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Italian Pages 571 Year 1982
ERNST JENNI
CLAUS W EST ER MAN N
MARIETTI
E.Jenni • C Westermann
Dizionario Teologico dell’Antico Testamento edizione italiana a cura di GIAN LU IG I PRATO
volume secondo
DW ne’ùm Detto O’pnn teràfìm Idolo/i
Marietti
Titolo originale dell’opera: t Theologisches H and wòrterbuch zum Alten Testament », Zwei Bande © C H R . K A IS E R V ERLA G - M O N C H E N T H E O LO G IS C H E R V E R L A G - Z tlR IC H
traduzione di G. CONTE F. FREZZA R. G ELIO S. LA N ZA G. MASSI L. MONAR1 G.L. PRATO M. SAM PAOLO
Redazione Laura Proverà
I
edizione 1982
© Casa Edirice Marietti S.p.A. - Casale Monferrato Sede centrale: Via Adam, 15 - Tel. 0142/76311 15033 Casale Monferrato (AL) ISBN 88-211-7305-4
PREMESSA
A quattro anni dalla pubblicazione del primo volume, il lavoro di compilazione del DTAT può ora dirsi concluso. L ’edizione del secondo volume segue gli stessi criteri esposti nel voi. I, p. X V II. II numero dei collaboratori si è frattanto elevato ad un totale di cinquanta: a tutti quanti, sia a coloro che hanno inviato i loro contributi fin dagli inizi come a coloro che sono subentrati più tardi, va il nostro cordiale ringraziamento per la loro fatica; un particolare tributo di riconoscenza vogliamo riservare al prof. D . C. Westermann che ancora una volta ha costantemente incoraggiato con il suo consiglio e la sua collaborazione la presente edizio ne. Il pesante lavoro del controllo e delle correzioni è stato svolto degnamente dagli assistenti Mattias Suter (ora in Lauterbrunnen, cantone di Berna) e Thomas Hartmann (Basilea); quest’ultimo è anche il compilatore dell’Indice dei termini tedeschi*. Poiché la composizione tipografica ha richiesto più di due anni di tempo, non si è potuto in serire in tutte le voci la bibliografia più recente. Questo ritardo ha tuttavia permesso all’edito re di ampliare l’Appendice statistica fino alla sua configurazione attuale. Nella compilazione degli Indici dei termini ebraici e tedeschi si è tenuta presente la loro finalità pratica, e non tan to quindi la completezza che si richiederebbe ad una concordanza. Per gli stessi motivi, dopo lunga riflessione si è deciso di rinunciare a più ampi Indici di termini e di testi, come pure ad un Indice analitico, poiché le scelte necessarie per la loro compilazione avrebbero dovuto es sere forzatamente arbitrarie, oppure essi sarebbero stati utili solo agli specialisti. Invece l ’In dice degli autori, nel quale si sono tralasciati solo i manuali più correnti, può essere di qual che utilità per la ricerca bibliografica. Ernst Jenni Basilea, novembre 1975
* Nella piesente edizione italiana tale lavoro di revisione e gli indici sono stati curati dalla Dr. Laura Proverà (n.d.t.)
PREMESSA V
ABBREVIAZIONI Libri della Bibbia Abacuc Ab Abdia Abd Aggeo Agg Am Amos Apocalisse di S. Giovanni Apoc Atti degli Apostoli Atti Bar Baruc Cantico dei Cantici Cant Lettera ai Colossesi Col Lettere ai Corinti l/2Cor Cronache l/2Cron Dan Daniele Deuteronomio Deut Deuteroisaia Dtis Deuterozaccaria Dtzac Lettera agli Ebrei Ebr Ecclesiaste Eccle Ecclesiastico Eccli Lettera agli Efesini Ef Es Esodo Esd (3Esd) Esdra Ester Est Ezechiele Ez Fil Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone Filem Lettera ai Galati Gal Gen Genesi Geremia Ger Lettera di S Giacomo Gi ac Giobbe Giob Gioe Gioele Giona Giona Giosuè Gios Giudici Giud Lettera di S. Giuda Giuda
Giudit Gv l/2/3Gv Is Lam Le LettGer Lev l/2/3Mac Me Mal Mi Mt Nah Neem Num OrMan Os l/2Piet Prov l/2Re Rom Rut Sai l/2Sam Sap Sof SDan SEst l/2Tess l/2Tim Tito Tob Tritois Zac
Giuditta Giovanni Lettere di S. Giovanni Isaia Lamentazioni Luca Lettera di Geremia Levitico Maccabei Marco Malachia Michea Matteo Nahum Neemia Numeri Preghiera di Manasse Osea Lettere di S. Pietro Proverbi Libri dei Re Lettera ai Romani Rut Salmo/i Libri di Samuele Sapienza Sofonia Supplementi a Daniele Supplementi a Ester Lettere ai Tessalonicesi Lettere a Timoteo Lettera a Tito Tobia Tritoisaia Zaccaria
Commentari citati in abbreviazione Gen: Es: Lev: Num: Deut: Gios: ÌRe: Is: Dtis: Ger: Ez: Os: Gioe, Am: VI
ABBREVIAZIONI
G.von Rad, ATD 2-4, 1949-52; C.Westermann, BK I, 1966ss. M.Noth, ATD 5, 1959. M.Noth, ATD 6, 1962; K.Elliger, HAT 4, 1966. M.Noth, ATD 7, 1966. G.von Rad, ATD 8, 1964. M.Noth, HAT 7, M953. M.Noth, BK DC/1, 1968. O.Kaiser, ATD 17, 19&0; H.Wildberger, BK X, 1965ss. C.Westermann, ATD 19, 1966; K.EUiger, BK XI, 1970ss. W.Rudolph, HAT 12, J1968 (numerazione delle p. diversa rispetto a J1958). G.Fohrer-K.Galling, HAT 13, 1955;W.Eichrodt, ATD 22, 1959/66; W.Zimmerli, BK XIII, 1969. H.W.WolfT, BK XIV/1, 1961; W.Rudolph, KAT XIII/1, 1966. H.W.WolfT, BK XIV/2, 1966.
Sai: Giob: Prov: Rut, Cant: Eccle: Lam: Est: Dan: Esd, Neem: l/2Cron:
H.-J.Kraus, BK XV, 1960. G.Fohrer, KAT XVI, 1963; F.Horst, BK XVI/1, 1968. B.Gemser, IIAT 16, *1963; H.Ringgren, ATD 16/1, 1962. W.Rudolph, KAT X V II/1.2, 1962; G.Gerleman, BK XVIII, 1965; E.Wurthwein, HAT 18, M969. W.Zimmerli, ATD 16/1, 1962; H.W.Hertzberg, KAT XVII/4, 1963; K.Galling, HAT 18, ‘1969. H.-J.Kraus, BK XX, M960; W.Rudolph, KAT XVII/3, 1962; O.Plòger, HAT 18, ‘1969. H.Bardtke, Kat XV1I/5, 1963; G.Gerleman, BK XXI, 1970ss. A.Bentzen, HAT 19, M952; O.Plòger, KAT XVIII, 1965. W.Rudolph, HAT 20, 1949. W.Rudolph, HAT 21, 1955.
Testi di Qumran Per le sigle comunemente usate cfr. D.Barthélemy-J.T.Milik, Qumran Cave I, = DJD I, 1955, 46s.; Ch.Burchard, Bibliographie zu den Handschriften vom Toten Meer, 1957, 114-118; O.Eissfeldt, Einleitung in das AT,31964, 875; G.Fohrer (-E.Sellin), Einleitung in das AT, ”1965, 544-547; L.Moraldi, I manoscritti di Qumran, 1971,739; i testi extrabiblici più importanti sono (cfr. Die Texte aus Qumran. Hebràisch und deutsch, hrsg. von E.Lohse, 1964): CD ÌQII 1QM IQpAb IQS lQsb 4QFI •
Documento di Damasco. Hodajoth, Inni. Regola della guerra. Commento ad Abacuc. Regola della comunità. Raccolta di benedizioni. Florilegio.
Testi ugaritici I testi vengono citati provvisoriamente ancora secondo il sistema di C.H.Gordon, Ugaritìc Textbook, 1965, indicando tra parentesi le abbreviazioni proposte da Eissfeldt (cfr. J. Aistleitner, Worterbuch der ugaritischen Sprache, *1967, 348-356: concordanza e luogo della prima pubblicazione dei testi). Per la trasposizione nelle sigle, oggi diffuse, dell’edizione di A.IIerdner, Corpus des tablettes en cunéiformes alphabétiques, 1963 (= CTA), si possono utilizzare le tavole di Herdner, l.c., XIX-XXXIV, oppure p.e. di H.Gese (et alii), Die Religionen Altsyriens..., 1970, 231s. Le abbreviazioni significano: AB Aqht D K, Krt MF NK SS
Ciclo di Anat e di Baal. Testo di Aqhat. Testo di Aqhat. Testo di Keret. Frammenti mitologici. Poema di Nikkal. Testo di Sahr e Salim.
Segni * (davanti ad unaforma) * (prima o dopounparagrafo) > < X
vedi (rimando ad un’altra voce). forma ottenuta per deduzione e non attestata. da attribuirsi all’editore (vd.sp. p. XVII). trasformato in. derivato da. volte (p.e.: ... compare 18x = 18 volte).
Abbreviazioni bibliografiche e comuni AANLR AbB
Atti della Accademia Nazionale deiLincei. Rendiconti. Altbabylonische Briefe inUmschriftund Ubersetzung. Hrsg. von F.R. Kraus. Heft lss., 1964ss. ABBREVIAZIONI
VII
ABR a.C. acc. accus. AcOr ad 1. af. AfO agg. Alj. AHw AION AIPHOS AJSL al. ALBO Alt, KS I-III ALUOS a m.a. amor. ANEP
ATliR atl. att. avv.
Australian Biblical Review. avanti Cristo, accadico. accusativo. Acta Orientalia. ad locum. afel. Archiv fìir Orientforschung. aggettivo; aggettivale. romanzo aramaico di Ahiqar (— Cowley). W.von Soden, Akkadisches Handwòrterbuch, 1959ss. Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Annuaire de l’Institut de Philologie et d’Histoire Orientales et Slaves. American Journal of Semitic Languages and Literatures. altro/i. Analecta Lovaniensia Biblica et Orientalia. A. Alt, Kleine Schriften, Bd. 1, M963; Bd. 2, ’1964; Bd. 3, 1959. Annual of thè Leeds University Orientai Society, a mio avviso, amorritico; amorreo. The Ancient Near East in Pictures Relating to thè Old Testament. Ed. by J.B.Pritchard. 1954. Ancient Near Eastem Texts Relating to thè Old Testament. Ed. by J.B.Pritchard. >1955. Antico Oriente. Altorientalische Bilder zum Alten Testament. Hrsg. von H.Gressmann. *1927. Altorientalische Texte zum Alten Testament. Hrsg. von H.Gressmann. *1926. arabo, aramaico. aramaico biblico. Archives Royales de Mari. Archiv Orientàlnl. articolo. Archiv fùr Religionswissenschaft. assiro. Assumptio Mosis. assoluto. Annual of thè Swedish Theological Institute. Altes Testament; Ancien Testament; Antico Testamento. Das Alte Testament Deutsch. Hrsg. von (V.Herntrich und) A.Weiser. (trad. italiana: Antico Testamento, ed. Paideia, Brescia). Anglican Theological Review. alttestamentlich (= vtrt.). attivo, avverbio; avverbiale.
BA bab. Barr, CPT Barth BASOR BBB Bd.
The Biblical Archaeologist. babilonese. J.Barr, Comparative Philology and thè Tcxt of thè Old Testament. 1968. J.Barth, Die Nominalbìldung in den semitischen Sprachen. *1894. Bulletin of thè American Schools of Orientai Research. Bonner Biblische Beitràge. Band (=vol.).
ANET AO AOB AOT arab. aram. aram. bibl. ARM ArOr art. ARW ass. Ass.Mos. assol. ASTI AT; A.T. ATD
V ili
ABBREVIAZIONI
BDB Begrich, GesStud Ben Jehuda BeO Bergstr. 1-11 Bergstr. Einf. Bertholet BEThL BFChrTh BH3 BHH I—III BHS Bibl bibliogr. BiOr BJRL BK BL BLA Blass-Debrunner BLex1 BM BMAP Bohl Bousset-Gressmann Bresciani-Kamil BRL Brsnno BrSynt BSOAS Buccellati Burchardt I—II BWA(N)T BWL BZ BZAW BZNW c c. CAD Calice can. CBQ cd cfr.
F.Brown—S.R.Driver—Ch.A.Briggs, A Hebrew and English Lexicon of thè Old Testament, 1906. . J.Begrich, Gesammelte Studien zum Alten Testament. 1964. Eliezer ben Jehuda, Thesaurus totius Hebraitatis et veteris et recentioris I-XVI, 1908-59. Bibbia e Oriente. G.Bergstrasser, Hebriiische Grammatik. Bd I, 1918; Bd. II, 1929. G.Bergstràsser, Einfiihrung in die semitischen Sprachen. 1928. A.Bertholet, Kulturgeschichte Israels. 1919. Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovanicnsium. Beitrage zur Forderung christlicher Theologie. Biblia Hebraica. Ed. R.Kittel, A.Alt, O.Eissfeldt. 51937 = 71951. Biblisch-Historisches Handwòrterbuch. Hrsg. von B.Reicke und L.Rost, Bd. I-III, 1962-66. Biblia Hebraica Stuttgartensia. Ed. K.Elliger et W.Rudolph. 1968ss. Biblica, bibliografia. Bibliotheca Orientalis. Bulletin of thè John Rylands Library. Biblischer Kommentar. Altes Testament. Hrsg. von M.Noth! und II.W.Wolff. H.Bauer-P.Leander, Historischc Grammatik der hcbràischcn Sprachc. I, 1922. H.Bauer-P.Leander, Grammatik des Biblisch-Aramàischen. 1927. F.BIass-A Debrunner, Grammatik des neutestamentlichen Griechisch. 121965. Bibel-Lexikon. Hrsg. von H.Haag. '1968. G.Beer-R.Meyer, Hebràische Grammatik. Bd. 1, 51952; Bd. II, *1955; Bd. III, *1960 (vd. anche Meyer). E.G.Kraeling, The Brooklyn Museum Aramaic Papyri. 1953. F.M.Th. de Liagre Bohl, Opera Minora. 1953. W.Boussel-H.Gressmann, Die Religion des Judentums im spàthellenistischen Zeitalter. J1926. vd. Ilermop. KGalling, Biblisches Rcallcxikon. HAT 1, 1937. E.Brsnno, Studien iiber hebriiische Morphologie und Vokalismus. 1943. C.Brockelmann, Hebràische Syntax. 1956. Bulletin of thè School of Orientai and African Studies. G.Buccellati, The Amorites of thè Ur III Period. 1966. M.Burchardt, Die altkanaanaischen Fremdworte und Eigennamen im Àgyptischen. Bd. I—ET, 1909-10. Beitrage zur Wissenschaft vom Alten (und Neuen) Testament. W.G.Lambert, Babylonian Wisdom Literature. 1960. Biblische Zeitschrift. Beiheft zur Zeitschrift fiir die alttestamentliche Wissenschaft. Beiheft zur Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft. cum. capitulum; capitolo. The Assyrian Dictionary of thè Orientai Institute of thè University of Chicago. 1956ss. FCalice, Grundlagcn der àgyptisch-semitischen Wortverglcichung. 1936. cananaico. Catholic Biblical Quarterly. cosiddetto, confronta. ABBREVIAZIONI
IX
CIS cj class. cod. col. comm. compì. Conti Rossini Cooke copt. Cowley CRAIBL Cron.; cron. cs. CV
Corpus Inscriptionum Semiticarum. 1881ss. conjectura. classico. codex; codice. columna; colonna. commentario; commentari. completa; completato. K.Conti Rossini, Chrestomathia Arabica Meridionalis Epigraphica. 1931. G.A.Cooke, A Text-Book of North-Semitic Inscriptions. 1903. copto. A.Cowley, Aramaic Papyri of thè Fifth Century B.C. 1923. Comptes Rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Cronista; cronistico. costrutto Communio Viatorum.
D DAFA
coniugazione intensiva (con raddoppiamento della seconda radicale). R.BIachère^-M.Chouémi-C.Denizeau, Dictionnaire arabo-fran^ais-anglais (langue classique et moderne). 1963ss. M.Dahood, Proverbs and Northwest Semitic Philology. 1963. M.Dahood, Ugaritic-Hebrew Philology. 1965. G.Dalman, Aramàisch-Neuhebraisches Handwòrterbuch. *1938. G.Dalman, Arbeit und Sitte in Palàstina. Bd. 1-7, 1928-42. dativo, dattiloscritto. dopo Cristo. L.Coenen—E.Beyreuther—H.Bietcnhard (ed.). Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento, 1976 (trad. italiana di ThBNT). delendum. F.Delitzsch, Die Lese- und Schreibfehler im Alten Testament. 1920. Deuteronomium; Deuteronomio. E.Dhorme, L’emploi métaphorique des noms de parties du corps en hébreu et en akkadien. 1923. ADillmann, Lexicon Linguae Aethiopicae. 1865. dinastia. D.Diringer, Le iscrizioni antico-ebraiche Palestinesi. 1934. Ch.F.Jean-J.Hoftijzer, Dictionnaire’ des inscriptions sémitiques de l’ouest. 1965. Discoveries in thè Judaean Desert. Voi. Iss., 1955ss. G.R.Driver, Aramaic Documents of thè Fifth Century B.C. 1957. G.R.Driver, Canaanite Myths and Legends. 1956. G.R.Driver-J.C.Miles, Babylonian Laws. Voi. I—II, 1952-55. E.S.Drower-R.Macuch, A Mandaic Dictionary. 1963. deutsch (=ted.). Deuteroisaia. deuleronomico. Deuteronomista; deuteronomistico. K.Duden, Etymologie Herkunftswòrterbuch der deutschen Sprache. Beajbeilet von der Dudenredaktion unter Leitung von P.Grebe. Der Grosse Duden Bd. 7, 1963.
Dahood, Proverbs Dahood, UHPh Dalman Dalman, AuS I—VII dat. dattil. d.C. DCB del Delitzsch Deut Dhorme Dillmann din. Diringer DISO DJD Driver, AD Driver, CML Driver-Miles 1—II Drower-Macuch dt. Dtis . dtn. Dtr.; dtr. Duden, Etymologie
E EA
fonte elohista (del Pentateuco). tavoletta di El-Amama, secondo l’edizione di J.A.Knudzton, Die El-Amarna-Tafeln. 1915. Continuazione in: A.F.Rainey, El Amama Tablets 359-379. 1970. ebraico.
ebr. X
ABBREVIAZIONI
ecc. ed. edit. eg. egitt. Eichrodt I-IU Eissfeldt, KS EKL Ellenbogea ELKZ Erman-Grapow esci, e sim. et. ET etc. EThL elpe. ev. EvTh fase. fem. fen. FF FGH Fitzmyer, Gen.Ap Fitzmyer, Sef. vf. l’a. f. gli a. Fohrer, Jes. I—III Fraenkel framm. frane. Friedrich Friedrich—ROllig FS FS Albright 1961 FS Albright 1971 FS Alleman 1960 FS Alt 1953 FS Baetke 1964. FS Bardtke 1968. FS Barth 1936 FS Barth 1956 FS Basset 1928 FS Baudissin 1918 FS Baumgartel 1959
eccetera. edidit; edited; edito, editore/i. egiziano, egittologico. W.Eichrodt, Theologie des Alten Testaments. Teil 1, ‘1968; Teil 2/3, T964. (trad. italiana: Teologia dell’Antico Testamento voi. I, 1979). O.Eissfeldt, Kleine Schriften. Bd. Iss., 1962ss. Evangelisches Kirchenlexikon. Hrsg. von H.Brunotte und 0 .Weber. 3 voi. *1962. M.Ellenbogen, Foreign Words in thè Old Testament. 1962. Evangel isch-Lu therische Ki rchenzei tung. A.Erman-H.Grapow, Worterbuch der àgyptischen Sprache. Bd. 1-7, 1926-63. escluso. e simile/i. etiopico. Expository Times, et cetera. Ephemerides Theologicae Lovanienses. etpe‘el eventualmente. Evangelische Theologie. fascicolo. femminile. fenicio. Forschungen und Fortschritte. F.Jacoby (ed.), Die Fragmente der griechischen Historiker. 1923ss. J. A.Fitzmyer, The Genesis Apocryphon of Qumran Cave I. A Commentary. Biblica et Orientalia 18, 1966. J.A.Fitzmyer, The Aramaic Inseriptions of Sefire. Biblica et Orientalia 19, 1967. 1 fra l’altro, fra gli altri. G.Fohrer Das Buch Jesaja. Zurcher Bibelkommentare. Bd. 1-3, 1960-64. S.Fracnkcl, Die aramàischen Fremdwòrter im Arabischen. 1886. frammento. francese. J.Friedrich, Phonizisch-punische Grammatik. 1951. J.Friedrich—W.Ròllig, Phdnizisch—Punische Grammatik, 21970. Festschrift (= pubblicazione commemorativa). The Bible and thè Ancient Near East. Essays in Honor of W.F.Albright. 1961. Near Eastem Studies in Honor of W.F. Albright, 1971. Biblical Studies in Memory of H.C.Alleman. 1960. Geschichte und Altes Testament. 1953. Festschrift W.Baetke. Dargebracht zu seinem 80. Geburtstag am 28. Marz 1964. Hrsg. von K.Rudolph, R.Heller und E.Walter. 1966. Bibel und Qumran. 1968. Theologische Aufsàtze, Karl Barth zum 50. Geburtstag. 1936. Antwort. Festschrift zum 70. Geburtstag von Karl Barth. 1956. Mémorial H.Basset. 1928. Abhandlungen zur semitischen Religionskunde und Sprachwissenschaft. 1918. Festschrift F.Baumgàrtel zum 70. Geburtstag. 1959. ABBREVIAZIONI
XI
FS Baumgartner 1967 FS Beer 1933 FS Bertholet 1950 FS Browne 1922 FS Christian 1956 FS Coppens 1969 FS Davies 1970 FS Delekat 1957 FS Driver 1963 FS Dupont—Sommer 1971 FS Dussaud 1939 FS Eichrodl 1970 FS Eilers 1967 FS Eissfeldt 1947 FS Eissfeldt 1958 FS Elliger 1973 FS Faulhaber 1949 FS Friedrich 1959 FS Frings 1960 FS Galling 1970 FS Gaster 1936 FS Geiin 1961 FS Gispen 1970 FS Glueck 1970 FS Grapow 1955 FS Haupt 1926 FS Heim 1954 FS Hermann 1957 FS Herrmann 1960 FS Hertzberg 1965 FS Herwegen 1938 FS lrwin 1956 FS Jacob 1932 FS Jepsen 1971 FS FS FS FS FS FS
Junker 1961 Kahle 1968 Kittei 1913 Kohut 1897 Kopp 1954 Koschaker 1939
FS KrOger 1932 FS Landsberger 1965 FS Lévy 1955 FS de Liagre Bòhl 1973 FS Manson 1959 FS Marti 1925 XTI
ABBREVIAZIONI
Hebràische Wortforschung. Festschrift zum 80. Geburtstag von W. Baumgartner. SVT 16, 1967. Festschrift fùr G.Beer zum 70. Geburtstag. 1933. Festschrift fur A.Bertholet, 1950. Orientai Studies. 1922. Vorderasiatische Studien. Festschrift fur V.Christian. 1956. De Mari à Qumran. Hommage à J.Coppens. 1969. Proclamation and Presence. Old Testament Essays in Honour of G.H.Davies. 1970. Libertas Christiana. F.Delekat zum 65. Geburtstag. 1957. Ilebrew and Semitic Studies presented to G.R. Driver. 1963. Hommages à André Dupont—Sommer. 1971. Mélanges syriens offerts à R. Dussaud. 1939. Wort-Gebot-Glaube. W.Eìchrodt zum 80. Geburtstag. 1970. Festschrift fùr W.Eilers. 1967. Festschrift O.Eissfeldt zum 60. Geburtstag. 1947. Von Ugarit nach Qumran. Beitrage... O.Eissfeldt zum 1. September 1957 dargebracht, 1958. Wort und Geschichte. Festschrift fiir Karl Elliger zum 70. Geburtstag. 1973. Festschrift fur Kardinal Faulhaber. 1949. Festschrift fùr J.Friedrich. 1959. Festgabe J.Kardinal Frings. 1960. Archàologie und Altes Testament. Festschrift fur K.Galling. 1970. M.Gaster Anniversary Volume. 1936. A la rencontre de Dieu. Mémorial A.Gelin. 1961. Schrift en uitleg. Studies . . . W.H.Gispen. 1970. Near Eastern Archacology in thè Twentieth Century. Essays in Honor of Nelson Glueck. 1970. Àgyptologische Studien H.Grapow. 1955. Orientai Studies, published in Commemoraiion... of P.Haupt. 1926. Theologie als Glaubenswagnis. 1954. Solange es Heute heisst. Festgabe fiir Rudolf Hermann. 1957. Hommage à L.Herrmann. Collection Latomus 44, 1960. Gottes Wort und Gottes Land. 1965. Heilige Uberiieferung. I.Herwegen zum silbemen Abtsjubilàum darge bracht. 1938. A Stubborn Faith. Papers... Presented to Honor W.A.Irwin. Ed. by E.C.Hobbs. 1956. Festschrift G.Jacob. 1932. Schalom. Studien zu Glaube und Geschichte Israels. Alfred Jepsen zum 70. Geburtstag . . .1971. Lex tua veritas. Festschrift fùr H.Junker. 1961 In memoriam P.Kahle. BZAW 103, 1968. Alttestamentliche Studien, R.Kittel dargebracht. BWAT 13, 1913. Semitic Studies in Memory of A.Kohut. 1897. Charisteria I.Kopp octogenario oblata. 1954. Symbolae P.Koschaker dedicatae. Studia et documenta ad iura Orientis Antiqui pertinentia 2, 1939. Imago Dei. Festschrift Gustav Kruger . . . 1932. Studies in Honor of B.Landsberger on his seventy-fifth Birthday. 1965. Mélanges I.Lévy. 1955. Symbolae Biblicae et Mesopotamicac Francisco Mario Theodoro de Lia gre Bòhl dedicatae. 1973. New Testament Essays. Studies in Memory of T.W.Manson. 1959. Vom Alten Testament. Marti—Festschrift . . . 1925.
FS May 1970 FS Meiser 1951 FS Michel 1963 FS Mowinckel 1955 FS Muilenburg 1962 FS Neuman 1962 FS Notscher 1950 FS Pedersen 1953 FS Procksch 1934 FS von Rad 1961 FS von Rad 1971 FS FS FS FS
Rinaldi 1967 Robert 1957 Robinson 1950 Rost 1967
FS Rudolph 1961 FS Sachau 1915 FS Schmaus 1967 FS Schmidt 1961 FS Sellin 1927 FS van Selms 1971 FS Sohngen 1962 FS Thomas 1968 FS Thomsen 1912 FS Vischer 1960 FS Vogel 1962 FS Vriezen 1966 FS Wedemeyer 1956 FS Weiser 1963 FS Wellhausen 1914 G G"'1ecc. GAG GB gen. GenAp Gesenius, Thesaurus GesStud
giaud. Gilg.
giud. GK
GLAT GLECS
Translating and Understanding thè Old Testament. Essays in Honor of H.G.May. 1970. Viva vox Evangelii, Festschrift Bischof Meiser. 1951. Abraham unser Valer. Festschrift fiir Otto Michel zum 60. Geburtstag. 1963. Interpretationes ad Vetus Testamentum pertinentes S.Mowinckel septuagenario missae. 1955. Israel’s Prophetic Heritage. Hessays in Honor of James Muilenburg. 1962. Studies and Essays in Honor of A.A.Neuman. 1962. Alttestamentliche Studien. F.Nòtscher zum 60. Geburtstag gewidmet. 1950. Studia Orientalia J.Pederscn dicata. 1953. Festschrift O.Procksch. 1934. Studien zur Theologie der alttestamentlichen Uberlieferungen. 1961. Probleme biblischer Theologie. Gerhard von Rad zum 70. Geburtstag. 1971. Studi sull’Oriente e la Bibbia, offerti al P.G.Rinaldi. 1967. Mélanges bibliques. Rédigés en l’honneur de A.Robert, 1957. Studies in Old Testament Prophecy. Presented to Th.H.Robinson. 1950. Das ferne und das nahe Wort. Festschrift L.Rost zur Vollendung seines 70. Lebensjahres am 30. November 1966 gewidmet. BZAW 105, 1967. Verbannung und Ileimkehr. 1961. Festschrift W.Sachau zum siebzigsten Geburtstage gewidmet. 1915. Wahrheit und Verkundigung. M.Schmaus zum 70. Geburtstag. 1967. Festschrift Eberhardt Schmidt, hrsg. von P.Brockelmann... 1961. Beitràge zur Religionsgeschichte und Archàologie Palàstinas. 1927. De fructu oris sui. Essays in Honour of Adrianus van Selms. 1971. Einsicht und Glaube. G.Sòhngen zum 70. Geburtstag. 1962. Words and Meanings. Essays presented to D.W.Thomas. 1968. Festschrift VThomsen zur Vollendung des 70. Lebensjahres. 1912. Hommage à W. Vischer. 1960. Vom Herrengeheimnis der Wahrheit. 1962. Studia biblica et semitica. Th.C.Vriezen... dedicata. 1966. Sino-Japonica. Festschrift A.Wedemeyer zum 80. Geburtstag. 1956. Tradition und Situation. A.Weiser zum 70. Geburtstag. 1963. Studien... J.Wellhausen gewidmet. BZAW 27, 1914. Septuaginta; Settanta (vd. anche LXX). cod. Alessandrino ecc. W. von Soden, Grundriss der akkadischen Grammatik. 1952. Ergànzungsheft zum GAG 1969. W.Gesenius-F.Buhl, Hebriiisches und aramàisches Handwòrterbuch ùber das Alte Testament. ”1915. genitivo. Apocrifo del Genesi. W.Gesenius, Thesaurus... Linguae Hebraicae et Chaldaicae. Voi. I-1IT, 1835-58. . Gesammelte Studien. giaudico. epopea di Gilgames (vd. anche Schott). giudaico. W.Gesenius-E.Kautzsch, Hebraische Grammatik. “1909. G.J.Bottherweck—H.Ringgren (ed.), Grande Lessico dell’Antico Testa mento. Voi 1 ss.,(trad. italiana di ThWAT). Comptes Rendus du Groupe Linguistique d’Études Chamito—Sémitiques, Paris. ABBREVIAZIONI
XIII
GLNT gr. Grapow Gray, Legacy Gròndahl Gt; Gtn GThT Gulkowitsch Gunkel, Gen Gunkel-Begrich GVG
H ha. HAL Harris HAT Ilaussig I HdO Herdner, CT(C)A
Hermop.
hi. • hitp. hitpe. hitpo. ho. Hrsg.; hrsg. IISAT . IlThR ÌIUCA Huffmon ibid. id. IDB I-IV ide. 1EJ imp. impf. impf. cons. incl. ind. ingl. inf. ins. isr. XIV
ABBREVIAZIONI
G.Kittel-G.Friedrich (ed.), Grande Lessico del Nuovo Testamento. Voi. lss., 1965ss. (trad. italiana di ThW). greco. H.Grapow, Wie die alten Àgypter sich anredeten, wie sie sich griissten und wie sie miteinander sprachen. *1960. J.Gray, The I^egacy of Canaan. '1965. F.Grondahl, Die Personennamen der Texte aus Ugarit. 1967. coniugazione fondamentale accadica (G), con infisso -ta- oppure -tanGereformecrd Thcologisch Tijdschrift. L.Gulkowitsch, Die Bildung von Abstrakthegriffen in der hebràischen Sprachgeschichte. 1931. H.Gunkel, Genesis, Handkommentar zum AT 1/1. ’1966. H.Gunkel-J.Begrich, Einleitung in die Psalmen. 1933. C.Brockelmann, Grundriss der vergleichenden Grammatik der semiti schen Sprachen. Bd. 1-2, 1908-13. legge di santità (Lev 17-26). hafel. W.Baumgartner, Hebràisches und aramàisches Lexikon zum Alten Testa ment. Lieferung 1, 1967; Lieferung 2, 1974 (= KBL 3. Auflage). Z.S.Harris, A Grammar of thè Phoenician Language. 1936. Handbuch zum Alten Testament. Hrsg. von O.Eissfeldt. H.W.Haussig (ed.), Worterbuch der Mythologie. Abteilung 1, 1961. Handbuch der Orientalistik.' Hrsg. von B. Spuler. A.Herdner, Corpus des tablettes en cunéiformes alphabétiques découvertes à Ras Shamra-Ugarit de 1929 à 1939. Mission de Ras Shamra X. 1963. Papiri di Hermopoli, secondo l’edizione di E.Bresciani-M.Kamil, Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie, Ser. VTII, voi. 12, 1966. hiPil. hitpa‘el. hitpelel. hitpolel. hofal. Herausgeber (= editore); herausgegeben (= edito). Die Heilige Schrift des Alten Testaments, hrsg. von E.Kautzsch-A.Bertholet. *1922/23. Harvard Theological Review. Hebrew Union College Annual. H.B.Huffmon, Amorfe Personal Names in thè Mari Texts. 1965. ibidem, idem. The Interpreter’s Dictionary of thè Bible. 1962. indoeuropeo. Israel Exploration Journal. imperativo. imperfetto. imperfetto consecutivo. incluso. indice. inglese. infinito. insere. israelitico.
itp. itpa. itt.
itpc'el. itpa'al. ittita.
J JA Jacob Jahnow
fonte jahwista (del Pentateuco). Journal Asiatique. E.Jacob, Theologie de l’Ancien Testament. 1955. H.Jahnow, Das hebriiische Leichenlied im Rahmen der Vòlkerdichtung. 1923, Journal of thè American Orientai Society. M.Jastrow, a Dictionary of thè Targumim, thè Talmud Babli and Yerushalmi, and thè Midrashic Literature. l1950. Journal of Biblical Literature. Journal of Cuneiformi Studies. The Jewish Encyclopedia, ed. da J.Singer. Voi. 1-12, 1901-06. E.Jenni, Das hebràische Pi‘el. 1968. Jaarbericht van het Vooraziatisch-Egyptisch Gezelschap (Genootschap) Ex Oriente Lux. jifil. Journal of Jewish Studies. Journal of Near Eastern Studies. P.Joiion, Grammaire de Phébreu biblique. 1923. Jewish Quarterly Review. Journal of Semitic Studies. Journal of Theological Studies.
JAOS Jastrow JBL JCS JE Jenni, HP JEOL jif. JJSt JNES Jouon JQR JSS JThSt K KAI
KS KuD Kuhn, Konk.
ketib. H.Donner-W.Ròllig, Kanaanaische und aramàische Inschriften. Bd. I Texte, *1966; Bd. II Kommentar, *1968; Bd. Ili Glossare ecc., H969. iscrizione di Karatepe. Kommentar zum Alten Testament. Hrsg. von W. Rudolph, K.Elliger und F.Hesse. LKòhler-W.Baumgartner, Lexicon in Veteris Testamenti Iibros. *1958. iscrizione di Kilamuwa. F, Kluge-W.Mitzka, Etymologisches Wòrterbuch der deutschen Sprache. “1963. L.Kòhler, Theologie des Alten Testaments. '1966. E.Kònig, Hebràisches und aramàisches Wòrterbuch zum Alten Testa ment. ‘ T936. E.Kònig, Historisch-kritisches Lehrgebàude der hebraischen SpraGhe mit steter Beziehung auf Qimchi und die anderen Auctoritaten. Bd. 11/2: Historisch-comparative Syntax der hebraischen Sprache. 1897. Kleine Schriften. Kerygma und Dogma. KG.Kuhn, Konkordanz zu den Qumrantexten. 1960.
L L 1 Lambert, BWL Lande . Lane I—VIII lat. l.c. Leander
fonte laica (del Pentateuco). coniugazione con allungamento di vocale. lege. W.G.Lambert, Babylonian Wisdom Literature. 1960. I.Lande, Formelhafte Wendungen der Umgangssprache im Alten Testa ment. 1949. A.W.Lane, Al-QamQsu, an Arabic-English Lexicon. Voi. 1-8, 1863-93. latino. luogo citato. P.Lcander, Laut- und Formenlehre des Àgyptisch-Aramàischen. 1928.
Kar KAT KBL Kil Kluge Kòhler, Theol. Kònig Kònig, Syntax
ABBREVIAZIONI
XV
van der Leeuw Lcslau I-evy Levy I-IV de Liagre Bohl Lidzbarski, NE Lidzbarski, KJ Lis. Li ttmann-Hofner LS LXX mand. Mand. MAOG masc. MDAI Meyer Midr. mill. MIO moab. Montgomery, Dan. Montgomery, Kings Moscati, EEA Moscati, Introduction Muséon MUSJ n. nab. NAWG NE NedGereflTs NedThT NF; N.F. ni. nitp. NKZ Noldeke, BS Noldeke, MG Noldeke, NB Noth, IP Noth, UPt Noth Gl Noth GesStud I-1I n. pers. XVI
ABBREVIAZIONI
G. van der Leeuw, Phànomenologie der Reiigion. 1956 (trad. italiana: Fe nomenologia della religione. I960). W.Leslau, Ethiopic and South Arabie Contributions to thè Hebrew Lexi con. 1958. M.A.Levy, Siegei und Gemmen mit aramàischen, phoenizisehen, althebràischen... lnschriften. 1869. J.Levy, Worterbuch iiber die Talmudim und Midraschim. *1924. vd. sotto BÒhl. M.Lidzbarski, Handbuch der nordsemitischen Epigraphik. 1898. M.Lidzbarski, Kanaanaische lnschriften. 1907. G.Lisowsky, Konkordanz zum hebràischen Alten Testament. 1958. E.Littmann-M.Hofner, Worterbuch der Tigre-Sprache. 1962. C.Brockelmann, Lexicon Syriacum. J1928. Septuaginta; Settanta (vd. anche G). mandeo; mandaico. S.Mandelkem. Veteris Testamenti concordantiae hebraicae atque chaldaicae. '1926. Mitteilungen der Altorientalischen Gesellschaft. maschile. Mitteilungen des Deutschen Archaologischen Instituts. R.Meyer, Hebràische Grammatik. Bd. 1 ,31966; Bd. 2, *1969. Midras. millennio. Mitteilungen des Instituts fur Orientforschung. moabitico. J.A.Montgomery, A Criticai and Exegetical Commentary on thè Book of Daniel. International Criticai Commentary. *1950. J. A.Montgomery, A Criticai and Exegetical Commentary on thè Books of Kings. Ed. by H.S.Gehman. International Criticai Commentary. 1951. S.Moscati, L’epigrafia ebraica antica. Biblica et Orientalia 15, 1951. S.Moscati (ed.), An Introduction to thè Comparative Grammar of thè Se mitic Languages. 1964. Le Muséon. Revue d’Études Orientales. Mélanges de l’Université St. Joseph. nota. nabateo. Nachrichten (von) der Akademie der Wissenschaften in Gòttingen. vd. Lidzbarski, NE. Nederduitse Gereformeerde Teologiese Tydskrif. Nederlands Theologisch Tijdschrift. Neuè Folge. nifal. nitpa‘el Neue Kirkliche Zeitschrift. Th.Noldeke, Beitràge zur semitischen Sprachwissenschaft. 1904. Th.Nòldeke, Mandàische Grammatik. 1875. Th.Nòldeke, Neue Beitràge zur semitischen Sprachwissenschaft. 1910. M.Noth, Die israelitischen Personennamen im Rahmen der gemeinsemitischen Namengebung. 1928. M.Noth, Uberlieferungsgeschichte des Pentateuch. 1948. M.Noth, Geschichte Israels. M966 (trad. italiana: Storia d’Israele, 1975). M. Noth, Gesammelte Studien zum Alten Testament. Bd. I, J1966; Bd. 11, 1969. nome personale; nome di persona.
n. pr. nr. NS; N.S. NT ntl. nts. NTS NTT Nyberg
nome proprio, numero. Nova Series. Neues Testament; Nuovo Testamento, neutestamentlich (= nts.). neotestamentario. Nieuwe Theologische Studien. Norek Teologisk Tidsskrift. H.S. Nyberg, Hebreisk Grammatik. 1952.
ogg. opp. OLZ OrAnt OrNS o sim. OT; O.T. OTS OuTWP ov.
oggetto, oppure. Orientalistische Literaturzeitung. Oriens Antiquus. Orientalia (Nova Series). o simile/i. Old Testament; Oude Testament. Oudtestamentische Studien. Die Ou Testamentiese Werkgemeenskap in Suid-Afrika Pretoria, ovvero.
P p. pa. pai. pai, crisi. palm. pap. par. part. partieoi. para. pass. Payne Smith p.e. Pedersen, Israel PEQ perf. pers. persi. pi. PJB plur. Poen. poi. pr. prep. prof. prol. propr. prps prst. PRU pu. pun.
fonte sacerdotale (del Pentateuco). pagina. palel. palestinese. palestinese cristiano. palmireno. papiro. parallelo/i. participio. particolarmente. parzialmente. passivo. R Payne Smith, Thesaurus Syriacus, voi. 1-2, 1868-97. per esempio. J. Pedersen, Israel, Its Life and Culture, voi. 1-2, 1926; voi. 3-4, 1934. Palestine Exploration Quarterly. perfetto. . persona, persiano, pi‘el. Palastinajahrbuch. 1plurale. Plauto, Poenulus (vd. anche Sznycer). polel. prò. preposizione. profetico. prologo. propriamente. propositus, -a, -um. prestito (parola importata). Le Palais Royal d’Ugarit. Voi. 2-6, 1955-70. pu‘al. punico.
I-IIjn-TV
ABBREVIAZIONI
XV
2
qere.
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. iA; RAAO IAC /on Rad I-II
riga. Revue d’AssyrioIogie et d’Archeologie Orientale. Reallexikon fùr Antike und Christentum. 1950ss. G. von Rad, Theologie des Alten Testaments. Bd.1, s1966; Bd. 2, "1965 (trad. italiana: Teologia dall’Antico Testamento. Voi. 1, 1972; voi. 2, 1974), G. von Rad, Das Gottesvolk im Deuteronomium. 1929. G. von Rad, Gesammelte Studien zum Alten Testament. *1965. Revue Biblique. Revue des Études Juives. relativo; relativamente. Répertoire d’épigraphie sémitique. reverse (rovescio). Religion in Geschichte und Gegenwart. Hrsg. von K. Galling. Bd. 1-6, *1957-62. Revue d’Histoire et de Philosophie religieuses. Revue de l’Histoire des Religione, rispettivamente. Rivista Biblica Italiana. L. Rost, Das kleine Credo und andere Studien zum Alten Testament. 1965. Revue de Qumran. Ras Samra (testi citati secondo la numerazione di scavo; vd. anche PRU). Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques. Rivista degli Studi'Orientali.
jlcn. llcs.
qualcuno, qualcosa.
;on Rad, Gottesvolk /on Rad, GesStud >IB REJ rei. RF.S rev. RGG I-VI RHPhR RHR risp. RivBibl Rost, KC RQ RS RScPhTh RSO s. s. SAB SAIIG sam. se.; scil. Schott sec. Sef. I-III Sellin-Fohrer Sem sem. semNO. semO. Seux sgg. sign. sim. sing. sir. sogg. sopratt. XV III
seguente, saPel. Sitzungsberichte der Deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin. A. Falkenstein-W. von Soden, Sumerische und akkadische Hymnen und Gebete. 1953. * samaritano, scilicet, cioè. Das Gilgamesch-Epos. Neu ùbersetzt und mit Anmerkungen versehen von A. Schott. Durchgesehen und ergànzt von W. von Soden. 1958. secolo. steli di Sefiie (o Sfire) I-lil (vd. anche Fitzmyer, Sef.). Einleitung in das Alte Testament. Begriindet von E. Sellin, vòllig neu bearbeitet von G. Fohrer. "1965. Semitica, semitico. semitico nordoccidentale. semitico occidentale. M.J.Seux, Epithètes royales akkadiennes et sumcriennes. 1967. saggio. significato. simile/i. singolare. siriaco. soggetto. soprattutto.
ABBREVIAZIONI
sost. sp. spec. ss. st. st(at). Stamm, AN Stamm, HEN SThU StOr StrB I-VI StTh sum. Suppl. s.v. SVT Sznycer
Tallqvist talv. Targ. Jon. ted. teol. TGP; TGI1 TGUOS ThBl ThBNT ThLZ ThQ ThR ThSt ThStKr ThStudies ThT ThW ThWAT ThZ tigr. TM Trip. txt? txt em UF ug. Ugaritica V UJE UT
sostantivo, sopra, specialmente seguenti, sotto. stato; assol. (assoluto); cs. (costrutto); enf. (enfatico). J.J. Stamm, Die akkadische Namengebung. '1968. J.J. Stamm, Hebriiische Erslatznamen, FS Landsberger 1965, 413-424. Schweizerische Theologische Umschau. Studia Orientalia. (H.L.Strack-) P.Billcbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Tal mud und Midrasch. Bd. 1-6, 1923-61. Studia Theologica. sumero; sumerico. Supplement; Supplemento, sub voce Supplements to Vetus Testamenlum. M. Sznycer, Les passages puniques en transcription latine dans le « Poenulus » de Plaute 1967. K.Tallqvist, Akkadische Gòtterepitheta. 1938. talvolta. Targum Jonathan. tedesco. teologia; teologico. K.Galling (ed.), Textbuch zur Geschichte Israels. '1950; *1968. Trarisactions of thè Glasgow University Orientai Society. Theologische Blàtter. Theologisches BegrifTslexikon zum Neuen Testament. Hrsg. von L.Coenen, E.Beyreuther, H.Bietenhard. 1967ss. (trad. italiana: vd. DCB). Theologische Literaturzeitung. Theologische Quartalschrift. Theologische Rundschau. Teologische Studien. Theologische Studien und K_ritik.cn. Theological Studies. Theologisch Tijdschrift. G.Kittel-G.Friedrich (cd.), Theologisches Wòrterbuch zum Neuen Testa ment. Bd. lss., 1932ss. (trad. italiana: vd. GLNT). G.J.Bottcrweck—H.Ringgren (ed.) Theologisches Wòrterbuch zum Al ten Testament. Bd lss., 1973ss. (trad. italiana vd. GLAT). Theologische Zeitschrift. vd. Littmann-Hòfner. testo masoretico (vd. anche BH5). Tripolitania. (Testi dalla Tripolitania; numerazione secondo G.Levi della Vida, cfr. DISO XXVIII). testo incerto opp. corrotto, textus emendatus; textus emendandus. Ugarit-Forschungen. ugaritieo. J.Nougayrol-E.Laroche-C.Virolleaud-C.F.A.Schaeffer, Ugaritica 1968. The Universal Jewish Encyclopedia, ed. da L.Landman. 1948. C.H.Gordon, Ugaritic Textbook. 1965. ABBREVIAZIONI
V.
XIX
v. VAB vang. de Vaux I-II VD vd. vers. voi. Vriezen, Theol. VT vtrt. Wagner
verso. Vorderasiatische Bibliothek. vangelo. R. de Vaux, Les institutions de l’Ancien Testament. Voi. 1-2, 1958-60 (trad. italiana. Le istituzioni dell’Antico Testamento, 1964). Verbum Domini, vedi, versione/i. volume. Th. C.Vriezen, Theologie des Alten Testaments in Grundzugen. 1957. Vetus Testamentum. veterotestamentario.
WZ WZK.M
M.Wagner, Die lexikalischen und grammatikalischen Aramaismen im alttestamentlichen Hebraisch. 1966. Welt des Orients. H.Wehr, Arabisches Worterbuch fìir die Schrifìtsprache der Gegenwart. ‘1959-68. M.UIImann (ed.), Worterbuch der klassischen arabischen Sprache. 1957ss. H.W.Wolff, Gesammelte Studien zum Alten Testament. 1964. Wort und Dienst (Jahrbuch der Theologischen Schule Bethel). J.Aistleitner, Worterbuch der ugaritischen Sprache. Hrsg. von O.Eiss feldt. ‘1967. Wissenschaftliche Zeitschrift. Wiener Zeitschrift fur die Kunde des Morgenlandes.
XII
Dodici profeti minori (Os-Mal).
Yadin
Y.Yadin, The Scroll of thè War, 1962.
ZA ZÀS ZAW ZDMG ZDPV ZF.R Zimmerli, GO
Zeitschrift fur Assyriologie. Zeitschrift fur Àgyptjsche Sprache und Altertumskunde. Zeitschrift fur die alttestamentliche Wissenschaft. Zeitschrift der Deutschen Morgenliindischen Gesellschaft. Zeitschrift des Deutschen Palàstina-Vereins. Zeitschrift fìir evangelische Ethik. W.Zimmerli, Gottes Offenbarung. Gesammelte Aufsàtze zum Alten Te stament. 1963. H.Zimmem, Akkadische Fremdwòrter. *1917. Zeitschrift fìir Kirchengeschichte. Zeitschrift fur die neutestamentliche Wissenschaft. F. Zorell, Lexicon Hebraicum et Aramaicum Veteris Testamenti. 1968. Zeitschrift fur Religions- und Geistesgeschichte. Zeitschrift fìir Semitistik. Zeitschrift fìir Theologie und Kirche.
WdO Wehr WKAS Wolff, GesStud WuD WUS
Zimmern ZKG ZNW Zorell ZRGG ZS ZThK
XX
ABBREVIAZIONI
3 oro
nc um DETTO
1/ L’etimologia della parola c incerta. Di so lito ne’ùm viene messo in relazione con l’arabo n'm «sussurrare» ed è inteso o come part. pass, di n ’m q. «ciò che è sussurrato» (GB 477a; dr. BL 472) o (seguendo Ger 32,31, l’u nico passo con ne’ùm allo stato assol.) come una forma nominale qutùl « un sussurro » (Barth 129), da cui deriverebbe il denominati vo n 'm q. « parlare » (solo Ger 23,31).
15s. (W.F. Albright, The Oracles of Balaam, JBL 63, 1944, 207-233). Essi hanno conservato l’aspetto e la funzione originaria della formula. Unita al nome (e alle specifiche caratterizza zioni) dell’uomo che parla e con la sua posi zione all’inizio dell’oracolo, la formula del det to del veggente pone in evidenza il soggetto del detto e con ciò la parola di cui il veggente stes so deve rispondere. Sembra che più tardi circoli di sapienti abbia no rivendicato per sé questa terminologia (2Sam 23,1 ; Prov 30,1).
Non si può addurre un equivalente acc. (W. von Soden secondo F. Baumgartel, ZA W 73, 1961, 290 n. 35). La grafia prevalente in 1QXs“* nwJm secondo D JD III, 1962, 66 (diversamente KBL Suppl. I70b) può far dedurre una pronuncia posteriore *nùm (cfr. anche mediocbr. ,nùm « dire, parlare »).
Altri vocaboli ebraici per «detto, oracolo» hanno un campo semantico più vasto, cfr. ’imrà (-> ’mr 3c), -+dàbàr, matta" (-»n.s’ 4b) e soprattutto màsàt « detto, proverbio, similitudine, detto satirico » ( - . dmh 3a; nell’AT 39x, di cui Ez 8x, Num 23,7.18; 24,3.15.20.21.23 nell’introduzione narrativa agli oracoli di Balaam 7x, Prov 6x, Sai 4x).
2/ Nell’AT ne'ùm compare 376x (in Mand.
4/ La trasformazione d d l’antica formula del
manca una citazione rispettivamente per Ger 3,12; 23,32; Agg. 2,4.23), di cui 365x nella for mula ne’ùm ( . . . ) Jhwh (inclusi gli ampliamen ti con l’aggiunta di hammàlaek [Ger 46,18; 48,15; 51,57], hà’àdòn [Is 1,24; 19,4] o ’adònàj [Is 3,15; 56,8; Ger 2,19.22; 49,5; Ez sempre ec cetto 13,6.7; 16,58; 37,14, = 81x; Am 3,13; 4,5; 8,3.9.11]; quindi senza ampliamenti 269x): Ger 175x, Ez 85x, Is 25x (di cui Dtis 8x, Tritois 5x), Am 21x, Zac 20x, Agg 12x, Sof 5x, 2Re e Os 4x ciascuno, ISam, Abd, Mi e Nah 2x ciascuno, inoltre Gcn 22,16; Num 14,28; Gioe 2,12; Mal 1,2; Sai 110,1 e 2Cron 34,27. In altre combinazioni ne'Um compare lOx come reggente: Num 24,3.3.4.15.15.16 (Ba laam); 2Sam 23,1.1 (Davide); Sai 36,2 Ut?; Prov 30,1 (Agur); in Ger 23,31 ne’um viene impiegato in stato assol. come oggetto della forma unica n ’tv q.. .
detto del veggente nella f o r m u l a d e l d e t to di J a h w e (la premessa di Sai 110,1 fa supporre un’imitazione di Num 24,3s. 15s.) non è documentata prima di Amos (Baumgàrtel, l.c. 287-289, la ritiene un’espressione origi naria del nebiismo in relazione a ISam 2,30; 2Re 9,26; 19,33, che A. Jepsen, Nabi, 1934, 121 ss.; id., Die QueLlcn des Kònigsbuches, 21956, 76ss., ascrive alla «redazione nebiistica »). Nella forma più antica del detto del mes saggero essa è assente (Westermann, l.c.). Pro babilmente Amos è stato il primo ad usare ne‘ùm Jhwh per sottolineare il fatto che Dio parla in prima persona nella parola dei profeti; egli usa l’espressione proprio al posto della for mula conclusiva del detto del messaggero ’àm ar Jhwh (su 13 casi ciò è abbastanza pro babile in Am 2,16; 3,15; 4,3.5; 9,7); nelle in troduzioni agli oracoli o al loro interno essa è opera redazionale (WolfF, BK XIV/2,109s. 174). La formula sembra avere la stessa origine in Osea (WoliT, BK XIV/1,49), perché altrimenti dovrebbe comparire più di frequente, dato che la forma del discorso divino è predominante. Anche in Michea non è originaria (Th. H. Rob inson, IIAT 14, 1954, 141.145). In Isaia ne’ùm Jhwh si trova raramente (come formula di introduzione: 1,24; 30,1; come formula con clusiva: 3,15; 17,3.6; 19,4; 31,9); ciò è confor me al fatto chc Isaia fa scarso uso di formule introduttive e conclusive (Wildberger, BK X, 62; cfr. R.B.Y.Scott, FS Robinson 1950, 178s.). L’espressione compare di frequente solo in Geremia ed Ezechiele: nel libro di Geremia 35x come conclusione di un discorso di Jahwe, 31 x in introduzioni, 42x tra i membri del pa rallelismo, e ancora con altre funzioni (R.Rendtorff, ZAW 66, 1954, 27-37; cfr. H.Wildberger, Jahwewort und prophetische Rede bei Jeremia, 1942, 48s. 102s.; O. Loretz, UF 2, 1970, 113.129), in Ezechiele ca. 40x in
3/ La storia del termine ne’um non permette di classificarlo tra i modi di dire profetici (S. Mowinckcl, ZAW 45, 1927, 43-45; O. Grether, Name und Wort Gottes im AT, 1934, 85ss.; O. Procksch, ThW IV, 92s. = GLNT VI, 266ss.). Essa mostra che l’espressione inizial mente non era una forma caratteristica dello stile profetico (J. Lindblom, Die literarische Gattung der prophetischen Literatur, 1924, 67). Alla questione della sua origine («parola del mago e dell’indovino» per S. Mowinckcl, ZAW 48, 1930, 266 n.9, che segue G. Hòlscher, Die Propheten, 1914, 79ss.; p a r o l a del v e g g e n t e per E. Schiitz, Formgeschichte des vorklassischen Prophetenspruchs, Bonn 1958 [tesi dattil.]; C. Westermann, Grundformen prophetischer Rede, I960, 135s.; F. Baumgartel, ZAW 73, 1961, 288; D. Vetter, Untersuchungen zum Seherspruch, Heidelberg 1963 [tesi dattil.]; J. Lindblom, ZAW 75, 1963, 282s.) ri spondono gli antichi oracoli di Num 24,3s. 1
□K3 ifu m DETTO \•
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posizione conclusiva, ca. 20x come formula nel contesto, 13x per sottolineare il haj-'arti del giuramento di Dio, e inoltre 9x in 43,19-48,29 in unità in cui sono «sovrabbondanti le for mule del linguaggio profetico» (Zimmerli, BK. XIII, 39*. 135.1098.1250, con Baumgàrtel, l.c. 286). In seguito, solo Agg e Zac usano frequen temente la formula. In Mal essa è compietamente sostituita dall’uso frequente di ’àmar Jhwh. All’inizio della sua storia nc’um Jhwh ha sosti tuito in Amos la più debole forma conclusiva del detto del messaggero, all’apice della sua evoluzione essa ha soppiantato ’àmar Jhwh (Ger 8x, Ez Ox), alla fine però soccombe rispet to a quest’altra formula. 5/ Per gli equivalenti di ne'um nei LXX (per lo più Xéyel xupioq) cfr. Baumgartel, l.c. 278s. Nei testi di Qumran si trova solo una volta n ’m 7 (CD 19,8). . D Vetter
YH3 ns DI SPREZZARE
« profano » (senza soggetto o oggetto divino: Ger 33,24; Prov 1,30; 5,12; 15,5; vd.st. 3b-c); entrambe queste coniugazioni assumono rile vanza teologica là dove si sono avvicinate al concetto di «rifiutare» (vd.st. 4). Dai termini paralleli e opposti risulta un quadro molto vario: due volte si trovano rispettivamente -* m ’s «rifiutare» (Is. 5,24; Ger 33,24), ->prr hi, berlt «rompere l’alleanza» (Deut 31,20; Ger 14,21) e hrp pi. «insultare, bestemmiare» (Sai 74,10.18), una volta ->‘zb «abbandonare» {ls 1,4), -*mrh hi. «essere ostinato» (Sai 107,11; mrh e mrd «ribellar si » anche con tue’àsà in Neem 9,26, dove si incontra anche l ’espressione slk hi. 'ah0ré gaw « gettare dietro la schiena = rifiutare» [altrove pure in IRe 14,9; Ez 23,35; con gèw Is 38,17; -*slk hi. 3]) e -*sn' «o dia re» (Prov 5,12). Come opposti compaiono -> ’mn hi. «aver fiducia» (Num 14,1 con negazione), -*zkr «ricordare» (Ger 14,21), -*bhr «eleggere» (Ger 33,24), -» 'bh « accogliere » (Prov 1,30 con negazio ne), -*smr « custodire » (Prov 15,5). Sul piano semantico è affine il verbo aramaizzante s/h « disprezzare, rifiutare» (q. Sai 119,118; pi. Lam 1,15, ambedue con Dio come soggetto; cfr Wagner, nr. 201; Jenni HP 226). Cfr. inoltre g'I «aborrire» (Lev 26,11.15.30.43.44; Ger 14,19; Ez 16,45.45) e i verbi del disprezzare citati sotto -*qil.
2/ Il verbo ricorre 8x in qal (Prov 3x, Ger 2x, Deut, Sai, Lam lx ciascuno), lx in pi. (Sai 4x, Num e Is 3x ciascuno, 2Sam 2x, Deut, ISam e Ger lx ciascuno), lx in hitp. (Is 52,5, vd. sp.^ neasà si trova 2x (2Re 19,3 = Is 37,3), nce’àsà 3x (Ez 35,12; Neem 9,18.26), Complessiva mente dunque la radice è attcstata 29x.
b) Non si può stabilire se e come il verbo ve nisse usato nella vita normale di tutti i giorni. I passi senza soggetto o oggetto divino permetto no tuttavia di individuarne l’uso in due ambiti specifici. In Ger 33,24 Jahwe si lamenta che c’è gente che « disprezza » a tal punto il suo popolo da non considerarlo più nemmeno un popolo. A questo ambito è da riferire anche l’uso di ne’àsà in 2Re 19, 3 = Is 37,3, dove Ezechia si lamenta che è giunto « un giorno di calamità, di castigo e di ignominia » (non di « rifiuto », come spesso viene reso qui nc asà), Anche Ez 35,12 con la formazione sostantivale nca’àsà è da inserire qui (per la forma nà’àsòtcèkà cfr. G K § 84b.e): Jahwe ritorce contro Edom le ingiurie proferite «contro le montagne di Israele». In questi passi si tratta dunque del disprezzo che Israele deve subire perché non viene riconosciuta la sua dignità di popolo di Dio. Tuttavia si può ritenere che n ‘$ venisse usato in Israele anche quando si voleva parlare del disprezzo di un popolo in senso del tutto generico. Ciò si può vedere ancora nella lettera di Rib-Addi al faraone, in cui il signore di Biblo si lamenta per il latto che lo si di sprezza a causa della sua debolezza militare (EA 137,14.23 con l’acc. na’àsu). L’uso del ter mine nei passi vtrt. sopra citati è dunque chia ramente più specifico rispetto ad un uso gene rico e testimonia della particolare dignità di cui Israele era pienamente cosciente.
3/ a) Come significato fondamentale si può ritenere per n ‘s q. più o meno «disconoscere nel suo valore, screditare », per n s pi. « tratta re con disprezzo». Solo in qal si ha un uso
c) L’altro ambito profano in cui fu usato il qal si può dedurre dai tre passi dei Proverbi in cui si parla del disdegnare la « disciplina » del pa dre (Prov 15,5) o della sapienza (Prov 1,30;
1/ Prescindendo dall’AT n’$ «disprezzare, parlare con disprezzo di, rifiutare, disdegnare » si trova anche nell’ebr. post-vtrt (da cui in aram. targumico il sost. nè’ùsà «insulto»), inoltre in ug. (nas «disprezzare», WUS nr. 1731) e in acc. (na’àsu/nàsu «considerare con disprezzo», AHw 758a; da esso si deve distin guere, contro KBL 585b, na’àsu «spezzare con i denti, triturare masticando», cfr. arab. nhs « mordere », Wehr 892a). Nell’AT il verbo è attestato in qal e in pi., e una volta nella forma minnòa$(Is 52,5; secon do BL 198.366 part. hitp. con t assimilato, se condo Meyer II, 126 invece forma mista che si deve intendere come part. po'al o hitp.; per Zorell 49la essa va letta probabilmente come part, pu.). Come derivazioni nominali l’AT presenta ne’àsà «ignominia» e l’inf. pi. aramaizzante nceasà (forma qattàlà, BL 479) « in sulto ».
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n’f DISPREZZARE
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5,12). Il termine che ne rende meglio il signifi cato è in questo caso « non tenere in nessun conto ». Sotto il profilo contenutistico si inten de il non riconoscere il valore che ha l’inserirsi nell’ordine che la sapienza vuole realizzare. Nella «Teodicea babilonese» il sofferente si lamenta di essere disprezzato sia dalla feccia dell’umanità sia dai ceti abbienti; al che il suo amico gli fa notare che egli ha abbandonato il diritto e ha disprezzato le intenzioni di Dio (BWL 76, r.79; 86, r.253, con l’acc. nàsu; tra duzione anche in AOT 289s. e ANET, Suppl. 1969, 603s.). ! passi dei Proverbi citati sono senza dubbio da interpretare in maniera analo ga, cioè che il disprezzo della «disciplina» è in fondo un disconoscimento delle buone in tenzioni di Dio.
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a) Se dunque già questi passi « profani » hanno un loro rilievo teologico, tanto più lo avranno quelli in cui il qal parla del comporta mento di Dio; Jahwe «rigetta» il suo popolo (Deut 32,19; Ger 14,21) o per lo meno re e sa cerdoti (Lam 2,6). Qui il verbo è usato come termine teologico in senso stretto, una partico lare evoluzione per cui n ‘s è diventato sinoni mo di ^>m ‘s.
b) In qal si può stabilire un solo caso di impie go con oggetto divino, in Sai 107,11, dove si parla di disprezzo del «consiglio dell’Altissi mo ». Altrove, quando si deve parlare de! com portamento dell’uomo nei confronti di Dio o delle sue prescrizioni, si trova sempre il pi.; nell’AT è certamente questo l’ambito più im portante in cui il termine viene usato. Questa suddivisione, qal per il soggetto divino e pi. per l’oggetto divino, non è casuale: il qal indi ca l’effettivo compimento dell’azione, mentre il pi. limita l’azione all’intenzione meramente in teriore (cfr. Jenni, HP 22 5s.). Nei canti di la mento del singolo gli « empi » vengono accusa ti di disprezzare Jahwe (Sai 10,3.13), nei la menti del popolo si accusano i nemici di disprczzare il suo nome (Sai 74,10.18). Questo disprezzo deriva dalla presunzione del malva gio, per la quale egli pensa di non dovere fare i conti con Dio. Tale disconoscimento si trova anche in coloro che meglio dovrebbero cono scerlo: nei sacerdoti, che non offrono i loro sa crifici in conformità con le prescrizioni rituali (Num 16,30; ISam 2,17), e in Davide perché ha mancato nei confronti di Uria (2Sam 12,14). Persino Israele può manifestare il di sprezzo del suo Dio con il proprio comporta mento (Num 14,11.23 J). In Isaia il verbo ser ve solo ad esprimere la rottura totale con Dio (Is 1,4, par. ’zb «abbandonare») e diventa in tal modo anche qui sinonimo di -*m’s «rifiu tare ». Così il « disprezzo » di Jahwe può essere paragonato infine alla rottura dell’alleanza (Deut 31,20). 5
W33 n à b ì' PROFETA • T
c) L’hitp. di Is 52,5 viene di solito tradotto con « essere bestemmiato » (del nome di Jah we; G pXafffp-rijjLEiv), e analogamente si rende il passo di Sai 74,10 (cfr. v. 18) con «il nemico bestemmierà il tuo nome» (G qui Ttapo^uv e ia Z). In realtà l’idea della bestemmia di Dio dovrebbe essere lasciata da parte; si può rende re molto bene il testo traducendo con « tenere in scarsa considerazione, parlare con disprezzo di ». 5/ Nella letteratura di Qumran «'.ssi Lrova in sei passi (Kuhn, Konk. 139a; inoltre la citazio ne di Is 5,24 in DJD V, nr. 162, n, 8). L’uso corrisponde a quello vtrt., se si prescinde da IQH 4,12, dove Dio viene lodato come colui che disprezza ogni progetto di Belial. Nei LXX nella maggior parte dei casi (15x) n’s è tradotto stranamente con Ttapo^uvetv « incita re. istigare», un verbo che non viene mai usato per tradurre il sinonimo ->m‘s\ due volte si trova p.uxTT}p^et.v « arricciare il naso », tutte le altre corrispondenze sono singolari ed anch’esse piuttosto distanti dal significato fondamenta le dell'ebr. Gli equivalenti usati dai LXX si trovano anche nel NT, per lo più con lo stesso impiego (Cfr. H.Preisker - G. Bertram, art. puxrripL^, ThW IV,803-807 = GLNT VII, 629-639; H.Seesemann, art. -n:apo^uvto ThW V,855s. = GLNT, IX ,837-840). Va menzionato soprattutto l’apaxlegomenon p.uxxT)pi^Ei,v di Gal 6,7. Nel contesto sapienziale di questa parenesi il significato del termine corrisponde esattamente a quello delle due traduzioni di n’s in Prov 1,30 e 15,5 (vd. sp. 3c). H. Wildberger
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nàbì • PROFETA
1/ Il nome nàbV «profeta » si trova fuori della Bibbia nelle lettere di Lachis (ostraco nr. 3 [= KAI nr. 193], r.3; nr. 16, r.5?); altrove è docu mentato in aram./sir. (aram. bibl. nebi'), in arab. ed in et., generalmente però come presti to dall’ebr. Uomini e donne con funzioni simili si chiamano in acc. mahhù(m) (a Mari mufjfjùm, fem. mufjhùtum) « colui (colei) che è in estasi » oppure àpitu(m) (fem. àpiltum) « co lui (colei) che dà il responso » (cfr. F. Ellermeier, Prophetie in Mari und Israel, 1968, con bi bliogr.; AHw 58a.582s.), in ass. raggimii (fem. raggintu) «colui (colei) che grida» (AIlw 942a), nell’iscrizione in antico aram. del re Zakir di Hamat hzjn «veggente» e ‘ddn «colui che rivela il futuro» (KAI nr. 202A, r. 12). L’etimologia del sostantivo nàbì ' non è ancora accer tata. Tentativi piuttosto vecchi di far derivare la pa
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rola dalla radice nb' «scaturire» (Gesenius, Thesau rus II/2,838a: H. Hackmann, NTT 23, 1934, 42) o di intenderla come passivo del verbo bò‘ «entrare» (« colui che è pervaso, posseduto d a . . . »: J.P.N .Iand, ThT 2, 1868, 17()ss., ecc.), intendevano sottolineare anche sul.piano linguistico il lato estati co dell’atteggiamento profetico, ritenendolo origina rio. Oggi invece quasi tutti pongono nàbi’ in relazione con l’acc. nabù(m) (acc. antico nabà'um) «chiamare, nominare » (AHw 669s.). Resta comunque come pri ma oggetto di controversia se il nome sia da intende re in senso attivo («oratore, annunciatore»: Barth 184; G Y G 1,354; E.Kònig, Der OJTenbarungsbegrifT im AT, 1882, 71 ss.) o in senso passivo («rapito in estasi, chiamato dallo spirito»: H.Torczyner, Z D M G 85, 1931, 322; «chiam ato»: W.F.Albright, Von der Steinzeit zum Christentum, 1949, 301; «colui al quale è stata affidata un’ambasciata »: A.Guillaumc, Prophecy and Divination, 1938, I12s.; similmente J.A.Bewer, AJSL 18, 1901/02, 120: «colui che è portato via da una forza soprannaturale » [derivato daU’acc. na/epùm «portar via»]); bibliogr. più re cente su ambedue le interpretazioni in R.Rendtorff, ThW V I,796 = G LN T X I,480, e particol. in A.R.Johnson, The Cultic Prophet in Ancient Israel, 21962, 24s. Tenendo presente 1) il plurale delle for me nominali corrispondenti, come ad esempio ’aslr, màsiah, nàgìd, nàzìr, nàSi\ pàqld (Joiion 196), 2) l’acc. nabìum/nabùfm) « colui che è chiamato » (usa to in nomi propri e per i re, cfr. AHw 697s.; Seux 175), come pure 3) il fatto che il verbo nb‘ si trova solo in coniugazioni riflessive e passive, si preferisce oggi a ragione l’interpretazione passiva.
11 verbo nb\ che ricorre in ni. e in hitp, (aram. bibl. in hitp., sir. in pa.), molto probabilmente è un denominativo di nàbì'. Forme derivate sono inoltre il fem. tfb ì’à «profetessa» e l’a stratto nebù‘à « parola profetica » (anche aram. bibl.). 11/ Il sostantivo nàbi’ (315x; in Lis. mancano IRe 19,14 e Os 12,1 lb) è diffuso largamente ma in modo diseguale. Nel Tetrateuco lo si in contra solo 4x (Gen 20,7; Es 7,1; Num 11,29; 12,6), nel Deut lOx, nei libri storici più antichi 99x (Giud lx, ISam 12x, 2Sam 3x, IRe 50x, 2Re 33x), più raramente nei libri poetici (Sai 3x, Lam 4x), nell’opera del Cronista 35x (Esd lx, Neem 5x, lCron 3x, 2Cron 26x; inoltre l’aram. nL'bì ' 4x in Esd) e 4x in Dan. Il termine si trova soprattutto negli scritti profetici, in particolare in Ger (95x) e Ez (17x), inoltre; Is 7x, Os 8x, Am 5x, Mi 3x, Ab 2x, Sof lx, Agg 5x, Zac 12x, Mal 1x, Mentre l’astratto nebu a come forma tardiva è documentato solo nell’opera del Cronista 3x in ebr. (Neem 6,12; 2Cron 9,29; 15,8; anche Eccli 44,3) e lx in aram. (Esd 6,14) e il fem, rfb ì’à si trova 6x sparso neìl’AT (Es 15,20; Giud 4,4; 2Re 22,14; Is 8,3; Neem 6,14; 2Cron 34,22; in Ez 13,77ss. viene evitato di proposito), il verbo nb’ presenta in entrambe le sue coniugazioni diversi punti nodali: in hitp. si trova 14x nei 7
libri storici più antichi (lOx in ISam 10,5-13; 18,10; 19,20-24; 4x in IRe 18,29; 22, 8-18); 3x in Num 11,25-27, 4x nell’opera del Cronista (2Cron 18,7.9.17; 20,37; e inoltre lx aram. in Esd 5,1) e solo 7x negli scritti profetici (5x in Ger, 2x in Ez), in ni. invece compare 80x nei profeti (Ger ed Ez 35x ciascuno, Am 6x, Zac 3x, Giona lx) e solo 3x nei libri storici più an tichi (ISam 10,11; 19,20; IRe 22,12) e 4x nel l’opera del Cronista (lCron 25,1.2.3; 2Cron 18,11). 111/ L’AT adopera (apparentemente senza al cuna differenza) sia il sostantivo corrente nàbì’ (111/1-5) sia il verbo nb' (111/6) per uomini che esercitano tipi molto diversi di attività « profe tica». Funzioni caratteristiche del nàbi' posso no essere il rapimento estatico operato dallo spirito, la comunicazione di parole attuali di Dio, esortazioni sui comandamenti o prediche di conversione, interrogazioni ed intercessioni rivolte a Jahwe, azioni prodigiose ecc. La tra duzione « profeta » (ad imitazione dei LXX) è solo un ripiego. Spesso è già difficile stabilire se nàbi’ sia la descrizione di un habitus o di una funzione (cfr. solo il proverbio: «Anche Saul è tra i profeti? » ISam 10,1 ls.; 19,24) op pure se sia la designazione di una professione in senso stretto (vd.st. I1I/3). Sia nei diversi pe riodi che scandiscono la storia d’Israele, sia nei diversi strati letterari delFAT, al nàbi' vengo no pertanto attribuiti particolari e specifici campi di azione, ed in base al materiale sparso non si può scrivere una storia della profezia che sia senza lacune. Tra le varie componenti storiche e storico-letterarie che formano l’im magine del nàbì', bisogna fare inoltre una di stinzione essenziale: alcune delle funzioni no minate sopra vengono attribuite soprattutto a gruppi di nebì1m, mentre altre sono quasi esclusive del singolo nàbì’. Per quanto riguarda neb ì’à vd.st. IIl/3b.4a.5; IV/13. Per gli studi sull’argomento cfr. H.H.Rowley, HTrR 38, 1945, 1-38 = The Servant of thè Lord, 21965, 95-134; G.Fohrer. ThR 19, 1951, 277-346; 20, 1952, 193-271.295-361; 28, 1962, 1-75.235-297.301-374; J. Scharbert, FS Coppens 1969, 58-118 = EThL 44, 1968, 346-406. 1/ a) Lo stesso AT dice che l’ a m b i e n t e v i c i n o ad I s r a e l e conosce dei profeti. Al tempo di Elia numerosi « profeti di Jahwe » (IRe 18,4.13) si contrappongono ai 450 «pro feti di BaaJ » (v. 19s.; una mano posteriore completa « e 400 profeti di Asera ») che « mangiano alla tavola di Gezabele », cioè rice vono il sostentamento dalla corte del re. In Ger 27,9 al seguito dei re di Edom, di Moab, degli Ammoniti, di Tiro e di Sidone vi sono dei profeti e degli «specialisti nelforacolo» {qòsemìtn\ -agorài 3a), «specialisti nel sogno»
nàbì’ PROFETA
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(hólemlm cj), «indovini» (ònemm) e «m a ghi» (kassàjim), persone competenti ed esperte che con mezzi tecnici spiegano al re l’imme diato futuro. Mentre le ultime due pratiche venivano considerate pagane e inconciliabili con la fede in Jahwe dai cir coli profetici di Israele (2Re 9,22; Is 2,6; M i 5,11; cfr. Lev 19,26; Deut 18,10.14; 2Re 21,6 ecc.), profeti e specialisti del sogno vengono messi sullo stesso pia no in Deut 13,2.4.6; cfr. ISam 28,6.15, e lo stesso vale per sognare ed essere profeti (nb' ni.) in Gioe 3,1; secondo Num 12,6 Jahwe parla con sogni e vi sioni anche ai profeti (cfr. però Ger 23,25ssJ. Anche le pratiche oracolari espresse da qsm (cfr. Johnson, l.c. 3 lss.) venivano esercitate da profeti di Israele (Mi 3,6s.ll; Ger 14,4; Ez 13,6.9.23 ecc.; cfr. però Num 23,23; Deut 18,10.14; ISam 15,23; 28,8; 2Re 17,17!), e i qósemìm sono uniti ai neb ì’ìm in ls 3,2; Ger 29,8; Ez 22,28; cfr. 21,34.
b) Talvolta i profeti d’Israele vengono identifi cati con gli antichi « v e g g e n t i » (hòzlm, >hzh\ 2Sam 24,11; 2Re 17,13; Mi 3,5.7 ecc.; cfr. però st. 4a e G.Hòlscher, Die Propheten, 1914, 125ss.). ISam 9,9 nota in proposito che «veggente» (qui tuttavia rò’Sr, cfr. Is 30,10) era all’inizio la denominazione corrente del nàbV, che ne aveva assunto le funzioni. Sino nimo di dabùr (vd.st: IV/2; cfr. Ez 7,26 con Ger 18,18) hàzòn (e più raramente hzh) defini sce in seguito il fondamento dello specifico mandato profetico (Os 12,11; Lam 2,9; Ez 13,6ss. ecc.; —hzh 4a). Più spesso ancora si sostituisce a nàbl' il titolo « u o m o di D i o » (Ts hà '"lóhlm), soprattutto nelle tradizioni su Eliseo e in quelle più recenti su Elia (cfr. anche IRe 20,28 con v. 13.22; IRe 13,lss. con v. 18; IRe 12,22 con 2Cron 12,5ss.; R. Rendtorff, ThW VI,809 = GLNT XI,515s.); esso sembra voler mettere in evidenza il dono della (miracolosa) potenza divina che un indivi duo possiede (-♦ vlòhìm III/6). c) Circa 30x - soprattutto nel tardo periodo dei re - s a c e r d o t e e p r o f e t a vengono nominati assieme; in questo periodo infatti le due figure devono essersi molto ravvicinate tra loro (cfr. già 1Re 1,8ss. e soprattutto le espres sioni gam-nàbV gam-kòhèn in Ger 14,18; 23,11 e minnàln v/'ad-kòhén in Ger 6,13; 8,10 e O. Plòger, Priester und Prophet, ZAW 63, 1951, 157-1.92 = Aus der Spatzeit des AT, 1971, 7-42). Sacerdote e profeta vigilano insie me nel tempio sulla legittimità dell’annunzio (Ger 26,7ss.), insieme vengono interrogati nel tempio (Zac 7,3), insieme vengono uccisi nel santuario (Lam 2,20). I sacerdoti agiscono « a fianco» dei profeti (Ger 5,31, Johnson, Le. 64: « sotto la loro guida »), un sacerdote può persi no «predire» (nb’ ni. Ger 20,6). Nel libro di Geremia, i sacerdoti e i profeti formano, insie me al re e agli alti funzionari, il ceto superiore del popolo (Ger 2,26; 4,9; 8,1 ecc.; cfr. nell’esi lio Ger 29,1 e Neem 9,32). 9
N'33 nàbV PROFETA ■* T
d) Talvolta i profeti sono riconoscibili dalle caratteristiche esteriori: dal mantello di pelo (’addàrcct sè'ar Zac 13,4; cfr. IRe 19,19; 2Re 1,8; 2,8.13s.; per i paralleli di Mari cfr. M. Noth, JSS 1, 1956, 327-331 = Aufsàtze zur biblischen Landes- und Altertumskunde, II, 1971, 239-242), dalle cicatrici sul petto (Zac 13,6; oppure: sulla schiena, così H.L.Ginsberg, JPOS 15, 1935, 327; cfr. M.SEu5o7tpo aween) e «apostasia» (hònaj, -+hnp\ KBL 317b: «allontanamento da Dio») e dice «cose errate» (t.ò‘à , -*t'h) su Jah we; egli lascia che gli affamati continuino ad aver fame e nega da bere agli assetati (v. 6). Il nàbàl realizza il suo esscre-n'bàlà, cui appar tiene come punto fondamentale la sua empietà. Non è un uomo « ragionevole » (maskìl, -*4kf), che «cerca Dio» (Sai 14,2), ma al con trario nega l’esistenza e la potenza di Dio (Sai 14,1 = 53,2; cfr. Sai 12,2ss.; 73,3ss.). Dato che le stesse cose vengono dette anche dell’« em pio» (ràsà‘, Sai 10,4), rasa' sembra indi rettamente un sinonimo di nàbàl, cosa che da un punto di vista sapienziale non suscita mera viglia (cfr. -+'awil 4; -*hkm 4). Il sinonimo sa pienziale è di solito -+kesìl «stolto» (Prov 17,21), il contrario è hàkàm «saggio» (lò 27
hàkàm « insipiente » Deut 32,6 in riferimento al proprio popolo disobbediente, par. 'am nàbàl «popolo stolto», cosa che in Sai 74,18 viene detta di un popolo straniero, nemico; cfr. anche Deut 32,21; Sai 74,22; per Is 9,16 vd.sp.). In questo senso ampliato l’aspetto reli gioso è ancor più evidente, anche se la fraseo logia è quella sapienziale. Oltre all’importantissimo aspetto etico-reli gioso (e sapienziale) il termine personale nàbàl presenta anche un aspetto sociale, particolar mente studiato in tempi recenti (cfr. soprattut to i lavori citati di Joùon, Roth e Caquot, come pure Caspari, Fahlgren e Skladny). La posizione socialmente infima del nàbàl si può riconoscere da un lato dalla duplice contrappo sizione con nàdìb «nobile, distinto» (Is 32,5, vd.sp.; Prov 17,7, cfr. McKane, l.c. 507), dal l’altro dal proverbio numerico di Prov 30,21-23, dove nel v. 22s. ‘óebivd «schiavo», scnùa «donna rifiutata» e sifhà «schiava» sono i vocaboli paralleli; importante è anche il sinonimo belì-sèm «(gente) senza nome» (Giob 30,8; cfr. Fohrer, KAT XVI, 418). Il nàbàl è un miserabile (cfr. Barth, l.c. 28s.; Joù on, l.c. 358-361: «bas, vii, ignoble»), uno ri fiutato dalla società (Roth, l.c. 403: «by his very fate an auteast» = un proscritto proprio per il suo destino »), la cui morte senza onore fini per diventare simbolo proverbiale della miseria (2Sam 3,33; Ger 17,11). Sotto il profilo semasiologico il gruppo termi nologico nbl II presenta quindi uno spettro va riegato, di cui è difficile dare una versione esat ta. Tuttavia, è quasi impossibile trovare per questa varietà di significati un’espressione com plessiva migliore del gruppo terminologico tra dizionale: «stolto, stupido, stoltezza», anche se in questo modo non vengono precisati i di versi aspetti contenutistici. D ’altra parte, però, nbl II può arricchire notevolmente il restante campo semantico di « stolto/stoltezza » dell’AT. 4/ Come può risultare da quanto detto sopra, nell’uso linguistico di nbl II sono indissolubil mente intrecciati tra loro un senso « profano » ed un senso « religioso »; ciò che è rilevante sul piano teologico è già stato esposto nel prospet to generale (vd.sp. 3). Ma mentre ivi sono state poste in evidenza soprattutto le differenze in terne al campo semantico, ora bisogna conside rare brevemente ciò che è comune a tutti gli aspetti. L’elemento che risultava più importante era quello etico-religioso, cui se ne aggiungevano uno sapienziale ed uno sociale. Da un punto di vista teologico però la distanza tra i vari aspet ti non è cosi rilevante come potrebbe sembrare a prima vista. Infatti i diversi aspetti del nàbàl - colui che è socialmente miserabile, moral mente abietto o religiosamente empio - come TT
nàbàl STOLTO
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pure della nebàlà - inlesa come infamia o em pietà - si basano tutti su una stessa concezione dell’ordine universale, caratteristica soprattutto del pensiero sapienziale (--*hkm). nebàlà signi fica rottura di un legame (cfr. Fahlgren e Roth) o, in senso attivo, ribellione contro l’ordine co stituito. Questa rottura e questa ribellione sono appunto « stoltezza », sono mancanza di giudi zio e di adesione ai buoni ordinamenti, il cui garante è Dio. L’uomo che ne esce o ne deve essere espulso è nàbàl « stolto », « vile » e « ir ragionevole » (cfr. G. von Rad, Weisheit in Israel, 1970, 90s. = La sapienza in Israele, 1975, 67). Il gruppo terminologico nbl II, con la sua connotazione assolutamente negativa, nell’AT appartiene al più vasto campo seman tico della «stoltezza», il quale si contrappone a quello della «sapienza»; tuttavia nbl li pre senta un’impronta giuridica e sociale più ac centuata rispetto ad ogni altro vocabolo di questo campo semantico, e precisamente nel senso negativo di ciò che è « empio » (cfr. T.Donald, l.c.); questo mette in guardia contro una riduzione intellettualistica della stoltezza vtrt. n^balà è intatti anche una forza pericolo sa, cd il nàbàl, come il rasa ' « empio », è un « uomo pericoloso per la comunità », uno che causa disgrazia ed è « fonte di rovina » per sé e per gli altri (cfr. Caspari, l.c. 671.673s.). 5/ Le versioni antiche hanno inteso general mente questo gruppo terminologico nel senso di « stolto (sostantivo e aggettivo), stoltezza ». Cosi i LXX (prescindendo dal verbo, che è sta to tradotto in modi molto diversi) hanno reso nàbàl llx con ) di fronte» (W.J.Gerber, Die hebr. Verba denominativa, 1896, 139; Zorell 495b), mentre per nàgld la questione dell’etimologia non è ancora chiara (p.e. GB 483b: « elevato »; Alt, KS II, 23 n. 2: «colui che è annunciato»; insostenibile J.J.Gliick, VT 13, 1963, 144-150: «pastore»; cfr. W.Richtcr, BZ NF 9, 1965, 72s. n. 6s.). L’aram. bibl. possiede oltre al verbo citato sopra an che la prep. nàgad « contro », ma forse come ebrai smo o come glossa (Dan 6,11; cfr. F.Rosenthal, A Grammar of Biblical Aramaic, 1961, 37). Il sign. «rendere noto, comunicare» viene reso con hwh pa./ha. (4+IOx in Dan; come prst. aram. si ha hwh pi. «proclamare» in Sai 19,3; Giob 15,17; 32, 6.10.17; 36,2; cfr. Wagner nr. 91/92; J.A.Soggin, A IO N 17, 1967, 9-14; Jenni, HP 112-119).
2/ Il verbo si trova 335x in hi. (ISam 47x, 2Sam 33x, Gen 31x, Is 29x [Dtis 21 x], Ger 28x, Giud 26x, 2Re e Sai 20x ciascuno, Giob 17x, Est I4x, IRe lOx) e 35x in ho. (Gen, 1Sam e 1Re 5x ciascuno, 2Sam 4x), soprattut to nella letteratura narrativa, nàgatd si trova 151 x (Sai 36x, Neem 19x, altrove meno di lOx), nàgld 44x (lCron 12x, 2Cron 9x, ISam 4x, 2Sam, IRe e Dan 3x ciascuno, Giob e Prov 2x ciascuno, 2Re, Is, Ger, Ez, Sai e Neem lx ciascuno). 3/ a) Per quanto riguarda ngd hi. abbiamo il medesimo procedimento in tutti i passi: A co munica a B qualcosa (C); questo processo si compie mediante parole, ngd hi. è un procedi mento verbale personale; ad esso appartengono sempre i tre elementi A, B e C, anche se non sempre vengono espressi tutti e tre. La costru zione più semplice è una forma verbale di ngd hi. con le della persona e l’accusativo di ciò che viene comunicato (Gen 44,24 «e noi gli comunicammo le parole del mio signore »), an che se si trovano altre costruzioni (vd. i lessi ci). L’oggetto dell’informazione è spesso una proposizione oggettiva (introdotta spesso da kl «che») o un discorso diretto (p.e. Gen 45,26; 2Sam 11,5). Ciò che viene comunicato può ri sultare dal contesto; così pure non è necessario che venga esplicitata la persona di colui che informa o comunica: l’informazione può essere espressa in modo impersonale (p.e. ISam 23,1.25 assieme al v. 13 ho.). La mancanza del destinatario si può osservare soprattutto nei te sti dei salmi (p.e. Sai 30,10); l’accento è posto sul fatto che viene annunciata l’azione di Dio, il destinatario può restare ignoto. 30
Nel caso in cui il verbo sia un denominativo di tirtgced « di fronte » (« portare davanti a qualcuno, ma nifestare »), allora si è verificata, rispetto al significa to locale generale di ndgced (cfr. anche il sinonimo nokah [~*jkh 1] e lifnè «davanti» [->panini]) al quale spesso corrisponde un’azione visiva, una restri zione all’aspetto della comunicazione. Cfr. al contra rio le locuzioni con ncègad che esprimono l’essere al corrente di qualcosa (in contesto teologico p.e. ISam 12,3; 2Sam 22,25 = Sai 18,25; Is 49,16; 59,12; Os 7,2; Sai 38,10; 69,20; 90,8; 109,15; Giob 26,6; Prov 15,11; Lam 3,35).
U significato del verbo, in corrispondenza alla struttura semplice del procedimento, è general mente ben chiaro; tuttavia vi sono diversi am biti di impiego, il cui rapporto reciproco e la cui relazione con l’uso principale non sono sempre del tutto chiari. Poiché ngd hi. indica un procedimento verbale personale, il verbo si trova spesso in parallelo con verbi del dire: 'mr «dire» (ISam 23,1 \-dbr «parlare» (Is 45,19), spr pi. «narrare» (Sai 19,2), qr' «chiamare» (Is 44,7); quelli che più si avvicinano al nostro verbo sono jd ' hi. « far sapere » = « annuncia re» (Sai 145,4.12; Giob 26,3s.; 38,3s.) e sm‘ hi. «far udire» = «annunciare» (Is 41,22.26; 42,9 ecc.). Tuttavia rispetto ai verbi del dire vi è una chiara differenza nel fatto che ngd hi. è per lo più un informare al dì là di una distanza spaziale: in moltissimi casi colui che annuncia qualche cosa è uno che proviene da un altro luogo. Lo indicano i verbi di movimento che spesso precedono ngd hi.: bò’ «venire» (IRe 18,12 ecc.), hlk «andare» (IRe 18,16), sub «ritornare» (2Re 7,15), ‘Ih «salire» (Gen 46,31), jrd « scendere» (Ger 36,12s.), ms « cor rere » (Num 11,27). A ciò si connette stretta mente una seconda particolarità: il movimento che precede ngd hi., soprattutto se si tratta del correre rapido del messaggero, indica che l’og getto del l’informazione è qualcosa di importan te, spesso vitale per il destinatario. Ciò che gii viene reso nolo è qualcosa che egli deve sape re: «U n corriere corre incontro a un corriere, un messaggero incontro a un messaggero, per annunziare al re di Babilonia che la sua città è conquistata da ogni lato » (Ger 51,31). E dunque proprio di ngd hi. - per lo meno in un gruppo di passi - questo carattere dell’an nuncio di qualcosa che è importante per il de stinatario. Partendo da questo elemento se mantico si chiariscano due ambiti particola ri di impiego: a) l’interpretazione di un so gno (Gen 41,24; il verbo specifico in proposito è ptr q. «interpretare» Gen 40,8.16.22; 41,8.12s.15; sost. pìttàròn «interpretazione» Gen 40,5.8.12.18; 41,11; cfr. aram. bibl. psr q./pa. «interpretare» Dan 5,12.16; sost. pescir «interpretazione» Dan 2,4 - 5,26 19x; cfr. hwh pa./ha. «rendere noto, interpretare», vd. sp. 1) e la soluzione di un enigma (Giud 14,12ss.; IRe 10,3; altre volte generalmente 31
pth «aprire = sciogliere» Sai 49,5); b) una de posizione nel processo giudiziario: « deporre contro qualcuno» (ISam 27,11 con 'al «con tro»), «svelare mancanze» (Is 58,1; Mi 3,8), «rendere testimonianza» (Lev 14,35; Prov 12,17), «segnalare» (Ger 20,10; anche Deut 13,10 secondo G; cfr. I.L.Seeligmann, FS Baumgartner 1967, 261s.). , *b) Il titolo nàgld indica al tempo di Samuele e di Saul, a differenza di -^maiale, il re desi gnato per il futuro (Alt, KS II, 23: «Inoltre i racconti dell’ascesa di Saul permettono di rico noscere con molta chiarezza, mediante altre espressioni, che sono in grado di distinguere e vogliono essere in grado di distinguere ciò che Saul è diventato per designazione di Jahwe e ciò che è diventato per acclamazione del popo lo: come designato di Jahwe egli si chiama sol tanto nàgld, mentre il popolo da parte sua gli N conferisce il titolo regale di melek; la consacra zione divina e la dignità umana restano per tanto chiaramente distinte »). L’espressione si trova dieci volte in lSam-2Re (ISam 9,16; 10,1; 13,14; 25,30; 2Sam 5,2; 6,21; 7,8; IRe 1,35; 14,7; 16,2; inoltre 2Re 20,5 txt?) nella cornice di una formula la cui storia ed il cui si gnificato reale sono stati analizzati da W. Richter, Die «à^Td-Formel, BZ NF 9, 1965, 71-84. Se nei primi tempi dell’antico Israele (ed in reminiscenze più recenti: Is 55,4; Dan 9,25.26; 11,22) questo titolo indica il legame del re con Jahwe e se nei titoli della regalila esso pone in luce la componente propriamente religiosa (cosi Richter, l.c. 77.83s., che attribui sce il titolo di nàgld prima della sua appro priazione da parte di Davide ad una supposta funzione di liberatore, anteriore al periodo mo narchico e neU’ambito delle tribù del nord), in epoca posteriore se ne perdono le connotazioni precise; l’espressione si riduce col Cronista (già Ger 20,1) ad attributo del re o ad indicare di versi tipi di capi, e può essere usata anche per stranieri (Ez 28,2; Sai 76,13; 2Cron 32,21; fi nora il vocabolo non è attestato con certezza al di fuori della Bibbia [per Sef. Ili, r. 10 cfr. Fitzm., Sef. 112s., ma anche M. Noth, ZDPV 77, 1961, 150; R.Degen, Altaram. Grammatik, 1969, 21: ngrj « i miei ufficiali»]); nella lette ratura sapienziale viene ad indicare soltanto un personaggio «distinto» (Giob 29,10; 31,37; Prov 8,6; 28*16; su tutto questo Richter, l.c. 72s.). 4/ Nella maggior parte dei casi l’uso di ngd hi. non è teologico; ngd è essenzialmente e propriamente qualcosa che succede tra uomini. Solo raramente è Jahwe il soggetto (p.e. ISam 23,11; Sai 111,6) o il destinatario del verbo (Es 19,9, dove Mosé comunica a Jahwe la risposta del popolo). Dato che nell’AT il parlare di Dio agli uomini ha una portata tanto rilevante, ci si aspetterebbe che ngd hi. sia diventato il ter ■03 ngd hi. COMUNICARE
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mine tecnico per indicare questo parlare di Dio agli uomini, al suo popolo, a singole per sone; ma non è così. Così pure ci si aspettereb be che ngd hi. sia diventato il termine per indi care l’annuncio della parola di Dio mediante i profeti; anche questo non è vero. Vi sono sol tanto pochi e delimitati ambiti di significato in cui ngd hi. ha assunto un valore teologico (cfr. anche H.Haag, ThZ 16, 1960, 256-258): a) ngd hi. può designare la risposta alla con sultazione divina (ISam 23,11 «Scenderà Saul... ? Fallo conoscere al tuo servo! »; Ger 42,3.20; cfr. Os 4,12). Di solito però il sogget to di ngd hi. ò colui che comunica la rispo sta, come Mosè (Deut 5,5), il veggente (ISam 9,6.8.18.19; 10.16) o il profeta (IRe 14,3; Ger 38,15; 42,4.21). b) ngd hi. non viene usato generalmente nel contesto dell’annuncio del giudizio, il che è de gno di nota. Quando il giudizio è pronunciato su di un singolo, sul re, gli può essere comuni cato (il giudizio sulla casa di Eli mediante Sa muele, ISam 3,13.15.18; la riprovazione di Saul, ISam 15,16; il giudizio di Gad contro Davide, 2Sam 24,13). Si dà anche il caso in cui il profeta viene paragonato ad una sentinel la, che poi comunica ciò che ha visto (ls 21,6.10, cfr. v. 2 ho.). Negli oracoli contro le nazioni altri vengono esortati ad annunciare la rovina che si avvicina (Ger 46,14; 48,20 ecc.). c) C’è solo un contesto, nei profeti, in cui ngd hi. riceve un significato specifico come annun cio di Dio: nei giudizi del Deuteroisaia, come annuncio del futuro. Ciò che gli dei dei popoli non possono fare (Is 41,22.23.26 ecc.), lo può fare Jahwe; egli annuncia il futuro, come ha annunciato il passato (ls 42,9; 43,12; 44,8; 45,19; 48,3.5). In questo impiego del termine si mostra esemplarmente la formazione di un concetto a livello astratto-teologico. Dalla si tuazione del giudizio (le controparti sono Jah we e gli dei dei popoli) emerge lo spostamento di significato: qui con ngd hi. non si intende più che qualcuno comunica, annuncia qualco sa ad un altro: la questione è di sapere chi è capace di preannunciare il futuro, poiché que sto soltanto dimostra l’attendibilità di colui che prevede e dirige la storia, e cioè l’essere stesso di Dio. Così il nuovo significato « rivelare (il futuro)» si ricollega al precedente significato particolare « svelare (qualcosa di ignoto, un so gno, un enigma) » e riassume in questo concet to di rivelazione del futuro, il cui soggetto è Dio, la parola di giudizio dei profeti e la paro la di salvezza. Questo significato particolare del termine resta però limitato al Dtis. Se ne riscontra forse un influsso in un uso posteriore più ampio: Dio rende note al suo popolo le sue opere (Sai 111,6), i suoi comandamenti (Sai 147,19), la sua alleanza (Deut 4,13), cose grandi ed insondabili (Ger 33,3); cfr. anche, nell’apocalittica, Dan 10,21. 33
ITC3 ng‘ TOCCARE
d) L’uso teologico più importante e più fre quente di ngd hi. non si trova all’interno dei testi profetici, ma nei discorsi di carattere cul tuale, in connessione a verbi e forme propri della lode divina. Non si tratta qui della for mazione di un concetto astratto; il verbo viene usato nel suo semplice significato fondamenta le. Poiché alla proclamazione di lode appartie ne l’annuncio di ciò che Jahwe ha fatto, ngd hi. può diventare termine parallelo dei verbi specifici di lode o anche subentrare al loro po sto ( -*hll pi. 4a). Così nell’esortazione alla lode (Sai 9,12; 50,6 txt em; 145,4; ls 42,12; 48,20), nel contesto della promessa di lode (Sai 22,32; 51,17; 71,18; 92,16) ed in altri passi (Sai 19,2; 30,10; 40,6; 64,10; 71,17; 92,3; 97,6). L’AT oltre ad un annuncio basato su un incarico o una missione (annuncio profetico) conosce un annuncio di ciò che Dio ha fatto, per il quale non sono necessari nessun incarico e nessuna missione, ma che è atteso come spontanea risposta all’azione di Dio da parte di chiunque la sperimenta e alla cui attenzione colui che ha fatto tale esperienza invita coloro che da lui ne ascoltano il racconto. 5/ Nei testi di Qumran si può fare riferimen to, con ngd hi., a rivelazioni precedenti (IQM 11,5.8). ngd hi. assume ancora grande impor tanza nel mondo giudaico con il concetto di Haggada, il termine tecnico rabbinico tardivo usato per indicare la parte non giuridica del l’interpretazione della Bibbia (cfr. W.Bacher, Die exegetische Terminologie der jùdischen Traditionsliteratur, I, 1899, 30-37; E.L.Dietrich, RGG III,23s.). Nei LX X ngd hi. viene quasi regolarmente tradotto con ctva.yyD^kEiv o àna.YYéXXeiv; cfr. su questo punto e per il N.T., in cui vengono ripresi gli usi essenziali del verbo vtr., J.Schniewind, art. àyyzkia, ThW I, 56-71 (= GLNT I, 149-194). C. Westermann
1/ Il verbo ng‘ « toccare, colpire » non appar tiene al semitico comune. Oltre che in ebr. lo si incontra in aram. (aram. imperiale: Ah r. 165.166; Dalman 263a; cfr. Drower-Macuch 25a). In ebr. sono simili per valore fonetico e per significato ngh «urtare», ngn «suonare (strumenti a corda)», ngp «urtare, colpire», nk’/nkh (hi.) « colpire ». Il verbo è attestato in qal, ni., pi,, pu. e hi.; so stantivo derivato è nd'ga' « colpo, piaga ». 2/ Statistica: ng‘ q. 107x (Lev 27x, Num lOx, Giob 7x; Es 4,25 elencato in Lis 899b appar 34
tiene all’hi), ni. lx (Gios 8,15), pi. 3x (Gen 12,17; 2Re 15,5; 2Cron 26,20), pu. lx (Sai 73,5), hi. 38x (di cui lOx nel sign. «giunge re»), ncéga' 78x (solo in Lev 13-14 61x, Deut e Sai 4x ciascuno). 3/ rig' Q- viene spesso costruito con be, ma anche con ’cel (p.e. Num 4,15; Agg 2,12), 'al (Giud 20,34.41 «cogliere», sogg. «disgrazia»), ‘ad (ls 16,8 ecc. «arrivare fino»), con l’accus. (Is 52,11; Giob 6,7) o senza oggetto (Esdr. 3,1; Neem 7,72 «giungere»). Il significato prin cipale con valore locale « toccare » va dalla si tuazione di contatto statico (IRe 6,27: «così che l’ala di un cherubino toccava una parete e l’ala dell’altro l’altra parete, mentre nel mezzo del tempio si toccavano ala contro ala») al semplice toccare (Lev 5,2 ecc. qualcosa di im puro), fino al colpire violento (Gen 32,26.33 sull’articolazione deH’anca: Giob 1,19 detto di vento impetuoso; in senso militare Gios 8,15 ni.; «toccare, provocare dolore» Gen 26,11.29). L’espressione «toccare una donna» è un eufemismo per i rapporti sessuali (Gen 20,6; Prov 6,29; cfr. E.Kdnig, Stilistik, Rhetorik, Poetik in bezug auf die biblische Literatur kom parati visch dargestellt, 1900, 39; cfr. aiìTEcrDai yuvaixóq ICor 7,1). ng‘ viene usato in senso figurato o traslato, p.e. ISam 10,26: «gli audaci, cui Dio aveva toccato il cuore». Un uso temporale si trova in Esdr 3,1 e Neem 7,72 con il sign. di «giungere»; tuttavia in questo senso è più comune ng‘ hi. (Ez 7,12; Cant 2,12; Eccle 12,1; Est 2,12.15; sempre in testi tardivi). Dal sign. «colpire» si sviluppa spesso, quando vi è un soggetto divino, il sign. di « colpire, punire con una piaga » (p.e. 1Sam 6,9; Giob 19,21); similmente il sost. ricéga' ol tre al significato principale di « colpo » (p.e. Deut 17,8; 21,5; 2Sam 7,14) possiede anche il sign. di «piaga, tormento» (IRe 8,37 ecc.), con cui spesso si intende specificamente la pia ga della lebbra (Lev 13-14; 24,8). Conforme mente al part. pass. q. nàgita" nel sign. accen nato di «colpito (da Dio con una piaga)» (Is 53,4; Sai 73,14), ng' pi. assume il sign. fattitivo di «rendere colpito (con una piaga)» (Gen 12,17; 2Re 15,5; 2Cron 27,20; negli ultimi due passi si tratta della lebbra; cfr. Jenni, HP 208; pu. «venir tormentato» Sai 73,5). LTii. ha valore causativo («far toccare», p.e. Is 6,7), anche causativo interno (« toccare » Gen 28,12). Per gli usi particolari {« raggiunge re, arrivare a, pervenire a» ecc.) cfr. i lessici; per il significato temporale vd. sp.
4/ Quando il soggetto dì ng‘ è Jahwe, il verbo assume valore teologico. Da un lato, vengono fatti risalire direttamente a Dio stesso i terre moti: egli tocca la terra o i monti (Am 9,5; Sai 104,32; 144,5). D ’altro lato, Jahwe interviene nella sfera umana: tocca il cuore di coloro che 35
si uniscono a Saul (ISam 10,26) e manda pia ghe (al faraone, Gen 12,17; a Giobbe, Giob I,11; 2,5; 19,21 con la «mano di D io » come soggetto, cfr. ISam 6,9; ->jàd 4a). Quando si parla delle sofferenze del servo di Dio in Is 53,4, si trovano come paralleli di nàgùai « p u nito » anche nkh part. ho. « colpito » e ’nh part. pu. «umiliato». Cfr. inoltre l’impiego di ncéga' nel senso di una punizione di Dio (Es II,1; Sai 39,11; 89,33 ecc.). 5/ A Qumran l’espressione « toccare la purità dei molti» che si trova particolarmente nella Regola della Comunità (1 QS 6,16 ecc., cfr. Kuhn, Konk. 140) significa toccare gli oggetti ritualmente puri della comunità di Qumran (cfr. P.Wernberg-M0 ller, The Manual of Disci pline, 1957, 96 n. 52). Nei LXX ng‘ viene quasi sempre tradotto con anxecrSai (ncéga' con acpiq); nel NT il verbo viene usato in modo simile all’AT, spesso per indicare una trasmissione di forza mediante contatto. M. Delcor
TT3 ndr FAR VOTO 1/ La radice ndr è attestata, nelle sue deriva zioni sia verbali sia nominali, tanto in ebr. (ndr q. « far voto » e nàdeer, più raro nè dar, « voto ») come in ug., fen., pun. e aram. (WUS nr. 1758; UT nr. 1618; DISO 174s.; LS 416a). Poiché l’aram. ndr corrisponde foneticamente all’cbr. nzr (-*■nàzlr 1), supponendo una connessione tra le radici nzr e ndr ed il can. ndr si deve pensare ad una dissimilazione (GVG I, 237) o ad una variante dia lettale (Fronzaroli, -> nàzlr 1). Il verbo ed il sostantivo corrispondente si trovano molto di frequente in iscrizioni votive fen. pun., spesso in relazione a sacrifici umani (p.e. K A I nr. 103-108) e con una predilezione per la formula rad doppiata, simile a quella dell’AT: « il voto che. . . ha votato» (K A I nr. 40, r. 5; nr. 103, r. 2 ecc.). Spesso le iscrizioni sottolineano che la divinità ha « udito la sua (= di colui che fa il voto) voce» (p.e. K A I nr. 47; 68; 88; 98; 103-108; 110; 111; 113); si può dedurre che in questi casi si tratta di voti «condizionati». È degno di nota il fatto che in iscrizioni con formula zione analoga talvolta il termine « voto » viene sosti tuito con « d o n o » (KAI nr. 102, r. 2 mini ’S tn \ nr. 113, r. ls. mini ‘s ndr).
2/
La radice ndr è attestata 9-1x nell’AT ebr.: ndr q. 31 x (Num 7x, Deut 5x, Eccle 4x) e nóedier/nédcer 60x (Num 20x, Sai 9x, Lev e Deut 6x ciascuno). Non meno di 19x viene usata la formula raddoppiata « far voto di un voto ». Se si tiene conto dei diversi generi letterari e delle singole composizioni, si ha la seguente di stribuzione: testi narrativi preesilici 17x (Gen “ 113
ndr FAR VOTO
36
28,20 E; 31,13 E; Num 21,22 J; Giud 11,30.39; ISam 1,11.21; 2Sam 15,7s.), testi narrativi recenti 2x (Giona 1,16), profeti del periodo preesilico più recente, del periodo esilico e di quello postesilico 8x (Is 19,21; Ger 44,25; Nah 2,1; Mal 1,14), salmi (incl. Giona 2,10) 12x, sapienziali 9x (Giob 22,27; Prov 7,14; 20,25; 31,2; 5x in Eccle 5,3s.), Deut 1lx (ai c. 11 e 23), Codice sacerdotale 32x (di cui 6x in Num 6 e 16x in Num 30). È significativo l’uso scarso e piuttosto critico nella letteratura profetica e sapienziale. 3/ Nell’AT, come pure nell’ambiente vicino ad Israele, si possono distinguere due tipi di voto: « incondizionato » e « condizionato ». Il voto i n c o n d i z i o n a t o (cfr. J. Pedersen, Der Eid bei den Semiten, 1914', 119-127), che è chiaro p.e. in Sai 132,2, risulta praticamente uguale ad un giuramento (-*.&') o ad una pro messa solenne e ne conserva anche la forma. In Num 30,3 compaiono come paralleli s'bu'à «giuramento» e 'issar «legame» (Wagner nr. 24; per Io più inteso senza motivo come « voto di astinenza»). 11 voto c o n d i z i o n a t o , in vece, descritto in modo chiaro nell’AT e fre quente anche nel suo ambiente, lega una parti colare prestazione di colui che fa il voto ad una precedente precisa prestazione della divi nità: «Se (7m) Dio dà. . . , allora io farò... » (per questa forma che corrisponde all’essenza del voto condizionato, cfr. W.Richter, BZ 11, 1967, 22-31). Una volta pronunciato, un voto «vale» (qùm, Num 30,5ss.), e deve essere adempiuto per principio, ossia il debito del votante deve esse re «estinto» (slm pi./pu., circa 20x con ogg. n&dcer, cfr. in pun. p.e. KA1 nr. 115). In nes sun luogo si afferma che il voto condizionato vale solo se Jahwe «ascolta» (-»Jm', Num 21,2s.; Sai 61,6; cfr. 65,2s.) la preghiera di co lui che promette: la possibilità che Dio non « ascolti » non viene mai presa in considerazio ne nei testi. Al carattere impegnativo del voto accenna forse l’espressione pi’ pi./hi. ncèdcer frequente in Lev e Num (Lev 22,21; 27,2; Num 6,2; 15,3.8), nel caso in cui fosse valida l’ipotesi che il suo significato sia « rendere effi cace un voto », cioè esprimerlo in modo valido ed impegnarsi di conseguenza al suo adempi mento (cfr. H.J.Stoebe, ThZ 28, 1972, 15s.). Il voto opp. il suo adempimento è « imposto » al promittente (al, Num 30,5.7.9; Sai 56,13); tut tavia, secondo Num 30, un voto fatto da una donna può talv. essere abolito, cioè reso ineffi cace, dal padre o dal marito. Il voto è sacro; «rompere» un voto (prr hi., Num 30,9) signi fica dunque «profanarlo» (hll hi., Num 30,3). Di un voto non adempiuto Dio «chiede con to» (drs, Deut 23,22; cfr. Eccle 5,5), ed esso viene giudicato come una mancanza religiosa (hèt', Deut 23,22). 37
113 ndr FAR VOTO
La promessa contenuta nel voto è sempre di tipo religioso, cultuale (consacrazione di per sone, sacrifici). Per questo assieme alla radi ce ndr si trovano termini come « offerta » (iqorbàn, Num 6,21), «dono» (mattànà, Lev 23,38), « offerta spontanea » (nedàbà, Lev 7,16; 22,18.21.23; Deut 12,6; 23,24 ecc.), «oblazio ne» (minhà, Is 19,21), « sacrificio di animali » (ISam 1,21; Is 19,21; Giona 1,16; 2,10; Prov 7,14 ecc.), «olocausto» (Deut 12,6; Sai 66,13), «sacrificio di ringraziamento» (loda, Sai 50,14; 56,13), «decima» (Deut 12,16), ma an che «lode» (t'hillà, Sai 22,26; 75,2) e «cele brazione festiva» (hag, Nah 2,1). Nella mag gior parte dei casi il voto può essere definito semplicemente come « sacrificio volontario conseguente ad una promessa ». Simili sacrifici potevano essere promessi sia dagli israeliti a dei stranieri (Ger 44,25), come pure da stranieri al Dio di Israele (Giona 1,16; cfr. Is 19,21). 4/ Dai pochi racconti che parlano dei voti ri sulta che il voto condizionato veniva formulato in situazioni particolari, cioè nel caso di man canza di figli ( 1Sam 1,11; cfr. forse anche Prov 31,2; analogamente nel testo ug. di ICrt), in guerra (Num 21,1-3; Giud 11,30) o in esilio (2Sam 15,7s.) e durante un viaggio (Gen 28,20). Colui che faceva voto « pretendeva » (s'I, ISam 1,27, cfr. v. 11) aiuto da Dio, cioè che gli «desse» (nln, cfr. Gen 28,20; Num 21,2; Giud 11,30) il necessario; quale presta zione corrispettiva prometteva poi da parte sua una determinata offerta. Nessuna critica viene mossa al modo di pensare e di agire impliciti in questo atteggiamento, neppure nei casi in cui il promittente vota a Dio una persona (Num 21; Giud 11; cfr. ISam 1). Il voto incondizionato può essere fatto come ringraziamento per benefici ricevuti (così ISam 1,21 e Giona 1,16) o anche per zelo religioso (cfr. Sai 132,2): nell’esuberanza dei sentimenti, in determinate occasioni (p.e. per il sacrificio familiare annuale ISam 1,21) si prometteva di portare a Dio una determinata offerta. Nei salmi si rispecchiano entrambi i tipi di voto; in Sai 66,13s. si fa una chiara allusione alla necessità che aveva spinto il supplice a fare un voto, e la stessa cosa si può osservare nei canti di ringraziamento di Giona 2,10; Sai 65,2; 116,14.18. Così pure si deve pensare che una situazione particolare stia all’origine di un voto quanto questo è menzionato nella parte finale dei canti di lamentazione (Sai 22,26; 56,13; 61,6.9). In tutti questi casi, si può legit timamente pensare a voti condizionati, la cui offerta nell’assemblea cultuale pubblica sfocia in una confessione al Dio soccorritore. Al con trario sembra trattarsi di voti incondizionati quando nel salmo qualcuno viene esortato a fare voti (Sai 76,12). Nel salmo «profetico» 38
50, al v.14 viene sottolineato il carattere di rin graziamento e di lode proprio di ogni voto. Nel Deut (12,6.17) e in P (p.e. Lev 23,37s.; Num 29,39) il voto viene elencato direttamen te come un sacrificio tra i molti altri. In questi casi sembra che si tratti per lo più di voti in condizionati. Più volte (Num 30,3ss.; Deut 23.22-24) viene ribadito con forza che il voto deve essere adempiuto a qualsiasi costo; si dà importanza anche alla qualità dell’adempimen to (Lev 22,23; Deut 23,19; cfr. Mal 1,14). Inol tre, si sottolinea la spontaneità del voto: essa emerge dal frequente parallelo « voto e sacri ficio volontario» (nedàbòt, Deut 12,6.17; 23.22-24; in P si parla di «sacrificio volonta rio» solo in questa relazione: Lev 7,16; 22,18.21.23; 23,38; Num 15,3; 29,39) ed in Deut 23,23 tale spontaneità è ammessa espres samente. Il voto tuttavia è considerato superio re al sacrificio volontario, in quanto alcuni animali accettati per quest’ultimo non sono le gittimi come sacrificio votivo (Lev 22,23). Il co stume di promettere in voto delle persone pone problemi particolari che vengono trattati in Num 6 (voto di nazi reato) ed in Lev 27 (riscatto di un uomo promesso in voto mediante il paga mento - annuale - di una somma in danaro). La tradizione sapienziale si mantiene molto ri servata riguardo ai voti. Come elemento della religiosità popolare, cioè come promessa fatta spontaneamente ed a cuor leggero, e presto di menticata, il, voto doveva apparire sospetto ai « sapienti ». È quanto dice senza mezzi termini Eccle 5,3: la persqna riflessiva non fa assoluta mente promesse votive e, se eccezionalmente ciò dovesse accadergli, si preoccupa almeno di man tenere la promessa fatta. Già Prov 20,25 biasi ma la fretta eccessiva e la mancanza di riflessio ne con cui alcuni fanno voti (cfr. Jefte!). L’atteg giamento sapienziale si rispecchia significativa mente in Prov 7,14, dove chi pratica il voto è la « donna straniera » seduttrice e pericolosa. 5/ Nei LXX questo gruppo terminologico viene quasi sempre tradotto con Euxo[im/EÙxT), tuttavia in Ger 44 (51),25 e Lev 22,18 con ópoXoyux c ó jj.oXoyelv, il che rientra senz’altro nell’ambito della funzione di un voto. Anche a Qumran si sottolinea la libertà del voto e, nel contempo, si vieta di promettere in voto al tempio un possesso illegittimo (CD 16,13). In CD 6,15 si mette in guardia dal con servare qualcosa che è divenuto illegittimo in seguito ad un voto. Per quanto riguarda il voto nel giudaismo e nel NT cfr. J.Gold, Das Gelubde nach Bibel und Talmud, Wurzburg 1925 (tesi); A.Wendel, Das israelitisch-judische Gelubde, 1931; StrB U,80-88.747-751.755-761; H.Greeven, art. ^optat» ThW II, 774-776 (= GLNT HI, 1214-1216). C.A.Keller 39
ITU mt“h RIPOSARE 1/ La radice *nùh « riposare » appartiene al semitico comune ^Bergstr. Einf. 187); nella maggior parte dei casi in cui ricorre può venir usata sia in relazione a uno stato di quiete fisi ca sia in relazione a uno stato di tranquillità psichica. A entrambi i significati principali del qal, « ri posare » e « posarsi », corrispondono in hi. (e in ho.), anche formalmente, due distinte forma zioni: hi. I héniah « far riposare » e hi. II hitmJah «deporre» (BL 400; Joìion 171 s.). De rivati nominali sono mànòah/menùhà « luogo di riposo » e gli infiniti sostantivali nàlwt « quiete » (inf. fem. qal), nlhòah « acquietamen to » (inf. poi. BL 475; anche in aram. bibl. come prst. daU’ebr.) e hanàhà « condono fisca le» (inf. ha. aram., BL 486). Si hanno inoltre i nomi propri Nò h (M. Noth, VT 1, 1951, 254-257; J.H.Marks, IDB IH, 555s. con biblio gr.), Nòhù, Nàhat, Mànóah, Mànàhat e Jànòah (in parte diversa l’interpretazione di Noth, IP 228s.; cfr. Hufirnon 237). 2/ Il verbo si incontra 144x, e precisamente 35x in q. (incl. 2Sam 17,12 [ndhnù non va in teso come « noi », ma come perf. 1° plur. « get tarsi sopra», par. npl «cadere», cfr. S.R.Dri ver, Notes on thè Hebrew Text and thè Topography of thè Books of Samuel, 21913, 323]; Is 7,2 [cfr. Wildberger, BK X, 264s.; diversamen te, e divergendo tra loro, p.e. O. EiBfeldt, SThU 20, 1950, 71-74 = KS III, 124-128; KBL 606a; HAL 30a, — 'dbq «essere attaccato a » Gen 34,3; con hsq «essere attaccato a » Gen 34,8). Si parla della n. anche quando si tratta dcll’amicizia fra Davide e Gionata: ISam 18,1 «la n. di Gionata si legò (qsr ni.) alla n. di Davide e Gionata lo amò con la sua stessa n. » (cfr. v. 3 e 20,17; Deut 13,7; similmente Gen 44,30 con qsr q.). Questo gruppo di passi è particolarmente ca ratteristico per nàfces. La traduzione « anima » (o « cuore ») è del tutto appropriata in questo caso; nello stesso tempo è chiaro però che in questi passi n. non indica qualcosa di dato, di presente, ma un essere mosso verso qualcosa; n. corrisponde qui perfettamente al sign. di « desiderio ». Raramente dbq « essere attaccato a » viene ri ferito al rapporto con Dio: così Sai 63,9 «la mia anima è attaccata a te» (Is 66,3 con hps «trovar compiacimento» negli idoli); inversa mente in ls 42,1 si parla del compiacimento (rsh) di Dio verso il servo «nel quale la mia anima si compiace». L’inclinazione dell’anima può essere espressa anche nominalmente, cfr. Ger 15,1 e, in direzione opposta, 6,8. In Giob 30.25 'gm q. «aver compassione» indica il volgersi verso i poveri (il verbo compare solo qui). A questo ambito semantico si riconduce anche l’espressione bckoì-nàfces «con tutta l’anima». Si può mostrare tale connessione con i passi di 0SJ nàfces ANIMA
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Deut 6,5 e 30,6 («amare Jahwe., . con tutta la tua anima »). Dato che in molti passi n. è il soggetto dell’amare, «amare con tutta l’ani ma» può essere inteso come una derivazione. Questa espressione si è formata relativamente tardi, come appare anche dall’unione di -+lèb «cuore» con n. nella stessa frase e dal fatto che, mediante tale accostamento, il significato specifico del singolo vocabolo viene sfumato: il soggetto dell’amare in ebr. è nàfces, non lèb\ l’unione dei termini ha carattere retorico e, a quanto sembra, compare anzitutto nel linguag gio del De ut (cfr. anche lCron 22,19; 28,9 b‘‘nàfces hafèsà « con anima ben disposta » as sieme a « con tutto il cuore »). Per quanto concerne l’impiego di questa espressione, si deve distinguagli un uso che si attiene rigorosamente al significato dei termini da un uso che diventa pian piano stereotipato. 11 primo caso si verifica quando l’espressione indica direttamente un rapporto personale tra Dio e l’uomo ( ’hb «amare», ‘bd «servire» ecc., già in qualche modo stereotipato in hlk l°Jhnaj « camminare davanti a me », sub elaj «ritornare a me» ecc.): Deut 4,29; 6,5; 10,12; 11,13; 13,4; 26,16; 30,2.6.10; Gios 22,5; 23,14; IRe 2,4; 8,48 = 2Cron 6,38; 2Re 23,25; 2Cron 15,12; l’espressione diventa stereotipata quando viene collcgata con l’osservanza dei co mandamenti (2Re 23,3 = 2Cron 34,31; in Ger 32,41 è solo più una formula vuota: «e io (Dio) li fisserò in questo paese con tutto il cuo re e con tutta l’anima ». 11 graduale svuota mento di significato di questa formula mostra che n., in un linguaggio parenetico fisso, potè allontanarsi moltissimo dal suo preciso signifi cato originario. Anche Deut 11,18 (in un’aggiunta posteriore) attesta questo linguaggio stereotipato: « scrivete queste mie parole nel cuore e nell’anima». Qui n. è diventato qualche cosa che è presente nell’uomo; si viene delineando una oggettiva zione di questo concetto. Per quanto riguarda l’avversione della ncefces sono caratteristici i seguenti verbi: in ’ «odia re» (2Sam 5,8; ls 1,14 « i vostri noviluni e le vostre feste odia l’anima mia » [= « io odio »1; Sai 11,5), g'I «aborrire, aver ripugnanza per» (Lev 26,11.15.30.43; «disgustarsi» Ger 14,19), qùs, «provar nausea» (Num 21,5; cfr. Sai 106,15, dove molti esegeti accettano al posto di ràzón «dimagrimento» un termine per «nausea»), t‘b pi. « aborrire » (Sai 107,18; cfr. tò'èbà Prov 6,16 «sette sono per la sua anima un orrore»), zhm pi. «rendere disgustoso, ri pugnante» (Giob 33,20 pane, il verbo solo qui; cfr. Giob 6,7 «la mia anima si rifiuta di tocca re ciò»), qùt ni. «provar ripugnanza» (Giob 10,1), bhl «disprezzare» (Zac 11,8 txt?), jqVnq‘ «disgustarsi» (Ez 23,17.18.18.22.28); cfr. anche se’àt «disprezzo» (Ez 25,6.15; 36,5, solo qui, sempre con «.). 77 Etoj nàfces ANIMA
f) Il gruppo di espressioni in cui nàfces è sog getto di hjh q. « restare in vita » o oggetto di hjh pi./hi. « mantenere in vita », getta un ponte tra i significati di « anima » e di « vita » (vd. st. 4). n./neJaìòt con hjh q. si trova in Gen 12,13 (« perché mi vada bene per causa tua e per mezzo di te la mia n. rimanga in vita»); 19,20; IRe 20,32 («viva dunque la mia n. » = «la sciami dunque in vita»); Is 55,3; Ger 38,17.20; Ez 13,19; Sai 119,175; con hjh pi. IRe 20,31 («forse ti lascerà in vita»); Ez 13,18.19; 18,27; Sai 22,30 txt?; con hjh hi. Gen 19,19; cfr. an che 2Sam 1,9 «la mia anima (la mia vita) è ancora in me»; Ab 2,4 txt?; Sai 66,9 «egli portò alla vita la nostra anima»; Giob 12,10 «nella cui mano è l’anima di ogni vivente»; Giob 24,12 txt?; inoltre i passi menzionati in la: IRc 17,21.22; Ez47,9. La frase «la tua n. resterà in vita» non deve essere interpretata come tautologia; essa signifi ca: il tuo io che ama e odia, che è afflitto e si rallegra, resterà in vita. Questo impiego è da intendersi partendo da una situazione in cui la vita è minacciata e messa in pericolo: ciò di cui si parla qui è la n. minacciata dalla morte e che si protende verso la vita. Nella maggior parte dei passi di questo gruppo si può rendere n. anche con il pronome personale (vd. st. 5d; p.e. IRe 20,32, vd. sp.; Sai 119,175 «fammi vivere, possa lodarti »). g) Se si considerano in sintesi i gruppi di passi in cui n. viene tradotto con « anima », si nota immediatamente un tipico carattere polare del l’impiego di n. L’anima ha sete / è sazia; ha desiderio / trova pace; è afflitta / ha gioia; ama / odia ecc. In questo ambito n. si trova solo in simili contrapposizioni. Si deve fare anche una altra osservazione: in questi casi predomina suna tensione verso qualcosa. Il senso può esse re maggiormente passivo (aver sete, essere pri vo ecc.) o maggiormente attivo (odiare, aborri re ecc.). Ma ciò che in entrambi i casi è uguale è l’intensità basar «corpo» (Is flì$l8 «esso distruggerà dall’anima al corpo »): si tratta di un merismo per dire « totalmente ». 4/^ 11 sign. «vita» per nàfces è più frequente, più compattoJe più chiaro che il sign. «ani ma »; il vocabolo fu sentito in ebr. anzitutto e soprattutto in questo senso di « vita », anche se il termine non coincide in alcun modo con l’i 78
taliano « vita ». Una notevole differenza rispet to al gruppo precedente dove ri. significa « ani ma » sta nel fatto che ivi n. di solito è soggetto, mentre qui è per lo più oggetto. a) L i numerosi passi si parla di salvare la vita; uno salva la vita di un altro (p.e. 2Sam 19,6) o la sua propria vita (p.e. ISam 19,11), oppure Dio salva la sua vita (spesso nei salmi; con passaggio fluttuante tra « salvare se stesso » ed «essere salvato da Dio» Ez 14,14.20). Quasi tutti i verbi del salvare possono avere n. come oggetto: risi pi. «salvare» (Ez 14,14 txt?), hi. «salvare» (Gios 2,13; Is 44,20; 47,14; Ez 3,19.21; 14,20; 33,9; Prov 14.25; 23,14; con sogg. Dio: Ger 20,13; Sai 22,21; 33,19; 56,14; 86,13; 116,8; 120,2; ni. Gen 32,31); mlt pi. «salvare» (ISam 19,11; 2Sam 19.6; IRe 1,12; Ger 48,6; 51,6.45; Ez 33,5; Am 2,14.15; Sai 89,49; con sogg. Dio: Sai 116,4; ni. Sai 124,7); qui di seguito sempre con sogg. Dio: hls pi. «salvare (Sai 6,5), plt pi. «salvare» (Sai 17,13), js ‘ hi. «aiutare» (Sai 72,13), pdh q. «redimere» (2Sam 4,9; IRe 1,29; Sai 34,23; 49,16; 55,19; 71,23; Giob 33,28), g ’I q. «redi mere» (Sai 69,19; 72,14), sub hi. «ricondur re» (Sai 35,17; Giob 33,30), slh pi. «liberare» (Ez 13,20),js ’ hi. «condurre fuori» (Sai 142,8; 143,11), ‘Ih hi. «condurre su» (Sai 30,4, dal regno dei morti), rp' q. «salvare» (Sai 41,5), hék q. «trattenere» (Sai 78,50 dalla morte; Is 38,17 txt em pr hsq)\ cfr Lam 3,58 «tu hai di feso (rlb ) la mia causa »; con sogg. il re: ntn ni. « venir regalato » (Est 7,3). A questi passi si collegano quelli che trattano del conservare la vita: con smr q. « custodire » (Deut 4,9, cfr. v. 15 ni.; Giob 2,6 «soltanto ri sparmia la sua vita»; Prov 13,3; 16,17; 19,16; 21,23; 22,5; con sogg. Dio: Sai 25,20; 86,2; 97,10; 121,7), smk q. «proteggere» (Sai 54,6), hsk q. (Giob 33,18 « per preservare la sua ani ma dalla fossa»), hsh q. «mettersi al sicuro» (Sai 57,2); cfr. inoltre le espressioni di Sai 74,19 «non abbandonare al rapace l’anima della tua colomba»; ISam 25,29 «possa la nàfces del mio signore essere conservata nella borsa dei viventi (frò r hahajjlm) presso Jahwe tuo D io » (cfr. in proposito A.L.Oppenheim, JNES 18, 1959, 121-128; O.Eissfeldt, Der Beutel der Lcbendigen, 1960) e ntn/hjh tsalai «dare in/diventare preda» (risp. Ger 45,5 e 21,9; 38,2; 39,18). In 2Re 1,13.14 il capo supplica Elia di rispar miare lui e la sua gente: « possa la mia n. c la n. di questa gente essere cara ai tuoi occhi» (così pure con jqr q. «essere preziosa» ISam 26,21, dove Davide risparmia la vita di Saul; con gdl «essere grande, pregevole» due volte in v. 24; cfr. jqr anche in Sai 49,9 « il prezzo di acquisto della loro vita è troppo caro» e Prov 6,26 txt? n. j eqàrà «vita preziosa», inol tre Giob 2,4 « l ’uomo dà tutto ciò che ha per 79
la sua vita »). Non è una qualità particolare che rende preziosa la vita, ma è la vita stessa ciò chc è prezioso. E poiché la n. è cara e pre ziosa, bisogna prestarvi attenzione (drs Sai 142,5; jd ' Sai 31,8; Giob 9,21; nsr Prov 24,12; cfr. anche con gó'al «oggetto di ribrezzo» Ez 16,5 «poiché non ci si curò della tua vita»). Si potrebbero menzionare in questo contesto anche i passi di Sai 22,21 e 35,17 (vd. sp.) con un occasiona le j eìndàti « il mio unico bene » (letteralmen te: « la mia unica ») par. nafsì.
Una serie di locuzioni preposizionali serve ad esprimere che « ne va della vita » (con ’al\ IRe 19,3; 2Re 7,7; con be\ Ger 17,21; Prov 7,23; con le: Deut 4,15; Gios 23,11; con 'al: Gen 19,17; Lam 2,19; Est 7,7; 8,11; 9,16; un po’ diverso il senso con be «a rischio della vita» 2Sam 23,17 = lCron 11,19; Lam 5,9, opp. « ri mettendoci la vita» Num 17,3; IRe 2,23). Al tre espressioni per iJ rischio della vita sono sim bekaf «prendere in- mano» (Giud 12,3; ISam 19,5; 28,21; Giob 13,14; similmente Sai 119,109), hrp pi. «disprezzare» (Giud 5,18) e slk hi. mìnnàgeed « gettar via » (Giud 9,17). Anche nella formula nàfces (tdhat/b*) nàfces «vita per vita» (Es 21,23; Lev 24,18; D»eut 19,21), un’espressione dell’antica legge del ta glione (cfr. V.Wagner, Rechlssiilze in gebundener Sprache und Rechtsatzrcihen im isr. Rccht, 1972, 3-15; un esempio di applicazione di que sta legge è narrato in 2Sam 14,7; cfr. anche Gen 9,6 e v. 4; inoltre Giona 1,14), si rende evidente la preziosità della vita. Con n. non si può intendere qui un astratto « vita », ma solo l’io nella sua unicità, il cui annientamento è ri chiesto da questa ricompensa. Lo stesso modo di intendere e di valutare la n. si ha quando uno si rende responsabile o garantisce con la vita per qualcuno o per qualche cosa (n. tdhat. n. IRe 20,39.42; 2Re 10,24; similmente Gios 2,14; significativo Deut 24,6: «non si deve prendere in pegno... la macina, perché sareb be come prendere in pegno la n. »). In determi nate condizioni può essere pagato un riscatto per la vita (pidjòn Es 21,30; kdfeer Es 30,12; kpr pi. v. 15.16; Lev 17,11; ciò è espressamen te proibito per la vita di un assassino Num 35,31). Prov 13,8 afferma che per qualcuno la ricchezza è riscatto per la propria vita. Israele è così prezioso per Jahwe che egli dà popoli per la sua vita (Is 43,4). In base a tutti questi passi, che presuppongono la preziosità della vita (anche Mi 6,7 «dovrei forse dare il frutto delle mie viscere come sacrificio espiatorio per la mia vita?»), si deve intendere Is 53,10: «quando of fre la sua vita in espiazione ( ‘àsàm) ». b) Le affermazioni sulla salvezza, la conserva zione e l’apprezzamento della vita vanno ora contrapposte a quelle sulla minaccia e la perdi ta della vita.
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Mostrano timore per la vita Gios 9,24 {->jr‘ le «temere per»), Is 15,4 (Jr‘ «tremare», solo qui) e Ez 32,10 (hrd lc « tremare per »). I passi che esprimono una minaccia della vita da parte di nemici sono molto numerosi, per lo più con -+bqs pi. «attentare a», (Es 4,19; ISam 20,1; 22,23.23; 23,15; 25,29; 2Sam 4,8; 16,11; IRe 19,10.14; Ger 4,30; 11,21; 19,7.9; 21.7; 22,25; 34,20.21; 38,16; 44,30.30; 46,26; 49,37; Sai 35,4; 38,13; 40,15; 54,5; 63,10; 70,3; 86,14), ma anche con molti altri verbi in casi singoli: ’rb « insidiare » (Sai 59,4); gdd ‘al « assembrarsi contro» (Sai 94,21); hpr le «sca vare una fossa» (Sai 35,7); jgh hi. «tormenta re » (Giob 19,2), krh sùhà « scavare una fossa » (Ger 18,20), nqs hitp be «tender tranelli» (ISam 28,9), sdh «tender tranelli» (ISam 24.12), .vùd poi. «dare la caccia» (Ez 13,18.20), spn l‘! «stare in agguato» (Prov 1,18), srr «osteggiare» (Sai 143,12), qwh pi. « insidiare » (Sai 56,7), rdp « perseguitare » (Sai 143,3), sin «essere ostile» (Sai 71,13), s ’1 «pretendere, esigere» (IRe 3,11 = 2Cron 1,11; Giob 31,30), smr «spiare» (Sai 71,10); cfr an che mòqés «trappola» (Prov 18,7; 22,25), e pah « trappola » (Sai 124,7). 1 seguenti verbi indicano la perdita della vita mediante uccisione: nkh hi. «colpire» (Gen 37,21; Lev 24,17.18; Num 35,11.15.30a; Deut 19,6.11; Gios 20,3.9; Ger 40,14.15), Iqh «to gliere» (Ez 33,6; Sai 31,14; Prov 1,19; Ì 1,30), qualche volta ’bd pi. «annientare» (Ez 22,27), 'kl « divorare » (Ez 22,25), hrg « uccidere » (Num 31,19; cfr. Ger 4,31), krt hi. «stermina re » (Ez 17,17), mut hi. « uccidere » (Ez 13,19), r$h « colpire a morte » (Deut 22,26); cfr. anche la circonlocuzione di IRe 19,2 e l’espressione figurata con qV pi. «scagliare» in ISam 25,29 (vd. sp. 4a l’opposto «conservare nella borsa dei viventi »). Minor consistenza hanno le espressioni con n. per indicare il morire: con mùt «morire» (Giud 16,30; Giob 36,14; «la morte dei giusti» Num 23,10), js ’ «uscire» (Gen 35,18), nph «esalare» (Ger 15,9; hi. Giob 31,39; cfr. Giob 11,20 mappah-n. «esa lazione della n. »), spk hitp. « spirare » (Lam 2.12); cfr. inoltre ls 53,12 («rendere la propria vita», ‘rh hi. «versare»); Sai 94,17 («abitare nella terra del silenzio »); Giob 33,22 « la sua anima si avvicina alla tomba », par. hajjà «vita » (-*hjh 3d); IRe 19,4, Giona 4,8 e Giob 7,15 per il desiderio della morte. Nei passi seguenti si prospetta annientamento della vita da parte di Dio: con ‘sp «strappar via» (Sai 26,9 preghiera negativa), dùb hi. «far languire» (Lev 26,16 punizione), drs «esige re» (Gen 9,5d), znh «respingere» (Sai 88,15 accusa; Lam 3,17 lamento), Iqh «togliere» (IRe 19,4 e Giona 4,3 preghiera positiva), ns’ «strappar via» (2Sam 14,14 fiducia; Giob 27,8 txt em), ‘zb «abbandonare (alla morte)» (Sai 16,10 fiducia), 'rh pi. «versare» (Sai 81
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141,8 preghiera negativa), qb‘ «derubare» (Prov 22,23), ql' pi. «scagliare» (ISam 25,29, vd. sp ). c) Se si guarda complessivamente ai passi in cui n. significa «v ita » (o perlomeno a quelli in cui in italiano si può rendere con « vita »), emerge un fatto sorprendente: n. non significa «vita» nel senso generale e molto vasto con cui il termine viene usato nelle lingue europee moderne (vita nelle sue forme fenomeniche dif ferenziate, cfr. «vita della grande città», «cor so della vita » ecc.). L’uso è invece rigorosa mente concentrato entro i confini del vivere; n. è la vita in contrapposizione alla morte. Ne consegue che questo significato si suddivide di per se stesso in due gruppi principali (vd. sp. 4a e b): nell’uno si tratta della salvezza e della conservazione, nelfallro della minaccia e del l’annientamento della vita. Per l’uso analogo e tuttavia per Io più diverso di hajjim « v ita » cfr. -*hjh 3e.4b; invece hajjà nel sign. di « v ita » è praticamente sinonimo (Sai 74,19; 78,50; 143,3; Giob 33,18.20.22.28; 36,14; -A/& 3d). Per il sign. «periodo della vita, durata della vita» ->jòfto 3g.
5/ Secondo la visione unitaria dell’uomo pro pria dell’AT, la nàfces non è separata come una parte specifica dell’uomo (Gen 2,7 « l ’uo mo divenne quindi una n. hajjà »; cfr. Kòhler, Theol. 129: « L ’anima è l’essere dell’uomo, non un suo possesso»; W.H.Schmidt, EvTh 24, 1964, 381). Si comprende dunque facil mente come in molti passi si debba rendere n. espressamente con «essere vivente (animale o uomo) », ma anche, in senso molto generale ed astratto ed in parte pronominale, con « uomo, persona, individuo, soggetto, qualcuno»; con il suffisso corrispondente la parola sostituisce spesso «io, tu » ecc., ma anche in questo caso si conservano inalterate l’intenzionalità e l’in tensità tipiche di questa parola (Johnson, l.c. 22: « a patetic periphrasis for such a pronoun » [= «una perifrasi ricca di pathos per un tale pronome»]). Oltre ai passi già citati in la (Gen 2,7.19 e testi sacerdotali) si devono ricordare specialmente gli usi che se ne fanno nelle leggi casistiche (a), nelle enumerazioni (b), in espres sioni di carattere generale (c) e come sostitu zione di un pronome (d). a) Quando nelle leggi casistiche per determina re sia un fatto sia le sue conseguenze il colpe vole va designato il più genericamente possibi le, non è adatto il termine, originariamente collettivo, -►’àdàm (la formula ’àdàm ki . .. « se qualcuno... » ricorre nell’AT solo in Lev 1,2; 13,9; Num 19,4, vd. Elliger, HAT 4,34) o anche il termine -> 7i, che non include le don ne (cfr. Lev 17,4.9); qui si rivela appropriato, come termine astratto e giuridicamente chiaro, nàfces « uomo, persona, qualcuno ». 82
Nella protasi si trova spesso n. k ì o n. '“sar «se qualcuno» (Lev 2,1; 4,2; 5,1.2.4.15.17.21; 7,20.21.27; 17,15; 20.6a; 22,6; 23,29.30; Num 15,30; cfr. anche Lev 4,27; 7,18; Num 5,6; 15,27.28; 19.22), nell’apodosi viene indicata la pena con krt ni. «sterminare» (Gen 17,14; Es 12,15.19; 31,14; Lev 7,20.21.25.27; 18,29; 19,8; 22,3), con ’bd hi. (Lev 23,30) e con ntn pànaj be « rivolgere la mia faccia contro » (Lev 17,10; 20,6d). b) Analogo è l’uso di n. nelle enumerazioni (Ger 52,29 «nel 18' anno di Nabucodonosor 832 anime da Gerusalemme », a proposito del l’esilio) e conteggi (Es 12,4 «secondo il nume ro delle anime»); con kòl significa semplice mente « tutti » o « ciascuno » (p.e. Es 12,16; Ez 18.4). Oltre agli esempi ricordati si devono ri condurre qui: Gen 46,15.18.22.25.26.26.27.27; Es 1,5.5; 16,16; Lev 17,2 («nessuno»); Num 31,28.35.35.40.40.46; Deut 10,22; Gios 10,28.30.32.35.37.37.39; 11,11; ISam 22,22; Ger 43,6; 52,30.30; lCron 5,21. c) L’uso di n. « persona, individuo, uomo » e al plur. « gente » si trova anche altrove quando la designazione deve restare il più possibile ge nerica (Lev 27,2; Num 19,18; 35,30d; Deut 24,7; 2Re 12,5; Giud 18,25; Is 49,7 txt?; Ger 2,34; Ez 18,4.20; Prov 28,17). Nella enumera zione di ciò che è subordinato ad un capo fa miglia, n. può contrapporsi o ai membri più stretti della famiglia (Gen 36,6) o agli averi (Gen 14,21) e indica allora gli schiavi (Gen 12.5); anche in Lev 22,11 e Ez 27,13 risp. n. e n. ’àdàm vanno tradotti con « schiavo ». d) Dipende spesso da) giudizio dei singoli tra duttori se nafsl debba essere reso con « la mia anima » oppure pronominalmente con « io » (p.e. vd. sp. 3f; proprio nei salmi si devono te ner presenti i dati semasiologici, ma anche quelli stilistici e metrici). Fatta questa riserva, sono da ascrivere all’uso pronominale più o meno i seguenti passi: l* pers. sing.: Gen 19,19.20; 27,4.25; 49,6; 2Sam 18,13Q; IRe 20.32; Is 1,14; Ger 4,19; 5,9.29; 9,8; Ez 4,14; Sai 3,3; 7,3.6; 11,1; 35,3.12; 57,5; 66,16; 109,20; 119,129.167.175; 120,6; 139,14; Giob 16,4; Eccle 7,28; Lam 3,24.51; riflessivo: Sai 35,13; Eccle 4,8; Cant 6,12 txt?; 2" pers. sing.: Gen 27,19.31; Is 51,23; Prov 3,22; 24,14 txt?; inoltre nella formula di giura mento «com ’ò vero che tu vivi» ISam 1,26; 17,55; 20,3; 25,26; 2Sam 11,11; 14,19; 2Re 2,2.4.6; 4,30; riflessivo «tu stesso»: Giud 18,25; Ab 2,10; cfr. Est 4,13 «tu solo»; 3* pers. sing.: Sai 25,13; 109,31 txt?; Prov 29,10; Eccle 6,2; riflessivo «se stesso»: Num 30,3-13; Is 58,5; Ger 3,11 (fem.); 51,14; Am 6,8; Giob 18,4; 32,2; Prov 6,32; 8,36; 11,17; 15,32; 19,8; 20,2; 29,24; 83
1» pers. plur.: Num 31,50; riflessivo: ls 58,3; Ger 26,19; 2* pers. plur.: Giob 16,4; riflessivo: Lev 11,43.44; 16,29.31; 20,25; 23,27.32; Num 29,7 (cfr. 30,14); Ger 37,9; 42,20; 44,7; cfr. Gen 9,5a « il vostro stesso sangue »; 3“ pers. plur.: Is 3,9; 46,2; riflessivo: Lam 1,19 txt em (cfr. Rudolph, KAT XVIl/3,208); Est 9,31. 6/ In una serie di prescrizioni legali in cui si tratta del contaminarsi toccando un morto (Lev 19,28 incisioni come rito funebre), con nàfces si indica evidentemente il cadavere (n. o n. 'àdàm-. Lev 19,28; 21,1; 22,4; Num 5,2; 6,11; 9,6.7.10.11.13; Agg 2,13; n. mèf. Lev 21,11; Num 6,6). Questo gruppo di passi in cui n. indica un morto o un cadavere è di difficile interpretazione, perché di solito n. indica pro prio l’essere vivo. L’ipotesi più probabile è che questo significato derivi da quello generale di « persona » (vd. sp. 5c); in questo modo di esprimersi si può vedere una perifrasi eufemi stica con cui si voleva evitare di nominare di rettamente il cadavere: Lev 21,11 «egli (il sommo sacerdote) non può avvicinarsi alla “persona” di un morto»; Num 19,11 «chi tocca un morto, la “persona” di qualsiasi uomo », ecc. Altre spiegazioni di tipo linguisti co (Johnson, l.c. 26: «semantic polarisation » 1= « polarizzazione semantica »]; vi si oppone Seligson, l.c. 78ss.) o di tipo storico-religioso (p.e. Elliger, HAT 4,288: «espressione tecni ca. ... “anima”. . . , che si pensa si aggiri come un fantasma attorno al corpo abbandonato») non sono soddisfacenti. IV/ Poiché nàfas ricorre in un elevato nume ro di passi, non è possibile stabilirne un uso teologico specifico. Mentre p. e. «braccio di Jahwe», «volto di Jahwe», «spirito di Jah we» possono avere un significato specifico in un uso linguistico fisso, ciò non vale per n.\ la formula nàfas Jhwh non compare nell’AT. La mancanza di questa espressione si spiega con il fatto che n. nel sign. di « avidità, pretesa, desi derio» esprime un qualcosa che è tipicamente umano, e che non può essere detto di Dio. Tuttavia in un certo numero di passi n. viene messo in relazione con Dio e con ciò che acca de tra Dio e l’uomo. Quest’uso teologico si ri scontra in tre gruppi principali: si parla della nàfas di Dio (I), dell’azione di Dio sulla nà fas dell’uomo (2) e del comportamento della nàfas dell’uomo verso Dio (3).
1/ L’uso di n. in riferimento a Dio è raro e sporadico. In un piccolo gruppo di passi l’al lontanarsi di Dio dal suo popolo viene reso linguisticamente, nella sua intensità e passiona lità, ponendo la n. di Dio come soggetto di tfKj nàfas ANIMA
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questo allontanarsi: Ger 6,8 « lasciati corregge re, Gerusalemme, perché la mia anima non si allontani da te!»; 15,1 «la mia anima non si volgerebbe a questo popolo»; Ger 5,9.29; 9.8: « la mia anima non dovrebbe vendicarsi di un popolo simile?; 14,19 «la tua anima si è di sgustata di Sion?»; cfr. inoltre Lev 26,1 1.30; Is 1,14; Ez 23,18; Zac 11,8. Questi passi corri spondono al gruppo in cui il soggetto di questo abbandono passionale ed intenso sono uomini (vd. sp. TII/3e). In ciascuna di queste frasi nafsl potrebbe essere sostituito dal pronome perso nale (vd. sp. Ill/5d): Is 1,14 «la mia anima odia le vostre feste» significa la stessa cosa di Am 5,21 « io odio le vostre feste». H sostanti vo nafsl al posto del pronome serve a rendere più intensa l'affermazione; Ez 23,18 «allora la mia anima si stancò di loro » potrebbe anche essere tradotto: «allora io mi stancai comple tamente di loro». Questo gruppo di passi, in cui l’allontanamento passionale di Dio dal suo popolo viene reso nel linguaggio dei profeti (tutti i passi eccetto Lev 26 sono profetici) con n. come soggetto, mostra che n. non è qualcosa di inerente all’uomo (o a Dio) o dentro l’uo mo, ma esprime l’intensità di un comporta mento o di un sentimento: n. c l’io nella sua intenzionalità intensa. È sintomatico che si incontri assai di rado il corrispondente positivo con n. per soggetto. Nel primo canto del servo di Jahwe Is 42,1 si legge: «...in cui la mia anima trova compiaci mento»; ISam 2,35 « io suscito per me un sa cerdote fedele, che agisca secondo la mia vo lontà {lèb) e secondo il mio desiderio («.)». Al trove n. si trova soltanto con la funzione di pronome riflessivo: Dio giura per se stesso, Am 6,8 e Ger 51,4. 2/ L’azione di Dio sulla n. dell’uomo può es sere azione di salvezza (a), di benedizione (b), o anche di castigo (c). a) Un gruppo di passi piuttosto ampio descrive l’operare di Dio come salvezza e conservazione della vita di un uomo; si tratta sempre in que sti casi della vita individuale. I passi sono citati sopra sotto III/4a; la supplica per la salvezza dalla morte p.e. Sai 116,4 «Jahwe, salva la mia vita!», la lode di Dio p.e. Sai 116,8 «sì, tu hai salvato la mia vita dalla morte ». In rap porto all’uso abbondante e vario di solo in questo gruppo la n. dell’uomo nel sign. di « vita » è strettamente legata a ciò che l’AT dice complessivamente dell’agire di Dio. Pro prio della condizione umana è il perenne stato di precarietà della vita; ma la coscienza di que sta precarietà è accompagnata dalla consapevo lezza che una forza più potente vi si può con trapporre. Quando questa situazione di preca rietà aumenta fino a trasformarsi in un incom bente pericolo di morte e quando questa ten 85 fcfEJJ nàfces ANIMA
sione determinata dal pericolo di morte si scio glie, l’uomo grida a quel Dio che è un Dio sal vatore: «egli libera la mia n. da ogni ango scia» (2Sam 4,9; IRe 1,29). L’angoscia della precarietà dell’uomo trova il suo limite nell’agire salvifico di Dio. Ci imbattiamo qui nell’af fermazione più elementare dell’AT sul l’agire efficace di Dio: l’uomo come n. si sente circon dato dall’azione salvifica e protettrice di Dio quando questa «. corre pericolo di morte: « presso di te è nascosta la mia vita » (Sai 57,2); «nell’angoscia tu ti prendi cura della mia n. » (Sai 31,8). Ad un uomo che si trova in una situazione particolare può venir quindi promessa la conservazione della vita, come nelle parole rivolte a Baruc in Ger 45,5: «a tc dono la tua vita come bottino ». In un caso, Is 43,4, la protezione di Dio è diretta alla vita di tutto un popolo: «così darò terre (txt em) per tc c nazioni per la tua vita»; ma qui, come spesso accade nel Deuteroisaia, si parla di Israele come di una persona. b) L’azione di benedizione di Dio sulla n. è menzionata solo raramente, p.e. in Sai 23,3 « egli ristora la mia anima » (Lutero) o « egli appaga il mio desiderio» (Bibbia di Zurigo). Tuttavia nafsl «la mia anima» può essere in tesa nel parallelismo come sinonimo del suffis so precedente «m e»; il senso sarebbe allora semplicemente: « egli mi ristora » (espressioni simili in Sai 86,4a; 44,19; 138,3). Al contesto dell’azione protettrice di Dio deve essere ascritta anche la frase, che ricorre formulata così una sola volta, di Ez 18,4: « tutte le anime sono mie» (Zimmerli, BK XIII, 391, traduce: «tutte le persone mi appartengono» e sottoli nea a p. 403 che questa affermazione di poten za significa: « Qui la vita è protetta »). In un testo, Ger 38,16, che è una formula di giuramento, si parla della creazione della n da parte di Dio (« come è vero che vive Jahwe, chc ci ha creato questa nostra anima »). Cfr, anche Is 57,16 «le anime che io ho creato» (con ogg. nesàmòt, -*ruah III/8). c) Tuttavia proprio l’affermazione di Ez 18,4 implica che Dio può anche togliere la vita. A questo proposito si deve notare però che que sta espressione non è diventata designazione comune per la morte dell’uomo. Che Dio salvi, custodisca, conservi la vita è affermazione mol to frequente e sottolineata nell’AT, ma ad essa non corrisponde analoga espressione secondo cui Dio toglie, spegne, annienta la vita. Questo non viene mai affermato in senso generale, ma soltanto in casi ben determinati e raramente. Se Dio esige la vita di un uomo (Gen 9,5), è solo perché la vita di quest’uomo è perduta a causa di un assassinio (cosi anche Giob 27,8). Dio punisce l’empio togliendogli la vita (Lev 26,16; Deut 28,65; ISam 25,29). In questo sen so il sofferente può lanciare la sua protesta: 86
«egli distolse la mia vita dalla pace» (Lam 3,17; cfr. Sai 88,15; Giob 27,2). Egli supplica Dio di non strappargli la vita (Sai 26,9; 141,8), o manifesta la sua fiducia: « non abbandonerai la mia vita al mondo degli inferi» (Sai 16,10; cfr. 2Sam 14,14). Un uomo, però, può anche trovarsi nella situazione di pregare Dio perché gli tolga la vita (IRe 19,4; Giona 4,3). A pre scindere dai pochi passi appena citati, non ap paiono altrove espressioni che indichino l’an nientamento della n. come proprio dell’azione di Dio, nonostante l’abbondanza delle parole di punizione, degli annunci di giudizio ecc. La prevalenza assoluta spetta all’azione redentrice e protettrice di Dio sulla n. dell’uomo. 3/ Tra i passi in cui la n. dell’uomo è sogget to e Dio è oggetto, emerge un gruppo in cui la speranza, il desiderio, l’anelito della n. sono in dirizzati a Dio: ls 26,9 « la mia anima anela a te nella notte»; Sai 33,20 « la nostra anima at tende con ansia Jahwe»; 42,2.3; 62,2.6; 63,9; 84,3; 119,20.81; 130,5s.; 143,6; Lam 3,25 (vd. sp. II1/3). Alla base di tutto questo gruppo di passi sta n. con il significato di « brama »: il paragone con il cervo che anela assetato all’ac qua (Sai 42,2) mostra ancora la prossimità a questo significato. Poiché in questi passi (sono tutti passi di salmi) si dice proprio e quasi solo questo della n. dell’uomo in quanto tesa a Dio, che cioè l’oggetto della sua speranza, del suo desiderio, della sua sete è Dio stesso, risulta particolarmente chiaro che n. significa appunto un tendere intenso dell’uomo alla vita. Ciò è dovuto al fatto che per questi uomini Dio è co lui che salva la vita e custodisce la vita (vd. sp. 2). Si avvicina a questo gruppo l’espressione di Sai 25,1 « a te, Jahwe, innalzo l’anima mia» (cfr. Sai 86,4; 143,8). Allo stesso contesto ap partiene anche la formula fissa «effondere il cuore davanti a Jahwe» (ISam 1,15; cfr. Sai 102,1; vd. sp. lll/3c). L’espressione « loda, anima mia, Jahwe » (Sai 103,1.2 ecc., vd. sp. lll/3c) è una formula reto rico-cultuale, in cui n. non ha più alcun signi ficato proprio, ma possiede semplicemente il significato trasposto del pronome personale. L’espressione « amare Dio con tutta l'anima » (Deut 6,5 ecc., vd. sp. lll/3e) è una formula ri flessa. Essa non è intesa nel senso di interiorità o sim.; l’intensità che qui si esprime è invece quella della n., che è già di per sé propria di questo concetto. Confrontando tra loro IV/2 e 1V/3 si ricava un elemento di grande rilievo e ricco di conse guenze: quando si parla dell’azione di Dio sul la n. dell’uomo quest’ultima ha sempre il signi ficato di «vita», quando si parla dell’atteggia mento della n. umana rivolta a Dio, il signifi cato è sempre quello di « anima ». Questo dato che emerge dall’uso teologico conferma il rap porto reciproco dei gruppi semantici individua 87
to sopra (IIL/3.4.), La vita che Dio salva e con serva, ma anche la brama dell’anima che si ri volge a Dio, è la vita nella sua intenzionalità. L’anima intesa come brama tende alla vita. Entrambi i gruppi semantici appartengono al linguaggio dei salmi. Al darsi di Dio corrispon de la dedizione deH’uomo; n. è l’essere stesso dell’uomo in questo scambio reciproco. V/ 1/ L’uso di nàfces nei testi di Qumran corrisponde globalmente a quello dell’AT; compare soltanto come nuova formula qùm hi. ‘al-najìò «obbligarsi a qualcosa » „(CD 16,4 ecc.; H.A.Brongers, Das Wort «N P S » in den Qumranschriften, RQ 15, 1963, 407-415). 2/ La traduzione di nàfces con nei LXX è stata studiata f. gli a, da N.P.Bratsiotis, SVT 15, 1966, 181-228, c D.Lys, VT 16, 1966, 181-228. La traduzione di n. con ^XT) fu considerata quasi unanimemente dagli studiosi dell’AT (al cune opinioni in Bratsiotis, l.c. 58-60) insuffi ciente o addirittura ingannevole, in quanto essa darebbe adito alla « concezione greca dell’ani ma » oppure allo spiritualismo o al dualismo greco. Se però si parte dall’uso linguistico pre platonico di vJ/uxti, questo giudizio appare in fondato, come dimostra Bratsiotis. 11 significato fondamentale di è «respiro»; il termine ricorre spesso con il sign. di « vita » e può in dicare la sede dei desideri, dei sentimenti, e an che il «centro delle espressioni religiose» (l.c. 76); può stare anche per « uomo » o al posto di un pronome. Bratsiotis giunge alla conclusione « che sussiste una sorprendente corrispondenza tra il concetto ebr. di nàfces ed il ... concetto greco di vJjux'H ». Lys sottopone a verifica la traduzione di n. nei LXX. Dei 754 passi dell’AT ebr. circa 680 sono tradotti con tyvxh- L’uso frequente del plurale nei LXX mostra la tendenza all’indivi dualizzazione, cosa che si può riscontrare an che altrove in questa versione. I casi in cui i LXX traducono n. diversamente non lasciano emergere nessun altro termine specifico che possa stare accanto a t|/uxn come traduzione di n,\ le diverse traduzioni divergenti devono esse re sempre spiegate in base al contesto e si ri collegano tutte alle molte sfumature di signifi cato che n. ha in ebr. 11 gruppo più esteso di traduzioni divergenti è dovuto al fatto che nel la traduzione greca viene usato più spesso che in ebr. « uomo » o un pronome (riflessivo). In 62 passi i LXX usano 4'^X'H Per un vocabolo diverso da n. (f. l’a. per lèb «cuore»). Ma pro prio questo mostra che per i LXX i]a>xt] aveva un significato vtrt., più che un senso specificaniente greco. La traduzione vJjvxti viene scelta sempre per il suo significato ebr. «The LXX never goes in thè direction in whìch “soul” tfpil nàfces ANIMA
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would be understood as opposite to “body” (as in Platonic dualism)» (= « 1 LXX non si muo vono mai nelJa direzione in cui “anima” po trebbe essere intesa come opposta a “corpo” (come nel dualismo platonico)») (Lys, l.c. 227). ■ 3/ Per i];uxt) nel NT e nel suo ambiente cfr. A.Dihle - E.Jacob - E.Lohsc - E.Schweizer ecc., art. i.|ajxt), ThW IX, 604-667 (con bibliogr.). Sulla discussione suscitata da E.Fascher, Seele oder Leben?, I960, concernente la traduzione di n. nella Bibbia di Lutero, cfr. soprattutto J.Fichtner, Seele oder Leben in der Bibel, Thz 17, 1961, 305-318.
C. Westermann
nsl hi. SALVARE 1/ La radice nsl si trova con maggior frequen za solo nel semNO. ed in arab.; in ebr. ed in aram. è attestata soprattutto nella coniugazione causativa col sign. di «strappar via, salvare», in arab. nella coniugazione fondamentale « ca der fuori, cader giù » (Wehr 863b). Per attestazioni ulteriori o discutibili di questa radice cfr. Dillmann 698; AHw 755a; UT nr. 1688; LS 443a; inoltre G.R.Driver, FS Baumgartner 1967, 62s. Secondo GB 517s. in ebr. il significato fondamentale è « strappar fuori, tirar fuori » (cfr. sulla stessa linea C.Barth, Die Rrrettung vom Tode in den individuellen Klage - und Dankliedem des AT, 1947, !24s.). Tuttavia, dato che il sign. «strappar fuori» deve ri correre alla costruzione con min « d a » (Sai 86,13; 91,3; 144,7 ecc.), mentre invece il procedimento del lo strappar via o del portar via può essere espresso sia con min (Gen 31,16; Es 18,4; Sai 22,21 ecc.) sia senza (Gen 31,9; Deut 25,11; ISam 30,8 ecc.), si deve supporre come significato di partenza in ebr. « portar via, strappar via », il quale solo mediante la costruzione con min pone in evidenza la dinamica dello strappar fuori (cfr. U.Bergmann, Rettung und Befreiung, Heidelberg 1968 [tesi dattil.], 294s.).
NelI’AT viene usato soprattutto Uhi. (aram. bibl. ha.), talvolta il ni., sporadicamcntc il pi., l’ho, e l’hitp. Come sostantivo si trova solo l’a stratto, derivato dall’hi., ha&àlà «salvezza», formatosi per influsso delFaram. (Est 4,14; vd. st. 3). Nell’AT non si trovano nomi di persona formati con n$I\ cfr. tuttavia Hsljhw nell’ostraco di Lachis nr. 1, r. 1. 2/ nsl hi. si trova 19lx in ebr. (concentrato 27x in 2Re 18-19 par. Is 36-37 par. 2Cron 32; altrimenti con distribuzione più regolare; Sai 43x, Is 20x, ISam 17x, Ez 14x, 2Re 12x, Es I lx, Prov lOx) e 3x in aram. (ha. Dan 3,29; 6,15.28). Soggetto è in circa 120 casi la divini tà (2Rc 18-19 par. sempre tranne 18,29 = Is 89 ^50 nsl hi. SALVARE
36,14; nei salmi 38x sul totale di 43x), in circa 60 casi l’uomo, talvolta anche cose (argento e oro Ez 7,19; Sof 1,18; ricino Giona 4,6; giusti zia/sapienza Ez 33,12; Prov 2,12.16; 10,2; 11,4.6; 12,6). Come oggetto si trova circa 75x il popolo, circa 75x un singolo (di cui 36x in Sai), circa 15x cose (possesso Gen 31,9.16; ter ritorio, città Giud 11,26; preda Is 5,29, ecc.). nsl ni. è attestato 15x, pi. 4x, ho. 2x e hitp. lx; inoltre 1x hassùlà. 3/ a) nsl hi. indica il portar via o il liberare da una qualsiasi situazione in cui uno è tratte nuto. Il significato fondamentale «strappar via, portar via » è usato abbastanza spesso (cosi an che Deut 32,9 e Is 43,13) e si ritrova fino in epoca tardiva (Sai 119,43). Uno strappar via in favore dell’oggetto conduce al sign. « salvare » (cfr. Deut 25,11; ISam 30,8.18). In molti casi si sente ancora chiaramente il sign. «strappar via» (cfr. ISam 30,18); questa specifica riso nanza, tuttavia, può anche scomparire comple tamente (spesso quando il soggetto è Dio, cfr. ISam 12,21 par. ->j'l hi. «giovare», Is 31,5 par. gnn «proteggere», Sof 1,18 «nel giorno dell’ira », ecc.); si deve intendere in ugual modo anche Es 12,27, dove non è necessario un significato speciale « risparmiare », come indicato talvolta dai dizionari. In epoca tardi va, contrariamente all’accezione specifica «strappar via», si può trovare persino la co struzione con bc « in » , come Giob 5,19 «in sei tribolazioni egli ti salva ». 11 passaggio dal senso specifico a quello comune di «salvare» è fluttuante (cfr. 2Re 18-19). È tipica la fre quente costruzione con min (ca. il5x, di cui circa 70x mijjad o miklcaf « dalla mano/pote re »); nsl hi. min (o mijjad) « salvare da » (Es 18,4; ISam 4,8 ecc.) è espressione idiomatica. Non vi è nessun legame con una particolare forma o una particolare tradizione. Nel campo semantico del «salvare», mentre -»js ‘ hi. significa l’eliminazione dell’oppressore e mlt/^plt pi. il far fuggire, nsl hi. indica come -+pdh l’allontanarsi dal luogo della tribolazio ne. Diversamente da pdh, in nsl hi. la condi zione di costrizione non è sempre negativa per l’oggetto (p.e. possesso in Gen 31,9.16). Si devono ancora ricordare come sinonimi nel lin guaggio dei salmi: hls pi. «salvare» (2Sam 22,20 = Sai 18,20; Sai 6,5; 34,8; 50,15; 81,8; 91,15; 116,8; 119,153; 140,2; Giob 36,15; cfr. Jenni, HP 138) e psh nel significato « liberare », preso daU’aram. (Sai 144,7.10.11; cfr. Wagner, nr. 321); per il campo se mantico cfr. anche Barth, l.c. 124-140; J.Sawyer, VT 15, 1965, 479s.; id. Semantics in Biblical Research, 1972; -tjs" hi., ~*pll.
b) nsl ni. equivale in senso tollerativo passivo ad «essere salvato», e talvolta in senso riflessi vo a «salvarsi» (Deut 23,16; Ab 2,9; Sai 33,16); anche qui si percepisce chiaramente la 90
risonanza dello strappar via (Prov 6,3-5), fatto che in Am 3,12 rende possibile una mordace ironìa. nsl pi. spazia dal sign. di « impadronirsi » a quello di «saccheggiare, derubare» (Es 3,22; 12,36; 2Cron 20,25); in Ez 14,14 significa «salvare», ma lo si deve leggere all’hi. come in v. 20. Il part. ho. si trova due volte per indicare il pezzo di legno tolto dal fuoco (Am 4,11; Zac 3,2). nsl hitp. in Es 33,6 significa certamente «strapparsi di dosso, liberarsi di una cosa», ma il contesto non è del tutto chiaro. c) Il fatto che non sia attestato nessun sostanti vo all’infuori di Est 4,14 si deve probabilmente al lungo permanere del sign. «strappar via»; inoltre, non c’è un ambito specifico di applica zione che avrebbe potuto dar adito alla forma zione di sostantivi (come invece p. e. l’ambito della guerra per js ‘ hi.). 4/ L’uso di nsl hi. con soggetto Dio si fonda sull’esperienza e sull’attesa di Israele che Jah we liberi in vario modo il popolo e il singolo dalla tribolazione e li salvi quando sono in pe ricolo. Di questo si racconta (Es 18,4ss. Sai 18,18; 34,5; 56,14), di questo si fa memoria (Giud 6,9; ISam 10,18; 2Sam 12,7); questo viene annunciato (Es 3,8; 6,6; ISam 7,3; Ger 39,17), per questo si supplica Jahwe (Gen 32,12; Sai 7,2; 31,16 ecc.), a questo ci si ab bandona con fiducia (2Re 18-19), o ci si la menta che Jahwe non ha salvato il suo popolo (Es 5,23). In tutte queste espressioni, però, nsl hi. non diventa mai uno specifico concetto teo logico; non lo si può neppure definire « termi ne tecnico per la liberazione di Israele dall’E gitto», nonostante Es 3,8; 5,23; 6,6; I8,4ss.; Giud 6,9; ISam 10,18 ecc. (diversamente J.J.Stamm, Erlòsen und Vergeben im AT, 1940, 18, ripreso in Barth, l.c. 125). È un ter mine tra tanti altri per esprimere l’azione sal vifica di Jahwe (cfr. l’enumerazione in Barth, l.c. I24ss.). Si può tuttavia supporre che il sign. comune di «salvare» sia stato favorito dall’uso con Dio come soggetto. Dato il suo ambito di impiego generale (situazione di co strizione di qualsiasi tipo), n$l hi. viene anche usato per indicare la salvezza divina da qual siasi genere di tribolazione (Es 18,8 tormento; ISam 17,37 fauci del leone; Ez 34,12 disper sione; Sai 22,9 e 109,21 malattia?; Sai 39,9 e 40,14 peccato?). Jahwe salva appunto «da tut te le afflizioni e le tribolazioni» (Sai 34,18.20). Che in questi casi predomini la salvezza da tormenti causati da uomini non proviene dal significato proprio di nsl hi., ma dal tipo di materiale che la tradizione vtrt. contiene. 5/ I LXX traducono per Io più con pùecrthxi (circa 85x) e è^aipetv (circa 75x), il che corri 91
sponde ai significati di « strappar via » e « sal vare». Nel NT ambedue i vocaboli vengono usati di rado, puecrftai però in una locuzione vtrt. (« dal maligno ») che si trova nella pre ghiera del Padre nostro in Mt 6,13 (cfr. W. Kasch. art. póo^uxi, ThW VI,999-1004 (= GLNT XI, 1003-1018). Nel tardo giudaismo nsl hi. viene usato soprattutto per la salvezza che proviene dall’uomo, mentre per quella che viene da Dio si usa js ‘ hi. (W.Foerster, ThW VII 987).
U.Bergmann
“133 nsr SORVEGLIARE 1/ La radice nsr (con originaria interdentaie enfatica; acc., ebr., et. >s, aram. >/, arab. >z) appartiene al semitico comune (Bergstr. Einf. 189) e ha in generale il sign. di «sorvegliare, custodire» (cfr. AHw 755s.; WUS nr. 1811; UT nr. 1670; DISO 178.185), nel sem. meri dionale il sign. di «considerare» (Wehr, 866s.; Dillmann 701 s.; per tutto questo cfr. la tesi di dottorato di W.J.Odendaal, 1966, citata in Bibl. 48, 1967, 335* nr. 4689). In ebr. il verbo è attestato solo al qal. Si discu te se nesùrlm in ls 65,4 debba essere inteso come sostantivo (KBL 629b: «capanne di guardia? »); nel caso che non fosse da intendere come part. pass, sostantivato (p.e. Zorell 530a: « luoghi nascosti ») o come errore testuale (p.e. BHS secondo G.: ben sùrìm «tra rupi») ci tro veremmo di fronte all’unica derivazione nomi nale in ebr. (ls 49,6 1 Q; KBL 558a trova anco ra un sost. massàrà «guardia» in ls 29,3 e Nah 2,2). Per Is 1,8; Ger 4,16 e Prov 7,10 cfr. anche la proposta di C.Rabin, Textus 5, 1966, 44-52. * L’AT conosce anche la forma secondaria ntr, con lo stesso significato ed usata raramente (4x in Cant), la quale potrebbe essere stata presa dall’aram. (cfr. Wagner nr. 189/190; aram. bibl. ntr q. «custodire» Dan 7,28); da essa deriva il sostantivo mattàrà «guardia» (I lx in Ger 32-39, inoltre Neem 3,25; 12,39; con il sign. di «meta, bersaglio» ISam 20,20; Giob 16,2; Lam 3,12). Rimane oggetto di discussione se ntr II con il sign. di «adirarsi » (Lev 19,18; dell’ira divina: Ger 3,5.12; Nah 1,2; Sai 103,9) appartenga ad essa (p.e. KBL Suppl. 172a: «custodire (l’ira] », con omissione di ‘a f « ira ») o formi una radice a sé (cosi p.e. O.Ròssler, ZA W 74, 1962, 126).
/2 n$r q. ricorre 62x nell’AT (incl. Ls 49,6 Q; 65,4 txt?; esci. Is 49,8 e Ger 1,5 [->j$r 2|; di cui 24x in Sai, 19x in Prov, 8x in Is, e inoltre Es 34,7; Deut 32,10, 33,9; 2Re 17,9; 18,8; Ger 4,16; 31,6; Ez 6,12; Nah 2,2; Giob 7,20; 27,18), l’aram. ntr q. lx (Dan 7,28); per l’ebr. ntr e mattàrà vd. sp. 1. 123 mr SORVEGLIARE
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3/ Il significato di nsr è chiaro per quanto concerne l’ebr. dell’AT: «proteggere, sorveglia re, custodire»; esso corrisponde largamente a quello di ->smr. Il termine ha valenza concreta quando si tratta di un campo sorvegliato da una capanna (Giob 27,18) o da una solida torre (2Rc 17,9; 18,8; cfr. Ger 31,6); anche degli alberi da frutto si dice che essi necessitano di sorveglianza (Prov 27,18; cfr. ntr in Cant 1,6.6; 8,11.12 per la protezione di una vigna; analogamente forse anche Is 65,4, vd. sp. 1; anche l’ug. conosce questo uso, cfr. 52 [= SS], 68 ecc.; testo e/o si gnificato sono incerti in Is 1,8; Ger 4,16; Nah 2,2). Più frequente è l’impiego figurato o tra slato: protezione dalla spada e dalla peste (Ez 6.12); una notizia custodita non è ancora ma nifesta e quindi nascosta (Is 48,6). Nella lette ratura sapienziale intelletto e discernimento proteggono dal male (Prov 2,11; 4,6; 13,3.6; 16,17; 20,28). Possono venire accettati e custo diti degli insegnamenti (Prov 3,1.21; 4,13; 5,2; 6,20); così resta custodito il cuore (Prov 4,23), che però può anche rimanere custodito, cioè nascosto in una cattiva intenzione, ed essere quindi perfido (Prov 7,10). Daniele custodisce la parola che gli è stata comunicata (Dan 7,28; cfr. Maria in Le 2,19). Nelle lettere acc. e ug. all’inizio si auspica spesso la protezione degli dei (cfr. B.Hartmann, FS Baumgnrfner 1967, 102-105; S.E.Loewenstamm, BASOR 194, 1969, 52-54; A.F.Rainey, UF 3, 1971, I57s.). Nelle iscrizioni anticoaram. di Sfire nsr esprime la necessi tà di mantenere accordi e patti (K A I nr. 222, B, 8 e C, 15.17; Fitzmyer, Sef. 61.75).
4/ In ambito religioso il verbo, come -*smr, viene usato molto frequentemente per esprime re la cura di Dio per il suo popolo (Deut 32,10 «come la sua pupilla»; Is 27,3.3; 49,6; Sai 12,8; Prov 24,12) e per il singolo (Es 34,7; Is 42,6 servo di Jahwe; Sai 31,24; 32,7; 40,12; 64,2; 140,2.5; Prov 2,8). Egli protegge la pace (Is 26,3) e il (buon) discernimento (Prov 22.12). In Giobbe (7,20) l’espressione «tu pro tettore degli uomini » è un riconoscimento del la inviolabile potenza di Dio. Metaforicamente anche innocenza ed onestà (Sai 25,21), grazia e fedeltà (Sai 61,8) possono proteggere l’uomo pio. E invece compito delPuomo pio custodire le parole e i comandamenti di Dio e mantener li o osservarli (Sai 78,7; 105,45; 119, 2.22.33.34.56.69.100.115.129.145; Prov 23,26; 28,7). I leviti custodiscono l’alleanza (Deut 33,9), ed altrettanto fanno tutti gli uomini pii (Sai 25,10). Bisogna custodire la lingua da cat tivi discorsi (Sai 34,14), e per questo si può an che pregare Dio (Sai 141,3). 5/ Nei testi di Qumran il verbo nsr non è atte stato, mentre ntr Io è solo nel sign. di « adirar 93
npj nqh ni. ESSERE INNOCENTE
si» (Kuhn, Konk. 143). I LX X traducono nsr prevalentemente con (Sux)TrpELv e (&ira,)cpuX.àcrcteiv. Quando non si tratta dell’osservanza dei comandamenti di Dio preferiscono (Ih^tixeìv. Per il NT cfr. H.Riesenfeld, art. Tripla), ThW Vili, 139-151.
G.Sauer
Ìlp2 nqh ni. ESSERE INNOCEN TE 1/ la radice nqh (*nqj) è attestata solo in ebr. (anche extrabiblico secondo F.M.Cross, FS Glueck 1970, 302.306 n. 16) con il significato di « essere esente, libero da colpa »; però, con il sign. variato di «essere puro, pulito, senza macchia», anche in aram. (DISO 186; KBL 1101) e in arab. (Wehr 885s.). Nell’AT la radice c attcstata in ni. «essere esente (da qualcosa), rimanere impunito » (una volta inf. assol. qal unito al ni. in Ger 49,12), in pi. «lasciare impunito», nelFagg., usato spesso come sostantivo, nàqi « senza colpa, in nocente » (aram. bibl. neqè « puro » Dan 7,9) e nel sost. niqqùjón « innocenza, purezza ». Non è impossibile che si debba far derivare dalla stessa radice il sost. menaqqìt «pate ra» (Es 25,29; 37,16; Num 4,7; Ger 52,19), per lo meno se si accet ta come significato originario della radice «vuotare» o « essere svuotato » (GB 520a). In questo caso anche l’acc. naqù «libare, sacrificare» con i suoi derivati (AHw 744s.) ed il sir. nq pa. «sacrificare» (LS 444b), ripreso da esso, sarebbero da ricondurre alla stessa radice, come pure l’arab. nq' «prendere il m i dollo da un osso » e nqj « essere puro ». La radice non compare nei testi ug. finora pubblicati.
2/ Statistica: qal lx (inf. assol.), ni. 25x (Prov 7x, Ger 6x, Num 3x, Gen 2x), pi. 18x (Ger 4x, Es 3x), di cui 5x inf. assol.; il verbo in totale 44x. L’agg. nàqi 43x (Deut, Ger e Giob 6x cia scuno, Sai 5x, Gios e 2Re 3x ciascuno), di cui 8x plur. e 21x in unione con ->dàm «san gue»; aram. bibl. neqè lx (Dan 7,9 «puro come lana »); il sost. niqqàjòn 5x. La radice non compare f. l’a. in Lev, Ez e nell’opera del Cronista. 3/ Se la supposizione di un significato fonda mentale «svuotare» o sim. è esatta, allora si deve dire che nell’AT esso si è sviluppato in bonam e in malam partem. In senso sfavorevo le (raro) nqh ni. si trova in ls 3,26; la città di Gerusalemme rappresentata come una donna addolorata siederà per terra, « privata » degli uomini (KBL 632b) o dei figli (Wildberger, BK X, 148); cfr. in Am 4,6 niqjòn sìnnàjim « denti inoperosi », cioè privati del cibo (par. « man canza di pane »). 94
Forse anche il senso di nqh pi. in Gioe 4,21 è sfavorevole: « ed io verserò il loro sangue che (finora) non ho versato» (G.R.Driver, JThSt 39, 1938, 402), a meno che non si vo glia considerare v. 21a come una domanda («ed io dovrei lasciare impunito il loro as sassinio?», W. Rudolph, FS Baumgartner 1967, 250) o come glossa riferentesi all’inno cenza di Giuda (v. 19; Wolff, BK XIV/2, 88.102). In ogni caso, non si deve modificare in niqqamtì (contro BH3, BHS e KBL 632b), una lettura che non si può presupporre in base ai LXX. Negli altri passi si tratta sempre di un risultato favorevole, nqh ni. (o hjh nàqì) min esprime il fatto che si viene dispensati da un impegno preso sotto giuramento (Gen 24,8; Gios 2,17.20), da una maledizione che accompagna il giuramento (Gen 24,41), dalla forza di male dizione dell’acqua dell’ordalia (Num 5,19.28) o dalla sequenza «colpa-pena» inerente ad una mancanza (Num 5,31). Quest’ultimo significato è anche quello di Giud 15,3, benché qui l’idea «colpa-pena» sia solo implicita in mippelistim « da parte dei filistei ». Negli altri passi manca l’accenno diretto alla cosa dalla quale si viene (o si è) esentati, ed a decidere è il contesto: ad esempio hjh nàqì in Deut 24,5 significa per chi si è appena sposato: « essere esentato dai suoi obblighi militari e si mili » (cfr. IRe 15,22), e in Gen 44,10 «resta re libero» in contrapposizione a «diventare schiavo » (termine tecnico di significato affine è hofsi « libero, rilasciato» che nell’AT ricorre I7x: nelle leggi sugli schiavi Es 21,2.5.26.27; Deut 15,12.13.18 e nella loro applicazione Ger 34,9.10.11.14.16.; inoltre ISam 17,25 «esente da imposte»; Is 58,6 gli oppressi; Sai 88,6 txt?, cfr. P.Grelot, VT 14, 1964, 256-263; Giob 3,19 « il servo è libero dal suo padrone» nella morte; 39,5 metaforicamente dell’asino selvati co; hps pu. «essere rilasciato» Lev 19,20; hujsà «rilascio» Lev 19,20; per bèt hakojsit 2Re 15,5 = 2Cron 26,21 cfr. J.A.Montgomery - H.S.Gehman, The Books of Kings, 1951, 448.454; J.Gray, I & Il Kings, 1963, 560s.; su tutta la questione cfr. De Vaux I, 137s. 334 [= ital. 95s.507] con bibliogr.). Negli altri casi è di solito la versione « restare impunito » che rende il senso di nqh ni. (Prov 6,29; 19,5.9; 28,20), particolarmente nelle nor me casistiche del codice dell’alleanza (Es 21,19; cfr. nàqì nella frase nominale di 21,28), e quello di (hjh) nàqì (Num 32,22; Gios 2,19; in 2Sam 14,9 «essere senza colpa »).
22.17) sia contro altri popoli (Gioe 4,19 contro l’Egitto e Edom, che « hanno versato il sangue innocente» dei Giudei), nell’ammonimento « non versate sangue innocente » (Ger 22,3 cfr. la forma ipotetica in Ger 7,6), e nella minaccia « se mi uccidete, fate ricadere su di voi sangue innocente » (Ger 26,15). Non risulta sempre chiaro chi sia in effetti l’in nocente che viene minacciato od ucciso. Si può trattare di uno che ha ucciso inavvertitamente ed ora viene perseguitato dal vendicatore del sangue (Deut 19,10), oppure di un uomo mi nacciato da gelosia personale o da sentimenti di odio (Davide in ISam 19,5; Geremia in Ger 26,15). Si può trattare anche di bambini im molati nel culto idolatrico (Sai 106,38 e forse anche in 2Re 21,16; 24,4; Ger 19,4; cfr. v. 5); per lo più, tuttavia, le vittime dell’ingiustizia violenta della società isr. sono i poveri di Israele (Deut 27,25; ls 59,7; Ger 2,34 ‘abjòriim\ 7,6; 22.3.17). Spargere sangue innocente procura dàmìn «reato di sangue» non solo all’assassi no (Deut 19,10) ma anche a tutta la sua fami glia (2Sam 14,9), e persino a tutto il paese (Sai 106,38) e a tutto il popolo, particolarmente se a spargere il sangue è stato uno sconosciuto (Deut 21,8) o il re (Manasse 2Re 24,3s.). Per questo il « sangue innocente » con la sua forza efficace deve essere eliminato da Israele (Deut 19,13).
I termini paralleli di questa accezione sono: mit ni. « sfuggire » (Prov-19,5) e rab bcràkàl « ricco di bene dizioni » (Prov 28,20); come opposti si hanno le espressioni che annunciano il sopraggiungere della punizione (Num 32,22s.; Gios 2,19; 2Sam 14,9), op pure bd «andare in rovina» (Prov 19,9).
Termini paralleli di nàql sono qui; saddìq « giu sto »(E s 23,7; Sai 94,21; Giob 17,8s.; 22,19; 27,17), jàsàr «onesto» (Giob 4,7; 17,8), tàm «innocente» (Giob 9,22s.), 'ànl «po vero» (Sai 10,8 s.); termini opposti sono: rasa' «colpevole» (Es 23,7; Giob 9,22s.; 22,18s.; 27,13.17) e hànèf « in iq u o » (Giob 17,8).
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Quando nàql non funge da predicato di una frase nominale, ha spesso sign. di sostantivo « l ’innocente, colui che è senza colpa». La convinzione di certi circoli sapienziali che un tale « innocente » non potesse andare in rovina (Giob 4,7) e dovesse perfino «aver parte all’ar gento del malvagio» (Giob 27,17), fu smentita dalla dura realtà della società israelitica. Il nàql appare ripetutamente come vittima di una corruzione rivolta contro di lui (Sai 15,5) o come l’innocente la cui vita viene minacciata senza motivo dai « peccatori » o dal « malva gio» (Prov 1,11 e Sai 10,8) e perciò deve esse re protetto attraverso la legge (Es 23,7). Si parla del dam hannàqì «sangue dell’inno cente» (Deut 19,13; 2Re 24,4) o (per lo più) del dàm nàqì « sangue innocente » quando persone innocenti vengono minacciate di om i cidio o di assassinio intenzionale (Deut 19,10; 27,25; ISam 19,5) oppure sono già state uccise (Deut 19,13; 2Re 21,16; 24,4; Giona 1,14). Questa espressione, specialmente in Geremia, si trova spesso nell’accusa profetica sia contro i propri connazionali (Ger 2,34; 19,4; cfr. Is 59,7; Sai 94,21; 106,38; contro loiakim Ger
HpJ nqh ni. ESSERE INNOCENTE
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Dalle attestazioni, dai termini paralleli e da quelli opposti risulta che nqh nell’AT si am bienta nel linguaggio giuridico e indica l’essere esente da obbligo etico-(sociale), da punizione o da colpa. Benché alcune volte si trovi in con testo cultuale (nqh ni. nel rituale dell’ordalia, Num 5; nàm nàql nel rituale di espiazione di un assassinio compiuto da mano ignota, Deut 21,85.), il termine non ha neppure in questi casi un senso levitico-cultuale come p.e. ~*thr «essere puro». Non è certo un caso che nqh non ricorra mai in Lev. Per niqqàjòn si ha un senso vicino a quello cultuale-rituale in Sai 26,6 (par. girare attorno all’altare; un lavarsi simbolicamente le mani?, così I.L.Seeligmann, FS Baumgartner, 1967, 258; oppure «con ac qua pura»?, cfr. Es 30,l7ss., così N.Ridderbos, GThT 50, 1950, 92) e in Sai 73,13; secondo Seeligmann, l.c., un tale senso si avrebbe anche per neqì kappàjim « chi ha mani pure » in Sai 24,4, dove il contesto è sì cultuale (v. 3), ma il concetto è etico (par. « cuore puro »; concetti opposti «inganno» e «falso giuramento»); senso etico ha pure bvniqjòn kappaj « con mani pure» (par. ^addlq v. 4). Incerto è Os 8,5 dove niqqàjòn è in contrapposizione all’idola tria. 4/ Quando nqh ni. (opp. nàql in frase nomi nale) significa « rimanere impunito », la deci sione di condanna/assoluzione e l’esecuzione della pena sono considerate compito del tribu nale (Es 21), oppure vengono collocate nel l’ambito di una realtà nella quale un’azione porta con sé la propria conseguenza (Num 5,31; 32,22s.; Gios 2,19), anche se per l’AT Jahwe può intervenire (Num 32,22s.), come avviene anche nel caso della liberazione da una maledizione pronunciata nel nome di Jah we. Più spesso il restare impuniti è presentato chiaramente come una cosa che è in relazione con Jahwe (ISam 26,9; 2Sam 3,28 nàql tnè'im Jhwh « innocente davanti a Jahwe »; Prov 16,5; 11,21 « il cattivo non resta impunito», par. «un orrore per Jahwe» v. 20; 17,5), so prattutto nel giudizio di Dio pronunciato dai profeti contro Giuda (Ger 2,35), contro ladri e spergiuri (Zac 5,3), o contro le nazioni (Ger 25,29; 49,12), e nella preghiera (Sai 19,14). Con nqh pi. «lasciare impunito» è sempre Jahwe colui al quale viene rivolta la supplica «dichiarami libero» (Sai 19,13), o colui che (con un’eccezione, IRe 2,9, in cui è interpella to Salomone) « non lascia impunito » il pecca tore (sempre in frasi negative): a) nel decalogo contro colui che pronuncia invano il nome di Jahwe (Es 20,7; Deut 5,11); b) nella formula w^naqqi lò j enaqqcÈ « ma egli non lascia del tutto impunito » posta in mezzo a una serie di espressioni che attestano anzitutto la bontà di Dio e poi la sua volontà di punire la colpa dei padri (Es 34,7; Num 14,18; cfr. Nah 1,3); c) 97 Opj nqm VENDICARE
nel giudizio divino « non ti lascerò compietamente impunito » par. « ti castigherò » (Ger 30,11; 46,28); d) neH’espressione «tu non mi dichiari libero» (Giob 9,28 par. «sono certa mente colpevole» v. 29; 10,14 «dalla mia col pa »). Anche la protezione del sangue delFinnoccnte ha valore di comandamento di Jahwe (Deut 19,10.13; Ger 22,3; cfr. 7,6); la punizione per sangue innocentemente versato (2Re 24,4; Ger 2,34s.; 19,3s.; 22,17s.; Gioe 4,19; Giona 1,14; Sai 94,2lss.; 106,38ss.; cfr. la maledizione di Deut 27,25) e l’espiazione del sangue innocen te spettano a lui (Deut 21,8s.), poiché egli odia le «m an i» che spargono sangue innocente (Prov 6,17). Invece egli salva lo ls nàql (Giob 22,30, così invece di ’l-nàql) e il nàql si beffa dei «malvagi», che periscono (Giob 22,19), anche se nella disperazione si giunge a dire che Dio uccide anche gli innocenti e si betta della loro disperazione (Giob 9,23). 5/ Nei testi di Qumran nqh ni. ricorre in CD 5,l4s.: «chi si avvicina a loro (se. ai peccatori) non resta impunito ». Nel tardo giudaismo per l’ebr. nqh pi. si trova sia il sign. di « purifica re», sia quello di «lasciare impunito»; per nàql oltre ad « esente, innocente, puro » è atte stato anche il sign. sir. di « giovane agnello » (Jastrow 932). Nei LXX questo gruppo di vocaboli viene tra dotto generalmente con àfrùoq/ó&tooOv. Nel NT si trova un chiaro riferimento al vtrt. nàql solo nell’espressione aipa gmì, -»■slm (pi.), -+pqd e anche di ->sùb (hi.). 4/ Una distinzione rigorosa tra l’impiego reli gioso e quello profano di nqm non è possibile, in quanto anche per la vendetta umana, sia realizzata che desiderata, ci si riferisce sempre all’autorizzazione o alla concessione divina (cfr. p.e. Num 31,2 ordine a Mosè; Giud 11,36 ‘i/i neqàmòl «concedere vendetta»; 2Sam 4,8; 22,48 = Sai 18,48). Il discorso sull’intervento di Dio che punisce deve essere inteso in modo analogo alle affermazioni sull’ira divina (-»’af 4b; sul come il problema è stato trattato nella storia delfesegesi cfr. G.Sauer, Die strafende Vergeltung Gottes in den Psalmen, 1961, 9 51). Dio punisce in primo luogo la trasgressio ne dell’alleanza da parte del suo popolo (Lev 26,25; Is 1,24, cfr. ->nhm 3c; Ger 5,9.29; 9,8; Ez 24,8), ma si vendica anche contro ogni mancanza del singolo (Sai 99,8). Egli vendica il sangue dei suoi profeti (2Re 9,7). Punisce però anche i nemici di Israele e vendica così il suo popolo (Num 31,3; Deut 32,35.41.43, cfr. Rom 12,19; Ebr. 10,30), questo soprattutto nei profeti esilici e postesilici (Is 34,8; 35,4; 47,3; 59,17; Ger 46,10; 50,15.28; 51,6.11.36; Ez 25,14.17; Gioe 4,21 txt em; Mi 5,14; Sai 149,7). Lo jòm nàqàm/neqàmà «giorno della vendetta» (Is 34,8; Ger 46,10; 4b) signi fica consolazione per il popolo afflitto (ls 61,2; 63,4). Si intravede ancora talvolta che a questo modo deve essere ristabilita l’antica situazione legale. Spesso Dio viene supplicato da singoli uomini a fare vendetta (Giud 16,28; Ger 11,20; 15,15; 20,12; Sai 79,10); essa trattiene l’uomo dal do Dp3 nqm VENDICARE 100
ver esercitare egli stesso la ritorsione (ISam 24,13), ed è motivo di gioia per il giusto (Sai 58,11). Dietro tutti questi atteggiamenti c’è lo zelo di Dio (->>qri) intorno e a favore del suo popolo (Nah 1,2 nòqèm «vendicatore»; Sai 94,1 'èl neqàmòt « Dio della vendetta » nel gri do di appello a Jahwe giudice, cfr. Kraus, BK XV, 654).
5/ 1 testi di Qumran, conformemente alla tendenza separatista della comunità, conoscono un uso copioso del vocabolo, soprattutto in re lazione all’ira divina che compie con la spada vendicatrice la vendetta dell’alleanza (CD 19,13 ecc.; cfr. Kuhn, Konk. 146). I LXX tra ducono per lo più con ék5i,xeìv ed i suoi deri vati. Per la prospettiva del NT cfr. F.Biichsel, art. àn:o5i5io(ju, ThW II, 170s. (= GLNT II, 1176ss.); G.Schrenk, art. èxSlxéw, ThW 11, 440-444 (= GLNT III, 305-316); H.Preisker E.Wurthwein, art. fxur&óg, ThW IV, 699-736 (= GLNT VII, 353-444).
G.Sauer
NÈH n i' A L ZA R E , P O R T A R E 1/ Il verbo ni'appartiene al semitico comune (Bergstr. Einf. 187; nel tardo aram. viene sop piantato da altri verbi, KBL llO lb) ed è atte stato ampiamente nei testi del periodo vetero testamentario (AHw 762-765; Huffmon 239s.; WUS nr. 1859; UT nr. 1709; DISO 169.186s.); il significato è sempre «alzare, portare, portar via» (arab. ns’ intransitivo «elevarsi», Wehr 856b; cfr. L.Kopf, VT 8, 1958, 186s.). Nell’AT si trovano in ebr. tutte le coniugazioni verbali ad eccezione del pu. e delTho., in aram. si hanno solo qal e hitp. Le forme nominali frequenti sono nasi 1 «principe», massa’ «peso» e « (l’alzare la voce =) detto», mas’èt « elevazione» (Ger 6,1 « segnale di fumo », cfr. Giud 20,38.40 e l’ostraco di Lachis, KAI nr. 194,r. 10) e «tributo»; più rare sono masso’ «considerazione (del volto)» (2Cron 19,7), massà’à «elevazione» (Is 30,27), nes l’ìm «nubi, banchi di nebbia» (Ger 10,13 = 51,16; Sai 135,7; Prov 25,14; cfr. R.B.Y. Scott, ZAW 64, 1952, 25), se’èl «altezza» e «gonfiore del la pelle, macchia della pelle», s ì’ «altezza» (Giob 20,6; diversamente C. Rabin, Scripta Hìerosolymitana 8, 1961, 399). Incerto dal lato testuale e grammaticale è mas’òt di Ez 17,9. 2/ Nell’AT il verbo compare 654x (inoltre 3x in aram.: qal 2x, hitp. lx): qal 597x (incl. Is 46,1 n?suòl\ Ez 8,3, in Lis. sotto ni.; esci. Gen 4,7 se’èt\ Ez 17,9 maé’òt; in Mand. manca Esd 10,44Q), ni. 33x (incl. 2Sam 19,43 nissè’t), pi. 101 K5W ns’ ALZARE, PORTARE
12x, hitp. lOx, hi. 2x. Il qal è molto frequente in Ez (68x, poi Gen 46x, Sai 45x, Num e ls 44x ciascuno, Es e ISam 32x ciascuno, Giob 28x), il ni. in Is (14x, Ez 5x). Le occorrenze dei nomi sono così distribuite: nasi' «principe» 130x (Num 62x, Ez 37x [in Lis. manca Ez 12,12], Gios 13x), nesVlm «nub i» 4x, massa’ «peso» 45x (Ger 12x, Num 11x), massa ’ « detto » 21 x (Is 11x), mas so’ lx, maÉàaà lx, mas’èt 16x (incl. Ez 17,9), se’èt 14x (di cui 7x con il sign. di «macchia della pelle» in Le\4‘l 3-14), § ìJ lx. 3/ a) Il significato fondamentale tipico della radice, « alzare, portare », è ben attestato al qal: la gente innalza un’insegna (militare) (Ger 4,6; 50,2 ecc.), l’acqua che cresce solleva una nave (Gen 7,17), ecc. In Sai 102,11 il suo con trario è ->slk hi. «far cadere», ns’ pare aver assunto un significato tecnico particolare in rapporto con la pesatura (Giob 6,2 ns3 bemòzendjim «alzare sulla bilancia», par. sql « pesare ». Anche nell’accezione « portare » compaiono i più svariati soggetti e oggetti: la gente innalza un idolo (Am 5,26; cfr. Is 46,1 n^suòt), gli alberi portano frutti (Ez 17,8), ecc. Espressioni parallele sono sbl «portare» (Is 46,4.4.7;53,4; altrove ancora Gen 49,15; Is 53,11; Lam 5,7; pu. Sai 144,7; hitp. Eccle 12,5 « trascinarsi »; inoltre le derivazioni sèbcel/siblà/sòbcel « corvée », [cfr. anche T.N.D, Mettinger, Solomonic State Officials, 1971, 137-1391, sabbài «portatore» par. nòSè’ IRe 5,29, cfr. Noth, BK IX,87; non è chiaro l’aram. sbl po. in Esd 6,3; per zbl vd. st. 3e) e 'ms «alzare, portare, caricare» (Is 46,1.3; Neem 4,11; altrove ancora Gen 44,13; Zac 12,3; Sai 68,20; Neem 13,15; hi. «caricare» ÌRe 12,11 = 2Cron 10,11; ‘àbcun ma‘amàsà « pietra da carico » Zac 12,3). Tra le voci affini per significato cfr. anche riti 4 . «im porre» (2Sam 24,12; Lam 3,28) e «pesare» (Is 40,15), aram. q. «alzare» (Dan 4,31; 7,4), .pi. «alza re» (Is 63,9 par. ns’ pi.), nàti! «pesatore» (Sof 1,11) e néteel « peso » (Prov 27,3); un po’ diverso è il valo re di jbl hi. « portare» (7x, aram.ha.3x; ho.pass. 1 lx; f b ù l «raccolto» 13x; jàbàl [Is 30,25; 44,4) e jlibai [Ger 17,8] «fosso d’acqua »). Incerta è la derivazione di kenà'à opp. kin'à «carico, fastello» in Ger 10,17. In Sai 31,12 G.R.Driver, JThSt 32, 1931, 256, ipo tizza un sost. ma ’ód « peso » (KBL 489a) invece di
me’òd.
Con particolare frequenza si ha come oggetto nell’AT l’arca di Dio (Gios 3,3ss.; 2Sam 6,3s.l3 ecc.). Le espressioni indicanti «porta tore di armi/scudo» sono formate con il part. nòsè’ e l’oggetto corrispondente (Giud 9,54; .ISam 14,lss. ecc.; ISam 17,7.41 ecc.). Dal sign. « portare » deriva la sfumatura « portar via » (2Sam 5,21 ecc.; spesso con il sogg. -^ rifh «vento» opp. «spirito di Dio», IRe 18,12; 2Re 2,16; Is 41,16; 57,13 par. -*lqh «prende 102
re»; Ez 3,12.14; 8,3; I L I .24; 43,5; aram. Dan 2,35; con se‘àrà « uragano » Is 40,24; con qàdim «vento orientale» Giob 27,21, par. i'r pi. « soffiar via »). Con questo valore il verbo è impiegato talvolta nell’espressione « prendere una donna» (Rut 1,4; Esd 9,2.12; 10,44Q; Neem 13,25; 2Cron 11,21; 13,21; 24,3; ->lqh 3d). Il «prendere» può essere qualificato in senso negativo e si avvicina così al sign. di «depredare» (Giud 21,23; ISam 17,34; Cant 5,7; Dan 1,16; in Ez 29,19 vengono usati nel contesto sii e bzz « saccheggiare »). L’espressione ns’ ròs/mispàr (risp. in Es 30,12; Num 1,2.49; 4,2.22; 26,2; 31,26.49 e in Num 3,40; lCron 27,23; sempre in rapporto ad un censimento) ha il sign. di «contare»; essa è dovuta senz’altro all’influsso acc. (cfr. AHw 762s.; F.X.Steinmetzer, OLZ 23, 1920, 153). b) Con il verbo viene molte volte indicato un gesto. Nc risulta perciò di frequente un valore traslato, connotandosi con il verbo l’azione o la cosa espressa dal gesto. L’alzare le mani può essere un gesto ostile (2Sam 20,21); la gestuali tà è usuale in occasione di giuramenti (Es 6,8; Num 14,30; Deut 32,40; Ez 20,5ss.; Sai 106,26 ecc., spesso con una rappresentazione antropo morfica di Jahwe), di preghiere ed implorazio ni (Sai 28,2; 63,5; Lam 2,19 ecc.; in Sai 134,2 è usato in mòdo simile brk pi. «glorificare») e quando si chiama con un cenno (Is 49,22). L’espressione «alzare il capo» è detta di chi è libero, potente, consapevole (Giud 8,28; Zac 2,4; Sai 83,3; Giob 10,15). La formulazione può anche trovarsi al transitivo: qualcuno in nalza un altro, in diverse accezioni (2Re 25,27 = Ger 52,31). In Gen 40,13.19s. la plurivalen za di né’ viene impiegata in un gioco di parole (da un lato ns’ ròs ha il valore qui contempla to, ma può assumere anche il senso di « pren dere la testa = giustiziare »). ns’ pùnìm «sollevare il volto» (cfr. l.L.Seeligmann, FS Baumgartner 1967, 270-272) è anzi tutto espressione di coscienza retta (2Sam 2,22; Giob 11,15; cfr. Gen 4,7 Éc’èt) oppure di un’a spettativa (2Re 9,32; Giob 22,26). Anche que sta formulazione può essere impiegata al tran sitivo; il sign. è quindi «essere favorevole a qualcuno, accondiscendere» (Gen 19,21; 32,21; Giob 42,8.9; espressioni parallele sono hnn «essere benevolo» Deut 28,50; sm‘ beqòl «ascoltare la voce» ISam 25,35; rsh «gradi re» Mal l,8s.; knh pi. «adulare» Giob 32,21; nkr pi. nel senso di «preferire» Giob 34,19; nbl hi. «guardare [amichevolmente]» Lam 4,16). L’espressione può trovarsi in accezione positiva (2Re 3,14 «aver riguardo» e vd.sp.) o negativa («prender partito, essere parziale» Mal 2,9; Sai 82,2; Giob 13,8.10; Prov 6,35; 18,5; par. hdr panim Lev 19,15 «non tratterai con parzialità il povero né userai preferenze verso i potenti »: tutti e due gli atteggiamenti sono considerati dunque ugualmente rischiosi; 103
par. Iqh sòhad « accettare doni di corruzione » in Deut 10,17). Molto frequente è l’espressione nesù’ (part.pass.) fànìm «stimato, considerato» (2Re 5,1 accanto a gàdòl «grande, stimato»; ls 3,3 in un elenco di dignitari; Is 9,14 accanto a zàqèn « [l’]anziano »; Giob 22,8 par. ’ìs zeròa‘ «uomo del braccio = [il] potente»). Il sollevare il volto da parte di Jahwe è segno di salvezza per l’uomo (Num 6,26; Sai 4,7; a Qumran l’immagine è applicata alla benedizio ne o alla maledizione di Dio, 1QS 2,4.9). Un altro gesto è infine evidenziato da ns’ ‘ènàjim « sollevare gli occhi » (molto spesso unito a r ’h «vedere», Gen 13,10.14; 18,2 ecc.; -* ’àjin 3a). L’espressione può anche indicare un particolare moto deU’animo come la passio ne amorosa (Gen 39,7; Ez 23,27), la brama di Jahwe (Sai 121,1; 123,1) o di altre divinità (Ez 18,12). c) ns’ compare spesso nella terminologia tipica del parlare. Ricorre con frequenza particolare ns' qól «alzare la voce» (insieme con bkh «piangere» la locuzione indica un pianto di rotto: Gen 21,16; 27,38; 29,11; Giud 2,4; 21,2; ISam 11,4; 24,17 ecc.; con qr’ «chiamare» Giud 9,7; con $’q « gridare » ls 42,2; con mn q. «giubilare» ls 24,14; pi. 52,8). Altri comple menti diretti con valore acustico sono ad esem pio qlnà « lamentazione » (Ger 7,29; 9,9; Ez 19,1; 27,2.32; 28,12; 32,2; Am 5,1; con nehì Ger 9,9.17), ffillù «preghiera» (2Re 19,4 = Is 37,4; Ger 7,16; 11,14), masàl «proverbio» (Num 23,7.18; 24,3.15.20.21.23; Is 14,4; Mi 2,4; Ab 2,6; Giob 27,1; 29,1), con una figura etimologica massa’ «oracolo» (2Re 9,25, vd.st.4b), inoltre Iwerpà «insulto» in Sai 15,3, sèma ‘ «diceria» in Es 23,1 nonché nÉ’ sèm «pronunciare il nome» (Es 20,7; Deut 5,11; cfr. Sai 16,4; 139,20 txt em; cfr, LJ Stamm, ThR NS 27, 1961, 228s.). A volte può manca re il complemento diretto (locuzioni ellittiche: ls 3,7; 42,2. Il; Giob 21,12). d) Dai gesti e movimenti fisici il verbo passa a designare quelli deH’animo: ns’ ncefces denota quindi « essere rivolto ad una cosa » con diver se sfumature: «desiderare ardentemente» (Deut 24,15; Os 4,8), «dedicarsi con la men te» (Sai 24,4; Prov 19,18), «aver fiducia» (Sai 25,1 s. c 143,8 par. —bth, Sai 86,4). D ’altra parte l’immagine può operare in senso contra rio, in quanto lo stesso organo spirituale spinge l’uomo a qualcosa (detto di Ièb «cuore»: Es 35,21.26 e 36,2 in senso positivo, 2Re 14,10 = 2Cron 25,19 in accezione negativa). e) Dal valore letterale di « portare » deriva quello traslato di «sopportare» (della terra: Gen 13,6; 36,7; Prov 30,21; dell’uomo e di Dio: Deut 1,9; Is 1,14; Ger 44.22; Mi 7,9; Giob 21,3). Per L.Kòhler (ThZ 5, 1949, 395; KBL 250a) in zbl (acc. e arab. « portare ») di KCM ns' ALZARE, PORTARE
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Gen 30,20 abbiamo lo stesso sviluppo da « portare » a « sopportare » (diversamente M.David, VT 1, 1951, 59s.; HAL 252b; M.Held, JAOS 88, 1968, 90-96; M.DietrichO.Loretz,OLZ 62, 1967, 539: «fare un rega lo », cfr. acc. zubullu « regalo di nozze »). 1) L’espressione ns’ 'àwòn/hèt' (di cui tratta diffusamente R.Knierim, Die Hauplbegriffe fur Sunde im AT, 1965, 50-54.144-119.193.202 204.217-222.226; -*ht‘ 3b) rientra nella termi nologia del culto. A partire dai sign. «carica re » e « portare » l’espressione significa da un lato « caricare su di sé il peccato », dall’altro « (dover) portare (la pena della propria) colpa » (Lev 5,1.17; 7,18; 17,16; 19,8.17; 20,17.19.20; 22,9; 24,15; Num 5,31 epe.; Ez 14,10; I8,19s. ecc.). È possibile comunque il ricorso alla so stituzione vicaria effettuata dal sacerdote (Es 28,38), dai figli (Num 14,33), dal profeta (Ez 4,4-6) c infine dal servo di Dio (Is 53,12, par. pg' hi. « prendere il posto di », che sottolinea l’aspetto attivo della sostituzione vicaria del servo di Dio). L’origine di questa terminologia e della relativa concezione è da cercarsi nella dichiarazione cultuale del sacerdote che stabili sce le trasgressioni (cfr. W.Zìmmerli, ZAW 66, 1954, 9-12 = GO 157-161 = Rivelazione di Dio, 1975, 141-145). g) Anche dal sign. «portar via» con il com plemento diretto hèt/'nwDn/pàsa' ha origine un valore traslato: « perdonare (il peccato) » (an che in forma ellittica; cfr. Gen 4,13; 18,24.26; 50,17.17; Es 10,17; 23,21; 32,32; 34,7; Lev 10,17; Num 14,18.19; Gios 24,19; ISam 15,25; 25,28; Is 2,9; 33,24; Os 1,6.6; 14,3; Mi 7,18; Sai 25,18; 32,1.5; 85,3; 99,8; Giob 7,21; cfr. J.J.Stamm, Erlòsen und Vergeben im AT, 1940. 67s.). Le espressioni parallele attestate sono: -+nqh pi. «dichiarare innocente» e ->slh «perdonare» (Num 14,18s.), -+kpr pi. «com piere riti espiatori» (Lev 10,17), ksh pi. pro priamente «coprire» (Sai 85,3; cfr. Sai 32,1), ‘br hi. ‘àwòn « lasciar passare una colpa » (Giob 7,21). Espressioni di tal genere hanno origine nel contesto del lamento che si indiriz za a Dio per chiedere perdono di una colpa (Sai 25,18; 32,1.5; 85,3; cfr. Giob 7,21), in rapporto con la visione sacerdotale del culto (Lev 10,17), con i discorsi parenetici (di origine dtr.: Es 23,21; Num 14,18s.; Gios 24,19), nel l’annuncio profetico di salvezza e di sventura (Is 2,9; 33,24; Os 1,6); dal lato della storia del la teologia c difficile dar un posto preciso alle osservazioni sul « perdono » contenute in Gen 18,24.26 (il brano, come tempo e contenuto, siavvicina al Deut e ad Ez, e difficilmente ap partiene a J; diversamente von Rad I, 407s. = ital. 1, 445s.). Negli inni Dio è chiamato addi rittura ’èl nòie’ « Dio che perdona » (Sai 99,8). h) ns' ni. ha valore riflessivo e passivo. Nella 105 NfrJ n i' ALZARE, PORTARE
visione del carro di Ez le ruote si alzano (Ez 1,19-21), lo stesso si ripete per le porte del tempio (Sai 24,7.9 txt em, sempre in par. con ns’ q.). Il sign. passivo è attestato in ls 40,4 («essere innalzato», contrario spi «essere ab bassato»), in 2Sam 19,43; 2Re 20,17 ecc. (« essere preso, portato via »). In Isaia e negli scritti che ne dipendono è impiegato spesso il part. nìttà’ «elevato» (a volte insieme con -+rùm o -+gbh «essere alto»; Is 2,2.12-14; 6,1; 30,25; 57,7) per descrivere sia il monte (2,2) e il trono di Dio (6,1) sia le potenze in concorrenza con Dio (2,12-14; anche per il ser vo di Dio in Is 52,13 ricorre la medesima ter minologia, ns’ accanto a rum e gbh)\ le stesse espressioni - prive di specifica connotazione teologica - possono servire a descrivere un col le (Is 30,25; 57,7). Alcuni passi parlano dell’« innalzarsi » di Jah we; il loro contesto è quello della teofania (ac canto a qùm: Is 33,10; Sai 7,7; accanto a rum hitpo.: ls 33,10; accanto a jp ' hi.: Sai 94,ls.). In Sai 7,7 e 94,2 si prega perché Dio si manife sti; in Is 33,10 la manifestazione è annunciata nella parola profetica di Jahwe. i) Nel pi. che ha il sign. «alzare, sollevare» i verbi paralleli sono ntl pi. «alzare» e gdl pi. «far grande» (Is 63,9; Est 5,11). L ’hi. è atte stato solo due volte nel sign. «far portare (a uno il proprio peccato)» (Lev 22,16; cfr. a questo proposito anche 1QS 5,14) e «apporta re» (2Sam 17,13 txt?). L’hitp. ha il valore « in nalzarsi » (Num 23,24 par. qùm\ 24,7 par. rum sia in senso proprio che traslato, ed applicato nel primo caso ad un leone, nel secondo ad un regno; in Ez 17,14 il contrario è spi). 4/ a) L’origine e il sign. del termine nasi' sono oggetto di discussione (cfr. f.l’a. M.Noth, Das System der zwòlf Stamine Israels, 1930, 151-162; J. van der Ploeg, RB 57, 1950, 40-61; M.H.Gottstein, VT 3, 1953, 298s.; E.A.Speiser, CBQ 25, 1963, 111-117). M.Noth lo colle ga all’espressione né* qui (vd.sp. 3c) intenden dolo come «portavoce» e mettendolo in rela zione con la supposta anfizionia delle dodici tribù dell’antico Israele. Noth ricorda le varie liste di dodici nes l’lm (Num 1,5-16; 13,4-15; 34,17-28) e rimanda a Gen 25,16 dove si ac cenna ai dodici n^sl’lm degli ismaeliti; anche questi ultimi hanno la funzione di portavoce nell’ambito dcll’anfizionia. Tuttavia sembra più probabile che il sign. « portavoce (dell’al leanza) » non valga per i passi relativamente antichi (Gen 34,2; IRe 11,34; cfr. l’uso che ne fa Ez). È difficile pensare ad un’anfizionia ismaelitica; la tradizione conosceva invece do dici principi ismaeliti (Gen 17,20; 25,16). Come significato fondamentale si potrà ritene re quello di « dignitario, principe ». Il termine sembra essersi formato nel contesto dell’orga nizzazione tribale di Israele (passi più antichi: 106
Es 22,27; IRe 8,1), mentre più tardi passò a designare il capo della comunità nazionale nel la sua accezione religiosa; riflettono questo contesto le sezioni vicine al Codice sacerdotale (attestate in Es, Lev, Num, Gios), che riporta no la cifra di dodici neiì'ìm sottoposti al sacer dozio di Aronne opp. di Mosé (cfr. ad esempio Es 16,22; 34,31; Num 1,16 ecc.), mentre Eze chiele conosce solo un nasi' che esercita il mi nistero sacerdotale nel futuro tempo della sal vezza ed è considerato il legittimo successore cultuale del re israelitico (p.e. Ez 45,7.16s.; 46,8.10.17). b) Il termine m aiià’ «annuncio di sventura» (non deriva da né’ qòl «parlare» [così f. gli a. M.Tsevat, HUCA 29, 1958, 119.130; G.Rinaldi, Bibl 40, 1959, 278s.], ma dal sign. «alza re»; massa’ è il «peso» della sventura, che viene imposto sul destinatario con l’oracolo profetico, cfr. P.A.H. de Bocr, OTS 5, 1948, 197-214; G. Lambert, NRTh 87, 1955, 963 969) è un termine tecnico del linguaggio profe tico. Esso designa normalmente l’oracolo con tro i popoli stranieri (con indicazione dei desti natari: Ts 13,1; 15,1; Nah 1,1; cfr. Is 14,28 ecc.). Tuttavia l’oracolo profetico è designato in questo modo (secondariamente) in maniera del tutto generica (Zac 9,1; 12,1; Mal 1,1; cfr. Ab 1,1: qui massa’ è il contenuto della visione profetica, -*hzh). Si deplorano i falsi oracoli contro i popoli ad opera di profeti malfidi (Lam 2,14). In un solo caso si usa massa' per designare l’oracolo profetico con cui si annun cia un castigo contro una singola persona (2Re 9,25). e) In molti passi attraverso immagini e simili tudini si parla del portatore di Dio nel senso di protezione e custodia. Si trova ni' in relazione all’uscita dall'Egitto e alla traversata del deser to in Es 19,4 «come vi ho portato su ali di aquile» (cfr. Deut 32,11) e Deut 1,31 «dove ti ha portato Jahwe tuo Dio, come un uomo por ta suo figlio». In Is 46,3s. (cfr. Westermann, ATD 19,143-147 = ital. 215-221, che dà come titolo a 46,1-4: « I portati e il portatore») n i’ sta con 'ms e sbl (vd.sp. 3a): «Ascoltatemi, casa di Giacobbe... voi portati da me fin dal seno materno, sorretti fin dal grembo materno: sino alla vostra vecchiaia io sarò sempre lo stesso, io vi porterò fino alla canizie». Il n i’ di Sai 91,12 è riferito agli angeli; in Is 63,9 n i’ pi. sta accanto a n\l pi. (cfr. ancora jb l hi. in Ger 31,9). Troviamo inoltre 'ms «portare» in Sai 68,20: « Ci porta il Dio che è il nostro aiuto ». Le concezioni e le immagini della protezione di Dio, che qui si esprimono, sono anche alla base dei nomi propri teofori formati con i ver bi che denotano portare; nell’AT cfr. 'amasjà (2Cron 17,16) e le forme brevi 'amàià, ‘amàsaj e ‘àmòs (Noth, IP 178s.; per analogie extrabi 107
bliche cfr. M.Noth, JSS 1, 1956, 325; HufTmon 198; Gròndahl 109; Harris 134).* 5/ A Qumran prosegue l’uso linguistico vtrt.; nel NT esso è ripreso in àcpiivoa (cfr. R.Bultmann, art. à(p£iri|j,i, ThW I, 506-509 = GLNT I, 1353-1362); anche nell’uso di oapEtv di Gv 1,29 continua la molteplicità dei valori di n i’ (cfr. J.Jercmias, art. aipu>, ThW 1,184-186 = GLNT 1,497-502); K. Weiss, art. q>Épu>, ThW IX, 57-89).
F. Stolz
)n3 ntn D A R E 1/ 1/ La radice del verbo presenta delle for me varianti a seconda delle lingue sem. dove compare (ebr. e aram. ntn, cfr. DISO I88s.; KBL 1102; anche amor., cfr. HulTmon 244; ug. e fen.pun. jtn, cfr. WUS nr. 1255; UT nr. 1169; DISO 113; acc. ndn, cfr. AHw 70lss.). Le forme diverse che si riscontrano in ebr. (i nomi personali Jicnàn e JalnJ’èl, anche ‘ètari < * ‘ujtàn con alef prostetico « sempre acquifero, durevole », i n. pers. ’aUnì/'cElnàn e i sost. ’eetnan/'atnà « dono » [diversamente H A L 99b], nonché il verbo InU I «dar un compenso» Os 8,9.10 [non denominativo di ’cetnan/’a tnà ; diversamente H.S.Nyberg, Z A W 52, 1934, 250; C.van Leeuwen, Hosea, 1968, 175]), in ug. (inf. /«, cfr. J.C. de Moor, thè Seasonal Pattern,.., 1971, 150; cfr. Sai 8,2) e in acc. (formazione verbale secondaria ladànum, cfr. G A G § 51c.l02m. 103d) indicano che si tratta di una radice bilittera in o dn (< ln , G V G 1,153), mentre la prima consonante n/j/Vl è dovuta ad un’aggiunta secondaria (cfr. f.gli a. F.M.Cross - N. Freedman, JBL 72, 1953, 32 n.91; N.M.Sama, JBL 74, 1955, 273; S.Segert, ArOr 24, 1956, I33s.; D.W.Young, VT 10, I960, 457-459; B.Kienast, Z A 55, 1963, 140s.l44; J.MacDonald, ALUOS 5, 1963/65, 63ss.; ulteriori considerazioni etimologiche in G.H.Gordon, RSO 32, 1957, 273s. [derivazione da un nome eg.-sem. uniradicale d «m ano»]; diversamente C.J.Labuschagne, OuTW P 1967, 60 [/>/«]).
2/ In ebr. il verbo ntn è attestato solo al qal e al ni. La forma juttan (cfr. ju-da-an o sim. in EA 89,58 ecc.) non è ho., bensì qal pass. (Bergstr. 11,87; Joìion 126.142; Meyer 11,117.135). Per il perf. dichiarativo (p.e. Gen 1,29 « con questo vi do ») cfr. -> 'mr 3a. Come derivati nominali si hanno, oltre a ’cetnan opp. ’cetnà «dono», (vd. sp. 1) l’agg. verbale sostantivato nfitìn «donato, consacra to» (vd. st. 1IL/1 c) e i sostantivi mattàn/ mattànti/mattat «dono, regalo» (aram. bibl. netln e mattenà\ l’ebr. nàdàn « regalo » di Ez 16,33 potrebbe essere prst. acc., cfr. KBL 597b); vi è inoltre una serie di nomi di perso na: NatUn, ’alnàlàn, Nctan el, J(ch)ònàtàn, ina ntn DARE
108
Netanjà(hu), Netan-mcélcek, Jitnàn, JatnVèl, Mattàn, Matfnaj, Mattanjà(hù), MattaUà, Mattitjà(hù) e il nome di luogo Mattana (cfr.
Noth. IP 170; Huffmon 216s.244; Gròndahl 147; F.L.Benz, Personal Names in thè Phoenician and Punic Inscriptions, 1972, 328s.364; J.K.Stark, Personal Namcs in Palmyrene Inscriptions, 1971, 101 a; vd. st. IV/1). 3/ In aram. il perf. di ntn è stato sostituito abbastanza presto da jhb (KBL 1081.1102; DISO 105s.l88s.; LS 298s.; sull’etimologia cfr. C.J.Labuschagne, OuTWP 1967, 62) che nelFararn. bibl. è attestato al qal c allo hitpc. In ebr. jhb si trova solo all’imp. (sing. e plur.) e qualche volta si è ridotto a semplice interie zione (HAL 226s.). Quanto a j ehàb «carico, cura(?) » cfr. Wagner nr. 120 (diversamente M.Dahood, Psalms II, 1968, 38: 1 jdhéb «be nefattore »). II/ Con circa 2000 ricorrenza, ntn è al quinto posto tra i verbi più attestati nelPAT. Ad ecce zione di Nah, lo si trova in tutti i libri dell’AT (Gen 29,27 nitfnà va considerato, con BrSynt §35e, come 3“ sing. fem. perf.ni. e non come l a plur. coortativo q.; 2Sam 21,6 Q va inteso come q., e non K come ni.; esci. Sai 8,2 txt? tenà; Giob 9,24 in Lis. è posto sotto q. anziché ni.):
Gen Es
Lev Num Deut: Gios Giud ISam 2Sam
IRe 2Re Is Ger Ez
Os
Gioe
Am Abd
Giona
Mi Nah Ab Sof Agg Zac Mal Sai
Giob Prov Rut Cant Eccle Lam
109
q. pass. q— 147 — ■ 113 1 81 " 2 117 176 S8 — 69 70 2 28 1 1
110
55 49 131 196 12 8
ni.
totale
3
150 115
2
4 1 —
1 —
2 -
—
4 7 17
—
12
—
86 120
176 89 69 72 30 111
60 56 148 208 ' 12
-
-
8
—
-
4
l
-
-
2
-
—
4
7
1 2 1
7 3 94 30
34 8
7 23 9
ntn DARE
1 2
—
—
7
—
—
—
—
—
-
-
-
—
-
-
—
—
—
—
1
2
-
—
-
—
-
—
—
2
-
—
1 2 1
7 3 94 33
34 8
7 25 9
Est Dan Esd Neem 1Cron 2Cron
AT
110
-
4
29 17 19 43 40 114
1919
8
83
2010
15 14 18 41 38
— — — —
14 3 l 2 2
Le derivazioni nominali di ntn sono relativa mente rare: nàtln 17x (solo plur. in Esd/Neem e 1Cron 9,2), matlàn 5x (Prov 3x), mattana 17x (Ez 5x), mattai 6x; inoltre • ’cetnà lx, ’atnan llx . NeH’aram. bibl. si ha ntn q. 7x (impf. e inf.), jhb q. 12x (perf., imp. e part.), ntn q. pass. 9x, hitpe. 7x; netln lx (Esd 7,24 plur), maligna 3x. Nell’ebr. dell’AT jhb è attestato 33x (solo imp.: hab 2x in Prov 30,15; hàbà 12x, di cui 5x come interiezione «suvvia!»; hàbl lx in Rut 3,15; hàbù 18x).
HI/ I dizionari distinguono normalmente tre significati principali di ntn: (1) «dare», (2) « porre », « collocare », « mettere » e (3) « fare », «compiere» (cfr. GB 529-531 e Zorell 539-541; diversamente KBL 642s. che conside ra «dare» il valore principale). Fondamental mente con ntn si definisce l’azione con la quale viene messo in movimento un oggetto o una cosa. Da questo valore fondamentale si forma no due serie di significati principali: la prima serie designa il « mettere in movimento » opp. « trasportare » un oggetto (« mettere qualcosa in moto verso», « (tras)portare», «porre» e, rife rito a persone, « far pervenire qualcosa a qual cuno», «dare») (vd. st. 111/1); la seconda serie include significati che si riferiscono al « mettere in movimento» opp. «far andare» una cosa nel senso di « causare », « produrre un effet to », « provocare », « fare » ecc. (vd. st. UI/2). Tuttavia, a causa del valore fondamentale ad esse comune, le due serie non possono distin guersi nettamente tra loro, tanto più che spesso è difficile tracciare una linea divisoria tra og getto e cosa (p.e. tra «dare» e «causare per» nei casi in cui si abbia per oggetto di ntn un nome astratto) (vd. st. lb e ld). Si aggiunga poi che quasi sempre ntn, in particolare nella pri ma serie, viene unito a delle preposizioni, co sicché il significato del verbo o subisce l’influs so dei vari contesti oppure dà luogo a combi nazioni stereotipe nelle quali la prima serie di valori influisce sulla seconda da un punto di vista idiomatico. Bisogna pure tener conto del fatto che un verbo come ntn, dall’uso frequen tissimo, nel corso del tempo ha dato luogo in più campi a specifici termini tecnici che hanno iniziato un proprio corso semantico. Per un esame particolareggiato della voce ntn è neces sario rinviare ai dizionari. Sarà sufficiente una breve panoramica dell’impiego «semplice» di 110
questa voce, mentre maggior attenzione sarà dedicata a quello peculiare. 1/ a) Nel caso del primo significato principa le « mettere in movimento» nel senso di «(tras)portare», «porre», «dare», ntn viene impie gato con le preposizioni ’cel. be, beqàrceb, betòk, ‘al, bà'ad, tàhat, ’èt e ‘im (per lifnè e be con jàd vd. st. ITI/3, per il be pretii vd. st. lf) che denotano la direzione, la determinazione o il luogo dell’Oggetto trasportato. Mancano prove per un uso di ntn con due accusativi nel signi ficato principale ricordato sopra di « dare qual cosa a qualcuno » oppure « far dono di qualco sa a qualcuno », così come si suppone in KBL 642a (st. 2). Nei passi addotti da KJJL (Gios 15,19; Is 27,4; Ger 9,1; Esd 9,8) il destinatario è indicato con un suffisso che va inteso in tutti i casi come suffisso dativale del verbo. Altri esempi sono Ez 16,38; 17,19; 21,32; Lam 5,6 ecc. (cfr. Joiion 366s. n.2; M.Bogaert, Bibl. 45, 1964, 220-247; H.J. van Dijk, VT 18, 1968, 24; M. Dahood, Psalms I, 1966, 12; diversa mente GVG 11,322 e GK §117x e fi). Alcune volte il suffisso dativale è un suffisso pronomi nale del nome che indica un determinato og getto, p.e. Ez 27,10; Est 2,3 (altri esempi in Joiion 389). Nei pochi casi in cui il verbo ntn con questo significato assume due accusativi, come p.e. Es 40,8 e IRe 10,17 (in 2Cron 9,16 con la prep. 6C!), il secondo è un accusativo di luogo, il quale normalmente viene indicato con lo he locativo (cfr. Es 30,18), cosa che non era possibile nei casi in questione a motivo dello stalo costrutto. Sebbene alle forme verbali di ntn nel sign. « (tras)portare », « dare », segua in quasi tutti i casi un accusativo, sporadicamente troviamo il verbo in senso assoluto, soprattutto con il sign. tecnico di «prestare» (Deut 15,10; Sai 37,21). In Prov 9,9 l’oggetto (la conoscen za) è chiaramente presupposto (diversamente GB 529b [sotto f) «insegnare», «trasmettere conoscenza»; secondo G.R.Driver, EThL 26, 1950, 352, bisogna leggere tan «loda» invece di tèn), b) In determinati casi quando ntn ha per og getto dei liquidi o dei nomi astratti come « sangue », « pioggia », « spirito », « terrore », « infamia », « gelosia », « segno », « miracolo », ecc. (vd. a proposito lo studio dettagliato di H.J. van Dijk, VT 18, 1968, 16-30, e S.C. Reif, VT 20, 1970, 114-116) il verbo può si gnificare «versare», «portare», soprattutto nei casi in cui verbi come spk « versare » e msk «mescere» da un lato e si m/sì t « mette re » e slh «mandare» dall’altro, ricorrono in costrutti analoghi. Questo valore palesemente tecnico corrisponde perfettamente d’altra parte al primo significato principale « mettere qual cosa in movimento». Quando però è seguito da un sostantivo astratto, spesso ntn può essere 111
meglio interpretato con il secondo significato principale (« mettere in moto » una cosa nel senso di « avviare », « causare », « dar moti vo »), quantunque sia difficile distinguere sem pre tra i due significati principali (vd. st. 2). c) Quando ntn ha per oggetto delle persone, assume il valore di termine tecnico: «mettere in carcere» (con ’cel Ger 37,18; con be Ger 52,11 [Q senza be]\ con l’accusativo di luogo Ger 37,4.15; cfr. anche 2Sam 20,3; 2Cron 16,10) e «consegnare», specialmente un accu sato o un imputato (2Sam 14,7; 20,21; Giud 20,13 - la stessa costruzione con js ' hi. in Giud 6,30; in questi casi si tratta della richiesta di consegna dell’imputato, cfr. H.J.Boecker, Redeformen des Rechtslebens im AT, 1964, 21-24; in Boecker manca 2Sam 20,21); inoltre il significato è « lasciare » nel senso di « conse gnare» alla giustizia, soprattutto quando il soggetto è Jahwe (Num 21,3; IRe 13,26; 14,16; ls 34,2; Ger 15,9; 25,31; Ez 16,27; 23,46; Mi 5,2; Sai 27,12; 41,3; 118,18) e infine «rimette re, mettere a disposizione, consacrare » (in par ticolare ad una divinità): tutti i primogeniti Es 22,28s. (cfr. ’br hi. Es 13,11; qds hi. Num 3,13; 8,17; Deut 15,19); un bambino consacra to a Jahwe con un voto particolare, ISam 1,11; i bambini consacrati a Moloch Lev 20,2; i cavalli consacrati al sole 2Re 23,11. In questo ambito rientrano anche netwtìm «dati, consa crati », termine tecnico per designare i leviti (Num 3,9; 8,16.16.19; 18,6; lCron 6,33) e netlnìm, termine tecnico (non degli schiavi del tempio, ma) di una determinata classe di «consacrati» (cfr. E.A. Speiser, IEJ 13, 1963, 69-73; B.A.Levine, JBL 82, 1963, 207-212). Questo secondo termine si riscontra anche in aram. (DISO 188) e corrisponde all’ug. jtnm (UT nr. 1169; WUS nr. 1255); nelfebr. biblico è attestato soltanto nell’opera del Cronista: Esd-Neem 16x e lCron 9,2, d) In più di un’occasione, come peculiare va lore collaterale del primo significato principa le, ntn denota l’atto del ripagare, cioè « mettere in moto» qualcosa verso o contro qualcuno: domandar conto a ( ‘al) qualcuno delle proprie nefandezze Ez 7,3; ritener responsabile qualcu no ( ‘al) della propria condotta (dtèrcek) Ez 7,4.9, fargli ricadere sul capo (beròs) la sua condotta (dcÉrcsk) IRe 8,32 = 2Cron 6,23; Ez 9,10; 11,21; 16,43; 22,31 (cfr. Ez 17,19 senza dàrak e le locuzioni sinonime con -*sùb hi. Giud 9,57; ISam 25,39; Gioe 4,7; q.Sal 7,17; cfr. anche IRe 2,33). In altre locuzioni che esprimono il ripagare, il significato di ntn si è sviluppato a partire dal secondo significato fondamentale « mettere in moto, avviare, fare »: « arrecare » a qualcuno (con le) qualcosa (punizione) Os 9,14; Sai 120,3; «fare» qualco sa a qualcuno secondo (ke) la sua giustizia (IRe 8,32 = 2Cron 6,23), secondo (ke) l’opera )D3 ntn DARE
112
delle sue mani (Sai 28,4), secondo (A:p) la sua condotta (d&rcek IRe 8,39; Ger 17,10; 32,19). e) « Far pervenire » qualcosa a qualcuno porta al significato peculiare «destinare, attribuire»: destinare a qualcuno ('al) la dignità regale (Dan 11,21), attribuire a Dio (le) qualcosa di sconveniente (Giob 1,22), attribuire a Dio la giustizia (Giob 36,3; cosi M.H.Pope, Job, 1965, 230; diversamente Fohrer, KAT XVI.471), op pure la potenza maestosa (‘òz Sai 68,35; -> ’zz) o la gloria (ISam 6,5; Ger 13,16; Mal 2,2; Sai 115,1; in senso profano Prov 26,8; con sìm Gios 7,19; con jhb Sai 29,1; 96,7s.) o la gran dezza (con jhb Deut 32,3). A questo contesto appartiene anche la locuzione « offrire (a Dio) una tòdà», espressione tecnica per indicare l’o nore o la confessione che l’imputato presenta a Dio dopo la conclusione del giudizio (Gios 7,19; Esd 10,11; sm‘ hi. Sai 26,7; cfr. H.J.Hermisson, Sprache und Ritus im altisraelitischen Kult, 1965, 42; F.Horst, ZAW 47, 1929, 50s. = Gottes Recht, 1961, 162s.; -*jdh 4h). 0 Anche nel linguaggio giuridico, soprattutto nella sfera del commercio, delle retribuzioni e dei prezzi, dei contratti di matrimonio e dell’eredilà, ntn assume un significato tecnico. La locuzione ntn le designa comunemente il «far pervenire qualcosa a qualcuno » attraverso uno scambio (IRe 21,2) o un prestito (Deut 15,10, cfr. v.8; Sai 37,21) o una vendita dietro (be) corresponsione di denaro o simili (Gen 23,9; 47,16; Deut 14,25s.; IRe 21,15, ecc.; par. sql ni. kàscef Giob 28,15; par. mkr «vendere» Gioe 4,3; Prov 31,24). Inversamente ntn indica anche « dare » denaro nel senso di « pagare » o «rimborsare» (Es 31,19.30; 22,6.9; Num 5,7; Prov 6,31 par slm pi.), soprattutto quando si tratta di multe in denaro (Es 21,22 bijlllìm «a giudizio delle autorità^?] », cfr. G. Liedke, Gestalt und Bezeichnung alttestamentlicher Rechtasstze, 1971, 44s.), di tributi (2Re 15,20; 23,35), di ricompense per servizi prestati (2Sam 18,11), del compenso per i messaggeri (besòrà 2Sam 4,10), del salario (sàkàr Gen 30,28; Es 2,9; IRe 5,20; p ò ‘a l Ger 22,13), del prezzo del viaggio (Gion 1,3) o del prezzo della meretrice (nèdà Ez 16,33; ’cetnan Ez 16,34.41; cfr. Os 2,14). Tipiche del linguaggio commer ciale sono anche le locuzioni ntn bencescek «prestare a interesse» (Ez 18,8; Sai 15,5; pra tica proibita in Israele: Es 22,24; Lev 25,35-38; Deut 23,20s.; cfr. H.Gamoran JNES 30, 1971, 127-134), ntn bemarbìt «vendere (il vitto) a sovrapprezzo» (Lev 25,37), ntn 'iz(z)ebònìm «fornire merci di scambio» (Ez 27,12.14.22); con be Ez 27,16.19; cfr. Zimmerli, BK XIII, 650), ntn (be)m a‘aràb «fornire merce di scam bio» (Ez 27,13.17.19), cfr. le locuzioni affini impiegate per designare il regolare fornimento di prodotti in base a un accordo commerciale, Sai 72,10. 113
nln DARE
Quando lL”issà «in moglie» è unito alla forma verbale, ntn viene usato in contesto matrimo niale per indicare l’azione dei genitori della sposa promessa o di altre persone che l’hanno sotto tutela (Gen 16,3; 29,28; 30,4.9; 34,8.12; 38,14; 41,45; Es 2,21 ecc.), mentre Iqh «pren dere» è il verbo usato per l’azione del fidanza to o dei suoi genitori (Gen 12,19; 25,20; 28,9; 34,4.21 ecc.). Anche nella trattativa di matri monio ntn è l’espressione stereotipa di cui si servono lo sposo o i suoi genitori (Gen 34,8.12; 2Re 14,9 = 2Cron 25,18; con Iqh cfr. Gen 34,4; Giud 14,2; vd. Boecker, l.c. 170 175). Con ntn si indica anche il dare la dote alla figlia (sillùhlm IRe 9,16; altrove soltanto in Mi 1,14, cfr. A.S. van der Woude, ZAW 76, 1964, 190) oppure un dono nuziale che vuole manifestare una benedizione (beràkà Gios 15,19; in Giud 1,15 con jhb ; bcràkà non si li mita ai doni in occasione di matrimonio, ma in altri casi sono impiegati verbi diversi: Gen 33,11; ISam 25,27 [ambedue le volte con bò' hi.]; 2Re 5,15 [con Iqh] e ISam 30,26 [con slh pi.], -*brk III/4; H.Mowvley, The Bible Translator 16, 1965, 74-80). Anche nella pratica del divorzio ntn è il termine giuridico specifico per indicare la consegna ufficiale del certificato di divorzio (Deut 24,1.3 con bejàd; Ger 3,8 con ‘cel, però i LXX presuppongono bejàd) op pure del contratto di compravendita nella pro cedura giuridica relativa all’acquisto di un ter reno (Ger 32,12). ntn è impiegato in senso assoluto quando si tratta di devolvere una eredità, nel senso di « lasciare con testamento, assegnare » (Gen 25,5; Deut 21,17). In questi casi oggetto di ntn sono ’ahuzzà «terreno» (Num 27,4.7) e nalflà «parte d’eredità» (Num 27,9ss.; 36,2; Gios 17,4; Giob 42,15). Dal contesto dell’eredità fa miliare la locuzione c passata a quello del pos sesso della terra e del paese da parte delle tribù opp. del popolo di Israele. In questa accezione ntn è usato 1lx con ’ahuzzà e 30x con nalflà (eccezioni: Lev 25,45s. schiavi; Num 18,21.24 le decime dei leviti; Sai 2,8 popoli; Ez 47,23 parte d’eredità di stranieri; IRe 21,3s. vendita di una parte d’eredità; vd. st. IV/1; ->7zz, nalflà). Alla locuzione ntn nalflà fa riscontro ‘br hi. (Num 27,7) e ovviamente nhl hi. (Gios 19,9). Per l’atto di ricevere la parte d’eredità si ha quasi sempre ->Iqh, cfr. Num 34,15; Gios. 13,8; 18,7 (Prov 17,2 presenta però -+hlq e Num 34,2 npl be «spettare come eredità»). Spesso ntn non specifica un dare effettivo, ma solo la volontà di dare (« assegnare, lasciare con testamento», cfr. l’uso di 'mr col medesi mo significato in IRe 11,18; 2Cron 29,24 e Deut 33,8 txt em). In questi passi è soltanto il contesto che decide, g) Sono relativamente pochi i sostantivi che formano l’oggetto di ntn e che indicano un 114
dono o una cosa data. Eccettuate le locuzioni ntn sillùhlm e ntn beràkà, di cui abbiamo par lato, ntn mattana opp. mattànòt indica il dare doni a personaggi subordinati in aggiunta alla parte di eredità o al di fuori di essa (Ez 46,16s.) o in luogo di essa (Gen 25,5: Isacco ebbe l’eredità, invece ai figli delle concubine Àbramo dette dei doni; 2Cron 21,3: Giosafat aveva assegnato il regno a Ioram, mentre agli altri figli fece molti regali; in Num 18,6s. l’e spressione si riferisce ai leviti e al loro ufficio); ntn nfnàt. significa la donazione di uno specia le contributo ai sacerdoti, ai leviti, ai cantori e ai portieri (Neem 12,47; 13,10; 2Cron 31,4.19); ntn mas'èt «distribuire doni» (Est 2,18; il re elargisce doni ai sudditi; cfr. 2Sam 11,8: David benefica Uria; Ger 40,5; il capo della guardia fa un regalo a Geremia; Ez 20,40 txt?, cfr. Zimmerli, BK XIII, 437); ntn qorbàn si trova soltanto una volta, Ez 20,28, ed è l’of ferta di un sacrificio agli dei; altre volte i verbi impiegati sono qrb hi. (Lev e Num passim), 'ih (Lev 9,7) e bò‘ hi. (Lev 4,23.28.32; 5,11; 7,29; 23,14; Num 5,15; 7,3) e vengono usati al posto di ntn, cfr. S.Zeitlin, JQR 59, 1968, 133-135. Due volte si incontra nL’dàbà come oggetto di retto di ntn, « dare un’offerta volontaria » (Lev 23,38; Deut 16,10; con bò’ hi. Deut 12,6; con qr’ Am 4,5; con zbh Sai 54,8; spesso con nédar Lev 7,16; 22,18ss.; 23,38; Num 29,39; Deut 12,6.17), 14x si trova la locuzione ntn frùmà per designare il versamento di una tassa cultuale come « sacrificio tributario » o forse «dono» (cfr. W. von Soden, UF 2, 1970, 271).
nirt è unito a frùmà in Es 30,13.14.15; Lev 7,32; Num 15,21 (vv. 19 e 20 rum hi.); 18,8.11.19.24.28 (anche con lqh)\ 31,29.41 (frùmà par. di mékqòl. Affi ne è l’espressione ntn ’òmeer Sai 68,12 (« il Signore fa risuonare la sua voce potente »). D i difficile inter pretazione resta Gen 49,21: comunque invece della traduzione « Ncftali fa udire belle parole» è preferi bile « Nettali fornisce begli animali giovani» (cfr. U A L 65a). Il sign. « far risuonare » è anche nella lo cuzione ntn /ò/(Sal 81,3), nella quale si deve suppor re ancora l’ellissi di qòl.
119
Valori simili comporta ntn nella locuzione ntn mòfèt « dare un segno prodigioso » Es 7,9; 2Cron 32,24 (Es 11,10 e Deut 34,11 con ‘sh con lo stesso significato; in IRe 13,3.5 e Deut 13,2 ntn significa «presentare», «rendere noto », cfr. il bab. nadanu itti « render manife sto un segno», AHw 702b), ntn berìt « stabilire una berit » (Gen 9,12, cfr. v.17 qùm hi.; 17,2; Num 25,12; cfr. anche sìm berìt 2Sam 23,5, -*berìt I1I/6; nella locuzione ntn librìl di Is 42,6 e 49,8 ntn vale tuttavia come «far diven tare»). Il sign. «procurare» è evidente quanto l’ogget to è un sost. astratto, p.e. Es 3,21 «Procurerò che questo popolo trovi grazia agli occhi degli egiziani» (cosi anche Es 11,3; in ambedue i casi la costruzione genitivale esprime l’idea del dativo, vd. Joiion 389); Gen 39,21 «Jahwe gli procurò grazia agli occhi del comandante della prigione » (letteralmente: « la sua grazia » con il pronome possessivo dativale, cfr. Joiion, l.c.); così anche Lam 1,13 « ha provocato a me il terrore»; con le: Deut 13,18 «m i ha riserva to misericordia» (cfr. Gen 43,14); Sai 78,66 «inflisse loro una vergogna eterna»; IRe 8,56 «Jahwe che ha dato il riposo al suo popolo» (cfr. nùah hi. Gios 1,13); 2Sam 4,8 «Jahwe ha concesso la vendetta al re ». Cfr. N um 31,3 con be e Ez 25,17, dove ntn neqàmà lo stesso campo semantico di 'sii neqàmà bc-, altre locuzioni sono ntn hitlll le (opp. b°) «spargere il terrore in opp. in mezzo a qualcuno» (Ez 26,17; 32,23-26.32), ntn mùm be «procurare una lesione a qualcuno» (Lev 24,19.20). Difficili sono quei passi come Deut 7,15 dove ntn be e sim bc hanno il signi ficato di « portare » oppure (forse meglio) « provoca re tra ».
be ha
Nella sfera sessuale ntn ha pure il valore di « consumare »: ntn sókàbczt be « consumare un rapporto con... » (Lev 18,23; 20,15; Num 5,20; = con ’ccl Lev 18,20; cfr. l’espressione affine skb ‘im., p.e. Es 22,18). b) Quando ntn significa « far diventare, ren dere» sono possibili tre diverse costruzioni e precisamente (secondo la serie dei relativi passi) ntn kf, ntn + doppio accus. e ntn + accus, + le. La prima, ntn kf, ha il valore di «far come» Is 41,2; Ger 19,12; Ez 3,9; 16,7; 26,19; 28,2.6; Os 11,8; Rut 4,11 (in Sai 44,12 ntn può tuttavia essere inteso anche nel senso di «consegnare», cfr. KBL 642b), e quello di « trattare qualcuno », « trattare da » Gen 42,30. In ISam 1,16 ntn lifnè ha lo stesso significato (cfr. P.Joiion, Bibl. 7, 1926, 290s.). Cfr. a questo proposi to la locuzione ntn kén con l’accus. in Ger 24,8: «C osì tratterò Sedecia». Espressioni sinonime sono Sìm ke (Gen 13.16; IRe 19,2; Is 50,7) e sii ke (Os 2,5; Sai 21,10; 83,12.14 ecc.), che significano «fare come »,
in i ntn DARE
120
La costruzione ntn + doppio accus. è attestata qualche volta con il significato di «stabilire, destinare a », cioè « far di qualcuno qualcosa » (Ger 1,5; 6,27; Ez 3,17; 12,6; 33,7; forse anche Is 55,4; Sai 89,28), altrimenti, - ad eccezione di due passi nei quali ntn significa «lasciare a » (Is 51,12) opp. « offrire » (Mi 6,7) - si trova soltanto con il significato «fare di»: Gen 17,5 Abramo è fatto padre di popoli; Num 21,29 i figli sono fatti profughi; IRe 9,22 ridurre in schiavitù qualcuno; Sai 69,12 indossare un sac co per vestito; Sai 79,2 abbandonare i cadaveri in pasto a...; Sai 105,32 far della pioggia gran dine; la locuzione compare soprattutto in Ez, negli oracoli di minaccia e nell’annuncio di sventura (Ez 22,4; 26,19.21; cfr. 32,15; 33,29; 35,9); a volte compaiono contesti con nth jà d «stendere la mano contro» (Ger 51,25; Ez 25,7.13; 35,3; ->jàd 4c). Talvolta il secondo accus. è un agg. o un part.: Num 5,21 «mentre Jahwe fa avvizzire i tuoi fianchi»; Deut 26,19 « mentre egli ti metterà sopra tutte le nazio ni»; Ger 49,15 = Abd 2 «ti renderò piccolo fra i popoli »; Ez 3,8 «ceco io ti do una faccia tosta quanto la.loro»; Sai 18,33 «egli ha reso integro il mio cammino ». La differenza tra le espressioni ntn + doppio accus. e ntn + accus. + 1° consiste nel fatto che la prima esprime un’azione fattitiva, mentre la seconda indica un far diventare in senso causa tivo. Nell’espressione ntn + accus. + le i due va lori principali di ntn talvolta si confondono, e lo si deduce dal fatto che ntn può essere anche interpretato come « lasciare a » opp. « conse gnare», conformemente al primo significalo principale (p.e. Deut 28,7.25; ls 43,28; Ger 24,9 Q; Ez 15,6; 23,46; 25,4; 29,5; 33,27; 39,4; Neem 3,36), mentre l’espressione si fonda sul secondo valore principale « far diventare qual cuno o qualcosa...». Quanto all’uso questa espressione si riscontra più spesso, e il soggetto ò Jahwe; Gen 17,6.20 Jahwe farà diventare Àbramo un popolo; Gen 48,4 Giacobbe un in sieme di popoli; Es 7,1 Mosè un Dio per il fa raone; Is 49,6 il servo luce dei popoli; Ger 1.18 il profeta una fortezza; Ger 15,20 il profe ta un muro; Sof 3,20 Israele fama e gloria tra tutti i popoli; lCron 17,22 Israele un popolo (2Sam 7,24 però kùn poi. «consolidare»). In alcuni testi già citati ntn può anche essere reso con « stabilire » (cfr. N.Lohfink, FS von Rad 1971, 297 n. 79, il quale in lCron 17,22 ravvi sa un’espressione tipica deH’elezione «stabilire con valore di legge»; vd. anche f. gli a. Lev 17,11; lCron 21,23). L’espressione si trova spesso negli oracoli di minaccia o negli annun ci del giudizio, in particolare in Ger ed Ez (Ger 5,14; 9,10; 15,4 Q; 20,4; 25,18; 26,6; 29.18 Q; 34,22; Ez 5,14; 7,20; 26,14; 28,17.18; ma cfr. anche Mi 6,16). Compare però anche nell’annuncio sacerdotale del giudizio (Num 5,21). In una serie di testi più recenti troviamo 121
ntn DARE
l’espressione ntn leraham lm lifnè «far diventa re qualcuno oggetto di misericordia» (IRe 8,50; Sai 106,46; Dan 1,9; Neem 1,11). sim e sìt fonnano espressioni dello stesso tenore (vd. KBL 921a .sotto 16; 967 sotto 4). Per «ordinare, co stituire» vi sono diversi sinonimi: ntn + accus. + F «costruire» (2Re 23,5; Ez 33,2; 2Cron 25,16); ntn + accus. + 'al « mettere a capo» (Gen 41,41.43; 2Cron 32,6; Deut 17,15b: con Uni al v.l5a); ntn ras «m et tere un capo» (Num 14,4; Neem 9,17; cfr. J.R.Bartlett, YT 19, 1969, 1-10; diversamente KBL 643a sot to II: «si mette nella testa»); ntn beròs «costituire capo qualcuno» (lCron 12,19); sim berós «porre qualcuno a capo» (Deut 1,13), ed infine l’espressio ne tecnica per insediare nel rispettivo ufficio leviti e sacerdoti, mi' pi. jàd «riempire la m ano» (-*jàd 3d [3]; Noth, GesStud T, 309-333, particol. 311-314; L.Sabourin, Priesthood, 1973, 137s.). ntn unito ad un oggetto costituito da un nome astratto significa in questo contesto «attuare», ad esempio Lev 25, 24 ntn ge’ullà «eseguire un riscatto» (cfr. F.Horst, Got tes Recht, 1961, 213ss.; O.Loretz, BZ 6 , 1962, 269-279). Per hqq «fissare» (Ger 31,35) e ntn lehòq «far diventare una regola» (2Cron 35,25) cfr. G. Liedke, Gestalt und Bezeichnung altlestamentlicher Rechtssatze, 1971, 158-175. A questo contesto appartiene anche il valore tecnico di ntn + accus. + lc « far compiere qualcosa a qualcu n o » , «permettere qualcosa a qualcuno», «permet tere a qualcuno di fare qualcosa » (diversamente GB 529b; come l’ass. nadànu, a proposito vd. AHw 702 11/6). Questa espressione presenta quasi sempre un suffisso come accus., mentre alla prep. le segue un inf. cs.t p.e. Gen 20,6 « non ti ho permesso di toccar la » (inoltre Gen 31,7; Es 3,19; Num 22,13; Gios 10,19; Giud 1,34; 15,1; ISam 18,2; 24,8; anche Os 5,4, vd. BH3). Al posto del suffisso pronominale può trovarsi qualche volta un nome, p.e. Eccle 5,5 « non permettere che la tua bocca Taccia cadere in peccato il tuo corpo» (cfr. anche Sai 16,10; 66,9; 121,3; Giob 31,30), oppure, in luogo dell’accus., le + nome, p.e. Est 8,11 « il re dava facoltà ai giudei di radunar si » (cfr. anche 2Cron 20,10), oppure, in luogo di le + inf.es., il semplice inf.es., ad esempio Num 21,23 « ma Sicon non permise a Israele di passare » (anche Num 20,21; non c certo se in questi testi sia stato impiegato rinf.es. in luogo deH’inf. assol. [cfr. Sai 55,23 e Giob 9,18] o se davanti a ‘abdr debba ag giungersi un l e, vd. BH ; cfr. però Joiion 353 e 366 n. 2; G K §157b, n.l), Probabilmente tra queste locu zioni va posta anche quella con ntn di Deut 18,14 « ma quanto a te Jahwe non ti ha permesso questo » (kèn)] inoltre Prov 6,4 « non concedere sonno ai tuoi occhi» (cfr. Sai 132,4) e IRe 15,17 «per non lascia re più aperto il passaggio al re Asa ».
Nell’espressione m i jitten (cfr. sir. man nettai, LS 299a), che è divenuta una particella ottati va, e che è attestata 25x (di cui lOx in Giob e 4x con suffisso dativale: Is 27,4; Ger 9,1; Giob 29,2; Cant 8,1), si possono intravedere ancora molti dei vari significati di ntn (uno studio det tagliato in B.Jongeling, VT 24, 1974, 32-40), cioè «dare» (Giud 9,29; Sai 55,7; Giob 31,35 ecc.), «fai- diventare» (con due accus.: Num 11,29; Ger 8,23; con k e: Giob 29,2; Cant 8,1 ecc.), « permettere » (Giob 11,5 ecc.) e soprat 122
tutto «attuare» (Es 16,3; Deut 28,67; 2Sam 19,1; Sai 14,7 = 53,7). In Giob 14,4 e 31,31 l’originario «chi mai ha fatto sì che» ha il si gnificato di «è mai capitato che», ma ciò non comporta comunque il valore « c’è » di ntn. L’uso impersonale di jitten col sign. di « c ’è», quale si è supposto in passato, è molto proble matico (vd. GB 530a). 3/ Un trattamento particolare richiede l’uso di ntn riferito a parti del corpo, che ha dato luogo ad una serie di espressioni idiomatiche (per nudànu e le parti del corpo come comple mento oggetto cfr. AHw 702 II/3; l’equivalente ebr. dell’acc. nadànu sèpè « mettersi in cam mino» non è per esempio ntn régcel, ma nÉ’ rcegcel, cfr. Gen 29,1).
In Sai 10,14 fa difficoltà làlét bejcidekùy che H.Schmidt (HAT 15, 1934, 16) ha interpretato «per metterlo nella tua mano » e Kraus (BK X V . 75) « per prenderlo nella tua mano », ma è preferibile tradurre «per affidarlo alle tue cure». Per l'espres sione mi' pi. jàd « riempire la mano », riferita a ll’in sediamento dei leviti e dei sacerdoti (->jàd 3d [3]). osserviamo ancora che in lCron 29,5 e 2Cron 29,31 essa non ha niente a che fare con ia consacrazione, ma significa «riempire la mano (per)», cioè per dare, cfr. Noth, GesStud 1,311 n.6 .
L’espressione ntn bfjàd viene usata soprattutto nella sfera militare c giuridica nel senso di con segnare opp. abbandonare una persona o una cosa in potere altrui: Jahwe dà i nemici in po tere di Israele Deut 7,24; 21,10; Gios 21,44; Giud 3,28 ecc., oppure il paese Gios 2,24; Giud 1,2; 18,10; Dagon dà Sansone in potere dei filistei Giud I6,23s.; qualcuno viene abban donato nelle mani del vendicatore di sangue a) Locuzioni che sono attestate solo sporadica Deut 19,12; il profeta Geremia è lasciato in mente; ntn kàtèf sòràrcet Zac 7,11; Neem 9,29 potere del popolo Ger 26,24; 38,16, cfr. il si « presentavano le spalle recalcitranti »; l’e nonimo ntn bekaf « abbandonare in potere » spressione idiomatica deriva dagli animali da Giud 6,13; Ger Ì2,7 e l’espressione di sotto tiro che rifiutano di farsi imporre il giogo al missione ntn tàhat kappòt raglàjim « mettere collo (rifiutano caparbiamente), cfr. qsh hi. sotto la pianta dei piedi » I Re 5,17 ecc. ’ò/cef «indurire la cervice» Neem 9,29); ntn Tenendo presenti i molteplici impieghi di ntn 'Órcef «voltare le spalle» 2Cron 29,6 (cfr. r'h be jàd in quanto frase idiomatica generica, non hi.: «far vedere il collo» Ger 18,17); ntn ’òtò j pare corretto definirla una « formula », nel 'Órcef ’cel « far sì che qualcuno debba mostrare senso di «formula di resa» o di «formula di le spalle», cioè «far fuggire qualcuno» Es passaggio di proprietà» (cfr. W. Richter, Tra23,27 (con /e al posto di ’ccl 2Sam 22,41 = Sai ditionsgeschichtliche Untersuchungen zum 18,41; ntn ‘djin «far occhio» nel senso di Richterbuch, 1963, 2lss.; J.G.Plòger, Lite«brillare» del vino Prov 23,31 Q (vd. sp. 2a). rarkritische, formgeschichtliche und stilkriPer ntn ròs vd. sp. 2b. tische Untersuchungen zum Deuteronomium, 1967,6lss.; P.Diepold, Jahwes Land, 1972, 61; b) Più frequente è l’uso di ntn con jàd cfr. le osservazioni critiche di F.Stolz, Jahwes « mano » (come oggetto del verbo): « stendere und Israels Kriege, 1972, 21s., e P.D.Miller, la mano» Gen 38,28; «dare ad uno la mano» Interpretation 23, 1969, 455, inoltre vd. st. 3d in segno di amicizia 2Re 10,15 oppure come per la differenza tra ntn bejà d e ntn lifnè. segno di un obbligo contratto Esd 10,19, so prattutto quando si parla di accordi e di patti c) ntn con -+lèb «cuore» ricorre nelle seguen (Ez 17,18; Lam 5,6; 2Cron 30,8, -+jàd 4d; cfr. ti locuzioni: ntn lèb be «dirigere la (propria) E.Kutsch, VerheiBung und Gesetz, 1973, 11, e attenzione a » Eccle 1,17; 7,21; 8,9.16; Dan l’espressione tq‘ kaf «dare una stretta di 10,12; lCron 22,19; 2Cron 11,16; con sìt Es mano» in segno di garanzia Prov 6,1; 17,18; 7,23; ISam 4,20; Giob 7,17; con slm Es 9,21; 22,26; bibliogr. in Gemser, HAT 16,36); cfr. Deut 11,18; ntn belcb «mettere nel sentimento anche ntn jàd tdhat «sottomettersi con pro (nel cuore) », sempre con Jahwe in funzione di messa a qualcuno» in segno di fedeltà lCron soggetto Es 35,34; Esd 7,27 (ambedue le volte 29,24 ( - *jàd 3d [2]), ntn jàd «dare la mano» in senso assoluto); Neem 2,12; 7,5 (ambedue le in segno di resa Ger 50,15 e ntn jàd be « porre volte in senso assoluto con ’ccl invece di be)) Es la mano contro» Es 7,4. Particolare importan 36,2; 2Cron 9,23 (complemento oggetto: «sa za ha l’espressione ntn bLjàd (~>jàd 3d [4]), che pienza »); Ger 32,40 (« timore »); Sai 4,8 può assumere vari significati: «dare in mano», («gioia») (in ISam 21,13, con slm il soggetto «consegnare» (Gen 27,17; Deut 24,1.3; Giud è tuttavia un essere umano). 7,16), «mettere a disposizione» (Gen 9,2; Es 10,25), «affidare l’incarico» (2Sam 16,8; Ts d) In unione con pànlm « volto » ntn si trova 22,21 ; 2Cron 34,16, « dare in custodia, affidare nelle seguenti locuzioni: ntn pànlm le + inf. la cura di (opp. la sorveglianza)» (Gen 30,35; « volgere il volto verso » nel senso di « fare 32,17; 39,4.8.22; cfr. ntn 'al jàd con lo stesso preparativi per» 2Cron 20,3 (Giosafat per significato Gen 42,37; Est 6,9), in senso milita chiedere a Jahwe il giudizio; per l’acc. vd. re «mettere sotto il comando» (2Sam 10,10; AHw 702; più spesso compare tuttavia il sino lCron 19,11). nimo slm pànlm le, 2Re 12,18; Ger 42,15; 123
)n: ntn DARE
124
Dan 11,17); nln panini ’cel «volgere lo sguardo verso/contro» Gen 30,40; Dan 9,3 (più fre quente anche in questo caso è l’uso di sìnr. 9x in Ez; in Num 24,1 però sìf, in Dan 10,15 si ha con ntn panini lo he locativo al posto di ’al)\ ntn pànìm bc « volgere lo sguardo con tro» (in senso ostile) ha come soggetto Jahwe Lev 17,10; 20,3.6; 26,17; Ez 14,8; 15,7 par. sim come in Lev 20,5 (con sìm ancora Ger 21,10; 44,11; cfr. Sai 34,17). Con la prep. lifnè « davanti » ntn assume vari significati. La locuzione è attestata come sino nimo di ntn ke «considerare come» (soltanto ISam 1,16, vd. sp.), tuttavia significa più spesso «porre/mettere davanti» (Es 30,6.36; 40,5.6; Lev 19,14; Zac 3,9 (vd. st.) ecc.; con la prep. nòkah soltanto Ez 14,3, cfr. però v.4 e 7 con Sìm) e in particolare «metter davanti» opp. « presentare », detto p.e. di cibi e bevande (2Re 4,43; Ger 35,5; Ez 16,18Q.19). Nel Deu teronomio solo Mosè compare come soggetto dell’espressione quando « presenta » ad Israele benedizione o maledizione (11,26; 30,1), vita e bene oppure morte e male (30,15.19), la torà (4,8), le leggi e le norme (11,32). Nel resto dell’AT solo Jahwe è definito come colui che « presenta » o « mette davanti »: la via della vita e della morte (Ger 2 1,8), la torà (Ger 9,12; 26,4; cfr. 31,33 beqà>rteb\ plur. Dan 9,10 txt?), la torà e le leggi (Ger 44,10), i comandamenti e le leggi (IRe 9,6 par. 2Cron 7,19). In questi casi l’espressione può essere resa anche con «affidare», soprattutto in Ez 23,24 « a loro (ai popoli) affiderò il giudizio (mispài)» (così Zimmerli, BK XIII, 539; cfr. H.Cazelies, Proclamation and Presence, FS Davies 1970, 245: « I have committed to them thè legislative power = [ho loro affidato il potere legislati vo] ») e forse anche in Zac 3,9 in riferimento alla pietra che Jahwe consegna a Giosuè. Nel significato «consegnare» o «abbandona re» lifnè è usato in senso militare e il soggetto è esclusivamente Jahwe (Deut 2,33; 7,2.23; 28,7.25; 31,5; Gios 10,12; 11,6; Giud 11,9; IRe 8,46 = 2Cron 6,36; ls 41,2). Il compì, og getto è costituito sempre dal nemico (i nemici) o dal suo (loro) re. In questi casi difficilmente ntn lifnè si differenzia per significato da ntn bcjàd (cfr. Deut 2,33 con 2,24; 7,23 con 7,24; Gios 10,12 con 10,30.32; 11,6 con 11,8; Giud 11,9 con 11,21.30.32; 12,3). Come espressione giuridica nln lifnè è attcstata soltanto in Deut ed indica sempre il passaggio o il trasferimento di proprietà effettuato da Jahwe, nel senso di «dare a qlcn. qualcosa in proprietà» oppure « mettere a disposizione di qlcn. qualcosa »: 1,8.21 la terra al popolo di Israele; 2,36 le città ammonite: 2,31 Sicon (!) e il suo paese. In que st’ultimo versetto si ha un uso non univoco dell’espressione (in 2,36 sam. e LXX hanno in terpretato non correttamente come « consegna re a »): lo si deduce dal fatto che l’espressione 125 ]fU ntn DARE
giuridica ricorre soltanto in un contesto milita re. L’espressione non può essere interpretata semplicemente come « formula di consegna » (Plòger, l.c. 62s.; cfr. però Miller, l.c. 455 e N.Lohfink, Bibl 41, 1960, 125s.), perché ntn in questa «formula» ha un valore differenziato ed è bene distinguere tra il « consegnare a » in senso militare (usato promiscuamente assieme a ntn bejàd)) e il dtr. « trasmettere » in senso giuridico, anche se l’espressione giuridica com pare in contesto militare. 4/ Oltre a quelli già citati ricordiamo i se guenti sinonimi di ntn: *'ùs «dare» (HAL 25; cfr. B.Rocco, AION 20, 1970, 396-399) è at testato nelPcbr. bibl. soltanto nei n. pers. (Jehò’às\ J d ’lt.s); zbd «donare a qlcn. qualco sa» (solo Gen 30,20; per i n. pers. cfr. HAI, 250); hlq « assegnare » (Deut 4,19; 29,25), « di stribuire » (Neem 13,13) e con be « dare in sor te» (Giob 39,17); hnn «dare benignamente a qlcn.» (Gen 33,5; Sai 119,29); mgn pi. «con segnare» (Gen 14,20; cfr. DISO 142), «dare a » (Os 11,8) e con suffisso dativale « gratifica re qlcn. di » (Prov 4,9); mkr (verbo tipico del commercio) « vendere », in ambito religioso ri ferito a Jahwe (Jahwe soggetto, il popolo com pì. oggetto) « consegnare, trasmettere » (Deut 32,30; Giud 2,14; 3,8; 4,2; 4,9 [con una perso na come oggetto], 10,7; ISam 12,9; Is 50,1; Sai 44,13; Ez 30,12 [il paese come oggetto], cfr. KBL 522s.; GB 422s.); ndb hitp. « dare volon tariamente» (soltanto Esd 1,6; 2,68; 3,5 [aram. 7,15s.]; ICron 29,9.14.17), shd «far prende re», «regalare» (Ez 16,33; Giob 6,22; cfr. F.Rundgren, AcOr 21, 1953, 311-336; C.J.Labuschagne, OuTWP 1967, 60); -+slh «dare» (ug. slh «dare» UT nr. 2419; A.S. van der Woude, ZAW 76, 1964, 188-191; par. di ntn Gen 38, 16.17; Gioe 2,19; Giob 5,19); spi «porre», «dare» (cfr. GB 859b; E.Ullendorlf, VT 6, 1956, 197; A.F.L.Beeston, VT 8, 1958, 216-217); swh II pi. «collocare» (cfr. GB 813a; KBL 954b); per i sostantivi vd. sp. IU/lg. IV/ 1/ Nella sua qualità di signore e creato re, a Jahwe appartiene la terra e quanto essa contiene (Sai 24,1; 50,9-12; cfr. 97,5 e lCron 29,14). Quale unico e vero proprietario di tutto il creato Jahwe è nello stesso tempo colui che sovranamente dispone ed elargisce. Questo po tere a disporre della sua creazione è definito daH’alfermazione fondamentale di Ger 27,5: « Io ho fatto la terra, l’uomo e gli animali.., e li do a chi mi piace» (cfr. Sai 115,16; Eccle 2,26). Quale signore della storia egli dispone di ciò che accade. Creazione e storia sono per tanto in stretta relazione tra loro, perché am bedue sono in mano di Dio. Non dobbiamo perciò meravigliarci se ntn può avere come 126
oggetto Jahwe nei due significati principali (cioè « porre in moto » = « donare, dare » e «porre in moto» = «effettuare, rendere»). Questo «dare» ed «effettuare» di Jahwe è reso visibile anzitutto nella sfera dell’umanità in genere opp. dell’individuo: Jahwe dà il sof fio della vita (rfsùmà) e lo spirito della vita (-*riffr, cfr. Is 42,5; Ez 37,6; non si trova mai ntn nàfces], Est 7,3 «allora mi sia donata la vita [nafsl] » riguarda la grazia della vita), hajjlm «v ita» (->hjh 3c.4b; con ntn solo Sai 21,5; -*‘sh Ger 38,16), jàmlm «giorni della vita» ( -*jòm 3f; cfr. Sai 39,6; Eccle 5,17.18; 8,15; 9,9), i sensi del corpo come l’udito, la vi sta ecc. (Deut 29,3; Is 50,4s.; cfr. 'ih in Prov 20.12), la capacità, la disponibilità e la volontà di fare qualcosa (vd. sp. III/3c), forza (-*kòah) e vigore (-* 'zz\ cfr. Deut 8,18; Is 40,29; Sai 29,11; 68,36), grazia (~>hnn 4a), misericordia (-»rhm), pace (--*s/m), punizione (->•nqm), ma lattia (->hlh) ecc. Ciò che Jahwe dà all’uomo non riguarda solamente l’ambito della natura (lui - e nessun altro, cfr. Ger 14,22! - dà piog gia, cibo e altre benedizioni alla terra), ma an che la sfera della storia umana e spesso di quella personale: dà all’uomo una donna (Gen 3.12), dei bambini (Gen 17,16; Is 8,18) e una discendenza (Gen 15,3). Questa fede è eloquentemente tesliraoniata dai molti n. pers. formati da ntn o dai sinonimi, ùS, zbd, hnn e nhd (vd. sp. 1/2 e 1U/4); cfr. inoltre i n. pers. ’abisaj(l), ’ahlÌLir(1), QQsàjàhit (cfr. acc. qasa « rega lare »), i nomi stranieri come M iiredàl (« dono di M itra») e Pàti-firn' (eg. p ’ dj p' r' «che Re ha dato ») e forse anche i n. pers. come Mirjàm e Jirnfjàhù « dono (di Dio) » opp. « Jahwe ha dona to », cfr. W. von Soden, U F 2, 1970, 269-272.
Soprattutto Israele ha imparato a conoscere i doni e la volontà di Jahwe nella propria esi stenza di popolo, avendo egli dato ad Israele una terra e guidato in ogni frangente la sua esi stenza. 11 presupposto teologico dtn. e dtr. nei confronti della cosiddetta «conquista della ter ra» non consiste nel fatto che Israele (con l’aiuto di Jahwe) conquista la terra oppure che Dio gli « consegna » la terra in senso militare, così come vengono consegnati i nemici in una operazione militare (Plòger, l.c. 63), ma nel fat to che Jahwe, vero proprietario della terra, la « trasferisce » (ad Israele): non si tratta perciò di conquista della terra, ma del dono della ter ra (vd. sp. 111/li e lll/3c.d.; per una trattazione delle formule relative al dono della terra cfr. J.N.M.Wijngaards, The Formulas of thè Deuteronomic Creed, 1963, 28-34, inoltre id., VT 15, 1965, 91-102, e OTS 16, 1969, 68-105, e soprattutto P.Diepold, Israels Land, 1972 (bi bliogr.); anche J.G. Plòger, art. ‘“dama, ThWAT 1,95-105 = GLAT 1,187-210 (bi bliogr.); P.D.Miller, Interpretation 23, 1969, 451-465, e W.Zimmerli, GrundriB der atl. 127
Theologie, 1972, 53-58). Jahwe si comporta come vero proprietario che « trasferisce » o «mette a disposizione» la terra, in senso giuri dico. Per un comportamento analogo da parte di un re nei confronti dei vassalli, attestato in particolare nei trat tati dell’antico Oriente, cfr. K.Baltzer, Das Bundesformular, 1964, 21-31; M.Weinfeld, Deuteronomy and thè Deuteronomic School, 1972, 71-81 (biblio gr.). 11 diritto esclusivo di Jahwe di donare la terra (cfr. però Giud 11,24) non vale solo per Israele, ma anche per altri popoli (Deut 2,5.9; Gios 24,4; Ez 29,20). Il verbo ntn è usato in questo senso non sol tanto con Jahwe come soggetto. Anche Mosè « dà » in funzione di delegato plenipotenziario di Jahwe (Deut 3,19 città; 3,20 possesso; in Deut mai la terra; Num 32,33 [cfr. Gios 13,15ss. e 14,3] i regni di Sicon e Og [alle tribù oltre il Giordano]; 32,40 Galaad [a Machir]; Gios 14,13 Ebron [a CalebJ). Anche G io suè « d à » (Gios 11,23; 12,7 la terra [!] al popolo di Israele secondo la suddivisione delle tribù). In questi casi ntn significa «assegnare» (cfr. Gios 18,10 hlq pi.; vd. Plòger, l.c. 79 n.77), cfr. anche GeD 47,i l : Giuseppe assegna la terra ai suoi fratelli.
Come le donazioni di terre nei trattati sottosta vano a determinate condizioni, per lo meno alla lealtà del destinatario, anche il dono della terra ad Israele si presenta condizionato, secondo la concezione dtn. e dtr. (cfr. Diepold, l.c. 76ss.; Miller, l.c. 454ss.; cfr. però anche Weinfeld, l.c. 71ss., il quale in casi specifici suppone una donazione senza condizioni quale ricompensa della fedeltà mostrata). Per il carattere condi zionato del possesso della terra e della dipen denza assoluta di Israele dal donatore Jahwe, Israele non ha mai sviluppato la coscienza di essere autoctono nella terra (Zimmerli, l,c., 53s.). La terra è sempre un dono di Jahwe e il rapporto di Israele con la sua terra deriva dalla volontà di Jahwe di dare la terra, come benedi zione concreta che si fonda su un rapporto di alleanza. Quale autentico proprietario della terra egli poteva anche espropriarla. L’idea che Jahwe dà o crea per il suo popolo il riposo nfnùhà (~*nùah) è legato strettamente al dono della terra, in quanto menùhà può in dicare a volte materialmente la terra come «luogo di riposo» (cfr. Deut 12,9, par. nalflà', Mi 2,10; Zac 9,1; Sai 95,11; 132,8.14) e iì ri poso, come un « pervenire al riposo» dopo le lamentele della peregrinazione nel deserto, coincide cronologicamente con il dono della terra (cfr. von Rad, GesStud 101-108, e in par ticolare A.R.Hulst, Schrift en kerk, FS Gispen 1970, 62-78). Ciò dipende dal fatto che Jahwe guida la storia: in senso positivo, coi doni della torà (vd. sp.), di mispàt e di fdàqà (cfr. K.Koch, FS von Rad 1971, 236-257, particol. 249ss.) e i carismi della guida e del comando (Zimmerli, l.c. 68-93); in senso negativo, con l’« abbandonare » il suo popolo al giudizio (IRe 14,16; Ger 15,9; Ez 16,27; Mi 5,2). )D3 ntn DARE
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2/ È strano come in rapporto al molto che Jahwe « d à » , l’uomo «d ia » così poco al suo Dio. Il verbo ntn in questa accezione è relati vamente poco attestato. « D o n i» presentati a Jahwe sono considerati i sacrifici (cfr. Pedersen, Israel UI/lV,322ss.; R.Hentschke, RGG IV, 1642; von Rad l,267ss. = ital. 292ss.) e gli israeliti non potevano presentarsi a Jahwe «con le mani vuote» (rèqàm\ Es 23,15; 34,20; Deut 16,16s.; cfr. Es 22,28 ’hr pi.), però ntn è molto raro in connessione con il sacrificio. Qualche volta ntn è unito a zàbah «sacrificio (cruento)» (Sai 51,18; Eccle 4,17), ’ìsscè «sa crificio consumato dal fuoco» (Lev 22,22; per i cd. « sacrifici consumati dal fuoco » cfr. J.Hofìtijzer, FS Baumgartner 1967, 114-134), diversi altri doni (Lev 23,38), qódas FJhwh «gualcosa di sacro a Jahwe» (Lev 27,9.23), kòfeer «prezzo del riscatto» (Es 30,12s.; Sai 49,8; cfr. ntn Mi 6,7), rèsìl « il meglio» (Num 18,12; bò' hi. v. 13; qrb hi. v. 15: Deut 26,10 tuttavia con nù“h pi.), ma spesso è unito a frùmà «tributo, dono» (14x con ntn; 12x con rum hi., 8x con bò’ hi.; Lev 7,14 qrb hi.; vd. sp. lll/lg), In molti di questi passi ntn ha il va lore «destinare» o «mettere a disposizione» (per altri significati di ntn vd. sp. III). ntn non è mai un termine tecnico per indicare F« offerta » di sacrifici a Jahwe (in dono), ec cettuata forse la costruzione con terùmà. In realtà tutto appartiene a Jahwe (Sai 50,9-12!) perciò ogni dono a lui ofTerto è dato « dalle sue (di Jahwe) proprie mani» (lCron 29,14). Con l’offerta delle primizie si manifesta la coscienza e il riconoscimento che Jahwe è il vero pro prietario della terra (vd. O.Hanssen, BHH I,434s. con bibliogr.). I primogeniti da offrire a Jahwe hanno un ruo lo importante (Es 22,28s.; cfr. 13,1.2.12; 34,19) in relazione a ntn nel senso di « cedere, lascia re a» o «consacrare» (vd. sp. Ili/1c). Sebbene t u t t i i primogeniti, animali ed esseri umani, appartengano a Jahwe, la differenza tra i pri mogeniti degli animali e quelli dell’uomo è sensibile: i primi sono sacrificati e immolati, i secondi riscattati (^ >pdh) anche se non sempre (Es 22,28s.!) si parla di riscatto (vd. de Vaux II,329-333 = ital. 429-432; M.Weinfeld, UF 4, 1972, 133-154). In relazione al sacrificio dei bambini è impor tante precisare che ntn «cedere, lasciare a, consacrare» non implica di per sé «sacrifica re » (cfr. anche Giud 11,31 dove sono chiara mente differenziate le due cose). In merito all’i potesi, peraltro erronea, avanzata da alcuni studiosi, secondo la quale lo jahwismo ha co nosciuto un legittimo sacrificio di bambini, vd. le discussioni in de Vaux, l.c. 329-333 = ital. 429-432; G.Fohrer, Geschichte der israelitischen Religion, 1969, 39s, (bibliogr.); L.Delekat, BHH 1,434 (bibììogr.) e Weinfeld, l.c. 151 ss. 154. 129 n ^ p
segidlà PROPRIETÀ
V/ Per i testi di Qumran Kuhn, Konk. 147s., riporta 58 passi che si collegano all’uso lingui stico dell’AT. 1 LXX ricorrono principalmente a SiSóvai, ma anche ad altri verbi secondo i vari significati di ntn. Per il NT cfr. F.Biichsel, art. BtSuiu, ThW 11,168-175 (= GLNT fl,l 171-1190); H.Conzelmann, art. ThW IX ,393-397, e J.Behm, art. àvàfcpa, ThW I,356s. (= GLNT 1,953-957).
C.J.Labuschagne
n ^ p seguila PROPRIETÀ 1/ L’ebr. segullà è stato in un primo tempo collegato aH’acc. sugullu «mandria» (cfr. H. Zimmem, Die Keilinschriften und das AT, 31903, 651; GB 536a; KBL 649a). Studi succes sivi lo pongono invece in rapporto con l’acc. sikiltu(m) (ev. siqillum, e il verbo sak/qàlu\ cfr. M.Greenberg, JAOS 71, 1951, 172-174; A.Goetze, JCS 4, 1951, 227; E.A.Speiser, OrNS 25, 1956, 1-4; A.Falkenstein ZA 52, 1957, 328; M.IIeld, JCS 15, 1961, 1ls.) Al § 141 del Codice di Hammurabi sakàlu sikilta significa « accumulare un patrimonio privato »; tra i titoli del re Abba-AN di Alala!] sikiltu in dica il re come una « proprietà peculiare, per sonale», come un «adoratore» della divinità (Seux 26Is.; cfr. a proposito il n. pers. SikiltiAdad in K. Tallqvist, Assyrian Personal Names, 1914, 195). Con ciò concorderebbe l’ug. sglt come designazione del vassallo del re, in PRU V, nr, 60, r.7 e 12 (in contesto fram mentario; M.Dahood, Bibl 46, 1965, 313; 50, 1969, 341; H.B.Huffmon-S.B.Parker, BASOR 184, 1966, 37; M.Dietrich-O. Loretz, OLZ 62, 1967, 544). Nell’ebr. medio e nell’aram. giud. è attestato il sost.
segullà opp. segulletà « possesso », nonché il pi. opp. i! pa., senz’altro denominativi, del verbo sgl nel sign. di «accantonare, accumulare» (cfr. Grecnberg, l.c.).
2/ Nell’AT segullà è attestato 8x: Es 19,5; Deut 7,6; 14,2; 26,18; Mai 3,17; Sai 135,4; Ec cle 2,8; lCron 29,3. 3/ Come risulta chiaramente dall’acc. sikiltu e dall’impiego di seguila nel Talmud, segullà è una designazione della proprietà in senso qua lificato: una proprietà privata personalmente acquisita ed accuratamente custodita (vd. in proposito Greenberg, l.c.). È questo anche il significato di segidlà nei due passi dell’AT nei quali viene usato in un contesto « profano »: Davide promette solennemente di mettere a di sposizione della costruzione del tempio di Dio ciò che egli possiede come s€gullù in oro e in. 130
argento (oltre ai mezzi che egli ha già altrimen ti procurato: ICron 29,3). Si tratta evidente mente della proprietà privata del re che nor malmente non era impegnata per costruzioni pubbliche. In Eccle 2,8 l’autore parla di «ar gento e oro e della s'gullà di re e nazioni » che egli ha raccolto. La parola designa «una por zione particolare dei beni che non viene usata per obiettivi usuali, ma riservata a una partico lare funzione» (A.B.Ehrlich, Randglossen zur hebr. Bibel, I, 1908, 336s.), e si distingue da al tri termini indicanti «proprietà, possedimen to» come ’ahuzzù ( — ‘hz), —nafflà, f russa
(-jrs ), qinjàn ( - qnh).
una formula fissa già da lungo tempo esistente. In ogni caso è interessante rilevare che il con tenuto teologico di segull(ì (come in Deut 7,6 e 14,2) è interpretato dalla voce parallela bhr. Nel passo del libro di Malachia (3,17) scgullà è riferito al nuovo incontro di Jahwe con Israele nel futuro (cfr. —bhr IV/4b): il termine rientra così tra le caratteristiche tipiche della promessa di salvezza. La portata teologica di s'gullà viene ben defi nita dalla traduzione non letterale dei LX X Xaóq •rcepi.oÙOT.oq (Es 19,5; Deut 7,6; 14,2; 26,18; inoltre in Es 23,22 per il semplice ‘am) opp. zlq ntpio\j(TMo-[ióv (Sai 135,4), In Mal 3,17 la formulazione eiq TtepncoiTioiv esprime bene come Israele deve essere ancora «acqui stato » da un intervento di grazia di Jahwe.
Nella stessa direzione si muove la traduzione dei LXX. Una volta si ricorre a ' rcepwcofrncru; «acquisto, proprietà» (Mal 3,17; cfr. lPiet 2,9) ed una volta a TteputoiEÙTrloa «procacciar 5/ Nei testi di Qumran l’espressione non è at si» (lCron 29,3). Tuttavia si usa quattro volte 7tepioucu)q « scelto con dovizia, eletto » (Es testata. Per l’uso linguistico rabbinico cfr. Greenberg, l.c. Nel NT si trova Xaóq itepiou19,5; Deut 7,6; 14,2; 26,18; cfr. anche l’am pliamento in Es 23,22, inoltre Tito 2,14; caoc; in Tito 2,14, senza dubbio ispirato ai lClem 64) e precisamente nell’espressione LXX: con l’atto salvifico di Gesù. Dio si for ma un popolo come una preziosa proprietà. In X a ò q 7 t e p io u t n o q « popolo che forma il tesoro regale di D io» (H.Preisker, ThW VI,57 = ' lPiet 2,9 la comunità del NT, nonostante il forte legame con Es 19, viene detta Xaòc; eiq GLNT IX, 1509), infine due volte itE p io u cn,aop.óq «acquisto, proprietà» (Sai 135,4; Ec XEpwco&noxv. La traduzione abituale « popolo di proprietà » non è giustificata dal testo greco, cle 2,8). perché la scelta dell’espressione in questo caso, a differenza di Tito 2,14, vuol indicare che 4/ Nell’AT segullù è diventato quasi esclusi solo con il suo intervento di salvezza Dio in vamente un termine tecnico per esprimere tendeva acquisire la proprietà del suo popolo. l’appartenenza di Israele a Jahwe (cfr. a questo H. Wildberger proposito l’epiteto acc. del re, menzionato so pra, e il n. pers. Sikilti-Adad). Comparendo in tre passi del Deut (sempre nella costruzione lihjòt là ll"am segullà «che tu fossi il popolo di sua proprietà»), sembra possibile arguirne una -liO sòd SEGRETO peculiare appartenenza al formulario dtn. La formula tuttavia si trova, pur un poco cambia ta, anche in Es 19,5 e, precisamente in una se 1/ Il nome sòd da un punto di vista etimolo zione (19,3-6[.8J) che alcuni ritengono un’ag gico è una vera crux interpretum. Salvo i ri giunta dtr. (così anche recentemente G.Fohrer, mandi ad altre lingue sem., non si propone al « Priesterliches Kònigtum», Ex. 19,6, ThZ 19, cuna soluzione per una derivazione del termi 1963, 359-362) che però ha conservato i tratti ne (GB 537s.; Zorell 547b), oppure si suppo di una tradizione piuttosto antica (cfr. H.Wild ne come radice *sùd, la quale viene fatta vale berger, Jahwes Eigentumsvolk, I960, 10ss.; W. re anche per Sai 2,2 e 31,14 (cfr. Kraus, BK Zimmerli, Erwàgungen zum « Bund », FS EichX V ,11; P.Humbert, FS Baumgartner 1967, rodt 1970, 171-190, [175s.]) anteriore al Dtr. 136s.), oppure si collega la voce con jsd (p.e. (diversamente L.Perlitt, Bundestheologie im BDB 691 a) o jsd II «riunirsi» (KBL AT, 1969, 17lss.). Se Es 19,6 dipendesse dal 386b.651a). Deut, non ci aspetteremmo gój, ma 'am qàdòS. È stata fatta anche l’ipotesi che segullù di Es sòd vien messo generalmente in relazione con Parab. 19,5 sia un’abbreviazione deH’originario 'am sàwada «parlare in segreto» o con il sir. s'gidlà del Deut (Perlitt, l.c. 171): ciò contra sewàdà/suwàdà «colloquio confidenziale». Fohrer, KAT X V I,269, rimanda all’antico suda rab. mswd sta però col fatto che Israele può essere indica «riunione di consiglio» (cfr. BDB 69la; R.E.Brown, lo benissimo come naif là di Jahwe (ad ecce CBQ 20, 1958, 418). DISO 190 (cfr. 191) cita con ri zione del passo relativamente recente di Deut serva il pun. swb (opp. swd) «(rond, cercle > ) voùle 4,20 che presenta ‘am nafflà). Anche Sai celeste». Nel difficile passo di Sai 25,14, dove G ha 135,4 parla di segutlà\ «Jahwe si è scelto Gia xpaTauop,a (unica volta) per sòd, G.R.Driver, JBL cobbe (—bhr), Israele come sua seguila». Pro 55, 1936, 102; EThL 26, 1950, 345, ricorre all’arab. babilmente anche questo salmo (nell’attuale sud « chiefìaincy » (cfr. Barr, CPT 251; S.Jellicoe, forma che risale al periodo postesilico) ripete The Septuagint and Modern Study, 1968, 326). 131
“riO sòd SEGRETO
132
In Eccli si trova un pi. denominativo di sòd (Eccli 7.14) e un hitp. (8,17; 9,3.14; 42,12). Si possono ag giungere ancora i nomi propri Sòdi (Num 13,10) e Besòdejà (Neem 3,6; cfr. Noth, IP 32.152).
2/ La voce sòd è attestata complessivamente 21x, 8 delle quali negli scritti sapienzali (Prov 5x, Giob [incl. 29,4] 3x, manca in Eccle), Gx in Sai, 4x in Ger e lx ciascuno Gen, Ez e Am. Se si esclude una sola eccezione, il termine è as sente dal Pentateuco, mentre manca del tutto nell’opera dtr. e in quella del Cronista, nonché negli scritti apocalittici (in Dan però si ha 5x l’aram. bibl. ràz « mistero », tradotto dai LXX con (j.u(7TT|pLov; vd. st. 5). 3/ La voce sòd è testimoniata solo al sing.; 2x è sogg. (Sai 25,14; Prov 3,32, in frase nomina le) e 6x complemento oggetto (Am 3,7; Sai 83,4; Prov 25,9, in frase verbale, cfr. anche Sai 55,15; inoltre Prov 11,13; 20,19 in frase nomi nale) di cui 4x con glh « rivelare » (2x ciascuna al qal e al pi., cfr. Jenni, HP 202s.). in Giob 29,4 può trattarsi di un errore del testo, cfr. BH3 e p.e. Fohrer, KAT XVI,402. Dal punto di vista semasiologico la voce sòd ha un arco relativamente ampio di significati. All’uso concreto del termine, in cui predomina il sign. « riunione »/« circolo », si aggiunge come parte integrante ed essenziale un impiego ampliato riferito sia all’uomo sia a Dio; vanno rilevate in particolare applicazioni astratte come ad esempio « decisione » oppure « segre to », diventate anche assai rilevanti da un pun to di vista teologico (vd. st. 4). L’ipotesi di una radice sud « riunirsi » potreb be corrispondere più direttamente all’uso c o nc r e t o di sòd\ infatti sòd significa anzitutto diversi tipi di incontro. In riferimento all’uomo non si tratta tanto di « libera riunione di adulti durante il tempo libero » nel villaggio (L.Kòhler, Der hebràische Mensch, 1953, 90), quanto invece di incontri di uomini in qualche modo legati tra loro; si parla dunque di una stretta cerchia di uomini che si riuniscono (Sai 55,15; Giob 19,19, cfr. Fohrer, KAT XVI,307; «cer chia di fiducia»; cfr. Gcmscr, HAT 16, 32); tra loro si instaura f. l’a. un clima di allegra compagnia (Ger 15,17; il contrario è: «starse ne seduto in solitudine»). Nell’espressione «cerchia dei malvagi » (sòd n frè'lm , Sai 64,3) il termine ha un’accezione negativa (per i loro attacchi ai timorati di Dio vv. 4ss.; cfr. 1,1; 31.14). Un impiego ampliato è anzitutto quello antico e collettivistico per designare il « conve gno » di due tribù in Gen 49,6 (par. qàhàl « as semblea, comunità»),nonché quello più recen te riferito ad Israele (Ez 13,9) e alla comunità del tempio (Sai 111,1; vd. st. 4), e tale è anche l’uso generale per indicare una quantità, come in Ger 6,11 (« cerchia dei giovani » = i giovani in generale opp. nella loro totalità; forse an 133
“rio sòd SEGRETO
drebbe collocato in questo contesto anche Sai 64,3). Quando si parla del consiglio celeste di Dio, lo si intende parimenti in forma concreta (cfr. H.W.Robinson, JThSt 45, 1944, 151-157; vd. st. 4). Più significativo dell’uso concreto della parola potrebbe tuttavia considerarsi quello a s t r a t to; l’elemento determinante in questo caso non è la riunione o la cerchia in sé, ma il «collo quio » che vi si tiene e in particolare la « deci sione »/« disegno » che matura in questo collo quio (vd. sp. I per i termini affini in sir. e arab.; cfr. G.Fohrer, FS Thomas 1968, 103). In Prov 15,22 sòd «colloquio» è unito ai termini maffsàbòt «piani» e j ò ‘a?lm «consiglieri» (cfr. P.A.FI. de Boer, SVT 3, 1955, 43ss.; sul l’aspetto politico cfr. W.McKanc, Prophets and Wise Men, 1965, 55ss.l24; e ancora Prov 11,14; 20,18; 24,6). Nella tradizione sapienzia le più antica vigeva inoltre la regola che le cose dette in segreto non dovessero trapelare, per cui sòd assunse il sign. di « segreto » (Prov 11,13; 20,19, cfr. Jenni, HP 202s.; 25,9 in con testo di ammonimento). In accezione negativa, dei nemici di Jahwe si dice che « tengono un colloquio pieno di astuzia» (Sai 83,4a; par. -»/£ hipt. «consigliarsi», cfr. v.6; Sai 2,2). Da un punto di vista teologico sono rilevanti so prattutto le affermazioni sulla decisione/piano di Dio (vd. st. 4).
4/ L’uso teologico specifico si delinea già net tamente quando sòd è coinvolto nel carattere
religioso della comunità umana; nel significato di « comunità » sòd può indicare o anche desi gnare espressamente sia, dal lato negativo, un impedimento, sia, da quello positivo, un’aper tura alla vera comunità di Dio, intesa essen zialmente in senso religioso. Questo avviene su un piano religiosamente ne gativo quando si parla della cerchia e dei dise gni dei malvagi in Israele o dei nemici fuori di IsraeJe (Sai 64,3; 83,4, vd. sp. 3) oppure quan do nell’oracolo profetico del giudizio la man canza di comunione dei Falsi profeti con il po polo di Dio viene indicata con « non andare nell’assemblea del mio popolo (besòd ‘amml) » Ez 13,9 (par. «non essere scritti nel libro della casa d’Israele » e « non entrare nel paese d’I sraele»; cfr. Zimmerli, BK XIII,292s.: «essi dovranno essere esclusi dalla cerchia intima del popolo di Dio»), Invece la comunità ( ’édà, termine parallelo; cfr. Sai 1,5) come « consesso dei giusti » (~*jsr 3b) è il luogo dove si rende lode a Jahwe Sai 111,1. Così anche in Prov 3,32, nella sezione teologica del libro, si dice che Jahwe ha «con i giusti» ( ’cet-jesàrìm) una «fiduciosa amicizia» (sòd) (contrario: «abo minio per Jahwe»; cfr. W.McKane, Proverbs, 1970,‘300s.), nel difficile passo di Sai 25,14 (vd. sp. I) c’è un riferimento simile ai «tim o rati (di Jahwe) » (par. berlt « alleanza »; secon 134
do Kraus, BK XV,212, sòd è la «decisione» di Jahwe che indica la condotta da tenere). Dato che sòd è usato per indicare F« assem blea » celeste di Jahwe e la sua divina « dccisione/piano/segreto », e per questo è stato mes so in relazione al suo operare e al suo essere, il termine ha assunto un valore essenziale nello sviluppo e nella determinazione dei tratti sa lienti del concetto vtrt. di Dio. La confessione di Sai 89,8 secondo cui Jahwe è un Dio tremendo « nella grande cerchia/assem blea dei santi » (besòd qcdòslm rabbà, cfr. BHS), fa riferimento al suo seguito, con affer mazioni analoghe (accanto ad un più generico «tutto il suo seguito», cfr. « nell’assemblea dei santi » e « tra gli esseri divini », w . 6s.; Sai 82,1 «D io si alza nell’assemblea divina, giudi ca in mezzo agli dei», cfr. v. 6), per cui con una fraseologia varia, che è il risultato di una lunga polemica religiosa, è sorta l’idea di una posizione eccelsa ed impareggiabile di Jahwe nella cerchia degli esseri divini (cfr. G.Cooke, ZAW 76, 1964, 22-47; inoltre W.Herrmann, ZRGG 12, I960, 242-251; H.-P.Miiller, ZNW 54, 1963, 254-267; W.H.Schmidt, Konigtum Gottes in Ugarit und Israel, 1966, 26ss. ecc.). Pur nella sua maestà Jahwe si consiglia con la sua corte (IRe 22,19-22; vd. inoltre Cooke, l.c.). In Geremia un criterio per stabilire la vera profezia è costituito dal fatto che il profe ta ha «assistito al consiglio di Jahwe» (Ger 23,18.22); egli può essere il messaggero della parola di Jahwe (23,2ls.; cfr. Is 6; E.C.Kingsbury, JBL 83, 1964, 279-286) solo quando Dio gli « ha rivelato la sua decìsione/disegno/segreto» (Am 3,7; cfr. W.H.Schmidt, ZAW 77, 1965, 183-188). Anche la «sapienza» si ottie ne nel consiglio di Dio (Giob 15,8). 5/ Negli scritti di Qumran il nome sòd, alter nato con jswd (13x), è attestato più di 40x (del le quali circa 30x in IQH; vd. Kuhn, Konk. 90.150; RQ 14, 1963, 212). Nei L)Ò(, dove manca Prov 20,19 e Prov 25,9 presenta un’altra lettura, sòd è reso con 12 pa role gr. ((ìouXt) 4x, cfr. G.Schrenk, art. 0ouXt|, ThW 1, 631-636 = GLNT 11,311-324; cruvéSpiov, cfr. E.Lohse, art. cnjvéSpiov, ThW VII,858-869; le restanti voci sono attestate lx ciascuna). Sor prende la duplice resa in Prov 11,13 ({ìouXàq év oTjveSpifj). Si aggiunga ancora la resa con tccuSeta, clie ricorre due volte (Ez 13,9; Am 3,7; forse è stato letto erroneamente jissùr « punizio ne»; cfr. inoltre G.Bertram, FS Kriiger 1932, 48s.; id., ThW V,610 = GLNT IX , 149). La tra duzione p .uo T T )pio v non è attestata (cfr. però G.Bomkamm, ThW IV, 820 = GLNT VII,677; RE.Brown, CBQ 20, 1958, 417-443).
M. Scebo
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110 sm ALLONTANARSI 1/ La radice sur è attestata in ebr., medioebr. e fen. pun. (jif. «allontanare», DISO 191; KA1 nr. 10, r.l3s.; nr. 79, r.7). Cfr. anche l’acc. sàru «girare, ballare» (AHw 1031 b). Un verbo dal significato simile è zùr II «voltarsi» (-*zqwh pi.) e aspetta colui che « ha nascosto il suo volto alla casa di Giacob be» (Is 8,17). L’espressione analoga «velare gli occhi» con ‘Im hi. accenna evidentemente ad un allonta namento meno radicale di Dio dall’uomo. Se Jahwe chiude gli occhi davanti all’orante (Is 1,15), ciò significa che Dio non lo vuol vedere (a causa della sua colpa), come colui che « fin ge di non vedere » un povero che gli chiede un dono (Prov 28,27). Poiché il giusto spera nell’« esaudimento » della preghiera, può chiedere che Jahwe non chiuda 1*« orecchio » davanti al lamento del giusto (Lam 3,56). b) Rispetto all’affermazione secondo cui Jahwe nasconde il suo volto, relativamente rara è quella secondo la quale Jahwe si nasconde. In Sai 89,47 str ni. è impiegato nella lamentazio ne allo stesso modo di str hi. pànlm: « Fino a quando, Jahwe, continuerai a tenerti nascosto, arde come fuoco la tua ira?». Simile è l’uso di ’lm hi. (forse è meglio leggere hipt.) in Sai 10,1 (con par. 'md beràhòq « star lontano »). In Sai 55,2 l’hitp. di ‘Im denota la supplica per otte nere la benevolenza di Dio, altrimenti espressa con «non nascondere il volto» (par. ‘zn hi. «fare attenzione»). Invece Is 45,15, quanto al contenuto, va oltre i passi citati finora. In que sto caso potrebbe essere posto espressamente in evidenza il valore peculiare deU’hitp., cioè il continuare a tenersi nascosto. Jahwe non solo si allontana per un certo tempo durante la sua ira, ma il Dio d’Israele, come salvatore (mòsla‘), si tiene nascosto: l’intervento di Jah we nella storia non è verificabile nei suoi aspetti immanenti, ma si apre soltanto alla fede (secondo Westermann, ATD 19, 138s. = ital. 207 ss., Is 45,15 è la risposta del Deute roisaia stesso o di un glossatore all’oracolo di Ciro, Is 44,24-45,7, dove si proclama espressa mente che Jahwe agisce per mano di un re pa gano). Dello stesso tenore sono le affermazioni secondo le quali Jahwe è nascosto nella sua es senza. Nella teofania di Sai 18,8-16 Jahwe è colui che « si avvolge di tenebre come di un velo » (sèteer)» (v. 12; i LXX presuppongono il termine anche in 2Sam 22,12). È chiaro che ci 163
si riferisce alla teofania del Sinai (Es 19,16.18; cfr. Sai 18,10; 97,2). A questa tematica appar tiene anche la risposta di Jahwe dal nascondi glio del tuono (besètter rà’am, Sai 81,8; cfr. Es 20.21). Si intende forse affermare che nell’o scurità delle nubi il Dio nascosto ( ‘àblm sèteer Io) è incapace di intervenire negli eventi del mondo: Elifaz però rigetta espressamente que sta opinione perché è blasfema (Giob 22,14; cfr. Is 40,27 str ni.). Per l’empio il nascondi mento di Dio (str hi. pànlm) significa che Dio «dimentica» l’ingiustizia, «non vede più» (Sai 10,11). D ’altra parte la sapienza tiene a sottolineare che l’imperscrutabilità di Dio ap partiene alla sua essenza: « È gloria di Dio na scondere una cosa » (in opposizione a hqr « in vestigare», Prov 25,2). c) Mentre l’allontanamento di Dio dal fedele non è altro che l’espressione dell’ira divina, l’e spressione « velare il volto » di Sai 51,11 è usata in senso positivo: l’uomo spera in questo modo di evitare la punizione: « nascondi il tuo sguar do dai miei peccati » (par. mhh « cancellare »). Il fatto che qualcosa sia nascosto a Jahwe non vuol dire che egli obiettivamente non sia in grado di scrutare una situazione, ma che non la vuole vedere (str ni., Os 13,14 «la compas sione è nascosta ai miei occhi » = « io non co nosco compassione»; Is 40,27 la «sorte è na scosta a Jahwe» par. 'br min «trascurare»; Is 65,16 «la tribolazione è nascosta ai miei oc chi » = « tolta » par. skh ni. « essere dimentica ta »). In realtà a Dio nulla resta nascosto (Deut 29,28 « le cose occulte appartengono a Jahwe, nostro Dio»; Dan 2,22 «D io svela cose pro fonde e occulte»; Sai 38,10 « il mio gemito non ti è nascosto »; con khd ni. Os 5,3 « Israele non mi è nascosto»; Sai 69,6 «le mie colpe non ti sono nascoste»; 139,15 «le mie ossa non ti erano nascoste»; sempre con par. jd ' « sapere »). È empio pertanto l’uomo che crede di poter tenere nascosto (str hi.) a Jahwe il suo operare ( ‘èsà « piano», Is 29,15). d) Il fatto che str sia divenuto uno dei termini principali che denotano la protezione concessa da Jahwe, va collegato originariamente alla funzione di asilo esercitata dal santuario. Lì, «a ll’ombra delle tue ali» (Sai 17,8; però -*■kànàf 3/4a), «nella protezione della sua ten da» (Sai 27,5), «al riparo del tuo volto» (Sai 31.21), Jahwe fa trovare rifugio agli oppressi e agli infelici. In particolare sono le dichiarazio ni di fiducia dei salmi che esaltano la protezio ne concessa da Jahwe (str hi. Sai 27,5; 31,21; ambedue le volte con par. spn besukkà « ripo sare al sicuro nella tenda»; sèteer Sai 27,5; 31,21; 32,7; cfr. 91,1; 119,114; mistòr Is 4,6 assieme a mahsce, huppà e sukkà\ sitrà Deut 32,38 della presunta protezione degli dèi), ed in tal senso egli è supplicato nella lamentazio “ino str hi. NASCONDERE
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ne (str hi. Sai 17,8; 64,3; str pi. Is 16,3; setter ls 16,4; Sai 61,5). Tale protezione non è tutta via legata al santuario, ma è sperimentata di rettamente dalla presenza soccorritrice di Dio; la confessione del servo di Dio in Is 49,2 è sot to questo aspetto molto chiara: « mi ha nasco sto all’ombra della sua mano (hb’ hi.) ...mi ha riposto nella sua faretra» (str hi.); cfr. Giob 14,13 « nel regno dei morti ». 5/ Per tradurre i vari termini ebr. che denota no « nascondere » il gr. possiede sostanzial mente soltanto la radice xpu-rcTeiv (str viene tradotto 7x anche con crxeTià^eiv). In questo modo le diverse sfumature di significato tendo no a livellarsi; in realtà non c’è una differenza significativa. Anche il NT afferma che Dio resta nascosto proprio quando si rivela (Mt 13,44 « il regno di Dio è simile ad un tesoro nascosto in un campo»; più che con i derivati di xpuTrmv, questa idea si esprime ad esempio dicendo che Dio è invisibile, non è cioè a disposizione del l’uomo, cfr. p.e. Gv 1,18); Dio si manifesta nell’evento della croce. Così anche la nuova vita del cristiano è « nascosta con Cristo in Dio » (Col 3,3). Solo nel compimento escatolo gico termina il nascondimento di Dio; allora lo «vedremo come egli è» (lGv 3,2). Cfr. A.Oepke, art. xpuruiw, ThW 111,959-979 (= GLNT V,1117-1175). G. Wehmeier
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'ébeed S E R V O
1/ La radice 'bel (verbo e sost. *‘abd-, « ser vo ») è diffusa in tutte le lingue sem. occidenta li (fuorché in et., dove « servo » è detto gabr)\ in acc. si incontra raramente abdu, prst. deri vante dal semO. (Zimmem, 47; CAD A/I, 5la; AHw 6a), assieme a (w)ardu(m), la voce usuale per «servo, schiavo». 11 nome significa quasi dovunque «servo, schiavo» nell’ambito dei rapporti umani, e nello stesso tempo «servo, adoratore » di un dio (cfr. W.W.Baudissin, Kyrios, 111, 1929, 176-178.196-200.228-231.524 555). Non è chiaro se il verbo ebr. sia denomi nativo e che relazione abbiano tra loro i valori «essere servo, servire» ed «elaborare, lavora re » (in aram. generalmente « fare, operare »: bibliogr. in C.Lindhagen, The Servant Motif in thè Old Testament, 1950, 41 s.; ibid. 6-39 per i paralleli extrabiblici; per l’intero problema cfr. anche W.Zimmerli, ThW V, 653-676 = GLNT IX,275-336, con bibliogr.). Oltre a '(ébeed «servo, schiavo» (vd. st. Ili/1; IV/1) e al verbo 'bd (al qal. ni., pu. hi, e ho.; vd. st. III/2; 1V/2) nell’ebr. dell’AT derivano 165 1 3 ^ ‘(ébeed SERVO
dalla radice: il nomen actionis fem. ‘abòdà « lavoro, servizio» (BL 474; vd. st. III/3; IV/3), il sost. collettivo srt. Oltre a sèbeel/siblòl «corvée» (->ni’ 3a) va citata anche la parola originariamente can. mas « lavoratori di corvée » e « corvée » (nell’AT 23x); cfr, a questo proposito e per l’espressione mas ‘òbèd (Gen 49,15; Gios 16,10; IR e 9,21; secon do D.Kunstlinger, O LZ 34, 1931, 61 ls. 'òbèd in questa espressione non ha nulla a che vedere all’ori gine con 'bd « lavorare, servire », ma va collegato a ‘bd II [-» bd 1] e significa « per sempre, in modo per manente ») lo studio di T.N.D.Mettinger, Solomonic State Officiate, 1971, 128-139 (con bibliogr). Incerti sono i sign. « servo di corvée » per jgb q. part. (2Re 25,12 = Ger 52,16) e «prestazione di corvée» per jàgèb (Ger 39,10); cfr. KBL 361a (GB 282b: «arato re, contadino » e «campo[?J »).
IV/ 1/ La concezione di Dio come Signore, che l’AT condivide con tutte le religioni sem. (-►'àdón IV), porta a ritenere e a definire l’uo mo come « servo » (« il tuo servo ») oppure a chiamarlo « servo (servitore) » di Dio. Ciò che viene sottolineato in primo luogo con 'ébeed non è la subalternità, ma l’appartenenza al Si gnore e la sicurezza in lui riposta. Non possia mo affermare che l’uso religioso del termine sia derivato da quello profano; ambedue sono coesistiti fin dall’origine. L’unica differenza so stanziale tra il rapporto che si stabilisce tra uo mini e quello che vale tra gli uomini e Dio 173 “T2J? 'àbeed SERVO
consiste nel fatto che essere ‘ébeed di un uomo può portare anche ad una vita molto ridotta, mentre essere ‘àbeed di Dio significa sempre avere un buon signore. Non si tratta mai di una servitù in senso negativo. a) Poiché il nome ‘ébeed designa prima di tut to e per Io più il singolo individuo in relazione al suo signore, anche 'ébeed in rapporto a Dio interessa anzitutto e principalmente la singola persona (così W.Zimmerli, ThW V,661 n. 41 = GLNT IX,297s. n. 41, contro Lindhagen, l.c. 82ss.). Lo rivela la serie di passi in cui l’uomo rivolgendosi a Dio si definisce servo di Dio, come pure l’altra serie in cui un individuo de terminato viene detto servo di Dio (vd. st. b). Come un uomo si definisce servo nei confronti di un altro (vd. sp. 111/1), così qui in alcuni passi l’uomo, incontrando Dio o un messagge ro di Dio e rivolgendosi a lui, si definisce suo servo: Gen 18,3.5; 19,2; Gios 5,14; ISam 3,9; cfr. Dan 10,17. Questo è il significato di «tuo servo» nel linguaggio dei salmi (oltre 25x). Tale espressione è frequentissima nella lamen tazione individuale, e soprattutto nella suppli ca (Sai 86,2 « salva il tuo servo che in te spe ra!» ecc.), è sviluppata nel Sai 123, e nella professione di piena fiducia (Sai 116,16 «sì, Jahwe, io sono il tuo servo! »). Nella lamenta zione essa può trasformarsi anche in motivo di contrasto (Num 11,11; Giud 15,18). 11 fatto che essa si trovi nel salmo di lamentazione (ab biamo dato solo degli esempi) indica chiara mente la sua funzione: l’orante aderisce al suo Signore dal quale attende e implora aiuto, sal vezza, soccorso e protezione. La relazione con cui l’uomo si sente legato a Dio, e che si espri me con la parola 'ébeed, risulta evidente so prattutto in Sai 123,2s.: «Come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni, come gli oc chi della schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti a Jahwe, nostro Dio, finché abbia pietà di noi. Pietà di noi, Jahwe, pietà di noi...!». Come il coro suppli chevole di questo salmo, così nella preghiera liturgica anche la comunità può definirsi ‘abMìm di Dio (Sai 34,23; 69,37; 113,1; 135,1.14). In periodo postesilico è questa la de signazione dei pii in contrapposizione agli empi, espressa tra l’altro nel Tritoisaia (Is 56,6; 65,8.9.13-15; 66,14; cfr. Mal 3,18 ‘bd q.). Questo plurale, come ben mostra il Sai 123, si fonda sul valore del singolo 'ébeed. b) In un gruppo rilevante di passi (quasi la metà di quelli in cui ‘ébeed è riferito a Dio) un individuo determinato (o un gruppo di tali in dividui) viene definito servo (servi) di Jahwe. Diversamente da quanto avviene per l’orante che si proclama servo di Jahwe, qui si tratta quasi sempre di un servizio di cui il servo vie ne incaricato, e tale servizio è molto spesso in relazione con l’intervento di Dio presso il suo 174
popolo. Mosè in particolare è chiamato servo di Dio, ma anche altre figure dell’epoca arcai ca, soprattutto i patriarchi, e in seguito i re e i profeti. Però non sono chiamali così i sacerdo ti, poiché il servizio cultuale dei sacerdoti vie ne distinto dall’intervento divino nella storia, che si attua mediante gli bàdìm sopra ricor dati. Mosè è colui che più di frequente è definito servo di Dio (Es 14,31; Gios 1,2.7.13.15 ecc., in tutto 40x). La portata funzionale del titolo è chiara in Num 12,7.8; il passo, anche per il contesto che fa un confronto tra Mosè ed i pro feti, mostra che si tratta di un’interpretazione successiva della funzione di Mosè (la designa zione è del resto molto spesso dtn. e dtr.). Si milmente anche altre figure dei primi tempi sono definite in retrospettiva servi di Jahwe: Abramo (Gen 26,24; Sai 105,6.42), Isacco (Gen 24,14; lCron 16,13), Abramo, Isacco e Giacobbe (Es 32,13; Deut 9,27), Giobbe (Giob 1,8; 2,3; 42,7.8). Troviamo spesso il «mi o servo Davide» (2Sam 3,18; 7,8; IRe 11,13.32.34.36.38 ecc.). Anche i profeti sono detti servi di Dio (per lo più al plur.) a partire dall’esilio, soprattutto nella storia dtr. (IRe 14,18; 15,29, 2Re 17,13.23 ecc.). Con questa designazione si manifesta l’interpretazione dtr. della profezia preesilica: in un periodo di cre scente apostasia da Jahwe i profeti hanno con servato la fede e hanno agito al servizio di Dio. Cfr. per l’intero paragrafo W.Zimmerli, ThW V,662-664 = GLNT IX.298-306. c) Solo se si parte da questo uso di ‘àbced, con il quale sono chiamati servi di Dio determinati personaggi oppure i re e i profeti, si può capire perché il Deuteroisaia definisca Israele (al sin golare) come 'àbced Jhwh. Questa particolare accezione del termine ‘àbced si fonda nel Dtis sulla forma dell’oracolo di salvezza, che si esprime con il linguaggio della lamentazione individuale e perciò si rivolge ad Israele come se fosse una persona singola (si confronti la personificazione di Israele nei profeti e nei sal mi). A 'abdekà « tuo servo » della lamentazio ne individuale (vd. sp. a) corrisponde qui 'abdi «mi o servo», rivolto da Jahwe ad Israele: « Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe..., mio servo sci tu...» (Is 41,8s.; inoltre 44,1.2; 45,4; cfr. 44,21; 48,20; risonanze di questo uso in Ger 30,10; Sai 136,22; altri passi sono proble matici). Se in questi passi Israele, come Mosè, è definito servo di Jahwe, ciò significa che Israele ha un compito da svolgere nei riguardi di altri, appunto come Mosè che in quanto ser vo di Jahwe è colui che opera presso il suo po polo su incarico di Dio. Diventa chiaro cosi lo sviluppo che porta ai canti dello ‘àbad-Jhwh. d) Se si vuol comprendere il significato di ‘àbced Jhwh nei canti del servo di Dio (Is 42,1; 49,3.5.6; 52,12; 53,11), si devono prendere i 175
testi nel loro insieme, aggiungendo anche Is 50,4-9 a Is 42,1-4; 49,1-6; 52,13-53,12, sebbe ne il vocabolo ivi non compaia. Lo 'àbced par la qui in 1“ pers. Non è possibile trattare qui per esteso questi testi e il problema del servo di Dio (per gli studi fino al 1900 cfr. E.Ruprecht, Heidelberg 1972 [tesi dattil.]); possiamo limitarci soltanto a chiarire (1) come si diffe renzia l’uso di questo termine rispetto all’uso più generale e (2) come si differenzia lo ‘àbced Jhwh dei quattro testi rispetto al resto del Dits. (1) L’analogia più prossima è anzitutto quella con i testi nei quali Jahwe chiama « mio ser vo » un determinato personaggio; è il caso del la pericope di presentazione 42,1-4, nella quale il servo riceve da Dio una missione. Ad essa corrisponde Is 49,5s., dove al servo viene affi dato il servizio dei popoli, in un primo tempo limitato al solo Israele. Is 42,3s. e 50,4s. de scrivono lo svolgimento di questo servizio, che ricorda chiaramente quello dei profeti. Si pos sono riscontrare in esso alcuni tratti tipici del l’ufficio del re; 42,1-4 anche da un punto di vi sta linguistico ricorda la designazione di un re (Westermann, ATD 19,78 = ital. 118) nonché la funzione di recare il diritto (mispài) alle na zioni (42,l.3s.); cfr. J.Jeremias, VT 22, 1972, 31-42, La linea monarchica dei canti del servo è in sintonia con altri passi delPAT che defini scono il re servo di Dio (vd. sp. b). Tuttavia l’aspetto più notevole è il ministero della paro la, affidato al servo, particolarmente sottolinea to in 49,1-6, quando si accenna al fallimento della missione profetica del periodo preesilico. Tra il ministero della parola e la passione del servo (42,4a; 49,7; 50,4-9 e 52,13-53,12) c’è un rapporto profondo. Si nota qui chiaramente un’eco delle sofferenze e del lamento di Gere mia (G. von Rad, W.Zimmerli f. gli a.). Però diversamente dal profeta Geremia le sofferenze del servo in 52,13-53,12 hanno una portata positiva e vivificante per la loro funzione vica ria: esse sono approvate da Dio e convalidate con la morte del servo. È la prima volta che l’AT arriva ad una simile concezione: essa su pera tutto ciò che era stato affermato fino ad allora in merito alle funzioni di un servo al servizio di Jahwe. (2) Con il messaggio del Deuteroisaia (oltre al l'affinità di linguaggio e di stile, cfr. in proposi to Zimmerli, l.c. 664) vi è una certa connessio ne per quanto riguarda la designazione di Israele come servo di Jahwe neH’oracolo di sal vezza (vd. sp. c). Ma non è possibile, partendo di qui, interpretare collettivamente la figura del servo di Dio nei canti (nonostante 49,3, che oggi è considerato quasi unanimemente un’interpretazione collettiva posteriore del ser vo); con questa definizione di Israele quale ser vo di Jahwe si accenna invece ad una missione di Israele al servizio di Jahwe proiettata nel fu
*122 ‘àbced SERVO
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turo. Benché in modo limitato, l’mterpretazione collettiva è esatta in quanto l’opera del ser vo di Dio descritta nei canti, anche se si parla chiaramente di lui come figura singola, diventa nello stesso tempo il compito futuro di Israele. Una relazione più chiara e diretla si può vede re anche nel fatto che ls 43,22-28 il verbo ‘bd hi. viene riferito per la prima volta a Dio: « Mi avete fatto servire coi vostri peccati ». Dato che il servizio di Israele è fallito (« non mi ave te servito »), Dio stesso si è assunto il compito (servizio) di eliminare i peccati del popolo. F, quanto deve fare del resto il servo di Dio nei canti, dove è la sofferenza vicaria del servo che elimina i peccati del popolo. Ma tramite il ser vo opera Jahwe, e se ne ha conferma nell’esal tazione del servo. 2/ Mentre il verbo 'bd riferito al servizio tra uomini (vd. sp. III/2) è senz’altro ambivalente e può indicare sia qualcosa di positivo sia qualcosa di negativo, ‘bd in rapporto a Dio è sempre positivo. In quest’ultimo caso abbiamo piuttosto una corrispondenza con 'bd riferito a cose (III/2a): infatti anche il servizio di Dio ap partiene alla natura umana. L’umanità che non ha servito Dio può essere definita come un’umanità che non svolge alcuna attività. « Servire Dio » nelPAT indica un rapporto molto vasto con lui. Se si fa un confronto con l’affermazione per noi usuale « credere in Dio », la differenza sostanziale consiste nel fat to che il « servire Dio » non ha un contrario, corrispondente al non credere. L’alternativa al « servir Dio » è piuttosto « servire altri dei ». Che un uomo (opp. un gruppo) serva un Dio non costituisce problema: la questione è solo di vedere quale Dio serve. Se l’espressione « servire Dio » è una definizione globale del rapporto con Dio, non può voler dire ad esem pio « rendere un servizio a Dio ». Significa piuttosto riconoscere Dio come Signore, e ciò si verifica solo se tutta l’esistenza viene coin volta. Mentre «credere in D io » è un fatto esclusivamente spirituale, « servire Dio » è possibile soltanto impegnando l’intera esisten za. L’Uso teologico di 'bd può suddistinguersi come segue: nei gruppi principali « servire Jah we (Dio)» (2abd) si contrappone a « servire al tri dei » (2c). Nel gruppo « servire Jahwe » si deve distinguere tra il « servire » occasionale (2a) e quello permanente (2bd), e per quest’ul timo si deve ancora tener distinto il riconosci mento esistenziale di Jahwe (2b) dall’esercizio cultuale del servizio di Dio (2d); su questa di stinzione si fonda la possibilità della critica profetica al culto (2e). a) li «servire D io» occasionale è costituito dalla, celebrazione di un sacrificio offerto a Jahwe nel dèseFtò (15 passi in Es 3-12) e da 177
‘(èbad SERVÒ
una festa sacrificale in ambito familiare in 2Sam 15,8. La traduzione «servire» non co glie qui il significato esatto, poiché si vuol dire che il riconoscere Jahwe come signore compor ta un’azione specifica quale atto di riconosci mento. In questi passi si ha certamente l’uso più antico di ‘bd riferito a Dio. Questo ‘bd non significa ancora una celebrazione fissa e istitu zionalmente canalizzata nel culto, ma si riferi sce al riconoscimento di Dio come Signore, espresso con un’azione particolare quando sia giusto e necessario. A questo uso antico risale la distinzione posteriore di due concetti com pletamente diversi tra loro: « servire Dio » e «funzione liturgica» e tale distinzione riguar da l’AT e il NT, e sopravvive nel linguaggio ecclesiastico fino ad oggi. Da un lato si ha il « servire D io» in celebrazioni di culto determi nate e regolari e dall’altro il « servire Dio » in un’azione contingente, legata al quotidiano; di solito essi vengono designati rispettivamente con i termini « cultuale » ed « etico ». In Es 3ss. la celebrazione richiesta da Jahwe è un av venimento contingente, che esercita una sua funzione in un momento storico. I due aspetti in questo caso coincidono ancora. Con il pas saggio alla vita sedentaria essi però si separa no: servire Dio diventa un’azione permanente che si svolge in determinati luoghi e in tempi fissi; l’elemento contingente sopravvive ancora nel concetto di «servire D io» che comporta un riconoscere Dio come signore in una situa zione contingente, un servizio a Dio legato al l’esistenza. b) In Gios 24 si verifica il passaggio: 'bd, rife rito a Dio, è il leitmotiv del capitolo (è attesta to 16x). L’avvenimento qui descritto mostra che con ‘bd si vuol affermare la scelta decisiva di Jahwe come Dio, quindi come signore di Israele. Questa decisione fa sorgere un servizio di Dio che dura nel tempo, ma in esso la deci sione in favore di Jahwe come signore mantie ne la sua efficacia, 'bd non consiste quindi nel l’esecuzione di azioni cultuali, ma riguarda propriamente la scelta di Jahwe come signore dì Israele nelle situazioni critiche, quando cioè si ripetono le circostanze di Gios 24. Soltanto quando si conserva la scelta in favore di Jahwe ‘bd può restare veramente integro. Partendo da Gios 24 diventa chiaro che « servire Dio » si gnifica propriamente ambedue gli aspetti, ma a partire da questo momento e nel contesto della vita sedentaria la celebrazione cultuale del ser vizio di Dio e la decisione esistenziale in favo re di Jahwe possono risultare separate; in que sto distacco è insita la possibilità che il servizio cultuale di Dio non sia più soltanto espressio ne del riconoscimento di Jahwe con l’intera esistenza, e qui trova la sua giustificazione an che la critica profetica del culto. Il servizio di Dio manifestato con la propria 178
esistenza assume una peculiare impronta nel Deutoronomio, p.e. nell’importante cap. 6, al v. 13: «Temerai Jahwe Dio tuo, lo servirai e giurerai per il suo nome ». Se nel Deut il servi zio esistenziale è posto cosi in rilievo (p.e. 10,12 « servire Jahwe tuo Dio con tutto il cuo re e con tutta l’anima ») si può ritenere che dietro queste formulazioni vi sia già la preoc cupazione che il servizio di Dio nel culto non costituisca più l’unica espressione del ricono scimento di Jahwe come signore di tutta quan ta la propria esistenza. Si comprende allora la frequenza degli avvertimenti e dei moniti rela tivi a questo tipo di servizio, come ad esempio nel brano dtr. di ISam 12, dove ricorre più volte l’espressione « servite Dio con tutto il cuore» (vv. 20.24). All’ammonizione corri sponde da parte dei destinatari la promessa (voto); Gios 24,18.21.24; ISam 12,10. È una promessa che dura «finché è vissuto Giosuè» (Gios 24,31; Giud 2,7). Israele si rifiuta di ser vire Jahwe (Ger 2,20). Così servire Dio può di ventare promessa degli ultimi tempi (Ger 30,9; Ez 20,40), con la possibilità di includere anche i non israeliti (Is 19,21.23; Sof 3,9). c) All’espressione « servire Jahwe » si contrap pone, in una rilevante serie di passi, l’espres sione « servire dei stranieri ». Alla base vi è qui il comandamento: «Non ti prostrerai da vanti a loro e non li servirai » (Es 20,5 = Deut 5,9ho.; cfr. Es 23,33). Per il Deut il culto degli altri dei è la grande prova dalla quale dipende il destino di Israele; nella storia dtr. è il « pec cato di Geroboamo » che determina il giudizio su tutti i re. La diffida a servire altri dei per corre tutto il Deut (4,19; 7,4.16; 8,19; 11,16; 12,30; 13,3 [ho.].7.14; 28,14 ecc.; cfr. N.Loh fmk, Das Hauptgebot, 1963, 74s.303s.); far questo equivale ad allontanarsi da Jahwe (~>skh «dimenticare», -* ‘zb «abbandonare» ecc.). L’espressione « servire altri dei » non vuol dire soltanto praticare un culto straniero, ma riconoscere altri dei (opp. un altro dio) come signore, scegliere la signoria di un altro dio. Servire altri dei è il rifiuto del primo co mandamento. Vi è poi un altro uso linguistico: questa stessa espressione può comportare anche l’apparte nenza opp. il passaggio ad un altro genere di vita. Deut 12.2.30 presuppone che altri popoli servano altri dei; gli antenati di Israele hanno servito altre divinità (Gios 24.2.14.15), e la sciare il paese significa servire altri dei (Deut 4,28; 28,36.64; ISam 26,19). In questo senso « servire altri dei » non contiene nulla di col pevole, è piuttosto un destino che può capitare a chiunque. Questo limitato gruppo di testi dice ancora una volta che il servire un dio è connaturale all’essere umano; quando si esce fuori dalla signoria del proprio dio è inevitabi le passare al servizio di un altro dio o di altri 179
dei. Ma ciò indica anche che la proibizione di servire altri dei in Israele ha soltanto il signifi cato di conservare l’incondizionata esclusività del dominio di Jahwe sopra Israele (Deut 6,4). Il rifiuto del primo comandamento è possibile perciò solo nell’ambiente in cui ha valore tale comandamento. d) Mentre le espressioni « servire Dio » e « ser vire altri dei » sono determinate dalla decisione prò o contro Jahwe e in essa trovano il loro punto d’incontro, come risulta da Gios 24, l’al tro aspetto di 'bd riferito a Dio, tipico del lin guaggio sacerdotale e cultuale, ha fatto assume re al termine un ulteriore significato: ‘bd deno ta in tal senso il servizio del tempio. Questo uso è attestato in P (Elliger, HAT 4, 358 n. 52) e in Cron. I leviti sono destinati al servizio del tempio, che è sinonimo di servizio di Jahwe (Num 8,11; frequente è la figura etimologica ‘bd 'abòdà, Num 3,7.8; 4,23.30.47, ecc.). Servi re Jahwe e servizio liturgico sono identici. I soggetti di questo servire sono sempre sacerdoti e leviti. La qualifica più precisa di questo ser vizio è quasi sempre di natura tecnica; si tratta delle modalità del sacrificio o di altre azioni li turgiche; il discorso verte sul luogo, gli oggetti necessari, i tempi di questo servizio. Nell’uso linguistico questo servizio cultuale si avvicina al nostro concetto profano di «servizio». e) Un distacco così netto tra il servizio di Dio descritto in Gios 24 e nelle sezioni centrali del Deut e quello di natura tecnico-cultuale trova riflesso nella critica profetica del culto. I profe ti dell’8° e del 7° sec. non usano però ‘bd nei loro oracoli contro il culto, ma il termine com pare nello sguardo retrospettivo del passo chia ve del Deuteroisaia: «N on ti ho fatto servire con offerte sacrificali... Tu hai fatto servire me, con i tuoi peccati » (Is 43,23s.). Nelle parole di Dio viene rovesciato l’argomento che Israele portava contro Dio nel suo lamento, e cioè: noi però ti abbiamo servito fedelmente con i nostri sacrifici! Jahwe allora risponde: voi in realtà non mi avete servito. Voi mi avete usato come servitore! In altre parole: non io ti ho fat to lavorare (servire), ma tu mi hai fatto lavora re (servire)! È una frase arditissima; l’uso dell’hi. di ‘bd riferito a Dio è veramente impossi bile: Dio non può essere ‘àbced. Ma proprio in questa contestazione della purezza del culto che Israele ha prestato a Dio compare nel Dtis questa espressione impossibile, nella quale Dio diventa soggetto di ‘bd. Questo passo è il lega me più importante tra il messaggio del Dtis e i canti del servo di Dio (vd. sp. IV/ld[2]). 3/ Nella maggioranza dei passi ‘abòdà signifi ca il servizio del santuario, il servizio liturgico. I passi nei quali si parla dell’edificio del san-' tuario e del lavoro che vi si svolge rappresenta*73# ‘àbced SERVO ■
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no una fase di passaggio (Es 27,19; 36,5; 38,21; Num 3,26). Num 4,4.19; 2Cron 8,14 parlano del servizio dei sacerdoti e dei leviti; del servi zio del tempio (tenda, abitazione ecc.) riferisco no numerosi passi di P (cfr. J.Milgrom, Studies in Levitical Terminology, I, 1970) e del Croni sta (cfr. anche Ez 44,14). Al nostro « servizio divino» corrisponde 'abòdat Jhwh (Num 8,11; Gios 22,27; 2Cron 35,16). Va rilevata l’unica definizione dell’operare di vino come ‘"bòdà nella frase relativa all’opus alienum Dei di Is 28,21: «per compiere la sua opera - inconsueto è il suo lavoro! » (par. ma^S&y -» ‘sh). La concezione a noi familiare dell’operare e delfopera di Dio, a quanto ne sappiamo, trova qui la sua prima formulazione.
1990; J.C. de Moor, The Seasonal Pattern..., 1971, 156; iscrizioni semNO. DISO 202). La radice compare nelPAT al q. «passare, ol trepassare », al ni. « venir attraversato », al pi. (vd. st. 3c), all’hi. (causativo di q.), e nei so stantivi ‘è b a r (aram. ‘“bar) « la parte di fron te», ‘abàrù «guado, traversata», m a ‘ubàr «(il passare del bastone =) colpo» (Is 30,32) e «guado, transito» (Gen 32,23; ISam 13,23), m a'bàrà «guado, forra», e infine nel nome di luogo ‘abàrlm «traversata»; - * ‘cebrà. L ’origine della parola ibrl « ebreo » è oscura. Per lo più si ritiene possibile una corrispondenza con l’acc. faab/piru, ug. ‘prm, eg. ‘pr (contestata da R.Borger, ZD PV 74, 1958, 121-132). Si suppone anche talvolta una derivazione da ’àfar «polvere» (R. de Langhe, Les textes de Ras Shamra-Ugarit..., II, 1945, 465; Borger, l.c. 130s.) o da ‘br (J.Lewy, H U C A 28, 1957, 1-13), ma «tutte le ipotesi finora Formulate sono in sufficienti » (M.Weippert, Die Landnahme der israelitischcn Stamine in der neucren wissenschaftlichcn Diskussion, 1967, 83; per una bibliogr. recente cfr. J.Bottéro, Le problèine des Habiru, 1954; M.Greenberg, The Hab/piru, 1955; R. De Vaux, Die hebr. Patriarchen und die modemen Entdeckungen, 1959, 44-54; id., Bible et Orient, 1967, 165-174; Weippert, l.c. 66-102; K. Koch, VT 19, 1969, 37-81).
V/ Nelle Hodajoth di Qumran «tuo servo» è usato spesso dall’orante per designare se stesso (IQH 5,15.28; 7,16 ecc.). Nella traduzione dei LXX i diversi significati del verbo ebr. 'bd sono resi con vocaboli di stinti. Quando il sign. di ‘bd è «elaborare, la vorare » i LXX traducono con Épya^ea&ai. 5o\Àeuet,v nei LX X indica in generale il lavoro degli schiavi; anche la schiavitù in Egitto è chiamata così. Mentre tuttavia 5ouX,euelv nella 2/ Dati statistici: ‘br q. 465x (incl. Ger 2,20 grecità extrabiblica non ha relazione con il lin Q, K: ‘bd; del Ez 16,37 in Lis 1021b [V6]; Gios 53x, Deut 46x, 2Sam 39x, Is 34x, Num guaggio religioso, nei LXX esso può designare 3lx, Ger e Sai 25x ciascuno, Giud 23x, Ez il rapporto di dipendenza e lo stato di servitù 22x, ISam 21x, Gen 20x), ni. lx (Ez 47,5), pi. delPuomo nei confronti di Dio. XaxpEUEiv si 2x, hi. 80x (incl. 2Sam 19,41 Q; Ez 48,14 Q; gnifica «servire nel culto, venerare». I LXX Ez 13x; 2Sam 9x), il verbo in totale 548x; però, a differenza di SouXeueiv, usano Xa-rpeueiv soltanto per il servizio divino; anche Xcrcpeia è , ‘è b a r 9Òx (Gios 24x, Deut I2x), aram. ‘°bar 14x (in Esd, sempre “'bar n a ìfrà , vd. st. 3e), riferita soltanto al culto, ma in tal senso si può ,abàrà 2x (2Sam 15,28 K; 19,19), m a ,abàr 3x usare anche Xeltoupyux. Tra le traduzioni di ‘ébeed prevalgono SouXoq e naìq; cfr. a questo (vd. sp. 1), m a'bàrà 8x. proposito e per il NT f. gli a. W.Brandt, Dienst und Dienen im NT, 1931; S.Daniel, Rechcrches 3/ a) Secondo il contesto e l’impiego delle sur le vocabulaire du culte dans La Septante, varie preposizioni, sono possibili molte tradu 1966; RRengstorf, arL SoOXoq, ThW 11,264-283 zioni del qal ebr., ma tutte attorno al sign. (= GLNT 11,1418-1466); G.Bertram. art. Epyov, (spaziale) «oltrepassare, transitare dall’altra ThW 11,631-653 (= GLNT 111,827-886); H. parte, varcare »: con il complemento ogg. o an Strathmann, art. Xa-rpEucu, ThW IV, 58-66 (= che in senso intransitivo il sign. è quello di GLNT VI, 167-190); H.Strathmann - R.Meyer, «passare, attraversare» (quasi un terzo dei art. XeiTOupyÉu) ThW IV, 221-238 (= GLNT , passi hanno come complemento il Giordano; VI, 589-634); A.Oepke, ThW V,637 (= GLNT cfr. H.-J.Kraus, Gottesdienst in Israel, 21962, 1X,237, per urne; nei LXX); W.Zimmerli 181-187); con l’accusativo di direzione il senso -J.Jeremias, art. -kolù; #eo\5, ThW V, 653-713 è «passare a, inoltrarsi verso» (Am 5,5 par. (= GLNT IX, 275-440). ->bò‘\ 6,2 par. Ger 48,32 par. ng‘ C. Westermann «giungere fino»; cfr. ISam 14,1 con ’tr/); con complemento ogg. « via » equivale a « percor rere la via» (Is 33,8; Sai 8,9; Prov 9,15); con complemento ogg. di persona «sorpassare» 18,23); con I f «transitare per» (Gen "DI? ‘br PASSARE, OLTREPAS (2Sam 12,6; 30,32; Num 13,32; Deut 2,4; Is 62,10); SARE con ‘a l «passare sopra qualcosa» (Num 6,5; Giona 2,4: Sai 88,17), « passare accanto a, ol ' 1/ 'br è attestato (ad eccezione dell’et.) in tut-“ tre qualcuno/qualcosa» (Gen 18.3 [m&'a[\.5; te le lingue sem. (per i testi più antichi cfr. f. 2Sam 15,18; IRe 9,8; Ger 18,16); con lifnè «precedere qualcuno/qualcosa» (Gen 32,17; gli a. AHw 182 [acc. ebéru]; ug.: WUS nr. 181
13J7 ‘br PASSARE, OLTREPASSARE
182
33,3.14; Es 17,5; ISam 9,27; 2Re 4,31); con ’aharè «seguire» (2Sam 20,13); con min «sfuggire, liberarsi da» (Is 40,27; Sai 81,7). Vanno rilevate soprattutto espressioni che ten dono a fissarsi come termini tecnici, come ad esempio: ‘óbèr jàm «navigante» (ls 23,2; cfr. Sai 8,9; acc. èbir làmli «marinaio», AHw 182b); k à su f’òbèr «moneta corrente» (Gen 23,16; 2Re 12,5 txt?; cfr. KBL 675b); mòr ’òbSr «mirra stillante» (Cant 5,5.13; P.Katz, Gnomon 30, 1958, 541; Gerleman, BK XV111, 167); «coloro che percorrono» di Ez 39,15 potrebbe avvicinarsi al sign. di «esaminatori, controllori» (par. hqr «ricercare» v. 14; cfr. Zimmerli, BK XIII, 924.967); 'br 'al happeqii(Ùrn (Es 30,13.14; 38,26) «entrare tra i censi ti » (così Noth, ATD 5, 193 = ital. 293) è ter mine tecnico sacerdotale per il censimento (cfr. anche CD 10,ls.; 15,6).
re,
tener lontano»
(Sai
119,37.39;
Eccle
11 , 10 ).
d) Verbi affini per significato sono: gùz « passare » (Num 11,31; Sai 90,10; vd. H A L 175a con congettu re); hip I « proseguire, passar oltre, passare in fretta, sparire» (q. 4x, par. ‘br in Is 8 , 8 ; 24,5 «trasgredire [una legge]»; Ab 1,11; Giob 9,11; Cant 2,11); 7q «andare avanti, progredire» (Giob 14,18; 18,4; in senso traslato «invecchiare» Sai 6 ,8 ; Giob 21,7; cfr. inoltre Wagner nr. 228).
b) In stretto rapporto con 3a si possono notare i seguenti possibili significati con valore trasla to: «trasgredire, non osservare una legge» (Sai 148,6; Est 3,3); «passare, trascorrere» in senso temporale (Gen 50,4; 2Sam 11,27; IRe 18,29; ls 26,20; Ger 8,20 par. klh «essere alla fine»; Am 8,5; Giob 17,11; Cant 2,11 par. hip «pas sare»); «estinguersi, decadere» (Est 1,19); «esaurirsi, venir meno» (Giob 6,15; 11,16); «disperdersi» (della pula: Is 29,5; Ger 13,24; Sof 2,2; dell’ombra: Sai 144,4); «perire» (Giob 34,20 par. mùt « morire »), cfr. 'br basseèlah (Giob 33,18.28 [txt em]; 36,12), frase che secondo KBL 976b e Fohrer, KAT XVI, 454.458 (con rimando all’ug. slh in Krt [= I K] 20) corrisponde a «passar per la saetta» (di versamente M.Tsevat, VT 4, 1954, 43, e D.Leibel, Tarbiz 33, 1963/64, 225-227: «at traversare il fiume degli inferi » = « morire »).
e) ’èbeer «la parte di fronte», « l ’altra parte» di una valle (ISam 31,7), del mare (Ger 25,22), del fiume (ls 8,23; diversamente B.Gemser, VT 2, 1952, 349-355), come accus. di luogo (Deut 4,49; Gios 13,27) o con min/be (Gen 50,10s.; Num 22,1; 34,15; Deut 1,1.5; Gios 13,32; Giud 11,18 ecc.), tendendo ad assumere il sign. della prep. «oltre», ricorre come denomina zione geografica, soprattutto nelle combinazio ni ‘èbeer hajjardén, che può indicare - a secon da della posizione di chi parla - sia la Transgiordania (Gen 50,10s.; Num 22,1; 32,32; Deut 1,1.5; Gios 1,14; 2,10 ecc.) sia la Cisgiordania (Num 32,19; Deut 3,20.25; 11,30 ecc.), nonché ‘ébeer hannàhàr (aram. ‘°bar naharà, acc. Eber nàri, AHw 18Ib) « il paese ad ovest del Fiume (Eufrate), l’Oltrefiume (Transpotamia)» (IRe 5,4; Esd 8,36; Neem 2,7.9; 3,7; aram. Esd 4,10s. 16s.20 ecc.), che come termine tecnico geografico-politico per indicare la Siria-Palestina « si è affermato con ogni probabi lità solo con il linguaggio burocratico dell’im pero persiano » (Noth, BK IX, 76; cfr. J.Simons, The Geographical and Topographical Texts of thè OT, 1959, 33; in alcuni testi pree silici l’espressione indica ancora la regione ad est dell’Eufrate: Gios 24,2s.l4s.; 2Sam 10,16 = lCron 19,16; IRe 14,15; ls 7,20).
c) 11 pi. è usato in IRe 6,21 col valore tecnico « far passare (catene d’oro come ornamento del tempio)» (cfr. Noth, BK IX,96.122; Jenni, HP 140) e in Giob 21,20 nel significato di «m on tare » del toro (cfr. aram. giud ‘br pa. « fecon dare»; Wagner nr. 212; ev. anche KAI nr. 162, r. 4). L’hi. presenta i valori causativi corrispondenti del qal (« far transitare, condurre di là, far pas sare» ecc.). Significati particolari sono ancora: il termine tecnico del sacrificio dei bambini ‘br hi. (Es 13,12; Lev 18,21; Ger 32,35; Ez 16,21; 20,26; 23,37) opp. ‘b r hi. bà'Ss «far passare per il fuoco» (Deut 18,10 ecc., vd. i passi sotto -> ’ès 3a); inoltre con complemento ogg. sòfar « corno » (Lev 25,9) opp. qòl « voce » (Es 36,6; Esd 1,1; 10,7; Neem 8,15; 2Cron 30,5; 36,22; cfr. anche ISam 2,24) «far risuonare»; «strappare, portare via» (2Sam 3,10; Est 8,2 par. sur hi. «allontanare»); «rimuovere, eli minare» (IRe 15,12 par. sur hi.; Giona 3,6; Zac 13,2 par. krt hi. «estirpare»); «distoglie
4/ Raro è l’uso teologico di ‘br (q. e hi.), le gato ai significati esposti in 3a-c. Si possono ri cordare ì seguenti elementi tipici: (1) il passare di Dio (opp. del suo —kàbòd) nella teofania (Es 33,22, cfr. v. 19 hi.; 34,6; IRe 19,11; cfr. J.Jeremias, Theophanie, 1965, particol. 112-115); (2) il passare della punizione divina (Es 12,12.23; Am 5,17; cfr. J.L.Crenshaw, ZAW 80, 1968, 206); (3) il procedere di Dio nella guerra santa (Deut 9,3; 31,3; cfr. G. von Rad, Der Heilige Krieg im alten Israel, 1951, 9.68ss.74s.); (4) come espressione di perdono va citato 'br hi. ->• 'àwòn « portar via, far passare il pecca to» (2Sam 24,10 = lCron 21,8; Zac 3,4 par, sur hi. «allontanare»; Giob 7,21 par. ->n$' posa' «cancellare la colpa»; con il comple mento ogg. hattà’l «peccato» 2Sam 12,13). Si avvicina al significato di « perdonare » anche ‘br q. ‘alposa' « non tener conto del peccato »
183
*1317 ‘br PASSARE, OLTREPASSARE
184
(Mi 7,18 par. ns’ ‘àwòn\ cfr. Prov. 19,11 con un soggetto umano; cfr. anche ‘br q. le « perdo nare» Am 7,8; 8,2). Certo ‘br 'al è «soltanto una immagine imperfetta e quindi non diffusa del perdono; esprime infatti soltanto il trascu rare e il non badare, non l’eliminazione della colpa» (J.J.Stamm, Erlòsen und Vergeben im AT, 1940, 72). (5) L’uomo è soggetto di 'òr q. nel trasgredire l’alleanza (—berìt III/6c; Deut 17,2; Gios 7,11.15; 23,16; Giud 2,20; 2Re 18,12; Ger 34,18: Os 6,7 par. —bgd «tradire»; 8,1 par. ps‘ ‘al «violare»; cfr. CD 1,20 hi.; 16,12 q.) opp. i comandamenti di Dio (pi Jhwh: Num 14,41; 22,18; 24,13; ISam 15,24 [-pai]', miswà: Deut 26,13, 2Cron 24,20 [-♦■yw/i pi.]; — torà: Is 24,5 par. hip —hòq e prr hi. berit\ Dan 9,11; cfr. IQS 5,7.14; 8,22; IQ H 4,27). (6) Al rito con cui originariamente si conclu deva un’alleanza e che consisteva nel passare tra le parti di un animale tagliato {‘br ben Gen 15,17; Ger 34,18.19; cfr. Noth, GesStud 1,142-154) potrebbe eventualmente riferirsi an che l’espressione ‘br bibrìt Jhwh « entrare nel l’alleanza» (Deut 29,11; cfr. IQS 1,16 ecc.). 5/ A Qumran si ha un uso di ‘br simile a quello dell’AT. I LXX molto spesso traducono la radice con 8ux(Jcuvav e 7iap£px£cr9ai. Questo secondo verbo acquista importanza teologica quando si riferisce alla trasgressione dei co mandamenti divini e alle apparizioni di Dio. Nel NT si potrebbe forse intendere in questo modo Le 18,37 (cfr. J.Schneider, art. napépXopm, ThW II,679s. = GLNT Ill,954ss.; id., art. 7rapaPatvw, ThW V,733-741 = GLNT IX,495-518). Con il sign. «passare» il termine acquista spesso una connotazione escatologica.
H.-PStàhli
‘cebrà IRA 1/ Il sost. 1cebrà « ira » va fatto derivare da una radice verbale ‘br il cui significato resta tuttavia incerto. Da un lato è stata proposta una derivazione da -* ‘br 1 « attraversare, anda re dall’altra parte », dato che in ebr. c attcstato qualche volta un verbo ‘br hitp. col sign. « mo strarsi spavaldo, adirato» (< «lasciarsi tra sportare »?). Da questo verbo potrebbe derivare anche il sost. 'cebrà I « tracotanza, eccesso » (ls 16,6; Ger 48,30; Prov 21,24; GB 561 a; O.Grether - J.Fichtner, ThW V,393 n. 62 = GLNT V ili, 1105 n. 62). D ’altra parte c meglio pensa re ad una radice autonoma ‘br II « essere adi rato» che non è attestata se non in arab. (gbr) (Wehr 595b: igbiràr «astio»; J.A.Emerton, 185 rn ?V ‘cebrà IRA
ZAW 81, 1969, 189; è incerto se l’antico aram.
j'brnh di Sef. Ili, r. 17 derivi da 'br «essere adi
rato»; cfr. DISO 202; R.Degen, Altaram. Grammatik, 1969, 68 n. 54; ncU’aram. targumico si ha ta'abìir « ira » in ls 9,18 e 13,9, cfr. Jastrow I683b). Impossibile sembra la de rivazione dall’arab. gariba «serbare astio» (KBL 676b dubitando) o dall’arab. garb « pas sione, violenza » (GB 560 dubitando; cfr. Wehr 598b: « violenza, impeto »). In ebr. il sost. ‘cebrà è un fem. segolato (qitl). Il plur. cs. ‘abròt (Sai 7,7, rispetto a Giob 40,11 'cebròt) potrebbe far pensare ad una forma se golata di tipo qatl (BL 604).
2/ Il verbo 'br hitp. è attestato 8x nell’AT (Sai 4x, Prov 3x, Deut lx), il sost. ‘cebrà 34x (Is 6x, Ez, Sai e Prov 5x ciascuno), di cui sol tanto 3x al plur. (Sai 7,7; Giob 21,30; 40,11). 3/ a) Nel sign. « mostrarsi adirato » ‘br hipt. ricorre soltanto cinque volte e riguarda sempre l’ira divina: Deut 3,26; Sai 78,21.59.62; 89,39. Gli altri tre passi si riferiscono esclusivamente all’agitazione emotiva dell’uomo. Solo Prov 20,2 è chiaro; in Prov 14,16 e 26,17 le tradu zioni suppongono una forma derivata da ‘br (cfr. Gemser, HAT 16, 67.95). La condotta dell’uomo che il libro dei Proverbi denota con ‘b r hitp. è caratterizzata sempre da una certa presunzione o addirittura da intemperanza. Lo stolto presta poca attenzione al male (Prov 14,16). Chi si comporta con intemperanza e con ira di fronte al re mette a repentaglio la propria vita (Prov 20,2). b) Il sost. ‘cebrà descrive 22x l’ira divina (Is 19,18; 10,6; 13,9.13; Ger 7,29; Ez 7,19; 21,36; 22,21.31; 38,19; Os 5,10; 13,11; Ab 3,8; Sof 1,15.18; Sai 78,49; 85,4; 90,9.11; Prov 11,4; Lam 2,2; 3,1) e 12x l’ira umana (Gen 49,7; Is 14,6; Am 1,11; Prov 11,23; 14,35; 22,8; inoltre i passi al plur., vd. sp. 2, e i passi nei quali ‘cebrà assume di preferenza il sign. « tracotan za, eccesso », vd. sp. 1). Anche i passi con il sost. dicono che l’ira può portar soltanto alla perdizione e al castigo: Si meone e Levi furono dispersi a causa della loro ira (Gen 49,7), e così pure sarà punita l’ira di Babilonia (ls 14,6), di Moab (Is 16,6; Ger 48,30), di Edom (Am 1,11), e anzi di tutti gli uomini (tutte le ricorrenze di Prov). Le forme al plur. denotano piuttosto le azioni dell'uomo compiute sotto gli effetti dell’ira, e si prega Jahwe di intervenire contro di esse (Sai 7,7); nel giorno di tali azioni il malvagio non sarà risparmiato (Giob 21,30), mentre Giobbe può dar sfogo ai furori della collera che comunque sono quelli di un debole e non sono paragona bili a quelli di Dio (Giob 40,11). In questo contesto altri termini accompagnano ‘b r/‘cebrà: ga’awà e gàon (—g ‘h) Is 16,6; con 186
-* ‘af in stato cs. Giob 40,11 e come termine parallelo Is 14,6; Am 1,11. 4/ a) Nel linguaggio teol. queste affermazioni prendono maggior rilievo. È sintomatico ad esempio che ‘br hipt. oltre che in Deut 3,26, dove viene descritta l’ira di Dio contro Mosè per la disubbidienza del popolo, si riscontri soltanto nei salmi ed anche qui denoti la rea zione divina ai peccati del popolo. b) Non è perciò strano che il termine 'cebrà sia usato in particolare dai profeti (15x), e che di venti molto frequente all’epoca dell’esilio, come del resto si nota anche per gli altri termi ni che denotano l’«ira». Esso forma una co struzione fissa nelle seguenti espressioni: ‘cebrat Jhwh «ira di Jahwe» (Is 9,18; 13,13; Ez 7,19; Sof 1,18); ‘am/dòr 'abràfi/'cebràtò «popolo della mia/sua ira» (Is 10,6; Ger 7,29); jòm ‘cebrà «giorno dell’ira» (Ez 7,19; Sof 1,15.18; Prov 11,4; per il significato anche Is 13,9.13); ’ès 'cebràtl « fuoco della mia ira » solo in Ez: 21,36; 22,21.31; 38,19. In questo campo 'cebrà si trova unito ad altri termini che designano l’ira: -+’af Os 13,11; Sai 78,21; 90,11; ’a f e ->hrh Ab 3,8; haròn ’af Is 13,9; Sai 85,4; ffròn ’af e zd'am Sai 78,49; zà'am Ez 21,36; 22,31; ->qin’à Ez 38,19; -» ‘ès qin’à Sof 1,18. 5/ Gli scritti di Qumran usano 'cebrà per in dicare l’ira divina alla stessa maniera dell’AT (1QS 4,12; 1QM 4,1; 14,1; CD 8,3; 19,16). Per il NT cfr.‘af 5; ->hèmà 5.
G.Sauer
IV 'ad SEMPRE 1/ Il sost. 'ad «eternità, sempre», attestato soltanto in ebr. con valore prevalentemente av verbiale (se è possibile prescindere dall’ug. b ‘d ‘Im di PRU II, nr. 19, r.6; cfr. WUS nr. 1999; UT nr. 1813), di solito (p.e. GB 563a; Zorell 571b.573a) è posto in relazione con la prep. ‘ad «fin o » e con la radice *‘dj «continuare, passare oltre» (in ebr. soltanto ‘dh q. «cammi nare» Giob 28,8; hi. «togliersi [un vestito]» Prov 25,20; aramaismo?, cfr. Wagner nr. 214) e viene interpretato nel senso di « durata inin terrotta » o sim. (cfr. anche G.R.Driver, WdO 1/5, 1950, 412). 2/ Le 48 attestazioni di ‘ad sono distribuite in modo irregolare nelPAT: 29x in Sai, 8x in ls, 2x ciascuno in Mi, Giob, Prov, lx in Es 15,18; Am 1,11; Ab 3,6; Dan 12,3; lCron 28,9. Si può notare anche una simile distribu 187
zione dei sinonimi -+dòr wàdòr, -*‘dlàm e nàsah, quest’ultimo con il valore di « durata, eternità» o^sim. 40x, di cui 18x in Sai, 7x in Is (34,10 lenèsah ìfsàhìm ), 6x in Giob, 3x in Ger, inoltre 2Sam 2,26; Am 1,11; 8,7; Ab 1,4; Prov 21,28; Lam 5,20. 3/ Al pari di -> 'òlàm, con il quale spesso è unito, “ad è usato soltanto con preposizioni, come accusativo avverbiale oppure come geni tivo con funzione analoga. Soltanto in un caso il significato si riferisce al passato: Giob 20,4 mirini- ‘ad « (non sai tu che) da sempre » (par. «da quando l’uomo fu posto sulla terra»). Al trimenti si pensa sempre ad un futuro senza li miti, e più precisamente nelle espressioni se guenti: ‘adè-‘ad «per sempre» (Is 26,4; 65,18; Sai 83,18; 92,8; 132,12.14; cfr. Is 17,2 txt em; in Is 45,17 rafforzato 'ad-‘òlemè 'ad «per tutti i secoli»), là'ad «per sempre» (ls 30,8, qui però si deve vocalizzare lc‘èd «come testimo ne»; 64,8; Am 1,11; Mi 7,18; Sai 9,19; 19,10; 21,7; 22,27; 37,29; 61,9; 89,30; 111,3.8.10; 112,3.9; 148,6; Giob 19,24; Prov 12,19; 29,14; lCron 28,9), le‘òlàm wà'cèd (particolare forma pausale, cfr. BL 548) e 'òlàm wà ‘a'd « per sem pre e in eterno» (Es 15,18; Mi 4,5; Sai 9,6; 10,16; 21,5; 45,7.18; 48,15; 52,10; 104,5; 119,44; 145,1.2.21; Dan 12,3), nonché in alcu ne catene costrutte nelle quali il secondo mem bro ad funge da determinativo più specifico « per sempre» (Is 9,5 ’ab ì-‘ad « padre per sem pre», ->’àb III/3; cfr. Wildberger, BK X,393; Is 47,7 txt em g*bcérat ‘ad «signora per sem pre»; 57,15 sòkèn ‘ad «che siede sul trono in eterno»; Ab 3,6 harerè-‘ad «le montagne eter ne », così pure Gen 49,26 txt em). Le espressioni parallele di ‘ad sono ->• ‘òlàm (oltre ai passi già citati vanno ricordati ancora Is 26,4; 30,8; 45,17; 47,7; Ab 3,6, cfr. Gen 49,26 txt em; Sai 92,8s.; 111,8; 148,6), (làjn&sah (Am 1,11; Sai 9,19), bekol-dòr wàdòr (Sai 45,18),jòm jòm «ogni giorno» (Sai 61,9), kìmè sàmàjirn «come i giorni del ciclo» (Sai 89,30), tàmid «sempre» (Sai 119,44), bekol-jòm «per sempre» (Sai 145,2). In Prov 12,19 là'ad viene contrapposto ad una espres sione con rg ‘ hi. che significa «per un istante solo ». Una situazione analoga si presenla per il ter mine sinonimo n&sah. Un riferimento al passa to si ha nella catena costrutta massù’òt. ncesah « rovine antichissime » o « rovine eterne ». Al trimenti con prospettiva rivolta al futuro si in contra 32x lànàsah « per sempre » (inoltre Is 34,10 con la forma rafforzata lenèsah nesàhim), quindi l’accus. avv. ncésah (Ger 15,18; Am 1,11; Sai 13,2; 16,11) e l’espressione preposi zionale ‘ad-nàsah opp. ‘ad-nè sah (Sai 49,20; Giob 34,36) con lo stesso significato. Anche in questo caso si usano spesso espressioni paralle le: le'òlàm (Is 57,16; Ger 3,5; Sai 9,6.8 par. v. "1J7 ‘ad SEMPRE
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7; Sai 49,9 par. v. 10 txt?; 103,9), la ad (vd. sp.), 'ad-/ledòr wàdòr (Is 13,20; Ger 50,39; Sai 77,9; cfr. middòr làdòr ls 34,10) e le’Órcek jàtriim (Lam 5,20). 4/
La maggior parte dei passi che contengono
'ad riguarda contesti teologici per i quali in ge
nerale si può rinviare a quanto è detto sotto la voce ->‘òlàm. In particolare va osservato che non si designa mai il tempo e l’eternità dal punto di vista riflesso della teologia, ma nella maggior parte dei casi si afferma enfaticamente che una cosa è definitiva ed immutabile. È questo l’uso prevalente della voce nel linguag gio dei salmi quando si tratta di inni (p.e. Es 15,18 «Jahwe regna in eterno e per sempre»; cfr. ls 26,4; 57,15; Mi 7,18; Sai 9,6.19; 10.16; 19,10; 48,15; 111,3.8.10; 112,3.9; 122,14) op pure di confessioni, di lamentazioni o di sup pliche (Mi 4,5 «noi cammineremo nel nome di Jahwe, nostro Dio, in eterno e per sempre »; cfr. Is 64.8; Sai 22,27; 37,29; 45,18; 52,10; 61,9; 83,18; 92,8; 119,44; 145,1.2.21), mentre più raro è il termine nelle promesse di salvezza dei profeti (Is 45,17; 65,18; cfr. anche Dan 12,3) oppure nei testi sapienziali (Prov 12,19; 29,14). In questi vari ambiti letterari, oltre alle affermazioni generali che riguardano Dio, i giusti e gli empi, se ne trovano altre più speci fiche: sulla creazione che è stabile in eterno (Gen 49,26 txt em; Ab 3,6; Sai 104,5; 148,6) e sul regno fondato da Dio (Sai 21,5.7; 45,7; 89,30; 132,12; cfr. in antitesi ls 47,7 txt em; anche il titolo messianico ’abl- ‘ad di Is 9,5 [vd. sp. 3] va collocato qui); per l’assunzione di for mule extrabibliche dello stile di corte cfr. ’dlàm 4b. Non è attestato un uso giuridico di ‘ad (cfr, comunque Giob 19,24), e solo rara mente se ne ha uno analogo nelle accuse profe tiche (Am 1,11). In prosa si trova soltanto lCron 28,9 (Davide a Salomone; «ti rigetterà per sempre »). L’ipotesi (formulata da M.Dahood, Bibl 50, 1969, 346s.) di un nome divino ‘ad « l’Eterno » in Sai 119,8.43.51 e Lam 5,22, non risulla motivata (cfr. J.C. de Moor, UF 2, 1970, 202.314; O.Loretz, BZ N.F. 16, 1972, 245-248).
In ncesah l’accezione teologica è molto meno evidente. In diversi ambiti si parla di annienta mento eterno, di ira e di dimenticanza eterne (Is 13,20 = Ger 50,39; Is 34,10; 57,16; Ger 3,5; Sai 9,19; 13,2 ecc.). Per quanto riguarda la sal vezza escatologica, acquistano un particolare rilievo le affermazioni di Is 25,8 (« eliminerà la morte per sempre») e di Sai 16,11 («dolcezza senza fine alla tua destra»). 5/
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-» ‘òlOm 5.
“TJ7 'èd TESTIMONE
E Je n n i
■717 ‘èd T E S T IM O N E 1/ La radice ‘Ud è largamente diffusa nelle lingue sem. (p.e. arab. ‘àda « ritornare », et. ‘oda «girare», fen./ebr./aram. ‘od «ancora», cfr. KBL 685s.l 106b; DISO 203s.; LS 515a; WUS nr. 1999; cfr. J.A.Thompson, JSS 10, 1965, 224-227; per Face. adè vd. st. 4d), ma soltanto in ebr. è attestata nell’accezione « te stimone» ('èd) opp. «essere testimone» o « chiamare come testimone » ('ùd hi.). Mentre ‘ùd pi. « cingere, circondare » (Sai 119,61; cfr. il sign. et. «girare») e poi. «cir condare con cura, soccorrere» (Sai 146.9; 147,6; hitpo. «aiutarsi l’un l’altro» Sai 20,9) sono più vicini al significato fondamentale sem. ipotizzabile, ’ùd hi., con le sue varie acce zioni, potrebbe essere denominativo di ‘èd « te stimone». Raro è il sign. «testimoniare» (IRe 21,10.13; Giob 29,11; vd. st. 3b) oppure « esse re testimone» (Mal 2,1 di Jahwe; vd. st. 4b). Un po’ più frequente è il valore 'ùd hi. ('idim ) « addurre testimoni » (per attestare su un docu mento in Ger 32,10.25.44 e Is 8,2; vd. st. 3a) e «chiamare come testimone» (il cielo, Deut 4,26; 30,19; 31,28; vd. st. 4c). GB 568b f. gli a. fa derivare da 'ùd, in quanto esprime una ripe tizione (vd. sp.), il significato molto frequente « asserire, esortare, avvisare », e lo spiega come un «dire ripetuto e insistente». Forse però è preferibile far derivare tale significato dall’uso di chiamare Dio come testimone (vd. st. 4c). Le derivazioni nominali sono anzitutto il sost. ‘èd « testimone » (di tipo qatil con contrazione, BL 464, o semplicemente in analogia con gli agg. verbali qatil, Joiion 166.173), 'èdà «testi mone (fem.) » e f'ùdà « testimonianza » (BL 496). lì sost. ‘èdtit «testimonianza, comanda mento» o sim. (vd. st. 4d) viene considerato per lo più come forma astratta di 'èd (cfr. Gulkowitsch 38-40), mentre p.e. H.Zimmem (vd. GB 565b) e G.Widengren (Sakrales Kònigtum im AT und im Judentum, 1955, 94 n. 69) lo fanno derivare da -*j‘d «stabilire». Il plur. 'èdot « norme della legge » o sim. (vd. st. 4d) viene fatto derivare da GB 565b e Lis. 1028 da un sing. 'èdà III non attestato, ma ora viene abitualmente posto sotto 'èdùt (KBL 683a; cfr. BL 605) assieme al plur. ’ècfwòt (in 1 IQ Psa ‘dwwt)\ cfr. per 'èdùt/'èdòt lo studio di B. Volkwein, BZ N.F. 13, 1969, 18-40. Va ricordato anche il nome di persona J ò ’èd (Neem 11,7) per il quale Noth, IP 162s., rimanda a Giob 16,19 e 19,26 txt em. L’ebr. (e l’aram. bibl.) 'od è originariamente un sost. con il sign. « durata, ripetizione » (cfr. arab. ’aud « ripetizione ») che si è sviluppato nell’avverbio « an cora, di nuovo ». In aram. per indicare l’azione del testimoniare si ri corre alla radice shd, della quale però in aram. bibl. è attestato soltanto l’astratto iàh adù « testimonian
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za» (Gen 31,47; cr. KBL I126a). L’ebr, Sàhèd «te stimone» (Giob 16,19 par. 'èd) è un prst. dall’aram, (Wagner nr. 295). Ci si può chiedere se in 2Re 11,12 = 2Cron 23,11 non si tratti forse di un altro termine, ‘edili, assieme a nè zar « diadema » ci si aspetterebbe di trovare un «ornamento» (da ’dh «ornarsi», cfr. BL 505). Per le molte altre spiegazioni di questo 'èdùt cfr. Volkwein. l.c. 27-31.
Non è semplice decidere a quale significato della radice risalga il termine «(essere) testi mone». Si potrebbe pensare ad un significato fondamentale « essere presente » (cfr. lat. testis < tri-stis «colui che sta come terzo in un fat to »), oppure al sign. arab. « ritornare», che all’hi. verrebbe a significare «riportare»; ‘èd sa rebbe allora colui clic riporta (opp. ripete) un fatto con le sue parole, cfr. lat. referre, frane, rapporter.
2/ Il verbo è attestato in totale 44x: pi. lx (Sai 119,61), poi 2x (Sai 146,9; 147,6), hipto. lx (Sai 20,9), hi. 39x (Ger 8x, Neem 6x, Deut 5x), ho. lx(Es 21,29). Tra i sostantivi ‘èd è attestato 69x (Deut I4x, Prov llx , ls 8x [di cui 6x in Dtis], Ger 6x, Gios 5x, Gen 31.44-52 4x), 'èdà 4x (Gen 21,30; 31,52; Gios 24,27.27), te‘ùdà 3x (ls 8,16.20; Rut 4,7), ‘èdùt 83x, di cui 46x ‘èdùt sing. (con scrittura difettiva [27x] si trova sol tanto in Es/Lev/Num; Es 21x, Num 12x, Sai 7x, Lev e 2Cron 2x ciascuno, Gios e 2Re lx ciascuno, 2x in Eccli), il plur. ‘èdòt (quasi sem pre con suffisso) 23x, di cui 2x con scrittura piena (Sai 19x, di cui I4x in Sai 119; Deut 3x; 2Cron 34,31), ‘èdewòt. 14x (sempre con suffis so; in Sai 119 8x, poi IRe 2,3; 2Cron 17,15; 23,3; Ger 44,23; Neem 9,34; lCron 29,19). ‘od è attestato 490x (Ez 58x, Gen e Ger 54x cia scuno, Is 48x, 2Sam 35x, Sai 22x, Giob 18x, ISam 17x) e lx in aram. bibl. (Dan 4,28). Le forme plurali ‘èdewdt e 'èdòt probabilmente rap presentano solo delle varianti nella tradizione masoretica ed hanno lo stesso significato (cfr. 2Re 23,3 con 2Cron 34,31; Volkwein, l.c. 19).
3/ 11 termine ‘èd è caratteristico del linguag gio giuridico delPAT: la persona così designata compare sia nelle cause civili (a) che nei pro cessi penali (b), per lo più davanti al tribunale riunito (dopo la conquista della terra, alle por te della città). a) Nelle questioni di diritto familiare e patri moniale il tribunale svolge una funzione nota rile. Nei tempi antichi (Rut 4,7ss.) l’acquisto o l’alienazione di un terreno erano trattati a voce dagli interessati e attestati da loro stessi (—qùm pi.; cfr. qùm q. per il passaggio legale di proprietà, Gen 23,17-20; Lev 25,30) con l’atto di togliersi e consegnare una scarpa (= trasferimento simbolico di proprietà, o paga 191
mento simbolico, come E.A.Speiser, BASOR 77, 1940, 15-20, dedusse dai testi di Nuzi?). Solo in seguito aveva luogo probabilmente Pat to della te'ùdà «testimonianza»: gli interessati con la formula fissa ‘èdlm ‘atteem hajjóm « voi siete oggi testimoni », invitavano il tribunale, ossia gli anziani e i cittadini riuniti alla porta della città, a svolgere la loro funzione notarile. Con la formula di dichiarata disponibilità ’èdìm «(siamo) testimoni», costoro dichiara vano quindi che il passaggio di proprietà aveva avuto luogo secondo la legge e che da quel giorno in poi (hajjóm’, cfr. analoghe formule di datazione nei testi giuridici acc. di Ras Shamra, J.Nougayrol, PRIJ III, 1955, 24) avrebbe dovuto valere per sempre (G.M.Tucker, Witncsscs and « Dates » in Israclitc Contracts, CBQ 28, 1966, 42-45); essi in seguito avrebbe ro eventualmente confermato davanti al tribu nale questo passaggio (I.L.Seeligmann, FS Baumgartner 1967, 265). In Rut 4, con qùm pi. e f'ìtdà si indicano due atti antichi diversi fra loro; il v. 8 però rende oscura tale distinzione, interrompendo la relazione tra wezót hatf'itdà (v. 7) ed il contenuto del v. 9.
Quando in tempi più recenti questi contratti orali furono sostituiti da documenti scritti, gli interessati addussero testimoni ( ‘ùd hi. ‘èdlm, Ger 32,10.25.44; cfr. ls 8,2), per far sottoscri vere da loro (Ger 32,12) Patto di compravendi ta (—sè/ter 3b), Nello stipulare il contratto le due parti, a seconda dei casi, potevano servirsi anche di animali (Gen 21,30) oppure di cose inanimate, con la formula 'èd(à)... (bèni ùbèncékà) « ...sia testimone tra me e te » (p.e. il mucchio di pietre e la stele nel contratto tra Labano e Giacobbe), per far ricordare in se guito ai contraenti il loro impegno (Gen 31,44.48.52; al v. 48 si ha hajjóm «oggi» come in Rut 4,9). Così pure un altare può fun gere da èd tra le tribù israelitiche orientali e quelle occidentali per ricordare alla discenden za di Ruben e di Gad che Jahwe è il Dio anche delle tribù che si trovano al di là del Giordano (Gios 22,27.28.34). b) Nell’anlico Israele, dove non vi erano inda gini ufficiali per un delitto, l ’accusa in tribu nale poteva essere mossa ( ‘ùd hi. in IRe 21,10.13) dalla stessa parte lesa (Deut 22,14; cfr. IRe 3,17-21), adducendo possibilmente dei testimoni, oppure dallo ‘èd, cioè da colui che aveva visto e udito il delitto (Lev 5,1; cfr. H.J.Boecker. Redeformen des Rechtslebens im AT, 1964, 18-20; F.Horst, RGG D, 1429). Quasi sempre il testimone è colui che sporge querela o conferma l’accusa della parte lesa (Seeligmann, l.c. 262s.; cfr. A.B.Ehrlich, Randglossen zur hebr. Bibel, I, 1908, 345). La cosa è chiara nel processo contro la donna adultera in Num 5,13, dove «non essendovi testimoni "T2J ‘èd TESTIMONE
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contro di lei » è parallelo di « essa non è stata colta sul fatto ». Anche il nono (ottavo) comandamento del de calogo ha un valore giuridico concreto: « Non pronunciare testimonianza come falso testimo ne/accusatore (-» ‘èd -+sàqcer Es 20,16; ‘èd -*ìàw’ Deut 5,20) contro (-* ‘uh be) il tuo pros simo» (cfr. Prov 25,18). Questo falso teste d’accusa è detto ‘èd sàqcer (Es 20,16; Deut 19,18; Sai 27,12; Prov 6,19; 14,5; 25,18) ‘èd s'qàrìm (Prov 12,17; 19,5.9) oppure 'èd kfzàbìm (Prov 21,28; -+kzb). Termini paralleli sono jàfV'h k'zàbìm «testimone menzognero» (Prov 6,19; 14.5.25; 19,5.9) e j efèah hàmàs (Sai 27,12; per jà fiah «teste» in relazione all’ug. yph vd. -*kzb 3ac, sebbène in Prov 14,5 jà jìah contrapposto a fkazzèb andrebbe inteso me glio come verbo). I termini contrari sono ‘èd wmxl (Prov 14,25), 'èd mùriìm (Prov 14,5) o jà jìah ,(emùnà (Prov 12,17) «testimone vero, attendibile ». Alle possibili conseguenze di una falsa testimonianza si accenna probabilmente allorché il teste d’accusa è definito 'èd belijjà‘al « testimone spregevole », un testimone che con la sua accusa non ha alcuna intenzione di ren dersi utile, ma di fare del male, e perciò si bef fa della giustizia (Prov 19,28 par. r'sà'ìm «empi»; cfr. i bcnè belijjà'al IRe 2l,10ss. che testimoniano contro Nabot), o anche ‘èd hàmàs, un teste che si propone di far morire violentemente l’accusato (Es 23,1; Deut 19,16; Sai 35,11; Prov 24,28 txt em secondo G; cfr. Sai 27,12). La falsa denuncia di tentato omici dio era evidentemente una prassi cosi dilfusa nella società isr. (cfr. Ger 18,18; 20,10; Sai 37,32s.; Seeligmann, l.c. 263s.) che il diritto apodittico cercava di prevenirla con il divieto di prestare aiuto al colpevole come ‘èd hàmàs (Es 23,1); i detti sapienziali facevano altrettan to minacciando la vendetta che sarebbe seguita al tentato omicidio: il falso 'èd avrebbe patito quanto aveva cercato di procurare all’accusato (cfr. Deut 19,19s.); non resterà impunito (Prov 19,5), perirà (21,18; cfr. 19,9). Probabilmente anche la legge più recente secondo la quale una testimonianza d’accusa per delitto capitale (come l’omicidio ed il culto idolatrico) era va lida davanti al tribunale soltanto se suffragata non da uno, ma da due o tre testimoni (Num 35,30; Deut 17,6; 19,15), aveva lo stesso scopo di porre rimedio a questo male (Seeligmann, l.c. 264; Boecker, l.c. 50.72); del resto anche il Codice di Hammurabi prevede pene concer nenti la falsa accusa e la falsa testimonianza (§§ 1-4). Nel diritto dell’antico Israele, dove le di verse funzioni giudiziarie non erano stretta mente distinte, lo ‘èd la cui testimonianza si ri velava giusta poteva partecipare come giudice all’emissione del verdetto (cfr. st. 4b) e colla borare ad emettere una sentenza capitale (Deut 17,7). Va notato che ‘èd nelPAT non compare mai 193
i r 'èd TESTIMONE
come teste (umano) a discarico. Ma non è det to con questo che il diritto isr. non prevedesse testimoni a discarico. 'Od hi. significa comun que «rendere una buona testimonianza» in Giob 29,11 (cfr. anche i difensori in Ger 26,17-19; Boecker, l.c. 95s.), mentre in Es 22,12 'èd ha U significato di «prova a discari co »; si tratta in questo caso della bestia sbra nata (da un animale feroce) che il custode deve riportare al proprietario per dimostrare la sua estraneità al fatto. 4/ a) Poiché il diritto era considerato nell’an tico Oriente emanazione diretta della volontà degli dei ed in Israele espressione diretta della volontà di Jahwe, anche le leggi che riguardano 10 ‘èd profano hanno logicamente uno sfondo teologico. Esplicita in questo senso è la proibi zione di accusare in qualità di ‘èd sàqcer, come si rileva nel decalogo, cioè nei comandamenti apodittici di Jahwe (Es 20,16; cfr. 23,1; Deut 5,20); cfr. Prov 6,19, dove la stessa colpa è tra le cose che Jahwe odia e che gli sono in abo minio (tò'èbà, -»/‘ò). Anche la disposizione per cui non è sufficiente un solo testimone per pro cedere alla pena capitale (Num 35,30), è riferi ta espressamente ad una parola di Jahwe (Num 30,9). Il significato religioso è evidente anche quando i testimoni possono causare la morte di un idolatra (Deut 17,2-7). b) Come si chiamavano a rendere testimonian za uomini o cose inanimate quando si stipula va un contratto (vd. sp. 3a), allo stesso modo si poteva indicare Dio come testimone ricorrendo ad una formula simile. Nel contratto stipulato tra Labano e Giacobbe si dice: « Dio è testimo ne tra me e te» (Gen 31,50; cfr. vv. 44.48). In Mai 2,14 si fa allusione ad un matrimonio (contratto regolato dal diritto familiare) nel quale è stato testimone Jahwe. Dopo che in ISam 12,3-5 il popolo radunato in assemblea ha attestato solennemente che Samuele ha adempiuto regolarmente il suo ministero, que sti chiama Jahwe e il suo consacrato quale te stimoni di tale attestazione: « Jahwe è 'èd con tro di voi ed il suo consacrato oggi è 'èd che non trovate niente in mano mia». La formula corrisponde all’invito stereotipo ‘èdim ’attcem e alla dichiarazione di validità in senso crono logico espressa con hajjòm, come avviene in Rut 4,9ss. (vd. sp. 3a), mentre la risposta 'èd che conferma il consenso del popolo corrispon de alla dichiarazione di disponibilità espressa ivi con ’èdìm. Se Jahwe è stato chiamato a te stimone in questo modo, l’attestazione con cui 11 popolo dichiara che Samuele ha adempiuto il suo ministero non può più essere revocata (Boecker, l.c. 16ls.), e Io stesso vale per Jah we che come fedele « testimone nel cielo» ga rantisce la sua promessa alla dinastia davidica (Sai 89,38). '4
Al contrario negli oracoli profetici del Deuteroi saia Jahwe invita per tre volte gli israeliti in esi lio a confermare come suoi testimoni il diritto di essere l’unico Dio che ha annunciato ed arre cato la salvezza ad Israele (Is 43,10.12; 44,8). Con le parole ’atlcem ’èdaj « voi siete miei testi moni », che riprendono la nota formula di invi to tipica del diritto isr., Jahwe ricorda le sue pa role ed i suoi interventi che hanno avuto per te stimoni i giudei dell’esilio; questi ultimi sono perciò in grado di attestarli di fronte agli altri popoli (cfr. Davide « testimone fra i popoli » in ls 55,4 [vd. J.H.Eaton, ASTI 7, 1968/69, 25-40], come un altare ed una stele sono 'èd di Jahwe in Egitto, Is 19,20), mentre questi popoli non possono addurre testimonianze simili sulla potenza dei loro dei (Ls 43,9; 44,9). Anche nella «celebrazione solenne dell’allean za» (Gios 24) si hanno l’invito a testimoniare e la dichiarazione di disponibilità, anche se in una forma variata: qui infatti una delle parti, Israele, testimone della propria promessa di voler servire soltanto Jahwe, viene invitata così da Giosuè: « Voi siete testimoni contro voi stessi» (Gios 24,22). In questo modo Israele dovrà testimoniare contro se stesso nel caso di infedeltà alla promessa. Anche la pietra innal zata da Giosuè come ‘èdà « testimone » contro gli israeliti affinché non rinneghino il loro Dio (Gios 24,27), deve testimoniare «contro Israele »; altrettanto si dica del canto (Deut 31,19.21) e del libro della torà deposto accanto all’arca (v. 26), ambedue definiti da Jahwe « te stimoni » contro gli israeliti se rifiuteranno Jahwe e serviranno altri dei. In questo caso l’accento è posto sulla funzione accusatoria fu tura di questi testimoni: al pari di « cielo e ter ra» di Deul 31,28 (vd. st. 4c) essi si presente ranno quali testimoni a carico come in un pro cesso penale (cfr. sp. 3b). Anche Giobbe cono sce questi testimoni a carico che Dio convoca contro di lui (Giob 10,17); la sofferenza è sen tita da Giobbe come testimone che lo accusa nella sua contesa con Dio (16,8), benché egli speri che Dio, « testimone nei cieli », diventi il suo testimone a discarico (16,19). Nei libri profetici Jahwe stesso è presentato qualche vol ta come teste/accusatore di un processo penale. In un annunzio formulato in linguaggio giuri dico, nel quale funge contemporaneamente da teste che accusa (Ger 29,23) e da giudice che emette una sentenza (v. 21; vd. sp. 3b), Jahwe stesso come ‘èd contro i profeti menzogneri di chiara di conoscere bene le infamie (adulterio e falsa profezia) di cui si sono macchiati. La stes sa associazione tra teste/accusatore e giudice si ritrova nel giudizio di Jahwe sul peccato di Israele, proclamato da Michea (1,2-7), e nell’o racolo di Mal 3,5, dove Jahwe si presenta come « testimone pronto » ad accusare incan tatori, adulteri, spergiuri, oppressori di deboli e tutti coloro che non lo temono. 195
c) Il verbo 'tid hi. ricorre tre volte nel Deut (oltre che in Mal 2,14 dove Jahwe «è testimo ne », vd. sp. 4b): qui Mosè « chiama a testimo ni » il cielo e la terra contro Israele (opp. gli anziani, Deut 31,28) per ricordare agli israeliti che essi verranno cancellati dalla faccia della terra se provocheranno Jahwe con il culto di altre divinità (4,26; 31,28), e per ammonirli a scegliere la vita e non la morte (30,19). Questo chiamare due testimoni risale forse al tempo in cui erano necessari almeno due testimoni in tribunale (Seeligmann, l.c. 266; diversamente M.Delcor, VT 16, 1966, 8-25, che vede in questi passi l’influsso di antichi formulari con trattuali di provenienza extrabiblica), e deriva dall’usanza di chiamare Jahwe stesso come te stimone di un patto (Gen 31,50; Ger 42,5 «Jahwe sia contro di noi testimone verace e fe dele »). L’afFermare che Dio è testimone può avere la funzione di esprimere una maledizione condizionata su di sé, con la quale la parte in questione attira su se stessa la punizione di Dio nel caso di infedeltà al patto (come per il giuramento, p.e. Gen 31,53b), oppure può ave re la funzione di minacciare la punizione divi na all’altra parte, qualora quest’ultima divenis se infedele (Gen 31,50). Da questa convocazio ne di Dio come teste, unita alla minaccia della punizione divina, ’ùd hi. ha subito forse una graduale trasformazione fino ad assumere il sign. più generale di « avvertire » o « ammoni re» (Gen 43,3; Es 19,21; Deut 8,19; 32,46; ISam 8,9; IRe 2,42; Ger 6,10; 42,19; Am 3,13; Zac 3,6; Neem 9,26; 13,15.21; 2Cron 24,19; ho. «essere avvertito» Es 21,29). Da maledizione pronunciata su di sé ’iid hi. po trebbe anche essersi ridotto a semplice incorag giamento (Lam 2,13; cfr. Kraus, BK X X (38, che tuttavia si fonda su un hi. con il sign. « r i petere continuamente delle parole»; cfr. KBL 686a). Quando si è perso il ricordo del suo si gnificato originario, ‘tid hi. ha potuto essere usato anche quando Dio è soggetto del monito (Es 19,23; 2Re 17,13.15; Ger 11,7; Sai 50,7; 81,9; Neem 9,29.30.34; cfr. Seeligmann, l.c. 265s.). d) Il nome 'èdùi, normalmente tradotto con « testimonianza », ma spesso anche con « leg ge» o sim. (cfr. Volkwein, l.c. 19s.) designa nella grande maggioranza dei casi il contenuto dell’arca secondo la tradizione sacerdotale: Jahwe ha incaricato Mosè di mettere nell’arca la 'èditi che gli avrebbe dato (Es 25,16.21; cfr. 40,20). Secondo Es 31,7 Bezaleel e Ooliab de vono costruire l’arca per la 'èditi. Perciò l’arca è detta ’arón hà'èdùt (Es 25,22; 26,33.34; 30,6.26; 39,35; 40,3.5.21; Num 4,5; 7,89; Gios 4,16), il santuario itinerante nel quale si trova va l’arca è detto mìskan hà'èdùt (Es 38,21; Num 1,50.53; 10,11) oppure ’òhee! hà'èdùt (Num 9,15; 17,22.23; 18,2; 2Cron 24,6). Aron IO 'èd TESTIMONE
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ne deve mettere «davanti alla ‘èdùt» un’urna con la manna (Es 16,34), Mosè, a sua volta, i profumi da bruciare (Es 30,36) e il bastone di Aronne (Num 17,19.25); si parla anche del co perchio che sta sopra la 'èdùt (Es 30,6; Lev 16,13) opp. sopra l’arca (Num 7,89) e del velo che si trovava sopra la 'èdùt (Es 27,21; cfr. Lev 24,3) opp. davanti all’arca (Es 30,6). Se da questi passi, come dai titoli di Sai 60 e 80, dif ficilmente si può capire cosa significasse 'èdùt, da Es 31,18 (cfr. 32,15; 34,29), passo in cui si dice che Jahwe ha trasmesso a Mosè sul Sinai le due lùhòt («tavole») ha‘èdùt di pietra, scrit te col dito di Dio, si può arguire che si tratti di un testo scritto. L’espressione ricorda lùhót habberlt di Deut 9,9.15, dove si parla evidente mente della stessa cosa (cfr. 'arón berlt Jhwh invece di >aròn hu'èdùt, p.e. Num 10,33; Deut 10,8; ISam 4,3) e cioè, secondo Deut 10,4 e Es 34,28, del decalogo, ossia del ricordo dell’azio ne salvifica di Jahwe e, soprattutto, dell’impe gno che Jahwe ha fatto contrarre ad Israele ( - b 'r lt IV/4). Anche il termine —torà, parallelo di 'èditi in Sai 19,8 e 78,5 (cfr. tc‘ùdà par. torà in Is 8,16.20), si muove nella stessa direzione. Si tratta della istruzione sugli eventi salvifici e sulla volontà dì Jahwe, anche se in tempi re centi l’accento viene posto sulla legge quale espressione della volontà di Jahwe. In ‘èdùt è forse implicita l’idea che la torà, cioè il decalo go, doveva valere per Israele come una «testi monianza» o «conferma» dell’azione salvifica di Dio (Es 20,2; cfr. Sai 81,7s. 11) e in partico lare della sua volontà (Es 20,3ss.; cfr. Sai 81,10). Volkwein, l.c., 38s., pensa invece che ‘èdùt sia un termine interscambiabile con ‘èdòt (vd. st.), sebbene 'èdùt di Eccli denoti chiara mente la «testimonianza» sulla condotta di una persona (Eccli 34,23s. [= Rahlfs 31,23s.]), e la «attestazione di Dio riguardo ad Israele, sua creazione (Eccli 36,20 [= Rahlfs 36,14]). U plur. 'èdùt (opp. 'èdewòt, vd. sp. 2), quasi co stantemente con suffisso, riguarda sempre le ‘èdòt di Jahwe. Qualche volta il termine ha come parallelo berlt (2Re 17,15 nella serie huqqìrri/ber~it/‘èdewòt; in Sai 132,12 berlt è l’impegno imposto da Jahwe agli israeliti, im pegno che dovranno «osservare» [ìm r\ , cfr. Sai 25,10 «tutti i sentieri di Jahwe sono fedel tà e grazia per chi osserva la sua berìt e le sue •èdòt » [nsr, cfr. Sai 119,2]). In Sai 78,56; 93,5; 119,2.79.119.129 non si hanno termini paral leli diretti. In tutti gli altri casi ‘èdòt è in paral lelo o in serie con huqqìm (—hqq', in Sai 99,7 par. sing. hòq « ordinamento », come ‘èdùt in Sai 81,5s. par. hòq e mispat), mispàtlm (—spi), miswòt ( —swh), piqqùdìm (—pqd), tutte voci che denotano ordinamenti, leggi, comanda menti e prescrizioni di Jahwe, per cui anche 'èdòt avrà un significato simile: Jahwe stesso ha «comandato» (swh pi., Deut 6,17.20) le 197
I V 'èd TESTIMONE
'èdòt ecc., annunziate da Mosè agli israeliti (Deut 4,45, in riferimento al decalogo in Deut 5; cfr. N.Lohfmk, Das Hauptgebot, 1963, 57s.; G.Braulik, Bibl 51, 1970, 63s.), i quali a loro volta le dovranno «osservare» (smr). Ciò vale per tutto il popolo (Deut 6,17; IRe 23,3) e so prattutto per i capi (Sai 99,7) e il re (Salomo ne: IRe 2,3; lCron 29,19; Giosia: 2Re 23,3; 2Cron 34,31). Ma gli israeliti sono stati sempre infedeli: non hanno osservato (qsb hi. ’cel, Neem 9,34) le 'èdòt di Jahwe, non hanno cam minato nelle sue 'èdòt (hlk be, Ger 44,23), non le hanno osservate (smr, Sai 78,56), anzi le hanno disprezzate (m's, 2Re 17,15). Il pio au tore del salmo 119 non si e allontanato (nlh, v. 157) dalle 'èdòt che Jahwe ha stabilito per sempre (v. 152), le ha osservate (nsr, v. 22; smr, v. 167), amate ( ’hb, vv. 119.167), ha ade rito ad esse (dbq be, v. 31), ha gioito nel seguir le (siìs, v. 14); le medita (btn hitpo., v. 95), guida i suoi passi su di esse (v. 59), davanti ai re parlerà di esse (v. 46), perché sono giuste per sempre (v. 144, cfr. v.138), esse costituisco no le sue devote riflessioni (v. 99), le sue deli zie (v. 24); sono per lui una cosa meravigliosa (v. 129), un’eredità gioiosa ed eterna (v. Ili); egli sa di dipendere da Jahwe per l’osservanza delle ‘èdòt (v. 146), perciò lo prega di piegare il suo cuore verso di esse (v. 36), perché le comprenda (v. 125, cfr. v. 79). Oggi il plur. ‘èdòt è generalmente messo in rapporto con il plurale tantum acc. adè, atte stato soltanto in neoass. e in neobab., e preci samente come « a type of formai agreement (= un modello di patto formale) » (CAD A/I, 131 ; Volkwein, l.c. 32ss.). Secondo CAD A/I, 133, il termine è usalo soltanto nei trattati tra supe riori (Dio, re, membro della famiglia reale) ed inferiori (schiavi, sudditi) e per R.Frankena, OTS 14, 1965, 134, è un termine tecnico per il trattato di vassallaggio; per D.J.Wiseman, The Vassal-Treaties of Esarhaddon, 1958, 3.81, adè significa « prescrizioni di un trattalo » o più esattamente « prescrizioni di una legge o di un ordine che un sovrano, alla presenza di testi moni divini, ha solennemente imposto ad un vassallo oppure ad un popolo ». Nelle iscrizio ni in antico aram. di Sfire (ca. 750 a.C.) si tro va più di 30x il plur. "dn/'dj/'dj' con lo stesso significato dell’acc. adè (DISO 203s.; Fitzmyer, Sef. 23s.; Volkwein, l.c. 34-37). 1 paralleli vtrt. e le attestazioni extrabibliche rendono probabile per 'èdòt il sign. « prescri zioni della legge » (più che « prescrizioni del l’alleanza », cosi Volkwein, l.c. 39s., perché l’« alleanza » presuppone un patto di reciproci tà mentre in adè/'dj/'èdòt l’accento è posto sulle prescrizioni imposte dal sovrano o da Dio, prescrizioni che l’altra parte deve sempli cemente accettare ed eseguire). Il fatto di desi gnare tali prescrizioni ricorrendo alla radice 'ùd si può forse spiegare con la convocazione 198
dei testimoni divini al momento dell’imposi zione; poiché più tardi questo riferimento ven ne dimenticato, 'ecidi potè essere usato anche per le prescrizioni imposte da Dio stesso (cfr. per ‘ùd hi. sp. 4c). 5/ Eccli usa il verbo ‘ud hi. con il sign. «chiamare (Dio) a testimone» (46,19, cfr. ‘èd ISam 12,5) e «ammonire» (4,11 par. Imd pi. « insegnare ») e conosce oltre a ’èdùt « testimo nianza» (vd. sp. 4d) anche ‘èdòt (par. huqqim e mispàtlm) per indicare le disposizioni di Dio che Mosè doveva insegnare a Giacobbe (45,5). Negli scritti di Qumran ’ud hitpo. ha il signifi cato di « alzarsi » (IQ H 4,22.36) e ‘Ud hi. indi ca «testimoniare (gli ordinamenti della torà)» (lQSa 1,11) oppure «testimoniare contro» (CD 19,30; in 9,20 nel senso di testimonianza a carico, vd. st.). A Qumran ‘èd significa come ncll’AT «testi mone a carico, accusatore ». Anche a Qumran occorrono due testimoni degni di fede (part. hi. di ‘ùd, CD 9,20) quando si tratta di condanna di delitti gravi, mentre per le questioni patri moniali ne basta uno anche se è preferibile la testimonianza di due (CD 9,22s.). Nel caso di una condanna a morte il teste dovrà essere co munque membro a pieno titolo della comunità (CD 10,1-3). I ’èdlm sono inoltre coloro che debbono rimproverare il reo prima che la sua causa sia portata davanti ai « molti » (1QS 6,1; CD 9,3); i membri della comunità sono « testi moni della verità per il giudizio..., per espiare per la terra» (1QS 8,6). Il plur. ‘èdot ha lo stesso significato dell’AT (IQ 22, 2,1; CD 3,15; 20,31). Molto più frequente rispetto all’AT è la voce te'ùdà. Il suo significato non è sempre chiaro: in lQSa 1,25 vuol dire la «convocazione» dell’assemblea del po polo; in lQSa 1,26 la «chiamata» alla guerra (cfr. 1QM 4,5; plur. 1QM 2,8; 3,4), in 1QM 15,1 (testo difettoso) la «dichiarazione (di guerra)» contro tutte le nazioni. In 1QM 11,8 i profeti sono chiamati «veggenti delle divine rivelazioni?), in IQH 6,19 i pii di Qumran sono detti « coloro clic sono legati alla mia (di Dio) testimonianza». In 1QM [3,8 con « testimonianze della tua gloria » si definiscono le azioni salvifiche di Dio (cfr. 1QM 14,4s.). A volte te‘ùdà significa «disposizione», p.e. 1QII 1,19 «hai stabilito la sua prescrizione» (cfr. il plur. in IQS 3,16) e forse nei passi che parlano dei tempi delle fe ste e del culto fissati da Dio (IQS 1,9; 3,10; IQM 14,13; 4QMa 11; cfr. IQH 12,9). È difficile stabilire il valore che il termine assume nei testi lacunosi IQH 2,37; r 59,3, cfr. 5,11; IQ 36, 1,2. Cfr. anche B.Dombrowski, RQ 28, 1971, 567-574.
Nel tardo giudaismo ‘èd è usato nel senso di « testimone » o di « prova », in una accezione particolare per indicare un panno usato dalle donne per stabilire la loro purità o la loro im purità (Jastrow I042s.). Anche 'èdut significa «testimonianza» o «prova» (Jastrow 1043). 199
In Pirqe Abot 4,22 Dio è chiamato, come nel PAT (vd. sp. 4b), sia giudice sia ‘èd « accusato re/testimone », ma qui in riferimento al giudi zio nell’aldilà. I LX X traducono quasi sempre questo gruppo di vocaboli con jaapxuc;, [aapTupiov ecc. Cfr. al riguardo e per l’uso nts. H.Strathmann, art. (jKxpxuc;, ThW IV,477-520 (= GLNT VI, 1269 1392).
C. vanLeeuwen
DJ7 ‘uz CERCARE RIFUGIO 1/ Il verbo ricorre nelPAT cinque volte in tutto (lx q.; 4x hi. «soccorrere, mettere al si curo»; cfr. l’unica forma ni. in IQH 6,25), ma anche in altre lingue sem. non ha una diffusio ne degna di nota. Finora è attestato soltanto in arab.: ‘àda «cercare rifugio» (Wehr 588a). Data l’affinità fonetica e semantica con il grup po -+'zz «essere forte», i derivati di uz resta no incerti (il verbo potrebbe perciò essere an che un denominativo). Si tratta di: a) mà'òz «rifùgio, luogo di rifugio»; contrario è KBL 545a («piuttosto da ‘zz»)\ si confrontino l’arab. ma'àd « rifugio » (Wehr 588a) e il fen. m'z « rifugio » (KAI nr. 42, r. 1 « Anat, rifugio dei viventi »; però cfr. DISO 205); b) ‘òz II « rifu gio, protezione» (così KBL 693a contro GB, Zorell e la maggior parte degli studiosi); un pa rallelo ug. sarebbe ’d IV «protezione» (WUS nr. 2000). Il nome di persona Ma'azjà(hù) («Jahwe è rifugio», cfr. Noth, IP 157) è atte stato soltanto nei testi recenti Neem 10,9; lCron 24,18; cfr. i nomi di persona di Elefan tina M'wzj, M'wzjh e M'zjh (Cowley 297b; BMAP 306b). 2/ Sulla diffusione cd il significato esatto del verbo non si può dire molto, dato l’esiguo nu mero di passi ove ricorre. L’isolato inf. cs. q. di Is 30,2 può indicare solo che il termine è usato in epoca preesilica («fuggire riparandosi presso qualcuno »; par. hsh be). La congettu ra di Gunkel per Sai 52,9 (H.Gunkel, Die Psalmen, 41926, 231) non serve molto. Le for me hi. compaiono esclusivamente negli oracoli ove si parla rii perdizione o di fuga (Es 9,19; Is 10,31; Ger 4,6; 6,1; cfr. R.Bach, Die AulTorderungen zur Flucht und zum Kampf im atl. Prophetenspruch, 1962, 20s.); i passi di Gere mia sono una specie di grido d’allarme (cfr. an che Es 9,19) « salvatevi! » inserito in descrizio ni di guerre e di fuga (~>nùs «fuggire»). Risul ta pertanto, a quanto è dato di sapere, che l’u so dell’hi. si conforma al genere e all’ambiente. I sostantivi sono attestati molto più frequente mente: mà'òz 36x, 'òz II secondo KBL 693a ru; ‘Uz CERCARE RIFUGIO
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(senza le congetture ivi formulate) 14x (ls 12,2; 49,5; Ger 16,19; Sai 21,2; 28,7.8; 29,11; 46,2; 59,17.18; 62,8; 68,35; 81,2; 118,14). Anche se una o ambedue le formazioni si dovessero far derivare etimologicamente da 'zz (per Es 15,2 cfr. anche C.Rabin, Scripta Hierosolymitana 8, 1961, 387; diversamente S.E.Loewenslamm, VT 19, 1969, 464-470; -►'zz), nell’uso vtrt. si possono constatare intenzionali rimandi semantici a 'ùz: per mà'òz cfr. ls 25,4; 30,2s.; Gioe 4,16; il parallelo mahscè (~*hsh) ne è una prova, mentre in sur mà'òz « roccia che of fre rifugio» (Is 17,10) mà'òz è anche la meta del movimento di fuga. In altri contesti la componente semantica « più forte, più potente » può accennare al luogo di rifugio. Per ’òz II cfr. Gunkel, l.c. 87 (su Sai 21,2); così pure M.Dahood, Psalms I, 1966, 50. pro pone per Sai 8,3 il sign. « fortress, stronghold » (per ciò anche «luogo di riparo» e non «potenza» in senso astratto; cfr. L.Wachter, ZAW 78, 1966, 65), senza ricorrere a ‘ùz.
Le due parole ricorrono nell’AT in modo assai irregolare. Non sono attestate nelle prime se zioni narrative e nelle raccolte di leggi. Si può invece notare una grande concentrazione dei due sostantivi nei testi cultuali-liturgici e in quelli profetici. In Is mà'òz ricorre lOx, in Sai 9x. Tenendo conto di 2Sam 22,33; Ger 16,19; Ez 24,25; 30,15; Gioe 4,16; Nah 1,7; 3,11, su 36 passi (tra cui anche le 7 espressioni stereoti pe di Dan 11) se ne hanno 26 di tenore cultuale-liturgico opp. profetico (tra questi ultimi rientrano in particolare 7 oracoli di perdizione di Is). Per ‘òz II si presenta una situazione si mile: tutti i 14 passi hanno un carattere cultuale-liturgico. 3/ Lo sviluppo semantico dei sostantivi si può delineare in modo abbastanza chiaro: in Giud 6,26 la costruzione di un altare deve av venire su un’« altura» che « olfre protezione ai fuggitivi» (rói hammà'òz; cfr. >sitr mà'òz, ls 17,10; Sai 31,3). Il significato fondamentale «luogo di rifugio» si può ritrovare ancora in tutti i passi, anche se il « luogo di protezione» acquista un carattere più specifico in base al contesto, al linguaggio ed al genere letterario. Può essere una «città di fuga» (Is 17,9), il «tempio» (Ez 24,25 secondo il parallelo v. 21; cfr. Zimmerli, BK XI!l,575ss.), una protezione della testa = « elmo » (Sai 60,9), in senso tra slato una persona che offre protezione (ls 25,4; 27,5 con hzq hi. «afferrare»; 30,2s.) oppure in senso etico e spirituale una « sicura norma di vita» (Prov 10,29), una «sicurezza nel giorno della festa» (Neem 8,10). L’idea di «forza», affine dal lato materiale e da quello fonetico ( ‘zz) è sempre più preponderante, per cui alla fine mà'òz è diventato f. l’a. un termine per in dicare «(rocca di rifugio > ) fortezza» (Is 23,11.14; Ez 30,15; Dan II).
che in Is 25,12; 33,16; Ger 48,1 è applicato sempre a Dio; inoltre sgb pi. «proteggere», 6x, sempre con Dio come soggetto); mànòs (—nùs), mahsTi (->hsh), mesùdà «roccaforte» (18x, fra cui 2Sam 22,2 - Sai 18.3; Sai 31,3.4; 66,11 txt?; 71.3; 91,2; 144,2 in sen so traslato riferito a Dio; solamente nfsàd [llx] e màsòd [F.ccle 9,14] sono usati con valore concreto), in un altro senso auche màgèn «scudo» (nell'AT 59x, delle quali 20x ca. si riferiscono a Dio; inoltre gnn « proteggere » 8x, sempre con Dio come sogget to) e sèi «ombra» (53x, riferito a Dio in Is 49,2; 51,16; Os 14,8; Sai 17,8; 36,8; 57,2; 63,8; 91,1; 121.5; cfr. anche il nome di persona Besal'èl «nel l’ombra [= protezione] di Dio», vd, Noth, IP 32.152).
'òz II in questo contesto può valere come sino nimo di mà'òz (cfr. Ger 16,19; Sai 62,8); non è sempre facile del resto delimitarne il senso ri spetto a ‘òz I « forza ». 4/, Come il sostantivo mahscé, cosi anche mà'òz e ‘òz II vengono usati nelle formule di
fiducia e di confessione: «tu sei il mio rifugio» si dice nella preghiera a Jahwe (Sai 31,5; cfr. 43,2; ls 25,4; con ‘òz II soltanto Sai 59,18). Molte espressioni in 3a persona corrispondono a quella del linguaggio degli inni: « Jahwe (Dio) è il mio/nostro/loro rifugio» o sim. (2Sam 22,33; Ger 16,19; Gioe 4,16; Sai 27,1; 28,8; 37,39; con 'òz II soltanto: Sai 28,7; 46,2; 62,8; Is 49,5). Particolare rilievo merita la for mula « mia protezione e (mio) canto è Jahwe», che ricorre tre volte (Es 15,2; ls 12,2; Sai 118,14; cfr. S.E.Loewenstamm, VT 19, 1969, 464-470). Su tutta la problematica della di chiarazione di fiducia cfr. Gunkel-Begrich 233ss. ecc.; P.Hugger, Jahwe, meine Zuflucht, 1971. Poiché anche l ’uso profetico (cfr. Ger 16,19; Nah 1,7 ecc.) e quello sapienziale (cfr. Prov 10,29; Sai 52,9) fanno leva sul valore cultuale-liturgico di questi termini, si può consi derare tale uso linguistico come un decisivo sviluppo ulteriore del significato esposto sotto il punto 3. 5/ I LXX ricorrono ad una serie svariata di parole per tradurre mà'òz e 'òz. La si può sud dividere in due parti: la prima significa «forza, potenza» (Layys p.e. traduce «16 volte... mà'òz; 28 volte ‘òz », W.Grundmann, ThW 111,400 = GLNT IV.1213), la seconda indi ca «protezione, luogo di rifugio» (cfr. i deri vati di po’nìtetv «soccorrere», ls 30,2; Ger 16,19; Sai 52,9, e la frequente traduzione con ÙTCepaaTwrrrig «soccorritore» Sai 27,1; 28,8; 31,3.5; 37,39). Nel NT questi termini non hanno grande risalto, forse anche perché i te sti liturgici non vi compaiono se non sporadi camente.
E. Gerstenberger
Vocaboli paralleli sono ad esempio nu.igàb «altura, rocca, asilo» (nefl’AT 17x, di cui 13x in Sai; tranne
201
T1JJ •ùz CERCARE RIFUGIO
202
bw ■ àwceì PERVERSITÀ VT
1/ La radice è attestata all’infuori dell’AT soltanto in testi sem. recenti (medioebr., aram. giud., sir., arab. [‘wl «deviare»), et. ['/vt' «cor rompere »]). Nell’AT si hanno: il masc. e il fem. segolali 'àwcel e ‘awlà «erroneità, ingiustizia, perversi tà» ,(BL 583.601; per le forme secondarie 'awlàtà e ‘òlàtà e per la metatesi ‘alwà Os 10,9 cfr. BL 528.604; Meyer 1,100; LI,23), il verbo denominativo ‘wl pi. « agire ingiustamente » e il nomen agentis 'awwàl « ingiusto » (BL 479).
(Sof 3,13), tfmijjà « inganno » (Giob 13.7), cfr. anche ~*'àwòn (Ez 28,18), -» ’attwn (Giob 11,14; 31,3; Prov 22.8), -*nàbàl (2Sam 3,33s.; Sai 53,2). Termini opposti sono: scedceq/fdàqà « fedeltà nei rapporti comunitari, giustizia» (Lev 19,15.35s.; ls 26,10; 59,3s.; Ez 3,20; 18,8s.24; 33,12s.l5s.; Giob 6,29), saddìq «giusto, fedele nei rapporti comunita ri» (Deut 32,4; Ez 3,20; 18,24.26; 33,13; Sof 3,5; Sai 125,3, Prov 29,27), '"mùnà «attendibilità, rettitudi ne » (Deut 32,4; ls 59,3s.), jàsàr « retto » (Deut 32,4; Sai 107,42); mispàt «diritto, giudizio» (Deut 32,4; Ez 33,14s.; Sof 3,5), spt «giudicare» (Mi 3,11; Sai 43,1; ' _ 82,2), nàkóah «retto, giusto» (Is 26,10); cfr. passi con ricca terminologia, come Is 59,2ss.; Os 10,13; Mi 3,10. 'awlà mantiene il suo carattere giuridico anche se si svolge « nelle tende» (Giob 11,14; 22,23; cfr. 18,21).
2/ ‘àwcel ricorre 21x (Ez lOx, Sai 3x), 'awlà Conformemente a quanto si è detto, il vocabo 33x (incl. 'alwà Os 10,9; esci, ls 61,8 txt em; lo si ambienta nel dùitto (Lev 19,15.35; Deut Giob lOx, Sai 9x, altri libri meno di 3x), ‘wl 25,16; Ez 3,20; 18,8.24.26; 28,18; 33,13.15.18) pi. 2x (Is 26,10; Sai 71,4), ‘awwàl 5x (Giob 4x, e di qui è passato nell’accusa profetica che si Sof lx). Su un totale di 61 attestazioni, 40 si appoggia sul diritto (Is 26,10; 59,3; Ez 28,15; trovano in tre libri: Giob (16x), Sai (13x) e Ez Os 10,9.13; Mi 3,10; Ab 2,12) o nelle varie (11x); il resto è disperso in testi profetici e legi forme con cui viene dichiarata l’innocenza slativi (più 2Sam e Prov 2x ciascuno). Preesili- ‘ (Deut 32,4; Mal 2,6; Sai 7,4; 43,1; 71,4; Giob ci sono 11 passi: 'àwceì 6x (Lev 19,15.35; Deut 34,32; cfr. anche Sof 3,5). 25,16; 32,4; Ger 2,5; Sai 82,2) e ‘awlà 5x Nei testi poetici si trovano poi in senso genera (2Sam 3,34; Os 10,9; Mi 3,10; Sai 43,1; 89,23). lizzato anzitutto le espressioni bcn& 'awlà I due sostantivi perciò non solo rappresentano (2Sam 3,34; 7,10; Os 10,9; Sai 89,23; lCron le uniche attestazioni preesiliche, ma costitui 17.9) o ìs ‘awlà (Sai 43,1; Prov 29,27), e infi scono anche la percentuale più alta delle ricor ne più tardi l’agg. ‘awwàl (Sof 3,5; Giob 18,21; renze della radice (54 volte su 61). 27,7; 29,17; 31,3). Quando le colpe si possono precisare meglio nel loro contenuto, si tratta sempre di infrazioni giuridiche in campo socia 3/ a) 'àwcel/'awlà sono usati, nella loro acce zione più antica ed esatta, in contesti che ri- , le, patrimoniale o commerciale (cfr. Lev guardano il diritto sociale. , 19,15.35; Deut 25,16; Is 59,3; tutti i passi di L’importante combinazione fissa ->‘sh ‘àmr.l/ Ez, p.e. 28,15: commercio; Mi 3,10 e Ab 2,12: 'awlà «commettere ingiustizia (o sim.)» si rife sangue; Sai 71,4). Non contraddice il carattere giuridico il fatto risce ad un atto concreto, precisabile da un che il termine venga usato talvolta neH’ambito punto di vista giuridico (cfr. Lev 19,15.35; di quella mentalità per la quale un’azione rice Deut 25,16; Ez 3,20; 18,24; 33,13.15.18; Sof ve necessariamente la sua ricompensa (cfr. 3,13; Sai 7,4; 37,1). Soltanto più tardi questi sostantivi sono collegati con -*p‘l «fare» (Sai 2Sam 3,34; Os 10,13; Es 18,24; 33,12s.; Sai 58,3; 119,3; Giob 34,32; 36,23), ->t'b hi. « fare 37,ls.; 125,3; Giob 18,21; 22,23; 27,7; 31,3; cose abominevoli » (Sai 53,2), e poi con voca Prov 22,8). Un processo giudiziario può essere boli che si riferiscono al parlare (cfr. ls 59,3; solo l’esecuzione di un processo che già si veri Mal 2,6; Sai 107,42; Giob 5,16; 6,30; 13,7; fica nella realtà dei fatti. 27,4). Secondo Ez 18,8; Sai 7,4; 125,3 si com b) Il significato fondamentale del termine è mette ‘àwiel con la « mano ». reso tradizionalmente con « illegalità, ingiusti L’atto può essere compiuto in un procedimen zia, perversità, malvagità ». La traduzione « il to giudiziario da parte del giudice (Lev 19,15) legalità, ingiustizia» pone la radice in un rap o dall’accusatore (Sai 71,4; Giob 5,16; 6,29; porto unilaterale con le categorie giuridiche 13,7; 27,4) e può terminare nella sentenza. In mentre « malvagità » è troppo generico. E pro questo ambito si può trovare usata, assieme al babile che il significato fondamentale risalga termine, la vasta serie delle espressioni giuridi piuttosto ad una categoria obiettiva, quella del che. non -esalto, rispetto alla quale l’elemento giuri Termini affini sono: ‘nh pi. «opprimere» (2Sam dico del non -giusto resta complementare, ‘wl 7,10), ràsà'/rcesa' «colpevole/colpa» (rs 26,10; Ez indicherebbe allora «agire in modo inesatto», 18,24; 33,12s.I5.18s.; Sai 125,3; Giob 27,7; 34,10), oppure « pervertire, distoreere ». pccsa' «iniquità» (Ez 33,12s), hàmàs «azione vio Questa concezione sembra essersi conservata in lenta» (Ez 28,l5s.; Sai 58,3); dàm «assassinio» (Mi Lev 19,35s. e Deut 25,15s., dove i termini con 3,10; Ab 2,12), hms q. «reprimere» (Sai 71,4), trari sàtheq e 'àwcel solo secondariamente si ri tnirmà «fallacia» (Sai 43,1), kàzàb «menzogna» 203
Vt
àwcel PERVERSITÀ
204
feriscono al giusto da un punto di vista giuridi co, cioè in relazione a mi'spàt, mentre prima riamente riguardano la cosa specifica, la misu ra «esatta» o «errata». In Lev 19,15 'àwcel è ambiguo: il giudizio errato verso il povero e la preferenza per il potente in tribunale sono nel lo stesso tempo un giudizio iniquo. In Ez 18,8 'àwcel è posto a confronto con mispat '"mcet «sentenza retta». In Ez 28,15s. la condotta er rata nel commercio è la causa prima dell’infra zione; cfr. anche Sof 3,5.13; Sai 7,4; 71,4; 82,2; Giob 5,16; 6,29s.; 27,4. In linea di prin cipio si può sempre usare una traduzione in cui il legame con un’azione concreta risulti evidente: «pervertire, distoreere; perversione, distorsione; perversità, inesattezza; adulterato re ». Essa potrebbe rendere perciò il significato fondamentale, mentre «agire ingiustamente» ecc. è un significato traslato, la cui utilizzazio ne dipende sempre dal contesto. Tra ‘àwcel e 'awlà non esiste alcuna differenza nell’uso effettivo. 4/ 'wl ha sempre nell’AT una rilevanza teolo gica. Questa dipende anzitutto dal fatto che i vocaboli si trovano usati quando si parla del diritto di Jahwe (Lev, Deut, Ez), nell’annuncio profetico, nelle preghiere rivolte a Jahwe (Sai) o nella disputa sulla giustizia di Jahwe (Giob). Le singole circostanze precisano poi meglio come Jahwe si interessi di una «distorsione, ingiustizia ». Numerosi testi inoltre descrivono come Jahwe si coniporti nei confronti di colo ro che operano ‘àwcel. Quando Jahwe salva il povera, « il misero può sperare, e la perversio ne chiude la bocca» (Giob 5,16). 'osé ‘àwcel opp. ìs ‘àwcel è detto colui che è un abominio per Jahwe (Deut 25,16; Prov 29,27). Se il giu sto «commette ingiustizia, anch’io porrò un ostacolo davanti a lui perché muoia » (Ez 3,20). Qui si ha un influsso di Jahwe sulle ca tegorie del diritto e dell’azione legata alla sua conseguenza; conformemente a quest’ultima in Giob 18,21 si parla della sorte delle «abitazio ni dello ‘awwàl» e della «dimora di colui che misconosce Dio». Questi passi sono preceduti da affermazioni più antiche per le quali (nello stile delle dichiarazioni di innocenza) si dice che Jahwe non ha nulla a che fare con l’« erro re e l’ingiustizia »: « tutte le sue vie sono giu stizia, è un Dio verace, senza errore » (Deut 32,4; cfr. Sof 3,5; Giob 34,10; 2Cron 19,7). In Ger 2,5 Jahwe domanda se i padri nella loro storia possono addebitargli un qualche « erro re». Infine in quello che forse è il passo più antico, Sai 82,2, Jahwe è presentato come il giudice della terra e il signore delle genti (v. 8), perché nell’assemblea divina si mostra come il Dio del diritto che giudica e abbatte gli dei a causa della loro «errata» giustizia (particolar mente nei confronti dei poveri, v. 3). All’inizio della storia del termine jahwe viene quindi ca 205
‘òlàm ETERNITÀ
ratterizzato in modo preciso attraverso il suo giudizio da un lato e I’« errato» giudizio degli dei dall’altro, e diventa così legittimamente il Dio delle nazioni. Cfr. l’analogia tra questa si tuazione mitica e quella di Lev 19,15, quasi contemporanea e relativa al diritto sociale. Dal lato teologico risulta chiaro che il compie re ‘àwcel è una cosa del tutto riprovevole, quando tale azione viene contrapposta alla sal vezza portata da Jahwe, ossia alla liberazione dall’Egitto (Lev 19,35s.), e quando si dice: «Si lisi pure clemenza all’empio, non imparerà la giustizia; sulla terra egli distorce le cose diritte e non guarda alla maestà di Jahwe » (ls 26,10). 5/ Negli scritti di Qumran il verbo non com pare. Invece i sost. 'àwcel e ‘awlà sono fre quenti come nell’AT, mentre ‘awwàl è attesta to solo una volta in IQH 1,26. La statistica viene confermata dal contenuto: il termine è diventato un elemento centrale per definire il tema della separazione escatologica dello spiri to o dei figli della verità dallo spirito o dai figli della menzogna (IQS 3,19; 4,9.17s.20.23; 8,13.18; 9,9.21; IQH J4.15.25). Anche qui non c’è differenza tra 'àwcel e ‘awlà. Riguardo al significato bisogna ripetere la stessa osserva zione già fatta per l’AT: 'àwcel/'awlà è spesso l’opposto di wmcet e significa «errore» (IQS 3,19; 4,17-20.23; 6,15; IQH 11,26). In IQS 3,20s.; IQH 1,36; 5,8 il contrario è sàdccq. In IQS 3,19-21 'àwcel è perciò usato nel suo du plice significato tradizionale di «errore» e « ingiustizia» (cfr. anche IQS 4,24; IQH 1,26). Per il resto spesso si tratta di un uso tradizio nale ormai stereotipo. Per tradurre la radice i LXX ricorrono quasi sempre a àSoua e sim. Cfr. G.Schrenk, art. àSixoc, ThW 1,150-163, (= GLNT 1,401-440).
R.Knierim
oVil? ’òlàm ET ERN IT À T 1/ 11 sost. *'à1am- «tempo lontanissimo» o sim. è diffuso in tutte le ramificazioni linguisti che semNO. (ug.: WUS nr. 2036; UT nr. 1858; PRU V, nr. 8, r. 7.9; Ugaritica V,553 = RS 24.252, rev.6.7; fen. pun., moab., aram. a par tire da Sef. Ili, r. 24.25: DISO 213s.); dall’aram., a volte con i significati più recenti (vd. st. 5), il termine è passato come prst. in arab. ed in et. (cfr. E.Jenni, Das Wort ’òlàm im AT, Basel 1953 [tesi dattil.] = ZAW 64, 1952, 197-248; 65, 1953, 1-35; sull’origine e l’uso extrabiblico della parola p. 199-221, da allora sono venute alla luce numerose altre testimo nianze). 206
L'etimologia della parola è incerta. Nella derivazione più antica dal verbo 'Im «essere nascosto», attestato solo in eb, la forma nominale resta unica (cfr. anche W.F.AIbriglit, The Proto-Sinaitic Inscriptions and their Deciphermenl, 1966, 32.42: l'orma con aumen to *'awlam > ófani, ipercorretta in ‘àlam in aram.); l’interpretazione della parola come forma avverbiale in -àm non può fondarsi sull’impiego, con significato analogo, di forme avverbiali dell’acc. ullù «quello»; resta puramente ipotetico quanto si può dedurre da un testo bilingue acc. - hurritico di Ugarit (PRU 111,311.318 n.2), dove una forma dell'humtico *alam(u)- è equiparata all’acc, diiris « per sempre».
Nell’AT all’ebr. ‘òlàm (le‘èlòm in 2Cron 33,7 è un errore di scrittura, cfr. Rudolph, HAT 21, 314; diversamente A.Dotan, UF 3, 1972, 297) corrisponde l’aram. bibl. 'àlam (KBL 1109a).
2/ La tabella statistica seguente dispone le 440 attestazioni ebr. e le 20 aram. (incl. Ger 49.36 K [1 Q: ’èlàm] e 2Cron 33,7, vd. sp.) in base all’uso del termine con le prep. le (in lCron 23,25; 28,7 'ad-le'òlàrn), ‘ad e min, come nome retto in un st. cs. (n.r.) o come ac cus. avv.; quest’ultimo gruppo include sotto al. anche i testi errati di Is 64,4 (vd. BHS) e Ger 49.36 K (vd. sp.) nonché i passi singolari di Eccle 3,11 ([hà'òlàm come ogg., vd. st. 4g) e 12,5 ( ‘òlàm con suffisso, vd. st. 4g). Gen Es Lev Num Deut Gios Giud ISam 2Sani IRe 2Re Is Ger Ez Os Gioe Am Abd Giona Mi Nah Ab Sof
Agg
Zac Mal Sai Giob Prov Rut Cant Eccle
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min
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—
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1 10 2 3
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—
_
—
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1 2 27
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1 -
2
-
-
6
— —
1 18 -
3 4 25 13 440 18 2
3/ a) La traduzione data nel titolo « eterni tà» non rende in modo adeguato il significato di ‘òlàm in numerosi passi vtrt., ed anche quando appare appropriata rischia di proietta re nei testi un’idea di eternità che fa parte del nostro modo di pensare, gravandoli cosi di con cezioni filosofiche e teologiche sorte in periodi successivi (cft. J.Schmidt, Der Ewigkeitsbegriff im AT, 1940-critico J.Barr, Biblica! Words for Time, [1962] 1969, 68ss.86ss. 123ss., contro C. von Orelli, Die hebr. Synonyma der Zeit und Ewigkeit genetisch und sprachvergleichend dargestellt, 1871). Ad eccezione di pochi passi recenti di Qohelet (vd. st. 4g) nell’AT (come peraltro nelle con temporanee iscrizioni semNO.) 'òlàm ha il si gnificato di «tempo lontanissimo», riferito al passato (3b-c), al futuro opp. ad ambedue (3d-g). Indicativo dei valori estremi espressi da questo termine è il fatto che esso non sta da solo (come soggetto o come oggetto), ma è sempre unito a preposizioni indicanti direzione (min « da », vd. st. 3b; 'ad « fino a », vd. st. 3d; le, « fin verso », vd. st. 3e), oppure può trovarsi come accusativo avverbiale di direzione (vd. st. 30 e infine come secondo membro di uno st. cs., cioè come genitivo che sostituisce un’e spressione preposizionale (vd. st. 3c.g). In que st’ultimo caso ‘òlàm può esprimere da solo l’insieme di tutta la frase avverbiale « da tem po remotissimo/fino al tempo più lontano », può cioè assumere il sign. «durata (illimitata, incalcolabile), eternità », però soltanto in senso attributivo («duraturo, eterno»; cfr. Barr. l.c. 73 n. 1: «W e might therefore best state thè “basic meaning” as a kind of range between “remotest time” and “perpetuity” » [= « Po tremmo perciò definire meglio il “significato fondamentale” come una specie di linea che sta tra “tempo remotissimo” ed “eternità” »]). U « tempo lontanissimo » è in effetti un concet to relativo, che dipende dall’orizzonte temporale in cui ci si pone; ciò vale per 'òlàm sia riferito al futuro sia soprattutto riferito al passato. Come nel caso di altre designazioni cronologi che (- >jòm, -> 'et), non si tratta di una conce zione astratta del tempo, per cui in 'òlàm pos sono trasparire anche altre connotazioni quali tative come «durevolezza, definitività, immu tabilità » ecc. (vd. st. 3b.c.e.g.). Il plurale ’òlàmìm (nell’AT ebr. I2x: con 'ad Is 45,17b nell’espressione accrescitiva 'ad-'òlcmó ‘ad «per tutta l’eternità»; con lc EÒÙ7 ‘òlàm ETERNITÀ T
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Sai 77,8; Eccle 1,10; come accus. avv. IRe 8,13 - 2Cron 6,2; Sai 61,5; come nome retto Is 26,4; 45,l7a; 51,9; Sai 77,6; 145,13; Dan 9,24) non si riferisce ad una pluralità numerica di «periodi di tempo» (eccetto forse Eccle 1,10, vd. st. 4g), ma è plurale intensivo come le for me accrescitive (le) ‘òlàm wà'wd (vd. st. 3e.f), —dòr dòrìm (Is 51,8 ecc.), lenèsah n€sàhim «in eterno» (ls 34,10) ecc. e, come queste ultime, è destinato ad una certa usura; negli scritti più recenti dell’AT (anche a Qumran) è più fre quente, forse per l’influsso dell’aram. che usa spesso il plurale (aram. bibl. 8x con le in Dan, inoltre la forma accrescitiva in Dan 7,18 ‘ad‘àlemà we'ad ’àlam ’àlemajjà; anche aram. eg. in BMAP 3,11 e 12,23 'd ‘Imjn accanto a 2,4 ecc. 'd 'lm dovuto alla mano di altro scriba; nab., vd. DISO 213; cfr. Fitzmyer, Gen.Ap. 75.214). Una differenza di significato rispetto al singolare non si può determinare (Jenni, l.c. 243-245; Barr l.c. 69s.). In epoca recente (la prima volta in Ger 28,8) 'òlàm viene determinato anche con l’articolo (15x: con la prep. min c/o 'ad 13x; Dan 12,7 «colui che vive in eterno » con la determinazione di tutto lo st. cs.; Ec cle 3,11 come ogg.). Né qui né nelParam, bibl. (8x: sing. con prep. Dan 2,20.20; 7,18; nome retto Dan 4,31; Esd 4,15.19; plur. Dan 2,44; 7,18) la determi nazione dà origine ad un significato diverso (eccetto Eccle 3,11, vd. st. 4g).
chi » (Ger 28,8), «già da lungo tempo» (Ger 2,20), «da sempre» (Gios 24,2; iscrizione di Mesa, r.10), l’attributivo «antichissimo» (Ger 5,15; Ez 26,20; 32,27 txt em; Sai 119,52) op pure quando vi è negazione «m a i» (Is 63,19; 64,3; Gioe 2,2; i passi ISam 27,8 e ls 57,11 re stano esclusi per il testo corrotto). Quando il correlativo di mè'òlàm è un «ora/poi invece», «(non) solo ora», emerge in primo piano il si gnificato puramente temporale (Gios 24,2; Is 42,14; 63,19; 64,3; Ger 2,20, 28,8; Gioe 2,2); inoltre può venir sottolineata (come contrap posizione inespressa a « nuovo, inferiore » o sim.) la grande antichità, e perciò una qualità particolare delle realtà che risalgono ai primi tempi (popoli ed eroi primordiali: Gen 6,4; Ger 5,15; Ez 26,20; 32,27 txt em; la sapienza che per questo motivo si offre alPuomo: Prov 8,23; la natura, le azioni e le proprietà di Dio* vd. sp. gli altri passi). c) Quando ‘òlàm si trova in una combinazione genitivale, il suo significato in relazione al pas sato « tempo primitivo, primordiale » c (con valore aggettivale) « antichissimo » si può rica vare soltanto dal contesto e perciò non sempre in modo sicuro, tranne quando il nome reggen te è già una designazione cronologica («gior ni», «anni» «generazioni»; Deut 32,7 « ri corda i giorni del tempo antico»; Is 51,9; 61,9.11; Am 9,11; Mi 5,1; 7,14; Mal 3,4; Sai 77,6; aram. Esd 4,15.19 «dai giorni antichi » = «dall’antichità»; cfr. Eccli 44,1.2). Se persone e cose che in sé non hanno alcun riferimento cronologico vengono qualificate con 'òlàm, ri sulta più difficile definire la loro relazione con il futuro o con l’intera durata, perché qualcosa di «antichissimo» può anche essere considera to «eterno» per via della sua stabilità. Nono stante questa riserva possono essere ricordate qui le espressioni: « popolo dei tempi antichi » (Ez 26,20), «rovine antichissime» (Is 58,12; 61,4; cfr. Ger 49,13 « rovine perenni »), « mor ti da lungo tempo» (Sai 143,3; Lam 3,6), «colli antichi » (Gen 49,26; Deut 33,15; Ab 3,6), «portali antichi» (Sai 24,7.9), «confine antico» (Prov 22,28; 23,10 txt em), «sentieri del passato» (Ger 6,16; 18,5; Ab 3,6 txt?; Giob 22,15 txt em); per Deut 33,27 txt? «braccia antiche» vd. st. 4a. Tranne che in Esd 4,15.19, che ha un valore solo temporale, ovunque traspare l’idea della peculiare qualità dell’antico, del l’irrevocabile o sim.
b) Come i sinonimi — 'ad (Giob 20,4) e —dòr (Es 17,16), ‘òlàm con la prep. min « d a » deno ta l’origine da un passato remotissimo (nella documentazione extrabiblica soltanto nell’iscri zione di Mesa, r. 10: «e la gente di Gad abita va da sempre nel paese di Atarot»; nelPAT 27x in ebr. e lx in aram., di cui lOx in una formula doppia con min e ‘ad «da sempre [e] per sempre»: Ger 7,7; 25,5; Sai 41,14; 90,2; 103,17; 106,48 = lCron 16,36; Neem 9,5; lCron 29,10; aram. Dan 2,20; cfr. Eccli 39,20; vd. st. 3d), In tutti i passi è possibile che min abbia man tenuto il sign. ablativo «da...» (diversamente p.e. Gemser, HAT 16,46 per Prov 8,23: «nel principio»); ad ogni modo ‘òlàm non denota mai un lasso di tempo iniziale chiuso in se stesso, perché anche nella traduzione «dai pri mi tempi in poi » esso designa il terminus a quo estremo (= «da sempre»). Solo quando in un contesto teologico si suppone un inizio del d) Al pari dei suoi sinonimi {—‘ad, Is 17,2 txt la creazione opp. si parla di Dio come colui em; 26,4 ecc.; —dòr wàdòr, Is 13,20; Ger che esiste prima di ogni inizio, la traduzione può essere «dal principio in poi» (Is 44,7 txt , 50,39; Sai 100,5; nà^ah, Giob 34,36; cfr. Num 24,20.24 ‘adè ’òbèd «per sempre», — ’bd 1) e em; 46,9; 63,16; cfr. Prov 8,23) oppure «dal come nelle iscrizioni semNO. (ug. 'd 'lm « per l’eternità» (Sai 25,6; 90,2 nella formula dop sempre» 1005 [= 183], 5.15; 1008 [= 186], pia; 93,2; cfr. Eccli 42,21; 51,8); negli altri casi sono sufficienti espressioni con valore avver 14.20 ecc. in documenti, inoltre ‘m ‘lm in 51 [= lì AB] IV,42; ‘nt [= V AB] V,39; fen. KAI biale come «dal principio» (Gen 6,4), «da nr. 43, r. 12 « mese dopo mese per sempre »; in molto tempo» (Is 42,14), « fin dai tempi anti 209
‘òlàm ETERNITÀ
210
aram. eg. spesso in forma stereotipa « da oggi e per sempre» in documenti, vd. DISO 213; R.Yaron, Introduction to thè Law of Aramaic Papyri, 1961, 47), ‘òlàm è unito alla prep. 'ad «fino a, per» e forma l’espressione ‘ad-'òlàm « per sempre, in eterno, per l’eternità » (nelle negative «m ai»: Es 14,13; Deut 23,4; ISam 3,14; 20,15; 2Sam 12,10; Is 45,17; 59,21; Ger 35,6; Esd 9,12a; Neem 13,1), dove «eternità» non significa altro che futuro illimitato. In ISam 1,22 si potrebbe tradurre con «sempre, per tutta la vita » perché il limite temporale è quello della durata della vita dell’uomo; tutta via non si può dedurre di qui che ‘òlàm signifi chi « tempo della vita » (cfr. gr. aìwv). Mentre le'òlàm indica piuttosto staticamente la durata definitiva (vd. st. 3e), ‘ad-'òlàm esprime quasi sempre un procedere verso il futuro per succes sivi periodi di tempo, come si può constatare dalle espressioni frequenti che sì riferiscono ad una successione di generazioni (p.e. Gen 13,15 tutto il paese.,, lo darò a te e alla tua discen denza ‘ad- *òlàm; così pure nelle iscrizioni sem NO., p.e. KAI nr. 224, r.25 « a... e a suo figlio, a suo nipote e alla sua discendenza ’d ’lm»). Un esempio della differenza tra 'ad-'òlàm e le‘òlàm si può trarre da IRe 2,33, dove la ma ledizione definitiva che deve impedire la so pravvivenza della persona maledetta e della sua discendenza c unita a le'òlàm, mentre l’au gurio positivo per il re e per la sua dinastia è espresso con ‘ad-'òlàm. Le formule doppie con min e ‘ad (vd. sp. 3b) sono impiegate in senso pieno in Sai 90,2 (cfr. Eccli 39,20) «dall’eternità e fino all’eternità» (par. « prima che nascessero i monti »; cfr. Sai 102,26ss.), in altri passi invece si ha un sign. attenuato « in ogni tempo, in eterno » (Ger 7,7; 25,5; Sai 103,17); esse compaiono soprattutto nelle dossologie (nella introduzione delle pre ghiere: Neem 9,5; lCron 29,10; aram. Dan 2,20; nelle dossologie conclusive: Sai 41,14; 106,48 = lCron 16,36), dove spesso ricorrono doppioni e ampliamenti. c) Tra i vari impieghi di ‘òlàm il più vasto è quello con la prep. le, sia nelPAT (vd. sp. 2) che nei testi contemporanei fen. e aram. Per b‘lm in un difficile contesto nell’iscrizione di Ahiram (KAI nr. 1, r. I; KAI 11,2 oggettivamente oscuro « quando egli lo depone nell’eternità ») alcuni suppongono lo stesso significato di ilm (cfr. Harris 84.133); vd. però st. 4g. L’aram. b'hnj dell’iscrizione di Adad (KAI nr. 214, r.l) va tradotto con DISO 214 « nella mia gioventù » (diversamente KAI 11,214.217: «per la mia durata») e deriva, come l’ebr. "àlcem « giovane », 'alma « ragazza », 'aliimìm « gioventù », da 7m II (*glm).
La prep. le «fin verso, a... » è in senso tempo rale meno forte di 'ad « fino a » (cfr. il raffor zativo 'ad-le'òlàm nei passi recenti lCron 23,25; 28,7) e in confronto con ‘ad-'òlàm (vd.
sp. 3d) fa assumere a le'òlàm in sign. più stati co « per sempre, in perpetuo » (da tradurre con « per l’eterno, in eterno » solo in contesti spe cificamente teologici o dossologici), ‘òlàm desi gna ancora il futuro lontanissimo, non un pe riodo di tempo futuro oppure semplicemente il futuro o la durata in sé, mentre lc‘òlàm, quan do si definisce meglio l’orizzonte temporale, può significare praticamente « per tutta la vita» (Es 21,6 «allora sarà suo schiavo per sempre»). La formula le'òlàm wà'cèd «per sempre e in eterno » è tipica della solenne for mula di chiusura e di rafforzamento (Es 15,18; Mi 4,5; Sai 9,6; 45,18; 119,44; 145,1.2:21; Dan 12,3; vd. st. 3f). Una negazione può rife rirsi direttamente a le'òlàm («non per sem pre»: Gen 6,3; Is 57,16; Ger 3,12; Sai 103,9; Giob 7,16; Prov 27,24; Lam 3,31) o anche a tutto il predicato « per sempre non = mai »: Deut 23,7; Giud 2,1 ; Is 14,20; 25,2; Ger 31,40; Gioe 2,26.27; Sai 15,5; 30,7; 31,2; 55,23; 71,1; 112,6a; 119,93; Prov 10,30; aram. Dan 2,44a; cfr. Eccli 7,36; 45,13). Ie'òlàm nelle proposizioni verbali e nominali viene impiegato per esprimere uno stato per manente (acquisito, procurato, non trasforma bile); ha pertanto in prevalenza un valore qua litativo di durata, di definitività, di invariabili tà (p.e. Gen 3,22 « che non viva per sempre »; Es 3,15 «questo è il mio nome per sempre»; 32,13 «lo possederanno per sempre»; cfr. fen. p.e. KAI nr. 26, V,5s. « solo il nome di Azitawadda sussista per sempre, come il nome del sole e della luna»; KAI nr. 14, r. 20 « affinché appartengano agli abitanti di Sidone per sem pre», cfr. r. 22). Per le formule frequenti che terminano con là le‘òlàm hasdò « perché la sua grazia dura per sempre» (Ger 33,11; Sai 100,5; 106,1; 107,1; 118,1-4.29; 136,1-26; Esd 3,11; lCron 16,34.41; 2Cron 5,13; 7,3.6; 20,21; cfr. Eccli 51,12) cfr. K.Koch, EvTh 21, 1961, 531-544; ^hàsad lU/4b. f) In alcuni passi invece di le‘òlàm si trova con significato identico il semplice *òlàm, accusati vo avverbiale, «per sempre» (Sai 61.8; 66,7; 89,2.3.38; nella formula 'òlàm wà'ad: Sai 10,16; 21,5; 45,7; 48,15; 52,10; 104,5; plur. 'òlàmìm : IRe 8,13 = 2Cron 6,2; Sai 61,5, cfr. v. 8); cfr. dòr dòrim (Sai 72,5), nàsah (Ger 15,18; Sai 13,2; 16,11) e kol-hajjàmim (~>jòm 31) con la medesima costruzione grammaticale e con significato simile. Ili documenti extrabiblici l’accus. avv. Im è attestato nella stcle di Mesa, r. 7: «e Israele è andato in rovi na per sempre». Ir ug. si trova 'Imh «per sempre» con il suffisso di direzione -h (52 [- SS], 42.46.49; lAqht [= I D] 154.161.168 lini w’ìmh « d ’ora in poi e per sempre»; cfr. Meyer II,49s.; Dahood, UHPh 16, ricava una forma ebr. corrispondente mutando il te sto in Giob 13,14 txt?); inoltre nell’espressione shr ‘Imt in 1008 (= PRU II, nr. 8), r. 15 (WUS nr. 2036:
211 T
'òlàm ETERNITÀ
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«da questa alba per sempre»; cfr. J.J.Rabinowitz, JNES 17, 1958, I45s.) pare che si debba vedere una finale avverbiale -l con lo stesso significato (cfr. UT 102).
g) Quando 'òlàm è nome retto con valore di futuro lo st. cs. corrisponde nella maggior par te dei casi ad un’espressione con le‘òlàm e più raramente con ‘ad-'òlàm (cfr. Gen 9,16 berìl ‘òlàm «alleanza eterna», e Sai 105,8; 111,5.9; inoltre Gen 17,8 e 48,4 'ahuzzat ‘òlàm «pos sesso perenne», e F,s 32,13). Anche in questo caso ‘òlàm significa « tempo lontanissimo » (nel futuro); l’immagine di un lasso di tempo inlinitamente lungo è soltanto il risultato della combinazione di un nome reggente, in cui è già insita l’idea di durata, con un nome retto che, sostituendo un’espressione preposizionale, pro lunga fino all’infinito questa durala. In alcuni passi dove per motivi oggettivi non si può indi care un punto iniziale nel presente (parlando di Dio e delle sue proprietà), lo st. cs. può ri guardare l’intera durata nel passato e nel futu ro. E in particolare il Codice sacerdotale (vd. st. 4Q che predilige il predicativo ‘òlàm con espressioni come «legge», «obbligo» ecc. (ca. 45x; ->berìt. Gen 9,16; 17.7.13.19; Es 31,16; Lev 24,8; Num 18,19b; al di fuori di P: 2Sam 23,5; ls 55,3; 61,8; Ger 32,40; 50,5; Ez 16,60; 37,26a; Sai 105,10 = lCron 16,17; cfr. Eccli 44,18 txt em; 45,15; hòq [~>hqq]: Es 29,28; 30,21; Lev 6,11.15; 7,34; 10,15; 24,9; Num 18,11.19a; al di fuori di P: Ger 5,22; cfr. Eccli 45,7; hitqqà: Es 12,14.17; 27,21; 28,43; 29,9; Lev 3,17; 7,36; 10,9; 16,29.31.34; 17,7; 23,14.21.31.41; 24,3; Num 10,8; 15,15; 18,23; 19,10.21; al di fuori di P: Ez 46,14). Anche lo stato di salvezza e di perdizione è presentato come « permanente » (p.e. simhat ‘òlàm « gioia eterna»: Is 35,10; 51,11; 61,7; sinfmòt ‘òlàm «desolazione perenne»; Ger 25,12; 51,26.62; Ez 35,9; 36,2 txt em; ecc.), Nelle espressioni che riguardano il mondo divino il sign. « eter no» risulta dall’arretramento del vago punto iniziale (p.e. ls 54,8 hcèsced ‘òlàm «grazia per petua»; anche qui si hanno costruzioni con il plur.: Is 26,4 «roccia eterna»; 45,17a; Sai 145,13). In Deut 15,17; ISam 27,12 e Giob 40,28 si ha l’e spressione àbeed 'òlàm «schiavo per sempre», « schiavo in perpetuo (senza diritto ad essere libera to)»; per l’apparente restrizione dell’« eternità » al «tempo della vita» cfr. ISam 1,22 (vd. sp. 3d), Es 21,6 (vd. sp. 3e) e l’ug. ‘bd ‘Im (IKLrt [= I K],55.127.140.285; cfr. 67 [= I* AB] 11,12.20 d'imk par. ‘bd).
4/ I passi di rilievo teologico saranno trattati, riassumendo Jenni, l.c. 1-29, con la seguente suddivisione: 'è! ‘òlàm (Gen 2 1,33) e la docu mentazione extrabiblica sull’eternità divina (a); ‘òlàm, predicato del re nello stile di corte (b); 213
O^ÌSJ ‘òlàm ETERNITÀ r
òlàm nella letteratura preesilica (c), nel Deuteroisaia e nei testi che ne dipendono (d), nel sal terio (e), nel Codice sacerdotale (0 e in Qohelet (g)a) Dalla breve nota di Gen 21,33 J si può de durre che a Bersabea vi era un culto preisraeli tico di ‘èl 'òlàm, che gli israeliti hanno poi ap plicato a Jahwe (-* el III/2; F.M.Cross, HThR 55, 1962, 236-241; EiDfeldt, KS lV,196s.; R.de Vaux, Histoire ancienne d’Israél, 1971, 262s.). In base alle analogie più attinenti il nome va inteso come uno st. cs. « El/Dio eterno» e non come «il dio ‘òlàm», come se ‘òlàm fosse un appellativo indipendente con il sign. di « l’E terno » o « l’Antico », per il quale non si han no attestazioni sicure (diversamente Cross, l.c. 236.240: «El, thè Ancient One» [= «El, l’An tico»] e Deut 33,27 zerò'òl ‘òlàm non «brac cia antiche/eterne », ma « arms of thè Ancient One» |= «braccia dell’Antico»]; Dahood, Proverbs 45; id., UHPh 36; id., Psalms I, 1966, 322; II, 1968, 386; III, 1970, 476, appli ca piuttosto liberamente il supposto nome divi no òlàm « l’Eterno», p.e. Sai 31,2 ecc. 1‘"òlàm « O Eternai One » [= « O Eterno »] con la par ticella vocativa le). Dalle tarde notizie cosmo goniche di Damascio e di Filone di Biblo rela tiva ad un Dio OùXojpóq opp. Aùwv non pos siamo trarre deduzioni sicure (H.Gese e al., die Religionen Altsyriens..., 1970, 113.203), men tre invece è possibile ricavare qualcosa dal nome divino ug. e fen sgs "Im « Sole eterno » (PRU V nr. 8, r. 7; cfr. l’acc. sarru dsamas dàrìtum «il re è il Sole eterno» nell’ossequio del faraone in EA 155,6.47) opp. sms ‘Im « Sole eterno» dell’iscrizione di Karatepe dell’8" sec. a.C. (KAI nr. 26 111,19, cfr. IV2s.) e forse da ‘Ir. ‘Im «dea eterna» dell’incantesimo di Arslan Tash del T sec. a.C. (KAI nr. 27, r. 9s.; cfr. però KAI ll,44s.: « alleanza dell’eternità »; in certe sono ancora la lettura e l’interpretazione delle iscrizioni del Sinai del 15" sec. a.C., nelle quali W.F.Albright, The Proto-Sinaitic lnscriptions and their Decipherment 1966;*'24, e Cross, l.c. 238s., riscontrano un 'il du ‘ólami « El thè ancient (or Eternai) One » [= « El, l’Ajitico (o l’Eterno)»], come pure l’interpreta zione del difficile testo ug. 76 [= IV AB] III,6s.). Secondo le analogie tratte dall’ambiente circo stante, tra le quali si può collocare anche il ti tolo ug. mlk ‘Im « re eterno » (PRU V, nr. 8, r. 9, per Nmry = Amenophis III; Ugaritica V,551ss. [= RS 24.252], r. 1 e rev. 6.7, per un dio; cfr. 68 [= III AB,A], r. 10 mlk ‘Imk « il tuo regno eterno », detto del regno di Baal; cfr. J.C. de Moor, UF 1, 1969, 175s.), al predicato di eternità è associata l’idea di una esistenza invariabile, stabile e continua. Questa idea si fonda in definitiva sull’osservazione della natu ra e corrisponde ad una concezione ciclica del 214
tempo; Israele può averla assunta dal mondo circostante, ma essa non apporta un notevole contributo alla concezione di Dio tipicamente israelitica, quale si incontra per esempio nel Deuteroisaia (vd. st. 4d; sul « concetto di eter nità» in Egitto cfr. G.Thausing, Mélanges Maspéro I, 1934, 35-42; E.Otto, Die Welt als Geschichte 14, 1954, 135-148; E.Hornung, FF 39, 1965, 334-336; per Sumer cfr. R.Jestin, Syria 33, 1956, 117; per Babilonia cfr. ad esempio il materiale in CAD D 111-118.197s.). b) In alcuni testi vtrt. al re si augura una vita «eterna», augurio che trova del resto molti paralleli nello stile di corte extrabiblico, ad esempio nelle lettere di Amarna. La formula di ossequio «viva il re!» (ISam 10,24; 2Sam 16,16; IRe 1,25.34.39; 2Re 11,12 = 2Cron 23,11) in IRe 1,31 in bocca a Betsabea viene rafforzata con te'òlàm: « Il mio signore, il re Davide, viva per sempre! » (Lande 33s.; cfr. la benedizione di loab in una situazione simile, 2Sam 14,21s.). Alla corte persiana la formula di saluto suona così: «Viva il re per sempre!» (Neem 2,3) oppure: « O re, vivi per sempre! » (aram. Dan 2,4; 3,9; 5,10; 6,7.22). Anche se al l’origine la formula manifestava forse una divi nizzazione del re, già in periodo preisraelitico essa è diventata una semplice iperbole del lin guaggio di corte (Cfr. EA 21, r. 22s.39 «e mio fratello viva in eterno»... «per 100.000 anni»; cfr. 149,24ss. dove si parla della vita del servi tore), appunto in Israele, dove la tendenza al l’eternità è in contrasto con le affermazioni sulla non eternità di ogni essere umano, decre tata da Dio (Gen 3,22; 6,3; Giob 7,16). Fondamentalmente simili sono le affermazioni dei salmi regali; esse non vanno quindi inter pretate come speranza di immortalità, ma come augurio entusiasta di una vita lunghissi ma per il re e di stabilità per la dinastia: Sai 21,5 «vita ti ha chiesto, a lui l’hai concessa, lunghi giorni in eterno, senza fine»; 61,7s. «ai giorni del re aggiungi altri giorni, i suoi giorni siano come (txt em) i giorni di molte genera zioni; regni per sempre davanti a Dio»; cfr. 72,5. Altri passi si riferiscono al nome del re, alla sua benedizione, al suo trono, alla sua di scendenza e alla sua dinastia (2Sam 22,51 = Sai 18,51; Sai 45,3.7.18; 72,17; 89,5.37s.; 110,4; cfr. Sai 28,9; con - ad: Sai 21,7; 132,12); sono affermazioni che vanno senz’al tro inquadrate nella promessa di Natan e nella concezione del l’alleanza davidica (2Sam 7; 23,5; Sai 89; 132) e non vanno giudicate sul metro delle idee messianiche ed escatologiche più tarde. c) Anche prescindendo dai passi già visti, negli scritti preesilici 'Òlàm è usato talvolta in conte sti teologicamente più o meno significativi; tut tavia il termine non fa parte di un linguaggio propriamente teologico. In alcuni passi come 215
Gen 13,15 («tutto il paese..., io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre»); Is 30,8 txt em («come testimone per sempre»); Os 2,21 (« ti fidanzerò a me per sempre ») si può forse scorgere un influsso del linguaggio giuridico. La storiografia e il Deuteronomio prediligono invece di le'òlàm l’espressione più dinamica 'ad- ‘òlàm, e ciò può dipendere da un senso del tempo che si orienta sulla storia del popolo. Gli scritti profetici più antichi ricorrono rara mente a ‘òlàm (cfr. ls 9,6; 30,8; 32,14; Os 2,21; Mi 2,9; 5,1) e comunque non nel senso tecnico della profezia escatologica. Solo nel li bro di Geremia e in quello di Ezechiele si deli nea un nuovo uso di ‘òlàm per definire l’inter vento escatologico di Dio, prima di tutto nel giudizio (Ger 18,16; 20,11 «vergogna peren ne»; 23,40.40; 25,9.12; 49,13; 51,26.39.57.62; Ez 35,9; 36,2 txt em; cfr. anche Ger 49,33; Ez 26,21 txt em; 27,36; 28,19). d) Nell’annuncio del Deuteroisaia 'òlàm non acquista un nuovo significato (contro H.Sasse, ThW I,202s. = GLNT I,538ss.), tuttavia assu me una posizione teologica in parte nuova. Il termine è usato per definire la fede nel Dio universale della storia; agli esiliati avviliti si annuncia: « Non lo sai forse? Non lo hai udi to? Un Dio eterno ('*lòhè 'òlàm) è Jahwe, creatore di tutta la terra; egli non si affatica né si stanca» (ls 40,28). Se Jahwe, il creatore, è signore di tutta la terra, tanto più è signore di quelle regioni dove vive Israele disperso; se come Dio deH’etemità è anche signore della storia dei popoli, tanto più lo è del destino di Israele: egli resta instancabilmente fedele al suo proposito di salvezza. L’espressione « Dio eter no», che resta unica anche nel Dtis, non ri guarda un concetto astratto di tempo o di eter nità, oppure di atemporalità; vuol esprimere invece l’assoluta libertà di Dio di fronte al di venire e al perire, la sua signoria su ogni tem poralità e l’importanza della fedeltà nei con fronti dei credenti. Quanto più si riconobbe l’assoluta unicità di questo Dio e la sua eterni tà come signoria sul tempo, tanto più il termi ne « eterno » si accostò a « divino » e si fece forte la tendenza a riservare questa parola al linguaggio religioso (cfr. ls 40,8; 45,17.17; 51,6.8; 54,8; 55,3.13). 'òlàm diventa un con trassegno del mondo divino e dell’azione divi na, che sola sarà decisiva nell’epoca escatologi ca. Un influsso del Deuteroisaia è molto evidente in Is 60,15.19.20.21; 61,7.8; anche in ls 35,10; 51,11. Oltre ad essare usato in diverse altre ac cezioni, ‘òlàm diventa attributo frequente di Dìo e dei valori religiosi più alti, anche se or mai in forma attenuata (p.e. Deut 32,40; 33,27; Is 63,16; Ger 10,10; Lam 5,19; spesso e quasi esclusivamente in Dan). La parola serve a designare la definitività delia salvezza e della T
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perdizione imminenti (oltre ai passi citati del Tritoisaia, p.e. ls 14,20; 25,2; 32,17; 34,10.17; Gioe 2,26.27; 4,20; Abd IO; Mal 1,4; Dan 2,44; 7,18; 12,3). Sviluppandosi for temente le concezioni escatologiche dell’apo calittica, ‘òlàm diventa un attributo costante del mondo ultraterreno (cfr. Dan 12,2 «e mol ti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna »). Nei passi propriamente messianici ‘òlàm è at testato piuttosto raramente (cfr. Ez 37,25 « Da vide mio servo sarà loro re per sempre »). e) Nei salmi alcuni passi ricordano il Deute roisaia (Sai 90,2 « prima che nascessero i monti, e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, D io»; 92,8s.; I02,12s.), ma si notano anche riflessi di una tradizione più antica, p.e. nei passi che esalta no Jahwe come re che regna in eterno e an nienta per sempre i suoi nemici (Sai 9,6.8.; 10,16; 29,10; 66,7; 93,2; 145,13; 146,10; cfr. Es 15,18; Mi 4,7). Si hanno poi affermazio ni sulla grazia perenne di Dio, sulla sua fedel tà eterna all’alleanza ecc. (Sai 25,6; 33,11; 89,3; 103,17; 105,8,10; 111,5.8.9; 117,2; 119,89.142.144.152.160; 125,2; 135,13; 138,8; 146,6; 148,6; inoltre i passi con kì l€‘òlàm hasdò, vd. sp. 3e), nonché affermazioni sull’e ternità di Sion, luogo della presenza salvifica di Dio (Sai 48,9, cfr. v. 15; 78,69; 125,1; 133,3). Caratteristici dello stile dei salmi sono i passi con ‘òlàm che descrivono l’ideale del giusto come « eterno » permanere, « eterno » non va cillare o sim. (Sai 15,5; 30,7; 31,2; 37,18.27; 41,13; 55,23; 61,5.8; 71,1; 73,26; 112,6.6; 121,8; 139,24); a questo gruppo si collegano senza differenze significative i passi che parla no della « perenne» fiducia e lode del salmista o della comunità, nonché quei passi in cui il giusto promette di osservare « in perpetuo » la legge (Sai 5,12; 30,13; 44,9; 52,10.11; 75,10; 79,13; 86,12; 89,2; 115,18; 119,44.93. 98.111.112; 131,3; 145,1.2). le‘òlàm (opp. avv. 'òlàm [wù'ccd]) in questi passi non va riferito ad una esistenza individuale che continua dopo la morte, ma, come nelle formule del linguag gio liturgico (Sai 104,31; 113,2; dossologie fi nali dei primi quattro libri del salterio: 41,14; 72,19; 89,53; 106,48), implica un rafforzamen to che nella commozione della preghiera e del l’esperienza del culto vorrebbe assolutizzare un’esperienza di salvezza, una promessa o una ferma decisione, separandole da ogni condizio namento del tempo e caratterizzandole come immutabili e definitive (non si può decidere solo in base a ‘òlàm se Sai 73,26 implichi o meno una speranza di immortalità). 0 11 Codice sacerdotale usa 'òlàm in espressio ni stereotipe (45x 'òlàm in catene costrutte, inoltre le‘òlàm in Es 31,17; Lev 25,46; mai 217
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‘ad-'òlàm) che rimandano al linguaggio giuri dico, e che senza peculiari riflessi religiosi de notano gli ordinamenti immutabili, l’aspetto statutario e permanente delle leggi, quanto cioè sta particolarmente a cuore al pensiero sacer dotale (cfr. Lev 25,32 gf’ullat ‘òlàm «diritto perpetuo di riscatto»; Gen 17,8; 48,4; Lev 25,34 vhiuzzat 'òlàm «possesso perpetuo»; in questo senso vanno interpretate anche le espressioni -*bcrlt/hòq/huqqat ‘òlàm [vd.sp. 3g]). II predicato ‘òlàm non significa in questo caso una trascendentalizzazione della « legge » o dell’«alleanza», per quanto ampia possa es sere la concezione sacerdotale della legge e del l'alleanza, inserite come sono nelfordinamento di grazia dì Dio. g) Alcuni problemi solleva infine l’impiego di ‘òlàm in Qohelet. In Eccle 1,4 «una generazio ne va, una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa», le‘vlàm implica l’abituale si gnificato statico di invariabilità (così anche in Eccle 3,14 «qualunque cosa Dio fa è per sem pre/sarà incessantemente così »; in frasi negati ve 2,16; 9,6). In 1,10 invece le‘òlàmlm (plur.) è insolitamente riferito al passato e viene specifi cato meglio da una proposizione relativa (al sing.): «G ià a lungo ciò è avvenuto le'òlàmim, che è stato prima di noi ». Si può pensare che 'òlàm significhi qui «spazio di tempo, epoca, tempo» per influsso del gr. aùóv (Jenni, l.c. 24), ma è possibile anche che il termine sia stato impiegato da Qoelet in modo autonomo come appellativo libero (non solo quindi, come era avvenuto in precedenza, in proposizioni avverbiali e genitivali che indicano una dire zione, vd. sp. 3a.g), e perciò con un significato leggermente diverso: « tempo remoto, illimita to » oppure « durata », non più soltanto in sen so attributivo (F.EIlermeier, Qohelet 1/1, 1967, 210.319s.: «nel tempo illimitato»; J.R.Wilch, Time and Event, 1969, 18: « it has already belonged to distant times that have been before us » [= « è già appartenuto a tempi lontani che sono stati prima di noi »]). Questa accezione potrebbe anche chiarire il passo difficile e discusso di Eccle 3,11: «Egli (Dio) ha fatto bella ogni cosa a suo tempo ('£/), anche ‘òlàm egli ha posto belibbàm, solo che l’uomo non può capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine». Tra le numerose interpretazioni date finora (panoramica in O.Loretz, Qohelet und der Alte Orient, 1964, 28lss.; Ellermeier, l.c. 309-322) possono essere ritenute più probabili quelle che vedono in ‘òlàm (unito a -* ‘et «momento giusto» e «dall’inizio alla fine») un termine che indica il tempo. A seconda che la frase con belìbbàm (« nel loro cuore » o « dentro ad essi ») venga riferita agli uomini o alle cose («tutto»), 'òlàm può essere tradotto con «eternità» (Zimmerli, ATD 16/1, 168.172: « l’uomo deve interrogarsi 218
oltre il suo attimo») o «durata» (Loretz, l.c. 281.284: «aspirazione ad una fama e ad un nome duraturi»; Barr, l.c. 124 n. 1: « perpetuity»... «thè consciousness of memory, thè awareness of past events» [= «eternità»... «la coscienza della memoria, la consapevolezza de gli eventi passati »1), oppure d’altra parte con «continuità» (Ellermeier, l.c. 320s.) o «dura ta» (Galling, HAT 18, 21969, 93.95: «posto invariabilmente in un decorso infinito »). In Eccle 12,5 bèt ‘òlàm «dimora eterna» indica la tomba. L’espressione ha origine in Egitto; a partire dal periodo ellenistico è diffusa in iscrizioni funerarie e in altri testi (Jenni, !,c, 207s.217 e 27-29; per l’e ventuale attestazione nell'iscrizione di Ahiram del 10“ sec. a.C. [vd. sp. 3e] cfr. ora anche H.Tawil, The Journal of thè Ancient Near Eastern Society of Co lumbia University 3, 1970/71, 32-36; sulle iscrizioni sir. cfr. H.J.W.Drijvers, Old-Syriac [Kdessean] Inscriptions, 1972, 79.107; nel contratto di matrimonio proveniente da Murrab'àt e scritto in aram., DJD II, nr. 20, r. 7 [cfr. nr. 21, r. 12], si ha «andare nella di mora deH’eternità » = «morire», cfr. DJD 11,11 Os. 113). Nell’AT se ne ha un’eco in Sai 49,12: « Le tombe (txt em) sono le loro dimore per sem pre»; cfr. inoltre Tob 3,6; Giub 36,1. L’espressione non indica una speranza nella vita eterna.
5/ Negli apocrifi c negli pseudepigrafi vtrt. di epoca precristiana (cfr. Jenni l.c. 29-35) e nei testi di Qumran (Kuhn, Konk. 159s.; RQ 14, 1963, 214; Fitzmyer, Gen.Ap. 214; cfr. Barr, l.c. 67.118) si conserva l’uso deU’AT (a Qum ran alcuni autori preferiscono il plur. al sing., ma con uguale sign., p.e. in JQM e in 1QS col. 2-4). Solo nei testi del 1° sec. d.C. compaiono i nuovi valori « eone » e anche « mondo », corri spondenti al gr, aùàv e xóernog (cfr. H.Sasse, ThW I,204ss. = GLNT I,548ss.; palm. m r’ lm' « signore del mondo » nelle iscrizioni del 2° sec. d.C.), che diventano frequenti in medioebr., aram., arab. ed et. I LXX rendono quasi sempre 'òlàm con aìwv/aìwvwn; (cfr. anche R.Loewe, Jerome’s Rendering of ‘wlm, HUCA 22, 1949, 265-306); cfr. per questo punto e per il NT H.Sasse, art. awàv, ThW 1,197-209 (= GLNT 1,531-564); Barr, l.c. 65ss.
E Jenni
‘àwòn PERVERSITÀ 1/ L’ebr. ‘àwòn (forma astratta con finale in -àn > -dn, BL 498) e l’aram. bibl. ht' 3d). (5) Poiché il termine non si riferisce soltanto alle azioni, ma anche alle conseguenze che ne derivano, l’aspetto della consapevolezza e del l’intenzionalità non è determinante, poiché la conseguenza spesso si fa sentire anche senza che lo si sappia, e comunque senza che lo si voglia. La consapevolezza non rientra perciò tra le caratteristiche peculiari del termine, ma dipende dalla natura del contesto, a sua volta storicamente determinato, il quale deve preci sare come si verifica concretamente una colpa (Gen 3; Os; Ger; Ez). e) Nelle attestazioni più antiche ‘àwòn ricorre in vari generi letterari: confessione della colpa (ISam 25,24; 2Sam 14,9), dibattito (ISam 20,1.8; 2Sam 3,8; 14,32), dichiarazione giustifìcatoria (ISam 28,10), domanda di perdono (2Sam 19,20; 24,10). Il termine fu usato anzi tutto nel linguaggio corrente, ma formulato di versamente a seconda delle situazioni specifi che. 222
Con le attestazioni immediatamente successive 'àwòn tende sempre più a diventare un termine del linguaggio teologico. Questo vale anzitutto per i generi letterari citati, ossia la confessione della colpa (Gen 4,13; 44,16; 2Re 7,9), il di battito (IRe 17,18) e la domanda di perdono (Os 14,3). Ora però il termine è attestato anche nei generi letterari dell’accusa incriminatoria (o della motivazione del giudizio; Os 4,8; 5,5; 7,1; 9,7; 12,9; 14,2; ls 1,4; 5,18), dell’anuuncio del giudizio (ISam 3,14; ls 22,14; 30,13; Os 8,13; 9,9; 13,12; Am 3,2), della promessa di perdono (ls 6,7) e della definizione che Jahwe dà di se stesso (Es 20,5). La storia successiva del termine è contraddi stinta dalla sua infiltrazione in altri generi e dalla grande mobilità del linguaggio formale. Si possono ricordare; espressioni di confessione (Lev 16,21; 26,40ss.; Is 53,5s.; 64,5; Sai 32,5; 38,5.19; 40,13; 51,7; 90,8; 130,3; Dan 9,13; Est 9,6.13a; le espressioni si ambientano esclu sivamente nel culto o nel suo linguaggio, e 1àwòn ne è sempre il termine costitutivo), di chiarazione di innocenza o di fedeltà (Sai 59,5; Giob 33,9), contestazione (Ger 16,10; Giob 7,21; 13,23; 31,33), accusa (molto spesso e con grande mobilità di espressioni; I^v 26,39; Is 43,24; Ger 5,25; 11,10; Ez 4,17; Sai 65,4), an nuncio del giudizio (Is 13,11; 26,21 ; Ger 2,22; 25,12; 36,31; Sai 89,33). Risultano nuove le formulazioni delle sentenze o della legge (p.e. Ger 31,30; Ez 3,18s.; 7,16; 18,17.18; 33,8s.). Bisogna tener presente qui in modo particolare la sentenza formulata con n i’ 'àwòn «portare la colpa» (cfr. Knierim, l.c. 219). Oltre alla domanda di perdono (Es 34,9; Num 14,19; Is 64,8; Sai 25,11; 51,4.11; 79,8) risultano nuove la domanda di non perdonare (Ger 18,23; Neem 3,37), la proclamazione del perdono (Is 40,2; Ger 31,34; 33,8; 36,3; 50,20; Ez 36,33; Zac 3,9 ecc.), la promessa del perdono (Zac 3,4), le forme con cui si parla in modo dosso logico e sapienziale del perdono di Dio (Es 34,7; Num 14,18; Mi 7,18; Sai 32,2; 78,38; 103,3.10; Prov 16,6; Esd 9,13) e la confessione della speranza e del lamento (Is 64,6; Ger 14,7; Mi 7,19; Sai 130,8; Lam 2,14; 4,22; Esd 9,7). Le circa 25 espressioni o combinazioni stereo tipe sono eloquente testimonianza dell’impiego ampio e pur fisso del termine in generi ed am bienti disparati (cfr. Knierim, l.c. 259-261). 4/ ‘àwòn diventa termine teologico per il fat to che il procedimento che conduce alla colpa, e che è descritto con questa parola, è conside rato un evento a cui Dio (Jahwe) espone l’uo mo. Tale impiego del termine si esprime sem pre più concretamente nel corso della sua sto ria (vd. sp. 3e). E predominante negli scritti profetici (Os, Is, Dtis, Tritois, Ger, Ez), nei sal mi e nel Codice sacerdotale, dove l’interesse principale è rivolto al rapporto uomo-Dio, op 223
pure il termine è impiegato in testi cultuali. Ciò non significa comunque che 'àwòn si rife risca soltanto a delitti cultuali. All’origine la parola non è attinente al culto ed è stata usata anzitutto per indicare situazioni di colpa in un ambito non cultuale. Essa è inoltre un termine formale che può riferirsi a tutti i generi di tra sgressioni. Esaminando però ad esempio fuso che ne fanno J, E, i libri di Samuele e Giobbe si nota che anche i delitti della sfera extracul tuale venivano giudicati negativamente in base alla fede jahwista. In ultima analisi, non è più possibile intendere l’attuarsi di ‘àwòn in una prospettiva che non sia teologica, quando si constata che Jahwe esercita sul mondo un in flusso globale. Infine, la gravità dello ‘àwòn non dipende più dalle concezioni ontologiche implicite in una visione dinamica del l’esistenza, e neppure più dalla concezione psicologica di una valutazione soggettiva del l’azione, bensì dalla coscienza di essere in rapporto con Dio, e perciò da un cri terio di ordine teologico. Se manca questa co scienza, allora « l’empio dirà: “Sono intenzio nato ad essere senza Dio”. Non conosce timor di Dio; poiché egli si illude nella sua follia che la sua colpa non sia scoperta, non sia detesta ta» (Sai 36,2s.). Ma quando l’uomo riconosce di essere inevitabilmente in rapporto con Jah we, allora grava su di lui ‘àwòn con il suo peso opprimente; ed egli comprende cosi l’autentica portata di ‘àwòn: « Ma tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniqui tà» (Is 43,24b), «M a le vostre iniquità hanno scavato un abisso fra voi e il vostro Dio; i vo stri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto così che non vi ascolta » (Is 59,2); « Con tro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto; perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio. Ecco, nella colpa sono stato generato, nel pec cato mi ha concepito mia madre» (Sai 51,6s.); «Siamo distrutti dalla tua ira, siamo atterriti dal tuo furore. Davanti a te poni le nostre col pe, i nostri peccati occulti alla luce del tuo vol to» (Sai 90,7s.). ->ps\ 5/ Nei testi di Qumran il verbo è attestato 7x: una volta nella confessione dei peccati IQS 1,24 e 6x nel significato traslato del valore let terale «perverso senza intelligenza» (IQH I,22), «spirito perverso» (3,21; 11,12; 13,15; f 12,6), «cuore perverso» (7,27). Il nome ricorre più di 40x, per Io più in espressioni fisse tradi zionali; assieme ad altri termini che denotano «peccato» ‘àwòn è attestato in IQS 3,22; II,9; della grande quantità di ‘awònòt parlano in forme varie IQS 3,7.8.22; 11,14; IQH 1,32; 17,15. I LXX traducono 'àwòn prevalentemente con àpap-ua, àvonwx, e àSuaa, qualche volta con dqjiapTirina. Benché anche in questo caso il va ‘àwòn PERVERSITÀ
224
lore originario del termine ebr. non si sia più conservato, il ristretto numero di equivalenti gr. mostra che 'àwòn era uno dei termini prin cipali atti ad indicare il peccato, e poteva esse re reso soltanto con i termini principali della lingua gr. fi verbo invece, condizionato in pre valenza dalle coniugazioni ebr., presenta una traduzione irregolare. Cfr. in proposito e per il NT: G.Quell - G.Bertram - G.Stàhlin - W.Grundmann, art. tx^apxàvio, ThW 1,267-320 (= GLNT 1,862); W.Gutbrod, art. àvopóa, ThW IV, 1077-1079 (= GLNT VII, 1401-1406); G.Schrenk, art. aSutocj, ThW 1,150-163 (= GLNT 1,401-440); W.Gùnther - W.Bauder, art. Sunde, ThBNT 111,1192-1204 (= peccato, DCB 1235-1255), con bibliogr.
R. Knierim
2T17 'zb ABBANDONARE 1/ ’zb « abbandonare » è attestato soltanto in ebr. ed in acc. (ezèbu, AHw 267-269; CAD E 416-426); l’arab. conosce ’zb «essere lontano» e 'azab «celibe» (Wehr 548b), cfr. anche Pet. mà'sah «celibe, vedovo» (Dillmann 973s.). In aram. il campo semantico di sbq coincide all’incirca con quello deH’ebr. ’zb (DISO 289s.; KBL 1128b; aram. bibl.: q. «lasciar stare» Dan 4,12.20.23; «lasciar fare» Esd 6,7; hipte. « essere lasciato » Dan 2,44). Nell’AT da questa radice derivano, oltre al q., il ni. « venir abbandonato » ed il pu. « essere abbandonato, spopolato », nonché il sost. plur. rizzebDnTm «merci (in deposito)» (BL 498; Zimmerli, BK XIII,650s. seguendo H.P.Ruger, Das Tyrusorakel Ez 27, Tùbingen 1961 [tesi]; discussione e altre proposte in H.J. van Dijk, EzekieFs Prophecy on Tyre, 1968, 75s.) ed il nome personale fem. 'azùbà (Noth, IP 231; JJ.Stamm, FS Baumgartner 1967, 327). Non è sicuro se appartengano alta stessa radice l’acc. sùzitbu «salvare» (CAD E 426) e sèzib «salvare» passato dall’acc. all’aram. (DISO 296; KBL 1129b; LS 762b; HufTrnon 192; Wagner nr. 180; nell’ararn. bibl. è attestato 9x ed è riferito all’intervento sal vifico di Dio opp. del re: Dan 3,15.17.28; 6,15.17.21.28). 'zb di Neem 3,8.34 potrebbe derivare (KBL 694a) da una seconda radice 'zb = *'db, che è attestata nel su darabico antico (Conti Rossini 202s.: «restituii, reparavit ») ed in ug. ( 'db « porre, preparare, fare », WUS nr. 2002; UT nr. 1818). Alcuni vorrebbero ri trovare la stessa radice anche in altri passi, p.e. U.Cassuto, A Commentary on thè Book of Exodus, 31959 (ebr.), 207, per Es 23,5b (dove di solito si pen sa a 'zr «aiutare», cfr. BHJ e Noth, ATD 5, 138 = ital. 212), C.ILGordon, UT nr. 1818, per lCron 16,37, e M.Dahood, JBL 78, 1959, 303-309, per
2253T11 'zb ABBANDONARE
Giob 9,27; 10,1; 18,4; 20,19; 39,14 (Fohrer, KAT XVT,199, rifiuta questa proposta per gli ultimi quat tro passi), Cfr. anche Barr, CPT 140s.332.
2/ ‘zb q. è attestato 203x nell’AT (esci. Neem 3,8.34, vd. sp.l; Ger 24x, 2Cron 23x, Sai 21x, ls 18x, IRe 12x, 2Re e Prov llx ciascuno), il ni. 9x (Is 4x), il pu. 2x, ‘izzcbònìm 7x (Ez 27, 12-33); in totale pertanto il verbo è presente 214x. 3/ a) A seconda del contesto il significato principale e relativamente unitario del qal « abbandonare, lasciar andare » (Gen 2,24; ISam 31,7; IRe 19,20; 2Re 8,6; Ger 25,38; Zac 11,17; Sai 38,11; 40,13; Prov 2,17 ecc.) si presta a diverse possibilità di traduzione: «piantare (in asso)» (Num 10,31; Deut 12,19; 14,27; Ger 14,5), «trascurare (un consiglio) = disprezzare» (IRe 12,8.13 = 2Cron 10,8.13; cfr. Prov 4,2), «lasciar stare» (Gen 39,12s.l5.18; 50,8; ISam 30,13; 2Sam 15,16; 2Re 7,7; Ez 24,21); « lasciare (qualcosa) » (Gen 39,6 con bejad\ Es 23,5a con /c; Giob 39,11 con ‘cet, par. bth « affidarsi »), « lasciar d’avan zo» (Lev 19,10; 23,22; Giud 2,21; Mal 3,19), «lasciare in eredità» (Sai 49,11), «lasciar an dare» (2Re 2,2.4.6; 4,30), «lasciare a terra» (Ez 23,29; Rut 2,16), «rinunciare» (Ez 23,8; Prov 28,13), «lasciar libero» (2Cron 28,14), «lasciar fare» (2Cron 32,31), «condonare (un debito)» (Neem 5,10). 'zb è attestato cinque volte nella locuzione ‘àsùr vf'àzùb o sim., di cui non si conosce più il significato preciso (Deut 32,36; IRe 14,10; 21,21; 2Re 9,8; 14,26). Il binomio «trattenuto e lasciato libero », che evidentemente è un’e spressione giuridica, potrebbe « descrivere una totalità ricorrendo a due possibilità contrarie» (Noth, BK IX,316 con discussione delle propo ste precedenti; cfr. f. gli a. L.Delekat, Asylie und Schutzorakel am Zionheiligtum, 1967, 320-342; G.R.Driver, FS Kahle 1968, 94; Noth intendendo secondo il diritto di famiglia « minorenne e maggiorenne » segue l’interpre tazione di E.Kutsch, Die Wurzel V im Hebr., VT 2, 1952, 57-69, particol. 60-65). In senso figurato si ha tre volte l’espressione ( ’issà) ‘azùbà «donna abbandonata» (Is 54,6; 60,15 par. ->sn’ «trascurare [una donna]»; 62,4; cfr. 49,14). Il verbo ‘zb denota in questo caso un abbandonare, un trascurare momenta neo, ed in parallelo con s ri un ripudiare ed un lasciar da parte rispetto ad altre; tuttavia dai testi non si può dedurre che si tratti di un’e spressione giuridica specifica per indicare il di vorzio, come invece avviene chiaramente in acc. (cfr. AHw 267b.408b; Driver-Miles l, 29ls.; II,54s.2l9.366a). b) ‘zb ni. ha significato passivo: «essere ab bandonato» (Lev 26,43; Is 7,16; 27,10; 62,12; Ez 36,4; Giob 18,4), «essere lasciato» (Is 226
18,6), «essere trascurato» (Neem 13,11 ); 'zb pu. significa «essere spopolato, abbandonato» (Is 32,14; Ger 49,25). c) Verbi di significato affine sono: nts q. «ab bandonare qualcosa a se stesso, lasciare» (33x, par. di 'zb in IRe 8,57; Ger 12,7; Sai 27,9; 94,14; pu. «essere abbandonato» ls 32,14 par. 'zb pu.) e rph hi. « lasciar cadere, abbandona re, piantare (in asso)» (2lx, par. di ‘zb in Deut 31,6.8; Gios 1,5; Sai 37,8; lCron 28,20). Per l’aram. sbq vd. sp. 1. 4/ In circa 100 passi ’zb è usato in contesto teologico: Dio abbandona l’uomo (circa 40x) oppure l’uomo abbandona Dio o la sua allean za, i suoi comandamenti ecc. (circa 60x). Van no ricordati tra gli altri i seguenti ambiti: a) ‘zb è ancorato principalmente nella tradi zione deH’alleanza e denota in tal senso il la mento per l’apostasia e la rottura dell’alleanza (cfr. Deut 31,16 dove il parallelo di ‘zb è ->prr hi. berit «rompere l’alleanza») quando si parla di abbandono di Jahwe opp. della sua alleanza (Deut 29,24; Ger 22,9). II termine è attestato per la prima volta in Os 4,10, dove è in rela zione con ->znh «fornicare», tipico di Osea (cfr. WolffBK XIV/1, 10ls.). Is 1,4 (cfr. v. 28) lo riporta accanto a ->m's pi. «disdegnare», definendo in questo modo ì’« abbandono del rapporto vitale con Jahwe» (cfr. Wildberger, BK. X,23). Geremia riprende il termine (cfr. Ger 1,16; 2,13.17.19; 5,7 e [nel caso siano di Geremia, altrimenti i passi sarebbero da attri buire al linguaggio dtr.] 5,19; 9,12; 16,11; 17,13; 19,4; 22,9) per dire che l’abbandonare ed il troncare un rapporto di alleanza significa rivolgersi a divinità pagane. In tal senso l’uso prosegue e diventa caratteristico nella lettera tura dtr., la quale vi vede la ragione per cui Jahwe abbandona il popolo e lo punisce (Deut 29,24; 31,16s.; Gios 24,16.20; Giud 2,12s.; 10,6.10.13; ISam 8,8; 12,10; IRe 9,9; 11,33 ecc.; cfr. Is 65,11; Sai 89,31; 119,53.87; Esd 8,22; 9,10; Neem 10,40; lCron 28,9; 2Cron 7,19.22 ecc.; nei testi di Qumran CD 1,3; 3,11; 8,19). b) Nelle lamentazioni ‘zb esprime il lamento dell’orante perché Dio lo ha abbandonato (Sai 22,2; Lam 5,20 par. -+skh «dimenticare»; cfr. Is 49,14) oppure la sua preghiera perché Dio non lo abbandoni (Sai 27,9 par. nts\ 38,22 par. -*rhq «essere lontano»; 71,9 par. slk hi. «re spingere »). In relazione a questo uso ‘zb espri me anche l’idea che Dio non abbandonerà nes suno, e ciò avviene in alcune formule che po trebbero risalire originariamente ad un oracolo di salvezza (Is 41,17 secondo C.Westermann, Forschung am AT, 1964, 120: «annuncio di salvezza»; cfr. 54,7), ed in particolare all’ora colo sulla guerra (Deut 31,6-8; cfr. Gios 1,5 227
par. rph hi.). Cfr. l’impiego teol. delle preposi zioni ’èl e -» ‘im « con ». 5/ Qumran riprende l’uso vtrt. del verbo. I LXX lo traducono principalmente con éYxaTaXEWTEiv e xaTaXeum.v. Il lamento di Sai 22,2 «D io mio, Dio mio, perché mi hai ab bandonato?» ritorna in forma aram. nel grido di Gesù sulla croce in Mt 27,46 par. Me 15,34 (cfr. J.Jeremias, Ntl. Theologie, I, 21973, 16 = Teologia del Nuovo Testamento, I,21976, 13).
H.-P Stàhli
TT3J ‘zz ESSERE FORTE 1/ La radice ‘zz « essere forte, potente » ap partiene al semitico comune. (Bergstr. Einf. 191; cfr. f. gli a. WUS nr. 2021; UT nr. 1835; DISO 205s.). In acc. comporta valori come adirarsi, infuriarsi, mostrarsi terribile (iezézu/ezzu, AIIw 269s.), mentre l’antico su darabico ‘zt significa « fama » (Conti Rossini 204b; cfr. W.Leslau, Lexique Soqotri [sudarabique moderne], 1938, 304). Nell’AT il verbo è attcstato al qal e all’hi., e si ha inoltre una forma secondaria j'z al ni. (part. nò'àz «temerario, insolente» Is 33,19). Deri vazioni nominali sono: l’agg. ‘az « forte » ed il corrispettivo nome astratto ‘òz « forza » (BL 455), il sost. ‘azùz «forza», l’agg. ‘izzùz «for te »; per màoz vd. st. Quanto al sost. ‘òz, KBL 692s. da un punto di vista etimologico distingue tra un ‘òz « fortez za », derivato da ‘zz « essere forte », ed un ter mine omonimo con il sign. « protezione, rifu gio », derivante dalla radice %z (= arab. ’àda) « cercare rifugio ». La differenza di significato può tuttavia spiegarsi dal lato semasiologico, senza dover ricorrere a due radici (vd. st. 4b e -*■‘ùz). In ebr. vi era però, oltre a 'zz, una forma se condaria biconsonantica 'ùz (da non confon dersi con la ricordata *'ùd), come si può dedur re da Gen 49,7, dove 'àz unito a qaselà « è for te» non può essere spiegato se non come 3a pers. masc. sing. di ‘ùz q. « essere forte». Se si accetta l’esistenza di una radice a due radicali accanto a quella con tre radicali (‘zz), è super fluo chiedersi se mà'òz « fortezza; difesa » deri vi totalmente (Joiion 204) o parzialmente (GK § 85k; GB 443a) da ‘ùz (*‘ùd) «cercare rifu gio », oppure da ‘zz « essere forte » (KBL 545a). ’éz « capra » non ha nulla a che fare con la radice ‘zz (contro KJ3L 692a), come dimostrano l’acc. enzu e Farab. 'anz. In arab., antico sudarabico e sir. oltre a ‘zz è attesta ta una forma della radice di terza debole (’zw/j) con
Ttl? ‘zz ESSERE FORTE
228
il sign. « essere forte, sopportare » (cfr. Wehr 550; W.W.MuIler, Die Wurzeln mediae and lertiae y/w im Altsiidarabischen, Tiibingen 1962 [tesi], 79; LS
5194
Per i frequenti nomi di persona formati con la radice 'zz, come ‘azazfàhù, 'uzzijjà(hù), ‘uzzì'èl, ‘°ziza ecc., cfr. Noth, IP 160s. 190.225; Huffmon 160; Grondahl 112; F.L.Benz, Personal Names in thè Phoenìcian and Punic Inscriptions, 1972, 374s.; J.K.Stark, Per sonal Names in Pahnyrene Inscriptions, 1971, 105.
2/ Nell’AT le forme verbali della radice 'zz sono relativamente rare e sono attestate soltan to nei testi recenti (qal 9x: Giud 3,10 e 6,2 nel l’inquadramento dtr.; Sai 9,20; 52,9; 68,29 txt em; 89,14; Prov 8,28 txt em [1 pi., cfr. Gemser, HAT 16, 46; diversamente K.Aartun, WdQ IV/2, 1968, 297]; Eccle 7,19; Dan 11,12; hi. 2x: Prov 7,13; 21,29). Frequenti sono le ricorrenze di 'òz: 94x, di cui 44x solo in Sai, quindi Prov 9x, Ez 8x, Is 7x (iricl. ’àz Gen 49,3 come forma pausale di 'òz secondo GK § 29u; Gunkel, Gen 479; Bergstr. 1,161). ‘az è attestato complessivamente 22x (incl. Gen 49,7, ma vd. sp. 1), ‘“zùz 3x (Is 42,25; Sai 78,4; 145,6; cfr. Eccli 45,18), ’izzùz 2x (Is 43,17; Sai 24,8); per mà'òz (36x) e 'òz II (incl. sopra) cfr. -►‘uz 2. 3/ Nell’uso profano le ricorrenze verbali della radice ‘zz q. denotano la potenza prorompente delle forze della natura (Prov 8,28), la potenza oppressiva del nemico (Giud 3,10; 6,2 con sogg. -+jàd) e la passionalità dell’ira (Gen 49,7, vd. sp. 1); quanto alla protezione potente della sapienza (Eccle 7,19) vd. st. 4c. All’hi. ‘zz compare soltanto collegato a pànlm « volto» c denota un comportamento arrogante e svergo gnato (Prov 7,13; 21,29; cfr. D.R.Ap-Thomas, VT 6, 1956, 240, e Eccli 8,16). L’astratto 'òz nella sfera profana indica la for za fisica di un animale (Giob 41,14) o di un uomo (solo occasionalmente; della donna vir tuosa Prov 31,17; cfr. Giud 5,21; secondo 2Sam 6,14 e lCron 13.8 Davide ballava da vanti all’arca «con tutte le forze», cioè con pieno trasporto; allo stesso modo lodavano Jahwe i leviti secondo 2Cron 30,21 txt em), la potenza del re simbolizzata nello scettro (Ger 48,17; Sai 110,2), la forza solida e protettrice di una città (Is 26,1; Ger 51,53; Prov 18,19) o delle fortificazioni (Giud 9,51; Am 3,11; Prov 21,22), la robustezza di un ramo (Ez 19,11.12.14), la forza interiore (dell’anima Sai 138,3) e la durezza del volto (conpànlm «vol to » Eccle 8,1, cioè la scontrosità dei lineamen ti). Soltanto in P (Lev 26,19) ed in Ez (7,24 txt em; 24,21; 30,6.18; 33,28) compare l’espressio ne gf'òn ‘uzz€k(xm (opp. con altri suffissi) con la quale si vuol indicare « l ’orgoglio su cui voi contate » (terra, tempio), come presunta garan zia di salvezza. L’agg. 'az, oltre a indicare la forza fisica (Giud 229
TTJJ ‘zz ESSERE FORTE
14,18), la potenza di un popolo (Num 13,28; ls 25,3) e la violenza degli elementi della natura (acque: Is 43,16; Neem 9,11; vento orientale: Es 14,21), designa più spesso lo sconvolgimen to (dell’amore, Cant 8,6) e la passionalità dei sentimenti (Prov 21,14; Is 56,11 dei cani bra mosi), nonché la durezza del comportamento (Is 19,4; 25,3) con la corrispondente durezza dei tratti del volto (con pànlm Deut 28,50; Dan 8,23). Prescindendo dai sinonimi citati sotto 4, i paralleli principali di ’óz sono ->gbr, -*hzq e -+qsh. Per il campo semantico della «forza» cfr. anche -> ’abblr ed i termini ricordati sotto la voce ->kòah (3), nonché alcuni vocaboli meno frequenti: ’ajà l (Sai 88,5) e ’ajàlùt (Sai 22,20) «forza» (cfr. Wagner nr. 11/12); quanto a ‘èl «potenza» vd. -Ve/ 1; ’àfiq «forte» (Giob 12,21); dòbee’ «forza» (Deut 33,25; cfr. HAL 199b e F.M.Cross, VT 2, 1952, 162-164); zimrà «forza» (Gen 43,11; Es 15,2; Is 12,2; Sai 118,14; cfr. HAT 263a); haslri (Sai 89,9) e hàsón (Is 1,31; Am 2,9) «forte» (cfr. Wagner nr. 1Ó6; HAL 324b); tqp q. «sopraffare» (Giob 14,20; 15,24; Eccle 4,12; 6,10 hi.), taqqif « forte» (Eccle 6,10) e tòqaf «forza, violenza» (Est 9,29; 10,2; Dan 11,17) sono aramaismi (cfr. aram. bibl. tqp q. «essere/diventare forte» Dan 4,8.17.19; 5,20; pa. «rendere forte, met tere in vigore » Dan 6,8; taqqlf « forte » Dan 2,40.42; 3,33; 7,7; Esd 4,20; ieqof «forza» Dan 2,37; teqàf «forza» Dan 4,27; Wagner nr. 329-331). Per ‘sm «essere forte, numeroso» e ‘àsiim «potente, nume roso » cfr. -»rab; invece vanno citati qui i sost. ‘òsoem (Deut 8.17; Nah 3,9; Giob 30,21) e ‘osmn (Is 40,29; 47,9) « forza» (cfr. anche **sùmót « prove» ls 41,21; ta‘asùmòt «vigore» Sai 68,36). Va ricordato infine qàrien «corno» (nell’AT 75x ebr. e 14x aram.), simbolo frequente della forza (ISam 2,1.10 ecc.; Jahwe «corno della mia salvezza» 2Sam 22,3 = Sai 18,3).*
4/ Il significato teologico di ‘òz corrisponde ai diversi aspetti della forza e della potenza di Jahwe, le quali si manifestano agli uomini ed al suo popolo da un lato con maestà sconvol gente e dall’altro con aiuto e protezione. In tal senso ‘òz con il significato di «forza, gloria maestosa » è attestato in particolare negli inni (a), mentre l’aspetto dell’aiuto e della protezio ne è prevalente nei canti di lamentazione indi viduale e nei salmi di fiducia (b). Nel primo caso i sinonimi di ‘òz sono kàbòd «gloria» (-i»kbd), gà’òn «altezza» ( ^ g ’h), ->hàdàr «splendore», ->hdd «nobiltà» e tìf’àrcet «splendore» (-*p’r); nel secondo caso i sinoni mi sono mafrscé «(luogo di) rifugio» (-►fish), fs ù 'à «aiuto» (->_/£'), miàgàb «altura, rifu gio» e -*sùr «roccia». Un impiego particola re di 'òz si riscontra nella letteratura sapien ziale (c). a) In molti inni viene esaltato il maestoso ‘òz di Dio che si manifesta nella creazione (Sai 68,34; 74,13; 150,1; cfr. Sai 78,26) e nella sto ria: di fronte alla forza di cui si cinge Jahwe (Sai 93,1), per la quale egli giura (Is 62,8), la 230
quale si mostra nel santuario celeste (Sai 96,6), i suoi nemici si piegano (Sai 66,3; cfr. Sai 77,15; 89,11 ed anche Fsd 8,22). È la sua forza maestosa che guida il popolo (Es 15,13). Il re eletto ed il popolo eletto di Dio si rallegrano per la forza loro concessa da Jahwe (ISam 2,10; Sai 21,2; 29,11; 68,36; 89,18). La forza maestosa donata da Dio determinerà un giorno anche il dominio del re messianico (Mi 5,3). La « gloria » e la « maestà », dono di Dio, fan no sì che nel rapporto reciproco tra Dio ed i suoi fedeli, quale si determina nel culto, la for za di Jahwe esaltata negli inni solleciti l’invito a dar gloria a Dio (Sai 29,1; 68,35; 96,7 = lCron 16,28) opp. a cercare la sua gloria (~*dry, soltanto in testi recenti: Sai 105,4 = lCron 16,11). Con la formula ‘ozzl v/zimràt Jàh (Es 15,2; ls 12,2; Sai 118,14) Jahwe nello stesso tempo è esaltato come fonte di gloria e di canto e come loro oggetto (cfr. S.E.Ix>ewenstamrn, « The Lord is my strength and my glory», VT 19, 1969,464-470). Dal sign. «maestà, gloria» deriva anche in Is 52,1 il valore più o meno profano di «ornamento», in pa rallelo con bigdè lif'urtèk «le tue vesti sontuose» (cfr. anche Prov 31,25; diversamente p.e. Wester mann, ATD 19, 199 - ital. 298). Oltre che in Sai 96,6, anche in Sai 78,61 tif'cerarl « splendore » è ter mine parallelo di 'òz, che in questo caso denota con cretamente l’arca santa, in quanto « gloria, maestà » di Dio, come risulta da rón ‘uzzièkà « la tua arca maestosa » in Sai 132,8 = 2Cron 6,41.
La schiacciante potenza di Jahwe, che i nemici di Dio temono, può colpire anche Israele quando l’ira divina punisce il popolo (Sai 90,11, lamento del popolo). b) Negli inni individuali di lamento e di pre ghiera nonché nei salmi di fiducia lo ‘òz di Jahwe si manifesta nell’aiuto e nel rifugio che egli concede a coloro che lo invocano (Sai 28,7.8; 46,2; 59,10 txt em; 62,8.12; 71,7; 81,2; 84,6; 86,16; cfr. Ger 16,19). Dai passi citati in a) e b) si deduce che la diffe renza di significato di 'òz nel senso di « forza, gloria maestosa » e « aiuto, rifugio » si può spiegare a livello semasiologico con l’uso del termine nei vari generi letterari. Pertanto non sembra opportuna la divisione proposta da KBL 692s. in base a considerazioni di ordine
etimologico. c) Caratteristico è inoltre il legame che nella letteratura sapienziale si stabilisce tra 'òz e la «sapienza». Anche nell’AT (cfr. Eccle 7,12) appare la concezione della letteratura sapien ziale eg. che considera la sapienza vita e prote zione (C.Kayatz, Studien zu Proverbien 1-9, 1966, 102ss.). Poiché in Dio c’è 'òz e sagacia (Giob 12,16), egli opp. il suo nome (~>sèm) si presenta come una torre forte e protettrice, dove si può trovare asilo (Prov 18,10; cfr. Sai 231
61,4 e pap. Insinger 19,12: «La fortezza del giusto nell’anno del bisogno è D io», citato in Gemser, HAT 16, 75). E meglio aver fiducia nella sapienza proveniente da Dio, che non nel denaro (cfr. Prov 18,11 rispetto a 10,15!), per ché essa si dimostra più forte (cfr. Prov 21,22; cfr. anche Eccle 7,19). Su tutta la questione P.Biard, La puissance de Dieu, 1960, 75-81. 5/ I LXX traducono 'òz con iayvq e Suvapiq, a volte anche con xpaToq e (conformemente al sign. « aiuto ») con (3oT]$óq « colui che aiuta ». Negli scritti di Qumran quest’ultimo significato scompare quasi del tutto e prevale l’idea della forza. Per il NT cfr. W.Grundmann, Der Begriff der Kraft in der ntl. Gedankenwelt, 1932; Biard, l.c. 105-190; W.Grundmann, art. Sùvapm, ThW 11,286-318 (= GLNT 11,1473-1556); id., art. ùrjcuw, ThW 111,400-405 (= GLNT IV,1211-1226); W.Michaelis, art. xpdnroq, ThW 111,905-914 (= GLNT V,9751004).
A.S.vari der Woude
"Iti; ‘zr AIUTARE *1/ La radice *'dr «aiutare» è attestata in tutte le lingue sem. ad eccezione dell’acc. e dell’et. (ug.: WUS nr. 2115; UT nr. 1831; sudara bico antico: Conti Rossini 203; arab. « scusa re» e sim.: Wehr 540; fen. pun 'zr, aram. 'zr/'dr. DISO 206; LS 513; Tace. ìzirtu «aiu to» in EA 87,13; 89,18 è un prst. can., cfr. AHw 408b; CAN 1/J 3I9a), soprattutto in nu merosi nomi di pers. come p.e. Adadidri, Aza ria, Esdra, Asdrubale (cfr. per il periodo più antico f. gli a. Buccellati 130s.; Huffmon 193; Gròndahl 107.113; Harris 13ls.; Noth, IP 154.175; W.Baumgartner, ZAW 45, 1927, 95 = Zum AT und seiner Umwelt, 1959, 82s.; Wag ner nr. 215-217). In base all’ug. gzr «giovane, guerriero» o sim. (WUS nr. 2138; UT nr. 1956; H.-P.Muller, UF 1, 1969, 90s.; J.C. de Moor, The Seasonal Pattern in thè Ugaritic Myth of Ba‘Iu, 1971, 76 con bibliogr.) a partire da H.L.Ginsbcrg, JBL 57, 1938, 210s. n.4, è stato proposto con una qualche probabilità di far de rivare in alcuni passi dell’AT il part. q. 'òzèr{p.e. Ez 30,8; 32,21; lCron 12,1.19) opp. il sost. 'ezeer (Ez 12*14; Sai 89,20) da una radice ‘zr II = *gzr « essere forte» (in forma riassuntiva P.D.Miller, UF 2, 1970, 159-175 con bibliogr.). La possibilità filologica si basa sulla fusione in ebr. di certe consonanti ancora distinte in ug.; una delimitazione esatta tra « aiutan te/aiuto» e «eroe, guerriero/potenza» resta difficile a motivo ddl'affìnità di significato (cfr. anche Barr, CPT 139s.332), la quale spiegherebbe anche la sosti- | tuzione finale di una eventuale radice ‘zr II con 'zr I.
It f f 'zr AIUTARE
232
Oltre al qal, che è prevalente, nell’AT com paiono anche il ni. e l’hi. (?); come sostantivi sono attcstati 'èzar e 'cezrà « aiuto ». Il sost. 'azàrà «recinto» o sim. (6x in Ez 43,14-20; 45,19) e «atrio» (2Cron 4,9.9; 6,13) anche supponendo un’affinità di radice (G.R.Driver, Bibl 35, 1954, 307s.) non viene preso in consi derazione qui, poiché il suo significato è trop po distante. 2/ 'zr q. è attestato 76x (Sai 16x, Is e 2Cron 12x, lCron lOx, altri libri meno di 5x), ni. 4x (Sai 28,7; Dan 11,34; lCron 5,20; 2Cron 26,15), hi. lx (2Cron 28,23 txt?, 1 qal; 2Sam 18,3 Q conta come q.)> 'èzcer 21 x (Sai llx , Deut 3x), 'cezrà 26x (Sai 14x, Is 4x). Le com plessive 128 attestazioni della radice si suddivi dono cosi: 42 in Sai, 17 in Is, 15 in 2Cron, 11 in lCron, 6 in Giob. 3/ Per definire il significato del verbo e dei sostantivi è determinante l’aspetto detrazione in comune o il cooperare del soggetto con l’og getto, allorché la forza di uno di essi non sia sufficiente (Gios 10,4s. « venite da me, aiutate mi ed assaltiamo Gabaon... si unirono e diede ro battaglia... »; Is 41,6 «si aiutano l’un l’altro e lino dice al compagno: Coraggio!»; 41,10 «...io sono con te... ti rendo forte, ti vengo in aiuto, ti sostengo...»). Le sfumature possono andare dal sign. «sostenere» (Esd 10,15), «aiutare» (Gios 1,14; cfr. Gen 2,18), «favori re» (Gen 49,25) fino a quello di «salvare ve nendo in aiuto» (Dan 10,13; cfr. Lam 4,17) e «venire in aiuto» (2Sam 21,17; cfr. Sai 60,13 = 108,13). Poiché si sottolinea la collaborazio ne e non la durata o il modo dell’azione, verbo e sostantivo possono riferirsi a fatti continuati oppure a fatti puntuali (cfr. ad esempio ISam 7,12 «fin qui .fahwe ci ha soccorso»). In tal senso 'zr si differenzia da quei verbi che pon gono maggiormente in rilievo l’aspetto puntua le dell’azione dell’aiutare e del salvare hi.; ->-nsl hi.; -*pdh\ ecc.); in Gios 10,6 p.e. js ' hi. indica la salvezza e 'zr l’andare in sieme contro il nemico. Non vi sono particolari connessioni che inte ressino la storia delle forme. Una sfera di im piego abbastanza chiara è quella dell’alleanza bellica (IRe 20,6; Is 31,3; Ez 32,21; Sai 35,2 ecc.), la quale a sua volta può racchiudere gli aspetti delFaiutarsi insieme o del venire in soc corso. I testi comunque non permettono di considerarla come la sfera di impiego origina ria. Costruzioni particolari sono 'zr 'aharè «stare come seguace dietro a qualcuno» (IRe 1,7) e ‘zr min «proteggere da» (Esd 8,22, probabilmente una con taminazione tra ‘zr ['al «contro»] e «5/ hi. min «sal vare da »).
4/ In circa 30 passi soggetto di 'zr q. è Dio (inoltre Deut 32,38 e 2Cron 28,23 gli dei, Dan 233
"Iti? 'zr AIUTARE
10,13 un angelo); oltre a Gen 49,25 (par. -+brk pi. «benedire») e ISam 7,12 (in una eziologia) soprattutto in Dtis (7x in Is 41,10-50,9), in Sai (tutti i passi, eccetto Sai 22,12; 72112 e 107,12 con eri ‘òzèr « non c’è ch^aiuti ») ed in l/2Cron (8x). Conformemente al significato, anche in 'èzcer ed in 'cezrà dei salmi (come pure in Es 18,4; Deut 33,7.26.29) l’agente è Dio (altrimenti l’uomo), così pure in ‘zr ni. (fuorché Dan 11,34), sebbene in questa coniu gazione l’agente di per sé non venga sottoli neato. Questa sorprendente frequenza in scritti recenti (Sai, Dtis, Cron), dove prevalgono i valori ge nerici «aiutare» e «aiuto», può essere dovuta a due fattori: (a) il particolare genere letterario dei salmi, che richiede un linguaggio formale ed un accumularsi di termini, nel nostro caso soprattutto nella preghiera e nella professione di fiducia (efir. ad esempio Sai 38,23; 79,9; 86,17); ciò influisce forse anche sull’uso fre quente del termine nel Dtis (dove ‘zr è attesta to particolarmente negli oracoli di salvezza), (b) la teologia dei libri delle Cronache, per la quale la vita è sempre più contrassegnata dalla pietà convenzionale e formale, ma Dio resta in sostanza un Dio lontano. Nelle Cronache, mentre aumenta l’uso di 'zr con Dio come sog getto, diminuisce quello di js ' hi. (solo 2Cron 20,9; 32,22 senza l’originale e lCron 11,14 contro l’originale) e di nsl hi. (2Cron 25,15 senza l’originale, lCron 16,35; 2Cron 32,11.17 in aggiunta all’originale). L’uso delle Cronache in questo senso equivale a quello ecclesiastico odierno, dove uno sbiadito «aiutare» è uno dei termini più frequenti per indicare l’azione salvifica di Dio (cfr. l’« aiuta » (imp.) delle for mule di preghiera oppure l’affermazione «con l’aiuto di Dio»). Questo uso linguistico e la teologia che vi sta dietro non sono conformi al modo di esprimersi abituale dell’AT, dove si distingue chiaramente tra l’azione salvifica di Dio (verbi relativi al salvare) e l’azione benedi cente di Dio (vocaboli che indicano benedire, essere insieme, far riuscire); 'zr con soggetto di vino è usato invece molto raramente. Per 'zr nei nomi di persona (vd. sp. 1), in quanto manifestazione di fiducia e di ringraziamento, cfr. Noth, IP 154.1753.
5/ L’uso di 'zr nei testi di Qumran (Kuhn, IConk. 162) non presenta particolarità di rilie vo. 1 LXX lo traducono in prevalenza con PotiSeìv e derivati. Nel NT questa voce tende a regredire quanto a frequenza, mentre Flavio Giuseppe p.e. la usa spesso. In questo caso perciò il NT non riprende l’uso vtrt. recente né quello giudaico (cfr. F.Biichsel, art. porifriu, ThW 1,627 = GLNT II,299s., dove si cita A.Schlatter, Wie sprach Josephus von Gott?, 1910, 66).
U.Bergmann 234
J?r ajin OCCHIO 1/ *'ajn- « occhio » appartiene al semitico co mune (Bergstr. Einf. 183; anche nel sign. « fon te»: P. Fronzaroli, AANLR V1II/19, 1964, 256.270; 23, 1968, 273.288). Oltre al « nomen primitivum » (GK § 82) ‘àjin (ebr. e aram. bibl.) sono attestati nelPAT: un verbo deno minativo ’j n q. « trattare con diffidenza » (solo part. ‘òjèn ISam I‘8,9 Q; verbi denominativi con diversi significati si trovano anche in medioebr., in aram., in arab. e specialmente in ug.: 'n « vedere », WUS nr. 2055a; UT nr. 1846), il nome denominativo majàn «fonte» (anche antico aram., DISO 161) e alcuni nomi propri derivati, tra i quali il n. pers. postesilico ’ielj(eh)ó"ènaj «su Jahwe sono i miei occhi» formato su modello acc. (Noth, TP 163.216.224).
2/ Nel seguente quadro statistico il sign. «fonte» (distinzione dei nomi di luogo [ca. 40x] secondo Lis., incl. Giud 7,1; ISam 29,1 ; IRe 1,9; Neem 2,13) viene tenuto separato dal sing. «occhio» ecc. (incl. 2Sam 16,12 Q; esci. Os. 10,10); per quest’ultimo vengono date liste distinte per le espressioni figurate be'ènè «agli occhi di = secondo il giudizio di » (senza « agli/ cogli occhi» in senso concreto: Num 33,55; Deut 3,27; 34,4; Gios 23,13; 2Re 7,2.19 Is 6,10; Ez 40,4; 44,5; Sai 91,8; Giob 40,24; Prov 6,13; 20,8; Eccle 8,16; Esd 3,12; 2Cron 29,8) e le‘ènè «in presenza di, davanti a » (senza Sai 50,21; 132,4; Giob 31,1; Prov 6,4). In aram. bibl. ‘àjin è attestato 5x (Dan 4,31; 7,8.8.20; Esd 5,5)
Gen Es
Lev
Num Deut Gios Giud ISam 2Sam IRe 2Re ls Ger Ez Os Gioe Am Abd Giona Mi Nah Ab Sof Agg Zac Mal Sai
235
'àjin « occhio » 70 34 16 39 58 ti 19 42 40 31 49 45 54 70 2 1 3
di cui: ‘àjin be'èné le'ènè « fonte » 36 5 10 15 9 1 2 3 11 9 1 13 11 2 6 2 15 1 I 31 1 26 7 21 1 34 1 7 2 13 15 1 31 1
ma'jàn 2 —
ì
—
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1 1 1 19 2 66
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Giob Prov Rut Cant Eccle Lam Esl; Dan Esd Neem lCron 2Cron AT ebr.
46 47 4 7 9 10 13 7 2 3 11 30 866
6 13 3 1 — — 13 — — 1 7 20 307
1 I — — — — — —
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3/ Il sing. 'àjin ed il duale ‘ènàjim (in circa 7/8 dei passi) denotano nei molteplici impieghi propri e figurati (cfr. Dhorme 75-80) principal mente l’occhio (a) come organo della vista (an che degli animali, p.e. Giob 28,7 e 39,29 riferi to agli uccelli rapaci, aram. Dan 7,8.20 riferito alla «quarta bestia» della divisione), e più ra ramente (b) come soggetto di altre funzioni (dormire, piangere, gesti espressivi ecc.). Varia zioni di significato si hanno soprattutto nelle espressioni preposizionali (c) ed in pochi altri casi (d). a) Come organo del corpo (prezioso, sensibile) (1) l’occhio non denota semplicemente il vede re ed il guardare (normale o distorto) (2), ma anche moti dell’animo come il desiderio, l’or goglio, la gioia, la pietà ecc. (3). (1) Come o r g a n o del c o r p o l’occhio viene nominato in molteplici correlazioni: Sai 94,9 creazione dell’occhio; Giob 10,4 ‘ènè basar « occhi di carne » = occhi corporali, tran sitori; nella serie bocca-occhi-mani 2Re 4,34 (cfr. anche -►’ózcen « orecchio »); nel canto de scrittivo di tenore erotico: Cant 1,15; 4,1.9; 5,12; 7,5; bellezza ISam 16,12 (cfr. Gen 29,17 «occhi spenti»); oggetto della cosmesi: 2Re 9,30 e Ger 4,30 con pùk. «belletto», Ez 23,40 khl q. « truccare »; nel diritto penale: Es 2Ì,24.26 e Lev 24,20 (sulla legge del taglione «occhio per occhio» cfr. Alt, KS 1,341 -344; Elliger, HAT 4, 335); nell’espressione ben 'ènàjim «tra gli occhi» = «sulla fronte» o sim.: Es 13,9.16; Deut 6,8; 11,18; 14,1; Dan 8,5.21 (cfr. Noth, ATD 5, 79 = ital. 125; ug. UT nr. 1846); cfr. inoltre Gen 46,4; Num 33,55; Gios 23,13; Giud 16,28; Giob 20,34; Prov 10,26; Eccle 2,14, Una descrizione figurata degli occhi si ha in Ez 1,18; 10,12 (cfr. Zimmerli, BK XIII, 67; diver samente P.Auvray, VT 4, 1954, 1-6); Zac 3,9. Dell’occhio fanno parte la pupilla (Tsòn Deut 32,10; Sai 17,8; Prov 7,2 [-. Ts I ]; babà Zac 7,12; bai Sai 17,8; Lam 2,18), le palpebre (semùrà Sai 77,5) e le sopracciglia (gabbót Lev 14,9). Quanto a 'afappàjim (nell’AT lOx, anche ug. ‘p'p, WUS nr. 2072) la traduzione abituale «ciglia » è stata conte stata di recente in favore di «occhi (che brillano)» o «pupille» (cfr. KBL 723b; J.M. Steadman, HThR
£ £ 'àjin OCCHIO
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56, 1963, 159-167; M.Dahood, Bibl 50, 272351s.).
1969,
Per i difetti e le lesioni degli occhi si usano:
khh q. «indebolirsi, spegnersi» (Gen 27,1; Deut 34,7; Zac 11,17; Giob 17,7; agg. kèhct «debole, spento» ISam 3,2), klh q. «venir
meno» (Ger 14,6; Sai 69,4; Giob 11,20; 17,5; Lam 4,17; pi. «far languire» Lev 26,16; ISam 2,33; Giob 31,16; kiljdn «languore» Deut 28,65), kbd q. «diventar pesante» (Gen 48,10), qùm q. «diventare rigido» (ISam 4,15; IRe 14,4), ‘ss q. usualmente « indebolirsi/offu scarsi », forse « tumefarsi » (così L.Delekat, VT 14, 1964, 52-55; Sai 6,8; 31,10), d'b q. «lan guire» (Sai 88,10), lisk q. «oscurarsi» (Sai 69,24; Lam 5,17), mqq ni. «marcire» (Zac 14,12); nqr q. «cavare» (ISam 11,2; pi. Num 16,14; Giud 16,21), sbr q. «spezzare» (Ez 6,9), ’wr pi. «accecare» (Deut 16,19; 2Re 25,7 = Ger 39,7 = 52,11; agg. ‘iwwèr «cieco», di uomini: Is 29,18; 35,5; 43,8; cfr. 59,10 «senza occhi»; degli occhi Is 42,7); cfr. anche fballili « con una macchia (nell’occhio) » (Lev 21,20).
I vocaboli della radice “wr (pi. « accecare » 5x; 'iwwèr «cieco» 26x; ‘iwwàron «cecità» 2x; ’awwàrat «ce cità» lx) sono usati talvolta con valore traslato (Es 23,8 e Deut 16,19: «la corruzione rende ciechi»; nel Dtis p.e. Is 43,8 «il popolo cieco che pure ha oc chi»; cfr. W.Herrmann, Das Wunder in der evangelischen Botschaft. Zur Interpretation der BegrifTe blind und taub im Alten und Neuen Testament, 1961). Un improvviso accecamento da parte di Dio viene espresso nella tradizione leggendaria di Gen 19,11 e 2Re 6,18 con il termine sanwèrìm, di origine scono sciuta (tra i numerosi tentativi di spiegarne la deriva zione, p.e. E.A.Speiser, JCS 6, 1952, 89; F.Rundgren, AcOr 21, 1953, 325-331, cfr. quello più recen te di C.Rabin, Tarbiz 39. 1968/69, 214s.).
(2) Naturalmente ‘àjin è spesso unito alle espressioni che indicano il v e d e r e (—r'h): Gen 45,12; Lev 13,12; Num 11,6; Deut 3,21; 4,3.9; 7,19; 10,21; 11,7; 21,7; 28,32.34.67; 29,2; Gios 24,7; 2Sam 24,3; IRe 1,48; 10,7; 2Re 22,20; Is 6,5.10; 11,3; 30,20; 33,17.20; 64,3; Ger 5,21; 20,4; 42,2; Es 12,2.12; 23,16; 40,4; 44,5; Mal 1.5; Sai 17,2; 35,21; 50,21; 91,8; 94,9; 115,5; 135,16; 139,16; Giob 7,7.8a; 10,18; 13,1; 19,27; 20,9; 21,20; 24,15; 28,7.10; 29,11; Prov 20,8.12; 22,12; 23,33; 25,7; Eccle 5,10; 6,9; 11,7.9; vedere coi propri occhi: Deut 3,27; 29,3; 34,4; ISam 24,11; 2Re 7,2.19; Zac 9,8; Giob 42,5; 3,12; 2Cron 9,6; 29,8; 34,28; vedere faccia a faccia: Num 14,14; Deut 19,21; Is 52,8; Ger 32,4; 34,3; con i significati secon dari di deliziarsi alla vista opp. saziarsi di guardare rispettivamente Mi 4,11; 7,10; Sai 54,9; 92,12 e Prov 27,20; Eccle 1,8; 4,8; per motivi di critica testuale vengono tralasciati 2Sam 16,12 Q; 20,6; Zac 5,6; 9,1; Sai 73,7. L’espressione —ns’ 'ènàjim «alzare gli occhi — 237 1?1J ‘àjin OCCHIO
guardare, gettare io sguardo », che ricorre circa 50x, denota generalmente l’azione che introdu ce al successivo r ’h «vedere»: Gen 13,10.14; 18,2; 22,4.13; 24,63.64; 31,10.12; 33,1.5; 37,25; 43,29; Es 14,10 (compì, r ’h); Num 24,2; Deut 3,27; Gios 5,13; Giud 19,17; ISam 6,13; 2Sam 13,34; 18,24; Is 40,26; 49,18; 51,6 (con nbt hi. «guardare»); 60,4; Ger 3,2; 13,20; Es 8,5.5; Zac 2,1.5; 5,1.5.9; 6,1; Giob 2,12 (con nkr hi. «riconoscere»); Dan 8,3; 10,5; lCron 21,16; dopo r ’h segue spesso wehinnè «ed ecco»; per analoghe espressioni in acc. ed in ug. vd. AHw 762b; WUS nr. 2055. Essa può però esprimere anche desiderio, brama, affetto o sim., avvicinandosi in questo modo ai casi citati sotto (3): Gen 39,7; Deut 4,19; 2Re 19,22 = Is 37,23; Ez 18,6.12.15; 23,27; 33,25; Sai 121,1; 123,1; aram. con ntl «sollevare» Ah. 169 e Dan 4,31. L’occhio diretto verso qualcosa denota in nu merose espressioni l’osservare, l’esaminare, l’a derire, il preoccuparsi di qualcosa (Gen 44,21; Deut 11,12; IRe 1,20; 9,3 = 2Cron 7,16; Is 17,7; Ger 16,17; 24,6; 39,12; 40,4; Ez 20,24; Am 9,4.8; Sai 10,8; 11,4; 17,11; 25,15; 32,8; 33,18; 34,16; 66,7; 101,6; 123,2; 141,8; 145,15; Giob 7,8b; 17,2; 24,15.23; 34,21; 39,29; Prov 4,25; 15,3; 17,24; 23,5.26; Rut 2,9; 2Cron 16,9; 20,12; aram. Esd 5,5). Frequenti sono le espressioni che denotano l’essere aperti o l’aprirsi degli occhi: —glh q. Num 24,4.16 del vedere in visione (par. —stm «aprire» [?] v. 3.15); glh pi. Num 22,31; Sai 119,18; pth «aprire» soltanto in IRe 8,29.52; Neem 1,6; 2Cron 6,20.40; 7,15, altrimenti pqh q. (tranne che in ls 42,40 riferito sempre al l’occhio): Gen 21,19; 2Re 4,35; 6,17.17.20.20; 19,16 = Is 37,17; 42,7; Ger 32,19; Zac 12,4; Giob 14,3; 27,19; Prov 20,13; Dan 9,18; cfr. Sai 146,8; ni. Gen 3,5.7; Is 35,5 (cfr. l’agg. piqqèah « colui che vede chiaro » Es 4,11 ; 23,8, ed il sost. pcqaliqòah «apertura, l’aprire» ls 61,1; antico aram. pqh q. in Sef. 1,13, cfr. Fitzmyer, Sef. 39; DISO 234), oppure, sempre in senso proprio e traslato, le espressioni che in dicano il chiudere, il coprire ed il distogliere lo sguardo: ‘sm q./pi. «chiudere» Is 29,10; 33,15; 7m hi, «nascondere, velare» Lev 20,4; ISam 12,3; Is 1,15; Ez 22,26; Prov 28,27; thh q. «es sere incollato» Is 44,18; ó1" q. «essere incolla to» Is 32,3 txt em; cfr. hitpalp. Is 29,9; hi. «incollare» Is 6,10; cfr. inoltre Sai 119,37; Giob 36,7; Cant 6,5; ’aje r « benda sopra gli oc chi » IRe 20,38.41; kfsùt ‘ènàjim «copertura degli occhi = dono di pacificazione » Gen 20,16. (3) Tra i m o t i d e l l ’ a n i m o espressi con 'àjin vi è anzitutto il desiderio nelle sue molte plici sfumature: Gen 3,6; Num 15,39; IRe 20,6; Ger 5,3; 22,17; Ez 20,7.8; 24,16.21.25; Giob 31,1.7; Eccle 2,10; Lam 2,4 (il contrario «allontanarsi dagli occhi » Prov 3,21 ; 4,21). Si 238
hanno poi espressioni che indicano compassio ne (Gen 45,20; Deut 7,16; 13,9; 19,13.21; 25,12; Is 13,18; Ez 5,11; 7,4.9; 8,18; 9,5.10; 16,5; 20,17), orgoglio (2Sam 22,28 txt em = Sai 18,28; Is 2,11; 5,15; 10,12; Sai 101,5; 131,1; Giob 22,29; Prov 6,17; 21,4; 30,13), ostinazio ne (Is 3,8), scherno (Prov 30,17), brama (Sai 119,82.123.148), purezza (Ab 1,13), generosità (Prov 22,9) e malvagità, malanimo (Deut 15,9; 28,54,56; Prov 23,6; 28,22). Segni di vita e di gioia sono il brillare ed il luccicare degli occhi: Gen 49,12; ISam 14,27.29; Sai 13,4; 19,9; 38,11; Giob 41,10; Prov 15,30; 29,13; Dan 10,6; Esd 9,8 (-» ’òr). b) Relativamente raro è l’impiego della voce occhio in relazione alla veglia e al dormire, cfr. Gen 31,40; Sai 77,5; 132,4; Prov 6,4; Eccle 8,16. Un po’ più frequente è l’attestazione dell’oc chio comc fonte di lacrime (dm' q. «versare lacrime» Ger 13,17.17; dim'à « il lacrimare», nell’AT 23x; cfr. dama' «succo» Es 22,28), cosa che già ben presto ha dato luogo alla me tafora della « fonte » = 'àjin. Vanno ricordati Is 38,14 txt em: Ger 8,23; 9,17; 13,17; 14,17; 31,16; Sai 116,8; 119,136; Giob 16,20; Lam 1,16; 2,11.18; 3,48.49 (cfr. Prov 23,29 occhi rossi; Lam 3,51 occhi doloranti). L’occhio non è mai soggetto di ~^bk.h «piangere» (evidente mente perché il piangere include anche il gri dare); soltanto in Ger 8,23; 13,17; 31,16; Lam 1,16 stanno in parallelo tra loro «occhio (la crimante) » e « piangere ». Altre espressioni di movimento sono ancora: $qr pi. «ammiccare» Is 3,16 (cfr. anche Wildberger, BK X,138); qrs «socchiudere, strizza re» Sai 35,19; Prov 6,13; 10,10; Iti «aguzza re» Giob 16,9 (metaforicamente); rzm «rotea re» Giob 15,12; ‘sh «socchiudere» Prov 16,30. c) Dall’unione con preposizioni risultano espressioni preposizionali nelle quali 'àjin tende a passare dal significato con creto a quelli astratti e metonimici «veduta, opinione, giudizio» oppure «visione, testimo nianza oculare, presenza» o sim. Il primo gruppo di questi significati si incontra nell’e spressione frequente be‘ènè «agli occhi di = se condo la veduta, l’opinione, il giudizio d i» (Gen 6,8; 16,4.5.6; 18,3; 19,8.14.19 ecc., vd. sp. 2 con il quadro statistico); con (db «buo no, benQ»/jtb «essere bene, buono» e ra‘ « cattivo » /r" «essere cattivo» si formano espressioni che indicano « piacere » (Gen 16,6; 19,8; 20,15 ecc., ~*tòb 3d) e «dispiace re» (Gen 21,11.12; 28,8 ecc.). Va collocata qui l’espressione mè'énè « a ll’insaputa d i» (Lev 4,13; Num 5,13; 15,24). Il secondo grup po di significati «visione, presenza» è chiaro in le‘ènè «davanti agli occhi di = in presenza d i» (Gen 23,11,18; 30,41 ecc.); Ie'cn8 acqui 239
sta per lo più lo stesso senso di lifnè « davan ti » (-*pànlm ). Con lo stesso significato si usa anche (le)nàgad 'ènè (2Sam 22,25 = Sai 18,25; Gioe 1,16; Sai 5,6; 26,3; 36,2; 101,3.7; Giob 4,16) e nòkah ‘èné (Prov 5,21). Il contrario si esprime con mè'ènè o minn&gced ‘enè «fuori dagli occhi di, lontano da» (rispettivamente in Giud 6,21; ls 65,16; Os 13,14; Giob 3,10; 28,21 e Is 1,16; Ger 16,17; Am 9,3; Giona 2,5; Sai 31,23). ’ d) Restano ancora alcuni usi singolari, figurati e t r a s 1a t i . Gli « occhi » indicano metafori camente delle persone in Num 10,31 (Obab, come guida nel deserto, sarà un « occhio » per gli israeliti), Zac 4,10 (le sette lucerne nella vi sione del profeta sono « gli occhi di Jahwe che scrutano tutta la terra ») e Giob 29,15 (« io ero l’occhio per il cieco, ero il piede per lo zop po »). Non sempre chiare risultano le metafore nelle quali ‘àjin va tradotto con « aspetto », « splen dore » o « superficie ». Dell’aspetto di una feri ta si parla in Lev 13,5.37.55, dell’aspetto della manna in Num 11,7. II sign. « splendore » si ha nella descrizione delle visioni in Ez 1,4.7.16.22.27: 8,2; 10,9 e in Dan 10,6, mentre in Prov 23,31 si parla dello scintillio del vino. Ancora diverso è il significato di ‘èn ha ‘àrm.s in Es 10,5,15 e in Num 22,5.11, dove ‘àjin in luogo di pànlm indica la superficie della terra. Si possono riassumere tutti i passi citati con il termine generale « il visibile», comunque la metonimia resta sempre sorprendente. Già in 1 e 3b è stata ricordata l’antica metafo ra stereotipa « occhio » = « fonte » (Cfr. Dhorme 75s.). Escludendo i nomi di luogo, la si tro va in Gen 16,7.7; 24,13.16.29.30.42.43.45; 49,22; Es 15,27; Num 33,9; Deut 8,7; 33,28; Giud 7,1; ISam 29,1; IRe 1,9; Prov 8,28; Neem 2,13.14; 3,15; 12,37; 2Cron 32,3. 4/ di
a) Nell’AT si parla ca. 200x degli o c c h i D i o ( ’én/'ènè Jhwh lOOx; raramente ’ènè [hàj^lòhìm Num 23,27; Prov 3,4; 1 Cron 21,7; ‘ènè 'addnàj [Jhwh] IRe 3,10; Am 9,8; aram. « l’occhio del loro Dio » Esd 5,5; altri menti « il mio occhio» Ger 24,6; Es 5,11; 7,4.9; 8,18; 9,10; 20,17; Am 9,4; Sai 32,8; « il suo occhio» Deut. 32,10; spesso « i miei/tuoi/ suoi occhi»; cfr. anche Ab 1,13). Nella mag gior parte dei casi si tratta però delle stesse espressioni che vengono usate in riferimento agli occhi dell’uomo, nelle quali regredisce molto il significato concreto. Perciò compare spesso be‘ènè «agli occhi di = a giudizio di», soprattutto neH’espréssione ms ' hèn « trovar fa vore» (testi ~^ms’ 4, in più Prov 3,4) e nelle valutazioni espresse con tòb/jtb «bene» (-^tòb 3d [1], in più Mal 2,17), jasàr/jsr «giusto» (-*jsr 4, in più Ger 34,15), ra‘/ r “ «cattivo» (->ra‘ 3a), inoltre con gdl «essere grande» ftSJ 'àjin OCCHIO
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(ISam 26,24), qtn (2Sam 7,19 = lCron 17,17) e qll ni. (2Re 3,18) «essere piccolo», kbd ni. «essere stimato» (Is 49,5), p i’ ni. «essere me raviglioso» (Zac 8,6), jqr «essere prezioso» (Is 43,3; jàqàr « prezioso » Sai 116,15). Cfr. inol
tre le espressioni « purezza ai suoi occhi » (2Sam 22,25 = Sai 18,25; Giob 11,4; 15,15; 25,5) e «ai tuoi occhi mille anni sono come il giorno di ieri » (Sai 90,4). Sono rari i testi che parlano dell’occhio di Dio in senso concreto: nella similitudine figurata di Deut 32,10 «lo custodì come pupilla del suo occhio»; in accezione negativa in Giob 10,4 « hai tu forse gli occhi di carne o anche tu vedi come l’uomo?»; «faccia a faccia» in Num 14,14 descrive l’incontro diretto con Dio (altri menti con -*pànìm, Gen 32,31; Es 33,11; Deut 5,4; 34,10; Giud 6,22; Ez 20,35). Una serie di espressioni citate in 3a(2) descrive la presenza vigile di Jahwe e la sua onniscien za: Ger 16,17.17; 32,19; Sai 66,7 « i suoi occhi scrutano le nazioni»; 139,16; Giob 7,8; 14,3; 34,21; 36,7; Prov 5,21; 15,3; 22,12; 2Cron 16,9 «gli occhi di Jahwe scrutano tutta la ter ra »; cfr. inoltre il simbolismo figurato delia vi sione notturna in Zac 4,10. Altre espressioni come «dirigere i propri occhi su qualcuno» (alla corte del re nel sign. «prendersi cura di qualcuno», Gen 44,21; Ger 39,12; 40,4), «te nere gli occhi aperti» oppure «coprire l’oc chio » testimoniano i molteplici modi con cui Dio agisce: intervento di salvezza (Ger 24,6 «poserò il mio sguardo su di loro per il loro bene»; Zac 9,8.12; Sai 11,4 e 17,2 con -»/zz/z; 32,8, cfr. Kraus, BK XV,257; 33,18, cfr. v.19; 34,16) e di condanna (Is 1,15.16; Am 9,4.8; Giob 16,9; cfr. 2Sam 22,28 txt?), benedizione e protezione (Deut 11,12 «un paese sul quale si posano sempre gli occhi di Jahwe, tuo Dio»; Esd 5,5). Nel contesto delle benedizioni divine vanno collocate le affermazioni secondo le quali gli occhi di Jahwe sono aperti sul tempio per ascoltare le preghiere (IRe 8,29.52; 9,3; 2Cron 6,20.40; 7,15.16; alle promesse corri spondono le preghiere rivolte a Dio perché ascolti la supplica 2Re 19,16 = ls 37,17; Dan 9,18; Neem 1,6). b) L’uso propriamente teologico di 'àjin in re lazione agli occhi dell’uomo si ha neJl’invocazione a Dio, ed è attestato soprattutto nel lin guaggio dei salmi. In questo caso Israele è ri corso in parte a formule che descrivevano lo stesso procedimento nell’ambiente cortigiano e cultuale di Babilonia (cfr. F.Nòtscher, « Das Angesicht Gottes schauen» nach biblischer und babylonischer Auflassung, 1924, anche per il paragrafo 4a). L'espressione «alzare gli oc chi » o sim. denota il rivolgersi a Dio (Sai 123,ls.; cfr. 121,1 ed il nome proprio ‘celjehò‘ènaj, vd. sp. 1), «alzare gli occhi agli idoli della casa di Israele» denota invece l’apo 241
TI7 I r CITTÀ
stasia (Ez 18,6.12.15). Coloro che hanno «oc chi orgogliosi » non cercano l’aiuto di Jahwe (cfr. Is 2,11; 10,12; Sai 18,28; 101,5; Prov 6,17 ecc.; -+gbh, Nelle lamentazioni 'àjin ritorna in molte espressioni: i falsi testimoni « strizzano gli occhi » assicurando: « abbiamo visto con i nostri occhi» (Sai 35,19, v. 21 forse una formula giuridica). L’infelicità fa sì che « l ’occhio sia consumato dal dolore» (Sai 6,8; 31,10 ecc.), impedisce che l’occhio «riveda il bene » (Giob 7,7), poiché è felice colui che Dio c gli uomini osservano (v. 8). Come gli occhi dei supplici cercano l’intervento di Dio, così ne osservano con stupore il sopraggiungere (p.e. rè n e Es 4,30; be‘ène Sai 118,23; Is 33,17 con hzh', Is 52,8 ‘àjin bc‘àjin con r ’h\ Is 64,3 « orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto... »). ‘àjin è usato per la contemplazione in visione in Num 24,3s.I5s.; ls 6,5; Ez 10,2; Giob 4,16; per l’uso del termine nell’apocalittica cfr. an che Dan 4,21; 7,8.20. 5/ Per «occhio»*nei L X X e nel NT cfr. W.Michaelis, art. òt (190x, di cui 33x in Gios, I8x in Deut, 16x in Giud e Ez, 13x in Sai) oltre al sign. concreto di «verga, bastone» hanno quello traslato di «tribù» (cfr. de Vaux 1,17ss. [= ital, I5ss.]; K.-D.Schunck. BHH ITI, 1851s. con bibliogr.).*
b) Per quanto riguarda il collegamento tra 'ammìm e gòjìm (vd. sp) va osservato: da alcu ni passi si ricava che in determinati contesti 'ammìm e gòjìm difficilmente (o per nulla) hanno un significato diverso; nel parallelismo si ama la variazione come figura retorica. Per ciò non si possono introdurre nel testo deter minati aspetti semantici di 'ammìm e di gòjìm e sovraccaricare così l’interpretazione dei testi pretendendo di sapere qualcosa di più e di di verso rispetto a quanto ha affermato l’autore. Nei LXX si può notare una certa preferenza per e^vri anche per rendere 'ammìm ; certo essi non sono coerenti nella traduzione di ‘ammìm e di gòjìm. Ma tale coerenza non si ritrova del resto neppure nelle altre traduzioni, comprese quelle moderne. È vero che si tenta di esprime re la differenza rendendo p.e. 'ammìm con « popoli » e gòjìm con « nazioni », ma tradurre gòjìm con «pagani » significa già andare oltre; non si vede d’altra parte quale norma si segua per usare talvolta « nazioni » e talvolta « paga ni». Talvolta si può (e persino si deve) trarre dal contesto che 'ammìm indica « popoli » in senso generico, senza sfumature particolari, mentre gòjìm denota piuttosto «popoli» in quanto collettività, stati, regni, particolari am biti socio-politici. Soprattutto in gòjìm si pos sono rilevare sensi più sfumati; lo dimostra già il fatto che le attestazioni di gòjìm sono molto più numerose di quelle di ‘ammìm. Inoltre si tratta spesso di gòjìm nei loro rapporti con Israele, per i quali sono rilevanti non solo le differenze nazionali, ma anche quelle religiose. Il senso si sposta gradualmente fino a far con statare che rispetto ad Israele gòjìm non signi fica « popoli, nazioni » in senso neutrale, ma designa dal lato religioso altri popoli che non servono Jahwe, ossia « popoli pagani » dal punto di vista di Israele (vd. st. 3d per altri particolari). c) ‘ammìm denota i popoli della terra in Rs 19,5; Deut 2,25; 4,19; 7,6.7.14; 14,2 (Israele scelto tra tutti i popoli della terra); inoltre in Deut 4,6; 28,10; Gios 4,24; IRe 8,43.53; Ez 31,12; Sof 3,20; Sai 49,2; 96,3; 98,9; 2Cron 6,33. Si tratta o di popoli in generale, compre so Israele (p.e. nelle affermazioni dtn. e dtr. ri guardanti l’elezione e anche nei testi sacerdota li di Lev 20,24.26), o dei (restanti) popoli al di fuori di Israele. Limitato a popoli cananei e confinanti 'ammìm si usa p.e. in Es 15,14; Deut 6,14; 13,8. 287
L’espressione q(1hat ‘ammìm/gòjìm dei testi P di Gen 28,3; 35,11 e 48,4 (Giacobbe diventa una « comunità » di popoli) viene riferita gene ralmente alle (dodici) tribù di Israele o (più ve rosimilmente?) ai popoli. Contiene forse questa designazione « some sort of Messianic outlook » (- « una qualche prospettiva messiani ca»; J.Skinner, Genesis, 21930, 375) oppure si gnifica « una comunità di popoli escatologica e universale a livello liturgico» (von Rad, ATD 4, 9226s. = ital. 378)? In Ez 23,24 e 32,3 l’e spressione significa i popoli stranieri nemici. Anche in Gen 49,10 ‘ammìm designa o le tri bù di Israele o i popoli. La soluzione è resa an cor più difficile dalla problematica dell’intera pericope (i//ò!) e difficilmente può essere rag giunta con una certa sicurezza (vd. i cotnm.). In Deut 33,19 con ‘ammìm si possono inten der tribù, gruppi di parenti; sì pensa all’uso di invitare sul monte (Tabor?) le tribù isr. confi nanti. Molti esegeti tuttavia ritengono che an che qui si parli dei popoli stranieri (Driver, l.c. 408s.: « these two Northern tribes... were in thè habit of holding sacrificial feasts in which foreign nations were invited to take part » [= «queste due tribù del nord... avevano l’abitu dine di celebrare feste sacrificali a cui delle na zioni straniere erano invitate a prendere par te »]). Il passo rimane tuttora oscuro. Per Sai 47,10 neclìbè 'ammìm « i nobili/princi pi dei popoli » vd. i comm.; si può pensare che i popoli rendano omaggio a Jahwe nella fede e in questo modo vengano a far parte anch’essi del popolo del Dio di Abramo. d) Da un accurato esame dei testi con gòjìm risulta che nella maggior parte dei casi è il contesto che indica in quale senso si usa la pa rola. Senza pretendere di essere completi nelle sfumature di senso e nelle citazioni, si può no tare quanto segue. Con gòjìm si intendono i popoli in senso gene rico senza chiari significati particolari p.e. in Deut 26,19; 28,1; 32,8; Is 14,26; 40,15ss.; 60,3; Sai 22,28.29; 86,9; 94,10. Qui va collo cato anche Ger 10,7, dove Dio è chiamato « re dei popoli ». Per i popoli non isr., i popoli stranieri non re sidenti in Canaan, gòjìm si usa p.e. in Deut 30,1; Ger 29,14; 30,11; 43,5; 46,28; Ez 4,13; 6.8.9; 11,16; 12,16; Gioe 4,2ss.; par. ai paesi stranieri Ez 20,23.41; 22,15; gòjìm per gli altri popoli anche in Gen 48,19; Num 23,9; Deut 28,12; Sai 18,50; 106,41. Talvolta si accentua anche la ostilità dei popoli contro Israele (Lev 26,33.38; Num 24,8; Sai 21,1; 79,1.10; Cant 1,10); i gòjìm marciano contro Gerusalemme (Zac 12,3.9; 14,2, cfr. v. 12). Della situazione di Gerusalemme in mezzo ai gòjìm e di fronte ad essi trattano f. gli a. Ez 5,5.14.15; 7,24; 16,24; Zac 1,15. I gòjìm si convertiranno a Jahwe (Zac 2,15; 8,22.23). Israele va male oyria ‘am/gòj POPOLO
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quando vuole essere come i popoli (in senso religioso Ez 20,32; dal lalo politico ISam 8,5; cfr. DeuL 17,14). È importante soprattutto il fatto che i gòjìm nel campo della religione sono completamente diversi da Israele, a loro straniero e sgradito (cfr. 2Re 17,33; 18,33; 19,12.17; Ger 3,17; 31,10). I gòjìm non invocano il nome di Dio (Ger 9,25; 10,2.25; 14,22; 16,19; Ez 23,30; Sai 79,6). Nel contesto di Sai 9-10 i gòjìm sono da equiparare ai r*sù'ìm, gli empi. Particolare rilievo va dato ai passi in cui con gòjìm si intendono concretamente i popoli che in passato abitavano in Canaan. Si tratta della nota serie di sette elementi: ittiti, gergesei, amorrei ecc., che Jahwe scaccia di fronte al suo popolo, per cui Israele può entrare nella terra già promessa ai padri (Deut 4,38; 7,1.17.22; 8,20; 9,1.4.5; 11,23; 12.2.29.30; 18.9.14; 19,1; 31,3; inoltre Gios 23,3ss.; Giud 2,21.23; 3,1.3; cfr. anche I Re 14,23; 2Re 16,3; 17.8.11; 21,2.9; Sai 78,55). Si suppone che du rante la conquista non si sia affatto verificato uno sterminio totale di questi popoli e che essi solo a poco a poco poterono venir sottomessi o miliLarmente o politicamente, mentre in alcuni casi Israele è giunto anche a stabilire rapporti di pacifica convivenza con gruppi indigeni. Per gli autori dtn. e dtr. il grande pericolo che Jah we correva da parte di questi popoli (talvolta anche da parte dei popoli dei territori confi nanti con la Palestina, IRe 11,ls.) consisteva nel fatto che essi nel campo religioso e cultuale spingevano Israele a rinnegare Jahwe. Perciò gli Israeliti non possono usare clemenza alcuna di fronte a loro, né stringere con loro alcuna « alleanza », né imparentarsi con loro (Deut 7,lss.; anche Es 34,11-17). Si cerca perciò di sfuggire a! pericolo del confronto con religioni e usi cultuali stranieri, da una parte proibendo il connubio e mantenendosi lontani dai popoli, dall’altra distruggendo i santuari e gli oggetti di culto per rendere impossibile l’esercizio del cullo. Ma in pratica le cose andarono diversa mente. L’esperienza dei secoli insegnò che, se si intendeva conservare la purezza della pro pria fede, bisognava evitare ogni relazione con la prassi religiosa straniera, qualora non la si potesse eliminare. Fu fin troppo chiaro che cosi, essendo convinti che la propria religione jahwista aveva un valore alto ed esclusivo, si giunse a deprezzare rigorosamente le pratiche cultuali straniere. Si parlò di «orrori» dei gòjìm , non solo in rapporto a Jahwe, ma an che come se fossero qualcosa di inferiore e di riprovevole. Infine ci si considerò come il po polo eletto e prediletto di Jahwe, molto supe riore ai gòjìm , che si guardarono dall'alto in basso; essi sono gli infedeli, i «pagani». Si giunge così a separare nettamente i «giudei» dai gòjìm , come avviene soprattutto nella lette ratura postesilica. E facile capire questo senso 289
OtfPi-I ‘am/gnj POPOLO
spregiativo di gòjìm come « pagani » se si tiene presente tale modo di ragionare. Si pensi a questo proposito p.e. al problema dei matri moni misti di Esd 9 e Neem 13,23ss.; si vuole essere e rimanere un « seme sacro » e si cerca nell’isolamento la propria forza. Ora, la separazione di Israele è certo profonda mente radicata nell’AT; resta tuttavia da affer mare che la fede nella elezione, intesa come se Jahwe fosse esclusivamente per Israele e Israele per Jahwe, sembra avere trattenuto Israele dal rivolgersi ai gòjìm. Nel Deuteronomio non si dice mai che Israele potrebbe avere il compito salvifico di chiamare i gòjìm , vicini e lontani, alla fede in un Dio unico ed universale. I gòjìm sono considerati dei potenziali corrutto ri, perciò un pericolo incombente. 1 gòjìm al massimo possono ammirare Israele (Deut 4,6), e la cosa migliore sarebbe che essi si acconten tino della propria religione e non molestino Israele. Ma è noto che ndl’AT traspare in alcuni passi un'altra concezione, secondo la quale Jahwe ha scelto il suo popolo perché questi diventi per lui un mezzo attraverso cui annunziare la sal vezza ai popoli della terra e portare così lutto il mondo a riconoscere il dominio di Dio. Tale concezione parte dalla promessa fondamentale di Gen 12, come pure dalle affermazioni poste riori di Es 19, e giunge fino a ls 60. Ma anche in questo caso poteva ancora affiorare facil mente un senso religioso di superiorità. Biso gna ancora fare molta strada per liberarsi da questo sentimento e giungere infine ad inqua drare giustamente la funzione benefica che Israele deve svolgere per la salvezza dei gòjìm. Bisognava valutare positivamente l’esilio e la diaspora. Il servo di Jahwe è la luce dei gòjìm (Is 49,6), di tutta l’umanità; la sofferenza per la salvezza de! mondo si affaccia aH’orizzonle. L’essere popolo di Dio. 'am qàdòs, non può portare ad un egoismo religioso o all'odio per gli stranieri; può assumere un aspetto verace soltanto nella fede obbediente e nel servizio per la salvezza dei gòjìm. Non si esiste per se slessi, ma solo per Jahwe e perciò stesso anche per gli altri popoli. Rimane a Dio una libertà che egli non perde nemmeno quando sceglie un popolo e attraverso la quale egli in fondo fa sperimentare la sua salvezza agli stranieri ed ai nemici. Per queslo appunto il suo popolo deve prestargli servizio. Questo atteggiamento di ser vizio «era la possibilità più grande concessa ad Israele nei confronti degli altri popoli: la dispo nibilità per una nuova opera di Dio, alla quale Israele di per sé non era in grado di dare ini zio» (G.Schmitt, Du solisi keinen Frieden schlieBen mit den Bcwohnern des Landes, 1970, 162; per la problematica sopra trattata questo lavoro è particolarmente importante). Siamo giunti qui ai confini dell’AT; andare ol tre significherebbe entrare nell’ambito di quan 290
to il NT annuncia sul rapporto tra « chiesa » e « mondo ». e) Infine ancora qualche osservazione su alcuni passi. L’elenco dei popoli di Gen 10 (P) per i figli di lafet presenta la successione terre-li ngua-stirpepopolo (Gen 10,5); il luogo in cui si abita è perciò l’elemento su cui si fonda la comunità di un popolo. In 10,20.31 si trova invece la successione stirpe-lingua-terra-popolo; parente la e lingua sembrano qui più importanti del possesso stabile della terra. E possibile chiarire questa differenza pensando che per Cam e Sem si siano conservate relazioni «nomadiche» per un tempo più lungo che per lafet? Il fatto che in Gen 10, dove i popoli sono riuniti in uno schema genealogico, non si parli di ‘ammìm, ma di gòjìm, si può spiegare se si tiene presen te che, nonostante questo aspetto genealogico, è importante qui la distinzione storico-politica dei popoli (cfr. von Rad, ATD 2, 9l08ss. = ital. Mìss.). In 2Sam 7,23 con gòjìm non si intendono gli egiziani; la parola (senza prep.) non va unita a pdh min « liberare da », ma costituisce l’ogg. di grs pi. «scacciare» che va introdotto al posto di le'arscèkà (cfr. LXX e 1Cron 17,21 ). . F, poco probabile che in Ger 4,2 (e forse anche 3,17) si intendano con gòjìm le (dieci) tribù isr. e non popoli stranieri (così p.e. A. van Selms, Jeremia I, 1972, 74 e 82). . In Ger 22,8 gòjìm non significa «popoli», ma «gente (individui non israeliti)» (uso tar divo). In Ez 35,10 e 37,22 si tratta chiara mente di Giuda e di Israele come parti del l’intero Israele; l’aspetto statale e quello terri toriale si sovrappongono (cfr. Zimmerli, BK. XIII, 862.912). In Ger 1,5 Geremia viene costituito profeta per i popoli; si intende: per i gòjìm incluso Israele, non soltanto per i popoli stranieri (cfr. Ger 25,13.15-17). V/ 1/ Nei Lesti di Qumran 'am designa il popolo di Dio (cosi p.e. nelle forme con suffis so; ‘am pedùt ’èl « popolo della redenzione di D io» 1QM 1,12; cfr. 14,5; inoltre 1QM 6,6; 10,9; 12,1; 16,1). Talvolta 'am ha anche il sen so concreto di esercito, schiera (1QM 3,13; 8,9; 9,1; 10,2; IQpAb 4,7). Infine ‘am designa un determinato gruppo di membri della comunità: IQS 2,21 assieme ai sacerdoti e ai leviti; IQS 6,8s. assieme alle classi dirigenti dei sacerdoti e degli anziani; in base a CD 14,3ss. ‘am rac chiude forse i benè Jisrà’èl ed i proseliti (gèr), se questi ultimi non costituiscono un gruppo a sé. ‘ammìm sono i popoli, talvolta senza differen za di senso rispetto a gòjìm (cfr. IQpAb 3,5 con 3,6; vd. anche IQ H 5,17 rispetto a 4QpNah 1,1; Israele è scelto tra tutti i ‘anime mràsQt IQM 10,9, cfr. IQH 4,26). 291
Per gòj/gòjìm: in IQM 6,6 si parla di gòj hé~ bai «popolo della nullità» contrapposto a qedò'sè ‘animò « i santi del suo popolo »; in
IQM I L8s. si nominano «sette popoli da nul la» (cfr. Deut 7,1). I gòjìm sono i nemici di Dio (IQM 12,11); essi sono sottoposti al giudi zio (IQpAb 5,4); gòjìm in alcuni passi ha sen za dubbio il sign. di « popoli pagani », così in IQpAb 12,13; 13,1, dove si parla delle imma gini degli dei dei gòjìnr, essi adorano legno e pietra e possono essere equiparati ai resà‘ìm «em pi» (IQpAb 13,4; cfr. IQM 14,7; 15,2). Non si possono vendere ai gòjìm bestie pure od uccelli puri, perché non li offrano in sacrifi cio (CD 12,9). Secondo CD 9,1, ognuno deve essere ucciso secondo le leggi dei pagani (huqqé haggòpm); il senso di questa affermazione po trebbe essere che l’esecuzione della pena di morte è affidata alle autorità pagane. 2/ Quanto ai termini usati per « popolo » nei LXX, nel tardo giudaismo e nel NT si vedano gli articoli dei lessici con la bibliogr. ivi segnala ta: W.Grundmann, art. 8f)p,oc, ThW 11,62-64 (= GLNT 11,899-906); G.Bertram - KX.Schmidt, art. edvoq, ThW 11,362-370 (= GLNT 111,99-120); H. Strathmann - R.Meyer, art. Xaóq, ThW IV,29-57 (= GLNT VI,87-166); R. Meyer -P.Katz, art. ’óykog, ThW V,582-590 (= GLNT IX,67-92); H. Bietenhard, art. Volk, ThBNT 11/2,1317-1330 (= popolo, DCB 1315-1333).
A.R.Hulst
□5? 7m CON 1/
Mentre in ebr. le preposizioni 'im e 'èt/'cet- «con. presso» sono usate promiscua
mente (H.D.PreuB, ZAW 80, 1968, 140; id., ThWAT I, 485; et in testi tardivi, scompare a favore di 'im), nelle singole lingue affini le loro corrispondenti si trovano divise: acc. itti (AHw 405a), fen. pun. 7 (DISO 29) di fronte all’ug. 'm (WUS nr! 2041; UT nr. 1863), aram. 'im (KBL 1109b; DISO 215s.; sir. ‘am, LS 529a), arab. ma'a (Moscati, Introduction 121), sudarab. antico ‘m (Conti Rossini 208a).
Accanto alla forma col suffisso di l a pers. 'inimi (45x), si trova ugualmente dilTusa la forma lunga ‘immolli (-> 'imi 1). Come componente di nomi di persona ’èt ricorre nel (fen. *’itlòbà'cil > ’a'lbù'al ( 1Re 16,31; cfr. Noth, IP 32; KAI nr. 1, r. 1; F.L.Bem, Personal Names in thè Phoenician and Punic Inscriptions, 1972, 281; per it i 'è! e h a j cfr. HAL 43a) e 'im nel nome simbolico ‘immànù'èl (Is 7,14; cfr. Noth, IP 160, per le forma zioni parallele extrabibliche; Wildberger, BK X.292).
2/ Secondo Mand. 881-885.1338.1539 ‘im ri corre nell’AT 1093x in ebr. (incl. ’immàdì 'im CON
292
45x, esci. Is 7,14) e 22x in aram. Circa 900x è testimoniato ’èl (Gen 138x, Ger 99x, Ez 70x, 2Sam 64x, 2Re 56x, Num 55x, ls 50x, IRe 47x, cfr. ‘im 2Cron 1I5x, Gen 97x, ISam 92x, 2Sam 78x, Sai 7U). 3/ Per l’uso generico di queste preposizioni cfr. i dizionari, e anche le compilazioni di BrSynt U ls.ll5s. e PreuB, l.c. 486. In 'im il significato fondamentale che si riferisce ad un accompagnamento e ad una comunione (p.e. Gen 13,1; 18,16; ISam 9,24) viene trasferito ad una relazione di ostilità (Es 17,8, spec. con Ihm ni. « combattere »), ad una indicazione di luogo (Giud 19,11), ad una contemporaneità (Sai 72,5), a doti fisiche (ISam 16,12; Sai 89,14), ad un fatto spirituale (Hm lèb/lèbùb: Deut 8,5; IRe 8,17). La preposizione et indica primariamente un luogo (Giud 4,11), in secon da linea acquista il senso di accompagnamento (Gen 7,7). Per queste preposizioni usate con l’espressione -+krt b'rìt «stipulare un patto» cfr. E.Kutsch, ZAW 79, 1967, 24s. n. 26.
4/ Un po’ più di lOOx si parla neli’AT di Dio che è con un uomo o con un gruppo di uomini (7w circa quattro volte più frequente di 'è/; cfr. W.C. van Unnik, FS Manson 1959, 270-305, spec. 276.300s. n. 37; H.D. PreuB, «...ich will mit dir sein!», ZAW 80, 1968, 139-173; id., ThWAT I, 485-500; W.Richter, Die sogenannten vorprophetischen Berufungsberichte, 1970, 146-151). Si ha costantemente una proposizione nominale (sogg. Jahwe/Dio, predicato spesso con hjh per una più esatta de terminazione del tempo e del modo). Il motivo di Dio che «è con» qualcuno (per i precedenti cfr. C.Westermann, Forschung am AT, 1964, 31 n.19; PreuB, l.c. 16lss.) trae ori gine dalla vita dei nomadi; analogamente, esso fa parte della benedizione, la quale è la struttu ra stessa delle varie esperienze di una famiglia nomade, determinandone l’esistenza (C.Wester mann, Der Segen in der Bibel und im Handeln der Kirche, 1968, 9-22); si manifesta conser vando ed incrementando la vita fisica, non in avvenimenti singolari attraverso cui si poteva sperimentare l’intervento salvifico di Dio (D.Vetter, Jahwes Mit-Sein - ein Ausdruck des Segens, 1971; diversamente K.W.Neubauer, ZAW 78, 1966, 292-316; PreuB, l.c.; cfr. H.E. von Waldow, « ...denn ich eriòse dich », I960, 39s.). La storia dei patriarchi usa la formula quando parla della migrazione di uomini. Essa indica la protezione di Jahwe nei pericoli del cammi no (promessa di Jahwe: Gen 26,3; 28,15; 31,3, cfr. 26,24; voto: Gen 28,20; lode: Gen 31,5; 35,3; augurio: Gen 48,21; affermazione di un buon esito: Gen 21,20.22; 26,28). La formula rivela il suo originario legame con le migrazio ni anche nella tradizione che si riferisce al pe 293
OJ? ‘im CON
riodo che va dall’esodo ai primi tempi dello stato (promessa: Es 3,12, cfr. E.Kutsch, ThLZ 81, 1956, 75-84; W Beyerlin, VT 13, 1963, 6ss.; Deut 31,8.23; Gios 1,5.9: 3,7; augurio delle tribù: Gios 1,17; ironia: Es 10,10; affer mazione: Deul 2,7; 32,12; Giud 1,22; descri zione della salvezza nel detto del veggente: Num 23,21). Lo stesso si dica per ciò che ri guarda la guerra di Jahwe (Deut 20,1.4; 31,6.8; Gios 1,17; 14,12); qui la presenza di Dio si at tua come conservazione e forza per ottenere la vittoria contro i nemici (cosi Pedersen, Israel 1/11, 194s.; diversamente Waldow, l.c. 39; PreuB, l.c. 154); ambedue i modi con cui Dio interviene si trovano riuniti: salvezza (cfr. Es 14,14.25; 15,21) e benedizione (= essere-con; promessa: Deut 20,1; Giud 6,12.16; ISam 10,7, cfr. H.SeebaB, ZAW 79, 1967, 162s.; 17,37; Ger 1,19; 15,20; 20,11 txt em, cfr. PreuB, l.c. 143.151; Zac 10,5; 2Cron 13,12; 20,17; 13,7s.; in senso negativo: Num 14,43; Gios 7,12; 2Cron 25,7; lamento: Giud 6,13: af fermazione: Giud 1,19; 2,18; sguardo retrospet tivo: 2Sam 7,9 = lCron 17,8; lCron 22,18; di chiarazione di fiducia: Gios 6,27; ls 8,8.10, cfr. 7,14; 2Cron 35,21). Nel contesto della migra zione e della guerra di Jahwe la formula serve a motivare la promessa di salvezza rivolta a colui che si trova in un pericolo: «non teme re!» (Gen 26,24; Deut 20,1; 31,8; Gios 1,9; 2Cron 20,17; 32,7s.); anche in altri passi è chiaro un riferimento ad una minaccia (Is 41,10, cfr. Westermann, l.c. I18s. e ATD 19,60s. [= ital. 92ss.]; 43,5; Ger l,8s.; 30,l0s.; 42,11; 46,28; Sai 23,4; 46,4 [txt em], 8,12; cfr. Is 43,2; Am 5,14; Agg 1,13; 2,4). L’adesione di Jahwe significa riuscita per l'uo mo. Nel successo si manifesta la benedizione di Dio, già nella storia dei patriarchi (vd. sp.; cfr. G.Wehmeier. Der Segen im AT, 1970, 136.170; non in uno stadio più tardivo, così PreuB. l.c. 156). Altre tradizioni assumono il motivo antico (Gen 39,2s.2l.23, cfr. L.Ruppert, Die Josephserzàhlung der Genesis, 1965, 44ss.; C.Westermann, Calwer Predigthilfen 5, 1966. 46s.; ISam 3,19; 16,18; 18,12.14.28; 2Sam 5,10; 7,3 = lCron 17,2; 2Sam 14,17; 2Re 18,7; lCron 11,9; 2Cron 1,1; 15,2.9; 17,3). L’espressione serve ad «attualizzare la storia», in quanto motiva l’« essere-con » di Dio facendo riferimento ad un evento passato (Gios 1,5.17; ISam 20,13; IRe 1,37; 8,57). In epoca postesilica, se si eccettua un frequente riferimento a battaglie (vd. sp.), la formula non assume particolari connotazioni (IRe 11,38; Zac 8,23; Esd 1,3; lCron 22,11.16; 28,20; 2Cron 19,6, cfr. Es 18,19; 2Cron 36,23; come saluto: lCron 9,20; 2Cron 19,11; cfr. Rut 2,4). Non possiamo addentrarci qui nell’analisi della pericope deH’Emmanuele, Is 7,1-17. Il nome simbolico Emmanuele «D io (è) con noi » deve essere spiegato ricorrendo alla tradizione cul294
tualc di Gerusalemme (cfr. Sai 46,8.12); il con testo fa anche pensare alla guerra di Jahwe (cfr. Deut 20,4) ed alla tradizione davidica (cfr. 2Sam 23,5; cfr. Wildbergcr, BK X,292s.). 5/ Per l’uso della formula nel NT cfr. van Unnik, l.c.; W.Grundmann, art. cruv-|ji£Tà, ThW VII,766-798 (= GLNT XIL1475-1560).
D. Vetter
‘md STARE 1/ La radice ‘md viene usata come verbo in ebr. (q. «porsi in piedi, stare, star fermo» ecc.), in acc. (emèdu «appoggiare, addossare», AHw 21 la) ed in arab. («sostenere, progettare, Wehr 576b). Mentre in ebr. si distingue Ira 'md «stare» e -»■qùm «sorgere», l’aram. per ambedue i significati ha qùm {‘md q. in Ah. r. 160, cfr. DISO 216, è incerto, vd. P.Grelot, RB 68, 1961, 190; id., Documents araméens d’Egypte, 1972, 444). Il sign. tardivo «sorge re» di ‘md in Neem 8,5; Dan 12,1.3 e nel medioehr, viene attribuito ad un influsso aram. e spiegato come « inverted calque (= calco inverso)» da E.Y. Kutscher, Tarbiz 33, 1963/64, I18ss.; id. in: Th.A. Sebeok (ed.), Current Trends in Linguistics, VI, 1970, 359.
Nell’AT derivazioni nominali sono: ’ammùd «pilastro, sostegno, colonna» (del sem. comu ne, cfr. Bergstr. Einf. 186; DISO 216s.), ‘ómeed «luogo, posto», '(emdà «sede», ma‘amùd «posizione, collocazione», mo‘°tnàd «luogo stabile, saldo », forse anche ‘immàd con suffis so di l a pers. sing. -/ «presso di me, con me», con valore rafforzativo ed in sostituzione della prep. ‘im con suffisso (BL 644; KJBL 713b; di versamente Joiion 280). 2/ Statistica: ‘md q. 43 5x (Dan 39x, Ez 32x, 2Cron 31x, 2Re e Ger 28x ciascuno, IRe e Sai 26x ciascuno, Gios 20x, Es, Deut, ISam e Is I7x ciascuno, Gen e 2Sam 15x ciascuno, Num 13x, Zac 12x, Est llx), hi. 85x (2Cron 20x, Neem 18x, Num 8x, Sai c lCron 6x ciascuno, Lev, Ez, Dan e Esd 4x ciascuno), ho. 2x (Lev 16,10; IRe 22,35); ‘ómcvd 9x (Dan, Neem e 2Cron 3x ciascuno), ‘{emdà lx (Mi, 1,11), ‘ammùd l l l x (Es 39x, IRe 22x [tutti i passi nel c. 7], 2Cron 8x), ma‘amàd 5x (IRe 10,5 = 2Cron 9,4; Is 22,19; lCron 23,28; 2Cron 35,15), mo'°màd lx(Sal 69,3). Il verbo ricorre con una diffusione abbastanza regolare in tutto 1AT, soprattutto (con uso particolare) nella lingua tardiva (opera cron., Est, Dan), spesso nelle descrizioni (1/2Re 58x) 295
e nei racconti di visioni (Ez 36x; Dan 43x, di cui 20x nel c. II). 3/ Per i molteplici usi del verbo nei suoi si gnificati principali di «porsi diritto, stare, re stare » ed i significati più specifici e le locuzio ni particolari che ne derivano, bisogna ricorre re ai lessici. Il verbo è usato in modo assoluto circa 200x; si trova spesso unito ad altri verbi descrittivi (3ab) e costruito con determinate preposizioni acquista significati particolari (4a-c). a) Il significato fondamentale può essere illu strato con i seguenti verbi paralleli: « porsi in piedi, porsi diritto», detto di un soldato, di una guardia (par. jsb hitp. 2Sam 18,30; Ab 2.1); «star fermo, star solido», detto di una casa (par. qùm Giob 8,15; in senso generale Nah 1,6); « star fermo, arrestarsi », detto del sole e della luna (par. dmm Gios 10,13); «star sene immobile», detto dell’immagine di un dio (par. di mus « muoversi » preceduto da nega zione Is 46,7, dopo -*nùafi hi. II «collocare»); «attuarsi», detto di un avvenimento (par. -*■hjh «accadere» Sai 33,9; cfr. hjh di 2Sam 21,18 con ‘md di lCron 20,4 e hjh di 2Sam 24,16 con 'md di lCron 21,15, così J.C.Greenfield, Bibl 50, 1969, 101 seguendo Z.Ben-Hayyim). I paralleli ->qrb « avvicinar si » (Deut 4,11; Ez 44,15) e -» 'bd «servire» (Num 16,9) si riferiscono all’uso cultuale di 'md ìij'nè (vd. st. 4c [3]). b) Dall’altra parte ‘md è l’antonimo di nume rosi verbi di movimento; ->hlk «andare» (Sai 1.1), -+bò‘ «arrivare» (Gen 24,31), «uscire» (2Sam 15,17), rùs «correre» (ISam 17,51), ns' «avviarsi, proseguire» (Es 14,19) ecc. Il verbo indica la fine del movimento, la sosta (Gios 3,13; ISam 17,8 ecc.). Le sfumatu re semantiche della saldezza e della stabilità vengono accentuate mediante l’antitesi con hpk «abbattere» (Prov 12,7; cfr. Mt 7,24-27), brh «fuggire, dileguarsi» (Giob 14,2), nutr ni. « variare» (Ger 48,11), -> ‘bd « andare in rovi na » (Am 2,14s.; Sai 102,27), ->mùt «morire» (Es 21,20s.). L’idea delia resistenza all’attacco del nemico si trova nei racconti di guerra, dove ‘md lifnè significa «(essere in grado di) tener testa a» (2Re 10,4; cfr. ISam 6,20, vd. st. 4c[4]). c) A ciò si ricollega l’uso pregnante ed assolu to del verbo per descrivere il mantenimento inalterato e la durata di una cosa: di un docu mento (Ger 32,14), di Gerusalemme (IRe 15,4), degli israeliti (Is 66,22) o del timore di Jahwe (Sai 19,10). 4/ Costruito con una preposizione ’md acqui sta significati particolari: ‘md STARE
296
a) Con preposizioni di luogo ‘nul q. significa il fermarsi o il trattenersi in un determinato luo go: «fuori» (Gen 24,31), «accanto all’altare» (Ez 9,2), «vicino alla porta» (2Sam 18,4), «essi si alzarono in piedi» (Ez 37,10), «ognu no rimase al suo posto » (Giud 7,21). Se questo luogo è legato ad una determinata funzione, 'mcl q, indica il comportamento di colui che nella sua posizione compie il suo dovere: la guardia sulla torre (Ab 2,1), il difensore sulla breccia (Ez 22,30), il fedele nel tempio (Sai 134,1). Analogamente ‘mcl hi. con una preposi zione si riferisce all’assunzione di una carica da parte di colui al quale essa compete, come in IRe 12,32 per i sacerdoti a Betel, in 2Cron 8,14 per i sacerdoti ed i leviti che assumono il loro servizio. Per ‘nul be cfr. anche P.A.H. de Boer, FS Baumgartner, 1967, 25-29. b) Con ‘mcl costruito con la preposizione le ed un inf. cs. si può indicare il presentarsi per ese guire un determinalo compito: le tribù vengo no a Sichem per la benedizione e la maledizio ne (Deut 27,12s.), Geroboamo per sacrificare a Betel (iRe 13,1), Geremia per intercedere (Ger 18,20). Nell’ambito giuridico si parla della comparizione delle parti davanti al giudice (IRe 3,16) e del l’apparizione del giudice per pronunciare la sentenza (Ez 44,24; cfr. Num 35,12). In questa accezione ‘mcl q. è usato due volte con Jàhwe come soggetto: Is 3,13 txt em « si presenta per giudicare il suo popolo »; Sai 109,31 «sta alla destra del povero» (i pochi altri usi di 'nuI q. con Jahwe come soggetto sono o in senso concreto ed antropomorfico, come Es 17,6; Num 12,5; Ab 3,6 txt em «egli avanza e fa tremare la terra », nella visione per parlare della maestà di Jahwe Ez 3,23; 10,18; 11,23, oppure in senso figurato e traslato: Sai 10,1 «perché, Jahwe, stai lontano?»; 102, 27 «essi passeranno, ma tu resti »). c) Con la prep. lifnè «davanti» 'mcl indica più esattamente l’atteggiamento del servitore, che sta davanti al suo padrone e riceve i suoi ordi ni (cfr. le immagini della stele di Hammurabi, ANEP nr. 515; di un rilievo di Bar Rakab, ANEP nr. 460; di Dario, ANEP nr. 463). L’e spressione ricorre in quattro situazioni tipiche: (1) Nella vita ordinaria il servo sta davanti al suo padrone: così Giosuè al servizio di Mosè (Deut 1,38), la sunarnita agli ordini di Eliseo (2Re 4,12), Naaman al servizio dell’uomo di Dio (2Re 5,15), i leviti a disposizione del po polo (Ez 44,11). (2) Alla corte reale il ministro sta davanti al re: i ministri di Salomone (IRe 10,8); Godolia sotto il dominio dei caldei (Ger 40,10); Danie le ed i suoi compagni si preparano al servizio a corte (Dan 1,5); la corte celeste sta davanti a Jahwe (IRe 22,19.21; cfr. Atti 7,55 Gesù che « sta », non che « siede » alla destra di Dio). 297
‘àmàl FATICA
(3) Nel culto il sacerdote sta davanti a Dio; di qui le espressioni «stare davanti all’arca del l’alleanza» (Giud 20,28) oppure «stare davan ti a Jahwe» (Ez 44,15 par. ->cjrb, ->srt pi.; cfr. Num 16,9 par.bel). Analogamente, «stare davanti agli dei » significa « servire gli dei » (Ez 8,11). La frase «stare davanti a Jahwe» è co mune nella letteratura dtn.-dtr., dove descrive il servizio dei leviti (Deut 10,8; 18,7) al seguito di Mosè sulFOreb (Deut 4,10; 5,5; Sai 106,23). La formula indica pure il servizio profetico di Elia cd Eliseo (IRe 17,1; 18,15; 2Re 3,14; 5,16; cfr. IRe 19,11). In Geremia si riferisce aH’ufTicio del l’intercessore (Ger 15,1; 18,20), e lo stesso vale già per l’intercessione di Abramo per Sodoma (Gen 18,22 J). Essa poi viene este sa a tutta la comunità raccolta per il culto (Lev 9,5; 2Cron 20,13; cfr. Apoc 20,12), anzi persi no a tutta la creazione (Is 66,22s.). Sull’atteg giamento che neJl’AT si assumeva durante la preghiera cfr. D.R. Ap-Thomas, VT 6, 1956, 225-228. (4) In contesti escatologici la frase 'me! lifnè Jhwh viene usata con diversi significati. Da una parte significa il (non) resistere a Jahwe in battaglia (Am 2,15; Nah 1,6; Mal 3,2; vd. sp. 3b) oppure in giudizio (Sai 76,8; 130,3; cfr. Apoc 6,17; vd. sp. 4b), dall’altra indica il ser vizio di lode rivolto a Dio (Is 66,22s.; vd. sp. 3). Con essa si può esprimere con efficacia an che la speranza del credente (Ger 35.19; cfr. Le 21,36). 5/
I LXX traducono ‘nul per lo più con Ltrxavai ed i suoi composti, più raramente an
che con piveiv (Gen 45,9) o Slol^éveiv (Sai 19,9) in senso temporale (vd. sp. 3c). Ambedue questi gruppi verbali ricorrono con uso simile anche nel NT; cfr. A.Oepke, art. kcuKctttiiju, ThW 111,447-449 (= GLNT IV,1335-1344); F.Hauck, art. (jiévw, ThW IV,578-581 (= GLNT VII,25-32); W.Grundiriann, art. cmpccu ThW VII, 635-652 (= GLNT XILH33-1182); id., Stehen und Fallen im qumranischen und ntl. Schrifttum, in: H.Bardtke, QumranProbleme, 1963, 147-166.
S.AmsIcr
bOB ‘amai FATICA T T
1/ ‘amai « lavoro, fatica » è sostantivo verba le del verbo intransitivo ‘mi q. « lavorare, affa ticarsi » (Barth 105; BL 462s.), con l’aggettivo verbale ‘àmèl « colui che si affatica » (sostanti vato Giud 5,26; Prov 16,26 «lavoratore»; Giob 3,20 «afflitto»; Giob 20,22 1 ‘cimai). La radice ‘mi è molto diffusa nel semitico. Il verbo si trova anche in aram. (DISO 217; LS 298
530) ed in arab. (Wehr 579). In acc. vi c un so stantivo némelu «guadagno, profitto» (AHw 776b), in aram. ‘mi (aram. antico in Sef IA, r. 26 « sfortuna », aram. imperiale in Cowley nr. 40, r. 2 «sforzo»), in et. mà 'bai « strumento » (GVG 1,226). In lCron 7,35 ‘àmàl è il nome proprio di un uomo (ma cfr. Noth, IP 253); come parallelo si può addur re il n. pers. palm. W (J.ICStark, Personal Names in Palmyrene Inscriptions, 1971, 45.106), mentre del tutto incerta è la lettura del presunto nome edomitico Qws‘ml(Th.C.Vriezen, OTS 14, 1965 331).
2/ Il sost. ‘àmàl ricorre nell’AT 55x, di cui 4x nei libri storici (Gen 41,51; Num 23,21; Deut 26,7; Giud 10,16); la frequenza maggiore è in Eccle (22x), seguito da Sai (13x), Giob (8x), ls (3x), Ab e Prov (2x ciascuno), Ger (lx). Da questa distribuzione risulta chiaro che ‘àmàl appartiene sostanzialmente alla lingua tardiva. Il verbo ricorre llx, (8x in Eccle, lx in Gion, Sai e Prov), l’aggettivo verbale 9x (Ec cle 5x, Giob 2x, lx in Giud e Prov). Delle 75 attestazioni della radice, 35 si trovano in Eccle, 14 in Sai, 10 in Giob. 3/ àmàl racchiude un ambito semantico che nelle nostre lingue risulta differenziato: da un lato « lavoro », dall’altro « fatica, pena, affan no» (nella lingua tedesca tale distinzione ini zia con Lutero: cfr. H.Geist. Arbeit. Die Entscheidung eines Wortwertes durch Luther, Luther-Jahrbuch 13, 1931, 83-113). L’ebr. ha in comune con molte lingue antiche tale con cezione, ossia che il lavoro equivale alla fatica (cfr. anche il lat. labor; per il ted. f. gli a. Kluge 29; H.Maligc-Klappenbach, FF 35, 1961, 51-54; per l’ital. cfr. S. Battaglia, Grande dizio nario della lingua italiana V, 1968, 716-718 [fatica]; Vili, 1973, 861-864 [lavoro]). Il significato fondamentale di 'àmàl può essere delineato più o meno nel modo seguente: ‘àmàl designa in primo luogo lo s v o l g i m e n t o del lavoro (così quasi solo in Eccle; cfr. il verbo in Prov 16,26 e l’aggettivo verbale in Giud 5,26; Prov 16,26) e la fatica che esso procura (par. —'àween «sciagura» Sai 90,10; Giob 5,6), come pure il r i s u 11a t o del lavo ro, ossia da un lato il guadagno, il possesso che ci si procura (Sai 105,44; cfr. inoltre Is 45,14 dove in contesto simile si trova j egla'\ in Eccle spesso con la formula 'mi ‘àmàl, Eccle 2,11.18ss.; 5,17; 9,9) e dall’altro la pena, la tri bolazione che si recano agli altri (par. 'àween ls 10,1; Ab 1,3; Sai 10,7 ecc.; cfr. G.Fohrer, FS Thomas 1968, 102; per il sign. «proprietà, ric chezza» cfr. H.L.Ginsberg, Studies in Koheleth, 1950, 3; id., Supplemcnlary Studies in Koheleth, Proceedings of thè American Academy for Jewish Research 21, 1952, 35s.; O.Loretz, Qohelet und der Alte Orient, 1964, 235.265.280). 299
È dubbio se in base ai passi vtrt. si possa ascri vere l’aspetto del «lavoro» (senza alcuna valu tazione di esso, cfr. Giud 5,26; Prov 16,26) solo alla lingua tardiva, e quello della «fatica, pena » alla lingua più antica (così GB 600b). Dal punto di vista sociologico si potrebbe inve ce affermare: solo il lavoro dell’agricoltura di ventò fatica e tribolazione per le tribù isr. Tra i sinonimi (cfr. da una parte —‘bd, 'sh, ->p‘l, dall’altra l'h q. «stancarsi», ni. « affaticarsi », hi. «stancare», lelà a «fatica») i più importanti sono quelli che derivano dalla radice jg ‘ q. «essere stanco, sforzarsi» (20x, di cui Is lOx), pi. «stancare» (Gios 7,3; F.ccle 10,15), hi. «stancare» (ls 43,23s.; Mal 2,17.17), f g ì0' «fatica, lavoro» e «guadagno, pos sesso, patrimonio» (I6x in larga diffusione), /àgà' « pmfitlo » (Giob 20,18), fg i'à «sforzo» (Eccle 12,12), jàgèa‘ «stanco, atfaticantesi» (Deut 25,18; 2Sam 17,2; Eccle 1,8), jetgl"' «stanco» (Giob 3,17). Nell'aram. bibl. vengono usati ‘°bldó «lavoro» (-» 'bd) e "ns q. « far fatica » (Dan 4,6).
4/ a) Nel rivolgersi a Dio ‘àmàl può espri mere una pena concreta in cui viene a trovarsi un singolo o il popolo, e per la quale si ester nano le proprie rimostranze nel lamento (Giob 7,3 par. ->sàw’', Ger 20,18 par. jàgòn «tor mento») e si prega per esserne liberati (Sai 25,18 par. '°nl «miseria»); essa può venir menzionata nella dichiarazione di fiducia (Sai 10,14 par. Icà'as « afflizione »). Dio non tollera più la pena di Israele (Giud 10,16); lo scampo da essa viene narrato nella lode (Sai 107,12; Deut 26,7 par. vni «miseria» e làhas «op pressione»; cfr. anche Gen 41,51). In questi passi spesso non è chiaro di quale particolare pena si parli (al di fuori del rapporto tra uomo e Dio ‘àmàl indica uno stato di pena in Num 23,21 «non si vede calamità in Israele», par. ’àween, Is 53,11 « per il tormento della sua ani ma »; Prov 31,7). b) ‘àmàl descrive la sorte dell’uomo, per il fat to che il lamento tende a generalizzarsi (lamen to per la caducità) e poiché si riconosce che la vila è sottoposta ad un lavoro penoso (Sai 73,5; 90,10); questo accade soprattutto in Ec cle, dove però il lavoro conserva ancora chia ramente il suo valore positivo (p.e. 3,13; 5,17; 8,15; 9,9). c) Nel lamento contro i nemici e nella descri zione dei nemici che ne consegue, 'àmàl indica spesso l’agire perverso, falso e violento dei ne mici. Come il nemico stesso, così anche il suo 'àmàl non lo si coglie in nessuna azione con creta. In questo uso il sostantivo è parallelo di ‘àween «iniquità» (Is 59,4; Sai 10,7; 55,11; Giob 15,35), sàqar «inganno» (Sai 7,15), mirmà «inganno» (Giob 15,35; cfr. Sai 10,7; 55,1ls.), hàmàs «ingiustizia» (Sai 7,17; cfr. Ab 1,3). Inoltre ‘àmàl è mollo vicino a lOk « oppressione » (Sai 10,7; 55,1 ls.), hawwà « ro bO» 'àmàl FATICA
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vina » (Sai 55,1 ls.), màdòn « lite » c rlb « con tesa » (Ab 1,3). - Nello stesso modo può venir descritto il comportamento del malvagio (Prov 24,2 par. sòci «violenza»; cfr. Ab 1,3). d) I nemici ed i malvagi non solo esercitano 'amai, ma anche lo raccolgono. Questa succes sione tra l’azione e la sua conseguenza viene descritta in Giob 4,8 in Torma di «proverbio» (Horst, BK XVI,69): «Coloro che arano ini quità ( ’àwa>n) e seminano perversità ('amài), le mietono » (cfr. Gal 6,7). In Giob 15,35 si usa a questo scopo il processo della gravidanza e del la nascita: «concepiscono malizia ( 'àrnàl) e ge nerano iniquità ('àiw/i), ed il loro seno alleva delusione (mirmà)», così pure Sai 7,15; Is 59,4. Probabilmente va ricondotto qui anche Sai 140,10 txt?. Per il difficile passo di Giob 5,6s. vd. Horst, BK XVI,80s. 5/ Nei testi di Qumran ‘amai ricorre con lo stesso quadro semantico dellAT (lQpAb 8,2; 10,12; 1QS 9,22; IQH 10,32; 11,1.19; 4QDibHam 6,12). I LXX traducono 'anici! 23x con (jtó'xftog (Deut 26,7; 22x in Eccle), I4x con x:óvoq (Gen 41,51; Num 23,21; 2x in Is, Ab, Giob, Prov; 4x in Sai), 13x con xórcoq (Giud 10,16; Ger 20,18; 2x in Giob, 9x in Sai), 3x con òSuvr) (Giob), lx con TovTpia (Is 10,1) e xaxóq (Giob 16,2). Cfr. F.Hauck, art. xÓTzog, ThW 111,827-829 (- GLNT V,771-778).
S.Schwertner
HW 'nh I RISPONDERE 1/ La distinzione che solitamente si fa nei di zionari tra quattro radici omonime ‘nh I « ri spondere», 'nh II «essere piegato», ‘nh III «occuparsi» e ‘nh IV «cantare» (cfr. GB 603ss.; KBL 718ss.; Zorell 612s.; così anche Lis. 1094ss.; diversamente Mand. 899ss.3 che separa I e 11, pone IV sotto l e colloca III in parte sotto 1 e in parte sotto II) è tutt’altro che pacifica, ‘nh IV «cantare» potrebbe essere di stinto dalle altre radici omonime se si tiene presente l’arab. gannà «cantare» (cfr. GB e KJBL, l.c.; Barr, CPT 127; L.Delekat, VT, 14, 1964, 37s.); tuttavia resta problematico il fatto che una radice corrispondente &nj manchi in ug. c anche il fatto chc la radice ug. 'nj « ri spondere », affine alla radice ebr. ‘nh, proba bilmente può significare anche «cantare» (così F.l.Andersen, VT 16, 1966, 109ss.; cfr. J.C. de Moor, The Seasonal Pattern in thè Ugaritic Myth of Ba‘lu, 1971, 93s., e id., UF 1, 1969, 224 n. 2). Anche -*‘nh li «essere piegato» va distinto dalle altre radici omonime per motivi pratici. Il tentativo di unificare ‘nh I e ‘nh II 301
n jy ‘nh I RISPONDERE
(L.Delekat, l.c. 35-39 con bibliogr.) è abbastan za plausibile, ma finora non ha dato risultati soddisfacenti (cfr. C.Barth, FS von Rad 1971, 49 n. 25). La separazione di una radice 'nh III « occuparsi » (attestazioni soltanto in Eccle 1,13; 3,10 e 5,19) da 'nh I non ha alcun fonda mento, poiché tale « radice » con i suoi deriva ti va posta sotto 'nh I per motivi etimologici e semasiologici (cfr. Delekat, l.c. 38s.). La radice 'nh I, che ricorre anche in aram. (cfr. KBL 11 IOa; DISO 218) ed in ug. ('nj «rispondere, replica re »; UT nr. 1883; WUS nr. 2060), etimologicamente si ricollega all’eg. 'n(n) «voltarsi)» (cfr. W.A.Ward, JNES 20, 1961, 37) e ali’acc. enìt «voltare, cambia re » (AHw 220s.), benché « rispondere » si dica in acc. apàlu (AHw 56s.) e awàla turni (AHw 89b, cfr. l’ebr. sìtb hi. dàbàr).
Partendo dal presupposto che 'nh originaria mente indichi «voltare», sia il volto per pre stare attenzione sia gli occhi per osservare una persona o una cosa, per motivi semasiologici (vd. st. 3) si può risalire ad un significato fon damentale « reagire, contrapporre » che è co mune a tutti i contenuti semantici di ‘nh I e III ed ai loro derivati: «voltarsi» > «reagire» > « prestare attenzione a qualcuno o a qualcosa » > « occuparsi di » > « reagire consentendo », ossia « esaudire », « rispondere » ecc. A questa catena semasiologica appartiene anche l’a rab. ’anà «stare a cuore, interessare», VII! «premu rarsi, prestare attenzione a qualcuno » (cfr. Wehr
583b).
Molto problematico è Mal 2,12 txt? ‘èr we'ònce « vigilante(?) e rispondente(?) ». Di quale radice si tratta? Cfr. anche A.Malamat, SVT 15, 1966, 211-213; B.Hartmann, FS Paumgartner 1967, I04s.; per I. Eitan, HUCA 12/13, 1937/38, 59 cfr. Barr, CPT 165.243.250. Difficile è anche Eccle 10,19, che gene ralmente è spiegalo come « il denaro procura tutto» (GB 603b; O.Loretz, Qohelet und der Alte Orient, 1964, 266 n. 228), ma che va inteso piuttosto come « il denaro fa reagire ognuno volentieri » (perciò hi.).
Ncll’AT ebr. il verbo ‘nh ricorre al qal (intran sitivo e transitivo), al ni. e all’hi. Come deriva ti vanno indicati: da ‘nh I il sost. ma‘anà 1 « ri sposta» (cfr. ug. m‘n «risposta»: UT nr. 1883; WUS nr. 2060a); tradizionalmente da ‘nh III: ma^'ncè li «scopo»; ma'anà «solco» (cfr. GB 447a; KBL 549b), inoltre ‘injùn «occupazio ne» (cfr. Wagner nr. 222) e ‘Dna « occupazione consenziente, rapporto coniugale » (diversa mente GB 605a e KBL 720a) e le particelle jà'an « perché, poiché» (vd. st. 3b; ampiamen te trattata da M.J.Mulder, OTS 18, 1973, 49-89; cfr. anche D.E.Gowan, VT 21, 1971, 168-185) e lemà‘an « a causa di » (ampiamente discussa da H.A.Brongers, OTS 18, 1973, 84-96). Nell’aram. bibl. è attestato solo ‘nh q. E incerto se il sostantivo -» 'et « tempo» vada ricon dotto qui (KBL 745b con bibliogr.; cfr. anche J.MuiIenburg, HThR 54, 1961, 234, e J.Barr, Biblical
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Words foi Time, ^ 1969, 86-109; diversamente J.R.Wilch, Time and Event, 1969, 155-160). Vanno ricordati anche i n. pers. nàjà e Ja'naj (cfr. Noth, IP 185.198). Il nome della dea nùt è collegato a m.a. con ‘nh nel sign. di « essere sessualmente ben disposto/corrispon dente» (cfr. Os 2,17; Es 21,10; vd. st. 3a), Diversa mente A..S. Kapelrud, The Violent Goddess, 1969, 28 (cfr. J.C. de Moor, UF 1, 1969, 224).
2/ Statistica: il verbo ebr. ‘nh I ricorre 316x nell’AT (q. 309x, di cui Giob 57x, Sai 36x, ISam 35x, Gen e IRe I9x ciascuno, ls 16x, Zac I4x ecc. [il qal manca stranamente in Ez]; ni. 5x; hi. 2x [Giob 32,17; Prov 29,19; diversa mente Mand.]; per la distinzione delle radici [secondo Lis] — ‘nh II); vengono tralasciati qui i tre testi con ‘nh III (Eccle 1,13 q.; 3,10 q.; 5,19 hi.). 11 verbo aram. ricorre 30x in Dan, sempre unito a mr. Poiché nel discorso ricorre spesso la formula ‘nh ->w'inr «replicare... e dire», ‘nh è molto frequente nei libri di Sam, Re, Zac e Giob. In ebr. tale costru zione ricorre 142x, ed in circa lOOx si tratta di una formula del dialogo (cfr. P.Joiion, Bibl 13, 1932, 309-314). In 5 casi (Gen 24,50; 31,14; Es 24,3; ISam 30,22; IRe 18,24) con dei collcttivi e con più sogget ti ‘nh sta al sing. e ‘mr al plur. (cfr. R.J.Williams, Hebrew Syntax, 1967, 45; Joìion 462). In Es 19,8 e Deut 27,15 con un collettivo come soggetto ambedue i verbi sono al plur. Invece di 'mr ricorre 6x dbr pi. 'cel (Gios 22,21; IRe 12,7; 2Re 1,10.11.12; Gen 34,13 senza Ve/, glossa?; cfr. Ger 23,35.37). I sostantivi ricorrono raramente: ma‘ance I «rispo sta» 6x; sporadici sono matrice 11 «scopo» (Prov 16,4), ma'anà «solco» (ISam 14,14; Sai 129,3) e ‘òtm «rapporto coniugale» (Es 21,10); inoltre 'injàn «occupazione» 8x (solo Eccle); le particelle jà'an 99x e Fmà'an 270x (dettagli in Muider, l.c. 67s. e Brongers, Le. 85s).
3/ a) Il verbo ‘nh significa in primo luogo non « rispondere », ma « reagire ». Questo si gnificato fondamentale è evidente nei molti casi in cui ‘nh si trova in un contesto dove non c’è un dialogo. Jn una determinata situazione esso esprime la reazione di una persona nei ri guardi di un’altra. Non è necessario che questa reazione si esprima a parole; la frase ’én ‘ònài significa «non ci fu reazione» (Giud 19,28; ISam 14,39; IRe 18,26.29; Is 50,2; 66,4). La reazione, per lo più in senso favorevole, può configurarsi come un’azione o come un com portamento. Così in Os 2,17 ‘nh. significa la « reazione consenziente » (in senso sessuale) della giovane sposa (diversamenle WolIT, BK XIV /I, 36s.52s.; cfr. C. van Lccuwen, liosea, 1968, 68), un significato che si ritrova anche nel sostantivo ’ònà « rapporto sessuale » (Es 21,10; diversamente GB 605a e KBL 720a). Vanno riportati qui anche Os 2,23s. «reagire con buona disposizione riguardo a» (diversa mente A.Guillaume, JThSt 15, 1964, 57s.). In molti dei 78 passi (di cui 35 in Sai) in cui Jah we è soggetto di ‘nh e quest’ultimo non espri 303
me necessariamente una reazione a parole, si tratta precisamente di questo contenuto seman tico. Rientrano qui in particolare i casi in cui 'nh viene abitualmente tradotto con «esaudi re» (testi in Delekat l.c. 40 n. 3), ma dove « reagire favorevolmente » rappresenta una tra duzione migliore (in Is 30,19; 65,24; Ger 7,13; 35,17 e Giona 2,3 si distingue tra sin‘ e ‘nh). I verbi che appartengono al campo semantico di ‘nh (paralleli o no di ‘nlì) confermano spesso il significato qui proposto. Cfr. p.e. sur «badare a» (Os 14,9), nhl hi. «guarda re» (Sai 13,4), nin 'òzcen «porgere l’orecchio» (Sai 86,1; 102,3), ’zti hi. «ascoltare» (Sai 143,1; Giob 9,16), qs hi. «prestare attenzione» (Sai 55,3), Mn hitpo. «volgere l’attenzione » (Giob 30,20), ‘zr «aiu tare » (Is 49,8), ’zb «abbandonare» (ls 41,17; cfr. ISam 28,15), puh ’cel «volgersi» (Sai 69,17; -*panini III/3), ‘Im hitp. «sottrarsi» (Sai 55,2s.), str hi. pànlm «nascondere il volto» (Sai 69,18; cfr. Mi 3,4); hnn «essere benigno» (Is 30,19; Sai 27,7), /s' «aiutare» (2Sam 22,42 = Sai 18,42; Is 46,7; Sai 20,10; 22,22; 60,7 = 108,7; cfr. Sai 69,14; 118,21; 2Sam 22,36 = Sai 18,36; secondo M.Dahood, Psalms I, 1966, I 16 con bibliogr,, ‘nh in casi come questi significa «to conquer» [= «conquistare»]); «non reagire» è sinonimo di bri hi. «essere sordo» (2Re 18,36 = Is 36,21).
Anche in casi in cui ‘nh è preceduto da verbi che indicano chiamare e cercare, ed anche da dbr pi. « parlare», ‘nh con Jahwe come sogget to esprime raramente una reazione a parole. Testi; qr' «chiamare » ls 58,9; 65,24; 66,4; Ger 7,27; 33,3; Giona 2,3; Sai 3,5; 4,2; 17,6; 20,10; 22,3; 81,8; 86,7; 91,15; 99,6; 102,3; 118,5; 119,145; 120,1; 138,3; Giob 5,1; 9,16; 12,4; 13,22; 19,16; Prov 1,28; 21,13; Cant 5,6; con besèm IRe !8,25ss. (cfr. v. 36) e Zac 13,9; Jahwe come soggetto di qr’ e l’uomo sog getto di 'nh Is 50,2; 65,12; Ger 7,13; 35,17; Giob 14,15 z‘q «gridare» ISam 7,9; 8,18; ls 30,19; Mi 3,4; s'q «gridare » Is 46,7; Giob 35,12 (cfr. 19,7); in ’* pi. «gridare » Sai 18,42 (cj 2Sam 22,42); Giob 30,20; drs «cercare» Ez 14,7 (cfr. v. 4); Sai 34,5; s'I be «domandare» ISam 14,37; 23,4; 28,6; pii hitp. « pregare » Ger 42,4; dbr pi. Es 19,19.
Qui rientrano anche casi in cui ‘nh ha come secondo oggetto salóni «pace» (Gen 41,16; Deut 20,11), qasà «durezza» (ISam 20,10; IRe 12,13; 2Cron 10,13; cfr. ‘azzòt Prov 18,23) o nòrà’òl «prodigi terribili» (Sai 65,6): ossia «reagire con... in vista d i» (cfr. però dàbàr come secondo oggetto esplicito IRe 18,21; 2Re 18,36; Is 36,21; Ger 42,4; 44,20; Sai 119,42; plur. Zac 1,13; Giob 33,13) e an che la «risposta» ad un saluto (2Re 4,29; Neem 8,6). b) Se si tratta di una reazione a parole, 'nh ri ceve una precisazione ulteriore attraverso 'mr «dire» o dbr pi. ’al «parlare a», come nella formula dialogica (vd. sp. 2). Quando questa formula fu considerata un’endiadi, 'nh con ri3tf ‘nh I RISPONDERE
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questo significato potè essere usato anche senza ’mr. In molti casi nei dialoghi, invece di ‘nh v\f'mr ricorre semplicemente ’mr (su questo punto vd. B.O.Long, JBL 90, 1971, 129-139). L’espressione sub hi. dàbàr significa « fare una rela zione, informare» (Num 22,8; Gios 14,7; 22,32; ISam 17,30 ecc.. cfr. L.R Fisher, Ras Shamra Parallels I, 1972, 300s.; con * màrìm Giud 5,29). Per la questione del significato di 'annoi in Es 32,18 cfr. F.l.Andersen, VT 16, 1966, 108-112; R.Edelmann, VT 16, 1966, 355, e R.N.Whybray, VT 17, 1967, 122.243.
La reazione a parole espressa con 'nh può ri sultare anche da ciò che si è sperimentato o constatato o visto, così in Giud 18,14; ISam 14,28; 2Sam 13,32; Is 14,10; 21,9; Zac 1,10.11.12; 4.11.12; 6,4; Giob 3,2; Cant 2,10 e Est 10,2. Rientrano qui anche ISam 9,17 ed i cinque casi in cui si reagisce a parole alla ese cuzione di un gesto rituale: Deut 21,7; 25,9; 26,5; 27,14.15, ed inoltre un caso come quello di Prov 26,4.5. In questo contesto assume par ticolare importanza l’uso di 'nh come espres sione del linguaggio giuridico, nel senso di « es sere testimone», ossia «reagire in tribunale in base ad una situazione constatata ». Questo è spesso il senso in Giob, dove 'nh as sume una accezione forense nella formula dia logica, e poi anche in 9,13ss.32; 15,2; 19,7; 23,5; 32,1.12; 40,2 (nei due ultimi passi par. jkh hi. «ammonire»); soprattutto con anzi tutto con valore neutrale, ossia senza badare se si verifica in bonam o in malam partem: «te stimoniare riguardo a » (in qualità di 'id « te stimone» in Es 20,16; Deut 5,20; inoltre ISam 12,3 e Mi 6,3), ma poi anche «testimoniare contro» (Num 35,30; Deut 19,16.18; Giob 15,6; Prov 25,18, cfr. l’espressione ancora più accentuata b'fanlm Os 5,5; 7,10 e Giob 16,8; ma in Deut 31,21 lifné «riguardo a», /‘“èd «come testimone»). Per ‘nh nella sfera pro cessuale cfr. H.J.Boecker, Redeformen des Rechtslebens irn AT, 1964, 103, e Horst, BK XVI/1, 148; con ‘al «contro» solo in Es 23,2 ed in senso traslato in 2Sam 19,43 «voltarsi contro». Dalla sfera giudiziaria ‘tifi passò nel linguaggio comune; Gen 30,33; 2Sam 1,16; ls 3,9; 59,12; Ger 14,7 e Rut 1,21. Da questo uso è derivata la particella causale jà'an: origina riamente uno iussivo «egli testimoni» per in trodurre l’accusa, poi divenuto forma verbale rigida «egli testimoni» > «a motivo d i» (cfr. Mulder, l.c. 49ss., e per lo « Sitz im Leben » soprattutto Gowan, l.c. 168ss.). 4/ Nell’assoluta maggioranza dei casi in cui Jahwe è soggetto di ‘nh (62 dei 78 complessivi, di cui 30 in Sai), Dio « reagisce» in seguito ad iniziative umane, ossia in seguito al «chiama re», al «cercare» ecc. dell’uomo (per i testi vd. sp. 3a). Sono inclusi qui i 14 casi di Sai in 305
,131? ‘nh I RISPONDERE
cui compare ‘°nènì «rispondimi» (di essi 12x in lamentazioni individuali e 2x nei salmi di fi ducia, affini ad esse), con cui si prega Jahwe di reagire benevolmente (inoltre IRe 18,37). Così pure restano inclusi qui i casi in cui si sottin tende implicitamente un «chiamare»; Gen 35,3; ISam 28,15; ls 41,17; 49,8; Sai 20,2; 22,22; 81,8; 99,8; 119,26. Solo qualche volta (6x) si dice che Jahwe stesso prende l’iniziativa: in ISam 9,17 Jahwe reagi sce in un determinalo momento ed indica il re scelto; in Gioe 2,19 « Jahwe reagì benevolmen te e promise al suo popolo»; Os 2,23 « reagirò benevolmente riguardo ai cieli»; Os 14,9 «io sono colui che reagisce benevolmente e che mi prenderò cura di lui»; Zac 10,6 «io, Jahwe, sono il loro Dio e reagirò benevolmente a loro riguardo»; Sai 65,6 «con fatti terribili tu rea gisci a nostro riguardo nella giustizia ». Non si può dire con certezza se l’iniziativa parta da Jahwe o da un uomo nei passi di 2Sam 22,36 (cj Sai 18,36; cfr. Kraus, BK XV, 139; diversamente Da hood, Psalrns 1, 1966, 103.116); Sai 20,7; 38,16 e 118.21. Non vengono temiti in considerazione Ger 23,35.37; Zac 1,13; Giob 38,1; 40,1.6, dove si tratta di un dialogo, e neppure Giob 23,5; 33,13 e Rut 1.21, dove 'nli ha un senso giuridico.
In altri casi in cui si parla di Jahwe che « non reagisce», l’iniziativa è delPuomo che «chia ma»: ISam 8,18; 14,37; 28,6.15; 2Sam 22,42 = Sai 18,42; Mi 3,4; Sai 22,3; Giob 30,20; 35,12; cfr. anche Prov 1,28 (della sapienza) e Cant 5,6 (in senso profano), inoltre IRe 18,26.29 e ls 46,7 (degli dei che non reagisco no). Dal lato teologico è di grande interesse il fatto che, se il soggetto di 'nh è l’uomo, l’iniziativa è presa non da lui, ma da Jahwe che «chiama» ( - q r ' ls 50,2; 65,12; Ger 7,13; 35,17; Giob 14,15; inoltre Mi 6,3: «testimonia in rapporto a me »). Si tratta sempre di un appello provo catorio da parte di Jahwe, preveniente la rea zione dell’uomo ed eventualmente manifestata attraverso un mediatore. Per un’ampia tratta zione del tema « la risposta di Israele » cfr. C.Barth, FS von Rad 1971, 44-56, soprattutto 48 ss. 5/ I LXX nel tradurre ‘nh usano principal mente àTCoxpLvo^oa, ma anche altri verbi corri spondenti alle varie accezioni di 'nh (p.e. Gen 30,33; Es 20,16; Giob 9,3.14.15 ecc.); anche sub hi. dàbàr, se si escludono alcuni passi (p.e. Giob 33,5 e 35,4; cfr. Gv 1,22; 19,9),viene tra dotto con àn:oxpivoEJ.oa. Per il NT cfr. F. Biichsel, art. àTtoxpwu, ThW III,946s. (= GLNT V,l084ss.). Negli scritti di Qumran ‘nh ricorre I2x (testi in Kuhn, Konk. 167), di cui 8x nella formula dialogica. Secondo l’uso lin guistico tardivo, influenzato daH’aram., si tro va qui per la prima volta ‘nh le invece di ‘nh 306
con l’accus. (IQH 4,18). Per il significato di ma'ana nel senso di «glossolalia» (IQH 11,34 e 17,17), sviluppatosi da Prov 16,1 ntn ma‘anè lasòn, cfr. Barth, l.c. 47 n. 12.
C.J.Labuschagne
.131? 'nh II ESSERE MISERO 1/ La radice ‘nh 11 ( *'nw), il cui significato fondamentale è probabilmente «essere piegato, essere premuto», ricorre nel can. (fen. 'nh pi. «opprimere, sottomettere» KAI nr. 26 = Kar. I, r. 18.19.20; moab.: 'nh pi. «vessare» KAI nr. 181, r. 5.6), aram. (aram. antico: incerto KAI nr. 202A, r. 2 « basso/umile/sottomes so »?, cfr. DISO 218; R.Degen, Altaram. Grammatik, 1969, 82; A.Jepsen, MIO 15, 1969, ls.; aram. imperiale: ’nwh «povertà» Ah.105, cfr. DISO 218; aram. bibl.: ‘an£ « mi sero» Dan 4,24; dialetti lardivi: cfr. KBL lllOa; LS 534b; Drower-Macuch 26b), arab. ('anà «essere umile, sottomesso», Wehr 583) e sudarabico antico ('nw «essere umile, sotto mettersi», W.W.Miiller, Die Wurzeln Mediae und Tertiae y/\v im Altsiidarabischen, 1962, 81), ma non in ug. (per Driver, CML 141 b, cfr. UT nr. 1846/1883). In genere si distingue 'nli II « essere misero » come radice propria da -» 'nli 1 « rispondere » e dalle radici meno frequenti ‘nh HI «stancarsi» (q.: Eccle 1,13; 3,10; hi. «dar da fare» Eccle 5,19; inoltre ’injàn « affare, cosa », 8x in Eccle; cfr. Wagner nr. 222; ma'anà‘ «scopo» Prov 16,4) e ’nh IV «cantare» (q. I3x, pi. 3x, distinzione secondo Lis 1098), cosi f. gli a. GB 603s.; KBL 718s.; Zorell 6l2s. Diversamente L.Delekat, VT 14, 1964, 35-49, che pone insieme 'nh I-II1; cfr. già H.Birkeland, ‘ani und 'ànàw in den Psalmen, 1933, 10s.; E.Bammel, ThW VI,888 (= GLNT XI,717): « ‘ani, dalla radice ‘nh, indica l’at teggiamento del rispondere e la buona volontà di far lo e, in uno stadio successivo di sviluppo, la posizio ne d’inferiorità di fronte a uno che esige una rispo sta»; cfr. al contrario E.Kutsch, ZThK 61, 1964, 197.
Nell’AT il verbo ricorre in tutte le coniugazio ni tranne l’ho. (vd. st. 3a); come aggettivi si hanno ’àni e ‘ànciw (3b-d), come sostantivi '°nì (3e), ‘unàwà/'anwà, "*nùt e ta‘anU (31). 2/ La statistica è resa difficile dal fatto che al cuni passi non si possono collocare con sicu rezza sotto l’una o l’altra radice, oppure sotto un preciso vocabolo. Se con Lis. si attribuisce 2Sam 22,36 a 'nh 1 q., ls 25,5 e Sai 55,20 a ‘nh II hi., Sai 119,67 a 'nh II q. e Prov 3,34 (Q) a 'ànàw, si hanno le seguenti cifre: 'nh q. 4x (ls 31,4; Zac 10,2; Sai 116,10; 119,67), ni. 4x (Es 10,3; Is 53,7; 58,10; Sai 119,107), pi. 57x (Sai 307
8x, Deut 7x, Es, Giud e 2Sam 5x ciascuno, Gen, Lev, Num e ls 4x ciascuno), pu. 4x (Lev 23,29; Is 53,4; Sai 119,71; 132,1), hi. 4x (IRe 8.35 = 2Cron 6,26; ls 25,5; Sai 55,20). hitp. 6x (Gen 16,9; IRe 2,26.26; Sai 107,17; Dan 10,12; Esd 8,21), il verbo in totale 79x (Sai 13x); 'ani 75x (Sai 29x, Is I3x, Giob 7x, Prov 5x), 'ànàw 21 x (Sai 12x, Is e Prov 3x ciascu no), '°nì 36x (Sai lOx, Giob 6x), 'anàwà 4x (Sof 2,3; Prov 15,33; 18,12; 22,4), ‘anwà 2x (Sai 18,36; 45,5), '"nìit lx (Sai 22,25) e ia'anìt lx (Esd 9,5), le forme nominali in totale I40x. 3/ a) 'nh q. si usa per un leone (« rannic chiarsi » Is 31,4) e per un uomo («essere pie gato, soffrire», vd. sp. 2), 'nh ni. è usato in senso riflessivo («umiliarsi » Es 10,3) e passivo («essere oppresso, piegato», negli altri passi). ‘nh hi. è causativo: «umiliare» (cosi in IRe 8.35 par.; ls 25,5 e Sai 55,20 sono difficili dal punto di vista testuale). Molto spesso e con nu merose sfumature di scenso viene usato ‘nh pi. con valore fattitivo (con il passivo pu. ed il ri flessivo hitp.; soltanto Sai 107,17 hitp. ha sen so passivo: « essere tormentato »): « opprimere, trattar male, umiliare, avvilire» o sim., anche «sottomettere» (Giud 16,5s.) e «violentare» (Gen 34,2; Deut 22,24.29 ecc.); il verbo (->sfim) è usato sia per l’intervento di Dio che ammonisce e castiga (Deut 8^2.3.16; IRe 11,39 ecc.) sia per la mortificazione cultuale ( ‘nh pi. nàfieS Lev 16,29.31; 23,27.32; Num 29,7; 30,14; Is 58,3.5; Sai 35,13; pu. Lev 23,29; hitp. Dan 10,12; Esd 8,21; cfr. ta'anlt «digiu no» Esd 9,5); per i «riti di autoumiliazione» cfr. E.Kutsch, ThSt 78, 1965, 25-37). b) Il significato e la relazione reciproca dei due termini 'ani e 'ànàw sono temi affrontati spes so dagli studi vtrt.; cfr. f. gli a. A.Rahlfs, 'ani und ‘ànàw in den Psalmen, 1892; A.Causse, Les «pauvres» d’Israel, 1922; H.Birkeland, 'ani und ‘ànàw in den Psalmen, 1933; A. Kuschke, Arni und reich im AT mit besonderer Beriicksichtigung der nachexilischen Zeit, ZAW 57, 1939, 31-57; J. van der Ploeg, Les Pauvres d’Israel et leur piété, OTS 7, 1950, 236-270; A.Gelin, Les Pauvres de Jahvé, 1953; JJ.Stamm, ThR 23, 1955, 55-60 (rassegna bi bliografica); E.Kutsch, ‘°nàwàh «Dem ut», ein Beitrag zum Thema «Gott und Mensch im AT », 1960 (dattil.); P. van den Bcrghe, ‘Ani et Anaw dans les Psaumes, in: R. de Langhe (ed.). Le Psautier, 1962, 273-295; Delekat, l.c.; Kraus, BK XV,82s. (excursus); J.M.Liano, Los pobres en el Antiguo Testamento, Estudios Bi blico* 25, 1966, 117-167; K Aartun. BiOr 28, 1971, 125s.; lhromi, ‘amm ‘ani wàd^l nach dem Prophcten Zephanja, Mainz 1973 (tesi), spec. 30-53. Sono tre i problemi principali relativi ai due termini: .131? ‘nh il ESSERE MISERO
308
(1) Si tratta di due designazioni completamen te diverse ('ani «povero» contrapposto a ‘ànàw «umile»)? Diversamente dal passato, oggi si tende piuttosto ad assimilare tra loro i due termini ed a vedere in 'ànàw una variante dialettale o forse una forma secondaria tardiva ed aramaizzante di 'ani (così Birkeland, l.c. 14-20; A.George, Dictionnaire de la Bible, Supplémcnt 7, 1961, 387; E.Bammel, ThW VI,888 = GLNT XI,7I8; diversamente Delekat, l.c. 44-48; per la formazione nominale ora anche Aartun, l.c.)., . _ (2) Bisogna supporre uno sviluppo semantico di ‘àni/'ànàw, e più precisamente dal sign. ori ginario profano « povero, sprovvisto », opp. «senza sufficiente proprietà terriera» (Delekat) al sign. postesilico «umile, pio»? L’idea della povertà, sotto l'influsso della profezia, sarebbe stata perciò spiritualizzata (cosi f. gli a. R.Kittel, Die Psalmen, 61929, 284-288; Humbert, l.c.; Gelin, l.c.). Anche qui è opportuno assu mere un atteggiamento prudente: il termine « povero » potrebbe aver conservato il suo si gnificato materiale e sociologico anche dopo l’esilio; il senso secondario etnico-religioso costi tuisce una componente secondaria, il cui peso va valutato caso per caso in base al contesto. (3) Quale importanza hanno avuto i « poveri » in Israele? Costituivano, specialmente nel pe riodo postesilico, un partito o almeno un mo vimento (così, in modi diversi, Rahlfs, Kittei, Causse)? Anche a questa domanda non si può dare una risposta esclusiva, dopo i lavori di van der Ploeg, Kuschke ed altri: i « poveri » hanno avuto certamente una importanza parti colare nella storia del loro popolo e nella tra dizione vtrt., sia in maniera diretta sia anche da un lato più o meno passivo, tuttavia non si può parlare di una loro organizzazione, alme no nell’ambito dei testi canonici. Pertanto sui tre aspetti del problema la ricerca attuale non è in grado di esprimere un giudizio decisivo, dato lo stato odierno delle nostre conoscenze e vista anche la complessità delle situazioni a cui si riferiscono i termini vtrt. c) 'ani indica « uno che si trova diminuito nel le sue capacità, nella sua forza e nel suo valo re» (Birkeland, l.c. 8), chiunque si trovi «sous le coup d’une misère actuelle ou permanente, pauvreté économique et aussi maladie, prison, oppression » (= « colpito da una miseria attuale o permanente, da povertà economica e anche da malattia, da prigione, da oppressione ») (George, l.c. 387); può esser dunque tradotto con «povero, misero, miserevole, infelice» o sim. A partire dal codice dell’alleanza (Es 22,24), il termine è attestato per tutto il periodo vtrt., ossia in alcune leggi (7x: Es 22,24; Lev 19,10; 23,22; Deut 15,11; 24,12.14.15), nei profeti 309
.Tir 'nh II ESSERE MISERO
(25x: Is 3,14.15; 10,2.30; 14.32; 26,6; 32,7Q; 41,17; 49,13; 51,21; 54,11; 58,7; 66,2; Ger 22,16; Ez 16,49; 18,12.17; 22,29; Am 8,4Q; Ab 3,14; Sof 3,12; Zac 7,10; 9,9; 11,7.11), nei salmi (30x: Sai 9,19Q; 10,2.9.9; 12,6; 14,6; 18.28 = 2Sam 22,28; 22,25; 25,16; 34,7; 35,10.10; 37,14; 40.18 = 70,6; 68,11; 69,30; 72,2.4.12; 74,19.21; 82,3; 86,1; 88,16; 102,1; 109,16.22; 140,13) e nella letteratura sapien ziale (13x: Giob 24,4.9.14; 29,12; 34,28; 36,6.15; Prov 15,15; 22,22; 30,14; 31,9.20; Ec cle 6,8); non ricorre nei testi narrativi. In un quarto dei casi si usa il plurale. ‘àìil spesso è in parallelo con ’cebjòn (-*'bh 4; Deut 15,11; Am 8,4; Sai 9,19 ecc.; la formula doppia recente 'ani vf'cebjòn ricorre 15x, -+’bh 4c) e con gli altri termini sinonimi per « pove ro» (vd. st. 3g) come dal (Is 10,2; 26,6; Sof 3,12; Sai 82,3.4; Giob 34,28; Prov 22,22) e ras (Sai 82,3). Chi è ‘ani viene posto sullo stesso piano di coloro che in Israele non possiedono pieni diritti: lo straniero (Lev 19,10; Ez 22,29; Zac 7,10 ecc.), l’orfano (ls 10,2; Zac 7,10; Giob 24,9 ecc.), la vedova (ls 10,2; Zac 7,10), e anche l'affamato, il senzatetto ed il nudo (ls 58,7), l’oppresso (Sai 74,21 ciak), l’abbandona to (Giob 29,12), colui che ha «lo spirito af franto» (Is 66,2), ecc. È vittima del l’oppressio ne sociale quando lo si «schiaccia» (ls 3,15 thn q.; Prov 22,22 d k ‘ pi.), «deruba» (Sai 35,10 gz/), «divora» (Ab 3,14 Ve/), «oppri me» (Deut 24,14; Zac 7,10 ‘sq), «ghermiste» (Sai 10,9 hip), «uccide» (Giob 24,14 qi/)e cc.; egli ha a che fare con il « malvagio» (làsci' Sai 10,2; 37,14; Giob 36,6), I’« imbroglione» (kèlaj ls 32,7, cfr. v. 5 ki/aj; cfr. R.Borger, AIO 18, 1958, 416); cfr. inoltre ls 3,14s.; 10,2; Sai 18.28 e ad esempio Giob 24,4-14. Oltre ai testi che descrivono la situazione con creta dello 'ani, vanno ricordati anche quelli che esprimono il suo atteggiamento spirituale: egli grida a Jahwe (Sai 34,7), è disperato da vanti a lui (Sai 102,1), cerca rifugio in Sion (Is 14,32) o nel nome di Jahwe (Sof 3,12), loda il suo nome (Sai 74,21) ecc.; i salmi sono pieni delle sue grida di aiuto e dei suoi canti di rin graziamento. Lo 'ani appartiene infatti al po polo di Israele, che è il popolo di Jahwe, e per ciò a Jahwe stesso (Es 22,24; Is 3,15; 49,13; Sai 72,2.4 ecc.): i poveri sono i « poveri del mio/suo popolo» (ls 10,2; 14,32). Jahwe ha pietà di loro (ls 49,13), ascolta i loro grido (Giob 34,28), li esaudisce (Is 41,17), non li di mentica (Sai 74,19) e non nasconde il suo vol to davanti a loro (Sai 22,25), ma li salva (Sai 35,10), rende loro giustizia (Giob 36,6), li aiuta (Sai 34,7) ecc. Conformemente alla concezione della regalità tipica dell’antico Oriente, ci si at tende dal sovrano che egli protegga i poveri, faccia loro giustizia e venga in loro aiuto (Sai 72,2.4); perciò Sion deve gioire per l’arrivo del suo re, che è «giusto e vittorioso», e per di 310
più ‘ani (Zac 9,9, qui propriamente «um ile»; diversamente E.Lipinski, VT 20, 1970, 50s.). d) SulJe 22 attestazioni di 'ànàw nelTAT, sol tanto in Num 12,3Q, l’unica ricorrenza nei te sti narrativi, si ha il sing. («povertà» di Mosè, aggiunta tardiva; cfr. J.Schildenberger, Moses als Jdealgestalt eines Armen Jahwes, FS Gelin 1961, 71-84). II plur. ricorre raramente nei te sti sapienziali (Prov 3,34Q; 16,19Q, 14,21Q), qualche volta nei profeti (a cominciare da Amos: ls 11,4; 29,19; 61,1; Am 2,7; Sof 2,3) e spesso nei salmi (Sai 9,13Q; I0,12Q.17; 22,27; 25,9.9; 34,3; 37,11; 69,33; 76,10; 147.6; 149,4). Nel significato, 'ànàw non è sostanzialmente diverso da ‘ani: «povero, basso, piegato, pic colo, umile », anche « mite » (cfr. la traduzione gr. con -rcpauc;, vd. st. 5). Come ‘ani, viene usato assieme a 'cebjòn (Is 29,19; Sai 69,33s.) e dal (ls 11,4; A m 2,7), coloro che hanno un « cuore affranto» (Is 61,1), che cercano Jahwe (Sai 22,27; 69,33), ccc. Gli ‘anàwìm sono contrap posti ai superbi (Prov 16J9Q), ai derisori (Prov 3,34Q) e ai malvagi (Sai 147,6). Il loro diritto viene travisato (A iti 2,7), ma Jahwe non li dimentica (Sai 10,I2Q), esaudisce il loro de siderio (Sai 10,17), insegna loro la sua via (Sai 25,9), li salva (Sai 76,10; 149,4), dà loro un re giusto (Is 11,4), ecc. Perciò gli ‘“nàwìm lodano il loro Dio (Sai 22,27), si rallegrano in lui (Is 29,19; Sai 34,3; 69,33), sono beneficati (Sai 22,27; 37,11), ecc. 1 poveri dell’AT perciò non sono scmpliccmentc poveri, ma diventano sempre più i « poveri di Dio » soprattutto nei salmi, però non solo nei documenti tardivi del la religiosità israelitica (cfr. Gelin, l.c.; R.Martin-Achard, Yahwé et les ,anàwim, ThZ 21, 1965, 349-357). e) ’°nl indica genericamente la miseria nelle sue varie forme (tormento, sofferenza, umilia zione, oppressione ecc.). La parola ricorre so prattutto nei salmi (Sai 9,14; 25,18; 31,8; 44,25; 88,10; 107,10.41; 119,50.92.153), nelle lamentazioni (Lam 1,3.7.9; 3,1.19) e nella let teratura sapienziale (Giob 10,15; 30,16.27; 36,8.15.21; Prov 31,5), ma anche nelle sezioni narrative dell’AT (Gen 16,11; 29,32; 31,42; 41,52; Es 3,7.17; 4,31; Deut 16,3; 26,7; ISam 1,11; 2Re 14,26; Neem 9,9; lCron 22,14), mentre solo una volta nei profeti (Is 48,10). Se condo D.W.Thomas, JThSt 16, 1965, 444s., 10rii in Sai 107,10 e Giob 36,8 non significa « miseria » in genere, ma ha il senso particola re di « prigionia ». ‘°rii indica sia la miseria di singole persone (Agar, Lia, Giacobbe, Giuseppe, Anna, Giob be, salmista) sia quella del popolo di Israele (in Egitto, al tempo di Geroboamo li) e della città di Gerusalemme dopo la catastrofe del 587 a.C. (Lam). Nella maggior parte dei casi la mi seria del popolo o del fedele viene messa in 311
rapporto con Dio: Dio si cura della miseria dei suoi e li libera da essa (p.e. Gen 16,11; 29,32; Es 3,7.17; Deut 26,7; Sai 9,14; 25,18; 31,8; 44,25 ecc.). 0 'anàwà designa l’umiltà e l'accondiscendenza; come parallelo si ha il timore di Jahwe (Prov 15,33; 22,4), come contrario la superbia (Prov 18,12), La parola si trova anche in Sof 1 2,3, un passo cui Gelin, l.c. 33ss., annette grande importanza, ma la cui autenticità è contestata da alcuni esegeti (al contrario invece C.A.Keller, Commentaire de l’AT XI b, 199: Sofonia con il linguaggio dell’umanesimo isr. si rivolge a coloro che sono piccoli, incompresi e malvoluti, i quali soltanto si trovano nella con dizione di percepire l’invito profetico. 1 passi con ‘anwà « mitezza(?) », Sai 18,36 (cfr. 2Sam 22,36) e 45,5, non sono chiari dal punto di vista testuale, e così pure 'anùt « sofferen za^)» in Sai 22,25 (cfr. BHS e i comm.). ta‘anll «digiuno» (Esd 9,5) è sostantivo verba le di ‘nh pi./hitp. (vd. sp. 3a). g) Oltre ai derivati della radice ‘nh e a ’ccbjòn (-> ’bh), rientrano nel campo semantico della povertà anche alcuni vocaboli meno frequenti, che in parte sono stati già ricordati in 3cd come paralleli di ‘ànì/'ànàw e vengono usati più o meno come sinonimi in serie espressive: (1) daI « piccolo, modesto, povero » o sim. (ra dice di! con larga diffusione nelle lingue sem.; cfr. HAL 212s.214; WUS nr. 744; UT nr. 664; DISO 58) è usato 48x nell’AT, e come gli ag gettivi seguenti è maggiormente limitato al mondo economico e sociologico (Prov I5x, Giob 6x, Is e Sai 5x ciascuno, Am 4x, e ancora Gen 41,19; Es 23,3; 30,15; Lev 14,21; 19,15; Giud 6,15; ISam 2,8; 2Sam 3,1; 13,4; Ger 5,4; 39,10; Sof 3,12; Rut 3,10; inoltre il sost. collet tivo dalla « i piccoli», 2Re 24,14; 25,12; Ger 40,7; 52,15.16; dii cj. «essere piccolo» 6x: Giud 6,6; Is 17,4; 19,6; Sai 79,8; 116,6; 142,7). ‘ dal si trova già nel codice dell’alleanza (Es 23,3), nelle narrazioni antiche (Gen 41,19; Giud 6,15; 2Sam 3,1) e nei profeti del sec. 8“ (Is 10,2; Am 2,7; 4,1; 5,11; 8,6). Spesso sta as sieme a 'cebjòn (ISam 2,8; Is 14,30; 25,4; Am 4,1; 8,6; Sai 72,13; 82,4; 113,7; Giob 5,15s.; Prov 14,31) e 'ani (vd. sp. 3c) opp. 'ànàw (vd. sp. 3d), e anche con ras (Sai 82,3s.), jàtòm «orfano» (Sai 82,3) e ’almànà «vedova» (Giob 31,16). dal viene usato in contesti sia profani sia più o meno religiosi (Gen 41,19 vacche magre; Giud 6,15 piccolo casato; Is 10,2; Am 2,7; 4,1; 5,11; 8,6 protesta profetica contro l’oppressione dei poveri; Is 11,4; Sai 72,13 protezione giuridica da parte del re; Is 14,30; 25,4; Sof 3,12; Sai 113,7 aiuto e rifugio presso Jahwe). (2) ràs «povero» (21x, di cui 14x in Prov, inoltre ISam 18,23; 2Sam 12,1.3.4; Sai 82,3; P I» 'nh II ESSERE MISERO
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Eccle 4,14; 5,7) in quanto part. appartiene al 1937, 36-46; S.Wibbing, EKL 1,115s.; verbo rils «essere povero» (q. Sai 34,11; Prov E.Kutsch, RGG L622-624; II,77s.; C.U.Wolf, 10,4; hitpo. «fare il povero» Prov 13,7; cfr. 1DB Ul,843s.); in modo particolare bisogna anche -*jrs ni. «essere povero» Gen 45,11; guardarsi dal contrapporre una originaria po vertà profana ad una povertà religiosa spiritua Prov 20,13; 23,21; 30,9; hi. «far diventare po vero» ISam 2,7; sost. rès/rìs «povertà» 7x in lizzata di epoca postesilica. 1 testi vanno giudi Prov), che si trova attestato solo nell’ebr. Tra cati anche in base ai diversi generi letterari. Fondandosi sulle concezioni dell’antico Orien tutti i sinonimi ras è la designazione più neu trale del povero nella sua situazione sociale ed te (-♦ ’bh 4), la letteratura sapienziale prende in economica; è un vocabolo della letteratura sa considerazione il fenomeno delia povertà e tal pienziale, che però ricorre anche nei racconti volta ne indica anche le cause (pigrizia Prov 20,13; cfr. 10,4 txt em; vizio del bere Prov davidici, ras è l’opposto più comune di 'asìr «ricco» (2Sam 12,1-4; Prov 14,20; 18,23; 23,21; pettegolezzo Prov 14,23 ecc.). Benché la 22,2.7; 28,6; cfr. rès «povertà» assieme a > benedizione divina si manifesti nel successo e 'osar «ricchezza» in Prov 30,8; nelt’AT si nel benessere, il povero resta comunque crea trovano ‘s r q. 2x Os 12,9; Giob 15,29; hi. «ar tura di Dio, ed a lui bisogna prestare aiuto ricchire» I4x, hitp. «fare il ricco» lx Prov (Prov 22,9; 29,13; cfr. Giob 29,12.16; 31,19s.); 13,7; ’à sìr «ricco» 23x, ’Óscer «ricchezza» ciò che si fa per lui, lo si fa per Dio (Prov 37x); meno frequentemente si hanno come op 14,31; 19,17). posti dal (Es 30,15; Prov 10,15; 22,16; 28,11; Anche la legislazione di Israele scorge un lega Rut 3,10) e ’cebjDn (Sai 49,3). Quando ras è me tra il povero ed il Dio del popolo eletto; usato in contesti teologici, questi riflettono le essa si schiera a fianco di coloro i cui diritti dottrine tradizionali della poetica sapienziale sono ridotti o minacciati; ciò avviene già nel riguardo alla povertà (vd. st. 4); si ricordi qui codice dell’alleanza (Es 23,3.6.11), ma anche in modo particolare soltanto Prov 30,8 « non nel Deuteronomio (soprattutto Deut 15,1-18; darmi né povertà né ricchezza », con la moti 24,10-22) e nella legge di santità (Lev 19,9ss.; vazione teologica al v. 9. 23,22). Sulla linea del diritto che scaturisce dall’allean (3) miskèn « povero » ricorre solo in Eccle za, i profeti si assumono con particolare impe (Eccle 4,13; 9,15.15.16; inoltre miskèmu «po gno la difesa dei piccoli che si trovano in preda vertà» Deut 8,9; molto incerto è nfsukkàn di alla miseria ed alla sfortuna. Amos (2,6s. 4,1 ls 4,20, cfr. Elliger, BK X I/l, 60-62). Per il ecc.) e sulla sua scia Isaia (1,17; 10,2 ecc.), Ge termine in tutta la sua evoluzione, la quale remia (2,33s.; 5,26ss. ecc.) ed Ezechiele (16,49; presenta un certo interesse dal punto di vista 22,29 ecc.) combattono l’oppressione dei pove semasiologico (acc. muìkènu « schiavo di pa ri e la violazione del loro diritto e annunciano lazzo, povero », AHw 684a; > aram./ebr./ che Jahwe sta dalla loro parte. arab. «povero» > ital. meschino/franc. meI salmisti nella loro pena causata da nemici ge squin « misero, piccino »), cfr. Wagner nr. neralmente non meglio definiti sperano pro 177/178 (con bibliogr.); E.Littmann, Morgenprio in questa azione divina; essi si lamentano, làndische Worter im Deutschen, 21924, 101. invocano aiuto e lodano Dio per il suo inter (4) hàsèr «bisognoso» (I7x) è aggettivo verbale di vento (Sai 9,10.13.19; 10,8ss.; 12,6; 22,25; hsr «essere privo, venir m eno» (q. 19x, pi. «priva 35,10; 69,33s. ecc.). re» Sai 8,6 e Eccle 4,8; hi. «m ancare» Es 16,18 e In un modo o nell’altro quindi i principali «far mancare» ls 32,6; Jjàseer «m ancanza» Giob complessi letterari dell’AT (sapienza, legge, an 30,3; Prov 28,22: hósur « mancanza » Deut nuncio profetico, religiosità dei salmi) pongono 28,48.57; Ani 4,6; hcesròn «m ancanza» Eccle 1,15; i poveri in rapporto con Dio. L’idea che i de nia/isòr « mancanza » 13x, di cui 8 x in Prov; aram. bibl. hassir « mancante, inferiore» Dan 5,27) e, dato . boli ed i bisognosi sono da proteggere, special mente da parte del sovrano, è ampiamente dif il suo significato più generale, appartiene solo in par te al campo semantico della povertà. fusa e normativa in tutto l’antico Oriente, ma l’intervento dei profeti a favore dei poveri li lega in certo qual modo a Jahwe in maniera 4/ La rassegna di 3 a-g dà un quadro abba definitiva. Le preghiere di Israele si fondano > stanza complesso delle varie affermazioni sul proprio su questa convinzione e rivelano che fenomeno della povertà, dall’epoca premonar Tunica speranza dei credenti che si trovano op chica a quella postesilica. È perciò difficile de pressi è riposta nella fedeltà di Jahwe. I poveri lineare una storia organica della posizione che si considerano «clienti » di Dio, non per i loro l’AT assume di fronte alla povertà (cfr. oltre meriti, che sono abbastanza ristretti, ma per la alla bibliogr. citata in 3b anche p.e. W.W.Baubenevolenza che Dio dimostra loro. Per l’AT i dissin, Die atl. Religion und die Armcn, poveri non sono semplicemente poveri, ma i PreuBische Jahrbiicher 149, 1912, 193-231; « poveri di Dio » che da lui devono aspettarsi H.Bruppacher, Die Beurteilung der Armut im AT, 1924; P.A.Munch, Die Beurteilung des liberazione e gioia (Sai 34,19; Is 29,19; Reichtums in den Psalmen 37.49.73, ZAW 55, 61,1 ss.). 313
TO» 'nh II ESSERE MISERO
314
5/ Nella letteratura postcanonica si prolunga ulteriormente la linea vtrt.: i poveri apparten gono a Dio, confessano il suo nome ed atten dono tutto da lui; la loro «povertà» significa nello stesso tempo o soprattutto un atteggia mento spirituale di «um iltà» davanti a Dio. Perciò a Qumran ed in altri circoli giudaici de gli inizi dell’era cristiana (cfr. gli ebioniti) « po vero» diventa un tipo di qualifica religiosa (cfr. f. gli a. J.Maier, Die Texte vom Toten Meer, II, 1960, 83-87 con bibliogr.). Anche i LXX tendono a sottolineare il caratte re spirituale della povertà di fronte a Dio, sen za tuttavia porre in rilievo distinzioni assolute; oltre a xuoxóq (I) e n:évT]q (II) « povero » essi usano soprattutto xa-rceivóc; (III) «um ile» e Tcpauq (IV) « mite » (ed i loro derivati). Secondo L ia n o , l.c. 162-167, risulta la seguente statistica:
‘ani 'ànàw ‘cebjòn dai ràS
IV
1
(I
III
38
14 3 29
8
5
5
8
2
-
8
4
—
7
1
4 11 20 10
—
Le differenze e le convergenze mostrano come l’idea della povertà viene intesa sia dal lato economico sia da quello spirituale. Per ulterio ri particolari e per il NT F.Hauck, art. Ttévriq, ThW VI,37-40 (= GLNT IX, 1453-1464); F. Hauck - S.Schulz, art. TCpaùq, ThW VI.645651 (= GLNT X I,63-80); F.Hauck - E.Bammel, art. Ttxwxóq, ThW VI,885-915 (= GLNT XI,709-788); W.Grundmann, art. Tct/rcet.vóq, ThW Vili, 1-27.
R.Marlin-Achurtl
W 'ànàn NUBE 1/ L’ebr. 'ànàn « nuvole, nube » (BL 470) e l’aram. ‘anàn «nube» (Dan 7,13; cfr. fi gli a. Jastrow I095s.; LS 533) hanno una corrispon denza nelfarab. 'anàn « nubi (collettivo) ». ‘nn pi. «radunare le nubi» (Gen 9,14; BL 220.437) è denominativo; un legame con ‘nn poi. «esercitare la divinazione, il sortilegio» resta incerto (GB 606a; Zorell 615; diversa mente KBL 72 lb; cfr. anche L.Kopf, VT 8, 1958, 190). Come nomen unitatis si ha una volta il fem. ‘anànà (Giob 3,5; cfr. il plur. Ger 4,13). 2/ 'ànàn ricorre 87x (e lx aram. bibl. ‘anàn), concentrato in Es e Num (ciascuno 20x), inol tre Ez llx , Giob 6x, Deut 5x, Gen e Sai 4x ciascuno. ‘anànà e nn pi. sono apaxlegomena (vd. sp.). 315
Tra i vocaboli del campo semantico «nube» ‘ànàn è il più frequente. Lo seguono 'àb con 30 attestazioni (Giob 8x, Is 7x, Sai 5x) e sàhaq con 21 (Sai 9x, Giob 5x). 3/ Per le varie designazioni di nube, caligine, nebbia si vedano, oltre ai dizionari, anche p.e. Dalman, AuS 1,110-114; R.B.Y.Scott, Meteorological Phenomena and Terminology in thè OT, ZAW 64, 1952, 11-25; Ph.Reymond, L’eau, sa vie, et sa signification dans l’AT, 1958, 11-18.29-31.35-41; J.Luzarraga, Las tradiciones de la nube en la Biblia y en el Judaismo primitivo, 1973, 15-41. Oltre a ‘àb «nube (da pioggia) » e sàhaq « nube (di polvere/cir ro)» o sim. vanno ricordate anche parole più specifiche e più rare: 'aràfcel «nube oscura» (->‘òr 3), qìtòr «fum o» (Gen 19,28) opp. «nebbia» (Sai 148,8), nasi’ «caligine, nube» (->n i ) e hàzìz «nuvola temporalesca» o sim. (Zac 10,1; Giob 28,26; 38,25). Per il nostro scopo può essere sufficiente dire che ‘ànàn de signa maggiormente le nuvole nel loro insieme o la nebbia in quanto massa estesa ed impene trabile, mentre la nuvola singola e ben delimi tata è detta ‘àb (Scott, l.c. 24s.; Reymond, l.c. 14).............................................. Se si prescinde dai concreti riferimenti meteo rologici (cfr. anche E.F.Sutcliffe, The Clouds as Water-Carriers in Hebrew Thought, VT 3, 1953, 99-103), 'ànàn ed i suoi sinonimi vengo no usati spesso in paragoni e metafore. Si indi ca con essi ad esempio la caducità (cfr. Is 44,22 « ho dissipato come nube [ àb] le tue ini quità e come nebbia ['ànàn] i tuoi peccati»; Os 6,4 « il vostro amore è come una nube del mattino»), il buio spaventoso (cfr. ‘ànàn nelle descrizioni del giorno di Jahwe: Ez 30,3; Gioe 2,2; Sof 1,15), l’estensione immensa (Ez 38,9.16 «verrai come una nube a ricoprire la terra») e l’altezza smisurata (Sai 36,6 «fino al cielo arriva la tua bontà, la tua fedeltà fino alle nubi»; cfr. 57,11), cfr. Reymond, l.c. 29-31; Luzarraga, l.c. 32ss. 4/ Nell’uso teologico di ‘ànàn (cfr. f. gli a. A.Oepke, ThW IV,907s. = GLNT VII,914-9I8; Reymond, l.c. 35-41; H.W.Hertzberg, BHH 111,2181; Luzarraga, l.c. 45ss.) si distinguono sostanzialmente due linee: da una parte la fede nel creatore, con le sue affermazioni sul domi nio di Dio sopra le nubi (a), dall’altra l’imma gine delle nubi come mezzo di rivelazione di Jahwe, ambientata in diverse tradizioni. a) Nelle affermazioni generali sulla potenza di Jahwe sopra le nubi, ‘ànàn e (ancor più) i vo caboli affini {'àb, sàhaq) sono usati soprattutto nel libro di Giobbe (Giob 26.8.9; 37,11.15; 38,9; cfr. 36,29; 37,16; 38,34.37), ma anche in diversi altri luoghi, in parte per descrivere la teofania ed il giudizio di Dio (Gen 9,14; Sai
m
‘ànàn NUBE
316
97,2; cfr. 2Sam 22,10.12 = Sai 18,10.12.13; ls 5,6; Sai 68,35; 77,18; 78,23; 147,8; Prov 8,28; per Dio che avanza sulle nubi cfr. Nah 1,3, ed anche Deut 33,26; Ts 19,1; Sai 104,3 e -*rkb 4). Si possono ricondurre qui anche le descri zioni del giorno di Jahwe, nelle quali si usa ‘ànàn ma anche ‘“ràfie! (Ez 30,3.18; 32,7; 34,12; Gioe 2,2; Sof 1,15; cfr. anche Ger 13,16 e Giob 3,5). L’idea che Dio possa anche sepa rarsi dal mondo attraverso le nubi si ritrova con formulazione diversa in Giob 22,13s. e in Lam 3,44. Per Jahwe che abita nella nube oscura in IRe 8,12 = 2Cron 6,1 cfr. Noth, BK IX,181s. b) La nube come mezzo particolare di rivela zione ed anche come strumento che serve a ve lare la presenza di Dio compare nelle tradizio ni relative all’epoca di Mosè (Es 13,21.22; 14,19.20.24; 16,10; 19,9.16; 24,15.16.18; 33,9.10; 34,5; 40,34-38; Lev 16,2.13; Num 9,15-22; 10,11.12.34; 11,25; 12,5.10; 14,14; 17,7; Deut 1,33; 4,11; 5,22; 31,15; Sai 78,14; 99,7; 105,39; Neem 9,12.19), con risonanze anche nelle affermazioni sul tempio di Gerusa lemme (IRe 8,10.11 = 2Cron 5,13.14; Ez 1,4; 10,3.4; in senso escatologico fs 4,5, cfr. Wild berger, BK X,106s.). A differenza dei testi citati sotto (a), qui ‘ànàn ha una prevalenza quasi assoluta ('ab ancora in Es 19,9; '“ràfcel in Ez 20,21; Deut 4,11; 5,22). La tradizione della guida del popolo at traverso il deserto, conservata in JE e nei testi che ne dipendono, parla di una colonna di nubi {‘ammùd ìànàn) o anche soltanto di ‘ànàn\ la tradizione sacerdotale della presenza di Dio nella nube presso la tenda usa soltanto ‘ànàn. Dal punto di vista della storia delle tra dizioni, non si sa da dove provengano tali con cezioni. Noth, ATD 5,86 (= ital. 135) attribui sce la colonna di nubi e di fuoco alla teofania sinaitica: « il fenomeno della colonna di nubi e di fuoco risale presumibilmente all’osservazio ne di un vulcano in fase eruttiva, cui si allude indubbiamente nel racconto dei fatti avvenuti sul Sinai». Altri autori pensano invece al rito cultuale, con cui si rappresentava la rivelazio ne sinaitica, e nel quale le nubi di fumo aveva no una loro giusta collocazione (A.Weiser, FS Bertholet 1950, 523s.; W.Beyerlin, Herkunft und Geschichte der àltesten Sinaitraditionen, 1961, 142s.154s.163.177s.; H.-P.Muller, VT 14, 1964, 183s.; cfr. anche G.H.Davìes, LDB fll,817s.). 5/ Per gli sviluppi delle espressioni vtrt. in cui si usa 'ànàn cfr. A.Oepke, art. ve^ÉX/q, ThW IV,904-912 (= GLNT VIL905-928); E. Manning, La nuée dans l’Ecriture, Bible et Vie Chrétienne 14, 1963, 51-64; Luzarraga, Le. 212-245.
E.Jenni 317
“)SS? 'àfàr POLVERE
nSJJ ‘àfàr POLVERE T T J 1/ *apar- nel sign. di « terra sciolta, polvere » è testimoniato, oltre che in ebr., anche in acc., ug., arab., aram. e sir. e come radice nominale appartiene al semitico comune (P.Fronzaroli, AANLR Vin/23, 1968, 271.287.298). L’AT da questa radice forma il sost. ‘àfàr ed il verbo denominativo ‘p r pi. « gettare (terra) ». Solo in ebr., aram. giud. ed et. si ha anche ‘efai « terra soffice, polvere », affine a àjàr dal lato foneti co e semantico (W.LesIau, Ethiopic and South Ara bie Contributions to thè Hebrew Lexicon, 1958, il) , che potrebbe essere entrato nell’ebr. (J.Heller, VT 12, 1962, 339-341; H A L 77s.) attraverso l’acc. eperu (AHw 222s.; C A D E 184-190.246).
2/ 'àjar è attestato llOx nell’AT (Giob 26x, Is 15x, Sai 13x, Gen 9x), ‘pr pi. lx (2Sam 16,13) e ’éfeer 22x (Giob 4x, Is 3x; prescindendo da Gen 18,27 e 2Sam 13,19 usato solo a parti re da Ger ed Ez). 3/ Il significato fondamentale di ‘àjar «terra soffice, sciolta, polvere» si avvicina moltissimo all’ambito semantico di ’adàmà « suolo » (cfr. Gen 2,7; 3,19) e di -» Jiérces «terra» (Gen 13,16; 28,14 ecc.), per cui talvolta i termini sono interscambiabili (cfr. ISam 4,12; 2Sam 1,2 con Gios 7,6; Ez 27,30) o paralleli (Is 47,1; Giob 5,6; 14,8). L’uso più ampio della parola si deve all’accen tuazione di aspetti diversi del senso fondamen tale, per cui ‘àfàr da una parte può significare «malta, intonaco» (Lev 14,41.42.45), e dal l’altra può designare i resti di una distruzione, come la « polvere » a cui sono ridotti gii ogget ti di culto (Deut 9,21; 2Re 23,4.6.12.15), le «macerie» di città devastate (IRe 20,10; Sai 102,15; Neem 3,34; 4,4), e la «cenere» di una vittima bruciata (Num 19,17 par. ’èfeer v. 9s.). ‘àjar è inoltre il cibo del serpente (Gen 3,14; Is 65,25; Mi 7,17). Il plurale ricorre solo due vol te nell’AT: ‘afròt zàhàb «granelli di polvere d’oro» (Giob 28,6) e ‘afròt lèbèl «zolle di ter ra» (Prov 8,26). NelFAT non compare il sign. acc. di « volume » e « territorio» (AHw 223; C A D E 189s.). Il termine 'efeer (cfr. Num 19,9s.17 e Gen 18,27; Giob 30,19; 42,6) è molto affine a 'àjar, ma se ne di stingue per il fatto che è usato prevalentemente col sign. di « polvere ». Per « cenere » ’èfeer è usato chia ramente solo in Num 19,9s. (cfr. anche Ez 28,18; A.Schwarzenbach, Die geographische Terminologie im Hebr. des AT, 1954, 129: « ‘éjeer ha solo il signi ficato di “cenere” »). Per ’àbàq « polvere (minutissima) » (Deut 28,24 as sieme a 'àjar; Is 5,24; 29,5; Ez 26,10; « fuliggine » Es 9,9; ,abàqà « polvere [aromatica] » Cant 3,6) cfr. Schwarzenbach, l.c. 129s.; H A L 9a.
‘àjar nell’AT è immagine di quantità ed ab 318
bondanza (Gen 13,16; 28,14; Num 23,10 [cfr. però le etimologie arab. in A.Guillaume, VT 12, 1962, 335-337: «guerriero»; C.Rabin, Tarbiz 33, 1963/64, 114: «quantità»]; Ts 40,12; Zac 9,3; Sai 78,27; Giob 27,16; 2Cron 1,9; cfr. Es 8,12s.; così pure hòl «sabbia» [22x, tranne che in Es 2,12; Deut 33,19; Ger 5,22; Prov 27,3 sempre immagine di quantità]), indica completa distruzione (2Sam 22,43 = Sai 18,43; 2Re 13,7; ls 41,2), mancanza di valore e nullità (Sof 1,17; Sai 7,6; Giob 22,24), abbas samento ed umiliazione (2Sam 16,13; Is 25,12; 29,4; 47,1 ecc.). Come immagine di assoggetta mento si ha la frase «lambire la polvere» (Is 49,23; Sai 72,9), e per indicare il contrario, os sia che la sottomissione è terminata, si usa « scuotersi la polvere » (Is 52,2). Anche ’éfcer viene usato per indicare una quantità immensa (Is 44,20; Sai 147,16?), mancanza di valore (Giob 13,12) ed umiliazione (Mal 3,21).
nisce i morenti « coloro che si coricano nella polvere» (Giob 7,21; 20,11; 21,26), «coloro che scendono, sprofondano nella polvere » (Sai 22,30; Giob 17,16); l’orante di fronte alla mor te si sente posto da Jahwe nella polvere di morte (Sai 22,16). In tal senso ‘àjar potrebbe anche designare il regno dei morti (Is 26,19; Giob 17,16 par. ^se’ùl; Dan 12,2; cfr. acc. bit epri «casa della polvere = regno dei morti», Gilg. VII, IV r. 40.45; N.H.Ridderbos, ‘àjar als Staub des Totcnortcs, OTS 5, 1948, 174-178). 5/ Nel primo giudaismo e nel NT (Apoc 18,19 con la traduzione più comune di ‘àjar nei LXX) si parla talvolta della polvere in relazione ai riti funebri (cfr. Levy I,148b). La concezione secondo cui l’uomo è polvere ed in polvere ritorna assume maggior rilevanza a Qumran (IQS ll,21s.; IQH 3,21; 10,4s. ecc.).
G. Wanke
4/ a) L’uso teologico di rà far in senso stretto
si fonda sull’impiego figurato della parola: Jah we abbassa, umilia, annienta (getta nella polve re Is 25,12; 26,5) e innalza la bassezza del pic colo (solleva dalla polvere ISam 2,8; IRe 16,2; Sai 113,7).
b) L’uso^ teologico in senso largo si ha quando ‘àjar e 'Sfar vengono nominati nei riti di lutto, di penitenza e di mortificazione (E.Kutsch, ThSt 78, 1965, 23-42; G.Fohrer, Geschichte der isr. Religion 1969, 216); manifestazioni in tal senso sono il cospargersi il capo di cenere, sedersi nella polvere, rotolarsi nella polvere (Gios 7,6; 2Sam 13.19; Is 58,5; 61,3; Ger 6,26; Ez 27,30; Giona 3,6; Mi 1,10; Giob 2,8.12; 30,19; 42,6; Lam 2,10; Est 4,1.3; Dan 9,3), c) All’uso teologico largo appartiene anche la concezione, formulata per la prima volta nell’AT da J, secondo cui l’uomo è formato con 'àjar e diventa essere vivente solo quando Dio gli soffia dentro l’alito di vita (Gen 2,7; 3,19; 18,27; Westermann, BK l, 280s.362). Questa concezione è stata accolta soprattutto nel salte rio e in Giobbe, con l’intenzione, già espressa da J, di evidenziare la caducità e la nullità del l’uomo. L’uomo è polvere (Gen 3,19; Sai 103,14; Giob 4,19; 8,19) e ritorna in polvere (Gca3,19; Giob 10,9; Ecclc 3,20; con -> ’adàmà Sai 146,4; con dakkà’ «ciò che è schiacciato, polvere» Sai 90,3) quando Jahwe ritira il sof fio (~+rùah, ne3àmà) che ha dato (Sai 104,29; Giob 34,15; Eccle 12,7). Sotto questo aspetto per l’Ecclesiaste (Eccle 3,18-20) l’uomo non si distingue dalla bestia; entrambi muoiono. Per ciò l’AT assimila i morti alla polvere (Sai 30,10), chiama i morti «coloro che abitano nella polvere» (Is 26,19), «coloro che dormo no » nella terra della polvere (Dan 12,2) e defi 319
1/ La radice a due lettere *'id- > *‘is- appar tiene al semitico comune (Bergstr. Einf. 186; P.Fronzaroli, AANLR VIII/23, 1968, 276.290) e si riferisce a tutto ciò che nel regno vegetale ha consistenza legnosa ed ha a che fare in ge nerale con il legno. La derivazione della parola da una supposta radice verbale ‘sh II (così BDB 871), poco (e nell’AT per nulla) testimoniata, è improbabile e non necessaria per la sua spiega zione. II Fem. ‘èsà in Ger 6,6 va letto come ‘èsàh (con suf fisso di 3a fem. sing.) « i suoi alberi, il suo patrimo nio arboreo» (cfr. Deut 20,19; Rudolph, HAT 12,42; per Is 30,1 ->j's 3c).
In aram. (DISO 21.219; KBL 1053a) ‘g (aram. eg.) opp. ’à ‘ (Dan 5,4.23; Esd 5,8; 6,4.11) è ristretto al sign. di «legno, trave», mentre per « albero » viene usato ’ilàn (Dan 4,7.8.11.17.20.23). 2/ ‘ès ricorre nelPAT 330x (incl. ISam 17,7Q; Ez 45x, Es 3lx, Gen 30x, IRe 29x, Lev 21x, Deut 20x, Is 17x, Ger 15x), e lx ‘èsà (Ger 6,6, vd. sp. 1). *3/ Come in acc. (i$u, AHw 390s.), ug. ('& WUS nr. 2078) ed et. ( ‘ed, Diljmann I025s.), ‘es ebr. possiede ancora il valore semantico completo con i due significati fondamentali di « alberi (collettivo), albero » e « legno », men tre in aram. (vd. sp. 1) ed in arab. (sagar(a), Wehr 415a) sono subentrati dei neologismi per «albero». Nel sign. di «albero» l’accento è posto tutto sull’aspetto del genere, mentre si H? 'ès ALBERO
320
hanno designazioni particolari per le singo le specie dì albero (p.e. ’ceriez « cedro », e sai «tamerice», berds «cipresso», gàjoen «vite», zàjit « olivo », lùz « mandorlo », siqmà « sico moro», le’ènà «fico», tàmàr, «palma») o le varie forme di albero (p.e. sebal ràmàl\, et. —gbr). Sono incerti i dati sulla presenza della radice in ug. (per WUS nr. 2113 cfr. f. gli a. P.van Zijl, Baal, 1972, I23s.) e nei nomi personali amor., pun. ed aram. eg. (Huffmon 201; F.L.Benz, Personal Names in thè Phoenician and Punic Inscriptions, 1972, 385; M.Lidzbarski, Phònizische und aramàische Krugaufschriften aus Elephantine, 1912, 19). Per vecchi tentativi di collegamento con radici arab. cfr. G V G II, 514; GB 622a; per proposte più recenti di spiegare singoli passi vtrt. in base a diversi verbi arab., cfr.Barr, CPT 333 (bibliogr.).
NelI’AT ricorrono il qal, il ni. (vd. st. 3c) ed una volta il pu. (Sai 139,15 «essere creato», ma può essere un qal pass., cfr. Zorell 632b), inoltre ma*sa (vd. st. 3d) come derivato nomi nale. I passi di Ez 23,3.8 (pi.) e v. 21 (q.) van no assegnati ad una radice propria 'sh II «pre mere » (GB 624; cfr. Zimmerli, BK XIII,530; Jenni, HP 13ls.; G.Rinaldi, BeO 10, 1968, 161). Per i nomi propri ’ceVàsà, Ja 'aèVèl, M a‘asèjà(hù), ‘“.iàjà ecc. cfr. Noth, IP 171 s.; i nomi M'sjh(w) e ‘sj/'sjhw sono attestati anche in alcuni sigilli (F.Vattioni, Bibl 50, 1969, 387s.). 2/ ‘sh « fare, agire » con 2627 attestazioni è per frequenza il terzo verbo dell’AT, dopo — 'mr « dire » e —hjh « essere ». Non manca in nessuno dei libri vtrt., tuttavia nei testi narrati vi (spec. Es 25-31.35-40) si ha una maggiore densità (vd. il quadro seguente; incl. IRe 22,49Q; Mand. riporta Es 25,24 due volte; 2Cron 33,2 è in appendice; Num 9,3a e ISam 14,32K mancano). Quasi un terzo delle 235 at testazioni del sostantivo sono al plurale. Gen Es Lev Num Deut Gios Giud 1Sani 2Sam IRe 2 Re ls (1-39) (40-55) (56-66) Ger Ez °s Gioe Am Abd Giona
qal
ni.
150 316 78
3 7 16 7 3
120
160 63 89 85 83 153 155
2
3 2
; ! 3 7
100
(52) (31) (17) 151 208 15 4
(lì ( 1)
10 _ 1
7
2 8 — — — 1 -
pu.
ma "‘sa 6
— — *
— — — — — — — — — — — — — -
40 2
4 13 1
4 4 —
13 4 27 (17) (2 ) (8 ) 14 7 2 1 1
njw; 'sh FARE, AGIRE
totale 159 363 96 13! 176 64 95 92 85 167 162 129 (70) (34) (25) 167 223 17 4 11
2 8
324
Mi Nah Ab Sof Agg Zac
Mal Sai Giob Prov Rut Cant Eccle Lam Est Dan Esd Neem 1Cron 2Cron
AT
6
2 3
—
—
2
—
—
—
8
2
—
—
1
4
—
-
-
—
—
2
4 4 4
8 8
—
—
-
8
1 1
—
—
—
—
—
—
2 108 36 34 13 4 29
1
-
14
2
—
43
12
21 10
3
~
1
-
51
39 156 2527
4
— -
-
—
3
99
5 3
—
-
39
- ■ 1
1 21 2 1 1 1 1 2 10
235
9 J49 41 37 13 5 64 2
56 25 12
56 41 169 2862
3/ L’area semantica di ‘i h è molto vasta, ed il quadro delle sfumature di senso è straordina riamente ampio. II nostro campo semantico « Fare, agire » è un equivalente col quale ci si mette quasi sempre sulla traccia giusta del con tenuto della parola ebr. e del suo contesto. I molteplici significati di 'ih si deducono dai di versi soggetti, oggetti e preposizioni con cui è costruito il verbo. La maggior parte dei passi ha come soggetto uomini (talvolta anche organi del corpo umano), gruppi di uomini o popoli. In circa un sesto delle ricorrenze si ha un chia ro uso teologico con Jahwe come soggetto. Un gruppo relativamente piccolo di passi ha sog getti vari: animali, piante, cose e termini astratti. a) Conformemente al significato fondamentale di ‘ih « fare-agire », 'ih con l’accus. indica an zitutto la fabbricazione dei più diversi oggetti, anche dell’immagine di un dio (con 'alòhim Es 32,1.23.31; Giud 18,24; con pàscei Es 20,4 = Deut 5,8; Deut 4,16.23.25; Giud 17,3s.; gli dei dei popoli 2Re 17,29ss.). Con il doppio accu sativo ‘sh ha il significato di «costruire, tra sformare», con l’accus. e il le intenzionale « produrre » (ls 44,17). In un senso alquanto più largo ‘ih può esprimere anche la prepara zione di cibi, banchetti e offerte sacrificali (Gen 18,8; 19,3; Es 10,25). A seconda dell’og getto, ‘i h riceve abbastanza spesso il significato di « acquisire » (con kàbòd « ricchezza » Gen 31,1; hàjil «ricchezza» Deut 8,17; nàfces «gente» Gen 12,5, dove proprio il legame con nàfces sottolinea che nella concezione ebraica lo schiavo era una proprietà; cfr. M.Dahood, Bibl 43, 1962, 351, per Eccle 2,8 ed il fen. p i in Kar. = KAI nr. 26, I, 6s.). Costruito con sabbàt « sabato », pàsah « pasqua », hàg « fe sta » ecc. 'sh prende il significato di « festeggia re, celebrare» (Es 12,48; 31,16), con jàrriim
325
n&V ‘ih FARE, AGIRE
quello di «trascorrere» (Eccle 6,12). È solo un problema che riguarda la traduzione nelle no stre lingue, più sfumate dell’ebr. nel rendere i vari sensi di « fare », il vedere come vanno pre cisate espressioni come ’sh con ogg. sejàrim «libri» (Eccle 12,12), milhàmà «guerra» (Gen 14,2), sàldm «pace, amicizia» (Gios 19,15), ’èbcel «lu tto » (Gen 50,10), sèm «nom e» (Gen 11,4). Nell’AT ricorre abba stanza spesso la costruzione ‘ih melàkà « la vorare, eseguire un lavoro ». La sfera delle relazioni personali e la respon sabilità dell’uomo nel suo agire e nel suo comportamento di fronte ad altri uomini e di fronte a Dio vengono espresse in molti modi con il verbo 'ih: in una interrogazione di rim provero (Gen 12,18), con una proposizione relativa (Es 24,7), con un’intera serie di nomi all’accus. e con le particelle le, ‘im, 'et, be ecc. I seguenti nomi compaiono più spesso in cop pia con 'ih (includendo anche i passi con Jah we come soggetto): ra ‘ (75x; frequente neH’espressione dtr. « fare ciò che spiace a Jahwe ») opp. rà'à « male », mispàf « giudizio » (più di 50x), hàscecl « benevolenza, grazia » (36x), jàsàr « il diritto » (34x), tòb opp. tóbà «bene» (32x), fdàqà «giustizia» (23x), miswà « comandamento » (16x), tò'èbà « orro re» (15x), hòq «statuto» (lOx, huqqà. 3x), ’“mcet « fedeltà » (7x), ràsòn « volontà », sàlòm «salute» e torà «legge» (tutti 4x). Quanto più concreto è l’oggetto, tanto più forte è la tendenza a sostituire il generico ‘ih con altri verbi (~*’hb, -»bqs, -*■gml, ->drs, -+hlk, -*‘bd, rdp «inseguire», -*sm', -*smr). In ‘sh tòb Eccle 3,12 «agire bene» si vede spesso un grecismo (eu irpÓTTEtv, così K.Budde, Megilloth, 1898, 134, e Hertzberg, KAT X V II/4 , 100); ciò vie ne contestato da R.Gordis, Koheleth, 21955, 222, con rimando a 2Sam 12,18 'sh rà'à « be miserable » (= « essere infelice »). Tuttavia questo rimando non convince, perché alla traduzione proposta da Gordis difficilmente si può dare un senso. Cfr. però an che O.Loretz, Qohelet und der Alte Orient, 1964, 47s.
Con le particelle prevale l’uso di le con o sen za un oggetto preciso « fare qualcosa a qual cuno». La particella le indica la persona ver so la quale si dirige un’azione o un comporta mento (Gen 20,9; 31,12). Più raro ma già più pregnante è l’uso di ‘im, spesso con hcésced (Gen 24,12.14; 40,14; 47,29 ecc., in tutto 24x), talvolta anche con tòb(à) (Gen 26,29; Giud 9,16; Sai 119,65) e rà‘(à) (Gen 26,29; 31,29). ‘im sottolinea la comunione che inter corre tra persone ed impegna ad un’azione corrispondente. In alcuni passi si trova anche ’èt (ISam 24,19; 2Sam 2,6; Ez 22,14, 1 ’ittàlc), be (Est 6,6) e ‘al (ISam 20,8, forse bisogna leggere 'im). Non troppo frequente è l’uso assoluto di ‘sh; 326
in questi casi significa «trattare, intervenire, com piere» (Gen 41,34; ISam 26.25: Esd 10,4), « essere attivo» (Prov 31,13), « mettersi all’opera» (lC ro n 28,10), «darsi da fare» (IR e 20,40, cfr. Montgomery, Kings 330, con tro modificazioni testuali; diversamente G.R.Driver, FS Nòtscher 1950, 55; cfr. anche Barr, CPT 246s.). b) Talvolta ‘sh viene anche detto di piante, piantagioni opp. di semi ed allora significa «far germogliare, fruttare, rendere» (frutto Gen 1,1 ls.; Is 5,2.4.10; Ger 17,8; Ez 17,23; cibo Ab 3,17; cfr. Gen 41,47; Lev 25,21), «p ro d u rre » (farina Os 8,7), anche «em ette re» (rami Ez 17,8; Giob 14,9). Più raramente il soggetto è costituito da anim ali (Deut 1,44: 2Sam 24,17). Con soggetti concreti ed astratti si hanno: ’àrces « te rra » (Gen 41,47), qàrcen « c o r n o » (Dan 8,12), ba ia r « c a rn e » (Sai 56,5), 'dsceb « id o lo » (Is 48,5), kòah « forza» (Deut 8,17), rùah «spirito; vento impetuoso» (IR e 22,22; Sai 148,8), mfsùbà «in fe d e ltà» (Ger 3,6), simhà « gioia » (Eccle 2,2). Tra i 16 passi col part. pass, degno di nota è Neem 3,16, in cui il part. assume il significa to di « fatto artificialmente » (di una piscina). c) li ni. ha sempre un significato passivo opp. è usato impersonalmente. Oltre ai casi in cui viene usato come il qal, vanno citati i seguen ti significati: materiali vengono usati opp. la vorati (Lev 7,24; 13,51; Ez 15,5). In coppia con nflàka. « opera » si esprime talvolta an che il risultato: «essere concluso, essere pron to, arrivare a com pim ento» (Neem 6,9.16). Il frutto viene prodotto (N um 6,4 della vigna). Quando si tratta di una causa giuridica ‘sh ha il senso di «doversi procedere» (Es 21,31; N um 15,11; Esd 10.3); una legge opp. una de cisione viene posta in atto (Est 9,1; Dan 11,36), una sentenza viene eseguita (Eccle 8.11). In un ambito pregiuridico 'sh può assu mere il senso di «essere consuetudine, essere usuale» (Gen 29,26). ‘sh può esprimere anche l’esaudimento di una preghiera, il compimen to di un desiderio (Giud 11,37; Est 5,6; 7,2; 9.12). Inoltre ‘Éh ni. esprime quanto corrisponde ad un’azione o ad un comportamento attivo, ed in tal senso la formulazione classica è quella dello jus talionis in Lev 24,19 (cfr. Is 3,11; Abd 15). Il significato è qui quello di « capita re » (Deut 25,9; ISam 11,7; Ger 5,13). Infine ‘sh ni. assume il sign. di «trovarsi, ac cadere» e soprattutto in testi tardivi «avveni re»: Is 46,10; Ez 12,25.28; Est 4,1; Dan 9,12; 13x in Eccle, in senso molto ampio (Eccle 1,9) con l ’espressione «sotto il sole» (8x) opp. «sotto il cielo» (1,13) opp. « su lla ter ra » (8,14.16).
327
d) Il sostantivo ma‘asà esprime l'oggetto di ‘sh, la sua esecuzione ed il risultato dell’esecu zione (cfr. G.Fohrer, Twofold Aspects of Hebrew Words, FS Thomas 1968, 101). Spec. in Es 26-30.36-39 e IR e 7 designa i più diversi lavori artigianali, ciò che si fabbrica, costruisce con un certo materiale o sostanza ed in questi casi nelle corrispondenti catene costrutte con 10 st. assol. si indica il fabbricante o con mag gior precisione ciò che viene fabbricato o, mol to più raramente, la materia. ma‘aÈcè può esprimere in tal senso ciò che viene allestito con arte (Is 3,24 acconciatura; N um 31,51) e può essere reso con un aggettivo. Con la parti cella comparativa ke, ma anche senza di essa, si forma il sign. « foggia, fattura » (con ke Es 28.8.15 ecc.; senza kf IR e 7,28, cfr. Noth, BK IX , 142). ma'aScè significa poi « la v o ro » (Gen 5,29, contrario: riposo; Es 5,4.13; G iud 19,16; Ez 46,1 j*mè hamma'asa; «giorni lavorativi»). Tenendo presente che i sostantivi ebr. sono pluridimensionali, ma,a$a significa anche ciò che si produce col lavoro (Es 23,16 il lavoro dei campi; Is 65,22; Ez 27,16.18 «prodotto»). In Ab 3,17 assume il significato di « fru tto » (questo è l’unico passo dell’A T in c\\i_ma‘a&cè è riferito ad una pianta). Inoltre ma'"sa significa in generale l’« attività », I’« opera» (Gen 46,33; 47,3) e di conseguenza, come suo effetto e risultato, il «possesso» (ISam 25,2, così K.Budde, Die Bucher Samuel, 1902, 164; Ec cle 2,4). In Sai 45,2 designa il canto del poeta. Come sostantivo verbale ma‘asx designa l’azio ne, il comportamento e l’opera dell’uomo, con una connotazione etica ed una valutazione del l’uomo. Al contrario, Fazione e l’opera di un uomo vengono con esso valutate (Ez 16,30; Ec cle 8,14). 11 ma ‘asà di un uomo corrisponde o contraddi ce a quanto ci si attende da lui dal lato etico, ossia è buono o cattivo (anche se raramente esso è unito a corrispondenti aggettivi o sostan tivi, ISam 19,4; Eccle 4,3; 8,11; Esd 9,13; Is 59,6 ma'asè ’àwcerì). L ’espressione tipicamente vtrt. ma‘aèè jàd(djim) « opera delle mani » ricorre 54x (15x per Jahwe) nel TM dell’AT. Soltanto in pochi passi l’espressione non ha un tenore teologico. L’opera delle sue (= dell’uomo) mani è oggetto della benedizione di Dio, della sua ira, della sua ricompensa. Specialmente nell’uso lingui stico dtn. e dtr. ma'asa , unito a jàd « m a n o » o a hàras « artigiano » - e ancor più rafforzato nell’espressione ma'a§è j ede ’àdàm opp. hàras - viene usato nella polemica contro gli idoli ed esprime con disprezzo la nullità degli dei paga ni e delle loro immagini: « spregevole opera di mani d’u om o» (Deut 4,28; 27,15; 2Rc 19,18 = Is 37,19; Ger 10,3; Sai 115,4; 135,15; 2Cron 32,19; cfr. Is 2,8; Ger 1,16; 25,6.7; 44,8; Os 14,4; M i 5,12). Essi sono opera ridicola (Ger 10.15 = 51,18), le loro azioni sono nulle (Is
nfeW ‘sh FARE, AGIRE
328
41,29, soltanto qui si parla dei m a ‘asìm degli dei). L ’Ecclesiaste cerca scetticamente il senso dell’agire umano, ed anzi essenzialmente il signifi cato di ciò che avviene sotto il sole. Perciò m a'as& in alcuni passi soprattutto se unito a ‘sh ni., assume il sign. di « c iò che accade» (Eccle 1,14; 2,17; 4,3; 8,9.17). 4/ a) Un uso implicitamente teologico si ha quando l’azione delPuomo è un’azione coman data o proibita da Dio. La costruzione dell’ar ca (Gen 6,14.22) e del tabernacolo (Es 25,8), l’esecuzione delle leggi dei sacrifici (Lev 4,20), dei riti (Lev 8,34) e degli ordinamenti cultuali (Num 1,54; 8,7) sono azioni comandate, il fare un idolo (Es 20,4) è un’azione proibita. Jahwe ordina di osservare la —berìt e di obbedire alle dieci « p a ro le » (Deut 4,13 debarimi), ai suoi comandamenti (Deut 28,1) e ai suoi precetti (Deut 28,15), alla torà (Deut 28,58), e di fare la sua volontà (cfr. Sai 143,10). Jahwe coman da mispat « d iritto » (Mi 6,8) e fd à q à «giusti z ia » (Gen 18,19), hdcsced « b o n tà » e raham ìm « misericordia » (Zac 7,9), di fare ciò che è ret to (IR e 11,33) e buono (Deut 6,18). L ’agire deH’uomo sottosta al giudizio di Dio, è valuta to be‘ènè Jhwh ( — ‘àjin 3c.4a). N ell’A T l’e spressione bl"èné Jhwh opp. « ai miei/tuoi/suoi occhi» ricorre più di lOOx unita a ‘sh, preva lentemente nel linguaggio dtn. e dtr. A ll’azione (m a