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Italian Pages 1072 [1069] Year 2007
L. Alonso Schokel - C. Carniti •
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della stessa collana L. Alonso Schokel - J.L. Sicre Diaz I Profeti L. Alonso Schokel - J.L. Sicre Diaz Giobbe I L. Alonso Schokel - J. Vilchez Lindez I Proverbi Gianfranco Ravasi Giobbe
J. Vflchez Lindez Sapienza L. Alonso Schokel I Salmi Rinaldo Fabris Matteo Rinaldo Fabris Giovanni Rinaldo Fabris - Giuseppe Barbaglio Le lettere di Paolo Rinaldo Fabris Atti degli Apostoli Pierre Prigent L'Apocalisse Gilberto Marconi La lettera di Giacomo
L. Alonso Schokel - Cecilia Carniti
I SALMI ediz.ione italiana a cura di Antonio Nepi volume primo
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I 'J9 I, L. Alonso Schi:ikel, Roma 1992, Edizioni Boria, s.r.l. via delle Fornaci 50 - 00165 ROMA
Traduzione di Antonio Nepi Revisione dell'Autore Collaborazione redazionale di Carlo Valentino ISBN 88-263-0904-3
PROLOGO
Ai fini di un elenco, questo libro segue i commentari, curati per l'Italia dall'editrice Boria, ai Profeti (in collaborazione con J.L. Sicre, tr. it. Roma 1984), a Giobbe (con lo stesso collaboratore, tr. it. Roma 1985), ai Proverbi (con la collaborazione di J. Vflchez, tr. it. Roma 1988) e alla Sapienza di J. Vflchez (tr. it. 1990). Ai fini di una biografia, questo libro giunge al termine di una carriera consacrata allo studio dell'Antico Testamento, accompagnato da preghiera. La mia disciplina principale per decenni è stata la teologia del!' Antico Testamento. È una disciplina che subordina l'esegesi allo studio tematico, favorisce una conoscenza globale dell'Antico Testamento, impone l'esercizio di tendere ponti sospesi fra testi lontani e disparati della letteratura biblica. Sarebbe come tendere ponti immaginari tra astri di una costellazione. Anche se i brani biblici non compongono costellazioni immutabili, ma si uniscono e si separano per formare nuove figure. Perseguire tali combinazioni è una delle avventure più suggestive della nostra disciplina. E ciò spiega perché, limitando il dialogo con colleghi di oggi, preferiamo far dialogare i salmi con altri testi biblici. Naturalmente, un professore viene iniziato e matura in una tradizione viva, e da essa, a volte contro essa, vive ed agisce. Tuttavia, risulterebbe impossibile ed ozioso etichettare ogni idea o proposta con un cartello o denominazione d'origine controllata. Come un bacino terminale, questo libro stagna acque vive di molti fiumi ed affluenti, senza tracciare la mappa dettagliata di ogni flusso d'acqua. Il ll·ttore eh>. Il canto unifica sentimento ed espressione, manifesta e favorisce l'armonia dell'uomo, corpo e spirito, sensi ed emozioni. Se è corale, il canto unifica in una melodia la comunità, trasformandola in uno strumento ben accordato. La musica pu(l anclw simbolizzare l'armonia dell'universo, far pregu-
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stare e penetrare nell'intimo la gioia celeste. Resta da decidere come cantare i salmi: in forma semplice e piana (planus) o con vari arricchimenti melismatici (cioè dove più note vengono intonate su una sola sillaba); oppure con una formula melodica per tutti i versi o variando, con l'apporto strumentale o a cappella, oppure alternando assolo e coro. Nella liturgia della parola della Chiesa latina si passò dal salmo responsoriale, ancora conosciuto da Agostino, al «graduale» che privilegiava la musica e riduceva il testo a due o tre versetti. Due dati emergono dalla antica controversia. Primo, la preferenza accordata a melodie semplici, senza abbellimenti; secondo, un'opposizione all'accompagnamento strumentale. Le due scelte possono sorprendere quelli come noi che vivono sugli allori di una ricchissima tradizione musicale. Il testo dei salmi si presenta sovente complesso, con un cambio di voci ed un caleidoscopio di sentimenti più vari e cangianti. Possiamo chiederci se una melodia variata e ricca di modulazioni e sfumature non sarebbe stata atta ad esprimere meglio questa complessità polimorfa e polifonica. Per ciò che riguarda gli strumenti, abbiamo l'ultimo salmo del Salterio, il 150, un «tutti» finale che passa in rassegna lorchestra del tempio con i suoi strumenti e raccoglie tante indicazioni esplicite. In conto vanno anche tenute le varie didascalie dei salmi, sul modo di esecuzione, simili al nostro «sull'aria di» o «si canta come», che per la maggior parte ci restano enigmatiche. A questo punto ci limitiamo ancora una volta ad accennare un'ulteriore pista di ricerca, che esula dai fini di questo studio. Sarebbe interessante una storia dell'interpretazione musicale dei salmi, che potrebbe costituire un vero ed autonomo capitolo della storia della musica 12 . Il Salterio è il libro «musicale» per eccellenza ed è stato variamente interpretato musicalmente. Dagli acta toni gregoriani (con il tonus peregrinus) all'austera composizione dei salmi penitenziali (6; 32; 38; 51; 102; 130; 143) del fiammingo Roland de Lattre (Orlando di Lasso) (t 1594) o dell'italiano A. Gabrieli (t 1596); dalla comples-
12 Per l'antichità possono consultarsi due opere fondamentali: J. QuASTEN, Musik und Gesang in den Kulten der heidnischen Antike und christ/ichen Friihzeit 1930; 1973, (trad. inglese Washington 1983); J. McKINNON, Music in Early Christian Literature, Cambridge 1987. Utile è anche E. GERSON K1w1, Musique, DBS V, 1411-1468
(con ampia bibliografia). Il lettore italiano potrà trovare un'ampia panoramica in G. RAVASI. li canto della rana. Musica e teo/oR,ia nella Bibbia. Casale Monferrato 1990 (con biblio1o1rafia scelta): è una riflessione sul musicale come teologico t"d una fonte di 11G 27, 10-46). Il suo commentario adotta la forma di .. ;1rgnmt•11t0>> nirrt·datn dn hn·vi glosse. La sua interpretazione è
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di ampio respiro: attraverso lesperienza umana di David e di altri, i salmi parlano di Cristo, della Chiesa e degli uomini in generale. A questo punto Atanasio introduce un concetto nuovo: ek prosopou anthropotetos = in nome dell'umanità. L'umanità è una collettività, o un concetto astratto, che per parlare, necessita di una personificazione, qual è l'«io» dei salmi. Cristo, nell'assunzione integrale dell'esperienza umana (eccetto il peccato) può prestare la sua voce all'umanità nelle parole dei salmi. La lettera a Marcellino merita una maggiore considerazione. È una lettera a prima vista destinata alla vita monastica, alla pietà e alla contemplazione. Sceglieremo alcune tra le raccomandazioni e gli insegnamenti di questa lettera, già consolidati nel IV secolo. 2. Il libro dei salmi sovrasta tutti gli altri perché riassume quello che gli altri contengono e nel canto aggiunge ciò che ha di suo e di proprio. Ad esempio, il libro della Genesi è contenuto in Sai 18 (19) e 23 (24); Esodo, Numeri e Deuteronomio sono contenuti nei Sal 77; 113; 104-105 (78; 114; 105-106); il santuario in Sal 28(29); Giosuè in 106(107); i libri dei Re in 19(20); le profezie sulla venuta di Cristo in Sai 44 e Sal 86 (45;87); la sua umanità nel Sai 2 e 21 (22); la sua ascensione in 23(24), ecc. 10. Ciò che contraddistingue questo libro: «Contiene scritti e modellati (diagegrammenas kai diatetypomenas) gli affetti di ogni anima, le sue trasformazioni, i suoi pentimenti; di modo che se qualcuno vuole cogliere o comprendere da essi (come in un'immagine) ciò che egli è, per conformarvisi, è Il che lo trova scritto». Altri libri espongono la Legge, annunciano il Messia; questo libro descrive i movimenti dell'anima. In questo libro il lettore trova il modello delle parole (eikona ton logon) ... I salmi ci insegnano le parole del pentimento, della pazienza, della speranza, dell'azione di grazie: [ci insegnano] cosa dire nella fuga, nella persecuzione, nella liberazione; [ci insegnano] come lodare e benedire. (Troviamo qui abbozzato il tema dei generi e della appropriazione di sentimenti e linguaggio). 11. In altri libri chi legge o ascolta si distingue e si distanzia dai personaggi; nel Salterio può capitare la stessa cosa; però molte volte il lettore o l'ascoltatore si ritrova dentro, coinvolto, è lui il personaggio, le parole che egli pronuncia sono le sue (hos idiom
ontas logous anaginoskei). 13. Tutto questo è dono di Cristo, che ha assunto la nostra condizione umana. Prima òi abitare tra noi, esprime nei salmi questa condizione umana ed anche la condizione divina, come esempio per l'uomo.
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14. Tutta la Scrittura è maestra di virtù e di fede. I salmi presentano un modello di vita spirituale (eikona pos tes diagoges ton psykhon). Si diversificano in vari generi: narrativi, di supplica, di colloquio, di rendimento di grazie, di confessione, di confessione con narrazione, di lode, di ammonizione, di profezia, di esortazione, cantici, descrizione di virtù ... macarismi, di dimostrazione, di esortazione al valore, di rimprovero, di invocazione, di accusa, salmi in cui ci si gloria di Dio, inno, canto di giubilo. Nei successivi paragrafi, 15-26, del!' epistola, ricorrono diverse situazioni della vita spirituale. 27. Perché si cantano? Non basta il piacere o la soddisfazione. È lonore stesso di Dio ad esigerlo; per esprimere larmonia del!' anima. Affinché l'uomo sia come uno strumento ben accordato al servizio di Dio. La recita melodiosa dei salmi è immagine e modello di un'anima serena e tranquilla (ataraxias kai akymonos).
Serapione di Thmuis: (t dopo il 362). Secondo la testimonianza di Girolamo. Purtroppo non ci è pervenuto nulla. Apollinare di Laodicea: (t verso il 390). Ci restano alcuni frammenti conservati nelle catene, vestigia di un commentario scientifico con spiccato interesse cosmologico ed antropologico. Basilio (3 30-3 79). Di lui ci restano quindici omelie sui salmi di stile parenetico, che tradiscono una spiccata influenza origeniana. Asterio il Sofista (la cui attività copre gli anni 337-341). Proveniente dall'arianesimo, di lui si conservano trenta omelie sui salmi 1-18. Cerca di inserire i testi dei salmi negli episodi della vita di David. Teodoro di Eraclea (vescovo in Tracia 335-355). Anch'egli, secondo la testimonianza di Girolamo, commentò i salmi. Non si conserva nulla. Gregorio di Nissa (t 394). Compose il Tractatus in psalmorum imcriptiones, un commentario molto originale. Come scrive la Rondl·au, l'intento di Gregorio è «quello di scoprire la struttura del di~rnrso, che corrisponde ad una struttura di vita spirituale inscritta i11 una metafisica coerente». Vuole studiare scientificamente l'unità dl'I Salterio e di ogni singolo salmo in funzione della sua finalità. I .a sua prospettiva è mistica ed ascetica: il metodo è lo studio globale, 1111itario, pit1 logico che filologico (Origene) o storico (Eusebio). Didimo il Cieco (313 ca.-398). Una parte dei suoi commentari li sono pervenuti nelle catene e probabilmente grazie agli appunti di 1111 disn·polo. Pratica una esegesi minuziosa, riservando un suffi' lt'llll' spazio alla lessicografia, sulla scia di Origene. Se le sue catego1u· I ilosofii:lil' sono platonizza111 i, il metodo critico con cui lavora è
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aristotelico; il suo commentario ha come destinatario la vita spirituale del cristiano. I due antiocheni, Diodoro di Tarso (t 394) e il suo discepolo Teodoro di Mopsuestia (t 428) rappresentano un movimento di reazione critica al modo allora in voga di interpretare i salmi. Di Diodoro è giunto fino a noi il suo commento ai Sal 1-50; di Teodoro abbastanza materiale grazie alle catene. Per quanto riguarda il versante della storia i due rifiutano i titoli e le didascalie storiche tradizionali e li sostituiscono con altri attinti alla storia del popolo di Israele. Come profezia di Cristo in senso letterale, ammettono soltanto quattro salmi: Sai 2; 8; 22(21); 109(110). Le restanti citazioni di salmi sono un adattamento, una rilettura accomodata del senso originale ad una nuova situazione. I due antiocheni ammettono un'altra serie di profezie davidiche, tutte riferite a fatti dell'antica economia di salvezza. In essi David svolge il ruolo (ek prosopou) o la parte di un personaggio futuro, come Ezechia nel Sai 26(27) e Geremia nel Sai 34(35). L'autore, David, crea i discorsi che mette in bocca ai suoi personaggi, come conviene ai loro caratteri. L'influsso di Diodoro e di Teodoro si estese soprattutto alla Chiesa siro-orientale. Il loro minimalismo teologico, che aveva provocato tra le altre conseguenze un impoverimento dell' AT, fu condannato. Evagrio Pontico (346-399). Abbiamo i suoi commenti conservati nelle catene. Hanno la forma di scholia e sono l'opera di un monaco destinata a monaci; pertanto, la tendenza è ascetica e mistica. Sebbene sia sulla scia di Origene e di Didimo il Cieco, presenta originalità nelle idee, che esprime in una prosa raffinata, alternando aforismi e sillogismi. Giovanni Crisostomo (345 ca.-407). Di questo grande predicatore conserviamo 58 commenti, scaglionati nel tempo, che egli chiama hermeneiai. A prima vista sembrano dei trattati, però potrebbero essere sermoni riveduti e corretti per la pubblicazione. Altri frammenti si conservano nelle catene. Cirillo di Alessandria (t 444). Tra il poco materiale di indubbia autenticità che ci è pervenuto, possiamo apprezzare un suo commento piuttosto erudito, con scopi teologici. Teodoreto di Ciro (393 ca.-466 ca.). Uno tra i più importanti e tra quelli che ha avuto più influsso tra i Padri greci. La sua notevole personalità sembra consistere in un complesso armonioso di qualità di cui nessuna attira l'attenzione per se stessa. È un antiocheno e come tale conserva l'interesse per il senso letterale, per un lavoro filologico raffinato. La padronanza del greco e la sua probabile cono-
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scenza dell'ebraico, gli permettono di verificare i testi originali. Quanto al metodo Teodoreto opta per una via media, molto accettabile; vuole evitare l'allegorismo e l'esuberante allegoria degli Alessandrini; d'altra parte vuole correggere il minimalismo e il letteralismo dei suoi predecessori antiocheni, che gli appare, come ad altri, giudaizzante. Uomo di vasta cultura e profonda erudizione, la mette a frutto senza ostentazione e scrive in uno stile piano e limpido. Nei suoi commenti, riaffiora il senso cristiano di non pochi salmi, quali ad esempio i Sai 15(16), 21(22) 39(40), 108(109): in essi riconosce i'«io» del Cristo. In altri casi, accetta la tipologia con moderazione. Fra tutti i Padri greci, Teodoreto è forse il più accessibile per noi. Esichio di Gerusalemme (t dopo il 451). Il suo commento è dedicato ai monaci. Le sue glosse sui salmi furono stampate nella Patrologia Greca del Migne sotto il nome di Atanasio. Il suo stile indulge continuamente nelle glosse e nella parafrasi, al modo del targum. A Gerusalemme un'epoca si chiude. con un monaco. Dopo di lui verrà il maestro di retorica Procopio di Gaza (ca. 460-530), che inventa le catene, seirai o eklogai. Lo studio creativo cessa e la tradizione si salva. 2. Latini
I Padri latini ci offrono un raccolto più modesto. Lasciamo da parte i Padri che commentano uno o laltro salmo nelle loro omelie o trattati, come Zenone di Verona, Priscilliano, Gregorio di Elvira, Cromazio di Aquileia, Massimo di Torino, Pietro Crisologo. È sufficiente una rapida citazione di ripetitori, come Eusebio di Vercelli (t ca. 371), che traduce, espurgandolo, il commentario di Eusebio di Cesarea; come Ambrogio (t 397) che nelle sue Enarrationes commenta in chiave allegprico-morale 12 salmi; o come Prospero di Aqui1ania che riassume Agostino. Ci restano sette commentatori che possono interessarci per meriti diversi. Ilario di Poitiers (315 ca.-367). Del suo Tractatus super Psalmos, l lie probabilmente era completo, ci resta oggi il commento a 58 salmi. Appare come una redazione rielaborata di sermoni predicati. Ilario '•l'J!,lll' Origene, però con una sua spiccata personalità. Vale la pena ll'ggl'I"l' lampia introduzione al salmo 1, nella quale espone i suoi principi ntlll'lll'lltici, con chiarezza e lucidità: l'n romprl'ndere un salmo, dobbiamo sapere chi è che parla e ,·lii parla. La pl'rsona che parla può essere il Padre, normalmente i· il l :risto. Dohhiamo anchl' sapere «di chi si parla». E anche \1' 11g11i prokzia \i riferisrc- i11 q11akhl' modo a Cristo, «bisogna .1
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discernere scientificamente quando si riferisce direttamente a Lui». Il criterio principale è la coerenza.
Girolamo (347 ca.-419). Ci interessa come eco e come conservatore di Origene. Cammina sulla sua scia e sceglie nei suoi Commentario/i settanta pagine di note concise ed essenziali; traduce I' Alessandrino senza dirlo, con alcuni interventi personali nei Tractatus (verso il 400). Se tace il nome di Origene, il silenzio è forse dovuto alla crisi origeniana dell'epoca. Più duratura è l'opera di Girolamo come traduttore dei salmi. Nel 384 corresse secondo il testo greco una traduzione latina allora in uso; tra il 389 e il 392 ne operò una revisione secondo le Hexapla: è la versione denominata «Gallicana»; nel 392-393 traduce direttamente dall'ebraico, «iuxta hebraicam veritatem» 13 • Citiamo Niceta di Remesiana (t dopo il 414) semplicemente per il suo piccolo trattato De utilitate hymnorum, nel quale giustifica l'uso liturgico dei salmi. Alla fine del IV secolo questo uso stava acquistando la sua forma definitiva. Giuliano di Eclana (t 454). È l'unica presenza antiochena in Occidente, poiché opera un adattamento, conformemente alle sue teorie, del commentario di Teodoro di Mopsuestia. Limita la profezia alla storia di Israele e pratica una esegesi strettamente ancorata alla littera. Il più grande dei Latini è Agostino (354-430). Dei salmi 1-32 ci ha lasciato appunti che prolungano la tradizione precedente. A partire dal salmo 3 3, dispiega il suo genio teologico e letterario. Le sue Ena11'ationes in Psalmos brillano come una delle sue opere esegetiche fondamentali, forse il più grande commentario vergato sui salmi. Agostino non è assolutamente un filologo alla maniera di Teodoreto o di Girolamo: la sua esegesi è piuttosto una lettura che si muove in profondità alla ricerca dell'unità. Potremmo affermare che il commentatore si inabissa nelle profondità di una esperienza religiosa, di comprensione del mistero, di cui il testo è soltanto una piccolissima superficie per cui entrare. In questa profondità s'imbatte in correnti e relazioni nuove, in illuminazioni sorprendenti; da queste riemerge con ciò che ha scoperto e trovato. Agostino trova l'unità nel profondo. Per questo può succedere che le cose migliori su un verso di un salmo si leggano quando egli ne commenta un altro. Il suo modo di collegare i testi biblici può risultare discutibile in termini filologici,
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Discute quest'ultimo C. EsTIN, Les psautiers de ]crome à la lumière des trad11c-
tions juives antérieures, Roma 1984.
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molte volte è abilmente indovinato e quasi sempre suggestivo, a volte soltanto ingegnoso. Egli esprime la sua ricerca, che è preghiera, in una ammirabile prosa latina, con frasi piane e nitide, in una progressione lucida e rigorosa, traboccante di entusiasmo ed affettività che giocano sulla tastiera del lirico e del retorico. Perdoniamo ad Agostino il suo compiacersi, talvolta, su giochi di parole; le sue digressioni sul tema però ne valgono la pena. Chi ha letto attentamente le Enarrationes avrà acquisito una comprensione globale e vitale dei salmi, che in seguito potrà affinare e precisare con altri strumenti filologici. La Rondeau segnala tre contributi importanti del maestro di Ippona. Un primo contributo è squisitamente teologico: è la visione del Cristo totale, corpo e membra, sposo e sposa, assimilato ai suoi per assimilarli a sé. Un secondo contributo, è la nascita dal precedente di un nuovo repertorio di testi del NT messi in relazione con il Salterio: l'immagine del corpo, l'immagine coniugale, l'identificazione di Paolo con Cristo. Un terzo contributo è di ordine pastorale ed è la consuetudine di Agostino di rivolgersi al popolo. Citiamo di passaggio Amobio il Giovane (t dopo il 455), la cui esegesi si muove sulla scia di Agostino, anche se confuta la teoria agostiniana della predestinazione. Per ultimo passiamo a colui che è stato chiamato l'esecutore testamentario dell'Antichità. Cassiodoro (ca. 485-583). Raccoglie gli elementi della tradizione, specialmente da Agostino, con un intento scolastico. Notevole è il contributo della sua erudizione nelle scienze profane, specialmente nel campo della retorica. La sua Expositio Psalmorum respira la temperie spirituale del suo tempo, anche se il modello resta fortemente agostiniano. Cassiodoro con le sue Institutiones rappresenta la fine di un epoca. Fra i Padri siriaci che commentarono i salmi, ricordiamo Efrem il Siro (t 3 7 3) e nel Medioevo Ishodad (che svolse la sua attività verso 1'850) e Gregorio Bar-ebreo (1222-1286). Crediamo che questa breve rassegna abbia mostrato la ricchezza e la varietà della esegesi patristica dei salmi: I' ampia gamma delle questioni puntualmente segnalate e trattate con rigore, lesercizio consapevole di metodi di interpretazione, la visione di storia, profezia e figura, l'osmosi di filologia e teologia, lo studio permeato dalla pietà e dalla preghiera e finalizzato all'esperienza cristiana, la perspicace sensibilità per il linguaggio simbolico. Misconoscere e rompere con questo patrimonio ci sembra un impoverimento; disprezzarlo con su1wriorità suona come un atto di arroganza; occultare tutte queste rie-
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chezze con l'alibi dell' «allegorismo», come chi nasconde la spazzatura sotto il tappeto, non è prova di discernimento 14 •
VI. DA CASSIODORO A NICOLA DI LIRA I manuali di storia ci hanno abituato a considerare a parte il Medioevo, come epoca storica distinta. Questa periodizzazione ordinaria non vale per la storia della interpretazione, perché verso la metà del XIV secolo comincia una rivoluzione nel campo dell'esegesi. Cassiodoro suggella come esecutore testamentario l'Antiquitas. Il francescano Nicola di Lira segna il preludio e l'avvio di una nuova temperie e di un nuovo modo di pensare nel mondo dell'esegesi cristiana. All'interno di questo periodo dobbiamo distinguere l'epoca monastica e l'epoca scolastica. Cominciamo con il proporre una lista cronologica approssimata: Fozio (VI secolo) Colombano (t 615 ca.) Beda (674-735) Ambrogio Autperto (t 778) Alcuino (730-804) W alafrido Strabone (IX secolo) Aimone di Halberstadt (t 853) Pascasio Radberto (t 859 ca.) Smaragdo (IX secolo) Remigio di Auxerre (t 908 ca.) Eriberto da Reggio (X secolo) Bruno di Wiirzburg (t 1045) Brunone Certosino (1030-1101) Brunone d'Asti (1045 ca., t 1129)
Ruperto di Deutz (t 1130) Pietro Lombardo (t 1150) Gilberto Porretano (t 1154) Gerhoh di Reichersberg (1093-1179) Eutimio Zigabeno (XI-XII secolo) Riccardo di S. Vittore (t 1173) Michael Meldensis (t 1199) Alessandro di Hales (1185 ca.-1245) Ugo di S. Caro (t 1263) Niceforo Blemmida (t 1272) Alberto Magno (1200 ca., t 1280) Tommaso d'Aquino (1225-1274) Riccardo di Hampoole (t 1349) Pietro di Harental (t 1390)
1. Lectio monastica
A partire da Cassiodoro, tutta la corrente tradizionale trova il 14 Oltre all'opera citata di M.J. RONDEAU, cfr. C. ANDERSEN, Zur Entstehung und Geschichte der trinitarischen Personenbegriffes, ZNTW 52 (1961) 1-39; La Bible de tous !es temps, voi. I, Paris 1984. Sui Padri greci: voi. Il, Paris 1985; Sui Padri latini: C. EsTIN, Les psautiers de Jer6me à la lumière des traductions juives antérieures, Roma 1984; P. CANIVET, Histoire d'une entreprise apologétique au V' siècle, Paris 1958; W. HuLST, Hymni latini antiquissimi, Heidelberg 1956; C. EMERREAU, Hymnographi graeci (1922-26).
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suo alveo di trasmissione nelle catene, nella copia alacre dei manoscritti, nella vita liturgica e contemplativa dei cristiani. Da questa corrente emergono alcuni autori con una spiccata personalità. Tra questi notiamo Beda il Venerabile, eco e cassa di risonanza dell'Antichità in un momento di rinascita e di rinnovamento intellettuale; Aimone, testimone della interpretazione allegorica e spiritualista; W alafrido Strabone (nome latino di Alfredo lo Strabico) che avvia il genere della «glossa», simile a quello della catena; la corrente di cui fu l'iniziatore, acquistò consistenza e portata con vari affluenti, che oggi appaiono riuniti nella Glossa Ordinaria. A dominare il campo sono vescovi e abati, il che significa tutto un orientamento pastorale e spirituale; questa tendenza favorisce il terreno e lo prepara per una interpretazione cristiana secondo il senso allegorico, tropologico ed anagogico. Lo studio filologico e storico non si apre la strada; tuttavia il testo viene rispettato, senza manipolazione. Un autore cosl creativo nei suoi commentari come Ruperto di Deutz, liquida frettolosamente i salmi, imponendo loro una unità ed uno sviluppo dottrinale artificiosi. Tra i nomi della lista fornita, ne selezioniamo due, come rappresentanti di molti altri: il greco Eutimio Zigabeno ed il latino Gerhoh. Eutimio. Nell'introduzione al suo commento dei salmi, Eutimio si interessa ad una serie di questioni tradizionali, cui fornisce delle risposte. Sulla questione dell'autore, Eutimio risponde che l'autore è stato David. Se vengono citati altri nomi, si tratta di esecutori. Per ciò che concerne la situazione storica per cui il salmo è stato composto, Eutimio la rintraccia di volta in volta in alcuni episodi della vita di David. Le tematiche sono storiche e messianiche. I generi sono di vario tipo: di lode, di ringraziamento, suppliche, voto, di incoraggiamento (di fiducia?), di esortazione, di istruzione morale. Eutimio si sofferma sulla spiegazione dei titoli e sull'importanza della esecuzione musicale. Per ciò che concerne le profezie, ribalta la posizione di Teodoreto di Ciro. Quest'ultimo affermava che le profezie risultano chiare, una volta che si è visto il loro adempimento. Eutimio sostiene che David profetizzò sul Messia in maniera oscura, velata, per evitare che gli Ebrei distruggessero le sue profezie. Il principio della oscurità profetica, in mano agli investigatori delle profezie, si trasforma in un criterio ambiguo e pericoloso. Infine Eutimio dice che il salmo può essere adattato (prosannozein) alla vita del cristiano. Gerhoh. Scrisse per i suoi monaci ed il suo commento riscosse 111ia certa fortuna nel Medioevo. Nel commentare i salmi, va alla rin·rrn della intdligcnza spirituale, occultata sotto il velame dei simbo-
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li. L'autore dei salmi è David, che è il primo profeta ad aver attestato la Trinità, tema che Gerhoh sviluppa adducendo vari passi del Salterio. In seguito, tratta i temi seguenti: la materia dei salmi è il Cristo totale, ossia il Cristo con la sua Chiesa (sulla scia di Agostino); l'intenzione o la finalità è che le membra si conformino alla testa (in questo mette a fuoco l'aspetto ascetico, tropologico). Gerhoh distingue nella Bibbia tre modi di esposizione: narrativa, quando a parlare è l'autore o i personaggi esplicitamente introdotti dall'autore; drammatica, quando sono i personaggi a parlare direttamente (come nel Cantico dei Cantici); di tipo misto, che domina nella letteratura profetica e salmica, particolarmente adatto ad esporre i misteri della salvezza. Il lettore è chiamato ad appropriarsi vitalmente dei sentimenti e delle emozioni dei salmi: «ut psalmorum affectui nostrum in psallendo iungamus affectum» (come si comporta un attore teatrale con il suo personaggio). «Conformari debemus illorum affectionibus quorum verba resonamus ... Solus enim David mu!tas in se personas (prosopologia), multarum personarum affectiones repraesentat, dum omnibus omnia factus, illum (Christum) non solum praecinit, sed etiam praefiguravit» (tipologia). Segue una enumerazione spiegata di alcuni sentimenti o affetti espressi e combinati nei salmi; il cambiamento e l'intreccio di sentimenti o di affetti all'interno di un salmo è un fatto che non va sottovalutato e trascurato.
2. Lectio Scholastica La Scolastica apporta un metodo nuovo o una tecnica nuova nella esegesi dei salmi. Si tratta della tecnica e degli strumenti concettuali della nuova scienza che irrompe e si instaura in Occidente, trionfa e produce nell'arco di due secoli opere di pensiero magistrali. La scolastica applicata a commentare i salmi dà risultati piuttosto discutibili, perché il suo metodo opera più sul .versante speculativo, piuttosto che filologico. Prima di tutto lo scholasticus è un professore: la lectio scholastica ruba il campo alla lectio monastica per coesistere pacificamente o in antagonismo con essa. La separazione o la dissociazione comporta una specializzazione che in passato esisteva appena: il professore o l'universitario, nell'esercizio del proprio magistero, può prescindere dall'aspetto pastorale o si basa per deduzione sulle conseguenze e le implicazioni del suo discorso. Lo scolastico è un professore che si accinge a commentare i salmi con un sistema formale di
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concetti e di categorie, che si possono dividere e suddividere ed organizzare logicamente. Nel contempo, tende a sviluppare la disputatio, che invaderà l'esegesi biblica lanciando le sue quaestiones, domande o problemi da risolvere con il metodo dialettico. Possiamo ora vedere come funziona il nuovo metodo di spiegazione nelle mani del suo rappresentante più estremo, Ugo di S. Caro (t 1263). Cominciamo con il suo commento al Sai 1, nel testo originale latino, lingua che è connaturale alla scolastica. Già la presentazione che Ugo fa ci orienta, poiché è fornita di chiavi interpretative che distribuiscono secondo un ordine logico i materiali del salmo, dopo una astrazione in concetti: «Beatitudo consistit in: immunitate a peccato triplici: Operis "qui non abiit operando in concilio impiorum", Cordis "et in via peccatorum non stetit", Oris "et in cathedra pestilentiae non sedit". In bona voluntate ... "voluntas eius". In meditatione legis divinae "et in lege ... ". In bona operatione ... "fructum suum dabit". In bona locutione "folium eius defluet". In perseYerantia ... "semper prosperabuntur''. Est beatitudo: Viae Sinistrae: Sai 143 ... Dextrae ... : Mt 5. Patriae: Le 14. Ad hanc beatitudinem requiritur: Vitare. Piangere. Non publicare peccatum. Futurum. Praeteritum. Praesens. Velie bonum, scire bonum, posse bonum. Opere exsequi. Discretio. Modestia. Patientia. Velie bonum "voluntas eius", scire bonum "meditabitur", posse bonum "lignum plantatum"».
È vero che il Sai 1 non è un capolavoro di immagini originali e felici, però in una certa misura suggerisce la vitalità spirituale in termini botanici, di foglie e di frutti. Il cardinale Ugo, con la sua bacchetta magica di buon scolastico, trasforma la foglia non caduca in «parola che non si abbassa, in modestia nel parlare» e il frutto maturo diviene «l'esecuzione del bene e la discrezione». Trasformate in concetti, le immagini divengono «intellegibili», possono essere raggruppate in articolazioni logiche rigorose o approssimate. Possiamo vedere un altro esempio: Sai 2,2: «Congiurano contro il suo Signore e contro il suo Messia». Spiega Ugo: «Contro il Signore abusano dei doni della natura, contro il suo Unto abusano dei doni della grazia». Così entra nel salmo la distinzione tra natura e grazia. Leggiamo nel Sai 18,34: «Mi dà piedi di cervo». Avendo in mente I Cv 2, 16: «cnncupiscentia carnis, concupiscentia oculorum et su1wrhia vitt1e», così spiega llgo: «Pedes meos, id est affectus meos
Introduzione generale
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ut transiliant omnia quae sunt in mundo. Cervi enim transiliunt lutosa, spinosa et foveas, per quae tria illa quae sunt in mundo designantur».
Il commento di Ugo, nella bellissima edizione del 1754, occupa 1432 colonne di pagine in folio: concretamente dieci colonne o venti pagine di oggi, per salmo. Non dobbiamo lasciarci ingannare, quando leggiamo al margine , pensando che egli continui l'esegesi tradizionale per sensus. Questa persiste come schema subordinato alla concettualizzazione scolastica. Nel linguaggio esegetico subentrano l'astrazione e una nuova terminologia. Il tessuto biblico è intellettualizzato. Sulla stessa linea di una concettualizzazione ben sistematizzata, ha lavorato s. Tommaso d'Aquino (ha commentato 51 salmi nella sua Expositio in Psalmos Davidis). Commentando Sal 46,5: «fluminis impetus laetificat civitatem Dei», l'Aquinate descrive tre qualità della città che è la Chiesa: «Primum est quod sit ibi multitudo liberorum ... Secundum est quod habeant sufficientiam per se ... Tertium est unitas civium ... ». Ogni qualità viene comprovata da una citazione biblica: Gal 4,31; Sai 65,5; Gv 17,22.
Più moderato nella distinzione, anche se simile nella trasmutazione delle immagini in concetti, è il seguente commento, attinto ad un'opera falsamente attribuita a s. Bonaventura. A proposito di Sal 97,5, che descrive la teofania e reca l'immagine dei «monti che si squagliano come cera», cosl spiega il commento: «Hic ostendit superbiam unde dicit montes, instabilitatem unde sicut cera fluxerunt». Una volta che questo metodo è applicato sistematicamente al Salterio, si dilegua la fantasia, il corporeo si spiritualizza, il sentimento viene congelato. È come se un bel dipinto o affresco, ricco di forme e di colori vivi, si trasformasse in un freddo reticolato nero su bianco. Quanto alle quaestiones, un esempio ci è offerto da un commento di Riccardo di san Vittore. Sal 2,4 nel testo della Vulgata recita «qui habitat in coelis». Un'analisi filologica preciserebbe che il termine ebraico ysb significa qui «sedersi, essere intronizzato, governare»; l'analisi letteraria spiegherebbe che «cielo» è una rappresentazione spaziale simbolica, comune a molte religioni. Riccardo allora imposta un problema, una quaestio: «Se il Signore è in ogni luogo, perché si dice che sta in cielo e
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non ovunque? E se sta in cielo, come possiamo credere che Egli è dappertutto?» Proseguendo nel suo ragionamento, Riccardo cerca una risposta appellandosi al concetto di essere visto, mostrarsi (che è poco convincente).
Nel complesso, il metodo scolastico non arricchì l'intelligenza e la comprensione dei salmi e, nella metà del XIV secolo, provocò una salutare reazione. Per comprenderla, dobbiamo gettare uno sguardo su un'altra tradizione importante e decisiva. A mo' di complemento, diremo qualcosa sui titoli latini e i capitoli. Introduciamo qui questo argomento, perché la composizione di molti e la diffusione di tutti, caratterizza precipuamente questo secondo periodo della storia dell'esegesi. I «tituli psalmorum» servono per guidare la preghiera e facilitano l'interpretazione cristiana. Tendono ad amplificare, a spiegare. I capitoli sono riassunti articolati, offrono l'argomento del salmo per sezioni successive, del tipo «primo ... secondo ... terzo ... » Sono più vicine allo studio intellettuale che alla preghiera n.
3. I maestri giudei Quali energie misteriose, quali condizioni o fattori ambientali, fanno sl che un giorno dalla materia si sprigioni la scintilla vivida della vita? Quali correnti spirituali, quali venti invisibili spingono e provocano quel contatto o quella congiunzione in cui qualcosa di nuovo comincia? Mentre il Medioevo cristiano scorre tranquillamente e si appresta al violento e brusco trapasso culturale della Scolastica, fra i commentatori giudei si verifica una autentica rivoluzione copernicana che si coagula intorno a tre personalità, i cui nomi rispondono
., P. SALMON, Les tituli psalmorum des manuscrits latins (Collectanea Biblica Lati· na 12), Roma 1959; H. BoESE, Capitula Psalmorum, RevBen 91 (1981) 131-163. Per un'informazione sui nomi di questa epoca e delle seguenti: H. HURTER, Nomendator litterarius theologiae catholicae, Innsbruck 1903-13, nonché le opere di carattere ~~encrale come la Cambridge History of the Bib/e e La Bib/e de tous /es temps nei loro volumi corrispondenti; utili anche H. DE LUBAC, Esegesi medievale, 2 voli., Roma 1'172; B. SMALLEY, Lo studio della Bibbia nel Medioevo, Bologna 1972; P. R1CHÉ·J. C:11AT1U.ni. Di questi denti l'apostolo dice: «ma se vi mordete l'un l'altro, badate di non sbranarvi a vicenda». «Rialzi la mia testa»: cioè al primogenito dalla morte che ascese al cielo.
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Salmo 3
Secondo Origene, il Padre esalta il Figlio come dice Fil 2,9. Spiega
il sonno in termini filosofici greci: la dormizione di Cristo è la separazione dell'anima dal corpo nella morte di Cristo, «quando la sua anima, cessando di servirsi del corpo come strumento, non è restata inattiva ma ha realizzato la salvezza di molte anime (1 Pt 3, 19). Sempre per Origene il «santo monte è il cielo». Ilario e Ruperto commentano alla luce di Gen 49,9: il Cristo è come il leone, che dorme nella pace e nella sicurezza, e pur addormentato è troppo forte per temere. Concludiamo con un brano di Gregorio di Nissa, che co~menta: «Il salmo spiega la tentazione che minaccia da parte del nemico. Il nemico ti vede già consacrato per la fede e ti vede regnare col vero Cristo. Quindi cerca di farti cadere da una dignità tanto grande, ma venendo ad abitare in te. Poiché il nemico ha il potere di turbarci solo se noi lo conosciamo e se, per una sorta di parto infelice, diventiamo padri di uno spirito malvagio che si solleva contro il nostro regno ... ».
SALMO 4 2. Quando t'invoco, rispondimi, Dio, mio difensore; Tu che nelle strette mi hai aperto spazio, abbi pietà di me, ascolta la mia preghiera. 3. Signori, fino a quando sarà infangato il mio onore, amerete la falsità ed ambirete la menzogna? 4. Sappiatelo: il Signore ha distinto un suo fedele, il Signore mi ascolta quando l'invoco. 5. Tremate e non peccate più, sul vostro letto riflettete e tacete; 6. offrite sacrifici legittimi e confidate nel Signore. 7. Molti si chiedono: «Chi ci farà godere felicità, se la luce del tuo volto, Signore, da noi si è dileguata? 8. M'hai infuso nel cuore più gioia di quando abbonda il loro grano e il loro mosto. 9. In pace mi corico e subito m'addormento, perché Tu solo, Signore, mi fai vivere tranquillo.
BibliogrJia L. Di.iRR, Zur Datierung von Ps 4, Bib 16(1935) 330-338. A. ALPE, lrascimini et nolite peccare: Ps 4,5, VD 22(1942) 273-276. J. MEYSING, Note d'exégèse: une nouvelle con;ecture à propos du Ps 4,7b. RSR 40(1966) 154-157. B.N. WAMBACQ, Salmo 4, in Actua/idades Biblicas (ed. S. Voigt), 1971, 277-284. F. AsENSIO, Salmo 4: Perspectivas de /,a oraci6n en I.a exégesis del Crisostomo, EstBib 36(1977) 153-171. Idem, é Mentir o idol.atrìa?, Greg 61(1980) 653-675. B. STROLE, Psalmen: Lieder der Verfolgten, BiK 35(1980) 42-47. J. DES RocHEITES, Un versetto di un salmo meditato dai rabbini del Talmud, PSV 3(1981) 73-85. O. WAHL, Du a//ein, Herr, /iisst mich sorglos ruhen; die frohe Botschaft von Ps 4, in FS H. Gross (1986) 457-470.
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Salmo 4
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Analisi filologica 2. 'nny: imperativo; LXX perfetto, cosl anche Vg. '/hy ~dqy: Dio della mia giustizia; che mi fa giustizia, che difende la mia causa giusta; il costrutto indica spesso l'effetto, come in Gen 2,9; Is 9,6 Ros. hrl{bt: perfetto; alcuni lo cambiano in un imperativo, senza necessità. 3. bny 'ys: sono diversi dai rabbim del v. 7, formano un altro gruppo. Si distinguono dai bny 'dm come i nobili dai plebei, le autorità dal volgo: ad es. Sal 49,3; 62,10: Del Phil Gun Duhm Cast Kraus Wei; tra gli antichi commentatori Kim e Corderius. 'd mh: la vocalizzazione di mh è normale dopo una preposizione: G K 37d, BL 33, Joiion 37 f. Alcuni emendano '/ mh «perché?» kbwdy lklmh: costruzione ellittica, senza copula Cord Del Duhm Gun Phil, Briggs Wei, Rav. kbwd è l'onore, la gloria o il prestigio personale. LXX ha una lettura differente barykardioi = kbdy /b. Così Vg graves corde,
ut quid. ryq e kzb hanno un senso etico. Per Gun kzb è sinonimo degli idoli in Am 2,4 Sal 40,5; 4. wd'w: waw enfatico o avversativo; consecutivo per Del Gun che rimanda a GK 154 d. hplh yhwh l{syd lw: diverse le letture proposte: a) mantenendo il TM, da] verbo plh: «Il Signore ha distinto un suo fedele/si è scelto un fedele»; oppure cambiando hplh in hp/': «ha fatto prodigi»; oppure assumendo plh come allografo di pi', sul tipo di qrh/qr'. LXX ha «ethaumastòsen ton osion autou». Così Del Phil Kon Dah Rav. b) vocalizzando hipla/hipla' yhwh hasdo li: «Il Signore ha fatto un prodigio di bontà con me». Leggono hasdò li come in Sai 17, 7 e 31,22 Gun Dhorme Graetz Cast Podechard But. Kraus legge l{sd ly, Briggs l{sd. c) Si sostiene come originale la lettura b); più tardi, nei circoli degli ):iasidim si vocalizzò secondo il TM. Noi preferiamo la prima: di fronte alla slealtà dei nobili, o persone di alto rango, Dio prende l'iniziativa in favore del suo fedele. 5. rgzw: il verbo significa genericamente fremere, agitarsi; concretamente per timore Kim, Zor, Phil; a causa dell'ira: con quest'ultima connotazione citato da Ef 4,26. LXX «orgizesthe». Molte sono le proposte di correzione del testo, reso con differenti traduzioni. w 'l: w- copulativo, come gli altri due seguenti, nella serie degli imperativi; non ha valore concessivo, né avversativo, come propone Del. 'mr: equivale a meditare, riflettere, rimuginare Phil Del Kim. wdmw: tan.·rl'. essen· tranquillo, quieto, desistere. Kimchi commenta:
Testo e commento
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«Come se David dicesse: desistete dalle vostre azioni». Per Ibn Ezra «calunniare». 7. nsh '/ynw: da nws = fuggire, allontanarsi: «si è allontanata la luce [che stava] sopra di noi», equivale a «si è allontanato da noi», Dah '/locativo = focus unde. Da nsh allografo o allomorfo di nf', imperativo secondo Nm 6,26; «eleva sopra di noi». Aquila Teodozione Giro! Ibn Ezra Kim Del Phil Duhm Briggs Wei Cast; nsh per nf', sarebbe una forma tardiva BL 14 d e 59c; per Duhm sarebbe arcaica. Denominativo derivante da nes = stendardo o da un verbo nss = brillare. Simmaco LXX Vg Peshitta Rashi Ros. 8. m't: min comparativo + 't ellittico Del Phil Duhm Gun Kraus Wei Cast; la costruzione completa sarebbe: mfmht 't 'fr rbw dgnm wtytrwsm Ros. L'antecedente dei suffissi devono essere i rabbim. 9. yl)dw: Ewald 258 c; Phil; «simultaneamente, nello stesso tempo» Gir Eutimio; «in seguito, immediatamente» Briggs Gun Cast. lbdd: riferito all'uomo: sebbene sia solo, è sicuro con Dio. Riferito a Dio: è l'unico che dà sicurezza. A meno che l'autore non giochi con una ambiguità suggestiva. Non c'è ragione di sopprimerlo o di sopprimere Yhwh.
Studio globale del salmo 1. Genere Kraus cataloga il carme come lamentazione di un uomo ingiustamente accusato, secondo la descrizione del genere proposta da L. Schmidt (1927). L'orante è un uomo povero, di bassa condizione, accusato da gente influente, mentre i suoi compagni giusti, onesti, vacillano. Weiser lo considera una preghiera di fiducia, ed ha a suo favore la duplice menzione, in posti strategici, della radice btfl. Castellino lo considera un canto di rendimento di grazie arricchito con elementi sapienziali; come suo solito, Castellino presenta una eccellente esposizione di differenti saggi di classificazione tipologica di questo salmo. Dahood, che non è solito insistere nella classificazione tipologica, lo considera una supplica «ad petendam pluviam»: un }:iasid implora al Signore la pioggia, affrontando gente influente che la sollecita dagli idoli. Maillot-Lelièvre considerano il salmo una supplica agricola. Situazione. In funzione del genere o prescindendo da esso, altri autori ricercano per il salmo una situazione o contesto come chiave di comprensione e di interpretazione: un contesto storico ed unico o sociale e tipico. Delitzsch, anteriore allo studio dei generi, accetta la vecchia intestazione ebraica e pensa a David che fugge oltraggiato e inseguito da Assalonne, mentre nei suoi compagni la speranza si
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Salmo 4
va affievolendo. Maillot suggerisce I' esempio di Mosè nel deserto, oltraggiato da alcuni e non sostenuto da altri; propone questa situazione non come la cornice originale, bensì come paradigmatica, cioè come modello che illustra. Pensiamo che il carme non si inquadri agevolmente in nessuno dei generi stabiliti da Gunkel o raffinati dai suoi epigoni. Catalogarlo ad ogni costo, potrebbe significare forzarlo e, ridurlo nel letto di Procuste di un genere, può sfociare in riduzionismo. Il genere più prossimo è la preghiera di fiducia, che può servire come schema di riferimento. L'autore non ha seguito pedissequamente canoni fissi. Quanto alla situazione storica, l'attribuzione a David illustra la tendenza che ricerca nella storia biblica momenti in cui contestualizzare il salmo (prologhi); come esercizio storico, è un compito destinato all'insuccesso. In cambio, può essere utile come illustrazione, che si potrebbe riproporre in altri termini: «Immaginiamo un caso come quando David fugge ... come Mosè nel deserto ... »; il salmo rispecchia qualcosa di simile. Allora il modello che illustra non lega il salmo ad un unico momento, non lo vincola ad una situazione irripetibile. La cosa più importante di un salmo è la sua ripetibilità, mediante la quale può servire come testo di preghiera per molti. 2. Relazione col salmo precedente
Ambedue i salmi, il 3 e il 4, hanno in comune la fiducia dell'orante in mezzo al pericolo, manifestata nel coricarsi e nel dormire, poggiata nell'invocazione dell'orante e nella risposta di Dio. Da qui saltano subito all'occhio le significative ripetizioni di qr' + 'nh (3,5 e 4,2) skb + ysn (3,6 e 4,9). Di minor peso la coincidenza di rbym (3,2 e 4,7), kbwd (3,4 e 4,3). Questi elementi possono aver influito sulla attuale disposizione contigua nel Salterio, nel momento in cui i salmi sono stati inseriti nella collezione. Ci sembra esagerato definirli come preghiera del mattino e della notte. Per il resto, il metterli l'uno di seguito all'altro serve a far risaltare la lor differenza, la singolarità irriducibile di ambedue.
3. Composizione Il salmo 4 si distingue per la sua tensione drammatica. Quando diciamo «drammatica», pensiamo alla pluralità di relazioni che si instaurano fra i diversi personaggi implicati nel poema e, più ancora, alla tensione emotiva che cerca e trova la sua risoluzione. Nel nostro salmo non c'è dialogo di personaggi, perché a parlare
Testo e commenro
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è uno solo. Però questo solista interpella altri. Se ascoltiamo parole di altri, ciò avviene nella citazione che ne fa il protagonista. Questo significa che i personaggi, le relazioni, la situazione e lo scioglimento sono drammatici: la supplica non è un dramma in miniatura, ma un brano lirico. La qualità drammatica è espressa letteralmente nello scontro-confronto dell'orante con due gruppi diversi e perfino opposti. Questo confronto dialettico crea una tensione drammatica, che si risolve quando ambedue convergono nella fiducia. Il protagonista si scopre come tra due fronti e da qui si rivolge a Dio, lo supplica alla seconda persona, ricorda i benefici passati caparra di nuovi, proclama la sua personale esperienza di Dio. Parla di Dio ad altri in terza persona. Interpella i suoi nemici con retorica appassionata, accumulando interrogativi ed imperativi, come se li afferrasse per il bavero e li scuotesse, ma solo verbalmente e muovendo dal di dentro. Non li lascia fiatare; invece lascia parlare gli amici indirettamente, facendoci ascoltare in sintesi quello che dicono. Grazie a questo artificio letterario, quei «molti» anonimi e senza volto entrano nel brano in terza persona, parlando però con la distanza della citazione, attraverso la mediazione comprensiva del protagonista. Ciò che il personaggio del salmo ha sperimentato e vissuto non emerge in una pura espressione lirica, ma risulta incorporato nel dialogo implicito. Assume cosl rilievo il carattere interpersonale della situazione e dell'esperienza. La risoluzione del gioco drammatico sta nella fiducia, la cui forza si rivela nel superare le tensioni cui è stata sottoposta. La fiducia regge ed alimenta un paradigma di termini equivalenti o imparentati mediante sèma o radice distintiva comune b(Q, twb (felicità), sm/?h, (gioia), slwm (pace). Ad essi si oppongono almeno: ~rr (angoscia) e rgz (tremate). Accettando la distinzione fondamentale dei due gruppi contrapposti, possiamo presentare il seguente sviluppo schematico, a rischio di congelare il drammatismo: v. 2 Introduzione in forma di supplica rivolta al Signore. vv. 4-6 Discorso diretto ai nobili (bny 'yS): domanda retorica e imperativi vv. 7-9 Atteggiamento del gruppo (rbym) e testimonianza dell'orante che parla a Dio.
Lo schema ci servirà per una esposizione didattica ordinata. Esaurisce il suo compito quando possiamo ritirarlo come una impalcatura scemca.
Salmo .J
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4. I simboli Due simboli ben concertati incatenano il salmo dall'inizio alla fine: lo spazio e il sonno. a) Lo spazio: «Tu che nene strette mi hai aperto spazio» è qualcosa di più di una semplice immagine, è un simbolo primordiale archetipico. Partendo dalla esperienza radicale dell'uomo nello spazio, si sperimentano ed esprimono altre esperienze non spaziali, immateriali. Le situazioni di strettezza e di larghezza sono varie e non c'è bisogno di fare riferimento all'esperienza del beduino, secondo Geo 26,22 (Kraus), benché questo caso sia soggiacente ad Is 54 e sia in qualche modo esemplare. Dobbiamo piuttosto appellarci alla comune esperienza umana, senza frontiere di regione o d'epoca. L'uomo vive in una relazione essenziale con lo spazio, prossimo e remoto. Non solo ha bisogno dello spazo stretto occupato dal suo corpo (chiamiamo «corpi» gli esseri nello spazio), ma ha bisogno di uno spazio minimo per vivere, lavorare, muoversi, financo respirare. La vita in una metropoli presenta molte situazioni aggressive contro questa esigenza fondamentale: condomini, appartamenti in serie, posti di lavoro, calca in autobus o in metro ... Chi vive nella città sente la necessità di «spaziare», almeno di poter «spaziare» con gli occhi: può godere di una passeggiata per una ampia strada, il movimento in una cattedrale «spaziosa», e ricerca la vastità e le distanze della campagna, delle montagne e del mare: «Ecco il mare: spazioso e vasto» (Sai 104,25). Questa percezione di uno spazio immenso è da sempre presente nei poeti di ogni tempo. Ricordiamo i versi mai dimenticati di G. Leopardi, nella sua lirica L'Infinito: Ma sedendo e mirando interminati spazi di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo ... Così tra questa immensità s'annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Per Ungaretti langoscia diviene cosmica in una lirica con lo stesso titolo: Chiuso fra cose mortali (anchl· il cido stellato finirà) pc.-rd1é bramo Dio? ,/nfinitnl
Testo e commento
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Affine al nostro salmo, nella metafora del muro, che i nem1c1, maliziosi muratori, erigono intorno alla vittima, rubandogli spazio, si ricordi la lirica Il Muro di S. Quasimodo: Contro di te alzano un muro in silenzio, pietra e calce pietra e odio ogni giorno da zone più elevate calano il filo a piombo. I muratori sono tutti uguali, piccoli, scuri in faccia maliziosi ...
L'esperienza fisica di larghezza/strettezza serve all'uomo per elaborare --capire ed esprimere-- esperienze non fisiche: mentali, emotive, religiose. Soffre strettezze e ristrettezze, angosce; patisce lo stress, si angustia (da ang = stretto; cfr. anche l'italiano «strangolare), ha una coscienza stretta o larga, una mentalità ristretta o aperta, un cuore dilatato (dr. 2 Cor 6,11-13) ... In questo contesto, semplicemente umano, si incastona la gemma espressiva dal salmo che, per la sua ricca e folgorante concisione, merita una pausa contemplativa. Diamo qui alcune traduzioni del sintagma, per renderci conto ed apprezzare cosa significa rispettare il linguaggio poetico dei salmi: RSV: Thou hast given me room when I was in distress. NEB: I was hard pressed, and thou didst set me at large. LivB: You have always cared for me in distress. Today's EV: When I was in trouble you carne to my help. Piatti: Nel!' angustia mi scampa. Vaccari: Tu che nell'angustia mi hai tratto al largo. Pléiade: Dans la détresse tu m'as mis au large. TOB: Dans la détresse tu m'as soulagé. CEI: Dalle angosce mi hai liberato. NC: En la apretura tu me diste holgura. Einheits: Du hast mir Raum geschaffen, als mir angst war. Barbaglio-Commissari-Galbiati: Nell'angustia mi desti ristoro. Ceronetti: Dall'angustia liberami. Ravasi: Dall'angustia liberami. Lancellotti: Nell'angustia fa' a me largo. Tagliabue: Dalle angustie al largo.
Il traduttore dovrebbe ricreare nella sua lingua il linguaggio immaginativo della lirica originale. b) Il sonno: Non meno vigoroso ed efficace è il simbolo del son-
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Salmo 4
no. Nel salmo si propone l'esperienza di un sonno facile nel suo senso proprio. Questo senso però si approfondisce con una risonanza simbolica: per il contrasto con l'insonnia degli avversari, v. 5, per il dileguarsi della luce, v. 7, per la presenza di Dio, v. 9. In italiano potremmo dire che i dispiaceri non «tolgono o guastàAo il sonno» all'orante, né gli provocano incubi (cfr. Sir 40,5-7). Il sonno va al di là della semplice esperienza fisica: o libera facendo cessare il sentimento o la sensazione di ristrettezza ed angustia, o apre spazi ed orizzonti interiori alla fantasia. Nel salmo questo simbolo del sonno si rivela in sintonia con quello dello spazio. c) I simboli primordiali solitamente sono polari, ricchi ed espansivi. Possiamo notare la polarità dello spazio leggendo testi in cui l'immensità riveste un valore negativo, come ad esempio Gb 6, 1: «Le carovane mutano rotta, si addentrano nelle immensità e si smarriscono»: è l'immensità del deserto, sconfinato e minaccioso. La polarità del sonno ci viene data dalla sua funzione di riposo e dalla sua rappresentazione della morte. Sonno come morte: Gb 14,12; sonno ~terno: Ger 51,39.57; «Liberami dal sonno della morte» (Sal 13,4). Ricordiamo Elia che si addormenta per morire (1 Re 19 ,5). Sul sonno liberatore Pr 3,24. La ricchezza inclusiva di questi simboli va collegata 111 loro carattere globale, non articolato. È una ricchezza potenziale, che si espande nell'uso e nella lettura. La lettura cristiana si appoggia principalmente nei simboli. Esegesi Introduzione: v. 2. L'esordio è di supplica, come specifica il termine tplh. Tre imperativi si stringono in uno spazio breve, in contrasto con il perfetto solitario, che instaura. la tonalità di fiducia. In una buona tradizione salmica, gridare - ascoltare - rispondere, qr'(sm'/'nh sono correlativi; l'espressione avverbiale bqr'y può semplicemente significare «quando ti invoco», ma può anche colorarsi di una sfumatura di urgenza «appena ti invoco». ,\"r: il sostantivo esprime, in un ottica psicologica, una situazione di pericolo che stringe l'animo. È una metafora lessicalizzata che, a contatto con l'antonimo rhb, recupera il suo valore figurativo. Come l'italiano «essere alle strette». Potremmo ricreare lo stesso suono del!' originale ebraico ~rr, traducendo «rinserrare» (che viene da serro «catenaccio, chiusura»). (Sulla metafora lessicalizzata o catacresi rimandiamo al nostro Manuale di poetica ebraica pp. 128s).
Tesio e commento
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rhb: la larghezza viene predicata della terra: Gb 38,18, Sir 1,3; della terra promessa e delle sue frontiere: Es 3,8; 34,24; Dt 12,20; del mare: Sai 104,25: di canali e di strade: Is 33,21; Sal 119,45; della tenda e della città (ls 54,2; Ne 7,4) del cuore e della mente, con valore positivo o negativo (ls 60,5; Sal 119,32; Sal 101,5; Pr 21,4). L'introduzione è dominata da rime tecnicamente povere, con suffissi di prima persona. Se rappresentiamo ogni parola con un trattino, otteniamo la seguente sequenza schematizzata: -ì-ì-ì-ì --ì-ì--ì
Tuttavia l'effusione lirica iniziale non domina il resto del salmo: la rima riappare sobriamente nei versi 3 kbdy, 4 bqr'y e 8 bldy. A. Prima parte: Interpellazione degli avversari (vv. 3-6). 3. bny 'ys: 11 vocativo ex abrupto sorprende il lettore. In virtù della illocuzione o modo di prendere la parola, i nobili sono citati alla presenza di colui che parla, entrano passivamente nel poema, assistono muti alla requisitoria. Correlativamente, l'orante si affaccia a guardare fuori dal poema e la supplica si trasforma in discorso. Paralleli validi in cui il poema si interrompe sono Sai 6,9; 62,4; 119,115; all'inizio del poema 52,3 e 58,2 (Kraus lo chiama «allocuzione ad altri emersa dall'inno», con formula poco felice e senza spiegarne la funzione). 'd mh: La domanda retorica suppone alcune cose: che latteggiamento aggressivo stia durando in modo eccessivo, che stia attentando al prestigio, che può e deve cessare. Considerato nella tradizione salmica, questo appello risulta piuttosto raro. Infatti l'atteggiamento normale è quello di rivolgersi a Dio, sollecitando aiuto, chiedendo giustizia contro gli avversari. Qui il salmista si trasforma in un uomo ligio alla legge (come nel Sal 58) e in un predicatore: invece di reclamare il castigo degli offensori, predica e chiede la loro conversione. Questo avviene con la duplice caratterizzazione e con la serie martellante di sette imperativi. kbwdy lklmh: dànno luogo ad un contrasto violento, sottolineato dalla costruzione ellittica e dalla allitterazione sulla consonante k-. ryq ... kzb: i due sostantivi risuonano con doppio valore. Vuoto, senza contenuto è l'oltraggio, vuoto senza rjsultato è il suo esercizio; menzogna è ciò che dicono e divulgano, la loro azione è destinata all'insuccesso (cfr. ryq in Sai 2,1). 4-6. La serie dei sette imperativi, da un punto di vista formale,
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] '-)7
si snoda in questo modo: il primo imperativo coinvolge un lungo complemento, gli altri seguono in coppie unite mediante la particella copulativa. Presentiamo lo schema: d'w .......... . rgzw w'l th(w 'mrw ... wdmw zbhw ... wb(hw
L'intera sequenza riassume paradigmaticamente un processo di conversione a Dio. 4. d'w: La prima tappa è «riconoscere, tremare e non peccare»; più esplicitamente riconoscere un'azione teofanica di Dio, reagire dinanzi ad essa con terrore numinoso e, corretti, cessare di peccare. Il verbo yd' con il significato di riconoscimento dell'azione divina è frequente, specialmente in Ezechiele e nella tradizione sacerdotale (dr. G. Savoca, La visione della storia in Ezechiele, Napoli 1972). Nel caso presente, il Signore ha preso partito per un uomo oltraggiato, per un suo «fedele» incapace di difendersi. Un'azione di Dio in favore dell'innocente offeso è teofanica: annienta la forza dei potenti e ristabilisce l'ordine dei valori. D'altra parte, per correlazione ed implicazione, «distinguere» un fedele, implica respingere i suoi avversari o persecutori. Riconoscere è più del semplice sapere, coinvolge la libertà, può dare origine a un processo di conversione. 5. rgz: il riconoscimento provoca un timore numinoso, espresso esattamente con il verbo rgz, «tremare di paura», più della metà delle volte adoperato in un contesto teofanico, con soggetto cosmico o umano. Ad esempio: lSam 14,15; Is 64,1; Ger 2,10; Sai 18,8. 'I tq(w: si potrebbe tradurlo con l'imperativo: «non peccate più». Rompere con l'atteggiamento e l'azione peccaminosi è il primo passo efficace della conversione, che risponde e pone termine al «fino a quando?». 'mrw ... wdmw: La seconda tappa è di riflessione silenziosa, in privato e in silenzio, per prolungare il riconoscimento ed assimilare gli effetti del timore numinoso; 'mr non ha complemento, si sottointende che l'oggetto della riflessione è quanto precede. Si veda per contrasto un testo che ripete varie parole del nostro salmo: Os 7,14: «Non gridano di cuore (blbm) a me, ma vociferano sui loro letti ('/ mskbwtm), devoti a Cercrc e Bacco (dgn wtyrws, qui divinizzati)». La notte, il
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silenzio sembrano favorire la riflessione, con un coefficiente di ascetismo per non abbandonarsi soltanto al sonno. 6. zbl?w: Solo nella terza tappa interviene l'azione cultuale, come espressione della conversione interna; espiando il peccato, serve per ristabilire la relazione con Dio. Nel catalogo ufficiale dei sacrifici non ne troviamo uno denominato tecnicamente zbf? ~dq; per tale ragione dobbiamo dare un significato ed una accezione generica all'espressione, come in Dt 33,19: «sacrifici legittimi, dovuti». Donde nasce la legittimità del sacrificio? Dal suo carattere istituzionale o dall'atteggiamento interno dell'offerente? Il salmo non risponde espressamente, si accontenta di collocare l'azione liturgica al penultimo posto degli imperativi, come requisito per la riconciliazione piena con Dio. wbtf?w: Questa riconciliazione finale culmina nella fiducia, nella confidenza, nel riposo che subentra al timore. I nobili sono stati accettati dal Signore. Così si conclude l'esortazione appassionata del salmista; come lorante del Sai 51 che annunzia: «I peccatori ritorneranno a te», come frutto del suo insegnamento o predicazione (nel Sai 51 il sacrificio autentico è uno spirito affranto). Non conosciamo l'esito di questa breve interpellazione del salmista, che resta al di fuori del poema. Possiamo congetturare un esito positivo, se l'interpellazione è entrata a far parte di una preghiera, e per contrasto con il Sai 58.
B. Seconda parte: L'appello agli amici (vv. 7-9). Chi sono questi anonimi molti (rbym)? Il salmo non li identifica, si accontenta di descrivere a parole il loro atteggiamento. Ci presenta un tipo, citando le loro parole. In altri termini, il secondo gruppo è formato da quanti pensano e si esprimono in quel modo; e sono molti. Sono persone che perdono la speranza nel sentire che il Signore si ritira. Il verso risuona nel contempo come elogio e rimprovero. Come elogio: chi dice che senza la luce del volto divino non c'è felicità, professa nobilmente la sua fede. Come rimprovero: non sperano che il volto divino torni subito a risplendere (cfr. Is 8, 17). Il loro errore sta nel non sopportare la notte oscura. Nel momento in cui la luce si ritira, si fa notte dentro di loro. yr'ny t_wb: si vedano Sai 34,13; Gb 9,25; Qo 2,24; 3,13; 5,17; 6,6. 'wr pnyk: si vedano Sai 44,4; 88,15 e relativo commento. 8-9: A questi pusillanimi l'orante non lancia un discorso aspro, ma offre loro la sua personale testimonianza: pregando ad alta voce davanti a loro, farà capire ciò che possono e devono sperare da Dio. Colui che ha sperimentato la larghezza nelle strette, può testimoniare
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la presenza notturna di Dio. Non resta che attendere il mattino, tempo classico del favore divino (Sai 30,6; 90,14), giacché la fiducia può cominciare durante la notte, di modo che il sonno ne sia il simbolo. Viene inserita così la nuova supplica, diretta a Dio ad alta voce, affinché gli sfiduciati possano ascoltarla. Pregare ad alta voce può essere un modo di rendere testimonianza. Ritorna perciò il perfetto asseverativo: «mi hai aperto spazio /I mi hai infuso». 8. Parla di una gioia interiore, dono diretto di Dio, che supera la gioia legittima suscitata da un buon raccolto. La letizia del raccolto è ovviamente giustificata (ls 9 ,2), è inoltre una benedizione divina (Lv 26, 10; Dt 28,8 ecc.). In cambio, la gioia del salmista è paradossale, perché gli è stata infusa da Dio in mezzo alle strettezze. Solo Dio può consolare nella tribolazione con una gioia che è testimonianza dello Spirito. 9. Coricarsi e addormentarsi sono una cosa sola per l'orante. Non come i bny 'ys, che andavano a letto tremando, cercando di riacquistare serenità con una riflessione compunta. Per essi coricarsi non significava dormire, ma rimuginare il fallimento, pentirsi del peccato, prepararsi per un'azione liturgica. I vocaboli mskb e skbh marcano il contrasto (v. 5 e v. 9). Nel dire «tu solo» approva e conferma il principio implicito nel ragionamento degli amici pusillanimi; è vero, senza il Signore non c'è speranza, solo Dio fonda la fiducia. Al principio corretto degli amici, si aggiunge l'esperienza dell'orante, la sua conferma esistenziale che cerca di contagiarli e di comunicar loro la sua fiducia. lb(q twsybny: il sintagma ricorre con variazioni morfologiche: Lv 25,18s; 26,5; Dt 12,10; Gdc 18,7; 1 Re 5,5; Is 47,8; Ger 32,37, ecc. Non c'è motivo di sopprimere alcuna parola metri causa. Nel testo attuale il ritmo si va allargando verso il finale 3 + 4 4 + 5. In tal modo il salmo si conclude con la medesima tonalità dell'inizio, risolvendo tutte le tensioni in un accordo perfetto di serenità e di fiducia.
Trasposizione cristiana
Ef 4,26 cita la prima frase del v. 5, dando a rgzw il senso specifico di adirarsi, irritarsi, da cui prende l'avvio una tradizione esegetica che si occupa dell'ira legittima, come strumento utile per scuotere la sonnolenza del cristiano e renderlo più appassionato: in questa lilll'a troviamo Eusebio. Crisostomo, Ambrogio ... Lo stesso versetto
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di Ef 4 parla della menzogna: per la vicinanza della citazione, possiamo sospettare una reminiscenza di Sal 4,3. A proposito di ryq, v. 3, Gregorio di Nissa parla del «vuoto» sociale dell'umanità che deve essere riempito con la Rivelazione. Anche Agostino lo commenta in chiave di Verità= Rivelazione. Nel suo senso ovvio si presta al commento etico di saper scegliere le cose eterne e trascurare quelle che non hanno consistenza. Riguardo al v. 7b, diversi autori hanno seguito il testo dei LXX e della Vulgata, che fanno derivare nsh da nes: stendardo, segnale (significatum est, esemeiothe). Il cristiano è stato «segnato» dalla luce del volto divino, che è suo Figlio. Così, con varianti, Eusebio, Gregorio di Nissa, Origene, Gregorio Nazianzeno, Cirillo Alessandrino, Ambrogio, Girolamo. Così pure Agostino che introduce un paragone: «I credenti sono come una moneta che porta l'immagine del re ... A Cesare si paga il tributo, a Dio si rende un'anima illuminata che porta l'impronta della luce del suo volto». (Sulla rilettura del Sal 4 di Crisostomo dr. F. Asensio, art. cit., 153-171). La gioia nella tribolazione ci trasporta alla testimonianza di Paolo e di altri scritti nel N. T.: 2 Cor 7,4 : «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione». Gal 5,22: «Il frutto dello Spirito è ... gioia, pace ... ». 1 Ts 1,6 : «Anche in mezzo a tante tribolazioni, avete accolto la Parola con la gioia dello Spirito Santo».
Ci restano i due grandi simboli, spazio e sonno, sempre aperti e disponibili a nuove letture che li sfruttino senza esaurirne la ricchezza. a) Spazio. Suggeriamo prima quattro testi che aprono l'orizzonte per la contemplazione: 1 Re 8,27 : «Se non può contenerti il cielo, né il più alto dei cieli». Sai 139,7-10: sull'immensità di Dio che abbraccia e oltrepassa tutto. 17,28 At «ln Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo». Ef 3,18 : Le dimensioni del Cristo: «siate in grado di comprendere ... quale sia l'ampiezza, la lunghezza, laltezza e la profondità .. .!' amore di Cristo»
Dio ci dà spazio, ampiezza, liberandoci per mezzo di Cristo dalle costrizioni della Legge, allargando il senso della Scrittura, dilatando dal di dentro la nostra capacità. Facendo un passo più avanti, possiamo meditare sul fatto che Dio è il nostro spazio, in cui noi ci muovia-
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mo ed esistiamo: uno spazio infinito che dobbiamo percorrere eternamente senza esaurirlo, senza confini. «Sia Egli dopo questa vita il nostro luogo!» (Agostino. commentando il Sai 30, par. 8). Massimo di Torino parla di Dio come spazio della Chiesa (PL 57,514). b) Sulla trasposizione del simbolo del sonno, che è stato diffusamente commentato dai Padri, anche riguardo ad altri salmi ed in collegamento con il sabato, basti notare la morte = sonno = riposo di Cristo, come passaggio alla vita, che ha ottenuto uno stupendo commento musicale nel coro finale della Passione secondo S. Matteo di ].S. Bach (Rube san/te, san/te ruh). Ricordiamo ancora con Agostino l'unità tra riposo di Cristo e riposo della Chiesa: «Il Cristo e la Chiesa sono due in una sola carne, in una sola voce, in una sola passione. E quando l'iniquità sarà tolta di mezzo, saranno due in un solo riposo» (Exp. Sa! 61, al v. 4) Nella sequela di Cristo abbiamo il sonno = morte = riposo del cristiano, cosl come la nostra liturgia ha accolto il «riposino in pace» di Ap 14,13 nella liturgia dei defunti. Per concludere, là dove la poesia diventa preghiera e le antiche parole ridiventano nuove, lasciamo la voce ad un poeta del nostro secolo. Nella sua parafrasi del Sai 4 scrive: «C'è in me questa pace che va incontro al sonno. C'è in me un tesoro di speranza, che tu mi hai donato» (P. Claudel).
SALMO 5 2 Ascolta le mie parole, Signore, intendi il mio sussurro, 3 su attento ai miei gridi di aiuto, mio Re e mio Dio! Te, Te supplico, Signore: al mattino ascolta la mia voce; 4 al mattino ti espongo la mia causa e resto in attesa ... 5 Poiché tu non sei un Dio che voglia il male, né è tuo ospite il malvagio, 6 gli arroganti non sussisteranno al tuo cospetto. Detesti i malfattori, 7 distruggi i menzogneri; perfidi 1 e sanguinari il Signore li aborrisce. 8 Io invece, per la tua grande bontà, posso entrare nella tua casa e prostrarmi verso il tuo santuario con riverenza. 9 Per la tua giustizia guidami, Signore, in risposta a chi mi denigra; spiana davanti a me la tua via. 10 Non c'è sincerità nella loro bocca, il loro interno è un antro 2 , la loro gola un sepolcro aperto, la loro lingua melliflua 3 • 11 Condannali, o Dio, falliscano i loro piani: scacciali, per i loro molti crimini, perché si ribellano contro te.
traditori la loro mente è un baratro. ' adulano con la lingua. 1
2
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12 Si rallegrino quanti si rifugiano m Te, con giubilo senza fine, gioiscano con Te, quanti amano il tuo nome. 13 Perché Tu, Signore, benedici l'innocente, lo copri e lo circondi con il clipeo4 della tua bontà.
Bibliografia L.
Ps 5. Eine Untersuchung seiner dichterischen Struktur und seines theologischen Gehaltes, ThQ 142( 1962) 23-46. E.M. BLAIKLOCK, Psalms o/ the great rebellion, London 1970. ]. CorPENS, La royauté de Yahvé dans le Psautier, ETL 53(1977) 300-306. J.W. McKAY, Psalms of Vigil, ZAW 91(1979) 229-247. D. LIFSCllITZ, dr. bibliografia Sai 3. KRINETZKI,
Analisi filologica
1. 'mry: in posizione enfatica; il v. 2 si articola in un chiasmo perfetto. hgygy: inf. qatil (Barht, Nominalbildungen, par. 85b) da hgg, allomorfo di hgh; solo qui e nel Sai 39,4. Si veda l'interpretazione giudaica tradizionale citata da Ros, ed anche GB, Zor HALAT, DBHE 169. 3. sw'y: inf. pie! da sw' Duhm GB Zor. ky: con valore causale Del Briggs Duhm Gun Dah Rav; temporale Phil, come Gen 4,12; 2 Sam 7,1; Sai 23,2; 32,8; 37,20; con valore comparativo But. Potrebbe essere anche enfatico. 4. yhwh: Dah e Rav lo uniscono all'emistichio precedente; si veda LXX e Gir. Briggs e Gun sopprimono yhwh e spostano bqr unendolo a 'tp/l. bqr: avverbio di tempo Joiion 126 i. Forse allusione all'ora del sacrificio Duhm o della preghiera Kim. "rk: l'uso assoluto del verbo 'rk in Gdc 20,30.33; 1 Sam 4,2; 2 Sam 10,17; Ger 50,9 14; 1 Cr 19,11.17 suggerisce un uso intransitivo di 'rk con /- di direzione (con verbi di movimento GB p. 370b): non con senso di ostilità come Ger 50,9 o Sal 89,7. Suppongono un accusativo implicito: la supplica Kim, Gesenius Thesaurus, Briggs; un sacrificio Duhm; la mia causa con valore forense Dah; la mia richiesta Rav; qwly complemento co-
• ~cudo.
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mune a tsm' e "rk; la persona dell'orante LXX parastesomai, Gir praeparabor, Vaccari «mi presento». Corderius gli attribuisce un senso militare. Per il senso giudiziale, cfr. P. Bovati, Ristabilire la giustizia 307s. 5. ygwrk per Kim equivalente di ygwr 'mk, come in casi analoghi; così anche Del che adduce Sal 120,5; suffisso dativo But. Gun e Cast attribuiscono allo yiqtol un valore modale. 6. yty~bw: «stare in piedi, fermo, a disposizione di, al servizio di»; Gun rimanda a Pr 22,29. Si confronti con Sal 101,7 ysb/ykwn lngd 'ny. Dah lo assume in senso forense. hwllym: Kim «Stolti o empi», a somiglianza di 1 Sam 21,14 o di Qo 10, 13; Ros seguendo Ri.idinger e Michaelis traduce «insane in peccata ruentes». Duhm suppone un participio polel senza m-, «tracotanti»; Vaccari «arroganti»; Chouraqui «insanes»; But «empi o malvagi»; Tagliabue: «insensato». 7. 'ys Jmym wmnnh: cfr. Joi.ion 129 j. 8. 'bw' bytk: bw' con accusativo GB Zor HALAT. bytk ... hykl qdsk: Duhm distingue byt recinto, hykl l'edificio del tempio; Ros pensa che hykl sia l'aula interna o sancta sanctorum. 9. swrry: solitamente si fa derivare da swr: «guardare, osservare: 10° spiare di quelli che sono in agguato Gir Kim citando Nm 24, 17 e 1 Sam 18.29. Altri pensano ad un participio polel senza m- Briggs Duhm; per Gun «calunniatori» secondo l'accadico. hwsr: q•re haysàr. In favore del k•tib c'è il K 'w'Sr di Is 45,2, la voce dell'arabo meridionale antico wtr (AHW p. 254 a), l'antico egiziano wsr (GB p. 326a). lpny drkk: LXX Vg Gun Wei invertono i suffissi. LXX enòpion mou ten odon sou. 10. 'yn: forma dello stato costrutto GK par. 152 o. bpyhw: suff. sing. con valore distributivo Ibn Ezra, Ros Del; alternanza di plurale e singolare per ragioni di stile Dah; emendando in bpyhm o bpymw LXX Gir Duhm Gun But Kraus Cast Wei. nkwnh: aggettivo fem. con sostantivo implicito Kim; nome astratto in forma fem. Duhm Gun Cast GK 122 q; participio niphal fem. con significato di nome astratto GB Zor. Potrebbe rappresentare una sineddoche, un singolo elemento che rappresenta l'idea generale: «non c'è una parola sicura sulla sua bocca», cfr. GAG 60 a, sul valore originario della desinenza femminile. Meyer ipotizza una afformante del singolare, diversa nella sua origine dalla desinenza femminile e posteriormente assimilata a questa. hwwt: plurale di estensione o intensità Briggs Gun. 11. h'symm: da 'sm. De Lagarde lo legge come hiphil di smm, «distruggili», cfr. 1 Sam 5,6. mm'~wtyhm: con min locativo LXX Gir Kraus; con min causale Ros Duhm Cast Dah; cfr. GB p. 434 a. brb: b- causale Ros Wei Kraus But; Gun legge k- seguendo i LXX e Gir. 12. qwsy bk: costrutto seguito da preposizione Joiion I 29m. 'hby smk: participio con preposizione .Joiion 129 111.
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wtsk 'lymw: viene spostato prima di 13b, unito a «scudo» da Briggs Gun Kraus Wei; Gun e Kraus leggono 'lyw. 13. k~nh: LXX «OS oplo(i)» si tratta di uno scudo grande «clipeus maiom Zor, che corazza tutto il corpo Briggs Gun; Wellhausen Duhm leggono ~nyphnp = turbante. r~wn: secondo accusativo di '(r, cfr. GB Zor; accusativo di strumento Dah; LXX: eudokias; Rav seguendo Vaccari traduce «affetto». t'(rnw: oppure hiphil Ibn Ezra, analogamente a 1 Sam 17,25, GK 53n; Kraus con alcuni manoscritti antichi legge una forma al pie!. -nw: LXX legge un suffisso di prima persona plurale (emas).
Studio globale del salmo 1. Genere
Un innocente, ingiustamente accusato o perseguitato, si appella al tribunale di Dio nel tempio, espone la sua causa, attende la sentenza. Il genere presenta il classico triangolo: l'orante, i nemici, Dio, con la consueta opposizione dell'innocente a vari nemici. Il salmo può essere stato adoperato in casi concreti di appello nel tempio. Potrebbe anche essere una composizione poetica liberamente modellata secondo l'immagine giudiziale sacra. In altri termini, può essere stato usato per appelli formali ed anche come supplica personale. Per noi, chiamati ad appropriarci di questo salmo oggi, il carme si distacca dal suo originale contesto forense, del tribunale del tempio; anche se le sue stesse parole possono essere recitate da un innocente ingiustamente condannato da un tribunale umano. 2. Personaggi
a) Due sono i titoli con cui l'orante chiama il Signore: «Mio Dio e mio Re» (v. 3). Il primo esprime una relazione personale e, nel contempo, implica una professione di fede: sei il mio Dio, non ho altri dei, con Te mantengo delle relazioni personali. Il secondo titolo «Re», comprende il potere giudiziale; infatti, nell'antico Israele, potere esecutivo e potere giudiziale non erano separati; anzi, uno dei compiti e dei doveri del governare era proprio quello di amministrare la giustizia. Il re aveva nel suo palazzo un tribunale ordinario, che era il tribunale supremo del regno: cfr. ad es. 2 Sam 15,1-6, 1 Re ), 16-28. Le sedute e l'attività giudiziaria cominciavano al mattino; Gcr 21, 12: «Andate di buon mattino ad amministrare la giustizia».
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Il Signore dunque ha il titolo, i pieni poteri e svolge le funzioni di giudice nel suo tribunale che è il tempio. In qualità di giudice, il Signore deve essere imparziale, non neutrale. Non può restare indifferente di fronte al male e al bene, di fronte agli innocenti ed ai colpevoli, agli onesti e i disonesti. L'orante lo riconosce e lo proclama, quasi con un accento di inno, in sei frasi, tre negative e tre positive (vv. 5-7); Yhwh non vuole il male, non ospita, non riceve al suo cospetto, detesta, distrugge, aborrisce. Le sei affermazioni si riferiscono all'azione di Dio contro il male e i malvagi. Il Dio onnipotente, 'El, il Dio supremo venerato dall'orante, non scende a compromessi, né si presta a patteggiamenti con l'ingiustizia e gli ingiusti in quantt> tali. Dio e l'ingiustizia sono radicalmente inconciliabili. Tutto questo si può riassumere nel termine ~·daqa del v. 9, che esprime una giustizia che è completata e temperata dallo l{esed (v. 8) di Dio, termine intraducibile univocamente, che esprime una gamma di sentimenti come la bontà, la fedeltà, la tenerezza di Dio (si confronti con Sai 101,1). b) La descrizione dei nemici procede per laccumulazione e la ripetizione di aggettivi, azioni, caratteristiche. L'abbondanza degli aggettivi, più che definire con precisione i nemici, li rende generici, rei di vari e molteplici crimini; questo potrebbe essere dovuto alla trasposizione poetica. Nei vv. 5- 7, ben sei aggettivi si incalzano: rf (se è astratto per il concreto), r' (malvagi), hwllym (arroganti), p' ly 'wn (malfattori), dbry kz~ (menzogneri), 'ys dmym wmnnh (sanguinari e perfidi). Il v. 10 descrive in tre pennellate coerenti il loro modo perverso di agire in relazione al prossimo; il v. 11 li caratterizza nella loro relazione altrettanto perversa con Dio, come criminali e ribelli. Chi sono questi empi, qual è il volto di questi malvagi? Si tratta forse dei giudici corrotti di tribunali profani? Si potrebbe supporre che l'innocente, leso nei suoi diritti da una sentenza iniqua e minacciato da autorità umane, faccia ricorso in ultima istanza al tribunale di Dio, l'unico di cui possa fidarsi. In linea di principio è possibile, poiché nei libri storici e nella letteratura profetica ritroviamo continuamente menzionata e stigmatizzata la corruzione di giudici e governanti. Inoltre, il ricorso al supremo tribunale divino potrebbe suggerire che le istanze precedenti e in primo appello sono cadute nel vuoto, senza successo. Il salmo non offre indizi o elementi positivi per provarlo: i delitti elencati, non sono sufficientemente e specificatamente identificati. Il parallelo con il Sai 101 ci serve solo come descrizione, non certo come prova. c) L'orante si presenta con tono dimesso, senza energia e senza
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una nitida fisionomia, a differenza di altri salmi dello stesso genere. Sembra quasi scomparire davanti al Signore. Si trincera e si comprende in un generico «giusto/innocente» (v. 13); forse rientra nella categoria di coloro che amano il Signore e si rifugiano in Lui (v. 12). Non adduce meriti personali, non descrive sofferenze, non protesta la sua innocenza. Un tale atteggiamento conferisce al salmo un suo profilo singolare. Dal momento che non conosciamo l'orante, possiamo però osservare come egli agisce; il suo comportamento è esemplare, nell'insieme e nei dettagli. Le sue azioni non vengono elencate in ordine cronologico. Possiamo riordinarle per ricostruire un rituale o un processo ipotetico; l'orante entra nel tempio (v. 8a), chiede udienza (v. 4a), espone la sua causa (v. 4b), supplica (v. 3) e resta in attesa (v. 4b). Nella sua supplica o perorazione, elogia il giudice, facendo appello al suo senso di giustizia; deferisce ed accusa i colpevoli, chiedendo il loro castigo; il motivo addotto è che essi sono violenti contro gli uomini e ribelli contro Dio. I giusti celebreranno la vittoria dell'innocente. Dove si trova l'orante? Cosa dice di sé? Qui il salmo si discosta dallo stereotipo del genere, a tal punto che si rivela significativo proprio per ciò che non dice. L'innocenza del salmista è implicita, facilmente intuibile e percepibile in tutto Io sviluppo del carme. Di fronte ai nemici non protesta la sua innocenza, ma il suo timore o senso religioso: è questo che riafferma nel suo dialogo con Dio. Non è la sua innocenza che lo spinge ad entrare nel tempio, ma la bontà o fedeltà di Dio, brb qsdk (v. 8a). La richiesta di assoluzione risuona implicitamente nel verbo 'tpll. Successivamente domanda al Signore che lo guidi nel cammino, che appiani la sua strada. L'orante si sa innocente, però sperimenta più fiducia nel sapere che Dio è fedele, leale, misericordioso, buono. È cosciente della sua innocenza, però non è sicuro di ciò che potrà accadere in seguito; nel momento in cui si rimette nelle mani di Dio per essere giudicato, invoca l'aiuto divino per essere guidato nel futuro. Entra nel tempio fiducioso, si prostra con riverenza, rispetto (byr'tk): ne uscirà docile e sicuro. 3. Scioglimento
Da parte del giudice lorante si aspetta un verdetto che dichiari gli avversari colpevoli, h'symm (v. 11), una proscrizione o una sentenza di espulsione, forse in un esilio, hdyl{mw. La sentenza che comporta lassoluzione dell'innocente ha una risonanza sociale, come vittoria di tutti i fedeli del Signore, di quanti si rifugiano in Lui (v. 12),
commento
Testo e
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in senso metaforico e generico o in senso proprio, usufruendo del diritto di asilo dei tempio. Preferiamo qui il senso generico e non quello tecnico forense. Nell'amministrazione forense della giustizia, il Signore è riconosciuto di nuovo come il Dio che protegge e benedice l'innocente; la protezione divina è descritta con una immagine bellica: Egli ricopre e cinge come uno scudo.
4. Disposizione Seguendo l'ordine dei versi, possiamo notare schematicamente il seguente sviluppo: 2-4
Introduzione dell'orante: richiesta in tre imperativi: ascolta, intendi, sii attento. azione in tre verbi: supplico, espongo, resto in attesa 5-7 Descrizione ed elogio della giustizia del giudice: tre ritratti negativi e tre positivi. 8-9 L'orante: entrata (due verbi) uscita (due imperativi). 10-11 Descrizione dei nemici: parole e pensieri richiesta della loro condanna. 12-13 Giubilo dei fedeli del Signore. Epifonema.
Il materiale lirico viene distribuito in cinque strofe di quattro versi. La figura dell'orante si situa al centro. Cronologicamente, questi versi formano la cornice: l'orante entra facendo appello, esce assolto. Il poema inverte la cronologia per cominciare con la richiesta insistente. L'«io» del v. 8 e il «Tu» del v. 13 si coniugano a distanza. Esegesi
2-3. h'zynh e hqsbh sono una introduzione stereotipa, non così bina. Domina il fattore sonoro: hgyg è il mormorìo, il sussurro, quasi il flebile fruscìo umano delle parole. Girolamo traduceva «murmur sw' è il grido. Il titolo mlky «mio re» non è molto frequente: Sai 44,5; 47,7; 68,25; 74,12; 84,4. Non basta per inserire questo salmo nella famiglia dei salmi della regalità di Yhwh; il titolo serve qui a giustificare una petizione, la richiesta che l'orante espliciterà in seguito. Quando Assalonne pretenderà di salire come re sul trono, prometterà proprio la rapidità e la giustizia nel giudicare (2 Sam 15). 4. Il mattino è il tempo classico, secondo la tradizione hihlica meum».
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e giudaica, per amministrare la giustizia ed emettere la sentenza: ad es. Es 18,13s «dal mattino alla notte»; Sai 101,8; cfr. anche 2 Sam 23,4 in un linguaggio immaginativo. Quanto al verbo 'rk si veda Is 44,7; Sai 50,21; Gb 13,18; 23,4. Alla fine del v. 4 abbiamo una cesura ritmica «con piede tronco», che esprime efficacemente e sonoramente il gesto, l'ansia e la pausa dell'attesa (cfr. Manuale di poetica ebraica, pp. 59-60). 5- 7. Entrano in scena indirettamente i malvagi, come oggetto del rifiuto e del diniego di Dio. L'incompatibilità è categorica e definitiva, mentre il momento del verdetto di condanna resta indefinito. L'orante è rimasto ad aspettare e confida in una rapida risoluzione. L'odio, la ripulsa, il detestare di Dio sono sinonimi di questa incompatibilità tra Dio e i malvagi e definiscono il Dio di Israele (si veda analogamente Sai 11,5). Anche l'uomo può assumere questo stesso atteggiamento (Sai 139,21s). 7. dbry kzb: menzogneri. Eutimio commenta: «ministri del diavolo che è padre della menzogna». Sono gli impostori, coloro che dicono il falso: costoro e le loro azioni sono detestate da Dio, come dice Sap 14,9: «Sono ugualmente in odio a Dio l'empio e la sua empietà». 8. Entrare e prostrarsi sono un gesto normale (come la nostra genuflessione): Sai 95,6; 132,7 ecc. «Per la tua grande bontà» (brb hsdk): come già ricordato hsd ha una polivalenza difficile da rendere nella nostra lingua. Indica la bontà, la graziosità, l'amore appassionato di Dio, la sua fedeltà e la sua misericordia, che è relazionale e si manifesta in interventi salvifici. Ricordiamo che nella invocazione liturgica uno dei titoli di Dio è rab hesed w•'emet: Es 34,6; Gio 4,2; Sai 86,5,15; lOJ,8; allo hesed corrisponde il rispetto/riverenza, yr'h, dell'orante. 9. La giustizia di Dio, ~·daqa, complementare alla sua bontà, in questo contesto è densa di relazioni. Non è soltanto la giustizia forense per il contesto e il riferimento ai nemici; ha anche una connotazione salvifica, una rettitudine, una di-rittura (da rectus, di-rigo) che guida e dirige per una via e la appiana per evitare che l'innocente inciampi. Non si esaurisce in un secco verdetto giudiziale, emesso il quale, ognuno se ne va per la sua strada; al contrario, il giudice continua ad occuparsi e a patrocinare la causa del suo assistito. All'uomo resta soltanto lasciarsi guidare: Gen 24,27; Es 15,13; Sai 27,11; 77,21. 10. I due versi funzionano con un doppio senso: come descrizione coerente e con il valore metaforico delle parti. Se assumiamo ogni elemento nel suo aspetto, li riconosciamo senza difficoltà:
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n•kona: parole sincere, rette, non dissimulate (Gb 42, 7) hawwot: disgrazia, pericolo oggettivo (Sai 57 ,2 Pr 19, 13 ); malvagità e perversione (Sai 52, 9; Gb 6,2); nella comunicazione e nella parola (Sai 38,13; Pr 17,4); cupidigia, ambizione (Mie 7,3; Pr 10,3). hf?lyq: adulare, lusingare (il parlare «mellifluo» in senso peggiorativo) (Pr 2,16; 29,5).
I termini equivalgono ad una spiegazione della menzogna e della frode del v. 7: gli avversari covano dentro di loro la malvagità come sepolcri, parlano con parole melliflue, di adulazione. Gli elementi possono comporre un mosaico immaginativo coerente, soprattutto se accettiamo l'etimologia proposta da Delitzsch per hwwt, facendo derivare il termine da hwh = hiare, barathrum = spalancarsi, voragine, baratro. Immaginiamo allora una voragine o pozzo profondo, la cui apertura non abbia punti di appoggio, le cui pareti sono liscie e scivolose, viscide al punto di non offrire appiglio; colui che vi cade, precipita fino in fondo. Applichiamo l'immagine: gli avversari, hanno una voragine, hwwt, spalancata come un sepolcro, qbr, la loro bocca non presenta punti di appoggio cui appigliarsi con sicurezza, nknh, la loro lingua è lubrlca, viscida (nella nostra lingua capita di dire «è un uomo viscido» o più aulicamente «ha un parlare lubrìco» (nell'originaria accezione negativa dell'aggettivo). I due significati si sovrappongono ingegnosamente e coincidono. Quanto all 'allitterazione qbr/ qrb (sepolcro/ viscere, interno), potremmo renderla con «intimo/tumulo» o ricrearla liberamente nel «il loro interno è un antro». La menzione del sepolcro, oltre al gioco dell'allitterazione nel v. 10, smaschera il pericolo mortale che questi «sanguinari» costituiscono (Non sono i sepolcri di cui parla il Vangelo, pieni di corruzione all'interno: Mt 23,27). 11. 'sm = essere colpevole, reo; all'hiphil significa «dichiarare colpevole, condannare, castigare». Il primo castigo è il fallimento dei loro piani, che miravano alla condanna dell'innocente. Qui non si chiede affatto la sconfitta delle persone, ma delle loro macchinazioni inique. «L'espulsione», hdyl{mw, è al tempo stesso dispersione. Geremia usa solitamente il verbo per designare l'esilio: 8,3, 16,15; 27,10 ecc. Il salmo non precisa di più. 12. Quanto all'effetto e alle conseguenze nella comunità si veda Pr 11, 10: «Tutta la città festeggia il successo degli onesti e canta di gioia»; vedi anche Sai 40,17. Se l'espressione «amare il Signore» appare con frequenza nel libro del Deuteronomio (6,5; 11,1;13,4), l'altra
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formula «amare il nome» è esclusiva di questo salmo e di Is 56,6; in cambio è comune il «rifugiarsi». 13. Se spostiamo alla fine il sintagma wtsk 'lymw, l'epifonema afferma tre azioni del Signore: ricopre come velo o come ali, cinge e circonda come uno scudo, benedice. Sono considerazioni generiche, che non emergono specificatamente dal contesto. Si potrebbe ascoltare questo epifonema proclamato dalla comunità esultante. Gli antichi hanno tradotto 't.r con «coronare» (cfr. LXX estephanosas), in senso proprio o metaforico: «arma di vittoria e corona di trionfo» commenta Teodoreto. Per la benedizione nel finale del salmo: cfr. 28,9; 29,11; 67,7; 128,5.
Trasposizione cristiana
Nella lettera ai Romani, Paolo combina Sal 5, 10 con altri testi per descrivere la perversione del genere umano: tutti, giudei e pagani, si trovano sotto il dominio del peccato. In altri termini, generalizza la descrizione del salmo, escludendo l'esistenza di possibili innocenti. Si tratta di Ùna citazione fuori contesto. Lo schema originario del salmo, dell'innocente perseguitato che si rifugia in Dio giudice, deve essere trasportato in una ermeneutica cristiana secondo la frase di 1 Pt 2,23: «rimetteva la sua causa nelle mani di Colui che giudica rettamente». Sull'esempio di Cristo, Servo sofferente, il cristiano perseguitato, calunniato, condannato ingiustamente, può fare sue le parole di questo salmo, chiedendo tuttavia la conversione, piuttosto che il castigo dei malvagi. Diversi autori antichi, come Origene, applicano al Cristo l'entrare nel santuario, seguendo Eb 9,12: «Cristo entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione irrevocabile». Un versetto molto commentato è il v. 4: «l'anima deve prevenire il sole per lodare Dio ed ottenere misericordia, adorando in Spirito e verità» (Cirillo Alessandrino). Gregorio di Nissa vede il mattino come momento della purificazione dell'anima e vittoria della luce sulle tenebre ed offre dell'intero salmo una spiegazione mistica: si tratta dell'anima che è decaduta dalla sua eredità e che ora effonde la sua preghiera per poter udire di nuovo la parola beata.
SALMO 6 2 Signore non riprendermi con ira, non correggermi con collera. 3 Pietà di me, Signore, perché svengo, guarisci, Signore, le mie ossa slogate. 4 L'affanno mi ruba il respiro 1 , e tu Signore, fino a quando? 5 Ritorna, Signore, poni in salvo la mia vita, salvami, per la tua misericordia; 6 poiché nel regno della Morte nessuno ti invoca, nell'Abisso chi ti rende grazie? 7 Sono sfibrato dal gemere, tutta la notte annego il mio giaciglio, si dissolve in lacrime il mio lettq; 8 s1 consumano irritati i miei occhi, invecchiano per tante contraddizioni. 9 Via da me, malfattori! Il Signore ha ascoltato il mio pianto, 10 il Signore ha esaudito la mia supplica, il Signore ha accolto la mia preghiera, 11 siano sconfitti, sconvolti i miei nemici, si ritirino, sconfitti all'istante.
Bibliografia H. DuESBERG, Le Psautier des malades, Maredsous 1952. J. CoPPENS, Le Ps 6 et 41 dépendent-ils du livre de ]érémie?, HUCA 32(1961) 217-226. ]. ScHILDENBERGER, Aus Gottes Zom in Gottes Gnad.e, Psa/m 6 der erste Busspsalm, BiKi 19(1964) 2-4. G.W. ANDERSON, Enemies and Evildoers in the Book of the Psalms, BJRL 48(1965/66) 18-29. J.A. SOGGIN, Osservazioni filologiche ed esegetiche al Salmo 6, in FS Rinaldi, Genova 1967, 293-302. R. MARTIN-ACHARD, La pnère d.es malades dans le Psautier, LuV 86(1968) 25-43. N. AlROLDI, Note critiche al Salmo 6, RivB 16(1968) 285-289.
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respiro irregolarmente.
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Analisi lilologica
2. '/... w'/: separati dal verbo negano la modalità dell'avverbio GK 152 h. Joiion 160 f. 3. 'mli: vocalizzato con patal:i. Alcuni lo considerano un aggettivo: Kim lo compara con Is 44,20; Del vocalizza con patal:i a causa dell'accento su 'ny; Storr pensa sia usato come aggettivo; Briggs come participio senza m-. Altri come sostantivo: una forma passiva pu'lal sostantiva rara; forma nominale di tipo qutlal Meyer par. 39,1 e 49,1. LXX traduce asthenes. Vg infirmus. 4. 'd mty: senza verbo. Esprime una emozione intensa Phil; formula frequente, otto volte ellittica, (senza verbo) Soggin. Achtemeier pensa sia dovuto a ragioni stilistiche per chiudere la strofa. 5. swbh: desistere dalla collera, smettere di adirarsi, come in Ez 32, 12; 2 Re 23,26; Gio 3,9: Gun. 6. 'yn: costrutto separato dal nome che regge: GK 152 o. bmwt: la morte concepita come luogo e stato Genebrardo. In parallelismo con s•'o/. LXX thanatos // ades. Vg mors// in/emus. Ceronetti traduce «Morte// Terra dei morti». Vaccari «morti// altro mondo». zkrk: memoria, ricordo. LXX e Vg leggono un participio (zokreka = Chi si ricorda di te») cosl anche Cast Rav Kraus. my: domanda retorica, in parallelismo con 'yn; si confronti Es 15,11 con Sai 86,8: my kmwk ... my kmwk Il 'yn kmwk ... w'yn kmwk. lk: con dagd Joiion 18 i. 7. yg'ty b 'nhty: Gun Kraus lo considerano un residuo di verso o glossa. La tesi non convince, la metri causa non è un motivo sufficiente. 'fhh: Secondo Kim (si veda anche Ibn Ezra citato da Ras) il verbo significa o «nuotare» come in Is 25, 11, con Gir natare faciam, oppure