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Italian Pages 331 Year 2009
ANTONIO GENTILI -
ANDREA SCHNOLLER...
DIO NEL SILENZIO... LA MEDITAZIONE NELLA VITA EDITRICE ANCORA MILANO
ï, Prima edizione: marzo 1986 Seconda edizione: luglio 1986 Terza edizione: ottobre 1986 Quarta edizione: maggio 1987 Quinta edizione: febbraio 1988 Sesta edizione: maggio 1989 Settima edizione: settembre 1991 Ottava edizione: novembre 1993 Nona edizione: gennaio 1996 O EDITRICE ANCORA MILANO Via G.B. Niccolini, 8 - 20154 Milano Tel. (02) 3360.8941- Fax (02) 3360.8944 N.A. 3666 Gennaio 1996 Grafiche Pavoniane - Istituto Pavoniano Artigianelli - Milano ISBN 88-7610-553-0
l. Ritorno alla meditazione: una fuga o un'urgenza?
Nulla mi sembrava più grande di questo: far tacere i propri sensi, raccogliersi in se stesso, parlare con se scesso e con Dio, condurre una vita che trascende le cose visibili, essere veramente uno specchio immacolato di Dio e divenirlo sempre più, aver già lasciato la terra pur stando in terra, crasportato in alto con lo spirito. Se qualcuno di voi partecipa a questa brama ardenTe può comprendere quello che dico (Gregorio Nazianzem) Senza il fondamento di una vita retta, la meditazione diventa una fuga e non ha nessun valore (Krishnamurti) Dio fa il dono della preghiera a colui che prega (Giovanni Climaco) 5
Nel cuore dell'esperienza religiosa L'esperienza che queste pagine raccolgono e ti propongono, è riassumibile in uno slogan: la preghiera si fa viva nella misura in cui la vita si fa preghiera. O, per servirci di un'espressione pregnante: è necessario vivere la preghiera e pregare la vita. La preghiera cui si fa riferimento è esclusivamente (non lo si dimentichi!) la meditazione. Sarà però nostra sollecitudine mostrare i molteplici rapporti che la legano agli altri modi di pregare e soprattutto alla liturgia, "culmine e fonte" " (lumen gentium, 10/16) di vita spirituale. Nell'affrontare quest'argomento, antico e sempre nuovo, siamo stati sorretti e costantemente accompagnati da alcune convinzioni di fondo: 1. Il cuore Esiste nell'uomo "un luogo dove la meditazione è già presente, in maniera misteriosa e reale" (J. Lafrance). Questo luogo è il cuore. A tali profondità interiori la comunione con la Sorgente e il Fondamento di ogni realtà è immediata e continua, poiché Dio "è installato nel cuore di ogni creatura" (Bbagavud Gita,10,20) e "Cristo abita per la fede nel cuore" dei credenti (Ef 3,17. Cf. 2 Cor 13,5). "Tu possiedi dentro ciò che cerchi fuori", ripeteremo con un autore medievale che commenta l'apparizione di Cristo risorto a Maria Maddalena. "Tu mi possiedi dentro di te e non lo sai e per questo cerchi fuori. Io allora mi mostrerò di fuori per ricondurti dentro di te, così che tu trovi all'interno ciò che cerchi all'esterno". 2. l'abisso chiama l'abisso o Soltanto l'uomo che torna al proprio cuore si ritrova nel cuore di Dio. Per questo "chi si prepara a scrutare le profondità di Dio, deve prima volgersi alle profondità del proprio spirito", dato che "inutilmente eleva lo sguardo interiore alla visione di Dio, chi non è capace di vedere se stesso" (Riccardo di San Vittore). Nella pratica della meditazione assume quindi un'importanza del tutto particolare e determinante lo studiare e il mettere in opera "la parte dell'uomo". 7
3. La preponderanza di Dio La parte di Dio, quella che Adrienne von Speyr, grande mistica contemporanea, chiama la "preponderanza di Dio", è più difficile da definire, ma non è meno certa, dal momento che "egli sta davanti alla porta del cuore e resta lì e aspetta ansiosamente... aspetta con più impazienza di te. Egli aspira a te mille volte più ardentemente di quanto tu aspiri a lui" (Eckhart). Quella di chi medita, anche se inconsapevolmente è sempre una risposta alle segrete mozioni divine, ai suoi appelli discreti, quando non è obbedienza alla sua sovrana irruzione nel cuore dell'uomo. 4. Due onnipotenze a confronto In questa sublime avventura d'amore che è il rapporto tra Creatore e creatura - rapporto che la meditazione adombra e pregusta le parti sono state così magistralmente fissate dalla mistica universale: "Dio è illimitato nel dare,l'anima è illimitata nel ricevere, e come Dio è onnipotente nell'operare, così l'anima è sconfinata nella sua capacità ricettiva" (Eckhart), capacità che la pratica della meditazione intende appunto sviluppare al massimo. L'amante esce da sé e si immerge nell'amato. Qui sta l'estasi d'amore. La preghiera profonda, nella sua più autentica natura, è estasi:l'estasi di Dio che si trasferisce nelle sue creature: "Io sono il. re che risiede nell'intimo di tutti gli esseri" (Bl"agavad ita,15,15), e l'estasi dell'uomo che vive nel cuore di Dio. 5. Estasi dell'amore Soltanto se si raggiunge l,Estasi d'amore davanti a Dio e in Dio, si sarà capaci di estasi, in atteggiamento ammirato e benevolo, verso se stessi e le cose, gli altri e la vita, il mondo e la storia. Infatti chi vive nel cuore di Dio vive nel cuore del mondo e comunica in profondità con tutti gli esseri, così che "quando un uomo medita, tutto il mondo medita, e per ciò stesso si trasforma" (Dogen). 6. Circoluritù Perché nel cuore dell'uomo pulsi il cuore di Dio, la vita fa appello alla meditazione e la meditazione fa appello alla vita. Come dire che i rami di una pianta fanno appello alle radici e le radici ai rami. Questa è la ragione per cui il libro che offriamo alla tua pratica è attento ai risvolti esistenziali dell'esperienza interiore e alla saldatura fra elevazione spirituale e condotta di vita.
UNA FUGA O UN'URGENZA? La meditazione conquista una sempre più larga cerchia di simpatizzanti e di praticanti. IL ritorno all'interiorità e la ricerca del silenzio, comunque si voglia giudicare quest'aspetto della nostra cultura, costituiscono ormai un fatto di una certa rilevanza. In Occidente si vanno diffondendo a macchia d'olio movimenti di ispirazione orientale, che in qualche modo si propongono di ridare unità alla vita lacerata dell'uomo e di riconciliarlo con sé e con il mondo. IL richiamo dello Yoga e dello Zen è sempre più vivo, mentre un fremito di orazione - è il caso di definirlo così - attraversa persone di ogni ceto e si direbbe di ogni fede, se è vero che è giunto il momento in cui "credenti o non credenti dobbiamo in qualche modo pregare" (E. Balducci). Le "scuole di preghiera" si estendono con rapidità e gruppi carismatici contagiano un numero crescente di uomini che vi trovano l'opportunità di ridare slancio alle assopite "ragioni del cuore,". Si sperimentano mille forme, stili e metodi per avanzare nell'esperienza di
Dio: le case di preghiera, le oasi, gli eremi, i deserti. Le tebaidi ricominciano nuovamente a popolarsi, non di eremiti, bensì di uomini che lottano nel mondo e per il mondo, e che vanno ad attingere forza, sostenendo senza battere ciglio lo sguardo di Dio. Sembrano aver fatto proprio l'invito di s. Serafino di Sarov: "Trova la pace interiore e il silenzio, e una moltitudine di uomini troverà salvezza in te". Di fronte alla "morte di Dio" e alla perdita di senso che ne costituisce la tragica conseguenza, ben lungi dall'essere una fuga, la meditazione rappresenta piuttosto un'urgenza non più dilazionabile. Diverse sono però le motivazioni che spingono verso la pratica meditativa. C'è chi medita per raggiungere il proprio sé profondo e trarne energie pacificatrici e operose. C'è chi medita per immergersi in una Totalità che tutto avvolge, 8 9
dove i contrasti si placano e si esalta la comunione cosmica e l'unità del tutto. C'è infine chi anela all'incontro con il Tu divino, incontro pieno di fascino ma non scevro di difficoltà e di mistero. Così ne parlano due mistici contemporanei: "La religione è per essenza... rapporto da persona a persona, con tutto il rischio, lo sgomento, la fiducia, la delizia e il tormento che essa comporta", scrive Jacques Maritain. E Itala Mela: IL contatto con Dio è dolce e tormentoso, desiderato e insostenibile e diventa l'ineffabile gaudio e insieme l'inesprimibile tormento dell'essere". Si può affermare che in ogni pratica meditativa si riflette la percezione che uno ha di sé, del mondo, di Dio, a conferma del principio formulato da Giovanni Climaco, un padre greco del vI-vil sec., che "la preghiera ti manifesta a te stesso". Dovrai dunque stabilire sin d'ora, dall'esame attento dei fatti oltre che delle intenzioni, se meditare è per te un raffinato processo di rifiuto della vita, di emarginazione dalla storia, di illusorio rapporto con il divino, o di un più incisivo e fruttuoso operare, secondo la nota affermazione di s. Basilio, celebre esponente del monachesimo orientale, secondo cui "chi prega ha le mani sul timone della storia".
COMPITO CHE è DONO Anche in ambito più strettamente cristiano, la meditazione è oggetto di crescente interesse. Giovanni Paolo IL faceva di recente notare che "la riscoperta dell'orazione mentale... è una grazia che arriva al momento opportuno per santificare la chiesa". E in altra circostanza aggiungeva: "Molta più gente di quanto si crede sarebbe capace di fare orazione mentale. Ma nessuno glielo ha insegnato... Ora, senza questa interiorità, i fedeli si sfiatano, la loro azione diventa cembalo sonoro, e pure la loro pratica religiosa, se esiste, si dissecca". Della meditazione cristiana diremo anzitutto che essa si pone, in modo inequivocabile, come strada all'incontro con Dio, sorgente e approdo di quel paradosso che chiamiamo uomo. Essa è quindi un'esperienza religiosa nel senso più pieno del termine. E ciò va detto, in riferimento a quanti praticano un tipo di meditazione che sembra avulso da un preciso e corretto contesto religioso. In secondo luogo, e di conseguenza, la meditazione cristiana fa riferimento a un insieme di esperienze da cui non potrebbe assolutamente prescindere. "Per raggiungere la contemplazione affermava s. Francesco di Sales - abbiamo bisogno ordinariamente di ascoltare la parola di Dio, di fare conversazioni e colloqui spirituali..., di leggere libri devoti, pregare, meditare, cantare lodi al Signore e formare buoni pensieri". L'aspetto cultuale della pratica religiosa (celebrazioni, sacramenti, ecc.) va integrato con la pratica meditativa, così da creare un rapporto armonico e fecondo. La meditazione non solo dice riferimento alla dimensione cultuale, ma anche a quella istituzionale della religione, cosa che molti "meditatori" dimenticano, quando non rifiutano. A chi medita nell'autenticità non manca di presentarsi o di ripresentarsi il problema dell'appartenenza religiosa, che è come dire della propria patria spirituale, se si vuole della propria chiesa, come luogo di crescita interiore dove è presente e operante lo stimolo, la guida, il sostegno - e se fosse necessaria la correzione - da parte della comunità. Ricordando un detto rabbinico che è preferibile essere idolatri, avere cioè un'appartenenza religiosa comunque sia, che vivere estranei a qualsivoglia contesto religioso, E. Lévinas, filosofo ebreo, si domanda "chi è l'uomo più perduto di un idolatra". "Io mi chiedo - risponde - se non sia colui che, fuori dei riti e delle leggi che sono la lettera, si crede "in spirito e verità" nella più intima intimità dell'Essere. Eccolo gettato negli abissi dell'interiorità senza sponde. Questa non ha mai
restituito quelli che riesce a sedurre", conclude amaramente. In terzo luogo l'esperienza meditativa è per il cristiano un incontro che si realizza sulla base di un'iniziativa e di un consenso. IL CREDENTE sa che fin dal primo sbocciare, il suo impegno è già consenso. Egli sperimenta sempre più intensamente che l'iniziativa divina non solo precede e suscita quella umana, ma anche l'accompagna e ne supera immensamente le esigenze e le attese. Né può essere diversamente, se pensiamo che in questo dialogo d'amore accanto a una struggente attrazione c'è una sproporzione infinita tra i due parteners: l'uomo e Dio, la creatura e il creatore, la goccia e l'oceano, il caduco e l'imperituro, il nulla - direbbero i mistici e il Tutto. IL credente non può non percepire soprattutto i gradi più eccelsi del processo meditativo, ossia la contemplazione, se non come frutto 10 11
di una grazia 1. Qualcosa che - è vero - non si raggiungerebbe mai senza un enorme lavoro, ma che da solo il Lavoro non basterebbe a conseguire. D'altra parte però, specialmente all'inizio del cammino meditativo, dono e compito sembrano bilanciarsi. Solo progredendo ci si accorge che lo stesso compito è dono e che lo stesso lavoro è grazia. Allora si comprende con estrema chiarezza che: la parte dell'uomo è tutta nel dissodare il terreno (Mt 13,18), nel preparare la strada (Mt 3,3 ), nel liberare il cuore (Mc 7,21-23 ), nell'aprire la porta (Ap 3,20). A questo punto, quel Dio che brama far ingresso in te mille volte più ardentemente" di quanto tu stesso desideri, entrerà e rimarrà con te e tu con lui nella festa eterna del convito sponsale. è significativo il fatto che tutti i mistici, che vivono nella gratuità del dono e nello stupore dell'inatteso la loro esperienza di incontro con il divino, si adoperino in ogni modo nell'additare agli uomini la loro esperienza e nel trasmettere i loro insegnamenti, allo scopo di invogliarli a imboccare risolutamente e con metodo la vía della contemplazione. Accanto a quello di grazia essi hanno introdotto il concetto di indu.striu citiamo per tutti s. Bonaventura - nel senso di industriosità, iniziativa, tecnica. Alle volte essi parlano Anche di arte e industria" e dicono che Dio dona "gratis sed non ingratis", ossia gratuitamente, ma non agli ingrati. La testimonianza di vita e la dottrina di quanti hanno arrischiato l'avventura dello spirito che chiamiamo meditazione, ci permettono di tracciare delle piste, di indicare dei sentieri, di suggerire dei mezzi che possono favorire l'incontro con Dio. Ma l'elemento risolutivo non può che essere l'amore. Solo l'amore suscita il desiderio di conoscere e di comunicare. Al punto che se nutri un grande amore, lascia pur perdere ogni ricerca relativa a modo, tempo, esercizio, metodo e mezzo, per aderire a Dio al di là di ogni mediazione" (F. La Combe). Siediti semplicemente ai piedi del tuo Signore e rimani in attesa... Ma se la grazia non sembra afferrarti e il tuo cuore è chiuso alla percezione di Dio, allora eccita il tuo desiderio... e impara a esercitare l'amore", poiché è lui che tu devi possedere, lui che cerchi, lui che desideri e intendi gustare, lui che vuoi ti tenga accanto a sé" (Lettera sul discernimento dell'anonimo autore della nuube della non-conoscenza). CHE SIGNIFICA MEDITARE Fra le pratiche devote giornaliere spontanee (si notino questi aggettivi che non sono pleonastici) bisogna che ce ne sia una più forte delle altre e capace di mettere nell'uomo un buon fondamento a tutto l'edificio spirituale. Tale sarà un'ora d'orazione mentale, fatta impreteribilmente ogni gíorno, e con i seguenti requisiti: 1 che sia un'ora intera; 2o che sia continzra; 3o che sia fatta senza libro, ma con la sola mente e con il cuore...". Quest'insegnamento non è a noi lontano, né nel tempo né nello spazío. è dovuto ad Antonio Rosmini, uno degli spiriti più illuminati del secolo scorso. E ciò nonostante dobbiamo dire che la pratica della meditazione non appartiene alla cultura dell'Occidente, che anzi ha conosciuto un lungo periodo di crisi. Il suo esercizio si è impoverito e i suoi adepti si sono oltremodo rarefatti. Quali le ragioni? Una di esse è sicuramente da ricercarsi nel pragmatismo, non è nell'esaltazione della ricerca empirica e nello sviluppo tecnologico che hanno accentuato il potere della ragione e dell'azione a scapito dell'interiorità e del silenzio. Dire meditazione significa oggi per molti trasferirsi spontaneamente in Oriente, dimentichi che Anche l'Occidente ha molto da insegnare in merito. D'altra parte non si può negare che l'incontro con l'Oriente ha portato a uno spostamento d'accento Anche all'interno della stessa tradizione cristiana, per cui: della meditazione r intesa come riflessione sull'uomo, il mondo, Dio, compiuta nella considerazione degli awenimenti della vita, nell'ascolto della propria coscienza o attraverso la penetrazione della Serittura (meditazione discorsiva), si passa o si torna sempre più úllu rnedituziorre intesa cozzze esercizio úi imrnersione nell'ir" profr"zdo, per cogliervi la presenza del divino in esso racehiusa, per mezzo del simultaneo concorso, opportunamente
disciplinato, del corpo, della psiche e dello spirito (meditazione esistenziale). Questi due modi di meditare tuttavia non si escludono, ma si richiamano a vicenda e si arricchiscono reciprocamente. Secondo una terminologia divenuta classica nella spiritualità dell'Occidente, per "orazione mentale" o meditazione in senso lato s'intende un triplice processo di tipo discorsívo-immaginativo, affettivo e contemplativo.
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Sulla scia di una lunga tradizione, che mutua termini e concetti dalla "lectio divina" o lettura orante della Bibbia praticata nei monasteri, Francesco La Cornbe, un mistico del sec. xvil definisce l'orazione mentale come una devota applicazione della mente in Dio, che si attua nell'intimo del cuore e comporta il silenzio delle labbra". Quanto ai suoi diversi momenti, egli li fissa in questi termini: 1. Meditazione "Meditativa è l'orazione con la quale, per mezzo di svariati e devoti pensieri,l'anima, discorrendo interiormente con intensa applicazione, cerca gli stimoli e scruta i motivi per cui possa salire a Dio"; 2. Orazione "Si dà orazione affettiva quando l'uomo parla con Dio con frequenti, spontanei e brevi impulsi d'affetto, e anela con amore infuocato e ardente desiderio all'unione con Dio, cioè al bacio della bocca divina. Per questo è giustamente chiamata aspirazione";
3.Contemplazione "L'orazione contemplativa è una semplice e spontanea intuizione di Dio e dei misteri divini, accompagnata da religiosa ammirazione. è, in altri termini, quel modo di pregare con cui la mente, lasciati da parte i molteplici e particolari atti con i quali prima cercava Dio e imposto il silenzio anche alle facoltà interiori, con semplice intuito aderisce a Dio solo e in lui si riposa e gode in tranquillità di spirito, come in uno stretto abbraccio di fede e di amore. Per questo ha ricevuto il nome specifico di contemplazione". I diversi gradi in cui si esprime l'orazione mentale vanno posti in scala: "Buona cosa è la meditazione, migliore l'aspirazione, ottima la contemplazione. In realtà la meditazione spezza il pane solido,l'orazione, ossia l'aspirazione, ne gusta il sapore, ma la contemplazione è la stessa dolcezza che rallegra e sazia". Tuttavia: "Nessuno deve dubitare che tutti questi modi di orazione, presi anche singolarmente, siano un mezzo sicuro e prezioso per raggiungere la perfezione cristiana. L'uso attuale che si fà della parola meditazione esprime concetti, con una chiara predilezione per il momento 14
esattamente
questi
contemplativo. Vi sono senza dubbio sfumature e accentuazioni diverse, ma vi sono anche grandi affinità tra ciò che una volta si chiamava orazione mentale e che oggi si preferisce chiamare semplicemente meditazione. D'altra parte, per aggirare l'ostacolo di una terminologia non sempre univoca, preferiamo parlare di preghiera profonda, sottolineando con questo il carattere eminentemente interiore della pratica meditativa. Essa si colloca negli strati più intimi della persona, raggiungibili solo nel silenzio e nella solitudine e si situa nel cuore dell'esperienza religiosa, costituendo nel contempo il fondamento di ogni altra sua manifestazione, sia di culto che di vita.
PERCHè MEDITARE Dobbiamo riconoscere alla meditazione, così come oggi viene proposta e praticata, una varietà di metodi e di finalità. Per molti la meditazione è un mezzo per immunizzarsi di fronte agli stress e al nervosismo della vita moderna. Per altri essa è via verso una maggiore conoscenza di se stessi e dei meccanismi della propria mente, così da non essere risucchiati nel vortice della quotidianità e attingere conseguentemente la vera saggezza. Per altri ancora è un momento di ricarica interiore che favorisce una migliore socializzazione e rende più pronti ad assumere le molteplici responsabilità della vita. Per altri, infine, è ricerca del senso ultimo e profondo dell'esistenza e strada che conduce alla piena realizzazione di sé nell'incontro con l'Assoluto. Riprendendo in sintesi questa pluralità di scopi, possiamo dire che meditare è vivere in comunione con: sestessi raggiungendo il nostro centro unificante, donde si sprigiona pace, gioia, verità, amore; con gli altri, dalle persone agli avvenimenti, da ogni essere senziente alle cose, avvertendo quest'insieme di realtà come parte integrante di noi stessi, da accogliere nel nostro amore per mezzo della benevolenza; con Dio, Radice e Approdo del nostro essere. Egli, al dire di s. 14 15
Agostino, è "più intimo del nostro intimo e superiore a quanto in noi vi è di più eccelso". è indubbio che ogni pratica meditativa si rifà, in modo implicito o esplicito, consapevole o inconsapevole, iniziale o perfetto, all'Assoluto. "C'è in qualche luogo all'interno dell'essere umano si legge in uno dei documenti della comunità monastica di Taizé un'accesa mai interrotta né persa. Essa è di Dio. Anche per chi non crede, questa attesa è là, implicitamente. Per il credente essa è speranza di ciò che non si vede. Essa è ancora, per il cristiano, attesa contemplativa di Gesù Cristo che ama, prega, riconcilia in noi. In questa attesa, a chi ascolta Dio di giorno come di notte, viene risposto: pace!". è in questo senso che G. La Pira, il monaco laico dei nostri tempi, ha potuto parlare di "vocazione strutturalmente contemplativa, orante e adorante dell'anima umana". è vero che molteplici tappe intermedie scandiscono l'itinerario dell'uomo verso l'incontro con il divino, e lo preparano a esso. Tappe che possono essere vissute anche senza un diretto richiamo a Dio, benché in realtà egli sia sempre presente e operi in tutti e per mezzo di tutto. Si tratta infatti di attendere allo sviluppo di quelle facoltà umane, il cui risveglio fa da supporto e da condizione per immergersi nel regno della trascendenza e per accoglierne la rivelazione. Già il senso di stupore che nasce dall'incontro consapevole con la vita costituisce un'esperienza di Dio e una coscienza di lui superiore a quella che si ha per via puramente speculativa. Chi poi sa dimorare nel cuore comunica con il Mistero e il frutto che raccoglie è riflesso del divino. il silenzio su Dio rivela intenzionalità diverse e talora opposte. Può sottolinearne l'ineffabilità e rieducarci all'incommensurabilità di un dato che ci trascende e chiede il silenzio adorante: "Beato chi ti adora tacendo" Jehudahah Ha-Lewy). Può nascondere il rifiuto di un "Dio" percepito in modo negativo, attraverso canali umani che lo hanno travisato caricandolo di mille ambiguità. Nel qual caso la meditazione aiuta a liberarsi da simili condizionamenti e conduce a scoprire o a intuire il volto genuino di Dio, riflesso nel più profondo del nostro essere e impresso in ogni creatura. C'è dunque da augurarsi che l'imbarazzo che molti manifestano verso "Dio", ricorrendo spesso a sinonimi (come il "Senso") si dilegui nella gioiosa esperienza di un Nome che ha fatto e fa vibrare di desiderio miliardi di uomini protesi verso la pienezza dell'esperienza divina. Tale silenzio, infine, può nascondere una concezione riduttiva della meditazione, come esperienza di un sé chiuso alla trascendenza, alle sue rivelazioni, alle sue incarnazioni e ai suoi appelli, o tutt'al più un sé aperto su un Assoluto di cui si fatica a cogliere l'intrinseca natura e l'effettivo ruolo nella storia dell'uomo. Aspetti, questi, che dimenticano il carattere d'incontro d'amore con il Tu divino proprio dell'esperienza contemplativa matura. Se infatti è vero che tutte le grandi religioni "tengono, per così dire, le loro braccia tese verso il cielo" e "portano in sé l'eco di millenni di ricerca di Dio", è altrettanto vero che Dio ha risposto e risponde agli appelli dell'uomo con una straordinaria molteplicità di manifestazioni. Attraverso Cristo, "la sua presenza vivente e la sua azione",l'incontro con "il mistero della paternità divina che si china sull'umanità" (Paolo VI, Evangeli nuntiandi,1974, 53), si attua con l'evidenza e la concretezza di un esemplare, supremo, definitivo gesto d'amore che culmina nella croce e nella risurrezione: "Ha amato me e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20), può ripetere ogni uomo con l'apostolo Paolo. Dobbiamo quindi concludere che non solo è impossibile praticare la meditazione senza una continua con-versione a Dio di tutta la vita, intendendo con ciò un cammino di reale trasformazione interiore, ma che la meditazione stessa aiuta ad accogliere le iniziative imprevedibili di Dio e le sue manifestazioni storicamente documentabili e universalmente diffuse. I cristiani affermano: là sua Incarnazione. Alla luce di questo evento reale e misterioso che porta il nome di Cristo,l'uomo che cerca Dio non può non interrogarsi su Dio che ricerca e incontra l'uomo. E se è vero che "Dio non lo ha mai visto (né mai quaggiù lo
vedrà) nessuno", è altrettanto vero che "il Figlio, che vive nell'intimità del Padre" e si è fatto Uomo tra gli uomini, "ce lo ha rivelato" (Gv 1,18), così che "chi vede lui, vede il Padre" (Gv 14,9). Non resta che augurarsi che a ogni uomo sia dischiusa la possibilità di accogliere la buona novella - che appunto di lieta notizia si tratta - di colui nel quale si è "manifestata la benevolenza e la filantropia di Dio nostro salvatore" (Ti 3,4). Con ciò l'incarnazione di Dio in Cristo e di Cristo nella chiesa, dove rivivono la sua parola e i suoi gesti di salvezza, rimarrà sempre 16 17
uno "scandalo" e una sfida, poiché manifestandosi nella storia, il divino necessariamente ne esce limitato, condizionato, non raramente travisato. E "beato chi non se ne... scandalizza", direbbe Gesù (Mt 11,6).
ALLA CONFLUENZA DI DUE UNIVERSI RELIGIOSI Nelle pagine che ti accingi a praticare troverai l'eco di insegnamenti antichi e recenti. provengono dalle fonti più disparate dell'oriente e dell'occidente e puoi cogliere l'universalità del linguaggio mistico e anche la peculiarità delle molteplici vie verso il regno della trascendenza. Una suora indù ebbe a dire a un padre benedettino: "il volto di Dio ha due lati, quello destro e quello sinistro. Noi in Oriente ne vediamo uno, voi in Occidente ne vedete l'altro. Entrambi vediamo la realtà, ma solo una parte! Unicamente insieme si può vedere il volto intero" di Dio". E Giovanni Paolo il invitava a respirare con tutti e due i polmoni, quello occidentale e quello orientale. Non si tratta di fare dell'esoterismo a buon mercato, ma del vero ecumenismo, memori dell'insegnamento paolino: "Sottoponete ogni cosa a discernimento, tenete ciò che è buono" (1 Ts 5,21). Già s. Ireneo, il fondatore del metodo teologico cristiano vissuto nel il sec., commentando l'evangelico "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27), notava: "Lo voglia rivelare non fu detto soltanto per il futuro, come se il Verbo abbia cominciato a rivelare il Padre quando nacque da Maria, ma vale in generale per tutti i tempi. Infatti fin da principio il Figlio, vicino alla creatura da lui plasmata, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre". Ogni uomo può insegnarci qualcosa su Dio e può aiutarci nell'intento di "cercare il suo volto" (Sal 27,8). Quello dell'esperienza mística è tra i più fecondi punti d'incontro dei grandi itinerari religiosi dell'umanità. il Segretariato per i non-cristiani, in un recente documento, affermava che in tal modo "uomini radicati nelle proprie tradizioni religiose possono condividere le loro esperienze di preghiera, di contemplazione,di fede", conseguendo "arricchimento vicendevole e cooperazione feconda nel promuovere e preservare i valori e gli ideali spirituali più alti dell'uomo"i. Se quindi ti sono familiari le voci dell'Occidente, godi del loro riecheggiare nell'Oriente; e se ti affascinano le voci dell'Oriente, riscopri sotto il loro influsso la profondità di quelle dell'Occidente e, alla luce della Rivelazione di Cristo, la loro radicale novità. La novità cristiana non risiede certo in una superiorità di intuizioni o di pratiche mistiche, come mostra eloquentemente la storia comparata delle religioni. Senza dire che quello di superiorità è un concetto concorrenziale che va bandito dal dialogo interrreligioso. E neppure la novità cristiana va per sé fatta consistere nel patrimonio di conoscenze su Dio che sono diffuse presso tutti i popoli e delle quali prendeva atto Ireneu quando parlava delle "molte economie))" o di pluralità di rivelazioni, sia pure dotate, aggiungiamo noi, di maggiore o minore pienezza. La novità sta invece nella "buona notizia" che il Dio cercato "come a tastoni" (At 17,27) e colto nelle molteplici tracce della sua presenza, si è "manifestato nella carne" (1 Tm 3,16) divenendo uomo fra gli uomini per offrirci nella croce e nella risurrezione di Cristo la prova sconvolgente del suo amore salvifico che accoglie tutti gli esseri viventi, a cominciare dagli ultimi. Con ciò stesso, ovviamente, le nostre conoscenze su Dio si chiariscono e si arricchiscono mirabilmente. Rettificate e purificate nei loro limiti e nei loro travisamenti, le vie di accesso al divino raggiungono la perfezione della verità e si traducono in pienezza d'amore. Non dobbiamo dimenticare che il movimento che lega l'uomo a Dio è duplice. A
volte prevale l'attitudine ricettiva,l'ascolto. Ci si consegna a Dio: continui egli con sovrana libertà l'opera iniziata con la creazione. Altre volte prevale la ricerca del suo volto, lo sforzo di penetrare nel suo mondo misterioso,l'anelito a gustare l'ebbrezza del suo spirito. è in primo piano la parte dell'uomo. Queste non sono caratteristiche esclusive dell'uno o dell'altro universo religioso, ma ritroviamo più frequentemente la prima in Occidente e la seconda in Oriente, come se la presenza della Rivelazione cristiana dispensasse l'uomo da una faticosa ricerca, mentre l'assenza della Rivelazione cristiana rendesse tale ricerca indispensabile e doverosa. Sarà in ogni caso opportuno notare sin d'ora, in una visione d'insieme, i più caratteristici punti di contatto tra mistica cristiana e mi 18 19
stica asiatica in rapporto alla meditazione, memori di quanto affermava T. Merton, il monaco americano morto in Oriente durante una missione ecumenica: "Le grandi tradizioni asiatiche, da un punto di vista naturale sono andate molto più in profondità delle nostre". Cui fa eco H.U. von Balthasar, teologo che unisce profondità a vastità di sapere, che scrive: "La meditazione orientale dispone di un numero superiore di conoscenze e di metodi tecnici rispetto a quella cristiana". Perché dunque non approfittarne? l. Il momento dell'ascesi Le discipline asiatiche (basti pensare all'ottuplice sentiero dello yoga fissato, a cavallo dell'era cristiana, dal celebre filosofo e mistico indiano Patanjali e di cui si dirà a suo tempo) pongono l'elevazione mistica dopo un rigoroso tirocinio che abbraccia tutte le dimensioni dell'uomo. Anche nella tradizione cristiana il momento ascetico chiede di essere integrato nell'itinerario contemplativo. Ugo di san Vittore, ad esempio, presenta uno schema di vita spirituale che ripercorre i gradini della "lezio divina", ma con una significativa aggiunta. Si parte dalla "lettura - così afferma - che offre materia per conoscere la verità". Si passa alla "meditazione che l'adatta" alla situazione personale dell'orante. Si giunge all'orazione che "la eleva" nel colloquio con Dio. Ed eccoci alla glossa di Ugo: ci si indugia nell'"azione che applica" alla vita la verità scritturistica. Infine si approda alla "contemplazione, che in essa esulta", trasformando il messaggio biblico in estasi d'amore. il segreto di questa pagina sta nel significato da attribuire al termine azione. Va infatti precisato che essa riguarda a un tempo me e gli altri. Nel primo caso si ha l'ascesi propriamente detta, nel secondo caso la missione. L'impegno di evangelizzare se stessi e di portare agli altri la buona novella del Regno in un'instancabile testimonianza d'amore, spiana la via alla contemplazione. L'impegno personale conferisce verità e efficacia a quello sociale. E quest'ultimo stimola incessantemente a perfezionarsi. Su queste basi l'anima, purificata interiormente e resa ardente nel crogiolo dell'amore, è in grado di vivere in pienezza la beatificante immersione nel mistero di Dio. Anche se quello ascetico precede logicamente il momento contemplativo, va detto che nella concreta esperienza del cammino spirituale generalmente è una sia pure confusa percezione del divino o una chiara irruzione di Dio nella nostra vita a indirizzarci con risolutezza sulla "via stretta" di cui parla il vangelo (Mt 7,14) o sulla "via ardua". Di essa è stato scritto: "Dobbiamo rinunciare all'ambizione di ottenere qualcosa in cambio del nostro dono. Ecco la via ardua" (Chilgyam Trungpa), la quale si trasforma in una "via aperta", quale è appunto la via dell'amore che in Dio raggiunge l'uomo e nell'uomo incontra Dio. 2. integrazione di tutte le dimensioni della persona L'estasi contemplativa (detta samadhi nello yoga e zanmai nello zen) è un'esperienza che postula l'integrazione della dimensione fisica, psichica e spirituale. Una visione di tipo intellettualistico dell'esperienza spirituale e della preghiera finisce con il lasciare in ombra tutta la sfera emotiva e corporea. Ne segue che l'orazione non si incarna, diciamo pure non si somatizza e non diventa uno stato d'animo. I Salmi sono un esempio eccellente di preghiera che afferra tutto l'essere umano, dal fremito che agita le nostre ossa (Sal 35,10) al grido che lacera le orecchie di Dio (Sal 39,13), dalla danza (Sal 149,3) all'applauso (Sal 95,1), dalle palme elevate al cielo (Sal 143,6) all'intera persona che si prostra nell'adorazione (Sal 29,2). Un antico codice conservato in Vaticano ci presenta i nove modi di pregare di s. Domenico, precisando che "vi è una maniera di pregare secondo la quale l'anima si serve delle membra del corpo per rivolgersi a Dio con maggiore fervore, in modo che l'anima che vivifica il corpo è, a sua volta, mossa da questo". Domenico ricorreva quindi "frequentemente" all'inchino profondo e prolungato, alla prostrazione, alla posizione genuflessa o eretta, a braccia elevate o
protese, con le mani via via giunte o aperte, congiunte verso il cielo o incrociate sul petto, ecc. E dicono i biografi che egli restava a lungo in simili atteggiamenti, rivivendo in termini occidentali l'immobilità degli asana yogici, o posizioni intese a realizzare l'armonia psico-somatica della persona e a dischiuderle orizzonti di interiorità. Non diversamente si esprime s. Ignazio di Loyola, che raccomanda: "Prima di entrare in preghiera, sedendo o passeggiando, come meglio si crederà",l'orante "faccia sostare un poco lo spirito e pensi dove va e a che fare". E ancora: "Sosterò in piedi per la durata di un Padre nostro, a uno o due passi dal luogo dove dovrò contemplare o meditare, con la mente rivolta in alto, fermandomi a pensare come Dio nostro Signore mi guarda, ecc.; poi farò un inchino o una riverenza". 20 21
Non è fuori luogo ricordare quanto afferma michaelle, che ha definito l'uomo un "pellegrino che danza": "La mistica ha bisogno di silenzio. Alla stessa stregua la preghiera gestuale assume pieno significato quando ci conduce a una vera contemplazione che va oltre a qualunque forma d'espressione". 3. Il respiro Secondo la concezione orientale il respiro è il ponte che unisce il corpo allo spirito ed è come la porta di accesso alla pratica meditativa, dopo il lavorio psico-fisico dei primi gradini dello yoga, tutti incentrati sull'ascesi e la disciplina corporea. La tradizione cristiana conosce in merito l'esicasmo, o preghiera di quiete (esichìa) ritmata sul respiro, peculiare delle chiese d'Oriente. Tale pratica ha singolari somiglianze con il pranayama che riguarda l'insieme delle tecniche respiratorie dello yoga. Certamente con minore approfondimento di metodo, Anche in Occidente si raccomanda la preghiera secondo il flusso del respiro, cui s. Ignazio dà il nome di orazione ritmata. Ed è nota la testimonianza di s. Maria Maddalena de' Pazzi, la mistica carmelitana, che avvertiva in se stessa il respiro della Trinità: il Padre che "aspira", il Figlio che "respira" e lo Spirito santo che "ispira". 4. La visualizzazione La pratica della visualizzazione riveste particolare importanza nelle scuole meditative dell'Oriente. Essa favorisce i processi mentali e opera efficacemente sui nostri centri psichici. Vi è tutta una metodologia, particolarmente attenta ai colori e al loro simbolismo. Ora, la visualizzazione è struttura portante della meditazione biblica così come si venne fissando nella tradizione francescana prima e poi in quella ignaziana. La famosa "composizione guardando il luogo" di cui parlano gli esercizzi del santo di Loyola comporta che, fissando la scena, ci si collochi in essa come uno dei protagonisti della vicenda rappresentata. Parallelo è il ruolo delle icone nella liturgia e nella pietà dell'Oriente cristiano. Esse esprimono attraverso i colori (che sono poi i medesimi che ritornano nelle visualizzazioni buddhiste) gli stessi messaggi che la Bibbia trasmette con le parole. l'per questo alle icone è riservata la medesima venerazione che in occidente accompagna, a esempio, il ss. Sacramento. Parola, Pane e Immagine sono altrettanti con cui si comunica a noi la forza dello Spirito.
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5. attenzione coscente Le discipline asiatiche perseguono quest'intento con rigore e impeccabile metodologia. Infatti una delle grandi tradizioni meditative, quella più originaria tra le molte proposte dal buddhismo, è la vipa.r.ranu (o visione penetrativa) che consiste nello sviluppare al massimo l'attenzione, ravvisando in tale attitudine, suscitata e conservata per lungo tempo e con opportune "tecniche", "il cuore dell'autentica prassi religiosa" (C. Pensa). L'esigenza della consapevolezza contraddistingue Anche la tradizione giudaico-cristiana. Nelle Berakhot o benedizioni ebraiche si raccomanda di accompagnare la recita dello shema con kawwanab ossia con grande concentrazione, e ciò prolungando la parola ehad finché quello che recita lo shema abbia riconosciuto il Regno di Dio nei cieli, in terra e nei quattro angoli del mondo. Non si manchi di notare che ehad è la parola finale della formula che suona: "Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è l'unico" (Dt 6,4) e con la quale inizia la preghiera degli ebrei. E come non ricordare a questo punto l'autore della Nube della non-conoscenza, con il suo "cerca di avere coscienza, invece di conoscenza"? O Battista da Crema, un mistico del xv xvI sec. che scrive: "L'orazione vera e perfetta comincia con grande attenzione, ma finisce con attentissima oblivione" (ossia totale dimenticanza di sé e assorbimento in Dio)? Oppure Simone Weil, appassionata ricercatrice religiosa, che afferma: "La qualità dell'attenzione è strettamente collegata con la qualità della preghiera... L'attenzione è l'essenza della preghiera"? Esichio di Batos, monaco vissuto tra il vI e vil sec., ha fissato in questi
termini il rapporto fra attenzione e preghiera: "L'attenzione favorisce la preghiera continua (che è poi la preghiera del cuore) e a sua volta la preghiera favorisce la vigilanza e l'attenzione". Non diversamente si esprime Evagrio Pontico, uno dei grandi maestri di preghiera (sec. Iv): "L'attenzione che cerca la preghiera troverà la preghiera; la preghiera infatti, se altro mai, tiene dietro all'attenzione, la quale deve darsi da fare".
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6. il vuoto mentale Lo yoga si presenta come cessazione dell'attività mentale e anche lo zen postula il silenzio o vuoto della mente, da raggiungere direttamente o attraverso formule atte a bloccare i processi discorsivi immaginativi. Passando in Occidente, si può osservare, come meglio preciseremo a suo luogo, che nei Salmi è ricorrente l'invito al silenzio quale condizione preliminare all'incontro con Dio. San Giovanni della Croce sostiene che "senza la pratica del vuoto non è possibile la fruizione amorosa di Dio", così che non è mancato chi affermasse: "La tua parola mi aiuta a capirti, ma solo il silenzio mi conduce ad amarti". Aveva ragione A. de St. Exupéry nel definire la preghiera "esercizio del silenzio", mentre noi per assicurarci un minimo di concentrazione nella preghiera sovrapponiamo all'incessante chiacchiericcio interiore pensieri e immagini che ci dànno l'illusione di comunicare con Dio. Poi ci accorgiamo che il pensiero profondo, laterale o inespresso che dir si voglia, continua a filare concetti, fantasmi e sentimenti che l'orazione non riesce a scalfire. 7. giaculatoria o mantra? La pratica meditativa dell'oriente fa ampio riferimento al mantra come formula che protegge la mente dal chiacchiericcio mentale. Questo è il senso del termine. Se però ne cerchiamo una definizione discorsiva, esso si avvicina sorprendentemente al nostro di giaculatoria, dove è posta in evidenza la tensione dell'anima verso Dio. Le upanisciad affermano che "la sillaba OM - il mantra per eccellenza - è l'arco:l'Atman è la freccia e il Brahman è il bersaglio" Munduka Up., 2,2,4). In forma più semplice e occidentalizzata: "L'invocazione del nome è l'arco,l'anima la freccia e Dio il bersaglio". Superfluo indugiarsi sull'importanza crescente che riveste anche in ambiente cristiano la preghiera del Nome, che siamo invitati a personalizzare al massimo, facendolo passare dalle labbra, alla mente e al cuore, che sono i tre grandi centri psichici su cui spesso tracciamo un segno di benedizione nella nostra pratica religiosa. 8. L'ineffabilità L'ineffabilità del divino come può tradursi in preghiera? L'Oriente si fregia in merito di una tradizione antichissima e illustre, quella della OM, che in sanscrito si scrive (figura del simbolo om) (simbolo purtroppo usurpato dalla tossicodipendenza). La OM comporta tutta una "tecnica" non solo di recitazione o di canto, ma soprattutto di integrazione psico-fisico-spirituale. Appunto perché sospiro interiore, esclamazione estatica, ci si domanda se la OM possa essere inculturata nella nostra prassi di orazione. In tal senso si pronunciano a esempio H. Le Saux, lo swami Abhishiktananda, o K. Tilmann. In ogni caso già s. Paolo conosceva i "gemiti inesprimibili" della preghiera carismatica (cf. Rm 8,26) e certe melodie gregoriane, che accompagnano soprattutto il canto dell'amen, nonché il canto inarticolato oggi molto diffuso, ci offrono un interessante equivalente della OM. 9. trasferimento della preghiera nei dinamismi vitali Un ultimo aspetto che contraddistingue la pratica meditativa orientale è l'intento di trasferire l'esperienza mistica nei centri propulsori della vita, detti chakra. La meditazione disocculta delle energie psichiche, le eleva, le distribuisce attraverso l'organismo conducendolo a un alto grado di integrazione, di benessere, di beatificante trasfigurazione. Quest'aspetto è poco sviluppato in Occidente, anche se sono noti alcuni grandi centri psichici come la fronte (dove gli antichi Padri collocavano "l'occhio della contemplazione") o il cuore. è d'altra parte presente, nella Bibbia come nella spiritualità cristiana, la preghiera di guarigione, intesa a cogliere le risonanze psicofisiche dell'orazione: "La preghiera fatta con fede salverà il malato" (Ce 5,15).
RICERCA DEL METODO
Appunto perché la meditazione fa così vistosamente appello all'"industria" dell'uomo, quest'insieme di sollecitazioni chiede di articolarsi in un metodo. E siccome meditare è un processo legato alla vita e ai suoi tempi di sviluppo, dobbiamo dire che la meditazione si costruisce meditando. Le pagine che seguono sono infatti frutto di una lunga pratica e di una larga applicazione. Le disponiamo secondo un ordine logico, che non necessariamente risponde a quello rea 24 25
le, anche Perché in tutti i processi spirituali gioca quell'imponderabile che noi chiamiamo Spirito santo. Fissiamo quindi in alcuni punti i capisaldi della pratica meditativa come li verremo esponendo nel testo: I. L'uomo nascosto nel cuore La meditazione chiede un protagonista, e questi non è altro che "l'uomo nascosto nel cuore" (1 Pt 3,4). Occorrerà quindi lasciare l'uomo esteriore, per immergerci in quello interiore, secondo il ripetuto invito di s. Paolo (Rm 7,22; 2 Cor 4,16; Ef 3,16). 2. Uno stato di quiete... Si tratta della condizione preliminare e indispensabile perché si dispieghi in pienezza l'azione dello spirito. La quiete implica l'integrazione della corporeità e il raggiungimento di uno stato simile al sonno che placa le membra e esalta le nostre funzioni superiori. 3.... e di consapevolezza All'uomo in preghiera è chiesta un'attitudine cosciente e vigilante, poiché si tratta di cogliere segrete sintonie con il proprio mondo interiore e quindi con il mondo di Dio. 4. Purificazione Ciò è possibile, al dire di s. Agostino, "purgatissimis mentibus", con una mente del tutto purificata da pensieri e stati d'animo che interferiscono negativamente nel nostro intento. Potrà sembrare ai principianti che l'indugiarsi su questi preliminari rimandi indebitamente l'atteso appuntamento con Dio. Ma non è così. Come quando ci accingiamo a compiere un viaggio è buona cosa accendere prima il motore lasciandolo un poco in folle perché si carburi opportunamente. E nessuna guardarobiera si mette a stirare fin che il ferro non è caldo. Ma è altrettanto vero che questo non è che il vestibolo dell'orazione. Ora siamo invitati a immergerci in essa, suscitando ulteriori disposizioni interne. 5. Presenza La prima consiste nel renderci consapevoli di una duplice presenza: di Dio a me e di me a Dio. "Non pretendere altro nell'orazione, afferma s. Francesco di Sales, che di stare alla presenza di Dio". Inutile procedere nell'orazione senza quest'attitudine, che possiamo suscitare in molti modi: consapevolezza dell'inabitazione di Dio in noi, della sua presenza nell'Eucaristia custodita nel tabernacolo o attraverso un'immagine sacra (crocifisso, icona), della sua voce che risuona per mezzo delle Scritture, per non parlare del grande tempio del divino che è il creato. 6. Silenzio Perché l'incontro con di tutto il nostro perfetto (il Padre), Beatitudineeterna (lo
Dio avvenga nelle profondità è indispensabile il silenzio essere. Solo così potremo scoprire il volto dell'Essere che vive nella Consapevolezza assoluta (il Verbo) di una Spirito santo).
7. la "parola sostanziale" La meditazione può proseguire nell'approfondimento di tali atteggiamenti interiori, sempre più vibranti di anelito amoroso verso Dio, o può anche sviluppare opportuni itinerari che scandaglino il mistero che ci sovrasta o penetrino nelle profondità del cuore e della vita. Ma dovrà pur sempre concludersi fissando a lungo e radicando nell'animo una "parola" carica di energie pacificanti e rigeneratrici. "Parola sostanziale", la definiremo con s. Giovanni della Croce, destinata ad accompagnarci nella vita e a conservarci in un vero stato di orazione, che è poi la preghiera continua raccomandataci da Cristo (Lc 18,1). Da questo schema prendono le mosse le pagine che seguono. Nell'accingerti a praticarle non dimenticare che "il desiderio di una vita nella verità comincia sempre con il desiderio di pregare" (Eufrasia di Dealu), ma che "alla sera della vita saremo giudicati sull'amore" (Giovanni della Croce).
PER LA PREGHIERA..
Tuffati nel profondo La perla di gran valore è nascosta profondamente. Come un pescatore di perle, o anima mia, tuffati, 26 27
tuffaci nel profondo, tuffati ancora più giù, e cerca! Forse non troverai nulla la prima volta. Come un pescatore di perle, o anima mia, senza stancarti, persisti e ancora. Tuffaci nel profondo, sempre più giù, e cerca! Quelli che non sanno il segreto, si burleranno di te, rattristato. Ma non perdere coraggio, pescatore di perle, o anima mia!
e
tu
persisti
ne
sarai
La perla di gran valore è proprio là nascosta, nascosta proprio in fondo. è la tua fede che ti aiuterà a trovare il tesoro ed è essa che permetterà quello che era nascosto sia infine rivelato. Tuffati nel profondo, tuffati ancora più giù, come un pescatore di anima mia. E cerca, cerca senza stancarti.
perle,
che
o
(Swami Paramananda)
Swami Siddhesvarananda, che ha attentamente studiato il rapporto tra mistica asiatica e mistica cristiana, con particolare riferimento a Giovanni della Croce, da lui considerato il Patanjali dell'Occidente", osserva a proposito della grazia: Talvolta si sente dire che gli Indù considerano lo stato di unione con Dio come un semplice effetto della volontà ottenuto quasi automaticamente in virtù di quella specie di ginnastica chiamata yoga. Ciò è un grave errore. il metodo yoga è solo un mezzo purificatore... è indubbio che nessun meccanismo mentale, per quando perfezionato, può raggiungere Dio. Come potrebbe l'illimitato al di là dei sensi, il senza misura, entrare nel quadro limitato dei nostri apparati di apprendimento? Nessuno di questi strumenti psichici... può in se stesso essere apportatore del messaggio divino. Come voi, noi diciamo che solo la grazia di Dio ci permette di conoscerlo. Le facoltà mentali non intervengono; è proprio quando esse sono in uno stato di riposo che la Verità viene loro rivelata" (Pensiero indiano e mistica carmelitana, Roma Ij77, p. 22). Z F. LA Combe, Mediture, Ancora, Milano 1983, pp. 71-73. i la chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni,1984, 35 28
2. L'uomo nascosto nel cuore Fa, che il mio uomo interiore sia bello e che tutte le cose esterne che ho siano amiche di quelle interne (Placone) Tu eri dentro di me e io ti cercavo fuori (Agostino) La meditazione esige la più alta forma di disciplina, che passa attraverso la costance consapevolezza delle cose fuori di ce e delle cose dentro di te (Krishnamurci)
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LA RIVELAZIONE NEL SILENZIO Ogni pratica meditativa, quale che sia la forma che verrà assumendo o lo scopo che si prefigge, si costruisce sulla base del silenzio. La meditazione è nel contempo uno stato di totale silenzio e la via che conduce a esso. il frutto e l'esercizio sono un tu'uno, come le radici e le foglie di una pianta che ne rinnovano la linfa e sono a loro volta nutrite da essa. Quando il silenzio ti avvolge da ogni parte, allora sei in medicazione; e mentre ti alleni a raggiungere questo traguardo, la meditazione ti avvolge come l'ombra in una calda giornata d'estate. Apriamo dunque questo capitolo con un invito a raggiungere il silenzio. In seguito cercheremo di penetrare il senso di questa pratica iniziale. La durata dell'esercizio non oltrepassa i 10-15 minuti. Lo scopo che ci prefiggiamo è triplice: realizzare un primo incontro con il silenzio, realtà che ci accompagnerà costantemente in seguito attraverso tutte le riflessioni e le pratiche suggerite in questo libro; - prendere coscienza delle nostre reali attitudini al silenzio: accoglienza, affinità, rifiuto, resistenza, difficoltà... - esporci alle prime "rivelazioni" del silenzio.
Esercizio Assumete una posizione comoda. Rimanete fissi in essa per tutta la durata dell'esercizio. Chiudete gli occhi. Conservate il silenzio per un periodo di dieci minuti. Cercate di raggiungere il silenzio più totale della mente e del cuore. Raggiuntolo, esponete voi stessi a qualunque rivelazione esso apporterà. L'esperienza di coloro che tentano questo esercizio è infinitamente varia. Molti scoprono che il silenzio è qualcosa a cui non erano assolutamente abituati. Qualunque cosa facciano, non riescono ad arrestare il divagare continuo della loro mente. Altri percepiscono il loro avvicinarsi alle frontiere del silenzio ma poi, presi dal panico, si ritirano. Altri si annoiano o s'innervosiscono. Ciò che provate e di cui diventate coscienti, non costituisce già una rivelazione? Rimanete calmi e distesi. Mentre fate l'esercizio prendete nota di quanto avviene in voi. Non cercate cose eccezionali. Limitatevi a osservare. Tutta la rivelazione può consistere nel fatto che le vostre mani sono sudate o che avete urgenza di cambiare posizione o che siete preoccupati della vostra salute... Non importa. Ciò che conta è che diventate consapevoli di quanto avviene in voi. 31
L'UOMO A DUE DIMENSIONI I tempi in cui Rousseau, imbevuto di spirito illuministico, poteva considerare "contro natura lo stato di meditazione" e ritenere "l'uomo che medita un animale depravato", sono decisamente lontani da noi. Anzi i nostri sono semmai i tempi in cui esplode la denuncia nei confronti dell'uomo a una dimensione, il quale, preso nel vortice del visibile e dell'immediato, vive come un essere alienato, estraneo a se stesso, in conflitto con gli altri e minacciato da enormi o sottili forze distruttrici che si accumulano nel cosmo non meno di quanto insidino il mondo interiore. La fede nei valori della ragione e dell'azione ha permesso all'uomo di fare dei grandi, innegabili passi sulla via del progresso in tutti i campi. Costituirebbe un insulto alla verità e una sicura involuzione misconoscere i frutti che ci sono derivati da questo esigente e severo servizio di ricerca e di impegno. E tuttavia si avverte oggi più che mai l'esigenza di un'ulteriore pienezza che ci porti a riscoprire valori dimenticati o almeno trascurati, quelli appunto dell'interiorità. La vita dell'uomo è come la risultante di due coordinate. In base alla prima,l'uomo è irresistibilmente spinto a vivere al di fuori di sé. Cerca il rapporto sociale, si esprime nel lavoro con cui trasforma le cose, si diverte, si immerge negli avvenimenti: vuole conoscerli ed esserne partecipe. la seconda coordinata sollecita l'uomo a vivere dentro di sé. Lo richiama alle segrete abitazioni interiori, gli rende gioiosa la compagnia dei propri pensieri, lo riconduce alla scaturigine dei propri sentimenti. Il primo è un uomo che vive in superfice. In lui prevale la mente, con i suoi processi discorsivi: pensare, progettare, puntare sul calcolo, la rapidità, l'efficienza. è tirato da cento parti (distratto) e conduce una vita dispersiva, che si frantuma in infinite sfaccettature come un caleidoscopio. In nulla può dire di trovare veramente se stesso. Il secondo è un uomo che vive in profondità. In lui prevale il cuore, con i suoi processi intuitivi. Egli ha raggiunto il proprio centro interiore e conduce un'esistenza unificata. Non si allontana da se quando esce dal proprio mondo interiore per immergersi nella vita, per incontrare l'altro. In ogni avvenimento è presente con tutto se stesso e in ogni avvenimento trova compiutamente se stesso. Chi vive in profondità, vive anche con intensità. Pensare, di conseguenza, apparirà cosa molto lontana e imperfetta rispetto a sentire. Fare si rivelerà attitudine incompleta e inappagante rispetto a essere. L'uomo la cui esistenza descrive una curva nella quale la spinta all'esterno si armonizza con quella all'interno, sa che "la vita interiore è la sorgente delle sue relazioni esteriori" p. Ricoeur). Non sarà, infine, superfluo notare che le espressioni vita in superficiale o estroversa e vita in profondità o introversa indicano sì due distinte attitudini umane, che però interferiscono reciprocamente nell'esistenza concreta condizionandosi a vicenda. La concreta esistenza umana si pone dunque alla confluenza di queste due coordinate che hanno la loro origine nell'unico Creatore dell'uomo.
L'INCONTRO è NELL'INTERIORIZZA il sapiente dosaggio tra vita estroversa e vita introversa determina anzitutto la qualità stessa della nostra esistenza. Per questo molti praticano oggi la meditazione anche indipendentemente da qualsiasi finalità religiosa. Ma l'equilibrio tra vita estroversa e vita introversa ha un ruolo importante anche per quanto concerne il nostro rapporto con Dio e l'esperienza che facciamo di lui.
Infatti, se il segmento che riproduce la curva della vita si trova alla confluenza delle due coordinate dell'estro-versione e dell'intro-versione, allora anche l'esperienza religiosa beneficierà di questo stato di equilibrio e di pienezza esistenziale. Sperimenteremo Dio contemporaneamente come "altro" da noi e "dentro" di noi. L'uomo che vive in superficie, invece, si limita ad avvertire Dio come una realtà esterna a se, quando non del tutto estranea. Dio può allora restargli nascosto o addirittura esser negato. Soprattutto, non segna la vita. A parole è proclamato "onnipotente", ma di fatto è impotente a trasformarci in creature nuove. Diciamo allora che "Dio non l'ha mai visto nessuno" (Gv 1,18) e che non è possibile pensare (sempre) a lui. Dovremmo dire con più esattezza, che non siamo capaci di sentirlo. 32 33
Non ne abbiamo la percezione nascosta e il gusto interiore. Egli dimora in noi "solo e segreto" (Giovanni della Croce) e non conosciamo la porta che ci introduce all'incontro con lui. Ne abbiamo perduto la chiave. "Trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno" (Giovanni Crisostomo). Le realtà che ci circondano (persone, avvenimenti, cose) sono opache e non irradiano la sua presenza, né trasmettono i suoi messaggi. Possiamo parlare di Dio, ma ci riesce difficile o addirittura impossibile parlare a lui. Possiamo pregarlo, ma la preghiera risulterà superficiale come la vita che conduciamo. A stento passerà dalle labbra alla mente, ma non raggiungerà il cuore. Dio rimarrà il "dio" dei "momenti di preghiera", di cui facciamo un'esperienza assai epidermica. A parole diciamo di amarlo "con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze", ma fondamentalmente rimane il "dio" asservito ai nostri fini utilitaristici. L'uomo che si limita a vivere in superficie è quindi incapace di attingere al centro più profondo di se stesso e di conseguenza non scoprirà mai il "centro del centro" che è Dio. D'altra parte, soltanto dal di dentro, dal centro, dal cuore dell'uomo scaturisce la risposta ai grandi interrogativi: chi sono io? perché mi trovo in questo mondo? qual è il valore delle realtà e delle conquiste umane? qual è il significato del male, del dolore, della morte? che cosa ci sarà dopo questa vita? esiste Dio? chi è? Solo specchiandosi nel suo centro, reso ovviamente terso da un costante lavoro su di sé,l'uomo conosce pienamente sestesso e può porsi al timone della propria vita, dal momento che è stato lasciato "in mano al suo consiglio" (Sir 15,14).
34 TORNARE AL CUORE Sulla scorta della Prima lettera di Pietro, chiameremo il mondo interiore dell'uomo con il nome di cuore. "il vostro ornamentoegli dice - non sia quello esteriore...; cercate piuttosto di adornare l'uomo nascosto nel cuore" (1 Pt 3,3-4). Molte altre sono le espressioni di cui ci si potrebbe servire. I mistici cristiani in genere parlano di anima, o anche di fondo, apice dell'anima. Altri si rifanno ai termini spirito o centro. In Oriente si parla preferibilmente di sé interiore o profondo o di mente mistica, superiore. Nessun termine risulta perfettamente adeguato ad abbracciare la complessità dell'esperienza umana, con i suoi elementi conoscitivi (mente), volitivi e affettivi (cuore) e sovrasensibili (sé, spirito, centro). In realtà l'uomo interiore, quale che sia il termine che intenda definirlo, non è altro da noi stessi, quando viviamo in uno stato di consapevolezza che rivela tutta la complessità del nostro essere. Si parla di piena realizzazione o di santità appunto quando, attraverso la totale e amorosa disponibilità all'azione salvifica di Dio e tutt'un insieme, in parte spontaneo e in parte acquisito, di pratiche di introspezione meditativa e di autodisciplina, emerge e si impone stabilmente alla coscienza la dimensione suprema e ultima dell'esistenza umana. Essa consiste nell'intima "partecipazione dell'uomo alla natura divina" (2 Pt 1,4), che spinse Cristo ad affermare, sulla scorta del Salmo 82,6: "Voi siete tutti dèi" (Gv 10,34). "Siamo infatti di stirpe divina", ripeterà il libro degli Atti 17,29. E tutti i mistici con unanime intuizione si rivolgeranno a Dio dicendo: "Tu non sei altro da me" (Lettera di direzione spirituale, dell'autore del La nube della non-conoscenza). Né diversa è l'intuizione dell'Oriente, quando ricorda all'uomo, colto nella sua relazione con Dio: "Tu sei Quello".
Sì che al Signore, che lo accoglie presso di sé e gli domanda: sei?",l'uomo può in tutta verità rispondere: "Io sono ciò che sei tu
"Chi
2 (Kaushitaki Up.,1,6). Va infine precisato che con il termine cuore non si intende la sorgente fisica o psichica dell'esistenza umana, quanto piuttosto ci si riferisce alla scaturigine profonda della persona che si trova in immediato, perenne contatto con la Vita.
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RIENTRARE IN Se PER INCONTRARE GLI ALTRI Conoscendo pienamente se stesso,l'uomo conosce ogni altra cosa, capace come è di penetrare nel cuore di ogni creatura e di insediarsi alla sorgente della vita. Solo a queste profondità si radicano le autentiche di vita, destinate a caratterizzare un'esistenza pienamente umana. Nel costante ritorno al centro,l'uomo attua la propria conversione a una vita che irradia "il germe divino che è in lui" (1 Gv 3,9). La conversione che matura nell'interiorità influisce infallibilmente sulla nostra vita, Perché la libera dall'inautenticità, dalle sovrastrutture dell'ego ripiegato su se stesso o ambiziosamente proiettato all'esterno, e ci affranca dai condizionamenti ambientali che ci schiacciano in un piatto conformismo. Ritrovando "l'uomo nascosto nel cuore", come affermano le scritture cristiane, o penetrando nella "grotta del cuore" come amano esprimersi quelle indiane, è possibile scoprire che l'uomo è "il corpo di Dio", la casa in cui egli abita stabilmente, il tempio nel quale riecheggia, come una lode perenne, il canto dello Spirito. Quella del cuore è la via obbligata per raggiungere la Sorgente, la Radice, la Pienezza dell'Essere. Un Essere che vive in noi e si dona a noi. La via del cuore è la via del silenzio e delIa disponibilità, del totale disarmo e della rinuncia a ogni pretesa, della presenza gratuita all'Altro: Dio. A volte l'uomo ama a tal punto considerarsi immedesimato con lui, da bruciare ogni distinzione: "Tu non sei altro da me". Altre volte rivendica la radicale distinzione da Dio, che rende possibile l'unione sponsale tra creatore e creatura: "Fammi gustare la gioia dell'amore scrive il mistico indiano Tukaram -, lasciandomi distinto da te". A queste vette dell'esperienza spirituale giunge unicamente l'uomo capace di stabilirsi nelle segrete abitazioni di un cuore purificato. "lnvano il cuore s'innalza a vedere Dio, se non è ancora in grado di vedere se stesso. L'uomo impari a conoscere le cose visibili di se stesso, prima di poter presumere di apprendere le cose invisibili di Dio. Si abitui a dimorare nella sua intimità, colui che anela alla contemplazione delle realtà supreme. Chi si prepara a scrutare la profondità di Dio, si volga prima alle profondità del proprio spirito" (Riccardo di S. Vittore). A ragione scrivono i mistici che "tanto si ascende, quanto si discende" (Battista da Crema). O Anche: "La via di andare in su è quella di andare in giù" (beato Egidio).
A. 36
DE mELLo, Sàdhana. Un cammino verso Dio, EP, Milano 1991, pp. 15-lR, passim
3. L'a-b-c della pratica meditativa
La meditazione ci può dare intuizioni straordinarie... Entri nel silenzio. Procedi coscentemente. Acquisti consapevolezza del sincero: come spostarsi dal mondo esteriore delle cose utili, all'inutilità del mondo interiore. E all'improvviso tutto diventa silente; e all'improvviso tutto è calmo; e all'improvviso ti trovi alla sorgente della vita. La meditazione è come una morte, la morte dell'ego. Rajneesh )
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A SERVIZIO DELLA VITA A partire dal presente capitolo, la nostra attenzione si sposterà sempre più dal discorso generico sulla meditazione all'atto specifico del meditare. Riprendiamo e approfondiamo alcune osservazioni. La pratica meditativa fa anzitutto riferimento alla spazio che ciascuno riserva all'interno della propria giornata, per vivere in silenzio la presenza a se stesso, alla realtà che lo circonda, a Dio. Tale spazio comporta esercizi e pratiche diverse e progressive, che costituiscono dei mezzi a servizio della crescita interiore e della trasformazione della vita. Qui sta il fine ultimo della meditazione. Gesù ci esorta a una preghiera compiuta in spirito e verità. "I veri adoratori del Padre egli dice - lo adorano in spirito e verità" (Gv 4,24). Con questa affermazione relativizza tutte le forme di orazione, per quanto profonde e intense, in favore di una vita che celebra l'amore del Padre e dei fratelli in ogni espressione, gesto, impegno e incontro che accompagnano l'uomo lungo lo svolgersi della sua esistenza. è più importante diventare preghiera, conservando viva in noi la memoria di Dio in tutte le occupazioni, che non vivere momenti, per quanto esaltanti e illuminanti, di preghiera avulsa dal fluire della vita. Si deve dire la medesima cosa riguardo ai tempi di meditazione. Per quanto siano vissuti con convinzione e con intimo appagamento, il loro segreto sta nel servizio reso a una vita che si rinnova "in spirito e verità". Con questo non s'intende sminuire l'importanza della pratica meditativa propriamente detta. Essa è anzi indispensabile, soprattutto oggi, per dare respiro ai più profondi aneliti del cuore e all'inestinguibile sete del Dio vivente.
UN DUPLICE MOVIMENTO Precisato quanto sopra, si deve riconoscere che la meditazione è un esercizio complesso, in cui si fondano attitudini apparentemente opposte. Per certi aspetti essa ci impegna a lavorare su noi stessi, trapas 41
sando con la spada di un'acuta consapevolezza gli strati costitutivi della nostra persona: corpo, psiche e spirito, che vengono di conseguenza sottoposti a una vigorosa disciplina. In tal modo "l'uomo va oltre se stesso, passando attraverso di sé" (Riccardo di S. Vittore). Per altri aspetti la meditazione consiste nel lasciar emergere le strutture portanti della nostra persona e nel lasciar venire alla piena consapevolezza gli stati d'animo nascosti. Attraverso di essa, fasci di luce beatificante si irradiano dal centro del proprio essere e disoccultano i profondi recessi della coscienza, altrimenti impenetrabili. Questa esperienza "accade da sé, come il sonno, che non è nelle nostre mani ma ci è dato come un regalo" (K. Tilmann). Nella meditazione, quindi, impegno e ricettività, compito e dono, lavoro e grazia sono gli aspetti inscindibili come il giorno e la notte o l'alternarsi delle stagioni. Impegno, compito, lavoro sono termini che chiamano in causa l'uomo. Ricettività, dono, grazia sono termini che fanno appello a un intervento superiore. Questo ci spiega come, da un lato, molti esercitano la meditazione senza uno specifico riferimento religioso; mentre dall'altro la riflessione che l'uomo compie su se stesso costituisce di sua natura anche un approccio al divino che abita in lui e a lui si rivela e si dona. Per chi intende sviluppare la propria attitudine alla meditazione in un contesto religioso, è comunque importante non sottovalutare la dimensione umana che fa da supporto a ogni autentica ricerca di Dio e del senso della vita. è assurdo pretendere di instaurare un rapporto vitale con il mondo di Dio, se si trascura il mondo dell'uomo, che costituisce il terreno abituale della nostra esperienza e è come lo scrigno del divino.
SETTE REGOLE PER MEDITARE Siccome la formazione alla meditazione avviene meditando, intendiamo ora offrire gli elementi base o di cornice di ogni pratica meditativa. Sarà in tal modo possibile praticare opportunamente gli esercizi che svilupperemo nei capitoli seguenti. Anche se in molti punti anticiperemo aspetti destinati a essere ripresi in seguito, una visione d'insieme favorirà chi ha già consuetudine con la meditazione e orienterà chi si trova alle prime armi. Ecco anzitutto per sommi capi alcuni essenziali punti di riferimento per chi si accinge a meditare: 1. il tempo Se ci consideriamo padroni del tempo" siamo degli idolatri. Offrirne le primizie (non gli scarti!) a Dio è il nostro primo e supremo sacrificio di lode. Nasce di qui l'esigenza di assegnare alla meditazione un tempo ben determinato della giornata e attenervisi con scrupolo, senza spostamenti o cedimenti per quanto riguarda la durata. Consideriamolo "il tempo di Dio" e ricordiamoci che il tempo di Dio non si tocca". Viviamone in pienezza i singoli istanti, come se tutta la meditazione si dovesse concentrare in ciascuno di essi. Se per forza maggiore ci fosse impossibile meditare nel tempo stabilito, Lungo tutta la sua durata ci manterremo in profonda comunione con Dio, tenendone vivo il ricordo e offrendogli quanto stiamo facendo. E questo a prescindere dall'impegno di anticipare o posticipare la pratica. Non dimentichiamo che "più si allontana il tempo della preghiera dall'anima, tanto più essa diventa oscura" (Jehud ahah Hal-Lewi). 2. il luogo Come per il tempo, scegliamo un luogo che favorisca la solitudine e il silenzio e sia sacro all'interiorità e all'incontro con Dio. Ciò facilita una risposta condizionata, che risulta di grande vantaggio ai fini del distacco
dall'ambiente circostante e della distensione. Resta inteso che il vero luogo dell'orazione è costituito dalle "segrete" timore interiori (Mc 6,6), vera meta dei nostri pellegrinaggi: "La gente compie il pellegrinaggio alla Mecca scrive il mistico musulmano al-Hallag -, ma io mi reco in pellegrinaggio da colui che abita in me". 3. Il corpo attraverso i consueti gesti introduttivi della preghiera (inchino, genuflessione, ecc.) assumiamo una posizione raccolta e tranquilla, fissando la propria persona corpo, psiche e spirito in uno stato di pacificazione e di purificazione, cale da far emergere "l'uomo nascosto nel cuore". il corpo è chiamato a diventare un saldo piedistallo sul quale erigere le nostre ascensioni spirituali. 4. Mente e cuore , Mente sgombra dal chiacchiericcio mentale e cuore purificato dal tumultuare dei sentimenti sono condizioni indispensabili per raggiungere la Radice e accingere alla Sorgente del nostro essere. Attraverso un nome o una formula divini (mantra), frequentemente e intensamente ripetuti, pensieri e sentimenti si polarizzano su un unico "oggetto". Non si dimentichi che "ciò che importa nella meditazione è la qualità della mente e del cuore... Non ciò che conseguiamo, né ciò che diciamo di ottenere. il senso di possesso non deve mai entrare nella meditazione (Krishnamurti). 42 43
5. Comunione cosmica Vivere il tempo della meditazione come una grande esperienza di comunione. L'uomo che si insedia nelle profondità interiori del suo essere, penetra nel cuore di ogni uomo e di ogni altra realtà. Vive nel cuore di Dio. 6. La prima volta Alla stregua di tutti i grandi processi vitali (mangiare, dormire, amare...), Anche la meditazione va vissuta ogni volta come se fosse la prima. D'altra parte l'esperienza ci dice che la continuità nelle nostre azioni e la loro efficacia sono legate alla profondità e all'intensità con cui vengono compiute, oltre che al desiderio che le precede. 7. E dopo...? L'uomo nella propria vita obbedisce a due diversi ritmi. Nel primo prevale la rapidità e l'efficienza (ritmo mentale). Nel secondo la profondità e l'intensità (ritmo vitale). Durante la medicazione, lago della bilancia si sposta dal primo al secondo. Portare la meditazione nella vita significa vivere sempre più in profondità e con intensità. Far emergere le azioni dal profondo e compierle immedesimandoci in esse. Superata ogni divisione interiore,l'unità raggiunta in noi stessi ci rende totalmente aperti alla vita e agli altri.
TRASFORMARE IL CORPO IN LINGUAGGIO Se è vero che "ci sono dei momenti in cui, quale che sia l'atteggiamento del corpo,l'anima è in ginocchio" (V. Hugo), è altrettanto vero che non di rado il corpo è chiamato a innescare quel processo interiore che chiamiamo preghiera. "Non saprei come pregare senza il corpo - scrive frère Roger Sehutz di Taizé -. In certi periodi ho coscienza di pregare più con il corpo che con la mente. il corpo è là, ben presente, per ascoltare, capire, amare. Sarebbe una beffa fare i conti senza di lui". Tutte le esperienze "spirituali" in qualche modo dunque presuppongono il corpo e integrano la corporeità. Occorre perciò familiarizzarsi con il proprio corpo e scoprire il ruolo che esso riveste in ordine alla pratica meditativa. Si tratterà anzitutto di garantirci che il corpo si accinga a meditare trovandosi, per quanto possibile, in buona forma, ricco di energie e insieme disteso. In appendice troverai una serie di esercizi che possono favorirti in quest'intento. Visto il ritmo di vita che ci deconcentra e ci carica di molteplici tensioni, chi si dà alla meditazione sente Anche inconsciamente il bisogno di raggiungere una sufficiente integrazione fisica, psichica e spirituale, così che da uno stato di quiete e di unificazione interiore si sprigioni l'anelito contemplativo. Anche a questo scopo troverai utili indicazioni in appendice. In terzo luogo ci si deve educare a trasformare il corpo in un linguaggio e a percepirlo come tale. Infatti "i movimenti del corpo aiutano la liberazione della mente e le trasformazioni del mentale permettono al corpo di esplicare tutte le proprie potenzialità". Ne segue che "lo sviluppo della percezione sensoriale conduce all'affinamento della coscienza" "Michaelle). Si basa su questi principi l'impegno di "dare la parola al corpo" quando si tratta di pregare. Infine compenetriamoci con la posizione che intendiamo assumere meditando.
IN QUALE POSIZIONE? "Le posizioni - è stato scritto - hanno grande importanza. Se non le si trasforma in feticci, rivestono un significato profondo. Aiutano a creare una tendenza nella tua energia fisica" (Rajneesh). Ogni esperienza che passa attraverso il corpo, conosce una o più posizioni che meglio la favoriscono. C'è quindi una posizione ottimale per dormire, per mangiare, per passeggiare e così via.
Lo stesso vale per la meditazione. Raccogliamo in sintesi le indicazioni più importanti circa la assumere quando si medita:
posizione
da
1. seduti, in modo che il corpo poggi sul suo baricentro, che i giapponesi chiamano lo "scrigno del divino", perché lì sono racchiusi gli organi propulsori della nostra vita: cuore, polmoni, viscere... 2. schiena eretta (non tesa!), in modo che fluiscano, attraverso la spina dorsale ben stirata, benefiche energie di vita. .3. Le gambe ad angolo convesso rispetto al torace, incrociate e/o rientranti sotto la sedia, o saldamente poggiate sul pavimento, in modo da favorire, con il rilassamento di tutta la persona, una respirazione ampia e profonda (respirazione addominale e non toracica). 4. capo perpendicolare al busto e fissato armonicamente sul collo, senza rigidità e tensioni, soprattutto a carico delle spalle e della nuca. 5. Occhi i aperti o semichiusi (o chiusi, se non commporta assopimento), ma sfuo 45
cati rispetto agli oggetti esteriori e rivolti alla contemplazione del mondo interiore. . mani sovrapposte l'una all'altra e abbandonate sul grembo, o armonicamente distese e appoggiate grosso modo all'altezza delle ginocchia. Palmo delle mani rivolto verso l'alto, in atteggiamento accogliente. "La posizione delle mani a forma di coppa, simili a un ricettacolo, è molto significativa. Ti rende ricettivo, ti aiuta a essere più aperto. è una delle posizioni più antiche, più conosciute. Ogni volta che sei aperto, o ti vuoi aprire all'esistenza, questa posizione ti aiuterà" (Rajneesh). 7. conservare queste posizioni lungo il tempo della meditazione, senza scomporsi per accondiscendere alla richiesta di qualsivoglia movimento. Alla posizione esteriore deve corrispondere l'atteggiamento interiore. Esso unisce lo stato di veglia a quello del sonno. il corpo è come addormentato nelle sue esigenze di moto e di azione, mentre lo spirito è ben desto, in stato di consapevolezza e di attenzione vigilante. Nulla, dunque, nell'atteggiamento meditativo, che possa richiamare lo stato crepuscolare del sogno, dove le esperienze della veglia sono rivissute illusoriamente nel sonno. Più che non gli stessi esercizi preliminari, la posizione, seduta o meno, ha un'importanza determinante per la buona riuscita di ogni pratica meditativa. il corpo deve poter rimanere immobile per un periodo prolungato di tempo, senza sforzo o tensioni di alcun genere. Illustriamo in appendice alcune posizioni più note, perché ognuno si eserciti nell'una o nell'altra a seconda delle proprie esigenze e possibilità.
46 4. Invito all'irreprensibilità
Quando vuoi raccoglierti nel più profondo del tuo essere, non preoccuparti di quello che farai dopo. Semplicemente siediti rilassato e tranquillo. Lascia da parte tutti i pensieci, buoni o cattivi che siano. Fa in modo che ncin rimanga niente nella tua mente e nel tuo cuore, se non il solo intento di meditare (Nube delGs non-cunoicenzu) É strano come cercavo fatte; come cercavo l Ma non c'è nulla di che brucia in te, del
di parlar bene, di scrivere le parole più belle, le frasi esterioricà. più bello della preghiera del silenzio, della sua parola grande silenzio che ti avvolge.
Sto guardando il pavimento, mi circonda un fortissimo silenzio. Niente pensieri, niente ambizioni, solo una grande sensazione di benessere mai provato, inspiegabile, indefinibile, impalpabile, eppure così interiore, così reale. (F. Modesti).
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UN ESERCIZIO-TIPO E ora... bisogna cominciare. A titolo esemplificativo esponiamo una meditazione-tipo, con particolare scrupolo a risolvere le più comuni difficoltà che si possono incontrare, sia sotto un profilo fisico, che psichico e soprattutto spirituale. Intendiamo così appropriarci degli strumenti indispensabili a una corretta pratica meditativa. Ci preoccuperemo di mettere a fuoco gli atteggiamenti che siamo invitati ad assumere Perché i processi meditativi e contemplativi possano poi dispiegarsi nel modo più proficuo, s'intende per quanto concerne la parte dell'uomo. Un terreno bene arato è infatti il presupposto Perché la Parola produca frutti abbondanti. Teniamo conto di tre considerazioni: 1. Procederemo al rallentatore, in modo da capire e apprendere lo snodarsi della pratica meditativa, e con gradualità rimandando alla fine degli esercizi una compiuta visione d'insieme del metodo che stiamo proponendo. Ciascuno lo integrerà poi nella propria prassi di meditazione, adattandone ritmi e momenti a suo piacimento. 2. La condizíone ideale per intraprendere questo esercizio è una "mente sgombra ed plastica: sgombra da qualunque remora o pregiudizio, ed elastica co sì da recepire positivamente i nuovi stimoli. 3. Infine, valgono per la meditazione gli stessi criteri che presiedono alle celebrazioni liturgiche. La liturgia è una pratica che chiede un addestramento non indifferente e l'ottemperanza a regole ben precise, al cui interno si dispiega la spontaneità e la creatívità. L'apprendimento e la pratica ci hanno reso ormai fa miliare il linguaggio liturgico: posizione, gesti, atteggiamenti, parole, silenzi, segni oggetti, ecc. In questa sede intendiamo familiarizzarci con il linguaggio meditativo, superando il pregiudizio che la meditazione sia una pratíca priva di regole che le assicurino pienezza di efficacia, e ciò ferma restando la sua natura "personale". D'altra parte è proprio qui che si rivela la nostra disposizione ad apprendere a meditare.
INVITO ALL'IRREPRENSIBILITA'Le Scritture invitano l'uomo a vivere nell'irreprensibilità, sia di fronte al mondo che nei confronti di Dio: "Siate irreprensibili, quali figli di Dio senza macchia in mezzo a una generazione perversa e cattiva, in cui dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita" (Fil 2,15-16); 49 "Rendete irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore Gesù" (1 Ts 3,13). Un ultimo testo riprende i precedenti, con indicazioni importanti al nostro scopo: "IL Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione e tutto il vostro essere, che è corpo, psiche e spirito, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. è fedele chi vi chiama e sarà lui a realizzarlo" (1 Ts 5,23). Praticheremo dunque la meditazione come esercizio che ci aiuta a raggiungere una sempre più grande irreprensibilità e, attenendoci alle indicazioni della Scrittura, compiremo un triplice lavoro, sul corpo, sulla psiche e sullo spirito, non dimenticando che il frutto che deriva dalla meditazione è proporzionale allo stato psicofisico e mentale con cui ci accingiamo a compiere le nostre ascensioni contemplative. Gesti e atteggiamenti introduttivi. Introducendoci nella medicazione, siamo chiamati a compiere alcuni gesti e ad assumere alcuni atteggiamenti già noti, ma che vogliamo rivivere con particolare consapevolezza, in modo che incidano in profondità nella nostra persona. Consideriamoci dei principianti - in fondo lo siamo sempre un po'tutti quando ci mettiamo a medicare - e riviviamo gesti e atteggiamenti come se fosse la prima volta che li compiamo". Inchino profondo. Inizieremo con un inchino profondo. è un saluto che diamo al
luogo che ci accoglie per la preghiera e, in esso, a Dio che si manifesta a chi prega a Cristo che ci riunisce nel suo nome e si rende presente in mezzo a noi; allo Spirito santo, effuso senza misura nel cuore degli uomini che si aprono al suo soffio di vita. L'inchino è un gesto di interiorità: il capo converge verso il centro della nostra persona, a indicare la consapevolezza che occorre scendere nelle proprie profondità interiori, per poter scrutare le profondità di Dio. Seduti. a con una lama affilata di immobilità e di silenzio" (Yogananda), poniamo il nostro corpo nella posizione ottimale in vista della meditazione. Cùi favorirà l'emergere degli strati sottili della nostra persona e farà sprigionare energie latenti. Segno di croce. Passiamo ora a un ultimo gesto: il segno di croce. Con esso intendiamo praticare la meditazione immergendoci nella vita trinitaria. Chi medita entra in contatto con il divino e accoglie in sé la rivelazione di Dio, che è Padre, Figlio e Spirito. Rivolgiamoci interiormente a loro usando dei sinonimi che meglio esprimano la percezione che abbiamo di essi (Creatore, Salvatore, Santificatore; Amore, Grazia, Comunione, ecc.). Noi nomineremo questi 50
tre grandi amici tracciando il segno di croce. La croce è iscritta nella vita trinitaria: rivela l'amore di Dio che offre in dono il proprio Figlio; rivela l'amore del figlio che si immola per la nostra salvezza; rivela l'amore dello Spirito, che Cristo emise morendo e risorgendo e che riempie di sé tutta la terra. La croce abbraccia anche la nostra persona: dall'alto in basso e da un lato all'altro siamo accolti nel suo mistero di rigenerazione che ci fa passare dalla morte alla vita. Come è per la croce di Cristo, anche le nostre croci si rivelino autentici segni e strumenti di benedizione. Attraverso il gesto con cui segnamo" la nostra persona, ci è possibile prendere coscienza delle dimensioni della preghiera: L'alto (fronte) come Luogo di incontro con il divino, il profondo (petto) dove si radica l'interiorità, i luoghi eterni del corpo (spalle) a indicare l'apertura cosmica e universale dell'orazione. LA VIA DELL'IRREPRENSIBILITA' Iniziamo ora il nostro cammino verso l'irreprensibilità. Meditare consiste infatti nel raggiungere uno stato di trasparenza che riveli il divino che abita in noi. Lavorare a lungo e intensamente su noi stessi non ci allontana da Dio, ma è la via maestra per condurci a lui. Ogni altra via non ha né senso né efficacia senza di questa. l. Cominciare dal corpo. Cominceremo dal corpo. Tempio e scrigno dello spirito, esso è anche la cassa di risonanza dei nostri errori e dei nostri disordini. Cercando di liberarlo dalle conseguenze di pensieri e di sentimenti negativi le famose somatizzazioni - noi percorreremo a ritroso il cammino compiuto e condizioneremo positivamente psiche e spirito, neutralizzando gli effetti negativi del loro influsso sul corpo. Faremo passare in rassegna tutte le membra del corpo, sia in superficie che in profondità, eliminando ogni tensione e ogni stato di contrazione o di eccitazione. In pari tempo avvertiremo che tutte le nostre membra e tutti i nostri organi sono pervasi da una grande energia risanatrice e avvolti da un'intensa luce trasformatrice: - braccio destro: mano, pollice, indice, medio, anulare, mignolo, dorso, palmo, pulso, avambraccio, braccio, scapola. - braccio sinistro: idem. - spalle - lasciamole cadere: non sono esse a sorreggere il mondo! - schiena, regione lombare, glutei. - gamba destra: piede - come per la mano - caviglia, polpaccio, ginocchio, coscia. 51
- gamba sinistra: idem. inguine, pube, ventre, plesso solare, torace, collo... spingendo il rilassamento in modo da raggiungere anche gli organi interni. - capo: rilassiamo le mandibole che spesso lavorano a vuoto; dilatiamo la lingua nella sua cavità e appoggiamola al palato; spingiamo gli occhi in profondità nelle loro orbite e lasciamo cadere le palpebre come in un sonno profondo; distendiamo la fronte così che scompaiano le rughe; decongestioniamo capo e nuca. Immaginiamo che il nostro volto sia simile a chi si desta dal sonno e arteggiamo le labbra al sorriso. Percepiamoci infine come avvolti in una grande luce, quasi fossimo esseri trasfigurati, "trasformati di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2 Cor 3,18). IL nostro corpo diventa tempio di Dio. Attraverso l'Eucarestia accoglieremo nelle nostre "viscere" Cristo, che si farà "Spirito datore di vita" (1 Cor 15,45). Possiamo, sempre in relazione al corpo, procedere anche in un altro modo. Immaginiamo di essere raggiunti da un colpo di sonno. Immediatamente il nostro organismo si sblocca da ogni rigidità e resistenza. Diviene crescentemente pesante. La gambe gravano con tutto il loro peso sul pavimento e le braccia si abbandonano, pure esse con tutto il loro peso, sul grembo o sulle cosce. Spingiamo in profondità L'esperienza, così da raggiungere le zone più nascoste della persona, dal capo alle viscere. Assicuriamoci in pari tempo che la colonna vertebrale sia eretta così che al "sonno" del corpo corrisponda uno spirito perfettamente risvegliato. a. Dífficoltà fisiche. Dal corpo, cui chiediamo assoluta immobilità e profonda distensione, possono sprigionarsi irrequietezza e disturbi di vario tipo: dolore, indolenzimento, tensione, formicolio, prurito, eccessiva salivazione, bisogno di tossire, raschiarsi la gola, starnutire o soffiarsi il naso, ecc. Prendiamo le distanze da queste sensazioni; non identifichiamoci con esse; non ci lasciamo scomporre. Come sono venute, così scompariranno. Non reagiamo muovendoci o irrigidendoci; non contraiamoci come un riccio, ma apriamoci intorno al dolore, quasi volessimo accoglierlo e stemperarlo. Noi abbiamo dei disturbi, non siamo i nostri disturbi! Ciò vale anche se essi provenissero dall'esterno. Questa presa di distanza è fondamentale per assumere un comportamento saggio anche nella vita, e si rivelerà apportatrice di grandi frutti. Se però le sensazioni fastidiose fossero intense e durevoli, allora installiamoci nella zona disturbata, assumiamone il disagio e accettiamolo cordialmente..., ma non facciamo nulla per eliminarlo con interventi diretti. Un fastidio sopportato con accettazione benevola passa più facilmente di un fastidio respinto con ansia e a più riprese. 52
Dirottiamo il respiro nelle zone colpite, come se espirassimo attraverso di esse, convogliando in tal modo energie benefiche e risanatrici. Se il corpo è intorpidito o colpito dal sonno, congiungiamo le mani e facciamo un inchino profondo (come i monaci nei loro uffici...) contraendo tutta la muscolatura del corpo e distendendola immediatamente. Respiriamo con maggior intensità e profondità. Qualora si perdesse la sensazione del corpo o si verificassero altri disturbi, non è il caso di allarmarsi, è sufficiente qualche respirazione profonda per riportare l'equilibrio desiderato. Apriamo per qualche tempo gli occhi e sentiamoci saldamente ancorati al qui e ora. Se i disagi cui si è fatto cenno fossero particolarmente fastidiosi, non è escluso che si possa portare sollievo al proprio corpo, intervenendo direttamente ma con consapevolezza. b. Il respiro. Così purificato e pacificato, il corpo percepisce più distintamente e efficacemente due grandi movimenti vitali: il respiro e il battito cardiaco. Prendiamo coscienza del nostro respiro e rendiamolo calmo e ritmato. Associamo all'espiro, compiuto lentamente e in profondità, la consapevolezza che il nostro organismo, espellendo anidride carbonica, si purifica e si libera. Associamo all'inspiro intenso e profondo, la consapevolezza che energie di vita permeano tutta la nostra persona e rigenerano le zone anche più periferiche. Lasciamoci cullare dal nostro respiro vincendo con la pratica l'iniziale disagio. Non interferiamo con esso per modificarlo. Tutt'al più sottolineiamo, rendendola più lunga, la pausa dopo l'espiro e/o dopo l'inspiro, per meglio appropriarci delle risonanze interiori della respirazione, che è un alternarsi di momenti opposti e interdipendenti: dare per avere, lasciare per accogliere, perdere per ritrovare, morire per vivere. Nel nostro respiro cogliamo lo Spirito di Dio che fa dell'uomo un essere vivente. Sentiamoci respirati da Lui. c. il cuore. Portiamo ora l'attenzione sul cuore, cercando di avvertirne il battito anzitutto nelle zone più periferiche della nostra persona, per poi convergere verso il centro. Percepiamo il battito cardiaco come centro propulsore di vita. Chiediamoci chi è il cuore del cuore, chi pulsa in esso segreto e nascosto. 2. Parlare alla psiche. Approdando al cuore, abbiamo raggiunto il 'centro del nostro mondo psichico, da cui emergono stati d'animo, 'inclinazioni, emozioni, affetti, desideri, ecc. Prendiamo coscienza del nostro mondo interiore. Se affiorano in noi sentimenti negativi, lasciamoli dileguare. Non inquietiamoci della loro presenza o della loro petulanza. Non indaghiamone la ragio ne; non mettiamoci a discutere con essi. Solo liberiamocene, attra 53
verso un progressivo distacco, disamore e disgusto per atteggiamenti che ci deturpano, logorano e distruggono. Se gli stati d'animo negativi chiamano in causa altre persone, penetriamo nel loro cuore, recando messaggi di perdono, di accettazione e di bontà, svelenendo il nostro cuore e quello altrui. Parallelamente percepiamo che si fanno strada in noi gli stati d'animo positivi. Fissiamoli con attenzione e sentiamocene pervasi in tutta la nostra persona. Possiamo condensarli in una parola e ripeterla fino a identificarci con essa, così da dire, pensare e sentire: io sono pace, gioia, bellezza, -forza, fiducia, amore... Consideriamo ora queste espressioni come altrettanti sinonimi di Dio e percepiamo Dio in noi come fonte di pace, gioia, bellezza, forza, fiducia, amore... Difficoltà psichiche. Come quello fisico, anche il nostro mondo psichico conosce difficoltà e sofferenze che ci tormentano durante la meditazione: pretesa di immediata gratificazione da parte dei sensi interni o esterni, data la nostra inclinazione a vedere, sentire, gustare; senso di rigetto e di inutilità di ciò che stiamo facendo; sensi di colpa, di paura, di rancore, di ansia; delusioni, frustrazioni, nonché disturbi psicofisici come svogliatezza, stanchezza, sonnolenza, mal di capo, rigidità, ecc. La lotta e la fuga sono ugualmente inutili. Percepiamo piuttosto il disagio; accettiamolo senza identificarci con esso; attendiamo nella pazienza che scompaia. Se però tali sentimenti fossero intensi e durevoli, non resta che prendere un atteggiamento paradossale: calarsi nel proprio disagio, assumerlo fino in fondo! Questo lo priva del suo veleno e ci fa raggiungere un livello più profondo della nostra psiche, dove la causa stessa di tali sofferenze perde il suo potere. E la causa è l'ego, con la sua pretesa di impeccabilità, efficienza, immediatezza, sicurezza, successo, appagamento, ecc. Una simile attitudine ci educa ad affrontare situazioni estreme che sfuggono a ogni potere dell'uomo e che ci chiedono solo di essere integrate nel nostro vissuto:l'insuccesso, il fallimento, la disgrazia, il peccato,l'abbandono, la desolazione,l'isolamento,l'insicurezza, il destino avverso,l'assurdo, la morte. il salto paradossale oltre l'istinto naturale di conservazione, ci apre a una maturità più profonda. In definitiva ci è chiesto di morire per rinascere, facendo nostra una via che è la via stessa di Dio. Gettiamo dunque il nostro fardello sul Signore (cf Sal 54,24), mettiamolo nel suo cuore: egli ci darà conforto. 3. Giungere allo. spirito. Eccoci ora allo spirito, il regno dell'intelligenza e della volontà che costituisce l'ultima e suprema dimensione della nostra persona che intendiamo condurre all'irreprensibilità.
IL cammino finora percorso ci agevola nel nostro intento. Gli strumenti di cui ci vogliamo servire sono, oltre all'immobilità, il silenzio di tutto il nostro essere. Assicuriamoci anzitutto il silenzio esteriore, lasciando che gli eventuali rumori esterni svaniscano dal nostro campo di percezione. Eliminiamo nei loro confronti ogni atteggiamento conflittuale (disappunto, nervosismo), consapevoli che in uno stato di concentrazione vera i rumori non disturbano più. E se li percepiamo ancora, ne traiamo motivo per una più impegnativa immersione nel nostro esercizio di preghiera profonda. In secondo luogo, se stiamo meditando insieme ad altri, viviamo positivamente, lasciandocene contagiare, il clima di silenzio che regna nel nostro gruppo di meditazione. Ci pare di avvertire che è qualcosa di più che "non parlare": è un renderci l'uno trasparente all'altro, comunicando senza diaframmi, in profondità. Ma l'ostacolo più grosso è costituito dal chiacchiericcio mentale. Reagiremo nei suoi confronti in tre modi: a. Con un arteggiamento distaccato. Sono come una montagna che si erge possente e immobile e nulla vale a scuocere: venti, piogge, bufere... Sono come chi è seduto lungo la riva di un fiume e vede scorrere L'acqua e quando questa porta con sé, restando fermo e senza scomporsi... Mi comporto come se in questo istante qualcuno si affacciasse alla porta della stanza in cui mi trovo a meditare; lo lascio ai casi suoi; non gli dico né di entrare né di uscire. Non è il suo momento; adesso non fa per me... Come le nuvole, in una calda estate, si dileguano sotto i raggi del sole, così lascio passare o dileguare pensieri e sentimenti che mi si presentano. b. Con un atteggiamento vigilante. Attesa la natura della nostra mente, propriamente parlando c'è distrazione solo quando siamo distolti dal nostro intento e tratti altrove con il nostro pensiero e l'anelito della nostra volontà. In stato di atteggiamento vigilante o di attenzione cosciente, colgo la distrazione al suo primo affacciarsi alla mente. Ne prendo visione con distacco. Se lo ritengo opportuno ai fini della preghiera, la integro nel mio esercizio meditativo. Non sto comunque al suo gioco (che condurrebbe ad abbandonarmi a processi discorsivi e immaginativi) e proseguo nel mio intento, eventualmente riprendendo quota anche sotto un profilo psico-fisico (ulteriore rilassamento qualche parte del mio corpo si è nuovamente contratta? -, più intensa respirazione, ecc.). Diciamo a noi stessi: se si tratta di pensieri determinanti per la mia felicità e per quella degli uomini, si ripresenteranno a tempo opportuno. 55
c. Con l'uso di una giaculatoria o di un mantra, ossia di nomi o formule divini da ripetere con frequenza e intensità. IL modo migliore per fronteggiare il chiacchiericcio mentale è quello di polarizzare la mente su un unico pensiero che abbia ragione di ogni altro anelito. Ciascuno ricorra a una giaculatoria o a un mantra di suo gradimento. Li faccia anzitutto affiorare sulle sue labbra, poi se ne assicuri il passaggio alla mente (pensiero) e infine se ne lasci permeare il cuore (anelito profondo, impulso di volontà). Possiamo associare il nome o la formula divini alla nostra respirazione, al punto che anche il solo espiro/inspiro (o viceversa, a seconda della giaculatoria o del mantra che usiamo) scandisca la preghiera meditativa, senza essere accompagnato da parole pronunciare, pensate o sentite che siano. Possiamo contare le invocazioni e/o i cicli respiratori, come si fa per le "Ave Maria" del rosario, da I a 10 e così via, con l'avvertenza di riprendere sempre da capo quando si fosse perso il filo. Dobbiamo fare ogni sforzo ragionevole per imbrigliare la mente. A poco a poco, nella misura in cui l'invocazione del nome o la ripetizione della formula divina passa dalle labbra e dalla mente al cuore (osserviamo con scrupolo questo ritmo ternario, facendo una pausa a ogni ripresa), si operano nell'uomo segrete trasformazioni spirituali. IL cuore pulsa per Dio e si impregna di energie divine che diffonde in tutta la persona per mezzo di intense vibrazioni interiori. Dio vive nell'uomo e l'uomo in Dio. Le distanze si annullano e gli opposti si integrano in una gioiosa festa d'amore. Difficoltà spirituali. Anche sotto il profilo spirituale si presentano ostacoli che è bene scoprire come superare. Vale sempre la regola generale: né resistenza né resa, ma solo proposito di andare oltre l'egemonia del nostro mondo immaginativo-discorsivo, lasciando la prigione della mente per imboccare con risolutezza le vie dell'interiorità. Fin che siamo proiettati all'esterno non penetreremo mai nel nostro intimo. Ora, una prima serie di difficoltà è dovuta a stati d'animo alterati, come ira, rimorso, diffidenza, che si collocano in parallelo con le difficoltà psichiche cui abbiamo già fatto cenno. Una seconda serie di difficoltà che si presentano in quest'ultimo stadio sono dovute allo stato di aridità da noi scelto positivamente. è un vuoto di pensieri cui ci si condanna e un nulla in cui ci si sprofonda. Per soggetti abituaci a incontrare Dio nella persona umano-divina di Gesù, nella Parola e nei sacramenti, nella liturgia e nella comunità ecclesiale, questo modo di procedere si presenta come una sfida insostenibile e assurda. Eppure è una sfida benefica e doverosa. Dio stesso, che confidenzialmente, secondo la legge della "condiscendenza" (Dei Verbum, 13/894), si comunica a noi attraverso le suddette mediazioni, per mezzo di esse ci sollecita ora a raggiungere un'intimità immediata e perfet 56
ta nelle profondità del cuore,l'unico luogo in cui egli avrà stabile e perenne dimora. La medicazione che stiamo facendo non nega gli altri approcci al divino, ma ne rivela e ne asseconda le più vere esigenze: condurre l'uomo a vedere Dio "faccia a faccia" (1 Cor 13,13), "così come" (1 Gv 3,2). Il dolore. spirituale. E qui si innesta la terza serie di difficoltà, che l'autore della Nube della non conoscenza chiama il "dolore spirituale", ossia la radicale impotenza dell'uomo che intende raggiungere Dio in pienezza durante la vita presente. IL dolore spirituale nasconde il limite e lo scacco dei nostri aneliti contemplativi e nello stesso tempo ne esalta l'audacia. Esso consiste nel fatto che, al di la di ogni ostacolo che si frappone sulla via contemplativa io percepisco me stesso come la più grande barriera alla manifestazione del divino nella mia vita. ecco il dolore "sincero e profondo"; ecco il dolore "vero " e "perfetto ": lo struggimento dell'anima che anela al suo Signore! Questo dolore è dono di Dio e chi riesce a provarlo può dirsi beato!
Giunti alla fine del nostro itinerario meditativo in tutte le sofferenze e in tutti i sacrifici che ci ha chiesto, nella banalità e nell'aridità che ci è parso di incontrare, vogliamo riconoscere i segni del dolore spirituale che ci trasforma. Invece del disappunto per fatiche e insuccessi, o del rigetto per difficoltà e assenza di risultati, prevalga in noi questa umile confessione: "Quanto siamo lontani da te, o Signore se il nostro cuore non si accende di desiderio per te, se non scorgiamo la tua immagine in esso scolpita, se non restiamo inebriati dalla tua consolante presenza. Quale distanza quale mediocrità, quale pigrizia denunciano i nostri tentativi sia pure generosi di penetrare nel tuo mistero. Essi tuttavia suscitano un grande anelito verso di te: invece di scoraggiarci ci confermano nel cammino intrapreso, perché dal nostro dolore spirituale si sprigiona una scintilla d'amore. Possa essa divampare in un fuoco di carità che dal cuore si riversi nella vita, anche, terminata la meditazione, prendiamo a ripercorrerne le vie impervie e faticose".
DALLA MEDITAZIONE ALLA VITA
Prima di uscire di meditazione domandiamoci: come l'abbiamo vissuta? come abbiamo superato le immancabili difficoltà? quali trasformazioni interiori si sono verificate in noi? cosa ci ha maggior 57
mente segnato in profondità? Ma non consideriamola fallita in assenza di frutti immediati. La volontà di meditare è la prima forma di meditazione. Offriamo quindi la meditazione a Dio come segno di benedizione per noi e per tutti gli uomini. Esprimiamo questo con una nostra preghiera interiore. Fissando nel cuore quanto di meglio abbiamo sperimentato, ripetendo L'invocazione che ci è più congeniale o immedesimandoci interiormente nel respiro, possiamo passare, specialmente durante un ritiro, al passeggio meditativo, che conclude il tempo della meditazione o separa più tempi consecutivi di meditazione. Moduliamo il passo secondo il ritmo che ha assunto la nostra preghiera. Lo scopo del passeggio meditativo è duplice: conservarci in stato di orazione anche fuori del tempo e luogo specifici a essa riservati, e prepararci di conseguenza a trasferire la preghiera nella vita, così che quest'ultima ne sia segnata in profondità e in continuità. Se poi è compiuto sincronizzando il proprio passo a quello di chi ci sta dinanzi, ci aiuta a integrare l'attenzione a se stessi con quella verso gli altri. Terminata la meditazione (e l'eventuale passeggio meditativo, utile anche a chi si trova solo), ci studiamo di portare nella vita lo stato d'animo che si è fatto strada in noi e che è segnato dal divino che zampilla nel nostro cuore come acqua sorgiva da fonte nascosta e inesauribile. Di conseguenza il passaggio dalla meditazione alla vita non sarà come un estuario, là dove le acque del fiume cedono di fronte all'incalzare possente delle onde del mare, ma come un delta: il fiume della meditazione penetra nel mare della vita e vi riversa tutta la propria ricchezza. 1 'Concretamente questo avverrà se fissiamo almeno uno dei sentimenti interiori che si è affermato e radicato in noi con la meditazione e, eventualmente racchiuso in un nome o in una formula divini, lo conserviamo a lungo nel cuore, quantomeno durante il percorso che ci conduce dal luogo della preghiera al successivo ambiente che ora attende la nostra operosità e il nostro impegno. Quella che deve continuare a riecheggiare in noi è la "memoria del cuore", ossia l'immediato e gioioso rifluire nell'animo di una segreta armonia che ripropone le sue note piene d'incanto e di struggente desiderio. 58
Gli antichi autori amavano espressioni come "occhi del cuore", "orecchi del cuore" e addirittura "palato del cuore", per indicare con quale intensità e profondità si dovesse vivere l'esperienza religiosa. Parlando di "memoria del cuore" intendiamo riferirci al ricordo non come traccia mentale, ma come intensa risonanza interiore che riemerge spontaneamente e non è debitrice di laboriose ricostruzioni o associazioni di tipo intellettivo. Si direbbe un impulso incoercibile. Un riaffiorare istintivo. è necessario coltivare la "memoria del cuore" con un semplice esercizio. Interrogarci, soprattutto dopo la preghiera, su quale risonanza ha lasciato in noi e verificare se ce ne rendiamo conto attraverso il lavorio della mente o un'immediata presa di coscienza. Se non fosse così, dobbiamo, con uno sforzo di concentrazione e di compenetrazione, riagganciare l'uno o l'altro stimolo che ci è stato offerto e, ripetendolo con intensità, lasciare che si radichi nel cuore. Solo "per mezzo di un'assidua memoria - afferma s. Basilio il Grande conserviamo in noi la presenza di Dio".
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5. 'Tranquillità e consapevolezza Quando Zaccaria divenne muto e silenzioso, il popolo comprese che aveva avuto una rivelazione. La voce di Dio è il silenzio e esercita una pressione infinitamente discreta, ma irresistibile. La fede è la risposta a questa presenza discreta di Dio. La fede dice: offri la tua piccola ragione e ricevi il Logos: dona il tuo sangue e ricevi la Spirito. Dio ha creato gli angeli in silenzio, dicono i Padri. Dio guida i silenziosi, mentre quanti si agitano fanno ridere gli angeli. (P. Evdokimov) Colui che fissa la sua mente sulla mia Persona e, colmo di un'ardente fede spirituale, s'impegna sempre nella mia adorazione, è considerato da me il più perfetto. Per colui che mi adora e abbandona a me tutte le sue attività, dedicandosi esclusivamente al mio servizio, io sono il liberatore. Se però non riesci a fissare in me la tua mente senza distrazione, allora sviluppa il desiderio di raggiungermi attraverso l'esercizio della meditazione. Ma se anche di questo esercizio non sei capace, allora cerca di dedicare a me le tue opere, perché agendo per me raggiungerai la perfezione. ( Bhagavad Gita,12)
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5. 'Tranquillità e consapevolezza Quando Zaccaria divenne muto e silenzioso, il popolo comprese che aveva avuto una rivelazione. La voce di Dio è il silenzio e esercita una pressione infinitamente discreta, ma irresistibile. La fede è la risposta a questa presenza discreta di Dio. La fede dice: offri la Tua piccola ragione e ricevi il Logos: dona il tuo sangue e ricevi la Spirito. Dio ha creato gli angeli in silenzio, dicono i Padri. Dio guida i silenziosi, mentre quanti si agitano fanno ridere gli angeli. (P. Evdokimov) Colui che fissa la sua mente sulla mia Persona e, colmo di un'ardente fede spirituale, s'impegna sempre nella mia adorazione, è considerato da me il più perfetto. Per colui che mi adora e abbandona a me tutte le sue attività, dedicandosi esclusivamente al mio servizio, io sono il liberatore. Se però non riesci a fissare in me la tua mente senza distrazione, allora sviluppa il desiderio di raggiungermi attraverso l'esercizio della meditazione. Ma se anche di questo esercizio non sei capace, allora cerca di dedicare a me le tue opere, perché agendo per me raggiungerai la perfezione. ( Bhugavad Gita,12)
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Sii QUI ADESSO Se nel capitolo precedente abbiamo percorso l'itinerario meditativo... sulla cartina, ora ci dobbiamo accingere ad affrontare passo dopo passo il cammino prefisso. Due sono le attitudini fondamentali che siamo chiamati a lasciar emergere e a suscitare in noi attraverso l'esercizio: la tranquillità e la consapevolezza. Esse costituiscono la porta d'ingresso alla meditazione. Sono a loro volta il frutto che cresce e matura sull'albero di una pratica perseverante e ne rappresentano il compimento e la corona. il silenzio interiore infatti altro non è se non uno stato di stabile tranquillità e di intensa consapevolezza.
TRANQUILLITA' La tranquillità si rivela talmente importante nella pratica meditativa da costituirne quasi un sinonimo. I fratelli dell'Oriente cristiano chiamano infatti esichia ( quiete) la loro esperienza di orazione mistica e in Occidente si parla di orazione di quiete, così definita da s. Teresa d'Avila, che ne è una delle più brillanti espositrici. "L'anima entra nella pace o, per meglio dire, ve la fa entrare il Signore con la sua divina presenza", dal momento che "egli si manifesta nell'orazione di quiete... Allora tutte le facoltà (psichiche e mentali) si riposano e l'anima conosce... di essere vicinissima al suo Dio". Una sincera apertura a Dio precede, accompagna, segue, secondo modalità e percezione diverse, il lavoro che siamo chiamati a operare su noi stessi. Di conseguenza, la tranquillità va anzitutto perseguita nella sfera fisica. Si tratta di portare il nostro corpo a uno stato di distensione e di pacificazione che ci permetta di rimanere a lungo immobili, a proprio perfetto agio. La ricerca della giusta posizione e opportuni esercizi di rilassamento fisico ci consentono di raggiungere più facilmente questo stato; ma esso viene pure favorito e potenziato dagli esercizi che si prefiggono il conseguimento della consapevolezza. Non si sottolineerà mai sufficientemente l'enorme importanza della corretta posizione e delle pratiche di consapevolezza, di cui si 63
riferirà in seguito, in riferimento alla tranquillità e al silenzio interiore. Quanto più svilupperemo l'attenzione rispettosa verso il corpo e favoriremo la giusta e corretta posizione, e quanto più ci familiarizzeremo con le pratiche di consapevolezza, con tanta maggiore facilità ci accosteremo alle soglie del silenzio e lo gusteremo intensamente. Nella sfera psichica e mentale, tranquillità significa vivere il momento presente, lasciando cadere ogni forma di apprensione o di tensione, sia che emerga dal ricordo di azioni passate, sia che rifletta le nostre preoccupazioni per il futuro. è stato saggiamente osservato che la parola d'ordine della meditazione è "sii qui adesso... La mente vive per lo più nel pssato, pensando a cose già avvenute; oppure elabora piani per il futuro, immaginando ciò che sta per accadere, spesso con ansia o preoccupazione... In genere è molto difficile restare radicati nel presente. La pura attenzione è quella consapevolezza che ci mantiene vivi e svegli nel 'qui e ora; è rilassarsi con agio nel presente, sperimentare pienamente ciò che sta accadendo" (J. Goldstein). Per meglio radicarci nella percezione esclusiva del presente, alcuni autori suggeriscono che, iniziata la preghiera, "ci si convinca interiormente, senza finzione alcuna, che moriremo non appena avremo finito di pregare" (Lettera. rulla preghiera dell'autore della Nube della non-conoscenza). Infatti "se non avvertiamo la pressante incombenza della morte, non possiamo sentire l'unicità e il potere del momento presente" (j. Goldstein). Tranquillità significa anche umiltà e semplicità, per cui viviamo la meditazione senza pretese o avidità, nel segno dell'abbandono fiducioso e della gratuità.
CONSAPEVOLEZZA La consapevolezza, detta anche attenzione cosciente o vigilante, si presenta come la grande strada verso il silenzio interiore e la contemplazione. è per ciò stesso l'attitudine che ci porta a vivere in profondità, nel cuore, dove l'uomo diventa protagonista della propria avventura e impara a conoscere se stesso all'interno di un cammino che lo conduce, di scoperta in scoperta, a uno stato di crescente trasparenza. La sua vita diventa manifestazione della Vita. 64
La consapevolezza è, insieme alla tranquillità, la porta d'ingresso alla medicazione. Anzi, essa può venire identificata con lo stato di meditazione: quando voi siete consapevoli, siete in meditazione. Ciò è particolarmente enfatizzato dalla mistica orientale, e non senza ragione. "La meditazione - si afferma - è una relazione vivente con l'Esistenza che ti circonda. Se puoi essere in amore con una situazione sei in meditazione". E ancora: "Sii consapevole di tutto il processo mentale: di come la tua mente funziona. Nel momento in cui diventi consapevole del funzionamento della tua mente, non sei più la mente; proprio nel momento di consapevolezza tu te ne liberi e sei qualcosa di staccato, di separato, di estraneo: un testimone" ( Rajneesh). In un successivo passaggio si può leggere: "La meditazione è un fiore della nostra interiorità, perciò non è che voi imparate la meditazione, ma tenterete di crescere verso di essa", dove il crescere non è altro che il dischiudersi progressivo della mente verso uno stato di perfetta presenza a se stessa e al reale. Tentiamo quindi di fissare le caratteristiche della consapevolezza. Esse sono: a) Focalizzazione: la mente si abitua a stare con un oggetto soltanto. Ogni volta che ci si distrae, si ritorna con dolcezza ma anche decisione all'oggetto della propria attenzione. Le distrazioni non sono un male da fuggire con orrore, ma un processo di cui occorre prendere lucida coscienza. b) Uno sguardo dmore: la consapevolezza è conoscenza; ma conoscenza nella più totale assenza di calcolo. Osservo, non per trarne profitto, ma semplicemente perché è bello osservare. La consapevolezza è l'incanto di due vite che si fondono nell'estasi dell'identificazione. è uno slancio d'amore. c) Accogliere la realtà come parte di noi: la consapevolezza, nella misura in cui la viviamo, ci inserisce nel grande respiro del reale: esso è fuori di noi e tuttavia aspira a essere interamente dentro di noi. Fuori di noi, è uguale per tutti Dentro di noi, assume toni e sfumature diverse a seconda della ricettività di ciascuno, ma anche delle disposizioni soggettive che variano nel tempo. Consapevolezza è sentire il mondo che nasce dentro di noi, quando offriamo la nostra attenzione silenziosa al reale. 65
Se non permettiamo alla realtà di nascere dentro di noi, è come se non esistesse. Ma quando, per mezzo della consapevolezza, cominciamo a recepirne le risonanze in noi, allora ci accorgiamo di essere ciò che contempliamo.
IL SILENZIO è CONSAPEVOLEZZA Per cogliere il significato della consapevolezza in rapporto alla meditazione può essere utile approfondire il legame che unisce consapevolezza a silenzio interiore. Che cos'è il silenzio? Una risposta potrebbe essere: è il tacere di tutte le cose. Ma tale risposta ci lascia insoddisfatti, perché allora anche la morte è silenzio. Per un cadavere, infatti, tutte le cose finalmente tacciono. il silenzio meditativo e contemplativo, invece, è piuttosto la Presenza consapevole e indirizzata della mente e del cuore a un determinato oggetto. Presenza consapevole richiama a uno stato di veglia. Sono interamente presente all'atto che sto compiendo. Lo vivo in prima persona e lo sperimento intensamente. Mi percepisco in esso. Posso anche non accorgermi di me stesso, ma questa perdita di coscienza è periferica, riguarda il mondo estraneo alla mia contemplazione. In realtà tale perdita di coscienza non è altro che la conseguenza della perfetta focalizzazione di tutto il mio essere sul particolare oggetto della contemplazione. Mi perdo e mi identifico in esso. Ma per quanto mi perda e mi identifichi, il soggetto portante di tale esperienza rimane pur sempre la mia coscienza personale. Si può dire: sono io che vibro in piena sintonia con l'oggetto che sto contemplando. Nell'estasi, a esempio, i mistici vivono talmente immersi in Dio, da rendersi impassibili a ogni altra suggestione, fosse pure il calore di una fiamma. Si perdono in Dio, ma per vivere in lui. indivisa ripropone anzitutto il concetto della perfetta fusione con l'oggetto di contemplazione. Ma il termine ha anche una chiara connotazione affettiva. Il silenzio, quando è perfetto, diventa stupore, meraviglia, ammirazione, amore. Attraverso la consapevolezza entriamo nel cuore di noi stessi, superiamo la barriera tra noi e il mondo che ci circonda. Viviamo abitualmente assenti a noi stessi e alle cose. Siamo lon 66
tani dalle azioni che poniamo e forestieri alle persone con cui comunichiamo. Attraverso l'attenzione cosciente ci rendiamo presenti a noi stessi, alle cose e agli altri. Penetriamo neI cuore del reale, dove pulsa la vita. Viviamo in amicizia con tutto e con tutti. Questo è il silenzio interiore. è presenza a noi stessi e a quanto avviene nell'intimo del nostro essere, in conseguenza del nostro rapporto quotidiano con il fluire della vita e le sue manifestazioni. Un breve aneddoto può aiutare la nostra comprensione. Un giorno un pellegrino si presentò a uno staretz e gli chiese: "Con quali mezzi raggiungi la santità?". Il monaco rispose: "Mangio, cammino, mi siedo, dormo". Il pellegrino rimase alquanto sconcertato e replicò: "Ma queste cose sono banali. tutti al mondo le fanno". "Amico mio - rispose lo scarecz -, la differenza consiste in questo: che quando mangio, quando cammino, quando mi siedo sono consapevole di camminare, di mangiare, di sedermi. Quando gli altri fanno questo, non sono in genere coscienti di quello che fanno". il pellegrino se ne andò e, senza accorgersi, sbatté la porta. Allora il monaco lo richiamò dicendogli: "Non eri consapevole: la virtù non consiste nel chiudere piano una porta, ma nella coscienza del fatto che si sta chiudendo una porta".
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vuota 6. Lo sviluppo della consapevolezza "Non siete consapevoli degli alberi, della luce del sole? Non siete consapevoli del corvo che gracchia, del cane che abbaia? Non vedete il colore dei fiori, il movimento delle foglie, la gente che passa? Questa è consapevolezza esteriore... E come siete esternamente consapevoli, così potete anche essere interiormente consapevoli dei vostri pensieri e sentimenti dei motivi che vi spingono, dei bisogn , dei pregiudizi, delle invidie, dell'ingordigia e dell'orgoglio dentro di voi. Se esteriormente siete davvero consapevoli, si risveglierà in voi ben presto l'inizio di una consapevolezza interiore e allora diventerete sempre più consci delle vostre reazioni... Consapevolezza esterna e interna costituiscono un processo unitario che genera l'integrazione totale della comprensione umana" (Krishnamurri) Una volta un discepolo andò dal suo maestro per imparare a meditare su Dio. il maestro gli diede istruzioni ma presto il discepolo ritornò dicendo di non essere in grado di seguirle: ogni volta che cercava di meditare si ritrovava a pensare al suo bufalo preferito. "Bene, alloca", disse il maestro, "tu mediterai su quel bufalo a cui sei così affezionato". Il discepolo si chiuse in una stanza e cominciò a concentrarsi sul bufalo. Dopo qualche giorno il maestro bussò alla sua porca e il discepolo rispose: "Signore, non posso uscire a salutarvi. Questa porta è troppo piccola. Le mie corna non ci passano". Allora il maestro sorrise e disse "Splendido! Ti sei identificato con l'oggetto della tua concentrazione. Ora fissa la concentrazione su Dio e avrai facilmente successo".
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ABITARE IL PROPRIO CORPO I primi esercizi di consapevolezza ci portano semplicemente a diventare coscienti della nostra realtà corporea. il ruolo che rivestono ai fini della meditazione è duplice: abituano la mente a rimanere in presenza di una data realtà senza tensioni o distrazioni, ma con amore. Di conseguenza portano alla pacificazione interiore e alla quiete del meccanismo mentale: attitudini che influiscono in modo determinante nella pratica meditativa. Già gli antichi Padri affermavano che "non è possibile porre la mente nella contemplazione senza il corpo" e che "non c'è pacificazione dell'intelletto senza pacificazione del corpo" (Marco l'Asceta). L'efficacia degli esercizi sarà poi tanto maggiore, quanto più ci accosteremo al corpo con giusto e illuminato atteggiamento interiore. C'è un intimo legame tra il corpo, la psiche e lo spirito. La corporeità è parte integrante della persona umana. Non siamo un'anima pellegrina in un corpo, ma pellegrini dotati di anima e corpo. Anche nella morte, il corpo non sarà abbandonato ma trasformato. A motivo delle tendenze negative della mente e dell'ignoranza, il corpo è spesso oggetto di desideri poco illuminati e di attitudini sbagliate; ma la radice di questi errori risiede più nello spirito dell'uomo che non nella sua corporeità. Se fossimo più consapevoli del nostro corpo e dei suoi complessi e meravigliosi funzionamenti, non mancheremmo di stupirci e di esaltare l'artefice che lo ha ideato: "Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era già scritto nel tuo libro. Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; se li conto sono più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora" (Sal 139,13-18) 71
Molto vicine a quelle del salmo sono le parole di uno yogi che soleva affermare: "Non ho mai trovato un luogo di pellegrinaggio e di beatitudine paragonabile al mio corpo". Come il corpo, così l'azione che scaturisce dal corpo è luogo di rivelazione. Vissuta nella consapevolezza, ogni azione, da quella del re o del sacerdote a quella del servo, è un sacerdozio, un atto di culto e un rito. "Mi hai dato un corpo - leggiamo nelle Scritture in riferimento a Cristo -; allora ho detto: Vengo, o Dio, per fare la tua volontà" (Eb 10,5). Esercizio Assumete una posizione comoda e confortevole. Chiudete gli occhi. E ora mettetevi in ascolto del vostro corpo. Diventate consapevoli di ogni pur minima sensazione: caldo freddo, tocco delle vesti, possibili tensioni, prurito, distensione, benessere... Non pensate, ma. sentite. Percepite la mano, il piede, le sensazioni del piede a contatto con il pavimento, le spalle, le cosce... Lentamente fate passare in rassegna ogni parte, soffermandovi per uno o due minuti nell'ascolto di ciascuna e diventando coscienti di più sensazioni possibili. Seguite liberamente qualunque ordine, ma intensificate l'ascolto. Se vi distraete, ritornate con calma al vostro esercizio. La mente è molto distesa e il volto tende al sorriso. Ciò che fate, apparentemente non è altro che un gioco, una piacevole passeggiata attraverso il vostro corpo. è già tutto lì, non dovete creare assolutamente nulla, non siete voi che dovete suscitare sensazioni: dovete soltanto essere presenti e ricettivi. Non preoccupatevi se inizialmente le vostre capacità di ascolto sono molto deboli. Anche se avete l'impressione di camminare in una terra arida e deserta, continuate allegramente la vostra passeggiata presto vedrete che anche il deserto riserva delle sorprese. Continuate per 10-15 minuti, o anche più, secondo l'esigenza e la capacità di ognuno. Riprendete più volte questo esercizio. Non dovete cercare cose sensazionali, ma semplicemente essere presenti dal momento che il vostro corpo è già di per se stesso un vero "prodigio". il fatto è che non ne siete consapevoli o lo siete soltanto intellettualmente. Ma più approfondite l'ascolto, più la vostra mente si apre e con-prende. Allora nasce lo stupore e la meraviglia. Inoltre, perseverando con amore e fedeltà in questo come negli altri esercizi, aquisite sempre più la vostra capacità di essere in ascolto, di vivere nel "qui e adesso", non solo in rapporto al vostro corpo, ma anche a ogni altra realtà In una fase successiva, scegliete solo una piccola area del vostro corpo: la fronte, il palmo della mano, una guancia... Tentate di percepire ogni sensazione possibile che si presenti in quest'area. Se incontrate difficoltà, riprendete per un istante l'esercizio precedente, poi ritornate all'ascolto" dell'area prescelta. Appena notate qualcosa, soffermatevi: può scomparire, può trasformarsi in un altra sensazione. Continuate per 10-15 minuti. 72
La consapevolezza delle sensazioni corporee può anche essere applicata al movimento In questo caso si tratta unicamente di compiere i consueti gesti o movimenti, come mangiare, camminare, sedersi ecc., al rallentatore, cercando di seguire ogni mossa con attenzione cosciente.
SULL'ONDA DEL RESPIRO Esiste nella nostra persona un'esperienza in cui il "fisico" sI rarefà sino ad attingere una dimensione "spirituale": il respiro. Si tratta di un mezzo di singolare e straordinaria efficacia per giungere al silenzio interiore. Rispetto a li altri esercizi di consapevolezza,l'attenzione al respiro presenta molti vantaggi, poiché esso è facilmente percepibile e, con la pratica, il suo ascolto oltre che riposante può anche risultare piacevole. "il respiro - era solito affermare un maestro orientale e e il vostro più grande amico. Ritornate a lui in tutte le vostre troverete conforto e guida". il primo vantaggio che deriva dall'ascolto del respiro è l'acuirsi della consapevolezza. Di conseguenza crescono pure la tranquillità e la pace sia sul piano fisico che su quello psichico e mentale. La presenza consapevole al respiro è uno dei principali veicoli verso l'immersione nel qui e ora e il conseguente superamento di tutte le cause di distrazione. I vantaggi che ci offre il respiro sono però anche di altra natura. il respiro purifica e tonifica l'intero organismo. Espirate anidride carbonica e inspirate aria nuova carica di ossigeno, che sottilissimi meccanismi interni trasformano in energia vitale a beneficio di tutta la persona. Una delle caratteristiche di tale energia quella di fluir là dove va il pensiero. Ciò vi permette di capire l'importanza del respiro anche in vista della pacificazione e della cura del corpo e della mente, quando, attraverso la consapevolezza, il prana, ossia l'energia cosmica che fluisce in voi con il respiro, vi rigenera in profondità. E non dimenticate che si tratta di quello "Spirito" che fin dai primordi aleggiava sul cosmo per suscitare in esso la vita (Gn 1,2). Il respiro ha inoltre un grande significato anche sotto il profilo psichico e spirituale. Con l'espiro scaricate possibili tensioni, mentre l'inspiro vi arricchisce di energia nuova e benefica, a vantaggio sia della psiche che della mente. Respiro e pensiero si condizionano re 73
ciprocamente. Non respirate allo stesso modo se siete calmi, avidi o ansiosi. Ma potete anche incidere sui vostri stati d'animo modificando il ritmo respiratorio. Il vantaggio principale, tuttavia, che deriva alla meditazione dalla consapevolezza del respiro è legato particolarmente al suo fluire ritmico e cadenzato e al dilatarsi della pausa tra espiro e inspiro. il respiro dellnima Avete mai pensato perché la preghiera sia stata definita il respiro dell'anima? Non esiste forse un legame "naturale" anche se nascosto e sottile, tra l'uno e l'altra? Buddha considerava il respiro "il ponte che unisce il corpo allo spirito Come un ponte facilita l'attraversamento di un fiume il respiro può favorire la nostra preghiera. ' Non a torto i padri dell'esichia abbinano la consapevolezza del respiro a quella del battito cardiaco e d'entrambe fanno il supporto all'orazione interiore: "Siediti in un luogo isolato e, raccogliendo la mente, introducila per via del respiro nel cuore; e fissata la in questo stato di concentrazione, fa entrare e usre la preghiera... con il ritmo del tuo respiro" (Racconti di un pellegrino russo). "Seguire il respiro che entra e esce afferma Rajneesh - è il mantra più profondo che sia mai stato inventato". Se poi pensiamo che nel respiro c'è l'alito di Dio che fa di ogni "adamo" un "essere vivente" (Gn 2,7), l'alito di Cristo risorto che ci rende creature nuove (cf. Gv 20,22-23),l'alito dello Spirito, "soffio di vita" che "viene dai quattro venti" (Ez 37,9), permea ogni creatura e "rinnova la faccia della terra" (Sal 104,30), allora capiremo che il réspiro è di sua natura preghiera, comunicazione con il divino segreta consonanza con la Trinità. ' Per vivere coscientemente quest'insieme di realtà suggeriamo tre esercizi: il primo approfondisce il legame tra respirazione e consapevolezza, il secondo è attento ai risvolti psichici e spirituali del respiro (vi ritorneremo sopra in seguito), il terzo ripropone la classica meditazione buddhista della vipassana o "visione penetrativa". Esercizio I a. Iniziate questo esercizio impiegando circa cinque minuti per diventare consci delle sensazioni nelle varie parti del vostro corpo. Spostate quindi la consapevolezza sul vostro respiro, diventando consci del 74
l'aria quando entra e quando esce attraverso le vostre narici... Percepite il suo tocco. Notate in quale parte percepite il suo tocco nell'inspirazione e nell'espirazione. Diventate consci del calore o del freddo dell'aria. Potete anche rendervi conto che la quantità di aria che passa attraverso una narice è maggiore di quella che passa attraverso l'altra... Respirate normalmente. Non concentratevi sull'aria mentre entra nei polmoni. Limitate la vostra attenzione all'aria mentre passa attraverso le narici... b. Dopo dieci o quindici minuti spostate la vostra attenzione sulle sensazioni suscitate dall'aria che entra e che esce attraverso l'intero apparato respiratorio, soprattutto la zona addominale. Più tempo siete in grado di dare all'esercizio e maggiore sarà il frutto che ne ricavate. Ma non esagerate. Una concentrazione prolungata per ore su una funzione così tenue come la respirazione può produrre allucinazioni o smuovere fuori dall'inconscio del materiale che poi non siete capaci di controllare. è un pericolo remoto, ma è giusto che ne siate consapevoli. Esercizio 2 Prendo coscienza del ciclo respiratorio: Espirando mi libero da tutto ciò che in me ce di impuro, di torbido, di velenoso. Visualizzo come una nube nera carica di scorie che lascia la mia persona. Conseguentemente raggiungo le mie profondità interiori, rese pure e ricettive. Sospendendo il respiro, ossia nella pausa di apnea mi pongo in uno stato di quiete totale, quasi di sospensione della vita. Sono riconciliato con me stesso e la realtà che mi circonda. Intanto emerge prepotente il desiderio di "vivere". Inspirando accolgo l'aria carica di ossigeno, la vita, lo Spirito che ci genera e trasforma. Sento che essa penetra nelle zone più remote della mia persona, che ogni cellula, la più piccola e la più periferica, è raggiunta e rivitalizzata. Visualizzo una nube luminosa che mi permea e mi trasfigura. Passo poi a ritmare il ciclo respiratorio (espirazione prolungata pausa, inspirazione), accompagnandolo con espressioni ripetute a fior di labbra o pronunciate mentalmente o percepite interiormente, o tutte queste cose cose insieme ordinatamente. Se l'attenzione è rivolta prevalentemente su me stesso dirò, penserò, sentirò: Abbandonare/Discendere (espiro prolungato) Unirsi (pausa) Rinnovarsi (inspiro). Se l'attenzione è prevalentemente rivolta su Dio, dirò, penserò, sentirò: Via da me/Verso di TE (espiro prolungato) Tutto in TE (pausa) Rinnovato da TE (inspiro). Posso ritmare la respirazione anche con altri nomi o formule divini, distri 75
buendoli nei due momenti (espiro/inspiro, o viceversa), e facendo attenzione alla pausa, che posso compiere anche prima di riprendere il successivo ciclo respiratorio (espiro pausa inspiro paura, ecc.), fissando così meglio la rísonanza interiore delle singole fasi. Infine, mi identifico con il fluire profondo e ritmato del respiro, senza più il supporto di parole pensieri sentimenti particolari. il respiro/Spirito è ora lui che prega in me. Questo è il segreto linguaggio con il quale comunico immediatamente con Dio. Ecco perché la Bibbia dice di "pregare nello Spirito santo" (Gd 20). esercizio 3 "Siedi in silenzio e comincia a osservare il tuo respiro. il punto di osservazione più semplice è all'entrata del naso. Quando il respiro entra, avvertine il contatto all'inizio del condotto nasale: osservalo da quel punto. Il contatto sarà più facile da osservare, il respiro sarebbe troppo sottile: all'inizio limitaci a osservarne il contatto. il respiro entra e tu lo senti entrare: osservalo. E poi accompagnalo, seguilo. Scoprirai che a un certo punto si arresta. Si ferma da qualche parte vicino all'ombelico; per un attimo si arresta. Quindi, risale verso l'esterno: seguilo, di nuovo percepisci il contatto del respiro che fuoriesce dal naso. Seguilo, accompagnalo verso l'esterno: di nuovo arriverai a un punto in cui per un attimo brevissimo il respiro si arresta. E il ciclo riprende un'altra volta. Inspirazione, pausa, espirazione, pausa, inspirazione, pausa. Dentro di te quella pausa è il fenomeno più misterioso. Quando il respiro è entrato in te e si è fermato, non ce nessun movimento: quello è, l'attimo in cui si può incontrare Dio. Oppure quando il respiro esce e poi si arresta, e non esiste alcun movimento. Ricorda, non lo devi arrestare tu: si ferma da solo. Se lo interrompi volontariamente, quell'istante ti sfuggirà, perché colui che agisce interferirà e scomparirà il testimone. Tu non devi interferire. Non devi alterare il ritmo della respirazione, non devi né inalare né esalare. Non è come il pranayama dello yoga, dove tu intervieni per controllare il respiro. Non è la stessa cosa. Non alteri affatto il respiro, lasci spazio al suo fluire naturale, alla sua naturalezza. Lo segui quando esce e lo segui quando entra. E presto ti accorgerai dell'esistenza di due pause. In queste due pause si trova la porta. E in quelle due pause perverrai alla comprensione, vedrai che il respiro in se stesso non è vita, forse è nutrimento per la vita, come altri cibi, ma non è la vita. Perché quando il respirò si arresta, tu sei presente, assolutamente presente: sei perfettamente consapevole, assolutamente cosciente. E anche se il respiro si è arrestato, se il respiro non c'è più, tu ci sei ancora. Praticando questa osservazione del respiro - che il Buddha chiama viparrana oppure ana anarati yoga - se continui a osservare a osservare, a osservare, ti accorgerai che pian piano la pausa aumenta e si allarga sempre di più. Alla fi 76
ne accade che la pausa dura per diversi minuti. Una inspirazione e la pausa... e per alcuni minuti il respiro non esce. Tutto si è fermato. il mondo si è fermato il tempo si è fermato, il pensiero si è fermato Perché non è possibile pensare quando il respiro si arresta. E quando il respiro si arresta per diversi minuti, è assolutamente impossibile pensare, perché il processo del pensiero ha costantemente bisogno di ossigeno e il tuo processo cognitivo è profondamente connesso con la respirazione. Con l'arrestarsi della mente, il mondo intero si ferma: perche la mente è il mondo. E in questa pausa riuscirai a percepire per la prima volta il respiro all'interno del respiro; la vita dall'interno della vita. Questa è un'esperienza liberatoria. è uni esperienza che ti rende più sensibile nei confronti di Dio".
ABITARE L'AMBIENTE Appena uno si siede a meditare e cerca di raggiungere il silenzio interiore, ecco che d'improvviso il mondo sembra risvegliarsi attorno a lui. Attraverso i canali dei cinque sensi, ogni possibile creatura bussa alla porta della nostra attenzione e si impone senza riguardi alla mente. Come reagire all'assalto del mondo esterno che ci trascina con sé nel vortice della dispersione? La risposta va ricercata ancora una volta nella consapevolezza. Diventate consapevoli di ogni sollecitazione e la pace sopraggiungerà presto, come d'incanto. Occorre imparare a non lottare, a non reagire con stizza e violenza. Accettate con estrema naturalezza il fatto di una concentrazione parziale, diventate consapevoli di tutte le sensazioni, accoglietele per quello che sono, poi congedatele amorevolmente e riprendete con calma e decisione il cammino verso il silenzio interiore. Se non vi allarmate, ben presto vi accorgerete del duplice effetto benefico di questo esercizio. Esso vi conduce anzitutto a prendere coscienza del mondo circostante e a renderlo amico. Perché dovreste fuggirlo? Non è forse meraviglioso? E queste "porte" che vi permettono di comunicare con quanto è attorno a voi e di inserirvi come una parte nel tutto, non sono forse qualcosa di divino? Perche dovreste sopprìmerle? E la facoltà della vostra mente, di registrare anche gli stimoli più sottili e di familiarizzare con essi, non costituisce forse anch'essa un vero prodigio? Senza questa facoltà il mondo non esisterebbe affatto per voi, la danza della vita vi rimarrebbe per 77
sempre sconosciuta e ogni visione si spegnerebbe nell'oscurità di una notte senza stelle. Sviluppate dunque e coltivate questo potenziale della mente, diventando sempre più consapevoli della infinita danza della vita in voi e attorno a voi. C'è solo un impegno cui attenervi: essere protagonisti, essere in ascolto. Siate consapevoli di voi stessi, del vostro essere in ascolto. Se trascurate questa attenzione, allora subentra la distrazione. Le distrazioni non consistono nel percepire il linguaggio delle cose, ma nel lasciarsi trascinare sulla corrente dell'inconsapevolezza. Quando offrite agli stimoli del mondo esterno un ascolto attento e consapevole, ben presto vi accorgerete di abitare sempre più profondamente voi stessi e, alla fine, incontrerete il silenzio. è il secondo frutto di questo semplice e umile esercizio. Allora sarete pervasi da una grande pace. Arriverà il momento in cui vi renderete perfettamente conto del continuo fluire della vita in voi e attorno a voi e ne percepirete distintamente il ritmo e ogni movimento senza scostarvi neppure di un millimetro dalla perfetta coscienza di voi stessi e dalla pace interiore. Percepirete la vita come danza silenziosa sullo schermo del più profondo raccoglimento. esercizio Antonio DE MELLO, un gesuita indiano che ha inculturato le tradizioni meditative asiatiche nella pratica occidentale, ci suggerisce il seguente esercizio: Chiudi gli occhi. Con i pollici blocca gli orecchi e copri gli occhi con le palme delle mani. Ora non odi alcun suono attorno a te. Ascolta il suono del tuo respiro. Dopo dieci respirazioni complete porta delicatamente le mani a riposare sulle ginocchia. Resta con gli occhi chiusi. Ora ascolta attentamente tutti i suoni che ti circondano quanti più puoi, quelli forti, quelli deboli, quelli vicini, quelli lontani... Dopo un po'ascolta questi suoni senza identificarli (suono di passi, ticchectìo di orologio, rumore del traffico...). Ascolta tutto il mondo dei suoni attorno a te come un tutto...z. Man mano che si sviluppa in voi la capacità di essere presenti in modo consapevole ai differenti stimoli dell'ambiente, potete disporvi all'ascolto interiore. diventate consapevoli delle risonanze che l'incontro con l'udito suscita in voi: Cosa sento dentro di me mentre ascolto? quali sentimenti emergono, quali staci d'animo? quali ricordi? Diventate consapevoli del fatto che. siete proprio voi che ascoltate! Esercizi analoghi si possono compiere in rapporto agli altri sensi: vista, pa 78
lato, odorato, tatto. Ciò che viene chiesto è semplicemente di vivere al rallentatore ogni incontro e di gustarlo nella consapevolezza. il passaggio dalla percezione esteriore a quella interiore è molto importante, perché permette di sentirci vivi e creativi. il mondo esiste fuori di noi e prima di noi, ma è nella consapevolezza che ne intravvediamo la realtà e il messaggio. Si può anche procedere in senso inverso, partendo dalla percezione attenta e prolungata di una realtà esterna (un'immagine, una musica, forse semplicemente un rumore) per fissarne successivamente la risonanza interiore.
IL CHIACCHIERICCIO MENTALE Una delle più gravi insidie alla meditazione e al raccoglimento è senza dubbio costituita dal cumulo dei pensieri che affollano la mente e turbano la pace dell'animo. La mente afferma Teofane il Recluso, mistico russo vissuto nel secolo scorso -, "è come un mercato di roba usata pieno di gente: non è possibile pregare Dio in un posto simile". Per questo i Padri raccomandano: "Cerca di mantenere la tua mente, nel tempo della preghiera, sorda e muta, e così potrai fare orazione. La preghiera è rifiuto dei pensieri" (Evagrio Pontico). La sorgente cui attinge il flusso dei pensieri può essere tanto nel passato, quanto nel presente o nel futuro. Soprattutto quando chiama in causa il mondo dei sentimenti, il tumulto dei pensieri si fa particolarmente insistente, pericoloso e tenace. La calma dei pensieri e dei sentimenti richiede spesso un impegno notevole; esso sarà tanto più faticoso, quanto più siamo abitualmente immersi in una vita ricca di relazioni, impegnata e attiva. Per quanto strano possa apparire, un primo mezzo efficace per la calma dei pensieri e dei sentimenti sta nella corretta posizione, soprattutto per quanto riguarda la spina dorsale. è difficile spiegarne le cause, ma è un fatto che vi sarà quasi impossibile nutrire, a esempio, pensieri di odio o di risentimento quando vi trovate perfettamente stabiliti in una delle classiche posizioni di meditazione. il mezzo più efficace, tuttavia, rimane quello della consapevolezza. Diventate semplicemente consapevoli del fatto che state pensando e della natura dei vostri pensieri. Belli o brutti che siano, non è il caso di allarmarsi. Anche qui il vero problema non è nel pensare, ma nell'essere trascinati dalla corrente dei pensieri nell'inconsapevolezza di chi sogna a occhi aperti. Non disprezzate i vostri pensieri. Per quanto strani, sono il frutto 79
di un meccanismo meraviglioso che nessuna tecnica è mai riuscito a imitare. Nella consapevolezza vi accorgerete ben presto che anche i pensieri sono alla fine degli amici discreti: si ritirano in buon ordine rispettando il vostro desiderio di pace, se non siete loro indifferenti o ostili. Come vincere la distrazione La pratica della consapevolezza è il migliore antidoto alla distrazione, che sembra esplodere con singolare virulenza proprio quando ci si mette a meditare. Come darcene ragione? il fatto è che più scendiamo in profondità, più ci accorgiamo di come la nostra vita è tutta presa nel vortice dell'esteriorità e della superficialità; più percepiamo la distanza del cuore da Dio. Se per fronteggiare questo complesso di sollecitazioni ci dovessimo rifugiare nella meditazione discorsiva, cadremmo in una grande illusione. è come chi alza la voce a squarciagola per farsi sentire da un uditorio immerso nel chiasso! La via della tranquillità e della consapevolezza mette dunque a nudo lo stato di endemica confusione mentale in cui viviamo. Ci scopriamo cioè perennemente distratti e dissipati. E se può risultare non difficile arginare pensieri, immaginazioni e sentimenti con altri pensieri, altre immaginazioni e altri sentimenti, ci apparirà impresa disperata disciplinare e far tacere il nostro mondo interiore, posto al limite tra conscio e inconscio, che si raggiunge nella pratica meditativa. Occorre pertanto fin d'ora fissare alcuni atteggiamenti di base per fronteggiare la distrazione. il primo consiste nell'accettarla, senza però arrendersi, senza scomporsi, senza stare al suo gioco. A poco a poco perderà mordente e spesso svanirà con nostra sorpresa. il secondo consiste nell'integrarla nella pratica meditativa. Sia nel senso di accogliere gli eventuali suggerimenti utili al nostro esercizio, sia soprattutto nel senso di farne come un campanello d'allarme che ci sollecita a intensificare l'impegno, a dare il meglio di noi stessi in ogni istante che scandisce il tempo della preghiera. La distrazione farà la fine della sterpaglia, che è molto utile per ravvivare il fuoco quando minaccia di estinguersi. Il terzo consiste nel andar oltre, soprattutto quando le distrazioni non mollassero la loro presa, cercando di tenere costantemente 80
fisso l'occhio interiore sullo scopo che ci prefiggiamo. è come una corsa a ostacoli, che si compie nella consapevolezza di doverli sempre superare. Questo è il segreto della gara! Siccome poi la distrazione getta le sue radici nello stato generale della persona, non c'è di meglio per fronteggiarla che ridare tono al nostro corpo e invitarlo alla tranquillità. Così pure è saggio lasciar cadere le pretese della nostra sensibilità e gli stati d'animo negativi. Tutto questo è quasi automatico, se ci spinge a meditare un ardente desiderio e la sincera "attesa di Dio". Se, infine, vogliamo cautelarci dall'invadenza delle distrazioni quando meditiamo, ci impegneremo a condurre una vita all'insegna della calma, della sobrietà, dell'unificazione interiore, eliminando le tensioni e tenendo costantemente concentrata e elevata la nostra mente e sempre viva e affettuosa la "memoria del cuore". esercizio Chiudete gli occhi o lasciateli semiaperti se lo trovate più giovevole. Ora osservate ogni pensiero che penetra nella vostra mente. Vi sono due maniere di trattare i pensieri: una è di seguirli in giro come un damerino per la strada segue ogni paia di gambe che trova in movimento, non importa in quale direzione queste si muovano. L'altra è di osservarli come un uomo, affacciato alla finestra, guarda i passanti nella strada. Questa seconda è la maniera secondo cui dovete osservare i vostri pensieri. Dopo aver fatto ciò per un po'di tempo, rendetevi conto che state pensando. Potete addirittura dirvi interiormente: io sto pensando... io sto pensando, o più brevemente: Pensando... pensando; per mantenervi consapevoli del processo di pensare che si sta svolgendo dentro di voi. Se vi trovare senza pensieri nella vostra mente e questa è vuota, aspettate che il prossimo pensiero faccia la sua apparizione. state all'erta e, appena il pensiero appare, rendetevi consapevoli dello stesso o del fatto che state pensando"%. Insistete in questo esercizio tutto il tempo necessario per raggiungere le frontiere del silenzio interiore. Una volta racconto, riposatevi. Riprendete con calma l'esercizio ogni volta che vi accorgete di allontanarvi dall'impegno assunto.
CONSAPEVOLEZZA ESISTENZIALE Una volta esercitati a vivere in stato di consapevolezza sotto il profilo fisico, psichico e spirituale, anche la qualità della vita cambia; non solo in merito al rapporto che ci lega agli altri, ma anche a quel 81
lo che ci pone in relazione con l'assoluto, Dio. La consapevolezza, da esercitazione scelta e voluta volta per volta, diventerà un modo di essere e imprimerà un carattere assolutamente nuovo al nostro agire quotidiano. Le relazioni con persone, avvenimenti e cose saranno più vere e quelle con Dio più autentiche e appaganti. Nulla ci sarà più ostile e tutto sembrerà obbedire a un misterioso disegno d'amore. In tal modo sperimenteremo come la vita interiore è fonte delle nostre relazioni esteriori e, come affermano gli antichi filosofi, ci renderemo sempre più coscienti che l'agire segue l'essere o, in termini a noi forse più familiari,l'essere è sorgente del fare. esercizio Come le altre forme di consapevolezza, così anche l'attitudine alla presenza consapevole verso le persone, gli avvenimenti e le realtà della vita si sviluppa con l'esercizio della ricettività. Ecco alcune esemplificazioni illuminanti che riportiamo dallo Zampetti i: "Cammino a lungo sotto il sole, in una calda giornata d'estate e ho molta sete. Trovo alla fine una fontana d'acqua fresca. Mi disseto: sono intensamente presente all'azione del bere e rendo con grande piacere il ristoro che l'acqua mi procura". "In alta montagna avverto l'aria frizzante ammiro il paesaggio sottostante, il verde luccicante delle piante, il ruscello che scorre tranquillo. Sono avvolto dal silenzio, dalla grandiosità, dalla bellezza della natura: mi rendo tutt'uno con l'ambiente circostante". "Ascolto una musica e a tal punto sono preso dalla bellezza delle note che mi. rendo vibrare di emozione intensa, di profonda gioia interiore". "Mi scaldo al fuoco e sento la piacevole sensazione del corpo che si sta scaldando". "Quando sono in una compagnia affiatata, godo dello stare insieme e mi sento parte integrante". "in tutti questi esempi ho utilizzato il verbo sentire che è il verbo tipico dell'attenzione cosciente, e il verbo che esprime il nostro coinvolgimento con ciò che stiamo facendo. Perché parlo di attenzione cosciente e non di semplice attenzione? Perché nell'attenzione semplice noi registriamo meccanicamente, in maniera più o meno accurata, le sensazioni esterne, allo stesso modo, press'apoco, di come gli stimoli acustici ed ottici impressionano il nastro magnetico o la pellicola fotografica. L'attenzione cosciente va oltre, perché vede anche la percezione interiore del mio modo di sentire, di partecipare a quel cerco evento. L'esperienza è vivificata dall'io che la compie". 82
Dare un anima allgire quotidiano, La capacità di dare un'anima all'agire quotidiano è forse l'aspetto più importante e decisivo dell'esistenza. il poeta cinese Pang Yun cantava: "Nella mia vita quotidiana non ho altri lavori di quelli che mi capitano in mano. Nulla io scelgo, nulla respingo. Qual è il mio magico potere e il mio esercizio spirituale? Trasportare acqua e raccogliere legna da ardere". "Vivere in uno stato di consapevolezza autentica - osserva K. Tilmann - ci permette di passare da una conoscenza superficiale delle cose a una conoscenza che le coglie nel loro profondo, nel loro interno". Da questo "messaggio essenziale delle cose possiamo giungere a una realtà ancora più profonda, all'essere, al fondamento primo, a Dio". "Spesso - scrive lo stesso autore -l'interiorizzazione della propria esperienza diventa meditazione su un problema, un significato, un valore. Il suo contenuto non è bell'e pronto ma nascosto in un avvenimento, per cui viene solo presentito. L'interiorizzazione si pone sulle sue tracce. L'uomo comincia a vivere con il suo problema, finché questo non gli riveli il suo significato. Se si tratta di qualcosa di doloroso, sopportiamolo, lasciamolo agire in noi, non pensiamo subito a quel che dobbiamo fare. Se ci manteniamo perfettamente tranquilli, maturerà in noi la soluzione giusta". Per vivere l'incontro consapevole con il quotidiano, tuttavia, non è necessario attendere il sopraggiungere di situazioni limite. Anzi, più saremo esercitati nell'arte della consapevolezza, più saremo in grado di affrontare con serenità, senza lasciarci prendere dal panico o dalla fretta, situazioni impreviste, problematiche o dolorose. "Sono andato da Maggid di Maseritz - ebbe a dire una persona che lo ammirava non per imparare da lui laThorà ossia la legge divina, ma per vedere come si allacciava i sandali". Dopo la morte di rabbi Mosches di Kobryn, domandarono a un suo discepolo: "Qual era la cosa più importante per il vostro maestro?" Egli rifletté un momento, poi rispose: "Quella che stava facendo". La volontà cosciente ci abitua a "volere quello che ci capita", afferma R. Vittoz, e questo significa imparare a cooperare con l'inevitabile e con l'incomprensibile. Più sviluppiamo la consapevolezza, e più arriveremo a porci in 83
ascolto dell'altro con un vero silenzio interiore, "volendo sinceramente il suo bene e riconoscendo a ciascuno il diritto di essere se stesso. Cerchiamo di metterci nei suoi panni, di pensare con la sua testa, tenendo presenti le sue inclinazioni, il suo carattere, il suo destino, le sue doti e i suoi limiti. Infine - conclude il Tilmann - proviamo ad attingere dal nostro profondo sentimenti che ci avvicinino al suo intimo". L'attenzione cosciente ai processi conoscitivi e volitivi L'affermazione del Tilmann ci fa capire come l'attenzione cosciente non è solo uno sguardo rivolto all'esterno, ma soprattutto ascolto interiore, nel senso di quanto afferma F. Perls quando scrive: "La consapevolezza consiste nell'avvertire quanto sorge in noi". Anche dal punto di vista della consapevolezza esistenziale, questo ascolto interiore è di estrema importanza. La percezione del mondo esterno, infatti, è sempre condizionata dalla nostra soggettività. Essa, assai più delle realtà che incontriamo, determina la qualità della nostra vita e dei nostri rapporti. Perché, a esempio, una stessa persona è simpatica a me e antipatica a un altro? il motivo è semplicemente in noi, nel diverso modo di accostarci alla vita e nella diversità delle attese che avanziamo nei suoi confronti. Diventare consapevoli di questo gioco determinante della soggettività è fondamentale per un corretto e felice rapporto con gli altri. In riferimento alla volontà poi, la consapevolezza ci porta ad amare ciò che costituisce volta per volta il nostro impegno e il nostro dovere. Normalmente si ritiene che la volontà consista nella capacità di sottoporci a uno sforzo, a un impegno rigoroso di autodisciplina. Senza sottovalutare questo aspetto, occorre tuttavia affermare con chiarezza che la vera volontà non sta nello sforzo, ma nell'amore, per cui si aderisce con naturalezza e lìbertà interiore a quanto si ritiene buono, giusto e doveroso. Niente come la consapevolezza favorisce questa nuova capacità d'incontro con il proprio dovere, poiché ci educa all'amore e ci porta ad accogliere con eguale simpatia e benevolenza ogni realtà che bussa alla porta della nostra disponibilità e della nostra attenzione. B.S. RAJNEESH, Il libro arancione, Roma 1984, pp. 70-71. 2 a. De mello, Un cammino verso DIo (Sadhana), Roma 1983, pp. 54-55. 3 DE MELLO, Cit., 2G. "4 G. zampetti Lttenzione cosciente, Bologna 1980, pp.1G-17. 84
7. Consapevolezza e contemplazione
La preghiera esige attenzione, esige che venga orientata verso Dio tutta l'attenzione di cui l'anima è capace. La qualità dell'attenzione è strettamente collegata alla qualità della preghiera. il calore del sentimento non può supplire: tutti gli esercizi servono a sviluppare l'attenzione che è l'essenza della preghiera. (S. Weil) L'attenzione è il cuore dell'autentica prassi religiosa. il centro di gravità, invece di mutare in continuazione a seconda del pensiero-emozione predominante, diventa sempre più semplice e costante essere consapevoli ci mette in grado di incamminarci oltre l'io e ci rende meno improbabile la realizzazione del Gratuito. (C. Pensa)
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I,
UN'ATTESA MAI INTERROTTA Nè PERSA... La pratica degli esercizi di consapevolezza ci ha lasciato con un interrogativo; anzi lo ha reso ancora più pressante: in che rapporto si collocano con la contemplazione o ricerca orante e adorante di Dio? Le risposte sono molteplici, ma limitiamoci a tre. Riteniamo anzitutto che ogni pratica meditativa, qualunque finalità si proponga, di sua natura rientra nell'esaltante e faticoso cammino dell'uomo verso l'Assoluto. Chi medita non cessa di proclamare che l'uomo è un pellegrino che tende verso una Meta lontana e che, in ogni esperienza interiore, dischiude l'animo verso orizzonti d'infinito. Mossi da esigenze e da disposizioni diverse, anche gli uomini di oggi si ripropongono, consapevolmente o inconsapevolmente,l'interrogativo supremo: che ne è della mia vita alla luce di Dio? Che ne è di Dio nella trama della mia vita? Se la ricerca dell'uomo è onesta e corretta, non può non risolversi in un incontro! L'uomo raggiunge il Sé divino attraverso il sé umano, o se si preferisce,l'uomo ritrova e accoglie il Sé divino nel purificato grembo del sé umano. Una seconda risposta può essere formulata sulla falsariga di quanto la Prima lettera dz giovanni afferma a proposito dell'amore: "Se uno dicesse: Io amo Dio, e odiasse suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (4,20). Alla stessa stregua si può dire della contemplazione: Chi non è in grado di contemplare il mistero nascosto nelle realtà che vede, come può scrutare il mistero di Dio che non vede? Le profondità di Dio - ci ricorda Riccardo di San Vittore si dischiudono a chi sa volgersi alle profondità del proprio spirito. La pratica meditativa è una palestra dove ci alleniamo a renderci aperti al mistero della vita, fino alla rivelazione suprema di Dio e alla beatificante comunione con lui. In questo senso, ogni pratica meditativa attenta al Mistero, è anche di sua natura preghiera. Chi medita e si immerge nel silenzio dell'ascolto e della disponibilità è più vicino a Dio di chi, pur pregando, trascura questi aspetti fondamentali dell'atteggiamento religioso. Sono essi, infatti, che danno profondità e trasparenza alla molteplicità di modi e di mezzi con cui entriamo in comunione con il divino. Una terza risposta che possiamo formulare in merito al rapporto 87
tra consapevolezza e contemplazione, si riferisce al fatto che "Dio non è lontano da ciascuno di noi. In lui, infatti, viviamo, ci muoviamo e esistiamo... essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro a ogni cosa" (At 17,27-25). Pur non identificandosi con Dio né l'uomo né quanto lo circonda la presenza consapevole al reale costituisce sempre una manifestazione del Divino e un luogo immediato di rivelazione per chi ha occhio attento e cuore puro.
CONSAPEVOLEZZA E CONTEMPLAZIONE Su questa linea si inseriscono alcuni rilievi di A. De Mello , che riprendiamo sinteticamente. "Se possiamo chiamare genericamente preghiera ogni comunicazione con Dio attraverso l'uso di parole, immagini, pensieri, diremo che contemplazione è la comunicazione con Dio che fa il minimo uso di parole immagini e concetti La comunicazione con Dio nella preghiera è quindi, ordinariamente indiretta: avviene attraverzo l'uso di immagini e concetti che si frappongono tra noi e Dio e che necessariamente disturbano la sua realtà. Essere capaci di cogliere Dio al di là di questi pensieri e immagini è privilegio di una facoltà che chiamiamo cuore. Nella maggioranza di noi questo cuore giace assopito e sottosviluppato. Se fosse destato, sarebbe continuamente in tensione verso Dio e, data l'occasione, trascinerebbe tutto il nostro essere verso di lui. Ma per far questo bisogna che sia sviluppato, bisogna rimuovere le scorie che lo circondano in modo che possa essere attirato dal Magnete eterno. Le scorie sono il vasto numero di pensieri, parole e immagini che costantemente interponiamo fra noi stessi e Dio, mentre siamo in comunicazione con lui. La comunicazione più profonda passa attraverso il silenzio. Ma cosa fisso quando contemplo silenziosamente Dio? Una realtà 'senza immagini, senza forma. Un vuoto! Ora è precisamente questo che ci è domandato se desideriamo approfondire la comunione con l'Infinito, con Dio: fissare per ore I uno spazio vuoto, con amore. Finché la macchina della vostra mente continua a filare milioni di pensieri e parole, la vostra mente mistica o cuore rimane sottosviluppata. Voi avete notato che gli altri sensi di un cieco diventano più 88
efficienti nella misura in cui debbono sopperire alla mancanza della vista. Se anche noi fossimo, per così dire, mentalmente ciechi, se potessimo mettere una benda al nostro cervello raziocinante mentre stiamo comunicando con Dio, saremmo costretti a sviluppare la facoltà che più intensamente comunica con lui, il cuore. Quando il cuore getta il suo primo, diretto, oscuro sguardo su Dio, ha l'impressione di perdersi nel nulla, ma se persevera nell'esercizio scoprirà gradualmente che vi è un pienezza che ricolma, che l'ozio è pieno dell'attività di Dio, che il nulla è ricreato al misterioso contatto con il tutto... Ricavandone freschezza, nutrimento e benessere, avvertiremo una fame crescente di tornare a questa oscura contemplazione che sembra insensata eppure ci riempie di vitalità, addirittura di una mite intossicazione, che possiamo a mala pena percepire con la mente, sentire con le emozioni, descrivere con parole, e tuttavia è inequivocabilmente là e così reale e piacevole che non la cambieremmo con nessuna intossicazione proveniente dalle delizie che il mondo dei sensi e la nostra mente ci possono offrire. Se vogliamo raggiungere questo stato e avvicinarci a questa mistica oscurità e cominciare a comunicare con Dio attraverso questo cuore di cui parlano i mistici, la prima cosa che dobbiamo fare è trovare qualche maniera per ridurre al silenzio la nostra mente. Alcuni non incontrano molta difficoltà a "tacere di dentro". Se non siamo fra questi fortunati, dobbiamo fare qualcosa per sviluppare il nostro cuore. Direttamente, però, non possiamo far nulla. Tutto quello che possiamo fare è ridurre al silenzio la nostra mente discorsiva: astenerci da ogni parola, pensiero e immaginazione mentre siamo in preghiera e lasciare che il cuore si sviluppi da se stesso. I maestri indù ci dicono che "una spina è rimossa da un'altra". Così ci si può servire di un pensiero che scacci tutti gli altri pensieri che si affollano alla nostra mente. Ricorrendo a un solo pensiero, a una sola immagine (contemplando, a esempio, un'icona) o a una sola parola o formula divina (come una breve invocazione, una giaculatoria), noi abbiamo già drasticamente ridotta la nostra attività discorsiva, e ciò è di immenso aiuto perché il cuore si sviluppi e funzioni. Così anche se non arriviamo mai allo stadio senza-pensieri, senza-immagini e senza-parole, tuttavia con molta probabilità stiamo crescendo nella contemplazione. L'esercizio della contemplazione non sarà a scapito della preghie 89
ra come è stata sopra definita: "l'uno fare,l'altro non omettere", ci ricorderebbe il vangelo. Il fuoco non è la legna, eppure senza legna il fuoco si spegne. Così la preghiera che chiede l'esercizio delle nostre facoltà discorsive e immaginative, oltre a rapportarci con un Dio che si manifesta a noi, suscita nel cuore sentimenti di desiderio, di ricerca, di abbandono che, quando diventano esclusivi, ci fissano nell'atteggiamento contemplativo. "La cosa più importante - scrive s. Teresa di Gesù - non è pensare molto, ma amare molto". Ma l'amore può essere tenuto desto e accresciuto anche attraverso l'apporto della sensibilità e del pensiero.
'Cic., 31-39 90
8. La guarigione interiore
Con le preghiere il monaco si studia di curare tutte le ferite della sua anima. (Evagrio Pontico) La preghiera del cuore viene a guarire la memoria e la trasforma in un cuore palpitante al ritmo imprevedibile della speranza. Una memoria che ama e che ricorderà solo i passaggi dell'Amore. A mano a mano che la preghiera lentamente la pervade, la memoria del cuore ritrova la sua integrità originaria; essa si immerge nella semplicità della memoria di Dio, "poiché la memoria si leva a festa col Padre" (Caterina da Siena). I particolari della nostra vita, li ricordiamo solo nel modo come li vive Dio. Tutto si unifica nel solo ricordo di Dio. Anche il pesante capitale dei ricordi del nostro inconscio collettivo vi sarà purificato. (Daniel Ange) Un'assoluta e indiscussa fede in Dio è il metodo più valido per ottenere la guarigione. Compiere uno sforzo incessante per suscitare questo tipo di fede è il compito supremo e più remunerativo dell'uomo. "Una virtù risanante era uscita da lui" e "La tua fede ci ha salvato": questi sono due passi del Nuovo Testamento che dimostrano come siano necessarie sia la forza del guaritore che la fede del malato. (Yogananda)
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GUARIRE LA MEMORIA Tutti i fiumi scorrono verso il mare. Non diversamente tutte le forme di meditazione tendono a un unico scopo: quello della comunione con il divino attraverso la liberazione dall'inautenticità e lo sviluppo della qualità della vita. Comunione con Dio significa apertura all'amore, poiché Dio è amore. è nell'amore che l'uomo incontra Dio e incontra se stesso. Chi ama non ha difficoltà ad abitare il deserto dell'incontro, e chi abita le regioni del silenzio e della consapevolezza finirà necessariamente per essere toccato e trasformato dalla divina forza dell'amore. Il silenzio, la tranquillità, la consapevolezza che caratterizzano la pratica meditativa sono attitudini che agiscono di per se stesse e in modo determinante sullo sviluppo e il miglioramento della nostra persona. A loro volta, però, tali attitudini sono favorite dal proposito di vivere in modo consapevole ogni frammento dell'esistenza quotidiana, nella conoscenza di noi stessi e nell'apertura verso gli altri. Più cresce il silenzio, più siamo capaci di rapporti autentici con il vissuto. Ma c è anche un cammino inverso: più diventiamo consapevoli di noi stessi e degli altri nel fluire quotidiano dell'esistenza, più siamo capaci di vero silenzio interiore e di contemplazione.
LE DUE INCLINAZIONI DEL CUORE In questa prospettiva è facile intuire l'importanza che assume, per la meditazione e per la vita, quel lavoro su noi stessi che gli autori indicano con espressioni diverse, ma che conduce a un identico risultato: purificazione del cuore, guarigione della memoria o del nostro vissuto, disciplina e controllo dei desideri, dominio o vittoria su se stessi. Simile lavoro interiore costituisce sicuramente uno dei compiti principali, arduo ma anche esaltante, dell'esperienza meditativa e spiana la via all'incontro con Dio, pur valendo sempre anche il contrario, che cioè tale lavoro è la prova più convincente che Dio ha toccato il cuore dell'uomo con efficacia superiore a ogni sforzo e a ogni iniziativa. Vi è una dimensione della persona umana dove affondano tenacemente le loro radici tutti gli orientamenti che influiscono sulla vi 93
ta, si tratti di pensieri o di sentimenti, di immaginazioni o di impulsi. Gesù parla di "cuore", là dove afferma che "è dal di dentro, cioè dal cuore, che escono tutte le inclinazioni al male" (Mc 7,21) non meno che al bene. Come l'uomo debba destreggiarsi fra due orientamenti così opposti è detto in un celebre aforisma rabbinico che commenta il primo precetto divino: "Amerai Dio con tutto il tuo cuore, ossia con le sue due inclinazioni, quella al bene e quella al male". Infatti l'uomo giusto non è colui che ha eliminato l'inclinazione al male, ma colui che se ne serve per andare a Dio.
RITORNO ALLE ORIGINI La dimensione interiore che Gesù chiama cuore, altri la chiamano memoria o vissuto. Da qui le diverse espressioni, che rimandano comunque a un identico impegno, considerato da tutti indispensabile per il raggiungimento della vera comunione con Dio, con noi stessi e con gli altri. La memoria imprime un carattere determinante ai lineamenti della nostra personalità, pur non esaurendola. Esiste infatti la possibilità di andare oltre la memoria e di intervenire su di essa attraverso la consapevolezza. La memoria è un automatismo naturale, ma complesso. Essa non s'iscrive soltanto nella sfera mentale, ma è anche di natura psichica e fisica. Tracce delle nostre esperienze passate si sono depositate in tutte le cellule del nostro essere e agiscono nella nostra vita, sia pure in forma incosciente o subcosciente o ancora supercosciente. La memoria deborda ampiamente dai confini ristretti delle esperienze personali dirette. Il suo dominio si perde nella notte dei tempi. Nella memoria di ogni essere sono accumulate le esperienze di generazioni e generazioni. Attraverso l'analisi della memoria, ognuno potrebbe risalire le tappe del proprio lento e tortuoso sviluppo personale lungo la scala dell'evoluzione. "L'uomo - affermano De Champeaux e Stercks - è un microcosmo anche sul piano della cosmogenesi. La moderna embriologia ha permesso di confermare questa profonda intuizione concepita fin dai tempi più remoti. L'embrione umano, nel corso del suo sviluppo, passa attraverso le successive tappe dell'evoluzione biologica del 94
l'uomo nel corso dei millenni, che, a sua volta, riproduce le tappe, dell'evoluzione dell'universo"1. Tutto questo è di grande importanza per chi vuole applicarsi alla guarigione della memoria attraverso un serio e progressivo lavoro su se stesso. In questo impegno nessuno dovrebbe mai scoraggiarsi a; motivo dei limiti e delle difficoltà che incontra, perché ognuno di noi è in realtà soltanto in parte debitore a sé stesso dei lineamenti della propria personalità, sia in bene che in male. Infinite mani sono concorse a plasmarci nella nostra forma attuale. Attraverso di esse Dio ha fissato il suo appuntamento d'amore con noi, nella complessa e irrepetibile espressione della nostra realtà personale. Se vissuto consapevolmente, questo modo di percepire noi stessi è di grande aiuto per la nostra presente e futura evoluzione. Infatti, se riusciamo ad accoglierci nei tratti positivi e negativi che contrassegnano la nostra personalítà come la risultante di un progetto di amore alla cui realizzazione hanno contribuito un numero infinito di esseri per uno spazio di tempo che affonda le sue radici nel mattino della creazione, allora siamo nella condizione ideale per lavorare su noi stessi con serenità e grande entusiasmo. il punto di partenza per ogni impegno di perfezionamento è simile consapevolezza, fonte di serenità e di pace interiore. Chi si appresta dunque a questo lavoro di guarigione della memoria o del proprio vissuto, dovrebbe prendere a esempio la saggezza e la pazienza del contadino. Egli non dispera se il campo è invaso da sassi e rovi, ma si mette alacremente a dissodare il terreno. Non rimprovera se stesso se il campo produce più spine che frutti, ma si pone di buon grado a lavorare il terreno che gli è stato assegnato. Così dovrebbe agire ognuno di noi in riferimento alla bonifica di quel campo che è il cuore, dove si trova nascosto il grande tesoro (Mt 13,44). Chi lo trova, nel colmo della gioia, è disposto a vendere tutto per possedere quel campo.
UN DUPLICE PROCESSO: DIMENTICARE E RI-COR-DARE Sensazioni e immagini, pensieri e aneliti dello spirito confluiscono in quel "ventre dell'anima" che è la memoria, al dire di s. Agostino da cui riprendiamo concetti e immagini". 95
Parte integrante di noi stessi, sedimentazione del nostro passato che influisce sul presente e sull'avvenire, la memoria "ispira quasi un senso di terrore per la sua infinita e profonda complessità". L'uomo, infatti, "nell'enorme palazzo della sua memoria incontra se stesso", la propria grandezza e la propria miseria. Ora, la nostra memoria è malata. Nei suoi "antri", nelle sue "caverne", nei suoi più "segreti ripostigli", si sono raccolte e impresse, oltre a quelle positive, tutte le tracce negative del nostro sentire, del nostro pensare e del nostro operare. Conservando il ricordo del male compiuto o subito,l'uomo rischia di sopprimere in sé la forza del ricordo di Dio. Conseguentemente nel suo cuore si affievolisce fin quasi a scomparire la "memoria di Dio". Eppure tale memoria resta tenacemente radicata nell'animo umano?. Né potrebbe essere altrimenti, giacché Dio è la ragion d'essere di ogni creatura nella quale dimora, anche se nascosto, dimenticato, rinnegato. La guarigione interiore passa attraverso un duplice processo, nel quale è difficile stabilire un prima e un poi. L'essenziale è che siano vissuti tutt'e due gli aspetti. I. La memoria guarisce dimenticando. Qui non si tratta però semplicemente di allontanare un pensiero negativo o molesto, ma di sgombrare il cuore dalle tracce del male che vi si sono accumulate e che ora fanno un tutt'uno con esso. Dio in persona ci insegna l'arte del dimenticare: "Non ricordate più le cose passate, / non pensate più alle cose antiche! / Ecco, faccio una cosa nuova: / proprio" ora germoglia, non ve ne accorgete? / ", io" cancello i tuoi misfatti, / per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati. / Ecco, infatti, io creo / nuovi cieli e nuova terra; / non si ricorderà più il passato, / non verrà più in mente" (Is 43,18-19.25;65,17). Dio dunque per amore di se stesso non tollera che nel proprio cuore rimangano dei ricordi negativi. Per questo "si getta i nostri peccati dietro le spalle" (Is 38,17). Così siamo invitati a fare anche noi. il che è possibile se ci immergiamo in un profondo silenzio di tutto il nostro essere, dimenticando. Dimenticare non significa affatto "rimuovere", nascondendo nell'inconscio ricordi dolorosi e inaccettabili; e neppure significa soltanto lasciar svanire, cosa non sempre facile o possibile. Dimenticare significa piuttosto percepire i nostri ricordi in modo diverso, purifi 96
candoli dal loro carattere negativo e rivivendoli in modo positivo, come momenti di un misterioso processo cui non è mai estraneo l'amore misericordioso di Dio. La liturgia ci offre un mirabile esempio, quando "integra" il peccato originale chiamandolo "colpa felice". Una massima giapponese ci invita a considerare avversità e insuccessi non come i nostri nemici, ma come i nostri migliori maestri. Cosa dunque ha voluto insegnarmi il Signore attraverso i miei errori e i contrasti della vita? La parola d'ordine di questo esercizio sarà quindi lasciar emergere e risignificare i nostri ricordi, ponendoci però in atteggiamento distaccato e libero da ogni giudizio e non dimenticando che "qualunque cosa ci rimproveri il nostro cuore, Dio è più grande del nostro cuore" (1 Gv 3,20) e che "l'uomo supera infinitamente l'uomo" (Pascal) così da non identificarsi né con i suoi errori né con i suoi limiti: io pecco, ma non sono il mio peccato; sbaglio, ma non mi irretisco nel mio errore; soffro, ma non mi chiudo nella sofferenza. La guarigione della memoria non passa però attraverso complessi ragionamenti che possiamo formulare in merito ai nostri ricordi. Passa piuttosto attraverso l'accettazione e la liberazione interiori, che si operano nel silenzio: "Se fossi medico - scriveva S. Kierkegaard guarirei i miei pazienti con il silenzio". E St.-Exupéry: "Solo nel silenzio la verità di ciascuno si ricompone e mette radici". 2. La memoria guarisce ri-cor-dando, ossia ridando il cuore a Dio. Nella Bibbia è insistente l'appello a ricordarsi di Dio, del suo amore, della sua alleanza, dei suoi benefici. Ridare il cuore a Dio significa esporlo alla effusione rigeneratrice del suo Spirito, che fa nuove tutte le cose. La preghiera è la via maestra del ricordo di Dio. Guarisce la preghiera che si indugia sui gesti di salvezza compiuti dal Signore a vantaggio del suo popolo. Guarisce la preghiera che supplica e loda, invoca e ringrazia. Guarisce la preghiera che fissa il proprio sguardo d'amore in Dio, nel totale silenzio del nostro essere. In quest'ultimo stadio, dimenticare e ricordare diventano un tutt'uno. L'uomo dimentica nella misura in cui ri corda, ossia nella misura in cui dà il proprio cuore a Dio, nell'adorazione e nella gratitudine. Si inabissa così in un vuoto che si traduce in pienezza, in un nulla che rivela il Tutto in cui l'orante si ritrova quando più vi si 97
perde. Ecco perché la preghiera contemplativa,l'adorazione amorosa e riconoscente che si sprigiona da un cuore immerso nel silenzio e nella pace, risulta via maestra della guarigione interiore. Esercizio Rivivete (che è più di pensare) i vostri misteri gaudiosi e dolorosi, cogliendo in essi la presenza di Dio. Per questo non parliamo semplicemente di "esperienze", ma di misteri. Tornate anzitutto a un fatto semplicemente lieto e gioioso della vostra vita, anche se allora non gli avete dato un particolare significato religioso. Questo è ciò che faceva Maria, quando serbava nel suo cuore preziosi ricordi dell'infanzia di Gesù, ricordi ai quali sarebbe tornata in seguito con amore. Anche voi, ritornate mentalmente a un momento della vostra vita in cui vi siete sentiti profondamente amati o avete vissuto una gioia intensa. Come vi è stalo dimostrato l'amore? Cos'è che produsse in voi tale gioia? Soffermatevi sulla scena fino a riviverla nel presente. E quando questo lieto passato rivive pienamente in voi, lasciate che Dio si esprima in esso e parlate con lui. Allo stesso modo potete ritornare su momenti meno felici e dolorosi della vostra vita, rivivendoli alla luce del Crocifisso e trasformandoli con il suo aiuto in misteri gaudiosi. Dio è presente e ci parla anche nei momenti di sofferenza. Ritornando su di essi, è spesso più facile sentire la sua presenza e la sua voce. Ora che la prova è alle vostre spalle, è possibile offrirgli quell'ascolto silenzioso che permette alla vostra mente e al vostro cuore di penetrare il senso nascosto degli avvenimenti e. Sperimentate quanto potere trasformante abbia la preghiera in ordine ai vostri stati d'animo e alla pacificazione del cuore che sa "abbandonarsi". Fate vostri i sentimenti di Teresa di Gesù bambino alla vigilia della morte: "Come è dolce abbandonarsi nelle sue braccia, senza timori né desideri" (a Maurice Bellière,10.8.98).
GUARIRE LE MEMORIA DA CHE COSA? La tranquillità e lo sviluppo della consapevolezza, che sono i due atteggiamenti chiave della meditazione, agiscono già di per se stessi da deterrenti e da equilibratori di quel campo minato che è la nostra memoria. Parallelamente favoriscono l'insorgere di nuove attitudini mentali, che incidono in modo determinante sulla guarigione della memoria e la purificazione del cuore da tutti gli inquinamenti, antichi o recenti, che influiscono negativamente sulla trasparenza dei 98
nostri pensieri e dei nostri sentimenti, del nostro giudizio e delle nostre valutazioni e, conseguentemente, dei nostri atteggiamenti e delle nostre azioni. E tuttavia l'impegno per una consapevolezza più precisa dei singoli veleni che mettono continuamente in forse la serenità e la felicità del nostro cuore e della convivenza con gli altri, è di estrema importanza per un'azione diretta ed efficace su noi stessi. Lo sviluppo di tale consapevolezza ci evita inoltre il pericolo sempre latente dell'estetismo spirituale, che costituisce soltanto una forma più raffinata e insidiosa di egocentrismo, spesso limitato e cocciuto.
I SETTE VIZI CAPITALI I CINQUE VELENI Nella terminologia cristiana, questi veleni sono indicati con il nome di vizi capitali. il loro numero classico è sette, ma può essere facilmente ristretto o ampliato, a seconda del significato che si attribuisce ai termini nelle singole classificazioni. Nella tradizione cristiana d'Occidente si ha il seguente elenco: Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidia. A questo elenco la chiesa d'Oriente aggiunge un ottavo: la Tristezza. Ma alcuni autori, come Evagrio Pontico e s. Massimo Confessore, sostengono anche l'idea di un solo vizio capitale, che sarebbe alla radice di tutti, ossia la filautia o amor proprio. Dante all'inizio della Divina commedia parla di tre bestie che impediscono il cammino verso la luce: lussuria, superbia, cupidigia. In Oriente, i vizi cpitali ricevono il nome di veleni. In numero di cinque, essi "ostruiscono il passaggio verso le cinque saggezze o capacità". Per questo vengono anche chiamati: le cinque passioni ottenebranti o le cinque catene che rendono l'uomo schiavo o, ancora, le cinque passioni che compongono l'egoismo. Essi sono:l'Odio,l'Orgoglio,l'Avidità, la Gelosia, la Stupidità. A ognuno dei veleni si contrappone un antidoto, ossia le cinque azioni divine. Sono: l'Amore, la Compassione,l'Altruismo,l'Imparzialità, la Sapienza della Verità o Conoscenza. Nella simbologia primitiva, i cinque veleni o forze negative, sono spesso rappresentati sotto forma di spiriti maligni, draghi e altri mostri. I loro opposti invece sono simboleggiaci dalle cinque Dee Madri, a ognuna 99
delle quali vengono attribuite caratteristiche proprie e colori corrispondenti: 1. La Dkini Divina, Vajra, Dea dell'Amore Universale: bianco, pace, tranquillità; 2. La Dkini Preziosa, Ratna, Dea della Grande Pietà: giallo, grandezza, ampiezza mentale; 3. La Dkini Karma o dell'Azione, del comportamento, Dea della Grande Imparzialità: verde, fermezza; 4. La Dkini Loto, Padma, che porta la lancia del Grande Altruismo: rosso, fascino; 5. La Dkini Buddha, Dea dell'Intuito, dell'Inteligenza, dell'illluminazione: blu scuro, conoscenza della Verità, conoscenza della Saggezza totale. "è interessante notare come in quei tempi lontani s'insegnasse già all'uomo a sviluppare le stesse proprietà essenziali del carattere che ogni psicologo considera oggi necessarie per qualsiasi equilibrata relazíone umana. Esattamente come oggi, anche in passato l'uomo non voleva lavorare su se stesso per acquisire queste qualità, che rappresentano il solo antidoto esistente in noi contro i cinque veleni che costituiscono l'egoismo... Per questo motivo, gli antichi crearono dei simboli e delle immagini visibili di queste e altre qualità, e altrettanto fecero per i veleni"5.
LO SRADICAMENTO DEI CINQUE VELENI ATTEGGIAMENTI BASE Prima di passare alla descrizione e all'indicazione di rimedi particolari per la cura dei singoli veleni, sono opportune alcune precisazioni di carattere generale, valide per ogni tipo di analisi di noi stessi e di correzione dei nostri difetti. Alla stregua di quanto avviene quando intendiamo raccoglierci dalla dispersione per dedicarci alla meditazione, così anche quando ci apprestiamo a lavorare alla guarigione della memoria e alla purificazione del cuore, le parole guida del nostro impegno sono fondamentalmente due: tranquillità e consapevolezza. Cercheremo di esplicitarne il preciso significato in una serie di puntualizzazioni, che riusciranno tanto più preziose quanto più, ritornando con frequenza su di esse, le imprimeremo tenacemente nel nostro animo. 100
l. Consapevolezza. La prima terapia da applicare in rapporto a qualsiasi predisposizione o attitudine negativa del nostro carattere, è la consapevolezza. Imparate a vivere con i vostri difetti, diventandone consapevoli. Se siete consapevoli, già siete in fase di guarigione. Tale consapevolezza, più che in momenti particolari di meditazione o di revisione di vita, è opportuno venga esercitata nel contesto stesso della nostra vita quotidiana dove le occasioni di conflittualità e di sofferenza dovute alle nostre attitudini negative, sono più frequenti e immediate. Si tratta di sviluppare la presenza consapevole ai propri stati d'animo e ai nostri sentimenti, sia nell'incontro con gli altri, sia nello svolgimento delle nostre abituali attività, sia nella vita in genere. Invece di reagire in modo inconscio e istintivo, cercate di assumere un'attitudine di ascolto nei confronti di tutte le impressioni che l'incontro con la realtà suscita nel vostro animo. 2. Essere testimoni. Imparate a non identificarvi con i vostri sentimenti, reazioni istintive o stati d'animo negativi. Limitatevi a osservare, in modo distaccato e neutrale. Voi siete una cosa, i vostri stati d'animo e attitudini mentali un'altra. Se siete capaci di questo distacco, eviterete lo scoraggiamento, acuirece le vostre capacità introspettive e il discernimento, e vi sarà più facile essere semplici e sinceri con voi stessi nell'ammettere i vostri difetti. 3. Le prime vittime. Sviluppate la consapevolezza che voi siete le rime e principali vittime delle vostre attitudini mentali sbagliate. Molti pensano pi di ferire con l'odio o con la rabbia chi è stato la causa materiale di una loro frustrazione o sofferenza. Ma in realtà essi feriscono anzitutto se stessi, e spesso in modo irreparabile. 4. Non reprimere ma trasformare. Non reprimete le vostre tendenze negative, ma diventatene semplicemente consapevoli. La repressione serve soltanto a incrementarne la virulenza. Se accettate, senza paure e con ilare semplicità, i tratti negativi del vostro carattere, avete già imboccato la via di una trasformazione lenta ma profonda di voi stessi 5. Un lavoro paziente. Nell'impegno di trasformazione del vostro carattere, procedete sempre con la dovuta pazienza e con molta comprensione per voi stessi. Evitate quindi anche in questo campo ogni forma di avidità, che è sempre causa di ulteriori tensioni e conflitti e finisce per inaridire ogni sorgente capace di fornirvi la dovuta chiaroveggenza e l'entusiasmo necessario per il lavoro che state compiendo. La giusta comprensione per voi stessi, inoltre, vi apre alla comprensione e all'amore per gli altri. 6. Non siete soli. Vivete nella costante consapevolezza che non siete i soli a volere la vostra crescita e il miglioramento di voi stessi. Molte forze benefiche vi offrono il loro apporto prezioso, ma soprattutto siete assistiti dall'amore di Colui dal quale, istante per istante, ricevete energia e vita. 7. Pensate positivamente. Sviluppate e intensificate la vostra famigliarità con
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pensieri e sentimenti positivi, come la fiducia, la gioia,l'ottimismo, la speranza, ecc. Queste forze positive costituiscono una molla formidabile per il vostro progresso spirituale nella trasformazione del vostro carattere. Per questo, alzandovi il mattino, imparate a sorridere al nuovo giorno e a quanto esso vi apporterà; e non addormentatevi la seca, senza avere prima rasserenato il vostro animo. Coltivate pensieri positivi, nei confronti di voi stessi, della vita e degli altri. Cercate di rendere flessibile la mente. Possiamo infatti affermare che la maggior parte dei nostri complessi è causata dalla mancanza di flessibilità mentale e di capacità di adattamento alle varie circostanze che dobbiamo affrontare di volta in volta. La flessibilità mentale è la migliore profilassi contro la formazione di blocchi mentali, quali l'ostinazione, la caparbietà, i preconcetti, le ossessioni, ecc. Nei nostri esercizi mentali dobbiamo dedicare una cura particolare all'adattabilità e all'arrendevolezza. 8. Essere vigilanti. Quando, in qualsiasi momento e circostanza, avvertite in voi la tendenza a "andare giù di morale" o uno stato di disagio e di sofferenza, mettetevi immediatamente sul "chi va là". Le nostre frustrazioni e depressioni, quale che sia la forma che assumono, hanno sempre, accanto a una possibile causa esterna, una causa interna; essa si identifica con l'uno o con l'altro dei cinque veleni. Approfittate di questo sintomo per conoscervi meglio. 9. Sviluppate amore. Sviluppate amore, comprensione, benevolenza, ammirazione verso tutti gli esseri del creato. Come tutti i veleni o vizi possono essere ridotti a uno soltanto la filautia o amor proprio, così lo sviluppo della forza dell'amore ci guarisce da tutte le nostre infermità psichiche e mentali, e sovente anche fisiche. 10. Fi.r.rate il vostro sguardo su alti ideali. Proponetevi un alto ideale, non per possederlo avidamente, ma per fissare in esso con amore il vostro sguardo interiore. è superfluo ricordare che, per il cristiano,l'ideale supremo è Cristo; ma molte sono le vie per giungere sino a lui e i modi di vivere la comunione con lui. Nel testo della Rai, che in seguito citeremo più volte, ci viene offerta in riferimento all'odio, una serie di suggerimenti che valgono anche per ogni altro veleno: 1. Rendersi conto e ammettere con se stessi di provare una sensazione di odio. 2. Riconoscere che ciò è nocivo, sotto ogni aspetto, alla propria salute e impedisce di ragionare correttamente. 3. Evitare di approfondire questo sentimento con pensieri che potrebbero accrescerlo. 4. Scaricare l'eccesso di energia, sia con movimenti fisici sia attraverso la consapevolezza delle cause esterne e interne che sono all'origine di tale emozione negativa. 102
IL RUOLO DELLA CONSAPEVOLEZZA NELLA GUARIGIONE DELLA MEMORIA L'abitudine a vivere consapevolmente il quotidiano rapporto con la vita e con gli altri è di grandissimo aiuto nella guarigione della memoria. La consapevolezza, infatti, ci rende immediatamente coscienti di ogni movimento della mente e della psiche nell'impatto con la realtà, e questo ci mette in grado di guidare e di correggere le reazioni istintive e spesso sbagliate con cui rispondiamo alle sollecitazioni del mondo esterno. Attraverso il costante esercizio, si arriva alla creazione di una vera e propria. seconda natura, capace di prevenire, neutralizzare, correggere o comunque orientare positivamente e senza sforzo l'energia che altrimenti andrebbe sprecata in azioni pensieri o sentimenti dannosi a noi e agli altri. Ispirandoci al libro di Giovanni Zampetti L'l'attenzione cosciente, cercheremo di esplicitare con l'ausilio di un grafico l'importante ruolo della consapevolezza nella guarigione della memoria. Rappresento me stesso con un cerchio grande. il quadrato indica un evento esterno, a esempio: Tizio mi insulta. Con le linee tratteggiate è raffigurato il rapporto effettivo che esiste tra me e l'azione compiuta da Tizio. il piccolo cerchio nel quadrato indica la zona in cui è focalizzata la mia accenzione. Le linee continue indicano anch'esse la zona della mia attenzione e insieme la mia risposta all'evento. il punto nero sta a indicare il "centro interiore" o centro di consapevolezza. nel testo ED ecco le possibili reazioni:
l. La prima reazione è del tutto istintiva. Mi identifico nel gesto compiuto da Tizio. Non vedo che quello. Per" qualsiasi autocontrollo Sarà una reazione automatica e immediata La tensione si farà sempre più intensa. Dalle cattive parole si passerà agli insulti e poi ai gesti: non c'è via d'uscita. L'azione di chi mi assorbe totalmente 103
2. La situazione è simile alla precedente. Sono ancora completamente identificato con l'evento esterno. Le linee tratteggiate però indicano che la risposta, anziché essere espressa come nel caso precedente, è repressa. Covo la rabbia dentro di me. Dal punto di vista psichico questo modo di reagire è peggiore del precedente. A lungo andare causa gravi disturbi e malattie. Ci rende facilmente aggressivi nei confronti di chi è più debole di noi o dei subalterni.
Ci. Appare il piccolo punto nero. Si accende il centro della consapevolezza. L'identificazione con il gesto compiuto da Tizio si attenua. Incomincio ad essere presente a me stesso e a sentire la mia rabbia. è come se entrasse in azione una forza che attira in senso opposto.
c.
4. Per il principiante tale forza è molto debole. La sua familiarità con il centro di consapevolezza è fragile. Ma con l'esercizio la forza d'attrazione del centro di consapevolezza aumenta. Il piccolo cerchio dell'attenzione si sposta sempre di più verso di me. 104
5. Alla fine, la zona di accenzione si sovrappone al centro di consapevolezza e diventa attenzione cosciente all'evento interiore. Sono sempre in relazione con il gesto compiuto da Tizio, ma non mi lascio trascinare né coinvolgere da esso. Sono presente a quanto avviene in me, e questa presenza a me stesso comunica calma, tranquillità, sicurezza. La mia risposta a Tizio sarà leale e saggia. con l'andare del tempo, questo diventerà il mio abituale e naturale modo di reagire alla vita e alle sue provocazioni. I CINQUE VELENI Passiamo ora alla descrizione dei cinque veleni. Naturalmente non è possibile dire tutto su di essi, in quanto le loro manifestazioni sono infinitamente varie e sottili. Le indicazioni offerte possono tuttavia aiutarvi a conoscere meglio voi stessi e a rendervi più consapevoli dell'incidenza che questi veleni esercitano su di voi, mentre vi osservate nel quotidiano fluire dell'esistenza. Poiché si diventa ciò che si contempla, la descrizione dei veleni non viene offerta come materiale di meditazione, ma semplicemente come mezzo per la conoscenza di sé. Meditate invece sulle virtù, specialmente sull'amore, che sono gli antidoti più efficaci alla gramigna dei cinque veleni e loro derivati. 1. L'Odio L'Odio tra gli uomini è un fatto di sempre. una mancata realizzazione di un nostro desiderio, la paura di non essere amati,l'impotenza, una mortificazione, sono spesso causa di odio per qualcuno". Il libro della Genesi ne nota la presenza già nella prima generazione umana e i sapienti sanno osservarlo con occhio lucido. IL caso tipico di Caino che uccide Abele fa vedere bene quale è il processo dell'odio: nato da quel senso di inferiorità che si chiama invidia, tende alla soppressione dell'altro. Invidioso della felicità dell'uomo, il demonio 105
lo ha preso in odio e ne ha provocato la morte: "La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo", si legge in Sapienza 2,24. Da allora il mondo è in balìa dell'odio: "Anche noi - afferma la Lettera a 'I`ito 3,3 - un tempo eravamo insensati... degni di odio e odiandoci a vicenda". "Quest'odio può manifestarsi in sporadici pensieri della durata di pochi secondi verso una o più persone, oppure può diventare uno stato emotivo permanente nei confronti di un determinato individuo o di tutta la società. Dove l'odio prende radici e si trasforma in un atteggiamento permanente di avversione a qualcuno o a qualcosa, acceca le nostre facoltà mentali e ci rende capaci di ogni ingiustizia e violenza. L'odio può trasformarsi in uno stato patologico, e questa costatazione dovrebbe essere sufficiente per farci capire come esso, prima di riversarsi sull'oggetto della nostra avversione, è un'arma rivolta contro noi stessi, capace di infliggerci delle ferite mortali". L'odio esclude dalla felicità del Regno, perché fin tanto che un cuore è turbato dalla presenza di questo veleno, rimane ostruita ogni strada d'accesso alla festa dell'Amore. Per questo il discorso delle Beatitudini tende fondamentalmente a premunirci contro ogni possibile infiltrazione dell'odio nei nostri cuori, insegnandoci a rispondere con il bene anche alle sollecitazioni del male. Solo così si è partecipi di quella pienezza di vita e di amore che è propria del Padre che è nei cieli. Nelle sue forme più virulente,l'odio si presenta come una vera e propria dinamite di distruzione. "Tuttavia questo sentimento è spesso presente in noi sotto forme più sottili, che comunque racchiudono in sé il germe dell'odio. Esse sono:l'avversione,l'antipatia, qualche volta anche l'aggressività,l'opposizione,l'intolleranza, e tutte le altre emozioni meno facilmente distinguibili che sono all'opposto dell'amore". "Molte persone non ammettono di provare sentimenti di odio. Esse affermano: 'lo non nutro odio per nessuno. Probabilmente non provano un odio costante e intenso per qualcuno o qualcosa, ma ciò non esclude che non sentano occasionali sentimenti di odio verso chi è causa di una loro paura, di un'umiliazione, o una frustrazione. Espressioni come: `Non posso soffrire questo..., `Mi ha fatto venire una rabbia tale che. `L'avrei ammazzato..., ecc., rivelano momenti.., di frustrazione e momentanei pensieri di odio. Dobbiamo essere perfettamente onesti con noi stessi e riconoscere le nostre emozioni 106
per quelle che sono, anche se queste si manifestano in modo attenuato. Essere consapevoli, ammettere con noi stessi, fare attenzione, sono gli elementi fondamentali per il nostro miglioramento. Coloro che devono correggere soltanto pensieri momentanei di odio, comunque, avranno un compito molto più facile di chi è stato intossicato da un odio costante e virulento per qualcuno". Si dice generalmente che l'odio è l'opposto dell'amore ma che gli è pure vicinissimo. Tale costatazione nasce dall'osservazione della vita concreta, dove spesso l'amore offeso si trasforma in avversione. Se l'amore di Amnon per Tamar si cambia improvvisamente in odio, è perché la sua passione era ardente (2 Sam 13,15). Ma la verità è alquanto diversa:l'amore puro, che non cerca se stesso e la gratificazione delle proprie attese, non si trasformerà mai in avversione; solo l'amore imperfetto conosce questa metamorfosi. Molti credono di amare, ma in realtà non fanno altro che cullarsi in una dolce sensazione di benessere, dovuta a un rapporto che per varie circostanze riesce particolarmente gratificante, ma che può anche dissolversi da un momento all'altro, come un miraggio. Spesso la Bibbia attribuisce persino a Dio sentimenti di odio e di avversione verso qualcuno. Può anche darsi che l'autore sacro ritenesse che realmente Dio amava Giacobbe e odiava Esaù (Ml 1,2), o amasse Israele e odiasse i Cananei (Sap 12,3) a motivo dei loro delitti. La verità tuttavia di queste e simili affermazioni è che Dio è incapace di alleanza con qualsiasi forma di violenza e di cattiveria, da qualunque parte essa venga, poiché egli è Amore. Gesù invita a essere come il Padre celeste, che è benevolo verso gli ingrati e i cattivi, fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti (Lc 6,35; Mt 5,45). "L'odio è il primo sentimento che si deve cambiare, perché esso impoverisce le nostre energie psichiche e ci impedisce di coltivare emozioni positive e di ampliare i nostri orizzonti mentali. La tensione causata dall'odio, inoltre, ci rende incapaci di aprirci all'influsso benefico delle forze alte, apportatrici di calma, gioia, amore, felicità, benessere, pace. Cominciate perciò a distinguere le sensazioni di odio quando si presentano. Dite a voi stessi: 'Ecco, questo pensiero è stato provocato dall'odio, mi nuoce, non continuerò a nutrire e ad accrescere quell'emozione. Preferisco pensare o fare una cosa migliore. Dovete rendervi conto che l'odio è una creatura della vostra men 107
te: una reazione sbagliata provocata da una frustrazione. Spesso l'odio è dovuto alla semplice incapacità della mente di reagire consapevolmente dinanzi a un determinato pensiero, una determinata azione o una determinata parola d'altri". Troverete un grande aiuto sviluppando in voi, attraverso momenti di meditazione, la forza amore. Le Scritture vi offrono a riguardo un materiale vivo e abbondante. Imparate a vivere a lungo nell'amore di Cristo. il primo passo rimane comunque quello di una presenza consapevole a voi stessi e ai vostri sentimenti. Chi non s'impegna a conoscere se stesso è incapace di guarire, né altri lo possono fare per lui. Osservatevi dunque con perseveranza, nel segno della tranquillità e di una grande comprensione. Piuttosto che piangere i vostri mali, esercitatevi con gioia a fare dei piccoli passi sulla via della guarigione. 2. L'Orgoglio L'orgoglio è forse il più sottile e insidioso di tutti i veleni. Nasce dall'amore di sé, ma ne è una contraffazione, perché dove si annida crea soltanto irrequietezza e sofferenza. L'orgoglioso è una persona preoccupata all'eccesso del suo piccolo io. è impossibile per un orgoglioso essere semplice e naturale, perché vive sotto la continua tensione di fare qualche brutta figura ed è costantemente preoccupato di emergere sugli altri. Quando pensa, quando ascolta, quando parla, ma anche quando prega o qualsiasi altra cosa faccia,l'orgoglioso finisce sempre per imbattersi nel proprio io, per il quale nutre una sollecitudine morbosa. è difficile, se non impossibile, per un orgoglioso realizzare un rapporto profondo con le cose e le persone, Dio compreso. La costante preoccupazione di sé gli impedisce quella leggerezza e disinvoltura interiori che gli permetterebbero di abbandonarsi totalmente all'altro. Per questo l'orgoglioso è uno che vive a metà. Egli non sa cosa sia la mente contemplativa, perché appena tenta di spiccare il volo si trova imbrigliato nelle maglie del meccanismo mentale che lo bloccano nell'ansia per il proprio piccolo io. L'orgoglio è uno dei maggiori ostacoli da superare nella ricerca del proprio vero sé, tanto che tutti i maestri spirituali guardano a esso come a una delle prime emozioni da modificare. Anche per la sapienza cristiana,l'orgoglio è tra i principali veleni che rendono impossibile l'ingresso nel Regno, nella gioia semplice e 108
beatificante del Vangelo, riservata invece agli umili di cuore. Nella nostra vita personale,l'orgoglio "è causa di molti conflitti interiori, e ogni conflitto interiore ci priva della nostra serenità e felicità". Esistono comunque delle forme molto grossolane di orgoglio, di cui uno, se non ha la mente ottenebrata, si rende facilmente consapevole e che può correggere con una certa facilità. In questi casi tuttavia l'orgoglio è quasi sempre accompagnato da quell'altro veleno che è la stupidità. Tale oscuramento della mente non si estende necessariamente a tutti i settori della vita, ma sicuramente a quello della conoscenza di sé. Esiste anche una forma legittima di orgoglio, quando uno ad esempio si sente felice e anche fiero di sé a motivo dell'esito positivo di un suo impegno. "Se questo non altera il vostro rapporto fraterno e amichevole con gli altri e se siete in grado di sopportare gli insuccessi della vita, non dovete considerarla come una forma di orgoglio, ma come una naturale reazione di soddisfazione davanti a un'impresa ben riuscita. Se però soffrite a causa della disattenzione degli altri, allora la vostra soddisfazione non è totalmente pura e trasparente". Spesso l'orgoglio si riveste di naturalezza, semplicità, comprensione, affabilità. Questa forma di orgoglio è particolarmente sottile e insidiosa. La cartina di tornasole per verificare l'autenticità dei vostri sentimenti e dei vostri comportamenti, rimane la sofferenza. Quando essa, in una forma o nell'altra, viene a turbare l'orizzonte della vostra mente, significa che le vostre intenzioni profonde non erano del tutto disinteressate e altruiste, libere da orgoglio. Si può anche "dare il proprio corpo per essere bruciato" sotto la spinta di motivazioni profonde in cui l'orgoglio gioca un ruolo assai più importante dell'amore che porta al dono di sé. Si riconosce l'orgoglio dai frutti che matura nel nostro spirito. Paolo li ricorda più volte nelle sue lettere. Sono: odio, litigi, gelosie, ire, intrighi, divisioni, invidie, la voglia sfrenata di possedere che è un tipo di idolatria, sospetti cattivi, maldicenze, contrasti, discussioni senza fine. Ma frutti dell'orgoglio, specialmente di quello più subdolo e nascosto, sono pure: scoraggiamento, scontentezza, insoddisfazione, tristezza, apatia, pessimismo, timidezza, insicurezza. L'orgoglio è la principale matrice di quegli alti e bassi della psiche, di cui accusiamo abitualmente il nostro temperamento o le circostanze esterne. Paolo contrappone ai frutti dell'orgoglio quelli dello Spirito: amore, 109
gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, giustizia, verità. il marcato senso di superiorità che spesso coltiviamo nei confronti di altre persone e delle loro iniziative, e che esprimiamo in forma di critiche più o meno velate, è un frutto evidente dell'orgoglio, di quel bisogno di apparire se non superiori almeno uguali agli altri. L'orgoglio ci priva dell'indispensabile pace e contentezza interiori, nelle quali soltanto è possibile compiere davvero il bene. All'orgoglio si contrappone l'atteggiamento interiore che la Bibbia chiama "avere un umile o basso concetto di sé" (Col 3,12). Questo "basso concetto di sé" non significa che dobbiamo coltivare il senso di inferiorità o disprezzare noi stessi. Non indica neppure quella specie di umiltà affettata e insipida che a volte si può riscontrare in persone che si applicano nella vita spirituale. Avere un basso concetto di sé non consiste nel coltivare quella forma di falsità che ci impedisce di apprezzare le qualità che realmente possediamo, per metterle a servizio degli altri. il "basso concetto di sé" è piuttosto quel naturale senso di gioia e di letizia che ci accompagna costantemente, perché abbiamo smesso di girare attorno al nostro piccolo io e siamo finalmente diventati semplici, liberi, naturali, veri. L'orgoglio, come del resto tutte le altre emozioni negative, affonda le sue radici nel senso di inferiorità e di insicurezza. è un modo errato e dannoso di esercitare la fiducia in se stessi. "Quando cominciamo a chiederci da dove provenga questo senso di insicurezza e di inferiorità, retrocediamo ai tempi della nostra infanzia, quando ci sentivamo così piccoli e insicuri di fronte al mondo incomprensibile e minaccioso degli adulti, quando l'ambiente circostante ci sembrava così immenso da non poterne nemmeno immaginare i confini. Poi ci vediamo oggi, e ci accorgiamo che l'insicurezza e la sensazione di essere piccoli ci affligge ancora; in questo senso siamo rimasti bambini e non siamo ancora cresciuti. Lasciando vagare la nostra mente in questa direzione, vedremo forse i vari piccoli incidenti e avvenimenti che ci fecero sentire così inadeguati e malsicuri; molti di noi scopriranno forse di essere stati privati di quell'amore o di quell'affetto che ci avrebbero aiutati a superare molte minuscole avversità quotidiane di quei tempi. Così, per molti di noi, la vera sicúrezza dipende ancora dall'amore e dall'affetto". "Se il nostro lavoro e le nostre aspirazioni ci procurano un senso di soddisfazione e la sensazione di avere dato ciò che potevamo..., in 110
questo caso non siamo spinti da orgoglio o vanteria. Ma se dobbiamo ricordare a noi stessi e agli altri le nostre aspirazioni per sentirci più sicuri, allora dovremmo sapere che le stiamo usando per nutrire il nostro orgoglio... Per coloro il cui orgoglio è concentrato sul lavoro, quest'ultimo diventa la cosa più importante e tutto il resto passa in secondo piano: amici, coniuge, famiglia compresi. Per alcuni potrà venire il momento, nell'età avanzata, in cui nulla avrà più significato; avendo esaurito tutte le loro forze e non essendo più in grado di lavorare, si troveranno désolati, soli e abbandonati". "La critica colpisce direttamente il nostro orgoglio e non è assolutamente tollerata dagli orgogliosi e dai vanitosi. Ancora peggio è quando essi si sentono criticati da parole pronunciate sbadatamente, con le quali nessuno avrebbe mai pensato di volermi criticare. In questo modo offendiamo spesso le persone orgogliose senza averne avuto la benché minima intenzione". L'attaccamento alle nostre opinioni può essere frutto dell'orgoglio. "Troppo spesso ci formiamo delle opinioni e dei giudizi affrettati e ci fissiamo su di essi, ignorando che potrebbero modificarsi secondo le circostanze individuali, con il passare del tempo. Ci fissiamo delle opinioni nel cervello e siamo perfino orgogliosi che esse siano così tenaci, ciò che, a torto, consideriamo un segno di forza di carattere. Non c'è errore più grande. Invece di dimostrare un carattere forte, queste opinioni fisse denunciano una mancanza di comprensione e l'insicurezza interiore di chi le mantiene... Una persona orgogliosa delle sue opinioni diventa spesso ipocrita, e più tardi altezzosa. Le sue idee fisse rendono impossibile qualunque stimolo spontaneo, qualsiasi discorso intelligente; le relazioni personali e familiari sono emozionalmente e psichicamente fredde e non vi può essere comprensione reciproca". Alcuni sono orgogliosi del loro nome, dei loro titoli o della loro posizione. "Queste persone dovrebbero sapere che, se il fatto che i loro nomi, titoli o posizioni sono conosciuti e menzionati li fa sentire importanti, significa che sono guidate dall'orgoglio". Esse facilmente "si circondano di falsi amici, poiché sono lusingate quando possono far colpo su qualcuno". L'orgoglio si estende anche alle nostre fattezze fisiche. "Se vi sentite a disagio, un po'inferiori, in imbarazzo perché siete troppo grassi o troppo magri, troppo pesanti o troppo leggeri, troppo chiari o troppo scuri di pelle, troppo giovani o troppo vecchi, sappiate che 111
queste sensazioni dipendono unicamente dal vostro orgoglio. Se avete un difetto fisico, ne siete consci e ve ne rammentate continuamente, soffrite di orgoglio, d'inferiorità e vi formerete tutta una serie di complessi e di sensazioni che, alla fine, vi impediranno di essere serenamente voi stessi... Quando si ama veramente qualcuno, tutto questo non ha importanza. Sarebbe come se una madre amasse i suoi bambini soltanto se sono belli ed esteriormente perfetti. è ridicolo pensarlo e questo non sarebbe certamente amore... Le persone con qualche difetto fisico dovrebbero prestare una cura particolare a non formarsi dei complessi per motivi d'orgoglio; ne ho viste parecchie i cui complessi erano molto più sgradevoli di quanto non fosse il difetto fisico in sé". L'orgoglio si cura diventandone consapevoli e ammettendo sinceramente davanti a se stessi di esserne le vittime. L'altra cura consiste nel coltivare il vero amore di sé. Nella misura in cui fate esperienza del vostro mondo interiore, creato a immagine e somiglianza di Dio,l'orgoglio cede naturalmente il passo allo stupore e alla gratitudine. Vincete inoltre l'orgoglio se non gli date importanza. Se vi accorgete di essere orgogliosi, ridete. Ridete sul vostro orgoglio e ridete sui grattacapi che vi procura. Se lo prendete seriamente, fate soltanto il suo gioco. La vostra tristezza e il vostro scoraggiamento non sono altro che uno dei tanti modi sofisticati di cullarvi nel vostro orgoglio. Apritevi al soffio dello Spirito. I suoi frutti sono un'antidoto potente all'orgoglio. "Perciò, se è lo Spirito che ci dà la vita, lasciamoci guidare dallo Spirito. Non dobbiamo quindi più essere gonfi di orgoglio e provocarci a vicenda, invidiandoci gli uni gli altri" (Gal 5,25-26). Sviluppate la fiducia e una sana sicurezza in voi stessi. Spesso l'orgoglio è la risultante di una carenza affettiva e si sviluppa come la gramigna su un terreno inquinato dal senso di inferiorità. Sia il Vangelo, come anche già gli antichi yogi, insegnano "a non aspettarsi di essere amati dagli altri, ma piuttosto ad amare senza voler nulla in cambio. è un esercizio difficile per molti, perché la loro sicurezza dipende dall'essere amati. Ma è possibile raggiungere questo stadio perseverando in esercizi spirituali quotidiani, rivolgendo di tanto in tanto un pensiero a un concetto alto, creandosi interiormente la consapevolezza di essere protetti e amati". 112
"lo vi amo - dice Gesù - e anche il Padre vi ama" par.). (cf. Gv 14,21 3. la Gelosia La gelosia non è un sentimento che s'insinua soltanto nei rapporti tra marito e moglie, fidanzati o amici. Siamo gelosi di molti altri beni, e tutte le volte la gelosia è causa di grandi sofferenze interiori mentre i frutti che produce all'esterno sono un segno evidente che essa costituisce una negazione dell'amore. L'amore vero non conosce gelosia. Potete riconoscere se amate davvero qualcuno o se siete semplicemente possessivi e gelosi nei suoi confronti, dai frutti che maturano in voi. L'amore produce gioia pace, serenità, incontro, dialogo, tranquilla e paziente attesa. Se invece vi irrigidite nei confronti di qualcuno, se diventate duri, scontrosi facili alla critica, depressi e scoraggiati, chiusi alla comprensione e al perdono, allora aprite bene gli occhi: potete anche credere di amare ma in realtà siete soltanto gelosi. "Chiunque avverte anche solo una punta di gelosia, dovrebbe rendersi conto che è il suo senso di inferiorità che sale alla superficie". Per questo, se volete prevenire o curare la gelosia, sviluppate la fiducia in voi stessi. Essa non è arroganza, ma sicurezza che nasce in un cuore umile e fiducioso. Molte cose sono state dette su questo veleno, "radice di tutti i mali, sorgente delle stragi, vivaio dei delitti, sostanza delle colpe". per Basilio il Grande, padre della chiesa greca, "esso è insegnamento del serpente, parto dei demoni, seme del nemico, garanzia del supplizio ostacolo alla pietà, strada verso la geenna, privazione del regno". Per non dilungarci, ci limitiamo a ricordare che spesso la gelosia assume i connotati dell'invidia, che ne accentua l'aggressività. Molte donne sono spesso gelose della bellezza di un'altra, dei suoi vestiti, del suo cl"arme. Gli uomini manifestano la gelosia nella professione, negli affari, di fronte alle capacità degli altri. Fin troppo spesso essi tendono a voler far meglio o a sminuire le capacità degli altri, e anche a nuocere a chi osa competere con loro. In entrambi i sessi possiamo trovare un pizzico di gelosia verso coloro che possiedono beni materiali superiori ai propri o quando un altro possiede un oggetto o una qualità che si desidera molq. La gelosia può essere causa di grandi sofferenze. Essa inquina i
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nostri rapporti con gli altri, rendendoli difficili e sospettosi. Chi soffre di questa malattia mentale è incapace di vera gratitudine. Si crea facilmente tutta una serie di complessi, che uccidono in lui ogni spontaneità e vera letizia. La gelosia può anche spingerci a commettere vere e proprie ingiustizie, mentre la lingua del geloso diventa un semenzaio di maldicenze e di critica spesso feroce. Invece di sprecare le vostre energie nel coltivare questo sentimento così negativo a tutti gli effetti, usatele per migliorare voi stessi e le vostre capacità. Educate la vostra mente a un atteggiamento di ammirazione e di stima per i talenti che Dio ha dato a ognuno, imparando a essere contenti di voi e degli altri. 4. L'Avidità "Potessero tutti gli uomini spogliarsi dell'amore per l'avarizia con quella facilità con cui la biasimano". In realtà, l'avidità o cupidigia è un veleno dai volti molteplici. Pur distinguendosi da essa, tutti gli altri veleni vi affondano in qualche modo le radici e da essa ricevono nutrimento. Molti sono convinti di non provare avidità e di essere liberi da questa schiavitù. E tuttavia facilmente essa si annida nelle pieghe segrete del cuore, inquinando le nostre intenzioni e i nostri ragionamenti, per gettare un'ombra di sospetto sul nostro stesso impegno, sia pure proteso al bene. Forse siamo liberi dalle forme più grossolane di avidità, ma la presenza di questo veleno sottile inquina facilmente le nostre menti. Esso ci impedisce un rapporto sereno con le cose e con le persone, soffocando la libertà interiore e smorzando ogni senso di gratitudine. I frutti dell'avidità sono l'ambizione,l'avarizia, la ricerca smodata di lusso e di comforts,l'incapacità di condividere,l'asservimento degli altri ai nostri istinti e ai nostri desideri. Ma possiamo scorgere la sua presenza anche nel senso di frustrazione o di depressione che sorge in noi davanti a un insuccesso o a un desiderio rimasto insoddisfatto. L'avidità nel campo della sessualità prende il nome di lussuria e si esprime nella ricerca affannosa di piacere e nell'irrequietezza fisica e mentale quando il nostro desiderio, per un motivo o per l'altro, non può essere soddisfatto. Ci fa schiavi dei nostri istinti e ci rende incapaci di rispettare di buon grado la libertà e le esigenze degli altri. Nella sfera del cibo e delle bevande si chiama golosità e ingordigia, e ci porta a fare un uso smodato di questi beni. 114
L'avidità danneggia la nostra salute fisica e mentale e può causare vere e proprie malattie nel funzionamento della psiche e del corpo. "O cristiano! - esclama Zenone di Verona - se debbo dire la verità, tu abomini l'oro e l'argento sugli idoli, ma non nel tuo cuore!". Denunciando la bramosìa insaziabile con cui ci accostiamo ai beni e agli onori della vita, Gregorio Nisseno, uno dei più grandi ispiratori della teologia cristiano-orientale, sentenzia: "La ricerca della gloria del otere e dell'onore è sempre attiva, ma l'orcio del desiderio resta sempre vuoto. Proprio come gli animali si affaticano al mulino, così anche noi, con gli occhi bendati, tiriamo la mola della vita, rifacendo sempre lo stesso cammino e ritornando sempre sugli stessi passi"lo. E Giovanni Crisostomo, celeberrimo predicatore dalla cattedra di Costantinopoli, precisa: "L'ambizione mise sottosopra tutte le cose e riempì non soltanto il mondo, ma anche la Chiesa di innumerevoli tumulti ". Egli la paragona a quei venti impetuosi e violenti che, irrompendo in un tranquillo porto, lo rendono più pericoloso di qualsiasi frana o tempesta 11. "Se volete possedere la gloria soggiunge ancora nel suo commento a Mt 4,10 disprezzatela, e allora diverrete veramente i più illustri di tutti. Perché volete comportarvi come si comportò Nabucodonosor? Egli si fece innalzare una statua, immaginava così che quella statua, pur avrebbe accresciuto il suo onore. Chi non vede l'enormità della sua pazzia? Eppure molti di noi, anche oggi, imitiamo quel re. E come quello voleva farsi apprezzare per mezzo di una statua, così costoro desiderano farsi ammirare per i loro abiti o per le loro case, per i loro muli e i loro cocchi, per le colonne delle loro ville. Quando hanno perduto la loro dignità di uomini, ecco che essi cercano a tutti i costi altrove una gloria miserabile e degna di ogni disprezzo". Come rimedio alla vanagloria suggerisce: "Quando avverti difficoltà a dis rezzare la gloria, dì a te stesso: `se la disprezzerò, sarò uguale a Dio', e la disprezzerai immediatamente. Non può accadere, infatti, che colui che è servo della gloria umana, non sia allo stesso tempo servo di tutte le cose e più servile degli stessi schiavi"l2. "Tu chiami te stesso povero - afferma Basilio il Grande - e io son d'accordo. Povero, infatti, è colui che ha bisogno di molte cose. Tuttavia, non è altro che l'insaziabile cupidigia a rendervi tali. A dieci talenti cerchi di aggiungerne altri dieci; diventati venti, ne vuoi altrettanti e ciò che tu ammassi, lungi dal calmare il tuo appetito, lo 115
stimola ancora di più. Infatti, come per gli ubriaconi il continuare a ingerire vino costituisce uno stimolo al bere, parimenti le persone che si arricchiscono, dopo aver messo insieme delle ricchezze, ne desiderano ardentemente delle altre ancora; in tal modo, continuando sempre a nutrirsi, aggravano la loro malattia e il loro desiderio ottiene l'effetto contrario a quello auspicato... Il loro animo è costantemente tormentato dalle preoccupazioni... e al posto di essere lieti e di pensare che sono meglio piazzati rispetto a molti altri, sono abbattuti e tristi poiché sono messi in ombra da questa o da quest'altra persona più ricca... Come coloro che salgono delle scale, con il piede sempre proteso verso il gradino superiore, non trovano pace prima di aver guadagnato la cima, similmente anche costoro non cessano di aspirare alla potenza, fino a quando, pervenuti alla vetta, non precipitino con una lunga caduta"l3. Tale avidità che, mai sazia, finisce per lasciarci perennemente scontenti, fà sentenziare a Giovanni Crisostomo: "La razza umana è una razza scontenta, querula, avvilita... Una sola è la via che pone termine a tanti mali: quella della virtù; anzi, anch'essa ha la sua sofferenza, ma è una sofferenza non inutile, che reca guadagno e vantaggio" 14. "L'avidità provoca le ansie connesse con tutto quello che si desidera acquistare, e l'ansietà è una specie di malessere interiore, indefinito, continuo. Si manifesta con sensazioni più o meno vaghe d'incertezza, d'insicurezza, senza alcun motivo apparente. Gli avidi di ricchezze sono continuamente spinti dal desiderio di acquisirne nuove. Le loro menti non sono mai serene, perché essi vivono costan 1 temente con i nervi tesi, sempre all'erta per trovare e cogliere ogni opportunità di conseguire questo fine. Guardano gli altri esseri umani in funzione del servizio che possono rendere. La loro apparente soddisfazione è di breve durata. Il minimo arresto o la diminuzione dei loro guadagni è causa di ansietà e collera. Generalmente i loro volti hanno tratti duri e inespressivi, i loro occhi tendono ad avvicinarsi come se fossero appiccicati al naso; in quegli sguardi non vi sono né profondità, né felicità; mai un lampo, mentre qualunque luce possa apparire occasionalmente è dura come l'acciaio. Spesso sono spilorci anche verso se stessi, sempre nei confronti degli altri, anche dei figli e dei familiari". Avidità e avarizia trovano a volte accoglienza anche presso gli asceti. "Cosa devo dire di questa ridicola fine?" - si chiede Giovanni 1; 116
stimola ancora di più. Infatti, come per gli ubriaconi il continuare a inerire vino costituisce uno stimolo al bere, parimenti le persone che si arricchiscono, dopo aver messo insieme delle ricchezze, ne desiderano ardentemente delle altre ancora; in tal modo, continuando sempre a nutrirsi, aggravano la loro malattia e il loro desiderio ottiene l'effetto contrario a quello auspicato... Il loro animo è costantemente tormentato dalle preoccupazioni... e al posto di essere lieti e di pensare che sono meglio piazzati rispetto a molti altri, sono abbattuti e tristi poiché sono messi in ombra da questa o da quest'altra persona più ricca... Come coloro che salgono delle scale, con il piede sempre proteso verso il gradino superiore, non trovano pace prima di aver guadagnato la cima, similmente anche costoro non cessano di aspirare alla potenza, fino a quando, pervenuti alla vetta, non precipitino con una lunga caduta"l3. Tale avidità che, mai sazia, finisce per lasciarci perennemente scontenti fà sentenziare a Giovanni Crisostomo: "La razza umana è '. Una sola è la vi che pone una razza scontenta, querula, avvilita.. termine a tanti mali: quella della virtù; anzi, anch'essa ha la sua sofferenza, ma è una sofferenza non inutile, che reca guadagno e vantaggio" `. "L'avidità provoca le ansie connesse con tutto quello che si desidera acquistare, e l'ansietà è una specie di malessere interiore, indefinito, continuo. Si manifesta con sensazioni più o meno vaghe d'incertezza, d'insicurezza, senza alcun motivo apparente. Gli avidi di ricchezze sono continuamente spinti dal desiderio di acquisirne nuove. Le loro menti non sono mai serene, perché essi vivono costantemente con i nervi tesi, sempre all'erta per trovare e cogliere con gli altri esseri opportunità di conseguire questo fine. Guardando gli altri esseri umani in funzione del servizio che possono rendere.La loro apparente soddisfazione è di breve durata. Il minimo arresto o la diminuzione dei loro guadagni è causa di ansietà e collera. Generalmente i loro volti hanno tratti duri e inespressivi, i loro occhi tendono ad avvicinarsi come se fossero appiccicati al naso; in quegli sguardi non vi sono né profondità, né felicità; mai un lampo, mentre qualunque luce possa apparire occasionalmente è dura come l'acciaio. Spesso sono spilorci anche verso se stessi, sempre nei confronti degli altri, anche dei figli e dei familiari". presso Avidità e avarizia trovano a volte accoglienza anche gli asceti. "Cosa devo dire di questa ridicolaggine?" si chiede Giovanni 116
Cassiano, uno dei padri dei monachesimo occidentale. E prosegue: "Vediamo che alcuni, dopo l'ardore della prima rinuncia, sono tanto presi dalla cura delle cose, per quanto piccole e vili, da superare la passione che prima li legava alle loro grandi ricchezze. A costoro certo non gioverà molto aver disprezzato ricchezze e beni maggiori, perché l'affetto che a quelle li legava si è ora riversato in oggetti piccoli e miseri. Essi danno così prova di non aver strappato da sé l'antica passione, ma di averla solo mutata. La loro grande diligenza nel curare un materasso, un cestello, un sacco, un codice, una stuoia o altre cose simili, mostra che sono avvinti dallo stesso vizio che prima li irretiva" 15. Se siamo ansiosi e possessivi, anche i nostri stessi hobbies ne rimangono contaminati. "Possiamo dire, generalizzando, che l'avidità è presente ogni qualvolta desideriamo possedere qualcosa per noi stessi. il desiderio di cose belle o di creare cose belle, non è avidità per se stesso, ma voler possedere queste bellezze è avidità". Come esiste l'avidità di potere, così "vi è l'avidità d'amore, d'affetto, di popolarità, di essere desiderati (un grido in cerca di sicurezza!), a causa della quale molti di noi sviluppano modi gentili e affascinanti che li rendono molto ambiti in società". In rapporto all'avidità di cibo e di bevande, Giovanni Crisostomo offre una pagina pittoresca: "Perché, dimmi, ingrassi così il tuo corpo? Dobbiamo forse sacrificarti nel mattatoio? O servirti come una portata a tavola? Ingrassa pure i polli; anzi, non sarebbe bene neppure ingrassare quelli, perché quando sono troppo grassi non sono! buoni per una sana alimentazione. è un male tanto grande l'eccesso è nel mangiare, che persino agli animali risulta dannoso!". E prosegue: "Coloro che vendono il vino hanno cura di non riempire le botti più del necessario, nel timore che si spacchino: questi golosi, invece, non ritengono il loro povero stomaco degno di tale precauzione, ma dopo averlo riempito e fatto quasi scoppiare, vi aggiungono vino sino alla gola, al naso, alle orecchie, procurando in tal modo una duplice oppressione allo spirito e a quella forza che regola la vita"16. Qui si toccano evidentemente quegli estremi che anche soltanto la buona educazione ci permette di evitare. D'altra parte,l'onesto piacere della tavola o la propensione per qualche cibo preferito, non sono necessariamente indici di golosità. Potete considerarvi goloso se non sapete rinunciare di buon animo a un cibo che risulta danno 117
so alla vostra salute, se non siete capaci di condividerlo con altri, o se condizionate il vostro buonumore e la serenità di spirito ai beni della tavola. Anche nel campo dell'avidità, la cartina di tornasole che permette di verificare l'autenticità dei nostri atteggiamenti è ancora una volta la sofferenza. Se ci sentiamo infelici o ansiosi, ma anche se siamo portati verso il facile disprezzo o la critica di qualcuno o di qualcosa, significa che non siamo interiormente liberi, e quindi stiamo pagando il nostro tributo all'avidità. L'ideale non è nel disprezzare le cose o nell'essere privi di desideri, ma nell'aprirci alle molteplici soddisfazioni che la vita offre a ognuno nel segno della libertà interiore e nella disponibilità verso gli altri. Si vince l'avidità coltivando la rinuncia e il distacco,l'amore e la cura per gli altri e le cose, la bontà e la semplicità. A chi si affanna e soffre a causa delle tensioni derivanti dall'avidità, Gesù indica gli uccelli del cielo e i fiori del campo. Ogni uomo dovrebbe sapere che il Padre celeste conosce le nostre necessità e si prende cura di noi, e dovrebbe sviluppare un tenero e profondo amore filiale verso di lui (cf. Mt 6,19-34). Un tale atteggiamento interiore è indispensabile a chi persegue degli alti scopi spirituali. Qui, ogni esperienza e ogni progresso significativi sono preclusi a chi non ha imparato a mettere totalmente da parte se stesso e qualunque forma di avidità, frutto dell'egoismo. 5.LA STUPIDITA la Possiamo considerare la stupidità come il frutto di tutti i veleni e di ciascuno di essi, e come la loro sorgente. A differenza dell'ignoranza, la stupidità acceca la mente di un individuo e blocca ogni nostra capacità di essere in ascolto della realtà e di comprenderla. Ci fissa nei nostri pregiudizi, tagliando le gambe al dialogo e a ogni possibile evoluzione. Gesù parla della stupidità quando dice: "Hanno orecchi e non odono, occhi e non vedono: perché il cuore di questo popolo si è INDURITO IL (cE. Mt 13,13-15; Gv 12,40). La disattenzione ai veleni e il loro mancato sradicamento dal campo del nostro cuore portano a una grande confusione mentale. Si comprende di conseguenza perché sia importante raggiungere anzitutto le condizioni mentali che permettono il giusto funzionamento delle nostre facoltà. Anche se la meditazione si svolge su un piano 118
che non è quello del ragionamento, è assurdo pensare di poter intraprendere una tale esperienza con una mente che sragiona o è incapace di attenzione al reale a causa del continuo turbamento che le deriva dai cinque veleni, di cui il quinto è come la foce che li raccoglie tutti. Non dobbiamo confondere la stupidità con l'assenza di cultura. Persone poco colte e semplici dimostrano spesso di possedere un'acuta intelligenza e grande disponibilità, mentre gente che ha passato lunghi anni negli studi si rivela a volte terribilmente chiusa e miope. La stupidità ci rende aggressivi di fronte a tutto ciò che sa di nuovo, a volte incapaci di cogliere gli stimoli che ci vengono dal passato, sempre sospettosi verso tutto ciò che non collima con le nostre abitudini mentali e di comportamento. Il grande saggio Qoelet ci ammonisce: "Non essere facile a irritarti nel tuo spirito, perché l'ira alberga in seno agli stolti. Non domandare: 'Come mai i tempi antichi; erano migliori del presente?', perché una tale domanda non è ispirata da saggezza!" (7,10). il cieco dogmatismo, che spesso esercitiamo sia nel campo delle dottrine che della morale, è sempre la risultante di una miscela di sentimenti distorti, tra cui primeggiano la gelosia e l'orgoglio, a volte l'avidità, sempre la stupidità. Una persona intelligente sa di essere ignorante su tante cose; di conseguenza è sempre pronta a imparare, o se non altro si dimostrerà tollerante. Le vittime della stupidità sono molto più numerose di quanto si crede, anche perché la stupidità è un male contagioso e assume non di rado dimensioni collettive, sotto forma di consuetudini, tradizioni o leggi. Ognuno può essere vittima della stupidità, e spesso forse lo è realmente, solo che è difficile rendersene consapevoli, perché la stupidità ci priva dell'unico strumento che ci potrebbe liberare da essa: il buon funzionamento della mente. Quando ci sentiamo troppo sicuri delle nostre idee, quando facilmente ci irritiamo nel dialogo con gli altri, o quando qualcuno apertamente ci rinfaccia di essere troppo poco flessibili nei nostri ragionamenti, dovremmo imparare a essere molto critici con noi stessi, finché siamo ancora in tempo. Quando la stupidità assume la forma di un'abitudine mentale, è ormai troppo tardi; si è infatti talmente infiltrata nel nostro meccanismo mentale da renderlo impenetrabile a qualsiasi sano ragionamento e quindi è irrecuperabile. 119
Ognuno dovrebbe ricordarsi costantemente di questa sentenza di Salomone: "il timore di Dio è una scuola di sapienza: prima della gloria c'è l'umiltà" (Sap 15,33)l'.
LA GUARIGIONE DEI CENTRI VITALI La guarigione della memoria trae beneficio soprattutto dalla consapevolezza con cui siamo presenti ai nostri quotidiani appuntamenti con la vita. Tale capacità di presenza, tuttavia, viene incrementata da una serie di appropriati esercizi, che agiscono direttamente sulle nostre facoltà psichiche e mentali, tonificandole. Particolare importanza assumono, in simile contesto, gli esercizi di purificazione e rigenerazione dei centri vitali. La presenza di centri vitali nella nostra persona è un fatto di comune dominio. La loro sede propria è il cosiddetto corpo sottile, ma essi hanno nel contempo dei riferimenti fisici, oltre che psichici e spirituali, stante l'unità e l'interdipendenza dei vari aspetti costitutivi dell'uomo. La guarigione di questi centri è quindi un processo che, facendo leva sulla consapevolezza, prende comunque le mosse dal corpo, passa ai risvolti psichici e infine alle risonanze. spirituali degli atteggiamenti e delle esperienze umane. Siccome questi centri sono costitutivi dell'uomo, li ritroviamo sostanzialmente in tutte le religioni. Noi qui li presenteremo secondo l'insegnamento biblico, rimandando alla voce mantra di ogni buon dizionario delle religioni, chi volesse conoscere la dottrina induista sui centri psichici, che è senza dubbio la più elaborata e la più completa. La percezione e la rianimazione dei centri vitali provoca delle "aperture di coscienza" di grande rilievo e di non minore efficacia. Infatti tali centri sono organi ricettori, trasformatori e produttori di energia. I. Il capo è la parte più eccelsa della persona, il centro coordinatore funzioni psichiche e mentali, nonché l'organo per eccellenza della 120
delle
comunicazione sia fra gli uomini che con il divino. Nel capo considereremo: la sommità e la fronte. a. La. sommità del capo. Sia nella Bibbia come nella tradizione, la sommità del capo è: - il luogo dove si posano le benedizioni divine: "Dio fece posare sul capo... la benedizione" (Sir 44,23; cf. Gn 48,13-16; Mc 10,16) '- il luogo accraverso il quale si trasmette la conracrazione: "il carisma che è in te e che ti è stato conferico... con l'imposizione delle mani" (1 Tm 4,14), "Ravviva il carisma che è in te per l'imposizione delle mani..." (2 Tm 1,16; cf. Nm 8,10; 27,18.23; Dt 34,9; Ac 6,6;13,3;1 Tm 5,22) - il luogo su cui si posano lingue di fuoco e avviene l'effusione dello Spirito Santo: "imposero loro le mani ed essi ricevettero lo Spirito santo" (At 8,17; cf. Ac 2,3-4;19,6) - infine, tramite il capo, Cristo elargisce energie guaritrici ai malati (Mc 8,25 ss: cieco di Betsaida; Lc 13,13: donna curva; I,c 4,40: su molti malati; Mc 16,18 da collegare con At 9,12. Cf. anche Mt 9,18; Mc 6,5; 7,32; Ac 9,12;17; 28,8). il capo è, insieme al cuore la sede dove vanno accolti gli insegnamenti divini, la Legge (dt 30,14; Ger 31,33). Di conseguenza, Dio va amato "con tutta la mente" (Mt 22,37). il capo è interessato all'esperienza religiosa soprattutto nei sacramenti dell'iniziazione cristiana (battesimo e cresima), nelle confessioni (imposizione delle mani prima dell'assoluzione) e nell'unzione degli infermi. il conferimento degli ordini sacri comporta l'imposizione delle mani. , b. La fronte è il luogo dove è "impresso il sigillo di Dio" (Ap 7,3; 22,4), il "tau" o croce (Ez 9,4), distintivo degli eletti, di coloro che uportano scritto sulla fronte il nome di Dio e dell'Agnello" (Ap 14,1). La fronte, inoltre, della sede dell'"occhio interiore", di cui parlano i Padri cristiani greci e latini, non meno dei saggi dell'Oriente. I Limitiamoci a citare due soli autori. S. Agostino ne scrive ripetutamente nelle sue opere. Ugo di San Vittore parla dell'occhio della contemplazione, affermando che esso è cieco e precisa: "L'uomo aveva ricevuto anche un altro occhio, con il quale vedeva Dio dentro di sé e la realtà stessa di Dio... Dopo che entrarono nell'anima le tenebre del peccato, l'occhio della contemplazione si spense così da non vedere più nulla",1 . Nella tradizione orientale l'"occhio mediano" è definito "porta del mondo interiore": "rivolto verso dentro, tutto vede alla sola luce interiore in totale verità". 121
La fronte è luogo di esperienza religiosa nei sacramenti dell'iniziazione cristiana nonché nell'unzione degli infermi. è il primo luogo raggiunto dai tre piccoli segni di croce che si compiono quando è proclamato il vangelo. Dalla fronte, infine, prendiamo le mosse nel tracciare il segno di croce. esercizio. Visualizziamo una scena evangelica (Mc 10,13-16) in cui Cristo impone le mani benedicente. Accogliamo l'intervento taumaturgico di Cristo, sotto la cui azionE il capo si libera dai pensieri disordinati, dalle idee fisse, dai giudizi e dai pregiudizi, dalle turbe mentali, così da appropriarsi dei "pensieri di Cristo" (1 Cor 2,16). Occorre mettere a nudo la mente e operare con paziente perseveranza, finché non risulti sgombra da quanto la contamina e la perverte, e possa in cal modo diventare luogo di accoglienza degli insegnamenti di Dio e di adesione amorosa alla sua Parola. 2. Bocca - Occhi - Orecchie Il secondo centro è costituito dai sensi esterni attraverso i quali l'uomo interagisce con persone, avvenimenti, cose. Esaminiamoli distintamente. a. la bocca è l'organo della comunicazione e della comunione. Di conseguenza: è il luogo dove riecheggia la parola/legge di Dio (Dt 30,14; cf Sal 24,4) e dove essa viene assaporata: "Quanto sono dolci al mio palato le tue parole: (Sal 119,103) - è il luogo che proclama la fede: "Con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza" (Rm 10,9) - è il luogo da cui promana la lode a Dio: "La mia lingua narra tutto il giorno la tua giustizia" (Sal 71,24). "Le mie labbra diranno la tua lode... Con labbra di gioia ti loderà la mia bocca" (Sal 63,4.6; cf Sal 150,6) - è il luogo dove affiora il male (si legga la pagina di Gc 3,1-12 con gli opportuni rimandi). E siccome l'uomo è impuro, "incirconciso" nella bocca e nella lingua (Es 4,10; 6,30), è necessario che venga purificato con "carboni di fuoco" (Is 6,5-7). "Sia lungi dalla tua bocca la falsità e dalle tue labbra l'inganno" (Pr 4,24). - Dio stesso dona "una lingua da iniziati" (Is 50,4), forte da resistere ai persecucori (Mt 10,19-20) e "dolce da spezzare le ossa" (Pr 25,15). La bocca è interessata all'esperienza religiosa particolarmente nella celebrazione del battesimo (rito dell'"Effatà",), nel triplice segnetto di croce al vangelo e all'inizio della preghiera quotidiana ("Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode"). 122
Anche il bacio, segno di comunione, ha un particolare rilievo nella pratica liturgica (bacio di pace, ecc.). Esercizio. Visualizziamo Cristo che guarisce un muto "toccandogli la lingua con la saliva e dicendo: 'Effatà, apriti!" (Mc 7,34). Liberiamo la bocca dalle parole inutili (che vengono dal maligno, Mt 5,37) di cui ci sarà chiesto stretto conto (Mt 12,36), nonché dalle parole negative e offensive, che "uccidono" il fratello (Mt 5,22) o lo mordono (Gal 5,15). Chiediamoci se la nostra bocca trasmette verità, benevolenza, mitezza, gioia, sorrIso. b. la bocca. Nella Bibbia "vedere la luce" è sinonimo di vivere. L'occhio infatti non solo ci immerge nella realtà della vita, ma rivela anche il nostro mondo interiore e scruta i misteri di Dio. L'occhio è come la finestra dell'anima: "La lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è sano (schietto, semplice, puro), anche il tuo corpo è nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre" (Lc 11,34). La liberazione dalla cecità è considerata un vertice dellazione taumaturgica di Dio. L'occhio è affetto da "concupiscenza" (1 Gv 2,16), ossia si fa strumento di desideri sbagliati o eccessivi. Liberati da quanto li offusca, i nostri "occhi si consumeranno nell'attesa di Dio" (Sal 69,4). Esercizio. Visualizziamo Cristo che guarisce uno dei tanti ciechi di cui parlano i vangeli: Mt 9,27-31; 20,29-34; Mc 8,22-26; 10,46-52; Lc 18,35-43; Gv 9,1-41. Lasciamo che egli posi la mano sui nostri occhi. Immaginiamoci di essere davanti a uno specchio: cosa mi dice il mio sguardo? che mondo interiore mi rivela? che stati d'animo esprime o tradisce? Lasciamo che gli occhi di Cristo, fissandosi nei nostri, ci trasmettano amore (Mc 10,21; Lc 22,61) e operino in noi profonde trasformazioni liberandoci da asprezze, minacce, invidie, gelosie, paure, smarrimenti, impurità, bramosie, ecc.. Gli orecchi. L'orecchio è l'organo per eccellenza dell'ascolto. Nella Bibbia è ricorrente l'espressione: "Ascolta Israele!", come caratteristica dell'atteggiamento dell'uomo verso Dio, e del discepolo verso Cristo. è Dio stesso che ogni mattina apre gli orecchi (Sal 40,7) e li rende pronti all'ascolto (Is 50,4-5). Infatti "l'orecchio dell'uomo cerca la Sapienza" (Pr 18,15) e "ascolta la legge" (Pr 18,9). Ascoltare la Parola con le orecchie è come accoglierla nel cuore (Ez 3,10; 40,4; 44,5). Senza tale atteggiamento di ascolto, "la preghiera delluomo è abominevole" agli occhi di Dio (Pr 28,9). è quindi necessario purificare la nostra attitudine all'ascolto, cosa che la Bibbia esprime con il termine "circoncidere": "il loro orecchio non è circonciso; sono incapaci di prestare attenzione" (Ger 6,10). 123
esercizio. Visualizziamo Cristo che guarisce un sordo, "ponendogli le dita negli orecchi" (Mc 7,33). Prendiamo coscienza di ciò che rende impuro il nostro ascolto: propensione ad accogliere e a lasciarci suggestionare dagli slogans di questo mondo; disaffezione nell'accogliere la Parola; superficialità in ordine ai messaggi positivi che ci vengono rivolti dalla vita; incapacità di ascoltare l'altro ecc. Lasciamo che il Signore ci ripeta, con voce accorata: "Se tu mi ascoltassi una ` buona volta!" (Sal 81,14; Eb 3,7). 3. Il cuore è l'organo della vita affettiva ed emotiva. La Bibbia ce lo presenta come il vero centro della persona. Se "Dio è in noi" (Ger 14,9), il cuore costituisce il luogo privilegiato della sua dimora: "Cristo per la fede abita nei nostri cuori" (Ef 3,17). - "IL cuore dell'uomo determina la sua vita" (Pr 16,9), di cui "è la sorgente" (Pr 4 23), soprattutto quando è pacificato (Pr 14,30). - IL Signore "guarda nel cuore" (lSam 16,7) e lo scruta come si scrutano gli abissi (Sir 42,16). Ne conosce i segreti (Sal 44 22). Pesa i cuori (Prv 24,12), li mette alla prova (Dt 8,2) e li placa (Sal 119, 32). - il cuore è in immediato rapporto con il divino. D'altra parte per avvicinarsi a Dio occorre "che il cuore sappia rischiare" (Ger 30,21) e potrà dire "Ti amo" solo se comunica intimamente con lui (C;dc 16,15). - La legge divina è posta nel cuore (Dt 6,6; cf. Dt 30,14; Is 51,7; Gec 31,33), scritta sulle tavole del cuore (Pr 7,3). La parola del Signore va quindi accolta in un cuore "bello e buono" (Lc 8,15). Cristo è la nuova legge nel cuore dell'uomo (Rm 8,2;1 Cor 9,21; cf. 2,19.51). - Dio va cercato con tutto il cuore (Dt 4 29) amato con cutto il cuore (Dt 6,5ù 10,12). il cuore lo deve conoscere (Dt 29,3; Ger 24 7) e deve fissarsi in lui (1 Sam 7,3). Solo i puri di cuore vedono Dio (Mt 5,8). è Dio stesso che ci dice: "Dammi il tuo cuore" (Prv 23, 26). Ed è con il cuore che l'uomo crede ed è salvo (Rm 10,9). - Anche il cuore è però incirconciso, impuro (Dt 1012-22; 30 6ù Lv 26,41ù Ger 4,4; 9,24; Os 10,2 che parla di cuore diviso Rm 2 29; cf. Ger 5,23; 7,24;18,12). il cuore è dunque "lontano" da Dio (Is 2913). Occorre tornare a lui con tutto il cuore (Dt 30,10), converticsi con tutto il cuore (Ger 3,10; G1212), circoncidere il cuore (Dt 10,16), lacerare il cuore e non le vesti in segno di pentimento (G12,13)., un - Sarà possibile acquistare un cuore di saggezza (Sal 90,12ù cf Pc 14,33) cuore puro (Sal 51,12.19) soltanto se Dio stesso coglierà dal nostro petto il cuore di piecra e vi porrà un cuore nuovo (Ger 32,39; Ez 11,19;18,31; 36,26). Il cuore è interessato all'esperienza religiosa soprattutto attraverso 124
il segno della croce (mano sul petto) e la terza delle piccole croci al vangelo. Spesso i riti ci invitano a portare la mano al petto, in segno di pentimento. Esercizio. Visualizziamo Cristo che richiama la nostra attenzione sul cuore e sui veleni che lo inquinano (Mc 7,21-23 e passi paralleli). lasciamo che egli stesso compia il crapianto del cuore, sostituendo quello" di pietra cun un cuore di carne, che sia veramente nuovo. Lasciamo che affiorino" in noi "i sentimenti di Cristo" (Fil 2,5). Riprenderemo in seguito questo esercizio con opportune pratiche meditative sui "dodici veleni", sui "frutti dello Spirito" e sulla "benevolenza". 4. Le viscere Sono il centro della vitalità fisica e psichica, il grande serbatoio di energie vitali. Il luogo in cui, secondo le scritture risiede l'anima dell'uomo e che gli orientali chiamano "lo scrigno del divino". Le viscere sono - il luogo in cui è insediaco lo spirito umano: del figlio della vedova di Zarepta richiamato in vita da Eliseo, si dice che "la sua anima corpo nelle sue viscere" (1 Re 17,22). I morti all'opposto sono coloro "il cui spirito se n'è andato dalle loro viscere" (Bar 2,17). Analogamente, "nelle viscere (degli idoli( non c'è nessun soffio vicale" (Ab 2,19) - è Lui stesso che ha formato le viscere e ne scruta tutti i recessi (Prv 20,27). Spesso la Bibbia usa "reni", come sinonimo di viscere e in parallelo con" cuore ". Le reni infatti sono l'organo delle sensazioni più sottili e sede della coscienza morale (cf. Sal 7,10: Dio prova reni e cuore; 26,2; 139,13; Ger 11,20: scruta reni e cuore; cf. 1710; 20,12). Di conseguenza le reni "rimproverano" (Sal 16,7) o "esultano" (Prv 23,1 ) a seconda della condotta umana e del rapporto con Dio. Il Salmo 103,1 invita le viscere dell'orantte a benedire il nome del Signore. - le viscere sono per tanti il luogo dei sentimenti cattivi: "Ha amato" la maledizione... è precipitata come acqua nelle sue viscere" (Sal 109,17-18). "Le viscere degli empi sono" senza misericordia" (Prv 1?,10). Occorre quindi togliere dalle proprie viscere "pensieri di iniquità" (Ger 4,14) e tutto ciò che le rende "ristrette" (2 Cor 6,12) e "chiuse" (1 Gv 8,17) - ma sono anche il luogo dei sentimenti buoni, per i quali si vedanu gli elenchi offerti da Paolo (Col 3,12ss e Fil?, lss). Vedi esercizio a p.189s. Le viscere di Dio e di Cristo. Nell'AT la parola viscere è sinonimo di bontà, di misericordia, compassione, benevolenza. Essa indica le viscere propriamente dette e il grembo materno. 125
Nel NT si parla di "viscere di Cristo" (Fil 1,8) e può essere interessante conoscerne l'intima natura. I vangeli mettono anzitutto in luce "le viscere" di Cristo, il suo atteggiamento sollecito della causa dell'uomo, in alcuni episodi indicativi: verso le folle e prima della moltiplicazione dei pani (Mt 9,36; 14,14; 15,32); i due ciechi di Gerico (Mt 20,34); il lebbroso (Mc 1,41); la madre vedova di Naim (Lc 7,13). Tale attitudine si ritrova nelle parabole: il padrone che condona al servo (Mt 18,27); il buon samaritano (Lc 10,33); il padre del prodigo (I.c 15,20). Le viscere come luogo di interesse per la preghiera sono conosciute soprattutto dall'esicasmo, la spiritualità contemplativa tipica dei cristiani greco-slavi. Essi assumono nella preghiera la posizione di Elia (I Re 18,42; cf. Gc 5,17), facendo convergere il capo verso le viscere - lo sguardo fisso sulla parte centrale del corpo - nell'intento di raggiungere un alto grado di interiorità e di concentrazione. IL respiro si fa tranquillo e profondo e, come affermano gli esicasti, "non oltrepassa i limiti del corpo". Si viene quindi determinando uno stato di quiete profonda e di unificazione interiore. Le viscere, dolcemente massaggiate da un respiro addominale calmo e intramezzato da lunghe pause, ne traggono singolari benefici. In esse si rende presente soprattutto il cuore, come centro propulsore del nostro essere e luogo dell'inabitazione di Dio nelle creature. Ma forse è meglio citare una fonte diretta: il Metodo della preghiera e dell'attenzione sacre, di Niceforo il Solitario (sec. xIv): "Seduto in una cella tranquilla... eleva il tuo spirito al di sopra di ogni cosa vana e temporale, poi, appoggiata la barba sul mento, e rivolto l'occhio corporeo e lo spirito al centro del ventre, ossia verso l'ombelico, comprimi l'inspirazione dell'aria che passa per il naso, in modo da non respirare agevolmente, ed esplora mentalmente l'interno delle viscere per ritrovarvi il luogo del cuore, che le forze dell'anima amano frequentare. All'inizio troverai una tenebra e un'opacità ostinata, ma con la perseveranza e la pratica di questo esercizio notte e giorno, otterrai... una felicità senza limiti". Esercizio. Proponiamoci di aver anche noi "le viscere di Cristo" (Fil 1,8), visualizzando per esempio la scena evangelica della guarigione del lebbroso (Mc 1,40-45). Cristo è spinto quasi istintivamente da un atteggiamento "viscerale" a portare la mano sull'uomo piagato e a guarirlo. Poi sembra ricredersi di fronte a 126
un gesto che la legge impediva nel modo più assoluto per timore di contagio. Ciò spiega perché Cristo si mostri profondamente turbato e cacci via il lebbroso (stesso verbo usato da Mc per indicare l'azione di Gesù verso i demoni), imponendogli di tacere e di andare dai sacerdoti perché verifichino l'accaduto. Un simile atteggiamento di Cristo ci mostra tutta la vivezza e la tenerezza dei suoi sentimenti di compassione e di benevolenza. Anche noi possiamo prendere coscienza, attraverso lo stato delle nostre viscere, dei sentimenti profondi che albergano nel nostro essere, purificandoli ove necessario. Preghiamo il Signore che "rinnovi nelle nostre viscere uno spirito saldo" (Sal 51,12) e che conceda "pace e riposo" alle nostre viscere in Cristo (Fm 20). 5. Il. respiro è il centro vitale che ci definisce come uomini e donne. In esso sono racchiuse energie psicofisiche che costituiscono "il fondamento dell'individuo". In base al senso che l'uomo dà alla propria sessualità, si può dedurre in quale rapporto egli si ponga o meno con il trascendente. Non per nulla la sessualità è, nella Bibbia, il luogo dell'alleanza tra Dio e l'uomo. Abramo, nostro padre nella fede, "stabilì l'alleanza nella propria carne" (Sir 44,21) ossia nella propria sessualità, attraverso la circoncisione. inoltre qualunque forma di impurità sessuale è considerata disordine morale, mentre l'unione sponsale, che fa di due una sola carne (Gn 2,24) è né più né meno che sinonimo e espressione dell'alleanza con Dio, "grande segno" (Ef 5,32) in cui si rende presente e operante l'amore di Cristo. il NT parla di "vera circoncisione di Cristo" (Col 2,11) ponendo su un piano spirituale e interiore il segno dell'appartenenza a Dio. Di conseguenza la sessualità si rivela come un bene relativo, che va accolto e vissuto nell'ottica del Regno di Dio. In questo contesto, di fronte a una destinazione negativa della sessualità, è preferibile la "castrazione" (Mt 19,12), così come è preferibile "amputare" occhio, mano o. "piede" (che è poi un eufemismo per sesso), piuttosto che farne strumenti di male per sé e per gli altri. Come è preferibile perdere la vita stessa, per riaverla in pienezza (Mt 5,29-30;10,37,39;16,25;18,8-9;19,12.29 e Lc 14,26). Non solo, ma la sessualità è anche un bene provvisorio. Infatti "la scena di questo mondo passa: chi è sposato viva come se non lo fosse" (1 Cor 7,29), dal momento che nella risurrezione "non si prende moglie né si prende marito", perché si è diventati "uguali agli angeli e figli di Dio" (Lc 20,34-36). Le energie quindi che scaturiscono dalla sessualità umana vanno finalizzate all'edificazione della "civiltà dell'amore", che ha quaggiù il suo inizio e si affermerà in pienezza nel Regno. 127
esercizio. Visualizziamo l'episodio dell'emorroissa che si avvicina a Cristo nell'intento di toccargli il mantello con la speranza di essere guarita. Su invito di Gesù, il quale è consapevole dell'energia che era uscita da lui, "la donna, impaurita e tremante sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va'in pace e sii guarita dal tuo male" (Mc 5,25-34). Lasciamo anche noi che il contatto con il corpo santo di Cristo, sostenuto da fiducia e abbandono, liberi la nostra sessualità da tutto ciò che la rende impura e ne faccia lo strumento dell'amore e della felicità. il "dominio di sé", l'autodisciplina, è un termine che può essere tradotto anche con temperanza, continenza (Gal 5,22; 2 Pt 1,6; At 24,25) ed è considerato uno dei "frutti dello Spirito" di Dio. Quanto più l'uomo è permeato dallo Spirito santo, tanto più vivrà secondo lo Spirito e tanto meno sarà "debitore della carne", cioè dell'egoismo e della cupidigia, che sono i due arteggiamenti che falsano e compromettono la nostra sessualità (Gal 5,16ss e Rm 8,5-13). Per questo invochiamo ardentemente lo Spirito santo, con le parole di Gesù: "Venga il tuo santo Spirito su di noi e ci purifichi" (Lc 11,2 var.). Esercizio conclusivo Possiamo raggiungere la purificazione e la guarigione dei nostri centri vitali anche in un altro modo, attraverso la concentrazione sul nostro respiro. Noi sappiamo che il respiro dell'uomo non è che la presenza in lui dello Spirito di Dio: "Lo Spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell'Onnipotente mi dà vita" (Gb 33,4). Dio infatti "veglia sul respiro dell'uomo" (Prv 20,27) e "effonde il respiro a quanti abitano la terra e l'alito a quanti la popolano" (Is 42,5). Possiamo quindi partire dall'espirazione, che porta via con sé quanto rende impuri i nostri centri vitali. è come se espirassimo attraverso di essi: ne fuoriesce un'aria inquinata, come fumo nero, passando attraverso i singoli organi. Poi, sempre mentalmente, portiamo la nostra attenzione sull'inspiro, visualizzando aria bianca, luminescente e ricca di energia, che entra attraverso i singoli centri, li pervade di luce e li guarisce. AL termine prendiamo coscienza del nostro nuovo modo di essere, chiedendoci se ci sembra che siano emersi in noi i "pensieri di Cristo", i "sentimenti di Cristo", le "viscere di Cristo". Eleviamo attraverso tutti i nostri centri la lode a Dio: "Ogni parte del corpo dice all'uomo: prega... con me!" (Giuda bar Simon). 128
PENSARE E SENTIRE POSITIVAMENTE L'abitudine a pensare e sentire positivamente è di grandissima importanza per la qualita della vita e il bene degli altri. Narrando l'attività taumaturgica di Gesù, Luca tiene a precisare che "tutti cercavano di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva ogni genere di malattia" (6,19). Quando l'emorroissa tocca la veste di Gesù e guarisce, subito Gesù si rende conto che una forza è uscita da lui (8,44-46). Ma anche al momento dell'incontro di Maria con Elisabetta, "il bambino dentro di lei ebbe un fremito"... "per la gioia", precisa Elisabetta ( 1,41.44) IL fatto è che ognuno di noi emana, dall'intimo di sé, sia fisicamente che psichicamente, correnti di energia che, pure impercettibili ai sensi, riflettono tuttavia la nostra personalità e i nostri stati d'animo e incidono sull'ambiente circostante non meno delle azioni o delle parole. Questo significa che, se siamo positivi, se l'occhio della mente è sano (cf. Lc 11,33-36), già per questa semplice attitudine interiore dell'animo irradiamo attorno a noi forze altamente benefiche e guaritrici, anche se non ci sarà mai detto grazie, poiché si tratta di un modo di beneficare gli altri quasi nel segreto e nel più grande silenzio. è ovvio che il senso di questa affermazione non è quello di negare l'importanza e l'efficacia della parola e, soprattutto, dell'azione. E tuttavia prima della parola e dell'azione sono proprio i pensieri e i sentimenti che contano. Già gli antichi filosofi affermavano il primato dell'Essere sull'agire; cosa che Gesù ribadirà affermando che "è dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini che escono le intenzioni che conducono al male" (Mc 7,21). Ogni pensiero, dunque, e soprattutto ogni sentimento riveste un'importanza decisiva, poiché l'uomo influisce molto di più per ciò che è e che sente, che non per ciò che dice o che fa. Se ammiriamo un fiore o il cielo stellato o qualunque altra realtà, automaticamente trasferiamo questo sentimento nell'atmosfera circostante e stimoliamo l'ammirazione in tutti coloro che ne sono capaci. Se abbiamo stima degli altri e li sappiamo apprezzare, non occorre aprire la bocca perché questo sentimento scorra verso di essi e si trasferisca in tutti coloro che sono capaci di stima. Se nutriamo sentimenti di affetto e di bontà nell'intimo del nostro 129
cuore e li riversiamo sugli altri, tutti ne trarranno beneficio e anche i cuori più incalliti rimarranno, a volte, colpiti. Se siamo contenti, questo ricrea tutta l'atmosfera attorno a noi, e quanti si muovono entro il suo raggio si troveranno a proprio agio e incideranno a loro volta beneficamente su altri. Più che i pensieri, è proprio questo. sentire intimo e naturale che conta. I pensieri sono spesso il prodotto artificiale della mente; il sentire invece implica sempre un modo di essere, di recepire e di vivere la realtà. Non si sottolineeranno mai sufficientemente i grandi benefici che derivano a noi e agli altri da questa positiva attitudine della mente e della psiche nei confronti della vita: "Condurre una vita spirituale afferma un antico detto indiano significa pensare positivamente ventiquattro ore su ventiquattro, perché ogni pensiero che esce dalla nostra mente è chiamato a essere preghiera". Anche se la pratica del pensare e del sentire positivamente non ha per primo scopo quello del profitto personale (salute, maggiore efficenza nel proprio lavoro, incremento delle relazioni familiari e sociali), ma mira essenzialmente alla crescita dell'amore e al benessere di tutti i viventi, tali benefici ne sono tuttavia una naturale conseguenza. Ovviamente, come del resto in tutti gli altri campi, i frutti non sono sempre a portata immediata; spesso, anzi, perché si arrivi a risultati concreti occorrono degli anni. Ma nel frattempo c'è sempre la soddisfazione dei piccoli passi, del progressivo miglioramento di sé; e questo ci basta per essere contenti e pazienti. Quando non fossimo in grado di trasferire nell'ambiente circostante sentimenti positivi, limitiamoci a pensare positivamente;l'abituarsi a pensare positivamente inciderà progressivamente sulle nostre strutture psichiche e alla fine, penetrando il subcosciente, ci trasformerà. Evidentemente ognuno è libero di scegliere l'amore o l'odio, il bene o il male, il pensare positivamente o il pensare negativamente. A tale riguardo conviene tuttavia riflettere su quest'altro proverbio indiano: "Come il vitello, sia pure in mezzo a una mandria di migliaia e migliaia di mucche, trova la propria madre; così ogni pensiero ritorna, carico del proprio effetto, verso colui che lo ha generato". L'essere felici o infelici dipende dunque essenzialmente da noi e, più particolarmente, dai pensieri e dai sentimenti che abitualmente coltiviamo nel segreto silenzio della mente e del cuore. 130
Per la pratica quotidiana possono servire le seguenti attenzioni: - abituarsi a pensare positivamente, coltivando la familiarità con pensieri e sentimenti di fiducia, gioia, entusiasmo, serenità, amore; - non criticare gli altri e neppure se stessi, fosse anche soltanto col pensiero; - se ci capita di correggere noi stessi o gli altri, puntare sempre sul lato positivo, consapevoli che ogni lato di una medaglia ha il suo rovescio; - reagire con prontezza a pensieri e sentimenti di sfiducia, e non deprimere altri con parole offensive, sprezzanti o scoraggianti; non cedere alla tentazione di sentirsi offesi, delusi, depressi a motivo dei propri difetti personali o delle mancanze altrui; reagire con prontezza e fiducia al primo insorgere di stati d'animo o pensieri legati all'ansia, a eccessiva preoccupazione o a depressione. - evitare ogni senso di inferiorità o di incapacità e correggere immediatamente ogni pensiero e sentimento del genere; evitare con la stessa sollecitudine ogni pensiero o sentimento di superiorità e di autoesaltazione; - evitare la morbosa curiosità su cosa fanno e dicono gli altri; astenersi dalle chiacchiere inutili; trovare invece il tempo per riflettere e meditare su realtà capaci di dare un contenuto e un orientamento alla vita e coltivare l'amicizia con Dio e con quanti ci indicano il cammino verso l'incontro con lui; troncare sul nascere ogni sentimento di gelosia e non assecondare gli stimoli che ci portano a criticare, minimizzare o ridicolizzare parole, azioni o modo di essere d'altri; esercitare benevolenza e comprensione verso tutti, rendendo flessibile e altruista la mente; trasformare qualunque impegno della giornata da dovere in piacere attraverso l'abitudine di guardare con simpatia alle cose; - cercare di piacere a Dio, di vivere in coerenza con se stessi, di coltivare alti ideali evitando di arrendersi o di scoraggiarsi a motivo di ciò che altri pensano o dicono di noi; senza arroganza, ma con semplicità e naturalezza; imparare ad accorgersi, a godere e a ringraziare di tutte le cose belle, piccole o grandi, che la vita reca con sé e ci fa incontrare. Non si esalteranno mai sufficientemente gli immensi benefici che derivano a noi e agli altri da questa quotidiana abitudine della mente 131
a pensare e sentire positivamente. il paradiso o l'inferno nelle nostre mani. PER L'APPROFONDIMENTO
sono
interamente
le due sorgenti della guarigione. Nell'antico testamento Dio si presenta ripetutamente come supremo guaritore, ecco alcuni testi: Io Sono il Signore, colui che ti guarisce, es 15, 26,dt 32,29. Li guarì la Tua parola, Signore, la quale tutto risana,Sap 16,12 sal 106, 20.CF.1pt 1,23,mt
a pensare e sentire positivamente. Il paradiso o l'inferno sono inte- dine alla guarigioc l'ramente nelle nostre mani. la certezza del risulta che, dicono i vangeli, bloccata (Mc G,5 dice i contrava la ufede"r! Fa PER L'APPROFONDIMENTO perché si raccom 1 D'altra parte le stb: che il naturale oor l,e due rorgenti della guurigione Suscitare tali ener NelYAntico Testamenco Dio si presenca ripetutamente come supremo gua- grazia celeste s chiamare, solleritate ritore. Ecco alcuni testi: L'esperiema s "lo sono il Signore, colui che ti guarisce", Es 15,26; Dt 32,29. "Li guarì la tua parola, Signore, la quale tutto risana", Sap 16,12; Sal raccolta tutte le 106,20. Cf.1 Pc 1,23; Mc 8,8. raggiungece l'a "A te ho gridato, e tu mi hai guarito", Sal 29,3. Preghiera e r "cIl Signore curerà la piaga del suo popolo", Is 30,26. La pratica "Guarisce tutte le tue malattie", Sal 102,3. genti di cui si "Risana i cuori affranti, fascia le loro ferite", Sal 147,2. dei quali si s "Perché gridi per la tua fecita? Incurabile è la tua piaga! Ma io ti porterò portanza che rimedio: guarirò le tue ferite. Sì, io le guarirò" Ger 3015.17 (Quesc'ultima af- preghiera fermazione si trova alla lettera anche in Is 57,18 e Os 14,5). "Fascerò [la peco- che i sacra ra) ferita, curerò quella malata", Ez 34,1G. retto "Tu mi guarirai e mi farai vivere: ecco, il male si è cambiato in salute", Is Dio. ll 38,1G-17. "Nessuno degli abitanti dirà più: io sono malato", Is 33,24. m do. B Nel Nuovo Testamento, Cristo si presenta come colui che "ha preso sopra menti, di sé le nostre infermità, e si è addossato le nostre malattie", Mt 8,17, così che "dalle sue piaghe siamo stati guariti",1 Pt 2,25. Egli prescrive agli aposcoli: "Guarite i malati, risuscitate i morti!" Mt 10,8 e Lc 10,9 e addica come segno caratteristico in coloco che credono il fatto che ej "imporranno le mani ai malati ed essi guariranno", Mc 1G,18. Sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, la guarigione è legata alla conversione interiore: Is 6,10: "... si converta in modo da essere guacito"; nonché i molti passi evangelici in cui Cristo afferma: "La tua fede ti ha guarito", Mt 9,22 e parr.; Mc 10,52; Lc 17,19; Lc 18,42. l'La guarigione interiore è dunque un processo che fa appello a due sorgenti,. di energie. Una sorgente è insita nell uomo. L alcra si offre a lui. É come per la '( vita. L'uomo vive anzicutto perché gode di energie vicali che scaturiscono dal suo organismo. Ma vive anche in costance interazione con il cosmo, che gli dona cibo e respiro. Cristo nei vangeli ha sempre presentato la guarigione come frutto della fede: "La tua fede ti ha salvato!". Ciò significa che è fattore determinante in or132
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dine alla guarigione l'intensità del desiderio, la disposizione d'animo di attesa la certezza del risultato,l'abbandono fiducioso all'azione divina. A tal punto che, dicono i vangeli,l'"energia" che scaturiva da Cristo (Lc 6,19) era come bloccata (Mc 6 5 dice che Cristo "non poteva" fare guarigioni) là dove non incontrava la "fede"! Fede che può essere del singolo o dell'intera comunità: ecco perché si raccomanda la preghiera per i malati, sia nel corpo che nello spirito. D'altra parte le stesse prodigiose energie insite nell'uomo, non sono altro che il naturale corredo con cui Dio ha provveduto e provvede alle sue creature. Suscitare tali energie è dunque compito dell'uomo, compito che l'offerta della grazia celeste specialmente attraverso la Parola e i sacramenti, non fa che richiamare, sollecitare e favorire. L'esperienza stessa ci dimoscra che esistono persone capaci di chiamare a raccolta tutte le proprie risorse interiori e così fiduciose nell'azione divina, da raggiungere l'attesa guarigione. Preghiera e. sacramenti La pratica della guarigione interiore fa appello non solo alle due grandi sorgenti di cui si è detto, ma anche a un insieme di energie e di mezzi all'interno dei quali si sprigionano energie rigeneratrici. In questa sede sviluppiamo l'importanza che riveste in merito la meditazione, ma non va taciuto il ruolo della preghiera comunemente intesa, nonché quello dei sacramenti. Sia la preghiera che i sacramenti soprattutto le confessioni e l'eucaristia, mettono a contatto diretto reale e efficacissimo con la sorgente divina dell'energia e della forza di Dio. il segreto di cali pratiche risiede non solo nella loro attitudine ad attrarre e ad accogliere il divino ma anche nella capacità di dilagare la ricettività dell'umano. E qui risiede il vero problema: come interiorizzare preghiera e sacramenti, perché possano operare efficacemente in noi. A questo punto l'esercizio meditativo si rivela di grande aiuto, tutto intento com'è alle profondità della persona quale luogo d'incontro e di inabitazione di Dio. Già s. Bernardo si domandava: "Chi purificherà la coscienza?" e così rispondeva: "Senza dubbio Dio e l'uomo. L'uomo per mezzo della riflessione e degli aneliti del cuore (affectionas). Dio per mezzo della misericordia e della grazia". Se ad esempio, le confessioni fossero inserite in un cammino meditativo che prendesse come punto di riferimento uno dei "veleni" o uno dei "centri" più bisognosi di cure, la loro efficacia sarebbe notevolmente dilatata. Così pure se l'eucarestia fosse vissuta come incontro taumaturgico con Cristo che opera dallinterno del mio essere a mo'di fermento rigeneratore, le promesse di vita (eterna) di cui è portatrice segnerebbero in modo più vistoso la nostra vita terrena. E mentre l'uomo con il peccato introduce nella propria persona un tale disordine che dallo spirito si proietta sul cuore e sul corpo,l'eucaristia raggiunge il corpo nell'intento di atcingere anche la dimensione psichica e spirituale della nostra esistenza e infonde in noi la vita di risurrezione, capace di sconfiggere le forze del male e della morte.
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questa pagina 0,6 è già corretta %riscrivila 'G.1. DE CHAMPEAUX - S. S'rERrxs,1 simboli del medioevo, Milano 1981, p. 248. z A. agostino, Confessioni,10,14, 21. Per le cicaz. successive, cf.10,17, 2G e 10, 8,14. % Mecum erut memoria tui, ivi, 7,17, 23. 4 Cf. DE MEllo, cic., 85-89. 5 C.E.S. RAI, Roma, Roma 1978, vol.1, p.145. b Bologna 1980, pp. 41-44. CIPRIANO, la geloriu e il livore, G,10. s BASILiO IL GRANDE, Omelia rullinvicliu, 5. ZENONE DA VERONA, Lvurizút, l, 10. 'o GREGoRto NIsSENo, Dircorro funebre per Prircilla. " GIOVANNI CRISOSTOMO, Omeliu rulla lettera agli Eferini, 10, 2-3. 'z GIOVANNI CRISostomo, Omel7a Jullu letteYa u 7tt0, 2, 4. '3 BASIlIO IL GRANDE, Omelia tro i ricchi, 5. '^ GiOvANNI CRISoSTOMo, Omelia sulla secondu lettera a 7imoteo,1, 2-3. '5 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, 4, 21. tG GIOVANNI CRISOSTOMO, Commenlo al l angelo di Mutteo, 44 4-5. " I testi fra virgolecte citaci in questo capitolo rimandano a C.E.S. RAI, Yuma, Roma 1978, Vol.1, pp. 33-35; 42-44ù G9-77 80; 8G-87; 91. 's Cf. Confersioni, 7,17, 23; Enarrationer in pralmor, 41,10;145,18; Sermoner de rcri turir 52, G,1G; De 7rinitate, 4 15 20;12,14, 23'15, 27, 49. 'Cf. Exporitio in Hier. cael. r. Dionysii, 3, e De sacramentis,1,10: PL 175, 976 e 176, 329. 134
9. Il triplice sentiero spirituale
La vita spirituale vuole che tu non torni indietro o che tu stia fermo; ma, subito che l'hai gustata, tu vai avanti di giorno in giorno, e dimenticandoti del passato tu ti protendi verso l'avvenire: perché questo è un cibo che chi ne mangia ancora ne desidera; ed è un bere che chi l'ha gustato ancora ne vorrebbe... (Antonio M. Zaccaria) Non è quello che sei, né quello che sei stato, ciò che Dio vede con occhi misericordiosi, bensì ciò che tu potresti essere. (la nube della non-conoscenza)
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credo manca una pagina questa pagina 138 da vedere UNA VITA IN MOVIMENTO L'itinerario spirituale gode di un interiore dinamismo e si sviluppa secondo tappe successive. In termini generali si può dire che esso è scandito da un triplice processo: di interiorità L'uomo, con il passare degli anni, si fa pensoso sul senso della vita e sul suo destino. è più incline ad ascoltare la parola interiore che non i messaggi che gli giungono dall'esterno. è più sollecito a costruire "di dentro" che non a distribuirsi e dissolversi in mille rivoli; - di. spogliazione: il veloce alternarsi delle stagioni, lo scorrere implacabile del tempo sembrano defraudare l'uomo delle sue sicurezze: salute, efficienza, prestanza fisica, influsso sociale. La morte si fa progressivamente più vicina della nascita e le prove dell'esistenza ci ricordano che siamo "poco meno di un soffio... un'ombra che passa" (Sal 39,6-7); - di essenzialità: il passeggero e il caduco fanno sempre meno presa sul cuore, che all'opposto ricerca le cose che contano e che non tramontano. La prospettiva della fine agisce da griglia che trattiene solo quanto ha sapore d'eternità. In un simile processo tripartito è racchiuso lo svolgersi dell'intera esistenza umana, che obbedisce a un'analoga tabella di marcia. L'uomo nasce, s'immerge nell'esperienza della vita assumendone le molteplici responsabilità personali, familiari e sociali, finché è condotto inesorabilmente all'essenziale, a quel compimento che offre la misura reale delle cose e nel quale si opera il passaggio alla dimensione ultima dell'esistenza. Dal versante umano lo chiamiamo morte. In realtà si tratta della nostra vera nascita.
L'ITINERARIO CRISTIANO Lungo i secoli non si è mancato di riflettere sul cammino spirituale a cominciare dagli antichi Padri, che ne diedero la classica formulazione: "Dalle realtà esterne a quelle profonde, e dalle realtà profonde a Dio; Ab exterioribus ad intima, ex intimis ad Deum". Quest'insegnamento fu ripreso, a esempio, nei tempi moderni e fissato in formula scultoria che mutuiamo da s. Antonio M. Zaccaria: 138
"L'uomo lascia prima l'esteriore ed entra nel suo interiore e da quello va alla cognizione di Dio". lasciare l'esteriore richiama la nozione del distacco quando ci si rapporta verso il proprio mondo interiore e il mondo di Dio. Richiama di conseguenza l'insieme di attitudini e di pratiche che favoriscono tale passaggio. entrare nell'interiore mondo dello spirito significa imboccare la via del cuore, raggiungere quel centro di consapevolezza che rende trasparenti le esperienze e le vicissitudini della vita e ci apre alla conoscenza del nostro vero sé, come pure all'amore sollecito per ogni creatura. La conoscenza di Dio è il punto di arrivo e suppone un orientamento della mente e del cuore verso di lui, ma costituisce anche la conclusione quasi obbligata dell'itinerario spirituale, poiché "Dio non è lontano da ciascuno di noi" (At 17,27) e si dona a chi lo cerca con amore e in umiltà: "A chi mi ama, mi manifesterò" (Gv 14,21), dal momento che "cl"chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio" (1 Gv 4,7). è facile cogliere in questo itinerario l'eco dell'insegnamento di Gregorio Magno, monaco e pontefice, che scrive: "il primo gradino è che l'uomo rientri in se stesso; il secondo che egli veda all'interno di sé e il terzo che vada oltre se stesso e fissi lo sguardo contemplativo su Dio". Un altro schema, che potremmo definire scolastico e che risale al Medioevo, parla di una "triplice via": - via purificativa, propria dei principianti; via illuminativa propria di chi sta progredendo- via unitiva, propria dei "perfetti", nel senso di definitivamente e stabilmente orientati ai beni dello spirito. AL di là del linguaggio tecnico,l'accento è posto sul momento iniziale, sulla fase di progressivo avanzamento e sul raggiungimento di un definitivo orientamento di vita. All'inizio è dominante l'esigenza della purificazione. Successivamente ci si apre alla visione dei grandi valori, che ci si impegna a integrare nei dinamismi della vita di ogni giorno. Infine si raggiunge, con l'unificazione di se stessi, l'unione con Dio, che anticipa la condizione di definitività e di beatitudine propria degli uomini realizzati. è interessante notare che mentre per la mistica dell'Oriente la meta suprema è l'illuminazione, per il cristiano è l'unione. Di conse 139
guenza la contemplazione "non si ferma nell'intelletto, attraverso la conoscenza, come al suo fine ultimo, ma passa al cuore attraverso l'amore" (J. Maritain). Gli autori spirituali fanno inoltre osservare come a ognuno dei tre stadi corrisponde un preciso tipo di preghiera, pur evitando ogni fossilizzazione che mortificherebbe l'estrema varietà e ricchezza dell'esperienza mistica: nel primo prevalgono gli aspetti discorsivi e immaginativi. nel secondo si registra un più marcato carattere affettivo e di interiorità. nel terzo si ha la contemplazione pura. A quest'ultima si giunge, almeno in via ordinaria, passando per le due precedenti. Giovanni della Croce nella Salita al monte Carmelo 1 ci dà tre indizi che permettono di riconoscere l'approssimarsi di questa stagione della propria maturità spirituale. "il primo segno è che l'anima si accorge di non poter più meditare e discorrere con l'immaginazione, né provare gusto in questo esercizio, come per il passato; anzi ora ella trova aridità in ciò su cui aveva l'abitudine di fissare il senso e da cui era solita ricavare gusto... IL secondo si ha quando l'anima si accorge di non avere alcun desiderio di applicare l'immaginazione e il senso a nessun altro oggetto particolare, esteriore o interiore... il terzo, e più certo, è se l'anima trova soddisfazione a starsene sola con attenzione amorosa in Dio, senza considerazione particolare, e in pace interiore, quiete e riposo, senza atto né esercizio delle sue potenze - memoria, intelletto e volontà". Tornando alle schematizzazioni della vita spirituale, possiamo infine citare due autori contemporanei. Silvano del Monte Athos, monaco esicasta dei nostri tempi, indicava le seguenti tre tappe del vivere spirituale: "la prima era l'accoglienza della grazia. la seconda la perdita della grazia, la terza il ritorno della grazia"2. H. Nouwen,l'autore spirituale più letto negli Stati Uniti dopo T. Merton, riassume in questi termini i tre movimenti della vita spirituale: "dall'isolamento alla solitudine, dall'ostilità all'ospitalità, dall'illusione alla preghiera"3. 140
Nel senso che l'orazione educa al realismo dell'esistenza quotidiana e ci riporta alle nostre vere dimensioni. Siamo così liberati dall'orgogliosa pretesa che tutto si svolga secondo una visione perfezionistica e irreale.
L'OTTUPLICE SENTIERO DELL'ORIENTE Anche l'Oriente ha i suoi schemi di vita spirituale. IL più celebre fra essi è l'ottuplice sentiero dello yoga. Non diversamente dalla mistica cristiana, quella asiatica si prefigge come scopo la contemplazione, detta anche. samadhi. In che consista e come la si possa raggiungere è detto in una raccolta di aforismi o sutra elaborata da Patanjali4. Ricostruiremo il suo pensiero, per ciò che attiene al nostro intento, citando fra parentesi i sutra. Le dottrine mistiche conFortano nel considerare la contemplazione come uno stato che sta oltre l'esperienza abituale che ci lega al mondo e alla vita. Per questo lo yoga si prefigge "la soppressione delle modificazioni della mente" (1.2), per condurre l'uomo alla "sua natura essenziale e fondamentale" (1.3). la soppressione si ottiene "mediante l'esercizio costante del non-attaccamento" (1.12) e si radica fermamente in noi "quando la si persegue per lungo tempo, senza interruzione e con devozione reverente" a Dio. il raggíungimento del samadhi, oltre che supporre un "desiderio grandemente intenso" (1.21) è legato sia a diversi mezzi, sia all'"abbandono in Dio", espressione che alla lettera suona "situarsi in Dio, rinunciando a se stessi o abbandonandosi in lui", (1.23). il termine che designa Dio è OM (1.27). "La sua ripetizione costante e la meditazione sul suo significato" (1.28) favoriscono "il volgersi della coscienza verso il suo interno" (1.29). In altre parole,l'incessante invocazione e la compenetrazione con il nome di Dio e quindi con la realtà di Dio (qui espresso con il simbolo dell'Assoluto e dell'Ineffabile), conduce alla contemplazione e "quando si ottiene la massima purezza [del samadhi] si ha l'aurora della luce spiriuale" (1.47). La contemplazione è dunque frutto di abbandono e di iniziativa. Quest'ultima è da Pacanjali sintetizzata nei termini seguenti: "Le astinenze, le osservanze, la posizione, il controllo del respiro, l'astrazione, la concentrazione, la meditazione, la contemplazione sono le otto parti" dell'autodisciplina dello yoga (2.29). Le astinenze (yama) comprendono "l'astenersi dalla violenza, dalla falsità, dal furto, dall'incontinenza, dall'avidità" (2.30). Le osservanze (niyama) includono "la purezza, l'accontentarsi, l'austerità, lo 141
studio di sé e l'abbandono a Dio" (2.32), dove l'accontentarsi significa essere contenti di qualunque cosa capiti, stando in ciò "la suprema felicità" (2.42). La posizione (asana ) riguarda l'insieme di esercizi che hanno lo scopo di educare il corpo ad assumere, in ordine alla meditazione, un atteggiamento "stabile e compito" (2.46). è a questo punto che si inseriscono le discipline che vanno sotto il nome di hatha yoga. il controllo del respiro (pranayama) armonizza la posizione con il flusso respiratorio favorisce i processi di interiorizzazione, ritmando adeguatamente espiro e inspiro e approfondendo le pause intermedie (2.49). Si ha di conseguenza "la capacità di concentrare la mente" (2.53). L'astrazione (pratyahara) è, al dire di M. Eliade, "l'emancipazione dell'attività sensoriale dal gorgo degli oggetti esterni". I sensi "si ritirano dai propri rispettivi oggetti" (2.54) a tutto vantaggio dell'esperienza interiore. La concentrazione (dharana) "è il confinarsi della mente encro un'area mentale limitata" (3.1) che costituisce l'oggetto della concentrazione stessa. La meditazione (dhyana) si ha quando la mente è polarizzata senza interruzione verso il proprio oggetto (3.2). La contemplazione (.samadhi) si verifica quando tutta la consapevolezza si è trasferita dal soggetto, ossia dalla persona, all'oggetto, che in prospettiva teistica è Dio. è assioma della mistica universale l'affermazione di Rajneesh: "Quando siete veramente in preghiera, voi non siete e Dio è".
IMMANENZA E TRASCENDENZA Chi si dà a vita spirituale, noteremo a commento di questi celebri sucra, si apre all'esperienza del mondo interiore, cui accede anzitutto attraverso una serie di pratiche ascetiche (sono i primi cinque gradini) e poi di pratiche propriamente meditative (sono gli ultimi tre gradini). Corpo, psiche (affettività, emotività, ecc.) e spirito (dimensione mentale e volitiva dell'uomo) sono chiamati simultaneamente in causa per operare il progresso e il perfezionamento dell'uomo. Non solo, ma anche la sfera conscia della nostra esistenza si dischiude verso l'inconscio, che è possibile penetrare o far emergere quando ci si pone in uno stato di trasparenza e di interiorità, diventando come "una gemma trasdluciccda", (1.41). è stato giustamente osservato che non è possibile mettersi totalmente a nudo di fronte a un altro. Ed è per questo che l'Oriente non ha mai sviluppato nulla che assomiglia alla psicoanalisi. Ha invece sviluppato la meditazione, cioè l'arte di 142
mettersi a nudo davanti a se stessi, che è l'unica possibilità di essere assolutamente veri. La vita spirituale si presenta quindi come un cammino di integrazione e di unificazione: nessuna dimensione della persona e della vita le è estranea. il suo approdo consiste nel samadhi, realtà complessa che va dal totale assorbimento nel proprio sé profondo (estasi) al totale trascendimento del proprio sé (estasi). Emerge a questo punto la dialettica, propria di tutte le religioni, tra immanenza e trascendenza. Quanto poi al ruolo di Dio, nel cammino yogico convivono due tradizioni: una che enfatizza l'appello alla volontà e alle forze persònali dell'asceta e l'altra che inculca l'abbandono in Dio e la devozione reverente verso di lui, riassunti nell'espressione "sia fatta la tua volontà" (1,23; 2,1; 2,45). Al di là di un confronto tra diverse prospettive religiose, teista o non teista, non si manchi di notare che l'apertura al divino non si pone solo come mezzo che favorisce l'autorealizzazione, ma è anche il fine di ogni autentico cammino di interiorità e, a ben considerare le cose, il segreto movente. Cosa spinge, infatti,l'uomo nel faticoso impegno di autotrascendersi, se non l'intuizione, sia pure implicita, di un appello e di un dono?
TRE CARDINI DELLA VITA SPIRITUALE I diversi stadi del sentiero spirituale su cui ci siamo a lungo indugiati, sono a un tempo un dato di esperienza psicologica e manifestazione della presenza operante nell'uomo del "germe di vita divina" (cf.1 Gv 3.9). Non vanno concepiti come compartimenti stagni, i ma come linee di tendenza caratteristiche dell'evoluzione umana. La vita spirituale, ben oltre gli schemi attraverso i quali ci viene descritta, comporta un dinamismo all'insegna del progressivo raggiungimento del centro unificante della propria esistenza, là dove si vive in pienezza "la familiarità con Dio" e donde si irradiano energie di amore verso il prossimo. Raggiunto questo centro, spendersi per il prossimo non sarà più un uscire da se stessi e tanto meno un allontanarsi da Dio, dal momento che "il prossimo è quello che congiunge l'uomo a Dio" (Battista da Crema). Riprendendo quest'insieme di indicazioni, noi vorremmo propor 143
re una crilogia, che riassumiamo in un triplice programma di vita: - attitudine alla rinuncia o giusto distacco - motivazione illuminata o incondizionata disposizione all'amore corretta valutazione della realtà o suprema saggezza spirituale5. Rifacendoci a questi tre cardini della vita spirituale, terremo presenti soprattutto gli insegnamenti della tradizione biblica e cristiana, ma anche di quella buddhista, il cui messaggio risulta particolarmente ricco e incisivo. Di esso, infatti, ha scritto H. De Lubac che "a parte il Fatto unico - Cristo in cui noi adoriamo la traccia e la Presenza di Dio, è senza dubbio l'evento spirituale più grande della storia". 1. Attitudine alla rinuncia o giusto distacco L'atteggiamento interiore della rinuncia è basilare non solo per la pratica della meditazione, ma anche per il raggiungimento della perfezione. "Proprio come per intraprendere un lungo viaggio - afferma Thubten Zopa, un lama tibetano che ha approfondito con particolare acume questo tema basilare della vita spirituale abbiamo bisogno di visti, passaporto, denaro, ecc.; così è indispensabile essere dotati di questa attitudine per progredire con frutto lungo il sentiero spirituale". "Chi non rinunzia a tutto quello che possiede - dichiara Gesù non può essere mio discepolo" (Lc 14,33); e altrove insiste e precisa: "Chi pensa soltanto a salvare la propria vita la perderà; chi invece è pronto a sacrificare la propria vita per me, la salverà" (Lc 9,24). Perché un ideale di vita possa essere pienamente accolto da noi è necessaria questa disposizione interiore che ci fa liberi di aderire senza ostacoli al bene. il principio è sempre quello: "Quando sei diventato una valle di ricettività, la più alta vetta ti può essere consegnata. Solo una valle può ricevere una montagna" (Rajneesh). "Spesso succede che anche dei meditatori in ritiro incontrino delle difficoltà a fare progressi nella loro pratica. Nonostante si trovino nel posto più adatto e abbiano ricevuto dettagliate istruzioni sulla meditazione che stanno avvicinando, sono ostacolati di continuo da disturbi fisici e mentali. Questo è soprattutto dovuto al fatto che non hanno sviluppato sufficientemente una mente che ba rinunciato" (Thubten Zopa). 144
Che cos'è la rinuncia; Ma che cosa è la rinuncia? In genere, il semplice fatto di pronunciare questa parola suscita in noi una reazione istintiva di rifiuto o, se non altro, di sospetto e di dubbio. Percepiamo la rinuncia come un attentato al nostro desiderio di vivere e guardiamo a essa come al prodotto di una mente antiquata, chiusa alle gioie che ci derivano dalle piccole e grandi realtà della terra. Questo atteggiamento denota tuttavia la nostra ignoranza nel comprendere il vero significato della rinuncia, e è spesso anche la conseguenza di una pratica poco illuminata sia della rinuncia che del distacco. , Scrive ancora l'autore citato: "Contrariamente alla credenza popolare, per cui una mente che ha rinunciato è una cosa malinconica e pessimista, i meditatori che la raggiungono hanno modo di provare la più grande felicità già nel mondo presente. Infatti, se pensiamo che la rinuncia distrugga tutte le possibilità di godersi la vita, allora non abbiamo assolutamente capito che cosa questa parola significhi. Quando qualcuno sviluppa dentro di sé la vera rinuncia, questi sperimenta ben più grandi gioie e piaceri, sia mentali che fisici, di chi, pur essendo circondato da ogni bene, non ha ancora ottenuto questa realizzazione". Non a torto si è potuto affermare che la più grande rinuncia è la decisione di crescere. Infatti soltanto con la rinuncia si comincia veramente a vivere. Essa mette a disposizione dell'uomo un potere eccezionale. Educa alla padronanza di sé, sprigiona energie positive e accresce la creatività. Chi invece non sa rinunciare diventa burattino dei suoi desideri che s'illude di veder sempre realizzati. Egli dimentica che l'appagamento di tanti desideri si traduce alla lunga in sofferenza per sé e soprattutto per altri. Per questo la tradizione spirituale è unanime nel predicare la rinuncia. Linguaggio e immagini potranno spesso apparirci inaccettabili: odio, disprezzo, morte a se stessi... Si imporrà uno sforzo di comprensione, pensando che a esprimersi in questi termini sono uomini e donne di grande impegno spirituale e benemeriti dell'umanità, appartenenti a tutte le epoche e a tutte le latitudini. Chogyam Trungpa, a esempio, un lama trasferitosi in Occidente dove ha inculturatò con molta intelligenza il dharma buddhista, predica in questi termini: "Dobbiamo cominciare a smantellare la struttura basilare di questo io che ci siamo ingegnati a creare. Smantella 145
re, disfare, aprire, lasciar perdere, ecco il vero processo". Maria Maddalena Martinengo da Barco, monaca cappuccina vissuta in fama di santità, soleva affermare: "Odio di sé e trasformazione spirituale la ritengo una sola cosa", e questo all'interno di un programma esigentissimo, che comprende una triplice morte: "al visibile, al sensibile, all'intelligibile". L'odio proprio, afferma Battista da Crema, serve a combattere l'amor proprio e solo nel superamento dell'amore di sé egoisticamente inteso, si dà perfetto amore per l'altro e per Dio. Facendo eco alle parole di Cristo, padre Le Saux ci ricorda, citando Ramana Maharishi, un grande maestro indù dei nostri tempi, che "voler morire a se stessi è il mezzo migliore per conservare il sé in vita". E aggiunge: "Si passa il proprio tempo a ingrassarlo - il nostro io - per il giorno in cui lo si ucciderà: tutto come le oche!" Chi pratica il sentiero spirituale è d'altra parte abituato a familiarizzare con concetti apparentemente negativi, ma in realtà del tutto positivi. Parla di vuoto, ma intende pienezza. Di nulla, ma in vista del tutto. Di silenzio, ma vive nell'ascolto interiore. Di morte, ma sa che si cratta di vita. E dunque di rinuncia, ben consapevole che non indica rifiuto o disistima né di sé né del mondo, che Dio ha creato sette volte buono (Gn 1). La Bibbia ci insegna a gioire dei doni di Dio non solo di quelli futuri, ma anche dei presenti; non solo di quelli eterni, ma anche di quelli precari. Persuasi che la vita finisce con la morte, i patriarchi muoiono, carichi di giorni e di anni, benedicendo Dio per la felice parabola della loro esistenza terrena, durante la quale hanno goduto della benevolenza divina, accolta nei segni della salute e della longevità, nelle gioie della convivenza familiare e sociale, nell'abbondanza del bestiame e dei frutti della terra (cf. Gn 25,8; 35,9). La rinuncia, dunque, non è né il rifiuto della creazione, né paura davanti alle gioie della vita, né senso di sprezzante superiorità nei confronti dell'esistenza terrena. Essa è piuttosto il frutto maturo di una mente che ha raggiunto le vette più alte dell'amore e perciò è capace di un autentico rapporto con se stessa e con ogni altra realtà nel segno della libertà interiore. Regola d'oro della rinuncia sarà quindi: Non disprezzare nulla, perché tutto è dono. Non aggrapparti a nulla, perché niente è tuo. Sii libero in rapporto a tutto e il Tutto ti colmerà di sé.
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Fonte di sofferenza La rinuncia costituisce certamente anche un mezzo, un esercizio ascetico; ma il suo vero destino è quello di diventare un traguardo, a motivo della perfetta coincidenza che esiste tra rinuncia e libertà interiore. Dove l'uomo non ha rinunciato, là corre continuamente il rischio di essere risucchiato dalla spirale dell'attaccamento alle cose, che è la causa principale della sofferenza e di ogni ingiustizia. I segni interiori di questo errato rapporto con sé e con le cose sono noti: orgoglio, avarizia, ira, avidità, cupidigia, impazienza, stupidità, ecc. Essi sono causa di grandi disordini, ma anche di indicibili sofferenze per noi e per gli altri. Nonostante questo, "di solito non pensiamo affatto che cose come la gelosia o il desiderio siano una forma di sofferenza, ma pensiamo che solo le malattie e i disturbi del nostro corpo siano dolorosi". L'evento mentale più difficile da riconoscere come doloroso, scrive ancora Thubten Zopa, è "la brama, la cupidigia. Ma anch'essa è un malanno. Supponiamo a esempio di trovarci in un grande magazzino e di vedere qualche cosa che ci piace veramente e che vorremmo possedere. La mente ci si incolla letteralmente sopra e non vediamo l'ora di venirne in possesso. Ogni volta che il ricordo di quell'oggetto ci passerà per la mente proveremo una particolare tensione, come se ci fosse piantato un piccolo ago molto affilato in mezzo al cuore". Se ammettiamo che ogni disordine mentale è sofferenza, allora "in questa categoria dobbiamo includere anche l'orgoglio. è molto facile vedere come anche la rabbia sia una forma di sofferenza. Non porta niente di piacevole, genera solo palpitazioni accelerate, durezza di cuore, irrequietezza generale e tutti gli svantaggi connessi a una mente crudele. Ovviamente non può portare che dolore". La mancata attitudine alla rinuncia condiziona negativamente ogni nostro rapporto con gli altri. La presenza - consapevole o inconscia - di secondi fini è sempre causa di tensioni, sospetti, attriti, opposizioni e di tutta una catena di altri guai che ci rendono estranei o ostili gli uni agli altri. Non è certo piacevole vivere con una persona avida, preoccupata soltanto di sé, avara o possessiva. La rinuncia è in primo luogo un fatto mentale. Essa non implica necessariamente il dovere di abbandonare le cose che possediamo e che ci piacciono, ma determina invece il nostro rapporto interiore 147
con esse. Può succedere che il distacco interiore coincida con un'effettiva rinuncia esteriore e che, in determinate circostanze,l'imponga. Nel vangelo, Gesù insegna la rinuncia non solo affettiva, ma anche effettiva. IL suo stile di vita povera e il suo impegno nell'annuncio della buona notizia ai poveri, proclamano quel realismo evangelico che non consente disfunzioni tra la teoria e la pratica. Gesù vive nel rapporto concreto con gli uomini e anche la formazione dei discepoli passa attraverso il crogiolo dell'esperienza immediata, che non tollera remore o rimandi ma esige una prontezza e una disponibilità locali. Non solo teoria e pratica camminano insieme, ma spesso l'azione precede e prepara l'annuncio. 'Il girotondo della vita Ciò nonostante, se non ci preoccupiamo di dissipafe la nebbia che avvolge la nostra mente, ogni rinuncia puramente esteriore risulta del tutto vana e anche ingannevole. Mentre ci rendiamo liberi in " rapporto a determinate realtà, ci aggrappiamo tenacemente ad altre, continuando così a rimanere schiavi di quel girotondo del desiderio che in sanscrito viene chiamato Samsara. Samsara significa "andare in cerchio o girotondo dell'esistenza. Alcuni pensano che quanti vivono in una grotta o abitano in una foresta riescano a sfuggire al samsara. Ma non è così. Esso non è un luogo da dove scappare: è uno stato mentale che ci condiziona fino a esserne schiavi. Proprio questa mancanza di libertà o di scelta e la sua vera natura". Se tu sai intrattenerti con le persone senza renderle schiave dei tuoi desideri; se sai incontrare ogni realtà nell'assoluta assenza di avidità o impazienza: allora hai raggiunto la vera rinuncia. Essa sarà per te una sorgente perenne di serenità, pace e tranquillità, qualunque sia la tua condizione di vita. Gioirai ugualmente sia nella presenza come nell'assenza di ciò che ti è caro. perché avrai imparato a dare e a ricevere nel segno della gratuità. E la maturità interiore di Giobbe all'inizio e al termine della sua travagliata avventura: "Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore" (Gb 1,21). ; Gesù ribadisce il valore del distacco e della rinuncia come espressioni di gratuità e di disponibilità anche in molte parabole. Gli operai della prima ora non devono lamentarsi se quelli dell'ultima ricevono lo stesso compenso dei primi, perché nella vita tutto è gratuito (cf. Mt 20,1-16). Un insegnamento analogo si ha in Luca 17,10 dove, 148
a conclusione della loro fatica, gli operai del vangelo confessano: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". Se si penetra il midollo di questo insegnamento sapienziale e lo si pratica, allora si comprende come "una mente che ha completamente rinunciato conduce alla felicità e alla gioia, perché tutte le fonti di confusione sono state eliminate". esercizio 1 Siccome la rinuncia dice costante riferimento al desiderio, è da quest'ultima realtà che dobbiamo partire. Sarà bene anzitutto considerarci come "un fascio di desideri", alcuni buoni, altri ambivalenti altri senza dubbio negativi. Prima di entrare più direttamente in merito dobbiamo prendere vivida coscienza di come la mentalità di questo mondo (cf. Rm 12,1) esaspera i nostri desideri all'insegna del futuro subito"; suscita desideri fittizi, protesa com'è al culto del superfluo; previene i desideri, privandoci dell'attesa, della preparazione e della gioia di una faticosa e meritata conquista; spesso e di conseguenza spinge verso desideri abnormi da cui nasce il fenomeno della devianza; infine spegne i desideri superiori e essenziali. Siamo ora in grado di interrogarci sui nostri desideri. Mi chiedo. 1. Quali sono i miei desideri? Mi è possibile stabilire una graduatoria fra di essi? 2. Nutro dei desideri "inconfessabili"? So riconoscerli attraverso il linguaggio dell'inconscio (soprattutto dei sogni) e i rimproveri o i giudizi altrui? ; 3. Mi identifico con i miei desideri o sono libero di fronte a essi? Riveste a questo proposito grande importanza saper rimandare l'appagamento dei nostri desideri, dilatandone il periodo d'incubazione o lasciando che si ridimensioni la loro urgenza. 4. Sono capace di sostituire i miei desideri evitando così di cadere nella frustrazione e nell'inazione? Li so sublimare, dando loro una meta più alta e più vera? 5. Riesco a prevenire i miei desideri cogliendoli al loro sorgere o il mio è semplicemente uno stato di resa incondizionata di fronte a essi? Esercizio 2 La soddisfazione di un desiderio avviene sempre a prezzo di una rinuncia. Interroghiamoci quindi: 1. Quali penso che siano le rinunce che hanno segnato e che se nano la mia vita 2. Come reagisco di fronte a esse: ne resto frustrato? Le assumo positivamente e responsabilmente. Le integro nel più ampio contesto della mia vita, trasformandole in motivo di crescita? 3. Quali energie positive scaturiscono dalle mie rinunce?
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PER LA PREGHIERA Che io possa morire per amore dellmor tuo! "Rapisca, ti prego, Signore,l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell'amor tuo come Tu Ti sei degnato di morire per amore dell'amor mio". pochi testi ci introducono, con altrettanta perspicacia e sobrietà, al tema della rinuncia, come questa preghiera attribuita a Francesco d'Assisi, l'uomo della "perfecta letizia". Il merito di questa preghiera consiste soprattutto nel fatto che essa sottolinea senza equivoci la centralità e il primato dell'amore. il distacco e la rinuncia sono una questione di amore, la conseguenza di una crescita. il loro scopo non è quello di mortificare l'uomo o le cose, ma di raggiungere un autentico rapporto con l'esistente, realizzando il proprio essere su un alto ideale di vita, nel caso specifico Dio. La prima fase della focalizzazione della mente su Dio comporta il distacco dalle creature, ma per il semplice fatto che noi le abbiamo innalzate a "idoli", mettendo totalmente da parte Dio, il quale non esercita più nessuna attrattiva su di noi, o solo un'attrattiva debolissima. è interessante notare a proposito,l'accento posto sulla mente: è la mente che deve essere rapita. Quando la mente avrà ritrovato il suo giusto orientamento, la rinuncia non sarà più necessaria o, comunque, non sarà più tale. Saremo in grado di godere di ogni cosa in Dio, cioè nella sorgente stessa dell'amore e della libertà interiore. Nell'ascesa della rinuncia, l'aspetto negativo del distacco e dell'abbandono è meno importante dell'aspetto positivo della polarizzazione della propria mente su Dio. Francesco domanda di essere rapito, assorbito dalla calamita divina così da morire per amore di Dio a tutte le cose che sono sotto il cielo e, nello stesso tempo, riconosce il cammino inverso di Dio: egli si è lasciato assorbire dalla calamita terrestre fino a "morire per amore dell'amor mio", cioè delle creature. Questa morte non ha niente di materiale, non è la rottura fisica con le persone o le cose. è un fatto mentale, profondo. è il superamento di ogni egocentrismo o egoismo, presupposto indispensabile per un autentico rapporto di amore con qualsiasi realtà. Più che un morire e un rinunciare al mondo delle creature, è un morire e un rinunciare ai falsi legami stabiliti dalla nostra mente, a causa dell'ignoranza. Vinci l'ignoranza, entra nella luce, e l'universo danzerà attorno a te. Nel concreto della nostra esperienza quotidiana, la rinuncia assume necessariamente dei connotati anche ascetici, capaci di rafforzare lo spirito di sacrificio e la volontà. Chi nutre un forte amore per la montagna, sa che per raggiungere la vetta occorre esercitarsi, è necessario l'allenamento sia fisico che mentale. 150
Ma l'aspetto più importante rimane l'amore. Senza di esso, ogni impegno risulterebbe assurdo e, alla fine, alienante e frustrante. Stranamente, noi accettiamo che uno, se ama la montagna, ami anche gli esercizi che gli permetteranno di raggiungere la vetta. Siamo invece meno inclini a considerare positivamente la rinuncia quando si tratta di raggiungere quella vetta che è la libertà interiore, presupposto indispensabile per realizzare noi stessi e la nostra felicità in un rapporto autentico e armonico con tutte le cose. Quest'atteggiamento non è altro che il frutto dell'ignoranza. Chi non vede la vetta, non può amare ciò che a essa conduce. Perciò, il primo passo di chi rinuncia non è nell'abbandonare qualcosa; consiste piuttosto in questo: alza la testa, tieni gli occhi fissi sulla montagna e lascia che essa t'innamori di sé. Gesù direbbe: "Venite e vedete!". Fa che il mio desiderio O Dio, fa'che qualunque mio desiderio personale possa beneficare tutti gli esseri di questa terra, direttamente o indirettamente; gli esseri tutti, umani, animali, le piante, le acque,l'aria, tutto ciò che è natura. Fa che ogni mio desiderio sia in armonia con Te e con le tue leggi e che nessun pensiero e nessuna azione possano influenzare negativamente il mondo e quanto in esso vive. Fa'che vi sia vero amore per tutte le creature e che io non abbia desideri che possano nuocere ad alcuna di esse. Ricordami di riconoscere la negatività negli altri e nella natura come manifestazione della legge del positivo e negativo, senza la quale non vi è forza, né potenza, né realizzazione più alta. Fa'che io non la consideri mai brutta o cattiva, ma possa comprendere, amare e equilibrare dove è possibile. Fa'che, attraverso la meditazione e la conoscenza di me stesso i desideri inconsci diventino consci e che io consideri tutte le tue creazioni visibili e invisibili prima di fare qualsiasi sforzo per soddisfarli. (C.E.S. Rai)
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2. Motivazione illuminata, o incondizionata disposizione all'amore La semplice rinuncia che non sia motivata da benevolenza non può diventare la causa della felicità perfetta. il richiamo a s. Paolo è del tutto spontaneo: "Se io so parlare le lingue degli uomini e degli angeli, ma non posseggo l'amore: sono come una campana che suona come un tamburo che rimbomba... Se distribuisco ai poveri tutti i miei averi e come martire lascio bruciare il mio corpo: senza l'amore niente io ho" (1 Cor 13,1-3). Amare equivale, per il cristiano, a essere inseriti nella stessa corrente della vita divina: "Chi ama conosce Dio" e: "Chi vive nell'amore vive in Dio" (1 Gv 4,16). il. Santo è uno che vive immerso nella corrente dell'amore trinitario; per questo la sua vita manifesta le opere di Dio. Santi o bodhisattva In Oriente, l'attitudine amorosa di una mente illuminata è detta bod hicitta e bodhsisattva è colui che ne è totalmente impregnato. Come il santo dell'Occidente, così anche il bodhisattva conduce a volte una vita quasi leggendaria e il suo unico scopo è quello di beneficiare tutti gli esseri viventi, riversando su di essi benevolenza e amore. In tal modo si realizza il comandamento di Gesù: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è in cielo. Egli è buono anche verso gli ingrati e i malvagi. Fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere per quelli che fanno il bene e per quelli che fanno il male. Siate anche voi pieni di bontà, così come Dio, vostro Padre, è pieno di bontà" (Mt 5,43-48 e Lc 6,36). Questa suprema capacità di amare e di desiderare soltanto il bene degli altri, amici indifferenti o nemici che siano, non è un atteggiamento scontato. è invece il frutto di un lungo apprendimento. Ciononostante: "alcuni erroneamente ritengono di poter praticare una vera attitudine amorosa senza la rinuncia. Ma questo è impossibile. Costoro pensano probabilmente a questo modo perché l'attitudine amorosa sembra una pratica piacevole che non richiede sacrifi '152
cio, mentre la rinuncía appare una cosa molto più austera e difficile. Sfortunatamente non è proprio così. Lo sviluppo dell'attitudine amorosa comporta numerosi stadi progressivi di meditazione, che richiedono molta serietà e dedizione. Non si tratta solo di pensare pensieri carini", afferma Thubten Zopa. Una manifestazione caratteristica di questa divina benevolenza è la con-passione, l'intima partecipazione cioè alla sofferenza di chi, non avendo ancora raggiunto uno stato di sufficiente realizzazione personale, si vede continuamente minacciato e lacerato dalle forze negative che operano nel cosmo e, in primo luogo, nel cuore dell'uomo. Il Santo o il bodhisattva è una persona che non condanna nessuno, ma sviluppa invece un profondo senso di compassione verso tutti gli esseri viventi, di cui coglie, al di là delle apparenze,l'intimo travaglio. è l'atteggiamento che ispirava Gesù nel suo incontro con le folle, per le quali sentiva una grande compassione, "perché erano stanchi e scoraggiati, come pecore che non hanno un pastore" (Mt 9,36; Mc 2,17); o gli faceva dire: "il Figlio dell'Uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto" (Lc 19,9); o ancora: "Andate alle pecore sperdute della casa d'Israele" (Lc 9,1-(; Gv 4,35-38); e, davanti al pubblicano Zaccheo: "Anch'egli è un figlio di Abramo" (Lc 19,9; cf.13,16). Ma è soprattutto l'atteggiamento che caratterizza la sua morte in croce: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Il santo è incapace di risentimento; egli intuisce con troppa chiarezza l'intima sofferenza di chi si fa portatore di un negativo attegiamento di vita; la sua risposta pertanto è la compassione. Per il santo, il violento è uno che grida aiuto. Siccome la benevolenza "è la più alta motivazione possibile, essa rende ogni nostra azione molto ma molto più potente dei nostri comuni impulsi, fine a se stessi. Si dice, a esempio, che dare a un cane una manciata di cibo in attitudine amorosa è di maggior beneficio che donare senza questa motivazione un intero universo di gioielli a tutti gli esseri viventi". La carità La carità è la magica forza che trasforma il mondo. Gesù, dopo aver consegnato ai suoi discepoli il comandamento dell'amore, li manda nel mondo assicurando loro che, se avranno fede, faranno segni miracolosi: cacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, 153
guariranno i malati, prenderanno in mano serpenti e berranno veleni senza subire alcun male (cf. Mc 16,17-18). Affermazioni analoghe 1 si leggono nelle testimonianze buddhiste circa la pratica della benevolenza. il bodhisattva Shantideva afferma: "Se soggioghiamo la mente allora soggiogheremo ancora di più la tigre, il serpente e l'elefante e tutte queste belve terribili". Non si tratta solo "di un vuoto sentimento poetico" - scrive Thubten Zopa in una pagina che sembra ricalcare le vite dei padri del deserto o i Fioretti di s. Francesco -, ma di una "asserzione di fatto... Vi sono molte testimonianze riguardo alla benevolenza e a simili motivazioni altruistiche intese a proteggere la gente dai pericoli. Molti grandi bodhisattva dell'India e del Tibet furono obbligati a fare dei viaggi attraverso giungle abitate da animali feroci, e molto spesso è successo che queste fiere siano diventate docili in loro presenza. Era come se anche queste creature possedessero la conoscenza per rispettare tali maestri spirituali. Perfino delle creature normalmente timide come gli uccelli e i cerbiatti si avvicinavano loro per vedere che tipo di esseri fossero. Cose simili sono capitate anche a dei meditatori di oggi". Nel vangelo Gesù riassume il comandamento dell'amore del prossimo con questa regola d'oro: "Fate agli altri quello che anche voi volete dagli altri" (Lc6, 31). Allo stesso modo le scritture asiatiche pongono l'accento sull'importanza di sostituire all'amore per sé l'amore per gli altri: "Ti prego, benedicimi, affinché io sia capace di scambiare me stesso con gli altri, e di rendermi uguale a loro pensando ai benefici e ai difetti delle seguenti azioni: il Buddha opera solo per gli altri mentre il bambino dalla mente ristretta solo per se stesso. Amare se stessi porta alla rovina, e avere care le nostre madri è la base di tutto ciò che è buono. Dunque, per la pratica di scambiare sé con gli altri, Ti prego, benedicimi, affinché io sia in grado di fare tutto questo" (Guru Puja). è ancora Thubten Zopa che ricorda come "la conseguenza di scambiare noi stessi con gli altri è che diventiamo molto più consapevoli della difficile situazione di tutti gli esseri viventi... Quando crescerà dentro di noi una sensazione ancora più forte di amore e di compassione verso gli altri, niente ci renderà più felici del gioire della gioia dell'altro e niente ci rattristerà di più del suo dolore. 154
Non appena avremo una esperienza piacevole penseremo automaticamente di condividerla con i meno fortunati. Allo stesso modo in cui quando vedremo soffrire qualcuno vorremo portare noi il suo fardello. Se già ora possiamo condividere la nostra felicità o prendere su di noi il dolore degli altri, questa è una cosa eccellente. Ma anche se non siamo ancora in grado di farlo, il solo desiderio sparge molti semi che germoglieranno un giorno nella nostra capacità di portare agli altri gioia e felicità senza fine". Shantideva così si esprime: "La persona gentile che pensa di curare il mal di testa di tutti gli esseri, acquista per la buona intenzione infiniti meriti; quanto più ne acquista colui che desidera alleviare gli infiniti mali di tutti gli esseri, volendo creare in loro infinita virtù". Ed ecco la promessa di. servizio a tutta l'umanità caratteristica del movimento di rinascita spirituale promosso in Giappone da Masao Abe, uno degli esponenti più qualificati del dialogo interreligioso: "Lavoriamo per creare un mondo sincero e felice, con animo tranquillo; risvegliando il nostro vero essere; trasformandoci in persone piene di compassione; sviluppando la nostra vera natura in conformità con la missione che ognuno deve svolgere nella vita; prendendo coscienza dell'agonia della società e degli individui; cercando di portare tutti alla Fonte originaria; cercando la giusta direzione verso la quale deve andare la nostra storia; unendo tutte le nostre mani come fratelli, senza distinzione di razze, nazionalità e classi; per ottenere ciò che desideriamo dal profondo del nostro cuore: la liberazione di tutta l umanità". A voler poi citare i numerosi testi della Bibbia che, sotto forma d'insegnamento o di testimonianze, parlano dell'amore, si andrebbe lontano. II Nuovo Testamento ribadisce il principio per cui l'amore riassume tutta la Scrittura. Ma esso ci pone soprattutto davanti alla testimonianza vivente del Cristo, riflesso supremo dell'amore del Padre. In continuazione viene ribadito d'immedesimarci con quelli che furono i sentimenti e gli atteggiamenti di Gesù, così da amare non a parole soltanto, ma in spirito e verità, cioè con le opere di una vita rinnovata in cui l'uomo 155
esprime la vera adorazione del Padre. Tale testimonianza, tuttavia, è sempre vista come il frutto di una conversione profonda, che ha inciso in modo determinante sulle strutture del nostro cuore e della nostra mente, orientandoli definitivamente al bene. Per questo, la carità è il dono supremo dello Spirito, anzi certezza della sua stessa inabitazione nell'uomo. La carità effonde benevolenza; Le Scritture esaltano la benevolenza, additando in essa un attributo che caratterizza l'azione di Dio (Rm 2,4; 11,22; Ef 2,7; Tt 3,4) non meno di quella dell'uomo (Rm 3,12; 2 Cor 6,6). Essa è uno degli abiti (Col 3,12) caratteristici del cristiano e "frutto dello Spirito" (Gal 5,22). Proponiamo un esercizio per acquistare e diffondere benevolenza. Ciò che stiamo per vivere è di grande importanza. è stato detto, infatti, che "come lo splendore di tutte le stelle non raggiunge un decimo dello splendore della luna, ma lo splendore della luna brilla, rischiara e illumina superando quello di tutte le stelle, così tutti i mezzi adoperati per ottenere qualunque merito non hanno il valore di un decimo di benevolenza. La benevolenza li assorbe, splende e avvmpa il cuore dell'uomo". E ancora: "La cattiveria è come il fuoco e la benevolenza come l'acqua. Quando uno si serve dell'acqua per spegnere il fuoco, forse che non lo estinguerà? L'odio non ha mai messo fine all'odio. La benevolenza vi mette fine. Tale è la legge eterna". L'esercizio di benevolenza, nella forma in cui viene qui proposto, non può essere preso alla leggera. Esso richiede un'intima assimilazione all'amore di Dio. Sentire,l'abbiamo già visto, è più importante che pensare. Nella contemplazione dell'amore di Dio ci lasciamo pervadere della sua bontà. E in questo clima interiore, tutto permeato della divina luce di benevolenza, che ci spostiamo con il pensiero verso gli altri. Più che riversare su di essi i nostri pensieri e sentimenti di amore, si tratta di ricordarli nella consapevolezza e nell'esperienza interiore dell'amore di Dio, dal momento che "soltanto Dio è veramente buono" e "benevolo verso tutte le sue creature". Esercizio 1 Iniziamo l'esercizio meditativo con questa o simile invocazione o invito: uIl tuo sentimento carico di benevolenza percorra l'universo, / diffondendo ovunque pensieri d'amore. / Gira attorno all'universo come un cavallo che 156
trotta intorno a un cerchio. / Avvolgi l'universo di un pensiero d'amore appassionato. / Rivolgi questo pensiero nell'alto e nel profondo, a oriente e a occidente. / Questo effluvio di benevolenza copra ogni zona dell'universo. In te scenderà tranquillità interiore. / Una contentezza insolita prenderà possesso di te. / Una gioia insospettata proverai nel tuo cuore. / il corpo, i sensi, la mente si acquieteranno / e ti sentirai immerso in un profondo benessere. Che tutti gli esseri che sono all'Est, / che tutti gli esseri che sono all'Ovest, / che tutti gli esseri che sono al Nord, / che tutti gli esseri che sono al Sud, / siano pervasi di benevolenza. / Possano tutti vivere con amore. / Possano tutti vivere fraternamente. / Possano tutti vivere nella pace". Intendiamo dunque suscitare in noi benevolenza e irradiarla su tutti gli esseri viventi. Nella difficoltà di abbracciarli tutti immediatamente con un unico pensiero, li dividiamo in tre categorie, la prima e l'ultima delle quali saranno ulteriormente distinte in tre sottogruppi. Avremo così: amici, indifferenti e nemici. Amici e nemici si distingueranno a loro volta in grandi, mediani e piccoli. Iniziamo dal più grande amico. Esprimiamo un sentimento di intensa benevolenza verso il più grande dei nostri amici, fissando in esso il cuore. - Passiamo agli amici mediani, persone che ci risultano amiche quando ci capita di inconcracle nella vita, anche se raramente le ricerchiamo. Identifichiamone alcuné che appartengono a questa categoria e raggiungiamole con lo stesso sentimento di benevolenza che riserviamo ai grandi amici. - Vengono poi i piccoli amici, persone cui ci lega un rapporto di simpatia molto tenue. Basterebbe poco per conquistarli a una vera amicizia; cosa che forse essi da tempo si attendono. Anche su di loro riversiamo lo stesso sentimento di benevolenza che ci lega ai grandi amici. - Eccoci ora alle persone che ci risultano del tutto indifferenti: chi incontriamo per caso lungo la strada; chi vende il biglietto sull'autobus, il giornale all'edicola... Conquistiamo anch'essi al nostro amore, raggiungendoli con un intenso senso di benevolenza. - E'ora la volta dei nostri nemici, pensando che sono" tali tutti coloro che ci risultano inassimilabili o contrari ai nostri gusti e alle nostre preferenze, non meno di coloro che ci avversano e ci fanno del male. - cominciando dai grandi nemici. Persone che mai avremmo voluto incontrare nella vita e il cui ricordo è per noi fonce di vera sofferenza. Identifichiamone alcuni e raggiungiamoli con lo stesso senso di benevolenza che ci lega ai grandi amici. - Vengono poí i nemici mediani, persone che ci risultano fonte di dolore e di fastidio quando attraversano il campo della nostra vita. Anche per essi ci sia un messaggio di benevolenza, come per il nostro più grande amico. 157
- E infine ci restano i piccoli nemici. Persone che poca distanza separa da noi e che forse sarebbero già passate nel novero dei nostri amici, se avessimo avuto più amore. Facciamo confluire nel loro cuore, possibilmente con la stessa intensità, l'attitudine di benevolenza che ci rapporta nei confronti dei grandi amici. - A questo punto diamo uno sguardo d'insieme alle persone che vivono nella nostra stessa casa, che siedono alla stessa mensa o che quotidianamente incontriamo nel nostro lavoro. Ce n'è per caso sfuggita qualcuna, attraverso i sette gradini lungo i quali abbiamo scaglionato il noscro prossimo? Se sì, vediamo dove meglio inserirla e raggiungiamo anch'essa con la nostra benevolenza. - Compiuta questa meditazione rettuplice e uguale, ampliamo il campo del nostro desiderio fino a comprendere il nostro paese o la nostra città e, seguendo i quattro punti cardinali, abbracciamo tutte le creature in un medesimo atteggiamento di benevolenza. Fissiamo la portata dell'esercizio che abbiamo compiuto e che è di origine buddhista: a) il cuore si è rivelato fonte inesauribile di benevolenza e ciò perché in esso è stato effuso il dono dello Spirito, senza misura. Dobbiamo dunque, come ci raccomanda san Paolo (2 Tm 1,6) "riattivare il fuoco della grazia di Dio" che si fosse andato spegnendo in noi. b) Ci si deve sentire pervasi di benevolenza e si deve effondere benevolenza per essere imitatori di Dio, che guarda indistintamente a tutti con occhio di amore (Mt 5,45-48). "Infatti, nella misura in cui misuriamo, ci sarà misurato in cambio: una misura buona, pigiata, scossa, traboccante ci sarà riversaca in grembo" (I.r 6,38). La benevolenza trasferisce sugli altri lo sguardo con cui Dio guarda a me. ''c) Dobbiamo emettere dei pensieri e dei sentimenti di benevolenza verso ogni persona che incontriamo nella vita o che ci viene in mente, soprattutto quando ciò si verifica in un contesto negativo, suscitando in noi apprensione, risentimento, paura o ricordo spiacevole per quanto abbiamo ricevuto o fatto di male. d) Coltivare i sentimenti opposti, quali malevolenza, astio, rancore, antipatia, odio, insofferenza, ecc. è dunque anzitutto nocivo a me stesso. Mi mette in uno stato di conflitto da cui mi devo liberare. Come posso infatti amare gli altri se non amo me stesso? (Mt 22,36-40). e) Infine, compiendo più volte questo esercizio, noi abbiamo la possibilità di notare come sono fluttuanti i nostri rapporti con gli altri: alle volte grandi amici, altre volte grandi nemici. Questo ci aiuta a non credere troppo ai nostri sentimenti, a essere più distaccati e più critici verso noi stessi. Possiamo concludere affermando che "coloro i quali al mattino, a mezzo 158
giorno e alla sera emettono anche un solo sentimento di benevolenza nel proprio cuore, traggono più vantaggi di quanti al mattino, a mezzogiorno e alla sera fanno ogni volta dono di cento vasi di alimenti. Per questo dobbiamo imparare a produrre aumentare, far progredire, appropriarci, esercitare, ottenere e impiegare bene la benevolenza". esercizio 2 Un altro esercizio, forse più semplice ma non meno efficace, può essere vissuto nel modo seguente: 1. Mi rapresento mentalmente le persone con cui condivido l'esistenza quotidiana, in casa, al lavoro nello scudio ecc. Porto il mio sguardo su ciascuna di esse, prendo coscienza delle reazioni più immediate e poi, lasciandole cadere se negative, cerco di scorgere in ogni fratello un aspetto che me lo renda gradito, un dono fattomi dal Signore, su cui brilla lo stesso volto di Dio anche se nascosto e svisato. In altri termini: guardo all'altro come a lui guarda Dio. 2. Poi entro nel cuore delfratello, portandovi vibrazioni di bontà e di grazia. Convinto che, se è bello pregare per l altro e con l'altro é soprattutto determi-nante pregare nell altro, mi trasferisco spiritualmente in lui. Dopo avere percepito le mie reazioni interiori e aver lasciato svanire le negative, entro in sintonia con il fratello, tento di intuirne il bisogno di stima, fiducia, perdono amore. E tutto questo si fa preghiera: divento portavoce del fratello presso Dio. 3. Ora chiedo a a Dio che ho capito essermi necessario perché io manifesti il suo amore a ogni singolo mio fratello: accettazione, correzione perdono, aiuto, solidarietà, condivisione. La mia preghiera non punta sulla trasformazione del fratello perché io sia felice, ma sulla trasformazione del fratello perché egli per primo sia felice, e sulla mia trasformazione perché lo possa rendere felice. esercizio 3 Un terzo esercizio, ancor più essenziale, è proposto da Rajneesh in questi termini: "Esercitati nell'amore. Siedi da solo nella tua stanza e sii in amore. Irradia amore. Colma l'Yintera stanza con la tua energia d'amore. Sentiti vibrare su una nuova lunghezza d'onda immagina di ondeggiare in un oceano d'amore. Crea intorno a te vibrazioni di energia amorosa. E immediatamente ti accorgerai che sta accadendo qualcosa nella tua aura sta cambiando, qualcosa intorno al tuo corpo sta cambiando; il cuo corpo comincia a emanare calore... Diventi più vitale. La tua sonnolenza sta scomparendo, per far posto a qualcosa che assomiglia alla consapevolezza. Abbandonati in questo oceano. Danza, canta e lascia che tutta la stanza si riempia d'amore. 159
All'inizio ti sembrerà molto strano. Quando per la prima volta riuscirai a riempire la tua stanza di energia d'amore - la tua energia che continua a espandersi e a riversarsi su di te dandoti una felicità senza pari - ti chiederai: 'Mi sto forse autoipnotizzando? Mi sto illudendo? Cosa mi sta accadendo?'. Hai sempre pensato che l'amore venisse dagli altri. Hai avuto bisogno di una madre che ti amasse, di un padre, di un fratello, di un marito, di una moglie, di un figlio: comunque, di qualcuno. L'amore che dipende dall'altro è un amore ben misero. L'amore che si crea dentro di te,l'amore che ha origine dal tuo stesso essere, è vera energia. Allora ovunque andrai sarai sempre parte di quell'oceano e ti accorgerai che chiunque ti viene vicino avvertirà improvvisamente un tipo di energia diversa. La gente ti guarderà con occhi più aperti. Quando passerai accanto a loro, avvertiranno la brezza creata da un'energia ignota e si sentiranno rinfrescati. Tieni qualcuno per mano e tutto il suo corpo inizierà a vibrare. Se sei vicino a qualcuno egli si sentirà al colmo della felicità senza alcun motivo. Te ne accorgerai da solo. A quel punto sarai pronto a entrare in comunione". 3. La suprema saggezza spirituale Il terzu aspetto del sentiero spirituale è la corretta valutazione della realtà o suprema saggezza spirituale. Le Scritture, per bocca del Qoelet, denunciano la vanità del tutto: "Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità", (Qo 1,2). In Oriente si parla di vacuità, di non esistenza in sé della realtà che ci circonda (shúnyata). E mentre la filosofia antica dichiara contingente ogni essere con tutte le manifestazioni che l'accompagnano, i mistici invitano ripetutamente a considerare "nulla" quanto si verifica nell'esistenza terrena, per poter sin d'ora immergersi nel pregustamento del Tutto. La stessa fisica moderna conferma simile intuizione, quando ci presenta le cose come l'emergere imprevedibile e sempre cangiante di campi energetici che operano attraverso misteriose trasformazioni. Tutto ciò sta a significare, per l'uomo spirituale, che i processi fisici e psichici sono sotto l'insegna del mutevole e dell'effimero. Egli va oltre l'aspetto fenomenico e immediato, per fissare l'animo sulla realtà ultima e eterna: lo Spirito di Dio che tutto pervade. Negando ogni valore definitivo a ciò che è soltanto manifestazione mutevole e provvisoria della vita, siamo sollecitati ad andare alla 160
ricerca del centro divino del nostro essere, per cogliervi la Presenza e la Sorgente del tutto. "Avvicinandosi alla luce,l'uomo diventa luce", afferma Gregorio Nisseno, e acquista la chiaroveggenza che gli permette di portare sulle realtà e sulle vicende dell'esistenza uno sguardo di saggezza. l'io fra Realtà e illusione è sicuramente successo a tutti di ritornare col pensiero a qualche evento della propria infanzia e di sorridere al ricordo di quanto allora ci aveva profondamente coinvolti. Ci sembrava che il mondo intero stesse per crollarci addosso e che tutte le forze dell'universo si fossero coalizzate in una gigantesca battaglia alla nostra sopravvivenza. Col passare del tempo, tuttavia, ci siamo resi conto che la situazione non era per niente così drammatica, e che ci eravamo impegnati in una lotta titanica per difenderci di fronte a ciò che, in seguito, non si rivelò altro che un normale processo di crescita. Solo che allora ci eravamo talmente identificati con la coscienza parziale di noi stessi, da esaurirci in essa. L'abbiamo difesa a denti stretti persuasi che ogni modifica alla sua identità sarebbe coincisa con la nostra stessa scomparsa. Pur sorridendo oggi a quei ricordi, non sempre dimostriamo di avere imparato molto dalle lezioni che la vita stessa ci ha impartite. Infatti il culto della personalità a cui tutti siamo più o meno soggetti, altro non è che il prolungarsi di quel meccanismo per cui continuiamo a identificare noi stessi con le parziali e momentanee manifestazioni del nostro io nel fluire della vita. Una certa persona è dotata di un sacco di buone qualità. è intelligente, istruita, possiede una memoria di ferro, è affabile, pratica, si fa voler bene. Perché non identificarsi con queste doti della propria mente? Al contrario ci sono persone che disperano a motivo dei loro limiti o dei loro difetti sia fisici che mentali. Vorrebbero essere diverse, ma l'identificazione con le loro imperfezioni le perseguita come un incubo. Nell'uno come nell'altro caso c'è comunque sempre posto per la sofferenza. Chi vede soltanto i propri limiti e si identifica con essi, si dispone a vivere una vita grama. Ma anche per chi ha successo ed è fiero di sé non mancano le occasioni di contraddizione e di prova. Se l'ammirazione degli altri lusinga il nostro amor proprio e ci dà sicurezza, bastano a volte anche solo piccoli contrattempi o disattenzioni a 161
sprofondarci nel più grigio avvilimento e in un tetro pessimismo. IL senso della vanità o della vacuità agisce come un formidabile antidoto al culto della personalità e all'illusione che scandisce la nostra vita tra sogno e scacco. L'uomo che persegue la suprema saggezza spirituale è aperto sull'infinito e può ripetere con Agostino: "il nostro cuore è inquieto, Signore, fintanto che non riposa nell'amorosa consapevolezza di Te". Come il giusto distacco e l'incondizionata disposizione all'amore, anche la suprema saggezza spirituale ci orienta dunque verso Dio, facendone il centro della nostra coscienza e della nostra vita, senza per questo allontanarci o disamorarci nei confronti del creato. Anzi, il miracolo delle trasformazioni che tali atteggiamenti realizzano in noi è il ritorno alle creature nella perfetta consapevolezza della loro esistenza in Dio. è questo il grande segreto dell'esperienza interiore, dove "il nobile e amoroso nulla dell'uomo" s'incontra con "l'alto e santo tutto di Dio". alta nichilitate Ogni esperienza vissuta dall'uomo al di fuori di questa consapevolezza prima o poi si rivolta contro di lui, poiché egli è sì un essere finito, ma trova appagamento solo nell'infinito. Così che gli stessi suoi insuccessi e le delusioni della vita lo spingono sempre di nuovo verso l'unica meta. Canta Iacopone da Todi, poeta e mistico francescano: "Alta nichilitate - tuo atto è tanto forte Che apre tutte le porte - entra nello infinito... Tu curri, se non andi - sali con più discendi, Quanto più dai, sì prendi possedi el Creatore... Tua profonda bassezza - sì alto è sublimata, In sedia collocata - con Dio sempre regnare... Ricchezza che possedi - quando hai tutto perduto, Già non fu mai veduto questo simil baratto... Veder senza figura - la somma veritate Con la nichilitate - del nostro pover core". Un suggestivo esempio di suprema saggezza spirituale ci è offerto da un testo di G. Taulero, grande mistico del sec. xIv, che riportiamo integralmente. 162
PER L'APPROFONDIMENTO
L'uomo realizzato Si legge di un dottore che desiderò per otto anni che Dio gli mostrasse un uomo che gli insegnasse la via della verità. E mentre stava con questo grande desiderio, venne una voce da Dio e gli disse: "Esci fuori davanti alla chiesa e troverai un uomo che ti insegnerà la via della verità". Uscì e crovò un povero i cui piedi erano lacerati, pieni di polvere e sporchi, e le cui vesti valevano a stento tre quattrini. Lo salutò e gli disse: "Dio ti conceda una buona giornata". Quello rispose: "Non ho mai avuto un giorno cattivo". il maestro: "Dio ti dia fortuna, perché mi hai risposto così?" il povero: "Non ho mai avuto sfortuna". L'altro: "Che tu sia felice! Che risposta mi dai?" il povero: "Ma io non sono mai stato infelice". il maestro: "Dio ti salvi! Parlami più chiaramente perché non riesco a comprendere". E quello: "Volentieri. Mi hai detto che Dio mi concedesse una buona giornata e allora ho risposto: non ho mai avuto un giorno cattivo. Quando ho fame lodo Dio. Se ho freddo, se grandina, se nevica, se piove, se è bello o cattivo tempo, lodo Dio. Se sono misero e disprezzato, lodo Dio: perciò non ho mai avuto una cattiva giornata. Tu mi hai detto pure che Dio mi desse fortuna, e ho risposto che non ho mai avuto sfortuna, perché so vivere con Dio, e so che ciò che egli fa è il meglio; e ciò che mi ha dato o ha permesso nei miei riguardi, fosse gradito o avverso, amaro o dolce l'ho accettato lietamente da lui come il meglio. E perciò non ho avuto mai sfortuna. Tu mi hai detto ancora che Dio mi rendesse felice, io ho risposto: Non sono mai stato infelice perché ho voluto restare sempre nella volontà di Dio, ho rimesso così integralmente la mia volontà nella volontà di Dio, che ciò che vuole Dio lo voglio io pure. E perciò non sono stato mai infelice, perché ho voluto aderire unicamente alla sua volontà e gli ho consegnato completamente la mia". il maestro disse: "Ma se Dio ti volesse gettare all'inferno, cosa diresti di ciò?" Quello rispose: "Gettarmi nell'inferno? Se mi getta nell'inferno ho due braccia per abbracciarlo. Un braccio è la vera umiltà: lo pongo sotto di lui e mi unisco con esso alla sua santa umanità. E con il braccio destro dell'amore, che è unito alla sua santa divinità, lo cingo, cosicché deve scendere con me nell'inferno. Perciò vorrei essere piuttosto nell'inferno e avere Dio che nel cielo e non averlo". Allora il maestro comprese che il vero abbandono con una profonda umiltà è la via più prossima a Dio. il maestro chiese ancora. "Da dove il maestro: "Quando hai trovato creature". IL maestro: "Dove hai negli uomini di buona volontà". il 163
sei venuto?" IL povero rispose: "Da Dio". Dio?" L'uomo: "Quando ho lasciato tutte le lasciato Dio?" Risposta: "Nei cuori puri e maestro: "Chi sei tu?" L'altro: "Sono
pagina 164 controlla errori un re". il maestro: "Dov'è il tuo regno?" il povero: "Nella mia anima. Infatti posso governare talmente imiei sensi interni ed esterni, che tutti i miei desideri e tutte le facoltà dell'anima mi sono sottomessi. E questo regno è più grande di ogni regno della terra". IL Maestro: "Cosa ti ha portato a tale perfezione?" L'altro: "Sono stati il mio silenzio, i miei elevati pensieri e l'unione con Dio. Non ho potuto mai riposarmi in alcuna cosa che fosse minore di Dio. Ora ho trovato Dio e ho in lui riposo e pace eterna. Amen" (Taulero
1) 2, 13, 3-4, in Opere Roma 1967, p.11G. 2) ARCHIMANDRITA SoFRoNlo, Silvano del Monte Athos, Torino 1978, p. 137. 3) Viaggio spirituale per l'uomo contempoaneo, Brescia 1980. 'Cf. I.K. TAIMNI, la rcienzu dello yc"Ku. Conzrrzento u li yugurutru di Putunjuli, Rom Si veda anche M. Et.tAue, 7ecnicbe delloyo u, Tc"rinc" 1984, pp. 54-1ClG. 5 Cf. THLIBTt:N YEsHE - THUBTLN ZclPA R., Il otere dellu ru ezzu, Milano 1 7 82-125. l
10. Contemplazione e ascesi
La preghiera ha per padre il silenzio e per madre la solitudine. (G. Savonarola) Resta seduto nella tua stanza: essa ti insegnerà ogni cosa.
Come potremmo custodire il nostro cuore, se teniamo sempre aperti la bocca e lo stomaco? (Tlcoes)
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CONTEMPLAZIONE E ASCESI I rilievi che siamo venuti facendo sul triplice sentiero spirituale rimandano di continuo al vissuto quotidiano e appare del tutto evidente la loro incidenza sulle nostre abitudini mentali e operative. Incidenza che chiama in causa un insonne impegno, un'ardua disciplina, alle volte una lotta coraggiosa. Cose tutte che troviamo racchiuse in una parola programmatica nella vita spirituale: ascesi.. IL vocabolo è desunto dal linguaggio sportivo e rimanda all'esercizio fisico dell'atleta che si prepara a conseguire la vittoria. Già nell'antichità designava nel contempo lo sforzo spirituale e morale per raggiungere la sapienza e la virtù. Assunto nel linguaggio religioso servì a indicare lo sforzo del credente proteso verso il perfezionamento e la santificazione della propria vita. In tale contesto non sbalordisce il fatto che alcuni interpretino l'esercizio ascetico in termini di lotta: "Farsi violenza in tutto: questo è il cammino di Dio", erano soliti dire i padri del deserto. Altri tuttavia, come s. Benedetto, preferiscono rifarsi al concetto di consapevolezza: "Vigilare ogni ora sulle azioni della propria vita". Nell'uno e nell'altro caso, comunque,l'ascesi non vuol distruggere, ma governare. Come asserisce Chogyam Trungpa, "l'idea base dell'ascetismo è essere fondamentalmente equilibrati". L'ascesi si giustifica con l'esigenza di restaurare nell'uomo i lineamenti originari, che ne fanno l'icona di Dio: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza" (Gn 1,27). Per gli antichi Padri, l'immagine è il punto di partenza e la somiglianza di quello di arrivo, e traducono il testo bibblico: "... a immagine per la somiglianza". il passaggio dall'immagine alla somiglianza chiama in causa l'ascesi, non meno di quanto chiami in causa l'azione dello Spirito. Elenchiamo dunque alcuni aspetti dell'ascesi: 1.. Ascesi dell'unificazione interiore, superando ogni lacerazione e divisione sia sul piano psicologico che spirituale. "Colui che si vede tale quale è, è più grande di chi risuscita i morti", dicono gli spirituali. Alla spassionata visione di sestessi, segue l'accettazione: l'uomo non vive più come un estraneo in casa propria e non si considera più nemico di se stesso. Ne deriva che gli sarà più facile immedesimarsi nell'istante presente: "L'ora che stai vivendo, l'opera che stai compiendo, l'uomo che incontri in questo momento, sono i più importanti della tua vita". 1G7
2. Ascesi della verginità del cuore: altro non è che "un profondo silenzio di tutte le cose" e consiste in: - disciplina dei sentimenti, dei pensieri, delle parole, degli atteggiamenti pratica del silenzio e della solitudine come vie all'interiorità. Verginità del cuore è trasparenza e immediatezza, vissute nella verità e nell'autenticità 3. Arceri della preghiera. L'uomo che prega deve vivere in uno stato di sobrietà e di vigilanza (cf.1 Pt 4,7). Non per nulla è stato scritto che "gli elementi classici della tecnica cristiana della preghiera sono il celibato, la solitudine, il silenzio, la veglia e il digiuno" (A. Louf) Solo così "l'uomo diventa preghiera incarnata". 4. Ascesi nel possesso e nell'uso dei beni. Se "avere più del necessario è rubare ai poveri",l'uso dei beni esige discernimento dettato da spirito di sobrietà e capacità di accontentarsi (l'"autarchia" di cui parla san Paolo, 2 Cor 9,8 e 1 Tm 6,6; cf. Fil 4,12). Tra i beni includiamo non solo le realtà materiali, ma anche il tempo e i vari mezzi di comunicazione sociale, di trasporto, ecc. Chi non dispone di "spazi di povertà", non sarà mai aperto a Dio e al prossimo. Qui si inserisce il discorso sul digiuno, che i"purifica, riposa e rinnova l'organismo senza renderlo malato e accresce la capacità di accoglienza e di serenità". 5. Arceri dell'ascolto e dellccettazione dell'altro. Ascolto come capacità di porsi in sintonia con l'altro e di capirne il complesso linguaggio, verbale e non verbale. Accettazione come rapporto incondizionato di amore. "Quando uno vede tutti gli uomini buoni e nessuno gli appare come cattivo, allora si può affermare che egli è un puro di cuore" (s. Isacco di Ninive) e sarà capace di dire a ogni persona che incontra: "Mia gioia!" (s. Serafino di Sarov). infatti "chi è purificato vede l'anima del fratello" e può fare sua l'espressione di Gesù: "Hai visto il tuo fratello, hai visto il tuo Dio", o delle Upanishad, secondo le quali l'uomo spirituale vede l'Atman, il divino, nell'altro (cf. Brhadaranyaka anya a Up., 2,4,5). 6. Ascesi nelle realtà della vita: lavoro e fatica quotidiana; contrarietà fisiche, psichiche e spirituali; difficoltà ambientali; umiliazioni; ecc. uLe penitenze più indicate per il nostro tempo sono probabilmente la preoccupazione per la gentilezza e la proprietà, una buona igiene e una giusta misura di cibo e di sonno, poveri ma sufficienti, lo sforzo prodotto per dominare la febbre del lavoro e riservarsi tempi di silenzio e di preghiera, la preoccupazione per la felicità dell'altro e lo zelo nel rendergli servizi, piccoli e grandi" (L. Leloir). "La mortificazione attuale è la liberazione da ogni bisogno di doping: velocità, rumore, eccitanti, droghe, alcoolici di ogni specie. L'ascesi è piuttosto il riposo imposto, la disciplina della calma... ma soprattutto la facoltà di percepire la 168
presenza degli altri. IL digiuno è la rinuncia lieta al superfluo, la condivisione di questo con i poveri; un equilibrio sorridente, naturale, tranquillo" (P. Evdokimov). 7. arceri della rpogl%azione dell'ego, vissuta attraverso il riferimento alla propria guida spirituale, in atteggiamento di umiltà e di devozione. Si tratta di compiere l'uscita dalla propria soggettività. V.E. Frankl ha fatto giustamente notare che "l'autorealizzazione non è il fine ultimo dell'uomo. Egli si realizza solo nella misura in cui realizza un valore nel mondo". Potremmo ricordare a questo proposito un'affermazione di Marcello Candia, che ha consacrato la propria esistenza ai lebbrosi: "Il cristiano non è chiamato a sentirsi realizzato, ma ad amare". Sulla via del superamento delle proprie chiusure, per uscire dal pericolo di ripiegarsi su se stesso per essere guidato attraverso sentieri sicuri e non illusori o dannosi, è indispensabile la presenza di un "terapeuta di Dio", di una guida, di un "amico spirituale". Specchio impietoso che smaschera e mette a nudo, chirurgo che opera senza anestetici, perché vuole realmente comunicare con la nostra malattia: ecco il padre spirituale, "la cui vera funzione - è stato affermato paradossalmente è quella di insultarti". "Aprirsi e abbandonarsi sono la necessaria disposizione per operare con un amico spirituale. Questa schiacciante apertura è la vera amicizia" che fa crescere insieme nella vita interiore (ChOgyam Trungpa). La ricerca del padre spirituale va di pari passo con la consapevolezza che Dio "volle lasciare l'uomo in mano al proprio consiglio" (Gaudium et spes, 17 1370) e lo guida attraverso il suo Spirito che è il "maestro interiore" (cf. 1 Gv 2, 27) di ogni creatura. Ne segue che il padre spirituale è chiamato a far emergere e ad aiutare a discernere la voce della coscienza e quella dello Spirito. Due prospettive Faremo, concludendo, un'ultima osservazione. Il vangelo ci offre due prospettive apparentemente antitetiche. Se prendiamo Matteo,l'ascesi si esprime in termini molto crudi: occorre procedere a una serie di "amputazioni" per non trasformare noi stessi e tutte le nostre potenzialità in strumenti di male (il vangelo parla di "scandalo", ostacolo 1 compimento del bene): cavarsi l'occhio destro (5,29;18,9) amputarsi la mano (5,30;18,8) - amputarsi il "piede" (18,8), che è un eufemismo per "il sesso" e dunque farsi eunuchi per il Regno (19,12) perdere la vita (10,39;16,25) lasciare case e campi ( 19,29) 169
- padre e madre (10,37) - fratelli e sorelle (19,29) - moglie (e marito) (Lc 14,26) figli e figlie (10,37). Un autore spirituale ha così commentato queste pagine evangeliche: "Se Cristo dice che dobbiamo troncare da noi gli occhi, i piedi e le mani quando ci scandalizzano, per qual ragione non uccidiamo in tutto noi stessi, per acquistare la vera vita, senza più farle, vivendo in noi stessi, resistenza?" E ancora: "Non indugiare più nell'uccidere te stesso perfettamente, che così alla vera risurrezione sarai vicino" (Battista da Crema). Sembra di riascoltare la grande massima di un maestro zen: "Entrare nel sepolcro, morire subito e rinascere" (Dogen). Se passiamo poi a Giovanni,l'evangelista che si colloca al culmine dell'esperienza religiosa, non vi è traccia di tutto ciò. Semmai è Dio stesso che prende l'iniziativa di "potare il tralcio perché fruttifichi di più" (Gv 15,2). La vita del discepolo è giunta a un tale stadio, in cui due soli sono i verbi con i quali viene coniugata: credere e amare. Ciò significa che entrambe le prospettive di impegno ascetico e di superamento dell'ascesi sono legittime. Esse non si escludono, ma si integrano. E l'ultima realtà destinata a rimanere è l'amore. Un'ascesi che non sia a servizio dell'amore è un controsenso.
LA PRATICA DEL DIGIUNO IL silenzio del cuore chiama in causa il silenzio del corpo, che comunemente chiamiamo digiuno. Volendo affrontare questo tema basilare del vivere spirituale, non sarà male premettere alcune affermazioni di san Paolo, che collocano l'argomento nel suo giusto contesto. Mangiare e digiunare sono esperienze iscritte nella logica dell'esistenza e si colorano di valenze religiose, che le riscattano al loro carattere indifferente o neutrale e ne fanno espressione di più remoti valori: "Sono iniziato a cogliere il senso profondo della sazietà e della fame, dell'abbondanza e del bisogno" (Fil 4,12). "Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia che vengono dallo Spirito santo...". Di conseguenza "chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende gra 170
zie a Dio; così pure chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio" (Rm 14,176). "Sia che mangiate, sia che beviate... tutto fate per la gloria di Dio" ( 1 Cor 10,31 ); "infatti, tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, i e perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera" in ( 1 Tm 4,4). do Da un punto di vista religioso, il digiuno consente all'uomo di aprirsi a un'altra fame, un altro cabo, un ltra. sazietà. Ai discepoli che lo invitavano: "Maestro, mangia!", Gesù rispose: "Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete" (Gv 4,31-32). Questo cibo, egli precisa, riguarda la volontà di Dio, cioè l'avvento del Regno in noi e nel mondo. in Dio Infatti il digiuno aiuta l'uomo a trasformarsi da "carnale" in "spiri tuale", ossia in persona sempre meno debitrice dell'istinto e dell'egoismo e sempre più guidata da ragionévolezza e amore. Attraverso il digiuno l'uomo può comprendere che vive molto di più per la Parola che non per il pane: Dio fece provare la fame al suo popolo, per insegnargli che "l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca del Signore" (Dt 8,3). il digiuno serve non solo per raggiungere un più profondo equilibrio fisiologico, ma soprattutto per comunicare più intensamente con Dio. Senza il "compenso" del nutrimento interiore, il digiuno risulterebbe impoverito e fuorviante. Già s. Gregorio Magno scriveva che "non si può dare astinenza dai cibi corporali, se non si riempie la mente di cibi spirituali". Veniamo ora agli aspetti più importanti del digiuno religioso. è costituito da tutto ciò che rientra nella sfera orale-sensoriale: cibi, bevande alcooliche, fumo, ecc. Nella vita coniugale, astensione dall'attività sessuale, altre condizioni: di comune accordo, temporaneamente, per dedicarsi alla preghiera, come suggerisce san paolo nella Prima lettera ai Corinzi (7,5). Destinazione di un tempo più prolungato alla preghiera, ridimensionando lavoro, conversazione; divertimento, sonno, ecc. Queste tre astensioni si richiamano a vicenda. Gandhi scrive, a esempio, che "il controllo del palato è la prima cosa essenziale all'osservanza della castità" e precisa che "se il digiuno fisico non è ac 171
compagnato da un digiuno mentale, è destinato a risolversi in ipocrisia e rovina". Anche gli antichi Padri erano soliti dire: "Come potremmo custodire il nostro cuore se teniamo sempre aperti la bocca e lo stoma co?"
DIGIUNO E PREGHIERA Ci. si potrebbe inoltre interrogare. sul rapporto che lega il digiuno con la preghiera e con il cambiamento di vita. Quanto al primo quesito, possiamo sintetizzarlo così: 1. la preghiera intensa è inreparabile dal digiuno: non si conta che su Dio. Così ci avverte il Salmo 35,13, il libro di Tobia (12,8) e quello dei Giudici (20,26); 2. Si digiuna quando si vuole ottenere perdono per colpe gravi o misericordia per calamità personali o sociali. Lo dice Matteo nel vangelo (17,21) e nell'Antico Testamento lo sperimenta Giuditta (4,13) e Gioele (1,14; 2,12-17), forse non tanto per sollecitare la misericordia di Dio, quanto piuttosto per creare in noi le condizioni ottimali al suo pieno accoglimento; 3. Si digiuna anche in favore degli altri: la Didaché, il primo catechismo cristiano, insegna: "Pregate per i vostri amici e digiunate per coloro che vi perseguitano"; 4. Si digiuna soprattutto per disporvi a un'impresa difficile. è quello che fanno Mosè (Es 34,28), Elia (1 Re 19,8ss), Daniele (9,3.22) e lo stesso Gesù (Mt 4,2). Il digiuno è dunque di rigore quando ci si accinge a incontrare Dio e ad accoglierne le rivelazioni. "il corpo continuamente rimpinzato non può vedere le cose segrete", afferma un proverbio africano. Il digiuno comporta anche cambiamento di vita. In un testo rabbinico si legge: "Fratelli, non è detto degli uomini di Ninive: E Dio vide il loro digiuno, ma: Dio, vide le loro opere, che cioè erano tornati dalla loro cattiva strada". Questo ci spiega perché i profeti polemizzano contro il digiuno ridotto a pratica puramente formale (Ger 14,12; Is 58,1-12). In seguito alla loro predicazione, gli antichi rabbini, dopo la distruzione del tempio, considerarono il digiuno come il succedaneo dei sacrifici liturgici: "In sostituzione del grasso e del sangue degli animali, io ti offro il mio grasso e il mio sangue, diminuiti in seguito al digiuno". Su questa linea si pose Cristo, quando affermò: "Quando digiunate, 172
non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità, vi dico, hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Mt 6,16-18). Possiamo concludere dicendo che il cambiamento di vita operato dal digiuno si esprime secondo una duplice direzione: innanzitutto, il digiuno non ba. dentro. re non educa alla. sobrietà del vivere - e del mangiare - quotidiano: come ripeteva Gandhi, "il digiuno è inutile se non è accompagnato da un costante desiderio di autodisciplina". Aggiungendo poi: "colui che ha soggiogato i sensi è il primo e il più importante tra gli uomini. Tutte le verità risiedono in lui. Tale è il potere dell'autodisciplina"; in secondo luogo, il digiuno è inreparabile dall'esercizio della carità, spirituale e materiale. Di quest'ultima, in particolare, il digiuno è il mezzo concreto con cui dirottiamo i nostri beni verso le necessità dei poveri. Una volta il popolo d'Israele chiese a un rabbi di proclamare il digiuno perché cessasse la siccità. Ma dopo tre giorni non piovve. E il rabbi disse: "Figlioli, siate compassionevoli gli uni verso gli altri e il Signore - Egli sia benedetto nei secoli! - avrà compassione di voi".
PER L'APPROFONDIMENTO Benefici fisici e spirituali del digiuno I risultati fisici e le esperienze spirituali procurati dal digiuno sono meravigliosi. Lo spirito dentro di noi si dissocia dalle richieste del corpo, mentre il corpo stesso si libera dalle abitudini materiali. IL segreto della buona salute non sta soltanto nelle sostanze chimiche; si deve anche dipendere maggiormente dall'energia di Dio che è dentro di noi. Questa forza vitale del nostro corpo è, in effetti, la fonte della vita. è una forza cosciente, creatrice degli organi e fornitrice della loro vitalità. Ordinariamente la forza vitale viene continuamente rafforzata dal potere della mente e del cibo. Ma qualora se ne sia troppo abusato, essa si arrende e rifiuta di continuare a lavorare. 173
Il digiuno concede riposo agli organi sovraffaticati che costituiscono il macchinario del corpo, e anche alla forza vitale stessa, sollevandola dall'impegno del lavoro straordinario. Quando cessate di far sentire alla forza vitale che la sua esistenza dipende da fonti esterne - cibo, acqua, ossigeno, luce solare - essa diventa autosufficiente e indipendente. Alcuni sono interessati al potere della mente sul corpo più che altro per avere salute. Ma la salute non è lo scopo della vita. Lo scopo della vita è la comunione con Dio. è possibile che stiate bene per un certo tempo, ma verrà il giorno in cui nessun rimedio potrà aiutarvi. Chi vi soccorrerà allora? Dio. Il digiuno è uno dei mezzi più grandi per avvicinarci a Dio. Esso libera la forza vitale dall'asservimento al cibo e vi dimostra che è Dio colui che, in realtà, mantiene la vita nel vostro corpo. .. In verità,l'unico modo per raggiungere la salute e la felicità, il modo più saggio, è quello dell'autocontrollo. Essere padroni di sé, in modo da non venire sopraffatti dai sensi, è una delle più grandi benedizioni che si possono avere. Se sovraccaricate un sistema di fili elettrici con un eccesso di energia, esso brucerà. E ogni volta che caricate il vostro sistema digestivo con troppo cibo, la forza vitale si brucia. Quando vi trattenete dal mangiare troppo, e quando digiunate, la forza vitale si riposa e si ricarica. La forza vitale e il vostro spirito si saranno distaccati dal cibo e voi vi renderete conto che il corpo è sostenuto unicamente dall'energia vitale. La vita è eterna. Non dipende dal respiro, né dal cibo, dall'acqua o dalla luce solare... Digiunando, potete dimostrarlo a voi stessi. Il massimo addestramento sta nell'equilibrata disciplina del corpo, della mente e dello spirito e questo è il nocciolo del digiuno. Attraverso il digiuno, insegnate alla mente ad affidarsi al proprio potere. Distaccandosi dalla dipendenza da fonti fisiche esterne per il sostenimento del corpo, la forza vitale si accorge d'essere sostenuta dall'interno, e si meraviglia chiedendosi come ciò possa avvenire... (Yogananda). Come praticare il digiuno La prima e più importante forma di digiuno consiste nel "digiunare mangiando", ossia nel nutrirsi con sobrietà e nei tempi e modi dovuti. Passando al digiuno vero e proprio, si possono prevedere tre gradi secondo l'insegnamento tradizionale: il primo comporta l'astensione totale dai cibi e dalle bevande (acqua esclusa); il secondo prevede l'assunzione di sola frutta; il terzo l'assunzione di solo pane. La durata ottimale è di un giorno a scadenza fissa (settimanale), e per un periodo che va dalle 24 alle 36 ore. Non si dimentichi che il digiuno cristiano ha uno spiccato carattere cristologico e un particolare riferimento alla croce e alla conversione che apre all'accoglimento della "bella notizia". 174
11. Dall'io a Dio
Chi conosce le profondità, conosce Dio. P. Tillich) La via diritta per andare a Dio è infinitamente corta, perché egli è vicino noi come la nostra anima (Raissa Macicain)
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Dovunque ti trovi, prega dentro di te. Se ti trovi distante dalla chiesa, non andare lontano alla ricerca di un luogo di preghiera, perché tu stesso sei quel luogo. In qualunque posto tu sei, prega perché lì è il tuo tempio e lì il tuo Dio. (Bernardo di Chiaravalle) La preghiera non è perfetta, finché uno ha coscienza di sé e sa di pregare. (Antonio il Grande)
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BB
MEDITAZIONE: UN CAMMINO VERSO DIO La meditazione cristiana, lo abbiamo già messo in rilievo, ha nelle profondità dell'essere umano il suo punto di partenza e in Dio il suo naturale approdo. L'anelito verso l'Assoluto spinge questo audace pellegrino che chiamiamo uomo, ad avventurarsi in una ricerca insonne dell'interlocutore supremo nel dialogo d'amore. Ora, ciò che è un'intuizione universale, anche se alle volte carica di riserbo e forse dimenticata, per il cristiano costituisce una certezza: Dio si fa incontro all'uomo, gli rivela lo splendore del suo volto nell'umanità crocifissa e gloriosa di Cristo, gli porge una mano salvatrice, lo invita a un'intimità che sembra sfociare nell'identificazione e lo chiama a formare la famiglia di Dio, la chiesa, primizia e pegno di salvezza universale. L'esperienza meditativa e contemplativa del cristiano va considerata e vissuta come espressione di un dialogo d'amore, nel quale si riflette la stessa vita trinitaria, dove il divino sussiste nella comunione di tre persone, Padre, Figlio e Spirito, che si rapportano vicendevolmente e comunicano con la loro Sorgente (il Padre) attraverso la Parola (il Verbo) d'Amore (lo Spirito santo). "In questa luce tutte le operazioni dello spirito tendono a semplificarsi e la vita interiore si ammanta del divino silenzio della unità" (I. Mela). il peso e il ruolo del partner, o meglio dei partners divini nella vita contemplativa, sono per il cristiano fonte perenne di stupore e di gaudio, ma non occultano il compito specifico dell'uomo, la sua iniziativa, anzi la sollecitano e la esaltano. Non ci resta quindi che entrare più vivamente in merito a quanto è peculiare della meditazione cristiana. Essere presente a me stesso per essere presente a Dio E'già stato fatto notare che "gli elementi classici della tecnica cristiana della preghiera sono: il celibato, la solitudine, il silenzio, la veglia, il digiuno" (A. Louf). A quali atteggiamenti ci richiamano le singole parole? Eccoli in breve: Celibato: non significa soltanto disciplina o sospensione dell'attività sessuale. IL suo significato è piuttosto quello di "cuore indiviso" (I Cor 7,34) che ci consente di essere "uniti al Signore senza distrazioni" (7,35; cf. Le 10,38-42). Pao 177
lo addita come motivo che giustifica l'astensione consensuale e temporanea da rapporti nella vita degli sposi, il "darsi alla preghiera" (7,5). - Solitudine: è stata definita "madre della preghiera", che è un incontro "da solo a Solo". Cristo amava abbandonarsi all'orazione nella solitudine (Mt 14,23; Mc 1,35; Lc 5,16; 9,18). - Silenzio: è stato definito "padre della preghiera". Nel silenzio l'uomo raggiunge la propria verità e si apre all'ascolto di Dio. - Veglia: è sinonimo di vigilanza, nella quale risiede una delle condizioni indispensabili della preghiera e comporta che vengano destinate all'orazione soprattutto le prime e le ultime ore del giorno, nonché quelle notturne. Per questo il cuore del giusto veglia anche nella notte (Sal 63,7; 77,3;119,55.62). Nella notte la preghiera è segreto mormorio che si agita nel cuore e grido dalle risonanze infinite. Cristo amava "pregare passando la notte in orazione" (Lc 6,12). Le ore notturne immergono nel mistero, bruciano le distanze di tempo e di luogo, consentono di penetrare nel cuore. Ma, più di tutto, sono espressione di prontezza e di vigile e amorosa attesa. - Digiuno: i cristiani dell'Oriente lo chiamano "il dottore dell'esichia" e noi abbiamo già visto che "è uno dei mezzi più grandi per avvicinarsi a Dio" (Yogananda). " Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare" Essere presente a me stesso per essere presente a Dio. Questo è uno dei presupposti della contemplazione. L'altro è: morire a me stesso perché Dio possa nascere in me. "Dio infatti non si dà totalmente se non a coloro che si danno totalmente a lui" (Teresa di Gesù). è un passaggio obbligato. I punti di partenza possono essere diversi e diverse le strade, ma alla meta si arriva soltanto attraverso questo valico dello svuotamento di sé, dove l'attaccamento all'"io" cede definitivamente il posto all'amore di Dio. è questo il punto in cui la contemplazione tocca il suo vertice. L'orante entra in un profondo silenzio interiore, tutt'alpiù sorretto da brevi invocazioni che, al dire delle Upanishad che abbiamo già citato,. sono come l'arco attraverso il quale la freccia affinata dell'anima può raggiungere il proprio bersaglio, Dio. I mistici chiamano "vuoto" o "nulla" questo silenzio di tutto il nostro essere. L'autore della nube della non-Conoscenza lo definisce "nobile e amoroso", perché è come la porta che apre all'incontro nuziale. Giovanni della Croce afferma che "nella misura in cui l'a 178
nima si dedica da parte sua a rinnegarsi e a svuotarsi, il Signore le accorda il possesso dell'unione". Quelli del contemplativo cristiano non sono però un nulla e un vuoto metafisici. Egli non si tuffa in un abisso senza fondo, né in un mare senza lidi, ma si apre a un incontro con il partner sospirato e atteso: "Mostrami quello che ama l'anima mia. L'ho trovato e non lo lascerò, ma sempre lo terrò stretto" (Antonio M. Zaccaria). Per questo il nulla è nobile e amoroso. Nasce dalla percezione dell'assoluta gratuità ed è frutto dell'amore. Si consuma e si perde nell'"alto e santo tutto di Dio". L'uomo si raccoglie nel silenzio "perché sia Dio stesso a operare nel suo animo l'unione" sponsale (Giovanni della Croce). Non c'è altra via, dal momento che "diventiamo contemplativi quando Dio rivela se stesso in noi" (T. Merton). Questo vuoto postula una pienezza che colma e trabocca. Senonché la suprema attività della mente e del cuore nella pratica contemplativa ci sembra a tutta prima paralizzante inazione, intollerabile passività. Le nostre facoltà discorsive (il mondo dei pensieri, delle immaginazioni, dei sentimenti) sono ansiose e inquiete e rifiutano di tacere. Nascono le distrazioni: "Se sei saggio - scrive T. t Mertonl - non prestare loro attenzione: resta nella semplice e amorosa attenzione di Dio. Tieni la tua mente e il tuo cuore rivolti a Lui, mentre le ombre intermittenti di questa noiosa pellicola si agitano sullo sfondo del tuo campo di percezione. Se hai coscienza di esse, è solo per comprendere che non fanno al caso tuo". "In simile stato di cose ti persuaderai che la volontà di pregare è l'essenza della preghiera, e il desiderio di trovare Dio, di vederlo, di amarlo, è ciò che solo importa. Se tu desideri di conoscerlo e di amarlo, hai già fatto quello che egli si aspetta da te, ed è molto meglio desiderare Dio senza essere in grado di pensarlo o di sentirlo chiaramente, che avere di lui meravigliose percezioni senza desiderare di entrare in comunione con la sua volontà". La sensualità spirituale può giocare brutti tiri, e accompagnarsi, senza scomodarle, con 'altre sensualità che di spirituale non hanno nulla, ma riescono a convivere con una religiosità spesso epidermica, che ripone il suo successo nelle molte parole e nelle intense emozioni e non nel cambiamento di vita. Non credere, dunque, che la tua meditazione sia fallita, se ti trovi o ti stabilisci in uno stato di aridità. "Al contrario: questa sconfitta, 179
questa tenebra, questa angoscia di un desiderio impotente è il vero termine della meditazione. Perché se la meditazione mira soprattutto a stabilire nella tua anima un contatto vitale d'amore con il Dio vivente, fino a tanto che ciò produce solo immagini, idee e affetti che tu puoi comprendere e sentire e apprezzare,l'opera non è ancora completa. Ma quando supera il livello della tua capacità intellettiva e della tua immaginazione, essa ti porta realmente vicino a Dio, perché ti introduce nella tenebra dove non puoi più pensare a lui, e di conseguenza tu sei forzato a cercarlo con cieca fede, speranza e amore. è allora che tu devi rafforzarti contro la tentazione di smettere la preghiera mentale; devi ritornare a essa ogni giorno nel tempo stabilito, malgrado la difficoltà,l'aridità e il dolore che provi. è in questa tenebra, quando nulla rimane in noi che possa rallegrarci o confortarci, quando sembriamo degni di ogni disprezzo ai nostri stessi occhi, quando sembriamo aver fallito, quando sembriamo distrutti e annientati dal senso di inutilità e di banalità dell'esercizio che stiamo facendo, è allora che il profondo e segreto egoismo, che ci aderisce tanto da identificarsi con noi stessi, ci viene strappato dall'anima". In questa tenebra finalmente risplende la luce (Gv 1,5), perché in essa diventerai trasparente al divino come un cristallo. Ora sei libero e purificato e puoi sostenere la beatificante visione di Dio (Mt 5,8). Non dimenticare però che essa quaggiù avverrà sempre "furti et raptim". Sarà fuggevole e fulminea, quasi furtiva, come il bagliore di un lampo in una notte oscura. "Tieni quindi il tuo spirito agli inferi, e non disperare" (Silvano del Monte Athos). Accetta la tua condizione di esule lontano dalla patria (cf. 2 Cor 5,6) e non ti perdere d'animo. Anzi, trasforma i tuoi segreti incontri con Dio in un dono di amore per tutti gli esseri viventi. La contemplazione è l'esperienza di preghiera che più facilmente si trasforma in vita, perché ti porta all'essenziale, ti libera dalla morsa dell'"io", ti educa all'abbandono in Dio, ti rende "tutto luminoso" (Lc 11,36). Gli uomini saranno lieti di "camminare alla tua luce" (Is 60,3) e di ardere al tuo calore, mentre tu riposerai in grembo a Dio come un bambino in grembo a sua madre (Sal 131,2). 180
"Dare totalmente la nostra volontà al Signore perché si conformi alla sua in tutto ciò che ci capita: questa è contemplazione perfetta" (Teresa di Gesù). CONTEMPLAZIONE DI DIO ATTRAVERSO I SIMBOLI DELLA CREAZIONE IL libro originario scritto da Dio perché l'uomo lo Potesse incontrare e contemplare è costituito dal creato. In seguito al peccato, "le lettere di questo libro contrassero una certa imperfezione e oscurità... Fu allora che la bontà di Dio fece un altro libro cioè il libro della Scrittura" (Antonio M.Zaccaria). Ma dobbiamo aggiungere che le prime pagine che Dio riempie dei suoi messaggi sono il diario della tua vita. Questi tre libri sono le fonti della nostra conoscenza e quindi del nostro incontro con Dio. Serviamoci del primo libro e cerchiamo di disporci, attraverso la contemplazione del creato, all'ascolto di Dio. Siamo tutti, chi più chi meno, sensibili al linguaggio del creato. La parabola della creazione non è senza contraddizioni, eppure il suo fascino è grande. "L'evidenza della grazia è più forte dell'evidenza dell'assenza di Dio", ha scritto P. Dimitru, un convertito d'oltre Cortina. IL maestoso sorgere dell'alba ci ispira canti di lode. Lo spettacolo del tramonto in riva al mare o sull'alto delle montagne ci immerge in pensieri profondi. Sotto il cielo stellato varchiamo le soglie del tempo, astronauti solitari di spazi infiniti. Chi non si è sentito compenetrare dal più intimo stupore e da gratitudine davanti alla sorprendente, inattesa bontà d'innumerevoli creature? Eppure, tutto questo splendore è soltanto un inizio. Perché divampi l'incendio occorre raggiungere quelle profondità del silenzio, dove ogni contraddizione si scioglie nell'irresistibile luce della più alta consapevolezza: "Quando il cielo contemplo e la luna, e le stelle che accendi nell'alto, io mi chiedo davanti al creato: cosa è l'uomo perché lo ricordi? Cosa è mai questo figlio dell'uomo che tu abbia di lui tale cura? 181
Inferiore di poco a un dio, coronato di forza e di gloria! Tu l'hai posto signore al creato, le cose tutte a lui affidasti: ogni specie di greggi e di armenti, e animali e fiere dei campi. Le creature dell'aria e del mare e i viventi di tutte le acque: come splende, Signore Dio nostro, il tuo nome su tutta la terra!" (Salmo 8) Attraverso la parabola della creazione è possibile aprire una strada che porta all'incontro con Dio. Ma prima ancora la creazione è una parola di Dio sull'uomo, dove l'uomo ritrova se stesso e scopre il suo posto e il suo ruolo nell'universo. La domanda allora che si pone è come raggiungere questo silenzio, questo sguardo interiore dove il creato diventa una pagina trasparente sul mistero dell'uomo e sul mistero di Dio? Come raccoglierci in chiesa o nel bosco o nell'intimità della propria stanza o in qualsiasi altro luogo per mezz'ora o un'ora, e contemplare Dio a partire da quella scintilla? Suggeriamo tre vie, anche se non sono le uniche. A ciascuno spetta scoprire la sua, che con gli anni può anche cambiare e tende, comunque, a semplificarsi. 1. Lo Sguardo sul creato La prima via è essenzialmente uno sguardo. Uno sguardo d'amore e di accoglienza davanti al creato. Siediti rilassato e tranquillo e osserva. è importante che ti trovi a tuo agio, sia consapevole di te stesso e ben sveglio, abbia rinunciato a ogni altra sollecitudine sia che emerga dal passato o ti porti verso il futuro. Rinuncia decisamente alla tentazione di ragionare sulle realtà che incontri e non imporre a esse le tue precomprensioni e i tuoi schemi mentali. Porta tutta la tua attenzione sulle naturali antenne di ricezione di cui sei mirabilmente dotato: occhi, olfatto, gusto, orecchi, tatto. Sii presente soprattutto ai sensi dell'udito e del tatto: è più facile essere raccolti e contemplativi. E ora semplicemente lascia che il fiore sia un fiore; il verde, verde; il canto, canto; il vento, vento; il raggio di sole, il sole che ti ri 182
scalda; il fruscio, fruscio; un rumore, rumore; e così di seguito. Non occorre assolutamente aggiungere altro. Perché aggiungere del tuo a un miracolo già tanto sublime? Se resisti alla tendenza di evadere nei ragionamenti, allora la meta che cerchi è vicina. 2. L'identificazione La seconda via nasce dalla prima. Ne è il naturale sviluppo, ma devi attendere che avvenga da sé. Se rimani passivo, può succedere che si aprano nuovi canali di percezione. Le cose diventano simboli. Ti vedi riflesso nelle realtà che contempli e esse ti conducono a una nuova e più intima comprensione di te stesso. All'inizio sei come una lastra fotografica. Nessun movimento, nessuna riflessione, nessun pensiero: sei pura ricettività. Poi, in questo grande silenzio, può succedere che qualcosa si metta improvvisamente in moto. Non lo cerchi, ma succede. Improvvisamente la mente si apre e, come in visione, comincia a decifrare il codice del creato: comprende ciò che contempla. Hai raggiunto la sorgente del linguaggio simbolico: ogni creatura diventa una parabola nella quale vedi riflesso qualcosa di te; un fratello, una sorella, un essere con il 'quale ti trovi in affinità. Non riproduce e non può riprodurre interamente te stesso, e tuttavia riflette qualcosa di te e lo rivela. Ecco ciò che si intende con identificazione. è un processo che riscontriamo spesso nella Bibbia. Nei Salmi si dice: "il giusto è come un albero piantato lungo un corso d'acqua" (1,3); e: "La nostra anima, come un uccello è sfuggita al laccio del cacciatore" (124,7). Quanto a Gesù, egli si identifica costantemente con le creature: Io sono la vite, la luce, il pastore, il pane,l'acqua viva, ecc. Queste identificazioni sono molto più di un semplice esempio; indicano un'esperienza profonda, dove l'uomo tocca la realtà di se stesso nel religioso incontro con la natura. 3. Lo Sguardo. SU Dio La terza via è uno sguardo su Dio. A dire il vero, è soltanto qui che inizia la preghiera propriamente detta. Come si svolge? Cosa avviene nell'intimo dell'uomo? Tra te e Dio? Questo sarà il segreto che custodirai nel tuo cuore. In ogni caso, anche quest'ulteriore sviluppo, se è vera intuizione e non semplice deduzione da schemi mentali precostituiti, scaturisce spontaneo dall'ascolto: 183
"Quando colui che cerca si perde - così scrive Rajneesh -, solo allora la mèta è raggiunta. Quando non c'è più colui che esperisce, ecco l'esperienza. Cercandola non la troverai: perché il cercare rafforza colui che cerca... Non cercarla, e la troverai. Il cercare stesso, lo sforzo della ricerca diviene un ostacolo: più si cerca, più l'ego di chi cerca si rafforza. Non cercare nulla. Resta come sei. Non andare da nessuna parte. Nessuno arriva a Dio. Non ne sai l'indirizzo: dove vuoi andare? Dove mai troverai la divinità? Non ci sono mappe, non ci sono cammini, nessuno sa dove sia Dio. Nessuno mai arriva a Dio. Succede sempre l'inverso: Dio arriva a te. Quando sei pronto, Dio bussa alla tua porta, Dio viene a cercarti. Ed essere pronto non vuol dire altro che essere ricettivo. Quando sei completamente ricettivo,l'ego non c'è più: diventi come la cavità interna di un tempio, in cui non c'è nessuno"2... se non Lui, Dio. Dio, Dio, Dio, Tutto in tutte le cose.
CONTEMPLARE LA PAROLA La voce di Dio giunge all'uomo in molti modi: coscienza, persone, avvenimenti, cose. La rivelazione per mezzo del creato è l'aspetto più evidente dell'incessante dialogo d'amore tra Dio e l'uomo. Non solo, ma Dio è in perenne colloquio con l'umanità intera attraverso la sua eterna Parola, che al dire di Ireneo, si mostra "visibile agli uomini per mezzo delle molte economie". A ragione il concilio riconosce che in tutte le culture sono presenti "semi del Verbo" (Ad Gentes, 11,1112, che anche noi intendiamo accogliere "con gioia e venerazione". E per questo che ci riferiamo frequentemente alle scritture delle grandi tradizioni religiose. Nella pienezza dei tempi la Parola eterna si è fatta carne. Ecco perché, senza considerarla via esclusiva di comunicazione del divino, riteniamo la buona novella di Gesù come la via privilegiata e esemplare, nonché il momento supremo e definitivo di ogni rivelazione. "Dandoci il suo Figlio, che è la sua unica Parola, afferma Giovanni della Croce, Dio ci ha detto tutto in una volta con questa sola Parola". La presenza e il linguaggio di Dio, avvertiti nei segni della crea 184
zione e colti nei messaggi delle religioni, prendono dunque piena forma nella rivelazione evangelica, o meglio del Rivelatore. Va inoltre notato che la parola è come il cibo. Di fronte al cibo, il problema che si presenta è di assicurargli il massimo di efficacia attraverso un opportuno trattamento e un'adeguata assimilazione. Così è della Parola. Essa è carica di energie spirituali, ma per capirle in un processo di assimilazione capace di rigenerare il nostro organismo, dobbiamo conoscere il modo di lasciarcene pervadere interiormente. è l'appello che risuona attraverso tutta la Bibbia: "Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire; Israele, se tu mi ascoltassi!... Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie! Subito piegherei i suoi nemici e contro i suoi avversari porterei la mia mano. Lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei con miele di roccia!... Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito! L'ho abbandonato alla durezza del suo cuore, che seguisse il proprio consiglio!" (Sal 81,9ss). Non diverso è il lamento che riscontriamo sulle labbra di Gesù: "Gerusalemme, se avessi conosciuto il tempo in cui sei stata visitata!" (Lc 19,42). Egli non si stanca di ripetere: "Chi ha orecchi per intendere, intenda!" (Mt 11,15 e par.). E l'invito con cui si apre e si chiude l'ultimo libro della Bibbia: "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 2,11 e par.) e: "Dio ha mandato il suo angelo per mostrare ciò che deve accadere tra breve. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro!" (Ap 22,6-7). Tutto incomincia con l'ascolto. Ascolto di obbedienza, s'intende. Giacomo ci ammonirà: "Siate esecutori della Parola, non soltanto uditori smemorati" (Gc 1,22). Ma se insistiamo sull'ascolto, è perché tutto incomincia da lì. Maria di Betania ha scelto la parte migliore, perché si è fatta ascolto totale (Lc 11,42). L'ascolto rende possibile l'evento. L'orazione è anzitutto questo ascolto totale; da esso nascerà, successivamente,l'azione. I metodi suggeriti per meditare a partire dalla Scrittura sono molteplici. Ma alla fine le loro differenze risultano del tutto marginali. In sostanza, la meditazione con il supporto della Parola rivelata non 185
procede in modo diverso da tutti gli altri approcci contemplativi. Regola generale è: "La lettera deve diventare spirito". Ti invitiamo a procedere come segue: 1. Raccogliti in te stesso e arrenditi allzione dello Spirito. è necessario che tu sia anzitutto presente a te stesso, qui e adesso, in uno stato di profonda pacificazione sia esterna che interna. Non preoccuparti né del passato, né del fluire del tempo, né di ciò che farai dopo. Come puoi meditare, se non ti prendi il tempo necessario per farlo o se la tua testa è altrove? Poi invocalo, meglio ancora, abbandonati allo Spirito. è il grande maestro interiore: "Lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto (Gv 14,26). 2. Non pensare prima ai tuoi problemi... I nostri problemi sono sempre molti. Possono essere di ordine pratico oppure conoscitivo. Ci accostiamo alla Scrittura, e vorremmo una risposta immediata ai nostri interrogativi alle situazioni nelle quali da tempo ci dibattiamo e che sono per noi motivo di disagio e di sofferenza. Ma la meditazione ci dice: dimenticaci! Come puoi contemplare la Parola se pensi soltanto a te stesso? Meditando la Scrittura si può anche essere tentati di capire, di comprendere l'esatta portata dei testi, di consultare ciò che hanno ripetuto i diversi commentatori. Si cade allora in una forma discorsiva, riflessiva, nel puro ragionamento sulla Parola. Ciò non è affatto riprovevole. Ma se è questo che desideri, allora rinuncia per il momento all'idea di voler contemplare. Può darsi che a un certo punto ti stanchi di consultare: allora ha inizio la meditazione. In realtà, quando contempliamo la Parola, non si tratta di fermarci sulla interpretazione esegetica del testo, né di cercare una soluzione ai nostri problemi concreti. Una certa conoscenza è necessaria e, se è profonda, può anche influire positivamente sulla qualità della contemplazione. Per questo si consiglia in genere di scegliere brani che ci sono già familiari o di renderceli tali attraverso lo studio previo. Si evita così anche il pericolo di protrarre troppo a lungo la lettura sollecitati più dalla curiosità che dall'amore. Ma nella contemplazione, più che la conoscenza conta soprattutto la qualità del cuore,l'atteggiamento interiore accogliente e ricettivo. Un cuore duro, infatti, troverà sempre dura la Parola di Dio (cf. Gv 6,60). 3.... ma raggiunga il Signore Dietro la parola c'è sempre qualcuno che la dice, qualcuno che, attraverso di essa, si esprime e si rivolge a te. Più che la parola, è Lui che devi cercare e incontrare. La parola è la strada verso l'incontro. Quando lo hai raggiunto, rimani a lungo in sua compagnia. Esponiti al sole della sua presenza. In concreto: Primo tempo - prendo in mano il testo Sacro. Lo leggo e lo rileggo. Ritorno 186
con amore sulle singole frasi e lascio che il cibo della Parola venga interamente assimilato dalla mente e dal cuore e si depositi saldamente nella mia memoria. Se il testo non è lungo, lo posso imparare a memoria (c'è anche chi se lo trascrive) e continuo a ripeterlo lentamente dentro di me. Altrimenti semplicemente ritorno alla lettura del testo, prima ordinatamente, poi soffermandomi su singole frasi, così come suggerisce il cuore. Secondo tempo - la chiave che apre all'incontro. In ogni testo c'è una chiave, 'un'espressione che apre la porta sul centro; una scintilla che accende il flusso della comprensione profonda e introduce nell'intimità dell'incontro. Può anche essere una frase oppure semplicemente un nome. A volte la scopri in modo del tutto spontaneo, senza che neppure te ne accorga. Altre volte dovrai attendere in silenzio finché emerga con evidenza dal testo. Altre volte ancora può essere necessaria una più accurata ricerca. Ma può anche succedere che improvvisamente ti trovi nel centro, senza sapere esattamente per quale porta tu sia entrato. Avviene soprattutto quando ti accosti al testo con semplicità e senza pretese, accontentandoti di fissarlo saldamente nella memoria. Quando hai raggiunto il centro, rimani ancora in ascolto. Rileggi ogni frase alla sua luce. 'Terzo tempo: personalizza lnnuncio. è molto semplice: diventa interlocutore e protagonista. Lascia che ogni parola, gesto, azione siano rivolti direttamente a te. Quarto tempo resta. solo con ColuI che ti parla. La parola è l'involucro di una presenza: può essere il Padre, il Figlio, il Consolatore, il Fuoco, la Sapienza,l'Amore... Quando gli hai dato un nome, rimani con Lui. Questo è il tempo forte della contemplazione. è Mosè che "parla bocca a bocca con il Signore". è il "cuore a cuore" con Dio, nell'incanto del silenzio interiore. Lui davanti a te e tu davanti a lui nell'intimità dell'ascolto totale. E ciò che ascolti o dici non sono più parole o pensieri. è piuttosto un artegiamento di tutto il tuo essere che si apre all'incontro e si dona all'Altro. è un clima che ti avvolge e ti pervade, facendo vibrare le corde più nascoste dell'anima. è un atto di fede pura e di abbandono totale, dove la Parola ti rigenera, non con i pensieri e i ragionamenti che nascono da te, ma con il semplice dono della sua Presenza. E'importante che non ci si lasci condizionare troppo da questo schema. Esso può risultare utile soprattutto in momenti di aridità o nell'incontro con testi particolari. Spesso la Parola, come il creato, non richiede altro che amore e disponibilità. Un certo esercizio può tuttavia favorire l'insorgere di un automatismo mentale che facilita 1 l'incontro e la comprensione del testo sacro e la successiva contemplazione o comunione con Colui che abita la Parola e si rivela attraverso di essa. Anche qui, importante è non bloccarsi negli schemi, ma servirsi di essi in modo sciolto e naturale, qualora si rivelino utili. 187
Il cammino che porta all'incontro con Dio attraverso la Parola si rivela spesso arduo e faticoso. Può succedere di rimanere a lungo senza alcuna risposta, aridi e freddi. Non è il caso di allarmarsi. Abbi fede e persevera nel tuo compito. Se hai imparato a dare senza ricevere in cambio, ad amare senza pretendere d'essere amato, non ti sarà difficile. E questo tuo rimanere a mani vuote e spoglio di tutto alla presenza di Colui che il tuo cuore cerca e ama, questo sarà il tuo incanto; il modo supremo di comunicare con Colui che è il tutt'altro da te. Nell'oscura notte di tutte le tue facoltà arde una fiamma. La fiamma silenziosa della tua fede. è il dono supremo che puoi offrire a chi ti è presente, benché tu non lo veda e non lo senta.
PER L'APPROFONDIMENTO La guarigione del cieco di Betsaida Lettura-assimilazione il testo si trova in Mc 8,22-26. è semplice. Però conviene rileggerlo attentamente più volte: Giunsero a Betsaida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e chiese: "Vedi qualcosa?". Quegli, alzando gli occhi, disse: "Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano". Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: "Non entrare nemmeno nel villaggio". Chiave-centro Se leggi attentamente, la chiave la trovi subito. è data dalle parole e dai gesti di Gesù: "Vedi qualcosa?", "lo prese per mano", "lo condusse in disparte", lontano dalla folla dei curiosi. Puoi aver intuito il centro, il Cristo che ama, ancora prima di avere scoperto la chiave. Ma se sei attento a ogni gesto, a ogni parola, si approfondisce l'incontro. Personalizzazione Il cieco sei tu. Il cieco siamo tutti. Ciechi sotto tanti aspetti. Ciechi sopratutto davanti al Cristo... 188
Incontro-contemplazione Ma Cristo ci prende per mano. Ti conduce lontano. Lontano dalla folla, lontano dai curiosi, lontano dalla folla dei tuoi pensieri. Là, nel silenzio, i impone le mani... Rimani a lungo immerso in questa consapevolezza: Avvolgimi, Signore, nella tua luce. Nella tua luce, che io veda la luce. Tu sei la mia luce, Signore. Che io veda! Mi abbandono a te, che sei la mia luce. Mi riposo alla tua presenza. La peccatrice davanti a Gesù Lettura-assimilazione il racconto è in Lc 7,36-50: Gesù è a pranzo da Simone un fariseo. Entra una donna con un vasetto di olio profumato, bagna di lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i suoi capelli, li bacia, cospargendoli di olio profumato. è una peccatrice. Ma: "Le sono perdonati i suoi molti peccati, perciò ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco". E, rivolgendosi alla donna: "La tua fede ti ha salvata; và in pace". Rivivi la scena, in attesa che emerga il centro. Chiave-centro Le chiavi che conducono al centro sono molteplici, poiché diversi sono gli interlocutori e diversi i messaggi. Chi è Simone? Che cosa è venuta a cercare la donna? Quali gli arteggiamenti di Gesù? Se ti raccogli in silenzio e sei libero, troverai la chiave: quella che fa per te. Essa ti guiderà verso il centro,l'incontro con il Cristo... Personalizzazione... non importa se nei panni di Simone o della peccatrice: Gesù è il salvatore dell'uno e dell'altra. Quando lo incontrerai, con tutto il fardello della tua realtà... Incontro-contemplazione... ti prostrerai silenzioso ai suoi piedi, umile, confidente, pentito: "Signore, tu solo sei santo. Tu sei tutto per me!". L'bbigliamento del cristiano Lettura-assimilazione Rileggiamo attentamente una pagina di s. Paolo (Col 3,12-17): Fratelli, consapevoli di essere eletti da Dio, santi e amati di un amore che non verrà mai meno, rivestitevi di sentimenti profondi di misericordia, benevolenza, umiltà, mitezza, magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. 189
Come il Signore vi ha perdonato, facendovi grazia, così fate anche voi. Al di sopra di tutto rivestitevi di amore, che come una cintura dà perfezione al vostro abbigliamento. La pace di Cristo disciplini come un arbitro gli impulsi dei vostri cuori, dal momento che a essa siete stati chiamati, in un solo corpo. E siate "eucaristici", vivendo in continuo rendimento di grazie. La Parola di Dio dimori in voi abbondantemente; istruitevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio nei vostri cuori e mossi dalla grazia, salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate, in parole e opere, tutto sia compiuto nel nome del Signore Gesù, "facendo eucaristia" per mezzo di lui, a lode di Dio Padre. Chiave-centro Gli inviti sono davvero molti. Ma c'è una parola d'oro: "consapevoli". Di che cosa? Di essere: Eletti: cioè messi a parte, chiamati per nome, non al mondo per caso o senza scopo, ma al servizio di un progetto nato dal cuore stesso di Dio. Santi: sottratti, cioè, a qualsiasi destinazione profana. Fatti per essere abitati da Dio, per accogliere e rivelare la sua presenza. Amati: di un amore personale, indicibile, eterno: che non si smentirà mai. è l'amore del Padre e è l'amore del Cristo che ci ha perdonati, facendoci grazia. Nella consapevolezza di questo dono d'amore siamo chiamati a varcare la soglia che ci porta nel centro della presenza di Dio. In un atteggiamento di lode, "facendo eucaristia", che significa dare lode a Dio a motivo dei suoi benefici. Significa soprattutto: dare lode a Dio rivestendoci della veste di grazia del Cristo. è opportuno rileggere più volte il testo, gustando ogni annuncio e ogni invito. Personalizzazione Sono eletto, santo, amato. Non perché io abbia amato Dio, ma perché egli mi ha amato per primo e da sempre. Mi offre una veste, la veste degli invitati al banchetto, la veste del Cristo venuto non per essere servito ma per servire. Incontro-contemplazione Che cosa Ti dirò, o Signore, per tutto ciò che mi hai dato? Ecco il silenzio del mio stupore. Ecco la prontezza della mia disponibilità, perché tu mi rivesta della veste del figlio. Medito nel cuore le tue parole: misericordia, benevolenza, umiltà, mitezza, magnanimità, sopportazione vicendevole; perdono scambievole, amore, pace, rendimento di grazie. O Cristo, tu mi rivesti di Te, e io sono una nuova creatura. 190
Cuore vecchio e cuore nuovo: i dodici veleni Lettura-assimilazione Il testo fa parte del brano di Mc 7,1-23. In polemica con l'osservanza puramente legale dei farisei, Gesù fa appello alla purezza del cuore: Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono dal di dentro e contaminano l'uomo. Ascolta ogni parola. Ecco ciò che contamina l'uomo: -fornicazione, tradotto anche con "impurità" o "peccati sessuali". è l'uso della propria sessualità fine a se stessa e non a servizio dell'amore. Nasce da un'avidità di piacere o, comunque, da un rapporto prevaricatore nei confronti della propria persona o di quella dell'altro/a. - furti: è detrarre agli altri, di nascosto o con astuzia, ciò che loro spetta di diritto. è ladro non solo chi ruba, ma anche chi non si serve dei propri beni, materiali o spirituali per fare felici gli altri. - omicidi; anche: "assassinii". Il vangelo considera colpevoli di omicidio non solo coloro che uccidono, ma anche coloro che odiano o non amano (Mt 5,21-22.43-48). - adultèri; anche: "tradimenti tra marito e moglie". Oltre a quello del corpo, va ricordato l'adulterio del cuore (Mt 5,27-28) e l'"adulterio spirituale", che consiste nell'avere altrove il proprio amore, fuorché in Dio. - cupidigie; anche: "la voglia di avere le cose degli altri". A essa si contrappone il sapersi accontentare, superando l'avidità di chi vuole possedere sempre di più e diventa sordo alle necessità altrui. - malvagità; anche: "malizie". Denota l'ottusità e durezza di cuore, come pure la cattiveria di chi si compiace nel compiere il male a danno del prossimo o gode del male altrui. - falsità; anche: "inganni" o "imbrogli". Condotta segnata da intrighi, ipocrisia, doppiezza. - impudicizia; anche: "oscenità". Assenza di finezza e di buon senso. Anche: indelicatezza, grossolanità d'animo. è l'indisciplina interiore di chi agisce con sfrenatezza e istintività, accondiscendendo agli impulsi scomposti del proprio carattere e alle sollecitazioni che provengono dagli istinti o dall'esterno. A essa si contrappone il "dominio di sé" (Gal 5,22), che è frutto dello Spirito. - invidia; letteralmente: "occhio cattivo". Indica pure gelosia. All'occhio cattivo il vangelo contrappone l'"occhio semplice" (Lc 11,34), che è l'occhio con cui gli uomini devono guardare agli altri (2 Cor 9,11.13) e guardare a Dio (Ef 6,5; Col 3,22). Sulla "semplicità" di Dio e di Cristo cf. 2 Cor 1,12 e 11,3. 191
- calunnia: anche: "maldicenza". è il mettere in cattiva luce, sparlando degli altri. La lingua fa più vittime della spada (Prv 12,6.18; Sir 28,17s). Le parole dei delatori sono spesso accolte "come ghiottonerie"(Prv 26,22), ma feriscono crudelmente (Sal 5,10;10,7). Chi abusa della parola è riprovevole (Gc 3,2-12). - Superbia: tipica di chi vuol mostrarsi superiore agli altri, invece di coltivare un concetto umile di sé (Rm 12,16; Col 3,12). è sinonimo di orgoglio e di egocentrismo. - Stoltezza: è l'ignoranza e la stupidità, tipiche di chi non si adopera a purificare il proprio cuore. Ci impedisce di conoscere e di seguire ciò che è il vero bene per noi e per gli altri. Analoghi elenchi si trovano in Rm 1,29-31;1 Cor 6,10; Gal 5,19-21; Ef 5,5; Col 3,5.8-9;1 Tm G,3-5; Ap 21,8; 22,15 - e può essere utile consultarli. Chiave-centro Se ti limiti al testo citato, ogni parola esaminata è anche una chiave che apre la porta all'incontro, non canto con Dio, ma con te stesso. Ed è estremamente utile; anzi, è il primo passo. Ma puoi andare oltre, e allora nasce uno spazio per la contemplazione. Nel brano di Mt 7,1-23 Gesù si presenta come colui che è venuto "non per i sani, ma per i malati". La consapevolezza della tua povertà ti conduce alla consapevolezza dell'amore del Cristo. Personalizzazione Il testo può rivelare aspetti che caratterizzano il tuo temperamento o mettono a nudo determinate realtà della tua vita. Nello stesso tempo ti dispone a incontrare Cristo, medico che guarisce l'uomo. Accogli l'uno e l'altro invito. Incontro-contemplazione In Cristo tutto ci è dato, Egli è tutto per noi. Se desideri medicare le tue ferite, egli è il medico. Se bruci di febbre, egli è la sorgente. Se sei oppresso dalla colpa, egli è la tua giustizia. Se hai bisogno di aiuto, egli è la forza. Se fuggi le tenebre, egli è la luce. Gustate e vedete quanto è buono il Signore! Beato l'uomo che si rifugia in lui". (Ambrogio) Una formula semplice d'incontro con la iParola Un grande ostacolo all'incontro vivo con la Parola è l'impazienza. Vorremmo a ogni costo sentire qualcosa, pensare qualcosa capace di apportare luce e calore. Ma spesso la Parola è come la piccola pietra preziosa di un grande mosaico: quando l'opera è compiuta ti trovi, stupefatto, davanti a un capolavoro. L'artista è Dio: lascialo fare! Da parte tua non avere altra preoccupazione se non quella di offrirgli una superficie di ascolto che gli permetta di esprimere se stesso. 192
Nutriti allora, giorno per giorno, attingendo alla Parola e tenendola ben salda nel cuore. Verrà il momento del capolavoro: allora raccoglierai con esultanza il frutto della perseveranza e dell'umiltà. Ecco un esempio pratico, molto diffuso tra i giovani che frequentano 'Taizé: Domenica Non affannatevi di quello che mangerete o di quello che indosserete: il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in aggiunta (Mt 6,24-34). Lunedì Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò il pane e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla (Mt 14,13-21). Martedì Pietro si mise a camminare sulle acque verso Gesù. Ma vedendo la forza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: Signore, salvami! E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: Uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14,22-33). Mercoledì Paolo scrive: Noi siamo ambasciatori inviati da Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio! (2 Cor 5,20). Giovedì Gesù disse: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc 9,22-25). Venerdì Benedite coloro che vi perseguitano. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto (Rm 12.14-21). Sabato Gesù disse: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi (Lc 5,27-32). Puoi anche tu fissare per ogni giorno o a scadenze più distanziate, una "parola di vita" che sia luce sui tuoi passi e lampada al tuo cammino. In apparenza non c'è nessun legame tra questi testi proposti per la meditazione quotidiana di una settimana. Eppure, essi sono come il cibo che pure varia ogni giorno. Assimilati, essi confluiscono nell'unità dell'organismo spirituale: lo nutrono, lo rigenerano, lo modellano, perché ogni giorno cresciamo verso la statura dell'uomo perfetto e riproduciamo in noi i lineamenti di Cristo.
1 Semi di contemplazione, Milano" 1952, pp. 131-IG2, passim. 2 B.S. RAjNEeh, Tantra, la suprema comprensione, Milano,1980, p.13 193
12. La preghiera al Padre L'uomo entri in se stesso e penetrando nell'intimità del cuore si immerga in Dio, in modo da non vedere nè sentire nulla se non Dio. E una volta reso deiforme e trasformato in Dio, non penserà se non a Dio, farà ogni cosa per Dio e in tutto vedrà Dio, così che nell'azione godrà della contemplazione. (Agostino) Se aspiri a vedere il volto del Padre che è nei cieli, non cercare in modo, durante la preghiera, di percepire alcuna forma o immagine. (Evagrio Pontico)
nessun
Pregare è entrare in comunione con Dio, per vivere in comunione con gli uomini.
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OSIAMO DIRE... La preghiera rivolta al Padre trova la sua espressione più compiuta nel Padre nostro,l'orazione trasmessaci da Gesù. Dobbiamo però rispondere a una difficoltà preliminare, prima di approfondire il nostro argomento. Le formule servono per pregare o piuttosto mortificano la preghiera riducendola a schema? Come è possibile partire da una formula per approdare alla contemplazione? S.Teresa raccomandava di "far bene l'orazione vocale", e non escludeva il caso che "recitando il Padre nostro o qualche altra preghiera vocale, si venga elevati a contemplazione perfetta. Con questo il Signore farebbe vedere che ascolta chi gli parla, sino a manifestargli la sua grandezza col sospendergli l'intelletto, arrestargli i pensieri, soffocargli, come si suol dire, la parola sulle labbra". E s. Ignazio dava due suggerimenti per trasformare in contemplativa la preghiera vocale: l. centellinare parole e formule di orazione, per immergersi nella preghiera interiore; 2.modulare secondo il ritmo del respiro le singole espressioni della preghiera, per cogliervi le più profonde risonanze in tutto il nostro essere. Tutto dunque dipende da come noi preghiamo con le formule di orazione. Esse possono risultare tomba della preghiera o avvio di autentica orazione. Noi quindi proponiamo: l. che la "recita di formule" obbedisca a un ritmo ben cadenzato, con vigorose pause tra un'espressione e un'altra; 2. che le pause assicurino alla preghiera la necessaria profondità. Esse servono a far sì che la preghiera sia parola sulle labbra pensiero della mente sentimento nel cuore Per insediarsi nel cuore, per trasformarsi in sentimento profondo, in stato d'animo, le formule di orazione hanno bisogno di tempo e di calma. E non è proprio a questo che punta la preghiera: suscitare in noi lo stato d'animo della fede, dell'abbandono, del coraggio, della speranza, del pentimento, della decisione, della gioia, dell'amore, della pace? 197
Quantità e qualità delle formule vanno subordinate a quest'unico scopo, se non vogliamo il rimprovero di Cristo contro il multiloquio nell'orazione (Mt 6,7). Interiorizzare il Padre nostro Per una recitazione del Padre nostro che ne faccia come il paradigma della contemplazione cristiana, sia personale che comunitaria, indichiamo un metodo molto semplice, non senza notare che ogni tecnica meditativa è a un tempo espressione delle capacità umane e denuncia dei nostri limiti. Chi ha le ali non necessita di scale! Chi è nel fervore della devozione non ha bisogno di mezzi e di tecniche. Ma, purtroppo, non per tutti e non sempre è così. Allora vengono buone le scale, che ci portano al di sopra della nebbia, dove splende il sole e si riscalda il cuore. La preghiera di Gesù è una di queste scale, offerta a chi ha gli occhi annebbiati e il cuore infreddolito, e tuttavia desidera ardentemente comunicare con il Padre. Ecco ora alcune indicazioni pratiche. Il Padre nostro va anzitutto percepito come preghiera trinitaria: mi rivolgo al Padre; faccio mia l'orazione di Cristo; è lo Spirito d'amore che la "grida" (Gal 4,6) con l'ineffabilità del suo linguaggio misterioso e profondo (Rm 8,26). In particolare è indispensabile calarci nei pensieri (1 Cor 2,16) e nei sentimenti (Fil 2,5) di Cristo, come se egli pregasse in me, più che con me o attraverso di me. Suscitata questa consapevolezza, si pronunci la prima invocazione: Padre nostro che sei nei cieli e, nella visione mentale di queste parole, si lasci che affiori tutta la ricchezza in esse contenuta, aiutandosi anche con riferimenti evangelici legati al Padre e al suo ruolo nella vita degli uomini. Se ci dovessimo distrarre, ritorniamo semplicemente alle parole della preghiera, ripetendole intensamente e frequentemente, come se iniziassimo in quel momento la nostra orazione. Restiamo in ascolto degli stati d'animo che le parole della preghiera suscitano in noi e radichiamoci in essi lasciandocene pervadere in profondità. Si proceda allo stesso modo per le espressioni successive, introducendole con l'invocazione Padre. Se la contemplazione è comunitaria, la guida pu ricordare di volta in volta brevi passi evangelici adatti alle singole parti della preghiera. 198
Diamo un esempio, tenendo conto che la prima serie di citazioni riguarda lo stato d'animo di Cristo che prega il Padre, la seconda lo stato d'animo del discepolo associato alla preghiera di Gesù. Padre nostro che. sei nei cieli - Non sapevate che devo occuparmi di ciò che riguarda il Padre mio? (Lc 2,49). - Padre, nelle tue mani affido il mio spirito (Lc 23,46). Padre, sia santificato il tuo nome - Padre, ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che tu mi hai assegnato (Gv 17,4). - Gli uomini vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,16). Padre, venga il tuo regno - Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene (Mt 11,9-10). - Venga il tuo santo Spirito su di noi e ci purifichi (variante a Lc 11,2); il Regno di Dio è giustizia, gioia e pace che vengono dallo Spirito santo (Rm 14,17). Padre sia fatta la Tua Volontà, come in cielo così in terra - Abbà, Padre, sia fatta non la mia, ma la tua volontà (Mc 14,36). - Non chiunque dice: Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mt 7,21). Padre, dacci oggi il nostro pane quotidiano - Io sono il pane disceso dal cielo, che dà la vita al mondo (Gv 6,41.51). - Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che nutre in voi la vita eterna (Gv 6,27). Padre, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori il Figlio dell'uomo è venuto a salvare il suo popolo dai propri peccati (Mt 1,21). - Se tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento; tu gli perdonerai (Lc 17,3-4). Padre, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male - Il principe di questo mondo sarà gettato fuori: egli non ha potere su di me (Gv 17,15). - Padre santo, non ti prego di toglierli dal mondo, ma di liberarli dal Maligno (Gv 17,15). La pausa di silenzio dopo ogni invocazione pu servire per riformulare con parole proprie le espressioni di Gesù. E questo sia nella preghiera individuale che comunitaria. 199 Gesto e preghiera Proponiamo infine un esempio di attitudini psicofisiche con le quali accompagnare la preghiera del Padre nostro. Afferma Michaelle: "E' necessario gestualizzare questa preghiera per prendere coscienza che ci sorregge in ogni istante della nostra vita e che è capace di esprimere le segrete profondità del nostro essere". Oltre che accompagnata dal gesto, la recitazione può essere scandita sul ritmo del respiro. Si inspira nella consapevolezza di accogliere lo Spirito di Cristo. Sull'espiro si scandiscono le singole espressioni, come pronunciate in noi dallo Spirito che ci è stato donato. Disegno numero uno: in piedi con le braccia volte verso l'alto, ma non rigide, e le mani aperte, si pronuncia: Padre nostro che sei nei cieli. Disegno numero due: in piedi, con le mani congiunte all'altezza del petto aderenti ad esso,e col capo chino si pronuncia: Sia santificato il tuo nome. Disegno numero tre: in piedi, le braccia aperte verso l'esterno, più alte delle spalle, palmo delle mani e volto rivolti verso pronuncia: Venga il tuo regno.
e
leggermente l'alto, si
Disegno numero quattro: in piedi, braccia incrociate all'altezza del petto palmo delle mani sulle spalle e capo chino, si pronuncia: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Disegno numero cinque: in piedi, mani unite con i mignoli vicini, come accogliere qulcosa, si pronuncia: Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
per
Disegno numero sei: in piedi, mano destra sul cuore, braccio sinistro lasciato cadere aderente al corpo, capo chino, si pronuncia: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Disegno numero sette: in piedi, braccia aperte verso l'esterno con gli avambracci chiusi e le mani aperte verso l'alto, si pronuncia: E non ci indurre in tentazioni ma liberaci dal male. Disegno numero otto: in piedi, le braccia tese verso l'alto, capo rivolto verso l'alto, si pronuncia: Poichè a te appartengono il potenza e la gloria nei secoli. Amen.
201
legermente regno, la
IL NOME SUPREMO Raccontano gli antichi rabbini che il Faraone mandò a chiamare Mosè e gli chiese di rivelare il nome del suo Dio. Mosè disse che il suo Dio non aveva nome. IL Faraone fece quindi consultare i saggi della corte, ma ne ebbe la stessa risposta. Allora convocò nuovamente Mosè, e lo costrinse a rivelare il nome del suo Dio. Mosè, inizialmente ribadì che ignorava il nome di Dio, ma poi aggiunse; "E'vero, il mio Dio non ha nome, ma ha anche tutti i nomi, dal momento che di volta in volta assume quello che meglio esprime il suo ruolo nella vita degli uomini". Faremo così anche noi, ricercando nella nostra storia "il Nome supremo", quello che traduce nel modo più immediato che cosa è Dio per ciascuno di noi. Ci ispireremo a quanto scrive in merito M.Ballester 1. La preghiera che mira a realizzare la nostra totale adesione a Dio è quella che chiamiamo: ripetizione continua del Nome supremo. Essa ha un elevato valore contemplativo, ma non è facile, soprattutto agli inizi. La prima difficoltà che s'incontra è concretare Dio in un nome. La tendenza dell'uomo a concretare le più alte aspirazioni in qualcosa di palpabile e misurabile, questa tendenza la cui degenerazione sfocia nell'idolatria, si disorienta e smarrisce davanti all'infinita incognita del Dio immenso e sconcertante. Chi è Dio, in realtà, per me? Quando io pronuncio la parola "Dio" con che cosa sto mettendomi in sintonia? E' una immagine, il volto di un vecchio venerando, una "cosa misteriosa"? In nessuno di questi casi, o di altri casi simili, si tratta veramente di Dio: occorre proseguire la ricerca dirigendola verso l'alto. Al riguardo s. Agostino confessa la sua drammatica ricerca, i suoi successivi disinganni e i rinnovati tentativi: Egli domanda alle montagne, alla terra tutta, e queste gli rispondono: "Non siamo noi, cerca più in alto". Il cielo, il sole, la luna, le stelle gli danno la medesima risposta: "No, non siamo noi il Dio che tu cerchi!". L'orazione del Nome supremo ti suggerisce: riunisci tutto ciò che è stato finora per te Dio e tutto il presente desiderio di Lui in un solo nome. Può darsi che tutto ciò si possa riassumere in una parola sola e magari di una o due sillabe soltanto: Dio, Amore, Luce, ecc. Cura che questa parola sia tra le più elevate, tra le più significative, quella che maggiormente risponde alla tua "fame e sete" di giustizia, 202
di felicità, di Dio. Vale la pena impiegare in questo lavoro parecchi giorni. Una volta trovato il tuo Nome supremo gioisci come il mercante del vangelo che trova il tesoro nascosto. Conserva questo Nome, che è il tuo miglior tesoro, nel segreto del cuore. Non lo abbassare mai usandolo nel linguaggio ordinario (potrai parlare di Dio servendoti di altri nomi, come fa la Bibbia). E vero che il suono del Nome non è Dio in persona, e in questo senso può tramutarsi anche; vero, in un idolo; ma è anche vero che esso rimane come un contrassegno segreto, come una chiave personale che ha il potere di aprire la strada a un incontro continuo con la inesprimibile realtà che il Nome rappresenta. Come pregare con il nome. supremo Ripeti il Nome supremo la mattina, durante il giorno e a sera, ogni volta che senti fame e sete di Dio. Nelle prove, nel silenzio, nel Dio rumore del traffico cittadino, nel mezzo delle pause del lavoro quotidiano. Ecco come l'Anonimo autore della Nube della non-conoscenza raccomanda la pratica di questo metodo di orazione: "Questa parola (il Nome supremo) ti servirà di scudo e di lancia, in tempo di pace e in tempo di guerra. Con essa vincerai la nube e l'oscurità che ti sovrasta; con essa tornerai a riporre tutte le tue preoccupazioni nell'oblio, e se una di loro ti si oppone e ti chiede che stai facendo, non risponderle che con quest'unica parola". Il grande mistico indù Yogananda trova nella continua ripetizione della parola "Dio" il suo Nome supremo: Quando dalle profondità del sonno risalgo la scala a spirale del risveglio, io ripeto in un sussurro: Dio! Dio! Dio! Tu sei il mio cibo, e quando interrompo il digiuno della notturna separazione da Te, Ti gusto e penso in silenzio: Dio! Dio! Dio! Ovunque vado, il faro della mia mente è puntato sempre su di te e nella lotta tumultuosa dell'azione il mio silenzioso grido di guerra è sempre: Dio! Dio! Dio! Quando sibilano le violente bufere delle prove, e le angosce mi lanciano il loro ululato, io ricopro il loro frastuono intonando a gran voce: Dio! Dio! Dio! 203
Quando la mente intesse i suoi sogni coi fili delle memorie, su quella magica tela io ricamo: Dio! Dio! Dio! Ogni notte, nel sonno più profondo, la mia pace sognando esulta: Gioia! Gioia! Gioia! E la mia gioia viene cantando senza fine: Dio! Dio! Dio! Mentre veglio, mangio, lavoro, sogno, dormo, servo, medito, canto e divinamente amo,l'anima mia bisbiglia senza posa, non udita da alcuno: Dio! Dio! Dio!. In modo non dissimile si esprime Rosmini in questi "Affetti spirituali": O quanto è dolce il conversar con Dio, Parlar di Dio, sol soddisfare a Dio, Ricordarsi, volere e intender Dio, Conoscer Dio, innamorarsi in Dio, Lo star,l'andare, e il ritornar con Dio, IL cercare e il trovare, in Dio, Dio, Donando tutto se medesimo a Dio, il Lasciar, per Dio, li gusti anco di Dio, Il pensare, il parlar,l'oprar per Dio, Sol sperar Dio, sol dilettarsi in Dio, Star sempre affisso con la mente in Dio, Il tutto esercitar con Dio in Dio E il dedicarsi e il consacrarsi a Dio, E a Dio solo piacer, patir per Dio, Del suo contento sol godere in Dio, Sol voler Dio, e star sempre con Dio, Gioir nei gusti e nelle pene in Dio, IL veder Dio, toccare, gustar Dio, E vivere, e morire, e stare in Dio, E, pur rapito e trasportato in Dio, Con Dio e in Dio l'offrir Dio a Dio, Con sempiterna gloria e onor di Dio. Oh Dio, che gaudio e che dolcezza è Dio! Oh Dio! oh Dio! oh Dio! oh Dio! oh Dio! Le sorprese che possono aspettarsi coloro che praticano in modo serio e definitivo il metodo di pregare in continuità il Nome supremo sono varie e diverse per ogni persona: esse dipendono dalla persistenza della pratica e dall'intensità della "fame e sete di giustizia". 204
Il Nome supremo diverrà in ogni caso la risposta a ogni ricerca ideale, a ogni bisogno di guida, di discernimento, di luce.
TU, ETERNAMENTE TU... Pregare è dare del tu a Dio; così come Dio dà del tu a ogni uomo che egli chiama alla vita filiale. Rileggiamo in merito una parabola della mistica musulmana. Un uomo bussa di notte alla porta della sua amata. Ella domanda: "Chi mi cerca?". Lui risponde:"Sono io". E lei con durezza: "Vattene!"replica. Arrabbiato e indispettito, se ne va. Cerca di dimenticare la sua amata e si immerge nei piaceri della vita. Ma non ci riesce. Un immenso vuoto lo accompagna. In capo ad alcuni anni, si presenta di nuovo alla porta della sua amata. Di nuovo:"Chi mi cerca?" E lui:"Sono io". "Vattene!" risponde. Allora un interrogativo fa capolino nel suo animo amareggiato: "Perchè, non riesco a trovare la parola capace di farmi capire?". E si ritira abbattuto e desolato, non più per godersi le gioie del mondo, ma per vivere in solitudine. A poco a poco cresce in lui maggiore saggezza. il suo amore si affina, è meno passionale ma più profondo. E questo amore lo conduce ancora una volta, umile e calmo, alla casa dell'amata. Chiama ripetutamente. Essa domanda:"Chi mi cerca?". Ed egli risponde, quasi impercettibilmente: "Sono tu". Allora la porta si apre, anch'essa silenziosamente, quasi d'incanto. Incontriamo il Tu divino, con mirabile insistenza e fascino, in una significativa preghiera di Martin Buber, uno dei più rappresentativi esponenti dell'ebraismo contemporaneo: Dove vado, TU. Dove resto, TU TU, TU, TU. Di nuovo TU, eternamente TU TU, TU, TU. Quando tutto va bene, TU. Quando tutto va male, TU. TU, TU, TU. 205
Di nuovo TU, eternamente TU TU, TU, TU. Cieli, TU. Terra, TU. In alto, TU. In basso, TU. Dovunque mi volto, TU. In ogni istante, TU. TU, TU, TU. L'incontro a tu per tu con Dio, prelude all'incontro con lui in ogni realtà della vita: persone, avvenimenti, creature e cose. Per alcuni si tratta di un incontro del tutto naturale e spontaneo. Altri possono sviluppare in sè, una tale disposizione interiore, attraverso opportuni esercizi 2. esercizio 1. E'possibile, a esempio, partire dai consueti esercizi di consapevolezza con riferimento alle sensazioni corporee, al respiro, ai suoni, ecc. Essi staccandoci dal meccanismo mentale dei pensieri e dei ragionamenti, dei ricordi del passato e delle proiezioni nel futuro, ci portano a vivere nel "qui e ora". Presenti a noi stessi, possiamo immergerci senza distrazioni nell'oggetto della nostra contemplazione. E'possibile gustare allora quanto è bello essere. Non avere nulla da fare, semplicemente essere. In questo stato di pace e di totale silenzio è facile aprire il proprio sguardo interiore sull'infinito presente di Dio. Senza interrompere quella pace e senza interferire in quel silenzio, senza nulla dire verbalmente, voi potete comunicare con Dio attraverso l'intenso silenzio che abita il vostro cuore. Dite a Dio, non verbalmente, ma con un semplice impulso di amore: "Signore, è bello essere qui con te". Oppure, senza nulla proferire, semplicemente riposate alla sua presenza. Oppure, rimanendo presenti al mondo dei sensi e delle percezioni, sentite Dio nell'aria, nei suoni, nelle differenti sensazioni. Riposatevi in questo mondo totale dei sensi. Riposatevi in Dio. Arrendetevi a questo mondo totale dei sensi. Arrendetevi a Dio. Esercizio 2 Un'altra esperienza che ognuno può vivere e approfondire è questa: ritornare ai momenti più lieti della propria vita, per incontrare in essi la presenza di Dio. Scrive a proposito De Mello:"Quando due innamorati hanno litigato e vogliono riappacificarsi, è per loro di grande aiuto il ricordo dei periodi felici trascorsi insieme in passato". Questo "ritorno in Galilea"- come lo definisce 206
sempre De Mello - lo potete realizzare anche sul piano religioso, per accrescere la vostra conoscenza e l'amore di Dio. Ritornate ai giorni gioiosi trascorsi in compagnia del Signore. Fatelo non solo nei momenti di crisi, ma anche per prevenire le crisi. Tornate con l'immaginazione a qualche scena in cui sperimentaste intensamente la bontà e l'amore di Dio per voi. Soffermatevi in essa, accogliendo nuovamente e gustando dentro di voi la bontà del Signore. Prendetevi tutto il tempo necessario, rivivendo l'avvenimento nella vostra immaginazione. Non limitatevi al semplice ricordo, ma cercate di rivivere intensamente la situazione. Poi esprimetevi con Dio nella forma che vi riesce più naturale e spontanea.
PER LA PREGHIERA O tu... O tu che abiti cuore! O tu che abiti in cuore! O tu che abiti in cuore! O tu che abiTi in O tu che abiti in O tu che abiti in O tu che abiti in
in fondo al mio cuore, vorrei raggiungerti in
fondo
al
mio
fondo al mio cuore, fai risuonare la tua voce in fondo al mio fondo al mio cuore, custodiscimi presso di te in fondo al mio fondo fondo fondo fondo
al al al al
mio mio mio mio
cuore, cuore, cuore, cuore,
rivelati a me in fondo al mio attirami a te in fondo al mio uniscimi a Te in fondo al mio trasformami in te in fondo al
cuore! cuore! cuore! mio cuore.
O Tu che sei venuto nel fondo del mio cuore, dammi di essere attento solo a questo fondo del mio cuore! O tu che sei mio ospite nel fondo del mio cuore, dammi di penetrare a mia volta in questo fondo del mio cuore! O tu che sei in casa tua nel fondo del mio cuore, dammi di sedermi in pace in questo fondo del mio cuore! 207
O tu che solo abiti nel fondo del mio cuore, dammi di immergermi e di perdermi in questo fondo del mio cuore! O tu che sei tutto solo nel fondo del mio cuore, dammi di sparire in te, nel fondo del mio cuore!
Cf. M. Ballestrer, Per una preghiera continua, Roma 1983 pp.72-76. Cf. A. DE MELLO, Cit., pp. 61-62; e 83-84. 208
13. PER GESU'CRISTO
Cristo prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, pregato da noi come nostro Dio. (Agostino) Cristo appare nel centro dell'anima, come apparve agli apostoli senza per la porta del cenacolo. (Teresa di Gesù)
209
è
passare
Ricorda che la pagina precedente 210 non esiste GESU', IL SIGNORE La preghiera del cristiano passa per Cristo, perchè, egli è la manifestazione del Padre verso gli uomini, la via che conduce a lui, la matrice divina presente in ogni creatura che in lui è stata fatta. Cristo vive nel cuore dell'uomo e chi si immerge nella propria profondità non può non incontrarlo, come non può non incontrarlo chi ama il fratello (Mt 25,31-46). " In Cristo Dio si è reso accessibile e familiare alle sue creature, che possono ora vederlo, sentirlo, toccarlo (1 Gv l,l-2) e nutrirsi del suo amore. Il cristiano, contemplando Cristo (1 Gv l,l) adora il Padre. Infatti chi vede lui, vede il Padre (Gv 14,9). Afferma Teresa d'Avila: "Ho sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della santissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi segreti. Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino". Proponiamo quattro itinerari contemplativi incentrati su Cristo. L'INCONTRO CON L'UMANITA'DI CRISTO Il primo itinerario ci permette di tradurre la contemplazione di Cristo in decisione per lui e in assimilazione a lui. Ma che significa contemplare l'umanità di Cristo, decidersi per lui o, in altri termini, credere in lui? Possiamo ricorrere al quarto Vangelo che ci offre del credere o del farsi discepoli tutta una serie molto suggestiva e concreta di sinonimi. Ne diamo l'elenco, invitando a soffermarsi su ogni termine, così da scoprire in noi se ci sono gli atteggiamenti indicati dall'evangelista e, eventualmente, lasciarli emergere nel nostro cuore al punto che si appassioni del Signore. In questo modo la contemplazione si salda con l'azione, il credere diventa vita che produce i frutti del Regno. 211
Per Giovanni, questi sono i connotati del discepolo che siamo chiamati a fare nostri: - venire. Venite e vedrete (Gv 1,39), in risposta alla domanda: Dove abiti? (lett. "Dove rimani?"). Chi viene a me non ha fame, chi crede in me non ha sete (Gv 6,35). - vedere: Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno (Gv 6,40). - conoscere: Questa è la vita eterna: che conoscano te,l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17,3; cfr. Gv 14,7.9). - ascoltare, accogliere, custodire la parola: Se non credete è perchè, non siete del mio ovile. Le mie pecore ascoltano la Mia voce (Gv 10,26-27). In verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita (Gv 5,24). Le parole che tu mi hai dato le ho trasmesse a essi ed essi le hanno accolte e hanno riconosciuto che io vengo da te e hanno creduto che tu mi hai mandato (Gv 17,8). Se mi amate, custodite la mia parola (Gv 14,23; cf. 8,37 e 15,7). - ricevere: A coloro che l'hanno ricevuto, a coloro che credono nel suo nome, ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). Io sono venuto nel nome del Padre mio e non mi ricevete; se qualcuno viene nel proprio nome, voi lo ricevete. E come potete credere voi... che non cercate la gloria che viene da Dio solo? (Gv 5,43-44). In verità vi dico: Chi riceve colui che io mando riceve me, e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato (Gv 13,20). - farsi discepolo: La gloria del Padre mio risplende, se diventate miei discepoli (Gv 15,8). Se rimanete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli (Gv 8,31). - rinascere: Se uno non rinasce dall'alto non pu vedere il regno di Dio (Gv 3,3; cf. 3,5). - Rimanere: Rimanete in me e io rimango in voi. Chi rimane in me e io rimango in lui, fa molto frutto. Rimanete nel mio amore (Gv 15,4-5.9). Rimanete nella mia parola (Gv 8,31). - essere dove è lui: Se qualcuno mi serve, mi segua; e dove sono io là sarà anche il mio discepolo (Gv 12,26). Quando io sarò andato a prepararvi un posto, tornerò a voi e vi prenderò con me, in modo che là dove sono io ci siate anche voi (Gv 14,3). Padre, quelli che mi hai dato voglio che dove sono io, anch'essi siano con me, in modo che contemplino la mia gloria (Gv 17,24). 212
- vivere per lui: Come il Padre, che è il vivente, ha mandato me e io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà per me (Gv 6,57). - osservare i comandamenti: Se mi amate, osservate i miei comandamenti (Gv 14,15.21). Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15,10). - amare: Voi mi amate e avete creduto che io vengo da Dio (Gv 16,27). Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perchè, il Padre è più grande di me (Gv 14,28; cf.14,15.21.23). Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi (Gv 13,34; cf.15,21). - compiere le opere: Chi crede in me compie le mie opere e ne compirà di maggiori (Gv 14,12). - portare frutti: Ogni tralcio che in me non fa frutto, il Padre lo toglie e ogni tralcio che in me fa frutto lo pota, perchè, faccia più frutto (Gv 15,2). il Padre riceve gloria, se fate molto frutto (Gv 15,8). Vi ho scelto e vi ho affidato la missione, perchè, portiate frutto e il vostro frutto rimanga (Gv 15,16). - avere pace in lui: Vi do la mia pace, vi Lascio la mia pace; non come ve la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14,27; cf.16,33; 20,20.21.26). - gioire in lui: Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo (Gv 3,29). Abramo, vostro padre, esulta nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò (Gv 8,56). Questo vi ho detto perchè, la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Gv 15,11). Ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perchè, abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia (Gv 17,13). Se voi mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre (Gv 14,28). La vostra afflizione si cambierà in gioia (Gv 16,20). I discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20). - pregare nel Suo nome: Qualunque cosa domanderete nel mio nome, la farò, perchè, il Padre sia glorificato nel Figlio. Qualunque cosa mi chiederete nel mio nome, io la farò (Gv 14,13.14). Se rimarrete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete ciò che volete e vi sarà fatto (Gv 15,7). Qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, ve la darò (15,16). In quel giorno non mi domanderete nulla. In verità vi dico: se domanderete qualcosa al Padre, ve la darò nel mio nome (Gv 16,23). Finora non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete e riceverete e la vostra gioia sarà piena (Gv 16,24). 213
In quel giorno chiederete nel mio nome e Io vi dico che pregherò il Padre per voi. IL Padre stesso vi ama, perchè, voi amate me e credete che io vengo da Dio (Gv 16,26-27).
LA VISUALIZZAZIONE PROPOSTA DA UN LAMA Il secondo itinerario è costituito da un suggerimento di rara efficacia, dovuto al lama tibetano Thubten Yeshe. Gli venne chiesto di indicare "una pratica di meditazione adatta a coloro che si riconoscono discepoli di Gesù". Egli rispose in questi termini: "Come pratica quotidiana vi suggerisco la seguente: sedetevi o inginocchiatevi in una posizione confortevole, rilassati ma con la schiena diritta. Visualizzate, con l'occhio della mente, Gesù davanti a voi. Il suo volto ha un'espressione tranquilla, piena di pace e di amore. Potete usare come modello un'immagine del Cristo risorto o del Cristo che insegna. Immaginate poi che dalla sommità del suo capo, circonfuso di una luce intensa, una luce bianca raggiunga la vostra testa. Questa luce bianca corrisponde a una energia che da beatitudine e entrando nel vostro corpo lo purifica dalle contaminazioni fisiche e dai peccati accumulati nel corso di innumerevoli vite. Questa energia bianca, piena di beatitudine, purifica il corpo da ogni malattia, compreso il cancro e riattiva e rinnova il vostro sistema nervoso. Visualizzate poi una luce rossa che si irradia dalla gola di Gesù e entra nella vostra, riempiendo il vostro centro vocale di una sensazione di beatitudine. Se nel parlare avete dei problemi, perchè, dite sempre bugie o parlate male degli altri o usate un linguaggio violento, la luce rossa vi purificherà da queste energie negative e voi scoprirete le qualità divine della parola. Poi dal cuore di Gesù si irradia una luce blu che giunge fino al vostro purificando la mente da tutte le false idee. II vostro ego meschino ed egoista che è come il presidente delle illusioni, e i tre veleni l'avidità,l'odio e l'ignoranza - che sono i suoi ministri, saranno purificati da questa luce blu, colma di beatitudine. La mente incerta, sempre indecisa tra questo e quello, ne uscirà chiarificata e la mente ristretta che non riesce a cogliere la totalità perchè, mette a fuoco un punto solo, ne uscirà purificata. Man mano che questa energia lumi 214
nosa vi riempie la mente, il vostro cuore diventa come il cielo azzurro, capace di abbracciare lo spazio e l'intera realtà. Questa triplice purificazione del corpo, della parola e della mente può risultare molto utile per chiunque abbia una grande devozione per Gesù. Se non riuscite a visualizzare tutto, concentratevi solo sul suo cuore, da cui si irradia una energia bianca colma di beatitudine che purificherà il vostro da ogni contaminazione. Questa è una pratica estremamente semplificata, ma può essere ugualmente molto efficace. Potete concludere la meditazione visualizzando un fiore di loto bianco che fiorisce nel vostro cuore. L'immagine piena di compassione che avete visualizzato di fronte a voi comparirà seduta sul loto. Dopo di ciò, ogni volta che berrete o mangerete sarà come fare un'offerta a Gesù che è dentro di voi. Se farete questa meditazione ogni giorno con la dovuta concentrazione e una motivazione pura, essa vi aiuterà efficacemente a trasformare le vostre azioni, pensieri e parole e ad avvicinarvi alle qualità divine di Gesù". In questo stesso modo o in un modo analogo, si possono meditare tutti i misteri di Cristo, come insegna una ininterrotta tradizione cristiana. E'molto utile partire dalla pagina evangelica e disporre di icone che ci aiutino nella visualizzazione. "Innanzitutto si guarda l'immagine, poi la si accoglie nella rappresentazione interiore dove si trasforma, adattandosi alle caratteristiche della singola persona e fondendosi con essa, senza per questo svanire. La persona, accogliendo in se stessa l'immagine, viene trasformata e resa simile a essa: per quanto possibile, la persona diventa ciò che l'immagine rappresenta. Nello stesso tempo,l'azione illustrata dell'immagine coinvolge la persona al punto che questa si sente incitata a fare altrettanto, e lo fa realmente" (J.B.Lotz).
LA PREGHIERA DEL ROSARIO A prescindere dalla liturgia, la preghiera cristiana che educa alla contemplazione dei misteri è il rosario. A esso potremmo aggiungere, per la passione del Signore, la Via Crucis. Perchè, il rosario torni a essere tra i più accessibili e desiderati ap 215
puntamenti contemplativi della nostra spiritualità, occorre tener conto di alcuni accorgimenti. 1. il primo riguarda semplicemente le modalità esteriori della recita. Essendo il rosario una preghiera essenzialmente meditativa, una sorta di preghiera del nome leggermente sviluppata, richiede di essere detto lentamente e a voce sommessa. Più che una preghiera da recitare, il rosario è, nella sua espressione vocale, una melodia che accompagna e favorisce l'immersione della mente e del cuore nella meditazione dei misteri che vengono, volta per volta, proclamati. La mente si apre sul mistero e lo assimila, e la voce si pone al suo servizio rispettando le leggi di una recita che favorisca al massimo la concentrazione o, meglio, la consapevole presenza al mistero. 2. La recita del rosario si articola dunque prioritariamente attorno ai misteri più salienti della vita di Cristo. Questo esige, come secondo accorgimento, di fermarsi in meditazione silenziosa dopo la proclamazione del mistero, fatta nella forma tradizionale o, meglio con citazioni bibliche. La focalizzazione della mente sul mistero contemplato sarà inoltre favorita se, nella recita, dopo aver pronunciato il nome di Gesù si richiama con una breve formula il contenuto dei singoli annunci di fede: "che ha preso carne in te", "che si è fatto uomo per noi", "che ci chiama alla sua sequela", "che ci ha amato sino alla fine", "che si è fatto pane per noi", "che verrà a giudicare i vivi e i morti", ecc. Nella recita corale, tali espressioni possono essere proposte nella forma del canto. 3. La focalizzazione sul mistero proclamato non deve tuttavia portarci a sottovalutare il significato dell'Ave Maria e la sua particolare funzione in rapporto alla contemplazione. Vissuta consapevolmente, la recita dell'Ave Maria ci permette di cogliere e di gustare le diverse sfumature presenti nei singoli misteri e il loro attuale riferimento ai nostri stati d'animo e alle situazioni di vita. L'Ave Maria ha un suo sviluppo melodico. Esso si svolge attorno a due poli: "Gesù" e "noi peccatori". In questo senso il rosario può essere considerato come una variante occidentale della "preghiera di Gesù" in uso nella spiritualità orientale dell'esicasmo. La nota iniziale dell'Ave Maria è un grido di giubilo e di gioia. E' proclamazione del lieto annuncio di due libertà che si incontrano nella disponibilità dell'amore: quella di Dio e quella di Maria. Il loro frutto è Gesù Cristo, che nasce, vive, soffre, muore e risorge per darci la vita. La prima parte dell'Ave Maria si snoda sull'onda di questo lieto annunzio, che apre il cuore all'incontro gioioso con il Signore. A questo lieto annunzio l'uomo risponde, nella seconda parte, dall'abisso della sua povertà, non priva di luce e di speranza. Gli occhi della contemplazione infatti si fissano su Maria, madre del Salvatore e orante potente che intercede per noi. 216
Per dare maggiore risalto e contenuto a questa seconda parte dell'Ave Maria, si può aggiungere, dopo il "noi peccatori", una serie di esplicitazioni, come: perchè, torniamo al Signore con tutto il cuore","perchè, perdoniamo chi ci ha fatto del male", perchè, non ci stanchiamo nel fare il bene", "perchè, viviamo nella giustizia e nella pace", ecc. E'importante cogliere e immergersi in questa linea melodica dell'Ave Maria che ci conduce al Cristo sull'onda del lieto annuncio rivolto alla Vergine e ci riporta a lui sull'onda della preghiera fiduciosa a colei che viene salutata come Madre di Dio e rifugio dei peccatori. Una volta che ce ne siamo appropriati, tale linea melodica ci accompagnerà nacuralmente nell contemplazione dei misteri, accentuando e arricchendo le nostre capacità ricettive. 4. Suggeriamo, sopratcutto nella recitazione priva a, di ricorrere a volce a una maggiore libertà nel riformulare l'Ave Maria, secondo quanto si è detto sopra. Ciò può vincere la monotonia e favorire la spontaneità. Ottima cosa poi scandire il rosario secondo il ritmo del passeggio meditativo.
UNA FORMULA DA MEDITARE Nel tentativo di restituire il dovuto spessore all'Ave Maria, suggeriamo di dire il rosario scandendo con brevi "pause di attenzione", come le chiamava J.P. de Caussade, le singole espressioni del saluto mariano. Questo sia nella recitazione privata che, con gli opportuni adattamenti, in quella pubblica. In quest'ultima, se è compiuta da un gruppo omogeneo, si possono invitare i componenti a dire ciascuno a turno la prima parte dell'Ave Maria, facendo di essa un dono di preghiera sentita e vissuta offerto alla comunità, che coralmente risponde: Santa Maria... Per favorire la comprensione delle singole espressioni dell'Ave Maria, riportiamo dei rimandi biblici che ciascuno potrà ampliare nella ricerca personale. - Ave Maria: In realtà il saluto suona: Rallegrati, Maria. "Gioisci, Figlia di Sion, esulta e rallegrati con tutto il cuore: I1 Signore tuo Dio è in mezzo a te" (Sof 314.17) Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo dico ancora, rallegratevi" (Fil 4,4-5). - Piena di grazia: "Dio ha abbondantemente riversato su di noi la ricchezza della sua grazia, dandoci saggezza e prudenza perchè, potessimo conoscere il miscero della sua volontà secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva prestabilito in Cristo, per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno, cioè, di ricapitolare in lui tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef 1,8-10). Anche noi, come Maria, siamo stati "graziati" in Cristo (Ef 1,6). 217
- Il Signore è con te: "Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me... Ora va! Fa uscire dall'Egitto il mio popolo. Mosè, disse a Dio: Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti? Rispose: Io sarò con te!" (Es 3,9-12; cf. Gdc 6,l I-12). - Tu sei benedetta fra le donne: "Tutti insieme le rivolsero parole di benedizione: Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d'Israele, tu splendido onore della nostra gente. Tutto questo hai compiuto con la tua mano, egrege cose hai compiuto per Israele, di esse Dio si è compiaciuto. Sii benedetta dall'onnipotente Signore" (Gdt 15,9-10; cf. Gn 12,2; Mt 25,34; Lc 1,42.45;1 Pc 3,9). - Benedetto il frutto del tuo seno, Gesù: "Lo chiamerai Gesù, perchè, salverà il suo popolo dai propri peccati" (Mt 1,21). "Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo" (At 2,21): "Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi costruttori, è diventata testata; d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,11-12; cf. Fil 2,6-11). - Santa Maria: "Ci ha scelti per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità" (Ef 1,4). - Madre di Dio: "Chi fa la volontà del Padre, è per me fratello, sorella e madre" (Mc 12,50). "O madre! Con sette figli hai dissolto la forza del tiranno e hai annullato i suoi foschi disegni, mostrando la fecondità della fede! Come una casa ben consolidata sulle colonne dei figli hai sopportato con fermezza la scossa delle torture. Coragio, dunque, madre pia, che perseveri incrollabilmente nella fedeltà a Dio. La luna nel cielo con gli astri non splendette così meravigliosamente _ come te, che dopo aver illuminato come astri sette figli con la luce della pietà, li hai presentati a Dio con animo nobile e con loro hai condiviso la sorte nel cielo. La Tua maternità era nello spirito della fede del padre Abramo" (4 Mac 17,2-6. Libro deuterocanonico). - Prega per noi peccatori: "Ho peccato contro il Signore, vostro Dio, e contro di voi. Ma ora perdonate il mio peccato anche questa volta e pregate il Signore vostro Dio perchè, almeno allontani da me questa morte!" (Es 10,16-17). - Adesso: "Esortatevi a vicenda ogni giorno, finchè, dura questo oggi, perchè, nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato" (Eb 3,13). - E nell'ora della nostra morte: "Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perchè, per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Egli ne è divenuto partecipe, per liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" (Eb 2,9.15). "Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la Tua parola; perchè, i miei occhi han visto la tua salvezza" (Lc 2,29-30). 218
FA EUCARISTIA E ADORAZIONE Il quarto itinerario consiste nell'approfondire il carattere dell'adorazione eucaristica. S. Teresa dava questo suggerimento alle sue discepole: "Appena comunicate, chiudete gli occhi del corpo e aprite quelli dell'anima, per fissarli in fondo al vostro cuore, dove il Signore è disceso. Vi dico, vi torno a dire e ve lo vorrei ripetere all'infinito, che se vi abituate a questa pratica ogni qual volta vi accostate alla comunione, il Signore non si nasconderà mai così del tutto da non manifestarsi. Non vi chiedo di applicare la mente a profonde e sublimi considerazioni. Vi chiedo solo che lo guardiate. E chi vi può impedire di volgere verso di lui gli occhi della vostra anima, sia pure per un istante se non potete di più?". Ricevuta l'eucaristia chiudiamo dunque gli occhi del corpo e apriamo l'occhio interiore, visualizzando Cristo in uno degli atteggiamenti ispiratici dal vangelo (servendoci dell'antifona alla comunione!). Contempliamolo. Poi avvertiamo la forza benefica che si sprigiona da lui e ci rigenera. Infine entriamo in colloquio con lui, lasciando che ci parli per primo... Il cristiano ha modo di attingere la consapevolezza della presenza del Signore non solo durante la celebrazione eucaristica, ma anche nella preghiera silenziosa e adorante davanti al Santissimo, che ne costituisce come il prolungamento. "La presenza reale crea - e manifesta - una presenza più interiore, più profonda e più immediata. Perchè, allora non prolungare questo momento e quindi questa esperienza di vita e di presa di coscienza? E'in questo senso che si può e si deve accogliere il valore della preghiera fatta alla presenza del sacramento del Corpo di Cristo. II cristiano ritorna a porsi alla presenza del segno sacramentale che è intesa a creare - e svelare - in lui una presenza nuova e più intima, nella quale la dualità del soggetto credente e del Cristo considerato come oggetto (ossia come altro da me) tende a scomparire e a unificarsi in vista di una identificazione nell'amore. Questa grazia dell'identificazione è il dono supremo dell'eucaristia" (L.Maldonado). Nell'eucaristia i due poli di ogni esperienza mistica si saldano: essa parla il linguaggio dell'immanenza, poichè, Dio si fa pane e vive 219
nel cuore dell'uomo; e il linguaggio della trascendenza, poichè, il pane è segno di una realtà che ci supera infinitamente e si dona a noi nella gratuità dell'amore. Possiamo contemplare l'eucaristia procedendo in questo modo: - Contemplo il Verbo in me stesso e me stesso nel Verbo e mi scopro io pure "parola primigenia di Dio" e suo "primo sacramento". Dio mi pronuncia da sempre con amore e fa di me la manifescazione della sua immagine e somiglianza. "Una certa dimensione eucaristica accompagna l'esistenza dell'uomo che ha scoperto veramente se stesso" (C.M. Martini). Dopo avere fissato lo sguardo sul segno sacramentale, rivivo la trasformazione interiore che si operò nei due discepoli di Emmaus (Lc 24,16.31: i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo / allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero; e 24,25.32: sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti / non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?). - Mi percepisco come una realtà divina: "Nell'essere di Gesù, Dio e l'uomo, pur rimanendo distinti, diventano una sola cosa" (C.M. Martini). Plasmato sul modello di Cristo, figlio primogenito e fratello universale,l'uomo è destinato a "diventare conforme all'immagine del Figlio" (Rm 8,29). Questo destino si è reso più evidente con l'incarnazione, con la quale "il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo" (Gaudium et spes, 22/1386). Contemplando l'eucaristia "riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore e siamo trasfigurati in questa stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2 Cor 3,18). L'eucaristia mi trasfigura comunicandomi energie di vita e di guarigione. Percepisco tali energie operanti in me. Esse mi sottraggono alla schiavitù del male, del dolore e della morte, poichè in me si è insediata la Vita. Rivivo la più intensa delle mie comunioni eucaristiche con il Cristo e la estendo ai fratelli. Riemergerà in me un acceso desiderio del Pane di vita e un sincero proposito di farmi pane per la vita degli uomini. Attraverso l'adorazione eucaristica, l'anelito contemplativo dell'uomo non si esaurisce nell'immersione nelle profondità'interiori del proprio sè, e neppure nell'assorbimento in una Totalità senza volto e senza nome. Essa approda invece al dialogo d'amore con il Tu divino, in un'esperienza di identità nella diversità. E tale dialogo d'amore deborda dai momenti contemplativi e si fa stile di vita. L'estasi d'amore davanti a Dio che si rende accessibile in Cristo, prepa 220
ra l'estasi davanti al fratello in cui Cristo vive come nascosto. La comunione con il Signore diventa comunione con tutti gli uomini e con il mondo intero, in un'attitudine che permetterà a Cristo di riconoscermi come il fratello che gli ha dato da mangiare e da bere, lo ha ospitato e vestito, lo ha visitato ammalato e, carcerato, è venuto a trovarlo (cf. Mt 25,31-46).
1 La luce bianca e le successive luci rossa e blu corrispondono ai colori delle iconi, di cui parleremo a proposito della Trinità. 2 Cfr. M.Masini, Il Rorario, Ancora, Milano,1984. 221
ricorda prima la pagina è vuota 14. Nello Spirito santo Se lo Spirito santo vive nelluomo, questi prega quando sta e cammina, dorme e veglia, lavora e riposa, parla e tace. (F. I.a Combe)
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SEQUI FLANTEM SPIRITUM: SEGUIRE IL SOFFIO DELLO SPIRITO L'invito a pregare continuamente "nello Spirito" è ricorrente nelle Scritture. Sequi flantem Spiricum: seguire il soffio dello Spirito, ripeterà la tradizione. A ragione san Paolo nota che "non sappiamo pregare come si conviene" (Rm 8,26), ma che è lo Spirito santo a soccorrerci nel nostro anelito di comunione filiale con Dio. É lui che fa risuonare in noi l'ineffabile sospiro d'amore che, passando attraverso il Figlio, ci lega eternamente al Padre. La preghiera nello Spirito è ricettività pura. É lasciarsi agire da lui (Rm 8,14), soffio imprevedibile (Gv 3,8) e impetuoso (At 2,2) che genera e rigenera: - Dio dà a tutti vita e respiro (At 17,25). Dio soffiò nelle narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente (Gn 2,7). - Cristo alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito santo (Gv 20,22). - Lo Spirito del Signore riempie l'universo (Sap 1,7). É il soffio che crea e rinnova la faccia della terra (Sal 104,30). Anche negli scritti indiani dei Veda si afferma che il mondo è frutto dell'espirazione di Dio e che Dio attrae continuamente il mondo a sé inspirando ciò che in precedenza aveva espirato. La preghiera nello spirito "La relazione tra il silenzio e la parola è la relazione tra lo Spirito e Cristo" (J. Lafrance). Mentre quindi la preghiera che fa riferimento alla Parola (a Cristo) esige l'attiva e laboriosa cura del campo, perché il seme fruttifichi "ora il trenta, ora il sessanta, ora il cento" (Mt 13,23), la preghiera nello Spirito si dispiega in pienezza solo nel contemplativo che è tutto silenzio e consenso nell'accogliere il soffio di vita. "Soltanto il contemplativo conosce e ascolta l'interiore armonia che lo Spirito santo opera nell'anima" e soltanto il contemplativo "obbedisce alle diverse voci e ispirazioni del Paraclito. Se pertanto è vero che l'orazione con la qúale noi preghiamo Dio è buona, quella con cui lo Spirito di Dio prega in noi con sospiri veraci è assai migliore" (Battista da Crema). "Quando lo Spirito suscita nell'orante la preghiera in tutte le sue 225
forme (Ef 6,18), ci si può chiedere: quale è il soggetto dell'orazione:, lui?, noi? Certamente siamo ancora noi, ma, per una anticipazione del 'Dio tutto in tutti di 1 Cor 15,28, è lui stesso in noi. Al di là di ciò di cui abbiamo coscienza, al di là del pensiero che possiamo formare e formulare, lo Spirito che abita nei nostri cuori è egli stesso in noi preghiera, implorazione, lode. Egli è la nostra unione a Dio, quindi la nostra preghiera. Possiamo dire che il cuore del fedele, nella misura in cui è abitato dallo Spirito, è il luogo nel quale Dio incontra se stesso, nel quale esiste l'ineffabile relazione delle Persone divine fra loro" (Y. Congar). Una testimonianza può aiutarci a capire cosa significa pregare nello Spirito santo: "Ho cambiato completamente il mio metodo di preghiera. Ho iniziato la mia preghiera così: ho cercato una posizione calma e tranquilla, poi ho cercato di ascoltare il mio respiro. Sul ritmo del respiro ho reso calmo il mio corpo e ho pronunciato una invocazione che dice a Dio quanto voglio accoglierlo e ascoltarlo: Spirito santo, penetra nell'intimo del mio cuore'. Dicendogli: 'penetra nell'intimó, mi sembra di chiedergli di entrare nel più profondo di me stesso. Da quando invoco lo Spirito santo, egli fa parte della mia vita molto più di prima, e questo mi sembra positivo. Un altra cosa positiva è la calma raggiunta durante la preghiera. Prima, quando mi accorgevo di essere distratta, mi irrigidivo nello sforzo; adesso mi comporto come se iniziassi la preghiera in quel momento e così riesco a concentrarmi senza irrigidirmi". Ci domandiamo ora come renderci consapevoli che lo Spirito prega in noi e come favorirne l'azione. A tale scopo indichiamo tre vie. LA VIA DEL SILENZIO: LA PAROLA SOSTANZIALE Il silenzio permette di ascoltare e accogliere ciò che "lo Spirito attesta al nostro spirito" (Rm 8,16), nonché di cogliere l'intima consonanza tra l'uno e l'altro. Noi sappiamo che, nell'ordine della Rivelazione, il dono dello Spirito è successivo e subordinato a quello della Parola. Di conse 226
guenza attingiamo lo Spirito accogliendo il Verbo. Solo così non corriamo il rischio di identificare iI nostro spirito, limitato e peccatore, con lo Spirito santo. All'opposto, lasciamo il nostro spirito sempre aperto alle mozioni con cui il Paraclito "scompiglia senza posa gli orizzonti dove la nostra intelligenza ama trovare la propria sicurezza, e sposta i limiti dove rinserreremmo volentieri la sua azione" (Paolo vI, Octoge.rima advenien.r, 1971, 37). E siccome Cristo è "diventato Spirito datore di vita" (1 Cor 15,45), così ogni sua parola dovrà trasformarsi in Spirito. Ora, perché le Scritture siano lette e comprese in quello stesso Spirito che le ha ispirate, si esige un atteggiamento di ascolto perfetto. Richiamiamo l'immagine dell'apocalisse. Cristo invia messaggi alle comunità perché "chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese" (Ap 2,7). Solo nel silenzio che nasce dall'adorazione amorosa, la lettera diventa Spirito. Si leggano o si ascoltino quindi le Scritture solo dopo essersi posti in simile atteggiamento interiore. Si lasci inoltre risuonare a lungo in noi le singole espressioni, ripetendole lentamente e risentendole interiormente. Vedremo che la dura scorza della lettera a poco a poco si sfalda e lascia scaturire la dolcezza e la forza della Parola di Dio o, meglio ancora, di Dio che parla. Quando alla parola di Dio restituiamo il suo Spirito, allora la riconosceremo, con s. Giovanni della Croce, quale "parola sostanziale". Sostanziale è la parola che "fa quello che dice". Per sé ogni parola che Dio pronuncia è destinata a produrre ciò che significa. Se questo non avviene è per difetto di ricettività da parte nostra. Ma se tale ricettività aumenta, risulteranno sempre maggiori le parole sostanziali che Dio pronuncia in noi. In tal modo il Verbo si incarna incessantemente nel cuore degli uomini, per opera dello Spirito santo. Terminata la preghiera biblica, chiediamoci: Qual'è la parola sostanziale, fra le tante che mi hai trasmesso, Signore? Parola capace di guarirmi (Mt 8,8), di rigenerarmi (1 Pt 1,23) e di salvarmi (Gc 1,21). Parola che non si allontani mai dal mio cuore. Costateremo con grande frutto che anche per noi la parola è diventata Spirito, si è trasformata in uno stato d'animo che non ci abbandona più.
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LA VIA DEL RESPIRO: IL SOFFIO DI VITA Ricordiamo che la preghiera è stata definita "il respiro dell'anima". Respiro è vita, energia, ritmo, interiorità, pienezza, abbandono, comunicazione, interazione, rigenerazione. Così per la preghiera. Se, approfondendo il fatto psico-fisico del respiro, noi riusciamo a scorgere in esso lo Spirito di Dio che permea l'universo, respirare sarà per noi sinonimo di pregare. Nel nostro respiro vibrerà il soffio dello Spirito di cui "è piena la terra". IL salmista desiderava respirare la Legge di Dio: "Apro la bocca e inspiro intensamente (anelo!), perché desidero i comandamenti divini" (Sal 119,131). All'economia della Legge si è sostituita quella dello Spirito, e il cristiano può quindi ripetere: "Apro la bocca e inspiro intensamente, perché desidero il tuo Spirito". Riprendendo quanto si è già avuto modo di accennare, diciamo subito che trasformare il respiro in preghiera non è facile, o almeno non lo è per tutti. Dobbiamo procedere per gradi, familiarizzandoci anzitutto con il nostro respiro e, senza per questo forzarlo o alterarlo, cogliervi i profondi risvolti spirituali. Lasciamoci guidare da un grande maestro spirituale dei nostri tempi, p. J.B. Lotz1. "La respirazione non è solo un processo fisiologico, ma riguarda l'uomo integrale; come il corporeo è influenzato dallo spirituale, così il corporeo agisce anche sullo spirituale. Per questo la respirazione corporea può essere valorizzata per la meditazione interiore. A questo riguardo l'estremo Oriente, con la sua lunga esperienza, ha molto da dare all'Occidente. Si tratta di coltivare e perfezionare il ritmo di respirazione, cosi come è dato dalla natura, eliminando gli impedimenti. 1. I quattro momenti della respirazione. Prima di tutto osserviamo i due, momenti dell'espirazione e dell'inspirazione. Con l'espirazione eliminiamo gli elementi nocivi, mentre con l'inspirazione immagazziniamo aria fresca e cioè, l'ossigeno" indispensabile per la vita. L'espirazione dev'essere eseguita in modo completo non solo per la purificazione, ma anche a motivo dell'ispirazione che allora avviene spontaneamente e altrettanto pienamente. Nel ritmo spontaneo della respirazione, la espirazione dura più a lungo, quasi il doppio del'inspirazione. Inoltre, a motivo dello stesso ritmo, dopo l'espirazione, se 228
". una piccola pausa. Una regola fondamentale per il trattamento del respiro è quella di lasciarlo venire senza violentarlo. Secondo il suo decorso, va dall'espirazione, con una piccola pausa, all'inspirazione. 2. Interpretazione del significato del respiro. In esso vibra il lasso di tempo tra la nascita e la morte. L'inspirazione indica la nascita; con la prima inspirazione il bambino inizia il cammino verso la vita. L'espirazione anticipa la morte; con l'ultima espirazione l'essere umano abbandona la vita. Nell'inspirazione dell'aria riceve ogni momento e sempre nuovamente la vita, ovvero se stesso. Nell'espirazione invece gli viene tolto ogni volta qualcosa della sua vita ed egli stesso l'abbandona. Come dimostra già la durata dei due movimenti,l'inspirazione è subordinata all'espirazione, intendendo così che la persona umana riceve se stessa non per tenersi, ma per darsi alla Totalità: a Dio come sua origine e agli esseri umani come suoi membri. Per questo è anche importante osservare che non si parla con proprietà dicendo: io respiro"; il processo di respirazione è meglio indicato con "Sto respirando". IL respiro non deriva dal volere cosciente del singolo, ma, per una legge efficace, viene messo e mantenuto in moto senza tale cooperazione. Così ognuno si esperimenta inserito nella totalità più ampia e completa da cui ha origine questa legge e, alla fine, come messo in movimento dal suo Creatore. 3. Interpretazione del quadro momenti. Una prima interpretazione riguarda l'unificazione con se stessi. Sotto questo aspetto, il primo momento dell'espirazione significa: lasciarsi staccare dalla superficie con la sua molteplicità. Indichiamo il secondo momento della stessa espirazione come il calare giù nelle profondità dell'"uno", nel fondo dell'anima o del vero essere. il terzo momento è la piccola pausa alla quale corrisponde il diventar uno con il profondo o il vero essere. Il quarto momento è quello dell'inspirazione al quale appartiene il lasciar-rinvenire del quotidiano con le sue molteplici esigenze. Si tenga presente come tutti e quattro i momenti compiano un distacco; tutto questo avviene quando si permette il ritmo spontaneo del respiro. Una seconda interpetrazione riguarda l'unificazione col fondamento primordiale divino, col Dio personale. Sotto questo aspetto, il primo momento si chiama: via da me, dal mio io chiuso in me stesso; il secondo momento: verso Te, al Dio intorno al quale ruota tutta la mia esistenza; il terzo momento: tutto in Te, in Dio che è il mio ultimo compimento; il quarto momento: nuovo per Te, trasformato mediante l'unione con Dio, ritorno nel mio quotidiano. Come dimostrano le due interpretazioni, nel processo di respirazione è già presente tutta la meditazione, che perciò può essere iniziata e compiuta con l'appoggio dei ritmi del respirare"1. Siamo ora in grado di compiere due esercizi che ci consentono di la dimensione orante nel nostro soffio vitale. 229
sperimentare
Esercizio 1 Chiudete gli,occhi e praticate la consapevolezza delle sensazioni corporee per un certo tempo. Quindi passate alla consapevolezza del vostro respiro, mentre entra e esce dalle vostre narici. Ascoltatelo per alcuni minuti. Ora riflettete che questa aria che state inspirando è carica della forza e della presenza di Dio. Immaginate l'aria come un immenso oceano,che vi attornia. Un oceano colorato coscentemente della presenza di Dio e dell'essere di Dio. Mentre immettete l'aria nei vostri polmoni voi state inspirando Dio. Rendetevi consapevoli che state inspirando la forza e la presenza di Dio ogni qual volta che inspirate. Trattenetevi quanto potete in questa consapevolezza. Per gli ebrei il respiro di un uomo era la sua vita. Quando un uomo moriva, Dio gli riprendeva il suo respiro. Se un uomo viveva era perché Dio continuava a immettere il suo respiro, il suo "spirito" entro quest'uomo. Era la presenza di questo Spirito di Dio che manteneva vivo l'uomo. Mentre inspirate, siate consapevoli dello Spirito di Dio che entra in voi. Riempite i vostri polmoni dell'energia divina che porta con sé. Mentre espirate, immaginatevi che state espirando tutte le vostre impurità, paure, sentimenti negativi. Immaginatevi di vedere l'intero vostro corpo che diviene radioso e pieno di vita attraverso questo processo di inspirare lo Spirito vivificante di Dio e espirate tutte le vostre impurità. Trattenetevi in questa consapevolezza quanto più potete senza distrazioni. Esercizio 2 Diventate consapevoli del vostro respiro per breve tempo. Ora riflettete sulla presenza di Dio nell'atmosfera tutto attorno a voi. rifletete sulla sua presenza nell'aria che state respirando. Rendetevi consapevoli della sua presenza nell'aria mentre la inspirate e l'espirate. Notate quel provate diventando consci della sua presenza nell'aria che state inspirando espirando. Ora esprimetevi con Dio. Ma fatelo non verbalmente. Desidero che esprimiate i vari sentimenti verso Dio non con parole ma col respiro, così a tante volte vi esprimete con lo sguardo. Senza usare alcuna parola, nemmeno mentalmente, cditegli: "Mio Dio, i desidero ardentemente", soltanto col modo di respirare. Probabilmente vi verrà di esprimerlo inspirando profondamente, approfondendo l'inalazione. Ora esprimete un altro atteggiamento o sentimento, di fiducia o di abbandono. Senza alcuna parola, soltanto col modo di respirare ditegli "Mio Dio io abbandono me stesso interamente a te". Forse farete questo enfatizzando l'azione, espirando ogni volta come se stesse sospirando profondamente. 230
Ogni volta che espirate sentitevi come se vi abbandonaste interamente nelle mani di Dio. Ora prendete altri atteggiamenti davanti a Dio e esprimeteli col vostro respiro: Amore, Vicinanza e Intimità, Adorazione, Gratitudine, Luce. 2. LA VIA più ECCELLENTE DELL'AMORE Lo Spirito prega in noi quando ci sentiamo pervasi di carità adorante e operante. "è unicamente l'amore che prega", afferma Bossuet, cui fa eco Charles De Foucauld quando scrive: "Pregare significa pensare a Dio amandolo". E l'amore che prega è fonte dell'amore che opera. Tale amore è attinto dallo Spirito. Come nello Spirito santo la Trinità celebra la sua unità, così nell'amore suscitato in noi dal Paraclito, la carità adorante e quella operante si fondono in unità. Nell'amore, la preghiera si fa vita e la vita si fa preghiera. A questo proposito possiamo rileggere due pagine ispirate di Paolo VI: "I due momenti dello Spirito di Gesù nella vita umana: quello interiore, nel silenzio, nell'orazione, nella contemplazione, nell'intimo colloquio con Dio, nell'esercizio della sublime, delicatissima, deliziosa e paziente arte della preghiera, fino a fare di questa il proprio alimento, il proprio respiro, la propria personale pienezza, la propria comunione continua con Cristo. E quello esteriore: contemplata aliis tradere, quello che cerca di trasfondere in altre anime i tesori della verità e della virtù, e che fa dell'apostolato religioso, e perciò dell'imitazione di Cristo,l'esercizio della propria carità". "La chiesa non sarebbe più chiesa, se nell'attuazione della carità fraterna non vi anteponesse e non vi infondesse la carità divina; e questa esige il colloquio silenzioso dell'anima, che ascolta, che contempla dentro di sé; e dice a Cristo, che all'anima, nell'anima si è reso presente, le parole sue, infantili e superlative, balbettanti, piangenti, supplicanti, esultanti e cantanti, ma sue, segrete e forse solo a Dio comprensibili; solo con lo Spirito e forse dallo Spirito stesso in noi e per noi pronunciate ineffabilmente, gemitibus inenarrabilibus". Se nell'amore sta la più alta esperienza, adorante e operante, dello Spirito santo, comprendiamo perché l'autore de La nube della nonconoscenza ci inviti ripetutamente a "imparare a esercitare l'amore". L'amore è dono, ma anche compito e per di più fatica (1 Ts 1,3). 231
PER L'APPROFONDIMENTO
I frutti dello Spirito "Fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno", dice il Vangelo "riferendosi allo Spirito" (Gv 7,38-39) che per mezzo di Cristo Dio infonde negli uomini "senza misura" (Gv 3,34). Sgomberato il cuore da quanto lo soffoca e lo inquina, emerge la presenza dello Spirito che opera in ogni uomo. La Scrittura ravvisa la presenza operante dello Spirito in alcuni "frutti", che noi possiamo ordinare in riferimento a tre "centri" che definiscono l'uomo (si veda il Sal 24,4): il cuore o sede dei profondi orientamenti di vita, la bocca o organo della comunicazione e del dialogo, la mano o sede dell'azione e dell'iniziativa. CUORE BOCCA MANO carità gioia pace pazienza benevolenza bocca fedeltà mitezza dominio di sé giustizia verità (dito della destra di Dio) (cf. Gal 5,22; Rm 14,17; Ef 5,9) Dal cuore si sprigiona amore/carità, magnanimità/pazienza, fedeltà a se stessi, all'altro e a Dio, giustizia; attraverso la bocca si manifesta gioia, benevolenza, mitezza, verità; attraverso la mano si esprime il gesto della pace; bontà significa dare una mano agli altri; il dominio di sé caratterizza chi ha in mano la propria situazione, chi è padrone di se stesso. Come lo Spirito è "dito della destra di Dio", suo strumento operativo, così è dell'uomo "mosso dallo Spirito": egli compie "le opere di Dio". Vogliamo ora che questa Parola si riveli in noi "rigeneratrice" ( 1 Pt 1,23) e ci risani. 1. fissiamo anzítutto l'attenzione interiore sul cuore e cerchiamo di "sentire" in che misura è impregnato di amore. Lasciamo che si dilegui tutto ciò che non è amore e suscitiamo un intenso sentimento di carità che pervada tutto il nostro essere. Procediamo allo stesso modo per gli altri frutti relativi al cuore. 2. Approfondiamo la consapevolezza che questi frutti sono profondamente radicati in noi, sono il corredo della nostra persona, dal momento che Dio ci 232
ha plasmato infondendo in noi il suo "alito di vita" (Gn 2,7). L'uomo, nella sua più intima e più vera struttura, possiede i frutti dello Spirito. Essi, d'altra parte, gli vengono costantemente dOnati dall'Amore di Dio attraverso la grazia della ParOla e dei Sacramenti. 3. Prendendo atto dei nostri limiti e di quando in noi "spegne" e "soffoca" lo Spirito ( 1 Ts 5,19) o lo "concuista" (Ef 4,30), lasciamo che nasca dal cuore la preghiera con cui invochiamo purificazione e effusione dei doni celesti, cavvivandone (2 Tm 1,6) la presenza in noi. Si proceda in modo analogO per le altre due serie di frutti, spostando l'attenzione interiore sulla bocca e sulla mano, per considerare infine nOi stessi come "ditO della destra di Dio" capace di compiere le opere del Padre (Gv 6,28; 14,12). La purificazione del cuore vecchio e il passaggio al cuore nuovo, per quel che cOncerne la parte dell'uomo, si compiono attraverso un processo di presa di coscienza dei nOstri stati d'animo e di apertura alla grazia. Se gli stati d'animo sono negativi, ce ne liberiamo con un'opera progressiva di distacco interiore, di messa a nudo del nostro essere dinanzi a Dio. La via che imbocchiamo non consiste nel discutere con i nOstri limiti, nell'analizzarli puntigliosamente, nel ricercarne cause e soluzioni, ma nel suscitare il convincimento che gli stati d'animo negativi ci corrodono e rendono infelici noi e l'umanità intera e per questo contraddicono il disegno d'amore di Dio verso le sue creature. A questo punto emetteranno gli stati d'animo positivi. Essi ci risulteranno altamente desiderabili e noi li percepiremo sempre più intensamente e li fisseremo nel cuore lasciandocene permeare così da sentirci pervasi di amore, gioia, pace, ecc. in tutte le dimensioni del nostro essere: fisico, psiche e spirito. Si viene cOsì a sperimentare la verità della parola biblica: "Le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte" (Sap 1,14). Questa esperienza ci permette di guardare con occhio diverso, cOn l'occhi di Dio, i nostri fratelli e ogni realtà. E ci permette anche di capire che il peccato sta nel dimenticare e nel contraddire le più profonde esigenze dell'uomo. Per questo il buddhismo afferma che chi si perde, peccando, è l'uomo. L'uomo infatti non è punito per i propri peccati, ma dai propri peccati.
I.P. LOtZ, Introduzione alla meditazione cristiana, Roma 1983, pp. 33-36. 7 DE MELLO, cic., pp. 40-43. 233
ha plasmato infondendo in noi il suo "alito di vita" (Gn 2,7). L'uomo, nella sua più intima e più vera struttura, possiede i frutti dello Spirito. Essi, d'altra parte, gli vengono costantemente donati dall'AmOre di Dio attraverso la grazia della Parola e dei Sacramenti. 3. Prendendo atto dei nostri limiti e di quanto in noi "spegne" e "soffoca" lo Spirito (1 Ts 5,19) o lo "contrista" (Ef 4,30), lasciamo che nasca dal cuore la prima preghiera con cui invochiamo purificazione e effusiOne dei dOni celesti, ravvivandone (2 Tm I,6) la presenza in noi. Si prOceda in modo analogo per le altre due serie di frutti, spostando l'attenzione interiore sulla bocca e sulla mano, per considerare infine noi stessi come "dito della destra di Dio" capace di compiere le opere del Padre (Gv 6,28; 14,12). I La purificazione del cuore vecchio e il passaggio al cuore nuovo, per quel che concerne la parte dell'uomo, si compiono attraverso un processo di presa di coscienza dei nostri stati d'animo e di apertura alla grazia. Se gli stati d'animo sono negativi, ce ne liberiamo con un'opera progressiva di distacco interiore, di messa a nudo del nostro essere dinanzi a Dio. La via che imbocchiamo nOn consiste nel discutere con i nOstri limiti, nell'analizzarli puntigliosamente, nel ricercarne cause e soluzioni, ma nel suscitare il conpimento che gli stati d'animo negativi ci corrOdono e rendono infelici nOi e l'umanità intera e per questo cOntraddicono il disegno d'amore di Dio verso le sue creature. A questo punto emergeranno gli stati d'animo positivi. Essi ci risulteranno altamente desiderabili e noi li percepiremo sempre più intensamente e li fisseremo nel cuore lasciandocene permeare così da sentirci pervasi di amore, gioia, pace, ecc. in tutte le dimensioni del nostro essere: fisico, psiche e spirito. Si viene così a sperimentare la verità della parola biblica: "Le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte" (Sap 1,14). Questa esperienza ci permette di guardare con occhio diverso, con l'occhio di Dio, i nostri fratelli e ogni realtà. E ci permette anche di capire che il peccato sta nel dimenticare e nel contraddire le più profonde esigenze dell'uOmo. Per questo il buddhismo afferma che chi ci perde, peccando, è l'uomo. L'uomo infatti non è punito per i propri peccati, ma dai propri peccati.
I.P. LOrz, Introduzione sulla meditazione Cristiana, Roma 1983, pp. 33-3G. z DE MELLO, cic., pp. 40-43. 233
15. Contemplare la trinità Molti ignorano completamente una delle esperienze più dolci della vita interiore: la preghiera messa in relazione con il fatto dell'inabitazione di Dio nel cuore dell'uomo: sentire in sé la Trinità, contemplarla, perdersi in essa... Bisogna invitare a uno sforzo attivo di incimicà con le tre Persone, per giungere più facilmente all'età felice in cui il Signore si manifesta nel profondo del nostro sguardo rapito. (1. Mela) Questa è l'opera che continuamente fa la santissima Trinità nelle sue creature: il Padre aspira in esse, cioè desidera la loro salvezza; il Figlio respira riposandosi in esse e rendendole gradite a Dio; lo Spirito santo ispira, ossia le va illuminando perché possano camminare di virtù in virtù. (Maria Maddalena dé Pazzi) L'amicizia con Cristo nello Spirito santo, tale è la conoscenza di Dio. (Origene)
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TRINITA, AMICA DEL SILENZIO Dio è Padre, Figlio e Spirito santo. Ma nella luce abbagliante della sua vita trinitaria egli rimane per noi essenzialmente un mistero. Volerlo penetrare e comprendere con il debole lume della nostra ragione è e come voler contenere nel cavo di una mano le acque degli oceani o trattenere nel pugno l'aria che ci circonda. Chi, sospinto dall'amore, ha cercato di fissare il proprio sguardo nel roveto ardente della Trinità ha sempre finito per confessare in umiltà la propria pochezza, offrendo a Dio l'omaggio della fede orante e adorante. "La Trinità, afferma Adam de Perseigne, è amica del silenzio". E il silenzio è l'unica via di accesso al mistero. Alla presenza dell'ineffabile mistero di Dio, ogni tentativo di comprensione puramente razionale sa di follia, e tutte le nostre spiegazioni e definizioni non reggono alla luce del suo fulgore. Esiste tuttavia una strada per comunicare con Dio uno o trino: l'amore. "A chi mi ama mi manifesterò" (Gv 14,21), afferma Cristo. E ancora: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23). Cosa tale incontro comporti rimane tuttavia nascosto a chi non lo vive di persona, arrischiandosi sulla via dell'obbedienza al vangelo. L'amore conosce Dio. Ma ciò che l'more ha conosciuto nessuno è mai stato in grado di tradurlo nel linguaggio dei nostri idiomi, perché l'amore non è comunicazione di parole, ma esperienza di vita.
L'ICONA DI RUBL V É possibile penetrare il mistero di Dio attraverso l'immagine sacra, destinata a guarire e trasfigurare la nostra sensibilità. Lo sanno soprattutto i cristiani della grande tradizione orientale, i quali hanno espresso l'inesprimibile attraverso le icone che possono considerarsi "Scrittura proclamata con l'immagine" e che sono quindi chiamate a rivelare il divino non diversamente dalla Parola e dai Sacramenti. La più celebre delle icone è quella della Trinità, dipinta da Andrej Rublev agli inizi del secolo XV. É stato scritto che "non esiste altrove nulla di simile quanto a potenza e a bellezza artistica" (Evdoki237
Trinità di Rubl v$figura
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Anche la Russia attuale la considera il suo "pezzo d'arte" più celebre1.. Tre pellegrini che sono un solo Signore L'autore si ispira all'apparizione di tre angeli ospitati da Abramo presso la quercia di Mambre (Gn 18,1-15) e traduce visivamente il motto di san Sergio di Radonez, fondatore del mona,stero cui l'icona era destinata: "Contemplando la Trinità, vincere l'odio lacerante del mondo ". Leggiamo attentamente il dipinto, per poi immergerci in contemplazione. Dio uno e trino, La realtà di Dio, uno e trino, è espressa dai tre personaggi di origine celeste, come indicano i troni su cui seggono, poggianti sul verde della terra, la statura notevolmente allungata e quasi spiritualizzata delle figure, le ali che si sovrappongono con straordinaria tenerezza nei primi due Vangeli ,l'aureola e lo scettro che richiama il bastone dei tre ospiti inviati ad Abramo, bastone coloraco di rosso per indicare l'amore che li ha messi in cammino. Identici nella fisionomia, essi assumono attitudini e ruoli diversi, sottolineati dalla posizione che occupano (nell'ordine del Credo: Padre, Figlio e Spirito santo), dal movimento del corpo e dai colori degli abiti:l'azzurro indica la loro provenienza, il giallo-oro divinità e gloria, il bianco la luce increata che abbaglia, il rosso il fuoco e il sangue, simboli dell'umanità e del sacrificio, il verde la vita. I tre personaggi divini II Padre, a sinistra, in posizione di perfetto riposo e avvolto in un'ampia veste dorata, accoglie il Figlio a missione compiuta e, rivolto verso lo Spirito, dona suo tramite la benedizione agli uomini (mano benedicente sorretta dal ginocchio rialzato). Il Figlio, figura centrale della redenzione, è tornato in grembo alla divinità dopo la missione terrena. Appoggia, ancora benedicente la mano sulla mensa (Lc 24,51; le due dita stanno a indicare umanità e divinità), il braccio dall'ampio gesto sul tavolo, e chiede, rivolto al Padre, di inviare agli uomini l'Laltro consolatore", lo Spirito santo (Gv 14,16). Porta sulla spalla la stola sacerdotale e regale e è vestito di azzurro e di rosso, colore quest'ultimo che attraverso le pieghe dilatate della manica si riversa nel calice come un fiotto di sangue. Come il Figlio è colto al compimento della propria missione, così lo Spirito. Santo è raffigurato all'inizio del suo compito presso gli uomini. Lo indicano le spalle scoperte dei personaggi e il loro movimento:l'angelo di destra ha scoperto anche il piede, in atto di partenza. Lo Spirito è in atteggiamento di oblatività pura: è tutto consenso e tutto dono colui che deve "compiere ogni santif ficazione". Vestito di verde, è sorgente zampillante per la vita eterna (Gv 239
7,38), e quale "dico della destra del Padre" indica con la mano la terra, cui è rivolto lo sguardo, di struggente condiscendenza. Oltre alle mani, che convergono verso la terra (raffigurata dal lato anteriore della Tavola-altare), tutti e tre i personaggi divini hanno il collo dilatato, rigonfio di soffio vitale (Gn 2,7 e Gv 20,22) che stanno per riversare sugli uomini attraverso le labbra socchiuse. II movimenco dei volti e la fissità degli sguardi che si trasmettoni" ineffabili messaggi di amore, rappresentano a perfezione la vita trinitaria, in cui ogni differenza converge verso l'unità, e la diversità sprigiona armonia, comunione e pace. Chiesa e mondo alle sorgenti della vita Lo scettro dei tre personaggi divini addita rispettivamente: - La chiesa, raffigurata nella casa di Abramo dipinta sopra il capo del Padre; - llbero della vita, raffigurato nella quercia di Mambre, alla siniscra del Figlio; - il monte della rivelazione divina e della Trasfigurazione che lo Spirito è chiamaco a operare nel cuore dell'uomo e del mondo, attestato dalla roccia che simboleggia il Tabor. Il calice al centro II fulcro dell'icona, il motivo unificante di tutta la scena, il punto convergente dei tre personaggi celesti, la chiave interpretativa della vita divina così come si è manifestata agli uomini, sono espressi dalla grande coppa della salvezza, la cui figura è delineata dalle sagome del Padre e dello" Spirito, tra i quali è accolto Cristo, l'Agnello immolaco. Tale coppa (si noti come viene ripresa nelle due sottocoppe inferiori), assume le dimensioni del calice, in cui è raffigurata la testa dell'agnello "condotto al macello" (Is 53,7). Verso il calice sono rivolte le mani dei tre personaggi e su di esso sembra scendere verticalmente e alimentarsi l'albero della vita. La grande coppa della salvezza, con cui si celebra l'eterno banchetto del Regno, è resa accessibile all'uomo attraverso la piccola coppa imbandita sull'altare. La liturgia celeste si traduce in liturgia terrestre, e il sacramento contenuto nel piccolo calice rimanda alla realtà contenuta nel grande calice, Cristo in persona. prospettiva rovesciata I tre personaggi non ritraggono una scena chiusa, ma attraverso il procedimento della prospettiva rovesciata (riscontrabile nel fatto che la figura centrale, più lontana di quelle laterali, invece di essere più piccola le sovrasta), si aprono all'infinito e il lato anteriore della tavola che simboleggia il mondo (ritenuto da- 'gli antichi un quadrato lungo", i cui quattro lati rappresencano gli elementi! primordiali: acqua aria, terra e fuoco), attende ogni uomo per il banchetto celeste: "Verremo da lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23). 240
Tutto è luce Nel quadro, oltre all'uso di colori simbolici, non si danno ombre. Tutto é illuminaco e tutto emette luce. Figure geometriche L'icona è coscruita intorno a diverse figure geometriche, che la includono e l'attraversano e ne costituiscono come la struttura portante. Eccole nell'ordine dei numeri cui fanno riferimento: 1. Il numero indivi.ribile (cerchio). I tre personaggi divini sono inclusi in un cerchio, indice di unità e di eternicà, di intimità e di reciprocità. II movimento dello Spirico e del Figlio, che si riflette anche nell'inclinazione della roccia e dell'albero, gravita verso il Padre, che dischiude all'uomo i segreti della vita trinitaria. 2. Incrocio di linee. L'uno si raddoppia nella coscienza di sé e è sinonimo delle prerogative divine: intelletto e amore. II due è costicuito dalle linee che formano la Croce. La Croce, iscritta nel cerchio sacro della vica divina, è l'asse portance dell'amore trinitario. Con essa il dramma del mondo diventa la passione" di Dio. Anche per l'uomo il segno della Croce abbraccia la sua persona, lo immerge nella vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e lo associa alla passione di Cristo. Così, come per la Trinità,l'uomo trasforma la croce in strumento di benedizione. Ma si danno anche linee curve, indicanti movimento e azione, come quelle che disegnano il calice iscritto tra i due angoli laterali, e delimicano lo spazio sacro che unisce le tre persone divine e è aperto per accogliere Yuomo nella comunione con Dio (lato anteriore dell'altare scoperto). 3. Triangolo. Significa unità nella molteplicità e uguaglianza nella distinzione. É il simbolo per eccellenza della Trinità. Nell'icona si possono ricostruire due triangoli: il triangolo con il vertice in alco (capo di Cristo) indica ascesa-ascensione; quello con il vertice in basso (calice sull'alcare) indica discesa-incarnazione. 4. Q drato. Simbolo di perfezione in cui si iscrive la vita trinitaria e la sua azione per I'uomo. Indica amore che crea e redime, dona vita e bellezza. 5. Ottagono. É la figura più periferica che incornicia l'icona e è simbolo del mondo nonché segno dell'ottavo giorno, il giorno eterno della vita beata (si ricordino le otto beatitudini di Mt 5). 7ra ezicarirta e penteco.rte Penetrando la realtà di Dio uno e trino, attraverso l'immagine il credente ne rivive il mistero: mistero di amore che riconduce il molteplice all'uno e apre l'uno al dono beatificante di sé. 241
La vita, nella sua più remota scaturigine, ci appare come esperienza di comunione, e ogni opposto che travaglia l'esistenza umana si ricompone in unità. Cristo, rivelando Dio all'uomo, rivela l'uomo a se stesso e permette che l'uomo abbia accesso al banchetto in cui si celebrano le nozze eterne tra il Signore e le sue creature, allietate dal calice che colma di ebrezza spirituale. L'icona della Trinità è a un tempo icona eucaristica e pentecostale: Cristo attraverso l'eucaristia si fa "Spirito datore di vita" (1 Cor 15,45) e il calice cui attingiamo ci permette di "abbeverarci a un solo Spirito" (1 Cor 12,13), fino a esserne "ricolmi" (Ef 5,18) e gustarne la "sobria ebbrezza".
ABBA - OM: LA PREGHIERA TRINITARIA TRA EFFABILE E INEFFABILE ù San Paolo scrive che lo Spirito santo, cioè l'Amore del Padre, fa I scaturire la preghiera nel cuore dell'uomo redento da Cristo in due; modi: - gridando in noi: "Abbà, Padre!" (Gal 4,6), e quindi mettendoci in grado di fare nostra ("osiamo dire") la preghiera trasmessaci da Gesù, di cui le espressioni appena citate costituiscono l'inizio; -. Suscitando in noi "gemiti ineffabili" (Rm 8,26), dal momento che il linguaggio umano, anche se sublimato dall'orazione, non sa attingere in maniera esaustiva il mistero di Dio, che è allo stesso tempo manifesto e nascosto, vicino e inaccessibile o, per usare il linguaggio di Agostino: "Altissimus et proximus, secretissimus et praesentissimus". Questi due modi di rapportarci al divino sono radicati nella coscienza di ogni orante, al quale si presencano quindi due vie: quella della parola che afferra il mistero, e quella del silenzio che esprime dinanzi a esso stupore contemplativo. Quest'ultima è anzi la via primordiale e originaria che dischiude il cuore umano alla percezione di Dio. il silenzio è il grembo da cui germina la parola. Parola e ineffabilità La prima via si traduce in una preghiera di portata universale: "Abbà, Padre!". Essa può affiorare sulle labbra, imprimersi nella 242
mente e riecheggiare nel cuore di ogni uomo, quale che sia la sua appartenenza religiosa. Quando è fatta propria dal cristiano rivela il carattere trinitario che le è peculiare: è rivolta al Padre, condivide parole e sentimenti del Figlio, e è come una vibrazione dell'unico Spirito d'amore. E la seconda via? Esiste nella esperienza religiosa dell'umanità, una "formula" o meglio un "gemito" che obbedisca ai requisiti dell'"ineffabilità"? Risponderemo che ogni religione ha i suoi simboli fonetici che meglio evidenziano la trascendenza divina. Nella grande tradizione asiatica incontriamo la sillaba sacra AUM, che si pronuncia OM o 'anche, nel canto, AOM. Ogni uomo può esprimere con essa il proprio stupore contemplativo di fronte al divino. Nella tradizione indù la "sillaba sacra" OM è "il simbolo dei simboli": riassume "l'intero fenomeno della produzione dei suoni" e, quindi, è "suprema unione di lettere" (Bl"a avud Gztu, 8,13), parola per eccellenza e cifra di "tutto l'universo" (7'uittirzyu U .,1,8). In essa si rispecchiano a un tempo le tre dimensioni della persona umana (corpo, psiche e spirito traggono segreti e reali benefici quando la OM viene pronunciata e fatta riecheggiare interiormente durance la pratica meditativa), nonché le tre dimensioni dell'essere supremo (Trimurti o trinità indiana). "Questo simbolo, uscito dalle profonde percezioni spirituali dei saggi, significa ed esprime, con la maggiore approssimazione possibile, Dio" (Vivekananda) e nello stesso tempo manifesta perfettamente "l'annullamento della parola e del pensiero davanti al mistero ineffabile di Dio" (Le Saux). La preghiera con la OM suppone in ogni caso un buon grado di, immedesimazione con l'ambiente culturale e religioso dell'Oriente e una sincera maturità ecumenica. Tra gli stessi cultori della OM, diverse sono le interpretazioni circa la funzione e il senso di tale sillaba. Alcuni insistono sul suo carattere essenzialmente fonetico. La OM, specialmente se cantata, produce delle particolari vibrazioni interne, con effetto sui centri vital , dischiudendo la mente al senso dell'infinito e della comunione cos` ca. Essi vedono nella OM uno strúmento universalmente valido per la predisposizione all'incontro con il divino. Altri, pur condividendo tale affermazione, della OM, sottolineano però soprattutto l'aspetto sacro, che non può essere di 243
sgiunto dalla tradizione religiosa da cui promana e richiede una si ficiente identificazione con essa. Siddeshvarananda non esita ad accostare la OM al santissimo Sacramento dell'altare. Ripetere questo mantra "è comunicare con forza spirituale insita nella divinità. Così il mantra costituisce la manifestazione oggettiva del divino sotto la forma vibrante del suon esso racchiude la divinità, come quando nell'Ostia santa consideri mo il Signore racchiuso in presenza, potenza e essenza... Nel mantra il Signore è custodito come in un tabernacolo di adorazione perenne". "Credete che il nome di Dio sia insignificante?" - diceva Ram krishna. "Lui e il suo nome sono identici. Satyabhama, ammucchiar do oro e gioielli, non poté far salire di un dito il piatto della bilancia sul quale stava il Signore, ma Rukmini vi riuscì non appena vi ebbe posto semplicemente una foglia di tulsi sulla quale era inciso il nome di Krishna, il signore beneamato". E aggiungeva: "Chiunque pro nunci il nome di Dio, sotto qualsiasi forma, volontariamente o invo lontariamente, finisce per trovare l'immortalità". Esistono, nella tradizione cristiana, espressioni tali che si posù sono in qualche modo accostare alla preghiera con la OM. Forse si potrebbe ravvisare qualcosa di analogo nelle classiche acclamazioni soprattutto del Kyrie elei. on (invocazione ininterrocta del Nome di Gesù), ma forse anche dell'Amen, dell'osanna, dell'alleluia, oppure in certe modulazioni del canto gregoriano.
UNA OM PER I CRISTIANI il benedettino p. Le Saux2, che ha trapiantato il monachesimo cristiano in India e lo ha integrato nella cultura asiatica, offre una serie di riflessioni che riprendiamo in sintesi, con alcuni adattamenti. "Anche nella reinterpretazione cristiana, OM è sempre in primo luogo il simbolo dell'ineffabilità di Dio,l'ultimo gradino della nostra ascesa verso di lui, sul piano di ciò che è ancora esprimibile". La OM è "una sorta di esclamazione appena articolata che l'uomo pronuncia quando scopre di essere messo a confronto, in sé, con il mistero infinito di Dio. OM tocca il Dio non-manifestato, ciò che in lui è assolutamente non-manifestabile, ciò che è al di là di ogni espressione. OM è il segno ultimo dell'abisso di Dio e di sé". 244
Ma "una OM rinnovata e ancor più segreta e sacra, può scaturire dalla contemplazione della Trinità": - "una OM che, nei tre elementi che la costituiscono e nell'unico suono con cui si esprime, indica già in qualche modo l'estensione di Dio in tre persone e il loro raccogliersi nell'unità indissolubile della Trinità; - una OM che uscita dal silenzio del Padre, si perde nel sussurro dello Spirito, dopo essere stata pronunciata dal Verbo che I'ha accolta in sé; - una OM che canta nello stesso tempo il moto e il riposo di Dio all'interno del mistero trinitario, nonché la comunicazione vicendevole delle tre persone e il loro convergere nell'unico Dio; - una OM che si identifica con l'Abbà, Padre!, che il Figlio pronuncia eternamente (cf. Mc 14,36) e che lo Spirito fa riecheggiare senza posa nel cuore degli uomini come un segreto mormorio o un grido d'amore (Rm 8,15; Gal 4,G). I1 cristiano riscopre e ripete la OM come espressione stupefatta e adorante del Tu che si sente rivolgere dal Padre e che a sua volta rivolge al Padre. Acquista così un senso pieno e definitivo, risuonando nel più intimo del cuore, quando ci si dedica alla meditazione, al punto da diventare un tutt'uno con noi, come è caratteristica specifica di ogni mantra". Nella sua Breve introduzone alla meditazione cri.rtiana, K. Tilmann3 presenta la OM come "parola di meditazione" e ne consiglia I'accoglimento nella pratica cristiana. "Possiamo rivolgerci a Dio - scrive - con il termine familiare di Padre. Ma possiamo anche fissarlo come il mistero inafferrabile e incommensurabile. Dio allora viene sentito come I'ineffabile e l'uomo perde davanti a lui la parola. É bene incontrare ripetutamente Dio come il mistero inafferrabile. Ma eome esprimere questo fenomeno? Ci si presenta a questo proposito una parola di meditazione che è al di là di ogni logica e a prima vista non rappresenta per noi altro che un suono. Si chiama OM. Se cantiamo o recitiamo lentamente e con molte ripetizioni questa sillaba, il suo suono ci guida con maggiore pienezza, profondità e interiorità al raccoglimento profondo. OM è per noi prevalentemente uri espressione di stupore. Questa sillaba, lontana da ogni peniero logico, è l'ideale per il nostro scopo. 245
OM è la parola di meditazione pzì u.rata in tutto il mondo. Essa potrebbe diventare anche per noi il simbolo del mistero inesplorabile e inesauribile. Ma oltre che unirci, quando la usiamo, al mistero, essa ci collega agli innumerevoli fratelli e sorelle nominati nella quarta preghiera eucaristica, con coloro che non hanno udito il vangelo, eppure 'ti cercano con cuore sincero'. Sia per il suo suono che in quanto simbolo, OM può diventare per noi il battistrada verso la misteriosa incomprensibilità di Dio, e insieme iniziarci al giusto atteggiamento religioso di rispetto dinanzi a lui".
COME PREGARE LA OM La OM si recica o si canta sul ritmo del respiro, e precisamente durante I espiro. Ciò comporta, quindi, che si sia stabilito un corretto rapporto con il proprio ciclo respiratorio e che se ne percepisca l'utilità in ordine all'esercizio della preghiera. La voce si sofferma brevemente sulla O ( vale a dire sul dittongo AU), che però si pronuncia AO quando si vuole ampliarne e prolungarne il suono) e poi si fa risuonare a lungo la M, in modo che tutta la persona sia impregnata dalle intense e profonde vibrazioni che ne scaturiscono: è come un fremito che ci pervade. La OM può essere ripetuta prima a voce spiegata poi a labbra scxchiuse e infine solo mentalmente, per meglio radicarla nel profondo del nostro essere. Se è cantata in gruppo, si può procedere all'unisono, formando un'unica voce, o meglio ancora può essere scandita da ciascuno sul ritmo del proprio respiro, così da formare un coro a più voci nel quale si intrecciano o si accavallano come onde i suoni della O e le vibrazioni prolungate della M. Si abbia, infine, questa avvertenza: in un primo tempo si cerchi di percepire con intensità il suono della sillaba, familiarizzandosi con esso al punto di cogliere tutte le benefiche risonanze psico-fisico-spirituali di un suono che vibra in noi e in tutto ciò che ci circonda: "Qualunque mantra autentico scrive Ballester -, ripetuto intensamente, può far entrare in contatto vibratorio con la misteriosa sinfonia della creazione universale, . In un secondo tempo passiamo alla consapevolezza che, attraverso la OM, si fa presente il mistero di Dio: "La radice segreta del mantra è precisamente la sua capacità di sintonizzare con questa pienezza del Dio immenso e vibrante in tutto il creato". La pratica della OM è così disciplinata nel monastero benedettino di Le Saux che porta il nome di ashram di Saccidananda, dove rat significa er.rere, cit significa conorcenza e ananda beatitzidine, ossia "l'Essere perfetto in Consapevolezza assoluta di una Beatitudine senza fine, (Monchanin). 246
"ll mantra può essere ripetuto mentalmente o vocalmente e la sua cipetì;zione continua finché non sperimentiamo di essece uno con Dio. Si incomincia a cantare il mantra con un tono basso, poi si alza il cono e infine lo si abbassa per finire nel silenzio. Nello scadio seguente noi chiudiamo la bocca e la ripecizione del mancra continua mentalmente con il respiro. Allora entriamo in un silenzio sempre più profondo, dove non esiste suono di parola e neppure movimento della mente, e restiamo li, ripieni delle vibcazioni dello Spirito e unici al Padre in Cristo. Se uno sente il bisogno dopo cinque o sei minuti di ciprendere l'invocazione, lo può fare, vocalmente o mentalmente, per un poco di tempo, e poi cerca nuovamente di entrare in un silenzio più profondo".
Cf. il capolavoco di Daniel-Ange: Dalla Trinità all'Eucarirtia. L'icona della Trinità di Rubl v, Ancoca, Milano 1983%. z H. LE SAux, Sager.re hindoue, myriique cbréiienne, Paris 19G5, pp. 253-255; e Pregliera e prerenza, Assisi 1973, pp.134145. 3 K. TILMANN, Vivere nel rofondo, Brexia 1978, pp. 28-29. 247
1G. In silenzio davanti a Dio
Mettersi con semplicicà davanti a Dio, nel profondo silenzio intériore; lasciare da parte pensiero, immaginazione, fantasia; aprire il più profondo del noscro essere, sforzandoci solo di amare: questa è la preghiera del cuore. E ancora: Entrare in un perfetto silenzio interiore, in un silenzio che ama; permettere allo Spirico santo presente in noi di amare Dio in noi, con noi e attraverso di noi. Secondo il pensiero di De Foucauld, si cratta di uno scambio affetcuoso tra l'amore di Dio per noi e il nostro povero amore per lui: Lui guarda a me amandomi, e io guardo lui amandolo. (A. Gasparino) Ogni infelicicà degli silenzio in una camera. (Pascal)
uomini deriva da una sola cosa: non saper
Non esiste ego in un silenzio profondo (Rajneesh)
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LA VOCE DI DIO NEL SILENZIO "II silenzio è la grande rivelazione", ha detto Lao Tzu, il leggendario filosofo cinese. "Nel silenzio è la pienezza perfetta", nota A. von Speyr, che aggiunge: "Nel silenzio il credente viene accolto nell'essere del Padre. Nel silenzio del cristiano avviene l'intimo inconi tro fra creatore e creatura". La contemplazione altro non è che l'"invito di Dio a partecipare al suo silenzio". Tutto il segreto della meditazione sta nel raggiungere e abitare stabilmente quest'isola misteriosa del silenzio, nell'immobilità del corpo, nella pacificazione della psiche, nella perfetta tranquillità della mente e nell'assoluta ricettività dello spirito. Contempla, direbbero i mistici, nel totale silenzio di tutte le tue facoltà. Un silenzio senza increspature, privo di immagini e di ricordi, senza tensioni o movimenti, nell'assenza di pensieri, proiezioni, attese, desideri. ) Scrive Vivekananda, uno tra i più illuminati rappresentati dell'induismo moderno e grande spirito ecumenico: "Siediti ai bordi dell'aurora, / per te si leverà il sole. Siediti ai bordi della notte, / per te scintilleranno le stelle. Siediti ai bordi del torrente, / per te canterà l'usignolo. Siediti ai bordi del silenzio, / Dio ti parlerà". "Diventa una canna di bambù cava, vuota dentro. E non appena sei diventato una canna di bambù cava, le labbra divine ti si accoste) ranno: la canna di bambù diventa un flauto e la canzone ha iniziu" (Rajneesh). Nei gradi più avanzati della preghiera profonda - là dove la meditazione fluisce, secondo la terminologia tradizionale, nella contem plazione - non ti viene chiesto altro che di rimanere tranquillo, eliminando ogni forma di ansietà dovuta all'abitudine di pensare o volere qualcosa. Una semplice presenza in attitudine di amore: eccu il segreto ultimo della meditazione. Se sei preoccupato di possedere la meditazione, non sei fatto per! meditare. Offrile la tua disponibilità disarmata e gratuita, e essa verrà. La meditazione infatti altro non è che un tranquillo e perfetto riposo in stato di veglia. Non è facile raggiungere queste profondità del silenzio. Ma è pos;sibile, e uno deve sapere che questa è la via. 251
"Nel centro del mio cuore ho eretto un mistico trono per te. Le candele delle mie gioie ardono fiocamente nell'attesa della tua venuta. Esse si ravviveranno al tuo apparire. Ma che tu venga o no, io rimarrò ad aspettarti finché le mie lacrime non avranno dissolco ogni pesantezza e opacità. Profumate d'amore, nell'attesa le mie lacrime laveranno i tuoi piedi di silenzio. L'altare della mia anima rimarrà sgombro fino alla tua venuta. lo non parlerò; non ti chiederò nulla. In silenzio vivrò l'intima consapevolezza che tu conosci la pena del mio cuore mentre rimango in attesa di te. Tu sai che io prego; sai che amo te solo. Ma che tu venga o no, rimarrò ad aspettarti, fosse pure per l'ecernità" (Yogananda).
ASCOLTARE IL SILENZIO L'invito al silenzio, come condizione indispensabile alla pregl profonda e all'incontro immediato con Dio, risuona con partia intensità e insistenza nelle pagine dei Salmi e non è assente in testi biblici. Prima di coricarsi, il salmista invita a "riflettere nel proprio re, sul nostro giaciglio e a raggiungere la quiete del silenzio" 4,5). "Sta'in silenzio davanti al tuo Dio, aggiunge, e spera in lui" 37,7). L'orante, calatosi in simile atteggiamento, afferma: "Sto in s zio, non apro la mia bocca, perché sei tu che agisci" (Sal 39 convinto che "è bene aspettare nel silenzio la salvezza del Sign (Lam 3,26). Silenzio signifiea uno stato di quiete tocale, di ricettività pura, fa spazio a Dio e alla sua azione in noi. I mistici leggono in questo senso il celebre versetto del Sal 4l "Fermatevi e sappiate che io sono Dio", dove "fermarsi" signi assumere uno stato di resa, di disarmo interiore, di abbandono. Altri salmi fanno eco a questa disposizione: "Solo in Dio è la quiete dell'anima mia, in lui è la mia salvez (Sal 62.2.6) che A. Neher, fra i più accreditati portavoce dell'eb 252
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smo moderno, traduce: "Ah, verso Dio vibra di silenzio l'anima mia"; "Ho placato e acquietato la mia anima, come un bimbo svezzato si abbandona fra le braccia di sua madre" (Sal 131, 2). Secondo il testo masoretico, il Sal 65,2 suona: "A te solo conviene il silenzio a guisa di lode; Silentium tibi laus". Isaia afferma: "Nella conversione e nella quiete sta la vostra salvezza, nell'abbandono confidente sta la vostra forza" (Is 30,15), come a dire che l'uomo si rigenera e si redime nella misura in cui, placando il tumulto della sua agitata esistenza, lascia che Dio operi in lui. Che è quanto si legge nella storia di un altro personaggio biblico, Elia. Gli fu detto: "Esci e fermati sul monte, alla presenza del Signore". il profeta s'aspettava che il Signore si manifestasse in un modo altisonante e spettacolare: "Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco". "Dopo il fuoco, aggiunge la Bibbia, ci fu il tenue mormorio del silenzio. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò... Poiché qui c'era il Signore... Ed ecco, sentì una voce che gli parlava..." (I Re 19,11-13, tenendo conto del testo ebraico e greco).
PREGARE ININTERROTTAMENTE, NEL SILENZIO DI TUTTE LE FACOLTA Pregare ininterrottamente, pregare rinunciando a qualsivoglia formula o parola, pregare nel silenzio di tutti i pensieri, pregare nella quiete di ogni moto dell'animo, lasciando che l'amore si esprima nel puro atto della presenza a Dio e nell'incondizionato abbandono all'azione dello Spirito, pregare ininterrottamente perche la memoria di Dio si è ormai stabilmente fissata nel cuore: ecco il grande traguardo della preghiera contemplativa. Svariati sono i nomi che si danno a questo stato di orazione e alle forme di preghiera che conducono a esso. Si parla di preghiera del cuore, di semplicità o di semplice sguardo, di attenzione amorosa o di aspirazione, di silenzio o di quiete. Chi si ispira alla scuola di Giovanni della Croce parla di preghiera di 253
fede o di ricerca orante del nulla. L'Oriente cristiano l; preghiera esicasta, dal termine esichia che, come è noto, ii so dell'anima in Dio. In Occidente si diffonde la "preghi ca", che si ispira alla Nube della non-cono.rcenza. E a queste due ultime "scuole" che intendiamo rifarci n re un concreto cammino contemplativo. La prima ci è offerta dai Rucco zti di un elle ,rino ru.r.rc l'appassionata ricerca della preghiera ininterrotta che, me dici nel cuore, ti accompagnerà ovunque, "in ogni occu ogni luogo, in ogni tempo, anche nel sonno". La seconda ci viene dall'autore anonimo della Nube de no.rcenzu. Anch'egli scrive che la preghiera contemplac compagna a letto, si alza con te al mattino e ti segue p giornata". Prima di addentrarci nell'argomento, ricordiamo che già della consapevolezza è un avvio importante al silenzio inu la preghiera ininterrocta. Ma anche tutte le riflessioni e; suggeriti nelle pagine precedenti, preparano a vivere ques to di silenzio e di stabile familiarità con Dio. A questo punto è però soprattutto importante accoglie di s. Teresa d'Avila, che ci esc"rta a rimanere radicati nell'l'umiltà e dell'attesa paziente: "Forse non sappiamo ancora in che eonsiste l'amore... I Dio non sta nei gusti spirituali, ma nell'essere fermameno contentarlo in ogni cosa, nel fare ogni sforzo per non offel Alle persone che incominciano a gustare i primi frutti, tro interiore con Dio, suggerisce: "Ora si richiede umiltà e ancora umiltà... E il pcimo vedere se ne siete in possesso è credere fermamente che grazie e gusti divini siete indegne". E subito, al fine di eliminare ogni possibile fonte di o aggiunge: "Sopraffatti dalla dolcezza che deriva da tale dono, alcuf di potervisi trattenere quanto vogliono, e perciò non i neppure respirare. Ma è una sciocchezza... Si tratta di un prannaturale che noi non possiamo raggiungere, perché alle nostre forze". E in realtà, se pensiamo che la preghiera esprime il rap intercorre tra Dio e l'uomo, non possiamo non ricc"noscere 254
di Dio un assoluto primato e un sconfinata preponderanza. "lndubbiamente scrive il La Combe - è necessario che queste due realtà che chiamiamo uomo e Dio, vengano in comunione da così disparate che sono, e che ci sia una certa e proporzionata assimilazione fra loro. Come può infatti avvenire che si congiungano il mobile con l'immobile,l'inquieto con il quieto, il molteplice con l'unico, il complesso con il semplice,l'impuro con il purissimo e infine l'opposto con il suo opposto? Questo è il motivo per cui l'anima nostra può essere ammessa all'unione con Dio, solo se a poco a poco riconduce e unifica tutti i suoi fini in un unico fine, tutti i suoi pensieri in un unico pensiero e tutti i suoi intuiti in un unico intuito e infine ogni molteplicità, turbamento e preoccupazione quantonque buona verso moltissime cose, all'unico necessario". La preghiera che ci pone in silenzio amoroso davanti a Dio e in atteggiamento di tocale ricetcività e disarmo interiore, meglio di ogni altra favorisce l'unione fra il creatore e la sua creatura, il loro "abbraccio", direbbero i mistici. Tale unione, che la tradizione biblico-cristiana ci presenta appunto in termini sponsali, si celebra nell'estasi dell'amore. E ciò è possibile a due condizioni: la presenza e la comunicazione da parte dell'Amato, e un'apertura senza riserve da parte dell'amante. Nessuno vedrà mai accendersi dentro di sé la fiamma dell'amore, se non incontra una persona che glielo ponga o glielo ravvivi nel cuore, e se il suo cuore non si rende del tutto sgombro per accoglieclo. Chiamiamo contemplazione il perdersi in un dono d'amore assoluto e incondizionato e il ritrovarsi in pienezza nella persona amata. "lo non sono fuori di Dio; Dio non è fuori di me", afferma A. Silesio, grande mistico tedesco. E ciò spiega perché la contemplazione sia descritta in termini che ora ci parlano un linguaggio (apparentemente) negativo, come silenzio, nulla, vuoto, morte; ora un linguaggio altamente positivo, come bacio, amplesso, nozze spirituali.
UN MODO UNIVERSALE DI PREGARE Una delle più note forme di preghiera profonda è la preghiera del Nome che consiste nell'ininterrotta invocazione di Dio attraverso uno dei suoi nomi o per mezzo di una formula che ne sviluppi o 255
applichi il senso più nascosto. Questo spiega perché il genio religioso dell'umanità abbia così familiare un modo semplicissimo di orazione, che fa passare incessantemente il nome divino dalle labbra, alla mente e al cuore, ove risiede in permanenza e riecheggia con accenti sempre nuovi. 'La ripetizione del nome, fino a diventare contemplazione, abbandono, assorbimento, identificazione con Dio, nasce dall'intimo convincimento che "ciò che uno pronuncia tale diventa" e che dai nomi divini si sprigionano fasci di energie rigeneratrici e beatificanti. Un sia pur breve viaggio esplorativo attraverso le grandi religioni, ci assicura che ciascuna conosce questo modo di pregare. Dal nama japa dell'induismo, che si esprime soprattutto nell'invocazione di Rama (Dio) "forza del debole", come canta Suradas, al nembutru dell'amidismo giapponese ("Onore al Buddha Amida"), al dikr dei musulmani che invocano Allah con i suoi 99 nomi, partendo dalla formula più nota: "Allah è grande!". Vi è, palese o inconscia, la fede nella presenza oggettiva di Dio nel nome che in qualche modo ne definisce il volto impenetrabile eppure così manifesto. "Il nome di Dio, scrive Evdokimov, è epifa 'nico, comporta la presenza reale immediata". Per i cristiani, il nome con cui Dio si è reso familiare agli uomini è quello di Gesù, che significa salvatore. Per questo il Nuovo Testamento ne mette in risalto l'importanza e l'efficacia. Si possono vedere in particolare i testi di Lc 18,13 (la preghiera del pubblicano); Lc 1,31 e Mt 1,21 (il nome di Gesù); At 2,21 e Rm 10,13 (solo nel nome di Gesù cè salvezza per gli uomini); Fil 2,9 (è il nome più potente di tutti); Ap 22,20 (è incessantemente invocato dai credenti); At 9,14.21; 22,16;1 Cor 1,2; 2 Tm 2,22 (discepoli di Cristo sono definiti coloro che invocano il suo nome); Ap 22,4 (questo nome sarà scolpito sulla loro fronte). La forza trasformatrice della preghiera non è tanto legata alla ripetizione del nome, ma al Nome ripetuto, ossia all'irruzione della Realtà divina nel cuore dell'uomo. Sono quindi determinanti le disposizioni interiori di fede e di abbandono in chi la pratica, disposizioni che l'incessante invocazione di Dio suscita e rafforza in quanti si accostano a lui nella semplicità disarmante della loro povertà interiore. Sempre in ambito cristiano, la preghiera del Nome nasce soprattutto come obbedienza all'esortazione evangelica (Lc 18,1) ripresa da s. Paolo: "Pregate continuamente" (1 Ts 5,17). 256
Come è possibile questo? La risposta è stata formulata nei termini seguenti: introduci la preghiera nel cuore. Quando vi si sarà radicata, continuerà a risuonare in te, quali che siano gli impegni esteriori che ti occupano nel quotidiano assillo della vita.
LA PREGHIERA DEL PELLEGRINO RUSSO La tradizione delle chiese d'Oriente rimanda, si può dire in modo esclusivo, alla formula: "Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore", con qualche piccola variante, che però è di poco conto. Tale formula non è che la traduzione del greco Kyrie eleison o del suo equivalente slavo Gospodi pomi. Nella loro versione originaria, simili espressioni godono di una intrinseca melodia, che si perde nelle traduzioni. Questo spiega perché il Kyrie elei.ron e altre invocazioni come l'amen della tradizione giudaico-cristiana o la OM di quella asiatica, rivivano inalterate attraverso i secoli e le culture. Tenendo però conto che le formule sono soltanto un supporto al silenzio di tutte le facoltà e alla memoria di Dio nel cuore dell'uomo, anche se una volta tradotte perdono il loro timbro originario, possono risultare ugualmente efficaci. I cristiani della prima generazione erano soliti ripetere: "Maranà tha; Vieni, Signore Gesù" (Ap 22,17), mentre i Padri del deserto e gli antichi monaci pronunciavano ininterrottamente l'invocazione salmica: "O Dio vieni a salvarmi; Signore vieni presto in mio aiuto". Pafnunzio, anacoreta del IV sec., consiglia a Taisia: "Siediti esclusivamente verso Oriente e ripeti con frequenza questa sola espressione: Tu che mi hai creato, abbi pietà di me". Ma le formule sono pressocché infinite e vanno dall'Amen e dall'Alleluia alle invocazioni dei Salmi e dei santi che sono in merito dei maestri, da Tommaso ("Signore mio e mio Dio") a Francesco d'Assisi ("Mio Dio e mio tutto"), a... Paolo VI ("Sono tuo, salvami"). Una certa variazione nell'uso delle formule chiamate a supporto della preghiera contemplativa può rivelarsi vantaggiosa, in quanto permette di esprimere stati d'animo diversi e di adeguare la preghie 257
ra alla propria situazione e al proprio stato d'animo. Ma è anche importante sapersi limitare a poche espressioni, così da rendercele familiari evitando la dispersione e favorendo la profondita. Viene anche suggerita una certa tecnica per la recita consapevole e corretta di simili formule, facente leva per lo più sul ritmo della respirazione. Ma non è il caso di dilungarci su questo aspetto, dal momento che se ne parla dettagliatamente nei Racconti di un pellegrino russo, da cui ora riprendiamo alcuni passi2. "Così conversando eravamo giunti senza accorgercene quasi fino all'eremo. Per non separarmi da questo saggio starets e per poter appagare al più presto il mio desiderio, mi affrettai a dire: "Fatemi la grazia, reverendo padre, di spiegarmi che cos,è la ininterrotta orazione interiore e come la si apprende. Vedo che voi lo sapete per esperienza, in ogni particolare". Lo starets accolse con bontà la mia supplica e mi invitò nella sua cella: "Entra: ti darò un volume dei santi Padri che ti farà capire con chiarezza e precisione il significato dell,orazione e te la insegnerà con l'aiuto di Dió '. Entrammo nella sua cella e lo rtaretr prese a dirmi: L'ininterrotta preghiera di Gesù è l'invocazione continua del divino Nome di Gesù Cristo con le labbra, con la mente e con il cuore, nella visione mentale della sua presenza costante e nell'invocazione della sua pietà, durante ogni occupazione, in ogni luogo in ogni tempo anche nel sonno. La preghiera si compone di queste parole: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me! E chi si abituerà a questa invocazione proverà una tale consolazione e un tal bisogno di pronunciare di continuo la preghiera che non potrà più vivere senza di essa, e essa spontaneamente fluirà dentro di lui. Ora hai capito che cos'è l'orazione ininterrotta?", " "Ho capito, padre mio! Per amor di Dio ora insegnatemi come arrivarci., gridai pieno di gioia. "Lo leggeremo in questo libro. Esso è chiamato Filocalìa. Contiene la scienza completa e minuziosa dell'ininterrotta orazione interiore, esposta da venticinqiue santi Padri; e è così alto e utile da costituire la prima e fondamentale guida nella vita spirituale contemplativa. Come si esprime il venerabile Niceforo, esso conduce alla salvezza senza dolore e senza sudorï '. "É forse più santo e sublime della sacra Bibbia?", domandai. I "No, non è più grande né più santo della Bibbia, ma contiene spiegazioni illuminanti su tutto quel che la Bibbia ha di misterioso e di così eccelso che la nostra mente limitata non riesce ad afferrarlo. Ecco un esempio: il sole è il più maestoso, splendente e superbo degli astri celesti, ma non puoi fissarlo e osservarlo senza proteggerti gli occhi. É necessario uno schermo artificiale, milioni di volte inferiore e più opaco del sole, se vuoi contemplare questo re dei luminari e sopportare i suoi raggi infiammati. La sacra Scrittura è il sole abbagliante, la Filocalia lo schermo necessario a guardarla. Ora ascolta, ti leggerò come esercitarsi alla ininterrotta orazione interiore". 258
Lo starets aprì la Filocalia, vi cercò il trattato di s. Simeone il Nuovo Teologo e cominciò: "Siedi nel silenzio e nella solitudine. Inclina il capo, chiudi gli occhi; respira dolcemente, e guarda con l'immaginazione dentro il tuo cuore. Dirigi la tua mente, cioè il tuo pensiero, dalla testa verso il cuore. Scandisci, respirando: Signore Gesù Cristo, abbi pietà d me, a fior di labbra o anche soltanto con la mente. Sforzati di escludere ogni pensiero estraneo; abbi una serena pazienza e ripeti il più spesso possibile questo esercizio ". Con maggiore attenzione in ordine al suo concreto esercizio, la preghiera del nome di Gesù è così sintetizzata nei Racconti del celebre pellegrino: "Siedi in un luogo isolato e, raccogliendo la mente, introducila per via del respiro nel cuore; e fissacala in questo stato di concentrazione, fa'entrare e uscire dal cuore la preghiera di Gesù con il ritmo del tuo respiro. Ossia, aspirando l'aria, dì o pensa: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio ed espirandola: abbi pietà di me! Non respirare tumultuosamente, perché questo disperde l'attenzione; e se affiorano pensieri estranei, non badar loro, fossero anche semplici e buoni e non soltanto vani e impuri. Racchiudendo la mente nel cuore e invocando il Signore Gesù spesso e con pazienza, in poco tempo disperderai questi pensieri e li annienterai. Fà così finché questa invocazione metterà radici nel tuo cuore e diverrà continua".
RICERCA ORANTE DEL NULLA Nel totale silenzio della mente e di tutte le tue facoltà, ripòsati, senza pensieri, alla presenza di Dio, in un puro slancio d'amore e in un totale abbandono. Così possiamo descrivere quella che è stata definita "ricerca orante del nulla", ovviamente di quel "nobile e amoroso nulla" di sé, che è la via per approdare all'"alto e santo tutto" di Dio. Grande e forse insuperato maestro di tale orazione è l'autore della Nube della non-conoscenza, che non si limita ad additarcela come modo supremo di rapportarsi a Dio, ma ce ne offre anche il metodo, che intendiamo proporre in queste pagine, facendo diretto riferimento ai suoi scritti. In sostanza esso si snoda attraverso alcuni momenti, quali: 1. Porsi in uno stato di tranquillità e di riposo e, eliminando dalla mente qualsivoglia processo discorsivo e immaginativo, suscitare nel cuore un "nudo intento" d'amore verso Dio, consapevoli che l'intelletto non potrà mai percepirlo, a differenza dell'impulso d'amore, detto per quesco "nudo", o "cieco". 259
2. La percezione di Dio, che passa attraverso la percezione che uno ha di sé, dev'essere immediata e intuitiva. Tutt'al più, sia l'una che l'altra, possono venire racchiuse in un nome, che per la sua semplicità non scatena nessun processo mentale. L'Anonimo propone due binomi: Dio - Amore o Dio - Peccato, dove peccato sta per l'io peccatore preso in blocco. 3. Quando l'orante si rende trasparente al divino, "attraverso il nobile annientamento di sé in vera umiltà e l'esaltazione di Dio come il tutto in carità perfetta", allora l'anima sperimenta la propria identificazione con il divino: "Tu non sei altro da me", e "ottiene di possedere Dio". 4. Ma ciò avviene a un prezzo: che siano ricacciati sotto una nube di oblio, di totale dimenticanza, pensieri, immaginazioni e sentimenti di qualsiasi natura e che si perseveri nell'intento di penetrare oltre la nube della non-conoscenza che si frappone tra la mente umana e Dio. Ciò sarà possibile solo perseverando nel "nudo anelito" di puntare esclusivamente su Dio. "In questa conoscenza d'amore - scrive l'anonimo - consiste la beatitudine eterna", di cui la contemplazione ci fa pregustare "rari, brevissimi momenti". Ma lasciamo la parola al nostro autore. Un nudo anelito Quando vuoi raccoglierti nel profondo del tuo essere, non preuccuparti di quel che farai dopo. Lascia da parte tutti i pensieri, buoni o cattivi che siano, e cerca di non pregare con la bocca, a meno che ti senta portato a farlo. In tal caso, non darti pensiero per la quantità delle parole da usare e non dare importanza al nome o al significato da attribuire alla tua preghiera: si tratti di orazione, salmo, inno o antifona, o di qualsiasi altra preghiera... Fa'in modo che non rimanga niente nella tua mente se non questa sola occupazione: un nudo anelito di raggiungere Dio. Nudo, perché non deve essere rivestito da alcun pensiero particolare su come Dio è in se stesso o nelle sue opere: importa solo il fatto che egli è quel che è. Cerca di considerare Dio in questa maniera, te ne prego, e non voler fare altrimenti. Non continuare a indagare sul suo conto con sottili ricerche dell'intelletto. Questa fede sia il fondamento del tuo lavoro. Questo nudo anelito, che poggia saldamente su una fede sincera, lo devi concepire e sentire dentro di te come un semplice riconoscimento e una cieca accettazione del tuo stesso essere. É come se dicessi a Dio nel tuo intimo: 260
Quel che sono, o Signore, io te lo offro. Non intendo considerare nessuna qualità del tuo essere, ma solo il fatto che tu sei quel che sei, e niente più". Quest'umile oscurità deve riflettersi anche sul cuo essere e occupare in pieno la tua mente. Non metterti a pensare a te stesso più di quanto tu non debba fare con Dio, così da diventare una sola cosa con lui in spirito, senza dispersione né distinzione. Infatti, è lui il tuo essere, e in lui sei quello che sei: non solo perché egli è la causa e l'essere di tutte le cose, ma anche perché costituisce la causa e l'essere del tuo stesso essere. Perciò in questo lavoro pensa a Dio esattamente come pensi a te stesso, e a te stesso come pensi a Dio: egli è quel che è, e tu sei quel che sei. In questo modo il tuo pensiero non resterà disperso e diviso, ma unificato in lui che è il tutto. É necessario però salvaguardare sempre questa differenza tra te e lui: egli è il tuo essere, ma tu non sei il suo... Egli è l'essere di se stesso e di tutte le cose... Quindi alza gli occhi senza paura e dì al Signore, a parole o nel profondo del tuo cuore: Quel che sono, o Signore, io Te lo offro, perché tu non sei altro da me . E pensa in maniera nuda, semplice e piana che tu sei quel che sei, senza aggiungere altre analisi o considerazioni. Non bisogna esser nati maestri per pregare a questo modo: a me sembra alla portata anche del più ignorante tra gli uomini, perché presuppone un grado minimo di intelligenza comune a tutti... Quindi ti prego di non far altro in questo frangente, se non pensare al semplice fatto che tu sei così come sei: non importa quanto tu sia immondo o miserabile... E prendi il buon Dio così com'è nella sua grande misericordia, e ponilo, proprio come se fosse un balsamo, su quell'essere malato che è il tuo io. O per dirla in altri termini, leva in alto il tuo io, malato com'è, e con il desiderio cerca di toccare Dio così com'è, buono e dispensatore di grazie. Chi arriva a toccarlo, ne riceve salute eterna... Eleva il tuo essere, malato com'è, verso il buon Dio così com'é in se stesso, senza fare particolari considerazioni o disquisizioni su nessuna delle qualità proprie del tuo essere o di quello di Dio: che si tratti di purezza o miseria, grazia o natura, divinità o umanità, poco importa. Per il momento basta che tu offra con gioia e in trepidazione d'amore, questo sguardo cieco sul tuo essere, nudo com'è, perché sia strettamente unito in grazia e spirito all'essere prezioso di Dio, così com'è in se stesso, né più né meno. É vero, le tue facoltà - immaginazione, memoria, ragione, sensibilità, volontà - sempre inquiete e errabonde non troveranno alimento in questa maniera d'agire; perciò si lamenteranno con te e insisteranno perché tu tralasci questo lavoro e ti metta invece a fare qualcosa che possa soddisfare la loro curiosità. A sentir loro, tu non stai facendo niente di valido: d'altra parte non riescono a capir nulla del tuo lavoro. Eppure io lo amo ancor di più, perché questo è un segno che esso è manifestamente superiore alla loro attività. Infatti, perché non dovrei preferirlo, quando non c'è nessun altro lavoro che possa fare io o 261
che possano compiere i miei sensi esterni o interni sotto lo stimolo della curiosità, che sia in grado di condurmi così vicino a Dio e così lontano dal mondo, come invece è capace di fare questa nuda coscienza di me stesso e la semplice offerta del mio cieco essere? Perciò, anche se le tue facoltà non trovano alcun alimento nel tuo modo di agiré, e quindi cercano di distoglierti da quel che vai facendo, bada di non abbandonare il tuo lavoro per causa loro, al contrario, tienile sottomesse. E non tornare ad alimentarle, anche se dovessero diventare furiose. Quando permetti alle tue facoltà di divagare in sottili disquisizioni o approfondite ricerche sulle qualità del tuo essere, è come se tu tornassi indietro a nutrirle. Tali riflessioni, anche se sono del tutto buone e proficue, tuttavia, in confronto all'offerta della cieca coscienza del tuo essere, non servono ad altro che a dissiparti e a distrarti dall'unità perfetta che dovrebbe regnare tra Dio e la tua anima. Pertanto resta aggrappato al punto più eccelso del tuo spirito, cioè alla coscienza del tuo stesso essere; e non tornare indietro per niente al mondo, per quanto possa sembrare buono e santo l'oggetto a cui vorrebbero trascinarti le tue facoltà. Nobile e amoroso nulla É solo attraverso il nobile anniencamento di sé in vera umiltà e l'esaltazione di Dio come il tutto in carità perfetta, che l'anima ottiene di possedere Dio: completamente immersa nell'amore per lui, in uno stato di pieno e definitivo abbandono di sé,l'anima si considera un niente, o ancor meno, se mai fosse possibile. Allora Dio nella sua potenza, saggezza e bontà verrà a soccorrerla, la proteggerà e la difenderà da tutti i suoi nemici, del corpo e dello spirito, senza che essa si debba premunire o preoccuparsi di avvisarlo o fare qualsiasi altro sforzo da parte sua. É giusto paragonare questo lavoro a un sonno. Quando si dorme, i sensi sospendono la loro attività, così che il corpo possa riposare in pace e ricuperare appieno le sue forze naturali. Allo stesso modo, nel sonno spirituale di cui stiamo parlando, le continue, assurde ricerche alimentate dalle nostre facoltà intellettuali sregolate, e le fantasticherie della nostra immaginazione, vengono imbrigliate e completamente annientate. Così l'anima beata può dormire un sonno tranquillo e riposare nell'amorosa contemplazione di Dio così com'è, ridando forza e vigore alla sua natura spirituale. Eleva il tuo cuore a Dio in uno slancio di umiltà e d'amore: pensa a lui solo, e non ai suoi benefici. Perciò considera ripugnante qualsiasi altro pensiero che non riguardi Dio stesso, così che niente operi nella tua mente o nella tua volontà se non lui solo. Fa'del tuo meglio per dimenticare tutte le creature che Dio abbia mai fatto, e anche le loro opere, così che il tuo pensiero e il tuo desiderio non si orientino e non tendano verso queste cose, né in generale, né in particolare. Ma lasciale stare e non prestarvi più attenzione. 262
Non lasciarti andare dunque, ma continua a lavorare finché non senti questo desiderio intenso. La prima volta che lo fai non itrovi altro che oscurità, come se ci fosse una nube, la nube della non-conoscenza. Tu non ne sai niente, ma semplicemente senti dentro di te un puro anelito verso Dio. Qualunque cosa tu faccia, questa oscurit e questa nube restano sempre tra te e Dio, e non ti permettono né di vederlo chiaramente alla luce della comprensione razionale, né di sentirlo nel tuo cuore con la dolcezza del suo amore. Apprestati, dunque, a restare in questa oscurità più a lungo che puoi, e non smettere di sospirare per colui che ami. Conoscenza d'amore Tutti gli esseri razionali, uomini e angeli, possiedono dentro di sé ciascuno per proprio conto, due facoltà operative principali: la capacità di conoscere e quella di amare. Dio, che le ha fatte entrambe, resta pur sempre incomprensibile alla prima facoltà,l'intelletto, mentre per la seconda,l'amore, è conoscibile appiéno, anche se in maniera diversa a seconda dei singoli individui. Capita così che una semplice anima ricca d'amore riesca da sola, in virtù di questo stesso amore, a comprendere dentro di sé colui che basta ad appagare in maniera incomprensibile e sovrabbondante tutte le anime e gli angeli che ci possono essere. Questo è il meraviglioso miracolo dell'amore, miracolo che non avrà mai fine, poiché per sempre Dio lo farà e non smetterà mai di farlo... In questa conoscenza d'amore consiste la beatitudine eterna; senza tale conoscenza non c è che la pena eterna. Perciò, quando senti che Dio ti chiama a questo lavoro e che tu sei pronto a rispondervi, eleva il tuo cuore verso di lui con umile slancio d'amore. E per Dio, intendi semplicemente colui che ti ha creato e redento, e che ti chiama per sua grazia a questo incontro con lui. Non ammettere alcun altro pensiero su Dio:... una pura intenzione diretta a Dio, e a lui solo, è più che sufficiente. Se vuoi ripiegare e avvolgere questa intenzione in una sola parola così da tenerla più saldamente, prendi una parola corta: più è corta, più si intona all'opera dello spirito. Una tale parola può essere Dio , o ancora Amore, . Scegli una di queste parole o un'altra di tuo gradimento, purché sia breve: E questa parola legala al tuo cuore, così che non se ne stacchi più, qualunque cosa accada. Questa parola sarà il tuo scudo e la tua lancia, sia in pace che in guerra. Con questa parola picchierai sulla nube e sull'oscurità che ti sovrasta. Con questa parola sopprimerai ogni pensiero sotto la nube d'oblio. A tale punto che se qualche pensiero ti metterà sotto pressione chiedendoti cosa mai stai cercando, non gli risponderai se non con questa semplice parola. E se si farà avanti con la sua scienza per spiegarti il significato di quella stessa parola e esporne le varie proprietà, gli dirai che vuoi conservarla intatta nella sua interezza, e non intendi ridurla in briciole. 263
Se ti terrai ben saldo in questo proposito, ti assicuro che quel pensiero se ne andrà immediatamente. E perché? Perché tu non gli avrai dato modo di nutrirsi... 'Se dunque per caso sorge dentro di te qualche pensiero e viene a intromettersi tra te e questa oscurità, ponendoti continuamente queste domande: "Cosa cerchi? E che cosa vorresti avere?", allora devi rispondere che è Dio che vorresti possedere: "É lui che desidero, lui che cerco, lui e nient'altro che lui". E se quel pensiero dovesse chiederti: "Che cosa è questo Dio?", rispondigli che è colui che ti ha creato e redento, e che per sua grazia ti ha chiamato al suo amore. E di lui continua pure - tu non sai assolutamente niente. Digli dunque: "In basso, vattene giù in basso!", e non esitare a calpestarlo con uno slancio d'amore, anche se può sembrarti un pensiero santo e inteso a aiutarti nella cua ricerca di Dio. Forse ti richiamerà alla mente aspetti diversissimi della sua meravigliosa bontà, e riaffermerà che Dio è in sommo grado dolcezza e amore, grazia e misericordia. Se ti metterai ad ascoltarlo, ricordati che non chiede di meglio. Infatti, andrà avanti a chiacchierare sempre più, e per finire ti condurrà giù al pensiero della passione di Cristo. Lì ti mostrerà la meravigliosa bontà di Dio, e se vi presterai attenzione, non farai altro che il suo gioco. Subito dopo, infatti, ti farà vedere la tua misera vita passata, e nel "; 'ripercorrerla può darsi che riesca a fermare la tua attenzione su qualche posto in cui hai vissuto tanto tempo prima. Cosicché, senza nemmeno rendertene conto, eccoti ricacciato non si sa dove, nella dispersione. E quale ne è la causa? Il semplice fatto che dapprima hai prestato ascolto di buon grado a quel pensiero, poi gli hai risposto,l'hai accettato, e infine,l'hai lasciato fare. Ciò nonostante, quel pensiero era buono e santo, sì, così santo che, paradossalmente, nessun uomo o donna può sperare di giungere alla contemplazione senza una buona base di dolci meditazioni sulla propria miseria, sulla passione di nostro Signore, sulla bontà di Dio, sulla sua magnanimità e perfezione. Tuttavia, quando uno ha fatto queste meditazioni per molto tempo, deve lasciarle e ricacciarle lontano sotto la nube d'oblio, se vuol veramente sperare di perforare un giorno quella nube della non-conoscenza che sta tra lui e Dio3.
PER L'APPROFONDIMENTO La Nube e lo zen La meditazione come è proposta dalla Nube e ancor più i meccanismi psicologici su cui si fonda, ha molti punti in comune con la pratica meditativa propria del buddhismo giapponese (zazen) e theravada (vipassana). Lo zazen, in particolare, ha per scopo di fare il vuoto: pensieri, immagini, 264
sentimenti, preoccupazioni e progetti sono banditi dalla mente, così che diventi tabula rasa. Esso conduce a rifiutare di prestar attenzione al flusso di pensieri quando attraversano la superficie dello spirito. Questo è pure il ruolo della "nube di oblio", secondo l'anonimo inglese. Vi si trova lo stesso sforzo di volontà, lo stesso "nudo intento" che va oltre ogni realtà immediata. Questo anelito è talmente svincolato dal mondo abituale dei nostri pensieri, da avvolgere nel silenzio anche le devote considerazioni sui misteri della fede, come la Passione di Cristo, pur riconosciute momento indispensabile dell'itinerario meditativo, nei suoi primi passi. In vista di mettere a tacere la ragione discorsiva, i maestri zen raccomandano o la semplice immersione consapevole nel ritmo respiratorio (scuola Soto, che in questo coincide con la vipassana) o la concentrazione su una semplice frase o espressione paradossale e quindi adatta a bloccare i processi discorsivi (scuola Rinzai). Essa prende il nome oan e richiama l'analogo suggerimento della Nube, che invita il contemplativo a servirsi di parole assai brevi da far risuonare incessantemente nel cuore, come: Dio, Amore, Peccato. Mentre però nello zen la tensione contemplativa si affaccia sul Nulla, il Mu, in una pura visione mentale del vuoto, nella Nube l'immersione nel Nulla è "nobile e amorosa" ed è vissuta nella consapevolezza che attraverso di essa il contemplativo si apre alla percezione dell'"Alto e santo tutto di Dio". Per lo zen, dunque, abbiamo l'illuminazione (satori), che è l'unificazione assoluta del soggetto con l'oggetco e la dissoluzione dell'essere personale nella totalità onniavvolgente dell'universo. Per la Nube si ha L'estasi, che è la "conoscenza d'amore" che conduce l'orante all'incontro personale e all'immedesimazione sponsale con Dio. É nota la divergenza tra i due tipi di contemplazione. I cristiani rimproverano allo zen di vanificare nel nulla la percezione del divino. I seguaci dello zen obbiettano ai cristiani, al contrario, di cosificare il divino. Eppure una via d'incontro non dovrebbe mancare, pensando che non solo l'uomo comunica con Dio passando attraverso il proprio nulla, ma anche Dio comunica con l'uomo passando attraverso la kenori o svuotamento (Fil 2,5) di Cristo. É la via imboccata, a esempio, dal "gesuita giapponese K. Kadowaki che ha tentato nel 1973l'esperienza di un "sesshin" cristiano. "Sesshici'"contatto del cuore" è una parola del linguaggio zen e designa un periodo di tempo dedicato a esercizi zen in un tempio sotto lo sguardo di un maestro. Con la espressione "sesshin cristianó 'si voleva perciò intendere un periodo di tempo durante il quale Kadowaki pensava di fondere elementi essenziali della piecà cristiana, come l'aveva appresa dalla tradizione ignaziana, con elementi caratteristici della meditazione zen, a lui ben noti pér esperienza diretta. Cogliamo per quanto ci riguarda un momento particolare di questo "sesshin". In un esperimento di meditazione Kadowaki sostituì il koan "Mú ', "nulla", con il koan "Shú ', "Signoré '. Questa sostituzione mi pare molco significativa. Subito Kadowaki fa notare 265
che il "null 'significa che noi accogliamo l'altro così com è, senza pregiudizio o falso attaccamento, per cui è implicita la capacità di una comunicazione interpersonale a un livello più profondo. Poi subito aggiunge che il "nulla" non è oggetto di meditazione, ma introduzione nella "grande morte"; e nell'attuazione del "mú ', della "grande morte", esso conduce all"'illuminazione", al "satorï '. Allorché poi il koan "Mu" si muta in koan "Shú ', anche "il Signore 'non diventa oggetto di meditazione, ma il koan ti introduce nel "Signoré ', quindi nella "grande morte" di Gesù; e nella attualizzazione del "Signore" giungi alla "grande libertà, alla "salvezz ', all"'uomo nuovó 'con i suoi nuovi "sentimen-ti". Essere iniziati al "Mú ', significa essere iniziati al "Shú 'e viceversa. Se il buddista tace immerso nel "Mú 'è alla fine come il cristiano davanti al volto sfigurato del "Signoré '. Il dilemma cristiano - "Non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me" (Gal 2,20) - in Kadowaki trova la sua soluzione: "Il Cristo, divenuto totalmente Mu, vive in me". Nel fare della grande morte il mio primo principio, nel diventare uno con Cristo e nel morire con Cristo, ecco in che consiste l'autentico sacori cristiano"4. Il problema dell'incontro tra mistica cristiana e mistica zen (e più in generale mistica asiatica) sta tutto nell'individuare convergenze a dispetto delle divergenze e con più precisione nel: - non accentuare la trascendenza divina a scapito dell'immanenza, e viceversa; - non accentuare la concezione personalistica dell'uomo a scapito dell'assoluta permeabilità al divino e della radicale unità del tutto; e viceversa non accentuare una visione monistica o teistica che annulla il singolo; - non accentuare il rapporto "effabile" con Dio così da dimenticare la fondamentale ineffabilità del divino: dire o pensare Dio, non è ancora Dio; e viceversa non enfatizzare l'ineffabilità così da precludersi qualunque accesso al regno della trascendenza. In una tale soluzione di equilibrio il cristiano è enormemente avvantaggiato dalla contemplazione del mistero trinitario, dove gli opposti trovano piena legittimità e perfetta composizione. - Se però ci riferiamo al puro aspetto metodologico, lo zazen può essere praticato in ambito cristiano appunto perché, privo di contenuti, è capace di accogliere come un recipiente perfettamente vuoto ciò che gli si mette dentro: in questo caso la percezione del "Tu" divino e il nudo e amoroso anelito verso di esso nel sospiro contemplativo. Il "Mu", per un cristiano, non può non trasformarsi in "Tu".
1 Cf. DE MELLo, cit., pp. I1-13. 2 Milarlo 1973 passim. 3 la nube della non-conoscenza, Ancora Milano 1983 passim. 4 H. WALDENFELs, Meditazlone: Ert-Overt, Brescia 1977, pp. 80-81. Vedi anche J. K. Knmw A ct Lo zen e la Bsóbra, Milano 1)85.
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17. Mattino e sera e il minuto per Dio
Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio. La preghiera è pensare al senso della vita. (L. Wirrgenstein) La più bella funzione che un cristianó ha l'onore di compiere consiste nella preghiera del mattino e della sera. (P. Claudel) Ogni giorno dice all'uomo: prega... con me. (Giuda bar Simon) Il cristiano esiste o scompare con la preghiera. (H.U. von Balthasar)
267
ogni
giorno,
Pregare alla mattina E ALLA SERA Pregare alla mattina e alla sera altro non è che trasformare in esperienza religiosa i primi e gli ultimi momenti coscienti della giornata. Con questo non si tratta né di forzatura né di sovrapposizione indebita, per il semplice fatto che questi momenti di loro natura sono religiosi e rimandano a realtà superiori e profonde. L'addormentarsi è infatti l'equivalente quotidiano del rientrare in se stessi, e del morire, mentre il risvegliarci è l'equivalente quotidiano del rinascere e dell'immergerci nella realtà della vita. In questo senso la preghiera del mattino e della sera ci permette di cogliere il soprappiù di significato insito nella vita alla luce del mistero dell'uomo e di Dio. Alla sera viviamo il nostro commiato dal mondo delle persone e degli avvenimenti, delle creature e delle cose, immergendoci in Dio. Alla mattina riprendiamo e approfondiamo la nostra immersione in Dio, dal quale ogni uomo attinge "vita, moto e esistenza" (At 17,28), prima di tuffarci nella vita. La preghiera del mattino e della sera è dunque una pista di decollo e di atterraggio. Attraverso di essa l'uomo si educa a coniugare atteggiamenti opposti, ma ugualmente indispensabili per il suo equilibrio e la sua felicità, quali: azione e adorazione / progetto e gratuità socialità e solitudine / partecipazione e intimità creatività e ricettività / possesso e offerta / conquista e abbandono. Infine, la preghiera del mattino e della sera è un grande atto sacerdotale, "la più bella funzione del cristiano", di cui parla P. Clau-; del. In essa il mondo è offerto a Dio e trasfigurato. Assunta responsabilmente dall'uomo, ogni realtà manifesta il divino che segretamente la permea e incessantemente la trasforma. Alla luce di queste considerazioni va ripensato il detto di Hegel; che "la preghiera del mattino dell'uomo moderno è la lettura del giornale", detto che per estensione potremmo oggi applicare alla radio e alla tivù e che include anche la sera. L'affermazione contiene, un'importante verita, ma essa e anche, come minimo, carica di ambiguità. La lettura del giornale, infatti, e l'audizione della radio-tivù possono restare solo lettura e audizione e non trasformarsi affatto in preghiera o addirittura spegnere l'ultimo barlume di consapevolezza 269
r
del trascendente e ogni anelito all'orazione. Sarà possibile non incorrere in questo rischio solo se prima e dopo di esse saremo capaci di una preghiera che sia solo preghiera, a tu per tu con Dio. La condizione perché Dio possa rivelarsi negli avvenimenti, è che lo portiamo realmente nel cuore. Diamo ora alcune indicazioni pratiche relative a una preghiera della mattina e della sera autenticamente meditativa. Sarà nostra preoccupazione legare quanto più possibile simili momenti di orazione alle esperienze peculiari che accompagnano il nostro addormentarci e il nostro risvegliarci. Infatti una preghiera che, in un modo o nell'altro, non si radica nel corpo e nei dinamismi della psiche, resta generalmente sprovvista di solidità interiore. Se quando si immerge la mano nel catino dell'acqua, se quando si attizza il fuoco col soffietto, se quando si allineano interminabili colonne di numeri al proprio tavolo di contabile, se quando, scottati dal sole, si è immersi nella melma della risaia, non si esperimenta la stessa vita religiosa come se si fosse in preghiera in un monastero, il mondo non sarà mai salvo. Pregare è il respiro dell'anima (Gandhi). la Preghiera del mattino "Svegliarci è rinascere. Ci sta dinanzi la giornata, parte di una vita, vita in compendio" (A.G. Sertillanges). Come inaugurare il nuovo giorno nel nome del Signore? Ecco alcune indicazioni: 1. Prendiamo coscienza del respiro uscendo dal grembo della notte e del sonno. Nel mio respiro fluisce il "soffio di vita con cui Dio fa di me un essere vivente: io vivo! Dio mi vive! io vivo per Dio, vivo per gli uomini! 2. Prendiamo coscienza che ci stiamo lavando e viviamo questo momento come un'esperienza di purificazione e di rigenerazione. É il nostro battesimo quotidiano. Liberati dal male, diventiamo liberatori dei mali che affliggono gli uomini. 3. Prendiamo coscienza che "Cristo abita per la fede nei nostri cuori (Ef 1,18). uOgni mattina - raccomandava un vecchio monaco - appena ti alzi, esponi il santissimo Sacramento nel tuo cuore e così trascorrerai la giornata in adorazione". Persone e avvenimenti, creature e cose saranno trasparenti ai tuoi occhi e in esse vedrai Dio. 270
4. Tracciando lentamente il segno di croce, sentiamoci come avvolti nel grande mistero di morte-per-la-vita, e disponiamoci a trasformare le immancabili croci della giornata in altrettante sorgenti di benedizione per noi e per l'umanità intera. Se a questo punto vogliamo attendere alla meditazione e pregare con le nostre formule abituali oppure con la liturgia delle ore, siamo pronti e in grado di comunicare con Dio. la Preghiera della sera "Entriamo nella notte come in un santuario in cui Dio ci visiterà" (j. Lafrance). I1 sonno è il tempo in cui emerge la dimensione profonda dell'esistenza umana:l'uomo vi si rivela angelo o bestia. La positività o la negatività del sonno (e dei sogni che l'accompagnano) è legata al modo con cui ci introduciamo nel riposo. Pregare la sera è vivere religiosamente quest'immersione nel nostro santuario interiore, "dove Dio ci visiterà". Come attuare quest'intuizione? 1. Liberiamoci, alla stessa stregua con cui ci si spoglia dei nostri abiti, degli stati 'd'animo negativi. "Che il sole non tramonti" sopra nessuno dei sentimenti cattivi del nostco cuore (Ef 4,26) e "gettiamo in Dio ogni nostra preoccupazione" (1 Pt 5,7). ' Non mettiamoci a chiacchierare sui nostri stati d'animo. Non giudichiamoli. Liberiamocene e basta! Scrive Lanza del Vasto: "Per liberarvi delle vostre cattive inclinazioni, non occupatevi tanto di esse: ciò alle volte è un modo di dar loro un peso ed una virulenza che non avevano prima e rischiereste di strappare il bene insieme al male. Il modo giusto di eliminare il male non consiste nell'accanirvi contro di 'esso, ma nel rivolgervi verso la luce, nel porre tutta la vostra attenzione sulla luce; allora la vostra parte di ombra si affievolirà sarà cancellata senza che la tagliate. Dio si incaricherà di tagliarla e di bruciarla nel giorno della mietitura. Rivolgetevi verso la speranza della mietitura". Facciamo che vengano alla ribalta i nostri stati d'animo positivi. Percepiamoli tutti
fiducia, gioia, pace, sicurezza... - come varianti di un unico motivo: l'amore. "Beati coloro che... si addormentano nell'amoreH (Sir 48,11), alla sera della giornata come alla sera della vita. 2. Spegniamo la luce materiale, rendendoci consapevoli di essere avvolti da una intensa luce spirituale. É "l'occhio del Signore che veglia su chi lo teme(Sal 33,18). Là dove splende, la luce del volto di Dio salva (Sal 80,4.8). 271
"Quando tu mi guardavi - scrive Giovanni della Croce - i tuoi occhi imprimevano in me la tua grazia". Ed è così che Dio "nel sonno rimargina le ferite dell'anima" (Inno dei Vespri del mercoledì). 3. "Non corichiamoci finchè non abbiamo comunicato consapevolmente con Dio" (Yogananda). Richiamiamo alla memoria del cuore i momenti della giornata che ci hanno riservato un'esperienza immediata di Dio. Riviviamoli con intensità. Siccome il sonno mette a tacere il nostro mondo conscio e porta alla ribalta quello inconscio, che è il regno dell'immaginazione, è molto utile addormentarci con visualizzazioni religiose, come i misteri di Gesù o di Maria, la presenza del nostro angelo che "vede il volto del Padre" (Mt 18,10), scene di bontà, di bellezza e di grazia. Se ci addormentiamo con immagini pregne di riferimenti celesti, vedremo "mirabilia in profundo" (Battista da Crema). 4. Facciamo riecheggiare in noi, non nella mente ma nel cuore, la "parola Sostanziale" che Dio ci ha trasmesso oggi. Giudichiamo la giornata che sta per concludersi alla sua luce: Che cosa ha compiuto in noi (2 Ts 3,1)? In che misura è stata "lampada ai nostri passi" (Sal 119,105)? Come ci ha rigenerato (1 Pt 1,23)? Come si è diffusa e è riecheggiata per mezzo nostro (At 12,24;1 Ts 1,8)? Addormentiamoci sussurando questa parola, così che si spenga sulle nostre labbra e rimanga racchiusa nel cuore: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2).
IL MINUTO PER DIO Per dare continuità allo stato d'animo dell'orazione che abbiamo cercato di suscitare in noi con la preghiera del mattino, possiamo accogliere la pratica del cosiddetto "minuto per Dio". Perché non fare un minuto di preghiera ogni ora o tra un'occupazione e un'altra o in qualche istante di libertà e di relax? Chi ce lo può impedire? Chi non può raccogliersi, rientrare in se stesso, aprirsi alla memoria di Dio, ripetere l'offerta della propria vita nello spazio di un minuto? "Se l'uomo si ritempra così in Dio, più volte al giorno, finalmente la giornata sarà vissuta sotto il suo sguardo e in comunione con lui. Senza contare che una volta o l'altra questo minuto di contatto profondo con il Signore vissuto nel silenzio adorante, si estenderà fino a durare cinque, dieci minuti o anche di più," (H. Caffarel). "Sedotto dall'idea - scrive chi ha voluto praticarla sul serio -, mi 272
decido a seguirla. Prima sera: mi sono totalmente dimenticato del mio minuto. Seconda sera: il ricordo del minuto è affiorato in me di tanto in tanto, ma sono stato così affaccendato tutto il giorno! La giornata seguente, il pensiero rispunta; e questa volta mi ci butto... Come è lungo un minuto! Tuttavia tengo duro. Di giorno in giorno il richiamo si fa più spontaneo e frequente; vi accondiscendo di più, non senza sofferenza: fermarsi nell'ingranaggio delle occupazioni è terribilmente difficile. Le obiezioni si moltiplicavano: "Non adesso; ora non ho tempo; sono già in ritardo..." Oppure: "Si, ma devo anzitutto finire il lavoro che ho fra mano; devo aspettare un momento più quieto...". E tuttavia, in un piccolo angolo di me stesso, mi sembrava di sentire: "Non mi far aspettare troppo!". Infine, a forza di farmi pregare, mi fermavo. Le buone ragioni non mancano mai per presumere che 1`occupazione in corso è più importante che l'attenzione a Dio. Non c'è dubbio, infatti, che ogni sosta per Dio è una lotta, una battaglia contro noi stessi e contro la nostra agitazione febbrile. A poco a poco, con l'aiuto di Dio, ho preso l'abitudine a queste immersiòni che orientano l'anima verso Colui che la abita in modo tanto discreto. Si tratta senza dubbio di un mezzo, ma molto efficace". Una volta che questa pratica si è radicata in noi, ecco i principali benefici che ne possiamo ricavare: 1. Oltre a una maggiore familiarità con Dio, la nostra fede diventa più profonda e generatrice di fiducia: il tempo che regalo a Dio non è in realtà sottratto a me stesso, ma ritorna in benedizione sulla mia vita. 2. Viviamo nell'abbandono in Dio e in un più grande distacco interiore. La serenità subentra alla tensione e la nostra attivit é orientata a Dio. 3. Infine si fa strada nel cuore una più grande docilità verso lo Spirito santo. La nostra volontà diventa più flessibile e più pronta alle sue ispirazioni. "Ciò che è più urgente non è sempre più importante". La cosa che conta è amare in ogni circostanza. Le nostre buone scuse non sono troppo spesso un rifiuto d`amore? 273
L'ESAME DI COSCIENZA "Sono molte le scienze coltivate dagli uomini, ma nessuna è migliore della scienza con cui l'uomo conosce se stesso. Per questo tornerò al mio cuore e mi renderò familiare il dimorarvi, in modo da esaminare la mia vita e conoscere me stesso" (Bernardo di Chiaravalle) Esiste una pratica, compiuta generalmente al termine della giornata, che ha singolari affinità con la meditazione, di cui anzi costituisce una naturale applicazione. Si tratta dell'esame di coscienza o, come oggi alcuni preferiscono definirlo, dell'esercizio di vigilanza evangelica. Scopo dell'esame di coscienza è quello di educare all'interiorità per vivere nella consapevolezza, ossia per essere in grado di assumere un atteggiamento vigilante in ordine a pensieri, sentimenti e azioni che scandiscono la nostra vita. Con questa pratica possiamo scandagliare il nostro io profondo e puntare sulla sua progressiva "ristrutturazione", che si attua nella purificazione delle tendenze negative e nel rafforzamento di quelle positive. É quindi indispensabile che l'esame di coscienza passi: - da una ricerca meramente cerebrale dei nostri comportamenti, a un lasciar emergere le tendenze che li hanno motivati - da una forzata ricostruzione mnemonica, a un richiamo spontaneo degli stati d'animo. - da una visione esclusivamente rivolta agli aspetti difettosi, a un risveglio delle tendenze positive latenti in noi - da un ascolto di se stessi, alla percezione del progetto di Dio nell'uomo. - da un ripiegamento su di sé, all'apertura a Dio che infonde e suscita amore nei nostri cuori. Tutto ciò suppone che l'esame di coscienza sia compiuto: - in un clima di ascolto, che attraverso la voce della coscienza percepisce la voce di Dio - in un clima di preghiera, che ci pone sotto lo sguardo luminoso di Dio il quale, giudicando, guarisce - in un atteggiamento di conformità al volere divino (cf. Rm 12,2) e di conseguente docilità alle mozioni dello Spirito. 274
A seconda che si accentui l'uno o l'altro degli diversi modi di "fare" l'esame di coscienza. Riassumiamoli in tre esercizi.
elementi
suddetti,
avremo
1. Ilfilm della vita Ripercorrere la nostra giornata (o parte della giornata). Ciò può avvenire in modo generale, passando in rassegna momento per momento, oppure in modo specifico relativamente a un particolare punto di vista:! un'attitudine da esercitare o un difetto da evitare. É necessario: - rivivere il nostro passato, non solo, pensarlo. La difficoltà di far emergere il ricordo-rivissuto di uno o di un altro momento, denuncerà il grado di estraneità a noi stessi con cui ci siamo comportati o abbiamo agito. Questo è già un grosso risultato dell'esame di coscienza. - riviverlo alla luce di Dio, quasi mettendoci dalla sua parte. Questo ci darà la valutazione immediata del nostro comportamento e ci educherà a un saggio discernimento. - riviverlo con l'intento di liberarci dalle tracce negative del nostro comportamento, non ragionando su di esse, ma semplicemente facendole dissolvere. Parallelamente ci si fisserà sugli stati d'animo positivi, immedesimandoci in essi. Come si può intuire, si tratta di un lavoro non facile di introspezione liberatrice. Forse può suscitare perplessità l'invito a non "ragionare" sugli stati d'animo negativi. La riflessione su di essi è insostituibile solo nella misura in cui ci permette di prenderne coscienza e di puntare sul loro superamento. Poi, perché questo avvenga, ogni ulteriore analisi sul perché e sul percome serve soli" a rafforzarli e a inasprirci, suscitando un controproducente atteggiamento aucopunitivo e non liberatorio. L'essenziale è invece purificarci dai condizionamenti dei nostri stati d'animo errati.11 che avviene se sappiamo dissociarcene interiormente. E siccome tale dissociazione incontra le resistenze dell'ego, il totale disarmo mencale e l'ardente supplica a Dio sono attitudini alla pari indispensabili. 2. "7enete alta la parola di Dio" (Fil 2,16) Richiamare la " parola rigeneratrice" (1 Pt 1,23) che abbiamo preso come programmatica della giornata o che emerge in noi come quella che, fra le molte, ha avuto più risonanza nel nostro animo. Alla sua luce tentiamo di ripercorrere la giornata, per cogliere cosa la parola ha trasformato in noi. Una variante di questo esercizio consiste nel richiamare, con calma e concentrazione e quasi attraverso un processo di associazione spontanea, tutte le parole che si sono sedimentate nel cuore lungo la giornata - liturgia della paro 275
la, liturgia delle ore, lectio divina, ecc. - e chiederci come hanno "operato" ( 1 Ts 2,13). Alla fine è bene che la parola emergente abbia a impregnarci di sé e a fissarci nello stato d'animo che essa intendeva suscitare in noi. 3. Silenzio guaritore Immergerci in una preghiera di puro silenzio. Il silenzio è di sua natura guaritore. Qui si tratta di mettersi a nudo davanti a Dio, in stato di consapevolezza e di attenzione vigilante. Tutto ció che di negativo viene dal cuore (Mc 7,21-23), lo si lascia dileguare come nubi al sole. É stato infatti giustamente scritto che "l'autoconsapevolezza di per sé può guarire, senza nessun bisogno di giudizi e risoluzioni. La sola consapevolezza provocherà la morte di ciò che non è sano e la crescita di tutto ció che è buono e santo" (De Mello).
Specialmente íl secondo ed il terzo esercizio ci insegnano come l'esame di coscienza non è un atto isolato dal contesto della vita interiore, ma piuttosto trae continui stimoli da essa, al punto che ascolto della Parola, meditazione e autodisciplina possono farci raggiungere in modo indiretto quanto con l'esame di coscienza ci proponiamo di conseguire direttamente. Infatti più che la ricerca delle virtù o dei difetti, giova mantenersi in uno stato di comunione costante con Dio, attraverso la consapevolezza di ciò che si agita nel cuore. L'introspezione e l'autoanalisi non raggiungono, normalmente, le profondità del cuore, così come possono essere raggiunte dalla Parola, dal silenzio, dall'attitudine a lasciar emergere gli stati d'animo profondi nonché dall'incrociarsi degli sguardi di Dio e dell'uomo: "L'esame di coscienza (...) dovrebbe essere un semplice sguardo di pentimento e di amore che ci offra la possibilità di vedere le nostre mancanze alla luce dell'amore misericordioso di Dio per noi, in modo che i nostri peccati possano essere sopraffatti dal suo amore". (T. Merton) Così concepito, l'esame di coscienza ci aiuta perfino a eliminare i difetti inconsci, nei confronti dei quali l'autoanalisi non otterrebbe se non il risultato di rinsaldare le difese dell'ego. "L'anima guardando Dio, percepisce tutti gli impedimenti che la dividono da Dio. E benché possano esistere molti impedimenti segreti... Tuttavia... riesce di tanto in tanto a liberarsene" "...Né importa che noi scopriamo i nostri difetti o no, perché essi si possono emendare senza che li conosciamo. Ve ne sono infatti di cosi segreti e spirituali che non possono essere percepiti dai sensi" (Gertrud More). 276
Il far affiorare le tendenze inconscie, e il loro superamento anche quando non affiorassero, s'intende sempre che siano negative - è il vero segreto dell'esame di coscienza. LA VEGLIA NOTTURNA "Alzati, grida nella notte quando cominciano i turni della sentinella; effondi come acqua il tuo cuore davanti al Signore; alza verso di lui le mani , Lm 2,l9) "L'insensato non pensa nemmeno per un istante che la veglia notturna potrebbe fruttargli la vita eterna", pregavano gli antichi cristiani. Che le ore della notte rivestano grande importanza per le ascensioni contemplative è convinzione comune a tutte le tradizioni spirituali. La preghiera notturna riveste da sempre un'importanza eccezionale: "Sembra che esista un'armonia particolare tra il silenzio e la pace delle cose durante la notte e una certa forma di preghiera" (R. Voillaume). Infatti "la preghiera della notte ottiene la purezza del cuore, la pace dell'anima, la lúcé dell'intelletto. La purezza del cuore: poiché la notte è il più segreto degli spazi in cui il Signore ha comandato di nasconderci per pregare, lontano dagli sguardi e da qualsiasi importuna intrusione. La pace dell'anima: poiché la notte rivela come ogni cosa giunga al riposo e al silenzio e come la dolcezza di Dio possa discendere fino a noi. La luce dell'intelletto: poiché nella notte emerge l'invisibile, e come le stelle al riparo dei raggi diurni, vi brilla la Parola divina distinta dalle nostre preoccupazioni troppo terrestri". I Salmi ci offrono una diffusa esemplificazione della preghiera notturna. Riascoltiamone alcuni passi: La preghiera immerge vigilanti nella notte: "I miei occhi prevengono le veglie, per meditare sulle tue promesse" (119,148); "Nel mio giaciglio medito interiormente e raggiungo la quiete del silenzio" (cf. 4,5). L'orante squarcia le tenebre notturne per attendere alla preghiera: "É bello annunziare la tua fedeltà lungo la notte" (92,3); "Penso a 277
te nelle veglie notturne" (63,7); "Mi ricordo del tuo nome lungo la notte" (119,55); "Nel cuore della notte mi alzo per renderti lode" (119,62); "Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: rifletto e il mio spirito si va interrogando" (77,7). Le prime ore del giorno sono segnate dall'incontro con Dio: "Precedo l'aurora e grido aiuto" (119,147). "Al mattino giunge a te la mia preghiera" (88,14). "All'aurora ti cerco: di te ha sete l'anima mia" (63,2). "É bello annunziare al mattino il tuo amore" (92,3); "Fin dal mattino t'invoco e sto in attesa" (S,4); "Al risveglio mi sazierò della tua presenza" (17,15); "S ziaci al mattino con la tua grazia" (90,14). Cristo fa sua quest'esperienza. Sale alla sera sulla montagna, per "passare tutta la notte in orazione" (Lc 6,12). "Al mattino si alza " quando è ancora buio, e si ritira in un luogo deserto, a pregare" (Mc 1,35). Ma è soprattutto la preghiera di Cristo nel Getzemani che affascina l'orante, desideroso di accettare la sfida del maestro: "Non potete vegliare un'ora solo con me?" (Mt 26,40). "É durante le ore notturne che Cristo ha sofferto la sua agonia e è stato arrestato; è la notte che ha visto quegli istanti terribili durante i quali Gesù ha. adempiuto l'obbedienza dolorosa e senza riserve al disegno del Padre suo; è lì che egli ha accettato liberamente di subire la sua passione" (R. Voillaume). Ed è lì che l'orante rivive il mistero dell'incontro tra l'infinita carità di Dio e la propria sconfinata pochezza. Un incontro d'amore. Questa è la veglia notturna. Per la pratica, è bene che l'adorazione notturna sia compiuta in un'ora prestabilita della notte, soprattutto se rientra negli appunta- menti abituali di preghiera. Inoltre è opportuno prevedere come si svolgerà, per renderla più proficua e comunque lasciando sempre lo spirito aperto alle mozioni divine. É infine molto utile e talvolta addirittura indispensabile, unirci direttamente agli esseri celesti, in particolare al nostro santo angelo, per superare le immancabili difficoltà. Non si dimentichi che la veglia, non diversamente dal digiuno, sono grazie che il Signore fa incontrare sul cammino della vita spirituale, secondo il suo insondabile disegno di amore. Desiderarle è già indice di averle ottenute. A. M. BLSNARD, Lu
re, hieru cume ri.rcbio, Milano 1973, pp. 70-71.
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;I; te nelle veglie notturne" (63,7); "Mi ricordo del tuo nome lungo la notte" (119,55); "Nel cuore della notte mi alzo per renderti lode" (119,62); "Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: rifletto e il mio spirito si va interrogando" (77,7). Le prime ore del giorno sono segnate dall'incontro con Dio: "Precedo l'aurora e grido aiuto" (119,147). "Al mattino giunge a te la mia preghiera" (88,14). "All'aurora ti cerco: di te ha sete l'anima mia" (63,2). "É bello annunziare al mattino il tuo amore" (92,3); "Fin dal mattino t'invoco e sto in attesa" (5,4); "A1 risveglio mi sazierò della tua presenza" (17,15); "S ziaci al mattino con la tua grazia" (90,14). Cristo fa sua quest'esperienza. Sale alla sera sulla montagna, per "passare tutta la notte in orazione" (Lc ú,12). "Al mattino si alza quando è ancora buio, e si ritira in un luogo deserto, a pregare" (Mc 1,35). Ma è soprattutto la preghiera di Cristo nel Getzemani che affascina l'orante, desideroso di accettare la sfida del maestro: "Non potete vegliare un'ora solo con me?" (Mt 26,40). "É durante le ore notturne che Cristo ha sofferto la sua agonia e è stato arrestato; è la notte che ha visto quegli iscanti terribili durante i quali Gesù ha adempiuto l'obbedienza dolorosa e senza riserve al disegno del Padre suo; è lì che egli ha accettato liberamente di subire la sua passione" (R. Voillaume). Ed è lì che 1 orante rivive il mistero dell'incontro tra l'infinita carità di Dio e la propria sconfinata pochezza. Un incontro d'amore. Questa è la veglia notturna. Per la pratica, è bene che l'adorazione notturna sia compiuta in un'ora prestabilita della notte, soprattutto se rientra negli appuntamenti abituali di preghiera. Inoltre è opportuno prevedere come si svolgerà, per renderla più proficua e comunque lasciando sempre lo spirito aperto alle mozioni divine. É infine molto utile e talvolta ddirittura indispensabile, unirci direttamente agli esseri celesti, in particolare al nostro santo angelo, per superare le immancabili difficoltà. Non si dimentichi che la veglia, non diversamente dal digiuno, sono grazie che il Signore fa incontrare sul cammino della vita spirituale, secondo il suo insondabile disegno di amore. Desiderarle è già indice di averle ottenute. A. M. BESNARD, la preghiera come rischio, Milano 1973, pp. 70-71. 278
Conclusione
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SEGNI E FRUTTI DELLA PRATICA MEDITATIVA L'uomo che conduce vita spirituale può cogliere i segni e i frutti che accompagnano la sua esperienza interiore. Ne diamo un elenco, rielaborando alcune pagine del La Combe che offrono una sintesi vigorosa e affascinante. Lo scopo è di aiutare ciascuno a situarsi all'interno di un cammino arduo e di individuarne le mete, che saranno poi raggiunte attraverso un lungo lavorio su se stessi e un'insonne apertura al divino. Cos come la visione della vetta affascina lo scalatore, disposto a inerpicarsi per sentieri impervi che ora gli nascondono la cima ora la rivelano lontana e quasi inaccessibile, ma non per questo lo dissuadono dal perseguire nell'intento. I segni Silenzio, quiete e semplificazione del cuore. Immobilità quasi divina e impassibilità sopra le forze della natura. Interiorizzazione dei sensi. Abbandono di ogni attività concettuale e immaginativa e gioiosa elevazione della mente in Dio, per cui riposa nell'eterna verità. Il venir meno del colloquio interiore, come se morisse nel cuore. Immersione della volontà umana in quella divina e perfetta corfomazione a essa. , Dilatazione del cuore e gusto della contemplazione delle verità eterne. Alle volte rara, altre volte frequente presenza di affetto. Abbandono del ricercare, perché ogni bene è raggiunto quando si gusta intimamente Dio. Costanza imperturbabile dell'animo e vera unità interiore, che non è condizionata né dalle cose avverse né da quelle propizie. Ammirazione che subentra alla considerazione. Riduzione dei molteplici esercizi interiori all'uno necessario e affrancamento da ogni modo, tempo, esercizio, metodo e mezzo, per aderire a Dio al di là di ogni mediazione. Viva fede in Dio presente, che l'anima sperimenta essergli sufficiente. Tranquillo intuito delle realtà divine. Continua percezione dell'immediata presenza di Dio ovunque e ) specialmente nel cuore. 281
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Costante memoria di Dio. Stato di orazione perpetuo, indistinto, uniforme, larghissimo. Prolungamento dell'orazione senza fatica. Maggiore fame e nello stesso tempo maggiore sazietà dell'orazione, unita alla continua insaziabilità di pregare Dio in ogni cosa e di vederlo e sentirlo profondamente in ogni cosa, così da cselamarc: Tutto è Dio: Dio è ovunque e ovunque è Dio. Estasi o rapimento dell'uomo da se stesso e da tutte le creature. Ridotto al nulla non sa più niente di sé e felicemente morto nel Signore entra nella pace del suo Dio. Si meraviglia di essere diventato una stessa cosa con lui e tuttavia non dubita di esserne vera mente dístinto. I frutti Ritrovamento del grande tesoro nascosto nel campo della chiesa. Aurora di un giorno luminoso. Si prega di più in una sola ora che in un altro modo per un anno intero. Purificazione del cuore. Illuminazione superiore che conduce alla rinuncia al proprio ego e all'incondizionata adesione a Dio. Acrescimento e pieno sviluppo di tutte le virtù, a cominciare dall'umiltà e dall'amore, dal momento che è perfetto chi è dotato di eccellente carità. Qui l'amore opera la morte della natura e la vita dello spirito, la dimenticanza di tutte le creature e la perfetta unione con il creatore. Esperienza del riposo sabbatico riservato al popolo di Dio, per cui Dio riposa nell'uomo e l'uomo in Dio. Tranquilla aspettatíva delle promesse divine. Pensiero dell'eternità, che alimenta la longanimità e dà vigore alla speranza. Pace e beatitudine che prelúdono alla vita futura. Dimenticanza delle colpe commesse. Comprensione delle parole delle Scritture mai sperimentata fino a quel momento. Si ha così una meravigliosa rivelazione delle realtà divine, una più profonda penetrazione dei misteri e una vivissima esperienza degli attributi di Dio. Offerta a Dio nel dono totale di sé. 282
Dio diventa vita, azione e essenza, così che ogni realtà umana risulta relativa e ci trova saggiamente indifferenti. Dio si riversa nell'anima con la forza dell'amore. Godimento di Dio in Dio. L'adorazione del Padre in spirito e verità ha qui il suo inizio. Qui si manifesta il Padre, insieme al Verbo e allo Spiríto santo. Qui in Gesù Cristo si trova la pienezza di ogni bene. Si giunge alla conoscenza della sua Croce e ci si gloria in essa, dal momento che la strada da percorrere per giungere alla contemplazione altro non è se non l'ardentissimo amore del Crocifisso. Infatti l'amore di Cristo e l'imitazione del Crocifisso ci conducono quasi per mano alla contemplazione; poi la stessa contemplazione, innalzando l'anima a Dio, conduce all'amore più puro di Cristo, e alla più sublime imitazione del Crocifisso.
UNO STILE DI VITA MEDITATIVO Al fine di illuminare il rapporto tra meditazione e vita, facciamo nostre le considerazioni di p. Paul de la Croix, raccolte in un saggio dal titolo: Uno stile di vita meditativo. Il corso d'acqua, paziente e dolce, che feconda la terra, viene da lontano; a volte da molto lontano. In un luogo segreto, sotto una roccia o direttamente dal seno della terra, un sottile filo d'acqua è apparso, presto raggiunto da un altro, da venti altri; tanti sottili fili d acqua che, confluendo, sono diventati un fiume. Ma se si consumassero le sorgenti? Se si inaridissero le fonti? Se, ancora nel seno della terra, si contaminassero le acque? La vita di orazione viene anch'essa da lontano; nasce da molte sorgenti segrete. Chi vuole dissetarvisi, deve captare le sorgenti, rispettare la fonte, salvare le acque. Parleremo di tre sorgentí; ognuna di esse canta come l'acqua cristallina. Le tre sorgenti sono: - Vivere - vivere da uomo libero - vivere felici. E come chiameremo il fiume che nasce da queste tre sorgenti? Lo chiameremo: stile di vita meditativo o clima meditativo. 283
1. Vivere Questi attivi, questi superattivi, dominati dall'orario e dal rendimento; questi agitati, paurosi di non fare mai abbastanza e di non essere mai abbastanza importanti: in realtà è ben misera gente. Essi non vivono! Ma almeno i loro divertimenti saranno sereni? Osservateli una domenica; ciò che vedrete non vi rassicura affatto. La smania del fare, questa follia dei superattivi, è uno dei fattori più potenti di distruzione della vita spirituale e della meditazione. Da qui l'interrogativo che si impone a ognuno: Come bloccare questa febbre della vita moderna? Come arrestare questa accelerazione insensata? Come, in ultima analisi, vivere? Ecco alcune indicazioni sull'arte del vivere: a. Accogli come amici gli avvenimenti e gli impegni che ti si presentano. Se tu li rigetti i rivolteranno contro di ce e ti schiacceranno. Accetta la realtà, non respingerla. Accogli gli altri come sono, non volerli sempre e soltanto cambiare! b. agisci sensza precipitazione. Non perdere il tuo tempo ad affrettarti. Pec questo, non salire e non scendere le scale a precipizio; non correre al telefono. Nel bosco, sì, corri; altrove no. Non partire mi all'ultimo momento, ma piuttosto in anticipo. Il cammino verso la stazione o l'ufficio sia per ce una passeggiata. Ammira la natura e, in mancanza di essa, osserva con uno sguardo di simpatia la gente che incontri e cerca di percepire attraverso di essa la misteriosa presenza del Regno che bussa alla tua porta. c. Fa'una sola cosa alla volta. Chi ti chiede di fare di più? Era davvero un poveretto quel tale che diceva: "Devo leggere il giornale durante l'ora dei pasti; è il solo momento tranquillo a mia disposizione". Poveretto: leggeva male, mangiava male, digeriva male, e, quel che è peggio, amava male se stesso, la famiglia, gli amici, la gente. d. Non vivere "in avanti"! Farebbe pietà o susciterebbe il riso chi camminasse in maniera cale da far precedere la testa ai piedi. Ma forse proprio tu sei questo povero essere! Vivi "diritto". Vivi l'istante presente, e vivi istante per istante. "Se non sai vivere il minuto, perdi l'ora, il giorno, la vita" (Solzenicyn). Il saggio cinese dice all,occidentale: "Tu quando ti svegli, già calcoli e programmi; quando fai colazione, già sei al volante della tua vettura; quando guidi, già sei al lavoro. E sempre attendi. Attendi la fine del lavoro, atcendi il week-end, al week-end attendi il lunedì". "E tu, o saggio?" "Quando mi sveglio, io mi concento di risvegliarmi. Quando mangio, gusto il sapore del cibo; quando cammino, cammino; mi occuperò della meta quando ci sarò arrivato. Non sono affatto preoccupato di ciò che verrà; vivo l,istance presente". 284
"Sarà questo, o saggio, il segreto della tua calma e della tua vigilanza?" uNel mio paese, questa pratica viene chiamaca: il cammino della tranquillità; anche: il cammino della saggezza. La consideriamo molto utile, anzi indispensabile alla meditazione". e. Nell'azione, concentra l'attenzione su te stesso. Sovente! Non sei tu per lo meno altrettanto importante del lavoro che stai compiendo o dell'oggetto che stai fabbricando? Domandati costantemente: "Chi fa questo lavoro? Chi fa questa tal cosa?. " Abita la tua azione, sii al centro del tuo agire. f. pratica la sospensione interiore. Ogni due ore, o anche più sovente, sospehdi per qualche istante la tua attività, congeda le tue preoccupazioni; posa l'arnese, ferma il motore; mettiti in disparte e chiudi gli occhi; entra in te stesso. Sono 30 o 60 secondi molto pesanti, ma preziosi. Spezzerai il vortice delle mille occupazioni e preoccupazioni e impedirai alle tue attività di trascinarti nella spirale dell'azione che ti porta lontano da te. Sarai come l'albero, i cui rami si agitano sotco la spinta dei venti, ma il cui cronco rimane saldo, immobile. g. Elimina e abbrevia le occupazioni e gli impegni secondari. Metti disciplina, evita le chiacchiere. Sfronda! Il saggio è l'uomo delle scelte. 2. Vivere da uomo libero Il contemplativo è un uomo libero. Lo potremmo raffigurare diversamente? Diversamente significherebbe schiavo. Ma la meditazione non sarà mai la caratteristica degli schiavi di se stessi. L'esercizio che conduce a questa libertà, ha un nome preciso: ascesi. L'etimologia ci dice che il suo significato é: e.rercizio. Esercizio, non penitenza o mortificazione! É I'esercizio dei giusti, dei saggi, dei liberati. Ma quanto rari sono i saggi, quanto poche le persone veramente liberate! L'ascesi è una delle sorgenti della contemplazione. In Occidente non si è rilevato abbastanza energicamente il legame che intercorre tra l,ascesi e la meditazione; per lo meno, il grande insegnamento di s. Giovanni della Croce non è ancora passato sufficientemente nelle nostre menti. A proposito di ascesi, ricordo cinque punti: a. alimentazione. è doveroso rammentare che questo o quel cibo può essere sia nutrimento, che veleno per il corpo. E se lo è per il corpo, lo è anche per la mente, per lo spirito. Lo sapevano già gli antichi, che hanno tradotto le loro osservazioni in precisi impegni religiosi. Si può dunque parlare di un regime alimentare "meditativo" o "antimeditativo"1. 285
b. Digiuno. Il digiuno può e deve assumere forme diverse, a seconda delle latitudini, degli stomachi, degli impegni, dell'età, ma anche del livello spirituale di chi lo pratica. Tenuti presenti questi aspetti, non dovrebbe mai essere del tutto eliminato. In realtà è una pratica raccomandata da tutte le grandi religioni. Ildigiuno risveglia in noi un nuovo tipo di fame, che la preghiera viene a saziarez. " c. Il silenzio esteriore. "Sono andato a trovare un eremita - mi disse un giorno qualcuno - ma a dire il vero ho trovato che, per essere un uomo di Dio, parlava troppo". Un cercatore di Dio chiacchierone! É impossibile! II clima dell'Invisibile e; dello Spirito di Dio è il silenzio. Non che la parola sia cattiva. Anzi, "in principio era il Verbo", dice la Scrittura, la Parola, seconda persona della Trinità, che sta alla prima come la parola _`" sta al pensiero. E ancora: in principio Dio disse", e dicendo creò il cielo e la terra. Poi fece dono della parola all'uomo, perché riflettesse il suo pensiero come lo specchio riflette l'immagine. La parola è comunicazione, legame, comunione. Anche gli animali hanno il loro linguaggio; è il linguaggio che fa di un branco un corpo, del formicaio un castello e dell'alveare una città. Ma proprio perché la parola è il "seme maturo del pensiero", non dobbiamo gettarla a caso, sia che si canti, si insegni, si comunichi, si preghi. E invece, quanta dispersione a volte! Quante energie psichiche sciupate! E per dir che cosa? Shivananda, celebre maestro dell'Himalaia, afferma: "Il troppo parlare è una delle abitudini che più di tutte diminuiscono il potere spirituale. Chi troppo parla, è dominato dall'incontinenza verbale. Disperde in chiacchiere un'energia formidabile, che gli permetterebbe di realizzare grandi progressi se l'applicasse alla contemplazione. La parola distcugge o almeno indebolisce grandemente il potere della mente". Ma c'è di più. Dalle interminabili conversazioni alla maldicenza, il passo è breve. Shivananda: "Un ostacolo fondamentale alla meditazione è lo spirito di; critica. Purtroppo, presso l'uomo, è una vecchia e detescabile abitudine. Come può pensare a Dio colui le cui energie mentali sono lanciate alla caccia dei difetti altrui? Se consacraste soltanto una parte del tempo che così sciupate, a scoprire i vostri personali difetti, già sareste un gran santo! Perché vi inquietate per i difetti altrui? Correggete i vostri!" d. Il silenzio interiore o raccoglimento. Consiste nel dominare il chiacchiericcio mentale, perché lo Spirito possa parlare al nostro spirito (cf. Rm i 8.1G.2G; 1 Cor 2,10-1G). Il contrario del silenzio interiore è la di.rtrazione, un ostacolo molto grande alla vita spirituale, alle volte peggiore di una passione. Che cosa è? Dis-trarre: tirare di quà e di là, disperdere. Dal greco dir, che è un prefisso con valore peggiorativo, e dal latino trahere, tirare, attirare. Movimento cencrifugo, decentramento, caduta al di fuori, andare alla deriva, lontani da noi stessi. 286
Il chiacchiericcio mentale si alimenta a quattro sorgenti: - i ricordi: buoni o cattivi che siano, bisogna lasciarli cadere. Se volete innalzarvi verso gli azzurri spazi della contemplazione, liberate la navicella della vostra mente dalla zavorra di tanti e inutili ricordi. la curiosità: osservate un istante gli argomenti delle abituali conversazioni, e misurerete la frivolezza delle vostre preoccupazioni, la futilità di tanti discorsi e notizie. Sii al corrente delle poche cose necessarie per vivere fraternamente e responsabilmente in questo mondo, ma fuggi il superfluo. Allora disporrai di antenne per captare le onde del Regno. - le preoccupazioni: essere solleciti per se stessi e per gli altri è cosa lodevole; ma quanti affanni inutili, e a volte anche ridicoli! Dio sarebbe certamente molto felice di prendere su di sé tante nostre preoccupazioni, appena volessimo affidargliele. - lgitazione: è la psicosi della vita moderna. "Si conduce una vita da pazzi", mi scriveva parlando di sé una persona matura, già avanti negli anni. All'opposto della distrazione c è il raccoglimento. Da ra o ri, doppio prefisso che indica ripetizione o avvicinamento, e cogliere: mettere insieme i frammenti dispersi del proprio essere; dare all'essere e all'agire umano la necessaria colonna vertebrale. Come salvaguardare questo raccoglimento nel turbine della vita attiva? Attraverso l'operazione diga. Sotto la finestra del mio romitaggio scorre un rapido corso d'acqua; nei periodi di piena si crasforma in un torrente impetuoso e minaccioso; allora la corrente è spesso così irruente da infrangere i margini, sradicare gli alberi, rotolare le pietre, minacciando i terreni coltivati. Che fare? I boscaioli e i contadini rompono l'impeto della corrente contrapponendole una serie di dighe. É L'operazione diga che in riferimento alla meditazione ho cercato di illustrare spiegando la parola vivere. e Disciplina della vita. Di tutta la vita. Significa: coricarsi a un'ora ragionevole e alzarsi di buon mattino; avere il controllo dei propri atteggiamenti, sia che siamo in piedi o seduti, in riposo o in movimento; lavorare con ordine e coscenziosa applicazione qualunque sia la nostra occupazione; imporci un uso intelligente e moderato del giornale, della radio, della televisione; esercitarci nelle piccole rinunce e lasciar cadere gli svaghi e le distrazioni superflui. Gli autori spirituali sono unanimi nel mettere in stretta relazione la disciplina della vita e la vita di preghiera, Il più categorico e il più autorevole è s. Giovanni della Croce. Le sue parole ci fanno tremare. Non potendole mettere in pratica, ascoltiamole con cuore umile: "la luce dell'unione divina - dice non può stabilirsi nell'anima, se prima non ha mortificato in se stessa tutti gli affetti verso le creature". Tali affetti sono: "l'abitudine di parlare molto, un piccolo ataccamento di cui non ci si vuole mai liberare - a un oggetto, una 287
persona, un vestito, un libro, un certo tipo di cibo, alcuni piccoli desideri di sessualità o curiosità. Finché l'anima sarà dominata da queste imperfezioni, è nelI'impossibilità di realizzare un vero progresso. Che differenza fà, infacti, se l'uccello è trattenuto da un filo leggero e sottile o da una fune? Per quanto leggero e invisibile sia il filo, egli vi resta impigliato come a una grossa fune". 3. Vivere felici Nel niyama, secondo grado dello yoga, si propone agli adepti di vivere - in vista della meditazione - in un clima interiore di purezza, contentezza, umiltà, semplicità, padronanza di sé, benevolenza, pace, gioia. In fondo, un preludio alle Beatitudini evangeliche. Le Beatitudini costituiscono lo spazio privilegiato di tutta la vita di orazione, la sorgente più pura e abbondante di quel fiume che è uno stile di vita meditativo. Sì,l'orazione è la caratteristica: - dei poveri, degli umili di cuore, dei liberati da se stessi; - dei miti, dei non viulenti, degli amici della conversazione pacifica, rispettosa delle opinioni altrui; - dei misericordiosi, il cui giudizio è quello dell'amore; - dei puri di cuore, che guardano a Dio con gli occhi del fanciullo; - degli artefici di pace che, avendola costruita in sé, di essa si rivestono come di un mantello; - dei perseguitati che preferiscono subire piuttosto che imporre, obbedire piuttosto che comandare, soffrire piuttosto che far soffrire. Una corrente di vita unisce tra di loro gli uomini delle Beatitudini. É la corrente della gioia. Una gioia tranquilla, profonda, sicura: "Beati voi poveri, beati voi miti, beati voi non violenti". La gioia è la prima e l'ultima parola di uno stile di vita meditativo. Ne è come il respiro. Per questo, vivete nella gioia! Vivete la gioia profonda delle Beatitudini. Allora, un giorno o l'altro, la contemplazione vi prenderà per mano e vi condurrà nelle sue dimore silenziose.
CINQUE CARATTERI DELL'UOMO SPIRITUALE Possiamo cogliere i tratti caratteristici dell'"uomo nuovo" (Ef 2,15) nell'episodio della risurrezione di Lazzaro. Egli è il simbolo dell'uomo risvegliato, illuminato, liberato, unificato e aperto. 288
1. Risvegliato "Vado a svegliarlo" (Gv 11,11), dice Crisco dell'amico di Betania. Risvegliato è il primo carattere dell'"uomo spirituale" (1 Cor 2,15). "L'uomo non vive, dorme. Con la morte si ridesta dal sonno", afferma un saggio musulmano. E l'antica liturgia battesimale si rivolgeva al catecumeno in questi termini: "Svegliati, tu che dormi, destati dai morti" (Ef 5,14). Una variante aggiunge: "e toccherai Cristo" o "Cristo ti toccherà". Già il salmista faceva appello al proprio spirito perché si risvegliasse alla lode di Dio come uno strumento musicale pronto a vibrare note di esultanza (Sal 56,9), e nutriva la certezza che al risveglio si sarebbe saziato della presenza del Signore (Sal 16,15). Presenza viva e efficace, come il tocco taumaturgico più volte registrato tra il corpo santo di Cristo e l'uomo desideroso di guarigione e di salvezza: "Quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo" (Mc 3,10); "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita" (Mc 5,28); "Gli presentarono dei bambini perché li toccasse" (Mc 10,13); "Stese la mano e lo coccò, dicendogli: Lo voglio, sii guarito" (Mc 1,41); "Gli toccò la lingua... e disse: "Apriti"" (Mc 7,34). All'uomo risvegliato e guarito dal contatto risanatore di Cristo, l'esistenza precedente appare come un non più tollerabile o procrastinabile stato di torpore e di sonno. Pigrizia, rassegnazione, mediocrità sono bandite. Egli ora vive, ridestato ai valori di cui si intesse la trama di un'esistenza intrapresa all'insegna dell'autentico. 2. Illuminato Dal buio di un'esistenza che giace "nelle tenebre e nell'ombra della morte" (Lc 1,79),l'uomo spirituale passa alla luce della vita: "Lazzaro, vieni fuori!" (Gv 11,43). "Cristo ti illuminerà" (Ef 5,14). "Illuminati" erano detti coloro che con il battesimo (Eb 6,4; 10,32) venivano "chiamati dalle tenebre alla meravigliosa luce" di Dio (1 Pt 2,9). La gloria del Tabor si irradia sui "figli della luce" (Lc 1G,8. Cf Ef 5,8;1 Ts 5,5) e li trasfigura in esseri deiformi. "Un tempo tenebre, ora invece sono diventati luce" (Ef 5,8) e "luce del mondo" (Mt 5,14). Illuminati dalla "luce di Cristo" risorto, "gli occhi del cuore" (Ef 1,18) penetrano nel mistero, mentre quelli del corpo, divenuti 289
"schietti", lasciano trasparire la luce dell'anima "come quando la lucerna illumina con il suo bagliore" ( ,c 11,36). L'uomo finalmente vede e tutto gli appare come è. Chi lo incontra si dichiara lieto di "camminare alla sua luce" (Is 60,3). 3. Liberato L'uomo non nasce libero, ma lo diventa. La pratica della vita spirituale lo affranca dalle schiavitù esteriori e interiori, la peggiore delle quali e come la sintesi di tutte è "il timore della morte" (Eb 2,15). "Radicato nella libertà con cui Cristo ci ha liberati" (Gal 5,1), egli diventa a sua volta liberatore. I "segni" della sua fede si traducono in altrettante esperienze di liberazione. Allontanerà dal cuore degli uomini lo spirito del male. Supererà le barriere tra popoli diversi Potrà affrontare rischi e disagi della testimonianza evangelica e dell'impegno missionario. Guarirà quanti sono provati dalle sofferenze; e donerà loro salute (cf. Mc 16,17-18). L'uomo liberato sperimenta con immediatezza che dobbiamo considerare inalienabile soltanto ciò che non perderemmo in naufragio. Di conseguenza, non possedendo nulla, non è possedu da nulla. Tutto è vissuto come dono e la sua disarmante essenzialità predica incessantemente "l'unica cosa necessaria" (Lc 10,42): unica cosa necessaria! Una cosa sola voglio, una sola ricerco, una solo desidero! Una sola cosa mi è necessaria, il mio Dio e mio tutto! (J.-B. Bossuet). 4. Unificato L'uomo approdato all'unificazione interiore, ha integrato le contraddizioni dell'esistenza e ha raggiunto il centro "dove si unisce ha Dio" (Giovanni della Croce). "Cristo abita nei cuori in virtù d fede" (Ef 3,17) e "appare nel centro dell'anima come apparve agli apostoli senza passare per la porta" (Teresa di Gesù). Chi beneficia di una simile "rivelazione", trova il punto di convergenza di ogni aspetto della vita e il punto di congiungimento il Trascendente. Ciò che di solito ci rende dispersivi e lacerati, che sembra imporci di combattere simultaneamente su fronti contrapposti, ciò che pare asservirci a numerosi padroni, è integrau una sintesi superiore che si pone oltre "questo" e "quello", per va al fondo delle cose e coglie nel molteplice e nel diverso il trino che è Uno e l'Uno che è Trino. 290
E anche il male, questa realtà inassimilabile al bene, trova una sua ricomposizione nel progetto divino. Alla luce della "sapienza unificante che viene dall'alto" (Gc 3,17), il male può persino essere definito, e in certo senso essere vissuto, come "colpa felice". Addirittura, al dire di Giuliana di Norwich, come misterioso e "inevitabile" strumento di redenzione: "Il peccato è inevitabile, ma tutto sarà bene, e tutto sarà bene, e ogni specie di cosa sarà bene"j. 5. Aperto Infine,l'uomo spirituale è una persona spalancata sul mondo, che accoglie e che dona. Si offre alla vita, all'altro, a Dio, in totale disponibilità. I diaframmi dell'ego sono scomparsi, ogni intenzione captativa, ogni secondo fine cede il posto a un'attitudine di abbandono e di ricettività. Tutto è gratuità, tutto coopera al bene proprio (Rm 8,28), tutto è considerato esclusivamente in funzione della felicità altrui. L'uomo aperto dilata il cuore all'infinito e lo offre incondizionatamente in abitazione ai suoi fratelli. Essi vi possono trovare sempre una dimora sicura e attingervi pace, verità, gioia, fiducia, benevolenza e amore. Non vivendo più per se stesso (2 Cor 5,15), ma esclusi vamente per il suo Dio cui "aderisce" (Ger 13,11) nella lode e nella gloria,l'uomo unificato e aperto ha raggiunto "l'integrazione di tutte le sue facoltà, la purificazione dei suoi pensieri, la spiritualizzazione dei suoi sentimenti, la profondità e la perseveranza della sua vita in Dio" (Paolo VI, Evangelica tertzfzcatio,1971, 34). ' A causa del crescente inquinamento dell'ambiente è tuttavia difficile dare oggi dei precisi orientamenti in merito. In genere si osserva che la carne di maiale nutre la pesantezza, dispone all'obesità, e conduce alla brutalità; le carni rosse e sanguigne favoriscono la collera; li mentre i cereali incegrali recano forza e pace; i legumi verdi e le erbe selvatiche, freschezza e vivacità; la frutta e i latticini, purezza e dolcezza. Un regime a base di carni, di pesce affumicato, come pure il caffè ingerito in dosi ristrette eccicanti, comunicano al corpo un energia non superiore a quella che un colpo di sferza passa a un cavallo. Nei loro confronti sono invece assai più nutrienti il latte, i frutti della terra, il pane integrale, l'olio, il miele e lacqua pura. Ma anche questi consigli, come il seguente, devono oggi fare i calcoli con il generale inquinamento della natura, e la loro validità quindi è molto relativa. Un consiglio pratico: digiunando bevete abbondantemente acqua. Tutti sanno che la felicità vive di amore e di acqua fresca: sorella nostra acqua, utile, preziosa e casta ,. Utile: è infatti fatti una bevanda completa, che permette alluomo di sopravvivere a lungo senza mangiare. Preziosa: perché elimina, nella visuale del nostro discorso, le sensazioni troppo vive di fame; Casta: perché purifica e nello stesso tempo ritempra le forze dello spirito. j GIULIANA Df NORWICH, libro delle rivelazion%, Ancora, Milano 1984, pp.1G5-GG.
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METTERSI A PREGARE IN BUONA FORMA Chi intuisce l'opportunità di recarsi a meditare in buona forma dopo aver suscitato energia e freschezza nelle proprie membra, così da vincere la stanchezza e il torpore, o chi a meditazione compiuta avverte l'esigenza di ridare tono al proprio corpo fissato a lungo in uno stato di immobilità, può ricorrere a una serie di esercizi che proponiamo qui di seguito, non senza alcune avvertenze: 1. Come sappiamo, la vita si pone all'incrocio di due grandi fonti di energia: una è interna all'uomo e si trova racchiusa nei suoi organi detti appunto vitali,l'altra è esterna e si concretizza nell'aria, nella luce, nei cibi. L'uomo "vive quando queste due energie si incontrano. Occorre quindi rendersi consapevoli di possedere delle energie interiori che l'esercizio può suscitare e accrescere (si pensi a come ci si autoriscalda quando fa freddo...) e rendersi parimenti consapevoli delle energie che ci avvolgono e ci penetrano. 2. Punto significativo dell'incontro tra energia interna e esterna è il respiro. Gli esercizi che seguono vanno ritmati sul respiro. Se il respiro sarà intenso gli esercizi rivestiranno un carattere maggiormente energizzante, mentre se il respiro si fa calmo e profondo gli esercizi assumeranno un carattere maggiormente rilassante. Quest'ultimo effetto può essere favorito se si tengono gli occhi chiusi. 3. Gli esercizi riguardano successivamente parti diverse del corpo, chiamate a raggiungere un massimo di tensione, cui segue un'immediata distensione. E bene concentrare il movimento nella parte interessata, lasciando quanto più è possibile distese e quasi estranee le altre parti. La mente si trasferisce di volta in volta nel gesto che siamo chiamati a compiere o nella posizione che siamo invitati ad assumere, così da stabilire la maggior compenetrazione possibile tra fisico, psiche e spirito. Si tratta, in altri termini, di accordare il corpo che si ha con il corpo che si è. Gli esercizi ricalcano, con alcune modifiche, quelli in vigore tra i seguaci di Yogananda.
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esercizi di ricarica presi dal volume i segreti della meditazione di Kriananda le papagine vanno da 296 a 305 Esercizi di Ricarica 1 Doppio Respiro Con le braccia distese lateralmente all'altezza delle spalle, esalate con doppio respiro e portate le braccia di fronte finchè i palmi delle mani si toccano. Con doppia inalazione, portate le braccia indietro, tendendo tutto il corpo dal basso verso l'alto allo stesso modo di un'onda. Poi con doppia esalazione, invertite il senso e rilassate. Ripetete 5 volte. 2 Ricarica dei polpacci Fate oscillare la gamba dal ginocchio in giù. Tendete il polpaccio in avanti alzando la punta del piede e indietro sollevandola. Rilassate quando si arriva alle estremità dell'oscillazione. Ripetete 3 volte con la gamba sinistra, fate la rotazione della caviglia e poi ripetete 3 volte alla destra. 3 Rotazione delle caviglie Tendete leggermente e ricaricate la caviglia ruotandola in piccoli cerchi 3 volte in ogni direzione. (Fate questo dopo la ricarica del polpaccio ad ogni lato). 4 Ricarica del polpaccio-avambraccio e coscia-braccio Tendete il polpaccio e l'avambraccio sinistro contemporaneamente (tendendo bassa, media, alta tensione). Rilassate e tendete la coscia e il braccio sinistro contemporaneamente. Fate questa sequenza per 3 volte alla sinistra e 3 alla destra. Poi tendete entrambi i polpacci e entrambi gli avambracci contemporaneamente. Rilassate e tendete insieme cosce e braccia. Ripetete 3 volte. 5 Ricarica del petto e natiche Tendete e rilassate prima a sinistra poi a destra il pettorale e la natica contemporaneamente. Ripetete 3 volte. 6 Ricarica del dorso Tendete e rilassate alternativamente la parte sinistra e destra dei muscoli dorsali, incominciando dal basso schiena (appena sotto la cintola), poi a metà (appena sotto le scapole) ed infine in alto (appena sotto il collo). Ripetete 3 volte per ogni parte. 7 Rotazione delle spalle Appoggiate le mani sulle spalle e ruotate le braccia con ampi cerchi tre volte in una direzione e tre volte nell'altra. Assicuratevi di muovere le spalle non solo le braccia. 8 Ricarica della gola Tendete i muscoli della gola in avanti ed alternativamente a sinistra e a destra. Ripetete 3 volte. 9 Ricarica del collo Portate la testa all'insù con tensione nel collo e poi abbassatela all'ingiù, rilassando, fino a che il mento tocca il petto. 10 Rotazione del collo Ruotate la testa con piccoli cerchi (con tensione nel collo) 3 volte in una direzione e 3 volte nell'altra.Ripetete con ampi cerchi e senza tensione altre 3 volte per direzione. 11 Assestamento vertebre sacro-lomabri Con i piedi leggermente divaricati e le gambe distese, ruotate la parte superiore del busto, spalle e braccia in una direzione mentre ruotate le anche e la parte inferiore del busto nella direzione opposta (con un movimento veloce). Alternate la rotazione alla sinistra e alla destra per 3 volte. 12 Rotazione della spina dorsale Iniziate con gambe divaricate e le mani sui fianchi. Piegatevi in avanti e ruotate il busto con ampi cerchi 3 volte in una direzione e 3 nell'altra. 13 Stiramento della spina dorsale (Piegamento da un lato all'altro) Con le mani appoggiate sui fianchi e le gambe divaricate, mantenendo in tensione la spina dorsale, lentamente piegate la parte superiore del busto a sinistra e poi a destra. Mantenete la parte inferiore del busto ferma e la testa in linea con la spina dorsale. Ripetete 3 volte. 14 Assestamento spinale Piegatevi con il busto in avanti, poi premendo con le nocche dei pugni ai lati della colonna vertebrale risalite ed arcuatevi all'indietro. Incominciate la pressione alla base della spina dorsale e ripetendo risalite ai lati delle vertebre superiori. 15 Assestamento vertebre toracico-cervicali Con le braccia distese all'altezza delle spalle, i piedi divaricati e le anche ferme, ruotate la parte superiore della spina dorsale da lato a lato (con tensione nelle braccia). Ripetete 3 volte.
16 Colpetti sul cranio ed esercizio della memoria Colpite il cranio con le nocche delle dita. 17 Massaggio del cuoio capelluto Premete i polpastrelli delle dita sulla testa e fate dei piccoli cerchi concentrici su tutto il cuoio capelluto (non solo frizionate la testa ma muovete il cuoio capelluto). 18 Massaggio del midollo allungato Con le tre dita centrali delle mani massaggiate in senso circolare la incavatura sotto la nuca 3 volte in un senso e 3 nell'altro. Successivamente sollevate con tensione la testa contro le dita e poi rilassate abbassandola contro il petto. Fate questa sequenza 3 volte. 19 Ricarica dei bicipiti Con le dita delle mani intrecciate sopra la testa, tendete e rilassate il muscolo. Incominciate dal sinistro poi il destro, 3 volte per parte. 20 Ricarica delle venti parti del corpo a) Tendete tutti i muscoli del corpo dal basso verso l'alto con una doppia inspirazione e quindi rilassate con doppia esalazione. b) Tendete e rilassate singolarmente, ciascuna delle 20 parti del corpo, nel seguente ordine: piede sinistro, piede destro, polpaccio sinistro, polpaccio destro, coscia sinistra, coscia destra, gluteo sinistro, gluteo destro, addome, stomaco, avambraccio sinistro, avambraccio destro, braccio sinistro, braccio destro, pettorale sinistro, pettorale destro, collo sinistro, collo destro, collo parte anteriore, collo parte posteriore. c) Tendete nell'ordine precedente le 20 parti del corpo, mantenendo la tensione man mano che praticate (con una lunga doppia inspirazione). Vibrate con tensione, e poi rilassate i muscoli nell'ordine inverso, con una doppia esalazione. 21 Sollevamento pesi Partendo con le braccia distese lungo i fianchi, con i pugni chiusi rivolti l'uno verso l'altro, sollevate le avambraccia in alto con tensione, come se sollevaste dei pesi. Rilassate e poi con tensione spingete di nuovo giù i pesi. Rilassate e ripetete 3 volte. 22 Doppia respirazione (con i gomiti piegati) Con le braccia ai lati e piegate ad angolo retto, esalate con doppio respiro finchè i gomiti si toccano di fronte al petto. Inspirate, tendendo tutto il corpo dal basso verso l'alto e portando le braccia piegate di nuovo ai lati. 23 Sollevamento pesi laterale Con i pugni chiusi e i gomiti piegati ai lati della testa, spingete i pesi, distendendo le braccia ai lati, all'altezza delle spalle. Rilassate e quindi con tensione nelle braccia, tirate di nuovo i pesi verso la testa. Ripetete 3 volte. 24 Rotazione delle braccia (in piccoli cerchi) Cominciate con le braccia distese ai lati, all'altezza delle spalle, i pugni chiusi, palmi verso l'alto (e leggermente in avanti). Ruotate le braccia più vlte in piccoli cerchi con crescente tensione. Ripetete nel senso opposto. 25 Sollevamento pesi in avanti Partite con i pugni chiusi vicino alla fronte, i palmi rivolti in avanti. Distendete le braccia con tensione davanti a voi, come se spingeste dei pesi. Rilassate e tirate i pugni alla fronte come se spostaste dei pesi. Rilassate. Ripetete 3 volte nelle due direzioni. 26 Ricarica delle dita Con le braccia distese ai fianchi, aprite e chiudete parecchie volte le mani. Stringete forte le dita contro i palmi delle mani. Ripetete con le braccia distese lateralmente all'altezza delle spalle, quindi davanti e poi in alto. 27 Ricarica delle braccia in quattro fasi Inalando portate con tensione le braccia al petto e distendetele ai lati, poi tiratele al petto ed esalando distendetele di nuovo in avanti e rilassate. Quindi con doppia inalazione portate le braccia in alto ed esalando doppio respiro, riportate le braccia giù. 28 Sollevamento del braccio (con doppio respiro) Alzate in alto il braccio sinistro con tensione e doppia inspirazione, mentre vi alzate sulle punte dei piedi. Esalando rilassate il braccio nuovamente al vostro fianco. Ripetete con il braccio destro. Ripetete da entrambi i lati per 3 volte. 29 Stiramento da lato a lato Cominciate con le braccia distese ai fianchi e le gambe leggermente divaricate. Distendete il braccio destro con tensione fin oltre la testa, piegando le anche verso sinistra. Ripetete con il braccio
sinistro. Fate questo esercizio 3 volte per ogni lato. 30 Camminare sul posto Camminate sul posto con un esagerato passo di marcia, sollevando le ginocchia in modo che le cosce siano parallele al suolo e oscillando le braccia come nella marcia. Ripetete 25-50 volte. 31 Corsa sul posto Correte sul posto con un passo saltellante, alzando le ginocchia e toccando i glutei con i talloni, se riuscite. Ripetete 25-50 volte. 32 Scherma Con il braccio sinistro al petto e il piede sinistro portato in avanti, esalate con doppio respiro e con tensione nella parte sinistra del corpo, spingete il braccio destro diritto davanti a voi (come se chiudeste una porta pesante). Inalate doppio respiro e ritornate alla posizione a piedi uniti. Rilassate entrambi i pugni tenuti al petto e cambiate lato. Alternate braccia e gambe per 3 volte da ogni lato. 33 Rotazione delle braccia (in grandi cerchi) Inalate sollevando le braccia ed esalate abbassandole. Fate questo 3 volte. Quindi invertite il senso di rotazione per altre 3 volte di seguito. 34 Esercizio per lo stomaco Esalate completamente, piegandovi in avanti in modo da appoggiare le mani sulla parte alta delle cosce. Senza inalare, contraete all'indietro lo stomaco e tenetelo contro la spina dorsale. Inalate e raddrizzatevi. Rilassatevi. Ripetete, questa volta portando lo stomaco più volte dentro e fuori, ritmicamente. Rilassatevi. Ripetete di nuovo, questa volta ruotando i muscoli addominali. 35 36 37 Come esercizi 1 2 & 3 38 Rotazione delle gambe in grandi cerchi (ricarica dell'anca) Portando il peso del corpo sul piede destro, ruotate la gamba sinistra in grandi cerchi (con il piede sinistro che sfiora appena il suolo). Ruotate in un senso e nell'altro. Cambiate gamba e ripetete 3 volte per ogni direzione. 39 Doppio respiro (senza tensione) Rilassatevi completamente. Portate le mani ai lati della testa. Con un doppio respiro lento e rilassato, lasciate che le braccia si distendano lentamente davanti a voi man mano che espirate. Godete della breve pausa tra il respiro esalante e il respiro inalante. Poi con doppia inalazione riportate le braccia ai lati della testa. Concentrate l'attenzione al punto tra le due sopracciglia. Sentitevi rilassati, in pace e ricaricati. Ripetete 6-10 volte.
RAGGIUNGERE L'UNIFICAZIONE: ESERCIZI PRELIMINARI Proponiamo tre esercizi che puntano soprattutto sull'allungamento/stiramento della colonna vertebrale, la cui posizione eretta ma non tesa influisce grandemente sull'esercizio meditativo. Siccome gli esercizi vanno ritmati sul respiro, ciò contribuisce moltissimo al raggiungimento dell'unificazione interiore. Il corpo si rende plastico e la mente si adagia sul flusso respiratorio, concentrandosi in esso e immergendosi nei movimenti attraverso di esso. Un ultimo esercizio, infine, è di una singolare efficacia nell'introdurci in meditazione. In piedi, posizione eretta. Diventate per un istante consapevoli del vostro corpo e controllate la posizione. Decantate eventuali tensioni contraendo leggermente i muscoli e rilassandoli. Correggete evencuali errori di posizione, fino a raggiungere un perfetto equilibrio. In un secondo momento rallentate e approfondite leggermente la respirazione, senza sforzare. Fermatevi in apnea per 1/2 secondi dopo l'inspirazione. Diventate consapevoli del respiro. Respirate così 4/5 volte. Scendete quindi nel profondo inchino, consapevoli del suo significato simbolico e dei benefici che ne derivano alla spina dorsale. Scendete in profondità, ma senza forzature; lasciate cadere a peso morto nell'espirazione. Risalite lentamente fino a incurvare leggermente il capo e la schiena nella direzione opposta. Sedetevi nella posizione che vi riesce più comoda e riprendete coscienza del respiro, fermandovi in apnea dopo l'espiro per 1/2 secondi. Respirate così 4/5 volte e poi sospendete l'esercizio e rimanete tranquilli.
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A) Inrpirando si ponano le braccia verso l'alto, congiungendole sopra i1 capo. Tirare e allungare il corpo all'espiro. Ridiscendere adagio con le braccia aIl'inrpiro, rilasciando il corpo. Ruotare la testa $avvicinando il mento al petto in fase di espiro. Al successivo inrpiro riprendere l'esercizio da capo 3/4 volte.. B) Inspirando portare le braccia in alto. All'espiro, allungare verso l'alto. Rilasciare all'inspiro. Al nuovo espiro piegare leggermente le ginocchia, mantenendo la colonna ben allungata. Radrizzare le gambe all'inspiro e tornare a piegarle all'espiro per 3/4 volte. Successivamente inspirare ed espirare per alcune volte mantenendo la posizione a gambe piegate. Concludere salendo all'inspiro e lasciando cadere le braccia all'espiro.
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1. Sedersi nella normale posizione di meditazione
2. All'inspiro piegare lentamente la testa all'indietro, incurvando la schiena
3. Trattenere il respiro e, mantenendo la schiena incurvata, leggermente la testa in modo da avvicinare il mento al petto 308
ruotare
4. all'espiro si ritorna in posizione di partenza. Dopo 4 5 esercizi fermarsi in posizione di meditazione. 4 in ginocchio, ginocchia ravvicinate, piedi allungati all'indietro, pollici ravvicinati, talloni divaricati.Sedersi in mezzo ai talloni. piegare il busto in avanti, pogiando gli avanbracci sul suolo. Gomiti uniti, poggianti contro le ginocchia. Palmo delle mani volte verso l'alto.Decontrarre il collo per permettere alla testa di cadere naturalmente in avanti. Abbassare le palpebre e dirigere, senza sforzo,l'attenzione e poi lo sguardo verso l'alto della fronte. Mantenere questa posizione tutto il tempo necessario perché si verifichi la decontrazione dei muscoli, iI rilassamento del corpo,l'allentamento della respirazione, la calma dei pensieri. L'esercizio può essere praticato con i piedi in posizione verticale o rientrante. Passare quindi a una comoda posizione meditativa.
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IL CORPO SI FA LINGUAGGIO I grandi maestri spirituali suggeriscono di accompagnare la preghiera con opportune posizioni, che hanno significativi riscontri con le asana.r. Eccone una esemplificazione non priva d'interesse, legata ai quattro momenti in cui si snoda il cammino spirituale degli esercizzi: di s. Ignazio. Tra parentesi il rimando ai numeri del testo. La mia esistenza, ripensata alla luce del piano divino, si presenta: 1. Deformata dal peccato. L'uomo è creato per lodare, venerare e servire Dio nostro Signore" (23). (Assumere la posizione della foglia piegata: braccia riversate all'indietro palme verso l'alto) '
Meditazione del proprio peccato e appello alla misericoordia di (Prostrarsi a terra e sollevarsi lentamente con il busto)
La meditazione si fa supplica, implorazione, offerta, in liberazione dal peccato e al desiderio di una vita nuova (62-63) 310
Dio
ordine
e
(45-61)
alla
2. Rinfornzata attraverro la converrlone "Chiedere la grazia perché io non sia sordo alla chiamata di Cristo, ma pronto e diligente nel fare la sua santissima volontà" (91)
Meditazione dell'Incarnazione: Conoscere intimamente il Signore che per me si è fatto uomo, perché lo ami e lo segua di più (101-109) (Assumere una posizione di resa incondizionata e di abbandono, vivendo in tal modo la morte mistica" che è totale disponibilità a Dio)
Meditando la natività di Cristo, riflettere "come il Signore sia nato in somma povertà per poi morire in croce dopo tanti stenti di fame e di sete, di freddo e di caldo, di ingiurie e di affronti; e tutto questo per me" ( 116) (Imitare nella posizione il Crocifisso)
Passare alla assumendo un gran-de pace 311
meditazione sulla scelta e sulla riforma della atteggiamento raccolto (posizione esicasta) e
vita (110-189), immerso in una
3. Conformata a Cristo e posta alla sua sequela
Meditando sulle sofferenze di Cristo (190ss), suscitare nel proprio cuore adolore, afflizione e vergogna perché il Signore va alla passione per i miei peccati (193)
"Ciò che bisogna chiedere nella passione è dolore con Cristo addolorato, tormento con Cristo tormentato, lacrime, intima pena per la grande pena che Cristo soffre per me" (203)
"Ricordarmi frequentemente delle sofferenze, delle fatiche che Cristo nostro Signore sopportò da quando nacque fino a quel mistero della passione in cui ora mi trovo" (206)
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4. Confermata dallo Spirito Santo
"Chiedere intima conoscenza per il tanto bene ricevuto, perché, rendendomene pienamente conto, possa in tutto amare e servire la sua divina maestà" (233) "Valutare con molto affetto quanto Dio ha fatto per me e quanto mi ha dato..." (234)
Meditazione della Risurrezione: "Rallegrarmi e godere grande gloria e gioia di Cristo nostro Signore" (221 )
intensamente
per
la
Accoglimento del dono dello Spirito e offerta della propria vita: "Accogli, Signore,l'intera mia libertà. Accetta l'offerta della mia memoria, del mio intelletto e di ogni mia volontà. Tutto ciò che io sono, e possiedo, Tu me lo hai dato: tutto io ti restituisco e mi consegno pienamente alla tua volontà. Dammi solo il tuo amore, con la tua grazia, e io mi sento ricco abbastanza, e non ti domando altro" (234) 313
PREGARE CON IL CORPO Posizione numero 1 Seduto su una sedia gambe unite, dorso delle mani sulle ginocchia,mani aperte Posizione numero 2 In ginocchio schiena eretta, dorso delle mani sulle ginocchia, mani aperte. Posizione numero 3 In ginocchio palmo delle mani pogiato sulle ginocchia. posizione numero 4 seduto a gambe incrociate con il piede destro sotto il polpaccio sinistro e viceversa, mani sulle ginocchia. posizione 5 posizione yoga con le mani sulle ginocchia e il pollice e indice a cerchio. La posizione di chi sta seduto, indica ascolto / riflessione / contemplazione 314
posizione 1 posinione eretta con mani e braccia che indicano lode e gioia braccia aperte verso l'esterno e gli avanbracci chiusi.
con
posizione numero 2Braccia piegate verso le spalle con mani aperte e palmo delle mani verso l'esterno posizione numero 3 in piedi con le mani unite con i mignoli vicini. posizione numero 4 in piedi mani incrociate sul petto. posizione numero 5 in piedi con le mani congiunte in segno di preghiera all'altezza del petto. I.le posizioni delle mani e delle braccia, indicano lode e gioia / offerta / fiducia disposizione a ricevere ildono di Dio / riconoscenza ILa posizione di chi sta in piedi, indica attenzione prontezza disponibilità alla sequela 315
posizione numero 1 in piedi con le mani leggermente inchinato in avanti.
giunte
all'altezza
Posizione numero 2 in ginocchio una gamba in avanti con il piede terra mani giunte alla bocca.
della
bocca
posato
in
posizione numero 3 in ginocchio con il corpo eretto le braccia tese verso basso leggermente aperte.
il
posizione numero 4 terra tra le mani.
in ginocchio seduto sui talloni con la testa
poggiata
a
posinione numero 5 sdraiato a terra a pancia sotto con il capo poggiato sulle braccia che stanno poggiate in avanti. 1 La posizione di chi s'inchina profondamente o genuflette, indica riconoscimento della presenza di Dio presa di coscienza di ciò che siamo di fronte a lui La posizione di chi si prostra, indica adorazione supplica pentimento 316
2. INDICE ONOMASTICO E CONTENUTISTICO Sono elencati termini, autori e opere di maggiore rilievo. Si integrino questi dati con la bibliografia. ADAM DE PERSEIGNE (+1221). Abate benedettino, autore di sermoni e di lettere in cui, fra l'altro, si esalta il silenzio come amico della pace e della tranquillità. AGOSTINO, santo (354 30), dottore della chiesa latina e principe dei mistici cristiani. AL-HALLAG (858-922). I1 più grande mistico musulmano, morì martire pregando per i suoi carnefici. sosteneva che la via divina è l'amore che annulla ogni differenza tra l'amante e l'amato. AMBROGIO, Santo (339/40-397). Padre e dottore della chiesa latina e vescovo di Milano. AMIDA, V. BUDDHA. L'amidismo è una corrente del buddhismo giapponese che vede nel 'Buddha il salvatore benevolo e compassionevole e gli rende un culto devoto. ANACORETA. Monaco vivente in solitudine, pec lo più nel deseno. ANONIMO inglese del sec XIV. É autore della Nube della non-conoscenza e di alcri scritti, dove addita una prassi contemplativa basata sulla ricerca del "nobile e amoroso nulla" dell'uomo attraverso cui ci si apre all'"alco e santo tutto" di Dio. ANTONIO da Padova, santo (1195c-1231). Predicatore francescano, dottore della chiesa. ANTONIO il GRANDE, Santo (250c-35G). Abate egiziano, padre del monachesimo cristiano. APICE DELLA MENTE. É la punta estrema dello spirito che comunica con il divino. APOFASI/KATAFASI. Indicano rispettivamente la via negativa e la via positiva che ci rapporta a Dio. In base alla prima nessun discorso è adeguato a Dio. In base alla seconda, si può parlare di Dio quantunque solo in modo analogico. ARIDITà . Secondo Giovanni della Croce è il non trovare alcun gustom" nelle realtà e negli esercizi Spirituali. Assunta consapevolmente, quest attitudine dissecca le radici dell'ego e accresce il desiderio puro di Dio. ASCESI. Designa l'attitudine (letterario impegno) con cui l'uomo percorre il SENTIERO SPIRITUALE (v.). ASHRAM. Eremitaggio o monastero indù. ASPIRAZIONE. V. ORAZIONE. ASSORBIMENTO. Esperienza di chi, perfettamente rientrato in se stesso, si immerge nel divino. D.ESTASI. ATTACCAMENTO ALL'IO. Percezione della propria personalità come Realtà assoluta, e non contingente. Porta a considerare e a giudicare tutto in rapporto a sé stessi, e è causa di illusione, delusione, sofferenza. V. MORTE MISTICA. ATTENZIONE COSCENTE o VIGILANTE. V. CONSAPEVOLEZZA. AUROBINDO Ghose, sri (1872-1950). Poeta, filosofo e mistico, sommo rappresentante dell'induismo contemporaneo, cui diede una veste moderna di grande elevatezza spirituale. Autore della sintesi dello yoga. AVATARA. Nell'induismo, le incarnazioni specialmente di Vishnù (v. TRIMURTI) in forme umane o subumane a scopo salvifico. BASILIO il GRANDE, santo (330c-379). Padre e dottore della chiesa greca. Nelle regole fissò le basi del monachesimo orientale. BATTISTA da CREMA (1460c-1534). Riformatore domenicano, padre spirituale di s. Gaetano Thiene e di s. Antonio M. Zaccaria, autore di opere dalla robusta intonazione ascetico-mistica. 317
BENEDETTO da NORCIA, santo (480c-547c). Pcomosse il monachesimo in Occidente, fissandone spirito e ordinamenti nella Regola. BENEVOLENZA. Atteggiamento interiore che porta ad amare gli altri più di noi stessi e a trattare tutti gli esseri viventi come la propria "madre", desiderando la loro felicità e impegnandosi disinteressatamente per la loro salvezza. BERNARDO da CHIARAVALLE, santo (1090/I-1153). Mistico e dottore della chiesa. BHAGAVAD GITA, Il canto del Beato. Testo sacro dell'induismo (200c a.C.), che conclude la rivelazione dei VEDA (v.). Protagonista è Dio personale (Krishna) che si rivela al proprio devoto (Arjuna) con insegnamenti di singolare elevatezza. BIBBIA. Scritture cristiane distribuite nell'Antico e nel Nuovo Testamento, abbracciano un periodo che va dalle origini del mondo alla prima generazione cristiana. Gli scritti in essa raccolti vanno dal XII sec. a.C. al I sec. d.C. É citata secondo le abbreviature d'uso. BODHICITTA. Mente (citta) illuminata (bodhi), ispiratrice di condotta saggia e benevola. BODHISAttva É l'essere (sattva) illuminato che consacra la propria esistenza a beneficio di tutti gli uomini, perché come lui raggiungano L'illuminazione e la liberazione. É portatore di benevolenza universale. BONAVENTURA da BAGNOREGIO, santo (1221-1274). Mistico francescano, dottore della chiesa. BOSSUET Jacques Bénigne (1G27-1704). Vescovo e oratore di primo ordine, combatté contro il Quietismo (v.). BUBER Martin (1878-19G5). Mistico ebreo, profondo conoscitore del chassidismo, corrente spirituale che esalta la comunione gioiosa e devota con Dio salvatore. BUDDHA (567c-487 a.C.). É designato con il termine di "illuminato" Gautama Shakiamuni, fondatore del buddhismo. BUDDHISMO. Dottrina e prassi di vita che si basano sulla comprensione esistenziale della quattro nobili verità: 1. Tutto è dukkha (imperfezione, impermanenza, vacuità, insostanzialità); 2. L origine del dukkha sta nel desiderio; 3. Per sopprimere il dukkha bisogna annientare il desiderio; 4. La via che conduce alla soppressione del dukkha è l'ottuplice sentiero, ossia: retta comprensione delle quattro nobili verità; retto pensiero nell'intraprendere una via di distacco, amore, non-violenza; retto modo di parlare; retto modo di agire; retto modo di vivere; retto sforzo nel superare gli ostatoli; retta attenzione verso se stessi o consapevolezza; retta concentrazione. $II B. si è suddiviso in tre grandi correnti: il Theravada, o dottrina degli anziani (B. originario), il Mahayana o grande veicolo che si sviluppò nel Tibet in vera e propria religione e il Vajrayana o veicolo di diamanre. CARISMI. Doni gratuiti di Dio che si manifestano in inclinazioni e attitudini particolarmente ordinate al bene altrui e alla promozione della fede nella vira degli uomini. CATERINA da SIENA, santa (1347-1380). Mistica del terzordine domenicano e dottore della chiesa. CAUSA ED EFFETTO. Processo naturale o legge del KARMA (v.), per cui pensieri e azioni positivi portano come risultato felicità e soddisfazione, mentre quelli negativi infelicità e sofferenza. CHAKRA - Centri psico-fisici che, secondo la fisiologia mistica dell'induismo, sono attivati dall'energia di KUNDALINI (v.) e si trovano disposti: 1. alla base della persona (muladhara); 2. all'altezza dei genitali (svadhisthana); 3. nella regione ombelicale (manipura); 4. nella regione cardiaca (anahata); 5. nella zona laringea, all'altezza della gola (vishuddha); 6. nell'intercilio (ajna) (v. OCCHIO SPIRITUALE); 7. alla sommità del capo (sahasrara) (v. APICE DELLA MENTE).
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CHIACCHIERICCIO MENTALE V. CONSAPEVOI.R77.A CIPRIANO, santo (200c-258). Vescovo di Cartagine, asseriva che non può avere Dio per padre chi non ha la chiesa pe madre"r. CLAUDEL Paul (1868-1955), poeta francese, fca gli interpetri più ragguardevoli del rinnovamento cristiano contemporaneo. CONFESSIONE. Nella pratica cristiana indica il sacramento con cui si celebra la misericordia di Dio nella remissione dei peccati per opera della morte risurrezione di Cristo. COMPASSIONE. Atteggiamento di comprensione della sofferenza delle creature umane e desiderio che tutti gli esseri viventi possano affrancarsi dalla sofferenza e dalle sue cause. É L'atteggiamento che caratterizza il santo cristiano o il bodhisattva orientale. CONSAPEVOLEzZA. É detta anche attenzione cosciente o vigi)ante, in quanto esige una presa di coscienza immediata e una identificazione totale con ciò che sentiamo, immaginiamo, pensiamo, diciamo, facciamo e viviamo. Esige il controllo del chiacchiericcio mentale e del tumultuare degli stati d'animo, che interferiscono negativamente in ordine al raggiungimento della contemplazione. CONTEMPLAZIONE - É il punto d'arrivo della pratica meditativa e consiste nella visione interiore non più mediata da parole, pensieri, immagini e sentimenti, del mondo divino, sia colto nel suo riflesso all'interno dell'uomo, sia percepito direttamente anche se in modo iniziale e confuso. Nella contemplazione la conoscenza d'amore fra Dio e l'uomo raggiunge il suo culmine e, a seconda che si consideri la parte di Dio o quella dell'uomo, si parla rispettivamente di contemplazione infusa (o passiva) e contemplazione acquisita (o attiva). Si distingue anche tra contemplazione naturale o filosofica (quando la mente si eleva alla suprema conoscenza dell'Essere e del Vero) e contemplazione religiosa, che è l'intuizione, la fruizione di Dio. CONVERSIONE. Termine di matrice biblica, che indica il ritorno a Dio. Nel cristianesimo i processi spirituali si pongono prevalentemente sulla linea del cuore, mentre nell'Oriente si accencua la dimensione mentale (v. ILLUMINAZIONE). CORSI DI MEDITAZIONE. Sono stages variamente distribuiti nel tempo (serie di sedute, settimane residenziali, ecc.), durante i quali si apprende a meditare per mezzo di insegnamenti e di esercitazioni pratiche. CUORE. É il centro della persona dove pensiero e volontà si unificano e stanno all'origine della nostra tensione ideale e della nostra attività pratica. Il cuore costituisce il simbolo e la sede privilegiata della presenza del divino nell'uomo. In questo senso è detto anche mente mistica. V. MENTE. DE CAUSSADE Jean-Pierre (1675-1751). Mistico gesuita, assenore dell'orazione di quiete, secondo l'insegnamento di Teresa d'Avila. DE FOUCAULD Charles (1858-191G). Dalla trappa passò nel deserto sahariano, vivendo nella povertà più assoluta e nella solitudine. Ci ha lasciato numerosi scritti. DE LUBAC Henci (viv.). Teologo gesuita, pioniere negli studi patristici e interreligiosi, soprattutto il buddhismo. DE MELLO Anthony (viv.) Gesuita indiano, fondatore di una scuola di spiritualità intenta a inculturare le tradizioni asiatiche in quelle cristiane. DEI VERBUM. Costituzione del concilio Vaticano II sulla rivelazione e le scritture tristiane (19G5). DHARMA. Termine complesso, indicante l'insieme di doveri morali e religiosi o ciò che risponde atl'intima vocazione dell'uomo e al suo supremo destino. Indica spesso I'insieme delle dottrine asiatiche. 319
DIKR. Preghiera del nome (v.) Caratteristica del misticismo musulmano. DIO. Realtà originaria e suprema, fine ultimo dell'esistenza umana. Se ne può avere una visione personale, comune a cutte le religioni e particolarmente accentuata nel cristianesimo, o cosmica, secondo l'adagio indú: eColui che riposa nella pietra si scuote nella pianta, si muove nell'animale, ama nell'uomo"n. V. INCARNA7IONE, RIVELAZIONE. DIONIGI L'AREOPAGITA (V-VI sec.). Pseudonimo di un mistico siriaco, rappresentante della via apofatica o dell'approccio ineffabile e silenzioso al mondo divino. DIREZIONE SPIRITUALE. Si intende con questo termine la funzione di una guida o di un amico spirituale che si accompagna a quanti intraprendono il cammino del proprio perfezionamento morale e religioso. DC)GEN Zenji (1200-1253). Diffuse in Giappone il buddhismo zen secondo la scuola Soto. É uno dei più elevati geni religiosi dell'umanità. DOMENICO di GUZMAN, santo (1170-1221). Fondatore dell'ordine domenicano, noto pec le sue esperienze di orazione gestuale. DONI DELLO SPIRITO SANTO. La presenza dell'amore di Dio (v. GRAZIA) nel cuore dell'uomo è tradizionalmente racchiusa in sette doni attribuiti allo Spirito santo (sec. Is 11, 2-3 Vg. sono: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, piecà, timore di Dio). ECKHART Giovanni (12G0c-1327). Domenicano tedesco, fondatore della mistica speculativa sulla linea di Dionigi l'Areopagita. Fu accusato di tendenze panteistiche. EGIDIO di ASSISI, beato (XIII sec.). Primo compagno di s. Francesco e grande contemplativo. I discepoli ne raccolsero i Detti, ricchi di afflato mistico. EGO. Indica l'uomo egocentrico che vive a porte chiuse, ripiegato su se stesso e guidato esclusivamente o prevalentemente da esigenze di appagamento, piacere, successo prestigio, calcolo, affermazione, sicurezza. Si oppone al vero Io o sé, che è l'uomo libero ince1 riormente, affrancato dall'illusione dell'egocentrismo e aperto al mondo, agli altri, a Dio. ELIADE Mircea (viv.) Tra i più qualificati studiosi delle religioni. ENOMIYA LASSALLE Hugo Makibi (viv.) Gesuita di cittadinanza giapponese pioniere nella trasposizione in ambito cristiano della pracica zen. EQUILIBRIO. Stato mentale in cui non si discrimina fra amico nemico e persona indifferente. L'equanimità verso tutti gli esseri è il presupposto indispensabile per lo sviluppo della benevolenza. EREMITA. Chi vive in solitudine per dedicarsi all'esclusiva ricerca di Dio. ESICASMO. Indica la preghiera di quiete (esichia) contemplativa e più in generale la spiritulità dell'Oriente cristiano greco-slavo. Coloro che la praticano sono detti esicasti. i; ESICHIO di BATOS (VI-VII sec.). Discepolo di Giovanni Climaco. FSTASI/ENSTASI. L'estasi è il vertice dell'esperienza contemplativa quando l'uomo è come rapito oltre se stesso e si immerge in Dio. I1 concetto di estasi richiama quello di enstasi: v. INTROVERSIONE. EUCARISTIA. É il sacramenco della Cena del Signore e della sua offerta d'amore al Padre per i fcatelG, compiuta sulla Croce. EVAGRIO PONTICO (345c-399). Uno degli esponenti più significativi della spiritualità della chiesa antica. EVDOKIMOV Pavel (1901-1970). Teologo greco-russo, il più rappresentativo della moderna ortodossiam. FEDE. Indic l'attitudine mentale e operativa di chi ispira la pcopria esistenza a principi e realtà trascendenti. É"comune a tutte le religioni, ma subisce diversificazioni di aaento a seconda del suo eoggettoe. 320
FONDO DELL'ANIMA. ll sé pcofondo in cui si incontra il Sé divino. FRANCESCO D'ASSISI, santo (1181-122G). É all'origine di un movimento spirituale di immediata adenema al vangelo e di gioioso rapporo con tutte le creature. FRANCESCO di SALES, santo (15G7-1G22). Vescovo e donore della chiesa, pcopone una spiritualit taratterizzata da dolcezza e discrezione. GANDHI Mohandas (18G9-1948). Genio politico e religioso dell'induismo, sostenne il primato della verit e della non-violenza. GAUDIUM ET SPES. Costituzione del concilio Vaticano II sulla chiesa nel mondo moderno (19G5). GIACULATORIE. Brevi espressioni di amore lanciate verso Dio come un giavellotto. V. MANTRA. GIOVANNI CASSIANO (3GOc-435c). Codificò nelle Collazioni o conferenze spirituali l'esperienza monastica antica. GIOVANNI CLIMACO (sec. VII). Autore della Scala Paradisi, dove fra l'altco si espone diffusamente la pceghieca esicasta (v. ESICASMO) e la lotta ai VIZI CAPITALI (v.). GIOVANNI CRISOSTOMO, santo (344/47-407). Padre e donoce della chiesa greca e vescovo di Costantinopoll, grande commentatore della Bibbia. GIOVANNI DELLA CROCE, santo (1542-1591). Carmelitano, riformatore della vita monastica dottore e sommo mistico cristiano, propone la via del nulla affenivo e effettivo per approdare a Dio. GIUDIZIO DI DIO. Più che un verdetto o una sentenza divina che sopraggiungono dall'esterno è la suprema rivelazione del segreto del cuore umano e la piena verità su noi stessi. Ma nel medesimo tempo è anche la suprema rivelazione del cuore di Dio, ossia del suo illimitaco amore che compie ogni tentativo per salvare cib che è perduto. Di conseguenza, per chi si accosta a Dio nell'umilt della fede, il giudizio è sinonimo di amore che salva. GIULIANA DI NOROPICH (1342-141G). Mistica inglese, autcice del libro delle rrvelazioni che ci offre una singolare penetrazione del mistero cristiano, permeata di autentica femminilità. GOLDSTEIN Joseph (viv.). Esponente occidentale fra i più accreditati della prassi meditativa VIPASSANA (v.). GRAZIA - Dono di amore che Dio elargisce agli uomini chiamandoli a condividere la sua vita. In ordine alla contemplazione, si parla di grazia ordinaria, relativa ai primi stadi dell'esperienza di orazione, e di grazia straordinaria, relativa agli stadi supremi. Sono dovuti alla grazia straordinaria anche fenomeni eccezionali che talvolta accompagnano la contemplazione (visioni, locuzioni, rivelazioni, crc.). GREGORIO MAGNO, santo (540-604). Pontefice romano e dottore della chiesa. Uno dei grandi mistici dell'Occidente latino. GREGORIO NAZIANZENO, santo (329-389). Vescovo di Costantinopoli e donore della chiesa greca. GREGORIO NISSENO (335c-395). Padre della chiesa greca, tra gli ispiratori più ragguardevoli della teologia cristianoorientale. GURU. Guida spirituale HARA. Indica propriamente le viscere e nella mistica giapponese sta per centro di gravit fisico e anche psichico e spirituale. ICONA. Immagine sacra dipinta con I'intento di favorire la penetrazione del mistero in essa raffigurato e di suscitare un arteggiamento di preghiera e di contemplazione. Sono celebri le icone dell'Oriente Cristiano.
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IGNAZIO di LOYOLA, Santo (1491-1556). Fondatore della Compagnia di Gesù e autore degli esercizi spirituali che regolano l'esperienza di un ritiro lungo l'arco di un mese intero IGNORANZA. In Oriente avidya, indica la mancanza di saggezza nella comprensione profonda della realtà e della vita. Sia le Scritture ccristiane che quelle asiatiche la considerano un veleno che allontana il cuore dal retto sentiero. ILLUMINAZIONE. Nella mistica asiatica indica il grado supremo del sentiero spirituale, quando si raggiunge la consapevolezza perfetta della realtà e del senso della vita. V. CONVERSIONE. IMMANENZA/TRASCENDENZA - Si tratta di due aspetti compresenti nell'esperienza religiosa. Il primo pone l'accento sulla presenza di Dio nel cuore dell'uomo (e di ogni realtà), il secondo sottolinea la superiorità di Dio rispetto all'uomo e a ogni creatura. IMPERMANENZA Così il buddhismo definisce la radicale finitezza e provvisorietà di ogni realtà fenomenica. La filosofia occidentale parla, nello stesso senso, di contingenza, ma riconosce, nel caso dell'uomo, un sustrato indistruttibile che è la sua più profonda essenza (anima o spirito). Per questo ogni singola persona è considerata unica e irripetibile ed è esclusa la reincarnazione (v.). INCARNAZIONE. In senso stretto è l'assunzione della natura umana da parte del Verbo di Dio (v. 'fRINITt ). In senso lato indica le manifestazioni di Dio diffuse in tutte le religioni, secondo le acdiverse economier (Ireneo) con cui Dio si comunica agli uomini. INFERNO. É la condizione di chi fallisce lo scopo della propria esistenza alla luce della suprema vocazione dell'uomo, che è trascendente e divina. Ha il suo equivalente in tutte le religioni, anche se con caratteri diversi. INTROVERSIONE. attitudine di chi lascia l'esteriore e entra nel proprio sé e di qui si apre all'esperienza del divino. INTUIZIONE. É la conoscenza diretta e immediata di una verità e si contrappone alla conoscenza di tipo discorsivo e anche immaginativo. Si tratta di un processo attribuito sia al cuore (v.) che alla mente (v.) che penetrano I'intima natura della realtà e quindi giungono a una conoscenza viva e partecipata, fino a identificarsi o a vibrare all'unisono con essa. IO. V. EGO. IRENEO, santo (II sec.). Padre della chiesa greca, vescovo e martire. É considerato il fondatore del metodo teologico cristiano. ISACCO il SIRO (o di NINIVE) (VII sec.). Eremita le cui opere ispirarono Simeone il Nuovo teologo (v.). JACOPONE da TODI (1230-1306). Poeta é mistico francescano. JAPA. V. NAMAJAPA. JEHUDAHAH tiAL-LEWI (1070/5-?). Poeta e apologeca ebreo, di nazionalità spagnola. KARMA - Indica, nelle dottrine orientali, lo stretto rapporto che intercorre tra ogni azione umana e i suoi effetti che, in base alla loro natura, influiscono positivamente o negativamente sulla vita dell'uomo, determinandone la sorte felice o infelice. KOAN. V. ZEN. KRISHNA. Divinità indù considerata come il più importante degli AVATARA (v.) o incarnazioni di Vishnù. Probabilmente richiama un personaggio storico. Il culto di K. è fondato sull'amore devoto o bhakti. KRISHNAMURTI J. (viv.). Di origine indiana e di formazione europea, è uno dei più noti maestri di meditazione. KUNDALINI. Energia psicofisica avvolta a mó di serpente (da cui il nome) alla base della spina dorsale. La meditazione risveglia Tale energia che passa attraverso canali e centri psichici o CHAKRA (v.). 322
LA COMBE Francesco (1640-1715). Barnabica, sostenne il primato della contemplazione iiinella vita di preeghiera. Fu accusato di QUIETISMO (v.) e per quesco imprigionato a vita. LANZA del VASTO (1901-1981). Seguace di Gandhi nella predicazione della non-violenza e fondatore della comunità dell'Arca. LAO TZU o TSE (III sec a.C.). E ritenuto autore del Te-tao-ching, il più importante testo sacro della Cina. Il Tao è la via che regola l'esistenza di ogni realtà. LA PIRA Giorgio (1904-1977). Terziario domenicano e sindaco di Firenze, sostenitore del, dialogo tra i popoli. LECTIO DIVINA - É il modo con cui la Bibbia è fatta strumento di preghiera e abbraccia quattro momenti:1. lettura, in spirito di ascolto di quanto Dio trasmette all'uomo; 2. meditazione, come intensa occupazione dell'animo che va discorrendo interiormente quanto Dio opera nella storia personale di salvezza rivissuta all'interno della grande storia di salvezza; 3. orazione, intesa come ritorno a Dio della parola di Dio, in un dialogo interiore; 4. contemplazione come attenzione silenziosa e amorosa in Dio. Vedi: ORAZIONE, MEDITAZIONE, CONTEMPLAZIONE. LE SAUX Henri, detto swami ABHISHIKTANANDA (1910-1973). Benedettino, con Jules Monchanin è fra coloro che hanno maggiormente penetrato il mistero dell'India, dove fondarono l'ashram di Saccidananda, nel Tamil Nadu. LIBERTt INTERIORE. Condizione di chi ha smesso di porre se stesso al centro degli avvenimenti, per cui rimane "indifferente" tanto alle lodi quanto agli insulti, tanto ai successi quanto ai fallimenti. Tale indifferenza non è apatia, ma piuttosto l'espressione di un estremo equilibrio interiore e di un intima conoscenza della realtà, che ci permettono di rispondere anche al male con il bene. É l'atteggiamento di chi si arteggia come osservatore o testimorte davanti alla realt. LIVELLI DELLA PERSONA. Corpo: riguarda il mondo fisico e le sensazioni percepite attraverso i sensi. Psiche: riguarda il mondo della sensibilità: emozioni, inclinazioni, affetti, sentimenti, ecc. Spirito: riguarda invece la nostr mente superiore, caratterizzata da intelligenza e volontà. Lo spirito è ciò che contraddistingue l'uomo in quanto tale e non esclude corpo e psiche, ma si ingloba nella propia vita è come ne è condizionato. LOTZ Johan B. (viv.). Gesuita, maestro di meditazione. ., LUMEN GEN'TIUM. Costicuzione del concilio Vaticano II sulla chiesa (1964). MANDALA. Indica una raffigurazione mistica, fatta con opportuni criteri, la cui contemplazione conduce a un esperienza di così profonda immedesimazione da sortire grandi trasformazioni interiori. MANTRA. Nome o formula divina che eprotegge la menten dal chiacchiericcio mentale. Viene ripetuto con ritmo e intensità allo scopo di impregnare la mente e di polarizzare il cuore di chi medita o contempla. "Ció che uno pensa, tale diventa. (Colui che rivolge continua'mente il p'ensiero al divino, attraverso la meditazione è trasformato nel divino scesso"r (Shivananda). MARCO L'EREMITA (V sec.). Scrittore ascetico di lingua greca. MARIA MADDALENA dé PAZZI, santa (15C"l-1G07). Carmelitana famosa per le straortdinarie esperienze mistiche. MARITAIN Jacgues (1882-1973). Insieme alla moglie Raissa (1883-19G0) sono considerati umaestri nell'arce di pensare, vivere e pregarem (Paolo VI). MARTINENGO da BARCO Maria Maddalena, beata (IGB7-1737). Clarissa cappuccina, asceta e contemplativa. MASSIMO il CONFESSORE, santo (580c-GG2). Padre della chiesa greca, il più grande teologo del suo secolo, commentatore delle opere di Dionigi Areopagita.
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MEDITAZIONE - A seconda di come si svolge, consiste:1. (la riflessione su Dio, sestessi, il mondo per cogliere il senso ultimo e b spessore religioso della propria esistenza (meditazione discorsiva, o con oggeao); 2. atraverso il simultaneo e disciplinato concorso del corpo, della psiche e dello spirito,l'uomo si immerge nel sé profondo e raggiunge in esso il Sé divino (meditazione senza oggetto o esistenziale). MEDITAZIONE tRASCENDENTALE - Con l'aiuto di un mantra (v.), si pone l'attemione sull'essere trascendentale immedesimandosi in esso. una scuola di meditazione fondata da Maharishi Mahesh. MELA Itala (1904-1957). Laica contemporanea e mistica che si è segnalata per la singolare penetrazione del mistero trinitario. MEMORIA DI DIO. e'chiamato così dai padri greci e latini il costante ricordo di Dio nel cuore dell'uomo. MENTE - Nel linguaggio mistico è, insieme al cuore, la sede dell'esperienza contemplativa. Ma mentre nel cuoreH sono maggiormente sottolineati gli aspetti affettivi (questo spiega perché sia termine caro ai cristiani che si rapportano a un Dio personale), nel concetto di mente prevale la considerazione di quelli propriamente conoscitivi (e ciò spiega perché sia termine caro al buddhismo). MERTON Thomas (1915-1968). Trappista americano e attento studioso della tradizione spirituale dell'Occidente e dell'Oriente. MISTICA. V. TEOLOGIA MISTICA. MONACO. Membro di un ordine religioso antico in cui si professano i consigli evangelici di casticà, povert e obbedienza e si conduce vita comune. MORE Gertrud (1606-1633). Monaca benedettina inglese, esponente di una scuola di preghiera che si ispira alla Nube della non-cono.rcenza e che fa leva sulle disposizioni affettive. MU. Lect. Knulla"r, indica nello zen il trascendimento di soggetto e oggetto e, per contrasto, la realcà ultima che è totalmente ineffabile. MORTE MISTICA. In Oriente è detta grande morte e consiste nella piena vittoria sul proprio ego, che anticipa la radicale spogliazione della morte comunemente intesa. La morte mistica dischiude l'accesso alla pienezza della vita divina nell'uomo. MUDRA. Gesti simbolici ricchi di risonanza interiore, compiuti specialmente con le mani, che accompagnano la preghiera o esprimono altri sentimenti dell'animo. NAMAJAPA. É l'incessante invocazione (japa) del nome (nama). La forma più nota presso gli indù è il Ramanama che consiste nel mormorare senza posa il nome divino: Ram, Ram, Ram... V. PREGHIERA DEL NOME. NEHER André (viv.). autore fra i più rappresentativi dell'ebraismo contemporaneo. NEMBUTSU. Preghiera del! nome (v.) caratteriscica del buddhismo giapponese. NEOPLATONISMO - Corrente filosofica greca che si rifà alle dotrine di Platone, fondendole con elementi derivati dalle religioni oriencali. Esalta l'esperienza mistica come ricon', giungimento e intima unione con il divino. NICEFORO il SOLITARIO (XIV sec.). Monaco del Monte Athos, è uno dei rappresencanti dell'esicasmo. NIRVANA. Nelle dottrine asiatiche è lo stato che la persona perfettamente realizzata raggiunge dopo la morte e che in qualche modo può anche anticipare in vita. Lett. significa estinzione. NOUDPEN Henri J.M. (viv.). É l'autore spirituale americano più letto dopo T. Merton.
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OCCHIO SPIRITUALE. É l'occhio interiore, capace di contemplare le profondità dell'uomo e di Li assurgere alta visione delle profondità di Dio. OM. Sillaba sacra della mistica orientale, di origine vedica, indica L'assoluto.e'il mantra supremo. ORAZIONE. É il momento affettivo della preghiera che si fa colloquio di amore con Dio e esprime gli stati d'animo atraverso suppliche, domande, offerta, ringraziamento. e'detta anche preghiera di aspirazione, perché intrisa di affetto. ORIGENE (185-253c). Autore di lingua greca, iniziò lo studio delle Scritture e fissò i grandi principi teorici della mistica cristiana. PAFNUZIO il GRANDE, santo (+3GOc). Condivise la vita monastica sotto la guida di s. Antonio abate e divenne successivamente vescovo. PARADISO. Indica la piena fruizione di Dio per l'uomo che è vissuto nella pratica della fede, della speranza e dell'amore. PARAMITA. Sinonimo di perfezione e di ciò che sta completamente al di là. PASCAL Blaise (1623-1662). mente enciclopedica e mistico di singolare penetrazione spirituale. PATANJALI (II sec. a.C.-V sec. d.C.). Filosofo indiano, diede forma sistematica alle dottrine e pratiche dello yoga (v.). (pron. Patàngiali). PECCATO. Indica attitudini interiori o comportamenti esteriori che contraddicono il bene vero dell'uomo. In questo senso il P. costituisce un offesa a Dio creatore. Quest ultimo aspetto non è contemplato dalle dottrine asiatiche, che considerano il P. come un impedimento al progresso spirituale dell'uomo, il quale può redimerlo facendo appello alla propria iniziativa e alle forze positive insite nel suo spirito. PERLS Frederick (1893-1970). Psicologo tedesco, propose una terapia basata sullo sviluppo della consapevólezza. PREGHIERA DEL CUORE - Esperienza di orazione attraverso la quale si opera un coscante passaggio dalle labbra alla mente e dalla mente al cuore,: inteso come luogo d'incontro tra l'uomo e Dio che l'inabita. Vedi PREGHIERA DEL NOME. PREGHIERA DEL NOME - Attraverso la ripetizione di un nome o di una formula divina (v. GIACULATORIA; MANTRA), si favorisce l'interiorizzazione e un più profondo rapporto con Dio. Forme classiche di preghiera del nome sono il Dikr, il Namajapa, il Nembutsu, la Preghiera del pellegrino russo (v. le rispetcive voci). Parafrasando le Upanishad, si può dire che l'invocazione del nome è l'arco,l'anima è la freccia e Dio il bersaglio. PREGHIERA DEL PELLEGRINO RUSSO - Preghiera del nome (v.) Caratteristica dell'esicasmo (v.). PREGHIERA PROFONDA - Si differenzia dalla preghiera liturgica (messa, Liturgia delle ore, celebrazioni sacramentali) e dalla preghiera vocale (le orazioni, i pii esercizi come il rosario, ecc.) e abbraccia l'esperienza meditativa nelle sue diverse espressioni. É particolarmente attenta a radicarsi in tutti i dinamismi della persona: corpo, psiche e spirito. QUIETISMO. Concezione spirituale che punta sull'unione con Dio attraverso uno stato di passività totale, che giunge ad annullare nei casi estremi ogni volontà e responsabilità. In quest ultimo senso fu riprovato dalla chiesa nel sec. XVII. RAI C.E.S. (viv.) Mistica contemporanea, conduce vita eremitica in Svizzera. RAJNEESH Bhagwan, shnee (viv.). Discussa figura di maestro indiano, sincretista e permissivista. Ha pagine eccellenti sulla meditazione. RAMANA Maharishi (1879-1950). Tra i più rappresentativi sanci e mistici dell'India contemporanea, da 17 anni condusse vita eremitica fino alla morte. 325
REINCARNazioNe nCredenza induista secondo cui lo spirito di una persona non perfettamente realizzata, dopo la morte torna a vivere in un altro corpo, in attesa di maturare il proprio destino definitivo. V. NIRVANA, SAMSARA. RESPIRO. Secondo le dottrine asiatiche è eil ponte che unisce il corpo allo spiritoH. In quelle cristiane sta per lo Spirito di Dio/di Cristo. Le tradizioni mistiche ne fanno il supporto nell'esperienza dell'orazione profonda. RICCARDO di S. VITfORE (+1173). Esponente medievale della mistica agostiniana, scrisse due trattati sulla contemplazione. RISURREZIONE. Propriamente indica il fatto della vittoria conseguita da Cristo sulla morte e, per estensione, il destino cui è chiamato ogni uomo. RIVELAZIONE.. Manifestazione di Dio nella storia, attraverso segni e parole. In senso stretto è la storia sacra contenuta nelle Scritture giudaico-cristiane. ROSHI. Equivalente di padre spirituale nello zen. ROSMINI Antonio (1797-1855). Filosofo spiritualista, sacerdote e fondatore dei rosminiani. RUBLeV Andrej, santo (1360c-1430). IL più celebRe degli iconografi russi, cui si deve in partE l'icona della Trinità (1411). SACRAMENTI. In generale si tratta di riti sacri, comuni a tutte le religioni, con cui si consegue la purificazione e la santificazione della vita. Nel cristianesimo sono la riproposizione dei gesti salvifici di Cristo, celebrati nella chiesa (battesimo, cresima, eucaristia, penitenza, unzione degli infermi, ordine e matrimonio). SADHANA. Indica la via o cammino spirituale. SAINT-EXUPÉRY Antoine (1)00-1944). Poeta e romanziere francese, ispirato da profonda religiosità. SAMADHI. V. YOGA. SAMNYASI. Monaco mendicante nella tradizione indù. SAMSARA - Ciclo delle nascite e delle morti al quale, secondo l'induismo e il buddhismo, è sottomesso l'uomo, finché non raggiunge la pcopria liberazione. Indica anche il destino negativo dell'uomo che non giunge alla propcia realizzazione. SATORI. Indica l'illuminazione secondo lo zen SAVONAROLA Girolamo (1452-1490). Riformatore e predicatore domenicano. SCHUTZ Roger (viv.). Fondatore del monastero ecumenico di Taizé, in Francia. SCRITTURE - L'insieme di libri sacri proprio di ogni grande religione. Ix Scritture cristiane sono raccolte nella Bibbia (Antico e Nuovo Testamento). La differenza tra queste e le Scritture delle religioni non cristiane sta nel fatto che nelle prime è evidente il carattere di rivelazione (v.) attraverso la complessa trama della storia, mentre nelle seconde, quantunque tale cacattece non sia assente, prevale la gnosi, ossia la conoscenza del divino elaborata dalla ricerca della mente umana. SENSI DELLA BIBBIA - La dottrina medievale aveva stabilito quattro sensi nello studio della Bibbia: 1. letterale; 2. allegotico (messaggio di fede contenuto nella pagina scritturistica); 3. morale (attualizzazione della Scrittura in ordine alla vita); 4. anagogico (senso superiore relativo alle realtà celesti e ultime). Ai quattro sensi inrrispondono i quattro momennti della I ectio Divina (v.), per nú l'anagogia è sinonimo di contemplazione. SENTIERO SPIRITUALE. Si tratta dell'itinerario ascetico-mistico proposto dalle grandi tradizioni religiose e scandito in tappe successive e asendenti, che partono dalla dimensione più esteriore e, passando a quella più interiore, approdano a Dio. 326
SENTIERO YOGICO. Conmprende otto stadi: 1. yama (controllo dei desideri negativi): comprende 5 precetti che corrispondono ad altrettanti comandamenti biblici (non nuocere, non dire menzogne, non rubare, disciplinare la propria sessualità, astenersi dal possesso e dall'uso indebito delle realtà materiali); 2. niyama (disciplina): impegno all'igene fisica e mentale, alla sobrietà, all'ascesi, allo studio delle Scriccure e alla devozione verso il Signore; 3. asana (posizione): educa al controllo del corpo é delle energie vitali, attraverso esercizi fisici insegnati dallo Hatha Yoga; 4. pranayama (controllo del soffio o principio vitale): comporta la disciplina del respiro e la sua integrazione a livello psichico e mentale; 5. ratyahara (astrazione):l'uomo si ritrae dal mondo esterno, controllando i propri sensi e raggiungendo la distensione mentale; 6. dharana (fissazione): il pensiero si concentra su un punto senza sforzo; 7. dhyana (meditazione): stato in cui ci si compenetra nell'oggetto sul quale si è concentrati, raggiungendone l'essenza profonda; 8. Samadhi (contemplazione): è l'apice del cammino yogico e consiste nell'identificazione del contemplante con l' oggetto" contemplato. SERAFINO di SAROV, Santo (1759-1833). L'equivalente "ortodosso" di Francesco d'Assisi. SERGIO di RADONEZ, santo (1314-1392). II primo grande ispiratore della spiritualità russa, marcatamente trinitaria. SERTILLANGES Antoine G. (1863-1948). Teologo e predicatore domenicano. SESSHIN. Ritiro in cui si eraccogliee e ordina la mente alla ricerca dell'illuminazione o SATORI (v.). SHIlNYATA. Secondo la mistica buddhista è la saggezza conoscitiva della reale natura di ogni fenomeno che è contingente e non assoluto. SILENZIO INTERIORE. É lo stato di quiete mentale o di Kvuoto , caratterizzato da assenza di pensieri, parole e immagini e reso Kparlanten dall'attitudine di ascolto e dalla tensione amorosa che ci pongono in contatto con le nostre profondità e con il mistero di Dio. SILESIO Angelo (1624-1677). Mistico e poeta tedesco, esalta l'unione contemplativa con Dio. SILVANO del MONTE ATHOS (1866-1938). Mistico russo divenuto monaco al Monte Athos, dove condusse vita nascosta di singolare ricchezza interiore. SIMEONE il NUOVO TEOLOGO (949-1022). Uno dei maggiori autori bizantini, soprannominato N.T. perché considerato un rinnovatore della vita mistica. SOPRANNATURALE - Indica l'azione di Dio della vita e nella storia del'uomo e ne sottolinea il carattere di gratuità e d trascendenza rispetto alle attese e alle possibilità umane. Applicato alla contemplazione, designa la parte di Dio in rapporto a quella dell'uomo. SUZUKI Daisetz T. (1870-196(). Esponente contemporaneo più autorevole del buddhismo zen, che seppe diffondere in Occidente con acute analisi. SWAMI. Titolo con cui si designa un monaco indù. TALMUD. Raccolta di antiche tradizioni orali ebraiche che commentano e sviluppano temi biblici. Si distinguono due raccolte: palestinese (IV-V sec.) e babilonese (V sec.). TANTRA. É una via di trascendenza" manifestatasi in molte scuole, insegnamenti e scritture sia nell'ambito dell'induismo che del buddhismo, a partire dal IV sec. d.C. La pratica del T. è motivata dal desiderio di realizzazione personale e di dedicazione benevola verso tutti gli esseri viventi, di cui si desidera affrettare l'illuminazione e la liberazione. TAULERO Giovanni (1300c-1361). Domenicatn tedesco, aucore di celebri prediche che esaltano l'unione con Dio nel silenzio dell'intelletto e della volontà. TEOFANE il RECLUSO (1815-1894). Vescovo russo, fattosi monaco e poi recluso dal 1872 alla morte, stabil uno sterminato rapporto epistolare con i suoi contemporanei desiderosi di condurre vita spirituale.
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TEOLOGIA MISTICA o SPIRITUALE. Ramo delle dottrine religiose che approfondiscono la vita interiore e l'esperienza di Dio. TERESA d'AVILA, santa (1515-1582). Mistica spagnola e dottore della chiesa, riformatrice del Carmelo. TERESA di LISIEUX, santa (1873-1897). Carmelitana francese cui si deve la "piccola viaH o via spirituale imperniata sulla semplicità del niore e l'abbandono in Dio. TILLICH Paul (1886-19G5). Teologo protestante. TILMANN Klemens (viv.). Autore di apprezzati studi sulla meditazione universale e cristiana e màestro egli stesso di meditazione. TRASCENDENZA. V. IMMANENZA/TRASCENDENZA. TRIMURTI. V. trinità TRINITt - Nel cristianesimo: l'unico Dio sussiste in tre persone: Padre (il principio supremo), FigLo (il Verbo di Dio, primogenito di ogni creatura) Spirito santo (l'Amore che scabilisce la comunione delle persone divine e cra di esse con gli uomini). Nell'Induismo: è costituita da tre distinte divinità: Brahma, principio supremo; Vishnu, principio conservatore; Shiva principio distruttore, ma anche generatore di vita. TRUNGPA ChBgyam (viv.). lama tibetano, laureatosi a Oxford in filosofia e psicologia delI'Occidente, ha stabilito notevoli integrazioni tra il mondo culturale asiatico e quello anglo-americano. TUKARAM (1608-1649). Poeta e asceta indiano, di bassa casta ma di elevate esperienze mistiche, che gli procurarono persecuzioni da parte delle caste superiori. UGO di S. VITTORE (lOXc-1141). Filosofo e mistico francese. UOMO ESTERIORE/INTERIORE. Si tratta delle due dimensioni della persona umana, una proiettata all'esterno e superficiale, l'altra all'interno e profonda. In termini biblici (s.Paolo) si parla di uomo "carnale" o psichico, in contrapposizione all'uomo "spirituale . UPANISHAD. Scritti sacri dell'induismo (800-300 a.C.) conclusivi della rivelazione vedica, tengon sos o l'identità o la non-dualità fra Brahman (lo Spirito supremo) e Atman (l'Anima umana). VANGELO. É la buona novella dell'iniziativa salvifica di Dio portata da Cristo. Indica anche le quattro narrazioni redatte dai primi discepoli del Signore (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) in merito alle sue gesta e at suoi insegnamenti. VEDA. I piú antichi testi sacri dell'induismo (1500-500 a.C.), considerati diretta rivelazione di Dio. VELENI. Nome che le tradizioni asiatiche dànno alle inclinazioni negative dell'animo umano. Si tratta di odio, orgoglio, avidità, gelosia, stupidità. i VIPASSANA. Propriamente significa visione penetrativa e riguarda la tradizione meditativa del buddhismo Theravada o buddhismo origmario, che punta sulla pratica dell'attenzione o cons za. VIRTU TE OGALI - A diffecenza delle virtù morall, sono dette teologali, ossia divine, attitudini che Dio suscita nell'uomo in ordine a una vita di perfetta comunione con lui. Si tratta di fede spéranza e carità. VITA ETERNA Designa la pienezza della vita nel linguaggio biblico. Suo sinonimo è vita di risurrezione. VITA SPIRITUALE, GRADI - Tra le varie classificazioni, è rimasta classica quella medievale che distingue tre gradi, cispenivamente costituiti da soggetti:1. incipienti, intenti alla perfezzione f del cuore (via purgativa); 2 proficienti, intentc a progredire nel cammino in(via illuminativa); 3. perfettc che hanno assunto un orientamento definitivo (via unitiva): A ciascuno dei tre gradi si addice rispettivamente la meditazione (con il suo carattere discorsivo),l'orazione (con il suo carattere affettivo) e la contemplazione.
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VITTOZ Roger (18G3-1925). Psichiatca svizzero, curò le nevrosi attraverso la rieducazione del controllo della mente e della volontà. VIVEKANANDA (1863-1902). Si tratta di Nacendcanath Dact, nativo di Cakutta, che si specializzò nella filosofia occidentale. Fu discepolo di Shri Ramakrishna (1834-188G), anch'egli esponente di prim órdine del neo-induismo, ispirato a una visione ecumenica delle religioni. V. affermava: eDobbiamo imparare di nuovo che tutte le religioni, con qualunque nome vengano chiamate, hanno lo stesso Dio, e che colui che deride una di queste, deride il suo stesso Dio". VIZI CAPITALI. Detti anche peccati capitali secondo la tradizione cristiana. Sono: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia. VON BALTHASAR Hans U. (viv.). Teologo svizzero, ha subito l'influsso della von Speir. VON SPEYR Adrienne (1902-1967). Grande mistica contemporanea, di cui si attende la pubblicazione delle più importanti testimonianze della sua straordinaria esperienza interiore. WEIL Simone (1909-1943). Complessa figura di donna assetata di religiosità e socialmente impegnata. WITTGENSTEIN Ludvig (1889-1951). Filosofo austriaco spiritualista. YOGA. Dottrine e pratiche asiatiche, risalenti al terzo millennio a.C., intese a favorire la perfetta integrazione dell'uomo (sotto il profilo fisico, psichico e spirituale), nonché la sua unione con Dio. Lo Y. è costituito da una etriplice via che permette di giungere con maggiore facilità alla conoscenza, all'amore e al servizio dell'Uno in tutti gli esserin (Aurobindo). Si parte dallo Hatha yoga e Raja yoga, due discipline finalizzate l'autoperfezione, attraverso la liberazione rispettivamente dell'essere psico-fisico e di quello mentale. Con lo Jnana yoga (pron. Gnana-yoga) o Y. delle conoscenza, che conduce alla realizaziode del sé attraverso il rifiuto di ciò che è fenomenico e illusorio; la Bhakti yoga o Y. della devozione, che si apre alla gioia dell'amore, generalmente attraverso la ricerca di un rapporto personale con Dio; il Karma yoga o Y. defle o ere, che tende alla consacrazione di tutte le azioni umane a0a volontà divina, si hanno secondo Aurobindo le tre direttrici di marcia della vita spirituale. Uti altra grande sintesi dello Y. è dovuta a Patanjali (v.) che ne scandisce l'itinerario in otto tappe. YOGANANDA Paramahansa (1893-1952). Guru indù che inculturò in Occidente, dove visse per più di trent anni, il messaggio spirituale dell'Asia. Fu un uomo assetato di Dio. YOGI. Uno che segue o che ha approfondito lo yoga. ZACCARIA Antonio M., santo (1502-1939). Fu tra coloro che pnepararono la riforma tridentina, istituendo "tre collegi" di riformatori: religiosi (i chierici regolari di s. Paolo, detti poi barnabiti), religiose (angeliche) e coniugati, che operarono inizialmente attraverso missioni al popolo. ZANMAI. Nello zen indica l'estasi contemplativa ed è sinonimo di SAMADHI (v.). ZA-ZEN. e'detta cos la meditazione zen, consistente nel sedecsi (za) cocrettamente, portando l'attenzione al respiro e raggiungendo il silenzio mentale. ZEN. Buddhismo giapponese, quivi diffusosi all'inizio del nostro millennio e distinto in due scuole principali. I.a nzai, che pratica la meditazione soprattutto con l'aiuto di koan o formule paradossali e engmatiche adatte a portare la mente verso il proprio trascendimento, e la scuola Soto che punta prevalentemente sul vuoto mentale. Meta è il totale assorbimento mistico o zanmai, cui segue o dovrebbe seguire l'illuminazione o satori. ZENONE di VERONA, santo (IV sec.). Sainore ealesiastico di origine africana e vescovo di Verona.
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CENTRI DI MEDITAZIONE 1. Centri di silenzio e di raccoglimento che organizzano corsi regolari d'introduzione alla meditazione: 2. Centri di ritiro e di silenzio con possibilità di partecipazione alla vita comunitaria: Convento Santa Maria dei frati cappuccini CH - 6644 BIGORIO Tel. 091/91 12 22/23 Casa ritiri spirituali dei Padri Barnabiti I - 22030 EUPILIO / CO Tel. 031/65 56 02 Monastero delle Romite Ambrosiane di S. Maria del Monte I - 21100 VARESE Tel. 0332l22 76 78 Monastero di S. Giulio monache benedettine I - 28010 ISOLA DI S. GIULIO / NO Tel. 0322/90 324 Casa S. Ignazio Benedettine abbazia di Viboldone viale S. Ignazio, 4 I - 20098 S. GIULIANO I - 80131 NAPOLI MILANESE / MI Tel. 081/25 70 44 Tel. 02/98 41203 Monastero di Ghiffa * Sacro Eremo di Camaldoli monache benedettine eremiti camaldolesi I 28055 GHIFFA / NO I - 52010 CAMALDOLI Tel. 0323/59 164 DI POPPI / AR Tel. 0575/56 13 Maison de prière Troussures FR - 60390 AUNEUIL La Sainte Baume Le Plan d'Aups FR 83640 SAINT ZACHARIE Tel. 42/04 50 19 Centre Saint 74/O122 74
Dominique
La Tourette Eveux BP 110 FR - 69210
L'ARBRESLE
Tel.
Le Cénacle Prom.Charles-Martin,17 CH -1208 GENÉVE Eremo Emmaus I - 25056 PEZZO DI PONTEDILEGNO / BS Tel. 0364/91 182 (da0e 17-18) Centro De Foucauld corso Francia,129 I -12020 CUNEO Tel. 0171/4912 63 Comunità di Bose I -13050 MAGNANO / VC Tel. 015/67 9185 Eremo di Monte Giove eremiti camaldolesi I - 61032 FANO / PS Tel. 0721/82136 Conv. B. Benedetto da Urbino frati cappuccini v. S. Antonio, 78 I - 61034 FOSSOMBRONE / PS Tel. 0721/71626
Eremo di Fonte Avellana eremiti camaldolesi I - 61040 SERRA S. ABBONDIO / Tel. 0721/77 018
Piccoli Fratelli del Vangelo benedettini di Ch. de Foucauld Monte Subasio I 06038 SPELLO / PG senza telefono
Piccoli Fratelli di Jesus Caritas Abbazia S. Croce in Sassovivo FOLIGNO / PG Tel. 0742/50 620; 56 397
I
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PS
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06034
Eremo della Trasfigurazione Piccole sorelle di Maria Collepino I - 06038 SPELLO / PG Tel. 0742/65 12 11
Certosa del GaIluzzo monaci certosini Statale per Siena I - 50124 GALLUZZO / FI Tel. 055/28 92 26
Eremo delle Carceri frati minori I - 06081 ASSISI / PG Tel. 075/8123 01
* Convento di S. Damiano frati minori I - 06081 ASSISI / PG Tel. 075/8122 73 Abbazia di Casamari cistercensi I - 03020 CASAMARI / FR Tel. 0775/26 03 71
* Abbazia di Monte Cassino monaci benedettini I - 03043 MONTECASSINO / FR Tel. 0775/21397 Monastero di Camaldoli eremiti camaldolesi I 52010 CAMALDOLI DI POPPI / AR Tel. 0575/56 21
Convento 9016
La Verna frati minori I - 52010 CHIUSI DELLA VERNA / AR Tel.
0575/59
" * Santuario La Verna clarisse francescane I - 52010 CHIUSI DELLA VERNA 0575/59 90 34
Tel.
Monastero di S. Scolastica benedettini I - 0028 SUBIACO / Roma Monastero 900
di Montevergine benedettini I - 83013 MERCOGLIANO / AV Tel.
0825/35
* Certosa di S. Bruno monaci certosini I - 88028 SERRA S. BRUNO / CZ
Convento S. Maria del Piede domenicane Piazza Benedetto XIII I - 70024 GRAVINA DI PUGLIA /BA 336 * Convento Madonna di Stignano frati minori I - 71014 S. MARCO IN LAMIS / FG Tel. 0882/83 10 03
Convento 30
Piccola Famiglia dell'Annunziata I - 40050 MONTEVEGLIO Tel. 051/41 18
" '" Kapuzinerinnen Haus der Stille Kloster Rivotorto CH Tel. 041/76 1185
6170
SCHUEPFHEIM
** Kloster Namen Jesu Herrenweg CH 4500 SOLOTHURN * Kapuzinerkloster Postfach 22 CH 6415 ARTH
3. Centri di preghiera e di ritiri spirituali aperti all'accoglienza di singole persone con o senza guida di animatori: Ospizio S. Rocco dei frati cappuccini CH 6563 MESOCCO Tel. 092/921124 Eremo S. Salvatore I - 22036 ERBA / CO Tel. 031/62 03 42
Mericianum Centro di Spiritualità I - 25015 DESENZANO / BS Villa S. Cuore I -10099 S. MAURO TORINESE / TO Tel. O11/822 15 65; 822 3029
Priorato S. Egidio I 24039 SOTTO IL MONTE / BG Tel. 035/79 12 27
Centro di Spiritualità Pineta di Sortenna I - 23035 SONDALO / SO
Istituto 98
S. Famiglia v. Incoronata,1 I - 24057 MARTINENGO / BG Tel. 0363/98 80
Eremo Ss. Pietro e Paolo I 25040 BIENNO / BS Tel. 0364/40 081
Casa dei Santi Martiri I - 38010 SANZENO / TN Tel. 0463/34 011
Abbazia di Maguzzano v. Maguzzano, 6 I - 25017 LONATO / BS Tel. 030/9130 182
Suore delle Poverelle v. Marieni, 38 I - 24100 BERGAMO Villa Immacolata I - 21010 CASTELVECCANA / VA
Centro di Spiritualità padri somaschi I - 24030 SOMASCA di VERCURAGO 337 Antoniushaus Mattli CH - 6443 MORSCHACH Tel. 043/3122 26
Bildungszentrum Schónbrunn CH - 6311 EDLIBACH
4.Centri attenti all'integrazione prassi meditative asiatiche:
Centro 375
tra esperienza contemplativa
cristiana
interreligioso Le Saux Via Carroccio, 4 I - 20123 MILANO Tel. 02/83
e
73
Gruppo di Meditazione profonda Via A Vespucci, 36 I 10129 TORINO Tel. 011/5612 911; 56 82 984 (p. Gian Vittorio Cappelletto)
" non sono ammesse le donne ** non sono ammessi gli uomini Ritiri di Consapevolezza meditativa c/o Ist. Lama Tzong Khapa I - 56040 POMAIA / PI Tel. 050/68 56 54 (prof. Corrado Pensa)
5. Le scuole di yoga e i centri buddhisti si pre6ggono di condurre alla pratica della meditazione. Occorrerà vedere caso per caso quale attenzione riservano all'esperienza interreligiosa. Esistono anche centri che si pongono su una linea sincretista, sia che partano da premesse cristiane o indo-buddhiste. Riteniamo però che il sincretismo, non salvaguardando il proprium delle singole tradizioni religiose, nuoccia al loro incontro nella verità e nell'autenticità.