo scientifico, finendo per essere attaccate a causa dell’impertinente resoconto che egli si permise di fare sulla sessualità dei poveri fiori. Tuttavia, gli scritti di Sprengel furono in seguito fonte d’ispirazione per uno scienziato, quale Charles Darwin. Nel 1860 Darwin condusse degli esperi-
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Fig. 3.3 Immagine scattata con una fotocamera termica che mostra un calabrone mentre raccoglie il nettare da un fiore della famiglia Asteracee. I calabroni, e probabilmente anche le api, preferiscono i fiori dal nettare caldo
menti sulle angiosperme, coprendo alcune piante con delle reti per impedire agli insetti impollinatori di raggiungerle. Quando osservò che quelle piante coperte non avevano prodotto frutti, a differenza dalle piante di controllo accessibili agli insetti, Darwin giunse all’ovvia conclusione. Il sistema di impollinazione “ideato” dalle angiosperme ha portato alla dipendenza dagli insetti. Questi ultimi non fanno altro che scegliere tra le diverse possibilità offerte loro, come si trattasse di un mercato dove le angiosperme si fanno concorrenza per accaparrarsi i clienti. Viste come venditori, le piante offrono diverse quantità e qualità di nettare agli impollinatori. Il contenuto di polline varia da fiore a fiore e la temperatura del nettare può diventare un importante criterio di qualità usato dalle piante. I calabroni (Fig. 3.3), per esempio, preferiscono i fiori a nettare caldo, da cui traggono direttamente calore corporeo, oltre all’energia chimica sotto forma di carboidrati. I dati a nostra disposizione indicano che le api mellifere si comportano alla stregua dei calabroni, preferendo, tra tutti, i fiori che offrono nettare a temperatura più calda. Molte delle “urla” dei venditori al mercato dei fiori si basano sul mondo percepito dalla vista e dall’olfatto delle api. La necessità di offrire alle api in cerca di cibo un prodotto particolarmente attraente aumenta con il numero di concorrenti, tutti in fiore nello stesso periodo dell’anno. Ciò che le api ritengono particolarmente attraente è determinato dalle loro capacità di
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discriminazione, e dal grado delle loro capacità “intellettuali”. Nel Capitolo 4, tratteremo questi aspetti nel dettaglio. Con l’avvento di insetti impollinatori meno dannosi per le proprie strutture, le piante cominciarono a racchiudere le parti dei propri fiori, contenenti le cellule germinali, in un ambiente riparato, per proteggerle dal vento e dalle intemperie e dalla devastazione provocata dagli impollinatori divoratori di polline. Questa fu l’origine dei fiori con insolite proprietà visive e olfattive, il cui scopo era quello di attrarre i tanto agognati clienti. Le api mellifere sono gli impollinatori più importanti nella maggior parte delle aree del pianeta dove sono presenti piante angiosperme, ma non sono affatto gli unici insetti a svolgere questo ruolo. Mosche, farfalle, coleotteri e altri imenotteri parenti delle api, come le api solitarie, le vespe, i calabroni e anche le formiche contribuiscono a impollinare le piante. Solo un numero ridotto di fiori dipende unicamente da una specie di insetto, anche se nessun altro impollinatore è efficiente quanto le api. Complessivamente, l’80% delle angiosperme in tutto il mondo viene impollinato da insetti. Circa l’85% di queste piante è impollinato dalle api. Addirittura il 90% dei fiori degli alberi da frutto dipende dalle api mellifere. L’elenco delle angiosperme impollinate dalle api comprende circa 170.000 specie. Le stime dicono che il numero di specie di angiosperme dipendenti dalle api, senza le quali avrebbero di sicuro vita difficile, è di circa 40.000. Questo oceano di fiori è impollinato in tutto il mondo solo da nove specie, e in Europa e in Africa solo da una, che assume un ruolo cruciale per la maggior parte delle angiosperme. Questo estremo squilibrio numerico tra piante e impollinatori è sorprendente. Ne consegue che le api hanno così tanto successo in quest’area da lasciare poco spazio alla coesistenza di concorrenti aventi la stessa occupazione. Si tratta di un esempio di vera e propria globalizzazione e di monopolio nel mondo animale. Le api mellifere, dotate di grande diligenza, possono certamente dare una lezione ai propri concorrenti. Un’unica colonia di api è capace di visitare diversi milioni di fiori in un solo giorno di lavoro. Le api informano le compagne della scoperta di una nuova area dove sono presenti fiori: in breve tempo la colonia visiterà tutti i fiori, nessuno escluso. Come se non bastasse, le api sono generaliste e possono entrare in contatto con qual-
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siasi varietà di fiore, quindi offrono il loro servizio a tutti e con la stessa probabilità. L’alto numero di fiori visitati, il rapido reclutamento di un numero sufficiente di bottinatrici, e la grande capacità di adattamento delle singole api, così come dell’intera colonia, alla “congiuntura” floreale in perenne mutamento, rende le api l’alleato ideale delle piante angiosperme. Quest’ultime, d’altra parte, hanno fatto il possibile per richiamare l’attenzione delle api. Cedere il polline agli insetti visitatori non era certo una novità per i fiori, ma per lo meno le api se ne appropriano in maniera “garbata”: il polline rimane appiccicato ai folti ciuffi di peli ramificati che ricoprono il loro corpo (Fig. 3.4). La possibilità di servirsi di questi affidabili e rispettosi trasportatori consente ai fiori di produrre meno polline rispetto alla dipendenza dall’impollinazione del vento, e certamente una quantità molto minore rispetto alla dipendenza dai coleotteri che si cibano dei fiori. Non più spinti dalla necessità, i fiori hanno cominciato a limitare la produzione di polline al minimo indispensabile. Di conseguenza, nella loro evoluzione, le api hanno sviluppato un’attrezzatura che ha permesso loro una raccolta e un trasporto efficiente del polline, ora diventato più scarso. Le zampe anteriori, centrali e posteriori vengono messe contemporaneamente in funzione con un movimento avente lo scopo di produrre solidi pacchetti di polline, da fare invidia a qualsiasi mietitrice automatica. Alla fine del procedimento, una grande pallottola di polline viene fissata all’esterno di ogni zampa posteriore. Lì viene accuratamente sistemata, circondata da peli ricurvi collocati attorno al bordo della tibia, le cosiddette cestelle (Fig. 3.5).
La dolce tentazione Durante la co-evoluzione con i fiori, le api non hanno assunto la loro forma solo per il trasporto del polline. Le felci, che popolarono la Terra molto prima delle angiosperme, secernono dai tubi cribrosi una grande quantità di succo dolce, prodotto secondario della fotosintesi. Le angiosperme hanno conservato questa caratteristica, e hanno prodotto un nettare a partire dallo scarto originario, a uso e consumo esclusivo delle api (Fig. 3.6).
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Fig. 3.4 Gran parte del prezioso polline si appiccica ai peli presenti sul corpo delle api
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IL RONZIO DELLE API Fig. 3.5 Il polline viene raccolto dai peli e compattato in pallottole saldamente collocate sulle zampe posteriori, pronte per affrontare il volo verso casa. Le api sono in grado di ritornare da un volo con una riserva di polline che può arrivare a pesare 15 mg. Una colonia di api trasporta ogni anno 20-30 kg di polline puro all’interno dell’arnia
Lo sfruttamento di questa ghiotta fonte di nutrimento ha portato le api mellifere a sviluppare appositamente la forma di alcune parti della bocca, e una piccola sacca nell’apparato digerente che, in un’ape dal peso corporeo di 90 mg, può contenere fino a 40 mg di nettare, vale a dire quasi metà del suo peso. Il contenuto di questa sacca, o ingluvie, è proprietà comune della colonia. Le api necessitano solo di una piccola parte del loro raccolto per sé stesse. Quando ne hanno bisogno, il nutrimento è prelevato attraverso una piccola valvola situata tra la sacca melaria e l’intestino tenue. I fiori fanno di tutto per attrarre le api. Un fiore di ciliegio può produrre da solo oltre 30 mg di nettare al giorno, e un intero ciliegio può arrivare a
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LE API – UN MODELLO DI SUCCESSO Fig. 3.6 Una rara bottinatrice che raccoglie polline e nettare allo stesso tempo, con una grande goccia di nettare sulla bocca. La goccia viene inghiottita e trasportata nell’ingluvie. Una volta nell’arnia, l’ape rigurgita il nettare, mescolato agli enzimi, pronto per essere immagazzinato dalle api di casa nelle cellette del favo
produrne due chili. La quantità che una singola ape bottinatrice può portare al nido a ogni volo può raggiungere i 40 mg, equivalente circa alla produzione giornaliera di un fiore di ciliegio. Diversamente, il melo presenta una produzione di nettare di soli 2 mg per fiore. Pertanto, le api ne devono svuotare un numero molto maggiore. L’ingluvie di una bottinatrice può contenere la produzione di circa 20 giorni di questi fiori. In ogni caso, per riempire la propria sacca, un’ape non può limitarsi a visitare due fiori di ciliegio o 20 fiori di melo. Per ogni fiore, l’ape può raccogliere solo la piccola quantità giornaliera di nettare disponibile al momento della visita, che verrà poi rimpiazzata dal fiore. Si stima che in un solo giorno un’ape possa visitare un numero record di 3.000 fiori (Fig. 3.7).
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IL RONZIO DELLE API Fig. 3.7 Una schematizzazione delle visite ai fiori effettuate da un’ape in una mezza giornata. Un’ape può riuscire a visitare fino a 3.000 fiori in un giorno, anche se molte di queste visite si limitano a brevi voli che producono un piccolo raccolto di nettare
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Le api operose Le api devono abbandonare la comodità e la protezione offerte dal nido durante il periodo dell’accoppiamento più frequentemente per raccogliere materiale ed energia. Le bottinatrici di una colonia praticano voli di ricognizione, e costituiscono una fitta rete che copre l’area nei dintorni del nido. Ogni fiore presente nelle vicinanze è incluso in questa rete invisibile. Per questo motivo la maggior parte delle piante angiosperme non ha bisogno di dipendere da altri insetti impollinatori. Una colonia di api è teoricamente in grado di coprire un’area fino a 400 km2 attorno al proprio nido, se teniamo conto in questa stima della distanza massima che un’ape che abbia fatto il pieno di energia nell’arnia può raggiungere in volo, cioè 10 km in linea d’aria. Le api intraprendono voli tanto lontani solo quando hanno estremo bisogno di nettare, poiché in questi casi il dispendio di energia è quasi pari alla quantità di energia raccolta. Insomma, si evita per poco di andare in perdita. Nella maggior parte dei propri voli, le bottinatrici coprono tra i due e i quattro chilometri di distanza dal nido. Si tratta di una distanza economicamente tollerabile, in termini di energia sotto forma di miele usato come carburante, e di energia portata a casa sotto forma di nettare.
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Questo numero non implica, però, 3.000 viaggi su e giù dall’arnia, dato che la bottinatrice visita molti fiori a ogni volo. A questo proposito, le api tendono a essere pigre. Il numero di fiori che una bottinatrice visita durante i suoi relativamente pochi giri quotidiani aumenterà solo se i fiori offrono scarse quantità di nettare. I fiori non mettono a disposizione delle api una quantità infinita di nettare. La produzione di nettare è una strategia per attrarre le api, e per le piante ha un costo in termini di investimento in materie prime ed energia. Un’analisi in termini di efficienza economica ci dimostrerebbe che per la pianta è molto più efficace una secrezione graduale di nettare che stimoli una frequenza maggiore di visite. Un grande numero di api in arrivo e in partenza ha come risultato un’impollinazione più efficiente, e un costo minore in termini di nettare. I fiori, però, non possono fare troppo i parsimoniosi, altrimenti i clienti li eviterebbero e volerebbero da fiori concorrenti più generosi.
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La bottinatura è probabilmente il periodo più impegnativo nella vita di un’ape mellifera. Non ci deve stupire più di tanto che studi recenti abbiano scoperto come le bottinatrici dormano profondamente e a lungo (Fig. 3.8). Le giovani api dormono per periodi più corti, e non rispettano l’alternanza giorno/notte. Le bottinatrici dormono per periodi più lunghi e soprattutto durante la notte. Le api dormono solitamente nell’arnia, ma si possono trovare addormentate anche all’esterno (Fig. 3.9). Durante il sonno, questi animaletti presentano una posizione dovuta alla mancanza di tono muscolare: le antenne pendono verso il basso e le zampe sono ripiegate sotto il corpo. La ragione per cui le bottinatrici debbano dormire è difficile da stabilire, così come lo è per molti altri organismi. Il fatto che sia un aspetto tipico delle bottinatrici dimostra l’importanza del riposo per compensare lo sforzo fisico necessario al servizio prestato fuori dall’arnia. I fiori non sono sempre disponibili in qualsiasi momento e ovunque entro il territorio di una colonia. A seconda dell’area geografica, i fiori possono essere stagionali (e in tal caso essere praticamente ovunque allo stesso tempo), oppure possono essere presenti tutto l’anno, ma concentrati solo in zone precise. La prima situazione riguarda le api che vivono a latitudini temperate, la seconda quelle che vivono ai tropici. La scoperta e la raccolta delle risorse pone alle api, indipendentemente dalla natura del loro ambiente, una serie di problemi. Un’apparizione di fiori limitata ad alcune aree, in momenti imprevedibili per le api, comporterebbe un innalzamento del livello di competizione tra le colonie di api presenti nello stesso territorio. Questa situazione è causata dalle specie tropicali di angiosperme che producono fiori in mezzo a un mare di foglie verdi; le api possono trovare un albero in fiore in qualunque momento dell’anno, alle volte in un posto, alle volte in un altro. Le api si sono evolute in queste condizioni e hanno ottimizzato la propria strategia di raccolta attraverso un ingegnoso sistema di comunicazione. Quando le api si sono spinte, a partire dai tropici, fino a latitudini più temperate, vi sono giunte completamente equipaggiate. Per lo sfruttamento efficiente della risorsa costituita dai fiori, la colonia di api ha sviluppato anche l’abilità di distribuire in maniera precisa il numero corretto di bottinatrici in un’area, sulla base della produttività dei fiori locali. Le fonti prolifiche sono visitate di frequente; fonti meno feconde non sono ignorate del tutto, ma vedono il dispiegamento di una forza lavoro più ridotta. Le fonti esaurite, invece, non vengono visitate per nulla.
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Fig. 3.8 Le operaie dormono soprattutto di notte in gruppi situati lungo le zone tranquille ai margini del favo
Fig. 3.9 Può succedere di incontrare una bottinatrice addormentata su un fiore
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Quanto, e dove? Se l’uomo dovesse ottimizzare il proprio raccolto in termini di disponibilità di nettare e polline, e distribuire la manodopera utilizzabile in maniera appropriata, la sua strategia dipenderebbe da informazioni dettagliate sulla produzione di tali risorse sul campo. Oltretutto, la situazione cambia continuamente, per cui si renderebbe indispensabile un aggiornamento costante. A tutto ciò dovrebbe aggiungersi una relazione precisa sulle scorte presenti in casa, perché quando queste sono al completo è necessario raccogliere molto meno materiale. Il numero di api impiegate come bottinatrici è molto variabile, ed è suddiviso in diversi gruppi di raccoglitrici di nettare e polline. In realtà, esistono soltanto pochissime bottinatrici (al massimo il 15%) che trasportano allo stesso tempo nettare e polline (Fig. 3.6). La maggior parte delle bottinatrici al lavoro raccoglie esclusivamente nettare o polline. Nessuna ape possiede singolarmente una visione d’insieme della domanda e dell’offerta, e si assume la responsabilità di distribuire la forza lavoro. Tuttavia, grazie alle osservazioni e agli esperimenti, è noto che una colonia di api distribuisce in maniera ottimale le proprie api bottinatrici sul campo. Come funziona questo sistema, se nessun individuo all’interno della colonia ha la minima idea della situazione generale? La risposta risiede in un meccanismo di distribuzione decentralizzato e in grado di auto-organizzarsi. Per decentralizzato si intende che non c’è nessuna autorità a “dare ordini”. In grado di auto-organizzarsi significa che la struttura del dispiegamento della forza lavoro nel complesso deriva da tanti piccoli contatti tra gli individui. Tali piccoli contatti servono a scambiarsi singole informazioni riguardo ai milioni di fiori sparsi sul campo. La colonia di api lancia la propria rete su diverse centinaia di chilometri quadrati, e la stringe sul luogo dove una visita è proficua, mentre la allarga quando c’è poco da guadagnare. Le api esploratrici, che di solito costituiscono il 5-20% di quelle che volano lontano dalla colonia, sono alla continua ricerca di fonti di nutrimento, e condividono le proprie scoperte con le loro compagne di nido. L’impegno dedicato alla bottinatura da parte di una colonia che presenta bisogni maggiori non è regolato con un aumento del carico di lavoro delle bottinatrici già attive sul campo.Oltretutto,la capacità di bottinatura dei diversi indi-
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Fig. 3.10 Le attività di bottinatura nel corso della vita di un’ape possono essere misurate applicando un microchip al momento della sua schiusa dalla pupa. Si possono così stabilire le differenze fra i vari individui e studiare i fattori che influenzano la loro attività di bottinatura
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vidui non è la stessa. Ci sono bottinatrici pigre che si accontentano di un numero scarso di voli al giorno, da uno a tre. Ci sono anche delle vere e proprie bottinatrici stakanoviste che realizzano dieci o più voli al giorno. La diversa personalità dei membri apparentemente identici di una colonia si scopre solo dopo una lunga osservazione del loro comportamento.Con l’applicazione di un minuscolo microchip RFID (identificazione a radio frequenza) sul torace di ogni ape al momento della nascita,è possibile monitorare il comportamento di ogni individuo durante tutta la sua vita (Fig. 3.10). Queste colonie esaminate “ai raggi X” servono a studiare la personalità delle singole api,in tutti i suoi aspetti (operosa, pigra, pacifica, aggressiva, con preferenza per il caldo/freddo). La differenza tra gli individui è comunque piuttosto ridotta, e pertanto la gamma altamente dinamica dei comportamenti mostrati da una colonia non può essere spiegata attraverso questo approccio. L’infittirsi della rete di bottinatura sul campo è più spesso il risultato di un aumento del reclutamento di bottinatrici che volano verso le fonti più proficue. La presenza di bottinatrici inattive, e il loro impiego a
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seconda della necessità, è il segreto che permette a una colonia di sfruttare in maniera ottimale i fiori sparsi sul suo territorio, nonostante la mancanza di un “supervisore”. In tale modo, alcune centinaia di bottinatrici attive ed efficienti possono portare alla mobilizzazione di un terzo dell’intera colonia. La co-evoluzione di api e fiori ha portato a una relazione non caratterizzata da reciproca generosità, ma piuttosto da un reciproco sfruttamento. Il risultato è stato un circolo virtuoso che ha portato a uno stupefacente legame in cui le api e i fiori hanno influenzato la propria esistenza e così stretto, che le api, nel servizio prestato ai fiori, non lasciano molto spazio ad altri insetti. Una delle poche chance a disposizione dei competitori riguarda la temperatura alla quale le api cominciano la bottinatura. Le api riescono a levarsi in volo quando la temperatura esterna raggiunge circa i 12 °C. I calabroni, che sono in grado volare a circa 7 °C, possono approfittare di questa opportunità per visitare gli stessi ambiti fiori in maniera del tutto indisturbata. Il terzo importante prodotto vegetale raccolto dalle api è la resina, che esse trasformano in propoli da applicare attorno e all’interno del nido. Solo una piccola parte della resina raccolta proviene dai fiori. La maggior parte proviene dai germogli, dai frutti o dalle foglie (Fig. 3.11). Le piante non sembrano aver sviluppato alcun adattamento particolare a questo scopo, anche se questa possibilità non può essere esclusa del tutto. La capacità di bottinatura di una singola ape dipende, come quella dell’intera colonia, da una serie di variabili. Un facile approccio è costituito dal calcolo dei risultati annuali della bottinatura di una colonia, che in larga misura dipendono dalla sua dimensione. La quantità approssimativa di nettare raccolto da una colonia tipica può essere stimata come segue: • una bottinatrice trasporta tra i 20 e i 40 mg di nettare nella propria ingluvie; • una bottinatrice porta a termine dai tre ai dieci voli al giorno; • una bottinatrice svolge la propria opera di raccolta in un periodo che va da 10 a 20 giorni; • una colonia impiega tra le 100.000 e le 200.000 bottinatrici all’anno. Sulla base di questi dati, possiamo calcolare il valore minimo e massimo attesi per la raccolta di nettare: • valore minimo: 20 mg x tre voli al giorno per 10 giorni x 100.000 api: 60 kg di nettare;
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LE API – UN MODELLO DI SUCCESSO Fig. 3.11 Alcune api si specializzano nella raccolta di resina dalle piante, trasportandola all’arnia sulle zampe posteriori
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valore massimo: 40 mg x dieci voli al giorno per 20 giorni x 200.000 api: 1.600 kg di nettare. La conversione di un’unità di nettare in miele riduce la quantità di circa la metà, pertanto ci si può attendere una produzione di miele compresa tra 30 e 800 kg l’anno per ogni colonia. La quantità minima calcolata con questo metodo è probabilmente sottostimata, e la quantità massima è sovrastimata, ma i valori rendono l’idea delle quantità reali di nettare raccolto e di miele prodotto. Nel Capitolo 8 ritorneremo a fare alcune considerazioni sulla quantità di materiale raccolto nella bottinatura realmente necessaria a una colonia di api. Una colonia di medie dimensioni raccoglie circa 30 kg di polline l’anno. E considerata la consistenza relativamente “leggera” del polline, si tratta di una quantità impressionante. La quantità di resina che una colonia di api raccoglie e porta fino all’arnia è pari a diversi ettogrammi.
Cosa ne sanno le api dei fiori Il mondo percepito alla vista e all’olfatto delle api, il loro orientamento nello spazio e gran parte del loro sistema di comunicazione si basano sulla relazione con le angiosperme.
Il polline e il nettare sono materie prime rinnovabili che le api trovano in natura: la costruzione e il funzionamento dell’intera colonia si basano interamente su di esse. La presenza dei fiori nell’ambiente non è costante, né la loro disponibilità è illimitata. I fiori sono una risorsa insostituibile per la quale le colonie di api sono in competizione tra loro e con gli altri insetti. Per affrontare questa sfida, le api hanno sviluppato alcune sorprendenti abilità che permettono loro di raggiungere per prime i fiori e trarre da essi ciò di cui hanno bisogno. Sapere è potere, e questo vale anche per le api. Ma cosa ne sanno le api dei fiori? E da dove proviene la loro conoscenza? Ciascuno, in teoria, ha tre modi per accrescere il proprio bagaglio di conoscenze: • le informazioni sono ereditate, contenute nel genoma (istinto); • le informazioni sono ricavate dall’esperienza (apprendimento); • le informazioni sono trasmesse da membri esperti apparteneni alla stessa specie (comunicazione). Gli organi di senso sono la chiave della relazione con l’ambiente, grazie a cui gli organismi apprendono e comunicano. Questi organi non sono finestre passive sul mondo. Al contrario, grazie all’esistenza dei centri di integrazione sensoriale nel sistema nervoso centrale, essi creano categorie importanti dal punto di vista biologico, ma che in certi casi non esistono come entità fisiche. La percezione dei colori è un esempio della capacità di provare qualcosa che non esiste materialmente. I colori, infatti, non esistono al di fuori del mondo sensoriale degli organismi viventi. Le onde elettromagnetiche, di cui fa parte la luce, costituiscono uno spettro continuo. Solo la parte di
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questo continuum che stimola le cellule sensoriali di un animale verrà percepita come luce. I colori vengono introdotti nel mondo sensoriale degli organismi da diverse cellule recettrici, sensibili a diverse regioni dello spettro della lunghezza d’onda della luce. Le categorie di colori che, nel corso dell’evoluzione, hanno continuato a essere importanti sono legate alle caratteristiche degli strumenti sensoriali degli organismi, e all’importanza che questi colori hanno per la loro sopravvivenza e propagazione. Il mondo sensoriale delle api si è adattato in maniera straordinaria ai segnali trasmessi dai fiori. Le api sono molto sensibili ai colori, e i fiori sono colorati per distinguersi in mezzo a una foresta di foglie verdi. Le api hanno un senso dell’olfatto altamente sviluppato, e fiori sono espertissimi a emanare odori. Dotate di uno spiccato senso del colore, tra tutte le tonalità, le api tendono a preferire il blu e il giallo. Tra i fiori, non a caso, si tratta di due colori decisamente frequenti, e anche altri colori contengono forti componenti di lunghezze d’onda blu e gialle. Durante la vita, le api sviluppano una capacità per loro fondamentale: imparare ad attribuire diversi significati ai diversi colori. Per la loro eccezionale capacità di apprendimento attraverso l’esperienza, le api occupano, senza dubbio, un posto speciale tra gli insetti. La comunicazione, il più alto livello di scambio di informazioni tra i membri della stessa specie, è insolitamente evoluta nelle api. Uno spiccato senso del colore, l’abilità di apprendere dall’esperienza, e l’abilità di comunicare le informazioni apprese costituiscono il triangolo fondamentale della “sapienza” delle api. Le informazioni a nostra disposizione su quello che le api “sanno dei fiori” sono particolarmente dettagliate. Per comprendere in maniera ottimale il complesso comportamento delle api nella ricerca e nella raccolta del prodotto dei fiori, sarà utile suddividere le tipologie di visita ai fiori in base alla loro funzione. Le mansioni che le bottinatrici devono svolgere per sfruttare al meglio le risorse fornite dai fiori sono le seguenti: • riconoscere i fiori come tali; • distinguere tra diverse varietà di fiori; • riconoscere lo stato dei fiori; • maneggiare correttamente il fiore con le zampe e l’apparato boccale; • determinare la posizione geografica del fiore nel contesto ambientale;
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determinare l’intervallo giornaliero di tempo in cui i diversi fiori producono la quantità maggiore di nettare; condividere le informazioni con le compagne, agendo da messaggere all’interno di un complesso sistema di comunicazione; ricevere e comprendere le informazioni sulla posizione dei fiori attraverso il sistema di comunicazione.
Il mondo non è fatto solo di fiori. È un problema per le api? Come facciano le api a distinguere un fiore da tutto il resto non è affatto una cosa scontata. Che lo facciano senza alcuna difficoltà appare chiaro dalle osservazioni. Dove risiede, allora, il problema? Anche noi siamo in grado di riconoscere i fiori. Ma li percepiamo allo stesso modo delle api? A questo punto, si potrebbe fare un ragionamento un po’ filosofico. Possiamo conoscere la natura del mondo solo attraverso ciò che percepiamo. La percezione è mediata dal sapere generale che, nel corso dell’evoluzione, si è dimostrato essenziale per la sopravvivenza e la propagazione di determinate specie. Le nostre percezioni sono recepite dagli organi di senso, i quali trasmettono i segnali sensoriali al nostro cervello, che successivamente li elabora. Questa esperienza è totalmente soggettiva, e non può essere trasmessa da persona a persona. Chiamiamo “viola”un dato colore perché ce lo hanno insegnato, ma non abbiamo la capacità di vedere questo colore attraverso gli occhi delle altre persone. Non siamo, quindi, in grado di dire se la loro impressione di “viola” sia la stessa che abbiamo noi. Come possiamo entrare nella testa di un’ape per capire la sua percezione del mondo? Lo studio del mondo sensoriale delle api e del funzionamento del loro cervello può fornirci un’idea. L’insieme degli di studi anatomici, fisiologici e comportamentali sulle api ha mostrato che le caratteristiche dei fiori e le prestazioni delle api sono strettamente legate.
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Due importanti modalità sensoriali trovano una corrispondenza tra api e fiori: la vista e l’olfatto. Anche la nostra idea generale di un fiore è determinata dai colori e dagli odori. Ma le api percepiscono i fiori in maniera completamente diversa da noi. Gli umani, il cui senso estetico è notevolmente influenzato dai fiori, non sono altro che parassiti sensoriali di caratteristiche che le api hanno conferito ai fiori durante la loro co-evoluzione. L’apparato visivo delle api è diverso da quello umano sotto diversi aspetti. Ognuno dei loro occhi composti ne comprende in realtà circa 6.000 (Fig. 4.1). L’immagine dell’ambiente circostante è formata da molti, e piuttosto grandi, punti separati. I nostri occhi compongono un’unica immagine completa sulla retina di ogni occhio, grazie alla presenza di un’unica lente.
Fig. 4.1 Le api mellifere sono dotate di due grandi occhi compositi, e tre piccoli ocelli. Ognuno dei due occhi compositi produce un’immagine che è costruita a partire da un insieme di punti di diversi colori e intensità. Gli occhi dei fuchi (in questa immagine il fuco è appena emerso dallo stato di pupa) hanno dimensioni maggiori di quelli delle operaie e della regina
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Fig. 4.2 La conseguenza dell’insieme di punti nella percezione ottica che l’ape ha del mondo è che i dettagli di un oggetto, ad esempio un fiore a cui si avvicinano in volo, possono essere visti solo da molto vicino. Ecco come un’ape vede un campo di fiori da diversi metri di distanza (in alto). Ecco come appaiono i fiori a 30 cm di distanza (al centro). L’ape è in grado di distinguere i dettagli di un fiore solo da una distanza di 5 cm (in basso)
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Per la scarsa acuità visiva di cui sono provviste, le api non riescono a distinguere precisamente i dettagli di un oggetto, e quindi dei fiori, se non quando si trovano a pochi centimetri di distanza (Fig. 4.2). Le api hanno bisogno di ispezionare un fiore da molto vicino prima di essere in grado di riconoscere quale chiazza nella zona sia davvero un fiore. Il contrasto dei colori distingue i fiori dall’ambiente circostante, caratterizzato dal verde delle foglie. È lo stesso principio per cui gli uccelli e i primati riescono a identificare prontamente un frutto maturo dal suo colore. Il frutto, d’altra parte, è altrettanto importante, perché è lo strumento di cui le piante si servono per disperdere i proprio semi, grazie proprio agli animali che si cibano di frutta. Prima che i semi possano
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.3 L’arcobaleno rivela che gli esseri umani vedono soltanto una piccola parte delle onde elettromagnetiche emesse dal sole. Lo spettro di colori visto dalle api, invece, è sbilanciato verso lunghezze d’onda minori. Il rosso scompare, mentre nel loro campo visivo compare una banda ultravioletta all’estremità opposta del rosso nello spettro di colori dell’arcobaleno
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Fig. 4.4 Le api percepiscono le lunghezze d’onda maggiori sotto forma di colore nero. I fiori che riflettono le lunghezze d’onda più lunghe della luce – che noi vediamo di colore rosso – alle api appaiono neri
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essere dispersi, però, i fiori devono essere visitati dagli impollinatori. Perché ciò avvenga, le piante utilizzano la stessa strategia che usano per i frutti: adottano i colori come forma di “pubblicità”. Ma com’è il mondo dei colori delle api? Sarà utile fare un confronto con la capacità degli umani di percepire i colori. Se appare un arcobaleno, percepiamo la lunghezza d’onda maggiore come rosso e quella minore come viola. Tutti gli altri colori si trovano nel mezzo (Fig. 4.3). La luce all’estremo rosso dello spettro risulta meno interessante per le api: essa stimola molto poco le loro cellule fotorecettrici. Un oggetto che riflette una lunghezza d’onda che non stimola i ricettori visivi appare nero. Alle api, un campo ricoperto di fiori di papavero apparirà come un’area piena di chiazze nere (Fig. 4.4). La mancanza di sensibilità al rosso nelle api è compensata da una maggiore sensibilità alle lunghezze d’onda minori dello spettro visivo: le api sono in grado di vedere la luce ultravioletta, mentre gli umani sono in grado di rilevarla solo attraverso l’utilizzo di dispositivi tecnici. I petali di molti fiori sono dotati di superfici altamente riflettenti la luce ultravioletta e di conseguenza, all’occhio dell’ape, formano dei motivi che
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.5 Molti fiori sono dotati, sui propri petali, di motivi che riflettono la luce ultravioletta. Ciò consente alle api di vedere disegni (a sinistra) che l’occhio umano non può vedere (a destra)
rimangono invisibili alla nostra vista (Fig. 4.5). Tali disegni probabilmente servono da segnali di atterraggio per le bottinatrici in avvicinamento, ma possono anche aiutare le api a distinguere più facilmente i diversi tipi di piante. L’importanza di certi aspetti del sistema sensoriale degli animali può essere spiegata nel dettaglio con la loro rilevanza in un contesto biologico. Le api usano le lunghezze d’onda minori della luce solare per orientarsi in volo. I fiori sfruttano la sensibilità visiva delle api come forti segnali di richiamo mostrando alle loro impollinatrici delle aree sui propri petali che riflettono le lunghezze d’onda minori. Poi le cose si complicano ulteriormente: i colori che l’ape vede dipendono innanzitutto dalla lunghezza d’onda della luce, ma anche – e questo è difficile da immaginarsi – dalla velocità a cui vola l’ape. Anche le funzioni che l’ape deve svolgere possono influenzare la sua percezione del colore. Le api volano a circa 30 km all’ora. A questa velocità, la loro percezione dei colori è disattivata: in pratica, sono daltoniche (Fig. 4.6, immagine in basso).
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I colori appaiono loro solo quando si avvicinano e si mettono a girare lentamente intorno ai fiori. Questo fenomeno è biologicamente significativo. Per un’ape in volo veloce, i colori degli oggetti sono un’informazione apparentemente superflua. Il piccolo cervello dell’ape deve concentrarsi su altre questioni che sono importanti durante il volo, come il riconoscimento di dettagli strutturali nell’ambiente circostante: dove si trovano gli ostacoli? Dove sono le indicazioni sulla strada? La percezione visiva dettagliata di molti oggetti e disegni privi di colore in rapida successione è più importante per le api di un paesaggio colorato ma indefinito, come uno di quelli che vediamo noi quando ci troviamo in rapido movimento.
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Fig. 4.6 Le api, quando si trovano in volo ad alta velocità, non percepiscono i colori. Le informazioni sui colori sono meno rilevanti in questa situazione e, di conseguenza, non vengono elaborate. Un campo di fiori colorato (in alto) appare sfocato, ma comunque colorato a una persona che lo vede in rapido movimento (al centro). Invece, un’ape che sorvola il campo di fiori alla stessa velocità vedrà: (1) un’immagine composta da un insieme approssimativo di punti di intensità diversa; (2) un’immagine nitida; (3) un’immagine in bianco e nero (in basso)
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Le api, come molti altri insetti, vedono gli oggetti al “rallentatore”. Movimenti rapidi che ci appaiono sfocati sono percepiti in maniera chiara dalle api in ogni loro fase (Fig. 4.6, immagine in basso). Movimenti improvvisi delle mani, come quelli che fanno le persone impaurite per scacciare api e vespe, sono in realtà gli obiettivi meglio riconoscibili per un eventuale attacco. Le punture che le api procurano alle persone intorno la bocca sono causate soprattutto dai movimenti delle labbra, per esempio durante una conversazione. Anche l’obiettivo stesso del volo influenza la capacità delle api di discriminare i colori. Il volo dal nido all’area di raccolta, e da questa di nuovo al nido sono due situazioni piuttosto differenti per le api, e non solo perché volano in direzioni opposte. Avvicinandosi a un fiore, l’ape dimostra di avere un’eccellente capacità di discriminare i colori. Quando ha terminato la propria visita ai fiori, e si trova in volo verso il nido con la sacca melaria piena, la visione del colore svolge una funzione molto meno importante. Dopo aver abbandonato l’area di raccolta, è molto difficile per un’ape ricordare i colori visti. Per questo motivo, le api hanno difficoltà, anche a basse velocità, nel discriminare i colori durante il loro volo verso casa. La capacità altamente sviluppata che le api hanno di riconoscere e di distinguere le composizioni ottiche, tuttavia, rimane inalterata. Arnie dotate di colori variopinti risultano esteticamente piacevoli
Fig. 4.7 Arnie artificiali decorate con immagini variopinte (a sinistra) sono di ausilio all’orientamento delle api, a differenza di arnie colorate con semplici tinte unite (a destra)
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all’occhio umano (Fig. 4.7). D’altra parte, però, le api hanno dimostrato negli esperimenti realizzati di avere scarse capacità di distinguere i vari colori delle arnie. Le api riconoscono soltanto il blu, preferendolo agli altri colori, ma non riescono a distinguere facilmente la diversità fra tutti gli altri colori, a differenza di quanto accade nell’area di raccolta, in cui dimostrano la capacità di discriminare anche piccolissime differenze tra i colori. Un ausilio più efficace che si può fornire all’ape per riconoscere il proprio nido è la marcatura dell’arnia con disegni grafici, quali barre orizzontali o verticali. Disegni colorati e porte d’accesso alle arnie decorate in maniera particolare e attraente – un’usanza tipica in diversi paesi – costituiscono la soluzione ottimale sia per le api che per le persone, in quanto offrono alle api un disegno facilmente riconoscibile e memorizzabile, e allo stesso tempo un’immagine piacevole per l’occhio umano (Fig. 4.7). Il contesto comportamentale, illustrato qui in termini di opposte situazioni motivazionali per le api che volano verso l’area di raccolta o che ritornano all’arnia, determina pertanto la percezione del mondo delle api. La percezione visiva di una rapida sequenza di immagini è importante non solo quando le api volano veloci, ma anche quando devono identificare altre api in rapido movimento, per poterle poi seguire. Questo accade, per esempio, durante la stagione degli accoppiamenti, quando le operaie accompagnano o seguono la regina nel suo volo nuziale, oppure – come descritto nel Capitolo 5 – quando le operaie seguono i fuchi in volo. Lo stesso vale per la sciamatura, quando le api si riuniscono in grappoli per volare verso un nuovo nido, o per i voli di piccoli sciami composti da nuove bottinatrici e da api esperte verso l’area di raccolta. I fiori sono elementi sedentari, e quindi può sorprendere che le api siano dotate di un’elevata sensibilità ottica al movimento. Si tratta di una caratteristica sfruttata da alcuni fiori a proprio vantaggio. Le diverse specie di piante sono in competizione per accaparrarsi le visite delle api, così come le colonie di api sono in competizione per l’accesso ai fiori. Fiori variopinti e di dimensioni maggiori dovrebbero essere più allettanti per le api, e dovrebbero quindi attirare un maggior numero di visitatori rispetto ai concorrenti. Come fanno allora, date queste premesse, le piante con fiori minuscoli ad attirare le api? Fiori minuscoli sono spesso retti
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Fig. 4.8 Fiori minuscoli retti da steli sottili si muovono grazie anche a leggeri colpi d’aria, attivando il sistema di identificazione ottica del movimento delle api. In questo modo, si fanno notare nonostante le loro piccole dimensioni e i colori pallidi
da steli sottili e flessibili; anche un lieve soffio di aria contribuisce al loro movimento, che attira l’attenzione delle api (Fig. 4.8). Non solo i fiori sono variopinti, ma essi si fanno pubblicità grazie anche a odori distintivi, che anche gli umani sono in grado di percepire. Le api, ancora una volta, sono il target più importante di questa caratteristica. Il “naso” delle api è rappresentato da diverse migliaia di cellule sensoriali situate sulle loro antenne; l’estrema diversità di queste strutture sensoriali può essere apprezzata osservando delle immagini del microscopio elettronico a scansione (Fig. 4.9). L’odore dei fiori può attrarre le api anche da considerevole distanza, a differenza del loro aspetto visivo, che le api riescono a percepire solo a distanza ravvicinata e accostandosi in volo a bassa velocità. In condizioni di mancanza di vento, gli odori si disperdono in maniera uniforme e non sono di
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Fig. 4.9 Le antenne delle api sono provviste di una miriade di recettori sensoriali (a destra), responsabili della percezione del tatto, temperatura, umidità e, soprattutto, dell’odore. L’aspetto molto vario di queste migliaia di recettori riflette l’entità e la diversità della loro sensibilità. L’immagine a sinistra, ingrandita di 400 volte rispetto alle dimensioni originali, mostra alcune delle varie forme assunte da tali recettori
grande aiuto per l’orientamento, ma non appena l’aria si muove, trasportando molecole odorose, conducono le api verso il loro obiettivo. Generalmente, le api atterrano su un fiore posto controvento. Questa strategia non ha niente a che vedere con quella dei piloti umani, che atterrano controvento allo scopo di ridurre la velocità d’atterraggio. Le api in cerca di nettare stanno semplicemente seguendo una scia odorosa che le conduce al fiore. Le bottinatrici che hanno già memorizzato l’odore di un’area di raccolta, ma non la sua posizione nell’ambiente, raggiungono rapidamente il loro obiettivo non appena un flusso d’aria si muove dai fiori verso il nido. Le api trascorrono il tempo a girare in aria fino a quando incontrano una brezza che trasporta un odore che le conduce all’area di raccolta.
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Quand’è che un fiore non è un fiore? Le due caratteristiche “aspetto” e “odore” possono combinarsi in molti modi diversi nei fiori. Il colore, la forma e l’odore si completano l’un l’altro, formando un fiore dalle peculiari caratteristiche che le api riconosco e usano per discriminare diversi tipi di fiori. Questa abilità è il prerequisito per un fenomeno importante sia per le api che per i fiori, noto come “costanza floreale”. Le api di campo non visitano in maniera indiscriminata qualsiasi fiore che incontrano sul proprio cammino, come fanno farfalle e mosche. Le api, infatti, effettuano il loro raccolto principalmente sulle piante angiosperme, con cui cominciano il loro lavoro ogni giorno (Fig. 4.10). Per le piante, questa costanza floreale ha un vantaggio significativo, perché il proprio polline non verrà sprecato sugli stigmi di fiori di specie diverse. Per le api, la costanza floreale porta con sé la possibilità di adattarsi al tipo di fiore visitato in un determinato momento, e di prelevarvi rapidamente il nettare. Il colore, la forma e l’odore, in teoria, possono combinarsi in un numero infinito di possibilità. La capacità di “immagazzinamento” del genoma dell’ape, però, non è sufficientemente grande da fornire alle api una conoscenza innata della natura di tutte le forme possibili di fiore. Le api hanno invece un’abilità geneticamente determinata di memorizzare le caratteristiche visive e olfattive che, nel complesso, determinano il carattere di un fiore. La capacità di apprendimento delle api è altamente sviluppata. Una singola esperienza legata a un odore particolare può essere memorizzata e successivamente utilizzata per discriminare altri odori, con un grado di certezza del 90%. Questo è vero per odori chimici semplici, ma anche per quelli comprendenti varie componenti. In seguito a due o tre esperienze positive con tali odori, le api imparano a fare le loro scelte senza commettere alcun errore. La loro capacità di apprendimento è alla base del grande significato che hanno gli odori nel mondo sensoriale delle api.
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COSA NE SANNO LE API DEI FIORI Fig. 4.10 Le api visitano sempre lo stesso tipo di fiori, ignorando altri fiori potenzialmente interessanti nelle vicinanze. Questo fenomeno viene definito “costanza floreale”. Per esempio, nel campo di fiori nell’immagine sono presenti fiori blu e gialli. Le api che cominciano la bottinatura sui fiori gialli ignorano i fiori blu nelle vicinanze (in alto), mentre le api che cominciano a bottinare sui fiori blu ignorano quelli gialli (in basso)
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La forma e il colore non vengono memorizzati tanto velocemente quanto gli odori, e le api necessitano di almeno tre-cinque “lezioni” di addestramento per raggiungere una buona competenza. La capacità di apprendimento e di discriminazione degli stimoli olfattivi e visivi è così pronunciata nelle api che gli esperimenti condotti (Fig. 4.11) hanno mostrato alcuni aspetti cognitivi equivalenti a quelli dei vertebrati inferiori. Anche l’astrazione “intellettuale”, la cui importanza biologica non è ancora chiara, può essere dimostrata: le api in volo sono in grado di riconoscere particolari disegni grafici nello spazio, indipendentemente dall’orientamento del loro corpo. Particolari comportamenti
Fig. 4.11 Esperimenti comportamentali pensati per testare le abilità cognitive delle api: quando l’ape sceglie il disegno che le è stato indicato, viene premiata con un disco contenente il cibo nascosto dietro la parete disegnata
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C’è nettare nel fiore? Un’ape bottinatrice in volo su di un campo di fiori alla ricerca di nettare o polline non controlla ogni singolo fiore. Non è affatto scontato che quest’operazione preveda una strategia di ricerca ottimale, secondo la quale il modo migliore per risparmiare tempo ed energie è quello di evitare la visita a ogni fiore. Il problema dell’ape è paragonabile a quel famoso giochino sulla pianificazione di un lavoro, in cui bisogna trovare il modo più efficiente per un commesso viaggiatore per controllare tutti. Le api, tuttavia, sono guidate da “messaggi” che i precedenti visitatori lasciano sui fiori, allo scopo di informare coloro che seguiranno. Ci sono molte api bottinatrici al lavoro in un’area di raccolta, e
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individuati nell’attività di apprendimento delle api ci portano a concludere che esse siano a conoscenza di concetti astratti come “destra” e “sinistra”, “simmetrico” e “asimmetrico”, “pari” e “dispari”. Inoltre, le api, riescono a distinguere tra “tanto” e “poco”: quest’ultima capacità, in particolare, può essere considerata una forma elementare di conteggio. Le api imparano certe regole di comportamento dall’esperienza, per poi applicarle a situazioni completamente nuove. Per esempio, se si trovano a dover affrontare un labirinto sconosciuto, ma provvisto di segnali appropriati, esse imparano molto rapidamente quali segnali seguire per trovare la strada d’uscita. E non finisce qui: le api imparano rapidamente ad associare diversi luoghi e diversi orari a decisioni specifiche. Fiori in luoghi differenti producono diverse quantità di nettare a orari differenti, un fattore tenuto in considerazione dalle api nella pianificazione dei propri voli di bottinatura, affinché questi risultino quanto più produttivi possibile. Le api seguono un programma di lavoro giornaliero e svolgono mansioni precise nel luogo corretto e all’orario esatto (si veda di seguito). Le api hanno senz’altro un QI molto elevato.
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alcuni fiori hanno bisogno di tempo per ripristinare le scorte di nettare che sono state prelevate. L’ape che raccoglie l’ultima goccia di nettare marchia il fiore con un segnale chimico che significa “vuoto”. Il segnale chimico si dissolve nello stesso periodo di tempo necessario al fiore per ripristinare le scorte di nettare. Le api che si avvicinano ai fiori “segnalati” ricevono il messaggio prima di atterrare e non sprecano il loro tempo cercando di prelevare del nettare da un fiore vuoto.
La strada verso il nettare La diversità delle forme dei fiori rappresenta per le api un problema pratico: ogni fiore pone sulla strada verso il nettare degli ostacoli specifici, per fare in modo che l’ape entri bene in contatto con lo stigma e le antere (Fig. 4.12). Gli ostacoli dei diversi fiori naturalmente devono essere spostati e, come se questo non bastasse, le ghiandole contenenti il nettare si trovano in posizioni diverse nei diversi fiori. La via di accesso al nettare più veloce e più efficiente in termini di energia e la strategia migliore per raccogliere il polline, sono determinate dalle api attraverso prove ed errori. Visite regolari, grazie alla costante bottinatura sullo stesso tipo di fiore, migliorano le prestazioni dell’ape e ottimizzano il tempo e l’energia necessaria a raggiungere il nettare.
Dove sono i fiori? La colonia di api ha una residenza fissa e conduce un’esistenza sedentaria, il che non costituisce un problema finché si sta a casa propria: per la maggior parte della vita, le api non
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COSA NE SANNO LE API DEI FIORI Fig. 4.12 L’enorme diversità delle forme dei fiori pone alle api il problema pratico di individuare la tempistica ottimale e una strategia energetica per la raccolta
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abbandonano il proprio nido. Un flusso di materia ed energia deve però essere mantenuto, e le api di campo non hanno altra scelta se non addentrarsi in volo in un mondo pericoloso alla ricerca di fiori. Devono anche trovare la strada per tornare alla colonia dopo le loro escursioni e, se hanno scoperto un gruppo di fiori particolarmente abbondante, devono essere in grado di ritrovarlo. Le api sfruttano segnali terrestri e celesti per orientarsi fuori dal nido e sono capaci di individuare il proprio percorso da un punto di riferimento a un altro lungo il viaggio verso l’obiettivo. A questo scopo, esse utilizzano alberi, cespugli e altre caratteristiche ben evidenti dell’ambiente. Quelli della vista e dell’olfatto sono organi di senso di estrema importanza in queste fasi. Questo metodo di orientamento può funzionare perché le api si trovano in un territorio a loro noto, precedentemente esplorato con brevi voli di orientamento attorno alle arnie durante il periodo in cui erano giovani bottinatrici. Nei voli di orientamento, che inizialmente non durano più di alcuni minuti, le api partono dall’alveare ogni volta verso una direzione diversa, in maniera da localizzare la posizione del nido. Per aiutare le giovani bottinatrici a trovare la strada verso casa, alle volte le api più anziane si sistemano davanti l’ingresso dell’alveare, aprono la ghiandola odoripara all’estremità del loro addome e rilasciano un odore chiamato genariolo, un composto chimico dall’odore simile a quello dei gerani, che viene diffuso nell’area attraverso il battito delle ali (Fig. 4.13). Le api che volano a grandi distanze verso aree di raccolta imparano la posizione dei punti di riferimento che incontrano sulla loro strada dall’arnia alla fonte di cibo. La bussola è uno strumento utile quando si vuole seguire un percorso diretto attraverso un ambiente sconosciuto. Il sole rappresenta per le api un segnale celeste che usano per orientarsi in base alla sua posizione. Se il sole è nascosto, può essere utilizzato il disegno di polarizzazione del cielo prodotto dalla luce che passa attraverso l’atmosfera. Infatti la luce non polarizzata proveniente dal sole si polarizza nell’attraversare l’atmosfera della Terra, e produce nel cielo uno schema grafico che può essere rilevato dall’occhio umano con uno strumento adatto, detto analizzatore. Le api possono distinguere in maniera innata con i propri occhi la luce polarizzata da quella non polarizzata. Lo schema di polarizzazione del cielo è, in ogni caso, soggetto a distorsio-
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Fig. 4.13 Le giovani api di ritorno all’alveare ricevono durante l’atterraggio l’assistenza delle api anziane che emanano un odore di richiamo dalle ghiandole odoripare situate nell’addome e lo propagano sventolando le ali
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ne a causa delle differenze nella densità dell’aria dovute ai cambiamenti nella temperatura e nell’umidità. Affinché sia realmente utile, uno strumento di orientamento deve risultare affidabile e inalterabile. Il disegno della polarizzazione del cielo è più stabile per lunghezze d’onda minori, e pertanto è uno strumento di orientamento adatto alle api. Le bottinatrici devono essere capaci di trovare la strada per tornare alla colonia: la loro sensibilità alla luce ultravioletta, che consente di sfruttare lo schema di polarizzazione del cielo, ha apportato anche un evidente vantaggio nella selezione evolutiva. Questa abilità delle api, inizialmente sviluppatasi come strumento di orientamento, è stata in seguito sfruttata dai fiori, molti dei quali presentano petali con disegni che riflettono la luce ultravioletta. Questa caratteristica offre alle api delle indicazioni per l’atterraggio e rende loro possibile distinguere tra tipi diversi di fiori.
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I segnali del tempo Per orientarsi con le indicazioni stradali celesti espresse dalla posizione del sole e dalla polarizzazione del cielo, le api devono tenere conto dei cambiamenti dovuti alla rotazione giornaliera della terra. Le api hanno una percezione del tempo che permette loro di supplire al continuo cambiamento della posizione dei loro riferimenti, anche dopo alcune ore trascorse nell’alveare tra un’escursione e l’altra. Le api riescono a “calcolare” la direzione originaria all’uscita dell’alveare, nonostante la nuova posizione dei segnali di orientamento. Questa caratteristica del comportamento dell’ape ha fornito a Karl von Frisch (1886-1982) l’ispirazione per identificare il sistema alla base della comunicazione delle api
Fig. 4.14 Una bottinatrice arriva troppo presto su di un fiore già visitato con successo il giorno prima
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Fig. 4.15 Le api perdono rapidamente interesse per i fiori appassiti
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attraverso la danza: le bottinatrici che avevano visitato la stessa area di raccolta per tutto il giorno danzavano in direzioni diverse la mattina e il pomeriggio. La posizione del sole rispetto all’alveare dipende dall’ora; von Frisch arrivò alla conclusione che il sole veniva usato come ausilio per l’orientamento. La percezione del tempo permette alle api anche di adattarsi agli “orari di apertura” dei fiori. Per ridurre la competizione tra specie vegetali, infatti, certe piante producono nettare solo in alcune ore del giorno. Le api imparano a riconoscere questi orari e li usano per regolare le proprie visite, volando su un determinato fiore al momento giusto (Fig. 4.14). Nonostante ci siano diversi tipi di fiori nell’area di raccolta, le api imparano non solo in che posto devono trovarsi a una determinata ora, ma anche quali fiori devono visitare all’orario appropriato e in una specifica posizione. Inoltre, le api riconoscono rapidamente quali fonti di cibo non vale più la pena visitare (Fig. 4.15).
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Se, visitando una fonte di cibo in condizioni di volo ottimali, l’ape di campo vi trova le scorte esaurite, quella fonte viene cancellata rapidamente dalla memoria, e non verrà più visitata. D’altra parte, quando le condizioni atmosferiche impediscono alle bottinatrici di lasciare l’alveare, le api memorizzano la posizione delle sorgenti trofiche visitate recentemente e vi si recheranno immediatamente appena migliorerà il tempo. La capacità di imparare e di “dimenticare” si è quindi adattata perfettamente.
Come fanno le api a parlare dei fiori I fiori bisogna trovarli, prima di poterli saccheggiare. Alcune api anziane, in piccola percentuale, fungono da esploratrici, perlustrando l’area in cerca di nuovi fiori: quelli che attirano l’attenzione di queste api battistrada riceveranno da lì a poco un numero crescente di visite, entro un periodo di tempo che va da alcuni minuti a circa mezz’ora dopo la loro scoperta. L’aumento così rapido del numero delle visite non è spiegabile con il fatto che siano le singole api a trovare il fiore da sole. Le api, evidentemente, vengono informate della scoperta all’interno dell’arnia e quindi reclutate affinché apportino il loro contributo alla raccolta. La comunicazione che avviene tra le api che sono a conoscenza della posizione dei fiori e quelle che non lo sono è altamente complessa e rimane tuttora, per certi versi, misteriosa. Essa consiste in una catena di comportamenti che avvengono nell’alveare e nei campi. Il cosiddetto linguaggio della danza scoperto da Karl von Frisch, divenuto una delle forme più studiate di comunicazione tra animali, costituisce solo un anello di questa catena. Un’ape che abbia scoperto un ciliegio in fiore, per esempio, ritorna al nido trasportando un po’ di nettare. Essa lo consegnerà a un’ape recettrice, per poi ripartire di nuovo in volo verso lo stesso albero. Quest’operazione viene ripetuta diverse volte, e il tempo necessario a raggiungere l’obiettivo e a tornare diminuisce sempre di più a ogni viaggio, presumibilmente per-
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ché il percorso del volo diventa sempre più diretto. Quando la strada più corta è stata identificata, cosa che può richiedere fino a dieci viaggi, l’ape comincia a danzare. Karl von Frisch scoprì che, per una sorgente trofica che si trovi a una distanza fino a 50-70 m dall’alveare, le api eseguono una danza circolare (Fig. 4.16). La danza circolare contiene soltanto alcune delle informazioni riguardanti la sorgente trofica di interesse. Viene data una semplice indicazione su quello che bisogna cercare e sul fatto che la fonte si trovi a poca distanza dal nido. Un’ape di ritorno da un fiore di ciliegio porterà con sé l’odore di quel fiore, e saranno necessari alle altre api soltanto alcuni voli attorno all’alveare per trovare l’albero in questione. Se l’albero si trova a distanze maggiori dal nido, diviene utile fornire un’indicazione sulla sua posizione, che farà risparmiare molto tempo alle api in volo. Le api che si occupano del reclutamento delle compagne forniscono questa informazione attraverso la danza dell’addome. Alcuni elementi del percorso descritto da questa danza contengono informazioni sulla posizione dell’area di raccolta rispetto all’alveare. La notevole intensità e regolarità della sequenza degli elementi contenuti nella danza dell’addome è stata molte volte oggetto di studio nelle ricerche sul comportamento. Grazie alla tecnologia moderna, che consente di effettuare primi piani e filmati al rallentatore, sono stati rivelati dettagli sorprendenti in questa danza delle api, che deve il suo nome alla fase che vede l’ape percorrere un tratto rettilineo sul favo scuotendo l’addome come un pendolo, a un ritmo di 15 volte al secondo. Poi l’ape gira a destra e descrive un semicerchio fino a tornare nella posizione di partenza, e ripercorre il tratto rettilineo scuotendo l’addome. Quindi, girando a sinistra, completa il semicerchio tornando al punto di partenza. I due percorsi insieme formano approssimativamente una figura simile a un otto visto di fianco (Fig. 4.17). Il ciclo completo della danza dura soltanto alcuni secondi e viene eseguito in un’area di circa 2-5 cm di diametro. I dettagli dei minuti e rapidi movimenti sono stati mostrati per la prima volta grazie ad alcuni filmati al rallentatore. Lì si vedeva che la corsa effettuata dall’ape sul favo durante la fase dello scuotimento è, in realtà, un’illusione ottica causata dal fatto che l’ape si sporge in avanti durante la rapida oscillazione laterale del corpo. Le
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.16 Una bottinatrice ha scoperto una fonte di cibo vicino all’alveare ed esegue una danza circolare
Fig. 4.17 Una bottinatrice ha scoperto una fonte di cibo distante ed esegue una danza dell’addome
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api eseguono di fatto uno “scuotimento da ferme” piuttosto che uno “scuotimento in movimento”, durante il quale rimangono ancorate al substrato quanto più a lungo possibile con tutte e sei le zampe, sporgendosi in avanti. Alcune api si staccano per un momento dal favo per cercare una presa più stabile e, nello sporgersi in avanti, sono costrette a muovere una o l’altra delle zampe, per un massimo di un passo o due (Fig. 4.18). La danza delle api viene eseguita quasi esclusivamente in una piccola area prossima all’ingresso dell’alveare. Le api che eseguono la danza incontrano così le bottinatrici, attente ai messaggi che esse trasmettono su questa “pista da ballo”, definita apparentemente da segnali chimici posti dalle api. Infatti, se questa parte del favo viene ritagliata e risistemata in una posizione diversa nell’arnia, le api riprenderanno a eseguire la propria danza solo dopo averla ritrovata. Le api che eseguono la danza possono ritrovarsi circondate da una decina di compagne che le seguono nel loro balletto, i cui movimenti sono tutti precisamente coreografati (Fig. 4.19). Come avviene per i movimenti delle api “prime ballerine”, anche i movimenti del “corpo di ballo” seguono un programma preciso. Il posizionamento in sequenza delle zampe e l’oscillazione del corpo sono stereotipici. Lo schema complesso dei movimenti delle compagne, molto meno ovvio di quello delle api “prime ballerine”, può essere identificato solo attraverso l’analisi di filmati al rallentatore. Questa analisi rivela che solo le compagne che eseguono correttamente tutta la sequenza dei movimenti, tra cui il movimento ripetuto attorno alla testa della ballerina all’interno del ciclo di ritorno, riescono a danzare “a tempo” in una serie di cicli sequenziali. Come si fa, in generale, a descrivere un percorso verso una destinazione? L’insieme delle indicazioni viene costruito con un gran numero di descrizioni dettagliate delle varie parti del viaggio: prosegui per cento metri lungo Via Roma fino al primo semaforo, poi gira a destra al secondo incrocio e segui la strada fino al bar “L’Alveare”. Gira a destra dopo il bar, e dopo duecento metri troverai l’ufficio postale sul lato destro della strada. Un insieme così complesso di indicazioni, se probabilmente non rappresenta un problema per noi umani, è fuori dalla portata del piccolo cervello di un’ape. Oltretutto, si tratta di indicazioni superflue, in quanto le api possono volare in linea retta. Questo tragitto diretto può essere descritto attra-
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.18 Per comunicare attraverso la danza, l’ape che esegue il movimento deve mantenere le zampe saldamente ancorate al favo. Pertanto, l’ape esegue uno “scuotimento da ferma”, piuttosto che uno “scuotimento in movimento”. Le sei zampe (qui indicate con dei cerchietti bianchi) rimangono a contatto con i bordi delle cellette, mentre il corpo oscillante si sporge in avanti sulle zampe ferme (indicate dalla freccia)
Fig. 4.19 Solo le api che seguono la danza con movimenti stereotipici e perfettamente coordinati a quelli dell’ape danzatrice, e che riescono a tenere il ritmo per diversi cicli, ricevono le informazioni sulla posizione della sorgente trofica
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Fig. 4.20 Le api identificano la strada verso la fonte di cibo grazie a una bussola solare. Un vettore il cui punto di origine è situato sull’alveare indica la posizione della fonte di cibo in base alla posizione del sole
Fig. 4.21 Il percorso della danza dell’addome contiene indicazioni sulla direzione e sulla distanza della fonte trofica dall’alveare misurate della bottinatrice durante il volo all’esterno. Nel buio dell’alveare, la direzione della gravità sostituisce la direzione del sole, registrata dalla bottinatrice durante il suo volo (freccia nel riquadro)
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verso una singola indicazione, un vettore rivolto verso la destinazione. La sua lunghezza mostrerà la distanza dalla destinazione (Fig. 4.20). Le bottinatrici utilizzano questo metodo. Dopo molte ore di paziente osservazione di danze dell’addome, Karl von Frisch arrivò a capire che la direzione verso cui erano rivolte le api durante la fase dello scuotimento dell’addome sul favo cambiava continuamente durante il giorno, anche se
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le stesse api dallo stesso alveare visitavano sempre una determinata area di raccolta. Assieme alla direzione della fase di scuotimento durante la danza, l’unica caratteristica che cambiava era il movimento del sole nel cielo. Von Frisch giunse alla conclusione che i cambiamenti nella direzione della danza erano correlati alla posizione del sole durante le varie fasi del giorno, e riuscì così a estrapolare le indicazioni spaziali contenute nella danza. La direzione è sempre relativa, e deve esserci sempre un punto di riferimento. La posizione del sole o l’angolo della polarizzazione della luce solare costituiscono i punti di riferimento fuori dall’alveare. Le danze, però, vengono eseguite in favi appesi in posizione verticale nell’oscurità di un alveare. In questo contesto, la direzione della gravità è l’unico punto di riferimento. In volo all’esterno dell’alveare, le api possono vedere la posizione del sole. Esse sono in grado di tradurre l’angolo rispetto alla gravità indicato loro nella danza dell’addome nell’angolo corrispondente tra l’alveare e il sole, e grazie a questa informazione possono raggiungere la sorgente trofica (Fig. 4.21). La polarizzazione del cielo fornisce loro un’indicazione sulla posizione del sole quando il cielo è nuvoloso. La codifica della direzione indicata nella danza dell’addome dipende dalla disponibilità di un punto di riferimento costante, quale è la gravità, su cui si possono basare i messaggi direzionali. La codifica precisa della strada verso la fonte di cibo è possibile solo se le superfici del favo sono appese in posizione perfettamente verticale. Senza questa condizione, questo tipo di comunicazione non potrebbe avvenire. Infatti, non esiste una forma simile di comunicazione in insetti che vivono in colonie come i calabroni, le vespe e la maggior parte delle api senza pungiglione tropicali, poiché non hanno superfici verticali nei propri nidi. Sono state notate alcune specie di api senza pungiglione che costruiscono favi appesi in posizione verticale: varrebbe la pena studiarle per verificare se hanno sviluppato anch’esse un linguaggio della danza simile a quello delle api mellifere. La danza dell’addome delle api contiene anche delle informazioni sulla distanza tra l’alveare e l’area di raccolta. Si tratta di un’indicazione preziosa, nella ricerca di sorgenti trofiche. Una recluta che abbia seguito le indicazioni per una sorgente di cibo con lo stesso odore dell’ape che esegue la danza potrà raggiungere il proprio obiettivo solo grazie a queste informa-
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zioni. Le informazioni sulla distanza fornite durante la danza, a differenza delle informazioni sulla direzione, sono accompagnate da alcuni problemi che tratteremo qui di seguito. Si possono rilevare alcune correlazioni inequivocabili: se la frequenza del movimento oscillatorio rimane costante, quanto più a lungo dura la fase oscillatoria della danza, tanto più lontano si trova la sorgente di cibo. Tuttavia, la durata della fase oscillatoria aumenta in maniera proporzionale alla distanza soltanto per le prime centinaia di metri, poi aumenta in maniera più graduale, e le informazioni sulla distanza di destinazioni remote risultano, di conseguenza, meno precise. Per l’occhio umano, è sostanzialmente impossibile determinare la differenza nella danza dell’addome che codifichi per una distanza di un chilometro rispetto a tre chilometri. Un’ulteriore difficoltà deriva dall’odometro ottico, lo “strumento” che le api utilizzano per determinare la distanza di volo comunicata durante la danza. I dati forniti dall’odometro si basano sulla natura strutturale dell’ambiente in cui l’ape si trova a volare. Nel volo attraverso un ambiente strutturato, le immagini degli oggetti si muovono sulle varie facce della superficie dell’occhio composito dell’ape. Questo crea un “flusso ottico” nel campo visivo dell’ape, che l’aiuta a determinare la velocità di volo. Anche noi siamo in grado di farlo abbastanza bene, per esempio quando guardiamo le immagini che scorrono dal finestrino di un treno in movimento. Sulla base del flusso ottico, le api sono anche capaci di calcolare la distanza percorsa in volo, operazione che agli umani risulta, invece, piuttosto difficile. Alcuni semplici esperimenti svolti sull’odometro delle api hanno fornito una serie di conclusioni sul mondo sensoriale dell’ape mellifera. Se, nel loro volo verso l’area di raccolta, le api vengono fatte passare attraverso uno stretto tunnel con pareti provviste di disegni grafici, esse percepiscono un flusso ottico artificialmente accresciuto lungo un tratto del loro volo (Fig. 4.22). Le api che hanno subito questo “inganno”, traducono il flusso ottico in una distanza maggiore rispetto a quella reale e, di conseguenza, anche la fase oscillatoria della danza dell’addome risulterà più lunga. Questo “raggiro” in termini di distanza stimata apre una finestra sull’esperienza soggettiva delle api, in cui la misurazione della lunghezza della fase oscillatoria è un’indicazione della distanza di volo che le api ritengono di aver percorso.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.22 Se, lungo il percorso verso la sorgente trofica, le bottinatrici vengono fatte volare attraverso uno stretto tunnel dalle pareti disegnate, esse vedono una rapida sequenza di immagini. A causa del denso flusso ottico risultante, le api eseguono una danza che traduce in maniera incorretta la distanza percorsa in volo
L’applicazione dello stratagemma del tunnel ha confermato alcune vecchie idee, ne ha confutate altre e ha chiarito alcuni punti controversi, conducendo alle seguenti conclusioni: • è stata smentita la teoria secondo la quale le api usano il consumo di energia come misura della distanza di volo; • è stato confermato l’uso dell’odometro ottico; • è stata confermata la teoria che la misurazione della distanza viene fatta sul volo di andata e non su quello di ritorno;
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è stata trovata una soluzione alla decennale disputa sulla danza dell’addome: un argomento controverso era se le reclute seguissero o meno le informazioni codificate nella danza dell’addome. A causa del tunnel, le api hanno commesso importanti errori di valutazione: seppur visitando sorgenti trofiche a una distanza di sei metri dall’alveare, nella danza dell’addome hanno segnalato una distanza trenta volte maggiore. Le reclute alla ricerca di cibo sono state trovate in volo non intorno alla zona da cui proveniva l’ape “ballerina”, ma in un’area molto più lontana dove non c’era nulla di interessante. Ne consegue che le informazioni codificate nella danza dell’addome sono di fatto utilizzate dalle api; con l’aiuto di disegni colorati all’interno del tunnel, si è compreso che, tra le tre cellule recettrici dei colori nell’occhio composto dell’ape – singolarmente sensibili all’ultravioletto, al blu e al verde in particolare – soltanto la ricettrice del verde è utilizzata nella misurazione della distanza.
Una semplice manipolazione della danza delle api attraverso lo stratagemma del volo nel tunnel ha dimostrato che le distanze indicate dall’odometro ottico sono influenzate dalla struttura dell’ambiente lungo il percorso del volo. Un test eseguito per verificare questa teoria ha mostrato che un percorso di volo che attraversa un ambiente dall’aspetto uniforme conduce a una danza nella quale la fase oscillatoria ha breve durata, mentre un percorso di volo della stessa lunghezza attraverso un ambiente complesso e strutturato conduce a una fase oscillatoria di maggiore durata. Se due api volano verso sorgenti trofiche situate alla stessa distanza dall’alveare ma in direzioni diverse, la fase oscillatoria delle loro danze – e quindi l’indicazione della distanza – può differire per alcuni aspetti. Una fase oscillatoria di 500 ms (millisecondi) può riferirsi, nel caso di un volo verso sud, a una distanza di 250 metri e, nel caso di un volo verso ovest dallo stesso alveare, a una distanza di 500 metri (Fig. 4.23). Da questa considerazione derivano due conclusioni: • l’odometro delle api non fornisce informazioni sulla distanza assoluta ed è utile solo quando le compagne partono dall’arnia esattamente nella stessa direzione (e altezza) dell’ape danzatrice;
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IL RONZIO DELLE API Distanza percorsa costante
Distanza percorsa costante
Fig. 4.23 Il paesaggio attorno all’alveare è raramente uguale in tutte le direzioni. I diversi dettagli dell’ambiente attraverso cui le api volano provocano flussi ottici di intensità variabile, che causano delle differenze nella lunghezza della danza dell’addome per determinate distanze percorse sul campo
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va riconsiderata la teoria secondo cui nella traduzione di determinati percorsi di volo la fase oscillatoria ha durata differente per api di razze diverse, in base ai “dialetti” diversi esistenti nel linguaggio della danza.
La durata della fase oscillatoria, se confrontata con la danza di razze diverse, eseguita per un determinato percorso di volo, mostra solo differenze minime. Guardando alla danza di api della stessa razza per una uguale distanza, ma percorsa in un ambiente naturale diverso, si nota che le differenze riferite all’ambiente sono molto più significative della variazioni ascrivibili alla razza. La codifica della lunghezza del percorso di volo nella danza di api di razze diverse in aree diverse, dovrà tenere conto delle proprietà visive del paesaggio, piuttosto che delle caratteristiche delle varie razze. Una condizione essenziale per la traduzione delle informazioni sulla distanza contenute nella danza è che le compagne percorrano esattamente la stessa strada seguita in volo dall’ape danzatrice. Di conseguenza, esiste una forte pressione selettiva sulla precisione della trasmissione del messaggio, e la successiva messa in pratica delle informazioni direzionali contenute nella danza dell’addome. Le api danzatrici, oltre alla posizione della sorgente, trasmettono altri dettagli importanti sul percorso di volo e sulla sorgente trofica. Ad aree di particolare interesse corrisponde una danza particolarmente animata. Le api che eseguono questo tipo di danza completano la fase di ritorno al punto iniziale in maniera molto più rapida rispetto alla situazione normale, quando vi ritornano con una velocità relativamente bassa. La durata della fase oscillatoria che contiene le informazioni sulla distanza, invece, non viene influenzata dal grado di interesse della sorgente trofica. In cosa consiste una sorgente di cibo di grande interesse? Le api integrano una serie di informazioni in un’immagine globale, che comprende non solo la qualità del cibo,ma anche gli elementi incontrati lungo il percorso. Per esempio, un’alta concentrazione di zucchero nel nettare provoca una danza vivace. Invece, le difficoltà incontrate lungo il percorso verso la sorgente di cibo, quali vento forte, minacce da parte dei nemici e vie d’accesso strette riducono tale animazione. Una danza vivace attira l’attenzione di un numero maggiore di compagne rispetto a danze più tranquille, e quindi un numero maggiore di reclute si riversa verso la specifica sorgente trofica.
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Un’ape danzatrice comunica alle compagne le informazioni raccolte durante il volo dall’alveare al campo di interesse. Ma come fanno le compagne a leggere questo messaggio? La registrazione di filmati visibili a velocità molto rallentata ha fornito ai ricercatori l’illuminazione. Le api che seguono la danza di una compagna usano le proprie antenne per decodificare il messaggio, a partire dall’entità dei movimenti nella sequenza che esprimono la direzione e la distanza. Questo comporta che è soltanto l’entità dei movimenti a determinare la direzione e la distanza. Per assistere correttamente alla danza della compagna, le api devono rimanere immobili con le antenne protratte rigidamente in avanti, a un angolo di circa 90-120° rispetto alle altre api. Poiché sono a contatto con l’ape danzatrice, con il movimento oscillatorio dell’addome, quest’ultima sposta a ritmo costante le loro antenne. Durante la fase dell’oscillazione, le antenne dell’ape che assiste alla danza vengono spostate simultaneamente quando si trova a un determinato angolo o dietro la danzatrice. Per tutte le altre posizioni comprese tra queste due in cui le antenne si possono trovare, esistono diverse combinazioni di spostamento (Fig. 4.24). La danzatrice si sporge in avanti durante la fase dell’oscillazione, mentre le compagne rimangono immobili, quindi la modalità di spostamento delle antenne cambia in maniera precisa. Le api sono consapevoli della propria posizione sul favo, poiché sono dotate di rilevatori di gravità (Fig. 7.12). Esse possono interpretare il messaggio della danzatrice unendo le informazioni sul proprio orientamento nello spazio con la modalità di spostamento delle antenne. La durata della fase di oscillazione che codifica la distanza di volo corrisponde alla durata della stimolazione delle antenne delle api che assistono alla danza. Non tutte le domande su questo tipo interattivo di danza hanno trovato però una risposta. Oggi si presenta la stessa situazione che si era presentata in seguito alla scoperta iniziale della danza: abbiamo una correlazione chiara tra la posizione assunta dell’ape danzatrice e quella delle compagne, e conosciamo il sistema di spostamento delle antenne che ne consegue. Ma che lo spostamento delle antenne venga usato come fonte di informazioni, rimane da confermare. Le api danzatrici e le loro compagne si incontrano su “piste da ballo”riconoscibili attraverso segnali chimici, probabilmente lasciati di proposito
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Fig. 4.24 Nell’oscurità dell’alveare, per identificare i movimenti della danzatrice, le antenne delle api che assistono alla danza vengono usate come il bastone di una persona non vendente. Oscillando durante la danza, l’addome della danzatrice colpisce ritmicamente le antenne mantenute in posizione rigida delle compagne. Uno speciale sistema di contatto tra il corpo della danzatrice e le antenne delle compagne caratterizza la posizione assunta dalle api durante la danza. In questo modo si scambiano le informazioni codificate sulla durata della fase di oscillazione (distanza della sorgente di cibo) e la posizione della danzatrice rispetto alla gravità (direzione della sorgente di cibo)
dalle api stesse (si veda anche Cap. 7). Si presume che il messaggio sulla posizione della sorgente trofica venga trasmesso tramite le antenne, ma manca ancora un importante anello della procedura: come fanno le api a individuare una compagna che esegue la danza all’interno di una pista da ballo affollata e buia? Le rilevazioni effettuate con tecnologie elettroniche e l’osservazione dettagliata del comportamento durante la fase di oscillazione della danza dell’addome sono state fondamentali nel considerare determinante la vibrazione del favo. I segnali chimici della pista da ballo richiamano le api
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verso la stessa area; la fisica del favo è responsabile del contatto diretto tra le compagne. Nel buio dell’alveare, le vibrazioni del favo spingono le api che intendono assistere alla danza, già raggruppate sulla pista da ballo, verso la danzatrice. Le vibrazioni si trasmettono lungo i bordi ispessiti delle cellette del favo, che insieme formano una “rete” sulla sua superficie, come descriveremo nel Capitolo 7 (Fig. 4.25 e Fig. 7.23). Le api producono le vibrazioni attraverso la muscolatura più forte che possiedono, quella toracica, usata anche nelle fasi di volo. Le api scuotono questi muscoli con molta forza, tenendo le proprie ali lontane, in modo che queste si muovano solo leggermente. Questo “motore di volo” non si contrae e si rilassa continuamente, ma produce pulsazioni che nella maggior parte dei casi sono sincronizzate con l’oscillazione massima destra e sinistra dell’addome durante la danza a otto. La frequenza di base di queste vibrazioni è compresa tra 230 e 270 cicli al secondo. Talvolta può essere eseguita una danza “silenziosa”, senza che ci siano differenze visibili all’occhio umano. In realtà questo avviene perché mancano le vibrazioni dei muscoli delle ali. Questa modalità di danza non funge da richiamo, pertanto non vengono reclutate altre bottinatrici. Sembra che il grande movimento oscillatorio venga utilizzato come espediente meccanico per introdurre nel favo la vibrazione dei muscoli delle ali attraverso le zampe. Una danzatrice di poco peso immobile, o in veloce movimento, lungo i bordi della cella non riesce a trasferire una quantità significativa di energia al favo attraverso le sottili zampe. Durante il movimento oscillatorio, tuttavia, l’ape è ancorata ai bordi della cella e li mette in tensione ritmicamente a destra e a sinistra con le proprie zampe. La tensione raggiunge il picco al punto di inversione del movimento oscillatorio, perché è proprio in quel momento che l’ape “tende”con più forza il bordo della cella. Sempre in quell’istante, quando il bordo si trova alla massima tensione, viene indotta una vibrazione al favo. Le api enfatizzano ogni inversione di direzione dell’addome con una pulsazione vibratoria. Va detto che i segnali vibratori prodotti dalle api sono comunque piuttosto deboli, se paragonati al ronzio di sottofondo, forte e costante, di un alveare. I sistemi di comunicazione, sia naturali che artificiali, sono pensati per raggiungere il rapporto segnale-rumore più elevato possibile, e il segnale rilevante deve essere abbastanza forte da essere ricono-
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sciuto nonostante il rumore di sottofondo. Il forte ronzio è costante all’interno di un alveare, e il segnale vibratorio della danza dell’addome eseguita da una singola ape è troppo piccolo per essere rintracciato e distinto dal sottofondo. Come fanno le api a sentire il richiamo, per non parlare della posizione, di una danzatrice, se i segnali sono così deboli e il rumore di sottofondo così alto? Una caratteristica fisica delle proprietà vibratorie del favo è qui di fondamentale importanza, come verrà spiegato dettagliatamente nel Capitolo 7. Sembra, tuttavia, che le caratteristiche della vibrazione sul piano orizzontale, rilevate da ogni ape a partire dai bordi delle cellette attraverso le sei gambe (Fig. 7.27), descrivano la direzione e la distanza della danzatrice sul favo su cui si sta muovendo (Fig. 4.26). Le vibrazioni del favo servono soltanto a condurre le api verso la danzatrice. Non contengono alcuna informazione sulla posizione della sorgente trofica. Anche se molti aspetti del linguaggio della danza sono a noi noti, resta molto da scoprire. Ci sono alcune sorprendenti anomalie relative ad alcuni elementi della fase di oscillazione e alla posizione della sorgente di cibo: • la direzione delle fasi sequenziali dello scuotimento, relative allo stesso obiettivo, cambia di volta in volta;
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Fig. 4.25 Le sottili pareti delle cellette di cera presentano lungo l’estremità superiore un ispessimento, che forma una maglia continua, con fondamenta sulla superficie delle pareti delle celle
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.26 Nell’oscurità dell’alveare, le api individuano da lontano la posizione della danzatrice grazie al sistema di oscillazione bidimensionale delle pareti delle celle. Le pareti delle celle qui delineate in bianco si muovono nella stessa direzione delle altre (Fig. 7.27). Le api rilevano la vibrazione delle pareti delle celle con le zampe. Quando hanno interpretato queste informazioni (come fa nell’immagine l’ape che tocca la cella delineata in bianco), girano la testa in direzione della danzatrice, ruotano il proprio corpo, e quindi corrono verso di lei per unirsi alla danza. La distanza da cui una danzatrice può essere individuata è strettamente legata alla struttura fisica del favo su cui viene eseguita la danza. La danzatrice i cui movimenti regolano l’oscillazione delle celle appare sfocata nella foto a causa del suo rapido movimento
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la durata della fase dello scuotimento che codifica la distanza dipende dalla struttura visiva dell’ambiente interposto fra l’alveare e la sorgente trofica; la rappresentazione della distanza di volo diventa meno precisa all’aumentare della distanza. La danza per un volo di due chilometri corrisponde sostanzialmente a quella per un volo di tre chilometri – all’incirca il limite massimo per un normale volo di bottinatura –, anche se api foraggere possono essere trovate a una distanza di dieci chilometri dal proprio alveare. Escursioni così estreme non possono essere descritte accuratamente nella danza.
Come fanno le reclute a trovare l’area di raccolta del cibo con istruzioni così imprecise?
Avanti reclute, seguite i segnali Dall’osservazione delle reclute che seguono una danzatrice per diversi cicli si possono trarre molte informazioni. Per raggiungere la sorgente trofica durante il primo volo dall’alveare, la nuova recluta impiega un tempo trenta volte maggiore rispetto all’ape che ha già visitato il posto. Un’ape che abbia una buona competenza del territorio può coprire la distanza in 40 secondi; una nuova recluta che lascia per la prima volta il nido dopo aver assistito alla danza può impiegare fino a 20 minuti per raggiungere la sorgente trofica. Una riduzione significativa del tempo di volo delle nuove reclute si segnala quando la sorgente trofica è caratterizzata da un odore particolarmente allettante, e quando il vento trasporta l’odore direttamente all’alveare. Il fatto che le danzatrici visitino sorgenti di cibo che non emanano odore, è una prova evidente che le api si scambiano informazioni direttamente sul campo. Le api con e senza competenza del territorio, per lo meno quando volano verso una sorgente trofica, formano piccoli gruppi
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.27 Le api esperte accompagnano le nuove reclute verso i fiori. Spesso le bottinatrici e le nuove reclute atterrano in coppia
misti che comprendono fino a dieci individui. Quelli esperti atterrano per primi, seguiti dai gruppi inesperti (Fig. 4.27). A volte si possono vedere atterraggi a coppie, in cui l’ape esperta è localizzata sotto quella inesperta. Come si formano questi gruppi di bottinatrici? Le nostre conoscenze a questo proposito sono scarse, ma sembra che le api che danzano nell’alveare aiutino sui campi le api reclutate. Un’ape che ha visitato una sorgente trofica, ma che non danza, nell’alveare vola nuovamente in linea retta verso la sorgente, dove atterra immediatamente all’arrivo. Una bottinatrice che ha eseguito la danza, invece, descrive dei grandi cerchi in volo attorno all’obiettivo, producendo un vigoroso ronzio. Questi voli “rumorosi” hanno portato Karl von Frisch, prima di scoprire la comunicazione della danza, a considerare la possibilità che le api conducessero acusticamente le compagne dal nido verso la sorgente di cibo. La velocità ridotta dei “voli ronzanti”
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COSA NE SANNO LE API DEI FIORI Fig. 4.28 Le bottinatrici esperte che hanno visitato la stessa sorgente trofica spesso si riuniscono in gruppi nell’alveare e formano un corpo di ballo unico durante le danze
permette all’osservatore di notare le strisce di colore chiaro sull’addome delle api. Si tratta delle aperture delle ghiandole odoripare situate tra gli ultimi due segmenti dell’addome dell’ape. Quando viene aperta, la ghiandola odoripara emana geraniolo, odore fondamentale in molti contesti comportamentali (si veda anche Fig. 4.13). Le api che non producono un ronzio, ma che atterrano senza descrivere dei cerchi sulla sorgente, e senza compagne, mantengono le proprie ghiandole odoripare chiuse. Le bottinatrici che emettono il ronzio atterrano assieme alle reclute. Le api esperte e le reclute non decollano in gruppo già dall’alveare per volare verso l’obiettivo: i gruppi si formano da qualche altra parte lungo il percorso dall’alveare e l’area di raccolta. Esiste anche un gruppo di api che si presentano, molto velocemente e senza alcun aiuto, presso la sorgente di cibo indicata, dopo aver assisti-
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IL RONZIO DELLE API Fig. 4.29 Bottinatrici di polline esperte in un gruppo di api che hanno visitato la stessa sorgente di polline della danzatrice
to alla danza nell’alveare. Si tratta di bottinatrici esperte che conoscono e hanno già visitato il sito, anche molti giorni prima. È stato osservato che le bottinatrici che effettuano il raccolto dalla stessa sorgente, marchiate con una piccola goccia di colore, rimangono una vicino all’altra all’interno dell’arnia e trascorrono in gruppo anche la notte (Fig. 4.28). Inoltre, questi gruppi di api spesso partecipano alle stesse danze, dove un’ape del gruppo fungerà da danzatrice e le altre la seguiranno (Fig. 4.29). Ne consegue che le api danzatrici non richiamano soltanto nuove reclute, ma anche bottinatrici esperte, comprese quelle che hanno visitato lo stesso sito. In questo modo, probabilmente, le bottinatrici esperte vengono avvisate che le scorte di una sorgente di cibo già nota sono state rifornite.
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Le api non sono dotate di un vero e proprio senso dell’udito, quindi i voli che producono un ronzio nelle vicinanze di una sorgente trofica non possono essere percepiti acusticamente dalle api, per essere utilizzati come punto di riferimento. Tuttavia, questo tipo di volo ha un notevole impatto visivo e stimola in maniera ottimale la sensibilità visiva delle api al movimento. Il ronzio prodotto dal volo è probabilmente causato in maniera involontaria dalle ali, utilizzate per produrre una turbolenza che, alla stregua della scia lasciata da una nave sulla superficie del mare o da un aereo nel cielo, rimane stabile nell’aria per qualche tempo, catturando i feromoni emanati dalle ghiandole odoripare e fornendo ulteriori indicazioni stradali alle nuove reclute, sotto forma di segnali chimici. Molti elementi della comunicazione usata per reclutare piccoli gruppi diretti alle sorgenti trofiche sono stati osservati anche nella sciamatura vera e propria. I gruppi di bottinatrici non subiscono la stessa pressione selettiva degli sciami, perché non è in gioco il destino dell’intera colonia. Una colonia in fase di sciamatura deve trovare al più presto una nuova sistemazione, o morirà (Fig. 2.8). Il comportamento assunto per reclutare api da mandare verso le sorgenti di cibo probabilmente è una derivazione di ciò che avvienne durante la sciamatura. Il reclutamento delle api da inviare alle aree di raccolta è un comportamento molto complesso, attraverso il quale le api nell’alveare e nei campi comunicano tra loro. I fiori vengono in aiuto apportando ulteriori indicazioni, come gli odori assorbiti dal corpo dell’ape che esegue la danza che, assieme a quelli trasportati dal vento, servono da segnali olfattivi. Se hanno una quantità sufficiente di risorse naturali a disposizione, le colonie di api si sviluppano normalmente anche se si disorienta la loro danza inclinando l’arnia su di un lato, quindi privandole di fatto del punto di riferimento della gravità e della capacità delle api danzatrici di trasmettere informazioni sulla direzione. Una colonia circondata da risorse sufficienti e distribuite in maniera uniforme nello spazio non viene sfavorita da questo trattamento, e troverà un numero adeguato di fiori per soddisfare i propri bisogni, attraverso fortuite ricerche e l’identificazione degli odori. La comunicazione attraverso la danza diviene di estrema importanza quando le risorse sono numericamente e spazialmente limitate. Un reclutamento mirato porterà a un considerevole miglioramento del raccolto.
La vita sessuale delle api e le spose vergini Molti aspetti della vita sessuale delle api rimangono ancora un mistero.
La sessualità serve a conservare la diversità e la varietà dei caratteri all’interno di una popolazione. L’eterogeneità del fenotipo si mantiene attraverso l’unione di una cellula uovo e di una cellula spermatica, che produce una specifica combinazione del materiale genetico di entrambe nel genotipo di un nuovo individuo maschio o femmina. Le api non fanno eccezione a questa regola generale, ma anche qui, come in molti altri aspetti, risultano piuttosto atipiche. Gli organismi di sesso femminile producono generalmente gameti in numero relativamente basso, ma di grandi dimensioni, provvisti di quantità abbondanti di nutrimento, e molto preziosi. Questa è la definizione biologica di “femmina”. I maschi, d’altra parte, producono cellule spermatiche di dimensioni minute che, in pratica, si riducono a “genotipi dotati di motore” e possono essere generate in grandi quantità. Da un punto di vista “gameto-tecnico”, un numero ridotto di maschi all’interno di una popolazione sarebbe sufficiente per fecondare tutte le femmine. Nelle api, però, ritroviamo una situazione opposta. Per ogni dieci regine, numero massimo prodotto da una colonia, troviamo tra i 5.000 e i 20.000 fuchi. Senza entrare nel dettaglio delle ragioni di questo squilibrio (che verrà trattato nell’ultimo capitolo), sarà interessante prendere in considerazione un’ideale popolazione in cui troviamo lo stesso numero di femmine e di maschi. Ci si può immaginare che tale situazione porti a una competizione tra i maschi per conquistare le femmine, poiché solo alcuni di essi sono necessari per produrre sperma in quantità sufficiente per tutte le femmine. Tale competizione, naturalmente, è tipica di questo tipo di popolazioni e si esprime con comportamenti ben riconoscibili nell’accoppiamento, o con uno scontro diretto tra i maschi.
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Nelle colonie di api mellifere troviamo complessivamente circa un migliaio di fuchi per ogni femmina. La competizione che ne risulterebbe seguendo lo stesso principio sarebbe spietata ma, come vedremo in seguito, anche per questo problema è stata trovata una soluzione abbastanza pacifica. Rispondere alla domanda “come lo fanno le api” non è facile. Per farlo, dovremo addentrarci in alcuni insoliti dettagli della vita sessuale di questi insetti. Studi specifici sull’argomento hanno fornito nuove informazioni su quest’aspetto della biologia delle api, rivelando delle lacune nelle precedenti conoscenze. Soltanto alcune delle figlie – in totale all’incirca un milione – che la regina genera nell’arco della sua vita finiranno per accoppiarsi. Esclusivamente le giovani regine intraprendono un “volo nuziale”, e comunque una sola volta nella vita. La situazione dei fuchi non è migliore; anzi, alla maggior parte va molto peggio. Soltanto alcune decine di essi verranno coinvolti nell’accoppiamento. E pagheranno con la vita.
Il volo nuziale Circolano molte leggende sul comportamento delle api durante l’accoppiamento, dovute principalmente alla difficoltà di osservarle in tale frangente. I luoghi dove avvengono gli accoppiamenti vengono segnalati dalla presenza di enormi adunate di fuchi, che presentano proprietà quasi mistiche. I giovani fuchi raggiungono la maturità sessuale circa una settimana dopo la nascita, e si concentrano anno dopo anno esattamente nello stesso posto, ronzando ammassati nell’aria in folti e rumorosi gruppi, in attesa dell’arrivo delle giovani regine. Ma come fanno le regine, a volte trasportate dagli apicoltori in un luogo mai visto prima, a trovare queste adunate di fuchi? Perché non vi è competizione aggressiva tra i fuchi dell’alveare o tra i fuchi di diverse colonie durante i tentativi di accoppiamento con le regine? E perché le operaie sembrano rimanere indifferenti agli entusiasmanti eventi che si svolgono durante l’accoppiamento? Perché le api si limitano a produrre soltanto alcune giovani regine e poi lasciano questi preziosi individui – da cui dipende la
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sopravvivenza della colonia intera – liberi di avventurarsi in un mondo sconosciuto e pericoloso? Le curiosità sono molte, e le risposte possono essere fornite solo gradualmente. Ma ci sono alcuni punti di riferimento ben determinati in questo particolare mondo dell’accoppiamento delle api. Le adunate dei fuchi, per esempio, sono state osservate in varie parti del globo, e possono raggiungere dimensioni che coprono un’area grande da 30 a 200 metri. Si formano in un ambiente che solitamente mostra evidenti caratteristiche visive che sembrano attrarre i fuchi. Questi elementi possono essere costituiti da grandi alberi, o un orizzonte che presenta oggetti scuri in contrasto con il cielo luminoso, o aperture luminose in una parete scura. Inoltre, si ritiene che un punto di riferimento per il loro orientamento possa essere costituito da un flusso di acqua, sia superficiale che sotterraneo. Può sembrare strano, ma tali adunate non sono essenziali, in quanto l’accoppiamento si verifica anche dove esse non sono mai state viste. Siamo perciò portati a pensare che le adunate di fuchi non siano altro che un comportamento di gruppo derivato dalle caratteristiche dell’ambiente circostante. Se quest’ultimo presenta degli elementi di grande impatto visivo per i fuchi, si formeranno dei raggruppamenti. Quando ciò non avviene, l’accoppiamento si realizza in ogni caso. Nelle regioni dove si incontrano adunate di fuchi in volo, si può osservare che queste non sono stabili in un luogo, ma si spostano rapidamente nell’ambiente. Questi ammassi di fuchi sono stati avvistati mentre si disperdono, per poi riformarsi di lì a poco in un altro luogo, quindi disfarsi di nuovo e riapparire ancora in un altro luogo. L’area in cui avvengono queste adunate sembra essere abitata da molti fuchi che si riuniscono di tanto in tanto in raggruppamenti più fitti. A differenza di quanto si credeva in passato, i fuchi non rimangono in volo costante dopo aver lasciato l’alveare. Si possono, infatti, trovare mentre riposano sulla vegetazione a terra, o sulle foglie e sui rami degli alberi (Fig. 5.1), e non soltanto durante il cosiddetto “allontanamento dei fuchi” quando, alla fine della stagione dell’accoppiamento, vengono sfrattati dall’alveare (Fig. 5.2). Ma cosa aspettano i fuchi a riposo o in volo fuori dall’alveare? Le giovani regine, naturalmente.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 5.1 I fuchi sono macchine volanti molto efficienti, ma non volano senza sosta. Possono essere avvistati mentre si riposano sulla vegetazione anche durante la stagione dell’accoppiamento
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Fig. 5.2 I fuchi diventano superflui alla fine della stagione dell’accoppiamento. I fuchi rimanenti non ricevono più nutrimento, vengono espulsi dall’alveare e muoiono per inedia
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Le regine vergini con circa una settimana di vita lasciano l’alveare una o più volte, per periodi che solitamente durano da pochi minuti fino a un’ora, e fanno rientro alla colonia dopo che l’accoppiamento è avvenuto. La regina può partire dall’alveare per un volo nuziale molte volte, e continuerà a farlo finché la sua tasca spermatica non si sarà riempita. Un singolo fuco può fornire fino a 11 milioni di cellule spermatiche. In seguito a un volo
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nuziale, la regina può immagazzinare fino a 6 milioni di cellule spermatiche che costituiscono, però, solo il 10% circa del totale di cellule spermatiche contenute nella spermateca che, alla fine dell’accoppiamento, vengono portate all’alveare. Lo sperma si mantiene fresco nella spermateca della regina per molti anni. È una vera e propria banca del seme naturale con cui vengono fecondate circa 200.000 uova ogni anno. I fuchi escono dall’alveare nella tarda mattinata e vi rimangono fino a metà pomeriggio, in coincidenza con l’orario dei voli delle regine fuori dall’alveare. Mentre le giovani regine, quando il loro primo volo ha successo, non hanno più bisogno di lasciare nuovamente l’alveare, i fuchi escono dall’alveare ogni giorno, indipendentemente dalla presenza delle giovani regine. I voli giornalieri dei fuchi avvengono, la maggior parte delle volte, senza che ci sia alcun accoppiamento e sono un’indicazione della notevole competizione tra i fuchi di diverse colonie in una particolare regione. L’esodo quotidiano dei fuchi dall’alveare, infruttuoso il più delle volte può continuare per diverse settimane, riducendo notevolmente il rischio di lasciarsi sfuggire una giovane regina fuori dal proprio nido. Si tratta chiaramente di un’operazione dispendiosa, ma la ricompensa – il concepimento di migliaia di api – può essere senza dubbio cospicua. L’investimento massiccio per produrre un elevato numero di fuchi e la loro attività di volo portano alla mancanza di aggressività tra i fuchi stessi. Nelle specie solitarie si riscontra un comportamento opposto, in cui la rivalità tra maschi si esprime a livello di cellule spermatiche, la cosiddetta “competizione spermatica”: all’interno dell’organo sessuale femminile, si verifica una lotta fisica tra gli spermatozoi per la conquista dell’accesso all’ovulo. In questo caso, la ricetta del successo risiede nella quantità assoluta di sperma che viene depositato. Nel superorganismo della colonia di api, i fuchi sono sostanzialmente portatori volanti di sperma. Si riversano in massa sul luogo in cui avviene l’accoppiamento e svolgono la stessa funzione delle singole cellule spermatiche in competizione all’interno della femmina, situazione tipica delle specie solitarie: le loro enormi quantità servono a procurare la vittoria sui rivali. Quando si trovano all’esterno dall’alveare, ed esclusivamente in questo caso, le regine fanno uso di un richiamo olfattivo altamente allettante
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Fig. 5.3 Le regine vergini e i fuchi convivono “platonicamente” all’interno dell’alveare
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per i fuchi. All’interno del nido, invece, si ignorano a vicenda anche se vivono a stretto contatto per settimane (Fig. 5.3), evitando di procreare. Studi genetici hanno dimostrato che una regina si accoppia con diversi fuchi durante il volo nuziale, l’unico della sua vita. I fuchi si avvicinano alle regine vergini controvento, attirati dall’odore che la regina emana dalle ghiandole mandibolari. Dentro il nido, la stessa sostanza è usata per sopprimere lo sviluppo delle ovaie delle operaie. Quando avvistano una giovane regina in volo, i fuchi le si avvicinano velocemente, guidati dalla vista, e la seguono come fossero legati alla regina da un filo invisibile. Quando la raggiungono, la afferrano con le zampe, e si agganciano ai suoi organi genitali con le strutture deputate all’accoppiamento. I fuchi estroflettono circa il 50% del proprio endofallo, parte dell’organo sessuale maschile, e si appendono alla regina. Il fuco
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assume un atteggiamento passivo; è la regina che si occupa personalmente dell’estroflessione completa dell’endofallo (Fig. 5.4) e del trasferimento delle cellule spermatiche con una contrazione vigorosa dei propri muscoli addominali. Non è insolito che questo procedimento causi l’esplosione dell’addome del fuco, a volte udibile nell’aria. Lo scoppio dell’addome del fuco ne causa la morte immediata. Inizialmente, l’endofallo rimane attaccato alla regina. Esso costituisce il cosiddetto segnale di accoppiamento, che attira i fuchi al seguito della regina, composto dal muco prodotto dalle ghiandole, dalla protuberanza di chitina dell’endofallo e da un rivestimento appiccicoso e di colore arancione (riflettente luce ultravioletta), i corni (Fig. 5.4). L’endofallo saldamente ancorato (Fig. 5.5) non è, però, una specie di cintura di castità che blocca ad altri fuchi l’accesso alla regina, ma esattamente l’opposto: l’odore del segnale di accoppiamento e il caratteristico riflesso ultravioletto della componente colorata, al quale gli occhi dei fuchi sono particolarmente sensibili, attirano un maggior numero di pretendenti verso
Fig. 5.4 Un fuco ha estroflesso il suo grande organo sessuale. L’ampia vescicola bianca contiene le cellule spermatiche. I due uncini rivolti verso il basso servono ai fuchi per agganciarsi alla regina durante l’accoppiamento
Fig. 5.5 In seguito all’avvenuto accoppiamento, parte dell’endofallo rimane nell’apertura dell’organo genitale della regina e viene riportata al nido dopo il volo nuziale per segnalare l’avvenuta fecondazione
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Fig. 5.6 Gli imenotteri che vivono in colonie, come le vespe e i calabroni, si accoppiano sul terreno e mai in volo
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la regina. A quanto pare, essi non fanno altro che rimuovere il “tappo”, per poi sostituirlo con il proprio in seguito all’accoppiamento. È abbastanza insolito che i fuchi, che hanno portato a termine la loro missione, lascino un segnale ai successori per indicare la strada verso la copulazione. Quale vantaggio possono trarre da questo fatto e dalla mancanza totale di una competizione aggressiva? Una possibile risposta a questa domanda verrà fornita nel Capitolo 9. Durante la stagione dell’accoppiamento, non è inusuale vedere a terra gruppi di fuchi delle dimensioni di un pugno, con la regina situata al loro centro. Durante la copulazione, la coppia composta dalla regina (che, al contrario delle operaie, non sa volare molto bene) e dal fuco attaccato al suo corpo, non è in grado di librarsi in volo molto agevolmente e spesso è costretta ad atterrare. Altri fuchi si riversano sulla regina, nella speranza di riuscire ad accoppiarsi. Tutte le altre specie parenti delle api, come i calabroni, le vespe e le formiche, copulano a terra (Fig. 5.6). Molti aspetti dell’accoppiamento delle api rimangono ancora sconosciuti. Per esempio, viene da chiedersi se la maggioranza della popolazione di una colonia – vale a dire le operaie – è realmente disinteressata alla questione e completamente estromessa dal cruciale rapporto esistente tra la regina e i fuchi.
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Le damigelle operaie Il volo nuziale è un’impresa estremamente rischiosa per la regina e per l’intera colonia, di cui la regina è sostanzialmente l’unico gamete. Le api in volo sono preda di molti animali, non solo della grande vespa scavatrice (Philanthus triangulum), i cui esemplari femmina catturano le api e le seppelliscono in cunicoli sotterranei per darle in pasto alle loro larve. Molti uccelli sono predatori delle api, e hanno imparato a evitare il pericolo rappresentato dai loro pungiglioni. Perché, allora, la giovane regina, filo sottile a cui è appeso il destino della colonia, risultato dell’unione degli sforzi di tutte le api della colonia, dovrebbe andarsene completamente sola in giro per il pericoloso mondo al di fuori dell’alveare? Difficile da immaginare. Le colonie di api hanno sviluppato soluzioni ottimali per ogni problema possibile; ci si potrebbe chiedere perché non hanno mai trovato un modo più sicuro di condurre questa cruciale procedura, da cui dipende il futuro dell’alveare intero. Il fenomeno dei “voli di orientamento di massa”, da sempre noto agli apicoltori per la presenza di piccoli sciami di api davanti all’alveare, ha gettato un po’di luce sulla questione.In un periodo particolare dell’anno, e precisamente all’orario della giornata in cui le giovani regine e i fuchi devono uscire dall’alveare, si vedono nugoli di api che decollano e atterrano in continuazione all’ingresso dell’alveare (Fig. 5.7). Una possibile spiegazione per questo comportamento è che si tratti di una forma di volo di orientamento delle giovani api. Sulla base di semplici esperimenti e delle osservazioni descritte in dettaglio qui di seguito, esiste un’altra spiegazione che suggerisce che i voli di orientamento di massa hanno una rilevanza completamente diversa, e molto più mirata, nel processo di accoppiamento delle api. Per esempio: • marchiando le giovani api all’uscita dall’alveare, e registrando l’ora del giorno in cui intraprendono i loro primi voli, si scopre che esse lasciano la colonia, si lanciano nei primi voli di orientamento e ritornano alla colonia per tutta l’intera durata degli orari normali di volo, dall’alba al tramonto, non soltanto quindi durante i voli di orientamento di massa. Si scopre, inoltre, che le giovani api marchiate non si concentrano nell’orario in cui si svolgono i voli di orientamento di massa;
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Fig. 5.7 Durante la stagione degli accoppiamenti, si può assistere a voli di orientamento di massa davanti all’alveare; in questo periodo l’attività di bottinatura viene ridotta notevolmente
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se si cattura uno sciame intero durante un volo di orientamento di massa, e se si esaminano gli individui che ne fanno parte, le giovani api saranno sicuramente presenti, ma in numero ridotto, poiché esse sono attive durante tutta la giornata. La maggioranza delle api nei voli di orientamento di massa sono in realtà bottinatrici anziane ed esperte, identificabili dalle ali stracciate e dalle setole consumate. Tali bottinatrici non hanno certo bisogno di voli di orientamento. Alcune di quelle catturate nello sciame del volo di orientamento di massa arrivavano direttamente “dal lavoro” ed erano identificabili dalle cestelle piene di polline e dalla sacca melaria piena di nettare; i voli di orientamento di massa si svolgono sempre alla stessa ora del giorno nelle colonie che comprendono solo bottinatrici anziane; una colonia privata della regina per diverse settimane non intraprende voli di orientamento di massa, anche se vengono regolarmente aggiunte giovani api a un tasso corrispondente a quello normale delle nascite quando è presente la regina; se viene reintrodotta la regina nella colonia, i voli di orientamento riprendono dal primo giorno della sua presenza; i voli di orientamento di massa si svolgono solo nel periodo dell’anno in cui i fuchi intraprendono i loro voli e le giovani regine partono per il loro volo nuziale. Prima e dopo questo periodo la colonia produce un numero elevato di operaie che devono intraprendere voli normali di orientamento, ma non si riuniscono mai in sciami per i voli di orientamento di massa; l’attività di bottinatura della colonia viene temporaneamente sospesa in maniera sensibile nel periodo dei voli di orientamento di massa.
La teoria secondo la quale i voli di orientamento di massa rappresentano i voli di orientamento delle giovani api quindi non sta in piedi. Ma allora, qual è la ragione di questi voli di massa, se essi avvengono solo in presenza di una regina? Con grande pazienza, è stato possibile assistere all’uscita di una giovane regina dall’alveare per il volo nuziale: essa cammina fino a un punto davanti all’ingresso accompagnata da un seguito composto da massimo 20 operaie, prima di librarsi in volo con tutto il gruppo (Fig. 5.8).
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LA VITA SESSUALE DELLE API E LE SPOSE VERGINI Fig. 5.8 La regina vergine, accompagnata da un gruppo di operaie, lascia l’alveare per recarsi in volo verso il suo “appuntamento nuziale”
In coincidenza con la partenza della regina e del suo seguito, scompare anche lo sciame di orientamento di massa, per riapparire di nuovo davanti all’alveare al momento dell’arrivo della regina (Fig. 5.9). Se la regina non riappare dall’alveare, lo sciame di orientamento di massa si disperde in circa mezz’ora, per ricomparire in formazione il giorno seguente. Al ritorno, dopo l’atterraggio, la regina si ritira immediatamente dentro l’alveare, al sicuro assieme al suo seguito di operaie. Molte api del nuovo sciame di orientamento di massa la seguono all’interno (Fig. 5.10); lo sciame poi si disperde rapidamente. La regina di ritorno da un volo nuziale spesso porta con sé, attaccato all’organo sessuale, l’endofallo del fuco sacrificatosi nell’ultimo accoppiamento (Fig. 5.11). Questo “segnale di accoppiamento” viene rimosso dal corpo della regina dalle operaie del suo seguito prima di fare ritorno all’alveare (Fig. 5.12) o immediatamente dopo l’ingresso nel nido (Fig. 5.13).
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IL RONZIO DELLE API Fig. 5.9 Di ritorno al nido, la regina è sempre seguita dal gruppo di operaie
Fig. 5.10 La regina, ad accoppiamento avvenuto, atterra ed entra nell’alveare con il proprio seguito. Può succedere che non esca più dal nido fino all’anno seguente, durante la successiva stagione della sciamatura
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Fig. 5.12 Se la regina rientra troppo rapidamente nel nido, il segnale di accoppiamento viene rimosso all’interno dell’alveare e non all’aperto
Ciò che succede esattamente nei campi e il ruolo svolto dalle operaie che accompagnano la regina, rimane ancora un mistero. Tuttavia, si sta lentamente delineando un quadro grazie alle analisi di un grande numero di osservazioni svolte individualmente dagli apicoltori. Un apicoltore che non faccia ricorso all’inseminazione artificiale delle proprie regine ha due opzioni per la fecondazione: (1) accoppiamento locale, in cui la procedura si basa sul comportamento spontaneo delle giovani regine e dei fuchi e sulla presenza di colonie completamente sviluppate già stabilitesi nell’area, e (2) trasporto della giovane regina, assieme a una “minicolonia” composta da alcune centinaia di operaie contenute in una piccola scatola da accoppiamento (Fig. 5.14), presso una cosiddetta “stazione d’accoppiamento” dove vi siano insediate colonie di grandi dimensioni contenenti molti fuchi. È interessante notare che raramente durante un accoppiamento locale la regina scompare: praticamente ogni regina ritorna all’alveare dal volo nuziale sana e salva, e fecondata. Invece, tra quelle trasportate presso un’a-
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Fig. 5.11 Alle volte, la regina torna al nido trasportando parte dell’endofallo dell’ultimo fuco con cui si è accoppiata, come segnale di avvenuto accoppiamento
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Fig. 5.13 Un’operaia rimuove il segnale di accoppiamento dall’organo genitale della regina
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LA VITA SESSUALE DELLE API E LE SPOSE VERGINI Fig. 5.14 Gli apicoltori organizzano l’accoppiamento libero delle giovani regine presso cosiddette “stazioni di accoppiamento”. Qui una minicolonia, comprendente la giovane regina e alcune centinaia di operaie, viene liberata in un’area dove ci sono diversi insediamenti di colonie con molti fuchi
rea diversa e che partono da una minicolonia, una regina su tre viene persa. In condizioni naturali, una perdita del 30% sarebbe potenzialmente grave, considerato che soltanto un numero molto ristretto di regine vengono prodotte dalla colonia ogni stagione. Cosa provoca questa differenza nella sopravvivenza delle regine? Si tratta forse delle dimensioni e delle capacità del gruppo che accompagna la regina nel suo volo? Il volo della regina è molto più sicuro se condotto da un’ape bottinatrice. Le regine, infatti, non possiedono alcuna conoscenza dell’area al di fuori dell’alveare, o al massimo hanno un’idea del posto dai pochi voli di orientamento. Le bottinatrici hanno ben presente nella propria testa la geografia del loro habitat, e possono fungere da guide, specialmen-
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te durante il volo di ritorno verso un alveare dal quale si sono da poco allontanate. Per assicurare l’incolumità della regina, il rientro deve essere rapido e diretto. Le giovani regine sono il bene più prezioso che una colonia può produrre, e molte attenzioni devono essere riservate alla loro sicurezza. Una piccola cinciallegra, attirata dalla macchia scura volante, rappresentata dalla regina sullo sfondo del cielo luminoso, può mettere a repentaglio la riproduzione dell’intera colonia. I voli di gruppo non sono solo d’aiuto per l’orientamento, ma costituiscono anche un sistema di protezione con il loro “effetto banco di pesci”. Quanto più alto è il numero di operaie che popolano l’area dell’accoppiamento, maggiore sarà la protezione offerta da questo effetto, una possibilità supportata dall’osservazione che tutte le regine delle grandi colonie solitamente fanno ritorno dal loro viaggio nuziale, mentre nelle piccole colonie solo due regine su tre tornano a casa. Si potrebbe attribuire un ruolo ancora più attivo alle operaie nel processo dell’accoppiamento: è noto che se si colloca una giovane regina su di una foglia all’aperto entro pochi minuti, se non vola via immediatamente, verrà circondata da un piccolo gruppo di operaie. Questo avviene anche se la regina si trova a centinaia di metri di distanza dall’alveare più vicino. I fuchi, attratti dalla regina recettrice, arrivano poco dopo le operaie e vengono scacciati in maniera aggressiva – addirittura inseguiti mentre volano via. Questa situazione, in cui le operaie inseguono i fuchi, all’occhio di un osservatore appare come un volo di fuchi all’inseguimento della regina. La realtà dei fatti si scopre soltanto filmando senza interruzioni l’intero sviluppo di questo comportamento. La funzione delle api operaie non è chiara, così come non è noto se questo comportamento sia un’eccezione o la regola.Tuttavia, sembra che le operaie che circondano la regina permettano solo ad alcuni fuchi di raggiungerla, mentre ne allontanano altri. La possibilità che siano le operaie a scegliere quali fuchi debbano accoppiarsi con la propria regina solleva alcuni interessanti dubbi, che potrebbero essere oggetto di future ricerche. Si tratta forse di un’altra misura contro l’accoppiamento tra individui della stessa colonia? Di ritorno dal volo nuziale, la regina non abbandonerà più il nido fino all’anno successivo, quando la colonia adotterà una nuova regina. La vecchia regina sarà a capo di uno sciame di api che andrà alla ricerca di una nuova casa. Le cellule spermatiche raccolte dalla regina nell’accoppia-
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Animali-gameti Ma ritorniamo alla questione dell’allevamento di individui sessualmente attivi nella colonia. Il primo segnale che una colonia ha cominciato ad allevare fuchi e regine – guardando all’alveare come a un superorganismo, si tratta sostanzialmente di “individui gameti” – è costituito dai cambiamenti nell’architettura del favo. Le regine vengono allevate in cellette da regina, costruite in numero ridotto lungo il bordo del favo. Le larve che crescono in questa “sistemazione reale” sono inizialmente indistinguibili da quelle che diverranno future operaie. La speciale dieta a base di pappa reale che le larve ricevono in queste cellette, tuttavia, le porta a svilupparsi in regine. La vecchia regina riceve un trattamento decisamente peggiore: la sua razione di pappa reale cala progressivamente, finendo costretta a cibarsi anche di miele. In questo modo, la regina diviene più snella in preparazione alla partenza dall’alveare con lo sciame primario delle operaie. Più o meno una settimana dopo la partenza della vecchia regina, seguita all’incirca da metà colonia, la prima tra le giovani regine emerge dalla propria celletta (Fig. 5.15). Due giovani regine che si incontrano nel nido lotteranno fra loro fino alla morte di una di esse (Fig. 5.16). Allevare giovani regine che poi si uccidono a vicenda, però, non è un sistema economicamente vantaggioso. Scontri di questa natura vengono evitati se anche la prima giovane regina a emergere abbandona rapidamente il nido, come la vecchia regina prima di lei, accompagnata da uno sciame secondario di individui della colonia. Può succedere che una seconda regina, nata subito dopo la prima, si unisca allo sciame secondario. In questo caso il duello, inevitabilmente mortale, non fa altro che spostarsi in altra sede. Lo scontro mortale fra individui preziosi come le regine a volte può essere evitato da un altro meccanismo comportamentale: la prima regina nata
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mento iniziale rimangono disponibili per anni. Se la riserva di sperma dovesse esaurirsi, la regina si troverà a deporre solo uova non fertilizzate che diventeranno fuchi, portando così a termine il proprio compito per l’immortalità della colonia.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 5.15 Una nuova regina viene alla luce. L’emersione dalla cella, però, come qualsiasi altra attività all’interno dell’alveare, si svolge in totale oscurità
intraprende un “dialogo vibratorio” con la regina ancora chiusa nella celletta. I segnali utilizzati in questa comunicazione sono così forti che si possono udire anche al di fuori dell’alveare. La regina primogenita si potrebbe dire che “suona il corno” quando emerge dalla celletta. Le operaie che assistono le altre regine nella loro nascita si fermano non appena ricevono il segnale. Alle volte, questo suono riceve in risposta un “quack” dalla regina ancora chiusa nella sua cella. Questo curioso duetto ritarda la nascita della seconda regina ed evita lo scontro regale. Anche la comparsa di nuovi fuchi viene annunciata da cambiamenti nell’architettura del favo. Quando non c’è motivo di allevare fuchi che, al di fuori della stagione dell’accoppiamento, sarebbero soltanto bocche in più da sfamare e uno spreco di risorse per la colonia, le operaie costruiscono cellette con un diametro compreso tra i 5,2 e i 5,4 mm. Se dovesse esserci
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LA VITA SESSUALE DELLE API E LE SPOSE VERGINI Fig. 5.16 Dall’incontro di due giovani regine scaturisce un duello mortale. Il pungiglione velenoso viene usato senza esclusione di colpi
bisogno della presenza di fuchi, tuttavia, alcune migliaia di cellette supplementari, dal diametro tra 6,2 e 6,4 mm, verranno aggiunte al bordo del favo. Questo tipo di cellette può costituire circa il 10% delle celle totali di una colonia (Fig. 5.17). La regina usa le zampe anteriori per misurare le dimensioni delle cellette. Quando incontra una cella dal diametro piccolo, vi depone un uovo fecondato che si svilupperà in un individuo femminile. Se la cella ha dimensioni maggiori, vi depone un uovo non fecondato che si svilupperà in un fuco. L’apparato riproduttore dell’ape regina, che permette o impedisce alle cellule spermatiche di raggiungere l’ovulo, dovrà essere dotato di un sistema di controllo molto affidabile.Tuttavia, non è la regina che decide il sesso della prole e le eventuali conseguenze ma le api operaie. La regina è soltanto il loro strumento.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 5.17 Favi di covata con una copertura piatta sulle cellette delle operaie (a destra) e una copertura rotonda sulle cellette dei fuchi (a sinistra). Le dimensioni, piccole o grandi, delle cellette determinano il comportamento della regina nella deposizione delle uova. Essa depone uova fecondate nelle cellette più piccole e le uova non fecondate nelle cellette più grandi
Il raggiungimento di standard elevati – La sostituzione delle regine inadeguate La colonia decide anche quando è arrivato il momento di una nuova regina; infatti la vecchia regina viene rimpiazzata regolarmente. Si tratta di una soluzione logica, perché le riserve di cellule spermatiche raccolte durante il volo nuziale prima o poi si esauriscono. La regina produce uno speciale
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feromone; le api “di corte”, al seguito della regina, leccano con frequenza il suo corpo e ne assorbono l’odore (Fig. 5.18). Poi, queste api spargono il feromone in tutto l’alveare, grazie allo scambio continuo di cibo che avviene tra le operaie, e con esso informazioni sulla presenza e la condizione della regina. Quando l’intensità dell’odore della regina scende sotto un certo livello, come quando la regina invecchia, viene allevata una nuova regina “di ricambio”. L’avvio del procedimento di sostituzione della regina non richiede una situazione estrema. Piccole menomazioni che possono sembrare banali a un osservatore umano possono condurre alla sostituzione. Una regina priva di una zampa che non sia una di quelle anteriori, che le servono per misurare le dimensioni della celletta (Fig. 5.19), non presenta una menomazione grave, perché è ancora in grado di garantire la produzione della generazione successiva. Lo standard che si richiede a una regina in perfette condizioni è, ovviamente, molto elevato. Una piccola anormalità può condurre all’allevamento di una nuova regina e alla prevedibile fine della vecchia. Questa “rivoluzione pacifica” alle volte permette alla vecchia regina di continuare indisturbata la deposizione delle uova per un periodo abbastanza lungo, anche dopo il volo nuziale della nuova regina. Le cellette delle regine “di ricambio” non sono uguali a quelle usate per il normale allevamento, poiché non pendono lungo il bordo, ma vengono costruite in posizione centrale sul favo. Le cellette delle regine “di ricambio” vengono create allargando le pareti di una cellula normale del favo (Fig. 5.20). Il procedimento di sostituzione viene attuato anche durante le emergenze – come può essere la morte improvvisa di una regina –, ma può avvenire solo se la colonia in quel momento possiede larve. Tutte le larve con una vita da 1,5 a 3 giorni sono potenzialmente candidate per una carriera reale, se nutrite con una particolare dieta. Le loro cellette vengono rapidamente ingrandite e trasformate in cellette da regina. Durante tali emergenze spesso non c’è tempo per attivare le ghiandole ciripare sull’addome delle operaie, necessarie per produrre cera d’api fresca per le cellette. Di conseguenza, viene raschiata e riplasmata vecchia cera per costruire la cel-
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IL RONZIO DELLE API Fig. 5.18 Le operaie alla corte della regina leccano il suo corpo e ingeriscono il suo feromone. Attraverso la trofallasi, cioè tramite la circolazione di cibo tra le api, l’odore della regina viene diffuso nella colonia
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Fig. 5.19 Questa regina che ha perso una zampa non soddisfa il criterio della perfezione richiesto dalla colonia. Le operaie hanno avviato una “rivoluzione pacifica”, iniziando ad allevare una nuova regina
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IL RONZIO DELLE API Fig. 5.20 Se la regina muore all’improvviso, una celletta d’emergenza fatta di cera raschiata e rimodellata viene costruita per far nascere una regina sostitutiva, la quale deve crescere il più velocemente possibile
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letta della regina sostituta. Se la regina muore senza che ci sia una covata appropriata, la fine della colonia è segnata. In generale, però, le api del miele non consentono che ci si trovi in tale situazione. La giovane regina sostituta emerge dalla cella e parte per il suo volo nuziale e, con il materiale ereditario che porterà con sé a casa, garantisce un flusso continuo nel serbatoio genetico, che determinerà le caratteristiche della colonia.
La pappa reale – Una dieta personalizzata Le larve delle api mellifere vengono nutrite con ciò che viene prodotto da speciali ghiandole degli individui adulti, la cui funzione è paragonabile a quella del latte materno nei mammiferi.
Le api sono insetti che subiscono una mutazione completa durante lo sviluppo. Le fasi ben determinate, di questa trasformazione sono: uovo, alcuni stadi larvali,pupa e,infine,ape adulta. Da questo punto di vista,le api seguono il percorso tradizionale della metamorfosi degli insetti. Le larve si nutrono con tessuti vegetali o animali raccolti di propria iniziativa, o forniti dagli individui adulti.Le api nutrono le proprie larve con una secrezione prodotta dalle nutrici grazie a ghiandole speciali situate sul capo,una specie di surrogato del latte materno tipico dei mammiferi. Questo trattamento alimentare personalizzato consente di manipolare la natura dei futuri individui adulti. L’allevamento di una nuova regina è una delle straordinarie opportunità offerte da questo sistema. Durante l’estate, la regina depone da 1.000 a 2.000 uova al giorno, cella per cella (Figg. 6.1, 6.2). Con un tasso di circa 1-2 uova al minuto, la regina è in grado di deporre ogni giorno una quantità di uova equivalente al peso del proprio corpo. Dal punto di vista di un umano, ciò significherebbe produrre circa 20 bimbi al giorno per tutta l’estate. Le celle vengono accuratamente pulite dalle giovani api prima che vi venga deposto l’uovo (Fig. 6.3).
Le larve La minuscola larva abbandona il guscio dell’uovo deposto dalla regina dopo un periodo di sviluppo embrionale della durata di tre giorni (Figg. 6.4, 6.5).
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IL RONZIO DELLE API Fig. 6.1 Una regina pochi istanti prima di deporre un uovo. Le operaie la aiutano ad allineare la punta dell’addome, in maniera da posizionarlo esattamente sopra la cella prescelta
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LA PAPPA REALE – UNA DIETA PERSONALIZZATA
Fig. 6.2 In questa immagine, la regina ha calato il proprio addome fino al fondo della cella per depositarvi l’uovo
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IL RONZIO DELLE API Fig. 6.3 Una giovane operaia pulisce accuratamente una celletta vuota, in preparazione alla deposizione dell’uovo della regina
Fig. 6.4 Celle contenenti uova nel nido di covata. Le uova appena depositate si trovano inizialmente in posizione verticale, quindi affondano lentamente, per poi distendersi sul fondo della cella
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Lo sviluppo delle operaie, dei fuchi e delle regine è sensibilmente diverso. Tutti gli individui passano attraverso cinque stadi larvali (Figg. 6.6-6.8), che differiscono per la durata: la durata dello stadio larvale è intermedia per le operaie (Fig. 6.9), lunga per i fuchi (Fig. 6.10) e corta per le regine (Fig. 6.11). L’incremento di peso delle larve è sorprendente: in soli cinque giorni, il loro peso corporeo cresce di 1.000 volte. Tradotto, ancora una volta, in scala umana, vorrebbe dire che un neonato, nel giro di cinque giorni, arriverebbe a pesare 3,5 tonnellate! Il rapido sviluppo della regina si può forse ricondurre a una specie di competizione temporale fra le giovani regine: la prima a emergere ha l’opportunità di pungere a morte le concorrenti, ancora allo stadio di larva, nelle loro celle. All’ultimo stadio larvale, gli esemplari di tutte e tre le classi raggiungono dimensioni così grandi che, quando si allungano, riempiono l’intera cella. Giunte a questo punto, le larve si circondano di un filo secreto da una ghiandola speciale, costruendo un bozzolo entro la cella; le api operaie pongono un coperchio di cera sopra di essa (Fig. 6.12), al di sotto del quale si svolge la metamorfosi dallo stadio di pupa all’ape adulta. Il coperchio della cella ha
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Fig. 6.5 L’embrione dell’ape si sviluppa entro l’uovo in un periodo di tre giorni (a sinistra). Poi, l’uovo si schiude liberando una minuscola larva di ape, che viene subito alimentata con gelatina reale (a destra)
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IL RONZIO DELLE API Fig. 6.6 Le piccole larve si nutrono di una gelatina, la cosiddetta pappa reale, prodotta da speciali ghiandole presenti nel capo delle api nutrici
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LA PAPPA REALE – UNA DIETA PERSONALIZZATA Fig. 6.7 Man mano che crescono di dimensioni, le larve vengono nutrite con quantità sempre maggiori di polline e miele
Fig. 6.8 Al decimo giorno di vita, le larve si allungano e cominciano a produrre un bozzolo. Le operaie chiudono la celletta con un coperchio di cera
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IL RONZIO DELLE API Fig. 6.9 Una giovane ape lascia la propria celletta
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LA PAPPA REALE – UNA DIETA PERSONALIZZATA Fig. 6.10 La nascita di un fuco. Il coperchio della cella viene aperto dall’interno dall’ape, con l’ausilio delle operaie che rosicchiano il coperchio dall’esterno
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IL RONZIO DELLE API Fig. 6.11 Una nuova regina nasce dalla speciale cella in cui si è sviluppata
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LA PAPPA REALE – UNA DIETA PERSONALIZZATA Fig. 6.12 Le operaie chiudono le celle con un coperchio di cera all’inizio dello stadio di pupa. La metamorfosi dell’ape si svolge in rigoroso isolamento
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una consistenza porosa per permettere lo scambio gassoso: i segnali chimici vi passano attraverso in entrambe le direzioni. Le larve appena nate ricevono un trattamento da sogno: le api nutrici provvedono immediatamente a riempire le loro cellette con un denso brodo di pappa reale. Si tratta di una miscela di secrezioni, le cui componenti sono prodotte dalle ghiandole ipofaringee e dalle ghiandole mandibolari presenti sul capo delle api. Piccole gocce di pappa reale vengono secrete dalle aperture sul lato interno di ogni mandibola e deposte nelle cellette contenenti le larve. Le nutrici sono, di solito, giovani api di età compresa tra i 5 e i 15 giorni. Esse consumano una grande quantità di polline per apportare la materia prima che verrà trasformata dalle loro ghiandole in gelatina reale. Tali ghiandole si atrofizzano nelle api operaie, che non devono produrre la pappa reale. Si tratta, ancora una volta, di uno dei tanti esempi della flessibilità dimostrata dai membri del superorganismo della colonia delle api. Le giovani larve vengono inizialmente nutrite solo a base di gelatina reale, prodotta dalle api nutrici, e sopravvivono soltanto grazie a questa dieta personalizzata. Una forma simile di nutrimento dei piccoli si riscontra nei mammiferi. Le api non vengono, però, nutrite dal latte della madre, ma da un surrogato prodotto dalle sorelle (Fig. 6.13). Durante lo stadio larvale, un’ape consuma circa 25 milligrammi, o 25 microlitri, di gelatina reale. Con una produzione annuale di 200.000 api per colonia, la quantità totale di pappa reale consumata arriva a circa cinque litri all’anno.
L’allevamento della regina Man mano che le larve crescono, la pappa reale che ricevono come nutrimento viene mescolata con proporzioni sempre maggiori di polline e miele. Nella fase finale della loro crescita, le larve non ricevono più pappa reale. Le larve che ricevono pappa reale per tutta la durata dello loro sviluppo diventano regine (Fig. 6.14), anche se non si tratta dell’unico fattore che determina la trasformazione in operaie piuttosto che in regine. Anche le componenti della pappa reale cambiano: un contenuto del 35% di zucchero si
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LA PAPPA REALE – UNA DIETA PERSONALIZZATA Fig. 6.13 Le api nutrici producono la pappa reale per le sorelle attraverso ghiandole presenti sul loro capo. La pappa viene secreta dal lato interno della base delle mandibole (freccia), si raccoglie sulla punta delle mandibole (riquadro) e viene versata nelle cellette dove crescono le larve
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Fig. 6.14 A differenza delle larve delle operaie e dei fuchi, le larve che diventeranno regine vengono nutrite esclusivamente con pappa reale anche quando sono grandi. Le cellette delle regine hanno un’apertura sul fondo (l’immagine è stata scattata dal basso), ma la gelatina appiccicosa impedisce alla larva di cadere
riscontra nel cibo per le regine, al contrario delle api operaie che si sviluppano se la quantità di questo ingrediente si limita al 10%. Il programma di sviluppo delle larve di ape sembra attivarsi in base al grado di “dolcezza”. La pappa reale è, quindi, uno dei “fattori ambientali” che determinano lo sviluppo delle larve in regine, piuttosto che in operaie. Le operaie sterili e le regine feconde rappresentano le due caste all’interno della colonia di api, e la strada dello sviluppo in una o nell’altra è determinato dalla loro dieta. Le larve di regine vengono controllate dalle nutrici dieci volte più frequentemente di quelle delle operaie. Le larve che intraprendono lo sviluppo verso la condizione di regina ricevono quantità maggiori di pappa reale, e molto più spesso. La differenza nella quantità e nella qualità della dieta dà l’avvio a una complessa catena di reazioni biochimiche. La quantità e tempistica
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LA PAPPA REALE – UNA DIETA PERSONALIZZATA Fig. 6.15 La separazione elettroforetica delle componenti della pappa reale mostra la complessità della natura molecolare di questa sostanza. Le linee orizzontali individuabili sul gel rappresentano le diverse proteine. La striscia indicata con la lettera D rappresenta la defensina, una proteina che protegge le larve dalle infezioni. In questa immagine, il campione nella colonna sinistra è una miscela di sostanze note usata per calibrare il test. Le altre quattro colonne di separazione sono campioni di gelatina reale di diverse razze di api. La defensina è presente in tutte le razze di api
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della sintesi di particolari ormoni nelle larve svolge un ruolo decisivo nella creazione di differenze morfologiche significative tra le due caste. La produzione di pappa reale – che costituisce una dieta speciale all’interno dell’alveare, in grado di avviare i diversi percorsi di sviluppo – viene controllata dalle api stesse, ed è un esempio dello straordinario funzionamento delle colonie: sono le api stesse a determinare le proprie condizioni di sviluppo. La pappa reale è fondamentale anche per la salute della colonia stessa. Come il latte materno nei mammiferi, la pappa reale fornisce alle larve di api, nelle prime fasi della loro vita, l’immunità da infezioni batteriche. Una delle vie più frequenti d’infezione delle larve è l’invasione di patogeni attraverso l’apparato digerente; qui le infezioni vengono combattute dalla pappa reale a dalle sue componenti proteiche difensive.
Fig. 6.16 Le api mellifere possono essere allevate artificialmente a partire da piccole larve appena nate, passando per lo stadio pupale, fino alla nascita degli individui adulti (a sinistra), riproducendo le condizioni del nido di covata (a destra)
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Dal punto di vista dello sviluppo e della salute delle api, l’importanza di alcuni elementi riscontrati nell’analisi della pappa reale (Fig. 6.15; vedere anche le immagini nel Prologo) rimane ancora da spiegare. Le api possono essere allevate in maniera artificiale in laboratorio, dal momento in cui le larve emergono dalle uova (Fig. 6.16), per tutta la durata degli stadi larvali e della pupa, fino all’ape adulta. Il ruolo svolto dai diversi elementi della pappa reale nello sviluppo, nella determinazione della casta e nella salute delle api viene studiato in queste condizioni attraverso manipolazioni sperimentali.
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L’allevamento delle api in laboratorio
L’organo più grande della colonia – Costruzione e funzionamento del favo Le proprietà del favo sono parte integrante del superorganismo e contribuiscono a definire la sociofisiologia della colonia d’api.
Il nido delle api mellifere svolge un ruolo fondamentale in quanto espressione materiale del superorganismo della colonia d’api. L’importanza che ricopre per il funzionamento della colonia è molto maggiore di quella che può venire in mente quando si pensa in generale a un nido, visto come un riparo che gli animali costruiscono con materiali forniti dall’ambiente. Il favo del nido di api è, in un certo senso, parte delle api stesse. Nemmeno considerare il favo “un’immagine congelata del comportamento delle api” è una maniera del tutto adeguata per descrivere la realtà. Per esempio le impronte dei gabbiani sulla sabbia bagnata di una spiaggia sono immagini conge l ate d i un comportamento. Que lle impronte, però, non hanno ulteriori conseguenze sulla vita dei gabbiani, se non forse quella di attrarre predatori. Il favo, invece, visto come “l’impronta delle api”, determina la natura e la vita stessa delle api. Il nido è una combinazione di favi costruiti con la cera in cavità già esistenti, almeno nelle zone a clima temperato; ma non è soltanto uno spazio dove abitare, una dispensa per il cibo e una culla per i piccoli, ma è anche parte integrante del superorganismo: scheletro, organo sensoriale, sistema nervoso, memoria e sistema immunitario. I favi e la cera di cui è costituito sono prodotti interamente dalle api, ma sono anche una parte indissolubile della loro vita, strettamente interconnessa al funzionamento del superorganismo.
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Il favo, un organo del superorganismo Materia, energia e informazione sono i tre pilastri sui cui si costruisce qualsiasi forma di vita. La fisiologia degli organismi individuali descrive l’organizzazione nello spazio e nel tempo di questi fattori fondamentali. I fisiologi, infatti, si occupano dello studio approfondito delle forze e dei meccanismi che controllano e regolano questi tre fondamenti della vita. Il favo è parte integrante della colonia di api in quanto la sua struttura presenta molte caratteristiche che hanno un ruolo essenziale per la gestione di materia, energia e informazione nell’alveare. Il nido non è un semplice ambiente in senso tradizionale, a cui le api si sono adattate nel percorso dell’evoluzione. Al contrario, si tratta di un ambiente che le api stesse hanno costruito, assoggettato alle forze dell’evoluzione, così come qualsiasi altro organo o attributo delle api. Persino le bottinatrici, che hanno il compito di volare verso le sorgenti di cibo, passano più del 90% della propria vita entro il favo o su di esso. Questo tempo è fonte di infinite possibilità di interazione tra le api e la loro casa, che insieme costituiscono il superorganismo. Nel 1850, il grande fisiologo francese Claude Bernard (1813-1878) formulò l’autorevole teoria del milieu intérieur, r un “ambiente” presente entro gli organismi che differisce in maniera considerevole dall’ambiente al di fuori dell’organismo. Il mondo interno viene regolato in maniera precisa, mentre quello esterno, il milieu extérieur non può essere controllato dall’organismo. La condizione di stabilità interna è chiamata omeostasi. Cosa succede, però, nel caso in cui l’omeostasi si estenda a un ambiente auto-costituito, come nel caso delle api? Qui, il confine tra milieu intérieur e milieu extérieur non può essere determinato in maniera precisa. Il modello definito da Bernard, che identifica chiaramente quel confine, non può essere applicato a questo caso, perché il nido è parte integrante di un’entità più grande, il superorganismo della colonia d’api. Il nido, con tutte le sue caratteristiche, si è sviluppato nel corso dell’evoluzione, assieme alla componente vivente del superorganismo, le api. Le proprietà del nido contribuiscono tanto quanto le singole api a determinare la sociofisiologia e la salute biologica della colonia di api – per esempio, contribuendo al metabolismo e alla comunicazione. Così come il sistema nervo-
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La fabbrica di cera Le api producono da sé il materiale per i favi, e da questo punto di vista appartengono a un’elite nel regno animale. La cera viene prodotta da otto gruppi di ghiandole disposte a coppie sul lato inferiore degli ultimi quattro segmenti dell’addome dell’ape. Quest’area, al di sotto della quale si trovano le ghiandole ciripare, è riconoscibile per la superficie liscia, il cosiddetto “specchio” della cera (Fig. 7.1). Le ghiandole ciripare si sviluppano lenta-
Fig. 7.1 Il lato inferiore dell’addome delle api operaie presenta otto superfici lisce, i cosiddetti “specchi” della cera. La cera prodotta dalle ghiandole addominali si sparge su queste superfici e solidifica sotto forma di piccole scaglie
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so dalle api è stato forgiato dall’evoluzione, allo stesso modo la forma del nido, con i suoi favi, è il risultato della sua evoluzione come elemento di un insieme integrato.
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mente, e hanno bisogno di alcuni giorni per raggiungere le dimensioni complete. Le ghiandole raggiungono le prestazioni massime nelle api operaie all’incirca tra il loro dodicesimo e il diciottesimo giorno di vita, per poi regredire. In caso di necessità, tuttavia, le api più anziane possono “ringiovanire” le ghiandole ciripare: una parte significativa di api riacquista la funzionalità delle proprie ghiandole ciripare se la popolazione viene modificata artificialmente in maniera da contenere solo api anziane. La flessibilità delle capacità relative all’età si estende a molti aspetti della vita delle api, non solo alla produzione di cera e alla sua applicazione. Un alto grado di flessibilità nell’anatomia, nella fisiologia e nel comportamento è un tratto caratteristico della biologia delle api. La cera viene effusa sulla superficie del corpo dell’ape, quindi si solidifica in piccole scaglie sottili quanto un foglio di carta (Fig. 7.2). La produzione controllata di materiali da costruzione dal proprio corpo è una particolarità delle api, che ha conseguenze di rilievo per la loro intera biologia. Le api sono in grado di determinare le caratteristiche principali
Fig. 7.2 Le operaie attivano le ghiandole ciripare presenti al di sotto degli “specchi” delle cera. Sono capaci, quando c’è bisogno, di produrre fino a otto scaglie di cera al giorno
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della materia prima utilizzata nella costruzione del favo, proprio come un ingegnere edile controlla la natura fisica dei materiali da costruzione affinché siano adatti per il progetto di cui si occupa. Le scaglie di cera che non cadono immediatamente sul fondo dell’alveare vengono raccolte dalle api per mezzo di un apposito segmento espandibile delle zampe posteriori (Fig. 7.3), per essere passate all’apparato boccale con le zampe centrali e anteriori (Fig. 7.4). Qui, le scaglie vengono lavorate con le mandibole e impastate con una secrezione delle ghiandole mandibolari, fino a raggiungere una consistenza adatta al successivo utilizzo. Un’operaia impiega circa quattro minuti per completare la preparazione di una scaglia di cera. Circa 8.000 celle vengono
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Fig. 7.3 Le scaglie di cera vengono catturate grazie a un insieme di setole acuminate poste sulle zampe posteriori e sono poi passate all’apparato boccale
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IL RONZIO DELLE API Fig. 7.4 Le operaie impastano i grumi di cera con l’apparato boccale, aggiungendovi un enzima che rende la cera più facile da plasmare
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costruite con 100 g di cera, per i quali sono necessarie circa 125.000 scaglie (Fig. 7.5). La produzione di cera di una colonia è particolarmente elevata in seguito al trasloco in una nuova casa e richiede una quantità considerevole di energia. Uno sciame che deve costruire un favo intero in un nuovo nido ha bisogno dell’energia ricavata da 7,5 kg di miele per produrre i 1.200 g di cera necessari a questo scopo. Questa quantità di cera serve alle api per costruire circa 100.000 cellette, che rappresentano il contenuto di un nido di medie dimensioni.
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Fig. 7.5 Le scaglie di cera cadono a pioggia sul fondo dell’alveare di una colonia indaffarata nella costruzione di un favo. In questa immagine si possono distinguere anche delle palline di polline
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La costruzione del favo Subito dopo la sciamatura, le provviste di miele che le api portano in viaggio con sé forniscono l’energia iniziale sufficiente alla fabbricazione di circa 5.000 celle. Le api intraprendono immediatamente la bottinatura, per consentire alle operazioni di continuare. La costruzione del favo entro una cavità comincia dal soffitto: le api usano l’apparato boccale per attaccare grumi di cera alla super ficie. Il cantiere di un favo può partire contemporaneamente da punti diversi scelti a caso per deporre la cera (Fig. 7.6). Una volta stabiliti, questi punti determinano le operazioni successive delle api. Le fitte linee di cera, che continuano a crescere di dimensioni, si sviluppano in maniera da congiungersi l’una all’altra: un’ape in arrivo non fa altro che aggiungere la sua porzione di cera alla linea già iniziata. Nel
Fig. 7.6 La costruzione di un nuovo favo comincia con la distribuzione casuale di grumi di cera incollati al soffitto dell’alveare
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1959, l’entomologo francese P.P. Grasse coniò il termine “stigmergia” per indicare tale meccanismo, in cui la costruzione di strutture non richiede ede alcuna comunicazione tra gli animali coinvolti in questo compito. La risposta innata delle api impegnate nella costruzione del favo, che aggiungono grumi di cera a quelli già depositati, porta alla rapida formazione di spessi strati. Durante la costruzione del favo, le api “allungano” gradualmente la cera depositata. In questo modo, settori separati del favo finiscono per incontrarsi in maniera così precisa che, una volta completata, la struttura delle cellette non presenta quasi nessuna irregolarità (Fig. 7.7). A questo punto dei lavori, le api formano un grande numero di catene tra il bordo del favo in costruzione e le pareti della cavità. Uniscono le proprie zampe con quelle delle compagne e rimangono appese, immobili, per lunghi periodi di tempo (Fig. 7.8). Lo scopo di questo singolare comportamento è totalmente sconosciuto. Forse hanno la funzione di “scaletta a pioli” per le api che raccolgono le scaglie di cera cadute sul fondo e che le trasportano fino al cantiere? Non lo possiamo sapere. L’aspetto delle cellette del favo, per l’incredibile regolarità nella geometria, affascina chiunque lo osservi. Il motivo geometrico delle cellette ha ispirato molti tipi di decorazioni ornamentali (Fig. 7.9). Lo studio approfondito della geometria del favo conferma le nostre prime impressioni: questa struttura, prodotta dall’attività di un insetto, presenta una precisione impressionante. Lo spessore delle singole pareti delle cellette, misurato su una lunghezza di diversi centimetri, è esattamente di 0,07 mm. L’angolo tra le lisce pareti è di 120° (Fig. 7.10) e il favo è sempre perpendicolare al suolo. Il fondo delle cellette non è per fettamente orizzontale, ma leggermente inclinato. La distanza tra favi paralleli e contigui è compresa tra 8 e 10 mm. Giovanni Keplero, Galileo Galilei, e molti altri famosi personaggi storici che si dedicarono alla matematica, furono incuriositi dai favi delle api: era difficile immaginare come fosse possibile costruire strutture così precise senza possedere alcuna nozione di matematica. Gli studi sulla fisiologia delle api hanno fornito delle spiegazioni su come sia possibile costruire favi tra loro paralleli e perpendicolari al suolo (Fig. 7.11).
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IL RONZIO DELLE API Fig. 7.7 Le api “muratrici” di solito cominciano contemporaneamente la costruzione del favo in punti differenti, senza che ciò causi grossi problemi: le due parti del favo, costruite separatamente, si congiungono come fossero unite da una cerniera lampo
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Fig. 7.9 Un favo appena completato con cera fresca, di colore chiaro, ha un aspetto esteticamente piacevole
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Fig. 7.8 La funzione della catena vivente formata dalle api dove avviene la costruzione di un nuovo favo, o la riparazione di un favo pre-esistente, è ancora sconosciuta
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IL RONZIO DELLE API Fig. 7.10 I dettagli geometrici del favo hanno da sempre affascinato gli uomini
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Fig. 7.11 Favi all’interno di una cavità di un albero che pendono verticalmente e sono paralleli l’uno all’altro
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La api sono dotate di cuscinetti di setole sensoriali, presenti su ogni giuntura, che vengono stimolati quando, per effetto della gravità, singole parti del corpo si muovono come un pendolo, o una leva, rispetto al resto (Fig. 7.12). I recettori sensoriali di questi cuscinetti individuano così la direzione in cui agisce la forza di gravità. Solitamente le api costruiscono i loro nidi in cavità completamente al buio e pertanto non possono fare ricorso alla vista. Tuttavia, guidate dal senso della gravità, le api riescono a costruire il favo in posizione verticale, dal soffitto al pavimento. La distanza tra i favi corrisponde allo spazio occupato dalle api quando vi si appoggiano. Spostandosi sulla super ficie di favi confinanti, le api devono essere in grado di passare senza difficoltà sopra le compagne, schiena contro schiena (Fig. 7.13), e ciò determina la distanza minima. Gli stretti passaggi realizzati tra un favo e l’altro servono anche a creare, quando serve, correnti d’aria necessarie per mantenere il controllo della temperatura all’interno del nido. La costruzione non segue necessariamente una linea retta, ma i favi contigui sono comunque paralleli tra loro. Per fare ciò le api si orientano con organi di senso dalle caratteristiche ancora sconosciute, che rilevano le linee del campo magnetico della terra. Ma come fanno le api a costruire cellette dotate di una forma esagonale così perfetta? Forse potrà essere una delusione, ma il meccanismo che garantisce tale precisione deriva da un processo di auto-organizzazione che, a parte un piccolo contributo fornito dalle api, si svolge in maniera completamente autonoma. Ma qui risiede l’ingegnosità della costruzione del favo. La precisione cristallina delle cellette del favo è dovuta alle proprietà del materiale ceroso da costruzione impiegato dalle api. Cellette esagonali sono presenti anche nei nidi costruiti dalle vespe, ma la loro geometria è molto più grezza; anzi, esse appaiono come cilindri ammassati l’uno sull’altro (Fig. 7.14). Il materiale utilizzato dalle vespe per le loro costruzioni è una pasta prodotta a partire da fibre di legno e saliva. La forma delle pareti della cella è determinata, in maniera più o meno regolare, dalla tensione esercitata dalle celle contigue. Infatti, le cellette ai bordi del nido presentano pareti che si allargano verso l’esterno.
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L’ORGANO PIÙ GRANDE DELLA COLONIA – COSTRUZIONE E FUNZIONAMENTO DEL FAVO Fig. 7.12 Nelle api gli organi sensoriali della gravità si trovano su ogni giuntura delle zampe e tra il capo, il torace e l’addome e servono a fornire informazioni sull’orientamento dei favi nell’oscurità dell’alveare
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IL RONZIO DELLE API Fig. 7.13 La larghezza dei passaggi è determinata in maniera tale che le api, appoggiate sui lati contigui dei favi, abbiano abbastanza spazio per muoversi, schiena contro schiena
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Le cellette delle api, invece, hanno una forma perfetta. Le api non sono costruttrici in qualche modo più precise delle vespe; è il materiale che utilizzano, la cera, che svolge un ruolo “attivo” nella costruzione. La cera d’api contiene oltre 300 diversi componenti chimici che, quando vengono miscelati, producono una sostanza avente le proprietà fisiche di un liquido, che assume una consistenza solida a temperature più basse. È la stessa che accade al vetro che, da un punto di vista fisico, è un liquido. Gli oggetti solidi hanno un punto di fusione ben definito. Il vetro, invece, assume uno stato liquido sempre più fluido con l’aumento della temperatura. Lo stesso vale per la cera, solo che il cambiamento nel suo stato in corrispondenza dell’aumento di temperatura non è costante. La fitta struttura interna delle cera mostra tre stati fondamentali: uno stato cristallino altamente ordinato, in cui le molecole della cera sono allineate in maniera perfettamente parallela, e all’estremo opposto, uno stato amorfo in cui le molecole si trovano disposte in posizione totalmente casuale. Tra questi due estremi prevale uno stato pseudo-cristallino che, se osservato, presenta molecole in stato amor fo e cristallino nello stesso spazio. La cera calda ha una struttura amor fa. Il cambiamento di stato da cristallino e pseudo-cristallino ad amorfo non avviene gradualmente, ma si svolge in due fasi, a circa 25 e 40 °C (le cosiddette temperature di transizione). La mobilità delle particelle di cera l’una rispetto all’altra cambia in punti di transizione in maniera improvvisa, come dimostra il cambiamento nella malleabilità della cera.
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Fig. 7.14 Le vespe costruiscono i propri nidi a partire da una pasta che ottengono da legno masticato. Rispetto alla geometria del favo di una colonia di api, quella dei favi delle vespe è molto meno precisa. Non vi sono, infatti, angoli e bordi appuntiti
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Queste proprietà fisiche della cera e l’abilità delle api di aumentare la propria temperatura corporea fino a oltre 43 °C, costituiscono la base per la costruzione così precisa, in termini geometrici, del favo. Nel 1637, R.A. Remnant, senza l’ausilio di raffinati strumenti tecnologici, trasse dalle proprie osservazioni la seguente conclusione: “Il calore corporeo delle api rende la cera calda e malleabile, permettendo alle api di lavorarla e di utilizzarla subito dopo averla raccolta”. La conclusione di Remnant, però, era influenzata da un’imprecisa convinzione dell’epoca: si credeva che le api raccogliessero la cera dai fiori. All’inizio della costruzione delle pareti della cella, le api utilizzano il proprio corpo come stampo, costruendo tubi cilindrici attorno a sé stesse. Il fondo interno del cilindro è costituito da una semisfera liscia, e rimane di questa forma per molte settimane dopo la costruzione. Le cellette, inizialmente di forma cilindrica, assumono la forma tipicamente esagonale (Fig. 7.15) solo quando le api portano la temperatura della cera a un valore compreso tra 37 e 40 °C (Fig. 7.16). Utilizzando una videocamera a immagini termiche per riprendere il cantiere di un favo, si vedranno diversi punti che si illuminano a causa dell’attività delle operaie che scaldano la cera fino a quando le sottili pareti delle celle incominciano a fondere. Per effetto della tensione meccanica interna delle pareti, il risultato – come si può osservare quando due bolle di sapone entrano in contatto – è che la parete condivisa diventa perfettamente rettilinea. In questo modo, le pareti condivise dai cilindri di cera fittamente ammassati si allungano in una linea retta, la superficie diventa completamente liscia, lo spessore diventa di 0,07 mm e l’angolo tra di esse è esattamente di 120°. Le api, le cui antenne presentino un’amputazione dei segmenti più estremi, costruiscono cellette imperfette, con pareti di spessore doppio rispetto al normale e buchi. Gli organi sensoriali con cui le api misurano la temperatura dell’ambiente si trovano, infatti, nei segmenti delle antenne; la maggior parte di questi recettori sono situati sul segmento estremo delle antenne, e in minor numero sui restanti segmenti. L’amputazione delle antenne priva le api di molti segnali sensoriali in entrata, e le rende insensibili alla temperatura. Ne consegue che api menomate non sono in grado di misurare correttamente la temperatura.
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Fig. 7.16 Questa immagine termografica mostra due cantieri in cui le operaie riscaldano la cera fino alla temperatura in cui comincia a sciogliersi e a formare cellette a forma di esagono regolare, per effetto della tensione interna
L’ORGANO PIÙ GRANDE DELLA COLONIA – COSTRUZIONE E FUNZIONAMENTO DEL FAVO
Fig. 7.15 Le cellette del favo vengono costruite inizialmente di forma cilindrica e solo con il tempo assumono una perfetta forma esagonale
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Pezzo dopo pezzo, la struttura cristallina delle celle del favo si forma da sola, man mano che la cera si scalda. Guardando un favo controluce si ha l’impressione che il fondo delle celle sia composto da tre romboidi di uguali dimensioni. Nei favi di nuova costruzione, è un’illusione ottica causata dalla posizione del fondo semisferico delle cellette dall’altra parte del favo (Fig. 7.17). Con il passare del tempo, il fondo delle cellette diventa talmente sottile che lo stesso principio di organizzazione spontanea illustrato per le pareti produce qui tre romboidi, e un favo dalla forma perfetta. Il procedimento può essere riprodotto artificialmente riscaldando piccoli cilindri di cera ammassati l’uno sull’altro. Un favo con cellette esagonali si formerà gradualmente senza l’intervento delle api. Le celle di un favo costruito a gravità zero da una colonia di api a bordo di uno shuttle della NASA, in volo spaziale nel 1984, si sono formate esattamente come quelle costruite sulla superficie terrestre. Le forze interne che portano alla formazione della struttura esagonale delle cellette non necessitano di alcun aiuto esterno, eccetto l’apporto di calore da parte delle api. Solo l’orientamento delle celle rispetto all’asse orizzontale si era formato in maniera disordinata nello spazio, come era prevedibile vista l’assenza di un riferimento gravitazionale. I favi che risultano dal procedimento di organizzazione spontanea qui descritto non solo presentano una geometria sorprendente, ma possiedono anche precise proprietà statiche e dinamiche, che vengono costantemente controllate e aggiustate durante il processo di costruzione. Gli studiosi di matematica hanno più volte calcolato in maniera convincente che la geometria del favo rappresenta la soluzione ottimale quando si intende creare il volume più grande possibile con la quantità più piccola possibile di cera. La prima teoria di questo tipo risale all’astronomo e matematico greco Papus di Alessandria (290-350 d.C. circa).Tali conclusioni sono certamente vere per la parte di favo che si trova al di sotto del bordo delle cellette. Se però il calcolo include anche lo spesso bordo di cera delle celle, si rileva un aumento del 30% (a volte addirittura del 50%) nella quantità di cera utilizzata e ciò non è più ottimale dal punto di vista della capacità di immagazzinamento. Il favo non è fatto solo di cera. Le api lavorano anche la resina che raschiano delle piante e la utilizzano come additivo da immagazzinare, e da
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L’ORGANO PIÙ GRANDE DELLA COLONIA – COSTRUZIONE E FUNZIONAMENTO DEL FAVO Fig. 7.17 Il fondo delle cellette di nuova costruzione ha forma semisferica. Tre immagini romboidali compaiono attraverso la sottile parete sul fondo della celletta, formate dalle basi delle pareti delle celle sull’altro lato del favo
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includere, nelle pareti delle cellette del favo. Attraverso questa intenzionale aggiunta di resina fuori e dentro la cera, le api si dotano dell’opportunità di adattare le proprietà delle varie parti del favo ai suoi diversi usi.
Funzioni del favo Il favo, con un numero di cellette compreso tra 100.000 e 200.000, ha diversi scopi e in particolare funge da: • riparo; • fabbrica di miele; • magazzino per il miele; • magazzino per il polline; • asilo nido; • rete telefonica; • memoria di informazioni; • identità specifica della colonia; • prima linea di difesa contro gli agenti patogeni. I primi quattro punti dell’elenco non richiedono materiali da costruzione con proprietà particolari, ma soltanto una divisione appropriata del nido in particolari zone. Le ultime cinque funzioni dipendono da speciali proprietà fisiche e chimiche.
Dipende tutto dal contenuto Alcuni favi servono principalmente per lo stoccaggio del miele. Questi magazzini si trovano alla periferia dell’alveare. Il prezioso nido di covata si trova al centro dell’alveare, e si può estendere per diversi favi contigui. Ognuno di tali favi è suddiviso in tre zone: le cellette con le uova, larve e le pupe al centro; una corona composta da cellette adiacenti riempite con polline e una serie di cellette comuni tutt’intorno, riempite con il miele. La struttura si complica durante l’allevamento degli individui riproduttori, quando si aggiungono le cellette di dimensioni maggiori per i fuchi (Fig. 7.18).
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Contrariamente alle cellette riempite con il nettare o il miele, quelle contenenti il polline non vengono chiuse. Il polline viene mescolato con piccole quantità di nettare e compresso saldamente nelle cellette (Fig. 7.19). Per questa massa solida, fatta di polline sciolto raccolto dai fiori, non c’è bisogno di una chiusura ermetica. La produzione del miele a partire dal nettare è effettuata grazie all’evaporazione, che le api ottengono riscaldando l’ambiente con il proprio calore corporeo. Quando il nettare si è condensato fino a raggiungere una densità soddisfacente, le cellette vengono sigillate con un coperchio di cera. L’asse orizzontale delle cellette del favo è leggermente inclinato verso l’interno, in
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Fig. 7.18 Il favo è la culla della colonia per tutte le caste di api. Le pupe dei fuchi si sviluppano nelle grandi celle con coperture sporgenti, qui in secondo piano; le pupe delle operaie crescono nelle celle più piccole con coperture piatte, qui in primo piano
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IL RONZIO DELLE API Fig. 7.19 Il polline viene depositato nelle cellette sotto forma di grumi o ammassato sotto forma di sottile polvere
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Fig. 7.20 Nettare fresco che luccica nelle cellette
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maniera che la combinazione di gravità e tensione superficiale impedisca al nettare di fuoriuscire dalle cellette prima che vengano chiuse (Fig. 7.20). Una colonia, in una sola estate, può arrivare a produrre fino a 300 kg di miele, usato quasi interamente come carburante per il riscaldamento (si veda anche il Capitolo 8). L’immagazzinamento di una quantità così grande di miele presenta però alcuni pericoli. Potrebbe, per esempio, rappresentare un paradiso per i microorganismi. Le api impediscono che ciò avvenga amalgamando il nettare con peptidi ed enzimi antibatterici e antifungini, secreti dalle ghiandole salivari. Una tale quantità di un tesoro così dolce può finire anche per attrarre altri animali predatori, come esemplari di altre specie o individui delle colonie nelle vicinanze che cercano una maniera facile di rimpinguare le proprie scorte. Infatti, è proprio contro altre api che i pungiglioni vengono solitamente usati, alla fine dell’estate o in epoche di scarsi raccolti (Fig. 7.21).
Fig. 7.21 Le incursioni di api da alveari vicini per rubare il miele sono frequenti in epoche di scarso raccolto dai campi. Scoppiano delle vere e proprie risse
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Quando un’ape punge un’altra ape, il pungiglione può essere salvato senza problemi. Con la successiva evoluzione, però, sono apparsi animali, come me i mammiferi, che presentano tessuti dai quali il pungiglione, con i suoi barbigli, non può essere estratto. Ovviamente, le api non potevano prevederlo: questa caratteristica può essere considerata un “errore” evolutivo. Quando il pungiglione intero, con la sua ghiandola velenosa, i piccoli muscoli e le cellule nervose, viene strappato dal corpo dell’ape, quest’ultima muore a causa dell’enorme ferita aperta sull’addome. Il numero di api che perdono la vita in questo modo, tuttavia, è così ridotto che la selezione naturale non è giunta al punto di produrre un pungiglione privo di barbigli. I piccoli muscoli dell’apparato indipendente del pungiglione sono altamente attivi e riescono a muovere le varie parti del pungiglione. Quando i barbigli penetrano nel tessuto, un feromone di allarme, rilasciato nell’aria da una ghiandola posta al di sotto del pungiglione, chiama a raccolta le compagne dell’alveare per proseguire l’attacco. Il costituente principale del feromone di allarme è l’isopentilacetato, un agente chimico responsabile dell’odore delle banane mature. Per questo motivo, sarà meglio evitare di mangiare banane in prossimità di un alveare, a meno che non si voglia testare – su se stessi – l’effetto che fa dare l’allarme alla colonia di api. La struttura della distribuzione della covata, del polline e del miele nel favo ha un preciso significato biologico. La posizione della covata è centrale, per assicurare la migliore protezione possibile: il polline viene accumulato nelle zone adiacenti, per permettere un facile accesso alle nutrici che si occupano delle larve, e il resto del favo viene riempito di miele. Ma come viene decisa questa disposizione? Chi controlla e coordina il lavoro che porta alla realizzazione di questa struttura? La disposizione circolare covata-polline-miele ha origine dai comportamenti di diversi elementi della colonia: la regina, che deposita le uova secondo una distribuzione che può essere corretta dalle operaie; le api che ricevono il nettare, che lo raccolgono dalle bottinatrici e lo depositano nelle celle; le api che raccolgono il polline, che lo impacchettano e sistemano nelle celle in maniera autonoma. L’interrogativo sull’origine dello schema di distribuzione riguarda l’identificazione delle regole che governano la deposizione, o la rimozione, della covata, del polline o del nettare nelle varie celle.
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Ogni cella nel favo può essere usata in momenti diversi per ospitare i tre differenti tipi di contenuto possibile. Tra gli insetti che costruiscono il proprio nido con i favi, come i calabroni, le api senza pungiglione e le vespe, le api mellifere si distinguono per l’uso molteplice delle cellette. A differenza delle api, nelle altre specie l’utilizzo di ogni cella risponde a un unico scopo. Al picco della stagione estiva, la regina depone un uovo al minuto per ogni celletta, arrivando a produrre tra le 1.000 e le 2.000 uova al giorno. Tuttavia, la regina non segue un percorso regolare, anche se non le sarebbe affatto difficile, data la geometria del favo stesso. Al contrario, predilige cellette vuote adiacenti a quelle che contengono già un uovo, a partire dal centro del favo. Si formano in questo modo aree di covata omogenee e in posizione centrale. Nidi di covata integrati sono importanti per la sociofisiologia della colonia. Il polline viene quindi accumulato attorno alla covata centrale, e una corona di riserva di miele viene disposta tutt’intorno (Fig. 7.22). Le prestazioni richieste per riempire le riserve di miele e polline in un alveare sono incredibili. Una colonia di api produce fino a 300 kg di miele in un’unica stagione. Per farlo, ci vogliono circa 7,5 milioni di escursioni, per una distanza totale percorsa di dimensioni interplanetarie. Supponendo che ogni ape ritorni al nido con l’ingluvie piena, il totale è di quasi 20 milioni di chilometri di volo, circa metà della distanza tra la Terra e Venere. Si può stimare che il carico di un volo di bottinatura ammonti a 40 mg di nettare, poco più della metà del peso corporeo di un’ape. Per riempire una celletta di miele, ci vogliono 25 voli, un calcolo effettuato su un gruppo particolare di api, il cui nettare contenente il 40% di zucchero serve a produrre un concentrato di miele con un contenuto zuccherino dell’80%. Una bottinatrice di polline normalmente porta a casa 15 mg di polline, diviso tra le due cestelle per il polline poste sulle zampe posteriori. Una colonia raccoglie circa 20-30 kg di polline all’anno. Sono necessari da uno a due milioni di voli di bottinatura per assemblare una tale riserva di polline. Il tipico schema di distribuzione della covata, del miele e del polline all’interno di un favo di covata si forma grazie a un processo spontaneo di auto-regolazione. In teoria, potrebbe esistere un fattore sconosciuto che determini la disposizione spaziale nel favo, regolandone la disposizione. Le varie possibilità potrebbero comprendere un segnale chimico, una caratteristica
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Fig. 7.22 La covata, il polline e le riserve sigillate di miele non sono distribuite a caso sul favo, ma sono disposte in una struttura organizzata
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fisica, come le proprietà meccaniche delle cellette, o la temperatura. Una prova si può ottenere smontando il favo di covata come fosse un puzzle, e assemblandolo in maniera diversa all’interno dell’alveare. In poco tempo, le api ristabiliscono l’ordine originario ricostruendo la struttura del favo. Da questo esperimento si può dedurre che non ci sono segnali impressi sulle cellette del favo che indichino la loro posizione e che fungano da punti di riferimento per le api. Alcune semplici regole portano a una distribuzione concentrica del contenuto delle cellette: la regina depone sempre le sue nuove uova nelle vicinanze della covata. Il flusso di nettare verso l’alveare è sempre maggiore di quello di polline e la rimozione di miele dalle cellette avviene più rapidamente dell’utilizzo del polline. Il ricambio di polline e miele nelle cellette in prossimità della covata avviene dieci volte più velocemente rispetto alle cellette più lontane. Il polline, come descritto nel Capitolo 6, serve per la produzione della gelatina reale. Il miele, come verrà spiegato nel Capitolo 8, viene usato per riscaldare la covata. Rispetto al rapido ricambio delle cellette del miele e del polline, la durata dello sviluppo della covata è relativamente lungo. Ciò porta alla formazione nel favo di un’area centrale stabile. Il numero di uova deposte e la quantità di miele o polline prodotta e utilizzata non hanno alcun ruolo nella definizione della disposizione all’interno del favo, ma determinano la velocità con cui questa avviene. Il favo delle api costituisce anche la rete di comunicazione e la memoria della colonia. Come una “rete telefonica di cera”, trasmette informazioni tra le api, che sono gli elementi del superorganismo. In quanto riserva di memoria, il favo contiene dati a base chimica che le api sfruttano per l’orientamento nello spazio e l’identificazione.
La linea telefonica I bordi esterni delle cellette del favo terminano con un ingrossamento (Fig. 7.23). La vibrazione di questi bordi, che si diffonde per tutto il favo, svolge un ruolo fondamentale nello scambio di informazioni fra le api nell’oscurità del nido, dove non possono essere usati segnali visivi.
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Fig. 7.23 Le cellette dei favi delle api sono fatte di pareti molto sottili di cera, i cui bordi esterni presentano un rigonfiamento di circa 0,4 mm di spessore. Insieme formano una rete a maglia esagonale
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Settanta anni or sono, Karl von Frisch immaginò che le vibrazioni avessero un ruolo importante nel linguaggio della danza. La sua supposizione è stata recentemente confermata dai risultati di un semplice, quanto utile, esperimento comportamentale: le api che danzano sulle cellette vuote e trasmettono in maniera ottimale le vibrazioni producono un numero di visite alla sorgente trofica da tre a quattro volte maggiore rispetto alle compagne che danzano sulle superfici lisce delle cellette chiuse. La comunicazione sembra funzionare molto meglio sulle cellette aperte rispetto a quelle che presentano una superficie chiusa ermeticamente. I dettagli di questo sistema di comunicazione, da quanto è stato possibile capire finora, indicano che il favo non aveva originariamente la funzione di trasmettere le vibrazioni, come per lo stelo delle piante che alcuni insetti utilizzano per comunicare. Sembra invece che le api abbiano scoperto il possibile utilizzo delle proprietà fisiche della cera per la comunicazione. Le cellette del favo delle api asiatiche giganti e nane che nidificano all’aperto non presentano rigonfiamenti all’estremità. Queste specie di api formano colonie di migliaia di individui che si stringono insieme a formare una sacca vivente attorno al favo. Gran parte delle loro comunicazioni si svolgono in questo contesto, e non sul favo. Al contrario, le api che nidificano all’interno di cavità trascorrono la maggior parte della propria vita a stretto contatto con il favo. L’ispessimento sui bordi dei favi forma una rete appoggiata sulle sottili pareti delle cellette, che può spostarsi leggermente sul piano della superficie del favo, proprio come accade alla rete di una porta da calcio quando viene scostata. Tali vibrazioni possono trasmettersi lungo tutto il favo. Non si tratta di forme d’onda né longitudinali né trasversali, ma piuttosto di una vera e propria deformazione ad alta velocità. La gamma di frequenza ottimale è compresa tra 230 Hz (Hertz, cicli al secondo) e 270 Hz; l’ampiezza delle oscillazioni in questa finestra di frequenza subisce un’amplificazione, sia quando le cellette sono piene di miele sia quando non lo sono. La chiusura delle cellette con un coperchio blocca la diffusione delle oscillazioni. Quando l’ape danza su cellette coperte, non possono essere registrate vibrazioni da quelle adiacenti vuote. Tuttavia, se un’area di cellette chiuse è circondata da cellette senza copertura, le vibrazioni viaggiano attorno all’isola.
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Sintonizzare la linea telefonica La temperatura della cera del favo è il fattore che più influenza la sintonizzazione della rete telefonica. La resistenza meccanica della cera all’oscillazione diminuisce con l’aumento della temperatura, rendendo più facile alle api mettere in movimento la rete sui bordi delle pareti delle cellette. La temperatura giusta perché questo avvenga è 34 °C e l’intero sistema smette di funzionare al di sopra di questo valore, poiché la cera
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Che la trasmissione delle frequenze di oscillazione ottimali sia indipe endente dal fatto che le celle siano piene o cave è sorprendente e fa della ella struttura del favo un interessante oggetto di studio da parte degli ingegneri. I favi delle api sembrano possedere non solo proprietà strutturali che vale la pena imitare – per esempio, la grande stabilità ottenuta con l’utilizzo di una quantità minima di materiale – ma anche proprietà dinamiche estremamente utili per alcune tecnologie. Sorprendentemente, il carico meccanico non ha effetto sulla dispersione del segnale. Questo aspetto può aver condotto allo sviluppo dello speciale sistema di comunicazione utilizzato dalle api. La stretta banda di frequenza di 230-270 Hz, ottimale per la trasmissione sul favo, copre proprio la gamma di frequenze di oscillazione che l’ape danzatrice, sotto forma di piccole pulsazioni, produce nella fase oscillatoria della danza dell’addome (si veda anche il Capitolo 4), e la cosa non ci stupisce. Le api, che pianificano la costruzione del favo nei minimi dettagli, sembrano disporre la loro rete telefonica in maniera che essa trasmetta al meglio le frequenze di comunicazione. Le proprietà del materiale e dell’architettura del favo e il comportamento delle api sembrano davvero fatti su misura l’uno per l’altro. Ci sono tre aspetti che vale la pena esaminare più da vicino: • Come fanno le api a “sintonizzare” la propria rete telefonica? • In questa rete telefonica esistono linee private, o tutte le comunicazioni che avvengono simultaneamente creano un ingorgo? • Come viene eliminato il rumore di fondo, sempre presente, provocato dalla presenza di 10.000 api?
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diventa troppo morbida e tende a deformarsi, rendendo difficile la trasmissione della vibrazione. Di prima mattina, la temperatura del bordo delle celle sulla “pista da ballo” della colonia è ancora bassa, ma raggiunge valori ottimali entro le prime ore di attività di bottinatura. Le api controllano la temperatura della pista da ballo anche grazie alle proprie abilità di regolazione termica. Il limite della capacità di regolazione termica della cera viene raggiunto se l’intera colonia di api viene trasportata altrove ed esposta a situazioni climatiche estreme, per esempio riscaldando l’intero nido. In tal caso, le api utilizzano una strategia ben conosciuta nel settore edilizio: l’utilizzo di materiali additivi. Quando la temperatura della cera, che determina le proprietà di oscillazione delle pareti delle cellette, non è appropriata, le api aggiungono propoli quale additivo alla cera dei bordi delle celle (Fig. 7.24). Le proporzioni di cera e resina all’interno dell’impasto e la loro distribuzione spaziale sono regolate in modo che le proprietà di risonanza della cera corrispondano alla gamma di frequenze adatta.
Fig. 7.24 Le api rinforzano con la propoli i bordi delle cellette che necessitano di supporto meccanico
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Le linee private nel sistema di comunicazione La più piccola perturbazione della vibrazione si propaga verso tutti gli angoli del favo, sulla rete super ficiale dei bordi delle cellette. Come si fanno a evitare le inter ferenze nelle comunicazioni dei gruppi di api che eseguono contemporaneamente danze individuali (Fig. 7.26)? Il problema si risolve semplicemente grazie al numero di api presenti sul posto. Gli spostamenti della rete superficiale viaggiano per grandi distanze fra le api di diversi gruppi, separate da ampi spazi. Nelle zone in cui la densità delle api è alta, anche il carico sul favo sarà maggiore: ne risulta un effetto simile a quello della copertura delle cellette. Le oscillazioni vengono smorzate e si spostano solo di alcuni centimetri. Di conseguenza, la gamma di messaggi oscillatori, e assieme a essa l’area dalla quale vengono reclutate le api, viene regolata in maniera appropriata.
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La propoli viene aggiunta impastandone piccole strisce con la cera. I bordi e le pareti delle cellette, come risultato, sono costituiti da una matrice rice composta, simile a quella sviluppata dagli ingegneri edili per creare un blocco di cemento di grandi dimensioni, caratterizzato da alta densità e resistenza alla tensione. Infatti, sottili inserti di metallo vengono aggiunti al cemento liquido allo scopo di rinforzarlo. Le condizioni climatiche prevalenti non solo l’unico fattore che influenza la costruzione del favo. Alcune pratiche degli apicoltori interferiscono involontariamente con la rete telefonica delle api. Per facilitare la rimozione dei favi dall’alveare, gli apicoltori li circondano con strutture in legno. Una struttura in legno che racchiude completamente il favo su ogni lato riduce la capacità di movimento della rete della super ficie, che diviene incapace di trasmettere lungo i bordi delle cellette, non essendoci più un bordo libero che si espande e si contrae. I favi su cui le api non danzano rimangono intatti, così come l’apicoltore li ha installati, e le api non ne traggono alcun vantaggio. Sui favi dove si svolgono le danze, le api creano dei vuoti tra la cera e la struttura esterna in legno (Fig. 7.25) e la trasmissione del segnale viene in questo modo ripristinata in maniera adeguata.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 7.25 Favi costruiti dagli apicoltori, circondati da strutture di legno su ogni lato: questa tecnica impedisce lo spostamento orizzontale della rete disposta sul favo, compromettendo seriamente la comunicazione. Le api modificano i favi su cui avvengono le danze, creando degli spazi tra il favo e la cornice, permettendo così la diffusione delle vibrazioni
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Se il segnale è debole e immerso nel rumore, arriva in aiuto la meccanica del favo I segnali di comunicazione sono solitamente più forti di quelli del disturbo ambientale, o “rumore di sottofondo”. Ma per le vibrazioni della danza dell’addome la situazione è differente. Diverse migliaia di api attive sullo stesso favo, occupate nei loro vari compiti, producono un ronzio continuo di sottofondo che i segnali di comunicazione non possono sovrastare. Ma, allora, come è possibile distinguere questi segnali? In radio-astronomia, il problema del rilevamento di segnali deboli circondati da rumore viene risolto mettendo in interconnessione delle antenne molto distanti tra loro. In questo modo, si possono confrontare i segnali provenienti da varie fonti, in maniera che emissioni radio regolari, ma di debole intensità, provenienti da stelle molto distanti possano essere identificate grazie al loro sincronismo.
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Fig. 7.26 Nei picchi del periodo della bottinatura, diverse api – come le quattro indicate qui da un cerchietto – si mettono a danzare simultaneamente, e spesso per indicare diverse sorgenti di cibo
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Le api, con le proprie zampe, hanno sei punti di contatto distribuiti nello spazio sui bordi delle cellette. Questo permette loro di confrontare le oscillazioni presenti nei sei punti, seguendo un principio simile a quello della radio-astronomia. Ma, dal confronto di punti diversi sulla rete del bordo delle cellette, è possibile riconoscere l’andamento di una vibrazione su un favo, altrimenti impossibile da osservare da un unico punto preciso? Le oscillazioni che si propagano sul favo sotto forma di spostamenti del bordo delle celle hanno un andamento incredibilmente regolare: nel caso più semplice, lo spostamento oscillatorio del bordo di una singola celletta provoca lo spostamento in sincrono in avanti e indietro di un’intera fila di cellette. In una singola cella di questa fila, tuttavia, i bordi ispessiti si muovono in direzioni opposte l’uno rispetto all’altro (Fig. 7.27). Dato che l’ape danzatrice tende le pareti delle cellette con le sei zampe, essa si troverà ad
Fig. 7.27 Le oscillazioni che si propagano lungo il favo, sotto forma di spostamento orizzontale del bordo delle cellette, hanno un andamento bidimensionale determinato dalle proprietà fisiche e geometriche del favo che segnala anche la posizione della danzatrice nell’oscurità dell’alveare. Se il bordo della parete di una celletta (qui indicato da una freccia blu) viene fatto vibrare, il bordo di tutte le cellette lungo quella fila oscillerà nella stessa direzione, eccetto una cella (punto esclamativo rosso) le cui pareti si muovono in direzione opposta l’una rispetto alle altre. Poiché una danzatrice non usa una, ma sei zampe, per mettere in movimento le pareti della celletta, diverse cellette “pulsanti” possono trovarsi intorno a una danzatrice
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La memoria chimica La composizione chimica della cera d’api si altera con il tempo, con la decomposizione di lunghe catene di carboidrati e con l’evaporazione delle componenti della cera. Anche gli enzimi che le api mescolano con la cera cambiano struttura. Inoltre, con il tempo il favo diventa sempre più “sporco” (Fig. 7.28), per effetto dei resti larvali, delle escrezioni nell’area di covata, del polline e della resina. I favi, inizialmente omogenei da un punto di vista chimico, alla fine diventano un tappeto costutito da un colorato mosaico chimico.
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avere diverse cellette “pulsanti” attorno a sé. Una compagna che capta le vibrazioni del favo poggia sui bordi delle cellette e le zampe le consentono ono di “ascoltare” fino a tre cellette diverse (Fig. 4.26). Con le zampe, dotate di cellule sensoriali al movimento vibratorio, essa rileva l’andamento oscillatorio bidimensionale. L’analisi comportamentale delle registrazioni video supporta questa teoria: guardando a ritroso i filmati dei movimenti delle api reclute fino al momento di inizio della danza, o i momenti che la precedono, si riesce a determinare il punto del favo in cui la potenziale recluta ha riconosciuto la posizione della danzatrice. Nell’istante in cui identifica la direzione in cui si trova la danzatrice rispetto alla sua posizione, l’ape gira la testa verso di lei (Fig. 4.26). Quindi rivolge il suo corpo in quella direzione, e si mette a correre fino a quando non tocca la danzatrice e prende parte immediatamente alla danza dell’addome. La conferma di questo comportamento si ottiene sovrapponendo la posizione delle “cellette pulsanti”, rilevata con misurazioni fisiche, ai risultati delle analisi comportamentali che hanno determinato il momento in cui l’ape identifica la danzatrice. Le “cellette pulsanti”corrispondono ai punti in cui le api identificano la danzatrice, rilevati nell’analisi comportamentale. Queste osservazioni indicano che è molto probabile che l’andamento bidimensionale dell’oscillazione nel favo conduca le api verso la danzatrice, anche se il favo presenta un forte rumore di sottofondo. La danze che si svolgono su materiali troppo solidi o sul corpo di altre api in uno sciame (si veda di seguito) non attraggono le api, che si trovano a grande distanza, verso la danzatrice.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 7.28 A causa della differenza di età, o dell’intrusione di sostanze estranee, negli alveari si possono trovare favi di composizioni chimiche molto diverse tra loro (a sinistra cera vecchia, a destra cera di nuova produzione). La differente composizione è riconoscibile anche dai colori differenti
Grazie alle proprie antenne, le api sono in grado di riconoscere anche differenze minime nella composizione della cera. Non occorre che esse siano a contatto con la cera: l’odore, da solo, è sufficiente per operare una distinzione. Per le api mellifere, la cera è una sostanza con una storia, che fornisce informazioni per orientarsi nell’oscurità dell’alveare. Ecco perché le api preferiscono immagazzinare il nettare e il polline nelle cellette più vecchie, piuttosto che in quelle di nuova costruzione. La super ficie del corpo delle api, come in tutti gli insetti, è coperta da un sottile strato di cera che le protegge dalla disidratazione. Questa cera cuticolare è, in teoria, la stessa cera del favo. Le ghiandole ciripare sull’addome delle api, infatti, avevano originariamente la funzione di produrre cera cuticolare. La composizione della cera presente sul corpo delle api non è uguale per tutti gli individui. Grazie a una componente determinata geneticamente, la cera cuticolare di api sorelle è più simile di quella di api “sorellastre”, cioè delle api che hanno la stessa madre, ma padre diverso. Anche l’ambiente in cui vivono le api influenza la composizione della cera cuticolare, dato che questo strato assorbe parte della cera del favo. L’odore che ne risulta produce un’identità specifica della colonia, e permette alle api guardiane all’entrata del nido di riconoscere le api sorelle da quelle estranee, impedendo a queste ultime l’ingresso (Fig. 7.29).
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Le api estranee, però, si premuniscono per sfuggire a questo severo controllo. Infatti, portano con sé una grande goccia di nettare, che offrono alle guardiane per corromperle. Talvolta, i “documenti falsi” vengono considerati “veri”, e così le api estranee riescono a entrare nell’alveare (Fig. 7.30).
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Fig. 7.29 Due api guardiane in un tipico atteggiamento “sospettoso”. La sorveglianza viene effettuata sia a terra che in volo
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Le api possono usare la composizione chimica della cera in maniera indipendente, ma possono anche usare la cera del favo come substrato a cui attaccare la propria “etichetta”. È quanto avviene sulla pista da ballo dove si svolgono le danze. Qui, lo scambio di messaggi riguardanti la sorgente trofica si svolge su di un’area di circa 10 x 10 cm, in un alveare con un’area totale di 5 m2. Le bottinatrici vanno incontro alle danzatrici su queste piste da ballo, per apprendere informazioni sulla posizione delle fonti di cibo nei campi. Poiché la pista da ballo è identificabile in maniera precisa, è possibile condurre un esperimento, ritagliandola, spostandola in un altro luogo e riempiendo il vuoto lasciato con un pezzo diverso del favo. Si dimostrerà
Fig. 7.30 Un’ape sotto interrogatorio (a sinistra) offre alla guardiana (a destra) una goccia di nettare come “tangente” all’ingresso del nido
Fig. 7.31 La propoli viene immagazzinata in diverse parti del nido
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Uno spazio pulito Gli organismi che vivono costantemente a stretto contatto l’uno con l’altro, come fanno le api, sono molto poche. Questa caratteristica comporta anche rischi notevoli per la salute del superorganismo. La forte pressione selettiva per la prevenzione della diffusione di infezioni ha portato a soluzioni specifiche altamente efficaci. Il favo ha un ruolo importante nella prima linea di difesa contro gli agenti patogeni. In particolare, vi è un sottile strato di propoli che riveste le pareti delle cellette del nido di covata. La propoli ha proprietà antibatteriche e antifungine e previene o riduce il rischio di infezioni. Le api accumulano grandi riserve di propoli all’interno del nido e le utilizzano quando necessario (Fig. 7.31). Animali di dimensioni considerevoli, come i topi, che riescono a entrare nel nido, e che vengono punti a morte, non possono essere rimossi dalle api stesse. Ciò rappresenta una grave minaccia per l’igiene e la salute della colonia. Le api risolvono il problema coprendo l’intera carcassa con la propoli. I resti così mummificati non presentano più un rischio di infezione per la colonia. Si presume che questo comportamento delle api abbia ispirato agli antichi Egizi l’idea della conservazione dei propri morti. Senza dubbio, le api sono state le prime a praticare la mummificazione.
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che la pista da ballo è marchiata da un segnale chimico. La prima bottinatrice che fa ritorno all’alveare dopo questa manipolazione si dirige ige direttamente al luogo dove ha danzato per l’ultima volta, ma non vi effettua più la sua danza. Invece, si mette a cercare nel favo la pista da ballo che è stata rimossa. Non appena la trova, incomincia immediatamente a danzare. Di ritorno da un’escursione successiva, si dirige subito verso il nuovo sito della pista da ballo. Tuttavia, se il giorno seguente si svolge un nuovo giro di bottinatura, le danze saranno di nuovo eseguite sul sito da ballo originale. Queste osservazioni suggeriscono che la pista da ballo presenta una marchiatura chimica il cui segnale svanisce durante la notte, quando non viene utilizzata, e che viene riapplicata il giorno seguente. Gli aspetti chimici di questa marchiatura sono ancora sconosciuti.
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IL RONZIO DELLE API
La cavità dove costruire il nido Le api sono in grado di organizzare gli interni delle proprie case, ma non possono scavare cavità che offrano riparo alle colonie. Da questo punto di vista, esse dipendono da quello che offre l’ambiente. Alberi cavi sono di solito una sistemazione adeguata a latitudini temperate. Un’altra possibilità è data dalle fenditure tra le rocce. Nelle zone ad alta concentrazione di aree coltivate, dove non ci sono grandi possibilità di riparo, le api dipendono dalle sistemazioni artificiali che gli umani offrono loro, senza le quali non riuscirebbero a sopravvivere all’inverno, o a violenti temporali estivi. Uno sciame che abbandona l’alveare deve fare in fretta. Le provviste per il viaggio, conservate nell’ingluvie, sono limitate e un temporale può costare caro a uno sciame senza protezione su un albero. Circa 200-300 esploratrici ricercano nell’ambiente circostante dei possibili siti per la nidificazione. Quando un’ape ritorna allo sciame dopo una ricerca andata a buon fine esegue una danza sulla sua superficie (Fig. 7.32) che codifica la direzione e la distanza del luogo, come avviene per le istruzioni impartite per una sorgente trofica. Questo messaggio raggiunge solo alcune api, nell’immediata prossimità della danzatrice, poiché la pista da ballo, costituita dai corpi delle api, non trasmette vibrazione alcuna, e le compagne non vengono attratte. In questo caso si presenta una situazione davvero insolita in cui, a differenza del reclutamento per una sorgente di cibo, è l’intera colonia ad aver bisogno del messaggio, ma questo viene ricevuto solo da pochi individui. Nelle fasi iniziali, ogni esploratrice di ritorno da un viaggio andato a buon fine pubblicizza la sua scoperta con una danza, e questo solitamente comporta una ventina di potenziali luoghi di nidificazione comunicati allo sciame. Come si fa a gestire questo affollato “dibattito” sui luoghi di nidificazione? La regina è una sola, e pertanto anche la sua residenza dovrà essere una sola. Come fa la colonia a scegliere il sito migliore? Le api che hanno scoperto siti dalle caratteristiche mediocri, o poco adeguate, riducono gradualmente l’intensità della loro danza. Le danze che vengono eseguite indicano alla fine solo i siti migliori. Le api che inizialmente promuovevano la loro scoperta, apparentemente meno allettante, si uniscono alle altre, formando così gradualmente una maggioranza.
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L’ORGANO PIÙ GRANDE DELLA COLONIA – COSTRUZIONE E FUNZIONAMENTO DEL FAVO Fig. 7.32 Un’ape esploratrice (qui indicata da un segno bianco) ha trovato una cavità adatta alla costruzione di un nido ed esegue una danza dell’addome sul corpo delle compagne. Diversamente dalle danze che si svolgono sulle piste da ballo, qui vengono attirate solo poche reclute: solo una o due api seguono i movimenti della danzatrice
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La cavità che dovrà ospitare il nuovo nido sembra possedere alcune proprietà che influenzano la decisione: • la distanza dalla vecchia casa (non troppo vicino, non troppo lontano); • le dimensioni della nuova cavità (non troppo grande, ma con spazio sufficiente per future espansioni); • l’altezza della cavità dal substrato (non troppo vicino al terreno); • la struttura dell’ingresso (non troppo piccolo, per permettere lo svolgimento delle numerose attività di volo, ma nemmeno troppo grande, in maniera da poterlo difendere facilmente); • l’interno deve essere secco; • l’orientamento geografico dell’ingresso (l’orientamento verso sud è preferibile, in maniera da sfruttare i benefici dell’irraggiamento solare all’inizio della primavera); • la presenza di vecchi favi di precedenti inquilini. In seguito alla scoperta di una cavità, gli aspetti che determinano il suo appeal vengono valutati dalle api esploratrici con un volo attorno al sito e con un’indagine accurata dello spazio interno. La distanza coperta da un ape durante l’esame delle pareti interne può arrivare a superare i 50 metri. Non viene trascurato alcun angolo, si stimano le condizioni delle pareti e il volume della cavità. Lo spostamento nell’ambiente delle 20.000 api di cui è composto uno sciame verso il nuovo nido non è certo una cosa semplice (Fig. 7.33), e perché ciò avvenga efficacemente vengono utilizzati diversi meccanismi di comunicazione. L’ape che ha scoperto il nuovo sito, e che conosce la sua posizione, chiama a raccolta verso di esso un gruppo relativamente piccolo di compagne che cresce sempre di più. Nei casi migliori, questo gruppo può raggiungere il 5% dell’intero sciame. Le api che lo compongono volano avanti e indietro tra la cavità del nido e lo sciame, continuando a ballare senza interruzione sulla sua superficie. Quindi, le api si mantengono in prossimità dell’ingresso della cavità e vi girano attorno con i loro caratteristici voli ronzanti, marchiando il posto con il feromone secreto dalle ghiandole di Nasonov presenti sull’addome. Da questo punto di vista, il comportamento è simile a quello usato dalle bottinatrici esperte per attirare nuove reclute verso la sorgente trofica (Cap. 4).
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Fig. 7.33 Le api esploratrici hanno trovato in questo albero un sito ideale per l’insediamento di un nuovo nido
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Poiché la pista da ballo formata dai corpi delle api non trasmette alcuna vibrazione, e quindi non attira molte compagne, ne consegue un estremo squilibrio numerico tra le poche danzatrici e le migliaia di api che assistono al ballo. Quasi certamente la maggior parte delle api, in particolare quelle al
Fig. 7.34 Immagini termografiche (a sinistra) e fotografie convenzionali (a destra) di uno nugolo di api 15 minuti (in alto) e un minuto (in basso) prima che lo sciame “erutti”. Le fotografie convenzionali non mostrano alcuna differenza, mentre le immagini termografiche mostrano l’incremento della temperatura delle api che hanno sentito il “fischio”. La temperatura delle api può essere letta sulla scala a sinistra. Il puntatore serve a indicare una singola ape
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centro dello sciame, non hanno percezione delle danze che avvengo ono sulla superficie. Come si fa a motivare lo sciame, con tutte le api operaie e la regina, a seguire la direzione giusta? Lentamente, tutte le api smettono di danzare e si fanno strada verso il centro dello sciame. Qui, si battono per riuscire a muoversi lungo complessi percorsi tridimensionali attraverso la massa di corpi,“fischiando” a quante più sorelle possibile. Questo suono acuto prodotto dai muscoli delle ali, viene trasmesso sotto forma di vibrazione a tutte le compagne con cui vengono a contatto. Tutte le api che ricevono il richiamo incominciano a innalzare la propria temperatura corporea. In dieci minuti, l’intero sciame comincia progressivamente ad “avvampare” (Fig. 7.34). Quando lo sciame ha raggiunto una temperatura di circa 35 °C, “erutta” letteralmente, per effetto del decollo contemporaneo di tutte le api. Un’enorme nuvola ronzante di diversi metri di diametro si libra in volo, composta da api in lento volteggio, mentre le api che “dirigono” il traffico volano rapidamente attraverso la nuvola. Queste api, che conoscono la posizione della meta e guidano lo sciame, sfrecciano avanti e indietro attraverso la nuvola seguendo una traiettoria rettilinea, il cui asse collega il punto di partenza con la nuova sistemazione della colonia. La sfera ronzante di api assume gradualmente la forma di uno spesso sigaro, lanciandosi in direzione della meta, guidata dalle api che conoscono il nuovo indirizzo. Le esploratrici marchiano chimicamente, con l’odore prodotto dalle ghiandole di Nasonov, l’ingresso della nuova cavità in maniera da segnalarlo alle nuove arrivate. Non appena fanno ingresso nella loro nuova casa, le api iniziano immediatamente a produrre cera. Ove necessario, le pareti interne della cavità vengono smussate: le api rimuovono le schegge di legno con il proprio apparato boccale. Se quest’operazione non è possibile, le pareti vengono ricoperte con la propoli, che serve anche a sigillare le cavità da cui passa troppa aria. Quando queste attività preliminari sono state completate, vengono avviati i cantieri dei favi. Una nuova eternità è pronta per cominciare.
Un’intelligenza raffinata La temperatura del nido di covata è un fattore di controllo che serve alle api per modulare le caratteristiche delle future sorelle.
Gli organismi sono esposti all’imprevedibile influenza dell’ambiente. Gli anfibi soffrono la siccità, gli uccelli la mancanza di cibo, le farfalle il freddo. Grazie alla libertà di movimento, la maggior parte degli animali può sfuggire a situazioni sfavorevoli e andare alla ricerca di condizioni migliori. Gli anfibi vanno sottoterra; gli uccelli volano verso nuove località o, nel caso estremo degli uccelli migratori, addirittura verso un altro continente; le farfalle scelgono luoghi soleggiati per vivere.Tra tutte le possibilità offerte dall’ambiente, gli animali optano per la soluzione migliore. La selezione naturale garantisce la sopravvivenza delle specie che hanno trovato una soluzione appropriata, mentre quelle che non ce la fanno finiscono per scomparire completamente. L’ambiente, però, non rappresenta semplicemente una gamma di opportunità tra cui gli organismi operano la scelta giusta, subendo spiacevoli conseguenze nel caso dovessero sbagliare. Gli ambienti si possono costruire. I lombrichi forgiano il substrato in quale vivono, attraverso pratiche alimentari e di escavazione. Le foglie degli alberi fanno ombra, influenzando così la crescita dei germogli sottostanti. Gli animali acquatici modificano con le loro escrezioni l’acidità degli acquitrini. Tali influenze sull’ambiente, se non neutrali, provocano reazioni che a loro volta hanno un impatto sugli animali coinvolti, spesso con esito negativo: se l’acqua dello stagno diventa troppo acida a causa delle azioni degli animali che vi vivono, gli abitanti vengono uccisi. Ma cosa succede quando gli organismi riescono a modificare l’ambiente a proprio vantaggio e producono effetti positivi? Non vengono forse introdotte regole completamente nuove nel gioco “ambiente, organismo e adattamento”?
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E cosa succede se l’ambiente, forgiato dagli organismi, riesce a determinare o influenzare le caratteristiche degli organismi stessi? Non si tratterebbe di un sistema in cui causa ed effetto si confondono? E non verrebbero a mancare addirittura le caratteristiche tipiche del modello classico ambiente-organismo? Immaginando un periodo evolutivo abbastanza lungo, un ambiente che sia stato plasmato attivamente e che abbia assunto proprietà influenzate dagli organismi che vivono in esso, finirà col fondersi con gli organismi che l’hanno forgiato, generando un’unità i cui gli elementi si sviluppano congiuntamente. Tali organismi otterrebbero la libertà dalla schiavitù nei confronti dell’ambiente, al quale solitamente devono adattarsi per sopravvivere e riprodursi. La strada verso l’indipendenza dall’ambiente è stata intrapresa dagli esseri umani, ma anche dalle api mellifere. Se si confrontano i passi compiuti finora su questa strada, quelli dalle api sono forse più sostanziali di quelli umani. Nel nostro caso, il tipico metodo di condizionamento dell’ambiente è determinato dalla possibilità di edificare e dipende dagli elementi naturali prevalenti. È possibile che, nell’adattamento dei nostri spazi di vita e di lavoro, il risultato sia semplicemente una sensazione di appagamento che soddisfa un bisogno, piuttosto che un vero e proprio cambiamento di noi stessi a breve o lungo termine. Nei trenta milioni di anni della loro evoluzione, le api che formano colonie hanno raggiunto una tappa ancora lontana per gli umani: le api riescono a plasmare l’ambiente a proprio vantaggio. Gradualmente, stiamo facendo passi avanti nella comprensione delle complesse dinamiche d’interazione tra questi insetti e il loro ambiente. Uno degli ultimi progressi è la scoperta che la temperatura del nido di covata è di grande importanza per l’intera biologia delle api.
Le api tengono le pupe al caldo Il nido di covata delle api (Fig. 8.1) è una parte estremamente importante e delicata del mondo di questi insetti e viene regolata con eccezionale precisione. La temperatura dell’area che contiene le cellette sigillate delle pupe, in particolare, è soggetta a un controllo rigoroso.
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Fig. 8.1 Il nido di covata è la parte del favo in cui ogni nuovo membro della colonia viene allevato individualmente da una nutrice durante le fasi di sviluppo della larva, attraverso lo stadio pupale, fino all’ape adulta
UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
Gli apicoltori avranno forse familiarità con il calore che si sviluppa nel nido di covata, che è possibile rilevare anche a mani nude. In passato si pensava che fosse la covata a produrre calore attorno a sé e che le api vi si recassero per riscaldarsi. Questa teoria si è dimostrata incorretta ed è stata sostituita da una scoperta molto più affascinante sull’importanza biologica del clima del nido. L’impiego di telecamere termografiche, assieme al paziente studio del comportamento e alla manipolazione delle api e delle loro colonie, ha portato a prospettive completamente nuove, le cui conseguenze non sono ancora del tutto chiare. Gli animali sono capaci di produrre calore metabolizzando sostanze energetiche come i grassi e i carboidrati o attraverso la contrazione muscolare, come accade quando anche noi tremiamo per il freddo. Le api si scaldano facendo tremare i muscoli delle ali, che non sono usati solo
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IL RONZIO DELLE API
per volare, come abbiamo visto nel Capitolo 4, ma sono anche responsabili della produzione di pulsazioni vibratorie usate nella comunicazione della danza dell’addome. Il calore è prodotto da questi muscoli in maniera un po’ diversa. Le api “slegano” questi muscoli dalle ali attraverso l’ingegnoso utilizzo di minuscoli muscoli di manovra e aumentano il proprio metabolismo contraendoli ripetutamente. Muscoli antagonisti si muovono l’uno contro l’altro: i fremiti dei muscoli producono delle vibrazioni, molto più deboli di quelle prodotte dalle api danzatrici. Le immagini termografiche mostrano il risultato di questi tremolii (Fig. 8.2). Molti insetti, comprese le api, hanno sviluppato la capacità di riscaldare i muscoli delle ali in preparazione al volo attraverso queste contrazioni. È probabile che gli antenati delle api, insetti solitari che non formavano colo-
Fig. 8.2 Le immagini termografiche mostrano la distribuzione del calore nel corpo delle api termoregolatrici. La colorazione artificiale delle immagini indica le temperature basse (blu) e alte (giallo). Un accorto utilizzo del principio del controflusso previene la dispersione passiva di calore attraverso l’addome dell’ape. Il calore rimane confinato entro il torace, dove viene generato da un forte fremito del muscolo delle ali
Fig. 8.3 Le immagini termografiche mostrano che le api “calde”, qui con il torace bianco, si concentrano nelle aree del nido di covata che presentano le cellette sigillate. Sull’area circostante del favo, che non presenta cellette tappate, distinguibile qui dai bordi scuri delle pareti delle celle, non sono presenti api termoregolatrici
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UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
nie, possedessero già questa capacità. Questa eredità è stata uno dei requisiti fisiologici più importanti per lo sviluppo delle api che vivono in colonie. Le immagini termografiche di diversi insetti in preparazione per spiccare il molo mostrano che le falene, per esempio, riscaldano i propri muscoli di volo prima di decollare nell’aria fredda della notte. Lo stesso tipo di riscaldamento viene praticato dalle api che si preparano al decollo; questa è la funzione originaria di una capacità in seguito utilizzata per raggiungere uno scopo molto diverso. La lente di una macchina fotografica termografica, quando inquadra il nido di covata, mostra le api termoregolatrici che si riscaldano, con i loro toraci “illuminati”, situate sull’area delle cellette sigillate (Fig. 8.3). Queste api premono il torace sul coperchio delle celle sottostanti e trasferiscono il calore alle pupe che si trovano all’interno. Le api che si trovano così “sedute”, mantenendosi a circa metà dell’altezza delle altre api sul favo, sono molto facili da identificare (Fig. 8.4). L’ape, completamente immobile, può rimanere in questa posizione anche per 30 minuti e durante questo periodo potrebbe essere scambiata per un’ape priva di vita. Le antenne non si muovono, ma sono tenute a contatto con il coperchio della cella anteriore, probabilmente per misurare la temperatura: la punta delle antenne, infatti, presenta la concentrazione maggiore di recettori del calore. Pensare che le api in questa situazione si stiano riposando, stiano dormendo o che siano addirittura morte, sarebbe sbagliato. In realtà, esse sono al massimo della loro attività. Solo un volo estenuante comporta un dispendio energetico paragonabile a quello di un’ape termoregolatrice. Dopo un periodo massimo di 30 minuti in questa posizione, e un riscaldamento della temperatura corporea fino a 43 °C, gli animali sono esausti e interrompono l’operazione. Il coperchio della pupa riscaldata continuerà a “illuminarsi” per un determinato periodo di tempo anche dopo che l’ape ha finito l’attività di riscaldamento e si è allontanata (Fig. 8.5). Poiché il torace dell’ape ha le stesse dimensioni di una celletta, viene riscaldato solo un coperchio alla volta. Un ingegnere termotecnico si interrogherebbe sull’efficienza di un sistema in cui il calore è trasferito dal torace dell’ape a una singola celletta. L’ape calda irraggia calore da ogni lato, non solo verso la pupa sot-
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.4 Al centro dell’immagine si può distinguere chiaramente un’ape termoregolatrice nella tipica postura. Appiattendosi sul coperchio della celletta, l’ape mantiene le ali ben chiuse e la punta delle antenne in continuo contatto con la superficie della celletta. Le api possono rimanere immobili fino a 30 minuti in questa posizione, mentre tutt’intorno continua ininterrotto il trambusto del favo
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tostante che necessita del riscaldamento. In sostanza, le api disperdono più calore nell’area circostante di quanto ne trasferiscano alle cellette sulle quali si stanno concentrando. Questo sistema di riscaldamento assomiglia più a quello che veniva usato ai tempi del socialismo nelle stanze degli alberghi dove le finestre erano rotte: non si riparavano le finestre, si alzava il riscaldamento. Uno sguardo più attento alle api presenti nell’area delle celle sigillate della covata mostra tutti gli sforzi che esse fanno per ridurre al massimo la perdita di calore (Figg. 8.6, 8.7). Le api che non sono occupate con il riscaldamento, per esempio, si ammassano fittamente sul favo per isolarlo e ridurre la perdita di calore.
UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
Fig. 8.5 Se un’ape rimasta appoggiata a lungo al coperchio di una cella viene spostata, l’immagine termografica rileverà un punto di calore precisamente dove si trovava il torace dell’ape, indicato qui con un’area gialla al centro dell’immagine
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.6 La maggior parte delle api si trova nella zona delle cellette coperte. Le api termoregolatrici, con il loro corpo premuto sul favo (qui sono indicate quattro api termoregolatrici, si veda anche Fig. 8.7), sono parzialmente nascoste dalle altre api. L’insieme dei corpi delle api che non si occupano del riscaldamento, forma un efficiente strato isolante che aiuta a mantenere il calore nella covata Fig. 8.7 Un ingrandimento del riquadro della Figura 8.6, che mostra quattro api termoregolatrici mentre tengono premuto il torace per propagare il calore dal proprio corpo alla copertura delle cellette sottostanti
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Le api fanno sempre partire l’area di covata dal centro del favo, per poi allargarla in ogni direzione man mano che la regina continua a deporre le uova e le cellette vengono tappate, in modo che le larve possano passare indisturbate allo stadio pupale. L’area delle cellette chiuse non è completamente omogenea nel nido di covata: le cellule vuote costituiscono il 5-10% del numero totale e sono distribuite in maniera casuale. Questa percentuale può variare in base al clima dell’ambiente esterno. Cellette inutilizzate sono presenti in ogni fase dello sviluppo del nido di covata (Fig. 8.7). Una percentuale di cellette vuote che superi il 20% può essere causata da situazioni anormali, come la comparsa indesiderata nella colonia di un grande numero di larve diploidi di fuchi, che vengono conseguente rimosse dalle operaie. Cellette rimaste vuote si trovano anche dopo che la regina ha inaugurato un nuovo nido per la covata (Fig. 8.8) e quindi in seguito alla nascita delle larve (Fig. 8.9). Questo fatto assume un aspetto interessante dal punto
Fig. 8.8 La regina non depone un uovo in ogni cella. Si trovano cellette sparse per tutta l’area in cui la regina ha depositato le uova
Fig. 8.9 Le celle vuote si distinguono chiaramente quando le larve nate dalla schiusa delle uova cominciano a svilupparsi
UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
L’incubatrice della colonia
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.10 Di solito, circa il 5-10% delle cellette nell’area coperta della covata sono vuote, una percentuale ideale per il riscaldamento delle pupe
di vista funzionale quando si scopre che (Fig. 8.10) le cellette apparentemente vuote, in realtà, si trovano raramente in stato di abbandono. Infatti, spesso ospitano api che giacciono a testa in giù (Fig. 8.11). Inizialmente si riteneva che questo comportamento fosse legato alla pulizia della cella o a una posizione di riposo, poiché era impossibile determinare esattamente cosa stessero facendo le api. Quello che si può vedere dall’esterno è la punta dell’addome dell’ape, in rapido movimento dentro e fuori, o con brevi periodi di attività intervallati da lunghi periodi di riposo. Il rapido infilarsi nelle celle è tipico in tutta l’area di covata, mentre il riposo lo è meno. Aprendo con delicatezza le cellette su di un lato, si trovano le api che giacciono con le zampe stese all’indietro. È la posizione che assumono quando sono pupe, solo che in quel caso sono rivolte a testa in su. Apparentemente, le api sembrano a riposo, se si escludono i movimenti pulsanti dell’addome. Una telecamera termografica puntata su queste api rivela una grande differenza nella temperatura corporea tra gli individui presenti in celle diverse (Fig. 8.12).
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UN’INTELLIGENZA RAFFINATA Fig. 8.11 Tre api operaie a testa in giù nelle cellette vuote di un nido di covata
Le api che presentano una forte pulsazione hanno una temperatura media del torace che può raggiungere 43 °C, a differenza delle api a riposo, la cui temperatura corporea corrisponde alla temperatura ambiente. La vecchia teoria secondo la quale le api sono a riposo è valida solo per una piccola parte degli individui che si sistema in una cella.Tutti gli altri stanno producendo attivamente calore. Questo comportamento suggerisce l’esistenza di un secondo metodo di riscaldamento, molto più efficace nel trasferimento dell’energia di quanto non lo sia la pressione sulla superficie della copertura delle cellette. La misurazione della temperatura corporea delle api prima che si infilino nelle celle indica che solo quelle con una temperatura elevata entrano e che, in realtà, esiste una procedura di preparazione all’ingresso. All’inizio, le api presentano una temperatura corrispondente a quella dell’aria nell’alveare, ma prima di entrare in una cella si mettono a correre rapidamente sul favo, innalzando la temperatura del torace fino al livello appropriato. Le api che si sono raffreddate, dopo un periodo variabile da 3 a 30 minuti, lasciano le celle. Lo sforzo fatto per mantenere la temperatura corporea costantemente a livelli così elevati, richiede un’enorme
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.12 Un’immagine termografica di una regione dell’area del nido di covata sezionata lungo la parete delle cellette. Quattro api termoregolatrici con temperatura differente e un’ape a riposo a temperatura ambiente (blu, y nel gruppo a destra) occupano cellette adiacenti. x, y e z indicano il fondo delle sei cellette in cui giacciono le api. Gli asterischi indicano la posizione delle pupe. Abd indica addome, W ali, H capo, Th torace delle api. Le due scale di misura mostrano la calibrazione della temperatura del termografo
quantità di energia e giustifica il tempo limitato trascorso nella cella. Le riserve delle api si esauriscono dopo 30 minuti al massimo. Le api termoregolatrici non mantengono i livelli massimi di calore per l’intero periodo di tempo trascorso nella cella. Fasi di attività di una durata fino a 5 minuti sono intervallate da pause durante le quali l’ape fa scendere la temperatura corporea di 5 °C, prima di riportarla ai livelli massimi. Tali punti di minimo sono prevedibili in un sistema controllato, che deve essere mantenuto a un livello specifico. La propagazione di calore diminuisce quando la temperatura desiderata viene superata e si riattiva quando la temperatura scende al di sotto di questo livello. Questo sistema di riscaldamento è strettamente legato alla regolazione sociofisiologica del clima del nido di covata (Cap. 10). Le api che si occupano della termoregolazione, a differenza che in altre attività, non appartengono a una fascia di età specifica. Le api più giovani che intraprendono l’attività di riscaldamento hanno 3 giorni di vita, le più anziane 27.
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Le api traggono l’energia per il riscaldamento dal miele. Una colonia numerosa può produrre fino a 300 kg di miele in un’estate, anche se solo una piccola parte di questa quantità è sempre presente nel nido, in quanto il ricambio è molto frequente. Il miele non è un cibo in senso tradizionale, usato per il semplice mantenimento delle funzioni corporali delle api, ma è fonte di energia usata principalmente per scaldare il nido di covata in estate e per permettere alle api di rimanere raggruppate nell’alveare durante l’inverno, prevenendo il congelamento. Le grandi provviste di miele di una colonia non sono in realtà cibo, ma carburante. Di seguito vengono riportati alcuni dati interessanti. • Il contenuto di energia di un raccolto completo di nettare è di 500 J (Joule). • Il dispendio energetico di una bottinatrice è di 6,5 J per ogni chilometro di volo. Ne consegue che per un volo medio, il fabbisogno dell’ape sarà di circa 10 J. L’energia totale che riesce a portare al nido, pertanto, corrisponde a 50 volte il fabbisogno energetico necessario per il volo. • In media, durante la sua vita, una bottinatrice avrà portato al nido 50 kJ. • L’esercito di bottinatrici di una colonia, che vede coinvolti oltre 100.000 individui durante l’estate, intraprende diversi milioni di voli di bottinatura e trasporta circa 3-4 milioni di kJ di energia all’alveare. • Un milligrammo di miele contiene 12 J di energia dovuta ai legami glicosidici. La combustione di un chilogrammo di miele produce 12.000 kJ. • Un’ape utilizza 65 mJ al secondo per riscaldare il torace per portarlo alla temperatura necessaria e mantenerlo a un livello di 40 °C. • In 30 minuti di riscaldamento, un’ape termoregolatrice brucia 120 J, prodotti soprattutto grazie allo zucchero presente nella sua emolinfa. • Durante l’intero periodo di covata, le api termoregolatrici bruciano circa 2 milioni di kJ, equivalenti a oltre due terzi dell’energia totale impiegata durante un’estate. • L’energia di riscaldamento per la regolazione della temperatura del nido di covata è equivalente al consumo energetico costante di 20 W (Watt). Se le api fossero in grado di incanalare tale energia verso una lampadina, potrebbero illuminare il proprio mondo immerso nell’oscurità.
UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
Baci al miele per le api al lavoro
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.13 Un’ape donatrice (in basso) fornisce a un’ape termoregolatrice (in alto) un “drink energetico” a base di miele di alta qualità
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Inoltre, 2 milioni di Joule vengono bruciati per riscaldare le api nel nido durante l’inverno. Il rimanente quinto delle riserve di energia raccolte dalle api durante l’estate fornisce l’energia per le loro altre attività.
Le provviste di miele dell’alveare sono solitamente situate a una certa distanza dal favo di covata sottoposto al riscaldamento. Api “distributrici di carburante” sono costantemente in attività per risparmiare alle api termoregolatrici il lungo viaggio verso le riserve di miele e, in particolare durante le stagioni fredde, per impedire interruzioni nell’attività di riscaldamento. Questo gruppo di api è alla continua ricerca delle api termoregolatrici: esse trasferiscono il miele direttamente al loro apparato boccale, in un “dolce bacio”. Il trasferimento diretto di nettare o miele dalle parti boccali di un’ape a un’altra è detto trofallasi (Fig. 8.13). Le api che distribuiscono il carburante devono individuare le api termoregolatrici esauste, con il loro poco calore corporeo rimasto, nell’oscurità dell’alveare, servendosi, per orientarsi in questa ricerca, dei recettori sensibili alla temperatura presenti sulle loro antenne. I componenti di questa squadra si scambiano miele ad alta concentrazione, o semplicemente nettare, che è scambiato in grandi quantità tra le altre api nell’alveare. Le api distributrici di carburante fanno il pieno dalle cellette di miele aperte o, rimuovendone il coperchio, da quelle chiuse (Fig. 8.14), prima di andare alla ricerca di api che hanno bisogno di energia. Questo comportamento è favorito dalla temperatura dell’aria, più elevata nel nido di covata. Ciò è biologicamente significativo, perché di solito l’alta temperatura dell’aria nell’area della covata è originata dall’attività di un grande numero di api termoregolatrici, che alla fine del proprio compito sono affamate. Alcune provviste di cibo sono presenti nell’area della covata. Le cellette vuote tra le cellette coperte vengono spesso usate come depositi temporanei pieni di nettare (Fig. 8.15), che finisce in breve tempo. Queste cellette servono da scorte locali per le api bisognose di ricarica, ma non offrono i “drink energetici” di alta qualità come miele maturo scambiato per bocca. È la temperatura ambiente a determinare la proporzione corretta tra il numero di cellette da riscaldamento vuote, cellette deposito e api distributrici di carburante. Se la temperatura rimane bassa per un lungo periodo,
UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.14 Le api con il compito di fornire e ricaricare le api termoregolatrici a corto di energia nel nido di covata sono qui raffigurate mentre aprono il coperchio delle cellette di miele
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UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
Fig. 8.15 Cellette-deposito piene di nettare nel nido di covata
vengono introdotte molte più cellette vuote; se la temperatura si innalza per un certo periodo, le cellette supplementari non vengono usate per il riscaldamento, ma come depositi temporanei di nettare (Fig. 8.16). Le api che non si occupano attivamente del riscaldamento formano uno strato vivente sul favo e contribuiscono alla regolazione della temperatura, dando origine a un isolamento passivo. Tale isolamento può contribuire sia a ridurre la perdita di calore dall’interno, sia a prevenire il surriscaldamento dall’esterno. Le api non solo devono scaldare, ma devono anche raffreddare l’ambiente per mantenere le pupe alla loro temperatura ottimale. In Europa centrale, l’attività di raffreddamento è molto meno necessaria, anche se una leggera ondata di calore può danneggiare la covata, molto sensibile alla temperatura. Il principio usato per raffreddare è lo stesso che usano gli umani per i condizionatori d’aria; il raffreddamento evaporativo.
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Fig. 8.16 Le api termoregolatrici si servono delle provviste contenute nei depositi nel nido di covata, quando questi sono disponibili. Queste cellette rimangono piene per brevi periodi e non contengono miele, ma solo del nettare “leggero”
Fig. 8.17 Le api vanno in cerca di acqua, che poi distribuiscono in piccole gocce, formando una sottile pellicola sulle superfici all’interno dell’alveare quando questo si surriscalda
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UN’INTELLIGENZA RAFFINATA Fig. 8.18 Dopo che le api hanno steso un sottile strato d’acqua, le compagne di nido si mettono in azione funzionando da ventilatori viventi. I flussi d’aria che producono con le ali fanno evaporare l’umidità e raffreddano le superfici
Nei giorni più caldi, le operaie specializzate raccolgono acqua dai terreni bagnati e dalle sponde degli stagni e dei corsi d’acqua (Fig. 8.17), per trasportarla fino all’alveare, dove viene stesa come una pellicola sui bordi o sulla copertura delle cellette. Martin Lindauer, un noto ricercatore in materia di api, ha scoperto oltre 50 anni fa che quando le api ventilano il proprio ambiente con le ali (Fig. 8.18), le correnti d’aria prodotte da questo “volo stazionario” fanno evaporare l’umidità, facendo scendere la temperatura dell’alveare. Sono le api che si trovano direttamente sul favo, o all’entrata dell’alveare, a produrre queste correnti d’aria. Le api “ventilatrici” si posizionano in maniera ordinata e uniscono i propri sforzi per ottenere, quando ce n’è bisogno, una ventilazione molto efficace dell’intero nido (Fig. 8.19).
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.19 Quando c’è bisogno di areare l’alveare, le api si dispongono in serie, fungendo da ventilatori, per fare uscire l’aria stagnante, che è troppo calda o contiene troppa anidride carbonica
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La temperatura corporea delle api termoregolatrici e il tempo che trascorrono entro le cellette, determinano il livello di temperatura di piccole e limitate aree all’interno del nido di covata. Sia la temperatura che il tempo dipendono dalla struttura dell’area attorno alla celletta vuota. Una celletta vuota viene usata per riscaldare solo quando confina con almeno una cella contenente una pupa, e in tale caso, l’ape termoregolatrice ha una temperatura media di 33 °C. Le api termoregolatrici innalzano la propria temperatura fino a 41 °C se una celletta vuota confina con un numero massimo di sei cellette chiuse contenenti pupe.Temperature intermedie vengono utilizzate quando le cellette vuote confinano con due-cinque cellette contenenti pupe. Esiste anche una chiara relazione tra i dintorni della celletta e la durata della permanenza dell’ape nella celletta di termoregolazione. Le celle che confinano con cinque o sei cellette da pupa vengono occupate dalle api per il 100% del tempo di covata, poiché le api che hanno esaurito la propria energia vengono sostituite immediatamente da altre api più fresche. Le cellette che confinano solo con una pupa vengono occupate al massimo per il 10% del periodo di osservazione; quelle che confinano con tre pupe ospitano le api termoregolatrici per il 70% del tempo (Fig. 8.20).
UN’INTELLIGENZA RAFFINATA
Fig. 8.20 Il numero di pupe confinanti con le cellette vuote nel nido di covata determinano la durata della permanenza delle api termoregolatrici in una celletta vuota. Più pupe si trovano nell’immediata vicinanza della cella, più a lungo la cella viene occupata e riscaldata
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“Sorelle a mezza cottura” o “La genetica non è tutto” Nel miele, la maggior parte dell’energia derivata dai legami glicosidici ad alta energia che si trovano nel nettare di origine vegetale, viene convertita in calore (Fig. 8.21). Non c’è la tipica, inevitabile perdita che accompagna la conversione e il trasporto di energia, poiché qui il miele viene metabolizzato espressamente allo scopo di liberare quell’energia. Qual è la ragione principale per questo enorme investimento di tempo e sforzi, su cui si concentrano così tanti aspetti della biologia delle api? Si possono prendere in considerazione due spiegazioni per la temperatura elevata del nido di covata. • Secondo la prima teoria dopo l’inverno, l’alta temperatura del nido di covata consente alle api un rapido inizio dell’attività in primavera, grazie al quale possono sfruttare le risorse delle piante a fioritura precoce prima dei concorrenti. Secondo questa ipotesi, più alta è la temperatura della covata, più corto è il tempo di sviluppo, più rapido è l’incremento della popolazione della colonia. Tuttavia, in ogni colonia durante la stagione dell’incubazione, giovani api vengono prodotte in continuazione e quindi non si susseguono in vere e proprie generazioni. Dato che il numero di componenti di una colonia, nel suo complesso, aumenta in continuazione, non ha molta importanza se una singola ape impiega uno o due giorni in più o in meno per svilupparsi. Rispetto a una temperatura di 35 °C per il nido di covata, una temperatura di 32 °C – a cui si sviluppano api perfettamente normali – permetterebbe un notevole risparmio di energia. Allora perché la temperatura del nido di covata è così alta? La regina presenta un tempo di sviluppo che è di gran lunga il più corto. La sua fase di pupa dura, in media, cinque giorni rispetto ai 10-13 giorni di un’operaia. Ma la temperatura della celletta della regina è davvero tanto più alta rispetto a quella delle operaie? In realtà no. Le misurazioni hanno mostrato che la temperatura della celletta della regina è di 35 °C. Esiste una correlazione positiva, con un fondamento biochimico, tra la durata dello sviluppo e la temperatura delle pupe, ed è dimostrabile per tutti gli insetti. Come spiegato precedentemente, tuttavia, è piuttosto improbabile che questo aspetto sia stato il motore dell’evoluzione del sistema di riscaldamento utilizzato dalle api.
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UN’INTELLIGENZA RAFFINATA Fig. 8.21 Per essere precisi, non si dovrebbero etichettare i fiori come la sorgente di cibo delle api e il nettare come il raccolto. Dovrebbero essere considerati fonti di energia, e la bottinatura come acquisizione di energia per l’alveare. Si potrebbe considerare la produzione di miele nel nido come una raffineria di materie prime
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La seconda teoria che potrebbe spiegare l’utilizzo di un sistema di riscaldamento da parte delle api è più convincente, particolarmente nelle zone a clima temperato: le api sono comparse per la prima volta ai tropici e si sono evolute con nidi di covata a temperatura elevata e costante. Pre-adattate con un sistema di riscaldamento perfezionato, le api si sono trovate ben preparate a penetrare i territori a latitudini temperate, dove l’inverno è più rigido. Qui, esse riescono a impedire che la temperatura degli strati più esterni dell’alveare scenda sotto i 10 °C, un limite al di sotto del quale le api non riescono più a mettersi in movimento. L’allevamento della covata può così cominciare nel primo periodo dell’anno.
La seconda proposta non fornisce una risposta sul perché la temperatura del nido di covata fosse regolata in maniera così precisa anche ai tropici. Per regolare la temperatura delle pupe, in quei luoghi il problema è il raffreddamento, non tanto il riscaldamento. Le api tropicali, nel loro clima caldo, necessitano quindi di meno energia, e pertanto di minori quantità di miele e di provviste. Lo studio, descritto qui di seguito, sulle proprietà delle api che si sono sviluppate a temperature diverse, ha fornito delle spiegazioni sull’importanza del riscaldamento sociale delle api. Prima di manipolare la temperatura delle pupe, è necessario determinare il regime di temperatura a cui le pupe sono soggette nella tranquillità del nido di covata. Minuscole termocoppie installate all’interno delle cellette sigillate, senza danneggiare le pupe, hanno prodotto quattro risultati interessanti: • la temperatura delle pupe in un nido di covata naturale è costantemente compresa in un intervallo particolare, tuttavia in molte celle si verificano leggere variazioni intorno a un valore medio. La durata di una singola variazione, molto graduale, è compresa tra trenta minuti e un’ora. L’ampiezza delle variazioni può essere di ±1,0 °C rispetto alla media; • la temperatura media delle pupe è risultata costante nel tempo per ogni singola pupa sotto osservazione; • la temperatura media di pupe diverse è compresa in un intervallo tra 33 °C e 36 °C e può essere molto diversa da caso a caso;
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il verso dell’oscillazione della temperatura durante le variazioni graduali non è lo stesso per tutte le pupe, come succederebbe se la temperatura dell’intero nido di covata subisse variazioni uniformi. Invece, la temperatura di una pupa può innalzarsi, mentre allo stesso tempo quella dalle pupe a fianco può scendere.
In sostanza, le pupe delle api operaie (Fig. 8.22) sono soggette a trattamenti “personalizzati” e differenti di riscaldamento da parte delle api termoregolatrici. Ma quali sono le conseguenze di questi diversi trattamenti? La fase pupale delle api dura circa nove giorni per le operaie, circa dieci giorni per i fuchi e circa sei giorni per la regina. A questo punto, la larva si trasforma in insetto adulto. È in questa metamorfosi che si determinano i tratti fondamentali dell’ape adulta. Le caratteristiche delle api sono quelle tipiche degli insetti e, rispetto a molte specie che si sono adattate a particolari nicchie ecologiche, si discostano in misura minore dalla forma base generale. La flessibilità comportamentale è, nel caso delle api, la caratteristica distintiva più importante. L’elenco di compiti che, in base all’età, le api operaie svolgono in una colonia in normali condizioni di vita indisturbate è piuttosto lungo. In ordine di esecuzione, essi sono: pulizia della celletta, copertura della covata, allevamento della covata, servizio alla corte della regina, ricezione del nettare, produzione di miele, rimozione di detriti, ammucchiamento del polli-
Fig. 8.22 Le pupe in posizione supina in perfetto ordine nelle proprie celle
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ne, costruzione del favo, ventilazione, protezione dell’entrata e bottinatura. Gli studi che utilizzano una tecnologia in grado di seguire i comportamenti di una singola ape hanno portato ad allungare l’elenco dei compiti: sono state incluse infatti le api termoregolatrici e le api distributrici di carburante,responsabili dell’apporto energetico alle termoregolatrici (Figg. 8.23-8.26). Le diverse attività richiedono comportamenti molto differenti, tutti determinati dal sistema nervoso. Quello delle api deve pertanto possedere una capacità di adattamento molto sviluppata. Insolitamente per degli insetti, la quantità di ormoni prodotti aumenta con l’età delle api. Come il nome suggerisce, la quantità di ormoni giovanili raggiunge solitamente il picco negli insetti giovani e decresce durante la vita adulta. Il livello crescente di ormone giovanile durante la vita adulta delle api potrebbe essere il motivo per cui le bottinatrici più anziane presentano maggiori capacità di apprendimento rispetto alle giovani api, che trascorrono la loro vita esclusivamente all’interno dell’alveare. Le api mandano gli individui più anziani in missione nel mondo ostile perché si occupino dei compiti pericolosi e impegnativi al di fuori del nido. Le singole api non partecipano a tutte le operazioni elencate in precedenza. Per esempio, solo alcune api sono necessarie alla corte della regina o per la protezione dell’entrata del nido. Le api specializzate per un compi-
Fig. 8.23 In teoria, ogni ape può svolgere un compito qualsiasi nell’alveare. Tuttavia, la qualità dell’esecuzione e la frequenza con cui i compiti vengono svolti sono molto diverse per ogni ape. Le api specializzate intervengono quando c’è bisogno di arieggiare l’alveare, per addensare il miele, per far evaporare l’acqua raffreddando l’ambiente o per cambiare l’aria del nido, che presenta un’elevata concentrazione di anidride carbonica
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Fig. 8.24 Il polline viene raccolto per lo più da api che si specializzano in questo compito. Solo circa il 5% delle bottinatrici porta all’alveare sia polline che nettare
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to specifico se ne occupano di frequente: la loro sensibilità agli stimoli che evocano quel compito è fondamentale. Gli individui altamente sensibili reagiscono anche a stimoli più deboli; le api con poca sensibilità reagiscono solo a stimoli forti e, di conseguenza, sono meno attive (Cap. 10). Si potrebbe stilare una lista della frequenza con cui le singole api sono coinvolte in varie attività: l’età e l’ambiente sociale hanno una funzione importante nella determinazione dell’occupazione. Anche qui conta la componente genetica, ma ancora più influente del contributo genetico è la temperatura a cui le pupe si sviluppano. Poiché il clima del nido è regolato dalle api termoregolatrici, il cui comportamento e inclinazione genetica sono determinati dalle condizioni in cui si sono sviluppate, un’interazione altamente complessa tra ambiente e genoma fornisce alla colonia un alto livello di adattabilità. L’allevamento artificiale delle pupe a temperature diverse da quelle che si avrebbero in condizioni naturali all’interno di un alveare, ha mostrato che la frequenza delle attività comportamentali specifiche che le api svolgono dipende dalla temperatura a cui sono state allevate. Le api che nella fase pupale sono state esposte a temperature più basse svolgono solitamente compiti diversi da api sottoposte a temperature maggiori. La comunicazio-
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IL RONZIO DELLE API Fig. 8.25 Le api guardiane negano l’accesso al nido agli individui di altre colonie e a tutti gli altri intrusi e inseguono coloro che riescono a superarle e a penetrare nel nido
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Fig. 8.26 Durante la costruzione dei favi, le api formano catene viventi, la cui funzione è ancora sconosciuta
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ne è fondamentale perché la bottinatura si svolga in maniera ottimale i risultati mostrano che le api che comunicano in maniera precisa il proprio messaggio sono quelle che si sviluppano a temperature vicine a 36 °C, il picco che si può registrare nel nido di covata. Questo gruppo di api possiede anche migliori capacità di apprendimento e memoria delle sorelle “più fredde”. La temperatura alla quale le api vengono allevate influenza anche la loro aspettativa di vita. Le bottinatrici adulte vivono di solito circa quattro settimane e vengono dette dagli apicoltori “api estive”. Gli individui che superano l’inverno (api invernali) e che sono di nuovo attive nella stagione seguente come bottinatrici, possono vivere fino a 12 mesi. È più probabile che, crescendo, le pupe allevate alle temperature minime del nido di covata diventino api invernali. Diversi esperimenti realizzati su altri insetti dimostrano che la temperatura influenza la metamorfosi. L’aspetto peculiare delle api è che esse determinano da sole la temperatura a cui si svilupperanno le sorelle. Le api si spingono oltre l’antica verità biologica secondo la quale sono l’ambiente e il genoma a determinare congiuntamente le proprietà di un organismo, dal momento che questi insetti sono in grado di sfruttare l’interazione diretta tra queste due forze.
L’importanza della famiglia: il miele conta più del sangue? Gli stretti legami familiari nell’alveare sono l’esito, e non il presupposto, della vita in colonia.
La comparsa della colonia delle api mellifere, il livello più elevato e complesso di convivenza sociale finora raggiunto dal mondo degli organismi viventi, era un passo prevedibile del cammino evolutivo (Cap. 1). Stabilire il momento esatto in cui questo passo è stato compiuto dipende evidentemente dalla determinazione dell’esistenza delle condizioni appropriate per tale sviluppo. Senza di esse, una teoria da sola non corrisponde necessariamente a fatti realmente accaduti. Il salto quantico dell’evoluzione verso il superorganismo è associato all’esistenza casuale di un “prerequisito tecnico” che ha fortemente favorito la sua comparsa. Tentiamo di esemplificare il concetto attraverso un’analogia: l’uomo, prima di riuscire realmente a volare, ha sognato questo risultato a lungo e si è profuso in grandi sforzi teorici, ma il passo finale si è realizzato solo quando sono stati assemblati i materiali necessari per costruire una macchina capace di volare concretamente. Ma quali sono le condizioni “tecniche” per la comparsa di un’ape che vive in colonie? Cos’hanno le api in più delle libellule, delle cimici o dei coleotteri, insetti che non hanno costituito superorganismi? Per il grande biologo evoluzionista Charles Darwin (1809-1882), non era accettabile la teoria che vuole le api che vivono in colonie destinate a comparire lungo il cammino dell’evoluzione. L’esistenza delle api mellifere costituiva, piuttosto, un problema in grado di compromettere la sua intera teoria. La prima condizione per l’evoluzione, secondo Darwin, è che il numero dei discendenti sia sempre maggiore a quello necessario a mantenere la popolazione a un livello costante. Solo se esiste una quantità sufficiente di discendenti, portatori di varianti genetiche, può avere inizio la fase successiva, la selezione. Le api rappresentavano per Darwin un problema in quanto esse
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creano un organismo, la colonia, in cui esclusivamente una femmina, la regina, produce discendenti. Nella sua opera “L’origine delle specie”, affermava che non era facile far rientrare le api operaie nella sua teoria. Esse differiscono per forma e comportamento dagli individui riproduttori maschi (fuchi) e femmine (regine), ma si presume che non possano trasmettere le loro particolari differenze alla generazione successive, poiché esse sono sterili. Ma in realtà sembrano farlo… allora come è possibile? Darwin riuscì a trovare una soluzione a tutti questi problemi teorici. L’impasse concettuale qui presentato si ridimensiona in maniera significativa se si ipotizza che la selezione agisce non solo sull’individuo, ma anche sull’intera colonia. Se si prende per buono questo punto di vista, sono le colonie intere, e non le singole api, a essere in concorrenza per riprodursi con il maggiore numero possibile di colonie figlie. La biologia evolutiva moderna oggi descrive il concetto di evoluzione della colonia con il termine “selezione di gruppo”. È molto probabile che Darwin fosse a conoscenza della nozione “collettiva” della colonia di api come essere integrato, teorizzata dagli apicoltori tedeschi. La conseguenza di questa concezione della colonia è che tali esseri si trovino in competizione con i propri omologhi allo stesso modo in cui gli organismi individuali competono fra di loro. La ragione per cui, entro la colonia, le singole api operaie – ma anche i loro parenti, calabroni, vespe e formiche – rinunciano alla competizione tra loro rimane ancora sconosciuta. Tuttavia, è proprio questa rinuncia alla riproduzione di discendenti che è stata sfruttata dalle api come strategia vincente per propagare il proprio genoma.
Le api hanno relazioni genetiche del tutto particolari Un concetto reso popolare dal lavoro di un biologo inglese, William D. Hamilton (1936-2000) potrà forse illustrare meglio questa atipica situazione. In breve, la teoria di Hamilton è la seguente. Geni specifici che si trovano nella stessa posizione in dati organismi della stessa specie, e che influenzano lo stesso carattere, si chiamano alleli. Gli alleli possono esistere in forme molto diverse e costituiscono la base della variabilità genetica. Non solo gli
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alleli vengono trasmessi in maniera diretta ai discendenti, ma esistono anche delle loro copie nei fratelli e nei loro figli, cugini, zie, zii e in intere famiglie. La probabilità di incontrare un determinato allele in un individuo diminuisce quanto più lontana è la sua parentela con la fonte. Il portatore ha poca influenza sulla capacità di diffusione del singolo allele all’interno di una popolazione rispetto agli alleli concorrenti. Un comportamento diffuso tra individui parenti che favorisca la crescita della prole, però, può essere vantaggioso sia per chi lo pratica che per i suoi alleli, anche se i portatori non hanno figli propri. Pertanto, la rinuncia alla procreazione non rappresenta uno svantaggio, se gli alleli si presentano con frequenza sufficiente all’interno della famiglia. La selezione familiare, un concetto teorizzato da John Maynard Smith (1920-2004) e William D. Hamilton, basato sulla distribuzione degli alleli in gruppi di organismi parenti, ha indubbie conseguenze sulla comparsa di comportamenti cooperativi o, in casi limite,“altruistici”negli animali. Questa teoria offre una spiegazione per il comportamento di organismi individuali che, come le api, sono passati nel corso della loro evoluzione da una condizione di vita solitaria alla condizione di esseri sociali. Gli alleli che hanno maggiore successo nelle ramificazioni della rete familiare vivono “egoisticamente” a scapito di altri alleli. La teoria per cui gli alleli si comportano in maniera egoistica e puntano soltanto a replicarsi il più possibile nell’ambiente è stata illustrata in maniera convincente da Richard Dawkins nella sua opera “Il gene egoista”. Agli occhi di un osservatore esterno, gli alleli appaiono come singoli elementi con un comportamento egoista, che nelle api mellifere diventa quasi una vera e propria “spinta alla propagazione”. Le api, come tutti gli altri imenotteri e molte altre specie di insetti che non vivono in colonie, hanno un meccanismo insolito di determinazione del sesso degli adulti. Gli individui nati da uova non fecondate hanno un singolo corredo di cromosomi; detto in gergo tecnico, presentano un corredo cromosomico aploide. Gli individui nati da uova fecondate hanno due serie di cromosomi e presentano quindi un corredo cromosomico diploide. Le api possiedono un singolo gene per la determinazione del sesso, che può comparire sotto forma di alleli diversi. Un individuo omozigote per questo specifico gene (dove gli alleli sono identici), come tutti gli individui aploidi (che possiedono
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un singolo allele), avrà sesso maschile. Un individuo eterozigote per questo specifico gene (dove gli alleli sono differenti) avrà sesso femminile. Un individuo diploide omozigote per il gene sessuale,molto raro,produrrebbe un fuco diploide, che viene solitamente eliminato dalle operaie già allo stadio larvale. Questo meccanismo di determinazione del sesso attraverso il numero di corredi di cromosomi, o aplodiploidia, ha alcune conseguenze atipiche: • i maschi non hanno padre, poiché nascono da uova non fecondate. Ne consegue che i maschi non hanno figli maschi, al limite solo nipoti maschi; • se un maschio e una femmina producono delle figlie, queste hanno in comune più alleli tra di loro di quanti ne avrebbero con i propri discendenti. Un approccio graduale al concetto consente di comprendere meglio queste curiose circostanze: • nel 1969, il biomatematico francese Gustave Malécot (1911-1998) ha definito la parentela genetica con “r”, valore che esprime la probabilità media che un allele selezionato da un individuo si trovi anche in un particolare individuo all’interno della stessa famiglia; • il valore “r” ha un’importanza biologica per la prospettiva del gene “investitore”, perché definisce la direzione del flusso genetico; • tutti gli alleli del padre aploide vengono trasmessi con certezza a ogni figlia. La probabilità che gli alleli del padre siano presenti nelle figlie è del 100%; detto in altre parole r = 1,0. Tutti gli alleli del padre sono quindi riprodotti in ogni figlia; • la probabilità statistica che gli stessi alleli della madre diploide si trovino nelle figlie è del 50%, o r = 0,5, poiché la madre distribuisce esattamente metà dei suoi alleli a ognuna delle celle uovo. Di conseguenza, metà degli alleli della madre si trovano in una figlia; • la probabilità che, confrontando due sorelle, vengano riscontrati gli stessi alleli è data da un insieme di fattori relativi al padre e alla madre: metà del genoma di un’ape femmina discende dal padre ed è identico tra figlie degli stessi genitori. Espresso in termini matematici, ciò significa che 100% del 50% dei geni di due sorelle sono identici. L’altra metà del genoma discende dalla madre e la probabilità che sia identica nelle
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Le api sorelle, quindi, condividono statisticamente una media di tre quarti dei propri alleli. In realtà, questo valore oscilla tra 50% di alleli comuni (solo gli alleli trasmessi dal padre vengono ereditati) e 100% (sia gli alleli ricevuti dal padre che quelli della madre sono gli stessi). Gli animali clonati sono identici dal punto di vista genetico al 100%; il loro grado di parentela genetica è r = 1,0. I figli degli esseri umani sono identici ai genitori per il 50% e quindi il grado di parentela genetica è r = 0,5. Le api, con il loro r = 0,75, si situano tra gli animali clonati e gli umani. Da questo punto di vista, la cosa migliore che una femmina può fare per propagare i propri geni è rinunciare alla prole, per aiutare invece la madre a dare alla luce il maggior numero di sorelle possibile. Per propagare i propri alleli, le operaie sterili devono assistersi a vicenda. Ed è esattamente quello che succede nelle colonie di api, anche se la situazione è un po’ più complessa. Durante il volo nuziale, la regina solitamente si accoppia con più o meno 12 fuchi e, grazie al loro sperma, feconda le uova che in seguito si svilupperanno in individui femmina. Le operaie di una colonia hanno tutte la stessa madre, perché nascono tutte dalla stessa regina, ma hanno molti padri diversi. Chiameremo le operaie prodotte dallo sperma dello stesso fuco “sorelle” a tutti gli effetti, mentre quelle con padri diversi “sorellastre”. Le sorelle hanno in comune più alleli rispetto alle sorellastre (Fig. 9.1), quindi dovrebbero assistere le sorellastre in maniera minore rispetto alle sorelle. Dovremmo attenderci un gioco complesso di cooperazione tra sorelle e una lotta tra gruppi di sorelle, se la regola fosse che le api assistono i familiari più stretti. Un’interazione di questo tipo, però, implicherebbe che le api siano in grado di distinguere tra sorelle e sorellastre. Le api riescono a trarre molte informazioni sugli individui della stessa specie attraverso il senso dell’olfatto. Stabilire se un’ape che vuole entra-
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sorelle è solo del 50%, perché per ogni gene la madre possiede due possibili alleli diversi da offrire. Prendendo in considerazione l’intero genoma, ciò significa che il 50% del 50%, o il 25%, è identico; Se si sommano i valori relativi agli alleli del padre e della madre, e si fa un confronto tra sorelle, si ricava che 50% + 25% = 75%, o r = 0,75 di parentela genetica.
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Madre (regina)
0,5
Prole (operaia/fuco) 0,75 (0,5 - 1,0)
0,25 (0,0 - 0,5)
1,0
0,25 (0,0 - 0,5)
1,0
Padre (fuco)
Fig. 9.1 Esistono diversi gradi di somiglianza genetica nel superorganismo della colonia di api, espressi dal grado di parentela “r”. La regina e tutti i suoi figli condividono sempre un valore r = 0,5. Per api sorelle, figlie della stessa madre e dello stesso padre, il valore di r è compreso tra 0,5 e 1,0, con una media di 0,75. Per le sorellastre (stessa madre, ma padre diverso), il valore di r è compreso tra 0 e 0,5, con una media di 0,25. Fratelli e sorelle condividono un valore di r compreso tra 0 e 0,5, con una media di 0,25. I padri condividono un valore di r pari a 0,1 con le proprie figlie. Quanto maggiore è il numero di padri in una colonia, tanto più varie diventa la relazione. Se anche le operaie cominciano a deporre le uova, e quindi a produrre nipoti, ne consegue un’ulteriore complicazione nel calcolo dei valori di r
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re nell’alveare appartiene alla colonia è di fondamentale importanza. Questo controllo viene effettuato dalle api guardiane all’ingresso dell’alveare (Fig. 9.2), le quali possono odorare una nuova arrivata da molto lontano (Fig. 7.29) e toccarla con le antenne non appena atterra. I sensilli chemiorecettori di cui sono provviste le antenne permettono loro di stabilire se l’ape appartiene al nido o se è, invece, una sconosciuta. Se l’odore indica “sconosciuta”, la nuova arrivata verrà cacciata via in maniera aggressiva. In alcuni casi, l’ape estranea inganna le guardiane offrendo loro una “tangente” costituita da una goccia di nettare, e riesce a entrare nell’alveare indisturbata (Fig. 7.30). Alcuni esperimenti che utilizzano tecniche di manipolazione hanno dimostrato che le api sono capaci di distinguere le sorelle dalle sorellastre grazie all’odore della cuticola, il sottile strato di cera che ricopre tutti gli insetti e li protegge dalla disidratazione.Qual è lo scopo di questa abilità e,se ce n’è uno, quand’è che assume importanza in termini di selezione familiare? Il riconoscimento dell’odore potrebbe assumere importanza in termini di selezione familiare quando vengono allevati nuovi individui riproduttori, dal momento che regine e fuchi sono destinati alla propagazione. La nascita di una nuova regina determina la direzione genomica della nuova colonia ed è qui che esiste potenzialmente la possibilità di un conflitto tra gruppi diversi di sorelle all’interno del nido. In sostanza, non possediamo alcuna informazione su come faccia una colonia a decidere chi sarà la nuova regina. Forse avvengono lotte e sfide tra sorellastre che non siamo ancora stati in grado di identificare? Forse c’entrano qualcosa i comportamenti ancora poco chiari di operaie, giovani regine e fuchi che spesso si riscontrano durante i voli nuziali? Molte di tali questioni rimangono completamente irrisolte. Un’ulteriore area di potenziale conflitto si apre quando le operaie stesse cominciano a deporre le uova. Nelle specie di api europee, è un evento che si verifica raramente. Le uova delle operaie non sono fecondate e producono fuchi aploidi. In questo caso, quindi, la colonia presenta fuchi prodotti dalla regina aventi un grado di parentela con essa di r = 0,5. I fuchi prodotti dalle operaie hanno un grado di parentela di r = 0,5 con le loro madri operaie. Il grado di parentela tra un’operaia e il fratello è di r = 0,25; questo valore è indipendente dal numero degli accoppiamenti della
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IL RONZIO DELLE API Fig. 9.2 Le api in entrata vengono “perquisite” all’ingresso dell’alveare dalle api guardiane per verificare se appartengono alla colonia. In tal caso, vengono ammesse all’alveare, altrimenti l’ingresso è loro interdetto
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regina, poiché la madre trasmette i propri geni ai propri figli attraverso uova non fecondate. Le cose si complicano in maniera sostanziale quando si vuole calcolare il grado di parentela tra un’operaia e suo nipote, il figlio di una delle sorelle. I valori che si ottengono dipendono dal numero di accoppiamenti della regina avvenuti durante il volo nuziale. Se si è verificato solo un accoppiamento, l’operaia avrà una parentela di r = 0,375 con i figli delle sorelle (e in questo caso tutte le operaie sono sorelle a tutti gli effetti). Con due possibili padri, il grado di parentela con i nipoti scende a r = 0,1875, al di sotto della parentela di r = 0,25 condivisa con i fratelli. Se la regina si è accoppiata dieci volte, ne consegue una parentela di r = 0,15 tra le operaie e i loro nipoti. Quindi, a livello puramente teorico, e considerando che la regina di solito si accoppia molte volte, ci sarebbe un vantaggio genetico se le operaie uccidessero i figli delle sorelle, ma non i propri fratelli, e per nessuna ragione i propri figli che hanno un gradi di parentela di r = 0,5. Le operaie si troverebbero quindi a dover sopprimere i nipoti geneticamente distanti da esse e dovrebbero cibarsi delle uova di altre operaie (Fig. 9.3). A livello teorico, dovrebbero proteggere le proprie uova e quelle delle sorelle e distruggere quelle delle sorellastre, ma non è ancora chiaro se le api riescono a distinguere tra questi due tipi di uova. Le operaie, per essere “sicure”, dovrebbero semplicemente limitarsi a mangiare tutte le uova che non sono state deposte dalla regina. Il calcolo quantitativo della parentela genetica tra i membri della colonia fornisce lo spunto per una teoria ambiziosa. Il grado di parentela “r” è una media statistica che si situa tra estremi molto distanti (Fig. 9.1). Tuttavia, quando incontra un’altra ape, pupa o larva, o un uovo diverso dal proprio, l’ape non si trova davanti a una media statistica, ma a un valore univoco e concreto di “r”. L’ape è davvero capace di calcolare questo valore quando incontra un altro individuo? La distruzione delle uova contenenti fuchi aploidi da parte delle operaie dimostra che esse sono comunque in grado di distinguere tra le uova della regina e delle proprie sorelle. La distribuzione casuale degli alleli, in ogni caso, porta a situazioni in cui un’operaia può incontrare un uovo diploide della regina con cui non ha niente in comune dal punto di vista genetico,o un uovo di una sorella con cui condivide il numero massimo possibile di alleli.
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Affinché questa teoria regga, non sarà l’origine dell’uovo a determinare l’azione che un’operaia deve intraprendere, ma la natura del genoma. Rimane ancora da dimostrare fino a che punto le api sono in effetti capaci di riconoscere e usare il grado di parentela. Nel caso della distruzione delle uova delle operaie da parte di altre operaie, esiste una semplice spiegazione: il consumo di uova potrebbe essere meramente una misura igienica di precauzione (Fig. 9.3). Tra tutte, solo poche delle larve delle operaie fanno la muta: lo sviluppo embrionale può non iniziare mai o l’embrione può morire. Le api operaie non hanno in questo caso il compito di determinare il grado di somiglianza genetica, ma il compito più semplice di distinguere le uova morte da quelle vive. È anche molto probabile che le uova “regali” vengano riconosciute da uno speciale odore emesso dalla regina al momento della deposizione. Come si vede, molti dubbi rimangono irrisolti. La determinazione del sesso tramite aplodiploidia negli imenotteri ha consentito il passaggio dell’evoluzione ai superorganismi e fornisce una spiegazione per il passaggio dalla forme di vita solitarie a quelle in associazione, alla socialità e all’eusocialità. Le dinamiche dei superorganismi esistenti oggigiorno, pertanto, non avvallano la teoria per cui il solo legame di parentela giustifica l’intera biologia delle api. Si è già detto della difficoltà che comporta la grande variabilità del valore di r attorno alla media statistica. La questione si complica ulteriormente se si prende in considerazione l’accoppiamento multiplo della regina nel calcolo del grado di parentela. Le teorie quantitative di Hamilton sarebbero valide solo se tutte le api all’interno della colonia fossero nate da una madre e un padre ben determinati, ma dato che diversi padri lasciano le proprie tracce nella colonia, non possiamo applicarle alle colonie esistenti. Dal punto di vista genetico, le operaie di una colonia sono meno simili tra loro di quanto non lo siano con le proprie eventuali figlie. Forse, nell’applicazione della teoria della selezione familiare alle api, troviamo una situazione che corrisponde giustamente all’osservazione di T.H. Huxley (1825-1895) secondo la quale: “La grande tragedia della scienza è che una bella ipotesi può essere distrutta da un brutto dato”. La nostra situazione, però, non è così grave. Durante le fasi dell’evoluzione, le api e gli altri imenotteri hanno avuto bisogno della selezione familiare e dell’aplodiploi-
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L’IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA: IL MIELE CONTA PIÙ DEL SANGUE? Fig. 9.3 Le operaie distruggono le uova che non sono prodotte dalla regina, o uova che siano difettose e che mostrino segni di sviluppo imperfetto. Per scattare queste fotografie, alcune uova nelle cellette sono state leggermente danneggiate con un ago acuminato. Pochi minuti dopo, le operaie sono accorse per rimuoverle dalle celle (in alto, cerchio bianco) e in seguito mangiarle (in basso)
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dia per imboccare la strada giusta verso i superorganismi. Ecco il motivo per cui, quando costruiscono il nido, le sorelle si aiutano a vicenda nell’allevamento della prole, come succede anche tra le vespe. Ma per quale motivo le api mellifere si trovano ancora oggi a questo livello, se la selezione familiare non costituisce più un fondamento importante?
La cooperazione è sempre una bella cosa Quali vantaggi ricavano le colonie di api dal proprio comportamento e dal fatto che le operaie discendono da padri diversi, in seguito ad accoppiamenti multipli della regina? Poiché chiaramente non esiste uno stretto legame di parentela tra i membri della colonia che giustifichi tutta questa cooperazione, i motivi che tengono unito il superorganismo devono essere altri. Una volta intrapresi i primi passi sulla strada, guidata della selezione familiare, verso il superorganismo, sono intervenuti cambiamenti così vantaggiosi da compensare la distanza genetica e in grado di tenere uniti i singoli animali nel loro superorganismo, nonostante le grandi oscillazioni esistenti nei rapporti di parentela. Così come un organismo che conduce una vita solitaria ha una propria fisiologia, il superorganismo presenta una superfisiologia che è la somma delle proprietà e dalle interazioni dei membri della colonia. È questa sociofisiologia del superorganismo che, come una linea demarcatrice, tiene uniti i membri della colonia, e sono le sue proprietà a fare la differenza nella selezione competitiva tra superorganismi. I caratteri dell’intero gruppo costituiscono il fenotipo sul quale opera la selezione. Se un individuo appartiene a un gruppo con un punteggio alto, sta dalla parte del vincitore. Le operaie facenti parte di questi gruppi sono sopravvissute e hanno propagato gli alleli del proprio genoma, anche se solo in maniera indiretta, attraverso la propria madre e i propri fratelli. Il vasto conflitto genetico all’interno della colonia di api si deve in gran parte all’accoppiamento multiplo della regina. Ma quale vantaggio trae il superorganismo da questo tipo di comportamento, se il risultato è un conflitto interno?
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Molti padri diversi portano con sé un grande numero di alleli. Di conseguenza, le operaie loro figlie presenteranno un elevato numero di caratteristiche differenti. Le api mostrano una sensibilità ai vari stimoli ambientali diversa da individuo a individuo. Certi fuchi procreano api con una sensibilità maggiore, mentre le figlie di altri hanno una sensibilità minore. Il risultato è una vasta gamma di livelli di intensità nella reazione di una colonia a disturbi esterni o interni. Basterà anche un lieve calo della temperatura nel nido di covata perché alcuni individui comincino a produrre calore. Altri individui si aggiungeranno solo a un ulteriore calo della temperatura, e via via altri ancora per temperature sempre più basse (Fig. 10.6). La colonia, nel suo insieme, ha elaborato questo sistema progressivo per reagire nel migliore dei modi ai disturbi, mobilitando contingenti di dimensioni precise e adeguate a ogni disturbo. Un’ampia varietà di api che comprende individui altamente sensibili fino a quelli particolarmente insensibili, determina un meccanismo automatico di reazione dall’intensità controllata. La discendenza da padri diversi in un alveare – e la conseguente diversità nei caratteri dei suoi componenti – influenza non solo la regolazione della temperatura, ma anche ogni altro aspetto della vita della colonia. Per esempio, la vulnerabilità alle infezioni diminuisce all’aumentare del numero di padri delle figlie che compongono la colonia. La ragione per cui tali colonie siano meno vulnerabili alle malattie rispetto agli individui generati da madri sottoposte a una singola fecondazione artificiale non è però chiara dal punto di vista della resistenza alle malattie dei singoli individui. Una colonia geneticamente eterogenea è forse capace di reagire in maniera più efficace ai vari tipi di stress causati da un’infezione. Molte sono le questioni irrisolte che potrebbero ispirare future ricerche sui differenti aspetti della biologia delle api.
Il cerchio si chiude La colonia di api dà vita a un superorganismo che è qualcosa in più della semplice somma delle sue parti. Possiede infatti proprietà che i singoli componenti non possiedono. Molte caratteristiche delle api sono determinate e influenzate da quelle della colonia nel suo complesso e trovano giustificazione nella sua sociofisiologia.
Il superorganismo della colonia di api è un sistema adattativo complesso Le relazioni e le procedure all’interno della colonia di api sono altamente complesse, dal momento che vi sono migliaia di api che apportano simultaneamente il loro piccolo contributo al comportamento collettivo della colonia. La grande plasticità dei sistemi biologici complessi permette loro di adattarsi in breve periodo ad aspetti rilevanti dell’ambiente e al percorso dell’evoluzione nel lungo periodo. È possibile incontrare sistemi complessi dotati di capacità di adattamento in molte aree della natura e della tecnologia. Una descrizione generale delle loro proprietà è contenuta nella seguente definizione ad ampio raggio coniata dello scienziato informatico John N. Holland: una rete dinamica con molti partecipanti (che possono essere cellule, specie diverse, individui, aziende o delegati nazionali) caratterizzata da reazioni costanti, che avvengono in parallelo alle singole azioni svolte dai partecipanti. Un sistema adattativo complesso tende ad avere una modalità di gestione ripartita e decentralizzata. Qualora si renda necessario un comportamento integrato dell’intero sistema, esso deve discendere dalla competizione e cooperazione dei partecipanti. Il comportamento del sistema nel suo complesso è quindi il risultato di un grande numero di decisioni, a cui giungono singolarmente molti agenti diversi.
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Per chi svolge ricerca sulla biologia delle api, si tratta di una definizione entusiasmante e stimolante, che deve essere analizzata scrupolosamente affinché si comprendano tutte le sue sfaccettature. Essa fornisce un quadro teorico per l’inclusione del fenomeno delle api entro il contesto di altri sistemi complessi e conferma l’impressione che l’intuito suggerisce lavorando con le api. Un ricercatore che tenti di descrivere la natura particolare del superorganismo della colonia di api dovrà affrontare, punto per punto, la definizione di Holland: “La colonia di api è una comunità animale adattativa complessa, che si compone di diverse migliaia di individui in attività costante e che rispondono alle condizioni dell’ambiente circostante e alla presenza dei propri compagni nel nido. Non vi è un organo di controllo, ma il comportamento generale della colonia deriva dalla cooperazione e dalla competizione tra le api”. I sistemi adattativi complessi come la colonia di api mostrano capacità di autogestione e di comportamento emergente. Le altre proprietà fondamentali dei sistemi adattativi complessi sono la comunicazione (descritta per le api nel Capitolo 8), l’organizzazione spaziale e temporale (descritta nel Capitolo 7) e la riproduzione (descritta nel Capitolo 2). Ma come si esprimono l’autogestione e il comportamento emergente nella colonia di api?
Mantenere l’equilibrio I processi vitali fondamentali in un organismo sano devono rimanere in equilibrio. Per raggiungere questo risultato, devono esistere meccanismi che ripristinino attivamente l’equilibrio quando questo viene disturbato da fattori esterni o interni. Se i valori scendono al di sotto di un livello prestabilito, devono essere rialzati; se sono troppo alti, devono essere abbassati. Questi processi regolatori avvengono grazie a dei feedback (o informazioni di ritorno) negativi che stabiliscono un legame tra i vari componenti di un sistema e il mondo esterno, conservando l’omeostasi. In un organismo biologico, quale la colonia di api, l’omeostasi è il mantenimento di uno stato equilibrato attraverso l’autoregolazione. Il termine equilibrio potrebbe suggerire una situazione pacifica e tranquilla. Tuttavia, lo stato d’equilibrio di
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Lo stato di dipendenza reciproca fra l’insieme e i suoi componenti è uno dei principi fondamentali della biologia degli organismi. Per meglio apprezzare i fenomeni complessi negli organismi viventi, le loro funzioni e obiettivi biologici, sarà necessario intraprendere uno studio di vasta portata che spieghi l’interdipendenza delle diverse parti l’una dall’altra e nel loro insieme. Le api si prestano in maniera particolare a questo approccio, perché i due presupposti sulle proprietà dei sistemi viventi – cioè che l’insieme sia maggiore della semplice somma delle parti e che l’insieme influenzi le proprietà delle parti – sono dimostrati in maniera evidente dalle loro colonie.
La prima caratteristica fondamentale Le colonie di api sono sistemi altamente complessi capaci di mettere in funzione diversi cicli di feedback. Nel superorganismo della colonia di api troviamo l’omeostasi sia a livello delle funzioni corporali delle singole api, sia l’omeostasi sociale, a livello dell’intera colonia. Dal punto di vista delle funzioni organiche, l’equilibrio nella singola ape si mantiene tanto quanto in qualsiasi altro essere vivente in buona salute. Lo stato d’equilibrio della colonia, invece, viene raggiunto soltanto attraverso l’azione collettiva di tutti i membri, che partecipano attivamente alla costruzione del favo, al controllo climatico del nido e al mantenimento dell’igiene. Le capacità e le proprietà che si concretizzano esclusivamente sotto forma di sforzo collettivo, ma che non appartengono ai singoli individui, sono l’elemento distintivo della sociofisiologia del superorganismo.
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una colonia di api è tutto fuorché “congelato”. I livelli prestabiliti cambiano in continuazione e sono regolati attraverso l’attività costante della colonia, nia una situazione che due pionieri, gli scienziati cileni Francisco Varela (19462001) e Humberto Maturana, hanno descritto in maniera ottimale come omeodinamica, piuttosto che omeostatica. I sistemi biologici regolati presentano due caratteristiche fondamentali: 1. l’insieme è maggiore della semplice somma delle parti, ed emergono proprietà che non sono presenti a livello degli elementi singoli; 2. l’insieme, d’altra parte, determina il comportamento dei suoi componenti.
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La seconda caratteristica fondamentale La sociofisiologia della colonia influenza significativamente le proprietà delle singole api, come nel caso della determinazione dei caratteri individuali (Cap. 8) e della costruzione del favo (Cap. 7). Sembrano esistere legami fra ogni cosa, che rendono difficile l’isolamento e lo studio di singoli circuiti di controllo. Il mantenimento della temperatura del nido di covata è un ottimo esempio dei circuiti di controllo presenti nel superorganismo della colonia di api.
Né troppo caldo, né troppo freddo Per controllo si intende qui la correzione, in entrambi i versi, della deriva di un sistema da un valore prestabilito. Gli strumenti che le api usano per la regolazione della temperatura sono già stati identificati (il meccanismo di regolazione): l’introduzione di umidità e la successiva ventilazione per ridurre la temperatura e la produzione di calore attraverso il movimento dei muscoli delle ali per innalzare la temperatura. La produzione di calore, in particolare, trova la sua più efficiente applicazione nelle cellette del nido di covata contenenti le pupe. Un contributo viene anche dall’architettura del nido di covata: è costruito, infatti, in maniera da garantire condizioni costanti e ottimali per la covata, dal punto di vista energetico. Esiste una densità adeguata di cellette vuote tra quelle coperte, usate per riscaldare l’area dall’interno, stabilita per ogni temperatura ambientale (Fig. 10.1). L’efficacia del riscaldamento è compromessa se le cellette vuote a disposizione sono troppe o troppo poche. La percentuale di cellette vuote in un nido di covata in buona salute è del 5-10%. Il loro numero può variare in base alla temperatura ambientale media. Condizioni sfavorevoli, che in sé non influiscono sulla regolazione del clima del nido, possono portare a una percentuale superiore al 20% di cellette vuote. Per esempio, un’alta incidenza di larve di fuchi diploidi (Cap. 9) che vengono uccise dalle operaie, e rimosse dalle cellette, possono causare un aspetto piuttosto “bucherellato” del nido di covata.
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La temperatura media a cui si sviluppa una pupa influenza i caratteri degli adulti che nasceranno e forse la loro capacità di scaldare la covata o di costruire i nidi di covata. D’altro canto, questi due aspetti influenzano la natura della futura generazione di pupe. Nel nido di covata circuiti grandi e piccoli di controllo sono correlati e dipendenti tra loro. Circuiti di risposta si trovano in forme diverse nelle colonie di api. Ci sono sistemi di controreazione a risposta rapida o lenta sia nelle singole api che nel superorganismo. Possono esistere correlazioni forti o deboli tra feedback negativi e controreazioni ai disturbi. I cicli di feedback possono agire in maniera rapida o più graduale, a seconda del tempo necessario a determinare il valore di un particolare parametro e la velocità con cui questo valore viene comunicato. Se le api ricavano le informazioni direttamente da un segnale nell’ambiente circostante, la controreazione è normalmente più rapida rispetto a quando l’informazione è trasferita indirettamente attraverso segnali di comunicazione. A differenza delle informazioni percepite a livello individuale, l’attività che è indotta e coordinata dai segnali di comunicazione presenta il vantaggio di una risposta indipendente dall’esperienza individuale delle singole api. Il tipico esempio di questo fatto è la comunicazione per mezzo della danza. Anche nel comportamento di riscaldamento del nido di cova-
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Fig. 10.1 Il nido di covata è un esempio visibile di omeostasi sociale e il risultato delle prestazioni collettive di tutte le api nella colonia. Il riscaldamento ottimale delle cellette pupali è un risultato della costruzione architettonica del nido di covata, che consente alle api termoregolatrici di distribuire il calore che producono attraverso le cellette vuote sparse nell’area coperta con una percentuale del 5-10%
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ta riscontriamo un fenomeno i cui dettagli sono ancora sconosciuti, ma che sembra funzionare attraverso un sistema di comunicazione: se il segmento più estremo delle antenne, che contiene i recettori sensibili alla temperatura, viene asportato delicatamente da centinaia di api termoregolatrici, esse non mutano il proprio comportamento all’interno del nido, ma smettono di occuparsi del riscaldamento della covata. Se, invece, una manciata di api termoregolatrici integre viene aggiunta a questo grande gruppo di api insensibili alla temperatura, il risultato è che tutte le api partecipano al riscaldamento. Le api menomate non sono capaci di misurare da sole l’abbassamento di temperatura e, pertanto, di attuare una risposta, ma viene avviato un comportamento collettivo attraverso il reclutamento e una qualche forma di comunicazione. Un piccolo numero di api integre è capace di stimolare una folla intera di api con le antenne amputate affinché comincino a riscaldare la covata. Il valore ottimale dei livelli controllati per uno specifico organismo viene definito nel corso dell’evoluzione attraverso il processo di cambiamento e selezione. I sistemi più sviluppati non solo sono in grado di conformarsi ai vincoli a lungo termine nel corso dell’evoluzione, ma possono anche alterare i punti prestabiliti dei circuiti di controllo nel breve periodo e adattarsi continuamente alle nuove condizioni. Il livelli prestabiliti in una colonia di api, come la dimensione ottimale del nido di covata, o le dimensioni delle provviste di polline, possono variare in maniera notevole con le stagioni; la capacità del superorganismo di adattarsi a questi cambiamenti è un’espressione della sua plasticità. Il superorganismo ha tre modi di reagire quando si presentano nuove esigenze o quando la misura di un’attività in corso deve essere aumentata: • gli individui che si stanno già dedicando attivamente a un determinato compito possono aumentare la propria attività; • gli individui occupati in altri compiti possono venire reindirizzati verso la nuova attività, anche se ciò può condurre a conflitti riguardanti l’esecuzione; • possono essere impiegati individui in stato di quiescenza. La colonia di solito reagisce attivando gli individui in quiescenza, il cui mantenimento è possibile grazie alla forza del numero delle api.
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Una colonia di api presenta molti valori prestabiliti. Thomas D. Seeley, nella sua opera “The wisdom of the hive” (La saggezza dell’alveare), descrive le proprie ricerche sull’utilizzo da parte della colonia delle fonti di cibo. Esiste un insieme di fattori che determina le dimensioni delle provviste di miele della colonia di api. La disponibilità di spazio per l’immagazzinamento del miele nel favo e il tasso del consumo da parte delle api sono due dei fattori principali. L’impiego massiccio del miele per il riscaldamento del nido di covata deve essere controbilanciato dall’importazione di nettare, compito svolto dalle bottinatrici. Il controllo delle bottinatrici deve prevedere i due seguenti aspetti: l’attivazione delle bottinatrici, quando le provviste dell’alveare sono in calo e i campi offrono una buona fornitura, e un decremento dell’attività di bottinatura, quando ci sono provviste sufficienti nell’alveare o se c’è penuria di cibo presso le sorgenti trofiche usuali. In entrambi i casi le informazioni vengono diffuse attraverso meccanismi di comunicazione. Le danze hanno la funzione di richiamare le api a riposo nella colonia.Le api recettrici presenti sul favo che dimostrano riluttanza, hanno l’effetto opposto e ridimensionano l’attività di bottinatura. Questo tipo di feedback consente una risposta rapida della colonia a ogni nuova e specifica situazione. I particolari del sistema di controllo sono i seguenti. Le api bottinatrici eseguono danze circolari o dell’addome se i campi offrono una buona fornitura di nettare. Le compagne di nido che ricevono il messaggio vengono spinte ad aumentare la quantità di nettare raccolta. Questo incremento dell’importazione di nettare non avviene perché le bottinatrici si dedicano all’attività in maniera più assidua, ma perché aumenta il loro numero. La colonia ha a sua disposizione una sostanziosa riserva di api in quiescenza che viene attivata dalla danza dell’addome. Un quadro dettagliato dell’attività di bottinatura di una singola ape può essere descritto grazie all’applicazione al momento della nascita di un microchip (RFID = identificazione a radio frequenza, Fig. 3.10). In questo modo vengono registrate tutte le escursioni di bottinatura effettuate durante la sua vita (Fig. 10.2): in media, una bottinatrice tipo intraprende da tre a dieci voli al giorno.
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Il circuito di controllo per l’importazione del nettare e il consumo di miele
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IL RONZIO DELLE API Fig. 10.2 “Api trasparenti”: un minuscolo microchip applicato al torace delle api al momento dell’emersione dallo stadio pupale permette di identificare le singole api e di monitorare costantemente la loro attività durante la vita
Può succedere che le api recettrici, responsabili della raccolta del nettare all’interno dell’alveare, smettano di prelevare il carico delle bottinatrici in arrivo, se tutti i magazzini presenti nel nido sono pieni, o lascino in attesa le compagne. In questo caso le bottinatrici eseguono una danza vibratoria, detta anche danza “di gioia”, in quanto avviene soprattutto quando l’alveare si trova in condizioni ottimali, e segnalano alle altre bottinatrici che il raccolto può bastare. Inoltre, le bottinatrici sono capaci di identificare le condizioni in cui c’è scarsità di cibo in una sorgente trofica o quando essa è visitata da troppe bottinatrici, che causano ingorghi e ritardi. Al loro ritorno al nido, le bottinatrici si comprimono sulle altre ed emettono un breve segnale acustico ad alta frequenza (Fig. 10.3).
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IL CERCHIO SI CHIUDE Fig. 10.3 Le bottinatrici che hanno visitato sorgenti trofiche che hanno perso interesse si aggrappano ad altre api danzatrici nell’alveare ed emettono un segnale acustico ad alta frequenza. Le api danzatrici smettono immediatamente di danzare. Se anche le api recettrici a riposo ricevono questo segnale acustico, si attivano immediatamente per prelevano il nettare dalle bottinatrici
Questo richiamo acustico ha un’influenza modulatoria sia sulle danza dell’addome che su quella di gioia. Le danzatrici che ricevono tale segnale fermano la danza dell’addome. Al di fuori dell’area di ballo, il segnale acustico e le danze di gioia richiamano altre api recettrici per aumentare la capacità di lavorazione della colonia. La danza di gioia, oltre a rallentare l’attività di bottinatura, stimola le recettrici. Le danze dell’addome, le danze di gioia e i segnali acustici stabilizzano l’intero flusso di nettare e la sua lavorazione nell’alveare, evitando grandi sbalzi, che altrimenti si verificherebbero se il comportamento di bottinatura fosse regolato solo in base alle oscillazioni della produzione dei campi (Fig. 10.4).
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IL RONZIO DELLE API Fig. 10.4 Due comportamenti diversi rappresentano il “controllo del volume” che regola il flusso di nettare nel nido. La danza dell’addome recluta altre bottinatrici e genera un aumento nell’importazione di nettare (a sinistra). La danza di gioia dissuade le bottinatrici dall’intraprendere altre escursioni e quindi diminuisce l’importazione (a destra)
L’attività spaziale e temporale della bottinatura di una colonia è il risultato di una notevole gestione di sorgenti trofiche vecchie e nuove da parte delle api. Il flusso di informazioni usate per il reclutamento della forza lavoro della colonia dipende dalle danze e dal comportamento delle api recettrici che confrontano, in maniera costante, il gusto delle diverse sorgenti di cibo. In questo modo la distribuzione delle bottinatrici sul campo è tarata in maniera ottimale in base all’offerta. Anche i singoli circuiti di controllo sono interconnessi. Il circuito di controllo della raccolta del nettare è legato al sistema di controllo della costruzione del favo. Se le api che si occupano del ricevimento del nettare, che raccolgono il carico dalle bottinatrici e quindi lo depositano nelle cellette, non trovano spazio per l’immagazzinamento, le loro ghiandole ciripare cominciano a produrre materiale da costruzione. Questa produzione porta alla costruzione di nuove parti del favo e, di conseguenza, la creazione di ulteriore spazio per lo stoccaggio, quando la cavità dell’alveare lo consente. Un particolare fattore prestabilito all’interno della colonia è la temperatura del nido di covata. Quando questa è troppo elevata, le api trasportano acqua all’interno dell’alveare e la spalmano in uno strato sottile sui bordi e sulla copertura delle cellette, mentre altre compagne sul favo producono con le proprie ali una corrente d’aria raffreddante (Fig. 10.5).
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Fig. 10.5 Un numero limitato di api ventilatrici si attiva se la temperatura dell’area di covata coperta si trova leggermente al di sopra della giusta temperatura (in alto); un grande numero si attiva se la temperatura supera il livello prestabilito in maniera consistente (in basso)
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Quando questa è troppo fredda, le api termoregolatrici si mettono in azione (Fig. 10.6). Abbiamo quindi due comportamenti molto diversi e con effetti contrari, generati da variazioni di un valore prestabilito. Ma com’è possibile che la direzione della variazione (raffreddamento o riscaldamento) sia sempre appropriata, e come viene fissato il valore esatto della temperatura specifica? E come fanno le api ad attivarsi esattamente nel numero necessario a correggere la variazione di temperatura? La soluzione è semplice, ma molto efficace. Le singole api hanno diverse soglie di sensibilità agli stimoli e ai segnali che portano a certi comportamenti. Alcune api cominciano a sventolare le ali anche se l’innalzamento della temperatura è molto lieve. Se questo primo gruppo di individui riesce a contenere il surriscaldamento, tutto è risolto. Se non ci
Fig. 10.6 Un numero ridotto di api termoregolatrici si attiva in un nido di covata che presenta una temperatura leggermente al di sotto del livello prestabilito (a sinistra); un grande numero si attiva quando la temperatura scende in maniera consistente al di sotto del livello prestabilito (a destra)
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riescono, la temperatura continuerà ad aumentare e anche le api che rilevano l’innalzamento solo a temperature più elevate, cominceranno o a sventolare le proprie ali e così via (Fig. 10.5). Quando la temperatura si abbassa, gli individui con la soglia più alta di sensibilità alla temperatura – e cioè gli ultimi ad attivarsi per la ventilazione – sono i primi a smettere. La procedura è molto efficiente dato che l’impegno profuso è regolato in maniera appropriata al livello di disturbo. La riserva di api in quiescenza non si compone di api con soglie identiche di sensibilità agli stimoli o con abilità simili, ma è eterogenea. Questo gruppo misto di api dalle diverse abilità, permette alla colonia di reagire in maniera appropriata a ogni tipo di disturbo. I valori soglia che stimolano i diversi comportamenti negli individui sono determinati in parte dal genoma e risultano dai multipli accoppiamenti della regina. Il grande numero di padri genera figlie con diversi “valori soglia”, e quindi un’ampia gamma di sensibilità differenti. Più è ampia questa gamma, più è precisa la modulazione del numero di api impiegate a seconda del grado del disturbo, insieme alla precisione della capacità di regolazione della colonia. I valori soglia per azioni particolari possono anche essere influenzati dalle condizioni presenti nel nido di covata. A differenza della componente genetica, si tratta di un circuito di feedback lento che sembra essere manipolato dalle api stesse e che svolge un ruolo decisivo. L’ibridazione dell’ape europea, Apis mellifera carnica, e dell’ape africana, Apis mellifera scutellata, ha prodotto le cosiddette api assassine africane. Dal punto di vista comportamentale, questa ibridazione si manifesta con una perdita di precisione del controllo nella risposta della colonia a un allarme. Un segnale d’allarme che indica presenza di un nemico, a differenza dell’intima comunicazione della danza, dovrebbe attivare un grande numero di individui all’interno della colonia, anch’esso appropriato alle dimensioni della minaccia. La comunicazione difettosa dell’allarme, nelle colonie di api assassine, non ha vie di mezzo: il risultato è tutto o niente. Una lieve traccia della sostanza di allarme, l’isopentilacetato, aspersa dal pungiglione di un ape, può provocare l’eruzione dell’intera colonia dall’alveare, che si unisce all’attacco, spesso con esito mortale per la vittima.
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La malattia come incapacità di adattamento Le malattie possono mettere le singole api e intere colonie in difficoltà. Le malattie delle api sono causate da agenti patogeni o parassiti: funghi, batteri e virus possono essere tutti considerati fonti di infezione per le api. Parassiti come l’acaro Varroa non solo rappresentano una minaccia diretta, ma sono anche conduttori di agenti patogeni. Le api vivono in un ambiente straordinariamente affollato e sono costantemente in contatto l’una con l’altra non ci sorprende, quindi, che durante l’evoluzione sia stato inventato un assortimento di meccanismi che possono essere impiegati per prevenire in maniera efficace le malattie. Tanto per cominciare, l’involucro esterno dell’ape, la cuticola, con il suo sottile strato di cera, oppone resistenza alla penetrazione degli agenti patogeni. Quelli che riescono a entrarvi devono comunque vedersela con il sistema immunitario, basato sulle cellule difensive contenute nell’emolinfa, dotati di meccanismi innati di difesa molecolare. Questi ostacoli si trovano nella stessa forma o in forme simili negli insetti solitari. Poiché vivono in colonia, le api mellifere hanno però a disposizione possibilità che le specie solitarie non hanno: in particolare, l’igiene del nido viene attentamente mantenuta attraverso diversi tipi specifici di comportamento. Le operaie compiono frequentemente attività di pulizia reciproca (Fig. 10.7) e l’individuo più prezioso della colonia, la regina, è soggetto a pulizia ininterrotta da parte delle api alla sua corte (Fig. 10.8). Il futuro nido di covata viene pulito accuratamente prima che vengano deposte le uova (Fig. 10.9). Quando si verifica la morte di un elemento della colonia, i resti vengono al più presto rimossi (Figg. 10.10, 10.11). Le api malate vengono riconosciute dalle api che lavorano nell’alveare e vengono subito curate, sebbene non sia ancora chiaro su quali basi si identifichino nella colonia i membri con problemi di salute. Probabilmente tali individui vengono notati a causa di cambiamenti del loro comportamento, o per la differenza nella composizione chimica di ciò di cui sono ricoperte. Le api si servono nella loro difesa contro le infezioni anche di mezzi esterni. La propoli, resina che le api raccolgono da germogli di piante e con
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IL CERCHIO SI CHIUDE Fig. 10.7 Considerando le condizioni di affollamento in cui vivono, la cura reciproca del corpo tra le api operaie è una precauzione essenziale per prevenire lo scoppio di epidemie
cui costruiscono il favo, ha un’azione antibiotica e antifungina. Le api si rivolgono quindi alle “farmacie” del mondo vegetale per procurarsi le medicine. Le malattie, però, possono anche alterare il comportamento. Nel Medioevo le popolazioni abbandonavano le città per trasferirsi in campagna in caso di epidemie, strategia che rallentava la diffusione della malattia. Anche le api mostrano cambiamenti nel comportamento in seguito all’esordio di una malattia. Le infezioni o le infestazione di parassiti che inficiano le capacità di orientamento delle singole api, possono avere esiti fatali. Le api malate non riescono a trovare la strada di ritorno verso le proprie colonie dopo un volo di bottinatura. Sono costrette a rimanere nei campi, dove finiscono per morire. Questo metodo di auto-purificazione delle colonie può causare problemi se l’apicoltore colloca le colonie troppo vicine tra loro: l’ape malata, non riconoscendo il proprio alveare, può entrare per sbaglio in un alveare trovato
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IL RONZIO DELLE API Fig. 10.8 L’igiene della regina viene curata quasi incessantemente dalle api alla sua corte. Di tutti i membri della colonia, la regina è l’individuo che più va difeso dalle malattie
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IL CERCHIO SI CHIUDE Fig. 10.9 La pulizia accurata delle cellette vuote in cui la regina deporrà le uova è un comportamento importante per la salute della colonia
Fig. 10.10 Le larve e le pupe morte vengono rapidamente identificate e rimosse dall’alveare
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Fig. 10.11 La morte di un’ape adulta all’interno del nido attiva una procedura di pulizia da parte di api che agiscono da “becchini”, trasportando il cadavere al di fuori dell’alveare
Fig. 10.12 A differenza alle popolazioni selvatiche, le colonie di api di allevamento si trovano per comodità dell’uomo nella stessa area. La conseguenza può essere la rapida diffusione di malattie tra le colonie
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Divisione del lavoro, controllo decentralizzato e proprietà emergenti La divisione del lavoro (Cap. 2 e 8) è una delle ricette per il successo degli insetti che vivono in colonie. Nelle api mellifere, la divisione del lavoro segue un ordine di preferenza in base all’età nello svolgimento di compiti particolari. L’attività di bottinatura delle api anziane è quella più facile da riconoscere, ma, benché questo principio si applichi per la maggior parte dei compiti in una colonia, esiste ampia flessibilità. Se tutte le giovani api vengono rimosse da una colonia, alcune tra le api anziane “ringiovaniscono” e riescono a mettere attivamente in funzione le ghiandole della nutrizione o addirittura quelle ciripare. La rimozione di tutte le api anziane porta le giovani api a trasformarsi molto velocemente in bottinatrici. Questa adattabilità del sistema si basa su una componente genetica, che si esprime nella comparsa controllata di particolari individui specializzati in dimensioni sproporzionate. La presenza di individui specializzati non determina il loro impiego esclusivo, in quanto tali, in una comunità. Api di ogni età e con qualsiasi compito sembrano conoscere quello che c’è da fare, quando farlo, dove deve essere fatto e quanto bisogna applicarsi. La sequenza di occupazioni determinate nella vita di un’ape dall’età, fornisce solo il contesto in cui la colonia può soddisfare tutti i suoi requisiti. La misura e la natura del lavoro svolto in una colonia di api e la quantità di energia attivata sono così correlate che viene da chiedersi come fanno le api ad avere una risposta così appropriata alle necessità. Chi impartisce gli ordini, e chi garantisce che siano e seguiti in maniera corretta? La risposta è apparentemente semplice. Le api hanno una regina che, almeno da come si può desumere dal nome, è a capo della colonia.Tuttavia, non può essere identificata nessuna linea di comando dalla regina al resto della colonia, con un’eccezione: una regina fertile produce una sostanza
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nelle vicinanze (Fig. 10.12). In tal caso il meccanismo progettato dalla natura per isolare le malattie diviene invece un metodo di propagazione dell’in’in fezione. Il problema viene in qualche modo controllato dall’attività delle api guardiane, ma non è mai interamente risolto.
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particolare nelle sue ghiandole mandibolari che viene distribuita per trofallasi a tutte le api dell’alveare che impedisce alle ovaie delle operaie di svilupparsi. Questo le consente la dominanza riproduttiva all’interno dell’alveare, a eccezione di rare operaie in grado di deporre uova. Questa situazione non rappresenta una struttura di comando in senso decisionale, ma soltanto una reazione fisiologica delle api ai feromoni, anche se il grande numero di api che ne vengono influenzate dà l’impressione dell’esistenza di una vera e propria monarca regnante. Le colonie non sono organizzate in maniera gerarchica. Il comportamento collettivo delle api è decentralizzato. Ogni singola ape si comporta come se la decisione venisse presa in maniera indipendente. I risultati di queste decisioni sono lievi cambiamenti a livello locale che, a loro volta, costituiscono degli stimoli per altre api, che si regolano in base alla nuova situazione locale e prendono le proprie decisioni. Il comportamento rilevabile della colonia è generato da tutte queste piccole decisioni. La sciamatura, la costruzione e l’uso del favo e la perlustrazione dell’ambiente circostante all’alveare, sono tutti esempi di questo tipo di macro-comportamento (Figg. 10.13-10.16).
Fig. 10.13 La formazione dello sciame delle api ha portato all’invenzione del termine “intelligenza di sciame”
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Fig. 10.14 La costruzione del favo è un’espressione tangibile dell’attività collettiva dei membri della colonia
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Dal punto di vista qualitativo, le nuove proprietà che compaiono in seguito all’interazione dei partecipanti in tale sistema sono descritte come me “emergenza”. Il macro-comportamento del sistema è il risultato emergente di molti piccoli passi dal basso verso l’alto e non dall’alto verso il basso. Le proprietà emergenti che non sono vantaggiose per il sistema sono tanto inutili quanto le meravigliose forme dei cristalli di neve. La selezione naturale fra le colonie di api garantisce che il loro macro-comportamento sia adattivo e utile per la colonia.
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IL RONZIO DELLE API Fig. 10.15 L’uso del favo viene ottimizzato attraverso l’interazione reciproca tra le api
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IL CERCHIO SI CHIUDE
Fig. 10.16 La comunicazione è alla base del coordinamento del comportamento
A un osservatore il comportamento dei superorganismi può sembrare mosso da intelligenza, in quanto essi sembrano trovare soluzioni adeguate ai compiti e ai problemi. Tale comportamento è detto “intelligenza collettiva”. L’intelligenza collettiva dei superorganismi è uno stimolante oggetto di studio per i biologi e fonte di interesse tra gli esperti di molte branche della matematica e di discipline tecniche. Nei superorganismi, piccoli elementi con capacità limitate interagiscono con l’ambiente, al quale appartengono anche altri elementi simili,e con questi realizzano micro-azioni che si inseriscono in microschemi di comportamento, che formano la base per l’“intelligenza artificiale” delle macchine, a cui appartiene il caso particolare dell’“intelligenza di sciame”. Gli spunti teorici forniti dai matematici e dagli ingegneri che si occupano di sistemi informatici complessi, hanno spinto anche i biologi a mettersi alla ricerca di meccanismi guidati da principi formali e regole con cui la natura è riuscita a disciplinare la vita dei superorganismi complessi. Le api non sono solo affascinanti e importanti agenti dell’ambiente naturale. I loro sistemi di controllo di rete consentono l’osservazione di sistemi di gestione di compiti complessi che possono servire da modello anche per soluzioni tecnologiche – un altro avvincente aspetto del “fenomeno api”.
TAGTTCATCACCTCGAGTCCGAATGAAGACGAGAAGGGGAAGAA AGAGAGACGCGGTCAAGGGACCGAAGATATCGATCATCCTGATT GAAACTATCCACGACGTAGGGATCGTCGGCAGCGTTTTTTTCTT TAGTGTTTCGTCGTGTGTCCCTCCCCCCGTTGCTCGGGGATCGG GGGCCGGCGACTTTGGTTACCGAAGAAGAAGGAGGAGAAGGGAA ATGAGCGTAGGAGGGAGGAATCGAGGGGGAAGGGAATCGGGGTT AGGTAGGTTTACGGGAATCGATGCGTGGCCCCCATGGTTGGTCG TGTGTCGGACGCTTGACTCGGGGATTTGAAACTTAACCCTGCGC GATTTCTCTTTTTTCCCCCCGCGAGCATTTCGGTGAAAAATTTC TTCGTATTCGTATCGACCTATTTCGATCCGATTCAAAATATCGC CAAATAAGAAGGAAAGATTCGGATAATTCGAANAAAATAAAGAA TACCTCGAGCGAAGGATGGATCCCGACGAATTCACCGATTC
Il genoma dell’ape mellifera è stato completamente codificato. Le lettere TAGTTCATCATTTTATCTTCCAAAACTTCAGAAGCAAATCCAC T rappresentano le basi Adenina, Guanina, Citosina e Timina; la sequenza di lettere è il testo che si traduce in mattoncini proteici CAGTCGAAGACACAAAGATGAGATTCAGCCTGACCCCGCAACC G da costruzione. In questa pagina è riprodotta la parte del genoma GGACGCGATGAAAATGGTGGCCAGGTTACCAGGAGGGATTCCG T che serve alle api per produrre i componenti della pappa reale, stoccati nelle ghiandole mandibolari (Cap. 6). AGGCGAGATTCTAAATATTTCTAATTCCACGGGTCGTCGGGTTA CTTTCTCCTCCCCTCTTCCCTCCCCTCCCCCCTTTTTTTCTTCT TGGCGGAACGTCATCTGGAGCAACGCGGTGTGGATTGGAAGCAG GAGCAATCCTGACGATGAAGAGCTCGGTATACAAATCGTTAAAG TTCTTTCTTTCTTCTTCTTTTTCTTTTTTTTTTTCTAATAATTC TAATTCCACGCTCACCTCGGTTAATAATAACGACAACGATGAAA ACATTTGAAATTCAAATGTATATCCGTTTCTTCTTTGTTTTTTC CGTTATTATTAGATTCGTCTCGTTCAACTATACATATCTTTTAA CTTATAATCCCTTGCTGAATAATTTTACACGATTCTCTA
TAGTTCATCAAATTTTTCAAATTGGGGGAGAGAATTTTCAAAAT CCCGTTTTCGTGACGGATACTTATACCGATGCAGTGAAAATCAT
Epilogo Il futuro per le api e il genere umano
L’interesse del genere umano nei confronti delle api risale a tempi antichi: i nostri antenati erano interessati soprattutto al miele e alla cera prodotti da questi insetti. In tempi moderni, l’interesse per le api ha visto una vera e propria rifioritura per diversi motivi. Sembra che Albert Einstein (18791955) abbia detto: “Se scomparissero le api dalla Terra, gli uomini potrebbero sopravvivere soltanto per altri quattro anni; senza le api non c’è impollinazione, e quindi niente piante, niente animali, niente esseri umani…” Questa affermazione non deve, almeno per quanto riguarda la previsione temporale, essere presa troppo alla lettera, ma essa contiene diversi elementi di verità. Le api sono sensibili indicatori della qualità di un ambiente e, come fattori essenziali e permanenti di modulazione, hanno un valore inestimabile. Ci stiamo sempre di più rendendo conto che le api sono fondamentali per la conservazione della biodiversità. Anche se i prati fioriti, esteticamente piacevoli e pieni di colori, non sono un argomento abbastanza interessante per qualcuno, il fatto che le attività delle api abbiano conseguenze che arrivano fino alla bistecca che troviamo sul nostro piatto, dovrebbe farci pensare. La qualità della carne aumenta con la presenza delle api, poiché esse garantiscono la diversità delle piante nei campi. Questo è solo un esempio dell’influenza ampiamente ramificata che le api hanno sugli ecosistemi naturali e, di conseguenza, sull’uomo. Alle nostre latitudini, senza le api la gestione delle risorse rinnovabili, ogni giorno più importanti, non sarebbe possibile. Il genere umano e le api dipendono l’uno dalle altre e l’agricoltura non potrebbe esistere senza di esse. Lo stato di salute delle api viene usato come indicatore della qualità dell’ambiente costruito dagli uomini nel quale essi devono vivere.
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Le api stimolano l’interesse dei più giovani nei confronti del funzionamento di complesse interazioni biologiche e, di conseguenza, li ispirano ad assumersi la responsabilità della conservazione di un ambiente in cui è possibile vivere bene. Nella ricerca di base, l’ape è una fonte inesauribile di idee per applicazioni tecnologiche e di principi che regolano l’organizzazione interna di superorganismi di successo dal punto di vista biologico. Le api offrono una lunga serie di opportunità per la ricerca di base nel campo biomedico: la ricerca sul loro sistema immunitario sembra poter offrire informazioni importanti per gli umani, e può servire allo studio di questioni basilari. L’estrema differenza nella durata della vita di api aventi la stessa struttura genetica, ma esposte a condizioni ambientali diverse, fornisce spunti per la ricerca sull’invecchiamento. La temperatura ottimale per l’allevamento delle pupe delle api, che è sorprendentemente simile alla nostra temperatura corporea, ispira diverse intriganti domande. L’ecologia e l’economia di molte regioni della terra dipendono in larga misura dall’esistenza generale e diffusa di api in buono stato di salute. La loro presenza potrà essere tutelata solo quando si sarà compreso il funzionamento interno della vita del superorganismo della colonia di api in maniera così esaustiva da poterle aiutare, e proteggere se necessario, in maniera mirata. Una collaborazione più stretta tra i ricercatori di base e gli apicoltori è in questo senso fondamentale, così come l’approccio olistico della biologia costituisce il quadro entro il quale siamo in grado di comprendere le api, grazie all’utilizzo degli strumenti biologici fisici e molecolari più moderni. Aiutando le api, aiutiamo noi stessi.
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Fonti iconografiche
Brigitte Bujok, BEEgroup: Picture Guide pagina 26, Figg. 1.1, 8.5, 10.6 Brigitte Bujok, Helga Heilmann, BEEgroup: Figg. 4.16–4.21, 4.23 Marco Kleinhenz, BEEgroup: Figg. 4.22, 8.12 Marco Kleinhenz, Brigitte Bujok, Jürgen Tautz, BEEgroup: Fig. 3.3 Barrett Klein, BEEgroup: Fig. 7.16 Axel Brockmann, Helga Heilmann, BEE-group: Fig. 4.9 Mario Pahl, BEEgroup: Fig. 4.11 Rosemarie Müller-Tautz: Figg. 4.3, 4.7 a destra Thermovision Erlangen e BEEgroup: foto di copertina Cap. 8, Figg. P.4, 8.2 Jürgen Tautz, BEEgroup: Fig. 5.6 in alto Olaf Gimple, BEEgroup: Figg. 6.15, 6.16 a sinistra Rainer Wolf, Biozentrum Universität Würzburg: Fig. 4.5 Fachzentrum Bienen, LWG Veitshöchheim e Helga Heilmann: Fig. 4.7.a sinistra
Indice analitico A Abilità cognitiva, 3 Acaro, 268 Accoppiamento, 13, 31, 35, 41, 61, 115, 116,117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 127, 128, 129, 131, 132, 133, 134, 249, 250, 252 – a terra, 123 – comportamento suicida, 39 – locale, 129 – multiplo, 250, 252 – segnali di, 122,127, 129, 130 – stazioni di, 129, 131 – volo di, 44 – tra individui della stessa colonia, misure di prevenzione di, 132 Acido Nucleico, 23, 24 Adattamento, VIII, 5, 56, 66, 211, 212, 236, 255, 268 Addome, 14, 88, 117, 222 – danza, dell’ 93, 94, 97, 98, 99, 101, 102, 103, 105, 107, 193, 197, 199, 205, 214, 261, 263, 264 Affollamento dell’alveare, 269 Allarme, 267 – comportamento di, 187 – feromone di, 187
– reazione sproporzionata all’, 267 Allele/i, 242, 243, 244, 245, 249, 252, 253 Alveare, 98, 101, 106, 107, 109, 133, 187,188, 202, 237, 253, 269 Ambiente, 2, 3, 5, 6, 34, 55, 62, 88, 99, 101, 103, 117, 162, 211, 212, 221, 222, 225, 229, 237, 268, 279, 280 – auto–costituito, 162 – modellato, 162 Analogia, 6, 49 Angiosperme, 21, 47, 48, 49, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 61, 62, 69, 82 Animale/i, 1, 4, 5, 20, 26, 31, 32, 33, 34, 42, 43, 47, 51, 55, 70, 73, 76, 92, 124, 133, 143, 161, 163, 169, 186, 187, 203, 211, 213, 215, 243, 245, 252, 256, 279 – che si cibano di frutta, 73 – domestico, 9 Antenne, 62, 80, 81, 104, 105, 178, 197, 200, 215, 216, 225, 247, 260 – chemiorecettori delle, 247 – modalità di spostamento delle, 104 – recettori sensoriali delle, 81
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Antibatterico, 187, 203
Aploide, 243, 244
Antifungino, 186, 203, 269
Apprendimento, VII, 69, 85 – capacità di, 3, 70, 82, 84, 236, 239 – esperimenti sull’, 84
Ape/i – a riposo, 220, 221, 222, 261, 263 – africana, 267 – assassine, 267 – battistrada, 92 – di corte, 137 – distributrici di carburante, 225, 236 – esploratrici, 40, 64, 92, 204, 206, 207, 209 – guardiane, 16, 200, 201, 238, 247, 248, 273 – malattia delle, 44, 203, 253, 268, 269, 270, 272, 273 – mellifere, VII, VIII, X, 1, 2, 5, 9, 17, 19, 27, 28, 29, 32, 36, 47, 48, 51, 54, 55, 58, 72, 98, 116, 143, 158, 161, 188, 200, 212, 241, 243, 252, 268, 273, – muratrici,16, 170 – nutrici, 2, 16, 143, 148, 154, 155, 156, 187, 213 – raccoglitrice d’acqua, 229 – senza pungiglione, 98, 188 – termoregolatrici, 3, 214, 215, 218, 222, 223, 225, 226, 228, 231, 235, 236, 237, 259, 260, 266
Arcobaleno, 74, 75 Aria condizionata, – correnti di, 257 – raffreddamento a, 227, 254, 257, 266 Aristotele, 29 Aspersione del pungiglione, 267 Atterraggio a coppia, 123 Auto-organizzazione, 174 Auto-purificazione, 269
B Banana, 187 Banca del seme, 120 Batteri, 25, 268 Bernard, C., 162 Bien, 1 Binaria, fissione, 43 Biodiversità, 21, 24, 279
Apicoltura, 129, 195, 211
Biomedica, ricerca, 280
Aplodiploidia, 244, 250
Bolle, 178
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Bottinatura, 17, 62, 64, 65, 66, 67, 83, 85, 86, 109, 125, 126, 168, 188, 194, 197, 203, 223, 233, 236, 239, 261, 263, 264, 269, 273 – capacità di, 64, 66 – forza di, 64, 65 – gruppi di, 109 – prestazioni, 188 – voli di, 85, 188, 223 Brodo primordiale, 28 Bussola, 88 – celeste, 88, 90 – solare, 97
C Calabroni, 28, 51, 54, 55, 66, 98, 123, 188, 242 – accoppiamento dei, 123 Calore, 54, 178, 180, 183, 213, 214, 215, 217, 218, 221, 222, 225, 227, 232, 253, 258, 259 – perdita di, 217, 227 – prodotto dai muscoli, 213 Cannon, W.B. , 6
Carburante, 61,186, 223, 225, 236 Catena di costruzione, 171 Celesti, riferimenti, 88, 90 Celletta/e, 36, 37, 41, 45, 107, 133, 134, 135, 136, 137, 140, 149, 150, 154, 155, 156, 167, 170, 174, 177, 178, 179, 180, 182, 183, 184, 185, 186, 188, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 198, 199, 200, 203, 212, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 221, 222, 225, 226, 227, 228, 229, 231, 232, 234, 235, 251, 258, 264 – bordi delle, 96, 106, 107, 192, 194, 195, 198, 199 – d’emergenza per le regine, 140 – del favo, 59, 106, 169, 174, 179, 182, 183, 190, 192 – pulsanti, 198, 199 – pupali, 259 – vuote, 188, 192, 219, 221, 225, 227, 258, 259, 271 – vuote nel nido di covata, 231 Cera, X, 11, 107, 140, 147, 149, 153, 161, 163, 164, 166, 167, 168, 169, 171, 177, 178, 179, 180, 182, 183, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 199, 200, 215, 247, 268, 279 – additivi della, 194 – componenti della, 199 – flusso della, 178 – ghiandole della, 11, 137, 163, 164, 200, 264, 273, – lavorazione della, 165
INDICE ANALITICO
Bottinatrici, 16, 56, 59, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 70, 76, 79, 81, 85, 88, 89, 90, 91, 92, 94, 95, 97, 100, 106, 110, 111, 112, 113, 126, 131, 162, 187, 188, 202, 203, 206, 223, 236, 237, 239, 261, 262, 263, 264, 273 – e sorgenti trofiche, 263, 264 – esperte, 111, 112, 206
288
IL RONZIO DELLE API
– odori della, 200 – produzione di, 164, 167, 209 – riscaldamento della, 178 – scaglie di, 164, 165, 167, 170 – specchi della, 163, 164 – tipi di stato della, 177 Cestelle per il polline, 188 Chemiorecettori sensoriali, sulle antenne, 247 Circuiti di controllo, 261 Clone, 23 Coesistenza, 55 Co–evoluzione, 72 – delle api e dei fiori, 56, 66 – sfruttamento reciproco e, 66 Coleottero delle rose, 53 Collettiva/o, 242, 257, 259, 275 – comportamento, 255, 260, 274 – intelligenza, 277 Colonia/e – affollate, 269 – di api, VII, VIII, X, XI, 1, 2, 3, 4, 6, 7, 27, 28, 29, 32, 34, 39, 43, 44, 47, 48, 49, 55, 58, 61, 62, 64, 67, 69, 79, 86, 113, 116, 120, 124, 156, 162, 177, 180, 187, 188, 194, 242, 245, 246, 252, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 267, 272, 273, 275, 280 – controllo dell’attività della, VII – emergenza della, 44
– essere integrato, VII, 242 – immortalità della, 31, 44, 133 – figlie, 34, 36, 38, 41, 44, 46, 47, 48, 49, 242 – membro della, 213 Colore, 44, 70, 71, 73, 75, 76, 77, 78, 82, 84, 111, 112, 122, 171 – visione del, 78 Competizione, 23, 24, 62, 69, 79, 91, 115, 116, 120, 123, 127, 242, 255, 256 Complessità, VII, IX, 23, 25, 26, 27, 157 Comportamento, 25, 31, 32, 39, 53, 65, 70, 85, 90, 93, 105, 113, 116, 117, 120, 124, 129, 132, 136, 161, 164, 169, 193, 199, 203, 206, 213, 220, 221, 225, 237, 242, 243, 252, 255, 256, 257, 259, 260, 263, 264, 268, 269, 271, 274, 275, 277 – altruistico, X, 243 – difensivo, 268 – egoistico, 243 – integrato, 255 Composito/i – materiale da costruzione, 26 – occhio/i, 72, 99 Comunicazione, VII, 17, 62, 69, 70, 71, 90, 92, 98, 106, 110, 113, 134, 162, 169, 192, 193, 195, 196, 197, 206, 214, 256, 259, 260, 261, 267, 277
289
Condizioni ambientali, 5, 280 Confezione, 24, 25, 28 Conflitto, 247, 252 Controllo, VII, VIII, 2, 5, 6, 54, 135, 174, 201, 211, 212, 247, 256, 258, 259, 261, 264, 267, 277 – circuiti di, 258, 260, 264 – decentralizzato, 273 – del clima, 5, 257 – del numero di bottinatrici, 261 – degli individui sessualmente attivi, 29, 133 – sistemi di, VII, 277
Cromosoma/i, 243, 244
Cooperazione, 25, 245, 252, 255, 256
Daltoniche, 76
Copie, 23, 38, 243 Copulazione, 123 Coreografie – compagne di danza nelle, 103, 104 – sequenza di danza e, 95, 104 Corni, 122 Covata – favo di, 3, 188, 190, 225 – cellette vuote nel, 219 – ordine nel, 188, 189, 190
Cura – della covata, 212 – della prole, 34 – reciproca del corpo, 269 cuticola, 247, 268
D Danza, 17, 91, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 112, 113, 192, 193, 197, 199, 203, 204, 205, 214, 259, 261, 262, 263, 264, 267 – anomalie nella, 107 – api che seguono la, 96, 104 – chimica della pista da ballo, 95, 105, 203 – ciclo della, 93, 95 – circolare, 93, 94 – figure della, 93, 94 – individuazione della direzione della, 98
INDICE ANALITICO
– nido di 45,146,158, 182, 203, 211, 212, 213, 214, 215, 219, 221, 222, 223, 225, 226, 227, 228, 231, 232, 234, 235, 239, 253, 258, 259, 260, 261, 264, 266, 267, 268 • architettura del, 258 • controllo del clima del, 3
– comportamento di, 90, 106, 111, 162 – rete di, 190
290
IL RONZIO DELLE API
– linguaggio della, 17, 92, 98, 103, 107, 192 – lettura della, 104 – pista da ballo della, 95, 105, 106, 194, 202, 203, 204, 208, 263 – vibratoria, 262 Danzatrice/i, 96, 101, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 112, 113, 193, 198, 199, 202, 204, 205, 208, 214, 263 – posizione della, 105, 108, 198, 199 – silenziose, 106 Darwin, C., 5, 33, 42, 53, 54, 241, 242 Dawkins, R., 243 Decisioni, VII, 29, 85, 255, 274, Decodificazione della direzione, 97, 104 Defensina, 157 Deposito, 225, 227
Disegni, 76, 77, 79, 84, 89, 99, 101 Distanza, 61, 73, 80, 93, 97, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 107, 108, 109, 132, 169, 174, 188, 199, 204, 206, 225, 252 – informazioni sulla, 98, 99, 101, 103 – misura della, 100, 101 Disturbi, 253, 259 Diversità, 23, 25, 31, 42, 51, 52, 79, 80, 81, 115, 253 – di specie, 51, 52 – vegetale, 86, 87, 279 Divisione, 25, 36, 41, 42, 44, 45, 46, 182 – cellulare, 31 – degli organismi pluricellulari, 26 – degli organismi unicellulari, 23, 31 – propagazione per, 42 – riproduzione per, 42 – del lavoro, 273
Deposizione, 41, 136, 137, 146, 187, 250
Durata della vita delle api, 280
Determinazione del genere, 243, 244, 250
E
Dialetti, 103
Ecologia, 280
Dieta, 18, 41, 133, 137, 143, 154, 156, 158
Economia, 25, 280
Direzionali, informazioni, 103
Emergenza, 44, 45, 140, 275
Einstein, A., 279
291
Energia, 5, 6, 19, 25, 31, 44, 46, 47, 48, 54, 61, 86, 88, 106, 162, 167, 168, 221, 222, 223, 225, 226, 231, 232, 233, 234, 273 – consumo di, 100 – contenuto di, 223 – uso di, 161, 223 Enzimi, 24, 59, 186, 199 Equilibrio, VIII, 6, 256, 257 Eredità, 215 Età, 16, 200, 222, 235, 236, 237, 273 – capacità correlate all’, 164 – classi di, 154 – del favo, 199, 200 – e aspettativa di vita, 280 Eterogeneità fenotipica, 115 Eterozigote, 244 Eusocialità, 250 Evoluzione, VII, 2, 4, 5, 24, 25, 27, 28, 33, 42, 56, 66, 70, 71, 162, 163, 187, 212, 232, 241, 242, 243, 250, 255, 260, 268
F Fattori ambientali, 4, 156 Favo/i, 3, 11, 15, 36, 59, 63, 93, 95, 96, 97, 98, 104, 105, 106, 107, 108, 133, 134, 135, 137, 161, 162,
168, 169, 170, 171, 172, 174, 178, 179, 180, 181, 182, 183, 187, 188, 189, 190, 192, 193, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 202, 203, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 221, 225, 227, 229, 261, 264, 269, 274, 276 – architettura del 133, 134, 193 – bordi delle cellette del, 96, 107, 194, 195, 198, 199 – circondato da strutture in legno, 195 – comunicazione nel, 190, 192, 197 – costruzione del, 11, 161, 165, 167, 168, 169, 170, 174, 193, 195, 236, 257, 258, 264, 275 – distribuzione dei contenuti nel, 187 – frequenza del, 192 – funzioni del, 182 – geometria del, 169, 177, 180, 188 – memoria chimica del, 199 – orientamento, 174 – passaggi tra, 174, 176 – pareti delle cellette del, 182 – rete che copre il, 192 – spazio costruito, 180 – stoccaggio nel, 182, 264 – verticale, 98, 175 – vibrazione del, 105 – zone del, 182 Feedback negativi, 259 Femmine sterili, 13, 34
INDICE ANALITICO
Endofallo, 121, 122, 127, 129
292
IL RONZIO DELLE API
Fenotipo, 25, 115, 252
G
Feromone di allarme, 187
Galileo, G., 169
Fiori – competitori, 66 – costanza dei, 82, 83 – forme dei, 86, 87 – “orari di apertura”, dei 91 – risorse fornite dai, 70 – segnali, 70, 76 Fisiologia, VII, 6, 33, 162, 164, 169, 252 Fonte/i di cibo, 88, 92, 94, 97, 98, 202, 261 Frisch, K. von, XII, 90, 91, 92, 93, 97, 98, 110, 192
Gamete/i, 115, 124, 133 Generazione/i, VIII, X, 26, 27, 32, 33, 34, 40, 41, 42, 137, 232, 242, 259 – periodi della, 41 Gene/i, 29, 34, 38, 242, 243, 244, 245, 249 Genetica, VII, 7, 24, 38, 42, 43, 232, 237, 242, 244 ,245, 246, 249, 250, 252, 267, 273, 280 – delle api, 42, 242, 267 – morte, 43 Genoma, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 31, 69, 82, 237, 239, 242, 244, 245, 250, 252, 267, 278 Genotipo, 115
Fuco/hi, VII, 1, 13, 15, 18, 27, 32, 33, 35, 43, 45, 72, 79, 115, 116, 117, 118, 119, 120,121, 122, 123, 124, 126, 127, 129, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 147, 151, 156, 182, 183, 219, 235, 242, 245, 246, 247, 249, 253 – cellette da, 136, 182 – competizione tra, 115, 120 – diploide, 244 – raggruppamenti di, 117 – selezione dei, 132 – sfratto dei, 117 – voli dei, 120
Geraniolo, 111 Gerarchie, 274 Germinale/i – cellule, 26, 27, 29, 31, 42, 43, 48, 55 – linea, 26, 27 Gestione, 162, 255, 264, 277, 279 Ghiandola/e, 2, 11, 38, 86, 88, 89, 111, 113, 122, 137, 143, 147, 148, 154, 155, 163, 164, 187, 200, 264, 273 – mandibolari, 121, 154, 165, 274, 278
293
Imenotteri, 28, 55, 123, 243, 250 Immagazzinamento, 82, 180, 186, 261, 264 – della memoria, 161, 190, 199 – temporaneo, 227
Giovani regine, 18, 32, 48, 116, 117, 120, 124, 126, 129, 131, 132, 133, 135, 247
Immortalità, X, 31, 38, 42, 43, 44, 133
Globalizzazione, 55
Impollinatori, 54, 55, 75 – insetti, 54, 55, 61
Grasse, P.P., 169 Gravità, 97, 98, 105, 113, 174, 186 – organi di senso della, 174, 175 – ricettore di, 98, 104, 180 – rivelatore di, 104, – zero, 180 Gruppi, 6, 63, 64, 109, 110, 111, 112, 113, 116, 123, 163, 195, 243, 245, 247, 252
H Hamilton, W.D., 242, 243, 250 Holland, J. N., 255, 256 Huxley, T.H., 250
I Ibridazione, 267 Identità, 182, 200 – genetica, 43 Igiene, 203, 257, 268, 270
Immunità, 158, 161, 268, 280
Impollinazione, VII, 9, 20, 51, 54, 61, 279 – per mezzo del vento, 56 Individuo sessualmente attivo, 29, 133 Infezione/i, 157,158, 203, 253, 268, 269, 273 – vulnerabilità alle, 253 Informazioni, VII, X, XI, 4, 6, 29, 64, 69, 70, 71, 77, 93, 96, 98, 99, 101, 103, 104, 105, 108, 109, 113, 116, 137, 175, 182, 190, 200, 202, 245, 256, 259, 261, 264, 280 Insetti, 1, 32, 36, 51, 53, 54, 55, 56, 61, 66, 69, 70, 78, 98, 116, 143, 188, 192, 200, 212, 214, 215, 232, 235, 236, 239, 241, 243, 247, 268, 273, 279 Intelligenza, VII, VIII, 211, 277 – collettiva 277 – di sciame, VII, 274, 277
INDICE ANALITICO
– ipofaringee, 154 – odoripare (di Nasonov), 89, 111, 113, 206, 209 – salivari, 186 – velenosa, 187
294
IL RONZIO DELLE API
Interazione, 26, 29, 162, 212, 237, 239, 245, 275, 276 Invernale/i, 239 – grappolo, 19 – sopravvivenza, 19, 223 Isolamento, 24, 153, 227, 258 Isopentilacetato, 187, 267
J Joule, 223, 225
Malecot, G., 244 Mammifero/i, X, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 34, 143, 154, 158, 187 Materiale, XI, 5, 6, 25, 26, 31, 46, 47, 48, 61, 64, 67, 115, 161, 163, 174, 177, 193, 264 – ereditario, 23, 24, 25, 27, 141 Maturana, H., 257 Maynard Smith, J., 243 Mehring, J. ,1
K Keplero, J., 169
L Larve, 2, 15, 34, 36, 37, 41, 44, 124, 133, 137, 143, 147, 148, 149, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 182, 187, 219, 250, 258, 271 Lindauer, M. V, 229 Livelli prestabiliti, 257, 260 Luce, 69, 70, 75, 76, 88, 98, 122, 124, 134, 245 – colore della, 70, 76 – polarizzata, 88 – ultravioletta, 75, 76, 89, 122
M Macromolecole, 23 Malattia/e, 44, 253, 268, 269, 270, 272, 273
Messaggio, 86, 103, 104, 105, 204, 239, 261 Metamorfosi, 143, 147, 153, 235, 239 – completa, 143 Microchip, 65, 261, 262 Miele, X, 9, 10, 11, 12, 19, 34, 36, 38, 47, 61, 67, 133, 141, 149, 154, 167, 168, 182, 183, 186, 187, 188, 189, 190, 192, 223, 224, 225, 226, 228, 232, 233, 234, 235, 236, 241, 261, 279 – consumo di, 261 – conversione dal nettare in, 67 – combustione di, 223 – immagazzinamento del, 261 – prodotto, 67 – usato come carburante, 61 Milieu, 162 Minisciami, 113
295
Mortalità, 26, 43 Morte, 26, 42, 43, 44, 122, 133, 137, 147, 203, 215, 250, 268, 271, 272 – programmata, 26 Mummificazione, 203 Muscolo/i, 19, 106, 122, 187, 209, 213, 214, 215, 258 – vibrazione dei, 106 Mutazioni, 24, 31
N Nettare, 4, 10, 47, 49, 54, 56, 58, 59, 60, 61, 64, 66, 67, 69, 71, 81, 82, 85, 86, 91, 92, 103, 126, 183, 185, 186, 187, 188, 190, 200, 201, 202, 223, 225, 227, 228, 232, 233, 235, 237, 247, 261, 262, 263, 264 – elaborazione del, 67, 187 – importazione del, 261 Nido, 3, 11, 16, 33, 34, 36, 37, 39, 40, 45, 47, 59, 61, 64, 66, 78, 79, 81, 88, 92, 93, 109, 110, 118, 120, 121, 122, 127, 128, 129, 132, 133, 146, 158, 161, 162, 163, 167, 174, 182, 188, 190, 194, 200, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 211, 212, 213, 214, 215, 219, 221, 222, 223, 225, 226, 227, 228, 229, 231, 232, 233, 234, 235, 236, 237, 238, 239, 247, 252, 253, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 264, 266, 267, 268, 272
Nutrimento, 2, 5, 10, 51, 58, 64, 115, 119, 154 – delle larve, 115, 126 – della regina, 18, 41, 136, 147, 148 – delle operaie, 136, 149
O Obiettivo, 24, 29, 78, 81, 88, 92, 98, 107, 110, 111 Ocelli, 72 Odometro, 99, 101 – ottico, 99, 100 Odore, 80, 81, 82, 88, 89, 93, 98, 109, 111, 121, 122, 137, 138, 187, 200, 209, 247, 250 – molecole di, 81 – scia di, 81
INDICE ANALITICO
– cavità del, 204, 206 – cercare un nuovo, 79 – con funzione di organo, 161, 162 – controllo/regolazione del clima nel, 211, 212, 213, 214, 215, 222, 223, 237, 257, 258 – costruzione del, 161 – d’api, 161 – funzione del, 182 – igiene del, 268 – ricostruire il, 36 – immagazzinamento nel, 180, 261, 264
Monopolio, 55
296
IL RONZIO DELLE API
Olfattive/i/o, 55, 82, 84, 113, 120 – richiamo, 120 – sensibilità, 84 Olfatto, 54, 69, 70, 72, 88, 245 Omeodinamica, 257 Omeostasi, 6, 162, 256, 257, 259 Omozigote, 243, 244
P Padri, 245, 246, 249, 267 – discendenza da diversi, 252, 253 Pappa reale, 2, 12, 18, 133, 143, 148, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 278 – analisi della, 159 – produzione della, 190 – proprietà della, 154, 156
Onde elettromagnetiche, 69, 74
Papus di Alessandria, 180
Operaie nei voli di accoppiamento, 123, 129
Parassiti, 44, 72, 268, 269
Organismi, 27, 29, 31, 40, 42, 43, 62, 69, 70, 115, 162, 203, 211, 212, 241, 242, 243, 257 Orientamento, 69, 78, 81, 88, 89, 90, 91, 104, 117, 132, 269 – sciame di, 127 – voli di, 88, 126, 131 – voli di massa di, 124, 125, 126 Oscillazione/i, 93, 95, 104, 105, 106, 107, 108, 192, 193, 194, 195, 198, 199, 235, 252, 263 – frequenza di, 193 – sistema di, 108 Ottica/o, 73, 78, 79, 80, 93, 101, 102, 121, 180 – flusso, 99, 100 – illusione, 93, 180 – odometro, 99, 100, 101
Parentela, 243, 249, 250, 252 – distinguere la, 245, 247 – genetica, 244, 245, 249 –“r”, 244, 246, 249 – grado di, 245, 246, 247, 249, 250 – selezione di, 243, 246 Patogeni, 158, 182, 203, 268 Percezione del tempo, 90, 91 Petali, 75, 76, 89 Plasticità, 255, 260 Pluricellulare, 26, 42 Polarizzazione del cielo, 88, 89, 90, 98 Polline, 10, 11, 12, 34, 49, 51, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 64, 67, 69, 82, 85, 86, 112, 126, 149, 154, 167, 182, 183, 184, 187, 188, 189, 190, 199, 200, 237, 260
297
Precisione geometrica, 170, 174 Predatori, 44, 124, 161, 186 Prestazioni, 24, 31, 46, 71, 86, 164, 188, 259 Profumo, 137, 138 Progenie, 3, 5, 38 Propagazione, 32, 42, 49, 70, 71, 222, 243, 247, 273 Proprietà emergenti, 273, 275 Propoli, 12, 14, 66, 67, 194, 195, 202, 203, 209, 268 Pulizia, 220, 235, 265, 271, 272 – della regina, 268, 270 – cura reciproca delle operaie e, 268 Pulsazioni, 106, 193, 214 Pungiglione, 20, 32, 36, 98, 135, 187, 188 – di un’ape, 267 Punti di riferimento, 88, 98, 117, 190 Pupa, 36, 65, 72, 143, 147, 153, 158, 159, 213, 215, 219, 231, 232, 234, 235, 237, 249, 259, 262
Q Quack, 134
R Raccolta/o, 14, 56, 58, 60, 62, 64, 66, 67, 70, 78, 79, 81, 82, 85, 87, 88, 91, 92, 93, 98, 99, 109, 111, 112, 113, 178, 183, 186, 187, 195, 206, 223, 233, 237, 261, 262, 264 – disponibilità del, 64 – posizione del, 70 – strategia di, 62 Raffreddamento, 227, 234, 266 – evaporativo, 227 Rapporto segnale–rumore, 106 Razze di api, 157 – dialetti delle diverse, 103 Reclutamento, 56, 65, 93, 113, 204, 260, 264 Reclute, 101, 103, 109, 110, 111, 112, 113, 199, 205, 206 Regina/e, VII, 1, 2, 14, 15, 18, 19, 27, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 43, 44, 45, 48, 72, 79, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 143, 144, 145, 146, 147, 152, 154, 156, 187, 188, 190, 204, 209, 219, 232, 235, 236, 242, 245, 246, 247, 249, 250, 251, 252, 267, 268, 270, 271, 273 – cellette delle, 36, 41, 137, 156 – corte della, 138, 235, 236
INDICE ANALITICO
– cestella di, 11, 126, 182, 183, 184, 190 – come nutrimento, 10, 51
298
IL RONZIO DELLE API
– deposizione della, 250 – emersione della, 134 – feromone della, 137, 138 – lotta tra, 133 – perdita delle, 140, 141 – “quack” della, 134 – seguito della, 122, 137 – sicurezza delle, 132 – sopravvivenza delle, 131 – sostanza della, 121, 131, 273 – sostituzione della, 40, 137 – suono del “corno” della, 134 – vergine, 127
Riscaldamento, 186, 215, 217, 218, 220, 221, 222, 223, 225, 227, 232, 234, 235, 258, 259, 260, 261, 266 – comportamento di, 259 – delle cellette, 213 – attraverso la copertura, 218, 221 – contigue, 174 – di covata vuote, 220 Rivoluzione “pacifica”, 137, 139 Romboidi, 180 Rumore, 107, 193, 197, 199 – di sottofondo, 107, 197, 199
Remnant, R.A., 178 Resistenza alle malattie, 253
S Scaglie, 163, 164, 165, 167, 169
Rete, VII, 61, 64, 65, 106, 117, 190, 191, 192, 193, 195, 196, 198, 243, 277 – dinamica, 255 – telefonica, 182, 190, 193, 195 RFID chip, 65, 261 Ricerca di base, 280 Riconoscimento, 77, 247 Rifornimento, 112, 225 Rilevamento del movimento, 80 Riproduzione, VII, 4, 13, 24, 25, 31, 32, 36, 38, 40, 42, 43, 132, 242, 256
Sciamatura, 36, 37, 38, 39, 41, 42, 44, 79, 113, 128, 168, 274 Sciame, 34, 37, 38, 40, 44, 46, 126, 127, 132, 167, 199, 204, 206, 208, 209, 274 – grappolo dello, 19, 37 – guida dello, 209 – intelligenza dello, VII, 274, 277 – motivazione dello, 209 – primario, 34, 36, 37, 38, 40, 133 – secondario, 133 Seeley, T.D., 261 Segnale/i – acustico, 262, 263 – chimici, 17, 95, 104, 105, 113, 154
299
Selezione, VIII, 89, 241, 242, 243, 247, 250, 252, 260, – naturale, VII, VIII, 31, 34, 187, 211, 275 Sensibilità, 75, 76, 79, 81, 89, 113, 237, 253, 266, 267 – comportamentale, 253 – tattile, 17, 178 Senso, 69, 70, 71, 72, 88, 113, 161, 162, 174, 223, 245, 274, 280 – dell’olfatto, 70, 245 Sensoriale/i, 69, 70, 71, 72, 76, 80, 81, 82, 99, 161, 174, 178, 199 – mondo, 69, 70, 71, 82, 99 – cuscinetti di setole, 174 – organi, 175, 178 Serbatoio genetico, 34, 141 Sesso, 31, 115, 135, 243, 244, 250 Sistema/i, VII, VIII, 17, 26, 27, 28, 29, 34, 44, 53, 54, 56, 62, 64, 69, 71, 76, 80, 88, 90, 95, 104, 105, 106, 108, 113, 115, 132, 133, 135, 143, 187, 192, 193, 195, 204, 209, 212, 215, 217, 221, 222, 232, 234, 253, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 264, 273, 275, 277, 279 – a gestione ripartita, 255
– adattativo complesso, 255 – di marcatura dell’arnia, 79 – immunitario, 161, 268, 280 – nervoso, 69, 161, 162, 236 Sociofisiologia, 161, 162, 188, 252, 255, 257, 258 Soglia, 267 Sole, 47, 74, 88, 90, 91, 92, 97, 98, 211, 239, 260 – angoli rispetto al, 98 – posizione del, 90, 91, 97, 98 Sonno, 62 Sorellastre, 200, 245, 246, 247, 249 Sorelle a tutti gli effetti, 245, 249 Sorgente trofica, 93, 96, 98, 100, 103, 105, 107, 109, 110, 111, 113, 192, 202, 204, 206, 262 Specializzazione, VIII, 26 Sperma, 33, 38, 44, 115, 120, 133, 245 – competizione dello, 120 – ghiandola di immagazzinamento dello, 38 – trasferimento dello, 122 Sprengel, C.C., 53 Squilibrio maschi/femmine, 32, 115 Stigmergia, 169 Struttura del paesaggio, 102, 109
INDICE ANALITICO
– cuticolari, 200 – dai fiori, 70 – familiari, 247 – del tempo, 90 – sulla pista da ballo, 106, 202,
300
IL RONZIO DELLE API
Superorganismo, VII, VIII, XI, 1, 6, 27, 28, 35, 39, 40, 43, 120, 133, 154, 161, 162, 190, 203, 241, 246, 252, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 280 – ciclo vitale del, 6 – colonia d’api come un, VIII – evoluzione del, 26, 252 – selezione, 252 – sopravvivenza del, 260
Termica/o, 54, 194 – energia, 222, 223 – isolamento, 227 Termografo, 222 Termosensibilità, 253 Trofallasi, 138, 225, 274 Tunnel, 99, 100, 101 – “raggiro” del, 99
Surriscaldamento, 227, 266 Sviluppo, 2, 3, 23, 24, 34, 36, 40, 41, 42, 121, 132, 143, 147, 154, 156, 158, 159, 190, 193, 213, 215, 219, 232, 241, 250, 251 – del fuco, 147 – dell’operaia, 121 – della regina, 232
T
U Unicellulare, 40, 42 Uova, 15, 36, 38, 39, 41, 44, 120, 133, 136, 137, 143, 146, 159, 182, 187, 188, 190, 219, 243, 244, 245, 246, 247, 249, 250, 251, 268, 271, 274 – deposizione delle, 136, 137 – distruzione delle, 249, 250 Utero sociale, 3
Telefono, 182, 190, 193 Temperatura, 3, 54, 66, 81, 89, 177, 178, 179, 190, 193, 194, 208, 209, 211, 212, 215, 221, 222, 223, 225, 227, 229, 231, 232, 234, 235, 237, 239, 253, 258, 259, 260, 264, 265, 266, 267, 280 – controllo della, 174 – corporea, 3, 6, 178, 209, 215, 220, 221, 222, 231, 280 – recettori della, 81, 215, 225, 260 Teoria evolutiva, 5
V Varela, F., 257 Varroa, 268 Ventilazione, 229, 236, 258, 267 Vertebrato, 1 Vespe, 28, 55, 78, 98, 174, 177, 242, 252 – accoppiamento delle, 123 – nido di, 174, 177, 188
301
104, 106, 109, 110, 113, 117, 120, 121, 123, 124, 126, 127, 131, 132, 180, 188, 201, 206, 209, 214, 215, 223, 229, 261, 269 – di ricognizione, 61 – muscoli delle ali, per 214 – nuziale, 18, 79, 116, 119, 121, 122, 124, 126, 127, 129, 132, 136, 137, 141, 245, 249 – percorso di, 101, 103 – ronzanti, 110, 206 – velocità di, 99
Vibrazione, 105, 106, 107, 108, 190, 194, 195, 198 – amplificata, 109 – durante la danza dell’addome, 204, 208, 209 – propagazione della, 190, 198 – pulsazione, 106 Visione, 64, 78 – del colore, 78 – durante il movimento, 78 – sfocata, 108 Visiva/o, 72, 73, 75, 76, 77, 80, 99, 109, 113, 117 – acuità, 73 – odometro, 99, 100, 101 – orientamento, 74, 88, 99, 174, 200, 225 Vita, VII, VIII, X, XI, 5, 6, 16, 18, 23, 24, 27, 29, 31, 32, 34, 36, 38, 40, 42, 43, 46, 55, 62, 65, 70, 86, 115, 116, 119, 121, 130, 137, 149, 158, 161, 162, 164, 187, 192, 212, 215, 222, 223, 235, 236, 239, 241, 243, 250, 252, 253, 255, 261, 262, 273, 277, 280 – ciclo di, 40, 42, 43 – durata della, 26, 280 – forme pluricellulari di, 26 – forme unicellulari di, 25, 31 Volo/i, 44, 58, 59, 60, 61, 65, 66, 67, 73, 76, 77, 78, 79, 80, 84, 85, 88, 92, 93, 97, 98, 99, 100, 101, 103,
W Watt, 223 Wheeler, W.M., 1
INDICE ANALITICO
Vettore, 97
i blu
Passione per Trilli Alcune idee dalla matematica R. Lucchetti Tigri e Teoremi Scrivere teatro e scienza M.R. Menzio Vite matematiche Protagonisti del ’900 da Hilbert a Wiles C. Bartocci, R. Betti, A. Guerraggio, R. Lucchetti (a cura di) Tutti i numeri sono uguali a cinque S. Sandrelli, D. Gouthier, R. Ghattas (a cura di) Il cielo sopra Roma I luoghi dell’astronomia R. Buonanno Buchi neri nel mio bagno di schiuma ovvero L’enigma di Einstein C.V. Vishveshwara Il senso e la narrazione G. O. Longo Il bizzarro mondo dei quanti S. Arroyo Il solito Albert e la piccola Dolly La scienza dei bambini e dei ragazzi D. Gouthier, F. Manzoli
Storie di cose semplici V. Marchis novepernove Segreti e strategie di gioco D. Munari Il ronzio delle api J. Tautz
Di prossima pubblicazione Perché Nobel? M. Abate (a cura di) Alla ricerca della via più breve P. Gritzmann, R. Brandenberg Chiamalo x! Ovvero: cosa fanno i matematici? E. Cristiani L’astro narrante La luna nella scienza e nella letteratura italiana P. Greco Gli anni della luna 1950-1972 L’epoca d’oro della corsa allo spazio P. Magionami