Diritto Processuale Civile Procedura Civile III [PDF]

Diritto processuale civile Processo di esecuzione e procedimenti speciali IL PROCESSO ESECUTIVO MODULO 1 L’ESECUZIONE F

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Diritto processuale civile Processo di esecuzione e procedimenti speciali

IL PROCESSO ESECUTIVO MODULO 1 L’ESECUZIONE FORZATA IN GENERALE

UNITÀ DIDATTICA 1- NATURA GIURISDIZIONALE DELL’ESECUZIONE FORZATA Quando al termine di un processo il giudice riconosce l’esistenza di un diritto, la parte vittoriosa spesso non vede comunque soddisfatta la sua pretesa perché il debitore non adempie spontaneamente. In questi casi occorre iniziare un secondo processo finalizzato alla soddisfazione coattiva del creditore: un processo di esecuzione forzata. L’esecuzione forzata si articola in due tipi di procedimenti: quelli di espropriazione forzata e quelli di esecuzione forzata in forma specifica. Per entrambi è necessario che il diritto fatto valere sia contenuto in un documento tipico (per esempio una sentenza), definito titolo esecutivo. Dal momento che il processo esecutivo, a differenza di quello di cognizione, mira 1

all’aggressione concreta dei beni del debitore e non all’accertamento di un diritto, si è dubitato della sua natura giurisdizionale. Si sottolineava soprattutto come il processo di cognizione fosse la sede in cui accertare la sussistenza e la fondatezza di un diritto sostanziale e dunque precedesse in ordine di tempo il processo esecutivo, concepito come un insieme di attività pratiche ed operative giustificate da un titolo esecutivo. Le discussioni fatte in passato oggi sono state in larga parte superate: oltre alla considerazione che non sempre la fase di cognizione precede quella esecutiva 1, è stato infatti chiarito che quello esecutivo deve essere considerato a tutti gli effetti un processo, anche se indubbiamente si svolge in maniera diversa. Tanto è vero che anche qui si ritrovano le caratteristiche proprie dei procedimenti a carattere giurisdizionale: vengono rispettate le fondamentali garanzie costituzionali (ad esempio l’art. 24 Cost.) ed i principi del processo civile (pensiamo al principio della domanda ed al principio del contraddittorio), il giudice emana provvedimenti formali ai quali le parti si possono opporre, insomma al pari del processo di cognizione anche quello di esecuzione realizza una funzione di tutela giurisdizionale2. Per quanto riguarda in particolare la garanzia del contraddittorio, l’art. 485 c.p.c. prevede espressamente che il giudice dell’esecuzione provveda a sentire gli interessati in apposita udienza qualora sia necessario, a dimostrazione dell’applicabilità del principio fissato dall’art. 101 c.p.c. anche in questo tipo di processo3. L’art. 485 c.p.c. si riferisce alle parti e ad altri interessati: nel processo esecutivo si considerano parti i creditori (sia il creditore pignorante o procedente, quello cioè che dà inizio al processo esecutivo, che gli altri intervenuti successivamente) ed il debitore, mentre sono ad esempio soggetti interessati i comproprietari di un bene indiviso, il custode ed i creditori iscritti4 non intervenuti. A ben vedere, poi, anche il giudice dell’esecuzione esercita un’attività di cognizione, tutte le volte che bisogna accertare la sussistenza dei presupposti indispensabili all’emanazione di un determinato provvedimento esecutivo. .

UNITÀ DIDATTICA 2- GLI ORGANI DELL’ESECUZIONE Il processo di esecuzione forzata (o esecutivo) si svolge, al pari di quello di cognizione, sotto la direzione di un giudice. In questo senso, l’art. 484 c.p.c. dispone: «L’espropriazione è diretta da un giudice. La nomina del giudice dell’esecuzione è fatta dal presidente del tribunale, su presentazione a cura del cancelliere del fascicolo entro due giorni dalla sua formazione. 1

Ciò accade per esempio quando il titolo esecutivo è di formazione negoziale e non giudiziale: pensiamo ad una cambiale, in forza della quale si può direttamente iniziare un’esecuzione forzata. 2 Tale è anche l’orientamento della Corte europea dei diritti dell’Uomo, la quale si è più volte pronunciata nel senso che sia il processo di cognizione che il processo di esecuzione mirano alla realizzazione effettiva dei diritti ed hanno carattere giurisdizionale. 3 Art. 485 c.p.c.: «Quando la legge richiede o il giudice ritiene necessario che le parti ed eventualmente altri interessati siano sentiti, il giudice stesso fissa con decreto l’udienza alla quale il creditore pignorante, i creditori intervenuti, il debitore ed eventualmente gli altri interessati debbono comparire davanti a lui. Il decreto è comunicato dal cancelliere. Se risulta o appare probabile che alcuna delle parti non sia comparsa per cause indipendenti dalla sua volontà, il giudice dell’esecuzione fissa una nuova udienza della quale il cancelliere dà comunicazione alla parte non comparsa». 4 I creditori iscritti sono quelli assistiti da una causa legittima di prelazione (pegno, ipoteca, privilegio). 2

Si applicano al giudice dell’esecuzione le disposizioni degli articoli 174 e 175»5. Il giudice dell’esecuzione è dunque l’organo preposto ad assicurare il regolare svolgimento della procedura esecutiva; esso non può mai essere il giudice di pace, competente solo per i processi di cognizione. Fino alla designazione del giudice dell’esecuzione, ogni istanza va proposta al presidente del tribunale competente6. Le domande e le istanze presentate al giudice dell’esecuzione si propongono, salvo che la legge disponga altrimenti, oralmente se in udienza, e con ricorso depositato in cancelleria negli altri casi (art. 486 c.p.c.). Il giudice dell’esecuzione, anche qui salvo che la legge disponga altrimenti, decide con ordinanza, modificabile e revocabile finché non abbia avuto esecuzione (art. 487 c.p.c.); la norma richiama in quanto applicabile la disciplina generale delle ordinanze. Altro organo dell’esecuzione è il cancelliere, che svolge tuttavia funzioni limitate: forma ad esempio il fascicolo dell’esecuzione (art. 488 c.p.c.) e rilascia copie in forma esecutiva degli atti. Il vero protagonista dei procedimenti di esecuzione forzata è però l’ufficiale giudiziario: soprattutto nei procedimenti di esecuzione forzata in forma specifica, infatti, se non è richiesto l’intervento del giudice dell’esecuzione è l’ufficiale giudiziario a procedere. Inoltre egli, su richiesta del creditore procedente, notifica titolo esecutivo e precetto e compie il pignoramento (l’atto con cui inizia l’espropriazione forzata).

UNITÀ DIDATTICA 3- IL TITOLO ESECUTIVO Per esercitare l’azione esecutiva è assolutamente necessario che il diritto per cui si procede risulti consacrato in un documento, il titolo esecutivo; da esso si deduce che l’azione esecutiva spetta al soggetto identificato come creditore nel titolo stesso nei confronti di colui che dal documento risulta essere il debitore, senza bisogno di ulteriori accertamenti. Il primo comma dell’art. 474 c.p.c. stabilisce che «L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile». E’, questo, il principio della nulla executio sine titulo: non si può dunque procedere ad una esecuzione forzata se non si è in possesso di un titolo esecutivo. Non basta: occorre anche che il diritto accertato nel documento sia certo (vale a dire non controverso nella sua esistenza), liquido (determinato nel suo ammontare) ed esigibile (non sottoposto cioè a condizione sospensiva né a termine). Il titolo esecutivo consente di svincolare l’esercizio dell’azione esecutiva dalla prova del fatto che ha portato alla formazione del titolo stesso, a differenza di quello che accade nel processo di cognizione, dove è invece necessario provare il diritto per cui si agisce. Il fatto di non dover dimostrare l’attuale esistenza del proprio diritto consente di qualificare l’azione esecutiva come un’azione astratta; sarà il soggetto passivo dell’esecuzione a dover provare opponendosi all’esecuzione eventuali fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto che si siano 5

Come sottolineano G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 20, nell’ambito dell’esecuzione forzata solo l’espropriazione è organizzata come un processo davanti ad un giudice articolato in diverse fasi. Nell’esecuzione in forma specifica, invece, in particolare in quella per consegna o rilascio, l’intervento del giudice è meramente eventuale (se sorgono contestazioni), potendo seguire tutta la procedura l’ufficiale giudiziario. 6 Il foro competente per l’esecuzione forzata è determinato in base all’art. 26 c.p.c.: per i beni mobili e immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano; per l’espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore; per l’esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto. Si tratta in tutti i casi di una competenza per territorio inderogabile. 3

verificati in un momento successivo rispetto alla formazione del titolo. Il titolo esecutivo rappresenta un atto preliminare rispetto all’instaurazione di un processo di esecuzione forzata, anche se è funzionale ad esso. Sono titoli esecutivi idonei quelli previsti dal secondo comma dell’art. 474 c.p.c., modificato dalla legge n. 263/2005, nello specifico: 1)

le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (cosiddetti titoli giudiziali);

2)

le scritture private autenticate7, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia (titoli stragiudiziali);

3)

gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli (titoli stragiudiziali).

La legge n. 263/2005 ha aggiunto un terzo comma all’art. 474 c.p.c.: «L'esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del secondo comma. Il precetto deve contenere trascrizione integrale, ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, delle scritture private autenticate di cui al numero 2) del secondo comma». La disposizione chiarisce che per i titoli previsti dal n. 2 del secondo comma dell’art. 474 c.p.c. sono possibili soltanto l’espropriazione forzata e l’esecuzione di obblighi di fare e non fare. I titoli esecutivi si distinguono in due grandi categorie: giudiziali e stragiudiziali, entrambe non omogenee in quanto comprendono atti di natura molto diversa tra loro. I titoli giudiziali sono quelli che si formano nel corso di un processo (pensiamo alle sentenze ed alle ordinanze decisorie), quelli stragiudiziali invece hanno origine al di fuori e indipendentemente da esso (per esempio le cambiali)8. I titoli di formazione giudiziale e gli atti ricevuti da un notaio o da un pubblico ufficiale necessitano, per valere come titoli esecutivi, dell’apposizione della formula esecutiva 9. Ad essa fa riferimento il primo comma dell’art. 475 c.p.c.: «Le sentenze e gli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l’esecuzione forzata debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che la legge disponga altrimenti». La formula esecutiva viene apposta dal cancelliere per i titoli giudiziali e dal notaio o pubblico ufficiale per quelli stragiudiziali, non sull’originale ma su una copia conforme dell’atto. La sua funzione è quella di individuare quale tra le varie copie sarà utilizzata per l’esecuzione forzata; la formula è la seguente: «Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti» (art. 475 c.p.c. ultimo comma). Un titolo esecutivo non è efficace soltanto contro il soggetto indicato nel documento, ma anche 7

La scrittura privata autenticata è una dichiarazione per la quale un notaio oppure un pubblico ufficiale autorizzato attesta che la sottoscrizione è avvenuta in sua presenza previo accertamento dell’identità della persona che sottoscrive. 8 Data la disomogeneità interna della categoria sia dei titoli giudiziali che stragiudiziali, il Verde propone una ripartizione diversa fra titoli di formazione giudiziale, notarile ed amministrativa (la cui efficacia esecutiva è subordinata all’apposizione della formula esecutiva), e titoli di formazione negoziale, che valgono come titoli esecutivi senza bisogno dell’apposizione della relativa formula. Cfr. G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 41. 9 La mancanza o l’irregolarità di tale formula legittimano l’opposizione agli atti esecutivi. 4

nei confronti dei suoi eredi (successione dunque dal lato passivo). Il fenomeno è regolato dall’art. 477 c.p.c.: «Il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi, ma si può loro notificare il precetto soltanto dopo dieci giorni dalla notificazione del titolo. Entro un anno dalla morte, la notificazione può farsi agli eredi collettivamente e impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto». La disposizione si applica qualora la morte sia avvenuta dopo la formazione del titolo esecutivo, e deve essere riferita non solo alle persone fisiche ma anche alle persone giuridiche. In pratica l’art. 477 c.p.c. amplia la portata soggettiva del titolo esecutivo, consentendo di esercitare l’azione esecutiva contro gli eredi del defunto. Oltre ad una successione dal lato passivo, è altresì possibile una successione dal lato attivo, prevista dal secondo comma dell’art. 475 c.p.c.: viene qui consentito che la spedizione in forma esecutiva avvenga a favore del successore del soggetto attivo indicato nel titolo. UNITÀ DIDATTICA 4- IL PRECETTO Al pari del titolo esecutivo, anche il precetto costituisce un atto preliminare o prodromico rispetto all’instaurazione di un processo di esecuzione forzata. L’art. 480 c.p.c. stabilisce al primo comma: «Il precetto consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di dieci giorni, salva l’autorizzazione di cui all’art. 482, con l’avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata». Già da questa disposizione si ricava che il precetto sta al di fuori del processo esecutivo, infatti contiene l’avvertimento che in mancanza di adempimento nel termine previsto si procederà (in un momento successivo dunque) ad esecuzione forzata (a meno che non sia stata autorizzata l’esecuzione immediata); l’omissione dell’avvertimento non determina comunque nullità del precetto. L’intimazione ad adempiere costituisce sicuramente l’elemento più importante dell’atto di precetto, ma non è l’unico. Sempre ai sensi dell’art. 480 c.p.c., infatti, il precetto deve contenere anche: 1. a pena di nullità l’indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo se questa è fatta separatamente, o la trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge10; 2. la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso. La possibilità di effettuare le notificazioni presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione indica che la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio non sono previste a pena di nullità. Il precetto deve infine essere sottoscritto a norma dell’art. 125 c.p.c. e notificato alla parte personalmente a norma degli artt. 137 e seguenti (ultimo comma dell’art. 480 c.p.c.). La notifica del precetto interrompe la prescrizione del diritto. A proposito della natura di quest’atto, possiamo dire innanzitutto che il precetto svolge una fondamentale funzione di raccordo tra il titolo esecutivo (che ne rappresenta il presupposto) e il processo di esecuzione forzata che eventualmente segue. Esso individua l’oggetto della prestazione dovuta, ma l’intimazione non può superare in valore 10

La trascrizione integrale del titolo è ad esempio richiesta dalle leggi speciali sulla cambiale e sull’assegno. 5

quanto già contenuto nel titolo esecutivo (se per esempio quest’ultimo stabilisce che il debitore deve pagare 100, il precetto potrà essere intimato per una somma inferiore, ma non per una superiore). Abbiamo detto che il precetto è un atto preliminare al processo esecutivo, perciò sta al di fuori di esso. Bene, tale natura stragiudiziale è stata molto discussa: infatti contro il precetto è possibile proporre l’opposizione agli atti esecutivi, esperibile di regola quando l’esecuzione è già iniziata; se il precetto fosse un mero atto stragiudiziale dovrebbe essere soggetto esclusivamente alle impugnative negoziali. Come risolvere questa incongruenza? L’unico modo è di considerare il precetto un atto che ha natura mista, dal momento che presenta sia caratteristiche di un atto negoziale che aspetti propri di un atto processuale, pur non potendo essere considerato atto introduttivo dell’esecuzione forzata. L’art. 481 c.p.c. stabilisce che il precetto ha un’efficacia di novanta giorni dalla notifica: se entro tale termine non viene iniziata l’esecuzione11 il precetto diviene appunto inefficace. Questo non significa però che il creditore perda la possibilità di instaurare il processo esecutivo; il precetto infatti può essere rinnovato sulla base dello stesso titolo esecutivo utilizzato in precedenza12. Il termine acceleratorio di novanta giorni da un lato funge da stimolo per il creditore ad attivarsi al più presto, dall’altro garantisce al debitore di essere avvertito tempestivamente dell’esecuzione, senza che il creditore possa iniziare il processo esecutivo dopo mesi o magari anni dalla notifica del precetto. Non sempre occorre aspettare il termine indicato nel precetto (e in ogni caso dieci giorni dalla sua notificazione) per poter iniziare l’esecuzione forzata; l’art. 482 c.p.c., infatti, dà al giudice dell’esecuzione il potere di autorizzare, se vi è pericolo nel ritardo, l’esecuzione immediata, con cauzione o senza13. Pensiamo per esempio all’ipotesi in cui l’obbligazione del debitore abbia ad oggetto un bene mobile (un televisore, un quadro di valore e così via): qui sarebbe molto facile per il debitore far sparire l’oggetto dell’obbligazione e pregiudicare così il diritto del creditore, ragion per cui l’avente diritto chiederà l’autorizzazione a procedere con l’esecuzione subito dopo la notifica del precetto. A seguito della notifica del precetto, il debitore potrà evitare l’esecuzione forzata adempiendo spontaneamente all’obbligo accertato nel titolo, oppure potrà proporre opposizione a precetto. Tale opposizione potrà riguardare ragioni di merito (e avremo allora un’opposizione all’esecuzione, art. 615 c.p.c.), oppure motivi formali (opposizione in questo caso agli atti esecutivi, art. 617 c.p.c.).

UNITA’ DIDATTICA 5 – NOTIFICAZIONE DI TITOLO ESECUTIVO E PRECETTO Prima di iniziare un processo di esecuzione forzata è indispensabile far notificare al soggetto passivo dell’esecuzione sia il titolo esecutivo che il precetto. 11

L’atto introduttivo di un processo di esecuzione forzata varia a seconda che si tratti di un procedimento di espropriazione (pignoramento) oppure di esecuzione forzata in forma specifica. 12 L’art. 481 c.p.c. dispone anche che se contro il precetto viene proposta opposizione, il termine di novanta giorni resta sospeso e riprende a decorrere a norma dell’art. 627 c.p.c. 13 L’autorizzazione è data con decreto in calce al precetto e trascritto a cura dell’ufficiale giudiziario nella copia da notificare al debitore. 6

Tale necessità è espressamente prevista dall’art. 479 c.p.c., modificato dalla legge n. 80/2005 e dalla legge n. 51/2006: «Se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto. La notificazione del titolo esecutivo deve essere fatta alla parte personalmente a norma degli artt. 137 ss. Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta alla parte personalmente». La nuova formulazione dell’art. 479 c.p.c. ha eliminato la possibilità di notificare il titolo esecutivo quando questo fosse costituito da una sentenza direttamente al procuratore costituito; oggi, perciò, la notifica va sempre fatta alla parte personalmente. Titolo esecutivo e precetto possono essere notificati insieme oppure separatamente: in questa seconda ipotesi, però, la notifica del titolo deve precedere di almeno dieci giorni quella del precetto14. La funzione di tale notificazione è duplice: da un lato si dà un’ultima possibilità al debitore di adempiere spontaneamente prima che si proceda con l’esecuzione coattiva; dall’altro si dà modo al soggetto passivo di contestare l’esecuzione prima ancora dell’inizio del processo vero e proprio (mediante opposizione all’esecuzione)15.

BIBLIOGRAFIA MODULO 1- L’ESECUZIONE FORZATA IN GENERALE

DE STEFANO F., Il nuovo processo di esecuzione. Le novità della riforma: L. 28 dicembre 2005, n. 263, L. 24 febbraio 2006, n. 52, 2ª ed., Firenze, Ipsoa, 2006. MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, 14

Quando l’esecuzione forzata è fondata su cambiali o assegni bancari non si procede alla preventiva notifica del titolo esecutivo bensì alla sua integrale trascrizione nell’atto di precetto, in base al secondo comma dell’art. 480 c.p.c. 15 In realtà il debitore ha ancora modo di evitare l’espropriazione dopo il pignoramento, versando nelle mani dell’ufficiale giudiziario la somma per cui si procede e l’importo delle spese, con l’incarico di consegnarli al creditore. 7

Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

MODULO 2 L’ESPROPRIAZIONE FORZATA

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UNITÀ DIDATTICA 1- IL PIGNORAMENTO Il pignoramento è l’atto con il quale ha inizio l’espropriazione forzata, una delle due forme in cui si articola l’esecuzione forzata (l’altra è l’esecuzione forzata in forma specifica). Esso consiste in una serie di attività che, pur differenziandosi a seconda dello specifico procedimento espropriativo di cui si tratta, hanno comunque in comune l’ingiunzione fatta dall’ufficiale giudiziario (su istanza del creditore e previa esibizione del titolo esecutivo e del precetto debitamente notificati). Il pignoramento determina sui beni espropriati un vincolo di destinazione, nel senso che il bene colpito sarà destinato da quel momento alla soddisfazione del creditore procedente e degli altri creditori intervenuti16. L’art. 491 c.p.c. espressamente dispone: «Salva l’ipotesi prevista dell’articolo 502, l’espropriazione forzata si inizia col pignoramento». Per poter richiedere un pignoramento devono essere trascorsi almeno dieci giorni dalla notifica del precetto (come si ricava dall’art. 480 c.p.c.): un pignoramento effettuato prima di questo termine sarebbe nullo. Normalmente a seguito del pignoramento occorre aspettare un ulteriore termine di dieci giorni prima di fare istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati (art. 501 c.p.c.); tuttavia quando si tratti di beni deteriorabili, l’assegnazione o la vendita possono essere disposte subito. Ai sensi dell’art. 502 c.p.c., poi, «salve le disposizioni speciali del codice civile, per l’espropriazione delle cose date in pegno e dei mobili soggetti ad ipoteca 17 si seguono le norme del presente codice, ma l’assegnazione o la vendita può essere chiesta senza che sia stata preceduta da pignoramento. In tal caso il termine per l’istanza di assegnazione o di vendita decorre dalla notificazione del precetto». Grazie a questa disposizione, perciò, nel caso di beni gravati da pegno e di mobili soggetti ad ipoteca non occorre effettuare il pignoramento, ma dopo dieci giorni dalla notifica del precetto si può fare direttamente l’istanza di assegnazione o di vendita. Non solo: il creditore garantito da pegno può scegliere, per la soddisfazione del suo credito, in alternativa alla disciplina del codice di procedura civile quella speciale del codice civile, a condizione però che non siano intervenuti altri creditori nella procedura18. Va infine ricordato che il debitore dispone di un’ultima occasione per sottrarsi all’espropriazione forzata: può infatti evitare il pignoramento versando nelle mani dell’ufficiale giudiziario (quando questi si presenta) la somma per cui si procede più l’importo delle spese, con l’incarico di consegnarli al creditore (art. 494 c.p.c. primo comma). Il legislatore tende dunque a favorire in ogni modo l’adempimento spontaneo del debitore, considerando il processo esecutivo l’extrema ratio. Il pagamento estingue il debito, ma il debitore all’atto del versamento può fare riserva di ripetere (cioè di chiedere la restituzione) la somma versata (art. 494 c.p.c. secondo comma)19. Il terzo comma dell’art. 494 c.p.c., poi, dà al debitore la possibilità di evitare il pignoramento di cose versando nelle mani dell’ufficiale giudiziario in sostituzione di esse una somma di denaro pari all’importo dei crediti per cui si procede e delle spese, aumentato di due decimi. In questo caso lo scopo non è di evitare il pignoramento, bensì di sostituire ai beni una somma di denaro, che diventerà oggetto di pignoramento. 16

Il debitore rimane proprietario dei beni pignorati e potrà anche disporne (per esempio vendendoli a terzi), ma ogni atto di disposizione successivo al pignoramento è inopponibile ai creditori intervenuti nella procedura esecutiva. 17 I mobili soggetti ad ipoteca sono i cosiddetti beni mobili registrati, ad esempio autoveicoli e navi. 18 In questo caso va obbligatoriamente seguita la disciplina del codice di procedura civile. 19 Anche in mancanza di espressa riserva, comunque, la ripetizione è lo stesso ammissibile. 9

Per quanto riguarda la natura giuridica, il pignoramento viene considerato dalla dottrina maggioritaria una fattispecie a formazione progressiva, poiché consta di una serie di attività collegate. La disciplina del pignoramento è contenuta in parte nel codice di procedura civile (per l’aspetto più propriamente processuale), ed in parte nel codice civile (che disciplina i cosiddetti effetti sostanziali del pignoramento). A seguito delle modifiche apportate da ultimo dalla legge n. 52/2006, l’art. 492 c.p.c. disciplinante la forma del pignoramento è stato completamente rinnovato rispetto alla formulazione precedente. Rimane come elemento comune a tutti i tipi di pignoramento, al di là delle differenze tra i vari procedimenti espropriativi, l’ingiunzione (art. 492 c.p.c. primo comma): «Salve le forme particolari previste nei capi seguenti, il pignoramento consiste in una ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano alla espropriazione e i frutti di essi». Allo scopo di rendere il debitore maggiormente partecipe alla procedura esecutiva già prima di un’eventuale opposizione, oggi l’ufficiale giudiziario all’atto del pignoramento deve compiere ai sensi dell’art. 492 c.p.c. una serie di attività alle quali prima della riforma non era tenuto. In particolare egli deve: 1. invitare il debitore ad effettuare presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione 20 (in mancanza o anche in caso di irreperibilità presso la residenza dichiarata le notifiche e comunicazioni dirette al debitore saranno effettuate presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione); 2. nel pignoramento deve altresì essere contenuto l’avvertimento al debitore della possibilità di chiedere la conversione del bene pignorato in denaro prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione del bene stesso; 3. invitare il debitore, se i beni pignorati sono insufficienti o appare manifesta la lunga durata della liquidazione, ad indicare altri beni utilmente pignorabili, i luoghi in cui si trovano o le generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista per l’omessa o falsa dichiarazione. Di tale dichiarazione l’ufficiale giudiziario redige processo verbale sottoscritto dal debitore21; 4. in caso di mancanza o insufficienza dei beni pignorati, richiedere su istanza del creditore procedente ai soggetti gestori dell’anagrafe tributaria o di altra pubblica banca dati, notizie sul patrimonio del debitore; 5. richiedere l’assistenza della forza pubblica ove da lui ritenuto necessario; 6. se il debitore è un imprenditore commerciale, invitarlo (su istanza del creditore procedente e a sue spese) ad indicare il luogo in cui sono tenute le scritture contabili nominando un esperto (commercialista, avvocato o notaio) che le esamini al fine di individuare cose e crediti pignorabili. L’art. 492 c.p.c. si conclude prevedendo che quando la legge richiede che l’ufficiale giudiziario nel compiere il pignoramento sia munito del titolo esecutivo, il presidente del tribunale competente per l’esecuzione può autorizzare il creditore a depositare invece dell’originale una copia autentica del titolo esecutivo. 20

Tale dichiarazione o elezione non determina comunque una formale costituzione in giudizio del debitore, rafforzando l’idea diffusa in dottrina che il processo esecutivo sia un processo sul bene. 21 Se il debitore ha indicato cose mobili, queste s’intendono pignorate dal momento della dichiarazione, e l’ufficiale giudiziario o si reca sul luogo in cui si trovano per provvedere alla loro custodia (se si rimane nell’ambito dello stesso circondario), oppure se il luogo è compreso in un altro circondario trasmette copia del verbale all’ufficiale giudiziario territorialmente competente. 10

E’ stato giustamente osservato22 che la maggior parte delle disposizioni contenute nell’art. 492 c.p.c. nuova formulazione risulta applicabile solo all’espropriazione di beni mobili e non anche a quelle immobiliare e presso terzi. Ai sensi dell’art. 497 c.p.c. se entro novanta giorni dal pignoramento non è stata chiesta l’assegnazione o la vendita, il pignoramento stesso diventa inefficace; di conseguenza i beni pignorati vengono liberati. La decorrenza del termine varia a seconda del procedimento espropriativo di cui si tratta, poiché il momento in cui il pignoramento si perfeziona è diverso per ciascuno. Il pignoramento produce non solo effetti processuali ma anche sostanziali, regolati dal codice civile (artt. 2912 – 2918). Il principio cardine è che l’atto di disposizione successivo al pignoramento, in sé valido ed efficace, non ha effetto nei confronti del creditore pignorante e degli altri creditori intervenuti; inoltre il processo prosegue contro il debitore originario. Più in dettaglio, l’art. 2912 c.c. stabilisce che il vincolo esecutivo si estende automaticamente ad accessori, pertinenze e frutti della cosa pignorata, comprese le accessioni successive al pignoramento. L’art. 2913 c.c., invece, dispone che «non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, salvi gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri». Anche se la norma si riferisce espressamente solo agli atti di alienazione, non c’è dubbio che l’inefficacia si estenda anche a quegli atti diversi dall’alienazione che comunque comportano un’alterazione nella consistenza dei beni pignorati (per esempio la costituzione di un diritto reale di godimento come l’usufrutto oppure di un diritto di garanzia come l’ipoteca). L’inefficacia opera automaticamente: ciò vuol dire che il processo esecutivo continua sul bene pignorato come se questo non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore, che dunque rimane il soggetto passivo23. Ad ogni modo vengono fatti salvi gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri: qui il legislatore ha voluto dare prevalenza al principio di buona fede (art. 1153 c.c.) ed alla tutela dell’affidamento del terzo rispetto alle esigenze del processo esecutivo. Sono altresì inefficaci nei confronti del creditore pignorante e degli altri creditori intervenuti nella procedura anche se anteriori al pignoramento, come disposto dall’art. 2914 c.c.: a) le alienazioni di beni immobili e di mobili iscritti in pubblici registri che siano state trascritte dopo la trascrizione del pignoramento; b) le cessioni di crediti notificate al debitore ceduto o da lui accettate successivamente al pignoramento; c) le alienazioni di universalità di beni mobili che non abbiano data certa; d) le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atto avente data certa. 22

Cfr. G. Verde, La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006, 7. 23

Dal momento però che l’atto di disposizione è valido anche se inefficace, se il vincolo di destinazione venisse meno ad esempio perché il pignoramento diventa inefficace, lo stesso bene non potrebbe essere colpito da un altro pignoramento, in quanto entrato a far parte del patrimonio di un altro soggetto. 11

L’art. 2915 c.c. primo comma riguarda invece gli atti che comportano vincoli di indisponibilità su un bene (il bene potrebbe essere ad esempio indisponibile perché in comunione): anch’essi sono inefficaci nei confronti del creditore pignorante e degli altri creditori intervenuti nella procedura quando abbiano ad oggetto beni immobili e beni mobili registrati (salvo che gli atti stessi siano stati trascritti prima del pignoramento) o, trattandosi di altri beni, se non abbiano data certa anteriore al pignoramento. Il secondo comma dell’art. 2915 c.c. sancisce poi l’inefficacia (sempre con riguardo al creditore pignorante e agli altri creditori intervenuti) degli atti e delle domande per la cui efficacia rispetto a terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione, se questa è avvenuta dopo il pignoramento (pensiamo ad una domanda giudiziale). Meritano infine un cenno l’art. 2916 c.c., secondo il quale nella distribuzione del ricavato fra i creditori non si tiene conto delle ipoteche e dei privilegi iscritti dopo il pignoramento nonché dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento, e il 2917 c.c., che considera inefficace nei confronti del creditore pignorante e degli altri creditori intervenuti nella procedura l’estinzione del credito pignorato per cause verificatesi dopo il pignoramento. UNITA’ DIDATTICA 2 – LE VICENDE DEL PIGNORAMENTO. CONVERSIONE E RIDUZIONE DEL PIGNORAMENTO Il pignoramento, atto iniziale dell’espropriazione forzata, può essere soggetto ad alcune vicende particolari, in primo luogo quella prevista dall’art. 493 c.p.c., cioè il pignoramento su istanza di più creditori. La disposizione prevede in realtà due ipotesi: la prima (cosiddetto pignoramento cumulativo) non è molto frequente, e si ha quando più creditori con un solo pignoramento colpiscono il medesimo bene, quindi il concorso di più azioni esecutive si ha fin dall’inizio (primo comma art. 493 c.p.c.). Tale previsione va integrata con l’ipotesi contemplata nell’art. 523 c.p.c., riguardante l’unione di pignoramenti nell’espropriazione di beni mobili. Nella seconda, che al contrario si verifica più spesso (secondo comma art. 493 c.p.c., cosiddetto pignoramento successivo), abbiamo un concorso successivo di azioni esecutive, poiché uno stesso bene viene colpito da due distinti pignoramenti. L’istanza congiunta riguarda in ogni caso solo l’atto di pignoramento: infatti ciascun creditore conserva un’autonoma azione esecutiva e potrà dare impulso agli ulteriori atti esecutivi indipendentemente dagli altri creditori concorrenti. Al riguardo l’ultimo comma dell’art. 493 c.p.c. stabilisce: «Ogni pignoramento ha effetto indipendente, anche se è unito ad altri in unico processo». Si tratta di una previsione importante, soprattutto perché l’indipendenza sostanziale tra i vari pignoramenti fa sì che se uno viene meno (ad esempio per inefficacia) gli altri conservano la propria validità. Altro istituto da considerare è l’estensione del pignoramento, originariamente previsto per la sola espropriazione mobiliare ed oggi generalizzato con la riforma del 2006 (art. 499 c.p.c. quarto comma). Il creditore pignorante ha facoltà di indicare ai creditori chirografari 24 intervenuti tempestivamente, con atto notificato oppure all’udienza in cui è disposta l’assegnazione o la vendita, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili. Ciò per invitare i creditori stessi 24

I creditori chirografari sono quelli non assistiti da cause legittime di prelazione (pegno, ipoteca o privilegio). 12

ad estendere il pignoramento se sono muniti di titolo esecutivo, oppure ad anticipare le spese dell’estensione se non hanno un titolo esecutivo (in questo caso infatti al pignoramento dei beni ulteriori dovrà procedere il creditore pignorante). Se i creditori intervenuti non si avvalgono dell’invito entro trenta giorni senza un giusto motivo, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione del ricavato. Siamo in presenza di una causa di prelazione speciale, di origine processuale, che va ad aggiungersi a quelle previste dal legislatore (pegno, ipoteca e privilegio). Lo scopo della disposizione è di evitare che i beni fatti pignorare dal creditore procedente divengano insufficienti a soddisfarlo a seguito dell’intervento di altri creditori nel processo esecutivo da lui instaurato. Passiamo alla conversione del pignoramento, istituto disciplinato dall’art. 495 c.p.c. ora modificato dalla legge n. 51/2006. Prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione 25, il debitore può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre che alle spese dell’esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese (primo comma dell’art. 495 c.p.c.). A pena di inammissibilità, il debitore deve depositare presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione unitamente all’istanza una somma non inferiore ad un quinto dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti (dedotti i versamenti già effettuati di cui va data prova documentale). L’istanza di conversione può essere avanzata esclusivamente dal debitore e per una volta sola a pena di inammissibilità (cosiddetto principio dell’unicità dell’istanza di conversione). A stabilire l’ammontare della somma da sostituire al bene pignorato è il giudice dell’esecuzione con ordinanza, dopo aver sentito le parti in udienza entro trenta giorni dal deposito dell’istanza di conversione. Se il bene pignorato è un immobile e sussistono giustificati motivi, il giudice nell’ordinanza di conversione può concedere al debitore il beneficio della rateizzazione: in tal caso, il debitore verserà la somma stabilita (più gli interessi) in rate mensili entro il termine massimo di diciotto mesi. Se invece la cosa originariamente pignorata era un bene mobile, la somma da pagare in sostituzione deve essere versata in un’unica soluzione. Qualora il debitore ometta il versamento dell’intero importo (trattandosi di un bene mobile) ovvero ometta o ritardi di oltre quindici giorni il versamento anche di una sola rata (se invece il bene pignorato era un immobile), perde il beneficio della conversione e le somme già versate vanno a far parte dei beni pignorati (art. 495 c.p.c. quinto comma). A questo punto, su richiesta del creditore procedente o di un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, il giudice dell’esecuzione dispone senza indugio la vendita dei beni. Con l’ordinanza di conversione (contro la quale è proponibile l’opposizione agli atti esecutivi), il giudice dispone che le cose pignorate siano liberate dal pignoramento e che vi sia sottoposta in sostituzione la somma da lui stabilita; tuttavia i beni immobili si considerano liberati solo quando è stata pagata l’intera somma. In dottrina si è molto discusso sulla natura esecutiva o di accertamento dell’ordinanza che ammette la conversione26: bene, la soluzione più accettabile è la seconda, dal momento che prima di stabilire quale somma sostituire alle cose o ai crediti pignorati il giudice dell’esecuzione dovrà compiere un accertamento (anche se parziale e incompleto). 25

Con la riforma del 2006 sono stati risolti i problemi di interpretazione legati alla formulazione precedente, in base alla quale l’istanza di conversione poteva essere presentata «in qualsiasi momento anteriore alla vendita». Il dies a quo, invece, è costituito dal momento in cui si è perfezionato il pignoramento. 26 Vedi sul punto G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 109. 13

Mentre la conversione del pignoramento può essere chiesta solo dal debitore, la riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.) si può disporre anche d’ufficio. Ciò a causa della finalità dell’istituto, che è quella di porre rimedio ad un abuso dello strumento espropriativo da parte del creditore. L’art. 496 c.p.c. stabilisce: «Su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti del creditore pignorante e degli altri creditori intervenuti, il giudice, sentiti il creditore pignorante ed i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento». Il provvedimento di riduzione è un’ordinanza (contro la quale è proponibile l’opposizione agli atti esecutivi), emanata dal giudice dell’esecuzione a seguito di una valutazione discrezionale e che può essere modificata e revocata finché non abbia avuto esecuzione. Un altro rimedio contro l’abuso dello strumento espropriativo si ritrova nell’art. 483 c.p.c., disciplinante il cumulo dei mezzi di espropriazione. E’ vero che la norma mira ad offrire una piena tutela al creditore, dandogli la possibilità di avvalersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti 27; ma dall’altro lato su opposizione28 del debitore il giudice dell’esecuzione, con ordinanza non impugnabile, limita l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che lui stesso determina. Ciò innanzitutto in quanto l’esecuzione va effettuata per far conseguire ai creditori concorrenti solo quanto gli è dovuto; inoltre, alla base della disposizione c’è l’impossibilità di riunire espropriazioni di tipo diverso. Ne consegue che l’art. 483 c.p.c. troverà applicazione quando ci sia concorso di espropriazioni dello stesso tipo davanti a giudici diversi e contemporaneamente l’impossibilità di riunirle (per esempio più espropriazioni mobiliari in luoghi appartenenti al debitore ma situati in circoscrizioni diverse). Anche se l’ordinanza ex art. 483 c.p.c. è definita non impugnabile, si ritiene che contro di essa sia proponibile l’opposizione agli atti esecutivi.

UNITA’ DIDATTICA 3 – L’INTERVENTO DEI CREDITORI Uno dei principi fondamentali del processo esecutivo è quello della par condicio creditorum: ciascun creditore, salvo cause legittime di prelazione, ha diritto di soddisfarsi sui beni del debitore a parità di condizioni con gli altri creditori (art. 2741 c.c.)29. Questo principio si collega a quello fissato nell’art. 2740 c.c., per il quale il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i beni del suo patrimonio, presenti e futuri. Il codice di procedura civile disciplina l’istituto dell’intervento dei creditori agli articoli 498 – 500, modificati dalle leggi n. 263/2005 e n. 51/2006. Nel sistema in vigore fino al 1 marzo 2006 potevano intervenire nella procedura esecutiva i creditori chirografari, mentre quelli privilegiati erano invitati ad intervenire; si distingueva poi fra interventi tempestivi e tardivi e fra creditori muniti o privi di titolo esecutivo. La pecca maggiore di questa disciplina era costituita dal fatto che non erano previsti controlli 27

Questo significa che il creditore potrebbe per esempio iniziare contro il suo debitore contemporaneamente sia un’espropriazione mobiliare che immobiliare. 28 Non si tratta di un’opposizione in senso tecnico (ad esempio all’esecuzione o agli atti esecutivi), ma di una semplice contestazione informale proposta dal debitore direttamente in udienza oppure con ricorso depositato in cancelleria. 29 La dottrina più recente sostiene però che il principio in esame costituisca una semplice direttiva, destinata a cedere di fronte ad esigenze ritenute dal legislatore meritevoli di maggiore tutela. Vedi sul punto G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 123 s. 14

preventivi sull’ammissibilità dei singoli interventi; qualsiasi contestazione sull’esistenza o l’ammontare dei crediti doveva essere rimandata al momento della distribuzione del ricavato (art. 512 c.p.c.). Per questa ragione il legislatore ha completamente riscritto l’art. 499 c.p.c.; è rimasto invece invariato l’art. 498 c.p.c., che sancisce al primo comma la necessità di avvertire dell’espropriazione i cosiddetti creditori iscritti o privilegiati, quelli cioè che vantano sui beni pignorati un diritto di prelazione risultante da pubblici registri (ad esempio un’ipoteca su un immobile o un privilegio). Il motivo per cui a questi creditori deve essere notificato un avviso dell’espropriazione va ricercato nel cosiddetto effetto purgativo della vendita forzata: con la vendita, infatti, si perdono i diritti da chiunque vantati sul bene pignorato, per cui il compratore lo acquista libero da vincoli e pesi di qualsiasi natura. L’avviso va notificato a cura del creditore pignorante entro cinque giorni dal pignoramento (anche se il termine non è perentorio), e deve contenere l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate (art. 498 c.p.c. secondo comma). In mancanza di prova dell’avvenuta notificazione dell’avviso, il giudice non può provvedere sull’istanza di assegnazione o di vendita (art. 498 c.p.c. ultimo comma); si verifica in pratica una temporanea improcedibilità della vendita o dell’assegnazione. L’art. 499 c.p.c. nella nuova formulazione dispone al comma 1 che possono intervenire nell’esecuzione i creditori che: a) hanno nei confronti del debitore un credito fondato su titolo esecutivo; b) avevano eseguito al momento del pignoramento un sequestro sui beni pignorati (il riferimento è al sequestro conservativo); c) avevano sui beni pignorati un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri30; d) erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. La legittimazione ad intervenire non spetta dunque a qualsiasi creditore; anche se tendenzialmente il legislatore ha voluto favorire chi fosse in possesso di un titolo esecutivo, comunque, non sono state completamente escluse ipotesi di interventi di creditori non titolati. La forma dell’intervento è quella del ricorso al giudice dell’esecuzione. Ai sensi del secondo comma dell’art. 499 c.p.c., tale ricorso deve essere depositato in cancelleria prima che si svolga l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, e deve contenere: - l’indicazione del credito e del relativo titolo; - la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata; - la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione31. Il ricorso va solo depositato in cancelleria, tuttavia il terzo comma dell’art. 499 c.p.c. dispone: «Il creditore privo di titolo esecutivo che interviene nell’esecuzione deve notificare al debitore, entro i dieci giorni successivi al deposito, copia del ricorso nonché copia dell’estratto autentico notarile attestante il credito se l’intervento nell’esecuzione ha luogo in forza di essa». Questa previsione va collegata a quelle del quinto e del sesto comma: «Con l’ordinanza con cui è disposta la vendita o l’assegnazione il giudice fissa altresì udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una 30

A questi creditori va notificato l’avviso di cui all’art. 498 c.p.c. Se l’intervento ha luogo per un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c., a pena di inammissibilità bisogna allegare al ricorso l’estratto autentico notarile delle stesse. 31

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delle parti. Tra la data dell’ordinanza e la data fissata per l’udienza non possono decorrere più di sessanta giorni». Tale udienza è dunque riservata al debitore ed ai soli creditori non muniti di titolo esecutivo. Se il debitore non compare, i crediti si intendono riconosciuti e i creditori vengono a trovarsi nella stessa posizione di quelli muniti di titolo esecutivo. Se invece il debitore compare e riconosce, in tutto o in parte, i crediti dei creditori intervenuti, questi ultimi partecipano alla distribuzione della somma ricavata per intero o limitatamente alla parte riconosciuta. Se viceversa il debitore ha disconosciuto dei crediti, i rispettivi creditori hanno diritto all’accantonamento delle somme che spetterebbero loro, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di aver proposto, nei trenta giorni successivi all’udienza, l’azione necessaria per potersi munire di titolo esecutivo. Resta da esaminare il quarto comma dell’art. 499 c.p.c., che ha generalizzato l’istituto dell’estensione del pignoramento, previsto originariamente per la sola espropriazione mobiliare presso il debitore dall’art. 527 c.p.c. oggi abrogato. Il creditore pignorante ha facoltà di indicare ai creditori chirografari intervenuti tempestivamente, con atto notificato oppure all’udienza in cui è disposta l’assegnazione o la vendita, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili. Ciò per invitare i creditori stessi ad estendere il pignoramento se sono muniti di titolo esecutivo, oppure ad anticipare le spese dell’estensione se non hanno un titolo esecutivo (in questo caso infatti al pignoramento dei beni ulteriori dovrà procedere il creditore pignorante). Se i creditori intervenuti non si avvalgono dell’invito entro trenta giorni senza un giusto motivo, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione del ricavato. Siamo in presenza di una causa di prelazione speciale, di origine processuale, che va ad aggiungersi a quelle previste dal legislatore (pegno, ipoteca e privilegio). Lo scopo della disposizione è di evitare che i beni fatti pignorare dal creditore procedente divengano insufficienti a soddisfarlo a seguito dell’intervento di altri creditori nel processo esecutivo da lui instaurato. L’art. 500 c.p.c., anch’esso modificato dalla riforma del 2006, stabilisce che in armonia con quanto disposto per i singoli procedimenti di espropriazione, l’intervento dà diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata, a partecipare all’espropriazione del bene pignorato ed a provocarne i singoli atti. Tali prerogative spettano esclusivamente ai creditori interventi tempestivamente: infatti i creditori intervenuti tardivamente possono soltanto partecipare alla distribuzione di quanto residua dopo che siano stati soddisfatti il creditore procedente e quelli tempestivamente intervenuti. Ma come fare per sapere se un intervento è tempestivo oppure tardivo? La soluzione è diversa a seconda del procedimento di cui si tratta; più specificamente: - nell’espropriazione mobiliare l’intervento è tempestivo quando avviene non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione (art. 525 c.p.c.). Quando però il valore dei beni pignorati non superi i ventimila euro, l’intervento si considera tempestivo se effettuato non oltre la data di presentazione del ricorso contenente l’istanza di assegnazione o di vendita; - nell’espropriazione presso terzi l’intervento è tempestivo quando avviene non oltre la prima udienza di comparizione delle parti (art. 551 c.p.c.); - nell’espropriazione immobiliare l’intervento è tempestivo quando avviene non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione.

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UNITA’ DIDATTICA 4 – LA VENDITA E L’ASSEGNAZIONE Quando viene espropriato un bene concreto, occorre generalmente trasformarlo in denaro così che i creditori intervenuti nella procedura esecutiva possano soddisfarsi sul ricavato (in alternativa è possibile chiedere l’assegnazione forzata). Tuttavia questa fase del processo espropriativo è puramente eventuale: infatti essa non si ritrova se il pignoramento ha avuto ad oggetto denaro contante né se c’è stata conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 c.p.c. In queste ipotesi, infatti, si passa direttamente alla distribuzione fra gli aventi diritto. La fase liquidativa è disciplinata dagli artt. 501 – 508 c.p.c.; l’istanza di assegnazione o di vendita può essere formulata dal creditore pignorante o (in armonia con le disposizioni dei singoli procedimenti espropriativi) da un creditore munito di titolo esecutivo che sia intervenuto tempestivamente. Per proporre l’istanza bisogna aspettare dieci giorni dal pignoramento, a meno che non si tratti di beni deteriorabili, e non andare oltre i novanta giorni di efficacia del pignoramento stesso. La vendita forzata, secondo il disposto dell’art. 503 c.p.c., può avvenire con incanto (cioè all’asta) oppure senza incanto (a mezzo di commissionario). Essa, quando venga fatta in più volte o in più lotti, deve cessare una volta raggiunto l’importo delle spese e dei crediti per i quali si procede (art. 504 c.p.c.). La vendita forzata, della quale va esclusa la natura negoziale a favore della coattività del trasferimento32, produce alcuni importanti effetti: - effetto traslativo della proprietà (art. 2919 c.c.); - effetto purgativo, in quanto il bene viene trasmesso all’acquirente libero da vincoli (quali pegni, ipoteche e privilegi); - retrodatazione degli effetti della vendita forzata, per cui il bene viene venduto nella situazione giuridica e di fatto sussistente al momento del pignoramento. In alternativa alla vendita può essere disposta l’assegnazione forzata 33; dispone l’art. 505 c.p.c.: «Il creditore pignorante può chiedere l’assegnazione dei beni pignorati, nei limiti e secondo le regole contenute nei capi seguenti. Se sono intervenuti altri creditori, l’assegnazione può essere chiesta a vantaggio di uno solo o più, d’accordo fra tutti». L’assegnazione consiste nell’attribuzione diretta del bene pignorato al creditore; anche qui, al pari della vendita forzata, siamo in presenza di un trasferimento coattivo. Il codice di procedura civile disciplina due tipi di assegnazione: quella satisfattiva o in solutum (art. 505 c.p.c.) e la cosiddetta assegnazione-vendita (art. 506 c.p.c. comma 1). La prima comporta anche il soddisfacimento della pretesa dell’assegnatario, la seconda no. Nel caso di assegnazione satisfattiva, il bene pignorato viene conferito al creditore assegnatario senza che questi debba pagare nulla; soltanto se il valore del bene assegnato supera il credito dell’assegnatario occorrerà versare a titolo di conguaglio la differenza (cosiddetta assegnazione 32

Ciò alla luce del fatto che chi vende non è il proprietario (debitore), bensì lo Stato attraverso un organo giurisdizionale. In ogni caso, l’acquisto avviene a titolo derivativo e non originario. 33 Esistono tuttavia beni che possono essere assegnati subito, senza cioè un previo tentativo di vendita: è il caso dei titoli di credito e delle cose il cui valore risulti da un listino di borsa o di mercato e dei crediti presi in considerazione dal primo comma dell’art. 553 c.p.c. 17

mista). Con riferimento all’assegnazione-vendita, invece, l’art. 506 c.p.c. stabilisce: «L’assegnazione può essere fatta soltanto per un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell’offerente. Se il valore è superiore34, sull’eccedenza concorrono l’offerente e gli altri creditori, osservate le cause di prelazione che li assistono». Nell’assegnazione vendita, dunque, il creditore assegnatario deve versare a favore della massa un prezzo non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell’offerente. Ai sensi dell’art. 507 c.p.c., l’assegnazione è disposta dal giudice dell’esecuzione con ordinanza, contenente l’indicazione dell’assegnatario, del creditore pignorante, di quelli intervenuti, del debitore ed eventualmente del terzo proprietario, del bene assegnato e del prezzo di assegnazione. Si è molto discusso sulla natura dell’ordinanza di assegnazione 35, poiché la legge non la definisce espressamente titolo esecutivo; la giurisprudenza è comunque orientata in questo senso, equiparando l’ordinanza in esame ad una sentenza di condanna. Anche se immediatamente esecutiva, l’ordinanza di assegnazione non è ricorribile in Cassazione; può tuttavia essere impugnata con l’opposizione agli atti esecutivi. Tanto la vendita forzata che l’assegnazione sono sottoposte al regime di stabilità previsto dall’art. 2929 c.c. Esso consiste nel fatto che la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita e l’assegnazione non ha effetto nei confronti dell’acquirente o assegnatario, salvo il caso di collusione di questi ultimi con il creditore procedente.

UNITA’ DIDATTCA 5 – LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO L’ultima fase del processo di espropriazione forzata è quella cosiddetta satisfattiva o distributiva (artt. 509 – 512 c.p.c.). In primo luogo bisogna considerare che cosa va a comporre la somma da distribuire. A questa domanda risponde l’art. 509 c.p.c.: «La somma da distribuire è formata da quanto proviene a titolo di prezzo o conguaglio36 delle cose vendute o assegnate, di rendita o provento delle cose pignorate, di multa e risarcimento del danno37 da parte dell’aggiudicatario». Le modalità della distribuzione variano a seconda che alla procedura esecutiva partecipi il solo creditore pignorante o al contrario anche altri creditori. Della prima ipotesi si occupa il primo comma dell’art. 510 c.p.c., modificato dalla legge n. 34

Questo caso si può verificare per esempio qualora vi siano state più domande di assegnazione ed il giudice abbia disposto una gara sull’offerta più alta. Sull’eccedenza, infatti, concorrono l’assegnatario e gli altri creditori concorrenti. 35 Vedi sul punto G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 153 s. 36 Il conguaglio è il prezzo che l’assegnatario deve pagare quando il valore del bene assegnato sia superiore al credito da lui vantato, dando luogo alla cosiddetta assegnazione mista. 37 La multa è la cauzione versata da chi concorre all’incanto nell’espropriazione immobiliare quando risulti aggiudicatario e non paghi il prezzo nel termine stabilito dal giudice. In tal caso, infatti, la cauzione stessa viene trattenuta a titolo di multa. Il risarcimento del danno è quello dovuto dall’aggiudicatario che non versi il prezzo; in questo caso si procederà infatti ad un nuovo incanto, e se il prezzo ricavato è inferiore l’aggiudicatario stesso dovrà pagare la differenza (art. 587 c.p.c.). 18

263/2005. La disposizione in esame prevede: «Se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese». In questo caso piuttosto che di distribuzione è più corretto parlare di assegnazione o attribuzione delle somme. Se invece nel processo esecutivo sono intervenuti anche altri creditori, ai sensi del secondo comma dell’art. 510 c.p.c. «la somma ricavata è dal giudice distribuita tra i creditori a norma delle disposizioni contenute nei capi seguenti, con riguardo alle cause legittime di prelazione e previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore38». Tale accantonamento (terzo comma art. 510 c.p.c.) viene disposto per il tempo necessario a munirsi di un titolo esecutivo e in ogni caso per non più di tre anni, decorsi i quali anche d’ufficio il giudice dà luogo alla distribuzione dopo aver disposto la comparizione delle parti (esclusi i creditori già integralmente soddisfatti). L’ultimo comma dell’art. 510 c.p.c. stabilisce infine che l’eventuale residuo della somma ricavata, dopo l’ulteriore distribuzione di cui al terzo comma oppure dopo che sia decorso il termine per l’accantonamento, viene consegnato al debitore o al terzo che ha subito l’espropriazione. Quando vi siano più creditori concorrenti, in generale la distribuzione del ricavato può essere giudiziale oppure concordata, quando gli stessi creditori si siano accordati secondo un piano di riparto che deve essere poi approvato dal giudice. Ad ogni modo, dalla cosiddetta massa attiva vanno innanzitutto sottratte le spese del procedimento; quindi si passa alla soddisfazione dei creditori, seguendo quest’ordine: 1. creditore pignorante e creditori con diritto di prelazione; 2. creditori chirografari intervenuti tempestivamente; 3. creditori chirografari intervenuti tardivamente. L’eventuale residuo viene consegnato al debitore o al terzo che ha subito l’espropriazione. L’art. 511 c.p.c. disciplina l’istituto della cosiddetta domanda di sostituzione esecutiva o subcollocazione: «I creditori di un creditore avente diritto alla distribuzione possono chiedere di essere a lui sostituiti, proponendo domanda a norma dell’art. 499 secondo comma. Il giudice dell’esecuzione provvede alla distribuzione anche nei loro confronti, ma le contestazioni relative alle loro domande non possono ritardare la distribuzione tra gli altri creditori concorrenti». Il primo requisito essenziale è che il creditore al quale si subentra risulti utilmente collocato nella distribuzione, dunque abbia diritto ad una quota del ricavato, mentre non occorre essere in possesso di un titolo esecutivo. Secondo la dottrina, la domanda di sostituzione non costituisce esercizio di un’azione esecutiva, introducendo al contrario un procedimento cognitivo sommario39, e può essere proposta anche prima della fase distributiva (ma pur sempre all’interno del processo esecutivo). Vi sono contrasti anche con riguardo ai poteri del creditore subcollocato: mentre la dottrina prevalente gli riconosce infatti soltanto il potere di partecipare alla distribuzione del ricavato, la giurisprudenza ritiene che la sostituzione operi anche per il compimento di atti di impulso del processo esecutivo. 38

L’innovazione dell’art. 510 c.p.c. impone dunque al giudice dell’esecuzione di accantonare le somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore. 39 Parti di questo procedimento sono il creditore che chiede la sostituzione ed il creditore-debitore utilmente collocato nel progetto di distribuzione. Cfr. G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 185. 19

Importanti novità sono state apportate dalla legge n. 80/2005 all’art. 512 c.p.c., riguardante le controversie che sorgono in fase distributiva. L’attuale formulazione della norma è questa: «Se, in sede di distribuzione, sorge controversia tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza, impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617, secondo comma. Il giudice può, anche con l’ordinanza di cui al primo comma, sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione della somma ricavata». Attivamente legittimati a proporre opposizione ex art. 512 c.p.c. sono il debitore o il terzo che abbiano subito l’espropriazione, i creditori concorrenti quando la massa attiva risulti insufficiente, il creditor creditoris che abbia proposto domanda di sostituzione per ciò che concerne la collocazione del sostituto. Le controversie considerate dall’art. 512 c.p.c. possono avere ad oggetto la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti oppure la sussistenza di diritti di prelazione; restano escluse le controversie di cui al secondo comma dell’art. 511 c.p.c. tra creditor creditoris e creditore-debitore, sebbene la disciplina processuale sia la stessa. Diversamente dalla precedente disciplina, il giudice dell’esecuzione è sempre competente a decidere sulle controversie distributive; la decisione ha forma di ordinanza, impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi. Altra novità di rilievo è che oggi la sospensione della distribuzione della somma ricavata è facoltativa e non più obbligatoria come in passato; dunque il giudice effettuerà in proposito una valutazione discrezionale. Uno dei problemi più dibattuti in dottrina è quello della cosiddetta stabilità dei risultati della distribuzione. Gli orientamenti sull’argomento sono sostanzialmente due: quello cognitivo, secondo il quale nella fase distributiva si ritrovano caratteri propri del processo di cognizione ordinaria, e quello esecutivo, che vede nella distribuzione del ricavato un’attività puramente liquidatoria svincolata da qualsiasi esame di tipo sostanziale sui presupposti e sul contenuto delle domande. Conseguenza del secondo approccio sarebbe la possibilità per il debitore di chiedere, una volta chiuso il processo esecutivo, la restituzione di quanto attribuito ai creditori sforniti di titolo esecutivo (possibilità fra l’altro esclusa dalla Corte di cassazione). Bisogna dunque ritenere in armonia con l’orientamento cognitivo che i risultati del riparto siano irrevocabili e restino fermi; ciò al fine di salvaguardare la realizzazione concreta del principio della par condicio creditorum.

UNITA’ DIDATTICA 6 – L’ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL DEBITORE Il pignoramento di beni mobili è disciplinato dagli artt. 513 – 542 c.p.c.; qualora scelga questo tipo di procedimento, il creditore esibisce titolo esecutivo e precetto debitamente notificati all’ufficiale giudiziario, il quale si reca presso la casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti per cercare le cose da pignorare. Qualora sia necessario, l’ufficiale giudiziario può avvalersi dell’assistenza della forza pubblica (art. 513 c.p.c. secondo comma).

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Negli artt. 514 e 515 c.p.c., modificati dalla legge n. 52/2006, sono individuate rispettivamente le cose mobili assolutamente e relativamente impignorabili. L’impignorabilità assoluta di determinati beni (ad esempio l’anello nuziale o la biancheria) si giustifica con l’esigenza di tutelare bisogni essenziali del debitore, in quanto si tratta di cose che ne garantiscono il sostentamento (è il caso di frigorifero e fornelli da cucina) o che hanno per lui un particolare valore (cose sacre o che servono all’esercizio del culto). E’ stato abrogato il n. 4 dell’art. 514 c.p.c., che si riferiva agli oggetti ed ai libri indispensabili per l’esercizio dell’arte o professione del debitore; il relativo riferimento è stato attualmente aggiunto all’art. 515 c.p.c. riguardante i beni mobili relativamente impignorabili. Oggi questo tipo di cose può essere pignorato nei limiti di un quinto quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall’ufficiale giudiziario o indicati dal debitore non appaia sufficiente alla soddisfazione del credito40. L’impignorabilità relativa (art. 515 c.p.c.) è invece dettata da mere ragioni di opportunità: poiché oggetto di pignoramento sono gli attrezzi da lavoro e non il fondo, il legislatore vuole evitare che si verifichi un pregiudizio a causa dell’impossibilità di coltivare il fondo stesso. Per questo il primo comma dell’art. 515 c.p.c. dispone: «Le cose, che il proprietario di un fondo vi tiene per il servizio e la coltivazione del medesimo, possono essere pignorate separatamente dall’immobile soltanto in mancanza di altri mobili; tuttavia il giudice dell’esecuzione, su istanza del debitore e sentito il creditore, può escludere dal pignoramento, con ordinanza non impugnabile, quelle tra le cose suindicate che sono di uso necessario per la coltura del fondo, o può anche permetterne l’uso, sebbene pignorate, con le opportune cautele per la loro conservazione e ricostituzione». Tanto l’impignorabilità assoluta che quella relativa non sono rilevabili d’ufficio, ma possono essere fatte valere soltanto dal debitore esecutato mediante opposizione all’esecuzione. «Il pignoramento deve essere eseguito sulle cose che l’ufficiale giudiziario ritiene di più facile e pronta liquidazione, nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all’importo del credito precettato aumentato della metà. In ogni caso l’ufficiale giudiziario deve preferire il denaro contante, gli oggetti preziosi e i titoli di credito e ogni altro bene che appaia di sicura realizzazione». La legge n. 52/2006 ha modificato in questo modo l’art. 517 c.p.c.; rispetto alla precedente disciplina, è stato attribuito più potere all’ufficiale giudiziario, che non deve più attenersi nella scelta delle cose da pignorare alle indicazioni del debitore. La legge n. 52/2006 ha notevolmente modificato anche l’art. 518 c.p.c., riguardante la forma del pignoramento. L’ufficiale giudiziario redige il verbale delle operazioni, e quando sorgono difficoltà nella stima delle cose pignorabili può differire fino ad un massimo di trenta giorni, dopo aver redatto un primo verbale di pignoramento, l’individuazione dei beni da assoggettare a pignoramento (sulla base delle indicazioni dell’esperto scelto per la stima). Se il debitore non è presente, l’ingiunzione viene rivolta ad una persona di famiglia oppure addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda; il processo verbale, unitamente al titolo esecutivo e al precetto, vengono depositati in cancelleria entro ventiquattro ore dal compimento delle operazioni. 40

Il terzo comma dell’art. 515 c.p.c., aggiunto dalla legge n. 52/2006, stabilisce anche che il limite di un quinto non si applica ai debitori costituiti in forma societaria e in ogni caso se nelle attività del debitore risulti una prevalenza del capitale investito sul lavoro. La formulazione della norma non appare chiara e dà luogo a problemi interpretativi, come sottolinea G. Verde, La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006, 11. 21

L’ultimo comma dell’art. 518 c.p.c. prevede infine che il giudice, su istanza del creditore da depositare non oltre il termine per il deposito dell’istanza di vendita, ordini l’integrazione del pignoramento ove ritenga che il presumibile valore di realizzo dei beni pignorati sia inferiore a quello determinato dall’ufficiale giudiziario in base al primo comma della stessa norma. In tal caso l’ufficiale giudiziario riprende senza indugio le operazioni di ricerca dei beni. Il codice di procedura civile descrive dettagliatamente le regole per la custodia dei beni pignorati: denaro, titoli di credito e oggetti preziosi sono consegnati al cancelliere (art. 520 c.p.c. primo comma), mentre per la conservazione delle altre cose l’ufficiale giudiziario provvede trasportandole in un luogo di pubblico deposito (se il creditore ne fa richiesta) oppure affidandole ad un custode diverso dal debitore. Gli obblighi e l’eventuale compenso del custode sono disciplinati dagli artt.521 (modificato dalla legge n. 52/2006) e 522 c.p.c. Gli artt. 523 e 524 c.p.c. disciplinano rispettivamente l’unione di pignoramenti e il pignoramento successivo. L’ipotesi prevista dall’art. 523 c.p.c. si differenzia da quella dell’art. 493 c.p.c. in quanto mentre in quest’ultima si fa riferimento ad un unico pignoramento posto in essere da più creditori, qui vengono considerati due pignoramenti distinti che proseguono insieme. Ai sensi dell’art. 524 c.p.c., invece, l’ufficiale giudiziario che trova un pignoramento già compiuto ne dà atto nel processo verbale, descrivendo i mobili precedentemente pignorati, e poi procede al pignoramento degli altri beni o fa constare nel processo verbale che non ve ne sono. Se il pignoramento successivo è compiuto anteriormente alla prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione o, quando il valore dei beni pignorati non supera i ventimila euro, anteriormente alla presentazione del ricorso per l’assegnazione o la vendita, il processo verbale viene inserito nel fascicolo formato in base al primo pignoramento e l’esecuzione si svolge in un unico processo. Oltre questi termini, il pignoramento successivo ha con riguardo ai beni colpiti dal primo pignoramento gli effetti di un intervento tardivo; se invece sono stati colpiti altri beni, per questi ultimi si svolge un processo separato. La fase dell’intervento è regolata dagli artt. 525 – 528 c.p.c.. Nell’espropriazione mobiliare presso il debitore l’intervento si considera tempestivo se avviene non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione (art. 525 c.p.c.). Quando però il valore dei beni pignorati non superi i ventimila euro, l’intervento è tempestivo se viene effettuato non oltre la data di presentazione del ricorso contenente l’istanza di assegnazione o di vendita. L’intervento tempestivo consente, oltre che di partecipare alla distribuzione del ricavato, di provocare i singoli atti dell’espropriazione (art. 526 c.p.c.) qualora i creditori siano muniti di titolo esecutivo. Da sottolineare che in base al secondo comma dell’art. 528 c.p.c., i creditori che vantano un diritto di prelazione sulle cose pignorate concorrono alla distribuzione del ricavato in base ai loro diritti di prelazione anche se intervengono tardivamente, non subendo così alcun pregiudizio in caso di intervento non tempestivo. Per quanto riguarda la vendita e l’assegnazione, sull’istanza proposta ai sensi dell’art. 529 c.p.c. il giudice dell’esecuzione fissa l’udienza per l’audizione delle parti e poi decide con ordinanza (salvo pronunciare sentenza sulle eventuali opposizioni). Se però il valore dei beni pignorati non supera i ventimila euro e fino al momento della presentazione del ricorso non sono intervenuti altri creditori, il giudice dell’esecuzione dispone l’assegnazione o la vendita con decreto; qualora invece vi siano stati degli interventi si procede nel 22

modo ordinario, ma verranno ascoltati esclusivamente i creditori intervenuti tempestivamente. La vendita (art. 532 c.p.c. come modificato dalla legge n. 52/2006), può avvenire senza incanto, all’incanto o tramite commissionario41. Nell’art. 534 bis c.p.c. è stata inoltre prevista la possibilità di delegare le operazioni di vendita, anche senza incanto, a notai, avvocati e commercialisti. Quando la vendita avviene a mezzo di commissionario, esistono una serie di obblighi che questi deve rispettare ai sensi dell’art. 533 c.p.c. In particolare, la vendita può avvenire solo per contanti e le operazioni devono essere debitamente documentate. Se entro un mese dal provvedimento di autorizzazione la vendita non c’è stata, il commissionario, salvo proroga su istanza di tutti i creditori intervenuti, deve riconsegnare i beni affinché vengano venduti all’incanto. Per la vendita all’incanto si seguono le disposizioni degli artt. 534 ss. c.p.c.; il prezzo base dell’incanto è stabilito dal giudice dell’esecuzione sentito, se occorre, uno stimatore, e la vendita si fa per contanti. La legge n. 52/2006 ha modificato l’art. 538 c.p.c., per cui oggi se una cosa messa all’incanto resta invenduta, il soggetto al quale sono state affidate le operazioni fissa un nuovo incanto ad un prezzo base inferiore di un quinto rispetto a quello precedente. Se il prezzo non è pagato, si procede immediatamente ad un nuovo incanto a spese e sotto la responsabilità dell’aggiudicatario inadempiente (cosiddetta rivendita forzata, art. 540 c.p.c.). La fase distributiva è regolata dagli artt. 541 e 542 c.p.c. La distribuzione può avvenire in base ad un piano concordato dagli stessi creditori concorrenti (cosiddetta distribuzione amichevole), nel qual caso il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, provvede in conformità; oppure si può avere una distribuzione giudiziale. Quest’ultima ricorre quando i creditori non abbiano trovato un accordo o se il giudice dell’esecuzione non abbia approvato il piano di riparto. .

UNITA’ DIDATTICA 7 – L’ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI Quando l’espropriazione riguarda somme di denaro dovute al debitore esecutato da un terzo, ovvero cose mobili di proprietà del debitore ma momentaneamente in possesso di un terzo, l’esecuzione forzata deve necessariamente avvenire con la collaborazione o comunque il coinvolgimento del terzo42. L’espropriazione presso terzi è regolata dagli artt. 543 – 554 c.p.c. L’art. 543 c.p.c. primo comma dispone: «Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato personalmente al terzo e al debitore a norma degli artt. 137 ss.». La norma prosegue stabilendo che l’atto deve contenere: - l’ingiunzione di cui all’art. 492 c.p.c.; - l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; 41

Il commissionario è un ausiliario del giudice; può essere ad esempio un agente di borsa, un istituto autorizzato alle operazioni di borsa e comunque un professioni sta qualificato. 42 E’ necessario che il debitore non abbia la disponibilità diretta del bene, altrimenti bisognerebbe procedere con l’espropriazione mobiliare presso il debitore. 23

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l’indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l’intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice; la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente; la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del terzo affinché questi dichiari se e quali somme debba al debitore o quali mobili di proprietà del debitore detenga. In seguito alla legge n. 52/2006, l’invito a comparire viene esteso al terzo solo quando si tratta di crediti di lavoro; negli altri casi il terzo può comunicare la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata.

Anche se il terzo risulta essere debitore dell’esecutato non è in alcun modo soggetto passivo dell’espropriazione, pur partecipando ad alcune fasi del procedimento. Prova di tale estraneità è che titolo esecutivo e precetto vanno notificati soltanto al debitore e non anche al terzo. L’art. 545 c.p.c. contiene un’elencazione tassativa dei crediti impignorabili, mentre l’art. 546 è dedicato agli obblighi posti a carico del terzo. Quest’ultima norma è stata radicalmente innovata dalla legge n. 80/2005, che ha aggiunto fra l’altro un secondo comma alla disposizione: «Dal giorno in cui gli è notificato l’atto previsto nell’art. 543 il terzo è soggetto, relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato della metà, agli obblighi che la legge impone al custode. Nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell’art. 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell’esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza 43 non oltre venti giorni dall’istanza». Grazie all’aggiunta delle parole “nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato della metà”, è stato posto un limite alla responsabilità personale del terzo nei confronti del creditore pignorante; in passato, invece, anche per crediti di modesta entità potevano essere pignorati crediti di importo maggiore (in tal modo il creditore pignorante si assicurava il pagamento integrale nel caso intervenissero altri creditori e l’unico rimedio era un provvedimento di riduzione ex art. 496 c.p.c.). Né il creditore pignorante potrebbe eludere la nuova disciplina eseguendo più pignoramenti presso terzi: il debitore, infatti, avvalendosi del secondo comma dell’art. 546 c.p.c., potrebbe chiedere la riduzione proporzionale dei pignoramenti oppure la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi. Una delle fasi più importanti del procedimento di espropriazione presso terzi è costituita dalla dichiarazione che il terzo deve rendere all’udienza di cui all’art. 547 c.p.c., anch’esso modificato dalla legge n. 52/2006. La disposizione, nella sua attuale formulazione, recita: «Con dichiarazione all’udienza o, nei casi previsti, a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente, il terzo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna. Deve altresì specificare i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato. Il creditore pignorante deve chiamare nel processo il sequestrante nel termine perentorio fissato 43

Tale ordinanza è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi, oltre che revocabile e modificabile ai sensi dell’art. 177 c.p.c. 24

dal giudice». Avendo la funzione di accertare o l’esistenza del credito, precisandone anche l’entità, o l’appartenenza del bene pignorato al patrimonio del debitore, la dichiarazione del terzo è l’elemento che perfeziona il pignoramento presso terzi. All’udienza fissata per la dichiarazione44 possono verificarsi diverse ipotesi: 1. il terzo compare e rende la dichiarazione dovuta, con le precisazioni di cui all’art. 547 c.p.c. (cosiddetta dichiarazione positiva). Egli deve inoltre specificare se sono già stati eseguiti pignoramenti presso di lui (art. 550 c.p.c.), nel qual caso si applicherà l’art. 524 c.p.c. sul pignoramento successivo; 2. il terzo non compare all’udienza, o comparendo rifiuta di rendere la dichiarazione, o ancora rende una dichiarazione intorno alla quale sorgono contestazioni. Per questi casi, l’art. 548 c.p.c. stabilisce che il giudice su istanza di parte 45 provvede all’istruzione della causa; si apre un vero e proprio giudizio di cognizione, e se nemmeno nel corso del giudizio di primo grado il terzo rende la dichiarazione, il giudice può ritenere ammesso il debito del terzo. Qui il pignoramento si perfeziona con la sentenza di accertamento. Se la sentenza (si tratta di una sentenza di mero accertamento) che chiude il processo di cognizione accerta l’esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, il giudice fissa alle parti un termine perentorio per la prosecuzione del processo esecutivo (art. 549 c.p.c.). Se al contrario viene accertata l’inesistenza dell’obbligo del terzo, il pignoramento avrà esito negativo e verranno meno gli effetti preliminari dell’atto, fra i quali il vincolo di destinazione sui beni. L’intervento dei creditori nell’espropriazione presso terzi è regolato dalle norme sull’espropriazione mobiliare presso il debitore (artt. 525 ss c.p.c.); l’art. 551 c.p.c. precisa inoltre che per poter essere considerato tempestivo occorre che l’intervento non venga esperito oltre la prima udienza di comparizione delle parti (che per la maggioranza della dottrina è l’udienza fissata affinché il terzo renda la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c.). Se il terzo si dichiara o è dichiarato con la sentenza che chiude il giudizio di cognizione possessore di cose appartenenti al debitore, il giudice dell’esecuzione sentite le parti dispone l’assegnazione o la vendita delle cose mobili secondo le norme sull’espropriazione mobiliare presso il debitore (art. 552 c.p.c.). Per i crediti, invece, se si tratta di somme esigibili subito o comunque entro novanta giorni, il giudice dell’esecuzione le assegna in pagamento ai creditori concorrenti salvo esazione46. Per i crediti esigibili in un termine più lungo e quelli relativi a censi o rendite perpetue o temporanee, viceversa, se i creditori non ne chiedono d’accordo fra loro l’assegnazione, si procede alla vendita in base agli artt. 529 ss. c.p.c. UNITA’ DIDATTICA 8 – L’ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE L’espropriazione immobiliare è il procedimento esecutivo avente ad oggetto la proprietà o altri diritti reali su beni immobili del debitore. 44

L’udienza non può svolgersi prima che siano trascorsi dieci giorni dal pignoramento; il terzo non ha l’obbligo di comparire. 45 Legittimati alla proposizione dell’istanza sono il creditore procedente, il debitore esecutato e, secondo l’opinione prevalente, solo i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. 46 Ciò vuol dire che se il terzo è inadempiente, il creditore assegnatario potrà di nuovo rivolgere la sua pretesa al debitore esecutato. 25

La complessità di questa procedura dipende innanzitutto dal fatto che la scelta dei beni da pignorare è rimessa al creditore e non all’ufficiale giudiziario, e poi dalla necessità di trascrivere l’atto di pignoramento. Ai sensi dell’art. 555 c.p.c., infatti, «Il pignoramento immobiliare si esegue mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale gli si indicano esattamente, con gli estremi del codice civile per l’individuazione dell’immobile ipotecato, i beni e i diritti immobiliari che si intendono sottoporre a esecuzione, e gli si fa l’ingiunzione prevista nell’art. 492. Immediatamente dopo la notificazione l’ufficiale giudiziario consegna copia autentica dell’atto con le note di trascrizione al competente conservatore dei registri immobiliari che trascrive l’atto e gli restituisce una delle note. Le attività previste nel coma precedente possono essere compiute anche dal creditore pignorante, al quale l’ufficiale giudiziario, se richiesto, deve consegnare gli atti di cui sopra». Nel pignoramento immobiliare sono dunque identificabili due momenti distinti: la notifica dell’atto di pignoramento (contenente l’esatta descrizione dell’immobile che si intende assoggettare al vincolo) e la sua successiva trascrizione nei registri immobiliari, che può essere curata personalmente dal creditore procedente. Nei confronti del debitore il pignoramento si perfeziona al momento della notifica; la trascrizione, invece, rende il vincolo efficace nei confronti dei terzi. Secondo la giurisprudenza, il termine di novanta giorni per l’efficacia del pignoramento decorre dalla notifica, mentre la dottrina ritiene che si debba fare riferimento alla trascrizione. Ai sensi dell’art. 557 c.p.c., l’ufficiale giudiziario che ha eseguito il pignoramento deve depositare immediatamente nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione l’atto di pignoramento e, appena possibile, la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari. Il creditore pignorante a sua volta deve depositare entro dieci giorni dal pignoramento titolo esecutivo e precetto, e qualora abbia provveduto personalmente alla trascrizione anche la relativa nota. Il termine di dieci giorni, elevato rispetto ai cinque della precedente disciplina dalla legge n. 80/2005, si considera ordinatorio; il deposito oltre il termine, quindi, non comporta nullità del pignoramento. Col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori (comprese pertinenze e frutti), senza diritto a compenso (art. 559 c.p.c.). La legge n. 80/2005 ha previsto che se l’immobile non è occupato dal debitore deve essere nominato custode una persona diversa; nel caso in cui l’immobile sia occupato dal debitore nominato custode, poi, il giudice deve comunque sostituirlo con la persona o l’istituto incaricati della vendita al momento della pronuncia della relativa ordinanza. Qualora il pignoramento divenga inefficace per il decorso del termine di cui all’art. 497 c.p.c., in base all’art. 562 c.p.c. il giudice dell’esecuzione con l’ordinanza di estinzione del processo dovrà altresì disporre la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Con riguardo all’intervento dei creditori, prima della riforma del 2006 l’art. 563 c.p.c. ora abrogato consentiva l’intervento anche dei creditori a termine o sotto condizione, e l’intervento si considerava tardivo se fosse successivo alla prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita. In seguito all’abrogazione, il dies ad quem per l’intervento tempestivo è rimasto invariato ma è previsto dall’art. 564 c.p.c., il quale dispone pure che i creditori intervenuti tempestivamente e muniti di titolo esecutivo possono provocare i singoli atti dell’espropriazione. I creditori chirografari che intervengono oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita ma prima dell’udienza per la formazione del progetto di distribuzione, concorrono alla distribuzione di quella parte della somma ricavata che sopravanza dopo che siano stati soddisfatti i 26

diritti del creditore pignorante e di quelli intervenuti tempestivamente e a norma dell’art. 566 c.p.c.47 (art. 565 c.p.c.). Numerose modifiche sono state apportate alla disciplina della vendita e dell’assegnazione (artt. 567 ss. c.p.c.) dalla legge n. 263/2005. Il creditore pignorante o il creditore munito di titolo esecutivo che propone l’istanza di vendita, deve produrre la documentazione ipocatastale necessaria per procedere alla vendita (o in sostituzione un’idonea certificazione notarile). Il termine per il deposito è attualmente di centoventi giorni, prorogabile una sola volta dal giudice dell’esecuzione di altri centoventi giorni su istanza dei creditori o dell’esecutato e per giusti motivi; la proroga può essere concessa anche se il giudice ritiene che la documentazione debba essere completata. Se la proroga non è stata chiesta o concessa, oppure se la documentazione non è stata integrata nel termine assegnato, il giudice dell’esecuzione anche d’ufficio dichiara con ordinanza l’inefficacia del pignoramento relativamente all’immobile per il quale non è stata depositata la documentazione. Se non vi sono altri beni pignorati viene altresì dichiarata l’estinzione del processo esecutivo. Presentata l’istanza di vendita, entro trenta giorni dal deposito della documentazione il giudice nomina l’esperto cui affidare le operazioni (e lo convoca affinché questi presti giuramento) e fissa l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori iscritti che non siano intervenuti. Tale udienza rappresenta il termine ultimo per la presentazione delle opposizioni agli atti esecutivi che non siano state già proposte. Se non vi sono opposizioni o comunque su di esse si raggiunge un accordo, il giudice dell’esecuzione dispone con ordinanza la vendita fissando un termine non inferiore a novanta giorni e non superiore a centoventi per proporre offerte d’acquisto (in base all’art. 571 c.p.c. tutti, tranne il debitore, sono ammessi a fare offerte per l’acquisto dell’immobile pignorato). In caso di opposizioni, il tribunale decide su di esse con sentenza e poi il giudice dell’esecuzione ordina la vendita. Ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c., il giudice anziché procedere personalmente può delegare le operazioni di vendita anche senza incanto ad un notaio o ad un professionista. Nel primo caso la vendita all’asta si avrà solo in caso di esito negativo di quella senza incanto; nell’ipotesi di delega, al contrario, non occorre rispettare quest’ordine. La vendita senza incanto è regolata dagli artt. 570 – 575 c.p.c.. Il cancelliere dà pubblico avviso dell’ordinanza di vendita; l’offerta è inefficace (art. 571 c.p.c.) se: -

giunge oltre il termine stabilito; è inferiore al prezzo determinato; l’offerente non presta cauzione (nella misura di un decimo dell’offerta).

L’offerta, che va depositata in busta chiusa e quindi è anonima, è irrevocabile, a meno che: 1. il giudice disponga la gara tra gli offerenti; 2. il giudice ordini l’incanto; 3. siano trascorsi centoventi giorni dalla presentazione dell’offerta e questa non sia stata accolta. In base al disposto dell’art. 572 c.p.c., il giudice decide sull’offerta sentiti le parti e i creditori iscritti non intervenuti; l’offerta viene sicuramente accolta quando supera il valore dell’immobile 47

Si tratta dei creditori iscritti e privilegiati, che non subiscono pregiudizio anche se intervengono oltre il termine previsto, ma comunque prima dell’udienza per la formazione del progetto di distribuzione. 27

aumentato di un quinto, mentre se è inferiore il giudice non procede alla vendita quando vi sia il dissenso del creditore procedente oppure se il giudice stesso ritenga che vi sia seria possibilità di una vendita migliore all’incanto. L’art. 574 c.p.c. dispone che il giudice dell’esecuzione quando fa luogo alla vendita dispone con decreto le modalità ed il termine di versamento del prezzo; avvenuto il versamento, viene pronunciato il decreto di trasferimento della proprietà del bene espropriato all’aggiudicatario. Passiamo alla vendita all’asta o con incanto (artt. 576 – 587 c.p.c.). L’ordinanza che dispone la vendita contiene le indicazioni di cui all’art. 576 c.p.c. (tra di essi il prezzo base dell’incanto, giorno e ora dell’asta, l’ammontare della cauzione e la misura minima dell’aumento da apportarsi alle offerte). La legge n. 80 /2005 ha inserito nel secondo comma dell’art. 580 c.p.c. una disposizione sanzionatoria per l’offerente che non abbia partecipato all’incanto, anche a mezzo di procuratore speciale, senza documentato e giustificato motivo. Qualora egli non risulti aggiudicatario, infatti, non gli viene restituita tutta la cauzione versata ma solo i nove decimi, trattenendo il decimo restante che andrà a far parte della somma da distribuire. Avvenuto l’incanto, è ancora possibile fare offerte d’acquisto per dieci giorni (art. 584 c.p.c.), ma per essere efficaci devono superare di un quinto il prezzo raggiunto nell’incanto. Questa disposizione ha la finalità di ottimizzare il risultato della vendita; da essa si ricava che la prima aggiudicazione dell’immobile non è definitiva. Le offerte vanno fatte in forma anonima e la cauzione deve essere pari al doppio di quella prestata in base all’art. 580 c.p.c. Il giudice indice una nuova gara, di cui va avvertito l’aggiudicatario, fissando il termine perentorio per le ulteriori offerte. Alla gara possono partecipare coloro che hanno fatto l’offerta in aumento, l’aggiudicatario e gli offerenti al precedente incanto. Se nessuno degli offerenti in aumento partecipa alla gara, l’aggiudicazione diviene definitiva e si applica la sanzione prevista dall’art. 580 c.p.c. Importante modifica è quella che ha interessato l’art. 585 c.p.c., al quale è stato aggiunto un terzo comma che consente a chi compra all’asta di farsi finanziare da un istituto di credito (che iscrive ipoteca sull’immobile). In questo caso, nel decreto di trasferimento il giudice si riferirà al contratto di finanziamento e il conservatore dei registri immobiliari potrà effettuare la trascrizione solo unitamente all’iscrizione ipotecaria. Anche in questo caso il trasferimento della proprietà non avviene con l’aggiudicazione bensì con il decreto di trasferimento di cui all’art. 586 c.p.c., che contiene anche l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto. Il giudice ordina contemporaneamente la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie sia anteriori che successive alla trascrizione del pignoramento stesso. Se l’aggiudicatario è inadempiente, il giudice dell’esecuzione con decreto ne dichiara la decadenza, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto. Se il prezzo ricavato, unitamente alla cauzione, risulta inferiore a quello dell’incanto precedente, l’aggiudicatario inadempiente è tenuto al pagamento della differenza (art. 587 c.p.c.). Per quanto riguarda l’assegnazione, essa si presenta come sussidiaria per il caso in cui la vendita non sia andata a buon fine. L’art. 588 c.p.c. come modificato dalla legge n. 80/2005 dispone: «Ogni creditore, nel termine di 28

dieci giorni prima della data dell’incanto, può presentare istanza di assegnazione a norma dell’articolo 589 per il caso in cui la vendita all’incanto non abbia luogo per mancanza di offerte». In virtù dell’art. 589 c.p.c., poi, fermo che il prezzo dell’assegnazione non può essere inferiore alla somma necessaria per pagare le spese dell’esecuzione e i creditori aventi un diritto di prelazione e al prezzo determinato a norma dell’art. 568 c.p.c., qualora non siano intervenuti altri creditori quello procedente può offrire di pagare un prezzo pari alla differenza fra il suo credito in linea capitale (dunque esclusi gli accessori) e il prezzo che intende offrire, oltre alle spese. Se vi sono più domande di assegnazione (art. 590 c.p.c.), il giudice provvede su di esse fissando il termine entro il quale l’assegnatario deve versare l’eventuale conguaglio; avvenuto il versamento, si pronuncia il decreto di trasferimento. Se invece non vengono presentate domande di assegnazione oppure si decide di non accoglierle (art. 591 c.p.c. come modificato dalla legge n. 263/2005), il giudice dell’esecuzione può disporre l’amministrazione giudiziaria o procedere ad un nuovo incanto per un prezzo base inferiore di un quarto a quello precedente. Anche la fase distributiva ha subito qualche piccola modifica, relativa al fatto che le operazioni di distribuzione oggi possono essere delegate al notaio o al professionista. Caratteristica dell’espropriazione immobiliare è che l’iniziativa per il riparto è sempre del giudice o del professionista delegato. Entro trenta giorni dal versamento del prezzo (art. 586 c.p.c.), si provvede a formare un progetto di distribuzione che viene depositato in cancelleria affinché i creditori e il debitore lo consultino, fissando anche l’udienza per la loro audizione48. Se il progetto è approvato (l’approvazione si ha anche in caso di mancata comparizione all’udienza) o si raggiunge un accordo fra tutte le parti, ex art. 598 c.p.c. se ne dà atto nel processo verbale e si ordina il pagamento delle singole quote 49; altrimenti si avrà una controversia distributiva con conseguente applicazione dell’art. 512 c.p.c.

UNITA’ DIDATTICA 9 – L’ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI Capita spesso che un diritto di proprietà o di godimento su un bene spetti a più di un soggetto (pensiamo per esempio ad un appartamento di proprietà di cinque persone). Ora, se questo bene viene espropriato bisogna seguire la procedura descritta dagli artt. 599 – 601 c.p.c., cioè l’espropriazione di beni indivisi. Più specificamente, il creditore si avvale di questo procedimento non solo quando il bene è in comunione, ma anche quando non tutti i contitolari sono obbligati verso di lui (o pur essendolo egli non intenda comunque agire contro tutti). L’art. 599 c.p.c. dispone: «Possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati verso il creditore. In tal caso del pignoramento è notificato avviso, a cura del creditore pignorante, anche agli altri comproprietari, ai quali è fatto divieto di lasciare separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine di giudice». La notificazione dell’avviso svolge una funzione di tutela per il creditore, perché da un lato previene eventuali collusioni fra il debitore e gli altri contitolari in danno del creditore stesso (si potrebbe attuare una divisione del bene tale per cui al debitore spetti una parte minima), dall’altro 48

Se non sono intervenuti altri creditori si applica il primo comma dell’art. 510 c.p.c. G. Verde, La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006, 33 s., nota come forse il legislatore si sia spinto troppo oltre dando la possibilità ad un privato (qual è il notaio o un professionista) di tenere udienza e disporre il pagamento delle quote. 49

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consente l’audizione di tutti gli interessati. L’avviso deve contenere l’indicazione del creditore pignorante, del bene pignorato, della data dell’atto di pignoramento50 (e della sua trascrizione se si tratta di un bene immobile), e inoltre l’ingiunzione di non lasciar separare dal debitore la quota di sua spettanza. Il pignoramento, che può essere sia mobiliare che immobiliare, colpisce esclusivamente la quota spettante all’esecutato, anche se tutto il bene viene coinvolto nelle attività esecutive; gli altri contitolari non diventano soggetti passivi dell’espropriazione. A norma dell’art. 600 c.p.c., «Il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore pignorante 51 o dei comproprietari e sentiti tutti gli interessati, provvede, quando è possibile, alla separazione della quota in natura spettante al debitore. Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell’art. 568». Il secondo comma dell’art. 600 c.p.c. è stato così modificato dalla legge n. 80/2005; a seguito della riforma il potere discrezionale del giudice dell’esecuzione è stato notevolmente limitato, in quanto va seguito l’ordine previsto dal legislatore (separazione in natura del bene, vendita, divisione a norma del codice civile). Qualora sia necessario procedere alla divisione, l’esecuzione è sospesa fino a che non venga raggiunto un accordo fra le parti o pronunciata una sentenza che abbia i requisiti dell’art. 627 c.p.c. (art. 601 c.p.c.). Una volta avvenuta la divisione, si seguono le normali disposizioni per la vendita o l’assegnazione in base alla natura del bene.

UNITA’ DIDATTICA 10 – L’ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO Gli artt. 602 – 604 c.p.c. disciplinano l’espropriazione contro il terzo proprietario, procedimento di espropriazione caratterizzato dal fatto che l’esecuzione promossa contro il debitore aggredisce beni di proprietà di un terzo che sono stati vincolati a garanzia dell’obbligazione, pur mancando una responsabilità diretta del terzo. Si parla al riguardo di responsabilità senza debito, poiché l’espropriazione investe il bene e non il suo proprietario. L’art. 602 c.p.c. stabilisce: «Quando oggetto dell’espropriazione è un bene gravato da pegno o da ipoteca per un debito altrui, oppure un bene la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata per frode, si applicano le disposizioni contenute nei capi precedenti, in quanto non siano modificate dagli articoli che seguono». In pratica il terzo si obbliga a garantire un debito altrui, dunque è soggetto passivo dell’espropriazione. Si è discusso se in concreto soggetto passivo dell’esecuzione sia solo il terzo o anche il debitore; in realtà entrambi sono assoggettati all’espropriazione, anche se a titolo diverso: il debitore in 50 51

Da ciò si deduce che il pignoramento non si perfeziona con la notifica dell’avviso bensì prima. Al creditore pignorante vanno aggiunti i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. 30

quanto tale, il terzo perché proprietario del bene aggredito. L’art. 602 c.p.c. individua le ipotesi in cui specificamente si realizza la fattispecie in esame (e dunque la responsabilità senza debito): - pegno per debito altrui; - ipoteca per debito altrui; - alienazione di un bene da parte del debitore revocata per frode. Dal momento che pegno e ipoteca rappresentano le forme di garanzia reale, bisogna escludere che sia compresa nella previsione la fideiussione, che è una garanzia personale; inoltre si ha responsabilità senza debito anche ad esempio nel caso del terzo proprietario di un bene gravato da privilegio. Le particolarità di questo tipo di espropriazione, che si attua nelle forme ordinarie a seconda della natura del bene, consistono innanzitutto nel fatto che titolo esecutivo e precetto devono essere notificati sia al debitore che al terzo, menzionando nel precetto il bene del terzo che si intende espropriare (art. 603 c.p.c.). Ancora, tutte le volte che deve essere sentito il debitore va ascoltato anche il terzo; al terzo si applicano tutte le disposizioni relative al debitore tranne il divieto di fare offerte all’incanto (art. 604 c.p.c.). Il legislatore garantisce in questo modo al terzo gli stessi strumenti di difesa che sono a disposizione del debitore.

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BIBLIOGRAFIA MODULO 2 - L’ESPROPRIAZIONE FORZATA

DE STEFANO F., Il nuovo processo di esecuzione. Le novità della riforma: L. 28 dicembre 2005, n. 263, L. 24 febbraio 2006, n. 52, 2ª ed., Firenze, Ipsoa, 2006. MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. MIOZZO A., TAFURO V., La nuova espropriazione forzata, Piacenza, La Tribuna, 2006. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

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MODULO 3 L’ESECUZIONE FORZATA IN FORMA SPECIFICA

UNITÀ DIDATTICA 1- L’ESECUZIONE FORZATA PER CONSEGNA O RILASCIO Anche se generalmente si parla di esecuzione forzata in forma specifica per indicare la categoria dell’esecuzione forzata comprendente l’esecuzione forzata per consegna o rilascio e l’esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare, il codice di procedura civile non utilizza mai questa espressione, occupandosi direttamente dei singoli procedimenti. Caratteristica di queste procedure è che si tende a realizzare il diritto del creditore su un bene determinato (mobile o immobile) oppure ad ottenere una specifica prestazione fungibile di facere o di non facere. L’esecuzione in forma specifica mira a far nuovamente ottenere al proprietario la disponibilità dei suoi beni (nel caso della consegna e del rilascio), ovvero a garantirgli la costruzione o distruzione di un’opera determinata. Per questa ragione nell’esecuzione forzata in forma specifica non si pone il problema del concorso dei creditori, al massimo potranno esserci più legittimati. A differenza di quanto accade nell’espropriazione forzata, dove titoli esecutivi idonei possono essere sia di formazione giudiziale che stragiudiziale, l’esecuzione forzata in forma specifica può essere introdotta soltanto da titoli del primo tipo. Gli artt. 605-611 c.p.c. disciplinano l’esecuzione forzata per consegna di cose mobili o rilascio di beni immobili; si parla al riguardo di esecuzione diretta, perché attraverso di essa il creditore non mira alla trasformazione del bene in denaro bensì ad ottenere il possesso della cosa stessa. Anche qui occorre notificare titolo esecutivo e precetto, ma quest’ultimo deve contenere, oltre alle indicazioni di cui all’art. 480, anche la descrizione sommaria dei beni stessi (art. 605 c.p.c.). Se il titolo esecutivo dispone circa il termine della consegna o del rilascio, l’intimazione va fatta con riferimento a tale termine. Con riferimento al modo della consegna, l’art. 606 c.p.c. dispone: «Decorso il termine indicato 33

nel precetto, l’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, si reca sul luogo in cui le cose si trovano e le ricerca a norma dell’art. 513; quindi ne fa consegna alla parte istante o a persona da lei designata». L’accesso dell’ufficiale giudiziario segna l’inizio dell’esecuzione per consegna; nella prassi la consegna avviene spesso all’ufficiale giudiziario senza che sia presente il creditore o un suo delegato. Per l’ipotesi in cui le cose da consegnare siano già state pignorate, l’art. 607 c.p.c. prevede che la parte istante faccia valere le sue ragioni mediante opposizione di terzo all’esecuzione. In pratica il creditore dovrà in tale ipotesi provare l’invalidità del pignoramento perché eseguito su di un bene proprio e non del debitore. Delle operazioni si redige processo verbale. L’esecuzione per rilascio, a seguito della modifica dell’art. 608 c.p.c. ad opera della legge n. 80/2005, inizia con la notifica dell’avviso con il quale l’ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte tenuta a rilasciare l’immobile il giorno e l’ora in cui procederà. Si è posto così fine ad un lungo dibattito dottrinale circa il momento iniziale di questa procedura; il preavviso non è invece richiesto nell’esecuzione per consegna di beni mobili a causa della facilità con cui il debitore potrebbe sottrarre la cosa all’esecuzione. Rispetto ai tre giorni previsti dalla precedente disciplina, oggi il termine dilatorio tra la notificazione dell’avviso e l’accesso dell’ufficiale giudiziario è di dieci giorni. In tal modo vengono meglio tutelate le esigenze di difesa del debitore, che potrà proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. già dopo la notifica del preavviso. L’ufficiale giudiziario, munito di titolo esecutivo e precetto, deve recarsi nel giorno e nell’ora stabiliti sul luogo dell’esecuzione; avvalendosi se occorre dei poteri di cui all’art. 513 c.p.c. egli immette la parte istante o una persona appositamente designata nel possesso dell’immobile, di cui consegna le chiavi ingiungendo anche agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore. Delle operazioni si redige processo verbale. La legge n. 80/2005 ha aggiunto un art. 608 bis, a norma del quale l’esecuzione per consegna o rilascio si estingue se la parte istante, prima della consegna o del rilascio, rinuncia mediante atto notificato alla parte esecutata e consegnato all’ufficiale giudiziario procedente. Attraverso l’introduzione di un’espressa ipotesi di estinzione dell’esecuzione per consegna o rilascio, il legislatore ha voluto risolvere un problema pratico, in quanto si ritiene generalmente che le norme sull’estinzione del processo esecutivo (artt. 629 – 632 c.p.c.) trovino applicazione esclusivamente per i procedimenti di espropriazione forzata. Ciò in ragione del fatto che l’esecuzione per consegna o rilascio non prevede un processo retto da un giudice, con apposite udienze, ma è rimessa completamente all’ufficiale giudiziario, salvo l’insorgere di difficoltà nel corso dell’esecuzione. In questo caso, infatti, si applica l’art. 610 c.p.c.: «Se nel corso dell’esecuzione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte 52 può chiedere al giudice dell’esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti». Le difficoltà alle quali fa riferimento la norma devono riguardare l’opportunità o le modalità dell’esecuzione, perché le contestazioni giuridiche sulla legittimità dell’esecuzione si fanno valere con le specifiche opposizioni (all’esecuzione, agli atti esecutivi e di terzo). 52

Si ritiene che sia legittimato anche il detentore della cosa da consegnare o rilasciare. 34

Il giudice dell’esecuzione decide con decreto che è sempre modificabile e revocabile in quanto non ha contenuto decisorio. Anche l’art. 611 c.p.c. è stato modificato dalla legge n. 80/2005: «Nel processo verbale l’ufficiale giudiziario specifica tutte le spese anticipate dalla parte istante. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice dell’esecuzione a norma degli articoli 91 e seguenti con decreto che costituisce titolo esecutivo». L’introduzione dell’inciso “a norma degli articoli 91 e seguenti” estende anche al processo esecutivo la disciplina generale in materia di spese processuali, per cui oggi è possibile ottenere il ristoro di tutte le spese sopportate.

UNITA’ DIDATTICA 2 – L’ESECUZIONE FORZATA DI OBBLIGHI DI FARE E DI NON FARE Mentre nell’esecuzione per consegna o rilascio l’intervento del giudice dell’esecuzione è meramente eventuale, nell’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare è proprio il giudice a stabilire le modalità concrete dell’esecuzione. Il procedimento è disciplinato dagli artt. 612 – 614 c.p.c., ed inizia con la presentazione al giudice dell’esecuzione del ricorso in cui gli si chiede di stabilire le modalità dell’esecuzione. L’art. 612 c.p.c. dispone: «Chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione che siano determinate le modalità dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta». La prestazione dell’obbligato può consistere non solo in un obbligo o in un divieto di fare, ma anche in un obbligo di disfare quanto illegittimamente compiuto (pensiamo per esempio alla demolizione di un muro). Condizione essenziale dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c. è la fungibilità della prestazione, nel senso che questa deve poter essere effettuata da un terzo (a spese del debitore) qualora l’obbligato non adempia. Presupposto della procedura è l’esistenza di una sentenza di condanna, che in pratica contiene il risultato da raggiungere nei modi determinati nell’ordinanza del giudice. Anche se contro tale provvedimento sono proponibili l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi, a causa della natura decisoria dell’ordinanza la giurisprudenza ne ammette l’impugnazione mediante appello. Se nel corso dell’esecuzione insorgono difficoltà, l’ufficiale giudiziario oltre a farsi assistere dalla forza pubblica deve chiedere al giudice dell’esecuzione, che decide con decreto, le disposizioni opportune (art. 613 c.p.c.). Anche nel silenzio della disposizione, bisogna ritenere che il potere di rivolgersi al giudice spetti altresì alle parti. Al termine o nel corso dell’esecuzione, la parte istante presenta al giudice dell’esecuzione la nota delle spese anticipate vistata dall’ufficiale giudiziario, con domanda di decreto ingiuntivo, che il 35

giudice concede ove ritenga le spese stesse giustificate (art. 614 c.p.c.).

BIBLIOGRAFIA MODULO 3- L’ESECUZIONE FORZATA IN FORMA SPECIFICA

DE STEFANO F., Il nuovo processo di esecuzione. Le novità della riforma: L. 28 dicembre 2005, n. 263, L. 24 febbraio 2006, n. 52, 2ª ed., Firenze, Ipsoa, 2006. MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. 36

Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

MODULO 4 LE OPPOSIZIONI. SOSPENSIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO

UNITÀ DIDATTICA 1- NATURA DELLE OPPOSIZIONI. L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE Tutte le volte che un’esecuzione viene ritenuta illegittima, sia il debitore che un terzo possono proporre un’opposizione, specifica a seconda del vizio fatto valere: opposizione all’esecuzione, opposizione agli atti esecutivi ed opposizione di terzo all’esecuzione53. Quando viene proposta un’opposizione si apre un ordinario giudizio di cognizione all’interno del processo esecutivo, finalizzato a decidere a seguito di un autonomo accertamento quella determinata contestazione. In dottrina viene fatta una distinzione generale fra opposizioni di merito e opposizioni formali; attraverso le prime si contesta l’an dell’esecuzione, la sua fondatezza, mentre con le seconde si mette in dubbio la regolarità ed opportunità di un singolo atto esecutivo (cosiddetto quomodo 53

Esiste inoltre un’opposizione particolare, costituita dalle controversie nascenti in sede di distribuzione (art. 512 c.p.c.). L’art. 618 bis c.p.c., poi, riguarda le opposizioni in materia di lavoro, previdenza e assistenza. 37

dell’esecuzione). Opposizioni di merito sono quelle di cui agli artt. 615, 619 e 512 c.p.c. 54, viceversa opposizione formale è quella ex art. 617 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi). L’opposizione all’esecuzione è prevista dall’art. 615 c.p.c., modificato dalla legge n. 80/2005: «Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell’art. 27. Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo. Quando è iniziata l’esecuzione, l’opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell’esecuzione stessa. Questi fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto». L’opposizione all’esecuzione può essere esperita per contestare il diritto di procedere all’esecuzione forzata oppure, dopo che il processo sia iniziato, la pignorabilità dei beni. Se il rimedio è proposto prima dell’inizio della procedura, assume la forma dell’opposizione a precetto, mediante atto di citazione davanti al giudice competente; se l’esecuzione è già iniziata, invece, sarà presentato ricorso al giudice dell’esecuzione (tribunale in composizione monocratica). Quando la contestazione ha ad oggetto un titolo giudiziale, ovviamente non possono essere fatti valere i vizi opponibili nel giudizio di cognizione, ma solo quelli verificatisi dopo la formazione del titolo (pensiamo ad un fatto impeditivo o estintivo). Per i titoli stragiudiziali, al contrario, non ci sono limiti in ordine alle contestazioni proponibili (ad esempio per una cambiale sarà ammissibile sia un vizio formale come l’irregolarità del bollo sia un vizio attinente al rapporto sottostante). Legittimati attivi sono il debitore esecutato e, nel caso di espropriazione contro il terzo proprietario, anche il terzo; legittimati passivi sono il creditore procedente e, secondo la giurisprudenza prevalente, ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. Sotto il vigore della precedente disciplina, quando l’opposizione fosse proposta prima dell’inizio del processo esecutivo il giudice adito non aveva il potere sospensivo, poiché si riteneva impossibile sospendere un’esecuzione di fatto ancora inesistente. Il legislatore del 2005 ha perciò modificato il primo comma dell’art. 615 c.p.c., dando al giudice la facoltà di sospendere su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo se sussistono gravi motivi. Ai sensi dell’art. 616 c.p.c. come modificato dalla legge n. 52/2006, proposta l’opposizione, se risulta competente l’ufficio giudiziario a cui appartiene il giudice dell’esecuzione questi fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito; altrimenti rimette la causa dinanzi all’ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa. La causa viene decisa con sentenza non impugnabile; in tal modo il legislatore ha uniformato la disciplina riguardante il provvedimento decisorio per tutti e tre i tipi di opposizione.

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Il Verde nota come in realtà vera opposizione di merito sia solo quella ex art. 615 c.p.c.; vedi G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 214 s. 38

UNITA’ DIDATTICA 2 – L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI Con l’opposizione agli atti esecutivi le parti del processo (dunque non solo il soggetto passivo) contestano l’irregolarità di un determinato atto esecutivo (il cosiddetto quomodo). L’art. 617 c.p.c. dispone: «Le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l’esecuzione, davanti al giudice indicato nell’art. 480 terzo comma55, con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto. Le opposizioni di cui al comma precedente che sia stato impossibile proporre prima dell’inizio dell’esecuzione56 e quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti di esecuzione si propongono con ricorso al giudice della esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto, oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti». Il concetto di regolarità formale al quale fa riferimento l’art. 617 c.p.c. è in realtà abbastanza ampio: infatti esso comprende non soltanto la nullità, ma anche l’inopportunità e l’incongruenza dei singoli atti esecutivi57 (per esempio atto di pignoramento, istanza di vendita e così via). L’opposizione agli atti esecutivi costituisce un rimedio “di chiusura”, utilizzabile cioè tutte le volte che si voglia far valere l’ingiustizia di un atto esecutivo e il legislatore non abbia previsto uno strumento ad hoc. E’ bene ribadire che attraverso di essa non è possibile contestare la fondatezza dell’esecuzione, ma si possono sollevare solo questioni processuali. Con la legge n. 80/2005 il termine originario di cinque giorni per proporre l’opposizione agli atti esecutivi (decorrente dalla notifica di titolo esecutivo o precetto ovvero dal compimento dell’atto esecutivo contestato) è stato elevato a venti, allo scopo di consentire al soggetto passivo di predisporre una difesa più efficace. Anche in questo caso se l’opposizione è proposta prima dell’inizio del processo esecutivo deve avere forma di citazione, se invece è proposta dopo si avrà un ricorso. La legge n. 52/2006 ha modificato l’art. 618 c.p.c., dedicato ai provvedimenti del giudice dell’esecuzione, il quale fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto e dà, nei casi urgenti, i provvedimenti opportuni. In particolare, attualmente il secondo comma dell’art. 618 c.p.c. dispone: «All’udienza [il giudice] dà con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili ovvero sospende la procedura. In ogni caso fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’articolo 163 bis, o altri se previsti, ridotti della metà. La causa è decisa con sentenza non impugnabile. Sono altresì non impugnabili le sentenze pronunciate a norma dell’articolo precedente primo comma». In passato mancava l’espresso potere per il giudice di sospendere il processo qualora venisse 55

Si tratta del giudice dell’esecuzione. E’ il caso in cui sia stata autorizzata l’esecuzione immediata, senza il rispetto del termine dilatorio di dieci giorni dalla notifica del precetto. 57 Ovviamente nel caso del titolo esecutivo la contestazione dovrà riguardare unicamente la regolarità formale; infatti la nullità o l’inesistenza del diritto a procedere devono essere fatte valere con l’opposizione all’esecuzione. 56

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presentata opposizione agli atti esecutivi; dottrina e giurisprudenza risolvevano il problema comprendendo il provvedimento di sospensione negli atti indilazionabili che il giudice poteva adottare. Oggi il legislatore ha introdotto espressamente tale facoltà al secondo comma dell’art. 618 c.p.c. In base all’art. 628 c.p.c., l’opposizione ai singoli atti esecutivi sospende il decorso del termine di efficacia del pignoramento.

UNITA’ DIDATTICA 3 – L’OPPOSIZIONE DI TERZO ALL’ESECUZIONE Dal momento che la legge non richiede accertamenti preventivi circa la pignorabilità di un bene, può accadere che l’esecuzione pregiudichi il diritto di un terzo. Quest’ultimo può far valere la sua estraneità alla procedura mediante l’opposizione di terzo all’esecuzione, disciplinata dagli artt. 619 -621 c.p.c. L’art. 619 c.p.c., modificato dalla legge n. 52/2006, stabilisce: «Il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni. Il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. Se all’udienza le parti raggiungono un accordo il giudice ne dà atto con ordinanza, adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare, se del caso, la prosecuzione del processo esecutivo ovvero ad estinguere il processo, statuendo altresì in questo caso anche sulle spese; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell’articolo 616 tenuto conto della competenza per valore». Il terzo che può proporre questo tipo di opposizione è dunque quello che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati; anche se in astratto la situazione può verificarsi anche nell’espropriazione immobiliare, nella prassi le ipotesi più frequenti si riscontrano nell’espropriazione mobiliare presso il debitore. Infatti, quando l’ufficiale giudiziario si reca nella casa del debitore o in un altro luogo a lui appartenente per effettuare il pignoramento, parte dal presupposto che le cose che vi trova appartengano al debitore; da qui la possibilità di errore. L’art. 620 c.p.c. prevede due ipotesi in cui il terzo può far valere i suoi diritti soltanto sulla somma ricavata (cosiddetta opposizione tardiva): 1. quando fa opposizione ma il giudice non sospende la vendita dei beni mobili; 2. quando propone l’opposizione dopo che sia stata effettuata la vendita. L’opposizione tardiva in senso stretto si verifica nel secondo caso, perché proposta dopo la vendita dei beni e quindi in fase distributiva; viceversa l’opposizione proposta prima del provvedimento di vendita o assegnazione è tempestiva. L’art. 621 c.p.c. pone dei limiti al potere del terzo di provare il suo diritto tramite testimoni: «Il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore, tranne che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore». Questa norma trova la sua giustificazione nel fatto che altrimenti sarebbe molto semplice frodare 40

i creditori. Infatti, debitore e terzo potrebbero mettersi d’accordo e sottrarre determinati beni al pignoramento fingendo che siano di proprietà del terzo. Unica deroga al divieto della prova testimoniale si ha quando per la professione o il commercio esercitati dal debitore o dal terzo, l’esistenza del diritto sia verosimile. Pensiamo per esempio ad un debitore il cui lavoro sia quello di restaurare oggetti antichi o preziosi: bene, è verosimile che presso di lui si trovino cose di valore che non gli appartengono, perciò sarà consentito provare il diritto del terzo attraverso dei testimoni.

UNITA’ DIDATTICA 4 – LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO Il processo esecutivo può andare incontro a vicende che ne determinano una stasi, temporanea (è il caso della sospensione) o definitiva (l’estinzione). Si tratta di istituti presenti anche nel processo di cognizione, dove però troviamo pure l’interruzione, che qui manca perché il processo esecutivo ha carattere ufficioso, nel senso che una volta dato l’impulso prosegue automaticamente. Le ipotesi in cui si applica la sospensione sono indicate dall’art. 623 c.p.c.: «Salvo che la sospensione sia disposta dalla legge o dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo, l’esecuzione forzata non può essere sospesa che con provvedimento del giudice dell’esecuzione». In generale, l’istituto si giustifica tutte le volte che il processo esecutivo in corso deve essere coordinato con un giudizio di cognizione, la cui definizione risulta indispensabile affinché l’esecuzione prosegua. La sospensione può innanzitutto essere disposta dalla legge: è ad esempio il caso dell’art. 601 c.p.c., in cui a proposito dell’espropriazione di beni indivisi si dice che l’esecuzione è sospesa finché non si decida sulla divisione. A sospendere l’esecuzione, poi, può essere il giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo: pensiamo al caso in cui venga proposto appello chiedendo altresì al giudice di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza. Al di fuori di queste due ipotesi, la necessità di sospendere un processo esecutivo può essere valutata esclusivamente dal giudice dell’esecuzione. Le leggi n. 80/2005 e n. 52/2006 hanno modificato l’art. 624 c.p.c. ed introdotto un art. 624 bis che prevede la sospensione su istanza delle parti. A norma dell’art. 624 c.p.c., quando viene proposta opposizione all’esecuzione oppure opposizione di terzo, il giudice dell’esecuzione su istanza di parte e se concorrono gravi motivi sospende il processo, con cauzione o senza 58. Sulla sospensione si decide con ordinanza, reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies; stessa possibilità viene riconosciuta rispetto all’ordinanza che sospende la distribuzione del ricavato (art. 512 c.p.c.). In virtù del terzo comma dell’art. 624 c.p.c., quando non viene proposto reclamo ovvero la sospensione è disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la 58

La cauzione serve ad assicurare l’eventuale risarcimento del danno che il creditore può subire per effetto della sospensione. 41

sospensione dichiara su istanza dell’opponente 59 con ordinanza non impugnabile l’estinzione del pignoramento, previa cauzione e con salvezza degli atti compiuti. Come nota il Verde60, la norma rappresenta una contraddizione in termini, perché da un lato lascia il processo esecutivo pendente nonostante sia sospeso, dall’altro lo priva del suo oggetto; inoltre la terminologia utilizzata dal legislatore lascia non pochi dubbi sull’interpretazione della norma. Con l’introduzione dell’art. 624 bis c.p.c. nella formulazione da ultimo modificata con la legge n. 52/2006, anche nel processo esecutivo è stata prevista la sospensione su istanza delle parti. Il giudice dell’esecuzione, su istanza di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo e sentito il debitore, può sospendere il processo fino a ventiquattro mesi. La richiesta può essere avanzata fino a venti giorni prima della scadenza del termine per il deposito delle offerte d’acquisto o, se non ha luogo la vendita senza incanto, fino a quindici giorni prima dell’incanto. Se il giudice accoglie l’istanza (su cui deve pronunciarsi nei dieci giorni successivi al deposito), pronuncia ordinanza revocabile in qualsiasi momento anche su richiesta di un solo creditore e sentito comunque il debitore. La sospensione può essere disposta una sola volta. Scaduto il termine concesso per la sospensione, entro dieci giorni la parte interessata deve presentare istanza per la fissazione dell’udienza di prosecuzione del processo. L’ultimo comma dell’art. 624 bis, infine, fissa regole particolari per il caso in cui la sospensione venga chiesta in una espropriazione mobiliare o presso terzi: «Nelle espropriazioni mobiliari l’istanza per la sospensione può essere presentata non oltre la fissazione della data di asporto dei beni ovvero fino a dieci giorni prima della data della vendita se questa deve essere espletata nei luoghi in cui essi sono custoditi e, comunque, prima dell’effettuazione della pubblicità commerciale ove disposta. Nelle espropriazioni presso terzi l’istanza di sospensione non può più essere proposta dopo la dichiarazione del terzo». Per quanto riguarda il procedimento di sospensione, l’art. 625 c.p.c. dispone che sull’istanza il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza sentite le parti. Nei casi urgenti la sospensione è disposta con decreto inaudita altera parte, nel quale si fissa l’udienza di comparizione delle parti; a seguito di essa viene pronunciata ordinanza con la quale il provvedimento adottato con decreto viene confermato, modificato o revocato. In virtù dell’art. 626 c.p.c., dedicato agli effetti della sospensione, quando il processo è sospeso non può essere compiuto alcun atto esecutivo, a meno che il giudice dell’esecuzione non disponga diversamente61. La sospensione ha efficacia ex nunc, dunque dal momento in cui è dichiarata. Venuta meno la causa di sospensione, il processo esecutivo deve essere riassunto con ricorso nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’opposizione. 59

L’istanza, in base al terzo comma dell’art. 624 c.p.c., è alternativa all’instaurazione del giudizio di merito sull’opposizione, che comunque potrà essere promosso da ogni altro interessato. La disposizione deve essere intesa nel senso che l’alternativa è fra l’istanza di estinzione e il compimento delle formalità successive necessarie a far proseguire il giudizio di merito che si instaura a seguito dell’opposizione. 60 Cfr. G. Verde, La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006, 37 s. 61 La salvezza riguarda gli atti urgenti, cioè quelli che hanno funzione conservativa o amministrativa dei beni pignorati (per esempio la vendita di beni deteriorabili oppure la sostituzione del custode). 42

Il ricorso può essere presentato dal creditore procedente, da un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, dal debitore.

UNITA’ DIDATTICA 5 – L’ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO L’estinzione del processo esecutivo è disciplinata dagli artt. 629 – 631 c.p.c., in parte modificati dalle leggi n. 80/2005 e n. 263/2005. Un processo esecutivo si può estinguere per rinuncia, per inattività delle parti e per mancata comparizione all’udienza. L’estinzione per rinuncia è prevista dall’art. 629 c.p.c.: «Il processo si estingue se, prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione, il creditore pignorante e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo rinunciano agli atti. Dopo la vendita il processo si estingue se rinunciano agli atti tutti i creditori concorrenti. In quanto possibile, si applicano le disposizioni dell’art. 306». L’art. 629 c.p.c. distingue dunque a seconda che la rinuncia avvenga prima dell’aggiudicazione62 o dell’assegnazione oppure dopo la vendita: nel primo caso è sufficiente che a rinunciare siano il creditore pignorante e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo, nel secondo invece occorre che lo facciano tutti i creditori concorrenti (anche quelli non muniti di titolo esecutivo). In quanto possibile, trova applicazione l’art. 306 c.p.c. che regola l’estinzione per rinuncia nel processo di cognizione. Ciò vuol dire innanzitutto che la dichiarazione di rinuncia può essere fatta verbalmente all’udienza ovvero con atto sottoscritto e notificato alle altre parti; in secondo luogo, a meno di diverso accordo le spese sostenute sono a carico del rinunciante. Diversamente da quello che accade nel processo di cognizione, non è richiesta l’accettazione del debitore esecutato, poiché la sua volontà è irrilevante per la prosecuzione dell’esecuzione. L’estinzione viene dichiarata con ordinanza una volta che il giudice ne abbia verificato la regolarità (ad esempio abbia riscontrato che essa provenga da tutti i legittimati e che l’atto di rinuncia sia corretto). A seguito dell’intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 195/1981), che ha affermato l’illegittimità dell’ultimo comma dell’art. 630 c.p.c., è ammesso reclamo anche contro l’ordinanza che dichiara l’estinzione del processo esecutivo per rinuncia; in tal modo si evitano disparità di trattamento fra le varie ipotesi di estinzione. Passiamo all’estinzione per inattività delle parti, della quale si occupa l’art. 630 c.p.c. come modificato dalla legge n. 80/2005. Il primo comma dell’art. 630 c.p.c. fa innanzitutto salvi i casi espressamente previsti dalla legge: per esempio, se il creditore pignorante lascia trascorrere il termine di efficacia del pignoramento senza compiere gli ulteriori atti di impulso, il processo esecutivo si estingue automaticamente. Ancora, si ha estinzione per inattività quando le parti non proseguono o riassumono il processo nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice (pensiamo all’art. 616 c.p.c. in materia di 62

Il termine va inteso come sinonimo di vendita, di conseguenza la rinuncia può avvenire fino a che non sia stato pronunciato il decreto di trasferimento. Altrimenti si creerebbero dei problemi per l’ipotesi in cui la rinuncia avvenisse dopo l’aggiudicazione ma prima del perfezionamento della vendita. Sul punto vedi G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 252 s. 43

opposizione all’esecuzione), e se le parti stesse non compaiono all’udienza (art. 631 c.p.c.). Il secondo comma dell’art. 630 c.p.c. fissa la fondamentale regola che l’estinzione opera di diritto ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa (salvo il disposto dell’art. 631 c.p.c.). Questo significa che l’estinzione non può mai essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere la parte ad eccepirla, e deve farlo subito (vale a dire con l’atto immediatamente successivo a quello che ha determinato l’estinzione), altrimenti si corre il rischio di porre in essere un comportamento incompatibile con la volontà di far valere l’estinzione stessa. Il fatto che l’estinzione operi di diritto, perciò, non va inteso nel senso che essa sia automatica; l’espressione indica invece che gli effetti dell’estinzione non si producono dal giorno in cui viene eccepita, bensì retroagiscono al momento in cui è stata pronunciata l’ordinanza che la dichiara. Il terzo comma dell’art. 630 c.p.c. stabilisce che contro l’ordinanza che dichiara l’estinzione o rigetta la relativa eccezione è ammesso reclamo, da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti 63, nel termine perentorio di venti giorni dall’udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza64 osservando le forme dell’art. 178 c.p.c., commi tre, quattro e cinque. Sul reclamo decide il collegio con sentenza in camera di consiglio. L’art. 631 c.p.c. prevede il fenomeno della mancata comparizione all’udienza: «Se nel corso del processo esecutivo nessuna delle parti si presenta all’udienza, fatta eccezione per quella in cui ha luogo la vendita, il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza successiva di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti. Se nessuna delle parti si presenta alla nuova udienza, il giudice dichiara con ordinanza l’estinzione del processo esecutivo. Si applica l’ultimo comma dell’articolo precedente». L’inciso “fatta eccezione per quella in cui ha luogo la vendita” è stato aggiunto dalla legge n. 263/2005; dunque la mancata comparizione all’udienza in cui ha luogo la vendita non comporta inattività e perciò non giustifica un provvedimento estintivo. Secondo la giurisprudenza di legittimità, per “parti” bisogna intendere qui i creditori in possesso di titolo esecutivo (prima della vendita o dell’assegnazione), ed i creditori concorrenti (dopo la vendita o l’assegnazione). Infatti, dal momento che il debitore esecutato non ha alcun interesse alla prosecuzione del processo, la sua presenza è del tutto irrilevante. Anche in questo caso, per espresso richiamo dell’ultimo comma dell’art. 631 c.p.c., contro l’ordinanza che dichiara l’estinzione o rigetta la relativa eccezione è ammesso reclamo, da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti, nel termine perentorio di venti giorni dall’udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza osservando le forme dell’art. 178 c.p.c., commi tre, quattro e cinque. Sul reclamo decide il collegio con sentenza in camera di consiglio. L’art. 632 stabilisce quali sono gli effetti dell’estinzione del processo esecutivo65. Come prima cosa, con l’ordinanza che pronuncia l’estinzione è sempre disposta la cancellazione della trascrizione del pignoramento; se richiesto, poi, nella stessa ordinanza il giudice liquida le spese sostenute dalle parti e i compensi spettanti all’eventuale delegato ai sensi dell’art. 591 bis. Inoltre, se l’estinzione si verifica prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione, rende inefficaci 63

Anche se non sono muniti di titolo esecutivo. L’ordinanza viene comunicata a cura del cancelliere quando è pronunciata fuori udienza. 65 Secondo l’orientamento prevalente, l’estinzione del processo esecutivo non comporta l’estinzione del diritto di proporre l’azione esecutiva. 64

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gli atti compiuti; se viceversa avviene dopo l’aggiudicazione o l’assegnazione, la somma ricavata è consegnata al debitore. Ancora, il custode rende al debitore il conto della sua gestione, conto discusso e chiuso davanti al giudice dell’esecuzione. Infine, viene richiamato l’ultimo comma dell’art. 310 c.p.c., a norma del quale le spese del processo estinto restano a carico di coloro che le hanno anticipate.

BIBLIOGRAFIA MODULO 4- LE OPPOSIZIONI. SOSPENSIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO

DE STEFANO F., Il nuovo processo di esecuzione. Le novità della riforma: L. 28 dicembre 2005, n. 263, L. 24 febbraio 2006, n. 52, 2ª ed., Firenze, Ipsoa, 2006. MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. 45

Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

LE TUTELE SOMMARIE NON CAUTELARI MODULO 5 IL PROCEDIMENTO PER DECRETO INGIUNTIVO

UNITÀ DIDATTICA 1- LA COGNIZIONE SOMMARIA Il legislatore ha previsto la possibilità che alcuni diritti, a determinate condizioni, vengano tutelati attraverso dei procedimenti speciali, più celeri rispetto al processo ordinario di cognizione. Tali procedimenti, pur diversi fra loro nei presupposti e nella procedura, sono accomunati dal fatto che la cognizione esercitata dal giudice è sommaria, vale a dire superficiale ed incompleta. L’accertamento compiuto sulla fondatezza del diritto fatto valere, in questi casi, non è troppo approfondito (almeno in una prima fase), proprio per assicurare all’avente diritto una tutela più rapida. Tra le varie classificazioni operate dalla dottrina, merita di essere sottolineata quella fra 46

procedimenti sommari cautelari e non cautelari: mentre i provvedimenti adottati all’esito di un procedimento del primo tipo non hanno attitudine di giudicato, nel senso che la pronuncia è assolutamente provvisoria, quelli non cautelari sono idonei ad acquistare stabilità. Rientrano nei procedimenti sommari non cautelari il procedimento monitorio o di ingiunzione e quello per convalida di sfratto: tanto il decreto ingiuntivo quanto l’ordinanza di convalida, infatti, possono divenire stabili ed immutabili quasi come fossero una sentenza, dunque sono idonei a passare in giudicato.

UNITA’ DIDATTICA 2 – IL PROCEDIMENTO MONITORIO: CONDIZIONI DI AMMISSIBILITA’ Il procedimento di ingiunzione (anche detto monitorio o per decreto ingiuntivo), è un procedimento speciale che risponde all’esigenza di ottenere la rapida formazione di un titolo esecutivo, così da poter procedere al più presto all’esecuzione forzata. A questo scopo il giudice esercita una cognizione sommaria perché superficiale: infatti, l’accertamento sul diritto fatto valere avviene inaudita altera parte, senza quindi che il soggetto passivo abbia in un primo momento la possibilità di difendersi. Nel nostro sistema sono presenti due modelli di procedimento per decreto ingiuntivo: quello cosiddetto monitorio puro e quello monitorio documentale. Il primo, mutuato dall’ordinamento tedesco, è caratterizzato dal fatto che il decreto ingiuntivo viene emanato semplicemente sulla base delle affermazioni del ricorrente. Nel secondo, invece, proprio del sistema austriaco, per ottenere l’ingiunzione occorre che le affermazioni del ricorrente siano suffragate da una prova scritta. Anche se tendenzialmente il modello italiano si basa sul procedimento monitorio documentale, il fatto che sia accolta una nozione molto ampia di prova scritta fa sì che trovi accoglimento pure il procedimento monitorio puro: basti pensare che prova scritta idonea può essere la parcella delle spese e prestazioni di un professionista (ad esempio un avvocato). In questo caso, la prova scritta è prodotta dallo stesso soggetto interessato, ragion per cui a base del decreto ingiuntivo viene comunque posta una dichiarazione del ricorrente. Il procedimento di ingiunzione è disciplinato dagli artt. 633 – 656 c.p.c.; in generale, esso si divide in due fasi: la prima, a cognizione sommaria, si svolge a contraddittorio non integro e si conclude con l’emanazione del decreto ingiuntivo o con una pronuncia di rigetto. La seconda, solo eventuale in quanto rimessa all’iniziativa del debitore, è a cognizione piena e si conclude con una sentenza di accoglimento o di rigetto dell’opposizione che va a sostituire il decreto ingiuntivo opposto. La realizzazione del contraddittorio nel procedimento per decreto ingiuntivo, perciò, è eventuale e differita. L’art. 633 c.p.c. detta le condizioni di ammissibilità della domanda per ottenere un decreto ingiuntivo. La forma è quella del ricorso, proponibile: 1. da chi è creditore di una somma liquida di denaro; 2. da chi è creditore di una determinata quantità di cose fungibili66; 66

In questo caso il ricorrente deve altresì indicare la somma che è disposto ad accettare in sostituzione della prestazione in natura (art. 639 c.p.c.). 47

3. da chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata. Ulteriori requisiti indispensabili attengono alle prove offerte a sostegno del diritto fatto valere; infatti, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna se: a) del diritto fatto valere si dà prova scritta; b) il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo; c) il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata. L’ingiunzione può essere pronunciata anche se il diritto dipende da una controprestazione o da una condizione, purché il ricorrente offra elementi atti a far presumere l’adempimento della controprestazione o l’avveramento della condizione. Dalle disposizioni dell’art. 633 c.p.c. si ricava che un decreto ingiuntivo consente soltanto l’espropriazione forzata e l’esecuzione per consegna di cose mobili, mentre sono escluse l’esecuzione per rilascio di beni immobili e quella per obblighi di fare e di non fare. In dottrina si è molto discusso sulla natura dell’azione esercitata attraverso la domanda di ingiunzione. L’orientamento tradizionale la considera un’azione sommaria speciale, precisamente un’azione di accertamento con prevalente funzione esecutiva; altri parlano al contrario di un’azione ordinaria, altri ancora di una combinazione fra i due tipi. In realtà va considerato che nel caso del procedimento monitorio ci si trova di fronte ad un giudizio di primo grado distinto in una fase sommaria ed una ordinaria (eventuale); i requisiti di ammissibilità sono diversi in ciascuna di esse, basti pensare al tipo di accertamento effettuato sulla fondatezza del diritto. Da ciò si deduce che l’azione esercitata in via monitoria è un’azione ordinaria, la quale tuttavia presenta alcune caratteristiche speciali nella prima fase; caratteristiche destinate a venire meno qualora il soggetto passivo proponga opposizione, che determina l’instaurazione di un normale giudizio a contraddittorio pieno. L’art. 633 c.p.c. richiede tra le condizioni di ammissibilità della domanda di ingiunzione che del diritto fatto valere si dia prova scritta. Il concetto di prova scritta accolto dal legislatore in questo caso è molto ampio; in virtù dell’art. 634 c.p.c., infatti, sono prove scritte idonee: - le polizze e le promesse unilaterali per scrittura privata; - i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile; - gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli artt. 2214 ss. del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie quando siano tenute con l’osservanza delle norme stabilite per tali scritture. La particolarità è che tali scritture hanno efficacia probatoria, per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di denaro nonché per prestazioni di servizi, anche nei confronti di persone che non esercitano attività commerciale. Dottrina e giurisprudenza ritengono che l’elencazione contenuta nell’art. 634 c.p.c. non sia tassativa. Ulteriori prove scritte idonee per i crediti dello Stato e degli enti pubblici sono previste dall’art. 48

635 c.p.c., mentre l’art. 636 c.p.c. stabilisce che per i crediti di cui ai nn. 2 e 3 dell’art. 633 c.p.c. primo comma, la domanda deve essere accompagnata dalla parcella delle spese e prestazioni sottoscritta dal ricorrente e corredata dal parere dell’associazione professionale competente (il parere non occorre se l’ammontare delle spese e prestazioni è determinato sulla base di tariffe obbligatorie). Tale parere vincola il giudice anche nella determinazione del quantum, salva la correzione degli errori materiali. La valutazione di congruità dell’associazione professionale competente viene spesso rilasciata in astratto, senza un accertamento sull’effettivo svolgimento della prestazione: sotto questo aspetto, perciò, il procedimento monitorio è di tipo puro, perché solo nell’eventuale giudizio instaurato con l’opposizione il professionista sarà tenuto a provare in via ordinaria il fatto costitutivo del suo diritto67.

UNITA’ DIDATTICA 3 – IL GIUDICE COMPETENTE. IL RIGETTO DELLA DOMANDA Giudice competente ad emanare un decreto ingiuntivo è il giudice di pace o, in composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria. E’ quanto stabilisce il primo comma dell’art. 637 c.p.c., che prevede ancora: «per i crediti previsti nel n. 2 dell’articolo 633 è competente anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce. Gli avvocati o i notai possono altresì proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono». Giudice competente, dunque, è sempre quello unico (giudice di pace o giudice monocratico a seconda del valore); un giudice unipersonale, infatti, garantisce una pronuncia più celere, in armonia con la funzione e la struttura del procedimento di ingiunzione. Il secondo comma dell’art. 637 prevede una competenza per materia aggiuntiva e facoltativa, come si ricava dalla formulazione della norma (“…è competente anche l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce”). La domanda di ingiunzione si propone con ricorso contenente i requisiti indicati nell’art. 638 c.p.c. Su di essa il giudice adito effettua accertamenti sommari per valutarne la fondatezza; se a seguito di tale cognizione sommaria ritiene la domanda insufficientemente giustificata, dispone che il cancelliere ne dia notizia al ricorrente invitandolo a provvedere alla prova (art. 640 c.p.c. primo comma). A seguito di tale invito, possono verificarsi tre ipotesi: 1. il ricorrente non risponde all’invito; 2. il ricorrente non ritira il ricorso; 3. la domanda non è comunque accoglibile, anche in base alle prove offerte. In tutti questi casi, a norma dell’art. 640 c.p.c. secondo comma il giudice rigetta la domanda con decreto motivato, la qual cosa non pregiudica però la riproposizione della domanda, anche in via ordinaria. L’art. 640 c.p.c. viene considerato la norma che disciplina i poteri istruttori del giudice; il 67

Da questa disciplina si desume un chiaro favore del legislatore per i professionisti intellettuali. 49

ricorrente, pur quando decida di integrare la prova, dovrà rispettare i limiti imposti dal fatto che si tratta di una fase a cognizione sommaria. UNITA’ DIDATTICA 4 – L’ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA Quando il giudice accerta l’esistenza di tutte le condizioni richieste, emana una pronuncia di accoglimento della domanda, appunto un decreto ingiuntivo; si tratta di un decreto motivato esteso in calce al ricorso, cui è dedicato l’art. 641 c.p.c. La norma specificamente stabilisce: «Se esistono le condizioni previste nell’articolo 633, il giudice, con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso, ingiunge all’altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste o invece di queste la somma di cui all’articolo 639 nel termine di quaranta giorni, con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata. Quando concorrono giusti motivi, il termine può essere ridotto fino a dieci giorni oppure aumentato a sessanta. Se l’intimato risiede in uno degli altri Stati dell’Unione europea, il termine è di cinquanta giorni e può essere ridotto fino a venti giorni. Se l’intimato risiede in altri Stati, il termine è di sessanta giorni e, comunque, non può essere inferiore a trenta né superiore a centoventi. Nel decreto il giudice liquida le spese e le competenze e ne ingiunge il pagamento». In base all’art. 643 c.p.c., gli originali del decreto ingiuntivo e del ricorso restano depositati in cancelleria; essi sono poi notificati per copia autentica all’ingiunto a norma degli articoli 137 e seguenti. L’ultimo comma dell’art. 643 stabilisce che la notificazione determina la pendenza della lite: si tratta di una disposizione fondamentale, che costituisce un’eccezione alla regola generale secondo cui nei procedimenti che iniziano con ricorso la lite comincia a pendere dal deposito di esso. Se la notifica non avviene nei termini previsti dall’art. 644 c.p.c. (sessanta giorni dalla pronuncia68 per le notifiche da effettuarsi nel territorio della Repubblica, novanta giorni negli altri casi), il decreto ingiuntivo diviene inefficace, ma la domanda può essere riproposta. A parte le regole speciali contenute nello stesso art. 641 c.p.c., generalmente il termine concesso sia per adempiere che per fare opposizione è di quaranta giorni. Si tratta di un termine perentorio; il suo decorso senza che sia stata proposta opposizione fa sì che il decreto ingiuntivo acquisti efficacia esecutiva.

UNITA’ DIDATTICA 5 – LA PROVVISORIA ESECUTORIETA’ DEL DECRETO INGIUNTIVO Non sempre occorre aspettare che passino quaranta giorni dalla notifica affinché il decreto ingiuntivo acquisti efficacia esecutiva; vi sono infatti diverse ipotesi, previste dall’art. 642 c.p.c., in cui il giudice concede la provvisoria esecutorietà e quindi si può iniziare immediatamente 68

Per pronuncia bisogna intendere il deposito in cancelleria del provvedimento. 50

l’esecuzione forzata. Il primo comma della disposizione in esame stabilisce: «Se il credito è fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, il giudice, su istanza del ricorrente, ingiunge al debitore di pagare o consegnare senza dilazione, autorizzando in mancanza l’esecuzione provvisoria del decreto e fissando il termine ai soli effetti dell’opposizione». Nel caso in cui il credito si fondi su uno di questi atti, dunque, il giudice su istanza del ricorrente deve concedere la provvisoria esecutorietà, senza poter esercitare alcuna valutazione discrezionale. Il soggetto passivo dovrà pagare o consegnare subito, avendo a disposizione quaranta giorni esclusivamente per proporre opposizione. Nel secondo comma dell’art. 642 c.p.c., modificato dalla legge n. 263/2005, sono invece previste ipotesi nelle quali il giudice può concedere l’esecuzione provvisoria: «L’esecuzione provvisoria può essere concessa anche se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere, il giudice può imporre al ricorrente una cauzione. In tali casi il giudice può anche autorizzare l’esecuzione senza l’osservanza del termine di cui all’art. 482». La possibilità di chiedere la provvisoria esecutorietà quando si produca documentazione sottoscritta dal debitore (eventualmente dietro cauzione), è una novità introdotta dal legislatore del 2005; essa va ad aggiungersi all’altro caso in cui il giudice concede la provvisoria esecutorietà a sua discrezione, cioè qualora il ricorrente dimostri che il ritardo arreca grave pregiudizio alle sue ragioni. Oltre alle ipotesi di cui all’art. 642 c.p.c., la legge contempla altri casi nei quali il decreto ingiuntivo è provvisoriamente esecutivo: uno di essi è il decreto di ingiunzione emesso sulle spese del procedimento di esecuzione forzata per obblighi di fare e di non fare (art. 614 c.p.c.). Altro esempio è previsto dall’art. 664 c.p.c.: infatti il pagamento dei canoni scaduti e da scadere fino all’esecuzione dello sfratto viene intimato con decreto immediatamente esecutivo.

UNITA’ DIDATTICA 6 – L’OPPOSIZIONE AL DECRETO INGIUNTIVO Una volta emanato il decreto ingiuntivo si chiude la prima fase del procedimento monitorio. Con la notifica di ricorso e decreto si apre la seconda fase ed inizia a pendere la lite; salvo casi particolari il debitore ha quaranta giorni di tempo per fare opposizione. Essa consente di iniziare un giudizio ordinario a contraddittorio pieno, ma è rimessa all’iniziativa dell’ingiunto (realizzazione del contraddittorio eventuale e differita). A norma dell’art. 645 c.p.c., l’opposizione si propone davanti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto (dunque davanti all’ufficio del giudice di pace o al tribunale in composizione monocratica; si tratta di una competenza inderogabile), con atto di citazione notificato al ricorrente nei luoghi di cui all’articolo 638 c.p.c. Contemporaneamente l’ufficiale giudiziario deve notificare avviso dell’opposizione al cancelliere affinché ne prenda nota sull’originale del decreto. In seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario 51

davanti al giudice adito, ma i termini di comparizione sono ridotti alla metà. Anche se opponente dal punto di vista formale è l’ingiunto, questi sul piano sostanziale rimane convenuto, così come il creditore opposto resta attore in senso sostanziale. Se nel termine stabilito non viene fatta opposizione, ovvero se l’opponente non si è costituito, il giudice che ha pronunciato il decreto lo dichiara esecutivo su istanza anche verbale del ricorrente (primo comma dell’art. 647 c.p.c.). La norma accomuna disciplinandole allo stesso modo due ipotesi diverse, la mancata opposizione e la mancata costituzione dell’opponente a seguito della notifica dell’atto di citazione. Se però risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza del decreto (ad esempio perché si è verificato un errore nella notifica), il giudice deve ordinare la rinnovazione della notificazione. L’ultimo comma dell’art. 647 c.p.c. stabilisce che una volta dichiarato esecutivo il decreto, l’opposizione non può più essere proposta né proseguita (salvo il disposto dell’art. 650 c.p.c. sull’opposizione tardiva), e la cauzione eventualmente prestata viene liberata. E’ possibile che l’esecuzione provvisoria venga concessa non solo prima dell’opposizione (art. 642 c.p.c.), ma anche in pendenza di essa, secondo il dettato dell’art. 648 c.p.c.: «Il giudice istruttore, se l’opposizione non è fondata su prova scritta 69 o di pronta soluzione 70, può concedere, con ordinanza non impugnabile, l’esecuzione provvisoria del decreto, qualora non sia stata già concessa a norma dell’articolo 642. Il giudice concede l’esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l’opposizione sia proposta per vizi procedurali. Deve in ogni caso concederla, se la parte che l’ha chiesta offre cauzione per l’ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni». Il provvedimento che concede (o nega) l’esecuzione provvisoria ha forma di ordinanza, che si ritiene non impugnabile nemmeno con ricorso in cassazione. Il giudice decide su questo tipo di richiesta sempre a sua discrezione: la Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 137/1984, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’ultimo comma dell’art. 648 c.p.c. laddove stabilisce che il giudice “deve” concedere l’esecuzione provvisoria se la parte che l’ha chiesta offre cauzione per l’ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni. Di conseguenza, la cauzione sarà soltanto uno degli elementi che il giudice dell’opposizione valuterà ai fini della decisione. Con il secondo comma dell’art. 648 c.p.c., introdotto dal d. lgs. n. 231/2002, è stato superato il vincolo del giudice istruttore riguardo all’immodificabilità del decreto ingiuntivo, ammettendo l’immediata soddisfazione del creditore limitatamente alle somme non contestate anche in caso di opposizione. Un decreto ingiuntivo può altresì essere dichiarato esecutivo quando nel corso del giudizio di opposizione intervenga conciliazione. A riguardo, l’art. 652 c.p.c. dispone: «Se nel giudizio di opposizione le parti si conciliano, il giudice, con ordinanza non impugnabile, dichiara o conferma l’esecutorietà del decreto, oppure riduce la somma o la quantità a quella stabilita dalle parti».

69

Trovano qui applicazione le regole ordinarie sulle prove scritte (artt. 2699 ss. c.c.) e non la nozione ampia accolta dall’art. 634 c.p.c. per l’emanazione del decreto ingiuntivo. 70 Prove di pronta soluzione sono quelle che non implicano un’attività di istruzione, per esempio i documenti non contestati ed i fatti notori. 52

Durante il giudizio di opposizione, il giudice istruttore su istanza dell’opponente e se ricorrono gravi motivi, con ordinanza non impugnabile può sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto concessa a norma dell’articolo 642 c.p.c.; così dispone l’art. 649 c.p.c., che rappresenta un correttivo a tutela del debitore ingiunto che abbia proposto opposizione. Il decreto ingiuntivo può altresì acquistare efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 653 c.p.c., a norma del quale se l’opposizione è rigettata con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva, oppure se viene dichiarata con ordinanza l’estinzione del processo, il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva. Il secondo comma della disposizione in esame stabilisce: «Se l’opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta». Se dunque l’opposizione viene parzialmente accolta, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza; al contrario, la pronuncia che rigetta in toto l’opposizione non si sostituisce al decreto ingiuntivo, che continua ad essere titolo esecutivo. L’art. 653 c.p.c. non disciplina l’ipotesi del totale accoglimento dell’opposizione: bene, in questo caso il decreto ingiuntivo perde completamente efficacia, per cui il giudice lo revoca o annulla. Qualora la sentenza che chiude il giudizio di opposizione o l’ordinanza che ne dichiara l’estinzione non abbiano disposto l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, questa è conferita con decreto del giudice che ha pronunciato l’ingiunzione scritto in calce all’originale del provvedimento (art. 654 c.p.c. primo comma). Per ragioni di semplificazione, il secondo comma dell’art. 654 c.p.c. prevede che per iniziare l’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto divenuto esecutivo; tuttavia, nel precetto devono essere menzionati (a pena di nullità del precetto stesso) il provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e l’apposizione della formula esecutiva71. I decreti ingiuntivi dichiarati esecutivi anche in via provvisoria e quelli rispetto ai quali è rigettata l’opposizione, costituiscono titolo per iscrivere ipoteca giudiziale (art. 655 c.p.c.). Il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione o mancata costituzione dell’opponente (e si ritiene anche quello divenuto esecutivo a seguito dell’estinzione del giudizio di opposizione), sono impugnabili per revocazione nei casi indicati nei nn. 1, 2, 5 e 6 dell’art. 395 c.p.c. e per opposizione di terzo revocatoria (secondo comma dell’art. 404 c.p.c.). Molto importante risulta l’art. 650 c.p.c., che prevede l’opposizione tardiva: «L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. In questo caso l’esecutorietà può essere sospesa a norma dell’articolo precedente [649]. L’opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione». L’opposizione tardiva costituisce un rimedio straordinario; la Corte costituzionale è intervenuta (sentenza n. 120/1976) dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 650 c.p.c. perché non consente l’opposizione tardiva all’intimato che, pur avendo avuto tempestiva conoscenza del 71

Tale regola non si applica solo nell’ipotesi del primo comma dell’art. 654 c.p.c., ma va estesa a tutti i casi in cui l’esecutorietà non risulti dal titolo. Vedi sul punto G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 293. 53

decreto ingiuntivo, non abbia potuto fare opposizione nei termini per caso fortuito o forza maggiore. Ad ogni modo, decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione l’opposizione non è più ammessa e il decreto acquista efficacia di cosa giudicata.

BIBLIOGRAFIA MODULO 5 - IL PROCEDIMENTO PER DECRETO INGIUNTIVO

LEANZA P., PARATORE E., Il procedimento per decreto ingiuntivo, Torino, Utet, 2003. MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, 54

Giappichelli, 2005. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

MODULO 6 IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO

UNITÀ DIDATTICA 1- I CARATTERI DEL PROCEDIMENTO. LA LICENZA E LO SFRATTO PER FINITA LOCAZIONE Il procedimento per convalida di licenza o di sfratto per finita locazione è un procedimento speciale sommario non cautelare. Esso è disciplinato dagli artt. 657 – 669 c.p.c.; si definisce sommario perché caratterizzato da una cognizione superficiale ed incompleta, non cautelare in quanto il provvedimento conclusivo (un’ordinanza) ha attitudine di giudicato. 55

La finalità di tale procedimento, alternativo rispetto al processo ordinario, è di fornire una tutela più rapida al locatore quando sussistano le condizioni previste. Spesso la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del procedimento per convalida, ritenuto troppo favorevole al locatore, ma le questioni sollevate 72 sono state sempre rigettate. Si può chiedere un’ordinanza di convalida in tre ipotesi: - licenza per finita locazione, quando il contratto di locazione non è ancora scaduto; - sfratto per finita locazione, quando il contratto di locazione è già scaduto; - sfratto per morosità, in caso di mancato pagamento dei canoni di locazione. La differenza fra la licenza e lo sfratto consiste nella circostanza che nel primo caso il contratto di locazione non è ancora scaduto; di conseguenza il titolo ottenuto all’esito del giudizio di convalida sarà eseguibile solo dopo la scadenza del contratto, integrando un’ipotesi di condanna in futuro. In base all’art. 657 c.p.c. «Il locatore o il concedente può intimare al conduttore, all’affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida, rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali. Può altresì intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto, se, in virtù del contratto stesso o per effetto di atti o intimazioni precedenti, è esclusa la tacita riconduzione». Dalla norma riportata risulta che condizione essenziale del procedimento è il godimento di un immobile; tale godimento può anche essere il corrispettivo parziale di una prestazione d’opera (pensiamo per esempio al rapporto di portierato), come si ricava dall’art. 659 c.p.c. In queste ipotesi, l’intimazione di licenza o di sfratto e la contestuale citazione per la convalida vengono fatte quando il contratto d’opera cessa per qualsiasi causa. La licenza costituisce un atto negoziale unilaterale recettizio, produttivo di effetti, cioè, da quando viene portato a conoscenza del destinatario. Anche lo sfratto è unilaterale, però presuppone che il contratto sia già scaduto; occorre, tuttavia, aver effettuato una precedente e tempestiva disdetta. Per quanto riguarda lo sfratto per morosità, l’art. 658 c.p.c. prevede che nello stesso atto di intimazione si possa altresì chiedere ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti. Se il canone consiste in derrate (prodotti agricoli), il locatore deve dichiarare la somma che è disposto ad accettare in sostituzione. Si ritiene che con lo sfratto per morosità venga esercitata un’azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento ed insieme un’azione di condanna al rilascio dell’immobile ed al pagamento dei canoni. Qualora non venga richiesto anche il pagamento dei canoni, in virtù dell’art. 669 c.p.c. la relativa pretesa potrà essere oggetto di un successivo e autonomo giudizio, poiché la decisione sullo sfratto lascia impregiudicata ogni questione relativa ai canoni di locazione. Per il pagamento dei canoni scaduti e da scadere fino all’esecuzione dello sfratto e per le spese 72

I dubbi di costituzionalità hanno riguardato per lo più la compatibilità con gli artt. 3 e 24 Cost. 56

relative all’intimazione, il giudice pronuncia un separato decreto ingiuntivo (art. 664 c.p.c.). Esso è immediatamente esecutivo, tuttavia è soggetto ad opposizione ai sensi degli artt. 645 ss. c.p.c.; l’opposizione non pregiudica comunque l’avvenuta risoluzione del contratto. Dal momento che il decreto ingiuntivo previsto dall’art. 664 c.p.c. può riguardare anche canoni di locazione non ancora scaduti, parte della dottrina lo considera un caso di condanna in futuro. L’art. 660 c.p.c. è dedicato alla forma dell’intimazione di licenza o di sfratto; ci troviamo di fronte ad una manifestazione complessa, formata da un atto unilaterale recettizio e da un atto processuale (la citazione). Le intimazioni vanno notificate secondo gli artt. 137 ss. c.p.c., ma è esclusa la notificazione presso il domicilio eletto73; la citazione a comparire va fatta inderogabilmente davanti al tribunale, in composizione monocratica o collegiale laddove richiesto dalla legge, del luogo in cui si trova la cosa locata (art. 661 c.p.c.). Il locatore deve dichiarare nell’atto la propria residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, altrimenti gli atti del giudizio gli vengono notificati presso la cancelleria. Ai sensi del terzo comma dell’art. 660 c.p.c., la citazione per la convalida deve contenere, insieme all’invito a comparire nell’udienza indicata, l’avvertimento al convenuto che se non compare ovvero comparendo non si oppone, il giudice convaliderà la licenza o lo sfratto in base all’art. 663 c.p.c. Tra il giorno della notificazione dell’intimazione e quello dell’udienza devono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni; nelle cause di pronta spedizione, su istanza dell’intimante il giudice può abbreviare fino alla metà i termini di comparizione. Le parti si costituiscono depositando in cancelleria o presentando al giudice in udienza l’intimazione con la relata di notifica (per il locatore) o la comparsa di risposta (per il conduttore). L’intimato può costituirsi personalmente oppure tramite un difensore.

UNITA’ DIDATTICA 2 – L’UDIENZA PER LA CONVALIDA Una delle fasi più importanti del procedimento per convalida di licenza o di sfratto è costituita dall’udienza per la convalida, nella quale possono verificarsi diverse ipotesi. La prima è la mancata comparizione del locatore: in questo caso, ai sensi dell’art. 662 c.p.c. gli effetti dell’intimazione cessano, dunque il procedimento si estingue. Anche se vengono meno gli effetti processuali, rimangono però in vita quelli sostanziali (per esempio è comunque esclusa la tacita rinnovazione del contratto di locazione). La norma non dispone nulla per il caso in cui entrambe le parti non compaiano: secondo una parte della giurisprudenza, il giudice dovrebbe dichiarare cessati gli effetti dell’intimazione e fissare un’altra udienza. Se nemmeno a questa seconda udienza le parti compaiono, andrebbe pronunciata l’estinzione del giudizio. Va registrato, tuttavia, un secondo orientamento giurisprudenziale, per il quale l’estinzione 73

Se la notificazione non è avvenuta in mani proprie, l’ufficiale giudiziario deve spedire avviso all’intimato dell’effettuata notificazione tramite raccomandata, ed allegare all’originale dell’atto la ricevuta di spedizione (art. 660 c.p.c. ultimo comma). 57

dovrebbe essere dichiarata subito. Le altre due ipotesi che possono verificarsi all’udienza per la convalida sono la mancata comparizione dell’intimato e la mancata opposizione, regolate dall’art. 663 c.p.c.: «Se l’intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza in calce alla citazione l’apposizione su di essa della formula esecutiva; ma il giudice deve ordinare che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. Nel caso che l’intimato non sia comparso, la formula esecutiva ha effetto dopo trenta giorni dalla data della apposizione74. Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tal caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione». Le conseguenze da collegare al comportamento dell’intimato sono stabilite dalla legge senza che il giudice abbia la possibilità di esercitare una valutazione discrezionale. Ad esempio, la mancata comparizione, che nel processo ordinario non comporta conseguenze di rilievo, qui determina la convalida della licenza o dello sfratto. Ancora, la dichiarazione del locatore che la morosità persiste acquista un’efficacia probatoria eccezionale. Sulla scorta di questi elementi, la dottrina ritiene che nella fase di convalida il giudice non eserciti una vera e propria cognizione, ma si limiti ad accertare la sussistenza dei presupposti fissati dal legislatore. L’ordinanza di convalida è dunque subordinata alla mancata comparizione dell’intimato o, se questi compare, alla mancata opposizione. La convalida in pratica conferma la licenza o lo sfratto intimati dal locatore; munita della formula esecutiva, l’ordinanza è titolo per eseguire lo sfratto. Anche se il codice di procedura civile riconosce all’intimato il solo rimedio dell’opposizione (anche tardiva), dottrina e giurisprudenza in virtù del valore di cosa giudicata assunto dall’ordinanza di convalida ritengono proponibile l’appello qualora manchi un requisito di ammissibilità. Inoltre, grazie ad una serie di interventi della Corte costituzionale, sono esperibili la revocazione per errore di fatto (n. 4 dell’art. 395 c.p.c.) e l’opposizione di terzo (art. 404 c.p.c.). UNITA’ DIDATTICA 3 – L’OPPOSIZIONE. L’ORDINANZA PROVVISORIA DI RILASCIO Se l’intimato compare all’udienza per la convalida e fa opposizione, il giudizio deve essere convertito con ordinanza di mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. in un giudizio ordinario di cognizione, seppure nelle forme del rito speciale locatizio75. L’opposizione non richiede forme particolari, essendo sufficiente anche una dichiarazione orale in udienza. Può verificarsi il caso che l’opposizione non sia fondata su prova scritta: per questa ipotesi, l’art. 74

Ciò al fine di far conoscere all’intimato non comparso il contenuto del provvedimento emanato a suo danno. La comparizione determina invece la conoscenza immediata del provvedimento, per cui la formula esecutiva è efficace da subito. 75 Il rito locatizio segue in gran parte quello del lavoro. 58

665 c.p.c. stabilisce che il giudice, su istanza del locatore, se non sussistono gravi motivi in contrario pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto. L’ordinanza è immediatamente esecutiva, ma può essere subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese al fine di tutelare il conduttore. L’ordinanza provvisoria di rilascio costituisce un esempio di condanna con riserva; in quanto non definitiva, non può essere impugnata, tanto più che anche il legislatore la dichiara non impugnabile. Il carattere provvisorio di tale provvedimento, inoltre, fa sì che esso non sopravviva in caso di estinzione del giudizio prima della convalida. Nello sfratto per morosità, se il conduttore comparendo all’udienza per la convalida contesta la propria morosità, il giudice in base all’art. 666 c.p.c. può disporre con ordinanza 76 il pagamento della somma non controversa e concedere al convenuto un termine non superiore a venti giorni per provvedere al pagamento stesso. Se il conduttore non ottempera, il giudice convalida l’intimazione di sfratto emettendo altresì se richiesta ingiunzione di pagamento dei canoni di locazione. Qualora la licenza o lo sfratto siano stati convalidati in assenza dell’intimato, questi può farvi opposizione entro dieci giorni dall’inizio dell’esecuzione se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. E’, questa, l’opposizione dopo la convalida, un’opposizione tardiva prevista dall’art. 668 c.p.c. Essa si propone nelle forme dell’opposizione a decreto ingiuntivo in quanto applicabili davanti al giudice che ha pronunciato la convalida. L’opposizione tardiva non sospende il processo esecutivo, ma il giudice con ordinanza non impugnabile può disporne la sospensione per gravi motivi, imponendo all’opponente se lo ritiene opportuno il pagamento di una cauzione (art. 668 c.p.c. ultimo comma). La Corte costituzionale, con sentenza n. 89/1982, ha dichiarato illegittimo l’art. 668 c.p.c. primo comma laddove non consente all’intimato l’opposizione tardiva quando, pur avendo avuto regolare conoscenza della citazione, non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. In ogni caso, se il giudizio di opposizione si estingue l’ordinanza di convalida diviene definitiva.

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Si ritiene che essa non sopravviva all’estinzione del processo. 59

BIBLIOGRAFIA MODULO 6 - IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO

CARRATO A., TRIFONE F., Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, Giuffrè, 2003. MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. 60

MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

LE TUTELE SOMMARIE CAUTELARI MODULO 7 IL PROCESSO CAUTELARE

UNITÀ DIDATTICA 1- CARATTERI DELLA TUTELA CAUTELARE Per sua natura il processo ordinario, anche volendo prescindere dalle lungaggini che spesso si verificano, ha una certa durata; questo vuol dire che la situazione tutelata in giudizio corre a volte il rischio di essere pregiudicata, magari in maniera irrimediabile, a causa di eventi successivi 61

all’instaurazione del processo o anche per il semplice decorso del tempo. Pensiamo per esempio al caso in cui il creditore agisca per ottenere la restituzione di un bene che poi durante il processo va distrutto o viene rubato; ancora, se un attore chiede la condanna del convenuto al pagamento di un debito di natura alimentare è evidente come il solo trascorrere del tempo sia di pregiudizio all’avente diritto. Sono tutte situazioni in cui c’è urgenza di provvedere. Alcuni dei rimedi che il legislatore ha previsto per i pericoli legati alla durata dei processi sono la sommarizzazione della cognizione esercitata (ne sono espressione i procedimenti speciali come quello monitorio e quello per convalida di licenza o di sfratto), la provvisoria esecutività delle sentenze di primo grado, l’anticipazione degli effetti del provvedimento finale. In quest’ultimo senso assumono importanza fondamentale i provvedimenti cautelari, in quanto strumentali e destinati ad anticipare provvisoriamente gli effetti della sentenza di merito. Il legislatore del 1990 ha inserito nel codice di procedura civile gli artt. 669 bis – 669 quaterdecies, in parte modificati dalla riforma del 2006, che disciplinano il cosiddetto rito cautelare uniforme. Si tratta di una serie di disposizioni che salvo qualche eccezione si applicano a tutte le misure cautelari creando in tal modo una uniformità di disciplina. Prima del 1990, invece, non esisteva un processo cautelare, ma solo singole misure cautelari (sequestri, denunce di nuova opera e di danno temuto, provvedimenti di istruzione preventiva e provvedimenti d’urgenza). Anche nel processo cautelare il giudice esercita una cognizione sommaria perché superficiale ed incompleta, ma mentre decreto ingiuntivo e ordinanza di convalida di licenza o di sfratto hanno attitudine di giudicato, i provvedimenti cautelari sono assolutamente provvisori, in quanto o vengono assorbiti da una sentenza o perdono del tutto efficacia. Il vincolo di strumentalità fra tutela cautelare e giudizio ordinario si è in parte attenuato con la legge n. 80/2005, che al sesto comma dell’art. 669 octies c.p.c. e limitatamente alle ipotesi indicate riduce a mera facoltà l’instaurazione del giudizio di merito dopo la concessione della misura cautelare; iniziare un processo a cognizione piena, così, nei casi previsti non è più condizione di efficacia della misura cautelare. L’azione cautelare, mediante la quale si dà vita all’omonimo processo, viene dunque esercitata quando c’è l’urgenza di far tutelare una determinata situazione che potrebbe risultare pregiudicata se si aspettassero i tempi ordinari del processo di cognizione. Le condizioni dell’azione cautelare sono due: - fumus boni iuris: consiste in un’apparente fondatezza del diritto di cui si tratta; infatti l’accertamento compiuto dal giudice in sede cautelare è superficiale ed incompleto; - periculum in mora, o pericolo nel ritardo, ricorre allorché sia fondato il timore che nel tempo occorrente per ottenere un provvedimento definitivo il diritto stesso venga pregiudicato in modo serio.

UNITA’ DIDATTICA 2 – LA COMPETENZA CAUTELARE 62

Un provvedimento cautelare può essere chiesto al di fuori e indipendentemente dalla pendenza di un processo (cioè ante causam), oppure in corso di causa; la domanda, secondo il disposto dell’art. 669 bis c.p.c., si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente. A seguito del deposito, quando la misura cautelare è richiesta ante causam, il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento (art. 669 ter c.p.c. ultimo comma). Nel ricorso occorre fare riferimento all’azione di merito che si intenderebbe proporre, affinché il giudice adito possa accertare la sua competenza e valutare la strumentalità del provvedimento richiesto rispetto alla eventuale tutela di merito successiva. Per la domanda cautelare proposta in corso di causa, la dottrina ammette la possibilità di inserirla nell’atto di citazione, e talvolta nella prassi la proposizione avviene altresì con dichiarazione inserita poi a verbale. Il principio al quale il legislatore si è ispirato per determinare il giudice competente è, salvo alcune eccezioni, quello della corrispondenza tra competenza cautelare e competenza ai fini del merito: questo vuol dire che la regola generale prevede che la domanda cautelare ante causam venga proposta al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito, mentre quella in corso di causa sia rivolta al giudice istruttore. Anche se la competenza per il merito spetta ad un ufficio giudiziario collegiale, però, il potere cautelare è tendenzialmente attribuito al giudice monocratico, per assicurare una maggiore celerità77. La prima eccezione al principio generale in tema di competenza cautelare ante causam è prevista dal secondo comma dell’articolo 669 ter c.p.c.: «Se competente per la causa di merito è il giudice di pace, la domanda si propone al tribunale». Tale disposizione si spiega in quanto non si è voluto affidare un potere ampio come quello cautelare ad un giudice onorario78. Altra deroga risulta dal terzo comma dell’art. 669 ter c.p.c.: «Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare». Sono esclusi dalla competenza cautelare, sia ante causam che in corso di causa, anche gli arbitri, in armonia con quanto dispone l’art. 669 quinquies c.p.c. modificato dalla legge n. 80/2005: «Se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri anche non rituali o se è pendente il giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito». Prima della riforma entrata in vigore nel marzo 2006, si discuteva molto in dottrina sulla possibilità di chiedere misure cautelari quando si fosse fatto ricorso ad arbitrati liberi o irrituali; il legislatore oggi ha posto fine a questi dibattiti, perciò sia per l’arbitrato rituale che irrituale bisogna rivolgersi al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. L’esclusione della competenza cautelare in capo agli arbitri si spiega perché il legislatore ha ritenuto che essendo gli arbitri dei privati scelti generalmente dalle parti stesse, mancasse la necessaria garanzia di imparzialità della decisione. 77

Esistono tuttavia casi in cui a pronunciare una misura cautelare è il collegio, per esempio la Corte d’appello quando la domanda cautelare venga proposta in appello e le sezioni specializzate agrarie nelle materie di loro competenza. 78 Il Verde critica questa scelta in quanto non trova meno rischioso attribuire al giudice di pace il potere di emanare sentenze, che hanno carattere decisorio e sono provvisoriamente esecutive. Sul punto vedi G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 333. 63

La competenza cautelare in corso di causa è regolata invece dall’art. 669 quater c.p.c.: data la regola generale della corrispondenza fra competenza cautelare e competenza per il merito, la domanda si propone al giudice che sta istruendo la causa. Se il giudice istruttore non è stato ancora designato oppure il giudizio è sospeso o interrotto, la domanda va proposta al presidente del tribunale, che provvede a designare il magistrato che se ne occuperà. Se la causa pende davanti al giudice di pace, bisogna rivolgersi al tribunale, mentre in pendenza dei termini di impugnazione la domanda cautelare si propone al giudice che ha pronunciato la sentenza. Se la causa pende davanti al giudice straniero ed il giudice italiano non è competente a conoscere del merito, la misura cautelare va richiesta al giudice italiano competente per materia o valore del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare. Infine, quando l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, la competenza cautelare resta in capo al giudice civile competente per materia o valore del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare, fatta eccezione per il sequestro conservativo penale per il quale esiste una competenza concorrente del giudice penale.

UNITA’ DIDATTICA 3 – IL PROCEDIMENTO CAUTELARE. IL PROVVEDIMENTO NEGATIVO Il procedimento cautelare è disciplinato dall’art. 669 sexies c.p.c., ed è ispirato da un’esigenza di celerità a causa dell’urgenza della situazione giuridica tutelata. Il primo comma dell’art. 669 sexies stabilisce: «Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda». Nell’ottica della massima semplificazione, il principio del contraddittorio viene rispettato solo nelle formalità essenziali che consentono al soggetto passivo di esercitare il diritto di difesa (ad esempio la notifica del ricorso e del decreto che fissa l’udienza di comparizione). E’ da ritenere che il giudice possa avvalersi di qualsiasi strumento idoneo alla chiamata del convenuto. Anche per quanto riguarda gli atti di istruzione, il giudice è abbastanza libero: infatti, l’istruzione cautelare non è espressione in senso tecnico del principio dell’onere della prova perché prescinde dall’istanza di parte e costituisce esercizio di un potere d’ufficio; va rispettato solo il principio dell’onere di allegazione dei fatti, che grava sempre sulle parti. Gli atti istruttori compiuti devono essere limitati ad accertare presupposti e fini del provvedimento cautelare, quindi non devono estendersi a temi d’indagine che saranno oggetto del successivo giudizio di merito. Sulla domanda cautelare il giudice provvede con ordinanza salvo che nell’ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 669 sexies c.p.c.: «Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, [il giudice] provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del 64

decreto. A tale udienza il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto». In questo caso, la misura cautelare viene concessa inaudita altera parte: possiamo fare l’esempio di un creditore che abbia diritto alla consegna di una cosa determinata (un mobile d’antiquariato), della quale chiede il sequestro all’insaputa della controparte perché questa altrimenti potrebbe disfarsi del bene. Il decreto motivato che concede la misura cautelare viene emanato all’esito di un subprocedimento indicato nello stesso art. 669 sexies c.p.c. ed ha sempre bisogno di essere confermato con ordinanza a seguito della comparizione delle parti (cosiddetta realizzazione differita del contraddittorio). Il giudice può pronunciare su una domanda cautelare ordinanza di accoglimento oppure di rigetto. Il regime del provvedimento negativo è dettato dall’art. 669 septies c.p.c., l’unica tra le disposizioni del rito cautelare uniforme che si applica anche ai provvedimenti di istruzione preventiva (come precisato dall’art. 669 quaterdecies c.p.c.). Distinguiamo in particolare l’ordinanza di incompetenza e l’ordinanza di rigetto. La prima, di rigetto per ragioni processuali (non solo per incompetenza quindi, anche se il codice di procedura civile regola solo questo caso), non preclude mai la riproposizione della domanda, anche davanti allo stesso giudice. Si ritiene che nel provvedimento il giudice debba altresì indicare l’ufficio giudiziario ritenuto competente (anche se non è obbligato a farlo) e che non sia proponibile contro tale ordinanza il regolamento di competenza79. Con riferimento all’ordinanza di rigetto per ragioni sostanziali, il primo comma dell’art. 669 septies c.p.c. prevede che in tal caso l’istanza possa essere riproposta solo in due casi: - quando si verifichino mutamenti nelle circostanze (pensiamo ad un pericolo nel ritardo che prima non c’era); - quando vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto, anche se la situazione sia rimasta invariata (ad esempio vengono proposte nuove prove a sostegno dell’apparente fondatezza del diritto). La dottrina parla di regime di stabilità limitata dell’ordinanza di rigetto nel merito, essendo consentita la riproposizione del ricorso (sia ante causam che in corso di causa) esclusivamente nelle due ipotesi esaminate. Ai sensi del secondo e terzo comma dell’art. 669 septies c.p.c., se l’ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata ante causam80, con essa il giudice provvede definitivamente sulle spese del procedimento cautelare. La condanna alle spese è immediatamente esecutiva ed è opponibile a norma degli artt. 645 ss. c.p.c. in quanto applicabili nel termine perentorio di venti giorni dalla pronuncia dell’ordinanza (se avvenuta in udienza) o dalla sua comunicazione. Contro l’ordinanza di rigetto può essere proposto reclamo cautelare a norma dell’art. 669 terdecies c.p.c. 79

Infatti il regolamento di competenza presuppone la definitività della decisione, che mal si concilia con la libera proponibilità in questa ipotesi del ricorso cautelare. 80 Per l’ordinanza pronunciata in corso di causa, invece, le spese sono liquidate nella sentenza che chiude il processo. 65

UNITA’ DIDATTICA 4 – L’ORDINANZA DI ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA CAUTELARE La legge n. 80/2005 è intervenuta a modificare in maniera sostanziale l’art. 669 octies c.p.c., disciplinante l’ordinanza di accoglimento della domanda cautelare. I primi tre commi della norma in esame dispongono: «L’ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l’inizio del giudizio di merito, salva l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 669 novies81. In mancanza di fissazione del termine da parte del giudice, la causa di merito deve essere iniziata entro il termine perentorio di sessanta giorni. Il termine decorre dalla pronuncia dell’ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione». Esiste dunque l’obbligo, per la parte che ha ottenuto la misura cautelare, di iniziare un giudizio a cognizione piena entro sessanta giorni (prima della legge n. 80/2005 il termine era di trenta giorni), a pena di inefficacia della misura cautelare. Qualora il giudice dovesse omettere l’indicazione del termine nell’ordinanza di accoglimento, esso sarebbe comunque ex lege di sessanta giorni. Quando la controversia è oggetto di compromesso o di clausola compromissoria, la parte nei sessanta giorni deve notificare all’altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri (art. 669 octies ultimo comma). L’innovazione più significativa della legge n. 80/2005 consiste nell’aver aggiunto tre commi all’art. 669 octies, al fine di uniformare la disciplina del rito cautelare uniforme con quella del processo commerciale e societario. Per effetto di tale modifica è stato fortemente attenuato il vincolo di strumentalità fra tutela cautelare e tutela di merito, in quanto l’instaurazione del processo a cognizione piena a seguito dell’emanazione dei provvedimenti cautelari indicati nel comma sei dell’art. 669 octies è diventata una mera facoltà delle parti, dunque non costituisce più condizione di efficacia della misura cautelare stessa. Precisamente, i nuovi commi dell’art. 669 octies dispongono: «Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell’articolo 669 novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito. L’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al primo comma, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa. L’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo». 81

La disposizione richiamata si riferisce all’inefficacia del provvedimento cautelare nell’ipotesi in cui la causa di merito sia devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero oppure ad arbitrato italiano o estero. 66

In passato non c’erano alternative: o la parte che aveva ottenuto la misura cautelare iniziava il giudizio ordinario nel termine previsto (ed il provvedimento cautelare sarebbe stato in ogni caso assorbito dalla sentenza), oppure non lo faceva, ovvero risultava sconfitto o il giudizio si estingueva (in tutte e tre le ipotesi il provvedimento cautelare perdeva efficacia). Attualmente, invece, questa disciplina rimane in vigore per i soli provvedimenti cautelari conservativi (ad esempio i sequestri), mentre per quelli anticipatori, d’urgenza e quelli emanati in seguito ad una denuncia di nuova opera o danno temuto non è più obbligatorio iniziare un giudizio di merito a pena di inefficacia. In questi casi sarà il soggetto passivo della misura cautelare a poter instaurare il processo ordinario, e se questo si estingue il provvedimento cautelare conserva la sua validità. Il legislatore del 2005 ha positivizzato attraverso le nuove disposizioni la distinzione operata dalla dottrina fra provvedimenti cautelari anticipatori e provvedimenti cautelari conservativi. I primi anticipano gli effetti della sentenza di merito e non sono soggetti alla disciplina degli artt. 669 octies e 669 novies primo comma; i secondi mirano a “bloccare” una determinata situazione al fine di evitare pregiudizi all’avente diritto (pensiamo ad un sequestro). La difficoltà maggiore sta nel fatto che spesso, soprattutto per le misure cautelari previste da leggi speciali e dal codice civile, è difficile stabilire se un provvedimento cautelare sia anticipatorio o conservativo. Ai sensi dell’art. 669 undecies c.p.c., con il provvedimento di accoglimento, di conferma o di modifica della misura cautelare, il giudice, valutata ogni circostanza, può imporre all’istante una cauzione per l’eventuale risarcimento dei danni. Si tratta di una garanzia per l’intimato qualora risultasse che il ricorrente ha agito senza la normale prudenza. Come viene praticamente attuata una misura cautelare? A questa domanda risponde l’art. 669 duodecies c.p.c., a norma del quale salvo la disciplina speciale prevista per i sequestri, bisogna distinguere fra due alternative. Se la misura cautelare ha ad oggetto somme di denaro, si seguono le regole degli artt. 491 ss. c.p.c., dunque l’esecuzione inizia con il pignoramento82. L’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, invece, avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare; il giudice determina altresì le modalità di attuazione, e qualora sorgano difficoltà o contestazioni dà con ordinanza i provvedimenti opportuni sentite le parti. Qui il giudice dell’esecuzione coincide con quello che ha emanato il provvedimento cautelare, cosa che non accade per il primo modello di attuazione. L’ultimo comma dell’art. 669 duodecies c.p.c. chiarisce che ogni altra questione che richieda un accertamento più approfondito va proposta nel giudizio di merito.

UNITA’ DIDATTICA 5 – L’INEFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO 82

Si ritiene che il provvedimento cautelare sia dotato di una intrinseca esecutorietà, per cui non occorre l’apposizione della formula esecutiva. Inoltre l’esecuzione non deve essere preceduta dalla notificazione di titolo esecutivo e precetto, essendo sufficiente la conoscenza legale del provvedimento cautelare stesso. 67

CAUTELARE L’art. 669 novies c.p.c. elenca i casi nei quali il provvedimento cautelare può perdere efficacia; dopo la legge n. 80/2005, il primo comma della disposizione in esame non si applica ai provvedimenti d’urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 c.p.c. e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688 c.p.c. Un’ordinanza cautelare diviene inefficace innanzitutto quando: 1. non viene iniziato il giudizio di merito nel termine perentorio di sessanta giorni; 2. il giudizio di merito viene iniziato nel termine perentorio ma successivamente si estingue. In entrambi i casi, l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento cautelare, su ricorso della parte interessata e convocate le parti, se non c’è contestazione dichiara con ordinanza avente efficacia esecutiva la sopravvenuta inefficacia del provvedimento cautelare, dando altresì le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente. Se al contrario sorge contestazione, l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso la misura cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, ferma la possibilità di emanare in corso di causa provvedimenti di modifica e revoca83. Il provvedimento cautelare perde inoltre efficacia: 3. se non è stata versata la cauzione stabilita dal giudice ai sensi dell’art. 669 undecies c.p.c.; 4. se con sentenza, anche non passata in giudicato, viene dichiarata l’inesistenza del diritto a cautela del quale la misura cautelare era stata concessa. L’ultimo comma dell’art. 669 novies c.p.c. prevede infine ulteriori casi di inefficacia del provvedimento cautelare, per le ipotesi di causa di merito devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero oppure ad arbitri.

UNITA’ DIDATTICA 6 – REVOCA E MODIFICA DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE. IL RECLAMO CAUTELARE La natura stessa del provvedimento cautelare fa sì che al verificarsi di mutamenti nelle circostanze che ne hanno determinato l’emanazione, possa sorgere la necessità di modificarlo oppure addirittura di revocarlo. Il potere di revoca e di modifica, attribuito dall’art. 669 decies c.p.c. al giudice istruttore, costituisce insieme al reclamo cautelare uno strumento di controllo della misura cautelare stessa. La legge n. 80/2005 ha radicalmente innovato la disciplina dell’istituto, dando comunque la prevalenza al reclamo. Nella formulazione attuale, l’art. 669 decies c.p.c. dispone: «Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669 terdecies, nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. 83

In tal modo il legislatore ha inteso evitare contestazioni infondate o meramente dilatorie. 68

In tal caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 669 terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tal caso l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare». Prima della riforma entrata in vigore il 1 marzo 2006, la valutazione di fatti anteriori era riservata al reclamo, dunque con l’istanza di revoca o modifica si potevano far valere solo mutamenti nelle circostanze. La previsione del secondo comma si spiega in ragione del fatto che oggi non è più sempre necessario iniziare un giudizio di merito. Lo strumento di controllo per eccellenza di un provvedimento cautelare è il reclamo, disciplinato dall’art. 669 terdecies c.p.c. come modificato dalla legge n. 80/2005; esso non costituisce un mezzo di impugnazione in senso stretto, bensì, secondo l’opinione dominante, una sorta di revisione del provvedimento cautelare. Tuttavia, a seguito della riforma entrata in vigore nel 2006, si fa strada l’idea che si tratti invece di un novum iudicium, come confermerebbero le previsioni del quarto comma dell’art. 669 terdecies c.p.c. Ai sensi del primo comma dell’art. 669 terdecies c.p.c., contro l’ordinanza che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o notificazione se anteriore alla comunicazione stessa. E’ stata così pienamente accolta l’indicazione della Corte costituzionale, che con sentenza n. 253/1994 aveva già dichiarato l’illegittimità della disposizione, che allora consentiva di esperire reclamo solo contro i provvedimenti di accoglimento della domanda cautelare. Il reclamo contro i provvedimenti del giudice singolo del tribunale si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato. Quando invece il provvedimento cautelare è stato emesso dalla corte d’appello, il reclamo va proposto ad un’altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla corte d’appello più vicina. La decisione sul reclamo, dunque, è sempre collegiale; il procedimento si svolge secondo le regole dei procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 e 738 c.p.c.). Il collegio, convocate le parti, pronuncia entro venti giorni dal deposito del ricorso ordinanza non impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare84. In virtù del quarto comma dell’art. 669 terdecies c.p.c., aggiunto dalla legge n. 80/2005, «Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento. Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la rimessione al primo giudice».

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Confermare il provvedimento significa ribadire l’esistenza dei presupposti che ne hanno giustificato l’emanazione; la modifica comporta cambiamenti in alcune parti; la revoca, infine, determina la rimozione del provvedimento per assenza dei presupposti, originaria o successiva. 69

La formulazione della disposizione lascia dei dubbi di interpretazione; si ritiene comunque che essa vada letta nel senso che i motivi sopravvenuti vadano indicati nell’atto di reclamo, che dovrà poi essere notificato alla controparte insieme al decreto che fissa la data di udienza davanti al collegio. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento cautelare; tuttavia il presidente del tribunale o della corte investiti del reclamo, quando il provvedimento arrechi grave danno per motivi sopravvenuti, può disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione dell’esecuzione o subordinarla a cauzione.

BIBLIOGRAFIA MODULO 7 – IL PROCESSO CAUTELARE

MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. 70

Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

MODULO 8 LE SINGOLE MISURE CAUTELARI

UNITÀ DIDATTICA 1- I SEQUESTRI Il sequestro costituisce la misura cautelare di più larga applicazione nella pratica. Il codice di procedura civile disciplina il sequestro giudiziario, il sequestro conservativo ed il cosiddetto sequestro liberatorio (artt. 670, 671 e 687 c.p.c.). Con riferimento al primo, distinguiamo due ulteriori ipotesi; infatti il sequestro giudiziario può essere finalizzato a garantire un preteso diritto su una cosa oggetto di controversia, oppure alla conservazione di mezzi probatori rilevanti per la causa di merito per i quali sia controverso il diritto di esibizione. Specificamente, l’art. 670 c.p.c. dispone: «Il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario: 1) di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea; 2) di libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende 71

desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione, ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea». Dottrina e giurisprudenza escludono che il sequestro giudiziario possa avere ad oggetto somme di denaro, mentre è discussa la possibilità di sequestrare quote societarie. In generale, il sequestro giudiziario ha lo scopo di facilitare un’eventuale successiva azione di esecuzione in forma specifica; l’opportunità di provvedere alla custodia è decisa dal giudice mediante una valutazione discrezionale. Il sequestro di prove rappresenta una sottospecie del sequestro giudiziario; l’elencazione contenuta nel n. 2) dell’art. 670 c.p.c. non è tassativa, dunque qualsiasi elemento probatorio per il quale sia controverso il diritto di esibizione può essere sequestrato. Nel risolvere la controversia sul diritto di esibizione o comunicazione, il giudice si limita soltanto a riscontrare la necessità della custodia di un determinato elemento probatorio per evitare che vada distrutto o smarrito; la sua rilevanza ed ammissibilità, però, verranno valutate successivamente nella fase istruttoria. Quando dispone il sequestro giudiziario, il giudice ai sensi dell’art. 676 c.p.c. nomina un custode, determinando altresì criteri e limiti della custodia. Lo scopo della norma è di impedire al soggetto che detiene la cosa controversa di disporne materialmente, magari sottraendola durante il tempo in cui si svolge il processo o facendola deteriorare in pregiudizio dell’avente diritto. Il sequestro conservativo è invece previsto dall’art. 671 c.p.c.: «Il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento». La finalità del sequestro conservativo è di evitare che il debitore possa vanificare le aspettative del creditore alienando i beni su cui questi dovrebbe soddisfarsi. Viene in tal modo tutelato l’interesse del creditore alla conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore; in pratica, il sequestro conservativo è una sorta di pignoramento anticipato. In seguito ad un sequestro, sono inopponibili al creditore sequestrante gli atti di disposizione del bene sequestrato posti in essere dopo la pronuncia del provvedimento. Con riferimento al sequestro liberatorio, sotto la rubrica “Casi speciali di sequestro” l’art. 687 c.p.c. dispone che il giudice può ordinare il sequestro delle somme o delle cose che il debitore ha offerto o messo comunque a disposizione del creditore per la sua liberazione, quando sia controverso l’obbligo o il modo del pagamento o della consegna, oppure l’idoneità della cosa offerta. L’ipotesi è quella in cui il debitore abbia fatto offerta formale o non formale della prestazione dovuta (artt. 1208 ss. c.c.) e il creditore si sia rifiutato di riceverla, determinando così la nascita di un giudizio di convalida dell’offerta o del deposito. Per sottrarsi agli effetti della mora debendi, i quali si produrrebbero nel caso di pronuncia favorevole al creditore, il debitore potrà chiedere il sequestro pur avendo intenzione di contestare il credito o le modalità di pagamento. Il provvedimento che autorizza il sequestro deve essere eseguito entro trenta giorni dalla pronuncia a pena di inefficacia (art. 675 c.p.c.); va sottolineato che nel termine previsto è necessario 72

compiere il primo atto di esecuzione. L’esecuzione del provvedimento di sequestro è disciplinata dagli artt. 677 – 679 c.p.c., dunque è sottratta alla relativa norma del rito cautelare uniforme (art. 669 duodecies c.p.c.). In particolare, il sequestro giudiziario si esegue nelle forme dell’esecuzione per consegna o rilascio in quanto compatibili (artt. 605 ss. c.p.c.), ma senza la notificazione del precetto e dell’avviso di rilascio (salvo che il custode sia una persona diversa dal detentore). Ciò per evitare che il detentore, avvertito del prossimo sequestro, possa sottrarre i beni sui quali la misura cautelare va eseguita. Il sequestro conservativo, invece, si esegue nelle forme del pignoramento presso il debitore o presso terzi quando ha ad oggetto beni mobili e crediti; per gli immobili, occorre la trascrizione del provvedimento presso l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari del luogo in cui sono situati i beni. Quando il sequestro sia stato tempestivamente attuato, occorre iniziare il giudizio di merito nel termine perentorio previsto; se il processo si conclude con l’accoglimento della pretesa attorea, l’ordinanza di sequestro viene assorbita dalla sentenza che chiude il giudizio. A questo proposito, l’art. 686 c.p.c. fissa una regola particolare per il sequestro conservativo: «Il sequestro conservativo si converte in pignoramento al momento in cui il creditore sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva. Se i beni sequestrati sono stati oggetto di esecuzione da parte di altri creditori, il sequestrante partecipa con essi alla distribuzione della somma ricavata». La disposizione va integrata con l’art. 156 disp. att. c.p.c., a norma del quale il creditore deve in questo caso depositare copia della sentenza nella cancelleria del giudice competente per l’esecuzione nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione, procedendo altresì alle notificazioni di cui all’art. 498 c.p.c. Secondo la dottrina dominante, la conversione del sequestro conservativo in pignoramento è una conseguenza automatica della pronuncia della sentenza di condanna, e l’onere di deposito posto dall’art. 156 disp. att. c.p.c. incide solo sulla procedibilità del giudizio, non determinando la decadenza del sequestro. Il Verde85, al contrario, ritiene che il mancato tempestivo deposito costituisca un’ulteriore ipotesi di inefficacia dell’ordinanza di sequestro conservativo, che va ad aggiungersi a quelle previste dall’art. 669 novies c.p.c. In ogni caso, gli effetti della conversione operano ex nunc (cioè dal momento della pronuncia della sentenza), e non retroagiscono alla data di emanazione del provvedimento cautelare. Sempre con riferimento al sequestro conservativo, l’art. 684 c.p.c. consente al debitore di chiedere al giudice istruttore, che deciderà con ordinanza non impugnabile, la revoca del sequestro stesso prestando idonea cauzione per l’ammontare del credito che ha dato luogo al sequestro e per le spese, considerato il valore delle cose sequestrate. Più che di una revoca, siamo in presenza di una conversione dell’oggetto del sequestro: infatti, il debitore chiede di sostituire ai beni sequestrati una somma di denaro, rapportata tuttavia all’importo del solo credito cautelato, senza tenere conto di altri crediti che potranno essere fatti valere dopo la trasformazione del sequestro in pignoramento. 85

Cfr. G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 367. 73

UNITA’ DIDATTICA 2 – LE DENUNCE DI NUOVA OPERA E DI DANNO TEMUTO Le denunce di nuova opera e di danno temuto, anche dette azioni di nunciazione, sono misure cautelari aventi la finalità di tutelare la proprietà o il possesso da una situazione di pericolo attuale o futuro e da un danno eventuale. Esse sono disciplinate dagli artt. 688 e 691 c.p.c. In particolare, la denuncia di nuova opera è l’azione concessa al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore, che abbia ragione di temere che da una nuova opera da altri intrapresa sulla proprietà o sul fondo vicini stia per derivare un danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso (art. 1171 c.c.). Tale azione non può essere esercitata se l’opera è terminata o se è trascorso un anno dal suo inizio; in caso di accoglimento, il giudice emanerà un provvedimento con il quale si dispone la sospensione dell’esecuzione dell’opera. La denuncia di danno temuto, invece, è l’azione concessa al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore, che abbia ragione di temere che da un qualsiasi edificio, albero o altra cosa inanimata già esistente sulla proprietà o sul fondo vicini (pensiamo ad esempio ad un edificio pericolante), derivi il pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso (art. 1172 c.c.). In questo caso il giudice emanerà un provvedimento che detti le necessarie cautele, disponendo altresì se lo ritiene opportuno un’idonea garanzia per i danni. In base all’art. 688 c.p.c., le denunce di nuova opera e di danno temuto si propongono con ricorso al giudice del luogo nel quale si teme possa avvenire il fatto denunciato; se il processo è già in corso, si seguono le regole dettate dall’art. 669 quater c.p.c. Il procedimento ha una struttura bifasica: la prima fase, a cognizione sommaria, si chiude con la pronuncia del provvedimento cautelare; la seconda, a cognizione piena, termina con una sentenza che si sostituisce ad esso. Allo scopo di assicurare l’effettività della tutela cautelare concessa, l’art. 691 c.p.c. dispone: «Se la parte alla quale è fatto divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto contravviene all’ordine, il giudice, su ricorso della parte interessata, può disporre con ordinanza che le cose siano rimesse al pristino stato a spese del contravventore».

UNITA’ DIDATTICA 3 – I PROCEDIMENTI DI ISTRUZIONE PREVENTIVA I provvedimenti di istruzione preventiva sono misure cautelari aventi la funzione di garantire l’efficienza dell’istruzione probatoria: infatti vengono richiesti quando si teme che elementi probatori utilizzabili in un giudizio possano andare irrimediabilmente perduti. Come per ogni misura cautelare, anche qui presupposto fondamentale è l’urgenza di provvedere; tuttavia, poiché l’assunzione di un mezzo di prova richiede una preventiva valutazione da parte del 74

giudice circa la sua ammissibilità e rilevanza, anche nelle ipotesi di assunzione preventiva ed immediata l’utilizzazione in corso di causa della prova sarà condizionata a tale valutazione. All’istruzione preventiva il codice di procedura civile dedica gli articoli dal 692 al 699; l’assunzione preventiva è prevista specificamente per la prova testimoniale, l’accertamento tecnico, l’ispezione giudiziale e, dopo la legge n. 80/2005, per la consulenza tecnica preventiva. A queste misure cautelari non si applicano le norme del rito cautelare uniforme, fatta eccezione per l’art. 669 septies c.p.c. sul regime del provvedimento negativo. Tale esclusione viene talvolta spiegata con la considerazione che la disciplina speciale disposta dal legislatore è già di per sé esaustiva; in realtà, è preferibile ritenere che poiché ad essere cautelato qui non è un diritto bensì la prova di esso, le valutazioni da fare devono necessariamente essere diverse86. Un provvedimento di istruzione preventiva può essere chiesto prima del processo oppure in corso di causa; la domanda ha la forma di un ricorso proposto al giudice che sarebbe competente per il merito se ante causam, al giudice del merito se in corso di causa (artt. 693 e 699 c.p.c.). Diversamente dalla regola generale, dunque, l’istruzione preventiva può essere disposta anche dal giudice di pace e dagli arbitri; in caso di eccezionale urgenza, l’istanza può essere altresì proposta al tribunale del luogo in cui la prova deve essere assunta. A seguito del ricorso, il presidente del tribunale o il giudice di pace fissano con decreto l’udienza di comparizione delle parti, stabilendo inoltre il termine perentorio per la notificazione del decreto stesso (art. 694 c.p.c.); la decisione (art. 695 c.p.c.) viene presa con ordinanza non impugnabile. Il provvedimento di ammissione preventiva della prova, quindi, viene emanato previa instaurazione del contraddittorio, salvo ipotesi di eccezionale urgenza, nelle quali il ricorrente viene dispensato dalla notificazione (da effettuarsi comunque non oltre il giorno successivo all’assunzione della prova alle parti non presenti, come previsto dall’art. 697 c.p.c.). I mezzi di prova che possono essere assunti preventivamente sono la testimonianza, l’ispezione giudiziale, l’accertamento tecnico e la consulenza tecnica. Per la prima, l’art. 692 c.p.c. dispone: «Chi ha fondato motivo di temere che siano per mancare uno o più testimoni le cui deposizioni possono essere necessarie in una causa da proporre, può chiedere che ne sia ordinata l’audizione a futura memoria». Pensiamo ad un testimone di importanza fondamentale che sia sul punto di morire: qui a causa dei tempi processuali si corre il rischio di non potere più ascoltare la sua deposizione, perciò andrà sentito subito. L’accertamento del periculum in mora è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice. Con riferimento ad accertamento tecnico ed ispezione giudiziale, l’art. 696 c.p.c. modificato dalla legge n. 80/2005 dispone che si può fare ricorso a questa misura cautelare quando si ha urgenza di far verificare prima del giudizio lo stato dei luoghi, la qualità o la condizione di cose. In pratica, viene fotografata la situazione esistente per timore di cambiamenti successivi che modifichino irrimediabilmente lo stato di luoghi e cose. A seguito della legge n. 80/2005, l’accertamento non è più finalizzato ad una mera descrizione, ma il consulente può esprimere pareri e valutazioni su cause e danni relativi all’oggetto della 86

Sul punto vedi G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 372. 75

verifica. Il giudice procede secondo le modalità di cui agli artt. 694 e 695 c.p.c., nomina il consulente tecnico e fissa la data di inizio delle operazioni. Ancora, il legislatore del 2005, in armonia con i ripetuti interventi della Corte costituzionale, ha stabilito che l’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale, se ne ricorre l’urgenza, possono essere disposti anche sulla persona dell’istante e, se vi consente, sulla persona nei cui confronti l’istanza è proposta (primo comma dell’art. 696 c.p.c.). Con la legge n. 80/2005 è stato inoltre inserito l’art. 696 bis c.p.c., che sulla scia di istituti già presenti in altri ordinamenti ha introdotto la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. Ad essa si può ricorrere anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 c.p.c., quando l’accertamento riguardi crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il consulente, prima di depositare la sua relazione, tenta anche la conciliazione delle parti; se questa riesce, si forma processo verbale che costituisce titolo esecutivo. In caso contrario, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Qualche autore inquadra l’istituto disciplinato dall’art. 696 bis c.p.c. più tra gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie che tra le misure cautelari, sottolineando perciò l’infelice collocazione della norma. L’art. 698 c.p.c., infine, prevede che l’assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione nel giudizio di merito. Prima che i mezzi di prova siano stati dichiarati ammissibili, poi, i processi verbali delle prove non possono essere prodotti né richiamati in giudizio.

UNITA’ DIDATTICA 4 – I PROVVEDIMENTI D’URGENZA L’art. 700 c.p.c. contiene una norma di chiusura per la tutela cautelare, una salvezza alla quale ricorrere tutte le volte che le misure cautelari tipiche non riescono a soddisfare la concreta esigenza verificatasi. La norma in esame dispone: «Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito». La prima caratteristica dei provvedimenti d’urgenza è la sussidiarietà, in quanto la loro concessione è subordinata alla condizione che non sia possibile tutelare la situazione concreta con nessun altro provvedimento tipico, previsto dal codice di procedura civile, dal codice civile o da leggi speciali. 76

I provvedimenti ex art. 700 c.p.c. sono dunque residuali: se attraverso una qualsiasi altra misura cautelare il pericolo può essere evitato è esclusa l’applicazione di questa disposizione. Altro elemento distintivo dei provvedimenti d’urgenza è la atipicità: essi, infatti, non hanno un contenuto predeterminato, poiché è il giudice che volta per volta decide secondo quali modalità apprestare la tutela, valutate a sua discrezione le circostanze. L’obiettivo è quello di assicurare in via provvisoria gli effetti della sentenza di merito, perciò il provvedimento potrà essere anticipatorio in senso stretto, ma anche conservativo o misto. Il pericolo nel ritardo, nei provvedimenti d’urgenza, si sostanzia nel fatto che durante il tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, questo risulta minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile. L’imminenza si ha quando il danno, non ancora verificatosi, sia proprio sul punto di realizzarsi; l’irreparabilità comporta che non si possa porre rimedio al danno prodotto.

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BIBLIOGRAFIA MODULO 8 – LE SINGOLE MISURE CAUTELARI

MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

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MODULO 9 ALTRI PROCEDIMENTI SPECIALI

UNITÀ DIDATTICA 1- I PROCEDIMENTI POSSESSORI Nel nostro sistema, in determinate situazioni viene riconosciuta tutela anche al possessore, mediante le azioni di reintegrazione e di manutenzione nel possesso. Il codice di procedura civile disciplina i procedimenti possessori agli articoli 703 – 705, come modificati dalla legge n. 80/2005. Per il possessore illegittimamente privato del suo potere di fatto sulla cosa oppure molestato nell’esercizio di tale potere (ma anche per il proprietario purché abbia la materiale disponibilità della cosa87), il legislatore ha previsto una tutela immediata, finalizzata ad ottenere la reintegra nel possesso o la cessazione della turbativa. La dottrina aveva evidenziato come la collocazione delle disposizioni in esame non fosse troppo felice, dal momento che le azioni possessorie non sono propriamente azioni cautelari. Infatti, visto che il provvedimento interdittale esaurisce la tutela richiesta, manca uno dei caratteri propri della tutela cautelare, cioè la strumentalità rispetto alla sentenza di merito. Questa considerazione è venuta meno dopo la legge n. 80/2005, che modificando l’art. 703 c.p.c. ha espressamente previsto che il giudizio ordinario di merito costituisce una mera facoltà delle parti. Il legislatore ha così sposato un nuovo orientamento, alla luce del quale il vincolo di strumentalità fra tutela cautelare e tutela di merito si è in parte attenuato. Sono azioni possessorie l’azione di reintegrazione nel possesso e l’azione di manutenzione nel possesso: la prima è concessa entro un anno dallo spoglio al possessore e al detentore qualificato 88 che siano stati privati del potere di fatto sulla cosa in maniera violenta oppure occulta (art. 1168 c.c.). L’azione di manutenzione nel possesso, invece, è concessa sempre entro un anno dalla turbativa al possessore (mai al detentore) molestato nell’esercizio del suo potere sulla cosa, al fine di ottenere un provvedimento che ordini l’immediata cessazione della turbativa stessa (art. 1170 c.c.). Sono esempi di turbativa le immissioni di fumo ed i rumori che superino la normale tollerabilità. L’azione di manutenzione trova applicazione anche nelle ipotesi di spoglio non violento né clandestino. Ai sensi del primo comma dell’art. 703 c.p.c., le domande di reintegrazione e di manutenzione 87

In tal modo il proprietario potrà avvalersi di una tutela rapida ed efficace, senza dove necessariamente fornire la prova del suo diritto di proprietà, talvolta più complessa. 88 E’ detentore qualificato chi detiene la cosa non per ragioni di servizio od ospitalità, ad esempio il conduttore di un immobile. 79

nel possesso si propongono con ricorso al giudice competente (che è il tribunale del luogo in cui è avvenuto il fatto denunciato). Il giudice provvede in base agli articoli 669 bis e seguenti c.p.c. in quanto compatibili. Il secondo comma dell’art. 703 c.p.c. è stato modificato in questo modo dalla legge n. 80/2005; nella formulazione precedente la norma rinviava semplicemente al rito cautelare uniforme, senza che fosse prevista la clausola di compatibilità. La decisione ha forma di ordinanza reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. La legge n. 80/2005 ha introdotto un quarto comma all’art. 703 c.p.c.; esso dispone: «Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al terzo comma89, il giudice fissa dinanzi a sé l’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito. Si applica l’articolo 669 novies, terzo comma». L’inciso “se richiesto da una delle parti” rappresenta la novità più rilevante, poiché rimette alla parte interessata la prosecuzione del giudizio nell’eventuale fase di merito. Tale struttura bifasica del processo possessorio dimostra la tendenza del legislatore verso una attenuazione del vincolo di strumentalità fra giudizio cautelare e giudizio di merito. E’ stato modificato anche l’art. 704 c.p.c., avente la funzione di assicurare una tutela rapida ed efficace alla vittima dello spoglio contro atti lesivi del possesso che avvengano durante la pendenza del giudizio petitorio90. A questo proposito, il primo comma della disposizione in esame stabilisce che le domande relative al possesso, per fatti che avvengano durante la pendenza del giudizio petitorio, devono essere proposte davanti al giudice del petitorio. Tuttavia (secondo comma dell’art. 704 c.p.c.), la reintegrazione può essere domandata anche al giudice competente ai sensi dell’art. 703 c.p.c., che dà i provvedimenti temporanei indispensabili; ciascuna parte, poi, potrà proseguire il giudizio davanti al giudice del petitorio a norma dell’art. 703 c.p.c. La norma conferma chiaramente che il giudizio possessorio non viene assorbito da quello petitorio, ma si cumula con esso. L’art. 705 c.p.c. vieta al convenuto in un giudizio possessorio di proporre giudizio petitorio finché il primo non sia definito e la decisione non sia stata eseguita, a meno che il convenuto non dimostri che l’esecuzione del provvedimento possessorio non può compiersi per fatto imputabile all’attore. La ratio del divieto va ricercata nel fatto che il giudizio possessorio mira esclusivamente a ripristinare la situazione di fatto, rimandando ogni questione riguardante i diritti sulla cosa al giudizio petitorio. La Corte costituzionale (sentenza n. 25/1992) ha dichiarato l’illegittimità del primo comma dell’art. 703 c.p.c. nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione di quello possessorio ed all’esecuzione della decisione se al convenuto derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile. 89 90

Vale a dire l’ordinanza reclamabile che decide sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione. Il giudizio petitorio è quello che ha ad oggetto un diritto di proprietà. 80

UNITA’ DIDATTICA 2 – I PROCEDIMENTI IN CAMERA DI CONSIGLIO Gli artt. 737 – 742 bis c.p.c. contengono una serie di disposizioni applicabili ai cosiddetti procedimenti in camera di consiglio, procedimenti speciali che si differenziano dal processo ordinario innanzitutto perché non si svolgono in pubblica udienza. Non è prevista un’elencazione tassativa dei casi in cui la disciplina in esame trova applicazione; tradizionalmente, essa viene riferita alle ipotesi di giurisdizione volontaria, in cui non c’è controversia bensì la necessità di gestire un negozio attraverso l’intervento di un terzo estraneo ed imparziale (appunto un magistrato di carriera). Ad ogni modo, l’art. 742 bis c.p.c. stabilisce che le disposizioni del capo VI si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio anche non espressamente regolati o non riguardanti materia di famiglia o di stato delle persone; di conseguenza, leggi speciali possono prevedere ulteriori ipotesi cui applicare questa disciplina. Oltre alle modalità di svolgimento ed alla mancanza di lite fra le parti, i procedimenti di volontaria giurisdizione o camerali si caratterizzano per la natura del provvedimento finale, sempre riesaminabile. La domanda si propone con ricorso al giudice competente in base ai criteri della materia e, in via residuale, del territorio; il provvedimento finale ha forma di decreto motivato salvo che la legge disponga altrimenti (art. 737 c.p.c.). Il procedimento si svolge secondo le regole fissate nell’art. 738 c.p.c.: il presidente del collegio nomina un relatore, il quale riferisce in camera di consiglio. Il relatore può assumere informazioni, compiere atti di istruzione, ascoltare gli interessati, sentire terzi (che possono altresì intervenire volontariamente). Se deve essere sentito il pubblico ministero, gli atti gli sono previamente comunicati in modo da poter formulare le sue conclusioni. Il procedimento è estremamente semplificato e dovrebbe chiudersi in un’unica udienza. Generalmente si esclude che il decreto motivato che chiude di solito un procedimento in camera di consiglio debba contenere una condanna alle spese; tale conclusione, però, non viene da alcuni condivisa con riferimento ai procedimenti bi- e plurilaterali91. Alla stregua dell’art. 739 c.p.c., il rimedio contro un provvedimento pronunciato in camera di consiglio è il reclamo al giudice superiore (nello specifico con ricorso al tribunale contro i decreti del giudice tutelare, alla corte d’appello contro i decreti del tribunale in primo grado). I decreti pronunciati in sede di reclamo non sono a loro volta reclamabili salvo che la legge disponga diversamente. Legittimati a proporre reclamo sono tutti gli interessati, nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se esso è stato dato in confronto di una sola parte, oppure dalla notificazione se è stato dato in confronto di più parti. Lo stesso termine di dieci giorni è previsto per il pubblico ministero nei casi in cui è necessario sentire il suo parere (art. 740 c.p.c.). Decorso il termine senza che sia stato proposto reclamo, il decreto acquista efficacia; se vi sono 91

Vedi sul punto G. Verde – B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998, 395. 81

ragioni d’urgenza, però, il giudice può disporre che il decreto abbia efficacia immediata. Così dispone l’art. 741 c.p.c.; il decreto diventa inoltre definitivo quando il reclamo sia stato rigettato. L’art. 742 c.p.c. prevede che i decreti possono essere modificati o revocati in ogni tempo, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca. I decreti emanati in camera di consiglio, dunque, non hanno attitudine di giudicato (e lo stesso vale per i provvedimenti pronunciati in sede di reclamo).

BIBLIOGRAFIA MODULO 9 – ALTRI PROCEDIMENTI SPECIALI

MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. 4. L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali non cognitori. Procedimenti cautelari. Giurisdizione volontaria, Torino, Giappichelli, 2005. MONTESANO L. - ARIETA G., Diritto processuale civile. III. L’esecuzione forzata. I procedimenti contenziosi sommari. Il rito cautelare uniforme, Torino, Gappichelli, 2001. PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, estratto, Napoli, Jovene, 1999. VERDE G., La riforma dei libri III e IV del codice di procedura civile. Appendice di aggiornamento al volume: G. Verde, B. Capponi, Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 2006. VERDE G., CAPPONI B., Profili del processo civile. 3. Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, Jovene, 1998.

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