Il Concerto Per Tromba e Orchestra Di J.N. Hummel [PDF]

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Zitiervorschau

CONSERVATORIO STATALE DI MUSICA “NICCOLÒ PAGANINI” GENOVA

IL CONCERTO PER TROMBA ED ORCHESTRA IN MI MAGGIORE DI JOHANN NEPOMUK HUMMEL: cenni storici, analisi e considerazioni stilistiche

TESI DI DIPLOMA ACCADEMICO BIENNIO DI II LIVELLO IN DISCIPLINE MUSICALI – SCUOLA DI TROMBA

Relatore: Prof. Roberto IOVINO

Gianpiero LO BELLO Matricola n. 2037

Co – relatore: Prof. Elia SAVINO

ANNO ACCADEMICO 2005/2006

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INDICE

INTRODUZIONE

1

CAPITOLO 1 – JOHANN NEPOMUK HUMMEL: NOTE BIOGRAFICHE

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CAPITOLO 2 – CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE DELLO STRUMENTO

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CAPITOLO 3 – LA TROMBA A CHIAVI: NASCITA, SCOMPARSA E RINASCITA

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CAPITOLO 4 – ANALISI DEL BRANO

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CAPITOLO 5 – PROBLEMATICHE E CONSIDERAZIONI DI PRASSI ESECUTIVA

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BIBLIOGRAFIA

37

APPENDICE – DISCOGRAFIA

40

RINGRAZIAMENTI

46

2

INTRODUZIONE

3

Da un punto di vista assolutamente oggettivo e generale, il sapere umano è una classica “arma a doppio taglio”, che può dare grandi soddisfazioni ma anche grandi frustrazioni. Da questa regola non si esime la Musica: questa nobile Arte, oggigiorno così bistrattata e poco riconosciuta, possiede una precisa e circostanziata ambivalenza genetica; quella, cioè, che unisce, compenetrandole, due componenti fondamentali: la prima, di tipo teorico – speculativo, contrapposta e complementare alla seconda, di tipo più marcatamente pratico – esecutivo. Un musicista, ad un tempo solo, è (o dovrebbe essere…) smaliziato artista ma anche coscienzioso artigiano; approfondito cultore ma anche gioioso neofita; energico e spavaldo maestro ma anche umile e timido apprendista; mente aperta e libera di esprimersi al di sopra di tutto e di tutti ma anche cocciuto e banale esecutore materiale di suoni, i quali, come diceva Stravinsky, sono dappertutto tranne che sulla carta. L’elenco potrebbe prolungarsi a dismisura, con grande gioia dei seguaci del Tao… In altre parole, laddove e quando il background culturale di un musicista dovesse essere scarso, superficiale o nullo, il suo proprio valore artistico risulterà piuttosto basso, così come risulterebbe decisamente impoverito nel caso in cui egli si dovesse perdere nella spirale dei sofismi fini a loro stessi. Se è vero che “in medio stat virtus”, il bisogno principale di un musicista è un intelligente, oculato e funzionale mix delle due cose, prescindendo dal carattere, dalle inclinazioni, dall’esperienza acquisita, dai gusti, da tutti quegli aspetti appartenenti alla sfera del personale. Sembra un obiettivo difficile da raggiungere: in realtà non lo è, o quantomeno non nella misura in cui molti lo immaginano. D’altronde, a ben vedere, le maggiori difficoltà sono esterne al musicista, e ascrivibili all’ambiente circostante in cui egli opera, e lo stesso musicista, sebbene spesso animato dalle migliori intenzioni, ben presto viene a trovarsi in una sorta di ragnatela. Uscirne, ecco la vera difficoltà! Purtroppo, il mondo musicale moderno sta vivendo, nostro malgrado, un periodo di recessione conoscitiva: in Italia specialmente, un qualsiasi concerto è visto e vissuto come un happening, un evento nel quale si dà la precedenza alla componente spettacolare, relegando la qualità artistica al ruolo di comprimario, per la serie “se c’è tanto meglio, se non c’è va bene uguale, tanto i biglietti li abbiamo venduti tutti”. Una via di salvezza potrebbe arrivare dalla didattica: in parte essa arriva, ma solo ad un certo livello, quello più alto. La riforma dei Conservatori ha effettivamente elevato il livello 4

culturale dei futuri musicisti, e chi vi scrive ne è testimone diretto; purtroppo, però, tutto ciò che viene prima (scuole medie ad indirizzo musicale, scuole private in grado di fornire titoli riconoscibili e riconosciuti in sede di ammissione agli Istituti Superiori, i Licei Musicali) è ancora avvolto nella nebbia più totale, e la legislazione vigente ora in materia permane in uno stato di disorganicità a dir poco imbarazzante. Speriamo nel futuro… Riportando il discorso al di fuori dell’ambito didattico, va detto, ad onor del vero, che buona parte dei cosiddetti “addetti ai lavori” sta pagando il prezzo della profonda frattura tra musicisti e pubblico, provocata dalle correnti artistiche dell’immediato dopoguerra. E’ inutile negarlo, e la Storia lo dimostra: due conflitti di portata devastante patiti nel giro di trent’anni – le due Guerre Mondiali – hanno inciso pesantemente sulla società del XX secolo, in tutti gli ambiti; gli animi più sensibili, cioè gli Artisti, hanno sofferto molto di più delle persone comuni, e lo possiamo vedere, ascoltare e, volendo, anche toccare con mano in molte delle loro opere d’arte. Inoltre, la sempre più massiccia diffusione di mass media di contenuto tecnologico anche elevato, se da un lato ha reso possibile la fruizione personale “differita” di un fenomeno musicale (cioè non legata all’evento live e gestibile a proprio piacimento; si pensi ai moderni lettori mp3…), dall’altro ha soggiogato il medesimo fenomeno alle ciniche leggi della Domanda e dell’Offerta. Le conseguenze sono ben note, e non è questa la sede adatta per elencarle; quel che più dovrebbe spaventare è la creazione spontanea di un vero e proprio popolo di ascoltatori passivi, i quali evitano accuratamente di approfondire le proprie conoscenze al fine di essere in grado di valutare meglio – quindi, forse, di apprezzare di più – quanto stanno ascoltando. Da questo aberrante fenomeno di appiattimento, spiace dirlo, non si esimono alcuni musicisti: per queste persone, la superficialità si paga in termini di incompetenza, e quello che dovrebbe essere un divertimento (suonare) si trasforma in una gara a “chi fa tutte le note giuste nel minor tempo”, con conseguenti crisi depressive e frustrazioni. Ma suonare non è una corsa ad ostacoli, né tantomeno una condanna ai lavori forzati… Sia chiaro, chi scrive non ha assolutamente tempo, voglia e possibilità oggettive per cambiare le cose, ma soltanto un fortissimo rammarico per la perdita di quella 5

dimensione artigianale della musica, caratteristica che ha costituito la spina dorsale del “sistema – musica” per secoli (si pensi al Rinascimento, al Barocco, o agli inizi del jazz), e che potrebbe essere oggi recuperata e sfruttata per riuscire a dire qualcosa di personale anche in tempi come questi, in cui troppe persone insistono nel sostenere, a torto, che ormai non c’è più nulla da inventare. Questo lavoro nasce come documento didattico, essendo richiesto per la Prova Finale del Corso di Laurea Specialistica Biennale di II Livello in Discipline Musicale, e si prefigge di offrire una disamina storica, stilistica e tecnico – esecutiva del Concerto in Mi maggiore per Tromba ed Orchestra di Johann Nepomuk Hummel, a coronamento di un percorso di studi nel quale la dissertazione storica ed analitica ha viaggiato di pari passo all’applicazione strumentale, secondo un mix equilibrato ed esaustivo: la mia speranza è che queste pagine possano essere considerate un umile strumento di approfondimento per coloro che volessero saperne di più su questa composizione, o eventualmente un supporto di studio oppure ancora un mezzo per elaborare un’opinione personale. Gianpiero Lo Bello

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CAPITOLO 1 JOHANN NEPOMUK HUMMEL: NOTE BIOGRAFICHE

SOMMARIO

LA VITA

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LE OPERE

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7

LA VITA Nato a Bratislava (Boemia) il 14 novembre 1778, Johann Nepomuk Hummel (nome boemo Johan Nepomuka) riceve le prime lezioni di musica dal padre Johannes, il quale all’epoca aveva già avuto diversi incarichi, anche di un certo prestigio: violinista della cappella viennese del principe Grassalkovic; direttore musicale del Collegio Militare Wartberg, nei pressi di Bratislava; direttore del Theatre auf der Wieden (quello che poi diventerà il Theatre an der Wien) di Vienna, ove l’impresario è Schikaneder . La famiglia Hummel si stabilisce in questa città nel 1785, e il piccolo Johann viene notato da Mozart, il quale lo ospita in casa, dandogli lezioni di pianoforte per 2 anni; nel 1787, fa probabilmente il suo debutto in pubblico, in un concerto diretto dallo stesso Mozart: la carriera concertistica ha inizio ufficialmente due anni dopo. Accompagnato dal padre, Johann Nepomuk si esibisce in diverse tournées in quasi tutta Europa, stabilendosi prima ad Edimburgo e poi a Londra, nel 1790: nella capitale britannica ha modo di prendere alcune lezioni da Muzio Clementi. Il ritorno a Vienna risale al 1793: qui si perfeziona con musicisti come Albrechtsberger e Salieri, perfino con Haydn, il quale lo inizia alla tecnica organistica; gli anni viennesi sono pieni di soddisfazioni, sia economiche che personali, per Hummel: 8

già nel 1799, egli è infatti considerato uno dei migliori pianisti del tempo, specialmente per le sue doti improvvisative. Sfrutta rapidamente e nel modo migliore la sua fama: è noto che il giovane Franz Liszt diventa allievo di Czerny solo perché suo padre non poteva permettersi le esorbitanti richieste di Kummel, in qualità di insegnante. Haydn, nel 1804, lo raccomanda personalmente al principe Esterhàzy, il quale lo assume come maestro di cappella a Eisenstadt. La sua maggiore inclinazione alla composizione e alle lezioni private, però, gli fanno perdere questo incarico nel giro di sette anni, per cui, alla fine del 1811 rientra a Vienna: qui vive per alcuni anni, dando lezioni e concerti (alcune cronache affermano che partecipa come timpanista ad una esecuzione del Wellington’s Sieg di Beethoven, nel 1814). Nel 1813 sposa la cantante Elisabeth Röckel, sorella di un cantante molto vicino a Beethoven piuttosto apprezzata all’Opera di Vienna; due anni più tardi è nominato Hofkapellmeister a Stoccarda, carica dalla quale si dimette nel 1818 a causa dei contrasti con l’impresario del Teatro di Corte, non prima di aver preso posizioni a favore di Mozart, Salieri, Beethoven e Cherubini; allora, accetta la nomina a maestro di cappella presso la corte del Granducato di Weimar, conservando il posto fino alla morte. Qui, il generosissimo trattamento economico, che prevedeva tra l’altro tre mesi di vacanza all’anno, gli permette di mantenere un’intensa attività concertistica, anche al di fuori dell’Impero Asburgico: Germania, Belgio, Inghilterra, Francia, Polonia (è della fine del 1818 l’incontro con Chopin), Russia (fa parte della delegazione della Granduchessa di Weimar a Pietroburgo, nel 1822). Muore a Weimar il 17 ottobre del 1837. La sua carriera artistica inizia con una forte influenza stilistica di Mozart. Gli storici sono concordi nel dividere tra Kummel e Ignaz Moscheles la discendenza diretta del panismo mozartiano, così come sono concordi nel definire la scrittura hummeliana per pianoforte un “anello di congiunzione” tra il Grande Viennese e Chopin da una parte e Liszt dall’altra, specialmente per quello che riguarda l’uso degli abbellimenti. I critici a lui contemporanei gli attribuirono una musicalità piena di “grazia, purezza e raffinatezza classica” (1823); oggi, col senno di poi, si può notare qualche pecca a livello di profondità dei contenuti, con un ricorso talvolta eccessivo agli abbellimenti proprio per nascondere questa superficialità.

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Generalmente, Johann Nepomuk Hummel si colloca, per ragioni cronologiche ed artistiche, tra Classicismo e Romanticismo, come testimonia, ad esempio, l’uso poco spinto del pedale nelle composizioni pianistiche; questa, insieme ad altre concezioni nuove, incisero piuttosto profondamente anche nel suo metodo didattico: la sua Anweisung zum Pianofortespiel si pone allo stesso livello dei lavori d’insegnamento di Czerny e Kalkbrenner, ed offre soluzione di estrema semplicità; purtroppo, però, l’opera si pone in ritardo per i suoi tempi, in quanto il pubblico dell’epoca ha già cominciato ad apprezzare di più uno stile più patetico, “alla Liszt”. LE OPERE La produzione di Hummel è enorme, tutta concentrata in un lasso di tempo relativamente breve; come il suo maestro e mentore Mozart, ma anche secondo una prassi consolidata per il tempo in cui visse, gli ambiti nei quali il musicista boemo si cimenta sono eterogenei, e classificabili come segue: •

COMPOSIZIONI PER IL TEATRO: 8 opere teatrali complete e 7

Singspielen; arie, pezzi d’insieme e ouvertures per opere a nome di altri compositori (tra questi, Gluck, Auber, Mozart, Weigl, Gyrowetz, Kanne e Beethoven); numeri di balletti; musiche di scena. •

COMPOSIZIONI PER ORCHESTRA: marce, ouvertures, minuetti, trii,

polacche, valzer, danze varie. •

COMPOSIZIONI PER STRUMENTO E ORCHESTRA: 8 concerti, rondò,

concertini, tema con variazioni, fantasie per pianoforte ed orchestra; un potpourri per viola; un tema con variazioni per oboe; un concerto per fagotto. Non ha numero d’opera il Concerto per tromba ed orchestra. •

COMPOSIZIONI VOCALI: 6 cantate per solista, coro ed orchestra, 5

messe complete, numerosi pezzi sacri sciolti, un oratorio, cori, Lieder. •

MUSICA DA CAMERA: numerosissimi trii, quartetti, quintetti, sestetti e

settimini (organici variabili, con o senza pianoforte), sonate, rondò, notturni, potpourris, capricci, danze.

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CAPITOLO 2 CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE DELLO STRUMENTO

SOMMARIO

FASE 1: LA TROMBA A TIRO

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FASE 2: LA TROMBA NATURALE

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FASE 3: TROMBE BAROCCHE A TIRO, TROMBE A MANO, TROMBE CON POMPE E RITORTE INTERCAMBIABILI E TROMBE A CHIAVI 12 FASE 4: LE TROMBE A MACCHINA

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CONCLUSIONI

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Il Concerto per Tromba ed Orchestra in Mi bemolle Maggiore di Franz Joseph Haydn è stato scritto nel 1796, quello in Mi Maggiore di Johann Nepomuk Hummel 6 anni più tardi; potrebbe essere utile, se non indispensabile, fare qualche considerazione di carattere storico sugli strumenti utilizzati all’epoca per l’esecuzione di quelle musiche. E’ ben noto che nel 1813 Heinrich Stoelzel, cornista di corte a Pless (Slesia settentrionale), introdusse le valvole al corno, dotando della scala cromatica una categoria di strumenti che, fino ad allora, era in grado di riprodurre esclusivamente i suoni armonici della tonalità in cui erano costruiti. Quattordici anni più tardi, nel 1827, il nuovo e rivoluzionario brevetto fu applicato anche alla tromba, da Friedrich Blühmel, anch’egli cornista, giovane collaboratore di Stoelzel e membro di una banda di minatori .E’ altrettanto noto che il passaggio dalla tromba naturale alla tromba a macchina non fu improvviso, ma frutto di un processo evolutivo, costellato di continui perfezionamenti e governato da regole artigianali, artistiche e tecnologiche ad un tempo solo. Questa evoluzione si può sostanzialmente riassumere in quattro fasi ben distinte: Fase 1: la tromba a tiro; Fase 2: la tromba naturale; Fase 3: tromba barocca a tiro, tromba a mano, tromba con pompe e ritorte intercambiabili, tromba a chiavi; Fase 4: la tromba a macchina. Per ragioni di sintesi e coerenza della presente trattazione, verranno esclusi gli strumenti per i quali le notizie storiche si mescolano, perdendo veridicità, con la mitologia, benché il cammino del progresso non possa prescindere da essi: è infatti pressoché impossibile immaginare la tromba moderna senza gli illustri antenati di epoca egiziana, siriana, assiro – babilonese, romana, scandinava, ma neanche senza tutti quegli strumenti usati in epoca medioevale. Nondimeno, da un punto di vista più strettamente tecnico – esecutivo, è impossibile non considerare, anche se in semplice forma di citazione, l’esperienza rinascimentale del cornetto: questo strumento non appartiene alla famiglia degli ottoni in quanto ligneo con il fusto curvo e forato, e veniva suonato con una diteggiatura simile a quella del flauto dolce; il cornetto compare sulla scena quasi all’improvviso verso la fine del Trecento e, altrettanto repentinamente, scompare poco 12

più di due secoli più tardi, eppure ha modo di lasciare un segno profondo nella prassi esecutiva, facendo in modo che, per la prima volta, per gli strumenti d’ottone a bocchino si parli di virtuosismo. Esaurite le premesse, le fasi evolutive di cui si parlava possono quindi essere ora sinteticamente descritte.

FASE 1: LA TROMBA A TIRO Dando per assodato che il Rinascimento sia stato caratterizzato dal dominio del cornetto sugli altri strumenti a bocchino, è altrettanto vero (e abbondantemente documentato) che gli ottoni, in quel periodo, abbiano avuto numerose applicazioni musicali, e non solo militari come è lecito pensare, tant’è vero che già alcune composizioni religiose a tre voci di autori franco – fiamminghi risalenti alla prima metà del ‘400, nonché numerose musiche per la danza dello stesso periodo (note col nome di basse danses ed eseguite dai menestrelli durante banchetti o feste) recano la scritta “trompetta” o “tuba” per la parte più grave, e l’andamento diatonico della melodia assegnata lascia intendere la possibilità di ottenere delle vere e proprie scale; inoltre, molte fonti iconografiche coeve suggeriscono l’esistenza e l’effettivo utilizzo di “trombe da tirarsi”. Il primo pensiero va al trombone, con la coulisse formata da due porzioni estraibili parallele; in realtà le trombe a tiro rinascimentali sono strumenti piegati a forma di S con un unico ramo estraibile, pertanto, le note ottenibili erano limitate da un semplice fattore anatomico: la lunghezza del braccio dello strumentista. Per questo motivo, ma anche a causa dell’intervento della Gilda Imperiale1 il trombone sopravvive e viene usato in maniera sempre crescente, a differenza della tromba a tiro, il cui utilizzo si esaurisce dopo un periodo relativamente breve. FASE 2: LA TROMBA NATURALE E’ lo strumento che dominò il periodo barocco, come testimoniano numerose ed autorevolissime fonti bibliografiche. Gli strumenti migliori erano quelli di fabbricazione tedesca e inglese, mentre il più grosso contributo al repertorio per tromba e i primi 1

La Gilda Imperiale dei Trombettisti era una specie di “sindacato”, una corporazione alle dirette dipendenze dell’aristocrazia. Ai suoi membri, verso la fine del Cinquecento, venne proibito l’uso della tromba a tiro, in quanto essa veniva considerata come una aberrazione della tromba utilizzata tradizionalmente nei campi di battaglia.

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trattati furono di provenienza italiana: si vogliono qui citare “Tutta l’arte della trombetta” di Cesare Bendinelli (1614) e “Modo per imparare a sonare di tromba” di Girolamo Fantini (1638). La caratteristica fondamentale di questo tipo di strumento è quella di avere un canneggio decisamente lungo, in funzione della tonalità in cui sono tagliate: riferendosi al diapason moderno e agli strumenti utilizzati a corte – quelli che vengono definiti “cammerton”, cioè “corista da camera”, per distinguerli da quelli “chorton” ossia “corista da cappella” e dalle trombe utilizzate dai reparti di cavalleria – gli esemplari più usati erano in Fa (lunghezza del tubo pari a circa166 centimetri), Mi bemolle (ca. 200 cm), Re (ca. 212 cm) e Do (ca. 238 cm). Questa maggior lunghezza degli strumenti antichi, rispetto a quelli moderni, trova una spiegazione di carattere fisico – acustico: un tubo più lungo ha gli armonici superiori (dal 6° in avanti) più vicini, e gli eventuali difetti di intonazione potevano essere corretti per mezzo di “aggiustamenti” di labbro dell’esecutore, il quale era facilitato in questo da un bocchino dotato di appoggio largo e piatto, diametro interno della tazza piuttosto largo e confortevole e foro ben più largo in confronto a quello dei bocchini usati oggi. L’esperienza della tromba naturale non avrebbe potuto lasciare il segno che ha effettivamente lasciato se, a monte, non ci fosse stata la felice parentesi del cornetto, la quale lasciò una quantità impressionante di informazioni preziosissime a livello di prassi esecutiva e di interpretazione; la vicinanza degli armonici superiori, infatti, richiedeva una tecnica strumentale decisamente avanzata per ottenerli con l’eleganza e lo stile richiesti dai compositori.

FASE 3: TROMBE BAROCCHE A TIRO, TROMBE A MANO, TROMBE CON POMPE E RITORTE INTERCAMBIABILI E TROMBE A CHIAVI L’esistenza di trombe barocche a tiro è testimoniata dalle indicazioni nelle partiture (Zugtrompeten) delle cantate che Bach e Kuhnau scrissero a Lipsia nei primi decenni del XVIII secolo, mentre in Francia ed in Inghilterra si hanno notizie di strumenti con parti mobili chiamati flat trumpet (il termine flat, letteralmente “bemolle”, indica la possibilità di suonare in tonalità minore). Questi esemplari si rifacevano alle esperienze maturate nel campo dell’esecuzione con la tromba naturale, impreziosite dalle 14

potenzialità diatoniche fornite dalla coulisse, ma nonostante ciò trovarono scarso successo: forse perché si rivelarono come una sorta di “doppione” del trombone soprano, di sicuro perché, nel frattempo, erano state introdotte le valvole negli ottoni. Sempre nel tentativo di ovviare alle lacune degli strumenti naturali, negli ultimi anni del ‘700 molti “addetti ai lavori” (dai semplici appassionati ai professionisti) profusero i loro sforzi alla ricerca di sistemi sempre nuovi e perfezionati. « […] Fra loro vi erano dei suonatori di tromba che sperimentarono l’introduzione di fori laterali e di chiavi, nonché l’uso della tecnica della mano nella campana. Non meraviglia quindi il constatare come nello stesso tempo la vecchia musica per clarino2 apparisse sempre più inadeguata e come i compositori e gli esecutori mostrassero un crescente disinteresse nei confronti dei suoi temi stereotipati e fuori moda. Fu infatti solo grazie al registro di principale3, con il suo linguaggio fresco ed evocativo, che la tromba naturale conservò un proprio ruolo nell’orchestra classica. […] Altenburg4 auspicava un ampliamento degli orizzonti della tromba […]5» Pertanto, la tecnica del corno a mano venne utilizzata sperimentalmente anche sulla tromba, la quale doveva però avere una forma adatta al nuovo tipo di utilizzo: venne così brevettata, ad esempio, la trompette demilune, una tromba a forma di mezzaluna di canneggio corto, spesso e volentieri dotata di ritorte intercambiabili, vagamente imparentata con il corno segnale a mano. Questa tecnica, sperimentata su modelli diversi per fattura ed

intonazione che in quel periodo vennero brevettati, si dimostrò più

funzionale agli usi orchestrali: in quel contesto, il suono chiuso risultava gradito, e i cambi di ritorta relativamente comodi da eseguire. Non è poi così difficile pensare che l’idea di ritorte addizionali fu il passo decisivo verso l’introduzione delle valvole, così

2

Col termine “clarino” si sottintendono tutte quelle parti scritte nel registro sovracuto, ad esempio quelle nelle messe di Bach, o nel concerto per Tromba e Archi di Michael Haydn. Il parallelo con la “chiarina” medievale non è così immediato. 3 Il “principale” è la parte derivata dalla quinta (detta anche “sonata”) delle antiche fanfare di cavalleria. E’ la parte che permise le prime evoluzioni della tecnica dello staccato (semplice, doppio o triplo). 4 Ernest Johann Altenburg (Weissenfels, 1736 – Bitterfeld 1801), notissimo compositore, organista e concertista, nonché appassionato studioso degli strumenti d’ottone. Al loro perfezionamento si dedicò per quasi tutta la durata della sua attività professionale, scrivendo anche il trattato “Arte di sonare la tromba ed i timpani, con accenni storici, teorici e pratici, arricchito da esempi” 5 Anthony BAINES, “Brass Instruments”, 1976. Edizione italiana: “Gli Ottoni”, 1991 E.D.T. Torino.

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come è alquanto semplice notare in questo modus operandi un primo esempio di intercambiabilità degli strumenti, oggi prassi riconosciuta in orchestra. Parallelamente alla tecnica della mano, si sviluppa la consuetudine di praticare dei fori laterali nel canneggio delle trombe. A dire il vero, questa prassi era stata sperimentata dapprima nei corni e poi nelle trombe, e nonostante i nobili tentativi di Haydn e Hummel, questa tipologia di strumenti non prese campo, principalmente a causa del fatto che i fori laterali (e gli espedienti usati per la loro apertura e chiusura) smorzavano, e di conseguenza snaturavano, il suono prodotto da uno strumento concepito senza interruzioni nel canneggio. Una disamina più approfondita della tromba a chiavi è presente nel capitolo successivo.

FASE 4: LE TROMBE A MACCHINA La conclusione del processo evolutivo sintetizzato nelle pagine precedenti trova la sua conclusione con il brevetto della tromba munita di pistoni che aprono e chiudono delle pompe aggiuntive: in questo modo, si concretizzarono tutti i tentativi di dotare con la gamma cromatica uno strumento diatonico, per giunta limitato in estensione. Il ritrovato di Bluhmel e Stölzel si rivelò così geniale da dare il via a tutta una serie di famiglie di nuovi strumenti: molti di essi ebbero vita breve, e rimangono sui libri di storia e nelle leggende metropolitane dei musicisti, molti altri sopravvissero e si diffusero, trovando utilizzi che perdurano tutt’oggi. E’ ovvio che una soluzione del genere, decisamente compromissoria, aveva un prezzo da pagare, in termini di “bontà acustica”: la perdita del suono puro ed originario della tromba naturale a causa delle curvature del tubo principale e delle porzioni di tubo aggiuntive: fattore, questo, imputabile ad un fenomeno di fluido – dinamica per il quale più il percorso di un fluido all’interno è tortuoso, più elevate saranno le turbolenze, con ripercussioni piuttosto negative a livello acustico, ma soprattutto tecnico – esecutivo. Inoltre, una maggiore compressione dello strumento dotato di macchina obbligava ad usare bocchini con misure di molto inferiori rispetto a quelli usati negli strumenti senza pistoni, con le conseguenze che verranno meglio spiegate nel capitolo 5.

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CONCLUSIONI Franz Joseph Haydn e Johann Nepomuk Hummel, come si può evincere dai paragrafi precedenti, scrissero i loro concerti in un’epoca in cui grande era il fermento artistico e tecnico intorno agli strumenti d’ottone. I due musicisti recepirono i gusti del pubblico e le esigenze degli esecutori, lasciando ai posteri due composizioni molto pregevoli sotto il profilo dei contenuti stilistici: la loro analisi è riportata nel capitolo 5. Nondimeno, è universalmente riconosciuto che questi concerti siano piuttosto difficili da eseguire: pertanto, un personale contributo analitico delle difficoltà esecutive congenite è invece presente nel capitolo 6.

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CAPITOLO 3 LA TROMBA A CHIAVI: NASCITA, SCOMPARSA E RINASCITA

SOMMARIO

ANTON WEIDINGER: IL PIONIERE, L’INVENTORE

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IL DECLINO

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LA RINASCITA

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PER SAPERNE DI PIU’

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ILLUSTRAZIONI IN QUESTO CAPITOLO

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ANTON WEIDINGER: IL PIONIERE, L’INVENTORE Nella seconda metà del XVIII secolo, come accennato in precedenza, la tromba naturale conosce un periodo di declino. Solamente l’invenzione della tromba a chiavi rende possibile l’esecuzione di una scala cromatica intera da parte di un suonatore di tromba. Il trombettista (anche se sarebbe più corretto dire trombista) della corte di Vienna, Anton Weidinger (Vienna, 9 giugno 1767 – 20 settembre 1852), entra a far parte del Corpo Imperiale dei Trombettisti di Corte nel 1799; proprio in quel periodo, progetta – e successivamente, brevetta – una tromba dotata di chiavi, che aprono e chiudono fori (in numero variabile da 3 a 5) praticati ad arte lungo il tubo dello strumento stesso. La sua invenzione, probabilmente, va oltre le sue stesse aspettative, in quanto il suo progetto originario prevede la costruzione di uno strumento in grado di suonare cromaticamente, basandosi sui primi esempi di trombe, o meglio, di corni a chiavi. Il 28 marzo del 1800, il Concerto scritto da Franz Joseph Haydn viene eseguito per la prima volta nel Teatro di Corte di Vienna: il musicista lo aveva scritto quattro anni prima proprio per Weidinger, come atto di amicizia nei suoi confronti ma anche (e, forse, soprattutto…) come forma di interesse per l’innovazione strumentale. Fino a quel momento, la scrittura trombettistica di Haydn aveva mostrato caratteri di supporto armonico o, talvolta, sottolineatura di un particolare effetto o “emozione”: quasi mai qualcosa di superiore o diverso. Con questa decisa presa di posizione a favore del nuovo potenziale fornito dallo strumento che lo stesso Weidinger chiama “organisierte Trompete” (“tromba organizzata”), si realizza qualcosa di totalmente innovativo, nel quale il materiale sonoro è fatto di passaggi cromatici e melodie diatoniche, al posto delle tradizionali triadi spezzate e motivetti “da fanfara”. L’opera di “proselitismo” di Weidinger non si ferma qui, però, tant’è vero che, intorno al 1803, si rivolge anche a Johann Nepomuk Hummel: quest’ultimo cede alle sue lusinghe, e gli scrive un brano per tromba a chiavi che riceve un’accoglienza molto positiva durante un concerto della tournèe che il trombettista stava effettuando, in quel tempo. Il risultato è la composizione del “Concerto a Tromba Principale”, quello di cui si parla in questo lavoro monografico: la prima esecuzione pubblica è datata 1° gennaio 1804, presso la corte degli Esterhàzy. Molti storici sono concordi nel sostenere che, con tutta probabilità, lo stesso Weidinger, prima della prima esecuzione, elabora la parte 19

solistica, più che altro per adattare la scrittura allo strumento e rendere eseguibile il brano. IL DECLINO La tromba a chiavi sparisce dalla scena musicale intorno agli anni ’40 dell’Ottocento: al suo posto, per i motivi già trattati nel capitolo precedente, trova una grande diffusione la tromba a pistoni; solo alcune opere teatrali di Rossini e Meyerbeer prevedono in organico lo strumento a chiavi, in funzione delle qualità acustiche più funzionali allo scopo. L’ultima composizione degna di essere qui citata, scritta appositamente per il vecchio esemplare è, senza ombra di dubbio, il “Concertone per Flauto, Clarinetto, Tromba a Chiavi, Corno e Orchestra” di Michele Puccini (1838). LA RINASCITA Grazie al lavoro di alcuni artigiani, che hanno studiato gli strumenti antichi conservati nei musei e, di conseguenza, iniziano a produrne delle copie, è oggi possibile, ai musicisti, cominciare a studiare e riscoprire la tecnica esecutiva delle trombe a chiavi. Questo rinnovato interesse perla filologia strumentale rende nuovamente udibile, ed in maniera molto fedele rispetto all’originale, la musica di compositori come Giovanni Gabrieli (per quanto riguarda il cornetto), Johann Sebastian Bach (nell’ambito della tromba naturale e barocca) e, ovviamente, Haydn e Hummel. Il trombettista americano David Hickman, nella primavera del 1972, esegue in pubblico il II ed il III Movimento del Concerto di Haydn con una tromba a chiavi in Mi bemolle, costruita da Gerald Endsley, accompagnato da un pianista, presso l’Università Statale di Wichita (Kansas, U.S. A.). Presso la Biblioteca è ancora disponibile alla visione una ripresa audiovisiva dell’intero recital: a detta dello stesso Hickman, la qualità della ripresa è scarsa, ma abbondantemente bilanciata dal suo valore artistico e storico. In una intervista dopo il concerto, il solista esprime il suo vivo interesse per la tromba a chiavi, e la sua volontà di rendere pubblici i suoi risultati, come dimostra una lezione – concerto del 1975, presso l’Università dell’Indiana, in occasione di una delle prime conferenze dell’International Trumpet Guild (I.T.G.). L’anno successivo, il 1973, vede altre due esecuzioni pubbliche del Concerto di Haydn, ad opera di due allievi di Edward Tarr con uno strumento fabbricato da Egger. Il 20

primo di questi, il finlandese Åke Öst, si esibisce il 24 marzo, con l’Orchestra Sinfonica di Motala, mentre invece il norvegese Bearne Volle, sempre in primavera ma un paio di mesi più tardi tiene prima un concerto e, successivamente, una lezione illustrativa sullo strumento e la sua prassi esecutiva presso il Conservatorio di Oslo. Il cosiddetto “revival” della tromba a chiavi continua tutt’oggi, e tra tutti quei musicisti che hanno preso parte a questo fenomeno artistico – culturale si possono distinguere due distinte generazioni: 1 – Prima Generazione: sono i “coraggiosi”, e tra loro vi si annoverano il tedesco Walter Holy (dai più ritenuto come un pioniere), gli statunitensi Don Smithers e il già citato Edward Tarr e l’inglese Michael Laird; 2 – Seconda Generazione: è composta da musicisti che, prima di cimentarsi con lo strumento a chiavi, si sono misurati con la tromba barocca. Tra di loro, ricordiamo i tedeschi Friedemann Immer (forse il primo ad eseguire il Concerto Brandeburghese n°2 di Johann Sebastian Bach con la tromba naturale6) e Reinhold Friedrich, e gli inglesi Mark Bennett (allievo di Michael Laird) e Crispian Steele – Perkins.

PER SAPERNE DI PIU’ Le fonti bibliografiche sulla tromba a chiavi, se si escludono i capitoli a lei dedicati sui grandi trattati di teoria e interpretazione del XVIII secolo, sono composte per lo più da opere monografiche scritte da insegnanti o studenti di Conservatori o Accademie, o talvolta articoli pubblicati sulle riviste specializzate sugli strumenti in ottone (quali, ad esempio, Brass Bulletin e Brass Quarterly). Coloro che fossero intenzionati ad avere maggiori informazioni sull’argomento specifico, possono cercare e consultare le pubblicazioni indicate qui di seguito. Reine Dahlqvist: The Keyed Trumpet and Its Greatest Virtuoso, Anton Weidinger. Articolo pubblicato su “The Brass Press”, 1975 ; 6

L’esecuzione di quel brano è molto difficile con la moderna tromba piccola in Si bemolle acuto, e per molto tempo considerata addirittura impossibile con la tromba naturale.

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Bidrag til trumpeten og trumpetspelets historia. Tesi finale di un Master organizzato dall’Università di Gothenburg, 1988; William Greene: The Haydn Concerto in Performance. Tesi di fine corso presentata alla San José University, Dipartimento di Musica, 1985; Edward Tarr: J. Haydn Trumpet Concerto, Universal Edition. Prefazione al Concerto.

ILLUSTRAZIONI IN QUESTO CAPITOLO Pag. 21: Tromba a chiavi in Sol con ritorte addizionali e cannello d’imboccatura intercambiabile, fabbricata da John Webb, Londra, 1988 (copia). Esemplare conservato al Museo Nazionale della Musica, Università del Sud Dakota, n° di catalogo NMM 6909. Pag. 22: Tromba a chiavi in Sol, Fabbrica Fratelli Hoyer, Vienna, 1835 circa. Esemplare conservato al Museo Nazionale della Musica, Università del Sud Dakota, n° di catalogo NMM 10786.

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CAPITOLO 4 ANALISI DEL BRANO

SOMMARIO

PRIMO MOVIMENTO – ALLEGRO CON SPIRITO

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SECONDO MOVIMENTO - ANDANTE

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TERZO MOVIMENTO – RONDO’ (ALLEGRO)

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Prima di procedere all’analisi del concerto, è necessario fare una premessa. La partitura di riferimento è quella ridotta per pianoforte e tromba7, trasposta un semitono sotto (da Mi maggiore a Mi bemolle maggiore) per facilità di esecuzione con strumenti in Si bemolle. Le conseguenze acustiche ed esecutive di questo abbassamento di tonalità verranno esposte nel successivo capitolo. Lo schema formale della composizione si rifà, in linea generale, a quello del concerto classico per strumento solista ed orchestra: un Primo Movimento, Allegro con spirito, con cadenza finale, nella tonalità d’impianto (Mi maggiore); un Secondo Movimento, Andante, alla sottodominante con cambio di modo (La minore); infine, il Terzo Movimento, in forma di Rondò, Allegro, nuovamente in Mi Maggiore. Le novità di questa composizione possono essere trovate nei contenuti, più che nella forma: l’analisi che segue si propone di evidenziare queste novità stilistiche.

PRIMO MOVIMENTO – ALLEGRO CON SPIRITO Uno sguardo d’insieme lascia intendere che il Movimento ricalca la struttura bitematica e tripartita tipica degli Allegro di Sonata, sperimentata con successo da Beethoven nelle composizioni per piano solo: questo dimostra l’influenza stilistica che quest’ultimo esercitò su Hummel, come anticipato nel capitolo dedicato alla sua biografia, e anche la datazione del Concerto per Tromba ed Orchestra (1803) ne è prova. Il concerto si apre con un’introduzione orchestrale piuttosto lunga, nella quale vengono anticipati gli spunti tematici principali del solista, intercalati da figurazioni ritmiche e melodiche che si riveleranno essere proprie dell’accompagnamento orchestrale: in totale 65 misure (nella riduzione per pianoforte, c’è l’indicazione di un taglio opzionale da misura 29 a misura 59 comprese). Ovviamente, questo episodio introduttivo inizia nella tonalità d’impianto, ma già dopo 21 battute si modula alla dominante: la conferma del nuovo centro tonale, sebbene passeggero, dura 9 battute, dopodichè un breve spunto omoritmico a crome col punto e semicrome (misure 31 – 34), di sapore vagamente orientale con il sesto grado abbassato, prepara ad un pedale di Si maggiore il quale va ad esaurirsi con la corona di misura 42.

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Riduzione per pianoforte a cura di Karl Heinz Fuessl, Edizioni International Music Company, New York 1959

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La ripresa avviene con il richiamo (o, meglio, con l’anticipazione…) del secondo tema della parte solistica, dapprima alla tonica e poi sul secondo grado; un passaggio al basso della melodia principale, concluso da un’armonia di sottodominante, apre la strada alla frazione conclusiva dell’introduzione orchestrale, nella quale tutto ruota intorno al quinto grado, ora con funzione di tonica, ora di pedale vero e proprio. La tromba solista esordisce col primo tema a misura 66: è un tema chiaramente trombettistico, maschile, fiero e risoluto nella prima frase, più delicato nella seconda, per poi ritornare battagliero nella terza. Da notare l’elemento di novità ritmica, costituito dalla figurazione terzinata delle misure 82 e 83. L’esposizione del primo tema si può considerare conclusa alla battuta 90, momento in cui inizia il ponte modulante: un disegno melodico iniziale a valori relativamente larghi si infittisce via via, mentre la progressione armonica scorre fluida, con una successione ben bilanciata di II – V – I che portano al secondo tema, in tonalità di Si maggiore (misura 111, quarto movimento).

Anche in questo caso, il corpus

tematico può essere scisso in tre frammenti: i primi due sono pressoché simili, sostanzialmente diatonici, mentre il più interessante è il terzo, in quanto c’è una modulazione di passaggio a Sol maggiore, il sesto grado minore (!). Un espediente inusuale, fino ad allora, dove si osserva un andamento decisamente cromatico del basso: difficile riscontrare qualcosa di simile nelle composizioni per strumento ed orchestra precedenti, a ulteriore testimonianza della relativa vicinanza (stilistica e geografica) di Hummel a Ludwig Van Beethoven. Una figurazione a salti sempre più ampi, a crome, seguita da due chiari arpeggi discendenti Si maggiore – Fa# maggiore e da una loro successiva elaborazione a terzine, aprono la strada all’ultima parte dell’episodio solistico, che segna un “ritorno alla tradizione”, con quel trillo Do# - Re# a chiudere sul Si maggiore di arrivo di misura 146. A questo punto, per dar modo al solista di “tirare il fiato”, nel vero senso della parola, il compositore prevede un interludio orchestrale8 che richiama molto l’introduzione, specie nella sua parte finale; una decisa virata la si avverte a misura 170: nello spazio di sei battute, si passa dal Si maggiore di prima al Do maggiore della ripresa del primo tema, passando di nuovo attraverso il Sol maggiore: alla luce della nuova 8

Anche in questo caso, nella riduzione pianistica è presente un taglio opzionale, da misura 157 a misura 169 comprese.

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tonalità, quel Sol maggiore descritto poche righe innanzi si può considerare un’anticipazione del discorso che si sta preparando. Sull’ultimo movimento della misura 175, dunque, inizia la ripresa nella tonalità di Do maggiore: una sorta di “riassunto” di quanto ascoltato fino a quel momento, dove si ha modo di sentire i due spunti tematici principali (il primo finisce sul primo movimento di battuta 182, il secondo, invece, sul primo movimento di 186), ed un passaggio modulante di carattere melodico nella prima frase (ultimo movimento di 189 – levare di 197) e nuovamente a salti nella seconda frase, con un disegno simile ma presentato dapprima per crome e poi per terzine; tutto ciò sfocia in un pedale di dominante, nuovamente in Si maggiore (misure 201 – 210), il quale porta direttamente alla ripresa del tema nella tonalità d’origine. Da un punto di vista stilistico, questo episodio appena descritto potrebbe avere una sua spiegazione col fatto che, con tutta probabilità, il compositore abbia inteso di mostrare le potenzialità cromatiche dello strumento, il quale, con l’ausilio delle chiavi, era in grado di suonare cromaticamente e in tonalità anche piuttosto lontane tra loro. Inoltre, la ripresa dei due temi della prima parte, che inizia a misura 210, richiama vagamente la pratica dell’”aria col da capo”, tanto in uso nel melodramma del ‘700 e dei primi dell’’800. Fino alla misura 220, dunque, il tema iniziale viene riproposto tale e quale, dopodichè prende forma un episodio caratterizzato dalla modulazione di passaggio in La maggiore, che porterà nuovamente al Mi maggiore d’impianto passando attraverso le tonalità di Fa# (prima minore, poi maggiore) e di Si; il tutto compreso nelle misure da 221 a 240. Qui, la parte solistica non fa altro che riproporre frammenti tematici già ascoltati in precedenza, ovviamente trasposti nella nuova tonalità: la medesima cosa accade da 241 a 247, dove l’andamento melodico e ritmico richiama quasi fedelmente quello delle battute da 100 a 106. Il procedimento delle “riproposizioni” continua, essenzialmente, fino alla cadenza, posta a misura 286: dopo la libertà lasciata al solista, il Primo Movimento va a concludersi in maniera piuttosto tradizionale con uno “stretto” costruito su un’armonia di dominante (i cromatismi del basso si possono intendere come note di passaggio, la costruzione è sostanzialmente sulla dominante) e da un moto melodico agitato, dapprima terzinato, poi a quartine di semicrome, infine con un classico trillo Fa# - Sol# a chiudere 28

poi sul Mi. Le 13 battute che portano alla fine sono prese quasi tali e quali dall’introduzione. SECONDO MOVIMENTO - ANDANTE La prima cosa che spicca, nell’edizione consultata, è l’indicazione ritmica: il tempo è “a cappella”, con accordi battenti a terzine per quasi tutto il movimento (da misura 1 a 52, su un totale di 71), e le parti gravi a sottolineare l’armonia ad accordi spezzati (nella versione orchestrale, questa linea è eseguita da violoncelli e contrabbassi). Le prime tre misure servono da introduzione al tema solistico: l’unisono di misura 1 lascia brevemente nel dubbio “maggiore/minore”, toccando i gradi primo, quarto e quinto i quali, per definizione, sono costanti nei due modi: la conferma del La minore d’impianto arriva con le misure 2 e 3. L’esordio del solista lascia intendere la maggiore espressività del Secondo Movimento rispetto al primo, nonché una chiara volontà di esaltare la conquista di un cromatismo strumentale impraticabile con gli antenati della tromba a chiavi: un esempio è il trillo Mi – Fa, lungo ben due battute (4 e 5, su armonie di dominante e diminuita). Ma non solo: tutti gli abbellimenti disseminati qua e là, e le note toccate durante tutto il movimento; non va infatti dimenticato, a costo di essere ripetitivi, che il solista qui suona alla sottodominante minore di Mi maggiore… Questo primo episodio si esaurisce a battuta 12, con la modulazione a Do maggiore: qui inizia il tema vero e proprio, in cui si può osservare che, a fronte di un accompagnamento pressoché statico dal punto di vista ritmico, il disegno melodico del solista si fa più fitto. I valori larghi delle prime misure lasciano infatti il posto alle terzine di crome, per poi giungere al culmine con la scala cromatica e successivo trillo di misura 27. L’orchestra prosegue per altre tre misure, a chiudere il discorso sul Do maggiore, interrompendo temporaneamente il disegno terzinato; poi, d’improvviso,

un Mi

maggiore con indicazione agogica “forte” riporta il centro tonale verso il La minore, anche se in realtà, nelle misure da 32 a 40, questa tonalità viene toccata solo una volta (battuta 33): le nuove possibilità dello strumento risultano così rafforzate dal fluire dell’armonia delle suddette misure, che porta ad un cambio di modo (da La minore a La maggiore) passando attraverso una progressione di settime con i bassi cromatici discendenti; espediente, questo, dotato di un sapore vagamente pre – romantico. 29

Le misure 41 e 42 fungono da breve interludio orchestrale alla ripresa del tema di misura 43, dove il materiale già ascoltato in precedenza viene riproposto a distanza di una terza minore discendente, con qualche elaborazione più o meno “spinta”, specialmente dal punto di vista degli abbellimenti e degli accorgimenti virtuosistici, come ad esempio le scale diatoniche veloci delle misure 60 e 619. Le ultime nove misure del movimento hanno funzione di ponte modulante, per riportare il centro tonale verso il Mi maggiore del Rondò finale. TERZO MOVIMENTO – RONDÒ (ALLEGRO) A titolo di anticipazione di carattere generale, l’attribuzione del nome “Rondò” appare abbastanza discutibile, per un motivo molto semplice: si può notare una effettiva struttura A – B – A – C fino a battuta 167, ma questa stessa struttura non trova una oggettiva conclusione nella parte finale: infatti, considerare tutto il discorso delle battute da 167 alla fine come una A’ può sembrare una costrizione eccessiva, data la complessità non tanto del commento orchestrale quanto della parte solistica, che in quelle battute conosce il culmine del virtuosismo. Ciononostante, è questa una semplificazione accettabile, dati i fini accademici della presente trattazione e tenendo presente che si tratta del Terzo ed conclusivo Movimento di un concerto per solista ed orchestra. Ma analizziamo ora ognuna delle sezioni qui individuabili. Il tema principale della A (misure 1 – 20) è tipicamente trombettistico, con quel suo inizio quasi da fanfara ed uno sviluppo melodico scoppiettante fatto di articolazioni staccate semplici e doppie; in questo frangente, l’orchestra si mantiene piuttosto dimessa, accompagnando con armonie semplici (tonica, dominante, al massimo un secondo grado – Fa# minore – alle misure 7 e 8) e con figure ritmiche ricalcanti la melodia della tromba, eccezion fatta per il pedale di dominante delle misure da 9 a 12, decisamente di più ampio respiro. La sezione A prosegue e si conclude con la risposta dell’orchestra (misure 20 – 31), di carattere non meno baldanzoso del precedente episodio: anche in questo caso l’armonia è molto semplice, ridotta com’è ad un pedale di tonica degli strumenti di registro grave a supporto del disegno sincopato delle parti acute. Le misure da 32 a 58 vedono l’esposizione della parte B, caratterizzata dalla modulazione a Si maggiore: la melodia solistica si fa decisamente più diatonica – anzi, 9

Nell’edizione consultata, sono indicate come decimine di semicrome.

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verso la fine, sconfina nel cromatismo, in direzione ascendente – senza però perdere la vena quasi battagliera della sezione precedente; allo stesso tempo, l’accompagnamento orchestrale assume una fisionomia più sussurrata (non si arriva mai ad un vero “forte”), poco invadente e quasi ballabile. La conclusione della melodia affidata al solista coincide con l’inizio del pedale di dominante (misure 58 – 68) che porta dritti alla ripresa della A, praticamente identica eccetto un paio di elaborazioni melodiche per diminuzione. Da notare, nel pedale, la comparsa delle terzine di semicrome, sia nella parte della tromba che in quella orchestrale: il triplo staccato entra di prepotenza nel ventaglio delle possibilità di articolazione dei trombettisti… Una improvvisa modulazione a Mi minore segnala l’inizio della C del rondò (misure 100 - 166). Probabilmente, questa è la sezione strutturalmente più articolata, dove un tema più melodico e cantabile si contrappone ad un altro tema, decisamente più breve e di carattere più scoppiettante. Non pare di trovarsi nel torto se si suggerisce una suddivisione della C nelle seguenti sotto – sezioni: MISURE Sotto – sezione “a”

100 – 118

Sotto – sezione “b”

118 – 133

Sotto – sezione “c”

133 – 149

Sotto – sezione “d”

150 – 156

Pedale di dominante

156 – 166

Anch’esse, nella loro globalità, sono contraddistinte da un flusso armonico piuttosto semplice: una serie di progressioni II – V – I, modulazioni alla relativa maggiore (La

maggiore), sottodominanti, e poco di più (progressioni cromatiche

discendenti del basso con accordi diminuiti, misure 136 – 145). Per la precisione, va detto che: • “a” e “c” iniziano in modo molto simile, ma trovano conclusioni nettamente opposte: la prima va stringendosi sempre più con un disegno discendente, mentre la seconda ascende per valori larghi fino al Si sopra il rigo;

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• la “b” inizia come una fanfaretta sugli accordi di tonica (La maggiore) e dominante in primo rivolto, per poi trasformarsi in uno spunto tematico sulla scala minore armonica; • la “d” riprende, intensificandolo, l’andamento “a squillo” della “b”, e si può considerare un’anticipazione della ripresa della sezione finale. Quella che, in precedenza, è stata definita A’ inizia con sporadici commenti della tromba al discorso dell’orchestra: tutti questi primi interventi riecheggiano del carattere di fanfara che permea tutto il Movimento, ma a battuta 193 l’atmosfera vira decisamente verso il virtuosismo, dapprima con figurazioni a semicrome e gruppetti, in seguito con terzine di semicrome, infine (dopo una scala discendente in parte cromatica) con un lungo trillo – misure da 218 a 232 – che parte dal Si e arriva cromaticamente al Fa#. Il finale è una riproposizione, a mo’ di Stretto conclusivo, di spunti tematici già ascoltati in precedenza.

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CAPITOLO 5

PROBLEMATICHE E CONSIDERAZIONI DI PRASSI ESECUTIVA

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Senza il benché minimo intento di fare della psicologia da quattro soldi, in apertura di questo capitolo, riservato alla ricerca di una spiegazione (o quantomeno di un tentativo di spiegazione…) del perché suonare il concerto di Hummel non è MAI cosa da poco, per nessuno, sembra utile ricordare che il grado di difficoltà di un brano musicale, intesa come difficoltà esecutiva del musicista che lo suona e tralasciando quella cognitiva e di comprensione di coloro che lo ascoltano, si può valutare utilizzando diversi parametri, la natura dei quali fa riferimento alla divisione in due emisferi del nostro cervello. Alcuni di questi parametri, infatti, sono più marcatamente tecnico – strumentali, e quindi appartengono alla parte razionale della mente umana (ci si riferisce, ad esempio, a caratteristiche come velocità metronomica, articolazioni, fraseggi, registro, resistenza, ecc.), mentre altri appartengono alla sfera irrazionale: l’espressività e le emozioni da comunicare su tutti. Il vero problema non è tanto “fare tutte le note giuste”, perché il rischio di proporre al pubblico un qualche cosa di freddo ed inespressivo è dietro l’angolo; allo stesso tempo, enfatizzare la comunicazione dei sentimenti tralasciando la tecnica dello strumento è altrettanto sconveniente, se non addirittura deleterio. Si ritorna, sostanzialmente, a quanto esposto nell’Introduzione: la mediazione tra caratteri dicotomici apparentemente inconciliabili. La difficoltà di suonare il concerto per Tromba ed Orchestra di Hummel va cercata proprio lì: nel tentativo di mediare le potenzialità strumentali con le emozioni che si vogliono esprimere suonando proprio quelle note, secondo un processo creativo musicale che sta a metà strada tra ragione e sentimento. In fin dei conti, il compositore scrive quest’opera nell’anno 1800: in quell’epoca, l’Illuminismo è al tramonto, mentre nel frattempo sta sorgendo il sole che guiderà il percorso dei Romantici. Riportando il discorso ad un livello più pragmatico, invece, va detto che per i trombettisti – compreso il sottoscritto – c’è un altro parametro che testimonia la maggiore o minore difficoltà di un brano. Si tratta di un parametro molto più intuibile e palese: la presenza nei repertori da eseguire in sede di audizione o di concorso, o nei programmi dei recitals dei Diplomi di Virtuosità. Il Concerto per Tromba ed Orchestra di Hummel, per inciso, è ai primi posti di questa speciale “hit parade”, richiesto com’è in quelle sedi… A monte di tutto, banalmente, sta la diversità oggettiva dello stesso strumento, e tutte le problematiche esecutive sono una conseguenza, per niente banale, di questo fatto. Anton Weidinger suona il Concerto di Hummel, nel 1804, con uno strumento costruito 34

secondo modalità, dimensioni e diapason decisamente diversi rispetto agli strumenti con cui lo stesso brano viene eseguito oggi, cioè le trombe a pistoni in Si bemolle e in Mi bemolle. Gli strumenti a chiavi utilizzati nei primi anni del XIX secolo erano infatti tagliati in tonalità più basse, per sfruttare la vicinanza dei suoni armonici nel registro acuto e la pienezza e rotondità del suono in quello medio – grave, e le profonde differenze costruttive ed acustiche influenzano, altrettanto profondamente, l’approccio fisico allo strumento stesso. Per cominciare, un canneggio conico ed uno cilindrico presentano caratteristiche di resistenza al flusso dell’aria e, conseguentemente, rese acustiche decisamente differenti, e antitetiche. Le trombe a chiavi erano generalmente a canneggio conico o, addirittura, bi – conico (cioè con gradi diversi di conicità lungo il tubo), e costruite con tubi di lunghezza dell’ordine di 170 – 200 cm e diametro che i costruttori di oggi definirebbero “largo” (dell’ordine dei 12 mm: a volta lievemente inferiori, spesso superiori…): un tale dimensionamento longitudinale e trasversale offre un comportamento caratterizzato da minore resistenza fluido – dinamica ed enfatizzazione degli armonici “scuri”; nelle trombe moderne, il canneggio è cilindrico, più corto di qualche decina di cm e più stretto di quasi 1 mm; logico, se non naturale, aspettarsi effetti esattamente opposti: resistenza al flusso dell’aria lievemente maggiore ed esaltazione degli armonici che conferiscono chiarezza al suono. Altra caratteristica importante: le imboccature. I bocchini da usare sulle trombe a chiavi non potevano avere dimensioni troppo piccole, altrimenti sarebbero risultati sproporzionati rispetto al canneggio, con effetti dannosissimi a livello di attacco, sostegno ed articolazione dei suoni: i costruttori, pertanto, le dotarono di bocchini a tazza piuttosto larga e profonda, con un appoggio piatto e largo. Manco a dirlo, la situazione si capovolge con l’avvento dei pistoni: canneggi più stretti e corti necessitavano di imboccature con tazze più piccole e strette ed appoggi più arrotondati e contenuti in diametro (esterno ed interno). Con differenze oggettive così profonde, viene ora da chiedersi quali siano le modificazioni fisiche ed acustiche. Come già accennato in precedenza, l’introduzione dei pistoni costituisce un compromesso tra le seguenti prerogative dello strumento:

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• maggiore

agilità nel

registro acuto: l’innalzamento

del

suono

fondamentale innalza di conseguenza tutti i suoni ottenibili, e la tessitura acuta risulterà più agevole, in funzione della nuova distribuzione dei rapporti tra le note; • perdita di profondità acustica del registro grave: come nella proverbiale “coperta corta”, ci si copre la faccia e si scoprono i piedi. L’acquisizione di una maggiore precisione sugli acuti si paga in termini di assottigliamento acustico nei bassi, e i suoni dalla metà del rigo in giù risultano impoveriti; • conquista di possibilità cromatiche da parte di uno strumento nato diatonico: l’argomento è già stato analizzato nei capitoli antecedenti. Da qualunque punto di vista si analizzi il problema, è inevitabile constatare che ci si trova in presenza di due tipologie di strumenti assolutamente diversi, oggettivamente e soggettivamente. Per questa ragione, sebbene non sia minima intenzione di questo lavoro monografico quella di fare dissertazioni filologiche a tutti i costi (un simile approccio alla musica, ad opinione di chi scrive, ha un’utilità piuttosto scarsa, che si nobilita soltanto ad altissimi livelli: si pensi, ad esempio, a Ton Koopman e la Amsterdam Baroque Orchestra), né tantomeno quella di diventare uno spot pubblicitario per i costruttori di trombe a chiavi, eseguire il Concerto per Tromba ed Orchestra di Hummel oggi, con uno strumento moderno, sarà sempre una forzatura anacronistica. Per come è stato scritto ed adattato, ci si accorge quasi subito che fraseggi, abbellimenti, articolazioni, passaggi cromatici disseminati un po’ ovunque, nelle pagine del Concerto, hanno una resa acustica ed espressiva enormemente superiore con uno strumento a chiavi. (Paradossalmente, può succedere anche questo: una volta, per scherzo, ho provato a suonare le prime battute del Primo Movimento con un flicorno contralto a cilindri in Mi bemolle, usando un bocchino a tazza piccola e poco profonda, quindi teoricamente adatto per il registro sovracuto. Con grande stupore, la resa che ne sortiva era, per alcuni aspetti, migliore: il fraseggio risultava più fluido, inoltre il canneggio conico ed il diapason più basso di una quinta, rispetto alla tromba in Si bemolle, facevano in modo che la sonorità non fosse troppo squillante. Tutto ciò a fronte di un piccolo 36

sacrificio: un maggiore controllo dell’emissione e delle articolazioni, a causa della vicinanza degli armonici nella tessitura acuta.) Le trombe di oggi, siano esse in Si bemolle, Mi bemolle – le tonalità più usate per l’esecuzione del Concerto – o addirittura in Do, sono state progettate e costruite in maniera radicalmente diversa, e secondo il criterio delle “tante tonalità in un solo strumento”; la loro nascita e successiva, rapida diffusione, sposava molto bene le esigenze di compositori, direttori d’orchestra e musicisti che volevano ridurre al minimo i problemi dei cambi di strumento nel momento in cui il brano che si stava eseguendo cambiava tonalità. Tutto ciò, però, rimase circoscritto ad un ambito sostanzialmente orchestrale: i solisti, spesso e volentieri, continuarono ad usare gli strumenti che non appartenevano alla neonata categoria degli “ottoni a macchina”, proprio perché percepivano l’antinaturalità dell’esecuzione di un brano, scritto in origine per un dato strumento, con un altro strumento. Questo spiegherebbe, anche se in maniera parziale e forse grezza, i cento e più anni di oblio ai quali fu costretta la composizione di Hummel10: durante i primi decenni dell’Ottocento, il quadro storico – musicale si trovava, in sintesi, in queste condizioni: • le richieste musicali erano fortemente dominate dai Teatri dell’Opera, con grossi capitali investiti in questo settore; • il sinfonismo classico stava decisamente virando verso gli stilemi romantici; • gli strumenti privilegiati come solisti erano il violino ed il “giovane” pianoforte. Pertanto,

gli spazi

disponibili per

uno

strumento

come

la

tromba,

tradizionalmente destinato ad un ruolo di comprimario o poco più, si restrinsero ulteriormente: si dovranno attendere i grandi autori del tardo Romanticismo (Brahms, Çaikovsky, Mahler, e i loro “discendenti”, in linea più o meno retta) per poter apprezzare una scrittura trombettistica qualitativamente e quantitativamente più cospicua, ma non troppo… Soltanto il Novecento, principalmente col jazz ma anche con tante 10

Una sorte poco più fortunata toccò all’analogo concerto di Franz Joseph Haydn, ma solo grazie alla maggiore altisonanza del nome del compositore.

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composizioni cameristiche11, restituì nobiltà e spessore alla tromba, la quale però aveva già intrapreso l’irreversibile cammino dei pistoni. Personalmente, ritengo che suonare oggi il concerto di Hummel (o quello di Haydn) con uno strumento moderno sia un fatto da valutare da un punto di vista esclusivamente virtuosistico fine a sé stesso, ed in questo processo risulta poco utile ricercare un certo tipo di suono per il quale gli epiteti sono numerosissimi ma nessuno centrato e calzante. E’ una fatica inutile, quasi come cercare l’Eldorado: pensare di ottenere nuovamente il suono della tromba a chiavi con uno strumento così diverso da questo è assurdo. Nondimeno, cimentarsi in un brano scritto per uno strumento presente, oramai, quasi soltanto nei musei, con uno nettamente diverso può sicuramente dare delle gratificazioni artistiche e strumentali, non fosse altro che per lo spirito della sfida che abbatte le barriere del tempo e dei pregiudizi. Tra questi due atteggiamenti, dove sta la verità? Ovviamente in una “generica via di mezzo”, che va costruita seguendo i criteri del buon senso e della misura: in altre parole, è giusto che qualunque trombettista segua le regole (non scritte) che impongono di studiare il Concerto di Hummel per le audizioni ed i concorsi, ma è altrettanto giusto che egli non perda troppo tempo a cercare quello che non si può trovare, accontentandosi di inserire questo brano nel proprio repertorio giusto per dimostrare che è in grado di suonarlo al meglio senza perdersi in vani ed intricati sofismi, come accennato nell’Introduzione. Ed il cerchio si chiude.

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Si pensi alle “Sonate per Tromba e Pianoforte” dei vari Paul Hindemith, Jean Hubeau, Halsey Stevens, Jan Peeters, a “Intrada” di Honegger, alla “Serenata” di Alfredo Casella, “Octandre” di Edgard Varèse, e via dicendo

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BIBLIOGRAFIA

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Per la stesura del lavoro che avete tra le mani, oltre alla riduzione per tromba e pianoforte del Concerto (International Music Company, edizione a cura di Roger Voisin) sono state effettivamente consultate le seguenti pubblicazioni: ARFINENGO Carlo, “La Tromba e il Trombone” – Edizioni Bérben, Ancona, 1973; BAINES Anthony, “Gli Ottoni” - Ed. Italiana: E.D.T. Edizioni, Torino 1991; SACHS Curt, “Storia degli Strumenti Musicali”, W.W. Norton & Co, 1940 – Ed. Italiana : A. Mondadori Editore, Milano, 1980; CARDONI Alessandro, “Le Promiscuità Estetiche della Tromba e del Cornetto – Contributo Critico agli Studi sulla Strumentazione” – Ricordi, Milano, 1914. Inoltre, nel capitolo 3, sono presenti riferimenti a pubblicazioni riguardanti la tromba a chiavi e gli strumenti antichi in generale; per correttezza e coerenza editoriale, li riportiamo di seguito: DAHLQVIST Reine, “The Keyed Trumpet and Its Greatest Virtuoso, Anton Weidinger”. Articolo pubblicato su “The Brass Press”, 1975; DAHLQVIST Reine, “Bidrag til trumpeten og trumpetspelets historia”. Tesi finale di un Master organizzato dall’Università di Gothenburg, 1988; GREENE William, “The Haydn Concerto in Performance”. Tesi di fine corso presentata alla San José University, Dipartimento di Musica, 1985; TARR Edward“J. Haydn Trumpet Concerto”, Universal Edition. Prefazione al Concerto. Infine, per reperire qualche informazione aggiuntiva sull’uso degli strumenti in orchestra, si possono consultare i seguenti testi: BERLIOZ Hector, “Grande Trattato di Strumentazione e d’Orchestrazione”, Copyright 1998 by B.M.G. Casa Ricordi, Milano; RIMSKY-KORSAKOV Alexander, “Principi di Orchestrazione” – Ed. Italiana: Rugginenti Editore, Milano, 1995; 40

VESSELLA Alessandro, “Studi di Strumentazione per Banda”, con compendio di Alamiro Giampieri, Ricordi, Milano, 1954.

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APPENDICE DISCOGRAFIA

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Come già detto nel corso della trattazione precedente, attorno al 1803 il trombettista della Corte Viennese Anton Weidinger suggerisce a Johann Nepomuk Hummel di scrivere un brano per lo strumento da lui suonato; questa composizione risulta molto gradita, durante uno dei suoi concerti, al tal punto che Hummel viene praticamente obbligato a scriverne un secondo, di più ampio respiro: il “Concerto a Tromba Principale”, che troverà la sua prima esecuzione il 1° gennaio del 1804, presso il palazzo della Corte degli Esterhàzy. Alcuni storici sostengono che Weidinger stesso, prima della pubblicazione, mette mano alla musica, almeno in parte, con lo scopo di adattare la prima stesura di Hummel alle potenzialità tecniche ed esecutive dello strumento. Più di un secolo e mezzo dopo, precisamente nel 1963, troviamo la prima registrazione del concerto, ad opera di Armando Ghitalla. La cronaca dei fatti che portano all’incisione dice che un allievo di Ghitalla, di nome Merrill Debski, durante una ricerca, trova casualmente notizia del brano, fino ad allora quasi del tutto sconosciuto, e ne richiede una copia al British Museum, programmandolo per il recital di fine corso. Ciò, purtroppo per lui, non avviene, in quanto la risposta (positiva) del Museo arriva ben dopo la data del suo esame finale. Il resto è storia: il concerto “ritrovato” viene eseguito alla Town Hall di Londra nel 1958, la partitura completa viene pubblicata nel numero 801 di “Music For Brass” (1959), corredato da un esaustivo commento storico di Mary Rasmussen e, finalmente, nel dicembre del 1963 a Cambridge (Massachusetts. U.S.A.), la prima registrazione: oltre al già citato Ghitalla in qualità di solista (il quale usa una tromba in Do per poter eseguire la parte nella tonalità originale di Mi Maggiore), partecipano anche il “Boston Chamber Ensemble” ed il direttore Pierre Monteux12. Ad oggi, numerosissimi trombettisti di tutto il mondo hanno registrato il concerto di Hummel; può tornare utile fornire una lista dei loro nomi, sebbene incompleta.

• Agnas, Urban Hummel: London Mozart Players, dir. Howard Shelley. Chandos #9925, 2001 12

L’etichetta è Cambridge, il codice CRS1819. Il disco LP contiene inoltre il “Concertino in Mi bemolle” di Albrechtsberger” ed il “Concerto in D” di Molter

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• André, Maurice Plays Hummel/L.Mozart. MHS 515108, 1965 Classical Trumpet Concertos, Züricher Kammerorchester. EMI Classics, CDC 754086 2, 1974 L'art de Maurice André. EMI Classics, CMS 764100 2 (4CD), 1982 • Antonsen, Ole Edvard English Chamber Orchestra, dir. Jeffrey Tate. EMI Classics (7 54897 2), 1993 • Black, Bibi Philharmonia Orchestra, Claudio Scimone. Angel/EMI, CDC54620, 1990 • Basch, Wolfgang Koch Schwann 11003,1984 • Berinbaum, Martin English Chamber Orchestra. Vanguard C10098, 1992 • Brydenfelt, Michael Odense Symphony Orchestra. CHANNEL CLASSICS, (11297) • Christensen, Ketil Boemia Chamber Orchestra, dir. Hynec Farkac. Rondo 8337, 1995 • Dokshizer, Timofei Moscow Chamber Orchestra. Melodiya/Quintessence, (PMC 7135), 1979 • Eklund, Niklas Swedish Chamber Orchestra, dir. Roy Goodman. Naxos 8.554806, 1999 • Friedrich, Reinholdt 44

Academy of St.-Martin-in-the-fields, dir. Sir Neville Marriner. Capriccio (10598), 1992 Wiener Akademie, dir. Martin Haselböck, Capriccio (10 598), 1995 • Gansch, Hans Trompetenkonzerte, Camerata Akademica Salzburg. Atemmusik Records, 1994 • Güttler, Ludwig New Bach Collegium Musicum, Leipzig. Pro Arte Sinfonia, (SDS-602), 1981 • Hardenberger, Håkan Academy of St.-Martin-in-the-fields, dir. Sir Neville Marriner. PHILIPS, (CD 420 2032), 1986 • Harjanne, Jouko Finnish Radio Symphony Orchestra, dir. Jukka-Pekka Saraste. FINLANDIA, (CD 450996868-2), 1994 • Head, Emerson Anno dell’incisione: 1980 • Herseth, Adolph Chicago Symphony Orchestra, Chicago Symphony Store,1983 • Kejmar, Miroslav Czech Philharmonic Chamber Orchestra. Supraphon 10 4128-1, 1987 Camerata Istropolitana, Naxos 8.550243(CD), 1989 • Marsalis, Wynton National Philharmonic Orchestra, dir. Raymond Leppard. CBS Masterwork, 1990 English Chamber Orchestra, dir. Raymond Leppard, Sony Classics, (60804), 1994 • Mellaerts, Manu 45

Collegium Instrumentale Brugense, Aurophon Classics (CD), 1994 • Nagel, Robert Solo III Movimento, Music Minus One 3818 • Nakariakov, Sergei Orchestre de Chambre de Lausanne. Teldec, (94554), Febbraio 1993 • Romm, Ronald Anno dell’incisione: 1989 • Sandoval, Arturo Classical Album, London Symphony Orchestra, RCA 62661, 1993 (27 e 29 maggio, 16 giugno) • Schlueter, Charles Trumpet Concerto, Kyushu Symphony Orchestra. Kleos, KL5122, Aprile 2002 • Schwarz, Gerard New York Chamber Symphony, dir. Gerard Schwarz. Delos Records, 1979 Chamber Symphony of New York, Delos 3001, 1983 • Smedvig, Rolf Scottish Chamber Orchestra, dir. Jahja Ling, Telarc CD-80232 (80341), 1989 (3 e 4 luglio) • Soustrot, Bernard Concertos for Trumpet, Pierre Ver 788011, 1987 (15 e 16 settembre) • Steele Perkins, Crispian The Kings Consort, dir. Robert King. Hyperion CDA67266, 2001 (18-21 gennaio) NB: registrazione effettuata con tromba a chiavi

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• Stevens, Thomas Los Angeles Philharmonic Orchestra. London Records, (CS 6967), 1974 • Tarr, Edward Trompetenkonzerte (Hummel, Hertel, L. Mozart), Consortium musicum, dir. Lehan. Nonesuch, H-71270, 1965 Classical-Romantic Trumpet Concertos. Christophorus, 74557, 1972 • Thibaud, Pierre Anno dell’incisione: 1965 • Touvron, Guy Trumpet Playing Festival. Forlane 16569 • Vosburgh, George Seattle Symphonic Orchestra, dir. Gerard Schwartz. JVC Classics (JVCCC-6509-2), 1997 • Wallace, John The Philharmonia Orchestra, Nimbus Records Limited (NIMBUS 2141), 1984 • Wilbraham, John Academy of St.-Martin-in-the-fields. EMI Records/Seraphim, (69140), 1971

Nessun italiano è annoverato nella lista precedente, ma è ben noto che, nel 2002, Gabriele Cassone ha inciso il Concerto di Hummel con uno strumento a chiavi, e quella incisione è stata distribuita assieme alla rivista musicale “Amadeus”: l’orchestra è la “Accademia Montis Regalis” di Mondovì (Cuneo), ed il direttore

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RINGRAZIAMENTI

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A conclusione del percorso di studi del Biennio di II Livello in Discipline Musicali da me seguito, e che si conclude con la discussione di questo lavoro e con il recital, mi preme ringraziare in primis il Prof. Elia SAVINO, il quale, in questi due anni di lezioni, mi ha fornito preziosi consigli tecnici, musicali e di vita. Un ringraziamento va anche a tutti gli altri insegnanti dei corsi frequentati: in ordine sparso, voglio qui citare i Proff. Roberto IOVINO, Cinzia FALDI, Luigi GIACHINO, Fabio MACELLONI, Mauro BALMA, Piero ANDREOLI, Luca CARDINALI, Massimo CONTE, Laura BRIANZI, Antonio TAPPERO MERLO. Citazione a parte merita il Direttore del Conservatorio, Prof.ssa Patrizia CONTI, per la smisurata pazienza dimostrata a me e a tutti gli Studenti dei nuovi Corsi Sperimentali a carattere universitario attivati due anni fa. Sopportare ritardi, incomprensioni, dimenticanze, di diverse centinaia di giovani musicisti, ognuno con i propri problemi e le proprie aspettative non è cosa facile… Esauriti i ringraziamenti per così dire “istituzionali”, passiamo a quelli “affettivi”. Innanzitutto, il mio primo insegnante: mio fratello NICOLANGELO LO BELLO. A suon di metodi bucati con la matita, mi ha messo sulla buona strada della musica, facendomi apprezzare uno strumento difficile e faticoso come la tromba. Infine, ultimi ma non meno importanti, I MIEI GENITORI: l’aiuto a perseguire sulla strada della musica che mi hanno dato (e che continuano a darmi) è fondamentale e preziosissimo, specialmente se si tiene conto del fatto che, fino a sette anni fa, tutti – me compreso – si aspettavano una fulgente carriera da ingegnere. Grazie, grazie, grazie.

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