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Italian Pages 280 Year 2014
D1scoRs0 \ SULLA DIGNHA DELLUQMQ A cum di Francesco Bami
F dazione Pietro Bembo / Ugo Guanda Ed
BIBLIOTECA DI SCRITTORI ITALIANI
diretta da Dante Isella e Giovanni Pozzi
Collezione già diretta da
Dante Isella, Giorgio Manganelli, Giovanni Pozzi
Questo volume è stato pubblicato con il contributo della FONDAZIONE CARIPLO
Coordinazione redazionale: Luca Carlo Rossi
Redazione: Luca Carlo Rossi, Davide Profumo
ISBN 978-88-8246-455-4 © 2003 Fondazione Pietro Bembo Seconda edizione marzo 2007
Terza edizione aprile 2014
GIOVANNI PICC) DELLA MIRANDQLA
Dlsconso \ SULLA DIGNITA DELL*uoMo A cum di Fmncesfo Bmw'
Fd
Pfßmø/Ugc; 454
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La fortuna e la fama di Pico in età moderna riposano in gran parte sulla cosiddetta Oratío de /øomims dz'gmìfate, che - tra le opere del Mirandolano - è di gran lunga Ia più letta, studiata e tradotta; in definitiva,
l'unica (accanto alla grande epistola a Ermolao Barbaro sullo stile del discorso filosofico) capace di imporsi anche al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti. Destino invero singolare, questo, per uno scritto cui, a quanto si può capire, Pico non doveva attribuire un rilievo paragonabile a quello di altre sue opere di ben maggiore impegno e respiro, quali Iifieptaplus, il Commento az' Salmi, il De ente et uno e
le Dz'sputatz`one.r adversus astrologíam dz'z›z'mztrz'cem. L'Omtío venne stesa tra la fine del 1486 e l'inizio del 1487 perché fungesse da solenne prolusione alla disputa romana che, progettata dallo stesso Pico per il gennaio 1487, avrebbe dovuto sottoporre aIl'esame di un ampio consesso di dotti le novecento tesi filosofiche redatte per I'occasione dal Mirandolanoz ma il fallimento deII”ambizioso disegno (determinato dalla decisa opposizione di teologi e uomini di Chiesa, e daII'intervento del papa Innocenzo VIII) travolse anche l'orazione, che Pico - dopo averne riutilizzata Ia seconda parte nel proemio deII`/lpologia, composta nella primavera del 1487 per difendere le tredici tesi messe sotto accusa dalla commissione pontificia -
non volle né pubblicare, né altrimenti divulgare. La circolazione deII'operetta, infatti, sembra essere stata molto limitata, e non oltrepassò, verosimilmente, la
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cerchia dei più stretti amici delI”autore:1 i contemporanei di Pico non la citano (ad eccezione del Polizia-
no, che la ricorda nella prima centuria dei Miscellanea, del 1489)2 e non la copiano (ad eccezione di Giovanni Nesi, trascrittore di una precedente redazione dell'Oratz'o);3 lo stesso Pico, alI'umanista bolognese Filippo Beroaldo il Vecchio - che nel 1491 gli
aveva richiesto l'invio di alcune sue opere - si limitò a spedirgli le due epistole al Barbaro (1485) e a Lorenzo de' Medici (1486), che già allora andavano affermandosi come gli scritti pichiani più noti e diffusi. Non solo: quando, appena giunto a Roma, nel dicembre 1487 Pico fece stampare le sue novecento
' Così afferma anche il nipote Giovan Francesco, presentando il testo dell”Oratz'o all'interno della stampa da lui curata delle opere di Pico (Cofnmenlalíoncr, Bologna, Benedetto Faelli, 1496): «hanc
domi semper tenuerit, nec nisi amicis comunem fccerit›› (citato in Discorso .tulla dígnílà dcll'u0mo, a cura di G. TOGNON, prefazione di E. GARIN, Brescia, Editrice La Scuola, 1987, p. 1).
2 L'Orazi0 è ricordata dal Poliziano in chiusura del primo capitolo dei primi Miscellanea, a proposito dell'accordo tra la filosofia di Platone e quella di Aristotele: «quod et Picus hic Mirandula meus in quaclam .tuarum dz'.t]›utatz`0nu/n praefatzbne tractavit» (Opera omnia, p. 227). I Di mano del Nesi (come segnalato da B/\(I(1I IELLI, Gz'oz/anm'P1'-
co, p. 56) è infatti la copia dell`Oratz`0 contenuta nel ms. Palatino 885 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, che ospita una redazione anteriore a quella definitiva (cfr. qui la Nola al te_vl0): lo conferma senza ombra di dubbio il confronto con altri mss. autografi del
medesimo Nesi, come il 384 e il 2962 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, contenenti rispettivamente l”Oraculufn de novo saeculo e le rime. Sul Nesi (145 6-dopo il 1522) cfr. VASOLI, Giovanni Nesi. Va ri-
cordato che l'Oraculum de novo saecalo (datato settembre 1496, uscito a stampa nel maggio 1497 e parzialmente edito ibid., pp. 1 1o28) introduce Pico quale «apologista del Savonarola e annunziatore
del mirabile destino di Firenze, della Cristianità e di tutto il genere umano›› (z`bid., p. 54), ed è ricco di reminiscenze pichiane (dall'Oratio e, soprattutto, dall'epístola a Ermolao Barbaro del 1485).
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Conclusione: (sulle quali avrebbe dovuto vertere la pubblica discussione organizzata per il mese successivo), egli non si curò di farle precedere dall”Oratz'0, alla quale, evidentemente, non annetteva una specifica e particolare valenza teorica, ma solo una retorica funzione introduttiva, secondo le regole e le consue-
tudini delle prolasíones solitamente scritte e pronunciate in simili circostanze. L`orazione, insomma, non avrebbe dovuto essere oggetto di dibattito: e infatti,
né su di essa si concentrò in alcun modo l'interesse dei membri della commissione d'inchiesta istituita
dal papa (ai quali, con ogni probabilità, il testo rimase sconosciuto), né Pico la chiamò mai in causa quando, per difendersi dalle accuse rivoltegli, stese la sua
densa e agguerritissima /lpología. All›interno della quale, per di più, egli recuperò, come si diceva, solo la seconda parte dell'Oratz'0 (quella, appunto, pole-
mica e apologetica), trascurando completamente la prima, quella incentrata sull'esaltazione della dignità e della libertà umana che tanto ha entusiasmato i moderni interpreti. Solo due anni dopo la morte di Pico, nel 1496, l'orazione vide la luce, all'interno della silloge delle opere pichiane curata e pubblicata a Bologna dal nipote Giovan Francesco; il quale le impose l'anodino titolo di Oralio quaedafn clcgantz'ssz'fna, e la
inserì, insieme alle epistole, fra gli scritti prettamente letterari e filosoficamente meno impegnati di Pico («lucubrationes levioris curae opera››), assegnandone la stesura - e quella, connessa, delle novecento tesi all'età giovanile, dominata, a suo dire, da quel gusto della disputa che presto avrebbe lasciato il posto a studi più approfonditi e a opere più meditatef' I Da ricordare anche il giudizio che, nella Vita dello zio, lo stesso Giovan Francesco dà dell'Oratz'o, prcscntandola come un testo
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Questi meri ma pur significativi dati di fatto già
dovrebbero, anche a prescindere da ogni altra considerazione, mettere in guardia contro le interpretazioni indebitamente modernizzanti e attualizzanti cui l'Oratio è stata più volte sottoposta nel diciannovesimo e nel ventesimo secolof da parte di chi ha voluto fare di questo testo ora il manifesto del Rinascimento,
ora l`atto di nascita di una moderna (ossia laica e immanentistica) concezione dell'uomo, ora il punto di partenza della rivoluzione scientifica di Copernico, Keplero e Newton, ora la prima espressione di una
concezione pluralistica della cultura, ora - nientemeno - l'anticipazione della critica marxista o delliesistenzialismo sartriano. Certo, dopo studi fondamen-
«quae non tam iuvenis, quartum et vicesimum annum nondum nati, perspicacissimum ingenium et doctrinam uberrimam redolet (quod et cunctae ipsius scriptiones faciunt), quam fertilissimae ipsius eloquentiae locupletissimum nobis testimonium praebet›› (z'l›z'd., p. 54). 5 Particolare fortuna ebbe l'Oratío, soprattutto, negli anni tra le due guerre mondiali, quando una risonanza tutta speciale acquistavano, naturalmente, i temi della dignità e della libertà umana: cfr. C. C/\RIìNA, ll .tignzficam a'ell'0razi0nz' .falla dignità clell'a0mo, introduzione a De hoininir dignilate. La dignzhì dell'u0m0, a cura di C. CAREN/\ e V. BR/\N(I/\, Milano, Silvio Berlusconi Editore, 1995, p. XXIX; e E. GARIN, Introduzione a Oratio dc /pomini; dignitale, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994, p. XXIII; II)., Prolurione, pp. XLV e LI («Fra il 1936 e il 1942 escono in Italia due edizioni complete c una parziale del testo latino della Oratio sull`uomo, tutte con traduzione a fronte, due traduzioni inglesi e una tedesca, per non dire delle edizioni e traduzioni che si affollano negli anni successivi. E questo dopo un`assenza secolare. E difficile non ricordare che sono gli anni del trionfante razzismo nazista e fascista, della seconda guerra mondiale e delle sue conseguenze. Sarà stata un`illusione di spiriti ingenui, come dicono avvertiti critici d'oggi. Allora colpì quell'impetuosa difesa dell`uomo come punto di asso-
luta libertà, quella volontà di pace universale, quella fede nei valori della cultura, quella sdegnosa condanna di ogni mistificazione retorica››).
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tali come quelli di Di Napoli, De Lubac, Craven, Roulier e Reinhardt (per citare soltanto i maggiori), appare chiaro che le gracili spalle di un testo come l'Oratz'o mal sopportano simili oneri; e che la fortuna moderna dell'orazione, nonché il successo riscosso dalle sue interpretazioni più arditamente attualizzanti, si devono in buona parte (ma in modo del tutto
improprio, visto che - ripeto - l'Oratio non venne colpita dalla censura della commissione pontificia, né anzi fu mai oggetto di discussione) all'aspro contrasto che oppose Pico alle autorità ecclesiastiche, facendone agli occhi di alcuni tra i moderni il «primo di tanti
campioni del laicismo e del progresso, vittima della libertà di pensiero e di espressione>›.(° Per accostarci a una considerazione storica dell'0-
ratio bisogna in primo luogo tenere presenti le sue vicende redazionali ela sua destinazione originaria. Come si diceva, il testo fu concepito da Pico per essere recitato in apertura della disputa filosofico-teologica da lui organizzata a Roma per l°inizio del 1487, e appartiene al fortunato genere umanistico della prolusione, solitamente strutturata in due parti: la prima di carattere generale (imperniata su un tema di ampio respiro scelto dallloratore), la seconda più specifica-
mente dedicata a illustrare le finalità, il metodo e l'argomento del corso universitario o della discussione pubblica che ci si accingeva a inaugurare.7 Il testo del-
I* Sono parole di CARENA, Ilsignzfieato dellbrazione, Cit., p. XXVIII. 7 Cfr. KRlS'I`I;LLIiII, Sources, pp. 52-53; DE LUBAC, Pico, p. 49; CRAVEN, Un caro, pp. 82-83. In generale sulla prolusione umanistica cfr. SABBADINI, Il metodo, pp. 35-38; FLIIA, Prolzlemz', pp. 53638. Significative, sotto questo aspetto, sono ad esempio le prolusioni redatte dall'umanista fiorentino Bartolomeo Fonzio per i corsi da lui tenuti presso lo Studio fiorentino negli anni ”8o del Quattrocento (cfr. al riguardo TRINKAUS, /l Ilumanirtfv Image).
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l'orazione che oggi noi leggiamo si conforma solo parzialmente a questo schema, giacché Pico, arrivato a Roma alla fine di novembre del 1486, decise nelle settimane seguenti di aggiungere alla primitiva e già conclusa stesura dell'Oratío (passata anch°essa almeno attraverso due fasi redazionali) una lunga appendice tale da costituire circa la metà del testo attuale, e corrispondente ai §§ 143-268 della presente edizione -
per replicare alle critiche prontamente mossegli da alcuni suoi avversari: occuparsi di filosofia, aver organizzato una disputa filosofica pubblica, essere troppo giovane per un'impresa tanto ardua, aver proposto alla discussione un numero eccessivo di tesi.8 L°inserimento di questa sezione - che, come già abbiamo detto, venne poi inclusa da Pico, con poche modifiche,
nella parte iniziale dell'/lpologia - alterò sensibilmente lo studiato equilibrio e il compatto impianto originario dell'operetta, snaturandone la struttura di prolusione divisa in due parti: una prima, più ampia, dedicata alla proclamazione della dignitar bofninir e alle lodi della filosofia (§§ 1-1 Io della redazione palatina, trasmessa dal già ricordato ms. Palatino 885 della Bi-
blioteca Nazionale Centrale di Firenze e corrispondente a una fase anteriore a quella definitiva); una seconda, più breve (§§ 111-134 della medesima redazione), occupata da una sintetica esposizione del criterio seguito da Pico per stendere le tesi sottoposte alla discussione (spaziare per tutti i pensatori e per tutte le scuole filosofiche) e dell'obiettivo da lui assegnato alla disputa (avvicinarsi alla verità attraverso il confronto e lo scontro, anche aspro, delle opinioni).
8 Per la storia redazionale dell`Oratz'o cfr. qui la Nota al texto, pp. 176-81.
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Ricondurre l'Oratz'o al suo primitivo genere di appartenenza (la prolusione umanistica) non significa ridimensionarne l'importanza, né ridurla, come talora è stato fatto, ad una semplice e vuota esercitazione retorica; ma consente di evidenziarne quel carattere occasionale che agli occhi di Pico - evidentemente essa non cessò mai di avere, tanto da rimanere per sempre chiusa nel suo cassetto una volta tramontato il progetto della disputa romana. A questo progetto, in effetti, l'orazione è inscindibilmente legata: da ciò derivano le sue peculiari caratteristiche, che non sono quelle di un trattato filosofico, ma piuttosto quelle di
un discorso eloquente e solenne, in cui lo svolgimento del pensiero è affidato a una forma letterariamente
e stilisticamente accattivante, ad un”esposizione più brillantemente poetica che teoricamente rigorosa e
serrata. L'Oratz'0, insomma, non è (e non era per il suo autore) un testo dotato di una propria autonomia teorica; è un testo pensato per la pubblica recitazione, in un°occasione di particolare solennità, che per Pico avrebbe dovuto tradursi anche nella consacrazione ufficiale della sua prodigiosa competenza letteraria, filosofica e teologica. Di qui l`esordio immaginifico dell'orazione (con le parole di Dio ad Adamo, e la singolare, ardita rivisitazione della scena iniziale del Genesi), di qui la densa elaborazione stilistica e retorica del dettato, di qui il ricchissimo apparato di fonti dispiegato nel corso dell'operetta. Ma altro è
apprezzare questi aspetti, altro è sopravvalutare -trascinati dallI«alato messaggio››9 di Pico - la portata e la novità filosofica dell'Oralz'o. Come è noto, il titolo Oratio de /ao/ninir dignitate
9 La definizione è del DI NAPOLI, Giovanni Pico, p. 292.
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non è originale, e compare perla prima volta nell”edizione di Strasburgo del 1504.10 Esso, per di più, non corrisponde esattamente al contenuto dell'intera operetta, ma solo a quello della sua parte iniziale (§§ 1-5o della redazione definitiva), in cui Pico esalta la libertà delliuomo come possibilità, concessagli da Dio, di plasmare autonomamente la propria natura e il proprio destino;“ il resto dell`orazione sviluppa invece l'elogio della filosofia (§§ 51-142), per poi lasciare spazio all'autodifesa dalle accuse dei detrattori, all'interno della quale vennero inseriti, con qualche modifica, anche i passi che nella stesura originaria illustravano i modi e i fini della disputa. E proprio la parte iniziale quella che ha attirato maggiormente l'atten-
'° Cfr. ancora la Nota al testo, p. 174. " Ciò non toglie che il tema della digní/ai /aominix rivesta una notevole importanza nella riflessione di Pico, e torni più volte nei suoi scritti, dall'Heptaplux (IV 5; V 6-7; VII prooemium, p. 332: «Audiamus igitur sacros theologos dignitatis nostrae nos admonentes››) al Commento aiSal/ni (cfr. ad esempio p. 74: