D H Lawrence Poesie D Amore PDF [PDF]

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Zitiervorschau

DAVID HERBERT LAWRENCE Scrittore inglese. Nacque a Eastwood, Nottinghamshire, nel 1885. Frequentò il Nottingham University College, dove conseguì l'abilitazione all'insegnamento. Fece per un breve periodo l'insegnante, poi abbandonò per dedicarsi interamente all'attività di scrittore. Nel 1914 sposò una tedesca divorziata e visse con lei in Germania, Austria e Italia. Tornato in Inghilterra nel 1914, proclamò la sua avversione alla guerra. La sua fama di ribelle si accrebbe con la pubblicazione del romanzo L'arcobaleno (The rainbow, 1915), che fu accusato di oscenità. Lasciò di nuovo l'Inghilterra alla ricerca di un ambiente più favorevole: visse in Italia, Austria, Messico e di nuovo in Italia, finché morì di tubercolosi a Vence, Provenza, nel 1930. La fama di Lawrence è legata soprattutto alla sua attività di romanziere: oltre L'arcobaleno, Figli e amanti (Sons and lovers, 1913), Donne innamorate (Women in love, 1920), lo scandaloso e fortunatissimo L'amante di Lady Chatterley (Lady Chatterley's lover, 1928). Meno nota ma di rilievo non minore la sua attività di poeta. L'esercizio della poesia è inteso da Lawrence come manifestazione integrale dell'anima, della mente e del corpo. Nelle varie raccolte, che vanno dalle giovanili Poesie d'amore (Love poems, 1913) alle postume Ultime poesie (Last poems, 1932) emerge una concezione opposta a quella georgiana o a quella imagista, dominate dall'impulso etico e ispirate al recupero della grande tradizione romantica.

Poesie d’amore Campagna selvatica

Sui cespugli di selvatica ginestra serpeggiano veloci lampi, piccoli spruzzi di trama solare, quasi fiamme; veloci pavoncelle sfiorano le loro cime, esultanti: le loro strida li proclamano padroni delle lande desolate di tristezza. Come pugni di terra, bruni, giacciono i conigli arrotolati sulla zolla erbosa, morsa sino al vivo. Sono addormentati? - Stanno vegliando? - guarda ora, quando le braccia alzo, esplode e sussulta il colle sotto i loro calci [scattanti. La campagna splendidamente appare; ma sotto, dai giunchi sorgono brillanti ranuncoli in gran folla a provocare i cespugli in [boccio; là dolcemente il ruscello avanza pigro nel suo corso contorto; qui si rianima, salta, ride e sgorga. In uno stagno profondo, vecchio bagno di pecore, coperto da salici, scuro, freddo, con la corrente che rifluisce lenta; nudo sul ripido bordo soffice di terra erbosa osservo, la mia bianca ombra fremere su e giù. E se avvizzissero le ginestre fiorite, e io non fossi più? E se l'acqua si arrestasse, dove sarebbero allora le calendule e il [ghiozzo? Se si avvizzissero stremati dall'amore vene e petto, l'anima spavalda svanirebbe come i fiori travolti dal vento caldo. La mia anima è come una donna appassionata che si volga colma di terrore carico di rimorso, all'uomo disprezzato, e l'amore che mi porta arde nei miei stessi occhi sorridenti, scorre pieno di fascino per le duttili pieghe increspate lungo il ventre [dalle luminosità del petto in alto. Sulla mia pelle al sole, l'aria calda aderisce, fluida per le canzoni che a un tempo sette allodole cantano, e me [contento bacia. E l'anima del vento e il mio sangue mettono a confronto

la loro vagabonda felicità, e il vento, sciolto in libertà, se ne va triste [alla deriva. Oh, ma l'acqua mi ama, mi avvolge, con me gioca, mi dondola, mi eleva, mi sommerge come fosse [sangue vivo, sangue di donna palpitante che m'afferri riconoscendo nel mio corpo elastico una rara cosa allegra, [immensamente buona. Sole, ma in sostanza, gialle bolle d'acqua! Ali e piume sulle piangenti età misteriose, roteanti pavoncelle! Tutto il giusto, tutto il buono, tutto quel che Dio è si fa realtà! Corre [un coniglio a conferma, echeggiare sette volte sento il canto dell'allodola. Stanchezza da cane

Venisse lei qui da me ora che i penetranti colpi di falce creato hanno sentieri lucenti al sole, e nette le rondini fendono l'aria al tramonto! Venisse lei qui da me! Venisse ora lei qui da me, prima che le campanule da poco falciate muoiano; mentre ancora rosseggia di fuoco quel mucchio di vecce! prima che per rinfrescarsi tutti i pipistrelli dal ramo si sian lasciati cadere nella notte; venisse ora lei qui da me! Sono staccati i cavalli, il crepitio della macchina s'è placato alla fine. Venisse lei il fieno secco potremmo raccogliere sulla cima della collina, e giacere tranquilli davvero, sino a che il verde cielo cessasse di fremere, perduta la sua attiva [lucentezza. Lasciarmi andare vorrei sul fieno, con la testa sulle sue ginocchia disteso immobile, mentre lei quieta su di me respira, e la messe di stelle cresce silenziosa! Giacere immobile vorrei

come morto, avvertendo però la sua mano furtiva sul mio viso e la mia testa, finché sciolto si fosse questo mio dolore. Da una finestra del collegio

Il luccichio dei tigli, carichi di sole, assonnati, dietro di me vibra sul muro del collegio. Il prato, sotto, nella morbida ombra blu tiene la spuma placida delle margherite teneramente prigioniera. Oltre le foglie sospese sulla strada lungo il lastricato, pulito suolo bianco-estate, con l'ombra ai piedi passa la gente andando a destra e a sinistra. Sebbene la tosse io senta del mendicante, assente vedo balenare le dita della donna che gli tende una moneta, libero siedo, certo di sentirmi meglio al di là di un mondo cui mai unirmi voglio. Dissonanza nell'infanzia

Fuori di casa un frassino calava le sue sferze terribili e di notte, quando s'alzava il vento, fischiava dei rami la frusta e fendeva l'aria, come grida nella tempesta [orrendamente il sartiame stregato d'una nave. Due voci dentro casa si levavano, un'esile frusta sibilante la propria delirante rabbia femminile, e il terribile suono d'un maschio staffile che cresce e s'abbatte, finché soffoca l'altra voce in un silenzio di sangue, sotto il rumore del frassino. Ladri di ciliege

Sotto i lunghi scuri rami, come gioielli rossi tra i capelli d'una ragazza d'oriente pendono nastri di ciliege cremisi, gocce di sangue da ogni ricciolo dietro cadute. Sotto le ciliege splendenti, con le ali chiuse giacciono tre uccelli morti:

due tordi dal petto chiaro e un merlo, ladruncoli macchiati di rosso. Presso il pagliaio, in piedi una ragazza mi sorride, le ciliege appese agli orecchi. Mi offre i suoi frutti scarlatti: voglio vedere se ha lacrime in viso. Turbato da un sogno

È la luna quella alla finestra, tanto grande e rossa? Nella stanza nessuno? Nessuno vicino al letto? Ascolta; palpitano i suoi passi giù per le scale ...o ai vetri è un battito d'ali? Lei un momento fa sulla bocca mi baciava calda: calda come la luna nel sud quando splende rossa, la luna che da abissi lontani segnò quei due baci. E la luna ora va rannuvolandosi, ha frainteso! Così giù nel mio sangue lenti affondano i miei baci, presto restando sommersi. Non ci siamo capiti. Rinascita

Nessuna mela abbiamo morso proibita Eva e io, pure gli spruzzi che ci cadono attorno giorno e notte non macchiano più la stessa valle di porpora e bianco. Questa è la nostra valle tranquilla, nostro Eden, nostra casa, ma il giorno la mostra viva di emozioni e il pallore della notte non vale il sonno oscuro che un tempo copriva la volta celeste.

La piccola giovenca rossa, stanotte l'ho guardata negli occhi; partorirà domani. Quando andai col lume l'altra sera, la scrofa a sé stringeva i neonati e i lor lamenti udii, e poi il vecchio gufo, quindi il frullar d'ali dei pipistrelli. Mi svegliai al verso del piccione di bosco e giacqui ascoltando finché potei alcuni battiti veloci del suo cuore; quando m'alzai sull'iride tremulo vidi dove brillava il sole mattutino e capii che questa casa, la valle, più vasta era del Paradiso. Dalla mia Eva tutto ciò ho imparato, tiepida, muta saggezza; maestra più veloce degli alunni è lei, lei che mi ha stimolato il polso a ricevere palpiti strani, oltre il riso e le lacrime. Così ora so che come me tutta di viva carne è la valle con sentimenti che cambiano, fremono, si urtano, e ancora sembrano somigliarsi come il vibrare tutto d'un fiume che muove verso il mare. Gioventù vergine

Di quando in quando tutto m'ansima il corpo e la vita mi appare negli occhi, tra essi vibrando e la bocca giù selvatica discende per le membra lasciando gli occhi miei svuotati tumultuanti e il petto mio quieto colma d'un fremito e un calore; e giù per le snelle ondulazioni sottostanti che onde diventan pesanti, di passione gonfie e il ventre mio placido e sonnolento all'istante ribelle si desta bramoso, eccitato sforzandosi e attento, mentre le tenere braccia abbandonate con forza selvaggia s'incrociano a stringere - quel che non hanno stretto mai. E tutto io vibro, tremo e ancora tremo finché la strana potenza che il corpo mi scuoteva non svanisce e nobile non risorge l'ininterrotto fluire della vita nella durezza implacabile dei miei occhi, non risorge dalla bellezza solitaria del corpo mio

esausto e insoddisfatto. Studio

Da qualche parte lunga la nota piena del merlo anima le mani aperte del nocciòlo. Da qualche parte rovesciano il capo gli anemoni agitati da un vento impetuoso. Profumerà qualche sentiero tra viole bianche e blù... (Silenzio ora, silenzio! Dove ero?... Biureto.) Al limite, verde, del bosco una ragazza timida s'aggira nel prato al riparo dei nocciòli dove roteano chiassosi i pivieri petulanti ondeggiando spaventati. - Chi arriva? Un lavoratore, ohimè! (Al lavoro, studia, sciocco...) Da qualche parte pende una lampada bassa dal soffitto e i vaporosi capelli illumina di una ragazza che legge, la rossa luce della fiamma col continuo vacillare addormenta le mani forti del mio amico. Un cane bianco fiuta il tepore e chiede attenzione all'uomo, temendo pianga la ragazza. Lagrime e sogni per loro; amara scienza per me: sono vicini gli esami. Studiarla vorrei più di buon grado! Tu non aspettassi vorrei, cara, il mio ritorno, poiché devo lavorare. Sebbene sarà lo stesso quando morti saremo. Essere solamente un busto, vorrei tutto testa! Crepuscolo

L'oscurità nasce dalla terra nel pallore dell'occidente si immergono le rondini; dal fieno arriva l'allegro clamore dei bambini; svanisce il vecchio palinsesto. Stilla profumo la violacciocca e in giro svolazza azzurro-luna una falena: tutto quel che significò il giorno terreno rovina come una menzogna. I bambini hanno abbandonato il loro gioco. Brilla un'unica stella in un velo di luce:

il disordine del giorno è sparito alla vista. Amore alla fattoria

Quali larghe, scure mani son quelle che si serrano alla finestra nella luce dorata raggio che s'insinua col vento della sera per la delizia del mio cuore? Ah, sono soltanto foglie! Ma a ponente vedo improvviso un rosseggiar venire nell'ansioso petto della sera Ferita d'amore inferta giusta! Fuori il caprifoglio striscia piano per chiamare il suo amante: È svanito il soleggiato flirt che tutto il giorno è stato sulle sue labbra in equilibrio baci dando e rubando allegri di polline e leggeri. La falena egli corteggia con parole sussurrate, dolci; e quando sopra lui librerà le sue ali allora scoprirà il suo petto splendente e all'amato concederà la sua goccia di miele. Nel giallo bagliore della sera passeggia un uomo della sottostante fattoria e si volge a guardare la tettoia bassa dove la rondine ha appeso il suo letto nuziale. Tiepido giace l'uccello contro il muro. Allarmato a lui lancia veloce un'occhiata, e volge allora la sua testolina, calda mostra di rosso facendo sulla gola. La strappa il terrore dal calore del nido come una palla, via! S'ode il suo lamentoso grido lungo la curva blu del volo lontano dal sudiciume nel vuoto salone del crepuscolo. Oh gallinella acquatica, nascondi il tuo scarlatto rossore curioso dietro i giunchi trattieni la tua vivace coda, immobilizzati come morta, finché la distanza assorba il suo passo umano! La coniglia tira indietro le orecchie i suoi occhi rivolta, liquidi, angosciati e si acquatta; con un balzo improvviso fugge atterrita dal suo sopravvenire, ma è inchiodata a terra, soffocata

nei suoi sforzi frenetici dall'anello di ferro: povera palla bruna vibrante di paura! Ah, subito muore tra le sue larghe mani forti, e oscilla floscia all'ondeggiare del suo passo! Calmi e gentili sono i suoi occhi e nel loro castano stupore così pronti a spalancarsi se solo non rispondessi alle sue parole o le mie lacrime supponesse. Sulla maniglia sento la sua mano e guardando verso la porta aperta m'alzo dalla sedia, in un sorriso balenano lucidi i suoi forti denti e balenano i suoi occhi su di me sorridenti di trionfo; poi con vigile noncuranza getta la coniglia senza vita sul tavolo e mi s'avvicina: ah, il suo braccio, dritta spada contro il mio petto! ah, la lama larga del suo sguardo che per il suo arrivo chiede approvazione. Verso di sé mi volta con la mano il viso e m'accarezza con dita che puzzano ancora di pelo di coniglio! Dio, son presa in trappola! Attorno alla mia gola non so qual fine sia laccio di ferro; soltanto capisco che lì, tra le sue dita, lascio i palpiti della mia vita, e come un ermellino con gioia fiuta prima di bere il sangue, così lui m'annusa. E giù verso la mia la sua bocca! e giù su di me i suoi occhi brillanti, cappuccio calato sulla mia mente! Le sue labbra incontrano le mie e dolce di fuoco mi trapassa una corrente: così affogo contro di lui, muoio e mi piace morire. Zingara

Io, l'uomo con la sciarpa rossa, ti darò quel che possiedo, i guadagni dell'ultima settimana. Prendi e comprati un anello d'argento e sposami, per calmare il mio desiderio ardente. E per il resto, quando sarai sposata mi bagnerò per te la fronte col sudore e in casa resterò per amor tuo; su di me, tu, chiuderai a chiave le porte. La moglie del minatore

- Qualcuno bussa alla porta, mamma, scendi a vedere!

- Sarà certo un mendicante; digli che sono occupata. - Non è un mendicante mamma, senti come bussa con forza! - Eh, ragazzaccio merdoso, vorrà suonartele! Strilla e chiedigli che vuole io non posso scendere. - Dice se Arthur Holliday sta qua. - E digli di sì, imbecille! Dice: - Dì a tua madre che suo marito è rimasto ferito in miniera... - Che? Mio Dio, non è vero, non può essere! Levati di torno e fammi vedere! Non c'è proprio pace, no! E smettila di frignare, figlio mio! Chiudi il becco! - Tuo marito ha avuto un incidente e ora a Nottingham lo stanno portando in ambulanza. - Povera me, oh, è davvero l'uomo delle disgrazie! Che cosa si è fatto questa volta, ragazzo? - Non lo so, m'han solo detto che s'è fatto male. - E così sarà! Togliti dai piedi, figlio mio! Povera me, dove ho messo le calze e la camicia pulite? Dio solo sa se quelli della miniera! riusciranno a levargli lo sporco! E quanto strillerà! Non c'è uomo che come lui si lamenti per le sue disgrazie; in ogni modo non sarò io a dovermelo sorbire. Speriamo non sia grave! Dio, che razza d'ingiustizia che le disgrazie colpiscano duramente alcuni e altri così poco! È un'infamia che sia perseguitato a questo modo, proprio un'infamia, certamente! Ne avrà avuti una ventina, di incidenti:

ogni disgrazia è sua! C'è un fatto; ci sarà pace in casa per qualche tempo, grazie al cielo! un poco di tranquillità! Inoltre ci sarà un indennizzo, poiché è un incidente, i soldi del sindacato... Non voglio lamentarmi. Gli servirà una forchetta e un cucchiaio e... che altro? Non ce la farò mai a prendere questo treno! Che macello quando un uomo si fa male! Ma penso che guarirà di certo. Ragazzina

L'amore ha fatto scoppiare il suo ermetico cuore come nei campi un'ape, nera e ambra, rompe il bozzolo invernale, per arrampicarsi sull'erba intiepidita dai novelli raggi di sole. Di malizia albeggiano i suoi occhi ora e sull'iride colorata è un luccichio simile a quello sull'ali ripiegate dell'ape, prima del volo. Chi, con un soffio conturbante, preciso, ha aperto le ali del giovane spirito timido? Chi ha eccitato l'animo a un inesperto volo nei suoi occhi di giovane ape incerta? Grave rende l'amore la sua voce; il ronzio delle sue ali esitanti, pesanti, fa tremare di consapevolezza le cose comuni che dice, e le sue parole rallegrano. Un ladro notturno

Ieri notte da me venne un ladro e con qualcosa mi colpì di sconosciuto. Urlai, ma nessuno mi sentì, e giacqui rigido e intontito. Stamani quando mi svegliai, non riuscii a trovarne traccia alcuna; un sogno forse era d'avvertimento e ho perso la mia pace a causa sua. Monologo d'una madre

Questa è l'ultima volta, allora, l'ultima di tutte! Le mani devo quindi intrecciare e volgere il viso al fuoco, per osservare i giorni miei morti, fondersi in scorie vili, ombra dopo ombra, una scena dopo l'altra del mio passato senza vita, in una massa coagularsi nel fuoco moribondo sui carboni finiti sotto la cenere, che cresce veloce, come muschio [pesante. Un estraneo è ora mio figlio, per cui attesi come un'amante, estraneo mi è come in un paese straniero un prigioniero, fisso ai confini, scruta oltre, dove liberi soffiano i venti; pallido, smunto, ansiosi gli occhi ondeggiano instancabili nelle distanze, come perseguisse l'animo suo monotona una malia per abbandonarmi. Debole bianco uccello soffiato via dai mari del nord, dal lontano nord uccello buttato, con un'ala spezzata nel nostro giardino fuliginoso a trascinarsi perlustrando perpetuamente tutta la siepe, a tentare di staccarsi da me, dalla mano del mio amore che si insinua, di felicità bisognosa, mentre egli corrucciato si ritira. Più non devo guardarlo, perché smorti i miei occhi l'offendono ora come quelli d'un cane accucciato ai suoi calcagni, come un bracco sdentato col mio volere lo perseguito; irato egli allora per la mia servile insistenza, per la distinta scintilla che nella mia anima vola da sotto l'aggrottarsi improvviso delle sue [ciglia, impallidisce e si rivolta, mentre muto il mio cuore s'arresta. L'ultima volta è questa, ad essa nessuna seguirà! Tutta la vita ho portato il peso di me stessa, tutti gli anni lunghi trascorsi in casa di mio marito; e mai mi son detta, quando lui chiudeva la porta; "Ora sono in trappola, alla fine! Sei perduto, o mio Io senza speranza con gioia, cuore mio, ti senti impaurito, come un topo atterrito." Tre volte ho offerto me stessa, tre volte sono stata respinta. Mai più accadrà ciò, mai più, figlio mio, figlio mio...! Mai conobbi la felicità della libera obbedienza, da quando mi baciò e sparì l'angelo dell'infanzia, tanto tempo fa! Speravo che mi reclamasse quest'ultimo figlio... e ora figlio, figlio mio, m'è d'obbligo restar sola, aspettando, senza comprendere mai la mia rovina, sinché verrà la morte, che non può mancare. La morte, a servir la quale non v'è gioia, mi prenderà,

poiché nell'aldilà sono gli occhi e le labbra di Dio. La voce senza bocca del Padre m'agita il pensiero per il timore e il cuore mi riempie di lacrime di desiderio, il mio cuore che con angoscia si ribella, mentre m'attrae la notte più [vicina. Sera di paese

Il rintocco delle campane e l'orologio della chiesa distintamente e con solennità suonando le otto, il chiasso [allontanano dei ragazzini, che giocano nel fieno ancora. La chiesa sopra di noi s'avvicina e va coprendoci con l'ombra grigia, leggera e grande. Si assopiscono le case, creature sonnolente sotto la soffice nuvola d'ombra; tra loro intanto scura la chiesa e alta si estende, di custodire ansiosa il loro sonno, e invisibile le copre lieve. Dalla nidiata dormiente un mormorio arriva a malapena; Avrei voluto coprisse anche me la chiesa, e la mia casa. Perché escludermi così bruscamente dal godere del sonno che più amo? In barca

Vedi le stelle, amore, ancor più chiare nell'acqua e splendenti di quelle sopra a noi, e più bianche come ninfee! Ombre lucenti di stelle, amore: quante stelle sono nella tua coppa? quante riflesse nella tua anima? Solo le mie, amore, le mie soltanto? Guarda, quando i remi muovo, come deformate s'agitano le stelle, e vengon disperse! Perfino le tue, lo vedi? Rovesciano le stelle le acque acque povere, inquiete, abbandonate...! Dici, amore, che non viene scosso il cielo e immobili son le sue stelle?

Là! hai visto quella scintilla volare su di noi? Le stelle in cielo neanche son sicure. E di me, che sarà, amore, di me? Cosa sarà, amore, se presto la tua stella fosse lanciata sopra un'onda? Sembrerebbero le tenebre un sepolcro? Svaniresti tu, amore, svaniresti? Ultime ore

Il fresco dell'ombra compatta d'una quercia mi avvolge mentre nell'erba giaccio, profonda, che s'innalza dritta, filo dopo filo. Si slanciano i fiori di campo, in essa, più dritti penetrando l'azzurro con le loro cime ornate ondeggianti vessilli, e così le fiamme lacere dell'acetosa, una torcia: una verde città provocatoria vegetale, nuova alla celebrità. Come da sopra una montagna, oltre la sagoma dell'albero sorge il pallore della luna; come fiotto d'una fonte si leva una nube, prima bassa, s'allarga, ma subito s'ingrossa e gonfia, bianca cupola tonda. Che piacere essere a casa come un insetto tra l'erba, lasciando scorrere la vita! Tra i capelli mi si spande un profumo di trifoglio dalle intatte risorse arrivato di una rossa calotta dove mai s'è appoggiata quell'ape ronzante sopra di me, che trasporta il suo peso a fatica. Ma neppure il profumo di fiori spensierati può arrestare le ore. Attraverso l'erba sento lo strepito del treno, giù nella valle diretto in città, trascinando gli anelli della mia catena sempre più corta tesa, ahimé, verso sud! I piatti sobborghi di Sud-Ovest al mattino

Le rosse case nuove spuntano come piante in filari uniformi, vegetazione scarlatta che rizza e dispiega

le sue ombre quadrate. Le case giovani, rosa, mostrano luminoso un lato che pacifico riceve il sole, e all'ombra un altro, che mezzo nasconde il marciapiede e mezzo lo mostra; e vi passano attente figure frettolose nel loro regolare cammino: come formiche che non possono rallentare sfilano e non hanno da dirsi alcuna cosa. Rigidi stanno nella strada i nudi tronchi dei lampioni a caso sparsi, desolate bacchette, testimonianza sulla terra d'un malanno che dei loro germogli li ha spogliati. Il meglio della scuola

A causa del sole sono accostate le persiane, i ragazzi e l'aula galleggiano in una scolorita penombra d'acquario, lungo i muri corrono onde di luce quando le smuove il vento lasciando penetrare il sole; e io, seduto sulla riva della classe, solo, nelle loro divise estive sorveglio i ragazzi mentre scrivono, le teste tonde curve al lavoro: uno, e poi un altro, sollevano a me rivolti il viso, guardando senza vedere, in assoluta quiete a pensare intenti. Poi nuovamente chini, con un fremito piccolo, felice, da me tornano al proprio lavoro, trovato ciò che volevano, quel che dovevano afferrato. È molto dolce, mentre la luce del sole fluttua nel mattino più pieno, sedere con la classe, solo, e sentire ondeggiare la corrente del risveglio e scorrere da me ai ragazzi, facendo luccicare le loro anime bagnate per questa breve ora. È dolce, questa mattina, avvertire su di me i loro sguardi, sentirli girare in un soffio, muoversi vivaci al lavoro: ognuno, gli occhi lampeggianti per la propria scoperta, via, quale uccello che carpisce e fugge. Beccata dopo beccata, sento su di me le loro occhiate guizzanti per il granello

di difficoltà che gustano felici. Come viticci protesi dal desiderio che ruotano sino a toccare lentamente l'albero cui si attaccano e per il quale s'arrampicano cercando la vita, così loro sono con me. Aggrapparmisi li sento e salire su come viti avidamente: con altre foglie la mia vita attorcigliano, nel loro tempo si cela il mio, i loro fremiti sono i miei. Sogni vecchi e nuovi Vecchi

Ho aperto la finestra per scaldare le mie mani sul davanzale dove la pietra assorbe la luce del sole: il pomeriggio è pieno di sogni, amore mio; in un sogno ancora immersi sono i ragazzi per Lorna Doone. Fini e acuti sono i rumori metallici delle locomotive da manovra quasi una musica primitiva, percussione molto lontana; e là a Sydenham, sul grande palazzo blu, strisciano le luci e brillano, ove il vetro è una volta sull'aria quieta. Laggiù è il mondo, tesoro mio, pieno di meraviglia e struggimento, e identificazioni strane e saluti di cose comprese a metà, mentre io saluto la nube del palazzo di vetro veleggiante in alto, tra indefinite [cose nebulose che si pongono alle spalle dell'esperienza della mia vita, dove s'affollano i sogni delle [esistenze antiche. A Norwood, intorno alla collina, attraverso il velo soffice del pomeriggio divampa ancora la vecchia storia di Dora e David, con le antiche, dolci lacrime consolatrici e la risata che le vele scuote della nave dell'anima, sui mari dove i sogni sognati attirano [l'esploratore in oceani sconosciuti. Tutti i passati anni messi a tacere scorrono a ritroso dove le brume si distillano in oblio: io, solcando acque tranquille dove più la paura non ferisce, dove si gonfiano le seriche vele con quella brezza sconosciuta che cala sui mari in cui passata è la bufera della vita, rifluendo per l'iridescenza vibrante che scorre nella scia calda di un tumulto ormai spento, passato,

lascio la mia barca andare alla deriva, scivolando meditabondo dietro un silenzio di lacrime che svaniscono e l'eco d'una risata. Sobborghi in una giornata nebbiosa

O case dalla rigida forma che mai cambia, con quale panno da illusionista foste coperte e scoperte per mostrarvi poi così trasfigurate, diverse del tutto, scomparsa la vostra sostanza, quasi annullata la vostra [minaccia? Tanto rigide figure, così severamente immobili in vuoti blocchi e cubi deformati, ammassate con inutile e nulla profusione, come è accaduto? Ora, in quale forte acqua-regia siete immerse tanto da perdere la vostra materia di mattone e come un presentimento oscillare, sbiadendo vaghe e vinte, svanire, lasciando di voi solo la traccia più pura possibile? Funzione feriale di sera

Le cinque vecchie campane sollecitano e con stridore chiamano insistenti, protestano la loro ragione, pur clamorosamente cadendo in una borbottante confusione, senza sosta, come grida schizzanti di un oratore, che sulla città da una torre le lancia senza fine, senza fine davvero, mai fermandosi. La luna d'argento, buttata così in alto da qualcuno per risolvere a testa o croce la questione, è stata presa nella rete della mongolfiera della notte e con un liscio sorriso blando siede lassù, nel cielo serenamente ammiccando al nulla; o forse la piccola stella che le tiene compagnia della sfrontatezza delle campane si prende gioco, ridacchiando, quasi la sapesse lunga Lui! Mentre la paziente notte indifferente è stretta nei suoi stracci senza sapere, né interessandogli perché la vecchia chiesa schiamazzi e si esalti, ha gli orecchi tormentati dal rumore che straccia

il suo cencioso silenzio, tanto da farla rannicchiare e coprire il volto contratto, a quanto ne sappiamo, in una smorfia amara, [stanca. I vecchi alberi saggi fanno cadere le foglie in un sibilo debole, acuto di disprezzo; un'auto con una risata passa in fondo alla strada. Pian piano si fermano le indiavolate campane e noi siamo liberi mentre le stelle possono prendere in giro l'alta luna leggera a piacer loro. La chiesa ronzante è popolata d'ombre e lamenti, e gli ultimi spiriti barcollano verso il loro cenotafio. Un morto

Ah, rigido, freddo uomo, così inesorabilmente duro, mentre ti lavo con acqua di pianto, come puoi giacere! Irrigidisci il viso di fronte alla figlia della vita? Non puoi proprio rinunciare alla tua scomunica, brusca di superbia? Commediante! Non ti vergogni di recitare questa parte d'indifferenza ferma verso di me? Vuoi proprio, ahimé, che il cuore mi si spezzi, per come m'eviti? Sai bene che la tua bocca sempre più veloce a intenerirsi era persino dei tuoi occhi. Ora è chiusa spietatamente, per quanto io la baci spesso, assetata. Non ha alcun respiro né un rilassamento: dove, dove sei tu? Che hai fatto? Queste labbra di pietra che senso hanno? Come hai osato rivestirti di morte! Potevi vedere un tempo la bianca luna rivelarsi, seno sgusciato dallo scialle di stelle, vedere ogni piccola stella tremare

come battiti di cuore tra sistole e diastole. L'amabile universo tutto un tempo era donna per te, sposa alle tue nozze. Albero in boccio non vi era che non inclinasse a te un nuovo petto candido. Sempre, sempre davvero tenera come una pianta d'estate, si dispiegava dal cielo, per il tuo piacere, una svelata femminilità; giù ti si spargeva come un albero versa i suoi fiori in un fiume. Io vedevo le tue ciglia come rocce posate su un mare di tenebre e nel tuo pensiero versavo tutta l'anima; cadevo come i fiori, per venire colta sul consolato stagno, come petali che lasciano il ramo. Oh, commediante dalla faccia dura, smaltata di bianco, cosa sei oramai? Più non t'importa di quanto sia prigioniero il mio cuore, e m'eludi? Sei tu, infine, indurito, metallico, con interiora d'acciaio? Hai mai provato, tu, dei sentimenti? Tu, freddo, insensibile, meccanico? Oh, no! ...te multiforme, te che io ho amato, te meraviglioso, te che t'oscuravi e risplendevi, molti uomini essendo in uno, ma questo nulla, mai, questo freddo eterno! È dunque tale la somma di te? È inutile tutto? Freddo, freddo-metallo? È questo quel che di te è rimasto? in due parole definito tutto? Un ferro modellato!

Lettera dalla città: in un grigio mattino di marzo

Con grigia riluttanza lentamente si spingono le nuvole a nord verso [te, mentre avanti a tutte, all'orizzonte estremo, una ce n'è dal seno liscio, [lucente di fuoco, a guardia delle selvagge coste settentrionali, dei mari [rosso-fiamma che corrono tra le rocce, ove volano leggeri corvi nel vento come ben [lanciate frecce. Tu potresti essere fuori, nel frutteto, dove le violette oscurano [segretamente il terreno, o nei boschi del crepuscolo, là, tra tremuli anemoni nordici, agitati. Pensa a me qui, in biblioteca, a tentare e ritentare dei versi che [lacrime mi costano e ferite al cuore, di frecce che nessun'armatura fermare [può o respingere. Gli agnelli, mi dici son nati, giacciono nell'erba come margherite [bianche sulle colline verdi-scure; e nuovi vitelli nella stalla. Dietro l'aratro [volteggiano le pavoncelle. Sono contento per te, per me sulla strada ove passo lavorano gli [sterratori e rabbioso io vorrei distruggere la roccia sterile d'ogni arida fonte. Come il mormorio del vento, prigioniero là, nell'alta rete degli alberi [ingemmati, rapida mi passa un'auto vicina, improvvisa, e piego il mio animo a [sentire la voce del motore furtivo, vittorioso, che va via, come un tafano, a sentire il riecheggiare della paura, nel suo beffardo inconsapevole [trionfo.

Lettera dalla città: il mandorlo

Avevi promesso d'inviarmi delle violette. L'hai dimenticato? Alcune bianche e blu, quelle ai piedi della siepe nel frutteto? Dolci scure porpora, e insieme le bianche, in pegno del nostro prematuro, duro amore appena nato. C'è un mandorlo qui... tu non l'hai mai veduto uno così al nord; fiorisce sulla strada e io mi soffermo tutti i giorni accanto allo steccato per vedere i fiori che in alto [s'espandono nel blu in pace e fantastico sul loro senso. Sotto il mandorlo hanno riposo di Provenza, Giappone e Italia le terre felici e quando si passa sono voci e batter di mani di chi ci gioca attorno e batter di mani delle ragazze di campagna. Tu, amore mio, a tutto anteposta, con una gonna fiorita, e tutta la tenerezza tua incredibile, con un riso che ti luccica negli occhi, così aperti ora sui futuri giorni, tu, con le mani sciolte, sospese, abbandonate. Mattino di nozze

Si spacca il mattino come una melagrana con rosse crepe lucide; ah, quando arriverà domani l'aurora, tardi, biancheggiando oltre il letto, vigile mi troverà ai cancelli del matrimonio, mentre aspetto che si diffonda la luce su di lui, che sazio dorme con la testa sprofondata, incosciente. E quando l'alba s'insinuerà dentro cauta m'alzerò per osservare la vittoria della luce sul primo dei miei giorni che lui mi mostra, addormentato nel sonno in cui con me cadde, e il mio sguardo meno vago diverrà, e la sua faccia calda vedrò liberata dall'agitarsi della fiamma. Saprò allora a quale immagine di Dio è fatto il mio uomo;

e vedrò il castigo o il premio della mia vita nel dormiente; calcolerò allora lo stampo e il valore dell'uomo che come mio ho accettato, mi si rivelerà un aspetto del cielo o della terra nello splendore del metallo in cui è coniato. Oh, sono ansiosa di vederlo dormire totalmente in mio potere, saprò allora chi è che ho da tenermi... Sono ansiosa di vedere questo amore mio, questa moneta che ruota, posarsi immobile al mio fianco e pronta per la mia stima: certo egli sarà ricchezza di vita per me. E allora sarà mio, giacendo a me rivelato, aperto ai miei occhi, chiaro dormirà, disteso negligentemente, affidando a me la sua realtà, e io guarderò l'alba illuminare il mio destino. Guardando splendere la debole luce su quel sonno colmo di me, sulla sua fronte, ove i riccioli negligenti s'accoppiano e appiccicano, sulle sue labbra, ove il respiro leggero va e viene, inconsapevole, sulle sue membra assonnate finalmente stese, indifese, piangerò, lo so, oh se piangerò di gioia e di tormento. Violette

Sorella, ricordi mentre accanto alla fossa eravamo sulle assi, e la bara sull'argilla gialla, e sopra dei fiori bianchi e si attendeva la seppellissero, levandola alla pioggia? E andava in fretta il pastore, e il nero nella pioggia si addensava, non t'accorgesti di una ragazza che indietro andava girando semplice e sconsolata? - Come avrei potuto guardare attorno!

In piedi, là, su quelle assi, con la cassa del nostro Ted lì in terra, aspettando la calassero giù! Non potevo far altro che pensare a lui, che se ne era andato, alla sua giovinezza, all'errore del bere e del persistervi! Tira via! non lo logorò il bere, né il persistervi l'uccise. - No, non è così, mio dio! Invece sì, ti dico! Un ragazzo in giro non era mai andato così allegro, finché non divise la sorte con te. Va bene, va bene, la colpa è mia! Lasciami però raccontare di quella ragazza. Quando tutti ve ne andaste indietro mi fermai, sul viottolo, sotto l'acqua per vedere cosa faceva. L'avessi vista, avvicinarsi, quando tu non c'eri più! L'avessi vista inginocchiarsi e fissare la tomba fangosa! Splendeva il suo piccolo collo bianchissimo, e piangeva tanto che avrei iniziato a quel modo a singhiozzare anch'io. Sbottonò sul petto la sua nera giacchetta estraendone piene di viole le mani, a ciuffi bianchi e blu, come uno straccio sfilacciato. Erano calde, tanto che sino a me arrivò il profumo. Il viso vi poggiò in mezzo, e riprese a piangere un poco, e dopo, le fece cadere là. Io andai via, perché pioveva a catinelle. Ma confessavo a me stesso, che era quello l'unico calore che lì sotto avesse avuto lui; tutto il resto era pietra gelata. Da quel piccolo seno di ragazza, veniva, e ne sarebbe stato contento, più contento che dei tuoi gigli, lasciamelo dire. Fulmine

Sentivo rollii e pause del tuo cuore contro il mio petto, dove il cuore mio stava battendo e a quei salti ridevo ed a quei tuffi e strano alle orecchie pulsanti di sangue m'era il suono delle parole che andavo ripetendo, ripetendo nell'abbraccio, intento, accecato dalla passione. Sul collo lei m'alitava il respiro caldo,

caldo come fiamma nell'afosa aria notturna; e il senso del suo corpo aderente era dolce ove le braccia poggiava, sul mio collo serrato dai battiti. Tenendola così, poteva forse importarmi che la nera notte me la nascondesse, me la cancellasse interamente? Mi protendevo a trovar le sue labbra nel buio reclamando lei tutta in un bacio, quando un fulmine lampeggiò sopra il suo viso e per lo spazio abbagliante d'un secondo la vidi, come neve che scivola da un tetto, inerte, come morta gemere: "Questo no! questo no!" Un attimo, il suo volto come neve nel buio, pallido abbandonato a me di fronte, pallido amore perduto in un disgelo di paura e fuso in una lacrima di ghiaccio, le labbra aperte, angosciata un istante; poi il buio chiuse il coperchio della sacra arca. E udii il tuono e sentii la pioggia, si sciolsero abbandonate le mie braccia, ammutolii. Quasi la odiavo, sacrificata, me stesso odiavo, e il luogo e la pioggia gelida che bruciava sulla mia rabbia e: A casa - dicevo andiamo a casa, il fulmine ha illuminato tutto, troppo. Fine di un'altra vacanza a casa

Quando vedrò ancora la mezzaluna calare in fondo al giardino dietro il sicomoro nero? Quando il profumo del flogo, bianco, pallido, si diffonderà ancora su di me, lungo il muro e attraverso la finestra [aperta? Perché il lungo, lento rintocco della campana di mezzanotte (finirà mai di suonar i dodici colpi?) cade ancora e ancora cade con pesante ammonimento sul mio [cuore? Nella nebbia lunare è il paese, della nebbia fuori parla la campana, tutti i tetti miseri, imploranti, bassi si inclinano, rassegnati. - Dillo tu, mia casa! Quali errori ho commesso? Oh, casa, d'improvviso t'amo quando giù in strada sento il chiaro, deciso trotto d'un pony, il succedersi distinto dei piccoli colpi che cascano nel silenzio

puliti sopra il basso, lungo strascinarsi d'un treno per la valle. . . . . . . . . . . . . . . . . La luce s'è spenta, sotto l'uscio di mia madre. Deve proprio amarmi tanto! Lei, così sola, ora va ingrigendosi! E io sto lasciandola, risoluto ai miei studi! Amore è il grande Inquisitore. Il sole e la pioggia non chiedono il segreto del chicco di grano alla ricerca della libertà nel buio. La luna il suo solitario cammino percorre libera d'angoscia perché nessuno si rattrista per la sua partenza. Per sempre, ogni istante indugerà pietoso alle mie spalle l'amore, accucciandosi come le piccole case nella nebbia, quando mi volto [indietro. Perennemente, fuori della nebbia, con rimprovero solleva la chiesa [un dito, indicando ai miei occhi, con infelice sfida, dove per piangere [nasconde l'amore il suo viso. Oh, ma s'infiltra la pioggia a bagnare il chicco di grano che solo combatte nel buio, e, nulla chiedendo, pazientemente, furtivo rispunta! La luna parte a notte e serena avanza per le vuote altezze oscure, con passi decisi: nessun singhiozzo luttuoso l'insegue, né indebolisce alcuna lacrima d'amore il suo procedere costante; sempre invece al mio fianco, triste e fragile, una grigia testa di donna povera, curva, con occhi febbrili d'amore, lenta cammina. La giovenca timorosa lancia sconvolte occhiate con in grembo uno strano nuovo battito di vita, e corre e cerca un poco di solitudine. Il granello si ritira, a celarsi nella terra. Calmo l'uovo, che paziente lavora sotto il guscio per dividersi e separarsi, chiede anche lui di star [nascosto e nulla desidera dire. Ma quando mi tiro sui miei occhi il corto mantello del silenzio, viene l'amore pietoso a sbirciare sotto al cappuccio: tocca la fibbia con dita tremanti,

e porge orecchio ai singhiozzi penosi del mio sangue, mentre m'inzuppano le sue lacrime sino al petto dove bruciando mi cauterizzano. . . . . . . . . . . . . . . Si tinge di rosso coricandosi la luna. Nella valle un fagiano chiama monotonamente, con inalterabile voce lamentosa, che indebolisce la mia fiduciosa attività; e invoca, con rauca preghiera insistente mai stanca, mai stanca, qualcosa di più da me, ancora di più da me.

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Bambina che corre a piedi nudi

Quando i piedi bianchi d'una bambina van pestando l'erba, i piccoli piedi bianchi svolazzano, come bianchi fiori al vento; volteggiano e corrono come sbuffi di vento sull'acqua dove son rade le erbacce. E la vista nell'erba del loro bianco che gioca è piacevole come il canto d'un pettirosso, così tremulo, o come due farfalle posatesi su una coppa di vetro per un attimo, con piccoli morbidi colpi d'ali. Vorrei girasse verso di me da questa parte la bambina correndo come un'ombra di vento su uno stagno, così potrebbe stare coi due bianchi piedini nudi sulle mie ginocchia, piedini che potrei sentire fra le mani, freschi come bocciuoli di siringa nelle ore del mattino o saldi come giovani peonie di seta. Non più sospiri

Il verso del cuculo e il tubare della colomba senza fine che chiamano e chiamano, svuotano con una monotonia senza senso tutto il piacere della mia mattinata nel bosco macchiato di sole. I fiori del biancospino e quelli della veronica blu che cadono e cadono, in disordine all'ombra dell'olmo scribacchiano messaggi sinceri d'amore nella polvere del sentiero principale. Non mi piace udire la colomba che si lamenta

e si lamenta, tra i fiori, sicura ancora che l'amore tornerà nuovamente e la farà felice di tutto, mentre so che sempre ci sarà chi inganna e inganna, il triste cuore fedele, e intanto ch'ella tesse il suo dolore, amoreggia entro un altro bosco e canta l'amante suo. Oh! il grido del cuculo chiassoso che anticipa e anticipa il suo arrivo giù per l'intrico affascinante dei sentieri, dove fiori dalle capricciose teste si scrollano i cappucci. E come una risata guida in avanti me che sospiro e sospiro tra le ombre, così richiamando alla mente un breve, modesto rimpianto per quello che un tempo era davvero [bello. Guardie Una sfilata a Hyde Park, 1910.

La folla guarda.

Dove sorgono gli alberi come dirupi, solenni in lontananza e azzurri, in mezzo a queste arboree scogliere, nel verde-grigio parco sta una silenziosa linea di soldati, immobile fila di guardie, rossa, brace accesa sotto i colbacchi oscurati dalla pioggia inclinata delle [baionette. Colossale per la vicinanza, un poliziotto blu siede quieto sul suo [cavallo sorvegliando il viale, la mano abbandonata sulla coscia, volta al cielo, ferma è la sua faccia, socchiusi gli occhi annoiati, e la bocca rilassata quasi in un sorriso: ineffabile noia! Ecco! ecco! un generale allegro al piccolo galoppo attraversa lo [slargo con piume bianche che vacillano sotto il cielo grigio, a sera. E d'improvviso, come si muovesse il terreno la rossa fila ondeggia in lenta, magnetica reazione.

Evoluzioni di soldati.

Ondeggia la fila rossa, vedi? Oscilla comandata, nel flusso di una [marcia. Avanza con molle spinta, come acqua verso una chiusa, da un arco [d'ombra emergendo come il sangue emerge dalle ombre profonde della [nostra notte pulsando verso un incontro, una crisi, uno spasimo e un fremito di [gioia. L'onda dei soldati, onda in arrivo, palpitante rosso fronte [d'avvicinamento verso di noi; scuri occhi sotto i colbacchi lucidi, scure minacce che [puntano il nostro vascello in secca; inumano incontro oscuro, e chiuse labbra [calde e scuri baffi di soldati che passano sopra di noi, sul relitto della [nostra nave. Ed ecco, è l'ora del riflusso, essi si rigirano, son spariti gli occhi [dietro i colbacchi. Ma sospeso il suo timbro ha il sangue, il cuore d'oblio uscito conosce solo la ritirata delle spalle ardenti, rosse, rapide onde del dolce fuoco orizzontale, che scemando rifluisce, crepuscolo calante della [ritirata. Consapevole

Lentamente la luna sorge dalla rosea nebbia spogliandosi della sua veste dorata, e così emerge, bianca e raffinata; allora stupito io vedo in cielo, davanti, una donna che non sapevo di amare, ma ella va, e la sua bellezza mi ferisce al cuore; la seguo via nella notte, pregandola di non lasciarmi. Un ricordo doloroso

Alta la luna va sempre più piccola, piccola e da me assai lontana, candida, pensosa, m'osserva meditabonda dalla sua distanza, e scorgo tremolare blu sul suo pallore una lacrima ch'io certo avevo veduta già, sperando allora che nemmeno l'inferno la serbasse [ancora. Un fiore bianco

Una luna minuscola, piccola e bianca come un unico fiore di [gelsomino tutta sola pende sopra la mia finestra, dal pergolato invernale della [notte, liquida come un fiore di tiglio, leggera come acqua lucente o pioggia, brilla, primo immacolato amore vano della mia gioventù, senza [passione. Corot

S'innalzano gli alberi più alti e ancora più alti, sollevati dalla tenue spinta d'una fredda fiamma grigia che dall'est viene filtrando l'anima dalla trama di ogni foglia. Così il pacifico strisciante rapimento della vita è oscuramente trascinato avanti, con facilità nascosto da vociferanti foglie argentee: una lotta di forme smosse da un forte vento, il chiaro avanzare grigio, limpido plasma del luminoso scopo di Dio, brilla dove alti alberi, di traverso sul fiume, attorno scuotono a caso fiocchi d'ombra tremula. E misterioso flusso costante di tutta la nebbia grigio-spumosa di Dio, che avanza silenzioso e rapido muovendosi verso qualche sua mèta ignota, visibile è nella brina sulla ragnatela, e si ode nel sussurrar senza vento delle foglie, nella placida fatica degli uomini nei campi,

nello staccarsi, in basso, di leggeri covoni di nuvole che i cieli piovosi producono, nel frusciare rapido d'una foglia che cade nel volteggiare del fumo d'un tetto rosso, nel leggero risuonar di passi d'un uomo sotto alberi scuri, così enormi, alti. Cosa può tutta increspandosi, per un momento cogliere sotto

la se la il

materia dai bordi netti, a ritroso non catturare la lunghezza dell'onda e rivelare possente direzione, una scintilla tondo movimento?

In un turbine da sempre scorre Dio, vago ed immenso, e crea la scanalata vena dell'uomo e della foglia al suo passaggio; un'ombra proiettata e, prima che la si possa identificare, sparita. Ascolta, ah, non è solitudine il silenzio! Imita gli alberi sontuosi che parola non dicono della loro estasi, ma luminosa la brezza solo respirano profondamente. Michelangelo

Chi fece tremare le tue curve linee nel calice delle sue dita? Chi calò le sue mani con fermezza sui tuoi fianchi e tracciò il cerchio del suo potere, o uomo, lungo le membra tue, felici come quelle d'una sposa? Come fosti modellato così stranamente? Qual dito animato ti arcuò la bocca? e quale spalla forte ti piantò diritto? Sei orgoglioso di vedere nelle curve delle tue forme l'impronta del modellatore sconosciuto? Chi afferrò di luce una manciata e ne fece una palla comprimendola sinché il suo raggio divenne scuro [meravigliosamente, e scuri occhi quindi ti diede, o uomo! così che tutto attraverso quel lampo potesse entrare in te? Chi, prostrandosi, abbassò le labbra a un bacio per una passione di vita te baciando, e vita lasciò sulla tua bocca, e leggero il soffio veloce d'un respiro? Da dove viene tutto ciò, che tu devi sorvegliar dai ladri? Da dove viene, e dove va? Ancora la stessa vecchia domanda senza risposta! A te la vita

estranea e costretta viene, e su di essa tu non hai diritti; poi ti lascia, e lamentarti puoi tu, soltanto. Hyde Park di notte, prima della guerra Impiegati

Chiuse le porte abbiamo dietro a noi, e pendono i fiori vellutati della notte, spargendo attorno a noi i loro grani di polline di luce [dorata. Alfine ora solleviamo i nostri volti, volti che fioriscono alla notte che ci prende volenti, e ci libera al tempo. Finalmente dai fervidi occhi spariscono inchiostro e rabbia e, via dal deserto delle nostre stanze, un libero spirito fantastica [avventure. Né troppo vicino, né troppo lontano, fuori dalla stretta della folla urla la musica come barrito d'elefanti, che la proboscide alzano e barriscono forte nella notte felici, mentre i padroni dormono e stanno sognando. Ecco, ora nel Shalimar mi nascondo con una snella principessa fiera e sensuale e ci struggiamo di baci, sfiniti sino a sembrare due pavoni che su una nube di polvere d'oro vanno fluttuanti con un susseguirsi di stelle sulla nostra scia. Piccadilly Circus di notte Prostitute

Quando nella notte la luce nella città come polvere s'è levata gialla, o come bruma, fuori d'uno stagno fra le dune, lambita dalla luna, per un'ora breve fioriscono i nostri visi, sulla strada pallidi e incerti: margherite che risvegliate per errore si spiegano bianche in attesa [d'incontrare la nebbia luminosa, credendo poverelle che l'alba stia arrivando [lungo il cielo

mentre lontana è l'aurora, oltre la stella in alto guidata dalla città di [polvere brillante. Gli uccelli tutti si son ripiegati in tranquille palle di sonno tutti i fiori sono svaniti dall'isola d'asfalto, nel mare. Solo noi, creature dal volto di pietra, andiamo e andiamo in giro, tenendo le rive di quest'intimo, illusorio oceano vivo. I passeri che cinguettavano gai quando li guardava negli occhi il [mattino sono andati via e così le licenziose rose dei marciapiedi: e ora noi fiori d'illusione, per rendere un Paradiso le rive di quest'oceano [senza posa risplendiamo con la nostra bigiotteria, uccelli allegri in un mare [d'oscura città. Dopo l'Opera

Giù per le scale di pietra ragazze con occhi grandi, spalancati per la tragedia lanciano a me occhiate stupite e d'emozione piene e io sorrido. Signore come uccellini camminano nelle loro lucide scarpe appuntite, si sporgono in avanti ansiose, quasi aspettassero una barca, per [venir salvate dal naufragio; tra i relitti della folla del teatro mi fermo e sorrido. Con quanta aria di circostanza la gente prende la tragedia! e tutto ciò mi diverte. Ma quando incontro gli occhi dolenti occhi stanchi, arrossati del barista dalle magre braccia, io son contento di tornare là, da dove son venuto. Mattino di lavoro

Una squadra di manovali con l'azzurro del mattino sembra tessere, sulla catasta d'umida legna, che sanguigna risplende presso i binari della ferrovia, qualcosa di magico e fine, facendo scivolar le spole.

Le loro mani, i loro visi oscillano, rossi rocchetti dorati avanti e indietro per l'alto telaio cristallino del giorno: folletti al lavoro in una cerulea miniera risonante scavano ridendo; per loro il lavoro è come un gioco. Trasformazioni

I. La città Oh rigide forme, agitate in rapida trasformazione, soltanto l'altra notte eravate in una Sodoma che lenta bruciava nell'aria densa, sporca: oggi siete un boschetto inondato dal sole con azzurre volute di fumo. Domani, nuotando nella vaga, nebbia pallida della sera come l'ombra sradicata d'una città sottomarina, sarete immerse in un oceano di luce scintillante: poi aspettando la bianca luce fioca della luna, sembrerete di funghi velenosi un [gruppo. Quando la mattina mi desto, ed è piovuto, mentre le nuove case, mazzo di gigli che brillano scarlatti, sono animate dal cinguettio allegro degli uccelli devo dire che il vostro impegno di bruttezza è sciolto.

2. La Terra

Oh Terra, zolla di terra ruotante. E poi tu, lampada, bellezza color limone! Oh Terra, mela marcia che rotoli verso il basso; quindi terra brillante, dal luminoso alone della notte uscita or ora in bellezza, come un bruno gioiello ippocastano! Tutte queste cose tu sei, e mi sento in dovere di vederti così, sordida o radiosa.

3. Gli uomini

Operai, spole che percorrete l'azzurro telaio del mattino! Voi, piedi dell'arcobaleno sospeso nel cielo! Proiettate le vostre braccia come razzi in cielo, voi che, stanchi, v'inclinate come barche al vento marino! Voi che v'affollate in gruppi come rododendri fioriti e, disperati, v'isolate come gocce di luce; voi che quando per il lavoro vi dibattete, o l'odio o la passione come tutte le bestie fremete, che sudano e lottano; voi che contorti per il dolore apparite come foglie di faggio [accartocciate, voi che come gatti v'arrotolate nel sonno, voi che in rivolta [v'ammassate vibranti come uno sciame d'api, voi che cadete a terra e quali baccelli di fagioli imputridite; ma cosa siete voi, oh multiformi? Bambina che dorme, passato il dolore

Quale ape inzuppata, annegata che immobile si sporge e pesante da un fiore inclinato, così a me s'aggrappa la mia bambina, solcati i capelli castani da lacrime umide che sulla guancia si spargono; le tenere sue gambe bianche pesanti mi penzolano sul braccio e al movimento oscillano dei passi miei, sfinita per il dolore passato. La mia bambina addormentata è appesa alla mia vita: s'appende a me come un fardello! Lei, che sembrava tanto leggera, sempre, ora, pregna di lacrime e dolore pesantemente s'abbandona e anche i suoi vaporosi capelli pendono giù, dritti, pesanti come di un'ape inzuppata, annegata son divenute pesanti e affaticate le ali. Ultima lezione del pomeriggio

Quando suonerà la campana per porre fine a questa fatica? Quanto a lungo han teso il guinzaglio e tirato di lato questi cani turbolenti della mia muta! Incitarli non posso contro una preda, il sapere, che odiano cacciare: più non mi sento d'esortarli e spingerli. La vista oramai sostener più non posso dei libri spalancati sui banchi, sessanta pagine

d'insulti svariati, macchiate dai lavori sciatti che mi han presentato e scarabocchiate. Sono stufo: e che vantaggio ne può derivare a loro o a me? Non riesco a capire!? Dovrei riempirmi l'animo raccogliendo l'ultimo mio caro combustibile di vita e accendere la mia volontà, fiamma che consumi le scorie della loro indifferenza, e con punizioni far loro pagare lo scotto delle offese? - Non voglio! Non voglio per questo sperperar animo e forze. Di tutti gli errori che fanno, che m'interessa! Qual fine ha questo mio insegnar e questo loro apprendere? Nel medesimo abisso tutto sprofonda. Mi riguarda forse se san comporre loro d'un cane il ritratto, o se farlo non sanno? E a che scopo? Non importa loro, né a me! Eppure con le mie forze tutte il dovere avrei d'interessarmi. Ma non l'ho e averlo non voglio, e lor neanche minimamente: e [questo è tutto! Risparmierò le forze per me stesso ed essi possono far lo stesso. Perché le nostre teste sbattere dovremmo contro il muro le une dell'altre? Mi siederò allora per aspettare la campana. Scuola in periferia

Quanto diversa la grande scuola, in mezzo alla neve, sorge rossa! rossa quieta rocca senz'ombre, accerchiata da gruppi d'urlanti [ragazzi, di cui pochi, neri fendono l'entrata, figure che si accalcano come [anime di morti attonite, immobili ai cancelli della vita, ostinate monadi scure. La nuova rocca rossa in un deserto di bianco s'erge contro al giorno e come un rifugio ora blandisce, liberi i venti e un deserto terribile di silenzio e di neve steso sul mondo degli uomini: ora la scuola è la rocca in questa stanca terra che l'inferno brucia e [acceca. A scuola in un giorno nevoso

Tutte le lunghe ore di scuola, all'anormale mormorio della classe han stretto attorno infiniti spazi di rauco silenzio avvolgendo la mia mente come suoni mozzati dalla neve che scende giù sulla strada sporca. Noi abbiamo recitato le lezioni [senza fermarci mai. Ma i volti dei ragazzi dalla gialla luce covati erano per me come astri d'una stupefatta costellazione, come fiori socchiusi nella notte in leggera agitazione, come spuma di riflusso sotto la luna intravista su una spiaggia. Da ogni viso strani raggi scuri che turbano; nelle aperte profondità di ogni fiore, inquiete gocce scure; sfida e mistero ribollono nel mormorio rivoltoso della spuma. - In qual modo poss'io rispondere alla sfida di tanti occhi? La neve, alta e spiegazzata sul tetto, precipita giù paurosamente! - Debbo richiamare indietro quei cento occhi? Una voce balbetta una regola su un sostantivo astratto... ...Qual era la mia domanda? - Mio dio, debbo interrompere questo silenzio rauco che mormora al di là delle stelle. - Attenti! - ho fatto trasalire cento occhi ed ora una risposta debbo ricordar loro, ma proprio non ce la faccio. Cala la neve come se il cielo scrollasse giù, lento in fiocchi d'ombra, mentre nello spazio tra gli edifici della scuola, rapida passa nera una cornacchia. In cortile, una vellutata palla di neve immobile, enorme su cui scendono fiocchi chiari. Più in là, la città è perduta in questo ombrato silenzio che stilla dai cieli. Il silenzio avvolge tutte le cose, e loro possono meditare isolati in esso, ovattato e rauco. Io solo, e la classe, dobbiamo discutere; quale amara croce è questo [lavoro! In ogni caso

1 Non dirmi, mamma, che è lui! non dirlo, non dirlo! - Oh, verrà e ti dirà se non è lui,

ragazza, vedrai! Vuoi forse dirmi, mamma, ch'è andato con quella. - Mia cara, son tutte buone al buio per un uomo, tutte buone! Ma lei è vecchia, mamma, ha vent'anni più di lui. - Sì, e gialla come un fiore appassito, eppure al buio sarà passabile per Tim. - Ma tu non ci credi, mamma, vero? È una malignità. - Chiedilo a lui, ragazzina; inquilino d'una vedova! Non è certo una sorpresa.

2

- Una vedova quarantacinquenne con una pelle sporca, acre, accalappiare un ragazzo di venticinque anni, e lui esserci caduto! Una vedova quarantacinquenne, che ha arrancato tutta la vita come un cavallo fino a indurirsi come cuoio conciato, mettersi tra un ragazzo e la sua sposa! Una vedova quarantacinquenne! Un'impudica, tetra vecchia, con lunghi denti da strega e occhi da falco, neri. Me ne son sempre guardata! E io che mi son tenuta chiusa, chiusa come un bocciuolo di margherita, giovane, pulita e graziosa così in me, sposata, avrebbe trovato del buono! E lui, così fresco e carino, un uomo nel pieno delle forze andare a offrire il suo giovane corpo pulito a una donna così volgare!

3

- Siete coraggiosa a affrontare questa neve, signorina Stainwright! Prendete la strada per Brinsley? - Seguo la ferrovia sino a Underwood con un vestito che devo consegnare oggi. - Oh, state andando a Underwood? avrete sentito allora dell'accaduto! - Cosa è successo che avrei dovuto sentire, Signora? Raccontate, non dovete aver paura. Dicevo del vostro ragazzo e della vedova Naylor, quella che gli dà alloggio! Si dice che l'abbia messa incinta; ma io non ne so nulla! Se è vero, dunque, lo butteranno fuori dalla Polizia; senza dubbio. E se non è vero, scommetteteci pure la vita, staranno a sentire il racconto di lei. - Bene, io non credo alle storie, Signora, verificherò da sola; e quando lo saprò con certezza solo allora, Signora, ne parlerò.

4

No, pettirosso, non devi annuirmi col capo! Il mio petto è rosso come il tuo, penso; vedessi che rosso martoriato! No, benedette pavoncelle, non dovete strillare! So strillare da sola, ma a quel modo ne verranno a conoscenza tutti. E tu coniglietto, sei tutto avvolto nel tuo pelo e muovi nella neve il collo e il gozzo! Ma t'assicuro che io sono più veloce ad arrivare in cima.

5

Ora sediamoci qui all'incrocio dei binari sul panchetto scaldandoci al fuoco sotto la cisterna cui attingono le locomotive, se non c'è il mio bene-amato bugiardo. Il mio poliziotto, col suo petto abbottonato risoluto come la verità, Signore mio! e il suo viso sfrontato come un pettirosso! Gli importa molto di quella bella disgrazia, antica vergogna. Oh, ecco che ammaina il suo stendardo, vedendomi! Sì! e diviene bianco il suo volto! Oh sì, mi fissi pure coi suoi fieri occhi azzurri: non mi farà distogliere lo sguardo, lo giuro.

6

- Perché sei andata così distante con questa neve così alta? - Sto andando a consegnare un abito da sposa, se vuoi proprio saperlo. - E siccome c'è un matrimonio a Underwood devi strascinarti fino là? - È l'abito da sposa della vedova Naylor, ho sentito che ne avrà bisogno. - Lei non necessita d'alcun abito da sposa, perché... ma tu cosa vuoi dire? - Non sai proprio quel che intendo, Timmy? Devi essere stato duro da svezzare, eh? Succhi ancora volentieri il latte, Timmy! Ma dimmi, non è vero forse che avrà bisogno di questo vestito tra una o due settimane? - Non c'è ragione per avercela con me,

Lizzie; quel che è fatto è fatto. - Fatto, dovrei pensarla così! E posso chiederti quando è iniziato? - Sei stata tu a farlo, ecco qua, te l'ho detto - Sarei io ad aspettare - Hai avuto la risposta

almeno quanto me, chiaro. un bambino dalla tua padrona di casa? giusta,

come sempre; ma lascia che ti chieda se non sei stata tu a scacciarmi, quando mi stavo riducendo alla follia e ormai ero in agonia. Ti baciai, quella notte, Lizzie, giacemmo insieme, e tu ti sciogliesti in me, ti sciogliesti proprio in me, Lizzie finché mi sentii davvero soffocare. E se la mia padrona mi vide in quello stato, e i suoi occhi come lame mi penetrarono appena si spense la luce, c'è forse ragione di sorprendersi? - Proprio nessuna ragione di stupirsi, caro mio; dopo avermi baciata e abbracciata stretta, hai potuto volgere la tua bocca su una donna come quella! Spero che ti sia piaciuto! - Ah, certo! ma dopo avrei potuto ammazzarla. - Dopo! dopo quante volte avresti potuto ucciderla? - Taci, Liz, piantala! Lei è buona quanto te. - Allora ti saluto Timothy; pigliati lei al posto mio. - Va bene, Liz, addio, però non sposerò né lei, né alcun'altra. - Bella bravata, Signore! - Il bambino seguirà la sua sorte e lei avrà la sua sorte. Ti dico che non mi sposo con nessuno, quanto a voi avete avuto quanto avete preso! - Questo è parlar da uomo, Timmy, proprio parlar da uomo!

"Egli sparò un colpo di pistola e quindi scappò via!" - Sia dannato se la sposo, o sposo te, e con questo non pensarci più! Non m'interessa la vostra passione prorompente! - Non c'è alcun bisogno d'imprecare!

7

- Qua c'è il suo colletto attorno al candeliere, e ecco qui la cravatta blu scura che gli ho comprato io! Ah, ecco i guanti femminili di capretto che ama tanto, ed ora sta arrivando la gatta che l'ha accalappiato. Non ci vedeva proprio... una megera dalle grosse spalle tonde! Mio Dio, se penso che s'è abbassato fino a lei! Non si capisce come abbia potuto gettarsi in una fogna come quella! Credo sappiate chi sono, signora Naylor? - Chi siete? Ah, sì, siete Lizzie Stainwright. - Avrete allora indovinato perché son venuta? - Forse no, forse sì. -

Sapevate che c'era del tenero tra me e Tim Merfin? Sì, sapevo che ti corteggiava. E siete andata lo stesso avanti con lui! Certo, e lui con me.

-

Bene, ed ora vi tocca pagare per questo. Pure se fosse, cosa c'entri tu? Lui non vuole sposarvi proprio! Lo vorresti per te, capisco.

-

Non ha nulla a che fare con me. Allora perché t'impicci? Non voglio di certo i vostri avanzi o scarti. E chi ha detto che li vuoi?

-

Voglio solo farvi sapere che non vi sposa. Vuole te, purtroppo. Voglio proprio vedere come vi pagherà e farà quel ch'è giusto. Sarai tu che avrai fortuna con quel ragazzo!

8

- Pensare che devo mettermi a discutere con una donna, e proporle dei soldi perché mi lasci sposare il ragazzo che pensavo di sposare con gran festa! Andremo invece di nascosto dall'ufficiale di stato civile e a lei daremo tutti i soldi che abbiamo; perché non voglio dover nulla a una come quella, non voglio, o non mi chiamo più Liz.

9

- Levati le bardature d'ordinanza, Tim, e vieni qui con me; togliti l'elmetto da poliziotto e guardami. Vorrei tu non l'avessi fatto, Tim, lo vorrei, lo vorrei veramente! Perché quando ti guardo in volto, vedo sempre anche la sua faccia. Vorrei poterla cancellare da te; e forse potrei, se cerco di farlo. Ma tu dovrai promettere d'essermi fedele fino alla mia morte...

10

Venti sterline le hai tu, e cinquanta ne ho io; ci vorranno le tue per pagare la donna, e con le mie compreremo tutti i mobili che vorremo quando lasci questo posto; e ci sposeremo in Comune... ora alza gli occhi! Solleva il viso e guardami, uomo! Non puoi guardarmi?

Scusami per quest'affare, mi spiace se sono stata io a portarti a fare una cosa simile; però è ben misero esser costretta a dire che, per poterti avere, ho dovuto pagare una vedova [quarantacinquenne. Pensassi almeno a quanto t'ho amato: anche troppo ti ho amato. E vorrei sul serio che questa storia non venisse mai più ripresa. Davvero vorrei poter stare all'altare con te, di te orgogliosa! E avrei potuto essere la tua prima donna, come sei tu il mio primo [uomo. Ma tutto è bene quel che finisce bene. Così, ora solleva lo sguardo, guarda su e dì che ti spiace tutto ciò, chiedimi scusa. Penso che ti cacceranno dal corpo di Polizia, se lo faranno possiamo vedere se ti dà un lavoro in banca mio padre. Dì che ti [spiace, Timmy!

11

- Sì, scusa, mi spiace, ma con questo? Sì, mi dispiace! Non è necessario tu stia in ansia né che ti consumi per questo. Mi dispiace per te; mi dispiace per lei son dispiaciuto per tutti noi. E allora? Tu mi vuoi dopo tutto, mi vuoi? Mi son messo dalla parte del torto, Liz, e lei lo stesso. E tu da quella della ragione, lo sai, e chiunque altro è dannato. Sei così sicura d'aver ragione, Liz! Maledizione a quel sicura! Ma fai attenzione, quella vedova non è molto avida, anche se povera. Quel che le ho dato, lei mi ha reso senza pensarci. Qualcosa mi ha dato, non posso dire che fosse nulla.

Scusami per il disturbo che ne è venuto a noi tutti. Ma che mi spiaccia quel che ho avuto non è vero, questo è tutto. Per quel che riguarda il matrimonio, non sposerò né l'una né l'altra. Ho avuto tutto quel che posso sopportare da te e da lei. Così me ne andrò e lascerò tutt'e due. Non mi piaci, Liz! voglio proprio fuggir lontano. E, veramente, non mi piace anche lei, pur avendo avuto da lei più che da te; ma quale delle due scegliere è un quesito troppo difficile per questo ragazzo. Lasciami andare! A che serve parlare? Facciamola finita! Discutere d'amore o di donne, non mi diverte per niente! Quel po' che conta l'ho avuto da lei, è tutto quel che ho tirato fuori dalla cosa; e non mi sembra abbastanza buono, no, per una sistemazione permanente. Devo salutarti, Liz, per me tu hai troppo ragione e vi è qualcosa di storto con lei. Addio! E lascia che sia così! Racconto d'inverno

I campi sparsi di neve erano solo grigi ieri, e ora a fatica spuntano i fili d'erba più lunghi; ma segnano la neve le sue orme profonde, e vanno verso i pini, sull'orlo bianco del colle. Non posso vederla, finché la pallida sciarpa della nebbia il bosco scuro cela e l'arancio opaco del cielo; ma lei aspetta, lo so, fredda e impaziente. Si dibattono nel suo sospiro di gelo i suoi singhiozzi non riusciti. Perché viene così sollecita, quando dovrebbe sapere

che è più vicina soltanto all'inevitabile addio? Ripido è il colle e sulla neve i miei passi sono lenti. Perché viene, quando sa quel che ho da dirle? Ritorno

Ora sono tornato da te che hai desiderato tanto la mia venuta; perché non mi guardi? Perché il tuo viso brucia contro di me? Come ho ispirato una rabbia tale da serrarti insolitamente le labbra? Eccomi seduto adesso mentre tu frantumi la musica sotto il tuo archetto, poiché rotta è doloroso l'udirla. Smetti quindi di suonare! L'angoscia dell'assenza solo lascia pungente freddezza quando avvicinarmi vorrei? La supplica

Tu, Elena, che vedi le stelle bruciare come bacche di vischio in un albero nero, tu certo, vedendo ch'io sono una tazza di baci la tua bocca dovresti poggiare alla mia e di me bere. Elena, tu lasci svanire nelle narici nere della orsù, ti prego; tu, che come puoi sfuggire alla

i miei baci notte; bevimi baccante sei della Notte, mia tazza di baci?

Gigli nel fuoco

1 Ah, mazzo di gigli bianchi, bianchi tutti e oro! Io vado alla deriva come un raggio di luna, e senza forma o sostanza, però ti illumino e accendo il tuo pallore di radiosità, i tuoi freddi petali pallidi rendo incandescenti: così ora tu non sei un mazzo di bianchi gigli, ma una stella bianca condensatasi e da me chiamata giù stanotte, per illuminare queste foglie autunnali, come caduta tra le sottili braccia nude dei rami, scure braccia alzate delle tue vestali che mi allontanano; ma io vengo

su di te qual vento d'autunno su un chiaro raggio randagio e tutto ne scarico il bianco fuoco. Così tu sei un lucido fungo che ora brilla qui tra le foglie accartocciate di faggio, fosforescente, mio mazzo di gigli un tempo bianco, incandescente, mia stella caduta tra le foglie, mia cara!

2

È con dolore, mia cara, che tremi tanto? È perché t'ho fatto male, mia cara? Ho avuto dei brividi? No, non credo proprio. Forse una goccia di rugiada m'è caduta sul viso, quaggiù. Perché parli ancora traverso i denti serrati! Era troppo questo per te? No, caro, stai tranquillo! Forse è fredda la terra qui sotto le foglie... e tu, caro, hai avuto quello che volevi. Sei tutta tesa, come se ti ferissi, nel darti i miei baci; tu mi respingi. No, mai t'ho respinto: anche se ogni bacio sibila sul mio corpo indifeso come morbida cenere ardente.

3

Sono confuso, non mi volevi stasera. È sempre così, ti faccio sospirar di pena. Quando vicino ti vengo s'offusca la tua lucentezza, e il mio libero fuoco ti penetra come ghiaccio, come veleno crudele. Ora lo so, e mortificato resto. Mi ami mentre teneramente ondeggio come raggio di luna che ti baci; ma il corpo mio chiudendosi su di te nel fiammante momento

luminoso, ti distrugge e tu resti distrutta davvero. L'umiliazione scende in me, perché tutto il nudo splendore del meglio dell'anima mia, che dovrebbe essere prova del passaggio di Dio per i nostri lombi nel suo passo sfolgorante, è soltanto per te un peso di carne morta duro da sopportare e da risollevare da terra, come gigli spezzati e appassiti al suolo che prima ritti s'alzavano così freschi. Rossa luna sorgente

Il treno ha raggiunto un ritmo più costante, correndo per la [campagna, regolare come il silenzio e cielo e terra, nell'abbraccio continuo del buio, attorno giacciono schiacciando tutti tra loro i vaghi caratteri sparsi d'alberi e colline, di case chiuse, e noi usufruire più non possiamo del libro aperto del paesaggio, perché la [copertina dell'oscurità s'è chiusa sulle sue pagine illustrate, e si sono fusi [assieme e cielo e terra e ogni cosa. E noi stessi tra le pagine schiacciati, gli occhi chiudiamo per dire: ["Silenzio!" Nel sonno cerchiamo di fuggire il terrore di questa grande oscurità [bivalve e in essa come perle ci arrotondiamo, per dormire. Quando dagli orli [chiusi della notte come dal grembo nasce rossa la luna lenta, come due muri di oscurità sanguinante in un nuovo notturno spasimo [di nascita, che ci dona questa nuova rossa luna sorgente, poggiata sulle [ginocchia delle rosee ore notturne, e gli occhi ci chiude. Frenetico il treno pulsa in fretta e dibattendosi fugge da questo roseo terrore di nascita che fuori è scivolato dai lombi della notte, a splendere sul nostro cammino come un prodigio; ma, Signore, lieto io sono, tanto lieto, e la mia paura soffoco accettando il miracolo. Il treno ora non può sorpassare la luna rossa, alta, e io sono contento, contento come i Magi quando videro gli occhi dell'infante neonato benedire la loro follia, che li aveva guidati fino alla pace

poiché adesso io so che il mondo entro i mondi è il ventre da cui discende tutta la bellezza che quaggiù ci adorna: e il fuoco che entro questa palla di terra bolle e di fiori tutta la ravviva, è lo stesso fuoco da cui l'argilla indurita nasce degli uomini: e ogni lampo di pensiero che noi tutti all'improvviso abbiamo, e ogni gesto vola come una scintilla nel grembo della passione, a generare una nascita, dalla gioia del procreare. Il mondo entro i mondi è il ventre che prende e dà: noi tutti dona alla luce, affinché a nostra volta si possa dare il seme dell'incarnazione della vita, che cade e suscita nuove forme entro il grembo e poi uomini nuovi. E i dolori della nascita, e la gioia della procreazione, e la fatica del lavoro e la più piccola forma d'inquietitudine o di felicità, mostrano del nostro piccolo fuoco la scia del cammino nel cielo oscurato dove noi possiamo vederlo: fiamma che nel più riposto fuoco, nella risposta della passione, si lancia come spruzzo. E vive anche nelle acquose conchiglie che giacciono entro il molle fango; possiamo scoprire un granello di questo stesso fuoco che s'accende a placare il desiderio sempre vivo del ventre. E così dagli uccelli che strillano traverso il cielo volando quando più alta si leva la bufera, e dalla tumultuante folla rabbiosa che cerca d'arrivare infine a quel di cui ha bisogno, e dagli uomini che danzano e dalle ragazze che ridono e dal fiore che tira fuori la sua lingua e dalla felce che soffia la sua polvere come certi funghi e dagli uccelli che scherzano cinguettando e dal vento che scuote i rami e li agita, nel grembo incosciente dei mondi, soffia un invisibile seme d'esperienza. Piangete celesti occhi umidi d'amore affinché rinunzi l'altro amore al suo desiderio, sebbene io veda anche allora un'azzurra scintilla che volerà ad accendere nel grembo un fuoco sconosciuto. Profumo d'iris

Un opprimente profumo nauseante d'iris persiste tutta la mattina. Qui sul tavolo in un vaso

la bella spiga orgogliosa degli iris purpurei s'eleva sul disordine della classe, rendendomi incapace di vedere chini i volti degli alunni o ritti, se non in un disegno spezzato, tra il rosso, l'oro e il nero. Posso l'odore risentire dell'acquitrino, magnifico ed immoto nel bagliore del biancospino, dove lo splendore delle calendule di fuoco le guance ti velava, il mento e la fronte, mentre affondavi il viso nel mazzo perché ti toccassero e contrastasse la tua bocca scura tra i fragili nuziali fiori di crescione e i lucenti ranuncoli, che vivranno di te più a lungo. Tu sul giallo incantesimo della riva della palude sedevi sul prato in alto fra le primule gialle, ed io, tua ombra sul fiorito fiammeggiare palustre di biancospini, mi distendevo tra le primule completamente mormorandoti amore: la tua anima, come un fiore persa, evanescente, e te, col tuo viso smagliante, come una colomba splendente. Tu sempre mi chiedi se ricordo, se ricordo i ranuncoli sulle sponde dell'acquitrino dove i fiori s'alzano illuminandoti con un riflesso d'oro. Mi chiedi se il tempo risanatore chiuderà l'abisso che tra noi s'insinuò trascinandoci via, e cancellerà la tristezza che ne esce. Tu sulle morte foglie secche di faggio, ancora una volta, una sola, presa come in sacrificio, nella notte invisibile! Solo l'oscurità e il tuo profumo! Sì, grazie a Dio, ancora è possibile che i giorni salutari chiudano l'abisso buio nel quale ci sentimmo mancare come fumo o rugiada! Come vapore, rugiada o veleno! Adesso, Dio volendo, è passato il fuoco dell'anno scorso, e cenere è il tuo volto; e l'abisso che quel giorno s'insinuò tra te, donna, e me, uomo, s'è riempito a metà; vergognarsi ancora non è necessario per nessuno dei due; d'ora in avanti l'uno può dimenticare l'altro e i colpi dello scontro dei nostri corpi. Previsione

Pazienza, piccolo Amore! Una donna dal petto pesante, calda come giugno entrerà un giorno e chiuderà la porta, per restare. E quando l'animo tuo, oppresso, avrebbe reclamato una fresca notte solitaria, il suo petto la notte coprirà pendente nella stanza tua come una coppia di gigli tigrati,

che i loro petali oro-pallido schiudono con ferma intenzione e soffocano le tenebre blu con acre profumo, fiaccando il tuo corpo con la spinta dei suoi capezzoli, finché freschezza bramerai con una forte sete. E ti ricorderai allora, con desiderio vero per la prima volta, quel che ero per te. Così profondamente sogna un narciso selvatico e ti attende attraverso l'oscurità fredda ed azzurra, brillando allegramente ai tuoi piedi come piccola luce. Pazienza, piccolo Amore! Negli anni a venire io sarò dolce per te, nella memoria. Profeta

Oh, mia cara, quando apparirà sul purpureo orizzonte la velata genitrice d'una nuova idea, nasconderanno il viso gli uomini, gridando e respingendo lei, che cerca il suo sposo procreatore, e contro di lei si feriranno, resistendo ai suoi abbracci fecondi. Disciplina

C'è tempesta; ai vetri come api d'argento s'attaccano le gocce di pioggia, nel cortile il fragile sicomoro oscilla con tutte le foglie piegate; nella classe, tinta dalla penombra gialla, debolmente si muovono le [teste dei ragazzi, su tutti i quali ondeggia la rete scura della mia disciplina. Non servono, cara, gentilezza e pazienza: troppo a lungo ho [sopportato. Ho ficcato le mani nella terra nera, sotto il fiore e le nobili foglie dell'anima mia, e ho sentito dove son forti le radici piantate nell'oscurità a lottare per il dominio dell'affollato suolo [profondo. E lì nel buio, mia cara, dove son contorte le radici e si battono l'un l'altra per la presa sull'oscurità concreta, lì so che nella notte dove eravamo un tempo, prima di sorgere alla luce, noi non siamo amanti, mia dolce, combattiamo infatti, e non abbiamo [pietà. Nel buio originale non possono le radici serbare, conoscere

una qualsiasi comunione, ma allacciandosi all'oscurità, e assieme stringendola, ne estraggono una fioca luce, un pallido lento me stesso, che piano sorge alle foglie e alla gaia scintilla del [fiore. Con amore venni dai ragazzi, cara, e essi si rivoltarono contro di me; arrivai con gentilezza io, col cuore tra le mani come in una tazza, una coppa d'amore, un Graal, ma trionfanti lo rovesciarono cercando di spezzare il mio vaso, di violarmi l'anima. E forse avevano ragione, poiché i giovani attivi sono alle radici, in [profondità, e solo l'amore indebolirebbe la loro sotterranea presa, rendendo [superficiale il loro aggancio alla realtà, e avvizzendo i loro nascenti germogli per il troppo mio colore, invece di quello del profondo solco [dell'oscurità. Pensavo che a ogni cosa bastasse l'amore, ora so che mi sbagliavo. Nelle profondità vi sono abissi, mia cara, dove non risiede amore, dove la battaglia, che è lotta per la vita, si combatte lungo gli anni della giovinezza e non deve vincere il vecchio, no, anche se ama ed [è forte. Non devo io sopraffare i loro animi, mai; solo devo raggiungere il breve materiale controllo dell'ora e lasciarli liberi di me. Devono imparare a obbedire, perché è disciplina ogni armonia, e solo con gli altri in armonia l'animo d'uno può essere libero. Lasciate vivere i ragazzi, ma apprendano a non trasgredire; imparai [io coll'amore a non far loro violenza, imparino loro a non abusare del proprio giovane io crudele; la lotta non è per l'esistenza, la lotta per bruciare è alfine nella fioritura dell'essere, ognuno nel proprio [fiore aperto. Sono qui per conoscere una sola lezione: non devono l'un l'altro [ostacolarsi, né venir ostacolati, nella lenta battaglia per la vita, per schiudere il [fiore dell'io. Traggono la loro linfa dalla Divinità, non da me, ma coprire il sole non devono al proprio vicino, né per lucro farselo oscurare.

Alle radici, e null'altro, insegnerò loro il principio della lezione. Me stesso estrarrò dall'oscurità, qual fiore alla luce del giorno, ma non è cosa da fare coi ragazzi, lasciamoli ignorare quel che da loro è lontano e con me combattano le schermaglie della [disciplina. Chiunque volesse strappar via la mia fioritura, si brucerà le mani, poiché se son teneri i fiori, e le radici solo possono nascondersi, talvolta fuoco diventano i petali aprendosi, scarlatte spade dalla fioritura rosa a vedersi, ma fiamme a toccarle. Ma ora schiacciato son io sulla terra, e bassi sono i miei fuochi; giù son caduto come una pianta d'inverno e di tutto me stesso resta solo una cognizione di radici, di radici nel buio, che tessono una rete sotterranea, passiva, animata dalla bile. Aspetta un poco però, perché amerò d'ora in avanti quando chiamerà [un fiore il mio fiore con polline e profumo, e allora soltanto. Darò amore a chi lo vuole. Attendi dunque un poco! È totale al momento la mia caduta, ma aspetta e vedrai che il mio fiore vivrà. Arrabbiato

Fuori ho fatto venire, le lacrime dai piccoli pozzi, estraendole con poche parole di ferro, dagli angoli degli occhi grondanti. Il vento aspro e freddo delle mie parole trascinava le lacrime ed io sulle colpevoli guance dei ragazzi le guardavo scorrere e brillare. Amore e Pietà, dalle bianche mani, spauriti vennero volteggiando attorno al Giudizio ch'era negli occhi miei quale fiamma roteante. Si sono asciugate le lacrime e è fresca la frutta delle giovani guance per il riso, chiari gli occhi perdonati, è cessata ogni pena che tormentava il corpo. L'Angelo del Giudizio è tornato nell'Intimità. Sono sconsolato come una chiesa in cui le luci sono spente e nella desolazione s'insinua il dubbio. Nel roveto sorse il fuoco e subito divampò, crepitavano spine e foglie accartocciandosi sfinite in angoscia:

poi Dio abbandonò quel luogo. Come un fiore nella morsa del gelo chiuso e lasciato poi andare, la mia testa pesa e batte lento il mio cuore, faticosamente: il mio spirito è morto. Senza pace

Ti darò tutte le mie chiavi e la mia castellana sarai tu, potrai entrare quando vuoi e quando vorrai te ne riandrai. Quando ti sento tintinnare per ogni stanza dell'anima mia, seduto io rido a te chiusa nel tuo ruolo di donna di casa! Gelosa del più piccolo angolo, per la cosa più umile irritata: allora, ansiosa amante indiscreta, sei soddisfatta di quel ch'è in dispensa? Hai palpato tutti i miei tesori; non hai forse maneggiato con curiosità infinita palmo a palmo ogni strumento del mio maschile meccanismo? Sopra ogni singola bellezza hai avuto la tua piccola estasi, e come era tuo dovere hai ucciso tutti i topi del peccato che potevi catturare. Ma soddisfatta ancora non sei! D'un languido rimprovero tremi! Mi accusi di tenere da parte segreti che non puoi estorcermi. Può essere di sì, può essere di no; forse vi sono segreti luoghi, sotterranei barbarici altari, e altrove sale di grandi vergogne. Può essere di sì, può essere di no, puoi credere come ti pare dal momento che sei tanto avida di sapere tutto, signorina Ansiosa. Mistero

Ora io sono tutto una tazza di baci, come le alte snelle vestali d'Egitto, ricolme dei divini eccessi. A te alzo la mia coppa di baci e per i recessi azzurri del tempio, verso te grido tra sfrenate carezze. Dal lucido contorno cremisi delle mie labbra si libera la passione giù per l'agile corpo bianco stilla l'inno commovente. E immobile davanti all'altare elevo il calice colmo, gridandoti di genufletterti e bere, Altissima. Ah, bevimi, su, che possa esser io entro la tua coppa come un mistero, quello del vino calmo in estasi. Luccicando immoti, in estasi i vini di me e di te mescolati in uno còmpiano il mistero. Respinto

L'ultimo pensiero di seta-fluttuante è sparito dallo stelo del soffione e senza ragione la carne del gambo sostiene il vuoto diadema.

Così i forti venti della notte han soffiato via l'ultimo mio desiderio e la mia carne vuotata nella notte si regge come vanità. In piedi su questo colle, davanti alla concava città biancheggiante e quest'Elena al fianco, inerte mi sento e col nulla reggo all'urto del notturno cielo sovrastante, immenso occhio aperto come una dilatata pupilla di gatto che brilla di piccole stelle, di luccicanti pensieri che scoppiettano per remote malignità così lontane da non potermi toccare: niente ora mi turba. A me davanti, su per il buio, sale il fiotto di luce di due città come s'alza il respiro fuori delle narici d'una bestia immensa accucciata sul globo, pronta a balzare per lo spazio, qual gatto, se necessario, nell'ostile altezza dei cieli. Sopra e sotto, tutt'attorno mi ruggisce la doppia coscienza della notte con suoni che continuamente s'alzano e abbassano, come una [tempesta di pensieri in testa s'ingrossa e scema, lunghi respiri nelle chiuse; per invisibili polsi così il silenzio defluisce, lento, per riempire la vena [scura della notte. Terribile è la notte e immensa, ma proprio niente è per me. O piuttosto nulla son io, qui nel folto dell'erica vuoto stelo di soffione, privo di legami, nullità nuda fra terra e cielo, nemiche creature fra loro. Io, solo, nel vello del mondo; ma con quest'Elena accanto! Come l'un l'altro ci odiamo stanotte, ci odiamo lei e io sino ad annullarci, all'intorpidimento: morto io, rifiutandosi lei di [morire. Femmina il cui veleno più che uccidere, può paralizzare e annientare. Freddezza in amore

Quel pomeriggio, ricordi? il mare e il cielo divennero grigi, come fosse calata sul pavimento del mondo a fiocchi la polvere: il festone del cielo come una ragnatela s'abbassò polveroso e il freddo frenò il mare, finché cessò la sua cantilena. Un odore rivoltante dalla spiaggia annerita saliva per le fradicie erbacce sudicie, così indietreggiai dall'umido e dal freddo respinto: sugli scogli

scivolosi tu andavi saltellando tutto il tempo, lanciandomi parole vibranti d'un suono leggero, di rame. E per tutto il giorno, quel freddo umido e antico mi rese insensibile, finché le grige dune non si intorpidirono nel [sonno. Allora desiderai ardentemente te e che mi avvolgesse d'amore il tuo mantello, portandomi via dal corpo il freddo profondo ch'era sceso sull'animo mio, aggrappandovisi. Ma per tutta la sera tu fosti fredda verso di me e restai paralizzato con un'amara angoscia mortale, finché i vecchi giorni mi riportarono indietro nelle loro pieghe e s'affollarono in me vaghe speranze, riscaldandomi con la loro [compagnia e mi chiusero attorno le memorie, allettandomi al sonno. Dormii finché l'alba soffiò come polvere dalla finestra sfilacciata polvere umida e fredda smossa dalla superficie non spazzata del mare; una pallida grigia luce quale muffa si fissava sul mio viso e le mani, sembrando quasi nascervi: muffa pallida su una crosta fiorita. Con un terribile bisogno di te, mi alzai spaventato. Infatti pensavo tu fossi calda come uno zampillo improvviso di [sangue e credevo di potermi tuffare nel tuo ardore vivente, libero allora dalla muffa e dal freddo. Con la mano sul saliscendi ti sentivo addormentata parlarmi stranamente. Ma non osavo introdurmi, sentendomi sgomento all'improvviso. Me ne andai a lavare nel mare la mia carne sorda tornandone pulito e fremente, ma debole per il freddo e sfinito, come la conchiglia della luna; sembra strano allora che il mio amore possa risorgere al caldo, senza timore. Ansia

Viene il vento del nord soffiando piccoli stormi d'uccelli attraverso la città come spruzzi, e avanti strepita un treno che in fuga corre al sud, con volanti pugni di fumo, dal nord nereggiante

verso cui mi volto e resto fermo come un ago preciso, sempre in attesa di ricevere la notizia che è libera lei, sempre fisso però, fin'adesso, alla strada della sua agonia. Interminabile ansietà

Si scioglie la brina nel sole, il fumo crespo d'un treno nell'aria svanisce, mentre due neri uccelli di nuovo sfiorano la finestra. Lungo la strada vuota, rossa s'avvicina la bicicletta del telegrafo; aspetto in un disgelo d'ansietà, che il ragazzo salti giù al nostro cancello. Ci ha superato, ma questo che mi nasce nel petto è sollievo? o ferita più profonda sapendo che ancora ella non ha riposo? La fine

Se avessi potuto tenerti nel mio cuore, se solo avessi potuto in me avvolgerti, quanto sarei stato felice! Ma ora la carta della memoria davanti una volta ancora mi srotola il corso del nostro viaggio sin qui, qui dove ci separiamo. E dire che tu non sei mai, mai stata una qualche tua realtà, amor mio, e mai alcuna delle tue varie facce ho visto! Eppure esse mi vengono e vanno davanti, e io forte piango in quei momenti. Oh, mio amore, come stanotte fremo per te, pur senza più speranza alcuna di alleviar la sofferenza o ricompensarti per tutta una vita di desiderio e disperazione. Riconosco che una parte di me è morta stanotte. La sposa

Sembra una ragazza il mio amore, stanotte, eppure ella è vecchia. Le trecce che sul suo cuscino giacciono distese non sono d'oro, ma intessute con argentea filigrana e stranamente fredde. Lei sembra una giovane fanciulla, tanto bella e liscia è la sua fronte, sono levigatissime le sue guance: chiusi i suoi occhi, ella dorme con raro sonno, tranquillo e seducente, così quieta e composta. Anzi, dorme lei come una sposa, e sogni insegue di cose perfette. Infine riposa, diletta, nella forma del suo sogno, e canta la sua bocca, morta, apparentemente, come i tordi nelle sere chiare. La madre vergine

Mio piccolo amore, mia cara, una soglia eri per me, e uscir mi facevi dai confini in questa terra straniera dove come cardi s'affolla la gente, seppur piacevole a vedersi e decorosa. Mio piccolo amore, mia carissima, per due volte mi hai generato: una dal ventre tuo, dolce madre, l'altra dall'anima, libero per rendermi d'ogni cuore, mia diletta, libero d'entrare in tutti i cuori. E così, mio amore, madre mia, sempre ti sarò fedele. Due volte son nato, mia carissima: in te, alla vita e alla morte ed è questo l'aldilà della vita dove son io fedele. Ti bacio nell'addio, mia cara, ora son diverse le nostre vie; tu un seme sei nella notte, un uomo io, che deve arare la difficile terra del futuro

per far germogliare il seme. Ti bacio nell'addio, mia cara, qui è finita tra noi. Oh, foss'io calmo come tu sei, dolce e quieta nella tua bara! Dio, Dio! non dovessi lasciarti sola, mia diletta. È stata detta l'ultima parola ormai? Pronunciato è l'addio? Dammi la forza di lasciarti ora che sei morta. Debbo andare, ma senza speranza resta l'anima mia al tuo letto accanto. Alla finestra

Si piegano i pini ad ascoltare i mormorii del vento autunnale che i neri pioppi fa agitare in un isterico riso mentre la casa del giorno lentamente chiude le sue imposte orientali. In fondo alla valle, confusamente le lapidi del cimitero lontane si raggruppano, avvolgendo la loro vaghezza nel grigio sudario della [nebbia, ormai che nel crepuscolo i lampioni all'improvviso hanno iniziato a [sanguinare. Fuori dalla finestra volano le foglie e passando una parola pronunciano al viso che fissa l'esterno, guardando se soffia la notte un pensiero o un messaggio sui vetri. Ricordo

Ricordi, come notte dopo notte, quel novembre scorresse uniforme e basso in cielo, e una stella non v'era né uno stretto passaggio dove la luna potesse uscire sui suoi campi? Poi ricordi, come verso nord, bruciasse in cielo una pustola rossa come una macchia d'ansia sugli altiforni, e piccole fiamme ondeggiassero, spettri sullo splendore della brace?

Eran quelli i giorni d'un autunno terribile per me; quando nell'oscurità del cielo splendeva solo là il rosso riflesso dell'agonia della mia amata, di lei, che nella fiamma si fondeva della morte: l'amore mio carissimo da cui son nato, stava ora lasciandomi. E ai piedi della sua croce soffrivo il mio Getsemani. Così a te venni; e due volte, dopo baci sfrenati, vidi l'orlo della luna divinamente sorgere e sforzarsi per riuscire a staccarsi dalla fredda siepe annerita dei cieli, sforzarsi per fuggire, per riuscire a rivelare col suo candore il mio mondo sommerso, profondo e ombrato dignitosamente. Ma la luna mai dispiegò come magnolia il suo bianco, la sua forma di lume. Poiché tu dicevi di no, mi pregavi di non chiedere la dura comunione, offrendomi "una cosa migliore", così per un'ora oscura giacqui sul tuo petto, sentendo scorrere la tua mano quale ritmica brezza sui miei capelli e lungo la fronte, fin quando ti conobbi solo come un soffio. - Sapere vorrei se solo un momento Dio ci concede le sue chiavi! E se allora soltanto tu avessi potuto dischiudere la luna alla notte? E battezzarmi io alla fonte del tuo amore? Allora saremmo entrati entrambi nella giusta, rara passione, e mai più? Mi immagino se solo quel giorno tu mi avessi preso, quanto diversa sarebbe stata la mia vita? Mi sarei consumato forse nella rabbia, e tu il capo piegato avresti, sola essendo sino alla fine? Ebbro

Troppo lontana ti so, amore, perché possa tu da questa strada spettrale salvarmi in cui superbe rose prorompono ed ansimano in un notturno cielo dal peso incurvato delle luci; ogni solitaria rosa, ogni lampione dorato mostra fantasmi e fantasmi di fiori, e imbiancata è la notte da mille nevi di biancospini e lillà, bianchi lillà, notte scolorita e gocciolante tutto l'aureo sedimento che il frassino rende alla luce; e mostra il rosso del biancospino che alto si leva verso il velato cielo della notte come bandiera bagnata in pallido sangue recente, sangue sparso nella lotta silenziosa della vita con l'amore e dell'amore con la vita, battaglia per un po' di cibo di baci nella lunga ricerca di una sposa da tanto, tanto tempo inseguita. Troppo lontana tu sei, amore mio, per calmarmi la mente in questa mostra che illude e passa per la notturna strada lassù e poi torna quaggiù. . . . . . . . . . . . . La scogliera enorme degli ippocastani su ogni sporgenza in equilibrio tiene in piedi una ragazzina che guarda a me giù, bimbette in bianca camicia da notte che fan capolino da dietro le foglie quasi saltar giù volessero se io le invitassi tra le mie braccia: - Ma bambina, sei troppo piccola per me! immaturi i tuoi vezzi! Bianchi, piccoli mazzi di fanciulle in camicia da notte qualcun altro vi coglierà...! Ma là tra le ombre vedo sporgersi un lillà, come una signora con il volto in una mantiglia bianca audacemente alla ricerca di occhi innamorati; e nella sua bianca, fiorita mantella di pizzo con qual grazia sospira!

Con veli purpurei, poi ancora un lillà temerario discretamente chiama col suo debole profumo eccitante, per sapere chi l'ha invitato ad uscire dall'oscurità: non ressi alla sua voce e cadde una debole lacrima... Oh, ma vedi il frassino luccicante calar giù i suoi drappi, pianta che vuoi liberarsi del suo oro e splende bianca e spoglia della sua veste. . . . . . . . . . . . . Il corteo degli alberi fioriti sulla strada va pallido-appassionato e sul marciapiede quaggiù, amore scorre in più umana parata. A due a due la gente cammina, i gomiti stretti in un mezzo abbraccio, e passa, parlando viso a viso monotona. Io sono solo, e barcollo verso casa lungo questa strada spettrale, e mai donna fiorente guiderà tra le mie braccia il suo peso beneaccetto, né una ragazza, fior d'ippocastano, furtiva entrerà nella mia stanza. Non otterrò mai risposta alcuna: vivere da solo è il mio destino! Pena

Perché l'esile filo grigio, che fluttua dalla sigaretta dimenticata tra le mie dita, mi turba così, perché? Oh, lo capirai: quando portavo al piano di sotto mia madre, solo poche volte, al principio della sua invisibile malattia, trovavo poi, a rimprovero per la mia gaiezza, alcuni capelli grigi e lunghi sul davanti della mia giacca, e uno dopo l'altro li osservavo volteggiare su per lo scuro camino. Angoscia autunnale

Gli acri profumi autunnali che ancora sanno di bestie furtive, pauroso mi fanno d'ogni cosa, delle stelle d'autunno lacrime tremanti e della notte che all'orecchio mi russa. Poiché d'improvviso, tutta la mia vita, breve vampata, mi ha lasciato, come un impeto di dispersione, nudo e indifeso nella macchia. Tra i cespugli del mondo, mi contraggo nudo come una bacca aperta da poco; ma son io che in cerca di preda vago anche tra gli odori che si spandono intorno furtivi: io nuda bacca di carne, mi trovo sgomento nella macchia! Io tra i maculati odori segreti che cercano vittime nella lussureggiante, acre notte autunnale! L'animo mio, con quell'inquieta folla aspra ed infida dissennato fuori avido s'aggira. Così la notte, con la forza d'un respiro profondo mi ha tirato fuori l'anima tanto che io vacillo, dispersa la coscienza, come un individuo morto. Allo stesso tempo qui rimango esposto tra i cespugli del mondo, bacca di carne appena denudata affinché la scrutino le stelle. L'eredità

Da quando ti sei allontanata nell'ignoto, mia cara, da dove raggiungerti potevo, vedo ogni ombra quasi riconoscermi, e dalla sorpresa assalito son io. Stupefatto per la separazione, a mala pena sento che t'ho perduta. Un regalo m'hai lasciato

d'idiomi, così capisco la lingua delle ombre e mi lanciano i silenzi il loro senso. Mi hai mandato un fuoco biforcuto dall'aldilà: esso brucia nel soffio del respiro della folla e incendia la nereggiante pira del lutto, finché gli uomini non fluttuino come puri spiriti. Forma dopo forma ondeggiano, per le strade come fantasmi lungamente accesi per me; la stella sulle cime delle case ogni sera mi saluta con un canto lungo e ardente. Per tutto il giorno la città trasluce di tenui fantasmi che vanno avanti e indietro, nella comune veste che l'imprigiona, mentre i loro sguardi svolazzano sino a me intimiditi, affinché risponda di sì! Così io, non sono solo, né triste, pur essendomi venuta tu a mancare, amore mio. Vago tra la folla cittadina rivestita di parole, ma attraverso esse e i movimenti suoi la notte appare. Silenzio

Da quando ti ho persa, sono ossessionato dal silenzio; i suoni le lor piccole ali agitano un attimo, poi all'onda s'abbandonano della stanchezza, che dondola senza rumore. Sia che per strada la gente passeggi con monotono brusio o sospiri il teatro e sospiri con un profondo respiro roco, o agiti il vento un groviglio di luce sul fiume nero, profondo, o gli ultimi echi della notte facciano rabbrividire l'aurora,

io avverto il silenzio che aspetta di poter bere tutto ancora nella sua estrema totalità svuotando il rumore degli uomini. Ascoltando

Il tuo silenzio ascolto, mia cara, in mezzo a tutto ciò; avverto la tua quiete che tiene prigioniere le mie parole mentre discorro. Parole da una fucina sfuggite come faville di breve durata; vedo il silenzio assorbirle facilmente veloce nel buio. Forte canta l'allodola e lieta, allora io vorrei che non rubi il silenzio l'uccello e la canzone e entrambi li disperda. Rumoreggia un treno diretto a sud la sua bandiera di fumo sventolando; l'ombra furtiva del silenzio scorgo corrergli a fianco. E dalla fucina del mondo uscite volteggianti nel vento della vita miriadi di faville, di uomini, vanno colmando la notte di tensione. Eppure mai modificano l'oscurità né possono vincerla coi loro schiamazzi; nel silenzio perfetto solitarie le stelle son boe nel cielo. Angoscia occulta

Gialla una foglia saltella a me dinanzi come un ranocchio, dall'oscurità; perché dovrei trasalire ed acquietarmi? Stavo stesa della nella

vegliando la donna che mi generò nella chiazzata oscurità sua stanza di malata, rigida volontà di morire, e la foglia vivace

mi distrasse verso quest'acquazzone di foglie e di luce: la strada della città si confuse davanti ai miei occhi. Ultime parole per Miriam

Tua è l'imbronciata tristezza, anche mia è l'umiliazione; era intenso il tuo amore e profondo, il mio quello d'un fiore che cresce alla luce del sole. Avevi il potere d'esplorarmi, stelo per stelo di farmi fiorire; svegliasti il mio spirito, alla coscienza mi generavi, dandomi dura consapevolezza: poi subii una sconfitta. Corpo contro corpo amarti non potevo, sebbene volessi; ci baciavamo e ribaciavamo benché non dovessimo. Ti concedesti, la prova estrema tentammo e non ci riuscì. Tu sopportavi soltanto, inerte, e ciò indebolì il mio nerbo d'artefice. Non rispondeva la carne al mio assalto così non riuscii a darti l'ultima raffinata tortura che meritavi. Armoniosa sei di forme, curata, ma passiva e ottusa nella carne; se ti avessi trafitto coll'angoscia gonfia di spine, forse ti saresti trasformata in un'adorabile trama risplendente come una finestra policroma: il fuoco migliore passato sarebbe traverso il tuo corpo purificandolo, consacrato quindi in una pura coscienza vergine. Ma ora chi ti prenderà di nuovo? chi ora ti darà il suo ardore per liberare dalla caducità e impurità il tuo corpo? Poiché il fuoco in me è venuto meno, qual uomo sulla tua carne si chinerà per fendere l'insopportabile tormento? Una muta cosa, meravigliosa quasi, è il tuo viso, che mi colma di vergogna

quando tendersi i lineamenti ne vedo; avrei dovuto essere insensibile abbastanza per portarti attraverso la fiamma. Malato

Distesa l'uva guasta giace sulla sedia accanto al letto; al vetro della finestra di continuo la nappa della tenda batte oscillando ad ogni soffio d'aria. La stanza è la nuda scorza d'un frutto, una zucca svuotata completamente, dove un ragno steso nella polvere, avvolto dalle sue zampe come da un letto, il nulla osserva sulle scure pareti. Ah, fosse mio il giorno all'esterno! Il giorno che è solo invece una grigia caverna, dove grige pendono grandi ragnatele dalla volta basse, e da loro cade un'umida polvere adagio sulle scure rocce bagnate, le case, e sui ragni con le facce bianche, che corrono veloci al suolo. E io sono malato, mentre sta ancora cadendo una gelida pioggia. Gelo e fior di loto

Quante volte, quali bianchi fior di loto cresciuti sulla superficie dell'acque, lì son sorti galleggiandomi sul sangue superbi i dolci alberi del desiderio alla sua prigione sfuggito! Così io sono tutto avvolto nella luce del sensitivo sbocciare dei germogli della passione, finché, nudi per lei nel loro migliore aspetto, i fiori di tutto il mio fango emergono alla vista. E quindi tutto offro me stesso a questa donna cui piace amarmi, ma essa volge d'odio uno sguardo sul fiore che arde d'aprirsi e versarle la sua preziosa rugiada. E la fioritura tutta si serra lenta in tormento, affondando tutti i germogli d'amore del loto, morti, mai dischiusi; allora quest'amante dal volto di luna sorride di nuovo sul peso della sofferenza. La pianta di tasso sulle colline

Una gobba luna si sporge nel crepuscolo, le stelle, ragni che filano la loro tela, scendono un po' più basse, per osservarci dall'alto senza posa. Vieni sotto quest'albero allora, dove ci nasconde il suo mantello in tanta oscurità, che qui anche siamo dai morsi al sicuro dai morsi che lasciano il segno della tarma dell'ermellino. Qua, in questa segreta tenda buia di rami neri che toccano il suolo, vieni, estrai la spina del mio scontento e beatificami la piaga. Che rara notte d'altri tempi! Sotto la chioma del tasso misteriosa è l'oscurità, e bruciarti potrei come incenso in profumo! Qui persino le stelle non possono spiarci, né le falene posarsi sul nostro mistero; niente può scorgerci né metterci in fuga. Abbi quindi fiducia nell'albero dai rami neri, stenditi giù e per me apri l'intima oscurità del mistero, lasciati penetrare, come questa pianta. Non rovinare l'attesa del tasso, non sciupare quest'intima notte! Svela il cuore del crepuscolo, senti l'estrema segreta delizia. Fedeltà ai morti

In due è rotta la luna, e sopra di me una metà si trova, sulla bassa e quieta pianura del cielo; l'altra parte della moneta di fedeltà spezzata sepolta è nell'oscurità, dove i morti tutti giacciono. Seppellirono nella tomba la sua metà quando vi fu posta lei; la spinsero delicatamente per nasconderla tra i suoi capelli nel folto dove a treccia si raccoglievano, quell'ultimo suo giorno; e nascosta come una luna, là deve ancora risplendere.

Così nel cielo una metà è rimasta, segno per tutti del duraturo impegno di fedeltà verso i morti; il suo bordo rotto al buio si volge, splendore finito come un amore spezzato, rivolto all'oscurità del sonno. E lì nel buio l'altra metà giace, ove i morti tutti giacciono perduti e pur composti ancora; e tra le due parti vengono emessi sempre strani raggi, poiché io sento d'essere illuminato sotto il cuore da una mezzaluna, magica e [azzurra. A un libero fine

Molti anni da bruciare ho io ancora, lentamente come fiamma di candela su questo corpo; ma un'ombra racchiudo azzurra in me, presenza che vive entro la fiamma della mia esistenza, cuore invisibile della rosa. Così lungo questi giorni, mentre il combustibile consumo della vita, che importa quale materia arda nella mia fiamma quotidiana, se scorgo come sia l'animo un'ombra inviolata, un'oscurità che per me sogna il mio sogno, sempre identico? Immersione

Quando lungo il marciapiede, fiamme palpitanti di vita, m'ondeggiano attorno le persone, più non ricordo il mio lutto, il vuoto nella costellazione della mia esistenza, il posto ove sempre era una stella. Sebbene l'astro polare si sia spento come una candela e i cieli tutti errino disorientati, le pleiadi siano gente sparsa intorno a me, e veda la lunga dispiegata via lattea della strada, quando ondeggiano le persone giù per il marciapiede, non ricordo più il mio lutto. Incendio di primavera

Arriva la primavera e prorompe in verdi falò, agitati sbuffi d'alberi verde-fuoco e cespugli verde-fiamma; i fiori di biancospino s'elevano in ghirlande di fumo tra i boschi fumanti e gli acquatici giunchi tremanti. Sono sorpreso da tale rinascita, una conflagrazione di verdi fuochi accesi sul terreno, da questa vampata di crescita, da queste fumate in impetuosi vortici gonfiate, da volti di persone che si sfogano sotto il mio sguardo. E io, quale sorta di fuoco sono io, circondato da questa esplosione di primavera? Il Vuoto tra tutto ciò...! Neppure un fumo pallido come la restante folla; meno del vento che corre verso il richiamo fiammeggiante! Gita in treno

Se possa la notte finire, mi chiedo, se riesca questo viaggio, freccia lanciata, d'oro luminosa, a volare leggero nel cielo di un albeggiante domani, senza che il sonno mai ci liberi l'uno dall'altra, o sciolga questa acuta turgida pena. Ma cosa mai potrai vedere, che al vetro senza posa in fuga guardi turbinare le rosse scintille e la notte che attraverso vi appare? La tua presenza solitaria scruta e tanto m'opprime che a stento sopporto di spartire la notte con te. Ferisci l'intimità del mio cuore palpitante; desidererei scacciarti via da me; mi soffoca questa promiscuità, e in essa, solo a metà io t'amo; quanto ho bramato questa notte in treno! E ora, con dolore, ogni mia fibra a Dio grida d'allontanarti. Sebbene di certo sia il miglior sogno ancora dell'anima mia, che una nuova notte calando c'inghiotta in un sonno profondo, finché noi una sola cosa si sia, come una liscia palla, corrosa sotto quest'armatura d'ostinata riluttanza che è in me; si tratta d'un sogno mal fondato!

Così, Elena, quando verrà su di noi un'altra notte, solleva le tue bianche dita e nudo spogliami, pian piano palpandomi leggera, leggera dappertutto. Poiché con quanto ardore posso, bramo il tuo tocco, ma non riesco a muovermi, pur volendo molto esser tuo amante. Notti e notti si sono appassite con l'imperfezione d'un giorno non sbocciato e fiorito; venuta un'altra notte, una nuova ne segue, dimmi, la serberai per me? Schiuderai il dolente bocciolo amoroso del mio corpo, per liberare il torrente essenziale che su te si riverserà dal mio cuore? Liberazione

Elena, se ieri avessi saputo che potevi liberarmi dal male della ferita, avessi saputo ieri che potevi far sparire il turgido dolore elettrico, assorbendolo nel suolo del tuo corpo bianco, soffice, come la terra inghiotte il fulmine d'un cielo angosciato, avrei potuto odiarti, Elena. Ma da quando si sono sciolte le mie membra tutte in fuoco, da quando il mio sangue e l'ossa mie si mutarono in fiamma violenta su di te, terra della mia atmosfera, pietra della mia lama, bella pietra focaia bianca del desiderio, terra della mia instabile atmosfera, sostanza del mio respiro incostante, non posso che esserti fedele, Elena. Ora che sino in fondo hai sorseggiato la tetra tempesta scura di morte, e morte è stata trascinata via dal blu dei miei occhi, bella ti vedo e cara. Bella, docile e forte, quando il mio fiato ardente per il desiderio su te alita, mi sento come vento che soffia debole e leggero mentre tu sei la terra che sorvolo. Donne intelligenti

Chiudi gli occhi, amor mio, lascia che t'accechi! Ti hanno insegnato a scorgere solo problemi sulla faccia delle cose, e algebra negli occhi degli uomini pieni di desiderio, e Dio vedi come geometria che imbroglia i suoi cerchi, te e me per confondere. Baciarti vorrei sugli occhi sino a baciarti cieca; se potessi... se potesse qualcuno! Forse allora nel buio troveresti quel che vai cercando: la soluzione che per la mente sempre è troppo lontana, fusa nel sangue... che io sono il cervo, e tu la dolce cerva. E ora basta farmi obiezioni! O vuoi che ti odi? Un caleidoscopio son forse io, che scuoti e riscuoti senza successo? Sono condannato ad accoppiarmi con te in un lungo coito verbale? Insoddisfatto, senza speranza di farlo tra le tue cosce, lontano, via dal tuo sguardo inquirente? Ballata di un'altra Ofelia

Oh il verde brillante delle mele nel frutteto, fanali bagnati dalla pioggia! Oh come cammina la mia bruna gallina inzuppata per l'aia! Oh piangono i vetri della finestra! Più non matureranno le verdi mele lucide, piene di delusione e pioggia. Nerastre avranno sapore di lacrime, quando le macchie gialle dell'autunno narreranno ancora l'appassita storia. Tutt'intorno Un chioccio! Un chioccio! un chioccio!

è un chiocciare nel cortile! mia bruna gallina. e le ali di pioggia bagnate. mio animale color calendula. E ancora per le tue gialle adorabili creature.

Un topo grigio le ha trovate infatti tutt'e tredici, d'oro, ammucchiate nell'oscurità. Frullar d'ali per un attimo, forte è il nemico e veloce; oh, spenta è una lanuginosa gialla scintilla! Una volta avevo un'amante come acqua che scorre lucente, una volta il suo viso aperto era come il cielo aperto come il grande sorriso del cielo che in giù guarda

verso i ranuncoli, ed io ero i ranuncoli. Cosa allora si cela sotto le gonne di tutti gli alberi in fiore? Cosa spunta dai tuoi orli, o mamma gallina? È il sole che così interroga, con amabile fretta d'apprendere; e quale amabile fretta d'apprendere è negli uomini! Sì, ma è crudele, quando sia svestito ogni fiore e la camicia della bianca pianta giaccia sul terreno, che un essere grigio, come un'ombra, un topo, ladro temporalesco, si insinui su di lei e ne rapini le ricchezze. Oh il grigio Oh le dorate E, dietro le hai visto il

granaio pieno di mele acerbe! scintille uccise! nubi di foglie, gialle chiazze autunnali; sole maligno che ammicca?

Baci in treno

Ruotare traverso i suoi capelli vedevo del Midlands la campagna autunnale che nuda s'estende e le pecore al pascolo saltare indietro spaventate. E ancora, come sempre, ruotava il mondo, sulla fremente sua gola si trovava la mia bocca e al petto palpitante di lei il mio era stretto. Ma al centro di tutto il mio cuore, in deliquio, come perno immobile, mentre intera la terra sulla sua orbita furtiva si spostava in cerchio. E nelle mie narici ancora il profumo del suo corpo, mentre il mio viso cieco sempre chiede di lei; e continua un battito solo del cuore a risuonare attraverso il mondo. Il globo tutto girava in un vortice di gioia

e come la danza di un derviscio andava distruggendomi la coscienza: roteava la mia ragione come una trottola. Ma al centro fermo si trovava il cuore mio; ad ogni sua pulsazione perfetta unite eran le mie, come trattenute dalla forza di un'elettrocalamita accesa. Respinto

Quando bussai alla porta suonò vuota la casa, e sulla soglia m'attardai con la mano alzata per bussare e bussare ancora; ascoltando, in attesa dei passi suoi sul pavimento, vuoto risuonava il mio cuore. I lampioni sospesi bassi s'allungarono sulla strada e sotto vi passava la gente con ritmici passi, al cui sopravvenire in me si riaccendeva la speranza, apprestandomi quindi a salutare il risveglio del sorriso nei suoi occhi. Le luci stanche si spensero lungo la via l'ultima automobile si trascinò dietro la notte; e là intorno andai girando nell'oscurità con speranzosa agitazione e un dubbio che languiva alla moribonda lampada del mio amore. Trottando lenti due cavalli bruni per bere si fermarono a una male illuminata vasca, scuro il furgone s'allontanò con basso rumor di zoccoli e le stelle della città, così pallide e sacre ancora un po' s'avvicinarono, a cercare per le strade. Un'auto veloce, vergognosa, mi passò vicina e io vidi lei nell'ombra nascosta: la vidi del marciapiede salire lo scalino e svelta correre alla porta muta, dove ero poco prima rimasto con la mano levata in alto. Nella fretta d'entrare si strinse alla porta, entrò, e rapidamente se la chiuse dietro lasciando la strada stupefatta. Molti giorni dopo

Mi chiedo se per te, tutto è come per me, se sotto le tue sfuggenti parole, che vicino ti fluiscono facili come una veste, violento il cuore ti batte e sbatte. Ho aspettato a lungo, e mai una volta ho confessato neppure a me stesso, quant'amara fosse la separazione; ora, ritornato, quale sarebbe la riparazione migliore? Se questi abiti potessi strapparmi se potessi levare nudo il mio essere a te, o se tu solo volessi respingermi, ben verrebbe una ferita che lascerebbe sfogare il dolore. Ma che mi tenga ancora a distanza con sì gentile freddezza, non lo vuol riconoscere il mio cuore ardente, no! però ti detesto, detesto te che ora mi rifiuti i tuoi favori. Bocca di leone

Mi pregò di seguirla nel suo giardino dove la luce del sole, molle, si depositava come raccolta tra i vecchi muri grigi; io non osavo sollevare il viso, né avevo il coraggio d'alzare lo sguardo temendo che i suoi occhi brillanti volassero sulle mie finestre rivelatrici e come passeri strillassero: "Peccato!" Così la seguivo con aria abbattuta e voce ridente, il dondolio del suo bianco abito seguivo che innanzi oscillava con ritmo; spiavo la cadenza dei suoi piedi che per poco s'alzavano e poi fermi comprimevano l'erba, profondamente, col suo peso regale: al passo di lei con piacere avrei offerto il mio petto. "Vedere mi piace", ella disse e s'accucciò giù davanti ai miei occhi abbassandosi quale uccello che cova, e s'accovacciavano i suoi seni entro gli orli del vestito a riposare come pesanti uccelli, mossi appena da un tranquillo respiro: "Vedere mi piace", diceva, "la bocca di leone farmi le linguacce". Rideva, allungando la mano sino al fiore, per stringergli la gola cremisi - sentivo stretto il mio stesso collo in suo potere e su mi si gonfiò il cuore, pieno, fin quasi a farmi scoppiare in gola la sua pelle vinosa,

a soffocarmi nel mio proprio rossore. La osservavo premere sul collo del fiore che apriva la bocca, finché il sangue mi [salì agli occhi, accecandomi... La sua larga mano scura si stese sulle finestre della mia mente; e così nel buio scoprii quel che andavo cercando: il mio Graal, bruno calice intrecciato di vene gonfie che si stringevano nel polso, sotto la cui pelle bruna, l'ametista bramavo assaporare! Versare bramavo la rossa misura del mio cuore nella sua coppa; e volevo bruciarvi ardentemente sentire l'ametista col mio sangue bollente. All'improvviso poi guardò in su, e accecato fu in una fulva luce d'oro, sinché non distolse i suoi occhi. Così scese dall'alto e il cuore mi svuotò d'amore; allora lo tesi in aria verso il cuculo che s'abbassò come una colomba ed ella s'adagiò morbidamente. Sembrò che il mondo al mattino e io avessimo preso la forma d'una coppa, per accogliere quest'uccello rapace, stanco di tener ripiegate le sue ali in noi, quanto noi eravamo stanchi di riceverlo. Questo uccello, ricco sontuoso ramo centrale; questa mutevole magia, quest'unico ritornello, questa provocazione nella lotta, questo grumo di notte, questo campo di delizia.

Lei parlava, e io chiudevo gli occhi per evitare allucinazioni. Le facevo eco sorpreso sentendo le labbra gridare da sole la risposta che avevano pensato.

Un uccello marrone ancora vidi alzarsi sui fiori ai miei piedi; quindi volarmi lo sentii fino sul cuore, e dolce stendervisi la sua ombra. Pensai di vedere un'ape dilaniare la carne compatta del trifoglio e nel suo cuore annidarsi. Lei mosse la mano, e nuovamente sentii il bruno uccello coprirmi il cuore, quindi calarvi sopra, come il cuculo usurpatore arriva in un nido e ne spinge oltre i bordi ogni deposta porzione d'amore, prendendone possesso e vi si sistema soffocando il nido con le sue ali e le sue piume in un caldo amore. Arrossita lei voltò verso di me il viso per il lampo d'un attimo: "Guarda", disse ridendo, "se pure tu riesci a farlo sbadigliare!" Misi la mano sulla gola proprio del fiore e spalancò la bocca tutta con dolore. E lei osservava, d'improvviso divenuta intensamente muta, mi sorvegliava la mano per vedere sino a che punto l'avrei esaudita. Stringevo il misero fiore strangolato tra le dita fin quando indietro gli si piegò la testa, e le zanne restarono sospese su di lei. Come un'arma, bianca e affilata era la mia mano e tenne il serpentino fiore strozzato nelle strette dolorose d'angosciosi morsi, sinché smise lei di ridere e l'insegna del suo orgoglio, sconfitto, penzolò giù dall'asta. Nascose il suo viso, mormorando tra le labbra a bassa voce. "No!". Lasciai cadere il fiore, ma tenni sospesa la mano sui suoi resti che ella stava toccando, e verso di lei si tesero tutte le mie dita: non si mosse e io neppure, perché come una serpe la mia mano irretiva la sua, che non poteva [prendere il volo. Risi allora nell'oscurità del cuore, esultai come musica che rida bassa all'improvviso. I miei occhi invitarono i suoi all'incontro, e li riaprirono, indifesi, per consultare la loro paura, vergogna e gioia, gioia che in tali battaglie si cela sotto la sconfitta. Era fiero nei suoi occhi neri il mio cuore d'aver fatto spuntare un sorriso.

Le sue buie profondità si scossero con fremiti convulsi e il suo spirito scuro ondeggiò come acqua che vibra alla luce; balzò su il mio cuore bramoso di immergersi rigido col suo fervore entro lo stagno del crepuscolo di lei, entro quell'anima grande, per trovarvi piacere. Non mi importa che le larghe mani della vendetta infine afferrino la mia gola; l'afferrino presto se la gioia che si levano a punire, rossa è sorta sulla mia notte come la luna del raccolto che per me può significare anche solo morte, morte che io so esser meglio del non-essere. Vieni primavera, vieni tristezza

Rotonde nubi nelle braccia rotolano del vento, come un seme nel cielo ruota la terra tonda, e vedi, dove in boccio i noccioli si diradano, si stendono gli anemoni selvatici sotto il vento in ondulanti tremolii! Nuotano sullo stagno blu anitre bianche, schiamazzante flotta di nubi e tu guarda, galleggiando da questa parte, il papero dai riflessi azzurri navigare orgoglioso come Abramo, il cui seme si moltiplicherà. Nel lucido riflesso dell'acqua, là s'arrampicano sette rospi sulle setose foglie scure, sette rospi che si muovono nell'ombra per partecipare alla misteriosa primavera che intreccia i corpi nascosti che ovunque s'accoppiano. E ora guarda, attraverso il bosco dove il verde dei faggi si leva come neve nella bufera color dello smeraldo! Un grande stallone baio, danza sfiorando regalmente i cespugli, ed esce nella primavera dal giro dei suoi deserti domestici. E tu, che sei la mia ragazza col tuo ricco caldo viso ardente, a quale attesa improvvisa ti apri tanto, vedendo soffiare la polvere dalle inflorescenze della betulla in alto, nel blu del vento che soffia? Oh, dimmi che lo sai! Sì, dillo! Poiché certo da un sole dorato un maschio raggio vivificante inonda tutte le creature come noi, fiori e persone

aperte al suo dominio e abbandonate mentre vi pianta il suo nuovo seme. Cosa vi è in ciò da evitare? Io credo che là, dalla terra, brividi sottili volino alle vicine stelle, sottili raggi occulti con vigore lanciati, dal nostro forte, alto mondo dei sogni fecondo, nel cielo per vivificare di nuovo la vergine primavera delle sfere. Non senti tu fremere ogni molecola di gioia mentre si dirige a piantarsi entro la compagna che l'aspetta, per infondervi cose nuove, e raggiungere una forma diversa, svegliando dalla sonnolenza della vita un'altra volontà? Di certo vorrei, non solo a parole, versare il vivido, ahi, l'infuocato sovrappiù di vita che esce dalla mia misura, per toccarti nel profondo, e colmarti con ricchezza abbondante con questo rinnovarsi dell'anno! - Così forse si dipinge il diavolo? Le mani della fidanzata

Gli occhi suoi bruni, onici sono induriti di spensieratezza come gemme in una perenne ritrosia; sì, e l'acerba, prudente carezza della sua bocca anche meno mi dice delle sue molte parole, se non tradisse il suo bacio questa è l'unica mia consolazione, che il sangue al colmo sulle labbra di lei, due dure zampe rozze affonda, affamate, nella carne solitaria del mio cuore, prima di fluire via, intimorito. Dalla sua dura bocca capisco che ancora il suo cuore è affamato d'amore, ma se abbandono la mano sul suo petto ella mi scaccia, come una venditrice la cui merce danneggiata è dal ladruncolo che fa la sua scelta. Però le sue mani, quando le stringo, larghe forti mani più pesanti delle mie, chiuse come leprotti in trappola, sono sempre femminili, e il mio animo spento capisce la loro muta confessione, ciò che deve sentire il sangue suo. Perché le sue mani mi s'avvicinano solo come uccelli che s'alzano pesanti il mattino dalla stoppia, per poggiarsi su di me addormentati in un sonno agitato, l'animo mio turbando. Oh quanto carezzevolmente m'abbandona la sua mano sul

[ginocchio! e in che strano modo cerca di ripudiare ciò, mentre mi penetra nella carne e nelle ossa e mi saccheggia dentro, agitandosi come un astuto ermellino, comunque ella la pensi! E spesso la vedo serrar forte le mani e nascondere i pugni cacciandoli tra le pieghe della gonna; e come s'afferra talvolta con le sue grosse mani lucide le braccia, quasi le facessero veramente male. E tutta l'ho vista restare come incosciente sul petto premendosi le mani aperte, come volesse sul cuore schiacciarsi quelle sue colline, per uccidervi il dolore, suo autentico angoscioso desiderio di me. Alle sue mani fa interpretare la mia parte, quella dell'uomo con lei: tra i seni profondamente le fa penetrare, là ove dovrei essere io, e si serra le braccia con i palmi vigorosi, che nel sonno me dovrebbero abbracciare. Ah, sul muro ella poggia le mani premendovele, grosse e scure, e baciandole, quindi sciolti abbandona i suoi capelli neri, cade l'oscurità attorno a lei dalle sue virginee ciocche intrecciate. Così siede nella propria scura notte dei suoi amari capelli sognando... Dio sa cosa, poiché lei sempre è per me una giovane fidanzata che mi ama e si preoccupa della sua virtù verginale e del mio buon nome. Canzone d'amore

Non respingermi se ti dico che scordo il suono della tua voce, che i tuoi occhi dimentico, felici mentre indagano traverso il tempo per scorgere il nostro matrimonio. Ma quando sbocciano i fiori di melo sotto la luna dalle dita pallide, sul mio petto vedo il tuo chiaro volto e i miei obblighi cancello, fingendomi malato. Allora sulla mia camera chiudo le imposte a nascondere il giardino, dove lieta è la luna per i fiori aperti, che la seducono con la loro bellezza, chiedendo d'esser ricambiati. E a te levo le braccia dolenti

e il mio petto avido angosciato sollevo e lacrimo davvero tormentandomi per te, e alle porte del sonno mi slancio, per riposare. Tutta l'ansiosa notte m'agito per te, sognando che sottomessa la tua bocca si porga alla mia, sento trasportarmi dal tuo petto vigoroso in un sonno che nessun dubbio o sogno può insidiare. Duplice

Qual splendido scoppio sarà di gigli rossi e la speronella che spacca tutto con un azzurro bagliore!... quando lei lascerà la sua stanza, dove ancora pende la notte come un pipistrello mezzo [ripiegato. Tarantella

Triste lui siede sullo scoglio bianco, soave borbotta il mare volgendosi alla luna e la luna ai ciottoli complice sorride e alle rocce scoscese. Vicino ai flutti solo siede come un'ombra mentre sugli scogli io ballo una tarantella e la cantilena della mia ironia lo canzona sopra le spalle lucenti dell'onde. Che posso far io, se non in solitudine danzare, danzare al mare sfuggente e alla luna, con la luna sul petto, sul corpo l'aria e la spuma sui piedi? Poiché quest'uomo serio davvero nulla ha della notte nell'animo, e niente entro di lui dell'armonia delle acque: solo si lamenta dell'antica sapienza del [mondo. Vorrei che un marinaio selvaggio scendesse per la ghiaia brillante, apparizione senz'anima con scintillio di mare negli occhi e scorrer d'onde nelle braccia, e il bacio dell'anima perduta sulle labbra: anch'io bramo d'esser senz'anima! Fremo per toccare il mare nell'estremo stupore della freddezza di fuoco, per sparire nella felicità d'un'anima persa! Sotto la quercia

Tu, se fossi ragionevole,

quando ti dico che le stelle emettono segnali, tutti atroci, non ti volgeresti a rispondermi: "meravigliosa è la notte". E se anche sapessi come mi penetri dentro quest'oscurità, e infonda paura profana alla mia essenza, ti soffermeresti per distinguere ciò che ferisce da quello che allieta. Perciò ti dico che, sotto quest'albero vigoroso, il fluido di tutta l'anima mi svanisce come vapore d'un sacrificio sotto il coltello d'un Druido. Ti ripeto che sanguino, che da vimini son legato e la mia vita è al termine. Ti dico che il mio sangue sulla terra di questa quercia si spande goccia a goccia. Spunta sopra di me il vischio nato dal sangue nel fumo spesso. Ma chi sei tu, che qua e là cinguetti sotto la quercia? Qual miglior cosa sei, Cosa hai a che fare tu di questo antico luogo Che posto hai nei miei

quale peggiore? con i misteri dell'antica mia maledizione? drammi?

Fratello e sorella

Trema una falce di luna indistinta seguendo il suo cammino, debole come una cicatrice sul pallido cielo blu, volta al declino; alcuni dolori l'han consumata sino al vivo, così languidamente vaga coi piedi sondando la via, senza sapere perché continui lenta a scendere la lunga scala del cielo. Dice qualcuno di vedere, sebbene vista io non l'abbia mai, la luna morta raccolta fra le braccia della nuova; in verità la fragile, delicata giovane sarebbe stata troppo appesantita per salire così i cieli! Ma resta il mio cuore immobile, mentre io sono allarmato da una [nuova, grave paura: può una giovane ragazza essere oppressa da una simile ombra di [dolore?

Da quando la morte ci ha ritagliati dalla materna luna al vivo, e gettati fuori come esili falci di luna, a compiere un inesplorato percorso tra miriadi fitte di stelle sparse di gente sconosciuta e relitti luminosi di vite, che i funesti topi neri del dolore han roso completamente, consumando ogni lucentezza di stella; poiché la morte ci ha liberati del tutto, bianchi e svestiti, finito il mese dell'infanzia, noi siam rimasti soli; anche l'amata, scomparsa madre che ci diede alla luce s'è liberata e non ci presta più attenzione, sebbene noi addolorati ci lamentiamo; così siamo smarriti e timorosi e ci mettiamo straniti in viaggio per la vastità del cielo. Non gridiamo più ch'ella ancor qui ci sostenga, non tratteniamo l'ombra sua fuori dell'oscurità! Oh, scordiamola qui, accettiamo l'ignoto puro che dinanzi abbiamo, portando avanti l'arca dell'alleanza, ove ella non può andare! Leviamoci ora e lasciamola, lei non lo saprà mai. L'ombra della morte

Ancora la terra, come una nave, si dirige fuori del mare oscuro sull'orizzonte azzurro e il sole si leva per vederci avanzare lentamente in un altro giorno; pian piano il vascello vagabondo delle tenebre segue la marea sorgente. Per quest'alba che mi viene incontro, trasalisco io sul ponte, nudo e sgomento alla luce del sole, uscito perplesso dall'oscurità, sottratto alla persecuzione della muta notte su cui sono imbarcati i giorni nostri. Risorgere non mi sento, mentre su di me si spande la luce del giorno; io sono sostanza d'ombra, tutto della notte materia compatta, solo per errore trovandomi spinto e tormentato tra folle di cose illuminate dal sole. Io che ho la notte sulle labbra, che con un silenzio di morte sospiro, cosa m'importa se le pietre stesse mi gridano irreale, se le nubi [risplendono nella vanità della loro sostanza su me, che son meno della pioggia? Non so forse l'oscurità che è in loro? Se non dei sudari, che sono? Le nuvole per il cielo vanno un'ombra di scherno gettando ma resto fermo avanti a loro intero a far svanire l'ombra

ricche di quiete, su di me, come partecipe di morte, e cupo sfido il giorno che nell'aria levo.

Sì, benché siano avvantaggiate le nubi su di me, liete del loro volo luminoso, e morto sia l'amore, io qui ancora non son senza casa e una tenda di tenebre ho il giorno ove dorme lei sul suo letto perfetto. Birdcage Walk

Quando via il vento soffia il suo velo e di lei scopre il sorriso, immobile impallidisco. Quando via il vento soffia il suo velo, per le pene mi lamento d'amore e del domani: quando via il vento soffia il suo velo immobile impallidisco. Tra vergogna e pena

Sta bruciando il tramonto e l'osservo: anch'io andare vorrei per le rosse porte, oltre la purpurea linea nera. Andare vorrei per le rosse porte ove liberarmi potessi della vergogna mia come di scarpe nel portico, della mia pena come di un abito, e il mio corpo abbandonare, lasciandolo quale bagaglio d'un viaggiatore partito, andato nessuno sa dove. Allora indietro volgermi vorrei, per vedere il mio corpo che giace buttato come un rifiuto, e riderne allegramente. Invito alla morte

Da quando ti ho persa, mia cara, avvicinato s'è il cielo, e io gli appartengo, chiare mi sono accanto le piccole stelle; tra loro va la luna come un bianco uccello in mezzo a candide [bacche, e come un uccello frusciar la sento in cielo leggera. E ora vorrei venir da te, mia adorata,

come un colombo che giù s'abbandona dalla cupola d'una cattedrale per perdersi nella foschia del cielo; venire mi piacerebbe e smarrirmi lontano con te, come spuma che si scioglie. Perché son stanco, mia cara; ah, sollevare potessi i piedi, i miei piedi tenaci, dalla cupola del mondo per cadere come un respiro nell'ansimare del vento ove tu sei perduta: che riposo sarebbe, amore mio, che riposo! Sera grigia

Quando te ne sei andata, come mai ti sei portata via il mio messale di deliziose, splendide ore? Il mio libro di lucernarii e di rossi pergolati spinosi, cieli d'oro e signore dai vestiti sgargianti. Ora, sotto un grigio-azzurro crepuscolo, oltre la neve che langue sui campi spogli, ammucchiate stanno le grezze pietre di case rachitiche: dell'estate i frutti felici tutti son colti e calpestati. Ora come echi gialli brillano le lampade tra le stoppie irreali all'imbrunire; più avanti ove vibrati ha già i suoi colpi la falce della notte, piccole stelle rotolano mature fuori dal guscio. E la terra intera sparita è nel grigiore d'una polvere mista a vapor d'oro, eternità di rameggianti licheni, pallida come muffa, da quando appassito s'è tutto il cielo e raffreddato. Così io mi siedo e scruto il grigio volume avvertendo le ombre come un cieco che legge col terrore di trovare sanguinanti le ultime parole: su, portami via questo opprimente Libro d'Ore. Tramonto e lume di fuoco

A tutte le regine l'oscurità ruba le apparenze, però i palmi delle sue nere mani son rossi ardenti mentre covoni fan delle ore morte, che tutte erano una volta gloria e tutte regine. Io ancora ricordo le ore solari, regine di giacinto vestite e cieli d'oro, canto del mattino dove gli alberi hanno volute damascate sull'inno dei fiori.

Qua bianche son le luci come nell'erba i bucaneve, un camposanto è la città, così tranquilla tutta e grigia ora che la notte è qui; un altro tramonto rosso lacerato non verrà più. Blu

Fuori dell'oscurità, dal sonno a volte inquieto, scintille sprizzano balzando agli occhi in zampilli blu, che rivelano segreti, custodendone infiniti. Ogni tanto l'oscurità catturata in una ruota rapida fluisce come un sogno e il blu dell'acciaio la mostra allora che rotea vibrante. Fuori dell'invisibile, fiumi di lucide gocce blu scendono dai cieli piovosi, e ciuffi splendenti di fiori blu ondeggiano dal basso elevandosi. Tutte le varietà del blu stupiscono gli occhi, componendo nei cieli un arcobaleno; nuove scintille di meraviglia s'accendono per la sorpresa: tutte queste cose essenziali si mutano in spuma e spruzzi del mare della ricca oscurità, che misteriosamente scossa s'apre in un balenio di vita, quasi delfini che balzano nel mare di mezzanotte agitandolo a bruciare, sin quando vediamo la [fiamma dell'ombra. Campana a morto

Lugubremente gli alberi ondeggiano su e giù, su e giù. Che cosa hai detto, mio caro? Le foglie colpite dalla pioggia all'improvviso sono scosse, come un bimbo addormentato ancora s'agita nella stretta d'un [singhiozzo. Sì, amor mio, sento.

Una solitaria campana, una sola, sfida il pomeriggio sconvolto dalla [bufera. Perché non lasciarla suonare?

Quando la odono si chinano le rose, i teneri, dolci fiori dal cuore che sanguina e iniziano a pulsare. Qual piccola cosa!

Sul prato cammina un uccello bagnato, chiama a vederlo il bambino. Sì, non c'è più ora. Chiamalo fuori dal silenzio, chiamalo a vedere lo stornello che scuotendo la testa cammina nell'erba. Ah, chi sa come?

Lui non può vederlo, mai posso mostrargli come scuota il capo Non disturbarlo, amore! mentre zampetta: non posso più chiamarlo da me, mai: egli non è, qualsiasi cosa accada. No, guarda lo stornello bagnato!

La coppa svuotala

Si scioglie la neve sull'erba. Ragazzo, debbo dirti qualcosa? Si scioglie la neve sull'erba, ne assorbe la nebbia le chiazze, e sul suo sciogliersi e impiastricciarsi piena splende la luna. Ma, ragazzo, sto dicendoti una cosa. Con me ti ha coperto la neve nella villa. Ascolta, e sentirai qualcosa! Con me ti ha coperto la neve nella villa, mentre si sono scaricati e fermati gli orologi, e corte le giornate, a tua insaputa scorrendo, si son succedute inavvertite. Sì, ma sto dicendoti una cosa. Quanti giorni pensi siano trascorsi? Ora, ragazzo, una cosa ti chiedo. Quanti giorni pensi sian trascorsi? Quante volte ha riflesso il tuo volto il lume della candela, più bianco e smunto divenendo? Sette giorni, ragazzo mio, non altri. Stai ascoltando questa cosa? Sei venuto a dirmi addio, poiché

da alcune cose eri spaventato. Sei venuto per farla bell'e finita con me e per fuggire da una ragazza che più giovane sia e sposarla più carina e fresca. Sì, ma c'è che sei spaventato da qualcosa. Non voglio baciare te, che tremi così! Sei intimidito o cosa? Felice non sei molto di andar via. Desideri forse ch'io ti rivoglia? No, bello! Quasi più niente in te è rimasto: su, vattene! Ehi caro mio, dimmi qualcosa. Tu, perfido, volevi lasciarmi, lo sai? Certo che lo so! Ma desideravi ti volessi ancora, così avresti conosciuto anche la verità dell'animo mio. Un uomo come te non si calma finché la sua audacia non ha mostrato a una donna, che sappia dargliene l'occasione. Vero? E tu pensavi a una ragazzina, eh, ragazzo, te lo dico io quel che pensavi. Tu pensavi a una ragazzina, che badasse a farti da moglie, che sobbalzasse quando la tieni stretta e pallida giacesse sotto di te, morta di paura. Non è difficile trovarla. Pensavi a volerti liberare di me. Quel che è fatto è fatto. Pensavi di volerti sposare per vedere di essere padrone e signore di una donna. Avevi bisogno di una donna diversa da me, è chiaro, così chiaro che sei venuto per dirmi addio! È così. Ti dico che non sarai soddisfatto. Meglio faresti a darmi retta, lo sai! Ti dico che non sarai soddisfatto, sinché una donna non t'avrà tolta l'ultima goccia d'orgoglio, lasciandoti vuoto e mortificato, vuoto, vuoto dalla testa ai piedi. Questa, lo sai, è la verità! Uno di quegli uomini sei che devono svuotare - e per questo ti amavo il loro sangue in una donna, sino all'ultimo. Devono, per quanto vi sfuggano; lo vogliono, e ogni altra cosa è vana. E una donna come me ti ama per questo.

Resterai sempre quello che sei? Sì, sempre quello. Mi guardi e mi capisci. Allora puoi andartene, ora che mi odi. Ma tornerai, perché quando un uomo non si realizza, tenta ogni strada. Allora vai, dacché è così. Sei venuto a dirmi addio. Ora vattene, dunque, vattene adesso. Ti ci son voluti sette giorni per dirmelo. Ora vai e sposati quella ragazza e vediamo quanto passerà prima che tu sia stanco e abbattuto per i suoi piaceri e bramoso dei miei. Vattene allora! Sei l'uomo d'una donna, ragazzo mio, ma di una donna qual so io. Dunque vai, che non avrai pace sinché non sarai andato dall'altra, perché io sono un brutto tipo di donna per qualsiasi giovanotto. - Sì, un tipo curioso! A tarda notte

Nel buio rigida dorme la casa, solo io, estranea creatura, attraverso il salone e per le scale salgo a trovare il gruppo di porte, ritte custodi alte e severe. Il rifugio desidero della mia camera. Ma cosa è questa folla d'esseri sussultanti confusamente lanciati all'improvviso contro di me che entro? Son solo le ombre larghe degli alberi che proietta il lampione dalla strada? Fantasmi e fantasmi; strane donne piangono forte, inaspettatamente facendomi balzare in corpo una paura indicibile, mentre il vento irrompe fremendo e tra le persiane si lamenta. Così simili a donne, alte strane donne che piangono! Perché continuamente mi attraversano il letto? Perché si contrae l'animo mio con innaturale paura? Io sono in ascolto! Dicono forse esse qualcosa? E sempre le lunghe figure piombano nere accanto al letto. Loro sembra che facciano cenni, corran via, e facciano cenni. Allora dove si va? che cosa?

Dite, qual è lo scotto? Alte Baccanti nere di mezzanotte, perché perché allora vi buttate al mio assalto? Mi son forse intromesso nei vostri riti notturni? Ma a cosa mi servirebbe? C'è un qualche grande Iacco in questi tetri paraggi suburbani? O io profanato ho qualche femminile mistero, orge nere e spettrali? Mattino dopo

Come son io andato vagando sin qui, sotto la volta di questa camera, nella casa della vita? ... D'oro il pavimento era increspato ieri sera, e lei, teneramente fiorita, trasluceva come al crepuscolo fanno i fiori, al fresco della notte liberando il profumo mentre le tenebre d'ogni sudicia forma di muffa cosparsa, ora sono, e l'umida vecchia tela d'un'eredità di miseria ammorbidisce questa grigia, cadente piega dell'arazzo del giorno. E cosa, venendo a galla sulla foschia dello specchio, verso la grata va del camino, quasi sentisse, non vedendola, la strada verso il calore? - Un essere con una cimasa alla sinistra? - Fantasma simile a una candela che si scioglie? Macchia pallida, con due nere gocce tonde, come svanendo in mezzo ad ogni altra cosa, qui avidamente pian piano m'avvicina!... è il mio riflesso! Esplicito segno della mia presenza là, nello specchio che pende dal soffitto! Qualcuno combaciare farà quest'ombra allora con l'essere che fui, come lo conobbi, l'altra notte, quando l'animo mio chiaro suonava [come una campana e felice come d'estate la pioggia? Perché dovrebbe essere così? Cosa d'avverso m'accade, perché sia io in quest'inferno? Viale d'inverno

Sugli alberi s'è stabilito il gelo soffocando crudelmente le fantasie delle foglie, che in silenzio le ha fatte sparire, spazzate come romantiche storie d'altri tempi, che più non si raccontano.

Nudi gli alberi lungo il viale stanno pensierosi, spento il loro abbondante, estivo vociare, chiusi nella loro severa corteccia, affrontano l'urto lungo e impietoso dell'inverno implacabile. Una mano rimesso ha nel fitto dei rami alcune foglie? Forse qualche debole, piccolo germoglio ha posto sulla filiforme [betulla? Son solo i passeri sui ramoscelli come nere foglie morte, appollaiati a mucchi contro l'azzurro, tutti una cosa col loro sostegno! Chiaro il cielo gelido riflette freddamente. L'aria come un vivido pensiero tersa spira, e tutto, alberi, uccelli e terra, s'arresta assorto, in attesa della sentenza emessa dalla celeste volta. Parliament Hill di sera

Si dissolvono le case nella liquida nebbia, macchiando la spessa aria sporca con chiazze rossastre che resistono ancora alle lente attenzioni della Notte. L'invernale crepuscolo svanisce senza speranza, si consuma la città davanti agli occhi, come il corpo è consumato quando la morte invade tale fortezza del piacere. Lenta brucia la brace verderame, spandendosi soffice per il sudario della città, mentre le luci notturne qua e là si dilatano piano in uno spettrale splendore. Banchina di notte prima della guerra Carità

Lungo il fiume nell'umida notte nera, mentre scende furtiva la pioggia, cascando e sussultando nel sonno, su un sedile, sola si rannicchia una donna. Devo tornare da lei. Voglio darle

del denaro. Fuori scivola dall'abito sul petto addormentato la sua mano; scorrono le mie dita leggere sul dolce rilievo del pollice nel palmo profondamente scavato. Ecco il dono! Dio, come trasale e me guarda e guarda nel palmo della sua mano e quindi me ancora! Mi volto e corro giù per la banchina, fuggo per salvarmi. Ma perché? Perché? Perché son come singhiozzi i battiti del mio cuore e io torno in me stesso. Mi fermo nella strada splendidamente traboccante di umide luci basse. Non so quel che ho fatto: in lotta è l'animo mio. Toccato fui nel vivo. Voglio dimenticare. Banchina di notte prima della guerra Reietti

La pioggia notturna, invisibile sgocciola e senza posa arriva a baciarmi viso e mani. Tra i lampioni scivola il fiume svelando i suoi nascondigli; è illuminato da strisce dorate a mezza via lungo le sue rive palpitanti. Sotto il ponte grandi vetture elettriche passano ronzanti, ognuna con un riquadro di luce che le corre accanto. Molto lontani, moscerini e moscerini alla deriva sull'abisso che sbarra la notte col silenzio, traversano la corrente toccata dai lumi. Qui, a Charing Cross, sotto il ponte in fila dormono gli esclusi stipati l'uno appresso all'altro, con le teste contro il muro i piedi in riga scomposta allungati per terra, e un pezzente lancia un'occhiata a questa scoperta stalla stando da un lato. Quando dormono gli animali si coprono il viso

con un lato del corpo; stracci hanno questi e membra in disordine nel loro sonno indifeso. Però, quando i tram gironzolando col fruscio d'una brezza fan balenare come di sole un raggio traverso la nera massa vile, due volti inermi compaiono nudi, addormentati, due pallide macchie rapprese, spazzate dalla luce delle vetture, due grumi di spuma mostrati nella povera, lunga marea ammassata, due chiare, nitide stelle dischiuse tra erbacce melmose. Sul pallore di due facce soltanto passa il raggio vagante dei tram; in due soli luoghi tristi rivela il bianco osso nudo della nostra ipocrisia: barbuto il piccolo uomo, consunto dal sonno, dal viso come il fior di centone; pesante una donna, ancor dura e nei tratti rigida mentre dorme. Sul pallore di due punti soltanto balzati dalla negletta, nera massa scomposta scivola la luce del tram che correndo esce dal profondo. Eloquenti membra disordinate, membra dolci nel sonno d'un giovane dalle cosce lunghe e lisce, il caldo cercando contratte; e l'orlo fangoso dei pantaloni logori sui fragili stinchi nudi d'un uomo che agitandosi giace; cinque rosse dita, pallottole sudice come uccellini abbandonati in un nido di fango rossi e implumi; fogli di giornale avvolgono le membra come pacchi e si strappano quando si muove chi dorme o si gira nel riflusso della massa; le ginocchia d'una donna, rannicchiata difesa che ella raccoglie sotto la gonna spiegazzata. E stranamente pochi rumori giungono dall'insieme di questi disgraziati che insensibili dormono sulle lastre di pietra. Sulle due facce, nette nel mucchio, spudorate e chiare,

viaggia la luce, oscillando nel suo cammino e d'un colpo sparisce. Ai piedi degli addormentati, vigilano quelli che aspettano un posto per distendervisi; e così immobili, in piedi, dormono, stancamente prendendo il lento ondeggiare degli altri, come annegati, che ritti galleggiano in mare. Oh dimore ronzanti, i tram dalle luci d'oro che alti viaggiano e svaniscono rossastri nella notte! Sui suoi piloni il ponte s'incurva come un funebre drappo su quest'umana rovina. Sulla passerella esterna, pian piano passa la folla dei teatri, alti tenendo gli ombrelli che lucidi lampeggiano, come fiori d'aglio infernali che sull'erba notturna oscillano umidi e vagando spariscono alla vista. E ancora, presso la fila disfatta di piedi scomposti, reietti montano la guardia, dimenticati, dimentichi, sinché la sorte uno ne sottrae dal drappello. Verso il Surrey le fabbriche nere spiccano meravigliose su un cielo grigio-oro. L'acqua invisibile del fiume scorre e palpita come un metallo che ricco appare all'occhio. E grandi moscerini dorati attraversano gli archi dei ponti sopra l'umano groviglio. Malattia

Lentamente davanti m'ondeggiano, tese nel buio le mani che invisibili esplorano il silenzio, caute, portandosi dietro la scorza del corpo. Le dita incontrano solo la lanugine della notte che invisibile il viso m'inganna e gli occhi. Cosa accadrebbe se le mani nel loro vagare toccassero la porta?

Cosa, se d'improvviso inciampando, l'aprissi e un'immensa alba grigia vorticasse ai miei piedi, prima ch'io possa indietro tirarmi? Cosa se involontariamente la porta spalancassi dell'eternità e spazzato fossi via in un'orribile aurora, se sparissi nel gorgo dell'aldilà eterno? Prendimi le mani, amore mio, e stringile al petto. Distoglile dalla loro avventura, prima che il destino loro strappi ogni senso. In chiesa

Nel coro l'inno cantano i giovani. La luce del mattino sulle loro labbra si muove in bagliori d'argento-umido, musicalmente. D'improvviso, fuori dell'alta finestra, pende un corvo nell'aria e riluce sulla cima dolente d'una quercia rinsecchita. Una macchia, un uccello ripiegato e immobile sulla cima d'un albero secco!.... nel calice cristallino del cielo cade una nera, grossa goccia, una molle goccia colma d'oscurità che sembra fluttuare nel delicato vino della nostra domenica, oscurando il nostro sacro giorno. Pianoforte

Nella penombra, dolce canta una donna per me; a ritroso mi porta lungo la prospettiva degli anni finché un bimbo seduto vedo sotto il pianoforte, nel frastuono del [vibrar delle corde, abbracciato ai piccoli piedi sospesi d'una madre, che mentre canta, [sorride. Contro la stessa mia volontà, il indietro m'attira, piange allora delle vecchie serate domenicali, e nel salotto comodo gli inni, e

potere insidioso del canto il cuore mio prigioniero a casa, con l'inverno fuori il suono del pianoforte a guidarci.

Così ora non serve che prorompa la cantante seguendo il clamore del grande piano nero "appassionato". Su di me sta il fascino dell'infanzia, precipitata è la mia virilità nel fiume dei ricordi e come un bambino lacrimo sul passato. Il settentrione

In un'altra regione, sopra uno stagno s'agitano neri pioppi, e dietro le volute di fumo si spandono dalle fabbriche salendo e ruotano le cornacchie: l'aria è scura al nord per il vento e lo zolfo, e verde cupo è l'erba, di porpora rivestita la gente nereggiando si muove palpabile per la [scena. Giù per le contee, silenziosamente, fuori dalle tenebre risonanti che il nord ricoprono di stupore e rossore, il lento rombo profondo va dell'umana vita lassù costretta, nel ronzio chiuso dell'acciaio [rosseggiante per il girare continuo sino al sonno, ottuso e narcotizzato dalla [rotazione. Fuori dal sonno, dalla depressione del moto, silenziosamente geme e rimbomba sonnambula l'anima della gente prigioniera, [addormentata nella regolarità della forte macchina che corre mesmericamente, [rintronandola col suono delle sue parole e senza speranza muovendola automaticamente, il di lei volere [sottomesso al suo. Ancora arriva interamente l'inudibile suono monotono, fuori dell'aria [violacea, il lamento degli esseri al sonno costretti, in un involontario, duro [lavoro là nel nord incantato, ora convulso per un sogno al mattino vicino, per i violenti dolori che a provocare si levano il non lontano risveglio. Tempesta d'amore

Molte rose nel vento

picchiettano sui vetri. Un falco è in cielo; iniziano lentamente a vibrare le sue ali. Le rose son strappate dai colpi del vento, e uno spruzzo di rosso scende nell'aria fluttuante. Sospeso ancora è il falco, e il cielo tutto alle sue spalle scorre: solo un battito d'ala svela la volontà che lo sostiene. Tra l'erba si curvano le margherite, il falco s'è lasciato cadere, il vento consuma tutte le rose, e senza fine uno stormir di foglie filtra il lacerante grido d'un uccello. Col vento va una rosa rossa. Il falco la sua via battuta dai venti risale e senza fatica verso il profondo cielo si dirige. Inviando le margherite strani bianchi segnali, sembra vogliano mostrare da qual posto sia stato lanciato il grido. Ma, cuore mio, oh come stanno pigolando gli uccelli! Un argenteo vento in fretta il viso asciuga alla più giovane tra le rose. E, cuore mio, oh smetti ogni preoccupazione! Il falco più non c'è, sui vetri una rosa picchietta come gli sbuffi del vento dell'ovest. Batte, batte, altro non è che i colpi d'una rosa rossa, e la paura è un fremere d'ali. Che c'è, allora, se sbatte una rosa scarlatta precipitando per la grigio-luccicante rovina delle cose?! Breve visita a Elena

Tornando, la ritrovo sempre uguale, proprio allo stesso gioco vecchio e delicato. Ancora ella dice: "No, non liberar fiamme a lambirmi e farmi del male! Sii sempre te stesso!... perché rovinare il fascino del tuo ardente cuore nel quale io guardo?! Oh, meglio lì che in alcun libro i drammi risplendono e si svolgono i sogni che sempre amo!.... lì sembra

tu sia più attraente della vita stessa, sinché non arriva il desiderio a lambirmi traverso la diga delle tue labbra, e sul viso il fuoco randagio mi guizza lasciandovi una scottatura, dolore terribile che dell'olio ha bisogno dell'illusione. Oh, cuore di fiamma e di beltà più non liberar il tuo viperino fuoco bramoso; ah, la passione riponi nel cestino dell'anima tua, sii sempre te stesso, un ardente carbone gentile che sopporta per la salda gioia del suo stesso calore! Poiché in tal fuoco si crepa la porcellana della mia carne e si frantuma spezzandosi dolorosamente, s'anneriscono l'avorio mio e il mio marmo a macchie; in due il velo si strappa del mio sensitivo mistero, sudici diventano i miei altari e io resto spoglia, esecrabile sacerdotessa, presa invano..." Così il ritornello vien ripreso, e il gioco così di nuovo inizia e io vi sono tenuto come un bracere che debole riluce azzurro di fiamma perché la delicata adepta d'amore le mani possa scaldarsi e sciogliere l'anima sua, che incenso sparge e sale di parole e pallidi baci, e piano i fumi assapora del tributo d'incenso, che s'alzano come uccelli. Eppure in questo gioco mi son perso, e conosciuto ho cose che non debbono aver nome. Scordato ho il luogo da cui son venuto, vedendola schermirsi dalla fiamma e nel contempo ad essa scaldarsi... quindi biasimarmi perché nel cestino m'agito; perché ardo, ma non di contentezza al veder spegnersi la mia sostanza così sottilmente, perché il suo gioco interrompo... Orgoglioso dovrei essere della sua richiesta: ch'io sia la sua opale di fuoco... È giusto, poiché son qui per così breve tempo, non interromperla? Perché dovrei intervenire con replica alcuna?! Vent'anni fa

Lillà e fragole erano attorno alla casa e farfare a ricoprire i sentieri, e sulle dune di sabbia, molto lontano, rovi di more prendevan la polvere dalle larghe anse del mare.

Lungo le terre incolte avanzavano i boschi, e dalle loro chiome cadevano le noci. Le reti al cancello appese ostacolavano la corsa a lume di stelle d'una lepre. Nei campi, d'autunno, la stoppia fischiava la musica della spigolatura. Sui ginocchi d'una madre, i guai perdevano ogni senso. Sì, quale buon principio per questa triste fine! Abbiamo noi colto i nostri frutti? Dio ci protegga! Leggendo una lettera

Seduta le cui Brilla l'aria

è lei nel giardino della ricreazione sotto una quercia gemme punteggiavan di giallo il pallido cielo azzurro. al vento l'erba tenera e tra il groviglio dei germogli risuona come sotto a una volta.

E sotto quella volta intricata di vento rapita è e sollevata come in un pallone traverso il vuoto assente, finché per vedere non si china: sotto di lei la sabbia del deserto e il plotone desolato. Giù riconosce la desolata terra, arida ovunque, in un sol punto col suo colore di vita muoversi la vede, agitarsi e rigirarsi. Ma il moto mai ha volto umano o suono, solo di macchinari si tratta che ronzano a intermittenza. Quindi, nel giardino della ricreazione, nuovamente scende come un'estranea, meravigliata per la novità della scena; e soffre alla vista dei bambini che intorno le giocano ferita dai tulipani color del gesso e dalla verde sera. I sette sigilli

Così questa è l'ultima notte che a casa ti trattengo, vieni allora, voglio darti la benedizione per il viaggio. Avrei preferito tu non partissi. No, vieni, ancora non ti rimprovererò. Stenditi supina e a lungo lasciati amare prima che tu vada, perché cupo il cuore hai sempre e la voglia

ti manca d'amarmi. Ma anche così voglio metterti il sigillo colle mie labbra, porti una guardia d'onore ad ogni entrata, sigillare ogni uscita da cui sgusciare potrebbe il tuo amore per me. Ti bacio la bocca. Oh, amore, suggellare potessi io questa rossa, brillante fonte di passione, seccarla, distruggerla, asportare questa mobile, morbida sorgente cremisi di baci! Oh, Dio mio, aiuto! Qui a questa fonte giacerei per sempre bevendo e svuotando le tue vene, come assorbe il cielo dal loro corso i diluvii. Coi baci chiudo i tuoi orecchi e le tue narici sigillo; e porterai al collo intorno - Su, lasciami fare - di baci una catenina. Ti cingono essi come grani, e ognuno dai suoi vicini è stretto. E qui, proprio nel mezzo del tuo vasto petto, grande pongo un ardente sigillo d'amore come una rosa scura, una misteriosa saldatura sul ribollire lento del tuo ritmico cuore. No, insisto, e una fede profonda mantenerti deve integra per me. Ogni porta, ogni mistica porta d'uscita da te, bollare io voglio e impregnarla di crisma perfetto. Ora è finita. A martello suonerà la campana nel cielo prima che ciò sia disfatto. Ma terminare lasciami quel che ho iniziato, e rivestirti ora con un'invulnerabile maglia di baci di ferro, di baci intrecciati come acciaio: sulle tue cosce gambali e i tuoi ginocchi, sottile foglia d'acciaio sui tuoi piedi. Così ti sentirai invulnerabile e legata a me, per i sette grandi sigilli sulle tue uscite, per la catena intrecciata col mio mistico volere, perfettamente su di te avvolta, avvolta in me, indomabile. Le due mogli

1 Nella penombra chiara della camera bianco sedimenta il flusso di un'altra alba. Il vento che inquieto ha atteso per tutta la notte, d'improvviso un vortice soffia quasi di neve dai susini e dai peri

e l'intelaiatura riempie della finestra con petali per farveli morire in un mucchio. Una bianca infermiera, presso il vetro che albeggia in quella spuma [di fiori tira giù le persiane, la cui ombra appena colora i bianchi tappeti sul pavimento, così il letto silente per la camera fluttua come un'isola di ghiaccio, il profilo definitivamente formato dall'austera linea del morto disteso immobile. Da meno di un anno le due loro paia di piedi calcavano il pacifico pavimento, quando sulla loro pace cadde la guerra. Ma presto, troppo presto, lo ebbe lei a casa di nuovo, con le ferite tra loro e la sofferenza, ospite che andarsene non vuole. Ora che sparisce all'improvviso, il dolore lascia un petto svuotato.

2

Una donna alta, con la sua bianca gonna lunga che ondeggia ad ogni suo passo, una volta ancora verso la stanza si affretta. Lo comprese lei forse, silenziosa ascoltando fuori della muta porta? Entrando, di profilo lo vide, alto su una pira in attesa del fuoco. Lo vide sul letto in rilievo, i piedi che spuntano ad arco come la prua d'una barca, la testa indietro distesa come la poppa d'una nave col sartiame gelato, su un irreale mare di neve; e cadde, come una felce ripiegandosi a terra scivolò, recisa peonia dallo spettrale pallore. Morbidamente giacque come un morto fiore gettato, non sentì così l'infausta entrata, né vide l'altro amore, la triste amante dall'occhio sepolcrale che tanto osava e in quell'ora, rivendicando il proprio diritto su una moglie afflitta, caduta in oblio, piegata dalla sofferenza, senza più orgoglio.

3

I capelli dell'estranea eran tagliati come sulla testa scura di un ragazzo e era pallido il suo viso d'avorio: silenziosi i suoi occhi mentre ella guardava: poiché in loro completa era l'oscurità del fallimento, senza rimedio. Tetra, per l'irreparabile disastro, lei che aveva perso ora l'ospite reclamava. Leggera sorpassò il fiore pieno di dolore caduto, biondo e bianco sul pavimento, e neppure girò da quella parte la testa, ma dritta andò lentamente verso il letto e fissa bruciava la fiamma dei suoi occhi. Lo vide che giaceva con le guance bendate e con tenerezza cominciò a parlare: "Sapevo che sarebbe finita così", disse "sapevo che presto, un giorno così ti avrei trovato. Per questo non lottavo con te: tu andavi per la tua strada invece di seguir la mia, e di noi due ...io morii per prima, io, che nell'oltre-vita son ora tua moglie.

4

Fui io, con le mie dita, a tirar su la pianta giovane del tuo corpo: e me tu guardavi prima che il segreto lunare spuntasse entro i tuoi occhi! La mia bocca t'incontrò prima che la bocca tua, bella, rossa, cominciasse a cantare: e mai il tuo canto l'amore mio rinnegò, finché non andasti al sud. Fui io a posare di virilità il fiore sulla tua armoniosa gioventù: io con fremiti e viticci ricoprii d'un manto di nuova conoscenza le tue spoglie membra ardenti: io al tuo cuore impressi il più forte battito: io t'offersi il mio vigore, e la vita mia gettai ai tuoi piedi. Ma io, che hanno educato gli anni a essere tua sposa, che per anni fui il sole per i brividi tuoi, per il tuo sudore l'ombra, che per un anno eccezionale fui come una sposa per te, tu m'hai riposta con le vecchie cose dolci della nostra gioventù. Mai da allora di dolermi ho cessato per non essere stata grande

[abbastanza per vincere ciò che di più basso era in te.

5

Ma ora tu mi sei restituito e intatta io ho mantenuta per te la tua verginità. E avanti vado per il resto della vita disinteressata, indifferente qui di me stessa, da quando andata son io ove tu sei andato, e noi due, laggiù, come tutt'uno camminiamo. Io son la tua vedova, e io soltanto. Sogno che Dio con la testa annuisca e mi conceda lo sguardo supremo e puro di questo tuo volto eterno, morto, da cui sparita ora è la mobilità, il suo scatto da pantera, e che tutto l'essere tuo a me sia porto, così nessuno potrà deridere la mia interna lotta. E finalmente bacio adesso il tuo viso perfetto ora compiendo il nostro primo abbraccio interrotto. Il silenzioso tuo sguardo, che Dio allora in fiamme vedeva in ogni cespuglio ti è restituito, e quindi noi ci siamo incontrati per terminare felici il resto dei nostri giorni".

6

Si rialzò l'altra donna e subito disse: "Ecco! Sei venuta a prenderlo adesso che è morto! Ora è il tuo trionfo, ora che soltanto lui è uno dei tuoi sogni! Questo è tutto quel che sempre in lui vedere hai potuto: sognarti nel sangue del tuo cuore ferito. Come l'hai amato tu, tu che la sua mente solo hai spinto sinché gli consumasse il cuore?! Tu sei stata a ucciderlo, quando entrambi vi riempivate di parole e cose ben dette. Ma lui non t'amò mai nell'altro senso, mai il desiderio suo arrivò a toccarti come fiamma.

Prendi quel che è tuo, il ricordo delle parole tra voi dette, ché il suo tocco non conoscesti mai. Mai come uccelli a te volaron le sue carezze, il peso suo scendere mai hai fatto su te per una notte intera.

7

Prendi quindi l'eternità, poiché questa non è che un'altra parola, vanità e presunzione! Ma non toccar quest'uomo che mai, mai davvero a toccar te ebbe piacere. Per te non è la mortalità ed egli mortale è ancora contro ogni sua voglia. Anche morto, mortale è tuttora e i suoi capelli per quanto freddi, sono morbidi. Toccarlo non osare, mentre ancor qui giace! Stagli lontana, e se col suo spirito evanescente comunicar ti piace, fallo in qualche altro luogo come un'armonia perduta. Ma non devi toccarlo, ch'egli odiava esser da te toccato, come diceva, e lo saprai tu pure. Perché sei qui? Cos'è per te il cadavere suo? Tienti lontana assai e, come un Giudeo, rallegrati ch'egli sia morto e tu no. E indietro stai, hai capito!" Fragor di battaglia

E lungo ogni ora, la città rugge, qual fiera che giace ferita in un antro e affogare si sente nell'impetuoso fluire dei giorni, onda dopo onda, sulla sua tana. Invisibile una maledizione libera il diluvio che supera ogni limite: grande la vecchia città rugge distesa e la zampa schiumosa sente dell'acque

protendersi dall'immensità. Ma tutto ciò che far può, mentre sale la marea, è ora ascoltare, e le onde sentir sinistre abbattersi come tuoni per le strade frantumate, e sordo il fragore sentir rotolare negli intervalli. Al fronte

Molto lontano, a casa, i gigli statuari stan bianchi, schierati in [giardino. Voglia Dio cadano presto in frantumi, e nella terra grassa li calpesti il [bestiame. Vorrei in fiore i sambuchi sollevar si potessero improvvisi e le pareti sfondassero di casa, e veloci ortiche spuntassero sul cuore che [m'allevò. Così tranquilla sta, nel suo composto silenzio d'alberi e d'inviolata [pace la casa dei miei padri, il luogo che m'appartiene, mio fato e mio antico [arricchimento. E ora che stan cadendo i cieli e il mondo scaturisce sudici zampilli, l'anima darei perché con me rovinasse questa rustica casa, assieme [sparissimo d'un unico colpo. 1916: realtà della pace

Gli alberi nell'affanno d'autunno, e le bacche che rosse cadono dal cespuglio, e le miriadi tutte di leggeri semi vaganti nella spinta insistente del vento si lamentano sommessi per il parto autunnale; i poveri frutti oscuri dalla luce respinti nel mondo d'ombra, trascinati sono tra le amare ginocchia della notte ulteriore. Ricoperti d'un desolato ardore, nell'intimo uniti da un nodo di vita che solo la felicità può sciogliere

tutti i frutti cadono al suolo molto amaramente e amaramente passano ad amara corrosione. Qual è la micidiale cosa che la violenza stessa ha chiuso entro la quiete del furore? Non si saprà finché non scoppi dalla decomposizione una nuova fioritura. Sì, ma come viene intanto torturato il terribile seme, la sua interna, intensa scintilla, dal digrignare all'esterno della mordente corrosione, dal duro morso che distrugge la piccola indifesa corazza! Duro non far sortite e ripiegar l'assalto! Conoscere il mistero, ma non andare avanti! Sopportare e non reagire, badando a salvar la scintilla dalle furie della corrosione, quanto i semi dalla tramontana. Più aspra e terribile è la pressione, quanto più duro è il cuore che l'azzurro grano conserva di fiamma celeste entro il suo vivo, impegnata a resistere e aspettare, a soffrire incurante, solo a non spegnersi costretto. Narciso

Dove tracciano i pesciolini una ragnatela lucente che l'oscurità del ruscello rapida cela, quando a quel luogo penso e ricordo il ragazzino sdraiato a scrutarli traverso l'ombrosa superficie intessere i loro fili per l'acqueo recesso, mi sembra che una donna come te una ninfa esser dovrebbe e che esista uno stagno ove dovremmo stare noi: tu, chiara ondina madreperlacea, fresca acqua senz'anima, stagno che il mio corpo penetra, ultima scuola dell'anima mia. Narciso molto tempo fa s'avventurò nelle profondità del riflesso. L'Ilisso ruppe gli argini e dilagò: vaga memoria dei pesci che muti si muovevano in una nuova celeste direzione! Ritorna ondina verso le acque; per me vorrei

uno stagno! Liberati dell'anima, oh, rinuncia al tuo umano io immortale; segui dell'acqua il corso. Soldati in treno

Splende il sole, le farfare fiorite lungo la massicciata della ferrovia brillano come monete lisce disseminate da Giove ai lati dei binari, a ringraziare. Un campanile tra gli olmi violacei sta e gli asfodeli che sotto spumeggiano: sul fondo colline luminose... e in giro nessuno. Inghilterra, Danae sotto questa pioggia di cosmico oro che cade nel tuo grembo di terra, che siamo noi dunque?! Cosa siamo noi, che rotoliamo, color della creta, sfiniti mentre per miglia e miglia, precipita il treno del nostro destino? Una mano è sul mio viso una mano fredda. Occhiate furtive tra le dita getto ad osservare il mondo che indietro s'attarda, pur tenendo il passo. Sempre è lì, quando lo spio, tra le dita che mi coprono il volto! Cos'è allora che dal suo posto precipita e per la scarpata giù rotola? Il treno è forse, che come un meteorite a ritroso cade nello spazio senza speranza di posarsi più? O è il modo illusorio, che dalla realtà crolla sotto i nostri occhi? O siamo noi qual fulmine scagliati? L'una cosa o l'altra è perduta, da quando via roviniamo divisi l'uno dall'altro perpetuamente spinti da un unico moto.

In marcia

Siamo fuori, nella strada aperta, traverso la bassa finestra dell'ovest una fredda luce si spande sul suolo che mai prima calcarono i piedi miei intorpiditi; avanti va la strada sconosciuta. Presto gli spazi del cielo d'occidente saran chiusi da persiane di nuvole scure. Ma ancora saremo insieme, io e questa strada, insieme ovunque, per quanto è lunga, vada. Siamo inseguiti dal vento e sul grano pallide ombre volan da noi lontane, come da nemici. Quasi serpenti battiamo la vasta landa abbandonata mentre oltre la lunga strada continua. Nel cielo bassa la stanca luna si dissolve; traverso i pioppi soffia il vento della notte; attorno saltellano pallidi fantasmi assonnati quando chiede il vento dove vada la strada leggera. Molto distante un lume s'accende. In file brillano piccole luci quasi invisibili, che mai s'avvicinano per quanto procediamo avanti, ovunque la strada sconosciuta vada. Passo dopo passo tetro e sordo ricade. Sempre uguale è il vento e di noi nessuno conosce quel che vi sarà all'estrema sosta, quando scopriremo dove questa nostra strada vada. Poiché qualcosa avverrà, se passiamo e ripassiamo per i contorti spasmi convulsi di questa marcia, lungo l'erba invisibile che va, ovunque vada questa vecchia strada. Forse perverremo all'oblio. Forse cammineremo finché stanchi i nostri piedi sull'orlo d'un abisso arriveranno e lungo la china senza fine precipiteremo dove ci porta l'ultima strada. E così, avanziamo, diritti, se andiamo a dormire il sonno di quanti per sempre cadono nulla sapendo di questa landa che l'ingiusta strada traversa. Rovina

Il sole sanguina i suoi bagliori sulla nebbia che in grigi cumuli s'affolla e s'avvolge esitante. Come scogliere che in ombra celino un morto mare grigio alcuni banchi si spingono al termine delle strade. Sulle devastate terre nebbiose, staccandosi sul grigio arrossarsi del mattino, gli olmi maestosi dai vaghi contorni, s'elevano alti quasi verso di noi marciassero per l'aria, lunghi angeli dell'oscurità che su tutti avanzano tenacemente. L'attacco

Quando uscimmo dal bosco una grande luce apparve! La notte s'era levata bianca. Meravigliato, mi guardai intorno: era così chiaro! Brillante la stoppia per terra splendeva bianca come un campo di neve; eppure caldi i ricorrenti respiri leggeri della notte mi passavano sul viso! Bianca di corpo era la Notte e calda, dolce-profumata a sentirla in gola, chiara e luminosa. Un battito leggero pulsava per il blando essere intero che Questa con me formava; un battito che sempre stava per sparire eppure non ci abbandonava. Di fronte all'ira terribile, alla morte, immobile scintillava tale meraviglia! Tutte le sue incredibili forme, col fiato sospeso, ascoltavano ferme in estasi fantasticando: bianca Notte intera! Stupito, ogni albero nero completamente fioriva.

Vidi la trasfigurazione e l'Ostia, presente: transustanziazione dello Spirito Luminoso. Quiete invernale

A causa della neve silenziosa, tutti eravamo ammutoliti per la paura. Nessun colpo di fucile, né in alto alcuna vibrazione che irrompa a distogliere la nostra attenzione dal vuoto che ci schiaccia. Un corvo plana ad ali tese senza un rumore. Il silenzio si libra ininterrotto invisibile, impercettibilmente, in ogni angolo della nostra ansia. Non ci guardiamo tra noi e gli occhi trepidi ci copriamo. Terra bianca, e rovine, noi stessi e null'altro... tutto smentisce la nostra esistenza; aspettiamo, eppure non siamo. Assieme in un unico abbraccio, annullati uomini e suolo nevoso. Il silenzio è, solo il silenzio e mai un suono né un fatto reale che ci aiuti: tragicamente relegati nel silenzio! Bombardamento

Al sole s'è la città aperta, largo, rosso giglio con un milione di petali spiegati; e si sfa. Terso il cielo sfiora i mille comignoli luccicanti e dolcemente evapora al sole la città. Frettolose creature corrono entro il labirinto del fiore funesto, cos'è che voglion sfuggire? Un nero uccello precipita dal sole,

e nella sua corsa si dirige verso il cuore dell'immenso fiore: il giorno è iniziato. Rondò di un obiettore di coscienza

Han rovesciato le ore le loro plumbee sabbie monotone ammucchiandole a occidente in pesanti cumuli grigi. Incupito io trascino la mia pazienza traverso lande devastate; il domani indietro riverserà tutte le tetre ore che detesto. Il mio carro traverso il fradicio sudiciume invischiato nel fango spingo e il nero sporco mi schizza sulle mani mentre al tramonto faccio ora la mia strada verso il riposo. Han rovesciato le ore le loro plumbee sabbie monotone. Un pruno ritorto immobile è nella sera in difesa del ricordo delle foglie e del tondo nido felice. Ma la melma di queste stanche regioni s'è riversata nelle case, ammucchiandole a occidente in pesanti cumuli grigi. Tutto il giorno del ferro i colpi sul ferro hanno angosciato i nervi scoperti del luogo. Adesso un po' di silenzio si diffonde in un ansito di sollievo. Ma l'animo ancora è costretto. Incupito io trascino la mia pazienza traverso lande devastate. Han finito di cadere le ore, e comanda una stella alle ombre di ricoprir la nostra umanità ferita, e al sonno benedetto di renderci dimentichi; ma la stella lo sa: il domani indietro riverserà tutte le tetre ore che detesto. Ode funebre

Certo, dritto hai camminato sino alla porta giusta! Certo senza fallo hai seguito la tua sorte! Troppo ora è tardi per dire di più. È chiaro che avevi ragione, segue l'uomo il suo corso, e naviga oltre i mari conosciuti. Tu sei andato fuor di vista e le mie domande vengon respinte dalla linea dell'orizzonte che pone termine a tutto il visibile. Ora, come una nave in porto, nella morte scarichi le tue ricchezze

e gli avidi defunti felici sono di riceverti lì. Lascia ch'essi vuotino il tuo carico, respiro dopo respiro, che ti sgombrino dei doni e li spartiscano fra loro. Mi figuro le lor morte mani farsi più lucide, le dita loro splendere al tramonto per i gioielli della passione che traverso te un tempo si frangeva come luce in gemme divisa da un prisma e i petti lor morti più bianchi per la tua ira; e sicuro sono che ungono le lor fronti col tuo dolore, crisma perfetto. Sul tuo corpo, incudine percossa, martellata fu la spada a forma di luna che sguainano contro di noi gli antenati; lama che nessun uomo spuntare potrà; spada che l'interrogativo separa da noi che respiriamo. Certo, dritto hai camminato sino alla porta giusta! E certo s'è compiuto il tuo destino; e esaltati sono i perfetti morti d'avere vinto una volta ancora. Adesso tu ai morti stai dando l'estrema tua fedeltà. Ma di noi che siamo vivi che accadrà, di noi ancor timorosi di credere nelle tue spietate legioni? Retrocedendo

Lentamente ruota la notte, treni veloci l'attraversano in luminosa corsa; treni lenti passano furtivi, questo mio treno ansioso pulsa, oltreconfine. Ma qui non son io. Sono via, oltre la portata di questo vortice, là, ove il perno è, l'asse di tutto questo meccanismo. Io, io, che Ode

che in lacrime siedo, col cuore straziato per la partenza, non sopporto di ripensare al marciapiede della stazione. il mio spirito

voci d'uomini,

rumor d'artiglieria, aerei, presenze, e sopra ogni altra cosa, l'assoluto silenzio, ancora il perno... Là, attorno all'asse e pena, e amore, e angoscia per la velocità s'assopiscono, in certezza assoluta; puro sollievo. Là, al perno il tempo nel sonno ricade. Né passato, né futuro: solo la presenza perfetta degli uomini. Ombre

Come sia, allora, debbo dirti? Giunse una luce a due punte, come lingue di fiamma oscurata, a guizzare in me. E così mi sembra di averti, sempre la stessa, con me in un unico mondo. Nel vibrar d'un fiore, in un verme cieco che striscia ancora, in un topo che si ferma in ascolto, tremano le nostre ombre, senza che quelli perdano di lucentezza. In ogni lor parte scossa vedo la nostra ombra fremere quasi spuntasse fuori da noi, che siamo mano nella mano, come se fossimo un'unica cosa, un'ombra sola e la nostra oscurità dissimular non si dovesse: capisci? Ché ti ho chiaramente detto come sia. Città nel 1917 Londra

Splendidamente soleva abbigliarsi di luci

sul Fiume gettando del suo scialle le frange, nastri abbandonati. E su nel cielo, un biocchiuto orologio, come un gufo solennemente era solito approvare con rintocchi delle campane, uccello dagli occhi sporgenti. Non c'è alcun riflesso sul Fiume, né alcun orologio cogli occhi strabuzzati, né alcun suono da St. Stephen, né scialle frangiato di luci: invece, oscurità e pellicce indossate leggere su corpi frettolosi, morti dal piede felpato. Londra originaria, ricoperta da pelli di lupo, i suoi indumenti luminosi tutti spariti. Londra, con una come l'oscurità come una palude prima che nella

pelliccia d'un bosco, di giunchi, sua tana irrompessero i Romani.

È giusto che Londra, covo d'improvvise oscurità maschili e femminili, abbia rotto il suo incanto. Pane sulle acque

Così perduta sei per me! Ah, tu spiga di grano che giaci distesa, quale cibo è questo per l'oscuro volo degli uccelli del Poi! Bianco pane a galla sulle acque, buttato dalla mano che il cibo getta senza saper dove, tornerai indietro, quando girerà la corrente? Dopo molti giorni? Brama il mio cuore di saperlo! Ritornerai molto tempo dopo

a narrar come un viaggiatore il tuo racconto, più meraviglia che dolore? Alla deriva vai, allora, che gli uccelli ciechi e i branchi di pesci in onde ombrose ti si avvicinino! Poiché tu perduta sei per me. Neonato di guerra

Il bambino, come un seme rotola di senape, fuori dal guscio della morte, nel fertile grembo imperscrutabile d'una donna. Guarda, ha messo radici! Vedi come fiorisce, come cresce con magica linfa rosa! Come per mostrar fede, era là e non lo sapevamo noi, non ci importava; frettoloso dal nostro guscio cadde come un piccolo seme. Dì, è tutto quello di cui abbiamo bisogno? Sarà vero che questo piccolo germoglio farà fiorire sul cielo i suoi rami, mentre noi vi dormiremo sotto? Nostalgia

In su guarda la morente luna; questa notte declina grigia attorno ai cieli con una dolce curva di facile traversata; perduti lumini rossi in mare mostrano dove fuor di vista le navi si muovono. Familiare m'è il posto, perché io sono nato qui e di questa stessa oscurità sono. L'ombrosa casa sottostante è però oltre i limiti miei e i vecchi spiriti soltanto sanno che son venuto e li sento salutarmi lamentosamente e [piangere. All'improvviso morì mio padre, mentre e più non è nostro il posto. Attento, non venir alcun suono, tutto è scuro, m'apre gli occhi sin quasi a svellere

si mieteva il grano, ascolto dagli estranei e la paura le radici del mio vedere.

Non posso andar più vicino, né verso la porta. Assieme ci lamentiamo io e gli spiriti, all'ombra della rimessa stringendoci. Agli orli dobbiamo gironzolare per sempre, per sempre non potremo più vagar nei domestici luoghi? È irrevocabile? Davvero non posso entrare in cortile per l'aperto cancello? Né sorpassare le tettoie posso e andare tra i mucchi di fieno? I morti solo, nei letti loro, conoscono un'angoscia terribile come questa. Le pietre bacio, bacio sul muro il muschio, e fuso restar vorrei con questo posto. E mi piacerebbe tutto stringerlo in un estremo abbraccio, qui vorrei sul mio petto poterlo annullar completamente. Sogni vecchi e nuovi Nuovi

Una dipinta memoria è il mondo, dove forme colorate delle vecchie vite spente, calde v'indugiano e indistinte; tessuto ha il passato un infinito arazzo, che della mente mia ricopre le sale, costringendomi la vita ad adeguarvi. Deliziosamente ho vissuto nelle stanze del passato dove le vite degli uomini che furono risplendono piano e non più male fa il ferro, né puzza il denaro, e la morte infine è solo tristezza d'uomini, privati dell'abito proprio. Ma penso ora d'aver visto tutto, e ora sento muri spessi di pietra dietro l'arazzo. Sono rinchiuso, prigioniero e non so come. E m'ostacolano le vite passate, mi ingombrano e imbarazzano. Mani non hanno, non hanno corpi, queste forme tutte che sogni sono oggi e uomini erano un tempo. Così a gridare il mio cuore inizia e chiede solo d'uscire da questa terribile tana oscura. .

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Rotta è l'apparenza dei sogni, lacerato è l'arazzo, c'è una breccia nei muri del passato e passa la luce del giorno. Vanno veloci figure d'uomini giù per la massicciata della ferrovia, vivi e indaffarati. Attive sagome d'uomini, lungo le rotaie! Ognuno un segreto ha che s'agita nel corpo, come egli si muove a diminuir la distanza, con un tocco viene, quando è l'ora, a scoprire quel che è vivo e quel che è morto.

Nell'ancheggiare invisibile del loro arrivar senza avanzare la fresca aria nuova della vita palpita. Per combattere vengono, per strappar l'arazzo e buttar giù i muri nella lotta per la vita, con l'ascia in mano, il martello e il piccone sulle spalle arcuate. Venite, su, e rompete questa prigione, questa dimora del passato! Solo illusione è l'arazzo, via venite a strapparlo! I muri sono spessi e le interne stanze sono tali che il cuore sgomentano, affollate di schiavi, i più al lavoro e pochi a divertirsi. .

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Son belli i vecchi sogni, amati, e soavi non tradiscono, ma logori più non nascondono i muri cui sono davanti. Murato, murato dentro, il mondo intero è un vasto interno impuro, dimora di sogni ove ansimano e fremono i sognatori. Venite, su, a svegliarci dall'odierna e terribile irrealtà! In un sonno fantastico asfissiamo e impura è l'aria che si respira. Perché chiusa è la casa e sigillato e pesante è il fiato degli ospiti, immersi in sogni corrotti, dall'angoscia avvelenati. Sogno orrendo di fatica, fetore d'acciaio e olio! Il dimenarsi di migliaia d'operai che di diventare ricchi sognano tutti, e liberano effluvi spaventosi in un orribile sforzo senza fine, eterno, solo il denaro sospirando e vogliosi fantasticandolo. Sogno spettrale di ricchezza, di mucchi di monete da spendere, di passeggiate sul viso degli altri, come su un selciato! Sogno di cavalcare e essere invidiati, d'un'invidia illimitata, su cui trionfare possano quelli ricchi e pieni di successo. .

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L'intero vasto mondo è dentro di noi adesso che siamo chiusi. Completamente viziata è l'aria e venefica e droga gli animi nostri, così dormiamo dolorosamente stupiti, oppressi da non poterci [destare. Ricchi e poveri ugualmente s'agitano e sognano tutti insieme. Su, venite, o uomini, lungo la ferrovia! Venite e in quanto uomini abbattete i muri che imprigionano tutto il vasto mondo! Dateci aria, vi preghiamo. Oh, si possa noi respirare ancora, respirare aria fresca e svegliarci dagli immondi sogni in cui siamo [chiusi! Fresca sentir l'aria in gola, fresco il respiro nel petto, nuove pronunciar parole colle labbra, al brutto sogno fuggir

del possesso, del guadagno, dell'avere, alla battaglia che strappa denaro dalla terra, dalle sudate fatiche degli uomini e delle bestie. .

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Oh, uomini con l'ascia e il piccone, rompete il muro dell'osceno sogno e liberateci, ricchi e poveri, lasciandoci respirare e toccare l'un l'altro meravigliati al risveglio, destati dal raggio reale della luce del giorno, usciti dalla gabbia dello sporco sogno. Poiché liquida è la sostanza vera del sogno e misteriosamente [scorre, e i corpi degli uomini e delle donne son fusa materia di sogni che s'agita secondo un cosmico moto: del vivo mondo il cuore, come sempre, pulsa invisibile, e vivo il suo sangue scorre. E quel che è vita, solo è sogno nella carne, in cui si gonfia e forma! I corpi nostri, disciolte gocce di sangue di sogno che ruotano e [s'allargano come un tessuto, sono quasi fuse cellule di una viva pianta di rose che ai fiori danno vita, alle spine e al profumo delicato. Quel giorno

Quel giorno rose metterò su rose e coprirò la tua tomba con una moltitudine di rose bianche; e poiché sei stata coraggiosa, una rossa luce brillante vi sarà, così la gente sotto i frassini passando nella strada della valle, alzerà gli occhi per vedere sul colle la tomba, meravigliata, e stupendosi salirà a spostare i fiori per vedere chi onori così bianca e tanto sanguigna, rossa insegna. Quindi dirà: "Da tanto tempo è morta, chi dopo tanti giorni l'ha ricordata?" E lì, in piedi, considereranno come abbia tu compiuto il tuo viaggio inosservata tra loro, silenziosa regina perduta nel labirinto di queste terrene faccende. Una regina, dirà la gente tutta, s'è addormentata non vista su una dimenticata collina. E lì sconosciuta, non notata dorme

sinché albeggi il giorno della mia resurrezione. Sole d'autunno

D'autunno il sole fa spuntar i crochi e li riempie sino a traboccare di vino mortale, tesoro che giù scorre per i calici, sprecato. Tutte, tutte uguali le pallide coppe di Persefone son sulla mensa, stracolme; versata è la porzione degli dei; ora, voi tutti bevetene, o mortali! Questo è il momento, pienissimo è il calice di cielo scintillante; prenderà ora ogni mortale la bevanda in un unico lungo, forte sorso. Fuor della coppa della regina infernale, il pallido vino celeste! Bevete allora, invisibili eroi, bevete! Mai le labbra si ritirino dai calici mentre volte ai cieli son le gole. Assumete così, entro il vino, il grande giuramento degli dei sul cielo, la terra e il gorgo infernale, di romper questo nauseabondo sogno morboso ove assieme ci dimeniamo per il desiderio. Giurate, sul pallido vino versato dalle coppe della regina d'inferno, di svegliarvi e liberarvi da quest'incubo in cui ci agitiamo, di fuggire da questo passato immondo.