Due in una carne: Chiesa e sessualità nella storia 8842087394, 9788842087397 [PDF]


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Italian Pages 343 Year 2008

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Table of contents :
Copertina......Page 1
Aletta 1......Page 2
Frontespizio......Page 4
ISBN......Page 5
Introduzione: DUE IN UN LIBRO......Page 6
1. Una rivoluzione culturale......Page 15
2. Il matrimonio cristiano......Page 26
3. Un desiderio che vince gli altri desideri......Page 32
4. Una scelta individuale......Page 42
5. Celibi per forza......Page 48
1. Simboli sessuali......Page 58
2. Prostituta casta («casta meretrix»)......Page 67
3. La triplice verginità di Maria......Page 74
4. Il sesso dei santi......Page 84
5. Il matrimonio mistico......Page 89
6. Spose del diavolo......Page 95
7. I tempi dell'amore......Page 106
8. L'arte: sacra, ma non asessuata......Page 110
Tavole di fotografie......Page 97
1. Sopportare il piacere......Page 121
2. La commistione del sangue......Page 125
3. Diritto e sacramento......Page 130
4. La morale coniugale nel Seicento......Page 137
5. Il sesso in confessionale......Page 144
6. Versioni di una morale flessibile......Page 160
1. La dissipazione del seme......Page 169
2. Gli angeli di Sodoma......Page 176
3. Copula mercenaria......Page 190
4. L'impotenza......Page 205
1. «Un piacere innocente, al quale la natura, madre e sovrana, ci invita tutti»......Page 218
2. Una sovranità contesa......Page 226
3. Peccato e malattia......Page 238
4. Rigenerare l'umanità?......Page 253
5. Una morale evoluzionista......Page 260
1. La Chiesa risponde......Page 270
2. Il mito dell'orgasmo......Page 281
3. L'«Humanae vitae»: una enciclica contestata......Page 295
4. Donne e Chiesa, fine di un'alleanza......Page 313
CONCLUSIONI......Page 326
INDICE DEI NOMI......Page 333
INDICE DEL VOLUME......Page 341
Aletta 2......Page 343
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Due in una carne: Chiesa e sessualità nella storia
 8842087394, 9788842087397 [PDF]

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Zitiervorschau

© 2008, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2008

Margherita Pelaja Lucetta Scaraffia

Due in una carne Chiesa e sessualità nella storia

.Editori l.ater:m

Referenze iconografiche Fig. l: © Contrasto Fig. 2: Per gentile concessione della Soprintendenza BAPPSAE dell'Umbria Fig. 3: © 1999. Foto Scala, Firenze Fig. 4: © Contrasto Fig. 5: © 1990. Foro Scala, Firenze Fig. 7: © Contrasto

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel luglio 2008 SEDIT- Bari (ltaly) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-87 39-7

Fig. 8: Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali © 1990. Foto Scala, Firenze Fig. 9: MSK Ghent, photo ©Lukas-Art in Flanders vzw Fig. 10: Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali © 2007. Foro Scala, Firenze

L'Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, là dove non è stato possibile rintracciarli per chiedere la debita autorizzazione.

È vietata la riproduzione, anche

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un

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a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Introduzione DUE IN UN LIBRO

Due nomi, due biografie, due passioni intellettuali. Sono mol­ ti i libri che affiancano autrici e autori diversi in una stessa pro­ spettiva di ricerca, in un comune progetto conoscitivo. In questo libro le differenze tra le autrici sono più profonde, perché toccano la concezione stessa dell'oggetto di indagine; ma aggiungono senso alla ricerca, perché si propongono di mostrare la possibilità di confrontare, interrogare - mai contrapporre ideo­ logicamente e mai mediare per opportunità politica - due visioni diverse nella sostanza. E il lavoro comune si basa su una condivi­ sa volontà di riesaminare e verificare stereotipi acclamati, come quello che il cristianesimo prima, e la Chiesa cattolica poi, siano caratterizzati da una sostanziale sessuofobia. Si basa anche sulla fiducia - che qui diventa una concreta scommessa - che un lavo­ ro di ricerca storica possa essere svolto insieme da due studiose che pure si collocano su posizioni ideologiche per alcuni aspetti opposte. Margherita Pelaja è laica. Storica e militante femminista negli anni Settanta, ha progressivamente saldato interessi scientifici e passione politica nel progetto e nell'esperienza della storia delle donne. Insieme con altre studiose ha fondato nel l981 «Memo­ ria», una rivista importante nel panorama dei gender studies in Ita­ lia, e più tardi la Società italiana delle storiche. Ha orientato le sue ricerche soprattutto sull'interazione di donne e famiglie con la giustizia e gli apparati giudiziari tra Sette e Novecento, privile­ giando i conflitti che avevano al loro centro questioni sessuali. Nello studio dello Stato pontificio ha così potuto analizzare le po­ litiche delle diverse istituzioni ecclesiastiche nelle loro articola-

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Introduzione. Due in un libro

zioni storiche, scegliendo - pur con una certa inquietudine - di non prendere in considerazione le critiche di chi ritiene parziale o addirittura fuorviante un'analisi che non comprenda in sé la di­ mensione spirituale e la questione della fede. Lucetta Scaraffia condivide la lunga pratica di storia delle don­ ne e di femminismo, ma da circa vent'anni è tornata a sentirsi ap­ passionatamente cattolica, e quindi ad affiancare alla sua attività di ricerca sulla storia delle donne e della vita religiosa un impegno culturale che si può definire militante. Oggi, oltre a insegnare Sto­ ria contemporanea all'Università di Roma «La Sapienza», è mem­ bro del Comitato nazionale di bioetica. il suo impegno culturale e quello religioso si fondono quindi in molti suoi libri e articoli, ma sempre con l' awertenza di non piegare la realtà studiata a obiettivi ideologici, con la certezza che solo una onesta conoscen­ za della storia può permettere di capire il presente, anche per in­ tervenirvi polemicamente. Esaurite le presentazioni, possiamo cominciare a esprimerci al plurale, usando un «noi» che indica la convinzione che fosse non solo possibile, ma anche fecondo e stimolante, scrivere insieme un libro che non c'era: la ricostruzione di lungo periodo del discorso e della politica della Chiesa sulla sessualità. Una ulteriore ragione è la complementarietà delle nostre direzioni di ricerca: più socia­ le quella di Margherita Pelaja, più culturale e teorica quella di Lu­ cetta Scaraffia. Le ricerche finora disponibili sul tema che affrontiamo sono infatti indagini dettagliate su contesti specifici e cronologicamen­ te delimitati; oppure sintesi su singoli aspetti della sessualità Oa contraccezione, la masturbazione); o ancora testi che con una cer­ ta frettolosità divulgativa sembrano partire tutti da assunti ideo­ logici preconfezionati, da ribadire soltanto nel corso dell'esposi­ zione. E, più in generale, sembrano confermare un'antica dicoto­ mia, prendendo in esame le norme da una parte, e i comporta­ menti - preferibilmente «devianti» - dall'altra, trascurando tra l'altro quello che per Michel Foucault era l'aspetto centrale di uno studio sulla sessualità: il discorso prodotto sul tema, che com­ prende anche gli aspetti simbolici, l'arte, l'immaginario. Ci sembrava importante, come abbiamo detto, porre in que­ stione soprattutto il pregiudizio più diffuso e radicato: quello che attribuisce alla Chiesa cattolica un'antica e lineare sessuofobia,

Introduzione. Due in un libro

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che si dipana nel corso dei secoli in un atteggiamento repressivo costante e generalizzato. Il luogo comune è solido: per il cattoli­ cesimo il piacere è colpa, il sesso è peccato. Da praticare con par­ simonia e disagio esclusivamente nel matrimonio, e principal­ mente per procreare. Non tutto del luogo comune va sfatato; al­ cuni enunciati si ripetono nel corso del tempo nella predicazione cattolica, fino a rendere possibile una sintesi così brutale. Ma sen­ sibilità più libere, analisi circostanziate dei testi e delle politiche possono di volta in volta articolare, smentire, porre in relazione con territori e finalità diverse, fino a sgretolare forse il potenziale interpretativo di un assunto così generico. Sul piano teologico va richiamato subito per esempio il modo completamente nuovo con cui il cristianesimo affronta il proble­ ma del rapporto sessuale: il rapporto sessuale fra una donna e un uomo deriva dall'Incarnazione, è metafora del rapporto fra l'ani­ ma e Dio, fra la Chiesa e Cristo, anticipo del piacere d'amore che si vivrà in paradiso. E poiché l'Incarnazione promuove il corpo al­ lo stesso livello dello Spirito, all'atto sessuale viene dato un signi­ ficato spirituale inedito, che lo carica di un'importanza e di una luce che lo assolvono, per sempre, dal sospetto e dal disprezzo con cui lo guardavano, per esempio, gli stoici. Ne deriva una conse­ guenza fondamentale: se il rapporto sessuale è pervaso di signifi­ cati spirituali, esso deve essere privato dell'aspetto Iudica che lo aveva contrassegnato nel mondo pagano, e soprattutto deve venir regolamentato con attenzione e severità. La storia della genesi e delle contraddizioni che di volta in volta si addensano su tale re­ golamentazione è anch'essa ricostruita in questo libro. Non sem­ pre infatti l'unità indissolubile fra anima e corpo che caratterizza la visione cristiana viene rispettata; la tentazione di giocare lo spi­ rito contro la carne segna periodi e figure della storia della Chie­ sa, pur non determinandone in modo continuativo l'impronta cul­ turale e morale. Ci siamo mosse quindi cercando di affiancare l'indagine sulle Scritture, sui trattati, sulle opere di formazione del clero e dei fe­ deli alla verifica di quanto di quei testi trovasse applicazione nel governo delle anime, e in che modo. Una prospettiva questa che ha contribuito a definire l'architettura di tutto il nostro libro, che si compone di capitoli insieme tematici e cronologici. Non ab­ biamo considerato però la cronologia come una gabbia rigida, ma

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Introduzione. Due in un libro

abbiamo preferito ampliare di volta in volta la trattazione dei sin­ goli temi con ampi flashback oppure con anticipazioni sul futuro, scegliendo di privilegiare l'interpretazione anche a scapito del ri­ spetto di una periodizzazione predefinita. Si trattava insomma di individuare ciò che in ogni epoca storica ha contraddistinto l 'at­ teggiamento del cristianesimo prima e della Chiesa cattolica poi verso i molteplici aspetti della sessualità umana e - come in ogni ricerca storica - di dar conto di tali tratti distintivi nelle trasfor­ mazioni, nelle permanenze, nelle flessibilità. Alle fondamenta della morale sessuale cristiana- dalle Scrit­ ture alla patristica- è dedicato il capitolo d'inizio, che copre tut­ to il primo millennio; il capitolo successivo, sui simboli e l'imma­ ginario, si sofferma sulla disinvoltura con cui - sulla scorta del Cantico dei cantici - la cultura cristiana ha usato per secoli ardite metafore sessuali per trattare del rapporto dell'anima con Dio, raggiungendo vette stilistiche importanti con i mistici. Allo stesso modo, fino al Cinquecento, l'arte rappresenta con simboli sessua­ li dogmi teologici, come quello della vera umanità di Cristo, ri­ tratto a questo fine con l'organo sessuale in erezione. La cesura è operata dalla Riforma, che denuncia la corruzione e il lassismo della Chiesa di Roma anche nel campo della morale sessuale. Si aprirà da qui una lunga stagione densa di contraddi­ zioni, nella quale il cattolicesimo amplierà e perfezionerà il pro­ prio apparato normativa accentuando il rigore degli enunciati e mettendo in atto nello stesso tempo strategie articolate di con­ trollo e tolleranza. È il lento processo del disciplinamento, che prende le mosse dagli ultimi secoli del Medioevo per protrarsi almeno fino al Set­ tecento. Centrato su due strumenti decisivi, il diritto e la confes­ sione auricolare, il disciplinamento si propone di definire gli am­ biti e le forme entro cui può esprimersi la sessualità, e di affinare i dispositivi più adatti a saldare la presa sulle coscienze dei fedeli. Ma è anche la stagione della politica. Una politica della ses­ sualità che deve esibire la capacità della Chiesa di governare i com­ portamenti dei fedeli: si articolano allora gerarchie e responsabi­ lità, affidando ai parroci e ai confessori il compito di temperare l'universale intransigenza delle norme con le necessità quotidiane e particolari della carne e del desiderio. Flessibilità e pragmatismo diventano così le chiavi di volta di un sistema di controllo che

Introduzione. Due in un libro

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mentre ripete condanne assolute - della masturbazione, della so­ domia, della prostituzione - alterna repressione e clemenza, aven­ do ben cura di instillare e rafforzare nelle coscienze quel senso del peccato e della colpa che garantisce la perpetua soggezione delle anime. È un sistema raffinato, capace di funzionare per secoli e di re­ sistere alle sollecitazioni più diverse fino a quando un altro pro­ cesso - che gli storici hanno chiamato modernizzazione - ne in­ crinerà le basi, facendo emergere nuove agenzie che contesteran­ no alla Chiesa il monopolio sulla morale sessuale. Il conflitto nasce alla fine del Settecento e si inasprisce nel se­ colo successivo, quando il discorso sulla sessualità viene attribui­ to all'esclusiva competenza di medici, biologi, antropologi e poi psicoanalisti. I nuovi scienziati negheranno alla Chiesa il diritto di imporre norme universali e ai teologi la capacità di definire il sen­ so e il valore dell'atto sessuale, ai loro occhi ormai depotenziato di ogni significato spirituale. Mentre molti Stati e molte leggi si proporranno di erodere la sovranità esclusiva del diritto canoni­ co sui comportamenti sessuali. La contesa non occupa soltanto il terreno della teoria, ma è an­ zi l'eco di sommovimenti profondi, che toccano gli assetti sociali, economici e culturali di tutti i paesi occidentali: dalla rivoluzione demografica ai mutamenti culturali indotti dall'Illuminismo, dal­ l' affermarsi dell'individuo come soggetto di diritti al fatto che il sesso viene progressivamente sottratto alla dimensione religiosa per essere studiato come fenomeno scientifico. Non è un caso che il termine «sessualità» venga coniato solo nell'Ottocento: vi fece­ ro ricorso in un primo tempo zoologi e botanici, in seguito venne usato per classificare il comportamento sessuale degli esseri uma­ ni secondo gli stessi metodi usati per studiare animali e piante, fi­ no ad arrivare, negli anni Sessanta del Novecento, alle ricerche di un entomologo, il dottor Alfred Kinsey, che i mass media faranno diventare un vero e proprio guru della sessualità. il controllo delle nascite ha costituito quindi l'oggetto di una lunga contesa che ha diviso società e Chiesa a partire dall'Otto­ cento. Il suo rifiuto da parte della Chiesa è stato sancito da ben due encicliche: Casti connubii del 1 930 e Humanae vitae del 1968, che ribadiscono la ferma opposizione della Chiesa alla separazio­ ne fra sessualità e riproduzione. Abbiamo scelto come termine

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Introduzione. Due in un libro

cronologico I'Humanae vitae - alla stesura della quale ha contri­ buito il cardinale Wojtyla - perché questa enciclica contiene già tutti i temi che sono oggi al centro della discussione che divide la concezione della Chiesa da quella della società laica: la legge di na­ tura, il valore del matrimonio, l'indivisione dei due aspetti del­ l' atto sessuale, l'unione fra gli sposi e la procreazione, e la richie­ sta alla scienza di percorrere strade di ricerca rispettose della mo­ rale cattolica. Temi che sembrano aprire un solco profondo so­ prattutto tra la visione cattolica e le esigenze e le inquietudini di coloro che per lungo tempo sono state le custodi più fervide dei valori religiosi e le alleate più sicure della Chiesa come istituzio­ ne: le donne. Di fronte alla diffusione crescente di comportamenti sessuali estranei alla legittimità coniugale, il cattolicesimo sembra pro­ gressivamente irrigidire le proprie posizioni, opponendo una con­ danna dura e solitaria: come se alla secolare tolleranza avesse so­ stituito un rigore coerente e selettivo. L'esito dei processi descritti ci appare ancora lontano. Perché l'ambito del dibattito continua ad ampliarsi, includendo soggetti - gli omosessuali, per esempio - che reclamano diritti inediti alla genitorialità ma anche alla dimensione religiosa delle proprie scel­ te affettive; o includendo i punti di vista di altre religioni, ormai contigue e imprescindibili nel mondo globalizzato in cui siamo immersi. Ma anche perché la sessualità di uomini e donne tende a disarticolarsi, distribuendo brani di sé al brusio mediatico o al­ l' asetticità del laboratorio, e depositando la densità del vissuto in angoli sempre più remoti dell'interiorità dei singoli. La Chiesa, a partire dall'Humanae vitae, ma ancora più deci­ samente con Giovanni Paolo Il, tenta di riaffermare quell'unità fra corpo e spirito che aveva costituito la specificità della rivolu­ zione cristiana, e di riproporre, in una società in cui la sessualità - separata dalla procreazione - appare legata a una dimensione prevalentemente individualistica, il significato spirituale di questa fondamentale esperienza umana. Quelli che si confrontano non sono, tuttavia, due sistemi fondati l'uno su regole e limitazioni, l'altro su libertà e piacere; ma due concezioni diverse della ses­ sualità, del rapporto dell'essere umano con il corpo, e più in ge­ nerale della ricerca di una nuova etica del rapporto della persona con il mondo.

Introduzione. Due in un libro

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Questo è un libro di sintesi. Si basa dunque - soprattutto per quanto riguarda le parti di taglio storico-sociale - su indagini già svolte piuttosto che su ricerche d'archivio originali. Al lettore - al più curioso come al più avvertito - non sfuggiranno le numerose lacune che segnano la ricostruzione da noi proposta; non possia­ mo tuttavia ascrivere tante mancanze ai vuoti del patrimonio sto­ riografico disponibile. Ci assumiamo la responsabilità di scelte e omissioni, perché abbiamo preferito svolgere il filo dei problemi piuttosto che garantire la completezza del quadro d'insieme. Al lettore n oh sfuggirà neanche l'assenza di una conclusione univoca, che ricomponga materiali e questioni trattati nel corso dell'esposizione. Anche in questo caso si tratta di una decisione consapevole, anzi ricercata: perché ci è sembrato riduttivo cerca­ re da due punti di vista così diversi come i nostri una sintonia ca­ pace di proporre interpretazioni e prospettive unitarie; perché proprio in un tempo in cui le distanze tra laici e cattolici sembra­ no ampliarsi e irrigidirsi in visioni contrapposte ci è sembrato op­ portuno esaltare quello che è il nostro denominatore comune, e cioè la ricerca di dialogo e confronto; perché infine preferiamo ve­ dere questo libro come uno strumento in grado forse di dare profondità e spessore storico a polemiche troppo spesso appiatti­ te su un presente apparentemente immobile ed eterno. Al lettore, di nuovo, l'opportunità e la responsabilità di sce­ gliere un versante o di elaborare nuovi interrogativi, anche sulla base, speriamo, del cammino percorso in questa lettura. M.P. L.S.

Mentre l'Introduzione e le Conclusioni sono comuni così come il progetto complessivo del libro, Margherita Pelaja ha scritto i capitoli III, IV, i paragrafi 2 e 3 del capitolo V, il paragrafo 4 del capitolo VI; Lucetta Scaraffia ha scritto i capitoli I, II, i paragrafi l, 4 e 5 del capi­ tolo V, i paragrafi l, 2 e 3 del capitolo VI. Data la vastità e la varietà degli argomenti trattati in questo studio abbiamo preferito non includere una bibliografia generale. Molti rife­ rimenti bibliografici sono indicati in nota, cosa che rende più agevole individuare le fonti di ciascun argomento.

DUE IN UNA CARNE CHIESA E SESSUALITÀ NELLA STORIA

I IL CORPO, LE PULSIONI

l. Una rivoluzione culturale «Ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio ma­ rito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito», scrive l'apostolo Paolo nella Pri­ ma lettera ai Corinzi (7, 2 -3 ) , e poco più avanti: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito [ .. .] e il marito non ripudi la moglie» (7, 10- 1 1 ) . E in un'altra let­ tera paolina si legge: «E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa [ . . ] . Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno infatti ha preso in odio la propria carne; al con­ trario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, perché sia­ mo membra del suo corpo» (Lettera agli Efesini, 5, 25 e 28-30). In queste frasi paoline si manifesta tutta la potenza dell'innovazione cristiana sul piano dei rapporti sessuali: permettendo questi rap­ porti solo all'interno del matrimonio, la nuova fede prevedeva una reciprocità di doveri e di diritti fra marito e moglie assolutamen­ te inedita nel mondo antico. Insieme con la proposta di scegliere la castità, seguendo il modello di Gesù e dello stesso apostolo Pao­ lo, questo fatto costituisce l'aspetto più innovativo del cristianesi­ mo nascente: un diverso modo di concepire il sesso, piuttosto che una repressione, come è luogo comune pensare. È infatti opinione diffusa che il profondo cambiamento nel modo di concepire e di vivere la sessualità provocato dalla cre­ scente affermazione del cristianesimo nel mondo antico consi.

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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia

stesse in un'ondata di restrizioni morali e di proibizioni, che piombano su una società tendenzialmente libera e portata a valo­ rizzare il piacere. La situazione in realtà è più complessa, perché anche nel mondo pagano di quel periodo si stavano affermando forti correnti ascetiche: certo è che le culture antiche considera­ vano la sessualità come un aspetto dell'essere umano dato dalla natura, e quindi non oggetto di controllo, ed erano interessate so­ lo a disciplinare il comportamento femminile in modo da con­ trollare la paternità. Per il resto, per gli uomini tutto era libero e possibile, e solo alcune correnti filosofiche greche - in primis gli stoici - pensavano all'istinto sessuale come a un ostacolo irrazio­ nale al controllo di sé da parte della ragione, e quindi lo vedeva­ no come un pericolo da combattere1 • Come ha scritto lo storico Peter Brown, l'ascesa del cristiane­ simo nel mondo romano, più che come il passaggio da una società meno repressiva a una più repressiva, dovrebbe essere visto «co­ me il prodotto di un sottile cambiamento nella concezione del corpo. Nei secoli successivi, infatti, gli uomini e le donne non si sarebbero trovati semplicemente attorno a un muro di proibizio­ ni diverse e più rigorose, ma sarebbero pervenuti a una visione del proprio corpo assai differente»2• Come aveva detto Paolo, il cor­ po non è solo natura, ma, con l'Incarnazione, è diventato il tem­ pio di Cristo, e quindi parte integrante della persona umana, e non si scinde dalla sua natura spirituale. Il cristianesimo infatti, pur condividendo in parte la visione stoica, fa molto di più: toglie la sessualità dalla sfera naturale e la inserisce in quella culturale, dandole un posto preciso nella storia della salvezza. Se la carne è a immagine di Dio, anch'essa può di­ venire strumento di salvezza. Questo concetto è stato sviluppato da tutti i Padri della Chiesa, e in particolare da Agostino, che ha fissato e precisato le grandi linee della concezione cristiana occi­ dentale della sessualità. Era evidente, infatti, che attraverso l'In­ carnazione di Cristo Dio era sceso sulla terra per far sì che anche il corpo fosse capace di trasformarsi. Proprio per questo, all'in1 Cfr. A. Rousselle, Sesso e sodetà alle origini dell'età cristiana, Laterza, Ro­ ma-Bari 1985. 2 P. Brown, Il corpo e la sodetà. Uomini, donne e astinenza sessuale nel pri­ mo cristianesimo ( 1988), Einaudi, Torino 1992, p. 24.

I. Il corpo, le pulsioni

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terno della tradizione cristiana, il comportamento sessuale non sarà mai considerato solo come un settore da regolare attraverso una precettistica morale, ma costituirà fin dall'inizio un nodo teo­ logico fondamentale, la cui definizione risulta centrale in tutti i momenti di svolta della storia della Chiesa, a cominciare dalla riforma gregoriana per arrivare al Vaticano II, passando per la Riforma e il Concilio di Trento. E proprio per questo è divenuto uno dei motivi dominanti di quasi tutte le eresie. La differenza cristiana sul posto da dare alla sessualità e al cor­ po si affermò prendendo le distanze non solo dal paganesimo, ma anche dalla cultura ebraica. Questo nuovo modo di concepire la sessualità non solo assu­ me un'importanza crescente nel definire l'identità cristiana, ma avrà l'effetto di cambiare radicalmente i rapporti tra i sessi. Si trat­ ta di una rivoluzione simbolica e culturale dalla quale la cultura occidentale riceverà le caratteristiche che la contraddistinguono ancora oggi, se pure con modalità contraddittorie. I cristiani, in­ fatti, cercano con passione tutte le vie che li possono trasformare già in questa vita, rendendoli più liberi dai gravami della condi­ zione umana e aperti a ricevere lo Spirito: la sessualità viene indi­ viduata come il nodo fondamentale, come il punto in cui corpo e spirito si intrecciano e sul quale, quindi, si può agire per avanza­ re nel cammino spirituale. TI matrimonio e la castità acquistano entrambi lo statuto di via spirituale, e proprio per questo è tanto importante delinearne le nuove leggi e rivelarne i significati simbolici. Un primo importante passaggio è costituito dallo spostamen­ to dell'attenzione dall'atto all'intenzione individuale che lo sot­ tende, aprendo così la via a quella che, nel corso del tempo, di­ venterà l'analisi dell'uomo interiore e delle sue motivazioni. Il pri­ mo passo in questa direzione è lo strappo con la tradizione ebrai­ ca della purità, uno strappo che costituisce uno degli aspetti più «scandalosi» dei Vangeli, e coinvolge allo stesso tempo il cibo e la sessualità. Gesù stabilisce infatti chiaramente- con le parole e con l'esempio - la fine delle categorie tradizionali di contaminazione materiale, per sostituirle con la impurità metaforica dell'intenzio, ne. A tal punto che, nel suo rovesciamento delle gerarchie uma­ ne, promette il regno dei cieli alle prostitute, che del resto fre­ quenta e con cui parla in vari episodi evangelici.

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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia

Al tempo stesso, la sua breve vita è contraddistinta dalla più ri­ gorosa castità: Cristo, il modello a cui si rifaranno tutti i cristiani, ha scelto di non avere rapporti sessuali, ha scelto di non aderire al modello del pater /amilias a cui si erano omologati i grandi pa­ triarchi e i profeti. Il dovere di perpetuare la specie, la famiglia, l'etnia, che nella società antica incombeva su ogni essere umano, viene così fortemente messo in crisi, minato da questo esempio, tanto che, per influsso del cristianesimo, nascerà la prima società che accetta, anzi valorizza, la scelta di castità, non solo per gli uo­ mini, ma anche per le donne. Forse è proprio per questa rivolu­ zione che ancora oggi, al cristianesimo, e in particolare al cattoli­ cesimo, è rimasta appiccicata un'idea di oppressione sessuale. Non è stata certo secondaria, nel momento in cui si diffonde l'a­ spirazione al casto modello di vita di Gesù, la forte tensione apo­ calittica che si respirava nella società giudaica. Se la fine del mon­ do sarebbe arrivata a breve scadenza, anche la tensione verso i le­ gami umani e familiari e le proiezioni sul futuro umano come la procreazione tendevano a perdere rilievo. Il codice di comportamento sessuale cristiano non solo non si è formato immediatamente, ma ha conosciuto tensioni contra­ stanti e opposte, e ha dato origine a numerose eresie. L'unico pun­ to sul quale tutti i primi scritti cristiani sembrano concordare è proprio il distacco dalle Sacre Scritture dell'ebraismo, che pro­ ponevano un'etica sessuale basata sull'impurità: era considerato impuro avere rapporti sessuali durante le mestruazioni (per coe­ renza con l'idea di impurità del sangue), praticare l'adulterio e l'o­ mosessualità, frequentare prostitute. In queste occasioni si cade­ va in uno stato di impurità uguale a quello che contaminava chi mangiava animali proibiti o non eseguiva i lavacri prescritti, per uscire dal quale bisognava sottoporsi a un rito di purificazione. Il cristianesimo, cancellando l'impurità materiale, trasferisce sul piano etico le prescrizioni ebraiche, e le giustifica non con l'im­ purità, ma con la rottura dell'armonia comunitaria. Le intenzioni del cuore - la cupidigia, la volontà di possesso - sono considera­ te i motori peccaminosi di queste pratiche, e per questo vengono condannate, e si insiste sugli effetti di discordia che atti come l'a­ dulterio possono provocare nel gruppo. Naturalmente, su tutto svetta l'esempio di Cristo, che però

I. Il corpo, le pulsioni

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non è possibile seguire per tutti: il matrimonio viene allora pro­ posto da Paolo come una scelta meno alta, ma ugualmente santa. n passaggio dalle norme precedenti a quelle nuove non avvie­ ne però senza scosse e contraddizioni: ci sono comunità che pen­ sano - liberate dall'impurità - di poter praticare una totale libertà sessuale, come i discepoli di Valentino e di Marcione, noti per la vita sessuale molto libera degli uomini, che si accompagnava a una stretta fedeltà alla fede cristiana, o come alcuni gruppi gnostici che estendevano questa libertà anche alle donne e integravano nel cristianesimo anche l'omosessualità e la pedofilia. Queste sette non reagivano ad alcuna oppressione sessuale, ma anzi aderivano a una cultura molto diffusa integrandola in un sistema religioso in cui si cercava l'unione con Dio. Gli gnostici condannavano al nul­ la la materia, compreso il corpo: proprio per questo ciò che si fa­ ceva con il corpo non aveva importanza. Molto più numerose erano invece le comunità che cadevano nella tendenza opposta, interpretando il modello casto di Cristo come obbligatorio. Questa scelta restrittiva, che - in una pro­ spettiva apocalittica - impone a tutti la castità, darà origine a una eresia, l' encratismo, che influenzerà dall'esterno la cultura cristia­ na diffondendo una demonizzazione dell'atto sessuale. Ma se fra il III e il IV secolo assistiamo a una vittoria della ca­ stità come ideale, che concretamente ha preso forma nelle comu­ nità monastiche maschili e femminili, dobbiamo tenere presente che non si tratta solo di influenza cristiana: la limitazione sponta­ nea dei rapporti sessuali si era estesa nella società anche prima del­ la diffusione della nuova religione, come dimostra la stagnazione demografica nelle classi superiori dell'impero. Era una pratica consigliata dai medici, che ritenevano dannosa per l'uomo l'emis­ sione del seme: nel II secolo Sorano scrive che «ogni emissione di seme [maschile] nuoce alla salute» e addirittura che «il rapporto sessuale è in se stesso nocivo»3• La continenza - detta enkràteia, cioè «dominio di sé» e dunque, in questo caso, ritenzione di sper­ ma - è raccomandata anche dai filosofi, che vedono in essa una vittoria della parte più nobile dell'uomo, la ragione, sull'istinto. La proposta cristiana, quindi, trova un terreno fertile nella società 3

Gynaecia, I, VII, 30-32.

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dell'epoca sia pagana che giudaica - dove la setta degli esseni, ad esempio, praticava l'ascetismo assoluto - e le eresie che predica­ no il totale annullamento del corpo hanno radici in questo passa­ to, più che in una esasperazione della valorizzazione cristiana del­ la castità. Nelle Sacre Scritture ebraiche e cristiane non c'è differenza per ciò che riguarda i peccati sessuali: l'elenco che ci fornisce Pao­ lo nella Prìma lettera aì Corìnzì ( 6, 9) prevede la condanna dei pòr­ noì (fornicatori), moìchòì (adulteri), malakòì (effeminati) , arse­ nokòìtaì (sodomiti). Le novità introdotte dal cristianesimo riguar­ dano invece due punti importanti: il matrimonio e il celibato. Il primo ad affrontare problemi di etica sessuale è appunto Paolo, pressato dalle domande dei cristiani di Corinto, comunità da lui fondata e seguita per un periodo abbastanza lungo (si pensa un anno e mezzo) . Evidentemente Paolo non aveva mai affrontato con loro il tema dell'etica sessuale e nella comunità si era verifica­ ta una frattura fra modi diversi di affrontarla, che andavano dal li­ bertinismo al rifiuto totale del matrimonio e dei rapporti sessua­ li. I libertini applicavano anche alla sfera sessuale la convinzione di Paolo, che aveva affermato che il Vangelo è superiore alla leg­ ge, interpretandola come la fine di ogni restrizione morale. Altri, sottolineando la scelta celibataria di Paolo, nonché il suo uso ne­ gativo del termine «carne», concludevano che il cristianesimo in­ coraggiava una totale astinenza dal sesso. Altri ancora, vedendo che Paolo era in buoni rapporti con le famiglie tradizionali, opta­ vano per questa ipotesi più tranquillizzante. Le più forti tensioni erano provocate dal gruppo degli asceti, che fondavano la loro scelta anche sulla convinzione - ampiamente condivisa - che ogni problema di continuazione del gruppo umano doveva essere ac­ cantonato davanti all'imminenza della fine del mondo4• Paolo, pur condividendo questa certezza della prossimità del­ la fine, risponde dando precise norme di etica sessuale, vicine sen­ za dubbio alle parole di Gesù, ma con una inclinazione meno ri­ voluzionaria, più attente a non sovvertire la società esistente. A questo fine, nella Prìma lettera aì Corìnzì condanna senza mezzi termini il caso di un uomo che si era unito alla moglie del padre, 4 Si veda in proposito F. Watson, Agape, Eros, Gender. Towards a Pauline Sexual Ethic, Cambridge University Press, Cambridge 2000.

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senza considerare un'attenuante il fatto che quest'ultimo era mor­ to: come nella cultura ebraica e in quella greco-romana, questo doveva considerarsi un incesto perché si trattava di un'offesa con­ tro la sovranità patriarcale. Veniva ritenuto infatti un peccato contro la gerarchia familiare, e non contro la purità, perché con questo gesto il figlio si metteva alla pari del padre, mancando co­ sì di rispetto verso la famiglia che gli aveva dato la sua identità. Paolo insiste quindi che questo vada considerato un'offesa grave contro l'etica della famiglia patriarcale, da difendere anche in prossimità della fine dei tempi, nonostante che alcuni membri del­ la comunità avessero difeso il figlio, sentendosene addirittura or­ gogliosi. La colpa non si doveva ascrivere comunque a una tra­ sgressione della purità, ma della proprietà, cioè al prendere ciò che appartiene a un altro. Allo stesso modo viene giustificata la condanna paolina dei maschi cristiani che frequentavano le pro­ stitute: mentre l'Antico Testamento condannava questa pratica come spreco delle risorse familiari, egli la condanna come furto da parte del cristiano, che dà a un'altra il corpo che aveva offerto a Cristo. Il corpo del cristiano - e Paolo dà a questo termine il sen­ so di unità e integrità dell'essere umano - appartiene infatti già a Cristo, a Dio, e non può appartenere, neppure per poco, a una donna pagata. Egli infatti insiste su questo tema: «Fuggite la for­ nicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impudicizia pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stes­ si? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (I Corinzi, 6, 1 8-20). Anche se dichiara fermamente che l'astinenza sessuale è la condizione migliore, perché permette all'uomo di affrancarsi dal­ le preoccupazioni quotidiane e di dedicarsi totalmente a Dio, Paolo non è contrario al matrimonio, anzi, lo considera una voca­ zione diversa, ma altrettanto degna di stima, e sempre nella Prima lettera ai Corinzi (7, 7) scrive: «Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono [chàrzsma] da Dio, chi in un mo­ do, chi in un altro». Il rapporto sessuale nel matrimonio non en­ tra in conflitto con l'appartenenza a Cristo del corpo del creden­ te a condizione che ne vengano rispettate le indicazioni: cioè che si realizzi un attento equilibrio fra la proprietà sessuale della mo-

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glie da parte del marito e l'equivalente proprietà del marito da parte della moglie. Paolo dimostra qui di accettare completamen­ te la rivoluzione che Gesù aveva operato nel matrimonio, negan­ do la possibilità di ripudio da parte del marito, l'unico, nella leg­ ge ebraica, a «possedere» il corpo della moglie. Negando il ripu­ dio a entrambi, Gesù stabilisce infatti che anche il marito è pro­ prietà della moglie, inaugurando così una eguaglianza fra i coniu­ gi assolutamente inedita in tutte le società antiche. Nella Prima lettera ai Corinzi (7, 9) Paolo detta la famosa fra­ se che sembra condannare la sessualità nella cultura cristiana - «se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» - ma è significativo che l'apostolo riconosca la soddisfa­ zione del desiderio sessuale come una ragione legittima e suffi­ ciente per il matrimonio. Data la prossimità della fine dei tempi, per Paolo la ragione principale del matrimonio non poteva più es­ sere la continuazione della famiglia, e la nuova giustificazione che proponeva teneva invece conto del desiderio sessuale. n presente è da lui percepito come breve e provvisorio: non vale la pena, quindi, per i cristiani sposati, cambiare condizione né cercare di cambiare radicalmente l'istituto familiare in modo conforme alle innovative proposte di Cristo. Ciò che conta per lui è come si de­ ve vivere senza peccare negli ultimi giorni. In sostanza, Paolo segue l'insegnamento di Gesù sul piano del­ la proprietà sessuale, proponendone l'uguale diritto per uomini e donne, e in questo modo incrina la base dell'autorità del pater /a­ milias dell'antica tradizione israelita, confermata dal diritto ro­ mano. Egli parla delle donne considerandole alla pari degli uomi­ ni nelle questioni di proprietà sessuale, anche se - ribadisce - al di sopra di tutto chi possiede il credente è Cristo, e la vita sessua­ le deve tenerne conto. Dal momento invece che Paolo si dichiara contrario alla parità in altri ambiti, come per esempio la predica­ zione, possiamo dedurre che la parità fra i sessi per lui era am­ messa solo per i diritti sessuali, appunto: senza arrivare, del resto, alla conclusione che sotto questa nuova ottica la famiglia fosse da riformarsi, forse per la sua convinzione dell'imminenza del regno di Dio. Anche se Paolo considera il matrimonio uno stato inferiore al celibato, perché per certi aspetti distrae dalla fedeltà a Cristo, non condivide certo l'idea dei sostenitori a oltranza dell'ascetismo che

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il sesso costituisca un male intrinseco, e questa posizione è stata condivisa in sostanza negli Atti degli apostoli. Con il tempo, però, anche fra i cristiani si è affermata nuovamente la tendenza con­ servatrice rispetto alla famiglia tradizionale e quindi si è affievoli­ ta la tensione all'eguaglianza fra donne e uomini proclamata dal Vangelo. Tutto il pensiero cristiano sulla sessualità dipende da Agosti­ no, che era senza dubbio segnato, nella sua esperienza personale, da una forte passione sessuale, la cui pratica gli era ben nota nel periodo precedente la conversione. E non è senza significato che l'incontro fra Agostino e il cristianesimo sia passato attraverso un'esperienza di ascesi narrata nell'ottavo libro ( 12, 28-30) delle Confessioni. Ponticiano racconta ad Agostino e Alipio come due amici avessero abbracciato la via ascetica e contemplativa dopo la lettura della Vita del monaco egiziano Antonio. Poco più avanti è lo stesso Agostino che, ricordandosi dell'esempio di Antonio con­ vertitosi ascoltando per caso un passo del Vangelo, decide di ab­ bandonare la sua vita disordinata: una adesione al cristianesimo, quindi, venata di tensione ascetica e, conseguentemente, escato­ logica. Per Agostino, sia il corpo in generale, sia la sfera dei sensi, non soggiacciono ad alcuna condanna in se stessi, ma solo se legati al­ la concupiscentùz5• Si tratta di un nuovo concetto che avrà gran­ dissima fortuna nella letteratura cristiana successiva, pur assu­ mendo spesso un significato più rigido. La concupiscenza, per Agostino, non è né la sensibilità, né il corpo, né il sesso, quindi non appartiene all'essere umano in quanto tale, ma è provocata dall'intervento dell'intelligenza e della coscienza dell'uomo. È quel vizio per cui la carne desidera contro lo spirito e diventa ma­ trice di peccato. Si tratta di un male che viene all'uomo per colpa dell'antico peccato di Adamo. Agostino inserisce così i rapporti sessuali nella teologia della salvezza, collegandoli al peccato origi­ nale e quindi al problema del libero arbitrio e con questo trasfor­ ma completamente lo statuto della sessualità: non più solo feno­ meno naturale, da disciplinare, ma segno della condizione umana � Cfr. E. Samek Lodovici, Sessualità, matnmonio e concupiscenza in sant'A­ gostino, in Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, a cura di R.

Cantalamessa, Vita e Pensiero, Milano 1976, pp. 2 12-272.

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e suo banco di prova spirituale. Per lui, infatti, il termine caro non designa semplicemente il corpo, ma la vita di tutto l'uomo sotto la legge del corpo, così come spiritus non è semplicemente l'ani­ ma, lo spirito dell'uomo, ma designa la vita di tutto l'uomo se­ condo la legge dello spirito. Alla base del suo pensiero sta la con­ futazione della teoria di Pelagio, che negava l'esistenza del pecca­ to originale e proponeva di abbandonare la pratica del battesimo dei bambini, ritornando a quello degli adulti. Ma contro il batte­ simo, per motivi opposti, erano anche altri eretici, i manichei, se­ condo i quali i corpi non erano creati da Dio, ma dallo spirito del male. Già Ireneo aveva condannato queste posizioni, sostenendo che il battesimo garantiva anche al corpo un destino spirituale e una vita incorruttibile. Per Agostino, il peccato originale c'è, e ne vediamo le conse­ guenze nella nostra vita, non solo perché ne dobbiamo sopporta­ re le pene - come la morte, il lavoro e il parto doloroso -, ma per­ ché ne siamo moralmente condizionati, come prova lo stato di di­ sordine e di rivolta morale in cui viviamo. Egli nega risolutamen­ te che il peccato di Adamo ed Eva sia consistito in una trasgres­ sione sessuale - come invece sosteneva la setta eretica dei messa­ liani -, ma pensa sia stato essenzialmente un peccato di orgoglio, da cui è derivato il doloroso dissidio fra la carne e lo spirito che angustia l'essere umano. È proprio a causa di questa corruzione del corpo che la concupiscenza carnale fa sentire i suoi stimoli. Prima del peccato, infatti, l'uomo non provava concupiscenza, era padrone del suo istinto sessuale e i genitali venivano mossi senza difficoltà per comando della volontà: «È infatti pena giustissima del peccato che perda ciò che non volle usare bene chi avrebbe potuto usarlo senza alcuna difficoltà, solo se lo avesse voluto»6• Da quel momento il corpo disobbedisce alla volontà con un mo­ vimento di rivolta, fino ad allora sconosciuto, come fosse una pe­ na reciproca della precedente disobbedienza verso Dio7• Sono almeno tre, secondo Agostino, le caratteristiche che in­ dicano la concupiscenza come legata al peccato originale: l'indo-

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Agostino, De libero arbitrio, III, 18.52. Cfr. P.F. Beatrice, Tradux peccati. Alle fonti della dottrina agostiniana del peccato originale, Vita e Pensiero, Milano 1978. 7

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mabilità, intrinseca alla libido; la vergogna che vi si collega (che è quella provata da Adamo ed Eva); l'innaturalità della sua presen­ za, che dimostra come dopo il peccato originale la natura umana sia viziata anche se rimane opera di Dio. Il pensatore africano chiama la concupiscenza peccatum, perché è apparsa con il pec­ cato e opera il peccato, ma in sé non è peccato, come dimostra il fatto che se ne può fare buon uso nel matrimonio. Per Agostino l'atto sessuale compiuto nel matrimonio, anche se provoca dilet­ to nei coniugi, non è peccato in sé, anzi esiste una serie di testi ago­ stiniani in cui è espresso un invito positivo all'esercizio della vita sessuale. Non è quindi da regolare il piacere in sé, quanto la ri­ cerca esclusiva del piacere, cioè la concupiscenza. L'uso smodato della comunione sessuale rivela la propria schiavitù alla libido, che si contrappone alla delectatio - la quale rientra invece nella sfera naturale - in quanto si caratterizza non solo come una rivolta con­ tro la ragione, ma soprattutto come peccato spirituale, cioè come mancata adesione di tutto l'uomo alla legge dello Spirito Santo. È lo spirito di Dio che deve comandare al corpo e allo spirito uma­ no. Per farsi capire meglio, Agostino fa un confronto con l'uso del cibo: è la stessa differenza fra chi vive per mangiare e chi mangia per vivere. Prima della caduta, infatti, secondo Agostino, il matri­ monio avveniva attraverso l'atto sessuale, praticato con diletto, ma senza concupiscenza, come prova il fatto che gli organi ses­ suali erano controllati dalla ragione, in completa obbedienza del­ l' anima razionale e del corpo a Dio. Il rapporto sessuale non è solo conseguenza del peccato, ma anche il suo modo di trasmissione: per Agostino il peccato origi­ nale si trasmette per generazione e non per imitazione. Proprio per questo hanno suscitato tante preoccupazioni teologiche le vi­ cende matrimoniali di due coppie protagoniste della storia sacra: Anna e Gioacchino e Maria e Giuseppe, sui quali si tornerà più avanti. TI battesimo dei bambini è dunque necessario, in contrap­ posizione alle idee pelagiane, ma è anche necessario ribadire il li­ bero arbitrio, come Agostino non mancherà di fare con il con­ sueto vigore contro i manichei. Tommaso d'Aquino, nel XIII secolo, riprenderà, per ampliar­ la, la concezione agostiniana: il peccato originale non è uno stato, ma una disposizione malvagia, una sorta di malattia che provoca una grande privazione di beni soprannaturali. Più ottimista di

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Agostino, però, Tommaso enumera le facoltà positive che sono ri­ maste all'essere umano: la ragione e la volontà, attraverso le qua­ li può trionfa�e sui sensi. La ragione sola - scrive -, e non la sen­ sualità, ha il potere di condannarci alla fine eterna o di salvarci. La dottrina tomista è profondamente umana, perché sostiene che il fedele, aiutato nel combattimento spirituale dalla preghiera e dal­ la grazia, può raggiungere la perfezione armoniosa, umana e divi­ na al tempo stesso. La posizione pessimista agostiniana viene ri­ presa in campo protestante e giansenista, e quella di san Tomma­ so, più ottimista, dai gesuiti e da san Francesco di Sales, affer­ mandosi definitivamente nel cattolicesimo del XIX secolo. In ogni modo, il collegamento fra peccato originale e sessua­ lità - ribadito dal Concilio di Trento, al di là delle sottigliezze del pensiero agostiniano e della chiarezza positiva di Tommaso8 - ha contribuito in misura non indifferente a caricare di negatività la vita sessuale agli occhi della cultura cristiana meno avvertita e a condizionare le norme relative ai comportamenti, come dimo­ strerà, in negativo, la liberalizzazione del comportamento sessua­ le che si accompagnerà alla secolarizzazione9. Ma, al tempo stes­ so, il collegamento fra sessualità e peccato originale ne fa un'alta questione teologica, cruciale sul piano della salvezza, dando alla sfera sessuale una importanza che la cultura antica non le aveva mai riconosciuto.

2 . Il matrimonio cristiano Anche se in apparenza poteva sembrare che la famiglia cristia­ na riprendesse le virtù di una buona famiglia della tradizione ro­ mana, anch'essa monogamica, la natura del legame era cambiata completamente di significato, e non solo perché alla donna veni­ va concesso un posto egualitario nella relazione e veniva solleci­ tato il libero consenso degli sposi, ma soprattutto perché ne era8 Cfr. A. Vanneste, Le décret du Concile de Trente sur le péché originel, in «Nouvelle Revue Théologique», 87, 1965, pp. 688-726. 9 Si veda in proposito, sia pure fortemente critico nei confronti della tradi­ zione cristiana, G. Israel, Volupté et crainte du Ciel. Peut-on se libérer du péché ong,ni el?, Payot, Paris 2002.

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no stati completamente trasformati il senso e lo scopo, attraverso un profondo lavoro di revisione simbolica. Gesù ne stabilisce la sacralità: ricorda l'affermazione della Scrittura - «i due saranno una sola carne» (Genesi, 2, 24), che attesta una vocazione origi­ naria dei sessi a unirsi a partire dalla creazione - e ne riporta l'in­ terpretazione autentica e definitiva: «L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 9; cfr. Matteo, 19, 6) che dà al matrimonio il peso di una scelta di vita, di una vocazione e di un destino. Il matrimonio, infatti, si pone fin dai primi tempi della tradi­ zione cristiana al centro di dispute non solo morali, ma anche teo­ logiche10, diversamente dalla cultura antica, in cui offriva terreno di riflessione per i moralisti, ma soprattutto per i medici che ne dovevano regolare le abitudini ai fini di una buona procreazione e di una buona salute, dimostrandosi in sostanza un legame pre­ valentemente naturale, finalizzato alla procreazione. Nel cristianesimo, invece, è l'accordo di coppia che costituisce l'essenziale del matrimonio e non la fecondità come tale: in esso, infatti, non è più motivo di separazione la sterilità, che nelle so­ cietà antiche era vissuta sempre come malattia femminile. n lega­ me fra i due sposi era concepito come un legame d'amore; certo, non nel senso di amore romantico come noi intendiamo dopo il XIX secolo, ma nel senso di carità reciproca, di solidarietà profon­ da, resa più forte dalla comune appartenenza spirituale. Tertullia­ no, un Padre della Chiesa che pure si è espresso chiaramente a fa­ vore della superiorità dell'ascetismo sulla vita coniugale, così par­ la degli sposi cristiani: «Che coppia quella di due cristiani uniti da una sola speranza, un solo desiderio, una sola norma di vita, dallo stesso servizio ! Ambedue fratelli, ambedue compagni di servizio; nessuna divisione né nello spirito né nella carne»1 1. E non poteva essere diversamente, se pensiamo come l'amore sia al centro di tutto l 'insegnamento di Gesù: il matrimonio costituisce quindi una sorta di prima esperienza dell'amore che lega ogni esse­ re umano a Dio. In tale esperienza, di cui fa parte la passione ses­ suale, il soggetto acquisisce infatti, senza bisogno di una mediazio1° Cfr. Donna e matrimonio alle origini della Chiesa, a cura di E. dal Covo­ lo, Las, Roma 1996. 11 Tertulliano, Ad uxorem, Il, 8, 7.

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ne discorsiva o logica, un sapere essenziale, quello del sacrificio e del dono di sé. È solo staccandosi da sé, infatti, rinunciando a sé, ri­ mettendo il proprio destino nelle mani di un altro, abbandonando­ si all'altro, che il soggetto può dare un senso alla sua esistenza. Già le Scritture ebraiche davano un ruolo simbolico importante al rap­ porto tra uomo e donna: è come «maschio e femmina» (Genesi, l, 27) che Dio ha creato l'uomo a sua immagine; la storia del popolo di Israele è attraversata dall 'amore che unisce le coppie - Adamo ed Eva, Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele, Sanso­ ne e Dalila, Booz e Ruth, Davide e Betsabea- e nella letteratura pro­ fetica (per esempio, in Osea) il rapporto sponsale diviene metafora del rapporto tra Dio e il suo popolo, mentre il Cantico dei cantici ce­ lebra l'unione carnale. Ma nel Nuovo Testamento l'unione fra l'uo­ mo e la donna acquista uno spessore simbolico ancora maggiore, di­ venta figura della partecipazione dei credenti a Cristo secondo il corpo e lo spirito e, soprattutto, figura della relazione di Cristo con la Chiesa, sua sposa. Il fiorire dell'interpretazione simbolica trasforma così il rap­ porto di coppia da un evento sociale e naturale in un legame sa­ cro, per definire il quale viene utilizzato il termine greco mystè­ rion, che in latino verrà tradotto come sacramentum. Le tradizio­ ni cristiane orientali e il cattolicesimo hanno mantenuto l'antica indicazione che vedeva del matrimonio non soltanto il contesto etico, familiare e sociale, ma il mistero del dono di una grazia in­ timamente trasformante, che in alcune occasioni, per mantenere la pratica delle virtù, può divenire un soccorso offerto da Dio. Anche per la definizione del matrimonio cristiano siamo debi­ tori ad Agostino, meno severo di Tertulliano e di Girolamo, che esaltano decisamente la continenza e il celibato. Per Agostino, in­ vece, anche il matrimonio è un bene, perché l'unione fra uomo e donna è naturale conseguenza della creazione di due sessi diver­ si. I beni del matrimonio non sono solo la sessualità e la conse­ guente procreazione (bonum prolis) , ma anche la fedeltà recipro­ ca (il bonum /idei) e l'indissolubilità (il bonum sacramenti) . E in questa valorizzazione del matrimonio Agostino si contrappone a Gregorio di Nissa, che aveva interpretato la sessualità solo come una consolazione offerta da Dio all'uomo dopo la caduta, e supe­ ra Clemente di Alessandria, che aveva difeso il matrimonio ve-

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dendovi una collaborazione all'opera del Creatore attraverso la procreaziOne. Se il fine della procreazione non rompeva con la tradizione precedente, e si rifaceva alla teoria degli stoici, il bonum /idei co­ stituisce invece una vera novità, perché impone non solo il reci­ proco adempimento del dovere coniugale, ma la convivenza per tutta la vita in una unione paritaria e fedele. Nella società roma­ na, al contrario, la legge puniva duramente le adultere, mentre l'infedeltà dei mariti non era soggetta a sanzioni penali, né a una seria disapprovazione morale. Era anzi pienamente accettato che l'uomo intrattenesse rapporti sessuali con gli schiavi di ambo i ses­ si presenti nella casa. Rifacendosi alle radici bibliche, Agostino scrive - sulla traccia di Paolo (cfr. I Corinzi, 6, 12-20) - che l'ec­ cellenza di una unione fedele è così grande che i coniugati diven­ tano membra stesse di Cristo, per cui mancare alla fedeltà signifi­ ca prostituire le membra stesse di Cristo. n bonum sacramenti, poi, trasforma il matrimonio da un con­ tratto puramente umano in una realtà superiore che trascende la volontà dei contraenti, rendendo indissolubile il rapporto. L'in­ dissolubilità del matrimonio nasce quindi dalla partecipazione terrestre a un mistero divino di amore indissolubile, quello fra Cristo e la Chiesa, rappresentato secondo Agostino dalla trasfor­ mazione dell'acqua in vino alle nozze di Cana. Non si tratta, quin­ di, di una indissolubilità naturale, ma di una indissolubilità teolo­ gica, per cui la generazione della prole non può essere considera­ ta da sola l'essenza del matrimonio. Viene quindi condannata la pratica diffusa per cui il marito si poteva unire a un'altra donna in vista della procreazione. Ed è proprio la visione non naturalistica, ma teologica, che Agostino ha del matrimonio a impedirgli la con­ siderazione puramente biologica di esso. Anche la procreazione, comunque, ha un senso teologico in quanto ha lo scopo di mette­ re al mondo i membri dell'umanità definitiva, la Città celeste. Se, nell'Antico Testamento, i patriarchi dovevano procreare per pre­ parare l'arrivo del Messia, così, dopo la venuta di Cristo, per al­ cuni cristiani non sembrava più necessario mettere al mondo dei figli. Cristo però è venuto, ma non ancora definitivamente, dice Agostino, bisogna generare figli per la sua seconda venuta. L'esperienza delle persecuzioni potenzia e intensifica la soli­ darietà e il sostegno reciproco fra gli sposi cristiani, che insieme

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vanno in esilio o affrontano il martirio. Uno dei pochi casi di ma­ trimonio esemplare tramandato dalla tradizione tardo-antica è quello di Paolina con Therasia: Paolina, nato in una ricchissima e influente famiglia senatoriale della Gallia romana, compie il cur­ sus honorum nella società del suo tempo e sposa la spagnola The­ rasia, cristiana appassionata che lo induce alla conversione: «Pel­ legrino, varcati i Pirenei, giunsi al vicino paese degli Iberi: lì hai permesso che io prendessi una sposa secondo la legge umana; lì tu guadagnasti in una sola volta due vite; ti eri servito del giogo della carne per mettere insieme la salvezza di due anime, e con i meriti dell'una hai compensato le esitazioni dell'altra», scrive nel carme XXI di Ad conìugem (398-403 ). li matrimonio diventava spesso una via di conversione per gli uomini: è ampiamente noto l'importante ruolo che le donne hanno svolto nel cristianesimo dei primi secoli per indurre gli uomini alla conversione. Paolina e Therasia, dopo la morte del loro unico figlio, deci­ dono insieme di donare i beni e di trasferirsi presso il sepolcro del martire Felice, a Nola, dove fondano una comunità cristiana di coppie - alcune con figli - dedite a Dio. Lì, nella vita comune, si rafforza il loro legame paritario, come dimostra la conclusione dell'Ad conìugem di Paolina: «Siamo l'un l'altro esempi di una vi­ ta pia; sii custode del tuo custode; sosteniamoci vicendevolmen­ te; rialza colui che cade, rinfrancati con l'aiuto di colui che si è rial­ zato, affinché non soltanto abbiamo in comune la stessa carne, ma anche la stessa mente e uno stesso spirito nutra due anime». Nel­ la loro vicenda, così come ci è stata tramandata da Paolina stesso, la trasformazione dell'unione dei corpi - essere una stessa carne ­ in un legame spirituale diventa vera e vissuta. Considerando la procreazione un bene, Agostino conferma anche il valore sociale del matrimonio, cioè il legame storico fra matrimonio e politica presente nella tradizione romana che, con le parole di Cicerone, considerava il matrimonio «il nucleo primo della città e quasi il semenzaio dello Stato». L'idea di matrimonio di Agostino era quindi in stretta assonanza con la tradizione ro­ mana: la carità che univa i coniugi avrebbe dovuto creare legami di pace e di unità sociale, avrebbe costruito la pace nella comunità politica. Ma come poteva realizzarsi questa visione così mitizzata e spi­ ritualizzata del matrimonio in una società in cui il consenso era

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spesso solo una formalità, e molto spesso anche il celibato era de­ ciso dalla famiglia? Per la cultura cristiana, infatti, la rivendica­ zione del libero consenso al matrimonio va di pari passo con la li­ bertà di monacazione, ma in entrambi i casi i poteri delle famiglie erano più forti della libertà individuale di scelta. li problema della libertà di scelta viene sentito nel corso del tempo come centrale per la validità del sacramento: nel XII seco­ lo i canonisti affermarono il diritto della donna a scegliere il ma­ rito, mentre si parla sempre più esplicitamente di affetto coniu­ gale che viene favorito e rinsaldato dal piacere sessuale12• Natu­ ralmente, un piacere che deve essere ragionevole; nel caso in cui il piacere carnale superi la misura del ragionevole - scrive nella se­ conda metà del XII secolo Ecberto di Schonau nei Sermones con­ tra Catharos (PL, 197 , 30) -, «può esservi qualcosa di peccamino­ so [aliquid peccati] : ma questa traccia di peccato, da una parte, è leggera e, dall'altra, è giustificata dal bene che risulta al matrimo­ nio». Lo prova il fatto che nella Summa per confessori di Tomma­ so di Chobham (composta fra il 12 10 e il l2 1 6) veniva consiglia­ to agli sposi di fare reciproco apostolato spirituale approfittando proprio del momento dell'unione carnale, in cui si supponeva che il coniuge fosse meglio disposto nei confronti dell'altro13• E que­ sto atteggiamento indulgente verso il piacere sessuale nel matri­ monio, che dura a lungo, non fa differenza fra piacere maschile e piacere femminile, anche se coloro che scrivono, naturalmente, sono sempre ecclesiastici che conoscono solo la vita ascetica. Proprio per questo, l'esempio più noto di passione amorosa fuori dalle regole nel Medioevo è un caso drammatico e contro­ verso, che si risolve con la scelta dell'ascetismo: la vicenda di Eloi­ sa e Abelardo - sposatisi segretamente, dopo essere stati amanti ­ protagonisti di una violenta passione, dal cui frutto era nato un fi­ glio. Lo zio e tutore di Eloisa li aveva scoperti, e per vendetta ave­ va fatto castrare Abelardo: i due amanti decisero quindi di dedi­ care la loro vita a Dio ritirandosi in monastero. Abelardo ricor­ derà gli incontri amorosi con il senso di colpa di chi deve espiare i peccati commessi, mentre Eloisa, che non rinnegherà mai quel 12

Cfr. J. Leclercq,

I monaci e il matrimonio. Un'indagine sul XII secolo

(1983 ), Società editrice internazionale, Torino 1984, p. 19. 1 3 lvi, p. 56.

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periodo d'amore, lo rimpiangerà sempre, cercando di tramutare la dedizione appassionata all'amante in abbandono a Dio. Nessu­ no dei due, a differenza della società del tempo, giudica negativa­ mente la realtà sessuale: Abelardo - convinto com'è che Dio tie­ ne conto non delle cose che si fanno, ma dell'animo con cui si fan­ no - conferisce alla persona una centralità nuova grazie al princi­ pio di intenzionalità, ma iscrive ogni vicenda della vita in un pro­ getto provvidenziale. Tanto che Pietro il Venerabile - abate di Cluny, dove si era rifugiato Abelardo - può inviare a Eloisa la no­ tizia della morte dell'amato facendo un chiaro riferimento alla lo­ ro passione, ormai sublimata e purificata: «Sorella venerabile e ca­ rissima nel Signore, colui al quale tu fosti prima unita nella carne, poi legata con un nodo tanto più saldo quanto più perfetto era il legame della carità divina, colui con il quale e sotto il quale tu hai servito il Signore, Cristo lo tiene ora nel suo seno al tuo posto e come un'altra te stessa te lo custodisce affinché alla venuta del Si­ gnore [. ] per grazia sua ti sia restituito» (lettera XV). Mentre in una delle storie più antiche di coppie cristiane, quel­ la cioè tra Paolina di Nola e Therasia, è la donna a ispirare la svol­ ta religiosa, nella vicenda di Eloisa e Abelardo è questi che impo­ ne alla donna il monastero. Paolina muore nel 43 1 , Abelardo nel 1 142: in questi settecento anni sembra sia cambiato molto il mo­ dello di matrimonio. Per realizzare la sublimazione del legame della carne - simboleggiato dalla trasformazione dell'acqua in vi­ no alle nozze di Cana - Abelardo ed Eloisa dovranno scegliere la vita monastica e la castità, mentre Paolina e Therasia avevano po­ tuto vivere insieme, in un rapporto di reciprocità che la pur sa­ piente Eloisa non riesce più a raggiungere. ..

3 . Un desiderio che vince gli altri desideri Senza dubbio l'esperienza più forte e più specifica legata al­ l' affermarsi del cristianesimo è quella di permettere e, anzi, di sug­ gerire come positiva la scelta della castità per un vasto numero di persone, donne e uomini, facendo della verginità un ideale e in­ sieme una prassi di vita. Attraverso la pratica della castità si svi­ luppa la mistica cristiana, che orienta la concupiscenza umana

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verso un'altra finalità: quella dell'amore per Cristo come deside­ rio che vince gli altri desideri. Le opere degli autori cristiani che, come già il medico pagano Galeno e Tertulliano, sostengono questa scelta di vita come l'uni­ ca che permette non solo di aspirare alla salvezza, ma anche alla santità, trovano un riscontro concreto nella nascita del monache­ simo, scelta di vita ascetica che per la prima volta coinvolge anche le donne. Molti storici vedono nella fortuna dell'ascetismo nel IV secolo un tentativo di recuperare l'eroismo del martirio dopo la fine delle persecuzioni contro i cristiani. È infatti al termine delle grandi persecuzioni in Oriente, dopo l'editto di Costantino, che Eusebio di Cesarea indicò le due vie proposte ai cristiani: «Dun­ que il Signore ha dato alla Chiesa due modi di vivere. Uno è so­ prannaturale, al di là dell'esistenza umana ordinaria, poiché non ammette il matrimonio, la maternità, la proprietà e il possesso dei beni [ . . ] . Come esseri celestiali, costoro guardano alla vita uma­ na dall'alto e servono Dio onnipotente in rappresentanza di tutta l'umanità [. . . ] . La via più umile e umana spinge gli uomini a unir­ si in casto connubio, a generare figli, a governare, a comandare i soldati che si battono per la giustizia, e consente loro di dedicarsi tanto alla religione quanto all'agricoltura, al commercio e ad altri interessi più secolari»14• In alcuni apocrifi si trovano le più violente requisitorie contro il rapporto sessuale. In particolare gli Atti di Giuda Tommaso scritti in Siria intorno al 220 descrivono con estrema vivezza la scena della rinuncia al sesso di due sposi nella prima notte di noz­ ze: «Quindi il Signore [ .. .] sotto l'aspetto di Giuda Tommaso [ ...] si sedette sul letto, ordinò loro di sedersi sulle sedie [ . .. ] . I giovani si astennero dal soddisfare l'immondo desiderio e attesero il mat­ tino castamente». Allo stesso modo gli Atti di Pietro ci rivelano un cristianesimo d'urto, in forte contrapposizione con la società esi­ stente: «E ancora molte altre donne s'innamorarono della dottri­ na sulla purezza [ .. .] e anche gli uomini smisero di giacere con le mogli [ .. . ] . Perciò Roma cadde nello sgomento» (capitolo 34). In realtà, come si è detto, il cristianesimo ha fatto propria e po­ tenziata una tendenza già in atto nel mondo ellenistico: la scelta .

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14 Eusebio eli Cesarea, Demonstratio evangelica, I, 8.

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per la castità era già diffusa in Palestina, dove il deserto della Giu­ dea ospitava grandi gruppi di maschi ribelli. Gli osservatori ro­ mani erano colpiti dalle colonie di celibi, in particolare dagli es­ seni. Plinio il Vecchio - contemporaneo di Gesù - li definisce «popolazione solitaria e con una caratteristica unica fra i popoli del mondo. Vivono infatti senza donne ed hanno rinunciato a ogni desiderio sessuale [. .. ] . Così - incredibile a dirsi è riuscita a so­ pravvivere per migliaia di anni una popolazione in cui non nasce nessuno»15• Secondo Filone di Alessandria e Flavio Giuseppe, due autori ebrei ellenizzati, gli esseni avevano realizzato un'uto­ pia totalmente maschile, con l'intento di rifondare Israele raffor­ zando la separazione con il mondo pagano. Allo stesso tempo, nel mondo pagano, gli stoici predicano, se non l'ascesi totale, almeno l'astinenza periodica, e gli stessi medici vedono il rapporto ses­ suale, per gli uomini, come un pericoloso dispendio di energie sottratte a compiti più alti. Questa diffusa convinzione spiega probabilmente il grande successo che conobbe la Vita di Antonio, dettata intorno al 356 da Atanasio, vescovo di Alessandria, prima vita di un anacoreta, a cui seguirono la Vita di Paolo di Tebe composta da Girolamo verso il 379, la Vita di san Martino scritta da Sulpicio Severo, nonché gli Apophthegmata Patrum, raccolte di detti e di episodi riferiti a san­ ti eremiti, che hanno conosciuto nell'antichità ben sette traduzio­ ni. Questi testi, scritti da intellettuali che si recavano nel deserto in visita a monaci eremiti per capire come fosse possibile pratica­ re l'astinenza totale e definitiva, furono e sono restati la fonte prin­ cipale del monachesimo orientale e occidentale. Questo tessuto vivente di esperienze ha portato al consolidamento e allo svilup­ po di quel particolare sistema di vita religiosa che è il monachesi­ mo: si trattava di esperienze del tutto inedite per gli eremiti. Essi, infatti, si trasferivano nel deserto senza alcun bagaglio di precetti su come affrontare la solitudine, il digiuno, l'astinenza sessuale: hanno semplicemente provato. Antonio, l'iniziatore, era un contadino egiziano che, sentite le parole del Vangelo che invitavano a seguire Gesù, decise di ab­ bandonare famiglia e beni e di cercare un incontro faccia a faccia -

15

Plinio, Naturalis historia, XV, 75, 53.

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con Dio nel completo isolamento. Scoprì così che i desideri del­ l'uomo erano dentro di lui, e non si spegnevano quando i contat­ ti con l'esterno venivano sospesi. Antonio li descrive come assalti diabolici, e scopre che il più irriducibile è proprio il desiderio ses­ suale: «Chi dimora nel deserto e vive nel raccoglimento non deve affrontare tre combattimenti: quello con l'udito, quello con la chiacchiera e quello con la vista. Il solo combattimento che resta è quello con la fornicazione»16• Per portare alla ragione il suo cor­ po prova a sfinirlo privandolo di sonno, di cibo, di ogni comodità. n desiderio rimane però una tortura lancinante, per lui e per gli altri eremiti, non attutita neppure dall'età e dal tempo trascorso in solitudine. Gli episodi narrati in proposito sono innumerevoli: un vecchio eremita malato, «sicuro che il suo corpo fosse morto», scese a far­ si curare in un villaggio, dove dimorò presso una famiglia e mise incinta la giovane che lo accudiva. Storie come questa dovevano essere così frequenti che, se una donna rimaneva incinta fuori del matrimonio, spesso dava la colpa agli eremiti. La tentazione ses­ suale si manifestava anche come sogno ricorrente, che talvolta di­ ventava allucinazione - i Padri la descrivono come assalti del de­ monio -, tanto che alcuni arrivavano a evirarsi, altri si torturava­ no con un ferro rovente; Pacone si chiuse nella tana di una iena, sperando di morire piuttosto che cedere o, in altra circostanza, si avvinghiò un serpentello ai genitali; Evagrio passò notti intere im­ merso in un pozzo gelato17• Naturalmente, uno dei provvedimen­ ti più frequenti era la rinuncia totale e definitiva ad avere contat­ ti con le donne, in quanto risvegliavano desideri alla sola vista: «Un monaco incontrò per la via delle monache; vedendole, si al­ lontanò dalla carreggiata, ma la loro superiora gli dice: 'Se tu fos­ si un monaco perfetto non ci avresti guardate e non ti saresti ac­ corto che eravamo donne'>>, narrano gli Apophthegmata Patrum. Per evitare queste tentazioni gli anacoreti cercarono di ridurre al minimo i contatti con l'esterno: abbandonarono così i lavori arti­ gianali che li portavano periodicamente a scambiare i loro pro16 17

Apophthegmata Patrum (Antonius, 11).

Una vivace sintesi di queste storie è in H. C. Zander, Quando la religione non era ancora noiosa. Eremitz; asce!� stiliti: le incredibili avventure e le diver­ tenti imprese dei padri del deserto, Garzanti, Milano 2003 (2001 ).

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dotti con il pane nei villaggi, e si ritirarono sempre più lontano dall'abitato, cercando di vivere solo di erbe e radici. Rimaneva co­ munque il pericolo di incontrare qualcuno nei posti di riforni­ mento di acqua. La questione dei rapporti umani che risvegliavano gli stimoli sessuali era la più grave da risolvere: ce ne informano gli stessi ere­ miti che non nascondono come l'incontro con una donna o con un ragazzo, dopo anni di castità, diventasse spesso occasione di caduta al richiamo del sesso. Sono oggetto di tentazione i bambi­ ni, talvolta affidati ai Padri che sceglievano il deserto. Numerosi testi, infatti, mettono in guardia dall'abitare con un fanciullo, co­ me in un'affermazione di Macario: «Quando vedrete dei ragazzi alla Scete, prendete le vostre meloti [pelli animali usate come ve­ stiario] e ritiratevi». Sogni e pensieri erano causa naturalmente di erezioni ed eia­ culazioni involontarie, mentre per gli anacoreti il fine da raggiun­ gere era la soppressione di qualsiasi espressione sessuale, anche non voluta. I segni di una involontaria attività sessuale - opera an­ che questa del demonio - non sono considerati peccato, ma osta­ colo al progetto di ascesa spirituale del monaco. Giovanni Cas­ siano dedica a questo tema un'intera conferenza (collatio), la ven­ tiduesima, ritenendoli «segno di una concupiscenza che si na­ sconde nelle profondità del nostro essere» ( 1 2 , 7) e gli anacoreti considerano compiuto il loro cammino verso la perfezione, cioè verso l'unità completa di corpo e di spirito, solo quando queste emissioni finiscono; così, a proposito dell'abba Sereno riferisce che «fra tutte le virtù che la grazia del Signore faceva risplendere nelle sue opere, nei suoi costumi e persino nella sua faccia, egli aveva ricevuto il dono particolare di una castità sì alta da non sen­ tire più, neanche durante il sonno, i moti naturali della carne» (7, 1), e altrettanto si tramandava di Evagrio, che morì a 54 anni, da tre anni libero dalla concupiscenza. Una caduta sessuale non costituiva, però, una ragione per ab­ bandonare l'impresa: i monaci più giovani ricorrevano in questi casi ai consigli di un anziano e, in generale, intensificavano la mor­ tificazione del corpo con privazioni alimentari: «Quando si vuole conquistare una città le si tagliano l'acqua e i viveri. Similmente per le passioni della carne. Se un uomo vive nel digiuno e nella fa­ me, i nemici della sua anima sono indeboliti», dice Giovanni il

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Breve18• E ilarione, ancora giovane, così ammonisce il suo corpo in cui si risvegliano gli stimoli del desiderio: «Caro il mio asinello, t'insegnerò io a non tirare calci; non ti nutrirò d'orzo, ma di pa­ glia; ti sfinirò a forza di fame e sete, ti caricherò di pesi enormi, ti metterò alla prova con la calura e con il gelo»19• Non tutti gli anacoreti mangiavano allo stesso modo, ma nella ricerca di una dieta lo scopo fondamentale era quello di trovare alimenti che facilitassero la resistenza alle tentazioni sessuali. Non era tanto un problema di quantità e qualità - per coloro che, co­ me Antonio, provenivano dalle classi popolari, l'abitudine a man­ giare poco, anche per mantenere le numerose famiglie, era così ra­ dicata che talvolta la dieta dell'eremita era considerata un lusso ma di dosare digiuni e alimenti in modo da spegnere l'istinto ses­ suale. In genere digiuno significava mangiare una sola volta al giorno, al tramonto, e i digiuni totali erano praticati in occasioni eccezionali, per combattere una tentazione particolarmente vio­ lenta. Secondo alcuni, per combattere il desiderio sessuale biso­ gnava non mangiare nulla di cotto; per altri, lo sperma proveniva da una sovrabbondanza di umori, e si consigliava quindi una die­ ta alimentare disseccante: «più secco è il corpo, più fiorente è l'a­ nima»20. Secondo Evagrio, i luoghi umidi erano frequentati dai demoni. Anche il sonno inumidisce: proprio per questo, gli ana­ coreti passavano le notti in piedi, o seduti, pregando. Giovanni Cassiano sostiene che, privandosi del sonno, bevendo poco e ac­ contentandosi di due pani al giorno, il novizio poteva in sei mesi conseguire una castità quasi perfetta, ma questo non valeva per i più poveri, abituati già a questo regime di vita. Ben presto l'esperienza dell'eremita solitario venne affiancata, o sostituita, da una forma organizzata che coinvolgeva più perso­ ne. Già intorno all'eremitaggio di Antonio - che morì a 1 13 anni - si erano insediati molti discepoli e, nel IV secolo, migliaia di uo­ mini in tutto l'Egitto raggiunsero i primi anacoreti cercando di imitarli: nel deserto di Nitria vivevano, soli o in piccoli gruppi, cir­ ca cinquemila monaci; nella Tebaide, si trovavano milleduecento 18

4, 19.

19

Girolamo, Vita di Ilarione. P!Gv, 10, 17.

20

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monaci e nelle vicine spelonche vivevano molti anacoreti. Nei pressi del villaggio di Ermupoli, intorno all'abbas Apollo, si era­ no raccolti cinquecento discepoli. Ma il primo a pensare un'orga­ nizzazione monastica collettiva fu Pacomio, che fondò a Tabenni­ si un monastero composto da trenta o quaranta case che ospitava tra i milleduecento e i milleseicento monaci. Una rigida regola or­ ganizzava il loro lavoro, i ritmi della preghiera e le eventuali usci­ te dal monastero, e comprendeva anche delle norme preventive per impedire che nascessero fra i monaci amicizie carnali: i mo­ naci dovevano coprirsi le ginocchia quando erano seduti in as­ semblea, non dovevano rimboccare troppo la tunica quando fa­ cevano il bucato, non dovevano guardare gli altri durante il lavo­ ro o al momento dei pasti, le relazioni tra loro dovevano sempre essere mediate da un responsabile. A maggior ragione non si po­ tevano isolare a due a due quando riposavano sulla stessa stuoia, non dovevano salire sullo stesso asino, né parlare nell'oscurità e, soprattutto, dovevano sempre mantenere l'uno con l'altro la di­ stanza di un cubito. Questa scelta di astinenza perpetua deve essere letta come ri­ sultato di un contesto sociale in cui si era convinti di essere alle so­ glie del ritorno di Cristo, e per questo sembrava necessario vani­ ficare la continuità del mondo. Diversamente dai filosofi pagani sostenitori dell'astinenza, e dagli ebrei, che volevano una società capace di imbrigliare e disciplinare il flusso continuo della ses­ sualità umana, i cristiani sceglievano la castità per dimostrare che era possibile invertire le cose, arrestare il flusso vitale, e mettere a nudo così la fragilità di un ordine sociale solo apparentemente im­ mutabile. In una società in cui ognuno aveva l'obbligo di non mu­ tare funzione, mestiere, dimora, e quindi di contribuire alla ri­ produzione del gruppo umano a cui apparteneva, scegliere la ca­ stità e la povertà significava rompere con tutto, fare una rivolu­ zione. Era una scelta rivoluzionaria soprattutto per le donne: dal momento che la mortalità infantile era altissima, per garantire la continuità nel tempo di un gruppo sociale era indispensabile che le donne, fin dalla pubertà, fossero destinate alla procreazione, necessità resa ancora più ineluttabile anche a causa della frequen­ te mortalità per parto. Le uniche donne che, nella società roma­ na, potevano conservare la propria verginità, cioè le vestali, cu­ stodi del fuoco sacro, dopo i trent'anni si sposavano. Una scelta

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totale di castità per le donne, che per tradizione non potevano di­ sporre di se stesse, era inconcepibile. Naturalmente, non era faci­ le per loro realizzare questa scelta: in un mondo in cui venivano maritate giovanissime dal padre, ben poche furono quelle in gra­ do di opporre un rifiuto. Le più libere erano quelle che rimanevano orfane prima di ar­ rivare in età da marito, o le vedove che riuscivano a resistere a tut­ te le pressioni per un secondo matrimonio: caso emblematico quello di Olimpiade che, maritata a diciott'anni e vedova a di­ ciannove, dovette resistere alle pressioni dell'imperatore Teodo­ sio, che la voleva far sposare a un suo parente. Ma talvolta le don­ ne erano votate alla verginità - fin dalla nascita - dai loro paren­ ti cristiani, come il caso della figlia di Melania Iuniore, o di Pao­ la, donna dell'aristocrazia senatoriale romana che porta sulla strada della verginità la figlia Eustachio. Sono queste donne che scelgono la castità, se vedove, o che tentano di coinvolgere i ma­ riti in questa scelta ascetica e spingono i figli al celibato: l'asceti­ smo diviene la scelta di intere famiglie, come nel caso di una don­ na romana trasferitasi a Betlemme, che esortava il marito rimasto a Roma ad abbandonare tutto e a seguire la via dell'ascetismo, co­ me le aveva promesso. Un caso emblematico è quello di Melania Seniore, vedova, che lascia la famiglia per i luoghi santi, e con­ quista con il suo esempio la nipote Melania Iuniore, costretta al matrimonio giovanissima. La giovane Melania, dopo la nascita di due figli che muoiono subito, riesce a convincere il marito e, in­ sieme alla nonna, trascina sulla via della castità anche il padre e la madre. La coppia che si astiene dai rapporti sessuali diventa un esem­ pio da imitare, specialmente per le donne, anche se non tutte le spose riuscivano a convincere i loro mariti, e quindi i vescovi si vi­ dero costretti a ricordar loro gli impegni coniugali, consideran­ dole - come sottolinea Giovanni Crisostomo nella diciannovesi­ ma omelia - «responsabili dei disordini dei loro mariti». E alle donne maritate loro malgrado, i cui mariti respingevano la voca­ zione ascetica, Basilio di Ancira consiglia di comportarsi come quelle che «Succubi di violenza, non partecipando l'anima al pia­ cere, sembravano schernirsi del proprio corpo come fosse morto e la loro anima, che rifiutava di concedersi alla voluttà di colui che la oltraggiava, si presentava senza macchia al cospetto dello Spo-

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so con una fedeltà e una verginità più radiose»21• li desiderio fem­ minile, nei trattati spirituali e nelle Vite, è perfettamente ricono­ sciuto, proprio come nei testi dei medici greci, anche se si tende a pensare che si manifesti soprattutto nelle donne che hanno cono­ sciuto il sesso piuttosto che nelle vergini. Si capisce quindi come proprio le donne fossero le più pro­ pense alla conversione al cristianesimo, anche perché consentiva loro di scegliere la castità che le salvava da mariti non voluti, dal­ la morte per parto e - cancellando la differenza biologica - le ren­ deva uguali agli uomini. Realtà che del resto era ben chiara a mol­ ti Padri della Chiesa i quali, in antitesi alla scelta verginale, pre­ sentano con vivezza alle donne il dolore del parto, il malumore e la prepotenza del marito, la morte dei figli. Giovanni Crisostomo scrive apertamente alla donna sposata: «Sopporta [ . ] tutta que­ sta schiavitù: sarai libera solo quando egli morirà»22, mentre Ba­ silio di Ancira aveva affermato che con la dote la donna compra­ va in realtà un padrone. Si spiega così il maggiore successo devo­ zionale di Blandina, martire vergine appesa a un palo con le brac­ cia distese, rispetto a un'altra martire sbranata dalle belve ma spo­ sa e madre, Perpetua, che aveva gioiosamente allattato il bambi­ no in prigione poco prima di morire. La fantasia pagana era mol­ to colpita dall'esistenza di questo numero crescente di vergini, tanto che, verso la fine del III secolo, le persecuzioni delle donne cristiane cominciarono ad assumere sempre più spesso la forma di violenza sessuale, spesso come condanna a prostituirsi nei lupa­ nan. Anche la castità maschile, proposta e valorizzata dalle Vite de­ gli eremiti, diventa oggetto di supplizio. Racconta Girolamo che, durante la persecuzione di Decio e Valeriano, un martire, dopo aver resistito a crudeli supplizi .

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fu portato in un giardino amenissimo. lvi, in mezzo a candidi gigli e rose rosse, mentre accanto serpeggiava con dolce mormorìo d'acqua un ruscelletto, e il vento sfiorava con un fruscio sommesso le fronde degli alberi, fu posto riverso su un letto di piume, e lasciato lì, dolce21 Basilio di Ancira, De virginitate, 52 (testo attribuito anche a Gregorio di Nissa). 22 Giovanni Crisostomo, De virginitate, 40, l .

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mente avvinto da ghirlande intrecciate, perché non potesse in alcun modo balzar via. Quando tutti si furono allontanati, sopravvenne una bellissima meretrice, che prese ad avvinghiarglisi al collo in un ab­ braccio voluttuoso e - cosa infame anche solo a raccontarla - a bran­ cicargli il sesso con la mano; dopo averne eccitato il corpo alla libidi­ ne, la svergognata vincitrice intendeva giacere sopra di lui. n soldato di Cristo non sapeva che fare, a quale partito appigliarsi: non l'aveva­ no vinto i tormenti, e ora lo sopraffaceva la voluttà! Infine, per un'i­ spirazione celeste, si mozzò coi denti la lingua, e la sputò in faccia alla donna che lo baciava: così l'intensità del dolore, sostituendosi alla sen­ sualità, riuscì a sopraffarla.

Questo episodio, che a prima vista sembra una esasperata di­ fesa della castità da parte dei cristiani, non è altro che una raffi­ nata ripresa letteraria di un tema già presente nella cultura classi­ ca, ma applicato a un filosofo che si mangia la lingua per non ri­ velare un segreto durante le torture. Il morso della lingua viene at­ tribuito anche a due donne: Leena, una prostituta che aveva par­ tecipato alla congiura dei tirannicidi e che non vuole rivelare il no­ me dei complici, e Timica, la moglie incinta di un filosofo pitago­ rico, sempre per evitare di tradire un segreto. I due esempi fem­ minili stanno a testimoniare come i pagani sapessero resistere al dolore ma non al piacere - si tratta di una prostituta e di una don­ na incinta - e quindi non fossero capaci di autentica virtù. Nel te­ sto di Girolamo, in cui l'amenità del luogo costituisce un tòpos di incitamento al piacere, l'aneddoto viene rivestito da un alone di sensualità - in parte ricavata da un racconto di Petronio nel Saty­ ricon - e si colora dei toni della rivincita del maschio, stranamen­ te casto, sulla donna impudica, cioè ribadisce la superiorità della razionalità maschile sulla passionalità femminile23 • Una superio­ rità messa in forse nell'unico punto debole maschile, quell'invo­ lontario motus genitalium, che imbarazzava anche teologicamen­ te Agostino. Questa variazione cristiana del tema della lingua morsicata apre spiragli sulla concezione della sessualità cristiana, intesa co­ me l'esaltazione della maschilità. Non solo, quindi, l'uomo cri2 3 Cfr. C. Nardi, La lingua in /accia al persecutore. Fra antichi sapienti e mar­ tiri cristiani, in Paideia cristiana. Studi in onore di Mario Naldini, Gruppo edito­

riale internazionale, Roma 1994, pp. 397-427.

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stiano è superiore al pagano, ma anche alla donna, più debole di fronte al piacere. E in questa esaltazione della castità maschile si nasconde forse una nota polemica sull'importanza crescente del­ le vergini nella vita della Chiesa.

4. Una scelta individuale La scelta di una vita casta si configura quindi, nella società an­ tica, come una prima possibilità di scelta individuale all'interno di una società che considerava stabilito e immutabile il destino ma­ trimoniale, in particolare per le donne. Ben diverso, come già si è accennato, era il caso delle vestali, scelte dalle famiglie, e che si sposavano dopo i trent'anni. L'opportunità per le donne di com­ piere una scelta di verginità costituiva infatti un apporto nuovo, in grado di offrire autentici spazi di emancipazione femminile. Ha piena consapevolezza di questa novità, che permette di superare i pregiudizi del mondo classico sulla debolezza e inferiorità fem­ minile, Girolamo, che collega alla figura di Maria la possibilità di scegliere la castità anche per le donne: «Ma dopo che una vergi­ ne ha concepito nel suo ventre ed ha partorito per noi un bambi­ no [ ... ] la maledizione è stata annullata. La morte attraverso Eva, la vita attraverso Maria. Perciò il dono della verginità si è diffuso anche più largamente tra le donne, perché ha avuto inizio da una donna»24• Una eguaglianza con gli uomini ben esemplificata dalla attri­ buzione loro di «animo virile», come scrive Gregorio Nazianze­ no: «Hanno mente elevata esse [le vergini] che con animo virile hanno rigettato dal cuore l'ingannevole Eva [ . . . ] . Hanno dimenti­ cato la debolezza, una volta attaccate alle solide frange di Cristo. Sono venute meno di fronte al senno la delicatezza della carne, l'e­ leganza delle vesti, la bellezza della prima stagione, rapida ad ap­ passire, sia quella naturale, sia quella esteriore artificialmente ma­ nipolata con tratti da impudiche, sicché la forza dell'animo rende le femmine uguali agli uomini, nel corpo come nella sapienza»25• 24 Girolamo, Epistulae, 22, 21. 2� Gregorio Nazianzeno, Carmina, II, 2,

l, vv . 233-246.

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Una virilità intesa come disposizione interiore, metafora usata nel linguaggio del tempo per alludere al progresso morale e spiritua­ le comune a uomini e donne, che implica un superamento della divisione dei sessi. Nella concezione patristica, dunque, la vergi­ nità è una scelta interiore e libera nella quale l'illibatezza fisica non è l'elemento determinante, ma ciò che conta è la disponibilità to­ tale a donare se stessi a Dio, come scrive Giovanni Crisostomo: «Non basta non essere sposata per essere vergine, ma occorre an­ che la castità dell'anima, e per castità io intendo non solo la lon­ tananza da desideri cattivi e vergognosi, da ornamenti e cure su­ perflue, ma anche la purificazione da preoccupazioni materiali. Se non c'è questo, a che serve la purezza fisica?»26• È evidente che questa insistenza sulla scelta interiore presuppone una libertà as­ solutamente inedita per le donne, in una società che non lasciava loro molto spazio all'autodeterminazione. Non bisogna trascurare il fatto, inoltre, che le donne che sce­ glievano la castità cristiana spesso provenivano da ricche famiglie romane, contribuendo così in grande misura alla sussistenza del­ la Chiesa, ma ne condizionavano anche la vita intellettuale - dal momento che finanziavano gli studiosi cristiani - come non era mai successo. Melania, giunta nel 374 ad Alessandria, andò a de­ porre ai piedi del famoso Apa Pambo un grande forziere che con­ teneva centocinquanta chili di oggetti d'argento, una ricchezza che salvò dal collasso totale le comunità monastiche situate nei pressi della città; in seguito, trasferitasi a Gerusalemme, assunse la direzione di un convento che ospitava cinquanta vergini alle pendici del Monte degli Ulivi, e da lì esercitava una grande in­ fluenza sulla Chiesa della città, rafforzata anche dalle regolari e in­ genti somme di denaro che le spediva il figlio. Ambrogio - fratel­ lo della vergine Macrina - ne era ben consapevole, e si adoperò per convincere imperatori, prefetti e governatori di provincia a non porre ostacoli alla scelta di vita casta da parte di vedove e ver­ gini abbienti, e cioè a tollerare che i beni di grandi famiglie, tra­ mite quelle donne, finanziassero le opere cristiane. Egli fu il pri­ mo a scrivere un testo, dedicato appunto alla sorella Macrina, fi­ nalizzato a dare una definizione dottrinale della verginità: nel De 26

Giovanni Crisostomo, De virginitate, 77.

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virginibus �7 mentre alcune Chiese, come quel­ la egiziana, cercano di imporre la castità almeno ai vescovi. Ma a questa pratica si oppone Girolamo, scettico sulle sue possibilità di attuazione: «che diventerebbero le Chiese d'Oriente? Che diven­ terebbero le Chiese di Egitto e di Roma, che non accettano che chierici vergini o continenti, o che esigono, quando hanno a che fare con chierici sposati, che rinuncino a ogni rapporto con le lo­ ro mogli?>�8. Altrettanto consapevole di quanto fosse lontana dal­ la realtà questa proposta è Epifania: La santa Chiesa rispetta la dignità del sacerdozio a tal punto che non ammette al diaconato, alla funzione di prete, di vescovo e neppu­ re di suddiacono, colui che vive ancora nel matrimonio e genera dei figli; e ammette solamente colui che, sposato, si astiene da sua moglie o colui che l'ha perduta, soprattutto nei paesi dove ci sono severi ca­ noni ecclesiastici. In verità, in certi luoghi, i preti, i diaconi e i sud­ diaconi continuano ad avere bambini. Io rispondo che questo non si fa secondo le regole, ma a causa della mollezza degli uomini, perché è difficile trovare dei chierici che si applichino seriamente alle loro fun­ zioni. Quanto alla Chiesa che è ben costituita e ordinata dallo Spirito santo, ha sempre giudicato più decente che coloro che si votano al san­ to ministero non siano distratti, fino a che è possibile, da niente e adempiano alle loro funzioni spirituali con una coscienza tranquilla e gioiosa3 9• 37 Eusebio di Cesarea, Demonstratio evangelica, 38 Girolamo, Adversus Vigilantium, Il. 39 Epifanio, Adversus Haereses, 48, 9.

I, 9.

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Come h a rilevato acutamente Giovanni Crisostomo, però, la necessità di una legge che imponesse al clero la continenza si scon­ trava con la libertà di scelta che, come valore morale, era stretta­ mente connessa alla scelta ascetica40. La discussione sul celibato ecclesiastico rimane a lungo aperta, e lunga e tenace è la resistenza, all'interno della Chiesa, al movi­ mento rigorista che voleva introdurre il celibato obbligatorio per i chierici, come dimostra la difficoltà di stabilire una norma vin­ colante, benché spesso richiesta, per tutta la Chiesa. Più spesso prevale la tolleranza, come nel 343 al Concilio di Gangres, dove con il canone 4 si stabilisce che chiunque faccia distinzione fra pre­ ti sposati e preti celibi che celebrano il sacrificio eucaristico è pas­ sibile di anatema. Il sacramento, infatti, ha validità indipendente­ mente dalla condizione morale del sacerdote che lo somministra. E ancora nel 400 le Costituzioni apostoliche si limitano a ordinare la monogamia ai rappresentanti del clero, anche se vedovi. Lo sto­ rico Socrate, a questo proposito, riferisce un aneddoto significati­ vo: nel Concilio di Nicea, ad alcuni vescovi che volevano stabilire l'astinenza, avrebbe risposto un venerabile e casto vescovo egizia­ no, Pafnuzio, sostenendo che sarebbe stato imprudente imporre un fardello di astinenza anche alle spose dei chierici. Secondo lui, quindi, bisognava accettare anche il clero ordinato dopo il matri­ monio, lasciando alla libertà di ciascuno di decidere se vivere in castità oppure no41• Questo racconto, poi ampiamente diffuso, trova una conferma nei testi del Concilio di Nicea. Una linea differente però era stata espressa, a partire dalla pri­ ma metà del IV secolo, da molti sinodi locali, come quello di El­ vira (l'attuale Granada), che aveva obbligato il clero di quella dio­ cesi alla castità, così come i Concili di Cartagine del 390 e del 40 1 , d i Toledo del 400 e di Torino del 40 1 . Papa Siricio, nel 3 86, in una lettera al vescovo di Tarragona, e successivamente in lettere ai ve­ scovi africani, interviene per raccomandare almeno di rispettare i periodi di continenza già stabiliti dalla legge ebraica durante le funzioni religiose più importanti, mentre Leone il Grande cerca di imporre il celibato, come testimonia una lettera scritta al ve­ scovo Atanasio nel 446: «Mentre a chi non appartiene all'ordine 4° Giovanni Crisostomo, De virginitate, 9, 2. 41 Socrate, Historia ecclesiastica, I, 1 1 .

Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia

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clericale è consentito sposarsi e avere figli, per realizzare alla per­ fezione la più completa castità, non sarà concesso nemmeno ai suddiaconi il matrimonio con rapporti sessuali, così che anche quelli che hanno moglie devono comportarsi come se non l'aves­ sero»42. O almeno, in ogni regione, si cerca di limitare la carriera ecclesiastica ai preti celibi, non solo per motivi di impegno nella missione, ma anche per impedire la dispersione dei beni della Chiesa. Infatti quando, nel 554, il futuro papa Pelagio I finirà per ac­ cettare la nomina di un vescovo padre di famiglia, lo farà a condi­ zione che ai figli non vada nulla di ciò di cui il prelato entrerà in possesso dopo il suo accesso all'episcopato. Alle preoccupazioni economiche, naturalmente, si accompagnavano quelle spirituali: Isidoro di Siviglia (morto nel 636) aveva proposto una etimologia allegorica di caelebs (celibe), spiegato come coelo beatus (beato nel cielo). Ma, in sostanza, almeno sino alla fine del IV secolo, anche se la continenza era osservata dalla maggior parte dei preti sposa­ ti, almeno dopo la loro elevazione agli ordini maggiori, la Chiesa autorizzava ugualmente coloro che non sentivano la vocazione del celibato a usufruire dei loro diritti coniugali. È solo a partire dalla fine del IV secolo che la legge del celiba­ to comincia a prendere forma, segnando così la separazione fra la Chiesa greca e quella latina. La prima frattura aperta su questo te­ ma si presenta durante il secondo sinodo Trullano - così chiama­ to dal thrùllos, il salone a volta nel palazzo imperiale di Bisanzio dove si tenevano le sessioni - convocato dall'imperatore Giuliano II e tenutosi nel 691 -692. Qui la Chiesa orientale si oppone al pa­ pa, come testimonia il canone 1 3: «Nella Chiesa romana coloro che vogliono accedere al diaconato o al presbiterato, promettono di non avere più rapporti sessuali con le loro mogli, noi invece concediamo loro, secondo i Canoni apostolici di continuare a vi­ vere nel matrimonio. Chi vuoi interrompere tali matrimoni sia de­ posto, e il chierico che con il pretesto della pietà lascia la propria moglie, sia scomunicato. Se persiste in questo, sarà deposto». Uni­ ca concessione nei confronti di Roma è quella relativa ai vescovi: «Se uno viene consacrato vescovo, sua moglie deve andare in un

42

Leone Magno, Epistulae, 14, 4.

l.

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convento piuttosto distante. Ma il vescovo deve provvedere a lei. Se è degna, può anche diventare diaconessa»43• La Chiesa ortodossa fa riferimento ancora oggi a questi de­ creti: infatti, anche se i vescovi sposati osservano abitualmente la continenza - ma per evitare il problema vengono abitualmente nominati vescovi dei monaci - è accettato che i preti di grado in­ feriore si sposino prima dell'ordinazione. Al momento della rot­ tura ufficiale fra le due cristianità, nel 1054, il cardinale Umber­ to di Silva Candida, che guidava la delegazione pontificia a Bi­ sanzio, si espresse con aspra durezza contro i preti ortodossi spo­ sati: «GiovanLmariti spossati dal recente piacere carnale servono all'altare. E immediatamente dopo essi con le loro mani santifi­ cate dall'immacolato corpo di Cristo abbracciano di nuovo le lo­ ro mogli. Questo non è il segno di una vera fede ma un'invenzio­ ne di Satana»44• Come si spiega il fatto che in Occidente, invece, si affermasse sempre più l'idea che la vita matrimoniale era incompatibile con il ministero ecclesiastico? Probabilmente, all'origine di questo at­ teggiamento non sta solo una preoccupazione di ordine morale e spirituale, ma la certezza che un clero celibe avrebbe garantito il mantenimento delle proprietà nelle mani della Chiesa, rafforzan­ do quest'ultima davanti al potere politico. Ciononostante, a par­ tire dall'VIII secolo la disciplina ecclesiastica subisce una crisi ge­ nerale e in particolare ne risente proprio la pratica del celibato. Secondo Bonizone, vescovo di Sutri, la corruzione si diffondeva ovunque: «Non sono solo i ministri di secondo ordine, sacerdoti e diaconi, ma addirittura gli stessi pontefici vivono in regime di concubinato; e questo è divenuto così comune che il disonore re­ lativo a tale condotta è in qualche modo cancellato»45• Roma stes­ sa è descritta in preda a questo disordine, come constata un papa, Vittore III, lamentando anche che i beni della Chiesa venivano de­ voluti ai figli dei vescovi. il problema del celibato del clero si po­ ne quindi a metà fra la condotta morale dei sacerdoti e i proble4 3 I canoni del secondo sinodo Trullano si leggono nella classica SS. Conci­ liorum nova et amplissima collectio (1757-1798) di Giovanni Domenico Mansi

(XI, 92 1 -1006) . 44 Il testo è citato in U. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli (1988), Rizzoli, Milano 1 990, p. 1 04. 41 Bonizone, Liber ad amicum, 3.

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mi della Chiesa come istituzione e come potenza economica, che si veniva definendo in quegli anni come autonoma nei confronti dell'impero. Per rafforzare questa autonomia appena conquistata era quindi indispensabile un intervento forte, che garantisse la riforma morale del clero, colpendo sia il nicolaismo, ovvero il con­ cubinato dei preti, sia la simonia, la vendita dei beni ecclesiastici. Ma, nonostante la severità della procedura ecclesiastica contro il clero sposato - che prevedeva il carcere, fustigature e bastonatu­ re pubbliche -, intorno alla fine del primo millennio cristiano un gran.numero di preti era sposato. Sarà il movimento di riforma che prenderà poi il nome di gre­ goriano - da papa Gregorio VII, morto nel 1085 e che diede gran­ de impulso alle correnti riformatrici già in atto - a rendere più se­ vero l'atteggiamento della Chiesa in proposito: Leone IX ( 1 0491 054) ordinò che le mogli dei preti fossero ridotte in schiavitù per servire nelle proprietà ecclesiastiche, mentre il Concilio del Late­ rane del 1059 così si esprime al canone 3 : «Nessuno potrà assi­ stere alla Messa di un prete, che notoriamente tenga presso di sé una concubina o una subintroducta mulier». Nicolò II ( 1 0581061) aggrava le già severe sanzioni contro i preti sposati o convi­ venti e cerca anche di prevenire il male obbligando gli ecclesiasti­ ci alla vita in comune. Duro fustigatore di chi si opponeva al celi­ bato ecclesiastico fu Pier Damiani, vescovo di Ostia e autore del De celibatu sacerdotum, il quale sosteneva che solo mani verginali potessero toccare il corpo del Signore. Da proibizioni di tipo so­ ciale, finalizzate non solo a garantire la buona condotta morale dei chierici, ma anche la compattezza del patrimonio ecclesiastico, si torna pertanto a motivazioni di ordine spirituale e teologico, pe­ raltro sempre esistite, e a problemi relativi alla purità46• Anche per la sua imposizione del celibato ecclesiastico, come per altre sue riforme, Gregorio VII considerato il simbolo più alto della riforma che da lui prese poi il nome - non proponeva certo novità, ma nuova era la radicalità della richiesta, avanzata con grande energia subito dopo la sua elezione al pontificato nel 1073, per vincere le numerose resistenze che venivano soprattut­ to da parte del basso clero. Sembra che solo nella diocesi di Co-

46 Cfr. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli,

cit., p. 105.

I. Il corpo, le pulsioni

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stanza si fossero radunati in un sinodo 3 . 600 ecclesiastici per ma­ nifestare il loro dissenso, mentre circolavano vari opuscoli a favo­ re del matrimonio del clero. Le resistenze furono forti in partico­ lare in Lombardia, dove la Chiesa ambrosiana si oppose al celi­ bato in nome della sua antica autonomia da Roma, ma dove la po­ sizione romana fu sostenuta con forza dal movimento dei patari, laici intransigenti che - mettendo �iscussione la validità dei sa­ cramenti consacrati da preti sposati - perseguitavano il clero che rifiutava il celibato con minacce e rappresaglie. L'azione riforma­ trice fu brutale: le mogli dei preti vennero considerate concubine, e i loro figli, perso lo statuto di liberi, divennero servi della pro­ prietà ecclesiastica. Nel secondo Concilio Lateranense ( 1 139) si fece un altro pas­ so decisivo in questa direzione: si affermò infatti che i matrimoni contratti dopo l'ordinazione non erano validi e al tempo stesso chi era coniugato non poteva più essere ordinato prete. Nel Decreto di Graziano - raccolta di leggi compilata intorno al 1 140 e che ha costituito il nucleo principale del diritto canonico nella Chiesa ro­ mana fino al l917 - viene fissata la normativa che regola la vita privata dei chierici: «Vi sono due generi di cristiani, i chierici e i laici. A questi è permesso di avere dei beni, [ .. .] di sposarsi, di col­ tivare la terra, di essere giudici, avvocati»47• Si chiudeva così una delle questioni più interessanti affrontate dalla canonistica durante il primo millennio cristiano, creando una società spaccata in due, laici da un lato e chierici e religiosi, obbligati al celibato, dall'altro. La Chiesa mirava, pertanto, a istruire e formare una classe dirigente di sicuro prestigio e ascen­ dente religioso e a fare del comportamento sessuale continente un indicatore esterno adeguato a delimitare i confini tra laici ed ec­ clesiastici. Ma, al tempo stesso, «proprio la necessità di una legge che imponga al clero la continenza, si scontra con la libertà di scel­ ta che, come valore morale, per Crisostomo deve essere connessa alla scelta ascetica, destituita di significato se, diversamente, sog­ getta a costrizione»48• Si tratta di una contraddizione che si apre nella società cristiana, in cui vengono messe insieme - per delimi-

47 Graziano, Decretum, 12, quaest. l , 7 . 48 Sardella, Eros rifiutato ed eros proibito,

cit., p. 221 .

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tare i confini fra laici ed ecclesiastici - due forme ben diverse di celibato: quello scelto dei monaci, e quello imposto del clero. Si tratta di provvedimenti che si inseriscono in un'opera di complessiva riforma della vita religiosa e dell'istituzione ecclesia­ stica caratterizzata da due obiettivi: il rafforzamento della Chiesa di fronte al potere imperiale e la formazione di un clero come ce­ to separato, da considerarsi nettamente superiore al resto della popolazione cristiana. È a partire da questo periodo, infatti, che il termine Chiesa viene a significare l'insieme dei chierici, e non più tutti i cristiani, per i quali venne forgiato il nuovo termine di

Christianitas. Ma la realizzazione piena di questa norma fu lenta e molto con­ trastata; Guidone, legato di papa Clemente IV al sinodo di Brema del 1266, dovette ribadire che i suddiaconi e i chierici con gli ordini maggiori che si prendono una concubina col titolo di moglie e di fatto si legano a essa in matrimonio sono privati per sempre del beneficio ecclesiastico. I figli di tali unio­ ni illegittime non hanno alcun diritto alle masserizie dei loro padri, e ciò che costoro lasciano alla loro morte sarà diviso tra il vescovo e la città. I figli di tali preti sono per sempre infami. Ma poiché alcuni pre­ lati tollerano la disonestà per il danaro, noi scomunichiamo e colpia­ mo con l'anatema tutti coloro che a tale scopo fanno sì che questo sta­ tuto, di cui deve essere data lettura nei sinodi diocesani e provinciali, non venga rispettato. Coloro invece che, chierici e laici, d'ora in poi danno le loro figlie o le loro sorelle ai chierici con gli ordini maggiori per un supposto matrimonio o per concubinato, sono esclusi dall'en­ trata in chiesa49•

Queste parole lasciano trasparire una abituale forma di corru­ zione: molti preti sposati ottenevano il silenzio dei loro vescovi versando loro periodicamente del denaro. Una prassi di lunga durata: nella continuazione del Roman de la rose - opera scritta intorno al 1277 che conobbe un successo ec­ cezionale - Jean de Meung combatte vivacemente il celibato ec­ clesiastico per bocca di Natura, così come nel 152 1 i protestanti denunciano pubblicamente il vescovo di Costanza, Ugo di Lan49 K.J. von Hefele, Konsiliengeschichte, Freiburg im Breisgan

1867, VI, p. 84.

I. Il corpo, le pulsioni

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denberg, perché riceveva per il suo ve�ado circa seimila fiorini annui di multa per i figli dei preti che nascevano. Molti preti-pa­ dri divennero allora protestanti per evidenti motivi economici50• Che questo costume, soprattutto in regioni lontane dal con­ trollo di Roma, fosse rimasto vivo, lo dimostra il fatto che Erasmo da Rotterdam era figlio secondogenito di un prete, e che Ignazio di Loyola aveva un fratello prete, Pedro Lopez, che lasciò alla sua morte quattro figli, mentre Francesco Borgia, terzo generale dei gesuiti, era vissuto nel palazzo arcivescovile di Saragozza dove suo nonno, l'arcivescovo don Alfonso d'Aragona, viveva ufficialmen­ te con sua nonna, Anna Urrea. Fra il 1488 e il 1489 circolavano svariate falsificazioni di bolle pontificie, per consentire il matri­ monio di alcuni preti. È noto come la Riforma luterana abbia trovato terreno fecon­ do proprio nella scontentezza dei preti tedeschi per l'obbligo del celibato: nel suo discorso sulla situazione della Germania tenuto al Concilio di Trento nel 1562 , il rappresentante del duca di Ba­ viera, Agostino Bauttlgartner, afferma che «tra cento preti, ne so­ no stati trovati appena tre o quattro che non vivono in pubblico concubinato o che già clandestinamente o del tutto apertamente non abbiano contratto matrimonio»51 • L a piaga del nicolaismo guarì più o meno velocemente, a se­ conda dei paesi e degli uomini, ma il miglioramento dei costumi morali del clero appariva incontestabile già nel XII secolo e il ce­ libato venne ribadito risolutamente dal Concilio di Trento a metà del Cinquecento, per rimanere in vigore fino a oggi: «Se qualcu­ no non dice che è meglio e gradito a Dio rimanere nella verginità o nel celibato piuttosto che sposarsi, sia scomunicato». La que­ stione fu in qualche modo riaperta dalla Rivoluzione francese: nel 1791 venne stabilito infatti che a nessun uomo si può impedire di sposarsi e quindi molti preti francesi - fra cui il vescovo Talley­ rand - presero moglie. Il celibato ecclesiastico è stato confermato ancora dal Concilio Vaticano II, durante il quale i padri concilia­ ri, pur riconoscendo esplicitamente che l'astinenza non è richie­ sta dalla natura stessa del sacerdozio, raccomandano il celibato ri­ chiamandosi a necessità religiose e pastorali. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli, cit. 5l Concilium Tridentinum, VIII, p. 620.

�o Cfr.

II EROS E SANTITA

l. Simboli sessuali «li mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta»: questi versi fortemente erotici appartengono al­ la Bibbia, e più esattamente al Cantico dei cantici (5, 4). Benché gli interpreti antichi e medievali si siano impegnati a spegneme la ca­ rica erotica dando una interpretazione metaforica di questo verso - per Ruperto di Deutz, ad esempio, l'adolescente è l'anima, tre­ mito divino, la mano è quella del crocifisso che si stacca dalla cro­ ce1 -, la presenza di questo e altri versi simili nella tradizione cri­ stiana costituisce la prova che la sfera sessuale non offre solo oc­ casione di prescrizioni morali o di regole ascetiche, ma costituisce il patrimonio di metafore e simboli a cui era normale attingere per parlare del sacro. Purtroppo, oggi se ne è perso il ricordo, così co­ me sembra scomparsa la percezione dei «sensi sovrannaturali», attraverso i quali un corpo ancora vivente può divenire molto si­ mile a un corpo glorioso. Quell'antica sensualità trascendente scrive Cristina Campo - è stata cancellata dalla Riforma e dall'Il­ luminismo: «ogni prova fu puntualmente superata dalla dottrina ma sembrò strappar via con sé un lembo della corporeità rag­ giante, della vivida pelle dell'antica vita cristiana»2• 1 Cfr. ].C. Schmitt, La conversione di Ermanno l'Ebreo. Autobiografia, sto­ ria, /inzione (2003 ), Laterza, Roma-Bari 2005 , pp. 119- 120. Per uno sguardo sul­

l'interpretazione antica e medievale si veda l'Introduzione di M. Simonetti a Origene, Il Cantico dei cantici, Fondazione Lorenzo Valla, Roma-Milano 1998, pp. IX-XXXI. 2 C. Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, p. 23 7 .

II.

Eros e santità

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Noi siamo come il giovane monaco protagonista del Nome del­ la rosa, il celeberrimo romanzo di Umberto Eco, che capisce il sen­ so del Cantico dez" cantù:z" solo quando vive concretamente l'amore umano con una fanciulla: si tratta di una proiezione della menta­ lità odierna su un passato che, invece, interpretava il libro biblico in modo esclusivamente allegorico. A noi, infatti, la sconcertante franchezza con cui questo poemetto parla dell'amore, la concre­ tezza erotica delle sue immagini, fa solo venire in mente l'amore fi­ sico mentre, fin dalla sua inclusione nei testi sacri ebraici, a ques.to testo è stata data sempre una interpretazione metaforica. Anche se gli stu.diosi ipotizzano che si tratti, all'origine, di un esempio di poesia erotica, simile a quella dei papiri egizi dello stesso periodo, il significato metaforico ha finito con il sovrastare a tal punto quel­ lo letterale che per secoli nessuno l'ha più letto secondo il signifi­ cato originario. Senza dubbio, su questo testo e sulla sua esegesi si fonda l'uso metaforico della sessualità nella tradizione cristiana. Attribuito dalla leggenda a Salomone, ma in realtà di molto posteriore, era stato inserito fra gli altri libri della Scrittura, no­ nostante il suo contenuto profano e il linguaggio fortemente ero­ tico, perché considerato una metafora dell'amore di Dio per Israele, e l'amore non sempre fedele da parte di Israele per Dio. Questa lettura costituisce una conferma di quanto l'allegoria del­ l'immagine sponsale fosse divenuta patrimonio comune del pen­ siero religioso d'Israele. Basta, del resto, ricordare un'immagine utilizzata da Isaia (62, 5) per spiegare la rivelazione dell'amore di­ vino per rendersene conto: «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te». Nel Can#co dez" can#d, l'amore fra un uomo e una donna vie­ ne considerato l'unica realtà umana che può rendere in qualche modo intellegibile il mistero dell'amore di Dio per l'umanità. In esso la sessualità non viene vissuta come una forma misteriosa di unione con il sacro - come nei riti di fertilità delle religioni paga­ ne - ma come realtà teologica in sé. A ragione è stato infatti sot­ tolineato in proposito che «non vi è un amore 'spirituale', 'puro' ed uno profano; esiste solo l'amore e basta. Anzi, l'amore contie­ ne in sé qualcosa di divino»3• 3 R. Infante, Lo sposo e la sposa. Percorsi di analisi simbolica tra Sacra Scrit­ tura e cristianesimo delle origini, San Paolo, Milano 2004, p. 15.

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Molti commentatori hanno osservato come nel Cantico dei can­ tici vi sia piena parità della donna con l'amato, anch'essa sogget­ to attivo nel rapporto, a cui viene riconosciuto lo stesso diritto di esprimere il proprio desiderio e la propria voglia di amore. La ri­ cerca dell'amato è quasi sempre sua, anche in condizioni rischio­ se, ed è alla sua bocca che il poeta affida le parole più belle: «Met­ timi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; per­ ché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la pas­ sione. Le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signo­ re! le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi tra­ volgerlo» (8, 6-7) . Solo l'amore e l'eros hanno la possibilità di vin­ cere le potenze distruttrici, perché solo l'amore è creatore e fonte di vita in quanto dotato di potenza divina. I cristiani, che ripresero dai giudei l'uso della Sacra Scrittura come fondamento divinamente ispirato di vita e di dottrina, ma che hanno cominciato a leggerla considerandola come un insieme di profezie e simboli della verità portata da Gesù, non sembra ab­ biano awertito alcuna remora ad accogliere anche il Cantico dei cantici, benché non ci siano riferimenti diretti a questo poema nel­ la letteratura cristiana sino alla fine del II secolo, quando compa­ re un commentario a cura di lppolito. Questa prima interpreta­ zione - per cui, ad esempio, il profumo dello sposo diventa sim­ bolo della generazione del Logos e della successiva Incarnazione e la nerezza della sposa è simbolo dei passati peccati della Chiesa - apre le porte a un genere che conoscerà una fortuna crescente nella letteratura cristiana, quello cioè della spiegazione allegorica del Cantico dei cantici, nella comune convinzione che la Scrittura vada accostata con timore e devozione per decifrare la chiave del linguaggio simbolico con cui è scritta. Poco tempo dopo, infatti, Origene dettò un commento al poemetto in dieci libri, basato su un accurato lavoro filologico. Fin dal prologo egli affronta, risol­ vendolo in senso allegorico, il problema del linguaggio erotico dell'opera, presentando il Cantico dei cantici come «espressione della vetta più alta cui può aspirare l'anima umana nella ricerca di Dio». Come ha scritto Ann Matter, studiosa della fortuna del Can­ tico dei cantici nella storia del cristianesimo, «è con questa inter­ pretazione dell'amore nuziale del Cantico dei cantici come amore tra Dio e l'anima del cristiano credente, che comincia la vera sto­ ria del matrimonio mistico nella tradizione cristiana. Inoltre, que-

II. Eros e santità

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sta lettura legittima anche l'idea della vita di devozione come ma­ trimonio con Dio»4• Dopo il successo di questo commento, il Can­ tico dei cantici viene considerato - e per sempre - uno dei punti più alti di mistica nell'ambito della Sacra Scrittura. I commenta­ tori successivi si rifanno tutti all'esempio origeniano, fino a quan­ do Apponio, nel 4 10, introduce anche un'interpretazione in sen­ so mariano, che avrà una buona fortuna nel Medioevo. Del resto, che l'interpretazione metaforica del Cantico dei can­ tici sia ormai accreditata ovunque - a parte alcuni casi marginali rappresentati da canti goliardici, come i Carmina burana - lo di­ mostra la libertà con la quale Bernardo di Chiaravalle, nei suoi ser­ moni di commento al Cantico dei cantici, utilizza la descrizione realistica dell'incontro amoroso. Così, mentre il poema biblico si limita a dire «Mi baci con i baci della sua bocca», Bernardo spe­ cifica che si tratta di «congiunzione delle labbra» e «per dare un bacio, bisogna che le due labbra di ogni bocca si premano l'una su l'altra» per arrivare poi all' «abbraccio che non si può districa­ re»5. È ben chiaro come la sposa non sia solamente passiva, ma contribuisca a produrre questo bacio in un rapporto di egua­ glianza. Ogni parola è concreta, ma basta che egli aggiunga pochi termini, anch'essi biblici, di risonanza spirituale, perché si disveli un significato sublime: la libertà è quella dello Spirito Santo, il ca­ lore è quello dello Spirito di Cristo. Perché la metafora sia giusta e legittima, infatti, bisogna che la realtà di riferimento sia chiara e concreta, cioè l'amore carnale fra un uomo e una donna, a cui egli aggiunge un particolare che nel Cantico dei cantici non c'era: che si tratti di uno sposo e di una sposa, di un amore lecito. TI fonda­ mento della metafora è dunque il matrimonio, in antitesi ad altri tipi d'amore carnale, come la prostituzione, l'adulterio e l'unione libera, lodata dagli eretici renani suoi contemporanei. Naturalmente questa interpretazione di Bernardo, che legge la metafora su tre piani diversi - e presuppone uno stretto paralleli4 E.A. Matter, Il matrimonio mistico, in Donne e fede. Santità e vita religio­ sa, a cura di L. Scaraffia e G. Zarri, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 45; cfr. anche E.A. Matter, The Voice o/My Beloved. The Song o/Songs in Western Medieval Christianity, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1992. 5 Bernardo di Chiaravalle citato in J. Leclercq, I monaci e il matrimonio. Un'indagine sul XII secolo, Società editrice internazionale, Torino 1984, p. 1 55.

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smo fra l'unione carnale e quella spirituale - rinnova profonda­ mente la tradizione dei commenti del Cantico dei cantici. Nel ba­ cio Bernardo identifica l'insufflazione attraverso la quale Cristo Risorto dona il suo Spirito alla Chiesa. Infatti la sua idea di base è che la rivelazione avvenga con un bacio, cioè per mezzo dello Spi­ rito Santo. Ma il bacio esprime anche l'unione di Dio con l'uomo Gesù: «la bocca del Verbo preme la natura umana: così, Dio si uni­ sce all'uomo, in cui, ormai, risiede tutta la pienezza della divi­ nità»6. Ma la metafora coniugale si presta anche a esprimere l'u­ nione di Cristo con la c;hiesa, tenendo presente il fatto che la Chie­ sa è fatta dalla comunione delle anime. Sin da questa vita, e poi meglio nella gloria, ognuno di noi aderisce alla Chiesa nell'ab­ braccio dell'amplesso, formula che presuppone, più ancora del bacio, l'unione totale. Attraverso il vigore di queste metafore, Ber­ nardo riesce a cogliere una realtà misteriosa, che sarebbe estre­ mamente difficile formulare in altri termini. Anche il teologo con­ temporaneo Hans Urs von Balthasar scrive a proposito della Chie­ sa, velata nel mistero sponsale, che si tratta di «un mistero d'amo­ re, che noi possiamo circondare solo della nostra reverenza»7. L'attività amorosa degli sposi viene così applicata alle relazio­ ni tra il Verbo e l'anima, e il mistero è espresso in termini d'amo­ re: «non vi è una sola anima, ve ne sono molte, riunite in una so­ la Chiesa, abbracciate da una sola Sposa»8• Anche se la Chiesa sarà perfetta sposa di Cristo solo nella gloria futura, già da ora gli è unita come lo sono marito e moglie. n termine latino con il qua­ le Bernardo esprime questo incontro amoroso è proprio quello che designa l'amplesso nel senso più forte, adherere, assumendo tuttavia per lui un significato solo spirituale: «Questo amore vi­ cendevole, intimo e forte, che unisce i due, non in una sola carne ma, veramente, in un solo spirito»9• L'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo per Dio è necessaria­ mente espresso in un linguaggio umano, nutrito di immagini e di simboli umani e di esperienze umane. Altri scrittori cistercensi rilvi, p. 158. H.U. von Balthasar, Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1972, p. 55. Bernardo di Chiaravalle citato in Leclercq, I monaci e il matrimonio, cit., p. 159. 9 lvi, p. 161. 6 7 8

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prenderanno, dopo di lui, il simbolismo del letto e delle delizie dell'amplesso, e il fatto che spesso queste metafore si trovino an­ che in sermoni rivolti alle monache conferma come non ci fosse alcun timore a riferirsi con franchezza all'amore coniugale. Come scrive ]ean Leclercq, «niente, in loro, tradisce l'ossessione e la re­ pressione»10, né si comportano come se questi temi fossero tabù. Con la formazione dei nuovi ordini monastici del XII-XIII se­ colo, infatti, era cambiato il tipo di religioso: cominciano a preva­ lere gli adulti fra coloro che scelgono la vita nel monastero. Si trat­ ta cioè di persone che avevano avuto un'esperienza diretta dell'a­ more profano, o per aver sperimentato il matrimonio, oppure per conoscenza letteraria o, magari, dall'esperienza dovuta alla pro­ miscuità abitativa allora molto diffusa, se non abituale. Ed è pro­ prio per la facilità con la quale viene compresa questa esperienza, probabilmente, che molti monaci come Bernardo si sentono spin­ ti a creare, parallelamente alla letteratura amorosa dei trouba­ dours, una letteratura amorosa sacra. Non dobbiamo poi dimen­ ticare la capacità, diffusa fra tutti i monaci medievali e il clero - e, seppure in minor misura, anche fra i laici -, di interpretare sim­ bolicamente, almeno in due sensi, la parola sacra. Quelle immagi­ ni che a noi - che siamo portati dal senso comune a escludere la natura spirituale dell'uomo e l'esistenza di Dio - sembrano solo il ritorno di un istinto erotico rimosso nell'inconscio erano per loro, invece, immagini ricche di senso profondo che li spingevano a cer­ care, a partire dai simboli biblici, significati misteriosi e nascosti. Per capire ancora meglio quale fosse il potere trasformante dell'interpretazione spirituale di scritti carichi di contenuto eroti­ co, bisogna ricordare anche che una operazione simile a quella sul Cantico dei cantici era stata fatta, nel Medioevo, su un testo ben più difficile da «spiritualizzare», cioè I'Ars amandi di Ovidio. Cer­ to, in alcune copie monastiche qualche riga era stata espurgata, ma in sostanza anche a esso si applicava una vera e propria esege­ si, utilizzando lo stesso procedimento che si applicava alle Sacre Scritture, sino a fare di Ovidio un cristiano e ad arrivare alla de­ dica che un pio frate francescano scrive alla Vergine, nella vigilia di una sua festa, su un codice del poeta pagano. IO

lvi, p. 164.

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L'immagine sponsale, del resto, è presente anche nei Vangeli, proposta da Gesù stesso che, in più di un episodio, si sostituisce a Yhwh nella metafora dello sposo e sarà ripresa da Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi ( 1 1 , 2) , che stavano correndo il grave pe­ ricolo dell'infedeltà: «lo provo infatti per voi una specie di gelo­ sia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo». Bernardo è stato senza dubbio l'intellettuale cristiano che ha meglio saputo trasferire ogni desiderio di amore umano in desi­ derio di unione con Dio, partendo appunto dal Cantico dei canti­ ci, ma poi procedendo oltre, sempre però all'interno della stessa metafora sponsale. Per lui, l'amore fra un uomo e una donna non è che una delle espressioni dell'amore cristiano, che sempre rin­ via all'amore più alto, la carità. Egli si sforza, riuscendoci, di su­ blimare una pulsione fondamentale dell'essere umano, quella del­ l' amore, partendo da una conoscenza profonda della psiche uma­ na. Nel suo trattato Sulla necessità di amare Dio, Bernardo stabi­ lisce che l'amore divino integra e assume in sé tutte le manifest�­ zioni umane dell'amore che sono in accordo con l'ordine dei va­ lori fissati da Dio. Proprio per questo Dante attribuisce a Bernardo un ruolo cen­ trale nella Commedia, il cui tema di fondo è l'importanza dell'a­ more. Nel poema assistiamo infatti al passaggio dall'amore per Beatrice a quello per Dio, dalla guida di Beatrice a quella di Ber­ nardo. Simbolo comune fra il poeta e il monaco è la sposa del Can­ tico dei cantici, più volte citata da Dante nelle sue opere. Se le esperienze che Bernardo e Dante hanno vissuto sono state diver­ se, uguale è il processo attraverso il quale le trascendono, e per en­ trambi è una donna - sia essa Beatrice, oppure la sposa del Can­ tico dei cantici, o Maria - a esprimere simbolicamente la parte mi­ gliore di loro stessi, e quindi di tutto il genere umano. li Cantico dei cantici, quindi, testimonia come anche nella tra­ dizione giudaico-cristiana sia presente l'idea che il piacere sessua­ le, essendo riflesso della beatitudine divina, ci permette di coglie­ re qualcosa di Dio1 1 • Ne parla esplicitamente Alain Daniélou nel suo saggio sulla scultura erotica indù, cogliendo le somiglianze 1 1 Cfr. A. Griin, Mistica ed eros (1994), Berti, Piacenza 2000.

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con questa tradizione, in quanto «riflesso dello stato di perfezio­ ne, dello stato divino, è il godimento. Per un istante l'uomo rea­ lizza lo scopo suo vero. Dimentica i suoi interessi, i suoi proble­ mi, i suoi doveri, e partecipa al sentimento di felicità che è la sua vera natura, la sua natura immortale»12. Accanto a una tradizione - ben rappresentata da grandi Padri della Chiesa, come Ambrogio, Agostino e Girolamo - che vede la corporeità sessuata come un grave limite dell'essere umano, dal quale egli deve liberarsi quanto più gli è possibile per awicinarsi alla trascendenza divina, ne esiste quindi un'altra che vede nell'e­ sperienza erotica una chiave per comprendere Dio. Una posizio­ ne, questa, sostenuta anche da Tommaso d'Aquino, il quale scri­ veva che, anche se «i progenitori in paradiso non ebbero rappor­ ti, perché, poco dopo la formazione della donna, ne furono scac­ ciati a causa del peccato; oppure perché attendevano l'ordine dal­ l'alto che ne determinasse il tempo, perché da Dio ne avevano ri­ cevuto un comando generico»13, se l'avessero fatto ne avrebbero provato più piacere, perché «il piacere è tanto più grande, quan­ to più pura la natura e più sensibile il corpo» (ibid.) . Perché per Tommaso l'essere umano è stato fatto a somiglianza di Dio nell'a­ nima e nel corpo: «l'anima unita al corpo assomiglia di più a Dio di quella separata dal corpo, perché possiede più perfettamente la propria natura»14, per cui la separazione dal corpo impedirebbe la beatitudine perfetta: «la separazione dal corpo, infatti, impedi­ sce all'anima di tendere con tutto lo slancio verso la visione del­ l'essenza divina, poiché l'anima desidera godere Dio fino al pun­ to che il godimento ridondi sul corpo, nella misura del possibile. Perciò, finché essa ha il godimento di Dio senza il corpo, il suo ap­ petito, pur quietandosi nell'oggetto che possiede, vorrebbe anco­ ra che il suo corpo arrivasse a parteciparne»15• Da questo si può dedurre come Tommaso fosse convinto che il piacere sessuale - tanto più intenso quanto maggiore è la purez­ za della natura - è un dono che ci apre alla conoscenza della divi12

A. Daniélou, La sculpture érotique hindoue, Buchet-Chastel, Paris 1973. 13 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I, q. 98, a. 2. 1 4 Tommaso d'Aquino, Quaestiones de potentia, 5, 1 0 ad 5. 15 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, 1-IIae, q. 4, a. 9.

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nità: noi conosciamo Dio dalle perfezioni che egli comunica alle creature16 in una visione molto concreta della natura umana; dei piaceri, egli scrive «alcuni sono corporei, altri dell'anima; il che in sostanza è la stessa cosa [ ... ] e il bene sensibile è il bene di tutto il composto umano»17• Data l'unicità del composto umano non ci deve stupire che egli concepisca l'unione con Dio come un'espe­ rienza insieme spirituale e fisica: «Sebbene il nostro corpo non possa godere di Dio con la conoscenza e con l'amore, tuttavia pos­ siamo arrivare alla perfetta fruizione di Dio con opere compiute col corpo. Ecco perché dal godimento dell'anima ridonda sul cor­ po una certa beatitudine [ ... ] perché il corpo è partecipe in qual­ che modo della beatitudine, può essere amato con amore di ca­ rità»18. Come era sottinteso nel Cantico dei cantici, infatti, non c'è contrapposizione fra l'amore umano e quello divino: «l'amore verso Dio e l'amore verso l'uomo sono identici nella specie [. .] hanno lo stesso abito di carità»19. Questa libera interpretazione del Cantico dei cantici cominciò a incontrare degli ostacoli al momento della Riforma protestante, così come tutti gli aspetti più concreti e mistici della tradizione cri­ stiana. E le critiche alla natura materiale e superstiziosa della fede romana spinsero anche nella cultura cattolica a proibire la lettura integrale dell'inno e a presentarne esegesi censurate. Particolarmente problematica divenne la lettura del Cantico dei cantici nella Spagna della Controriforma, in cui l'unica inter­ pretazione consentita era quella agostiniana, cioè la Chiesa come sposa di Cristo, preferita a quella della Scolastica, che proponeva il matrimonio dell'anima individuale con Dio. Un grande studio­ so della Bibbia, Luis de Le6n, fu incarcerato dall'Inquisizione dal 1572 al 1575 per avere messo in dubbio l'accuratezza della Vul­ gata e per avere tradotto in spagnolo il Cantico dei cantici, ma so­ prattutto perché ne aveva fatto una traduzione troppo letterale, poco attenta all'allegoria ecclesiologica che ne doveva spegnere il carattere erotico. .

16

Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I, q. 1 3 , a. 3 . Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q . 3 0 , a . l . 1 8 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q. 25, a. 5 . 1 9 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q . 2 5 , a . l . 17

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2. Prostituta casta («casta meretrix») Alla sposa pura e appassionata del Cantico dei cantici nei testi sacri si opponeva un modello negativo, quello della prostituta, già utilizzata nei testi sacri ebraici come simbolo di crisi nelle relazio­ ni fra Dio e il suo popolo. Ma la prostituta delle Sacre Scritture è una figura ambivalente: in alcuni episodi biblici il suo ruolo è provvidenziale, come nella vicenda centrale di Osea, profeta a cui Dio aveva dato l'ordine di andare da una prostituta e di generare con lei dei figli, sui quali ricadesse la vergogna della madre. n se­ gno dato al popolo ebraico è chiaro: Dio, sebbene offeso dal suo tradimento, si riabbassa di nuovo verso l'uomo, rappresentato da questa prostituta. n mistero dell'amore di Dio è tale che anche la riprovazione avviene nel segno della provvidenza, ed è una strada verso una nuova elezione. Agostino dirà che la meretrice del libro profetico di Osea deve essere interpretata dal Nuovo Testamento come la Chiesa dei giudei e dei pagani, di cui Cristo è il cardine e la pietra angolare. Matteo inserisce varie donne irregolari nella genealogia di Cri­ sto perché - scrive Anselmo di Laon - l'evangelista voleva «di­ mostrare che Cristo non doveva nascere solo dai Giudei ma an­ che dai pagani, non solo dai giusti ma anche dai peccatori»20• Questo elenco di prostitute è stato sottolineato e interpretato da esegeti delle Scritture, come Rabano Mauro che scrive: Omesse le mogli legittime, vengono assunte nella genealogia di Cri­ sto quattro donne straniere: Thamar, che siede al crocicchio sotto le spoglie di una meretrice, Rahab, la prostituta che si unisce a Salmon, il principe giudeo di Gerico, Ruth, che dopo la morte di suo marito viene da Mohab e si unisce a Booz, Bethsabea, che viene resa incinta dall'adulterio del re Davide. Ciò avvenne affinché noi ammirassimo fin nel senso letterale l'estrema bontà del Signore che per cancellare i pec­ cati umani non solo si è degnato di nascere dagli uomini ma addirittu­ ra dai peccatori e dalle meretrici. Secondo il senso spirituale però in queste donne è prefigurata la Chiesa che viene al Signore dagli errori del paganesimo.21

20 Anselmo di Laon, In Mattheum, l (PL 1 62, 1239). 2 1 Rabano Mauro, Homiliae in Evangelium, 1 63 (PL 1 1 0,

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Anche Rahab viene considerata dagli esegeti come simbolo della Chiesa; per esempio, Girolamo scrive con grande incisività: «Rahab, la meretrice giustificata, prefigura noi»22 • Gregorio di Elvira23 ha messo in luce la ricchezza e la com­ plessità di questo tema biblico: «Infatti, in molti passi della scrit­ tura incontro questa meretrice, non solo come ospite dei santi, ma addirittura come sposa. Ecco Osea, il profeta del tutto irreprensi­ bile, cui il Signore comanda di prendere in moglie una meretrice [ . . . ] e lo stesso Signore, ch'è nostro salvatore, seduto presso un pozzo della Samaria a discorrere con una meretrice [ . ] . E infine è ancora una meretrice che lava con le sue lacrime i piedi del Sal­ vatore». Nei Vangeli un posto importante è occupato da Maddalena, prostituta redenta da Gesù, imitata poi nel primo cristianesimo da «sante puttane» come Pelagia, Maria Egiziaca, Taide. Questa fi­ gura è senza dubbio il personaggio più sensuale della letteratura evangelica: lo rivela l'arte sacra, che ha rappresentato la Madda­ lena come giovane e bella, spesso discinta e con i lunghi capelli sciolti nel dolore del pentimento: in sostanza, l'unico dei perso­ naggi dei Vangeli proposto come modello erotico, a cui gli artisti prestano la sensualità di Venere. Il solo modo per ritrarre una pro­ stituta, nella società rigidamente controllata della Controriforma, era di presentarla sotto le vesti della peccatrice pentita dei Van­ geli: così per esempio è raffigurata la Maddalena di Tiziano, che esprime al tempo stesso offerta sessuale e devozione sincera. Del resto, non solo il suo stato di peccatrice pentita - si sup­ pone di peccati sessuali - induce ad attribuirle questa carica ero­ tica, ma anche i gesti che compie sul corpo di Gesù: l'unzione dei piedi e poi dei capelli con costosi olii profumati, e l'asciugatura dei piedi con i propri capelli sciolti. Tanto che si è immaginato, da parte di eretici di tendenza gnostica e poi da scrittori che arriva­ no fino al modesto Dan Brown del Codice da Vinci, che il legame tra il predicatore di Nazareth e la donna fosse di carattere sessua­ le, e cioè che Gesù fosse sposato con lei (oppure che fosse il suo ..

22 Girolamo, Epistulae, 22, 38. 23 Si veda il trattato XII edito da P. Batiffol e A. Wilmart nei Tractatus Ort� genis de libris S. Scrzpturae, Paris 1900, pp. 128- 139.

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amante) e che avessero dei figli, e naturalmente che tutto ciò sia stato tenuto nascosto dalla Chiesa. In realtà, che Maddalena godesse di un legame particolarmen­ te intenso con Gesù risulta evidente dagli episodi evangelici che la vedono protagonista, come infatti ben coglie uno dei primi e più famosi agiografi che ne scrive la biografia,]acopo da Varagine: «In tutte le occasioni [Gesù] prendeva le sue difese. La discolpò pres­ so i farisei, che la chiamavano immonda, presso sua sorella che la trattava da pigra, presso Giuda, che la accusava di prodigalità»24• All'interno della sua vocazione universale, del suo amore per tut­ ti gli uomini, il maestro di Nazareth aveva quindi delle preferen­ ze, e questa donna che sapeva amare era una di queste. Non c'è dubbio che Maria Maddalena sia un personaggio mol­ to intrigante: nei Vangeli gioca infatti un ruolo dirompente, qua­ si trasgressivo, fino alla scena più importante, quella dell'incontro con Gesù risorto, che si mostra a lei per prima, e le chiede di diffondere l'annunzio della risurrezione. Che Gesù risorto fosse apparso per la prima volta a una don­ na che non era sua madre, anche se questa donna aveva avuto il coraggio di seguire ogni fase della sua passione ed era rimasta sot­ to la croce fino al termine dell'agonia, è un fatto che a lungo ha turbato gli uomini cristiani, come traspare già nel racconto degli stessi Vangeli canonici. Il problema si ripropone nei secoli, tanto da suscitare la leggenda che forse Gesù era apparso dapprima a sua madre, ma in forma segreta: farà propria questa ipotesi addi­ rittura Ignazio di Loyola, che propone questa apparizione come tema di meditazione - l'unico non fondato sulle Scritture - degli Esercizi spirituali. La Maddalena era stata una grande peccatrice e quindi, nonostante le esplicite narrazioni evangeliche, si fatica ad accettare che il primo testimone della risurrezione sia proprio lei. Metterla in concorrenza con la Vergine Maria è servito dun­ que a ridimensionarla. Ma non è questo l'unico modo in cui si cerca di sminuire il suo ruolo nella vita di Gesù. Basandosi sul fatto che non è chiaro se sia sempre Maria Maddalena la protagonista di alcuni importanti episodi - la contrapposizione con la sorella Marta in casa di Laz24

Jacopo da Varagine, La leggenda aurea, 92.

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zaro, loro fratello, e l'unzione con olii preziosi prima dei piedi e poi del capo di Gesù in due circostanze distinte -, molti com­ mentatori dei Vangeli hanno infatti identificato tre personaggi di­ versi, le «tre Marie». Imbarazza questi autori soprattutto il succe­ dersi di atti che segnano una profonda sintonia con il Messia da parte di una unica donna, descritta dagli evangelisti sia come pec­ catrice pentita sia come indemoniata guarita da Gesù. Una pre­ senza perturbante, che arriva al suo culmine proprio quando l'un­ zione del capo di Gesù diventa per Giuda - indignato per un uso così «inutile» del denaro - la molla decisiva che lo spinge a tra­ dirlo. Una donna «fatale», insomma, sia nel senso di grande pec­ catrice che in quello di elemento scatenante delle forze del desti­ no. Ma anche la protagonista di una relazione molto intensa con Gesù: una relazione particolarmente significativa, e certo non ben vista dagli immancabili moralisti. Proprio per questo molti hanno cercato di sfumare il suo ruo­ lo attribuendolo a tre personaggi diversi e diminuendone, di fat­ to, il peso. Le tradizioni cristiane orientali hanno optato in gene­ re per questa soluzione, mentre quelle occidentali - se pure con numerose eccezioni nel corso dei secoli, anche importanti, come per esempio quella del grande predicatore seicentesco Jacques­ Bénigne Bossuet - hanno preferito pensare che si tratti di una so­ la donna. Maria Maddalena, appunto. Che sarebbe quindi nativa di Magdala (da qui il suo nome), un borgo della Galilea, e sorella di Lazzaro e di Marta, poi trasferitisi a Betania, nei pressi di Ge­ rusalemme. Questa relazione privilegiata ha suscitato reazioni moralisti­ che, ma anche strenue difese, come quella di sant'Agostino che, anch'egli peccatore convertito, poteva capire meglio di altri il mi­ stero della peccatrice convertita che diventa prediletta del Signo­ re. Ma il privilegio suscita sempre sospetti e gelosie: due Vangeli apocrifi - quello attribuito a Tommaso, e un altro, detto di Maria, tutto dedicato alla Maddalena che ne è anche presentata come l'autrice - suppongono un sentimento di gelosia da parte degli apostoli per la relazione speciale di Gesù con la pentita, fino a ipo­ tizzare (in quello di Tommaso) che Pietro l'avesse cacciata come indegna dal gruppo. Abbiamo visto come il ridimensionamento del ruolo di Mad­ dalena sia avvenuto a favore di un'altra donna, Maria Vergine. E

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dunque non sarebbe tanto una motivazione misogina a ispirare il ridimensionamento del posto della Maddalena nella vita di Gesù, quanto piuttosto un eccesso di moralismo. Con gli slanci di amo­ re per Gesù, con la familiarità che dimostra con il suo corpo, Ma­ ria Maddalena è senza dubbio inquietante, e da sempre molti si sono domandati fino a che punto si è spinta questa relazione pri­ vilegiata. il matrimonio fra il Messia e una prostituta non sarebbe stato impossibile da accettare per la tradizione ebraica, come infatti di­ mostra la storia del profeta Osea. E il carattere erotico delle azio­ ni della Maddalena hanno ispirato un apocrifo del III secolo, il Vangelo gnostico di Filippo, dove si legge che «il Signore amava Maddalena più dei discepoli. La baciava spesso sulla bocca. Gli altri discepoli videro che amava Maria, e gli dissero: 'Perché l'ami più di noi?'. Il Salvatore rispose e disse: 'Come mai non vi amo quanto lei?'». In questo testo Maddalena è designata come com­ pagna di Gesù, ma bisogna tenere conto che il bacio sulla bocca, nelle sette gnostiche, non aveva un significato amoroso, bensì de­ signava la fraternità fra gli iniziati. E gli gnostici - prima nell'apocrifo a lei intitolato, poi nel più esplicito Pt'stis Sophrà - avevano fatto di Maddalena, alla pari con Giovanni, la loro iniziata originaria: Cristo avrebbe rivelato solo a lei le dottrine esoteriche destinate a essere trasmesse a pochi ini­ ziati, ed essa prende così il posto di Iside, la dea che tiene i miste­ ri della vita. Maddalena veniva quindi prescelta come iniziatrice dai protagonisti della prima grande corrente cristiana eterodossa, lo gnosticismo, che aveva fatto di Cristo un rivelatore di misteri sacri, al tempo stesso iniziato e iniziatore. E di Maddalena l'ini­ ziata perfetta, simbolo dell'essere umano assetato di purezza e di conoscenza dell'Assoluto. La tentazione gnostica ha costituito una costante nella storia del cristianesimo, ed è oggi più viva che mai: anche se nell'età con­ temporanea, scrive Roland Hureaux25, la gnosi è ancora più ra­ zionale e meno esoterica, perché coincide con la scienza, la cui esaltazione comporta la svalorizzazione delle morali tradizionali. Proprio come l'eretico Marcione (che peraltro va distinto dagli

2' R. Hureaux, ]ésus et Marie-Madeleine, Perrin, Paris 2006.

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gnostici), oggi tutti, tesi al nuovo, svalorizzano il passato. La tra­ dizione ortodossa del cristianesimo sostiene invece che il messag­ gio di Gesù è universale, e che la Chiesa non nasconde segreti. Maddalena, in quanto donna, provoca però dei problemi an­ che agli gnostici26, che sono fondamentalmente misogini - in coe­ renza con la mentalità prevalente nell'antichità - e non accettano una donna come iniziatrice: nel Vangelo detto di Maria, infatti, la Maddalena viene trasformata in maschio da Gesù stesso. Così questa donna libera e appassionata - che trasgredisce il suo ruolo prima come peccatrice, poi come iniziataliniziatrice - diventa il prototipo dell'androgino, tema centrale nello gnosticismo. Ritor­ na così evidente, a proposito della peccatrice pentita Maddalena, il conflitto radicale sulla concezione del corpo, della sessualità e della salvezza che separa la tradizione cristiana dallo gnosticismo: per gli gnostici, infatti, la materia è malvagia e da disprezzare per­ ché condannata alla distruzione, e quindi per loro la castità asso­ luta è uguale al disordine sessuale, cioè non conta nulla; per l' au­ tentica tradizione cristiana, invece, la carne è così importante che se ne stabilisce con cura l'uso, dando all'atto sessuale un valore al­ tamente positivo: la carne è importante perché è creata da Dio, e il rapporto con la carne - destinata alla risurrezione finale - è al centro della nostra salvezza. Per gli gnostici, che pensano che il corpo sia da dimenticare e da trascendere, Maddalena trasmette una aspirazione profonda ed eterna dell'essere a ritrovare la supposta unità androgina pri­ mitiva. Essa infatti incarna il tentativo di superare la divisione/ mutilazione dei sessi - presente ad esempio nel Simposio di Pla­ tone - per raggiungere l'armonia della fusione nella perfezione dell'Unità originaria. Una tensione omogenea a quella che perva­ de la società contemporanea, nella quale molti cercano, con la ne­ gazione della polarità sessuale biologicamente determinata, di ri­ creare per tutti, con la sola forza del desiderio, la possibilità di es­ sere, al tempo stesso, donna e uomo. Ma se Maddalena è semplicemente una donna, rimane aperto il problema di una possibile unione sessuale fra il maestro e la di26 Cfr. S. Fabrizio-Costa, A l'ombre de Marie-Madeleine, in La pureté. Que­ te d'absolu au péril de l'humain, a cura di S. Matton, Autrement, Paris 1993, pp.

1 5 1 - 1 69.

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scepola prediletta. Questa unione è sostenuta da alcuni con il de­ bole argomento che, nella società ebraica del tempo, i rabbini do­ vevano essere sposati, ma l'ipotesi non è autorizzata dalle fonti, e anzi può facilmente essere contraddetta tenendo conto di un con­ testo nel quale agiscono Giovanni Battista, anch'egli celibe, e gli esseni, comunità dove era praticata una castità di tipo ascetico. Del resto, neppure gli accusatori di Gesù alludono mai a sue espe­ rienze sessuali e sembrano invece urtati proprio dal suo essere co­ sì diverso dai comuni mortali, e quindi pericoloso. Gesù propone, a chi si sente in grado, la via difficile della ca­ stità, e questo è del tutto coerente con il messaggio essenziale del Vangelo, cioè che la natura umana è infinitamente più ricca di po­ tenzialità, infinitamente più aperta di quanto l'uomo ordinario, fermo al suo orizzonte limitato, possa immaginare. Perché è aper­ ta sull'infinito. Del resto, ragiona Hureaux, il cristianesimo, per porsi come religione universale, doveva obbligatoriamente pre­ scindere da una dinastia, che avrebbe legato la nuova religione a un popolo e a un'area geografica circoscritti, così come era per l'e­ braismo e, almeno in parte, sarà per l'islam, nel cui ambito i di­ scendenti di Maometto sono considerati degni di un ruolo privi­ legiato. Nell'elaborazione teorica che subisce la figura di Maddalena da parte della tradizione medievale, Rabano Mauro e Bernardo compresi, il tema centrale non è più la prostituzione intesa come colpa sessuale, ma il pentimento: il nemico non è la lussuria, ma l'orgoglio. Al centro della sua figura sono il mistero del peccato e del perdono, la prevalenza data alla compassione sulla stretta os­ servanza dei principi morali. L'umiltà e la bontà non sono virtù cristiane inferiori alla castità. E questo è dimostrato, del resto, an­ che dalla larga accettazione che la Chiesa ha sempre praticato nei confronti delle prostitute pentite, a cui era aperta la possibilità di diventare religiose o spose. Ma c'è di più. La rappresentazione della Chiesa come prosti­ tuta pentita, sposa di Cristo per amore come Maddalena, si fonda sull'idea di una singolare duplicità: essa è immacolata, in quanto luogo beneficato da Dio, ma al tempo stesso peccatrice sempre im­ pegnata a confessare le sue colpe. È stato Ambrogio a inventare l'icastica definizione di casta meretrix, applicandola però a un al­ tro aspetto simbolico della Chiesa, il suo amore per i peccatori: la

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Chiesa, come una meretrice, «non ha rifiutato il suo amplesso ai molti che accorrevano, e quanti più sono quelli cui si unisce, tan­ to più casta essa diventa: vergine immacolata senza rughe, immu­ ne dal sentimento di vergogna, pubblica-universale nel suo amo­ re, una meretrice casta, una vedova infeconda, una vergine fecon­ da. Meretrice perché viene visitata da molti amanti, con tutte le at­ trattive dell'amore, ma senza la macchia di una colpa»27• Bernar­ do non chiama meretrice la Chiesa, ma dice che i cattivi pastori, che l'hanno devastata in luogo di edificarla, l'hanno prostituita. Il­ degarda di Bingen, in una visione, vedrà la Chiesa ricoperta di im­ mondezza, con un vestito lacerato e calzature infangate.

3 . La triplice verginità di Maria Ma figura della Chiesa è soprattutto Maria, la madre di Gesù, nella sua identità complessa di vergine-madre, carica di significa­ ti simbolici che bisogna sviscerare per comprendere lo statuto del­ la sessualità nella tradizione cristiana. Molti critici del cristianesimo, e soprattutto della sua idea di sessualità, considerano il dogma della verginità della madre di Ge­ sù una prova della sessuofobia che avrebbe caratterizzato, fin dal­ le origini, la tradizione della Chiesa. Secondo questi critici, infat­ ti, negando con tanta risolutezza la possibilità di una vita sessuale all'essere umano che ha cooperato all'Incarnazione, si giudiche­ rebbe implicitamente lo stato verginale molto superiore a quello sponsale, e quindi si caricherebbe la vita sessuale di un significa­ to fortemente negativo. La verginità di Maria, invece, sembra piuttosto legata a que­ stioni teologiche, relative allo statuto di Gesù come vero uomo e, al tempo stesso, vero Dio, piuttosto che a condizionamenti mora­ li del comportamento sessuale, che ne derivano solo marginal­ mente. Ma certamente, anche se il centro del dibattito sulla ver­ ginità di Maria, così intenso e ricco nel corso della storia del cri­ stianesimo, è il problema della verità dell'Incarnazione, non si può negare che l'insistenza sul suo stato di verginità abbia svolto 27 Ambrogio, In Lucam, 8, 40.

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una funzione importante e abbia avuto anche un ruolo di rilievo nella creazione di un modello asessuato di santità. La dimensione verginale di Maria è stabilita in base a una se­ rie di passi della Scrittura: secondo Matteo ( 1 , 20-25) un angelo appare in sogno a Giuseppe per avvertirlo che Maria ha concepi­ to dallo Spirito Santo: quod enim in ea natum est, de Spiritu sanc­ to est, recita la Vulgata. L'angelo afferma anche che la gravidanza di Maria realizza la profezia di Isaia (7 , 14) sulla venuta del Mes­ sia: «Ecco, la vergine concepirà e genererà un figlio al quale darà il nome di Emmanuele» e soprattutto l'annuncio secondo il Van­ gelo di Luca ( 1 , 26-28) , dove Maria si stupisce del messaggio di Gabriele perché non conosce uomo, e l'angelo risponde che lo Spirito Santo verrà su di lei per coprirla con la sua ombra. Però, sulla base di questi dati, secondo John P. Meier, «la ri­ cerca storico-critica semplicemente non ha le fonti e gli strumen­ ti disponibili per raggiungere una decisione definitiva sulla stori­ cità del concepimento verginale come è narrato da Matteo e Lu­ ca»28. Già verso l'anno 150, Giustino propone di interpretare la profezia di Isaia come «vergine», e quindi di attribuire a Maria il concepimento verginale per provare che Gesù non è opera uma­ na, ma divina. Ireneo poi vede nel concepimento verginale il se­ gno del creatore stesso: la verginità di Maria rimanda alla terra vergine da cui fu tratto Adamo. Mentre i gruppi gnostici sosten­ gono il significato esclusivamente simbolico del concepimento verginale, Tertulliano, con uno scrupolo realista, replica che Ma­ ria ha perduto la verginità partorendo Cristo. Origene sostiene che Maria non avrebbe potuto unirsi a un uomo dopo la nascita di Gesù, quindi la propone come archetipo della verginità fem­ minile, come Cristo lo è di quella maschile. Ma a spostare decisamente l'interpretazione del termine al­ malparthènos nel senso della verginità come stato fisico vero e proprio è senza dubbio, alla fine del II secolo, il protovangelo di Giacomo, che in un episodio fa intervenire una ostetrica, Salomè. Per verificare la verginità di Maria dopo il parto, Salomè inserisce la sua mano e non solo è costretta ad ammettere la verginità, ma 28 J .P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, vol. l, Le radici del problema e della persona (1991), Queriniana, Brescia 2001, p . 222.

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il suo braccio per punizione si atrofizza. Lo stesso testo difende la verginità successiva di Maria, presentando i fratelli di Gesù men­ zionati nei Vangeli come figli del primo matrimonio di Giuseppe. Di qui deriva, per rendere più credibile la verginità di Maria do­ po il matrimonio, la tradizione di Giuseppe come anziano. La tra­ dizione iconografica, infatti, rappresenta Giuseppe canuto e stan­ co, con in mano il giglio della purezza29• La verginità di Maria viene accreditata dai Padri della Chiesa perché funzionale al dogma della natura divina e umana al tempo stesso di Gesù: generato da una donna, quindi, come tutti gli es­ seri umani, ma da una donna eccezionale, vergine nonostante il parto. Mentre nella vita cristiana si afferma sempre più il presti­ gio della castità e della verginità, i Padri propongono Maria come modello alle vergini e ai monaci asceti: «che la vita di Maria sia per voi come l'immagine della verginità», predica sant'Ambrogio a Milano alla fine del IV secolo. La verginità in partu viene così con­ fermata dal Concilio di Efeso (43 1) e da quello di Calcedonia (45 1) , che dà a Maria il titolo di sempre vergine: viene stabilita co­ sì la verginità della Madonna, «prima» della concezione vergina­ le di Gesù, «durante» il parto e «dopo», cioè nella vita matrimo­ niale con Giuseppe. In realtà, come si è detto, solo l'enunciato del concepimento verginale possiede solidi riferimenti scritturistici, cioè soprattutto il racconto dell'annuncio di Gabriele a Maria (l'Annunciazione) nel Vangelo di Luca. In particolare, la questio­ ne della castità del matrimonio con Giuseppe è stata oggetto di aspre discussioni teologiche, fra chi, come Ambrogio, sostiene la sua perpetua verginità e chi - come Elvidio e Gioviniano - pensa che abbia partorito una numerosa serie di figli, i «fratelli» di Ge­ sù. Questione difficile da chiarire, dal momento che nella lingua ebraica uno stesso termine serviva a designare il fratello, e al tem­ po stesso un parente stretto. Anche se il dogma della verginità è stato sostanzialmente ac­ cettato in tutto il mondo cristiano, esso ha suscitato una infinità di ipotesi sul modo concreto in cui l'Incarnazione di Cristo sia av­ venuta. Una particolare attenzione è stata portata al concepimen29 Si veda in proposito M. van der Lugt, Le ver, le démon et la vierge. Les théories médiévales de la génération extraordinaire. Une étude sur les rapports en­ tre théologie, philosophie nature/le et médecine, Les Belles Lettres, Paris 2004.

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to verginale, senza dubbio il problema principale perché quello immediatamente collegato alla paternità divina, e la soluzione più accreditata è stata l'inseminazione attraverso l'orecchio: «e poiché il diavolo, insinuandosi attraverso l'orecchio con la persuasione, aveva ferito Eva e le aveva dato la morte, Cristo, entrando in Ma­ ria attraverso l'orecchio, recide tutti i vizi del cuore e, nascendo dalla Vergine, guarisce la ferita della donna. Accogliete il segno della salvezza! Alla corruzione è seguita l'integrità, al parto la ver­ ginità», scrive il vescovo Zeno di Verona intorno al 38030. Maria, prima discepola del figlio, è così caratterizzata anzitutto dall'a­ scolto della parola: «Nascerà da qui - scrive Enzo Bianchi - la tra­ dizione patristica che parla del cristiano come di colui che, grazie all'ascolto della parola di Dio e alla fede, è chiamato a concepire e a generare il Cristo nella propria anima. A divenire egli stesso 'madre del Signore' »3 1 . Ma, più in generale, l a verginità di Maria, senza bisogno di spiegazioni plausibili, viene assimilata al miracolo: «Quello che vedo non riesco a comprenderlo - scrive Romano il Melode, il più grande innografo bizantino del VI secolo - è al di sopra di ogni umano intendimento che il fuoco faccia avvampare l'erba senza consumarla, che l'agnella porti sopra di sé un leone, la rondine un'aquila, e la serva il proprio padrone. Nel suo seno mortale, sen­ za circoscriverlo, Maria porta il mio Salvatore, che così ha voluto. Perciò esclamo con gioia: 'una vergine partorisce e, dopo il parto, è ancora vergine'»32• Delle tre forme di verginità, è naturalmente quella durante il parto che ha suscitato le maggiori perplessità, a cui si è cercato di rispondere, da parte dei Padri della Chiesa, con teorie immagino­ se, come l'idea di una ricostituzione immediata dell'imene dopo l'espulsione del figlio, o invece, più prudentemente, con la pro­ posta di una lettura allegorica. In sostanza, la verginità in partu e post partum è ammessa in maniera generale dalla teologia a parti­ re dalla fine del IV secolo, mentre quella ante partum, menziona3° Citato in van der Lugt, Le ver, le démon et la vierge, cit., p. 4 1 3 . 3 1 E. Bianchi, Introduzione, in Maria. -Testi teologici dal I a l XX secolo, a cu­ ra della Comunità di Bose, Mondadori, Milano 2000, p. 6. 32 Citato in van der Lugt, Le ver, le démon et la•vierge, cit., p. 432.

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ta nel Credo, è già unanimemente riconosciuta dalla prima patri­ stica. Non c'è dubbio che questo dogma, centrale e precoce nella tradizione cristiana, sia all'origine di una svalorizzazione dell'atto sessuale, come si può vedere dai numerosissimi commenti espres­ si sul tema dai Padri della Chiesa: «Davvero il Signore Gesù a­ vrebbe potuto insudiciare con la semenza virile questa dimora ce­ leste - scrive Ambrogio - come se gli fosse stato impossibile assi­ curare la protezione del suo pudore verginale?»33• E Girolamo, per difendere Maria dal sospetto di non avere mantenJ.ItO la ver­ ginità post partum espresso da un certo Elvidio, arriva a rilancia­ re, affermando anche la verginità di Giuseppe: «Tu dici che Ma­ ria non è restata vergine. Quanto a me, io chiedo di più: che a cau­ sa di Maria Giuseppe sia stato vergine, al fine che da una unione verginale nasca un figlio vergine. Piuttosto che qualche impurità potesse contaminare un uomo santo, e non è scritto che egli ha avuto un'altra donna, è stato piuttosto il guardiano che lo sposo di Maria, che tutti credevano sua moglie. Per cui chi ha meritato di essere il padre del Signore è restato vergine con Maria»34• Ma­ ria diventa così il modello di ogni verginità, e quindi di ogni vita religiosa votata alla castità, al punto che Dominique Cerbelaud si domanda se non sia stata invece proprio la pratica cristiana di ascesi, sempre più diffusa nel nascente monachesimo, a influen­ zare questa fissazione dottrinale, cioè che «non sarebbe dalla ver­ ginità di Maria alla verginità cristiana la relazione di causa, ma nel senso contrario»35• È una riflessione che sembra confermata dal fatto che le Chiese cattolica e ortodossa, che in vario modo pre­ vedono la pratica del celibato clericale e monastico, sono molto più portate a difendere la verginità di Maria delle confessioni riformate, dove non esiste un clero celibe. Bisogna ricordare, però, che dal canto suo la Chiesa cattolica ha affermato solenne­ mente la superiorità della verginità sul matrimonio solo nel Con­ cilio di Trento (sessione XXIV, canone lO), come risposta diretta agli attacchi di Lutero contro il celibato ecclesiastico. 33 Ambrogio, De institutione virginum, VI, 44. 34 Girolamo, De perpetua virginitate beatae Mariae adversus Helvidium, 9. 35 D. Cerbelaud, Marie, un parcours dogmatique, Les Éditions du Cerf, Paris 2003, p. 74.

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-La verginità di Maria è considerata perfetta, perché coinvolge anche l'intenzione, la mente, ed è noto che lo stesso Tommaso d'Aquino considerava la verginità più alta proprio quella menta­ le, mentre quella fisica poteva essere valutata come solo acciden­ tale. TI senso che veniva dato alla condizione di verginità già nei primi Padri della Chiesa, infatti, era più spirituale che fisico, cioè significava il totale distacco dal mondo, da cui derivava una in­ corruttibilità che lo Spirito Santo portava con sé e che era condi­ zione dell'anima e non del corpo: «Ciò che avviene fisicamente nella incorrotta Maria, quando la pienezza della divinità rifulse in Cristo attraverso la Vergine, si compie - scrive Gregorio di Nissa - anche in ogni anima che vive verginalmente secondo il Logos»36• La condizione di verginità spirituale viene quindi considerata, dai grandi mistici, come essenziale perché in ogni cristiano si ripeta la maternità della Vergine: nella sua anima, vuota e libera, si può ge­ nerare il Logos. Massimo il Confessore lo scrive con grande chia­ rezza: «Mediante la grazia, Cristo viene misticamente generato nell'anima, prende corpo attraverso i salvati e in questo modo ren­ de l'anima che lo genera una vergine madre»37• Sarà Agostino a far prevalere il tema della Chiesa come madre di Cristo, e perciò madre verginale e feconda del credente, rispetto alla teoria della generazione nell'anima stessa del fedele. Ma tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV qualcosa cam­ bia, e cominciano a risvegliarsi interessi di tipo scientifico. Si apre allora un dibattito sulla interpretazione biologica della concezio­ ne miracolosa di Gesù, e molti teologi cominciano a interrogarsi sulla natura della materia con cui si è costituito il suo corpo, tema che implica la realtà della sua umanità, nonché il ruolo svolto da Maria nella sua formazione fisica, arrivando perfino a discettare su una sua eventuale somiglianza fisica con la madre. Si tratta in­ fatti di un miracolo che deve avere anche degli aspetti naturali e quindi deve essere spiegato in base alle conoscenze scientifiche di­ sponibili sulla generazione umana. Così, i teologi cercano di spie­ gare in quale modo una nascita straordinaria possa rientrare nel­ le leggi naturali, cercando di risolvere con argomenti scientifici il 36 Gregorio di 37 Massimo il

889 C).

Nissa, De virginitate, 2 . Confessore, Brevis expositio orationis dominicae (PG 90,

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problema della formazione del corpo umano di Cristo. La que­ stione da spiegare era quella della sua generazione realizzata sen­ za emissione di sperma maschile e, naturalmente, anche senza pia­ cere femminile. E già a partire dal XII secolo i teologi - per ga­ rantire la realtà dell'Incarnazione - cercano di far rientrare que­ sta nascita straordinaria all'interno delle leggi naturali. Nella ricerca di una spiegazione la scienza si intreccia, però, con la teologia, e le due diverse teorie mediche della generazione allora prevalenti - cioè quella aristotelica e quella galenica - sono scelte anche in rapporto al ruolo mariano che suggeriscono. I do­ menicani seguono Tommaso d'Aquino nel considerare la conce­ zione di Cristo come miracolosa e naturale insieme: in assenza di sperma, che secondo la teoria aristotelica dovrebbe costituire il materiale per la formazione del feto - per il filosofo greco, infat­ ti, la donna sarebbe semplicemente un contenitore, e rimarrebbe passiva nella generazione -, sarebbe stato utilizzato il sangue ma­ terno, ma un sangue puro, non quello impuro delle mestruazioni. I francescani, invece, che volevano ampliare la partecipazione di Maria all'Incarnazione, preferirono la teoria galenica, secondo la quale, per la fecondazione, è indispensabile l'emissione di un se­ me femminile, provocato dal piacere carnale. Questa teoria, però, pur dando più importanza al ruolo biologico della madre, apriva il problema del piacere, e quindi della verginità totale di Maria: i francescani lo risolsero non parlando di semen - che avrebbe ri­ chiamato subito l'idea di piacere - ma sostenendo che lo Spirito Santo aveva fatto sì che la vergine producesse la materia per il fe­ to per via soprannaturale38• Per chiarire il mistero del concepimento verginale, e al tempo stesso per provarne la possibilità naturale di fronte ai dubbiosi, vennero anche proposti esempi presi in prestito dal mondo natu­ rale, cioè animali o vegetali di cui si credeva che la riproduzione avvenisse senza congiungimento carnale, come il verme - credu­ to frutto della putrefazione della carne - o l'ape, considerata ani­ male asessuato. Dal mondo vegetale venivano utilizzate come piante simbolo, per lo stesso motivo, la palma e l'olivo. L'idea che 38 Si veda in proposito il volume, già citato, di van der Lugt, Le ver, le dé­

mon et la vierge.

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Dio avesse creato nella natura altre forme di generazione straor­ dinaria e verginale serviva a rendere più plausibile il miracolo. Tutti i teologi concordano nell'affermare che Maria non ha co­ nosciuto la concupiscenza - condizione di grazia da cui si ricava l'idea della sua esenzione dal peccato originale - ma si interroga­ no su altri problemi fisiologici, come l'eventuale assenza in lei di mestruazioni. Il corpo sessuato di Maria compare però nelle im­ magini che la rappresentano mentre allatta il figlio, immagini ne­ cessarie per garantire la vera umanità di Cristo, ma che, come scri­ ve Timothy Verdon, talvolta si soffermano «in modo un po' indi­ screto sulla particolare bellezza della giovane donna che allatta»39• In ognuna di queste opere, infatti, viene esposta una nudità eroti­ ca, se pure non si arriva alla conturbante madonna allattante di­ pinta intorno al 1450 da Jean Fouquet ad Anversa, che rappre­ senterebbe l'amante del re di Francia. La verginità di Maria, accolta nel Corano, è sempre stata re­ spinta dagli ebrei, che arrivarono a spiegarla con la leggenda po­ lemica di un concepimento illegittimo da parte di Maria, che avrebbe avuto rapporti sessuali con un soldato romano di nome Pantera, un racconto che periodicamente è stato poi ripreso dal­ la letteratura anticlericale. Più recentemente uno studioso, il rab­ bino Riccardo Di Segni40, ha sostenuto che il vero significato del termine ebraico alma poi tradotto come «vergine» (in greco, parthènos) - sia invece «non mestruata», quindi non ancora capa­ ce di generare. La verginità di Maria non è stata messa in dubbio invece dai protestanti, almeno fino all'ondata razionalista del XVIII secolo: Lutero ha sostenuto e predicato la verginità perpe­ tua di Maria durante tutta la sua vita, e Zwingli è stato altrettanto affermativo, così come anche Calvino. Un discorso critico di origine antica è quello di chi sottolinea la somiglianza di questa tradizione con i miti ellenistici incentrati sulla nascita straordinaria dell'eroe. Per costoro la verginità di Maria sarebbe solamente la traduzione fisica per gente semplice del mistero dell'Incarnazione. Già a partire dal Settecento, molti studiosi protestanti si sono scagliati con ironia e disprezzo su que-

Verdon, Mana nell'arte europea, Electa, Milano 2004, p. 64. Di Segni, «Colei che non ha mai visto il sangue». Alla ricerca delle radi­ ci ebraiche dell'idea della concezione verginale di Marta in Verginità, a cura di G. Fiume e L. Scaraffia, in «Quaderni storici», 3 , dicembre 1990. 39 T. 40 R.

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sto dogma, brandendo la storia delle religioni e i miti di genera­ zione miracolosa come arma contro la Chiesa cattolica, e sottoli­ neando come l'idea della concezione verginale dipenda in realtà dalla fede nell'Incarnazione, e non il contrario. L'esegeta cattoli­ co Grelot, che ha dedicato un saggio al tema, sostiene invece che questo dogma «esprime una riflessione teologica che si avrebbe torto a guardare come ingenua» e che invece «la narrazione vuo­ le presentare concretamente il senso che il passaggio di Gesù sul­ la terra comportava nella realizzazione e nello svelamento del di­ segno di Dio» 41• Edmund Leach, u n antropologo che h a studiato l e , cit., p . 25.

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capitolo consacrato al matrimonio non parla dei due fini, e so­ prattutto della loro gerarchia. n testo conciliare, rompendo deci­ samente con la teoria del remedium concupiscentiae del diritto ca­ nonico, si sforzava infatti di restituire tutto il valore alla vita ses­ suale degli sposi e al dialogo fra i corpi: «Gli atti che realizzano l'unione intima e casta degli sposi sono degli atti onesti e degni. Vissuti in una maniera veramente umana, essi significano e favo­ riscono il dono reciproco attraverso il quale gli sposi si arricchi­ scono vicendevolmente nella gioia e nella riconoscenza»56• Come scrive il gesuita Mattheeuws, questo testo conciliare, in un'ottica influenzata dalla filosofia personalista, testimonia «la cancellazio­ ne del linguaggio della finalità» e