37 0 37MB
Lezione I Generalità sulle macchine
0$&&+,1( Si dice macchina, in generale, ogni meccanismo o insieme di meccanismi atto a compiere lavori particolari quando a esso siano applicate delle forze. Una volta si chiamavano macchine semplici: • • •
l'asse nella ruota; il cuneo — In meccanica si da il nome di cuneo alla macchina semplice consistente in un solido acuminato, spesso prismatico. Esso è usato per dividere in due parti un corpo qualunque; hanno forma di cuneo i coltelli, le accette, i punteruoli e in genere gli strumenti da taglio e da punta; la leva — Utensile in forma di asta, che si usa per vincere una resistenza, applicandovi una forza e prendendo appoggio contro un corpo fisso. — Parte di macchina imperniata a un sostegno fisso e collegata con uno o più organi motori la cui forza trasmette a uno o più organi resistenti, generalmente con moto oscillatorio attorno al perno;
• il piano inclinato — Termine che è, poi, diventato sinonimo di macchina che serve a sollevare e a trasportare carichi;
•
la puleggia — La puleggia, nelle macchine, è l'organo con il quale si accoppia generalmente l'elemento flessibile (cinghia, fune) o articolato (catena) nella trasmissione del movimento tra due assi. Si possono considerare diversi tipi di puleggia, a seconda del materiale di cui è composta, o a seconda dell'elemento flessibile o articolato col quale essa si accoppia.
•
la vite — Si chiamano vite e madrevite gli organi meccanici con i quali viene costruttivamente realizzata la coppia cinematica elicoidale. Dal punto di vista cinematico le superfici combacianti appartenenti ai due membri della coppia potrebbero essere due elicoidi uguali qualsiasi. Praticamente queste superfici vengono realizzate mediante solchi e risalti elicoidali (filetti) praticati sulla parete di un corpo cilindrico pieno detto vite e sulla faccia interna, ugualmente cilindrica, di un corrispondente; corpo cavo detto madrevite. Il profilo assiale dei singoli filetti Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione I Generalità sulle macchine può avere forme diverse, e in particolare può essere triangolare, rettangolare, quadrato, trapezio ecc., con proporzioni e caratteristiche determinate, a seconda dei vari sistemi di filettature. Come si vede il concetto di macchina semplice indicava soprattutto il tipo di accoppiamento cinematico, ovvero si caratterizzava in base al tipo di accoppiamento tutti quegli organi di macchine che sono utilizzati come trasmissioni. Con il passare del tempo, il concetto di macchina divenne quello indicato all’inizio. La trattazione dei problemi inerenti al movimento delle varie parti delle macchine e alle relazioni tra le forze agenti in esse è oggetto della Cinematica applicata e della Dinamica applicata, discipline che insieme costituiscono la Meccanica applicata alle macchine. Tra le macchine si distinguevano le macchine motrici e le macchine operatrici. Le macchine motrici, dette anche motori, trasformano forme diverse d’energia in energia meccanica, direttamente utilizzabile. Le macchine operatrici (detti anche utilizzatori), invece, sono quelle che, accoppiate a un motore, ne utilizzano l'energia meccanica per compiere lavori particolari. Questa suddivisione è, tuttavia, ormai superata da quella attuale di macchina: organo complesso atto a compiere un lavoro che è composto da un motore, da un utilizzatore e da una trasmissione (la macchina semplice della definizione originale), la quale permette il flusso di energia meccanica dal motore all’utilizzatore, oltre che da organi ausiliarii e freni. Definizione, quest’ultima, che privilegia la funzione della macchina, quindi l’aspetto dinamico rispetto a quello cinematico del passato.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione I Generalità sulle macchine Motori La distinzione principale è basata sulla forma d’energia utilizzata per generare potenza meccanica. Si distinguono in: motori ad aria compressa, motori a combustione, motori a vento, motori idraulici, motori elettrici ecc. Motori ad aria compressa L'aria compressa, impiegata come fluido motore, agisce generalmente su uno stantuffo mobile di moto alternato in un cilindro o più raramente sulle pale di una ruota mobile. Nei motori alternativi l'aria è utilizzata per pressione e, come nei motori a vapore, può essere introdotta nel cilindro per tutta (piena ammissione) o per parte della corsa dello stantuffo (macchine a espansione). I motori ad aria compressa sono per lo più a doppio effetto, monocilindrici o policilindrici, a espansione semplice o frazionata (tipo compound), la distribuzione può essere comandata dallo stantuffo stesso o da una valvola o da una biglia indipendente. Nel primo caso lo stantuffo è doppio; l'aria entra in A e attraverso la luce L2 passa nella camera C spingendo lo stantuffo verso sinistra; chiusa la luce L2 l'aria si espande per scaricarsi poco dopo in S attraverso la luce L4 contemporaneamente si apre la luce Ll e l'aria compressa passa nella camera D determinando la corsa di ritorno dello stantuffo. I motori alternativi ad aria compressa funzionano a pressioni che in generale non superano i 6 - 7 kg./cm2. e trovano le loro principali applicazioni per il comando di piccoli utensili nelle officine meccaniche (martelli pneumatici, chiodatrici, ribaditrici, trapanatrici, magli, ecc.), nelle perforatrici per lo scavo delle gallerie negl'impianti di posta pneumatica, nelle trasmissioni pneumatiche delle locomotive Diesel, nei cilindri dei freni ad aria compressa, nei sistemi di propulsione dei siluri. Motore ad aria per siluri
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione I Generalità sulle macchine Motori a combustione Si distinguono in: •
motori a combustione esterna, nei quali il fluido evolvente, quello che, incrementato nella temperatura e nella pressione, cede energia all’organo mobile (normalmente il pistone o la girante nelle turbine), è diverso da quello che gli cede calore; esempi: motore ad aria calda, macchina a vapore, turbina a vapore, ecc.
Motore ad aria calda a ciclo chiuso Motore ad aria calda a ciclo aperto
N.B. disegni non nella medesima scala
Turbina Franco Tosi per impiego navale (manca la caldaia) Macchina a vapore a quadruplice espansione e cassetti equilibrati per trazione ferroviaria Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione I Generalità sulle macchine motori a combustione interna, nei quali il fluido evolvente è lo stesso che viene usato per cedergli calore (normalmente una miscela di aria e combustibile stessa), esempi: motore a C.I. ciclo Otto (a due e quattro tempi), motore a C.I. ciclo Diesel (a due e quattro tempi), motore Wankel, turbina a gas, ecc.
•
motori a vento o aeromotori
• motori idraulici, esempi: ruote Pelton a pura azione, che sfruttano l’altezza cinetica di una corrente, e le turbine Francis e Kaplan a reazione, che sfruttano l’energia di una corrente d’acqua
•
motori elettrici, esempi: motori asincroni, sincroni e a c.c.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione I Generalità sulle macchine
8WLOL]]DWRUL Tali sono, per esempio, le macchine per: • • • •
il sollevamento dei liquidi (ariete idraulico, iniettori ed eiettori, pompe); le macchine per il sollevamento e il trasporto dei materiali (argano; ascensore; coclea; gru; noria; apparecchi di sollevamento, nastri trasportatori); le macchine per la compressione dei fluidi (compressore; ventilatore); le macchine utensili, ecc.
Inoltre si conta oggi un numero grandissimo di macchine operatrici adatte ad assolvere ai più diversi compiti, sostituendo quasi ovunque l'operazione diretta dell'uomo, dalle macchine per cucire, alle macchine da scrivere e a quelle particolari alle diverse attività produttive come le macchine da cartiere, quelle per edilizia, ecc. Non sfuggirà, tuttavia, a più che, come detto, oggi con il termine macchina, s’intende comunemente l’insieme inscindibile di motore, trasmissione e utilizzatore
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione II Teoremi energetici
ϕ, ω
Mm
Mr
J
LAGRANGE
G ∂(F ∂(F ∂( S δ * / + = ( )− GW ∂T& ∂T ∂T δ *T e sia
T (W ) ≡ ϕ (W ) e quindi
GT Gϕ = T& (W ) = = ω (W ) GW GW
Supponiamo che il baricentro del sistema sia sulla traccia dell’asse di rotazione, per cui, mancando altre forze esterne che ammettano energia potenziale:
(S = N
con N = costante per cui
1 2
∂( S ∂T
=0
1 2
1 2
(F (W ) = -ω (W ) × ω (W ) = - (ω (W ) )2 = - ( T& (W ) )2 r
r
G ∂( ∂(F = -T& (W ) → F = -T&&(W ) GW ∂T& ∂T& r
r
r
r
δ * / = 0 P (ω ) × δ *T + 0 U (ω ) × δ *T = 0 P (ω )δ *T − 0 U (ω )δ *T && = 0 P (ω ) − 0 U (ω ) -T
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione II Teoremi energetici
ϕ, ω
Mm
Mr
J Principio dei Lavori Virtuali
δ */ = 0 * * * && ϕ + 0 P (ω )δ ϕ − 0 U (ω )δ ϕ = 0 δ * / = − -ϕδ
-ϕ&& = 0 P (ω ) − 0 U (ω )
Equilibri dinamici
0 P (ω ) − 0 U (ω ) − - ϕ&& = 0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione II Teoremi energetici
Bilancio di potenze
ϕ, ω
Mm
Mr
J POTENZA : =
G/ GW
G(F
∑: = GW
(1)
dove l’energia cinetica totale del sistema vale
1 r 2
r
(F (W ) = -ω (W ) × ω (W ) Moto a regime assoluto :
(F (W ) = N
con N= costante
∑: = 0 Moto a regime periodico:
(F (W ) = (F (W + 7 ) con
7
= periodo, integrando la (1) su un periodo
W +7
∫W ∑:GW =(F (W + 7 ) − (F (W ) = ∆(F (7 ) = 0
∑/ W
W +7
ma istantaneamente
=0
G(F (W ) ≠0 GW
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione II Teoremi energetici
∑: r
r
r
N
N
G(F GW
r
∑: = ∑ ) ×Y +∑ 0 ×ω N
=
M
M
M
per il generico punto materiale k r
1 2
r
(FN = PN YN × YN Per il generico corpo rigido k 1 r r 1 r r r r r r (FN = PN Y*N × Y*N + -ξ 1Nω ξ 1N ×ωξ 1N + -ξ 2Nω ξ 2N ×ωξ 2N + -ξ 3Nω ξ 3N ×ωξ 3N
2
2
Nel piano:
1 2
r
r
1 2
r
r
(FN = PN Y*N × Y*N + - *Nω N ×ω N
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione II Teoremi energetici
ϕ, ω
Mm
Mr
J 0 P (ω ) ⋅ ω − 0 U (ω ) ⋅ ω = -ϕ&& ⋅ ω che semplificata per (N.B.la soluzione
ω
ω = 0 non interessa la dinamica) 0 P (ω ) − 0 U (ω ) = -ϕ&&
•
&& > 0 la macchina accelera Se 0 P (ω ) > 0 U (ω ) ⇒ ϕ
•
&& < 0 la macchina decelera Se 0 P (ω ) < 0 U (ω ) ⇒ ϕ
•
&& = 0 quindi Se 0 P (ω ) = 0 U (ω ) ⇒ ϕ assoluto.
ω è costante e la macchina è in moto a regime
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione II Teoremi energetici
La condizione di regime assoluto può essere definita: •
integrando numericamente nel tempo
ϕ&& =
Gω GW
=
0 P (ω ) − 0 U (ω ) -
per cui
ω (W ) = ω (W0 ) +
0 P (ω ) − 0 U (ω ) -
(W − W 0 )
ω
•
risolvendo numericamente
t
0 P (ω ) − 0 U (ω ) = 0 •
graficamente con la sovrapposizione delle curve caratteristiche
Mr
Mm -ϕ&& > 0
Condizioni di regime
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione II Teoremi energetici
STABILITA’ DELLA CONDIZIONE DI REGIME
0 P (ω ) − 0 U (ω ) − - ϕ&& = 0 Equazione differenziale non lineare a coefficienti non costanti. Detta ω 0 la velocità di regime studiamo il moto perturbato nell’intorno di quella velocità.
P 0 P (ω ) ≅ 0 P (ω ) + G0 Gω ( 0 (ω ) ≅ 0 (ω ) + G0 G ω ( 0
ω =ω0 )
U
U
U
0
ω =ω 0 )
(ω − ω 0 )
(ω − ω 0 )
G0 G0 P (ω − ω0 ) − U (ω − ω0 ) − -ϕ&& = 0 G G ω ω (ω =ω0 ) (ω =ω0 ) ponendo
ω = ω − ω0 ω = ω 0 + ω ⇒ ϕ&& =
Gω = ω& GW
G0 P,U Gω (ω =ω )
. P,U =
0
- ω&
+ ( . U − . P )ω = 0
equazione differenziale lineare a coefficienti costanti di primo ordine, la cui soluzione generale è del tipo
ω ( W ) = $Hλ
W
- λ $HλW + ( . U − . P ) $HλW = (λ - + ( . U − . P )) $HλW = 0 → λ +
. − .U λ= P
.U − . P =0 -
-
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione II Teoremi energetici
. − .U λ= P -
. P − . U > 0 → .P > . U → λ = α
Moto instabile
. P − . U < 0 → . P < . U → λ = −α M
Km
Moto stabile
Km
Mr Kr
Kr
Posizione di regime stabile
Posizione di regime instabile
Mm
ω M
5D1
5D 2
5D3
5D = 0 Mr
5D1 > 5D 2 > 5D 3
Q0 Poiché la zona di regime stabile è tra la velocità di coppia massima e quella di sincronismo Q, vista l’elevata pendenza della curva caratteristica tra queste due velocità, da un punto di vista pratico si considera Q come velocità angolare di funzionamento della macchina azionata da un motore elettrico asincrono trifase.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione III Riduzione di forze e masse
RIDUZIONE DELLE MASSE
G(
∑: = GW& Supponendo che motore e utilizzatore abbiano, rispettivamente, momenti d’inerzia -P e -U, mentre sia trascurabile quello della trasmissione:
1 2
1 2
(& = - Pω P2 + - Uω U2 Ricordando che il rapporto di trasmissione vale τ =
1 2
1 2
ωU ωP
(& = - Pω P2 + - Uτ 2ωP2 =
1 - P + - Uτ 2 )ωP2 ( 2
Il sistema iniziale è equipollente a quello sottostante con - = - P + - Uτ
ωm
Jm Jm
2
τ τ
Mm
ωr
Jr Jr Mr
m
Mm
J
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
Mr
ωr
1
Lezione III Riduzione di forze e masse
RIDUZIONE DELLE FORZE
m
Mm
Mr
J
ωr
∑: = 0 PωP − 0 Uω U =0 PωP − 0 Uτω P ∑: = 0 PωP − 0 Uω P con 0 = τ 0 ’
’
U
U
Dal punto di vista globale, siamo ricondotti al sistema meccanico equipollente sottostante:
m
Mm
J
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
M’r
ωr
2
Lezione III Riduzione di forze e masse
ωm
Jm Jm
τ τ,η
ωr
Jr Jr
Mm
Mr
Nel caso di funzionamento non ideale, il bilancio di potenze diventa r
con
: ( 0 ⇒: 0 − P < 0 ⇒:
U U
> 0 moto diretto < 0 possibile moto retrogrado (dipende da ηU)
Condizioni opposte valgono in discesa a regime assoluto
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione III Riduzione di forze e masse
:
U
=−
0Jr × Yr − PJr × Yr = JY ( 0 − P)
Si noti, inoltre, che, essendo:
con
ω velocità angolare dell’argano
Y = ω W UW
= τω PUW
W
U raggio del tamburo dell’argano W
τ rapporto di trasmissione ω P velocità angolare del motore
:U = JUW ( 0 − P)
P=
0U
’
P
con curva caratteristica dell’utilizzatore pari a:
0 = JU ( 0 − P) ’
U
W
indipendente dalla velocità angolare della macchina.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione III Riduzione di forze e masse
Esempio: montacarichi
:P argano di sollevamento di momento d’inerzia J
trasmissione
motore
M
V,a m
V,a IPOTESI • • •
fune inestensibile fune di diametro e massa trascurabile assenza di slittamento tra fune e tamburo dell’argano
:P − :U − : S = Bilancio di potenze del solo utilizzatore
G(F GW
G(F GW r
:P = :U + r
r
r
r
r
r
r
r
r
: = − 0J × Y − PJ × Y + - ω& × ω + 0D × Y + PD × Y P W W Accelerando in salita 2 2 :P = JUW ( 0 − P )τω P + - + ( 0 + P ) UW τ ω& Pω P
Ancora una volta se • •
:P! il moto è diretto :P è possibile il moto retrogrado
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
9
Lezione III Riduzione di forze e masse
NOTA L’accelerazione angolare della macchina è pari a:
ω& P =
:P − JUW ( 0 − P )τω P - + ( 0 + P ) UW 2 τ 2ω P
ovvero quella della cabina
D = ω& Pτ UW =
:P − JUW ( 0 − P )τω P UW - + ( 0 + P ) UW 2 τω P
Aumentando, a esempio, l’inerzia del tamburo dell’argano, o con un volano calettato sull’albero di trasmissione, si riesce a limitare l’accelerazione massima della cabina nelle condizioni di carico minimo (0 minimo).
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
10
Lezione IV Generalità sulle trasmissioni
In molte macchine l’organo di trasmissione complessivo è formato da più trasmissioni collegate tra loro (a es. nei veicoli dove oltre al cambio di velocità vi è una seconda riduzione nel differenziale o sulla ruota motrice come nelle motociclette)
differenziale motore
cambio
Il cui schema equivalente è
differenziale
cambio τ,η
τ ,η ’
’
Wu
albero di trasmissione
Wm Detta ωm la velocità angolare dell’albero d’ingresso al cambio, avremo che la velocità angolare dell’albero di trasmissione ωtr sarà:
ω WU = τω P La velocità angolare dell’albero di uscita dal differenziale varrà invece:
ω X = τ ’ωWU ovvero
ωX = τ ’τω P = τ WRWωP con
τ WRW = τ ’τ ovvero il rapporto di trasmissione totale è sempre il prodotto dei singoli rapporti di trasmissione.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione IV Generalità sulle trasmissioni
differenziale
τ ,η ’
cambio τ,η
’
Wu
albero di trasmissione
Wm
Per quanto riguarda le potenze, la potenza in uscita dal cambio, trascurandone l’inerzia, sarà pari a
:WU = η:P Detto Jtr il momento d’inerzia della trasmissione, la potenza entrante nel differenziale sarà pari a r
r
:HGLI = η:P − - WUω& WU × ωWU e, quindi, quella in uscita dal differenziale
(
r
r
:X = η ’:HGLI = η ’ η:P − - WUω& WU × ωWU
)
Solo nell’ipotesi che l’albero di trasmissione sia d’inerzia trascurabile, ovvero in condizioni di r
regime assoluto ( ω& WU = 0 ) risulterà ’ ηWRW = ηη
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione V Motori endotermici
Motori endotermici
o Trasformano in lavoro una frazione del calore ricavato bruciando un combustibile all’interno della camera di scoppio; o Valida soluzione per:
grandi potenze alti rendimenti termici piccoli ingombri – leggerezza frequenti avviamenti ed arresti
o Accensione: Ciclo Otto
a scintilla (candela)
Ciclo Diesel
spontanea per compressione
alimentazione a carbura-zione o a iniezione indiretta oppure diretta Alimentazione a iniezione diretta
1
Lezione V Motori endotermici
Morfologia e nomenclatura
2
Lezione V Motori endotermici
Ciclo Otto teorico (ipotesi di gas perfetto) Fase 5 -> 1: aspirazione.
Fase 1->2: compressione adiabatica
L51=0 Pressione relativa all’interno del cilindro nulla.
Fase 3 ->4: espansione adiabatica
Fase 2 -> 3: Combustione Q1=cv(T3-T2)
Fase 4 -> 1: scarico a volume costante Q2=cv(T4-T1) Fase 1-> 5: scarico
3
Lezione V Motori endotermici
Rendimento termico ideale del ciclo Otto:
F (7 − 7 ) − F (7 − 7 ) = F (7 − 7 ) 7 (7 − 1) (7 − 7 ) 7 =1− =1− (7 − 7 ) 7 ( 7 − 1) 7
η = L
4 −4 4 1
=
2
Y
3
2
1
3
Y
4
Y
1
2
4
1
4
1
3
2
1
3
2
2
ma per le trasformazioni adiabatiche di compressione (1-2) e di espansione (3-4) si ha rispettivamente:
e poiché è Y
Y eY Y
72 Y1 = 71 Y2
N −1
73 Y4 = 74 Y3
N −1
possiamo scrivere che:
72 73 = 71 74 e quindi:
74 73 = 71 72
da qui
Y η =1− 2 Y1
N
−1
=1−
L
con il rapporto di compressione così definito:
ρ=
1 ρ −1 N
Y1 Y2
4
Lezione V Motori endotermici
Ciclo reale o indicato Il ciclo reale rispecchia le reali condizioni di funzionamento e di un motore e si identifica col diagramma delle pressioni misurate nel cilindro in corrispondenza delle varie posizioni del pistone. Questo diagramma si chiama diagramma indicato dal nome dello strumento, detto indicatore, che serve per tracciarlo.
Rendimento Le differenze tra ciclo ideale e ciclo indicato sono dovute a: o Perdite di calore: la compressione e l’espansione non sono adiabatiche, ma politropiche con esponente Q diverso da N. Poiché il fluido subisce perdite di calore, si ha evidentemente per l’espansione Q!N e per la compressione QN. Si verifica una perdita di lavoro corrispondente alle aree indicate con A. o Combustione non istantanea: nel ciclo reale richiede un certo tempo. Se l’accensione avesse luogo in corrispondenza del PMS, la combustione procederebbe durante la discesa dello stantuffo e il valore della pressione sarebbe inferiore al previsto con perdita di lavoro utile. Conviene quindi anticipare l’accensione, con una perdita di lavoro utile minore (aree indicate con B). o Tempo di apertura della valvola di scarico: perdita di lavoro pari all’area C. Inoltre: o Aumento dei calori specifici con la temperatura; tanto il calore specifico a pressione costante cp quanto quello a volume costante aumentano il loro valore e le pressioni e temperature massime risultano inferiori a quelli raggiungibili nel caso essi fossero costanti. o Dissociazione nei prodotti della combustione con assorbimento di calore. o Lavoro di pompaggio (area D) 5
Lezione V Motori endotermici
Possiamo quindi definire: rendimento termodinamico η
W
rapporto tra il lavoro che si sviluppa nel cilindro e il lavoro (calore) speso per ottenerlo
η η η = 0,33 ÷ 0,45 W
(
L
RENDIMENTO TERMICO IDEALE Rapporto tra lavoro del ciclo ideale e lavoro (calore) speso per ottenerlo
rendimento meccanico η
P
RENDIMENTO DEL CICLO INDICATO Rapporto tra l’area del ciclo indicato e quella del ciclo teorico 0,75 ÷ 0,9 rapporto tra il lavoro utile e il lavoro del ciclo indicato (dovuto ad attriti, organi ausiliari, pompaggio)
Rendimento totale
η η η tra 0,2 e 0,4 W
P
6
Lezione V Motori endotermici
Motore a due tempi ciclo Otto
1) ASPIRAZIONE-COMPRESSIONE Il pistone sale comprimendo la miscela nella testa, mentre aspira nel carter nuova miscela
3) TRAVASO E SCARICO Nella sua discesa il pistone apre la luce di scarico, permettendo l’evacuazione dei gas combusti, e consente alla miscela fresca di entrare nel cilindro attraverso la luce di travaso.
2) COMBUSTIONE –ESPANSIONE Il pistone discende comprimendo la miscela nel carter.
4) COMPRESSIONE Il pistone nella sua risalita, chiude la luce di travaso e quella di scarico e inizia a comprimere la nuova carica di miscela
Il lavoro utile è ottenuto in un solo ciclo, quindi il due tempi potrebbe erogare potenza doppia rispetto a un corrispondente quattro tempi. 7
Lezione V Motori endotermici
Traiettoria di una fascia del rotore
ASPIRAZIONE La miscela è aspirata attraverso la luce di aspirazione dal rotore che si muove attorno all’ingranaggio centrale compiendo un’orbita eccentrica
COMBUSTIONE Le due candele innescano la combustione della miscela che espande, spingendo il rotore in avanti
Motore Wankel
COMPRESSIONE La miscela è compressa tra le due tenute poste in due spigoli consecutivi del rotore
SCARICO I gas combusti fuoriescono attraverso la camera di espansione
Per ogni rotazione vengono eseguiti tre cicli termodinamici completi, per cui un rotore Wankel equivale a un motore a tre cilindri a due tempi o a un sei cilindri a quattro tempi
8
Lezione V Motori endotermici
CURVA CARATTERISTICA
: (ω ) = &P (ω )ω per cui la coppia motrice Cm(ω) rappresenta il coefficiente angolare di un fascio di rette spiccate dall’origine ai vari punti della curva caratteristica di potenza. Per cui la coppia massima è quella per cui
G&P (ω ) = 0 , espressione che esprime la condizione di Gω
tangenza tra una retta appartenente al fascio e la curva caratteristica di potenza.
9
Lezione V Motori endotermici
Misura della curva caratteristica La misura è del tipo indiretto in quanto misuriamo la coppia frenante per mantenere in regime assoluto il motore alla velocità ω. Il più antico sistema di freno usato per la misura della caratteristica è il freno di Prony.
Consiste di una ruota di raggio r solidale all’albero motore e racchiusa tra le ganasce regolabili di un freno. Un braccio di lunghezza R, attaccato rigidamente al freno, è libero di muoversi entro un angolo limitato e all’estremità porta un peso F. Quando l’albero motore ruota, l’attrito tra la ruota e le ganasce del freno genera un momento che tende a far ruotare il braccio e che viene equilibrato dal peso applicato all’estremità. A ogni giro dell’albero motore, il lavoro compiuto dalla forza tangenziale d’attrito I è pari a
/DWWULWR = 2π UI Il lavoro dissipato dal freno a ogni giro vale
/GLVVLSDWR = 2π 5) pertanto la potenza effettiva alla velocità di regime assoluto ω è
:P = 5)ω Il freno Prony non viene più usato a causa della difficoltà di smaltire il calore nelle ganasce che modifica il loro coefficiente di attrito.
10
Lezione V Motori endotermici
I freni dinamometrici comunemente usati appartengono alle seguenti categorie: o freni idraulici (i più diffusi); o freni elettrici; o freni aerodinamici. La potenza viene calcolata tramite la seguente formula:
:P = N)ω con
:P calcolato in Cv
) misurato in kg
ω misurato in giri/min La costante N, detta costante del freno, vale
N sia pari a 1/1000 o 1/500.
N=
5 716
con 5 pari a 0,716m o a 1,432m in modo che
11
Lezione V Motori endotermici
Freni idraulici Sono i più diffusi. Tipi Froude e Schenk
Durante il funzionamento, viene immessa acqua nel rotore solidale con l’albero a gomiti del motore. La reazione che l’acqua oppone alla rotazione del rotore reagisce sullo statore producendo una coppia eguale alla copia motrice; questa viene misurata per mezzo di una bilancia applicata all’estremità del braccio portato dallo statore. Variando la portata d’acqua, con una valvola a saracinesca, cambio la coppia frenante.
12
Lezione V Motori endotermici
Freni elettrici Di due tipi: o freno a correnti parassite; o freno elettrodinamico (o dinamo freno) Freni aerodinamici
Usati più per il rodaggio che per misura in quanto la resistenza aerodinamica varia con le caratteristiche fisiche dell’aria e non è possibile la variazione del carico a regime costante, a meno di non usare pale a passo variabile.
13
Lezione VI Cinematica e dinamica del manovellismo
Cinematica e dinamica di un manovellismo ordinario centrato x
Definizioni
C O
β l
= lunghezza della biella U = raggio di manovella &= corsa dello stantuffo = 2r [ = posizione dello stantuffo rispetto al PMS α= spostamento angolare della manovella rispetto alla posizione di PMS β= angolo che l’asse della biella forma con quello del cilindro
α r [
ma U
= U (1 − cosα ) + O (1 − cos β )
sen α = O sen β
si ha U
sen β = sen α = λ sen α O
con λ = rapporto caratteristico del manovellismo (normalmente 0,22-0,30) Per α =
π ⇒ sen β = λ per cui λ è l’indice dell’inclinazione massima della biella. 2
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione VI Cinematica e dinamica del manovellismo [
= U (1 − cosα ) + O (1 − cos β ) U
sen β = sen α = λ sen α O
x Ricordando
C
cos β = ± 1 − sen 2 β cos β = ± 1 − λ 2 sen 2 α
l
L’ambiguità di segno è un problema di montaggio. Infatti per il medesimo valore α sono possibili due soluzioni per la biella. [
)
(
= U (1 − cosα ) + O 1 − 1 − λ 2 sen 2 α (1)
r
Se la biella avesse lunghezza infinita (λ=0)essa si manterrebbe sempre parallela a se stessa e [
= U (1 − cosα )
Spostamento dello stantuffo
80
60
α1 =T1ω71
α 2 = ω72
7
7
40
20
0 0
30
60
90
120
150
180
Angoli di manovella
Dal diagramma, ottenuto usando la formulazione non approssimata (1), si osserva che π per α = il pistone ha compiuto uno spostamento maggiore della corsa, quindi, se la 2 velocità angolare della manovella ω è costante (per cui α = ω W ), impiega un tempo 7 maggiore nel percorrere la seconda metà della corsa stessa.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione VI Cinematica e dinamica del manovellismo
Velocità del pistone La velocità del pistone non è uniforme, anche se la velocità angolare della manovella è costante. Derivando rispetto al tempo la legge di moto [
( 1 1 − cos α + 1− ( ) λ(
) 1 − λ sen α )
= U (1 − cosα ) + O 1 − 1 − λ 2 sen 2 α =
=U
2
2
si ha Y
in cui ω =
α
G
GW
=
α
G[ G
α
G
GW
1 λ 2 2sen α cos D = ω U sen α + λ 2 1 − λ 2 sen 2 α
è la velocità angolare del motore
Ricordando la serie binomiale :
(1 ± ) \
= 1 ± Q\ +
Q
(
Q
− 1) \ 2 Q ( Q − 1)( Q − 2 ) \ 3 ± + ⋅ ⋅ ⋅ ecc 2! 3! per ( \ 2 < 1)
(1 − λ 2 sen 2 α )
1
2
1 = 1 − λ 2 sen 2 α + ⋅ ⋅ ⋅ ≅ 1 2
per cui Y
λ ≅ ω U ( sen α + λ sen α cos D ) = ω U sen α + sen 2α 2
Nel caso ipotetico di biella di lunghezza infinita Y
≅ ω U sen α
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione VI Cinematica e dinamica del manovellismo
La velocità media dello stantuffo, poiché a ogni giro della manovella il pistone percorre uno spazio pari a due volte la corsa, sarà pari a X
=
2& 7
=
&
π
ω
essendo il periodo 7 pari all’inverso della velocità angolare della manovella supposta costante. Accelerazione del pistone Poiché Y
λ ≅ ω U sen α + sen 2α 2
ne risulta che le masse in moto alterno (pistone completo di fasce e spinotto) sono soggette a una accelerazione a pari a D
≅ ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
nell’ipotesi di velocità angolare costante della manovella. Nel caso ideale di biella di lunghezza infinita D
≅ ω 2 U cosα
L’accelerazione ha il suo massimo valore positivo al PMS (α = 0 ) ⇒ D ≅ ω 2 U (1 + λ ) e il suo minimo al PMI (α = 180 ) ⇒ D ≅ −ω 2U (1 − λ )
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione VI Cinematica e dinamica del manovellismo
Masse dotate di moto alterno e rotanti Conoscendo le leggi che regolano il moto delle parti che compongono il manovellismo è facile ricavare, in relazione alle loro masse, le forze d’inerzia che nascono dal loro movimento. Per le ipotesi fatte di velocità angolare costante, le parti connesse con la manovella e rotanti con essa sono soggette a una forza d’inerzia centrifuga data da )
= P ω 2 U
PFL
massa dell’iesimo corpo solidale con la manovella U distanza dall’asse di rotazione del baricentro dell’iesimo corpo solidale con la manovella Le parti dotate di moto alterno sono soggette a forze d’inerzia calcolabili per mezzo di FL
r = − P D r D accelerazione del pistone prima calcolata. La biella, di massa M, è invece dotata di moto rototraslatorio. Da un punto di vista di equipollenza globale, non valida quindi per il calcolo delle sollecitazioni alle quali è sottoposta la biella stessa, si può pensare di ricondurre l’effetto delle forze d’inerzia agenti, distribuite in realtà su tutto il fusto della biella (essendo la massa distribuita e le accelerazioni diverse da punto a punto del fusto della biella), a quello di due masse solidali una col piede di biella (in moto solidale con il pistone) e l’altra colla testa di biella (in moto solidale con la manovella). r
)
M
m1
m2 l2
l1
Dette, rispettivamente, P la massa immaginata nel piede di biella, e pensata solidale con la testa, dalla conservazione della massa avremo che
0
P
quella
= P1 + P2
Dalla conservazione della posizione del baricentro originario della biella PO
11
= P2O2
dove O e O sono, rispettivamente, le distanze dei centri del piede e della testa di biella dalla posizione del baricentro. Il sistema di due equazioni lineari nelle due incognite P e P può essere facilmente risolto, nota la posizione del baricentro della biella.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione VI Cinematica e dinamica del manovellismo
Risulta quindi: O
P
=0
P
=0
1
2
2
O O
1
O
Ma l’accelerazione del baricentro della biella vale anche (v. nota finale): r r O1 r O2 D = D +D O O B Quindi la forza d’inerzia agente su di essa applicata nel baricentro della biella
r − P1D
= − r
%
r )
− P2D r
0D
r = − 0D
O
1
O
r − 0D
O
2
O
r r = − P2 D − P1D
ove r D r
accelerazione della testa di biella D accelerazione del piede di biella Con r l’operazione prima descritta, sostituiamo la forza d’inerzia A ) con le due sue componenti prima calcolate, applicate tuttavia, rispettivamente, nella testa e nel piede di biella. O Si noti, inoltre, che l’effetto della coppia d’inerzia agente sulla biella viene trascurato. In fatti le due componenti applicate in A e B danno momento nullo rispetto a O. Contrappesando la manovella in modo che il baricentro del sistema composto dalla manovella stessa più la massa P della biella si trovi in O, otterremo che il risultante di queste due forze d’inerzia sia sempre nullo. Infatti detti 0
la massa della manovella U la distanza del baricentro della manovella dall’asse di rotazione O aggiungendo alla manovella stessa un contrappeso, dalla parte opposta di A, di massa 0 con il baricentro a una distanza U da O tale per cui G
$
U
=
0
U
+ P2 U
0
faremo in modo di riportare in O il baricentro del sistema composto dalla manovella propriamente detta, dal contrappeso e dalla massa equivalente P della biella, equilibrando (ovvero annullando) le forze d’inerzia agenti su questo sistema.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione VI Cinematica e dinamica del manovellismo 1RWDILQDOH
Ponendo una terna traslante con origine in A, avremo che: D
r r = D + D
D
r r = D + D
r
e r
Da quest’ultima espressione r r r r r r −D = D − D ⇒ D = D − D ma r r O2 r O2 r O2 D = D =D −D O
O
e quindi D
r
r r = D + D
O
2
O
r − D
O
2
O
r = D
O
− O2 O
O
r + D
O
2
O
r = D
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
O
1
O
r + D
O
2
O
7
Lezione VII Calcolo del volano
Forze alterne d’inerzia Dalla relazione )
= −P
= − P ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
D
con ma pari alla massa totale del pistone, prima definita, più la massa m1 che rappresenta quella parte della biella che, nelle ipotesi fatte, può considerarsi dotata di moto alterno, notiamo che il termine tra parentesi è formato da due funzioni armoniche. 15 10 5 I ordine
0
II ordine -5
Totale
-10 -15 -20 0
90
180
270
360
GLDJUDPPDGHOOHIRU]HG¶LQHU]LDGLYLVHSHUO¶DUHDGHOFLOLQGUR
L’espressione −P ω 2 U cosα rappresenta la forza d’inerzia del primo ordine ed equivale a tutta la forza d’inerzia agente nel caso ideale di biella di lunghezza infinita.
L’espressione −P ω 2 Uλ cos 2α costituisce la forza d’inerzia del secondo ordine. Avendo supposto ω costante 2 ) = − P ω U ( cos ω W + λ cos 2ω W )
e si può dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza d’inerzia per una rotazione di mezzo giro della manovella è nullo.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione VII Calcolo del volano
Infatti, isolando le sole masse in moto alterno, sappiamo che: G(
= −: ⇒ G( = −: GW
GW
che integrata porta a − ∫ : GW = − / = ∆(
poiché l’energia cinetica delle masse in moto alterno al PMS è eguale a 0 come al PMI, ne deriva che la variazione di energia cinetica lungo la corsa è nulla. Quindi il lavoro delle forze d’inerzia per una rotazione di mezzo giro è nulla.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione VII Calcolo del volano
Può essere interessante calcolare la forza risultante che in ogni istante del ciclo agisce sugli organi del manovellismo. Questa è ottenuta componendo il diagramma delle forze dovute alle pressioni del gas, ottenuto dal ciclo indicato, con quello delle forze alterne d’inerzia. Sia le forze dovute alla pressione dei gas sia quelle d’inerzia sono state divise per l’area dello stantuffo e sono quindi dimensionalmente delle pressioni. Esse sono considerate positive quando hanno direzione coincidente con quella della velocità dello stantuffo, dando quindi luogo a potenze motrici. 50 40 30 20
10
0
pressione gas
pressione F. inerzia pressione totale
-10 -20 -30 -40 0
180
360
540
720
Analizzando le varie fasi del ciclo: o durante l’aspirazione agisce solo la forza d’inerzia; o durante la compressione, le forze d’inerzia si invertono e la pressione dei gas si oppone al movimento dello stantuffo; o nella prima parte dell’espansione, la forza d’inerzia si oppone alla pressione generata dalla combustione; o durante lo scarico, sulla manovella agisce praticamente la sola forza d’inerzia.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione VII Calcolo del volano
Aumentando da 3000 giri/min a 5000 giri/min la velocità angolare il grafico così cambia 50 40 30 20
10
0
pressione gas
pressione F. inerzia pressione totale
-10 -20 -30 -40 0
180
360
540
720
Le forze d’inerzia assumono valori sempre maggiori, regolarizzando il diagramma risultante r riducendo il valore del carico massimo sui cuscinetti di banco, ma aumentando notevolmente il carico medio.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione VII Calcolo del volano
La coppia motrice La forza risultante F agente sullo stantuffo, somma della forza d’inerzia Fa e di quella dovuta alla pressione dei gas Fg, è equilibrata dalle reazioni della biella e della parete del cilindro. Ne risulta che sulla biella insiste la forza )
)
=
cos β e sulla parete del cilindro la forza ) = ) tan β tanto maggiore quanto maggiore è β e quindi λ causando conseguentemente maggiori perdite di potenza per attrito in quanto la forza d’attrito è proporzionale alla reazione normale attraverso il coefficiente di attrito dinamico o radente I . La componente Fb, attraverso al manovella genera una coppia sull’albero a gomiti pari a
G
0
(α ) =
)
cos β
U
sen (α + β ) =
sen β = )U sen α + cosα cos β Ricordando che sen β = λ sen D e FRVβ è circa eguale a 1 si ha λ 0 (α ) ≅ )U sen α + sen 2α 2
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione VII Calcolo del volano
350 300 250
Coppia (Nm)
200 150 100 50 0 -50 -100 0
180
360
540
720
angoli di manovella
E’ quindi possibile calcolare anche la coppia motrice media & tale che: &
4π = ∫
4π
0
P
0
(α )
α
G
1 4π 0 (α )Gα 4π ∫0 Nel caso di motori a più cilindri, per regolarizzare la coppia motrice e rendere più uniforme il moto dell’albero a gomiti, si fa in modo che i cicli dei vari cilindri si succedano a eguali intervalli angolari: ciò si ottiene disponendo le manovelle dell’albero a gomiti in modo che quelle corrispondenti a due cicli consecutivi siano sfasate di un angolo &
=
θ =π
K L
in cui K è il numero dei tempi e L il numero dei cilindri Restando ai quattro tempi, si ha per un motore bicilindrico in linea con manovelle a 180° una fase utile al giro, per un quattro cilindri in linea una ogni mezzo giro e per un otto cilindri una ogni quarto di giro, con il contemporaneo vantaggio di ridurre lo scarto tra il valore massimo al ciclo della coppia e il suo valore medio.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione VII Calcolo del volano
Il volano Anche se il valore medio della coppia motrice eguaglia il valore medio della coppia resistente, la velocità di rotazione del motore non si mantiene costante durante il compimento di un ciclo. Infatti, scrivendo il bilancio di potenze per il solo motore in condizione di moto a regime periodico
:
(
− : =
G( GW
(α ) − ′ (α ) )ω (α ) = ∫ ( (α ) − ′ (α ) ) α = ∆
0
0
0
GW
0
G
G(
(
poiché la coppia motrice varia durante il ciclo termodinamico, quando essa è maggiore della coppia resistente l’energia cinetica aumenta mentre diminuisce nel caso opposto. Indicando con ω ′ (α1 ) la massima velocità angolare raggiunta in un ciclo e con
ω ′′ (α 2 ) quella minima, avremo α1
∫( α
0
(α ) −
0
′ (α )
)
α = ∆(
G
max
2
Con buona approssimazione possiamo definire la velocità angolare media alla quale vorremmo far funzionare il motore come: ω ′ (α1 ) + ω ′′ (α 2 ) ω = 2 e l’irregolarità periodica come lo scarto rispetto alla velocità angolare media ω ′ (α1 ) − ω ′′ (α 2 ) L = ω ω ′ (α1 ) + ω ′′ (α 2 ) ω = 2 ω ′ (α1 ) − ω ′′ (α 2 ) L = ω quindi 1 ∆( max = - (ω ′2 (α1 ) − ω ′′2 (α 2 ) ) = 2 ω ′ (α1 ) − ω ′′ (α 2 ) ω ′ (α1 ) + ω ′′ (α 2 ) = - ω × = -Lω 2 ω 2 da cui ∆( max - = 2 Lω Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione VIII Considerazioni sul rapporto caratteristico del manovellismo
Considerazioni sul rapporto λ Per quanto detto, sembrerebbe, da un lato conveniente ridurre il rapporto caratteristico del manovellismo in quanto così facendo si riduce la spinta sul cilindro pari a )
essendo
= ) tan β
sen β = λ sen α
e ciò permetterebbe di accorciare il mantello del pistone e quindi di ridurne la massa. Ma l’aumento della lunghezza della biella porta all’incremento, men che proporzionale, della massa della biella con il conseguente aumento della massa P in moto alterno con il pistone. Tuttavia
)
= P ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
e quindi all’aumento di P corrisponde l’incremento della forza d’inerzia del primo ordine, mentre quella del secondo rimane praticamente invariata in quanto λ diminuisce. D
Volendo ridurre la spinta sul cilindro senza diminuire λ si può passare al manovellismo non centrato con il vantaggio di ridurre l’angolo β nella corsa dal PMS al PMI quando la forza ) è massima (fase di espansione)
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione VIII Considerazioni sul rapporto caratteristico del manovellismo
Tuttavia nel motore a 4 tempi l’ammissione e lo scarico avviene attraverso la testa per cui è intuitivo fissata la cilindrata unitaria (ovvero del singolo cilindro) cercare di aumentare l’alesaggio ' (cioè il diametro del cilindro) ovvero ridurre il rapporto corsa su alesaggio. Lo scopo è quello di cercare di aumentare la quantità di miscela aspirata, incrementando il rendimento volumetrico definito come
η =
P
ρ091
con PDW
ρ
9
massa di miscela aspirata densità della miscela alla pressione e alla temperatura di aspirazione volume totale del singolo cilindro (cilindrata 9 + volume dello spazio nocivo 9 )
Il rendimento volumetrico è funzione dell’indice di Mach, rapporto tra la velocità della miscela nella sezione di passaggio della valvole Y e la velocità del suono nell’ambiente di aspirazione Y Y
VXRQR
,0
=
Y Y
=
π '2
X
$ & 4Y
ω &π ' 2 ω9 = = $ & $ & 4π Y π Y
infatti dall’equazione di continuità della portata avremo per vv che Y $ &
2 π '2 Xπ ' = ⇒ Y = 4 4 $ & X
con ' X $Y &H
alesaggio velocità media del pistone area di passaggio attraverso le valvole coefficiente di efflusso medio attraverso le valvole
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione VIII Considerazioni sul rapporto caratteristico del manovellismo
Il legame sperimentale tra η e ,0 evidenzia come non sia conveniente superare un indice di Mach maggiore di 0,6 alle massime velocità angolari raggiunte dal motore per cui è necessario aumentare al massimo la sezione di passaggio $ compatibilmente all’alesaggio ' Y
Y
Ricordiamo che l’area effettiva di efflusso della miscela $ pari al prodotto $ così varia sperimentalmente H
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
H
$Y&H
3
Lezione VIII Considerazioni sul rapporto caratteristico del manovellismo
Quanto al diametro ottimale della valvola (o delle valvole) che possono operare su una testa di un cilindro di alesaggio ', questo può essere calcolato geometricamente con un programma che si basa sulle seguenti ipotesi: '
Testa a sei valvole con tre di aspirazione
≡G
o i cerchi rappresentano le aree di rispetto di ogni singola valvole e sono proporzionali al diametro delle valvole stesse; o i cerchi sono tutti tangenti tra loro a parità di funzione e al cilindro; o tra i cerchi che rappresentano le valvole di scarico sono separati tra loro di un angolo ϑ per lasciare spazio ai condotti di raffreddamento.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione VIII Considerazioni sul rapporto caratteristico del manovellismo
Valori di G'
$6
$6
$6
$6
$6
ϑ 0,3743 0,2433 0,3826 0,2487 0,3844 0,2499 0.3719 0.2417 0.3716 0.2417
ϑ
ϑ
ϑ
-
-
-
0,3776 0,2454 0,3785 0,2460 0.3595 0.2337 0.3653 0.2374
0,3726 0,2422 0,3724 0,2420 0.3470 0.2255 0.3589 0.2333
0,3675 0,2389 0,3663 0,2381 0.3344 0.2174 0.3525 0.2291
da cui si evince come la soluzione a quattro valvole o, eventualmente, quella a cinque valvole con tre di aspirazione siano le soluzioni ottimali per lo sfruttamento dell’alesaggio a riduzione della velocità della miscela. La soluzione a cinque valvole è tuttavia attualmente penalizzata da un peggiore rendimento meccanico per l’azionamento, ma potrebbe risultare vantaggiosa per la minore massa delle valvole stesse. Rimangono comunque limiti sul massimo rapporto di compressione ottenibile.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione IX Equilibramento delle macchine a stantuffo
Equilibramento delle macchine a stantuffo Si suppongono macchine monocilindriche o pluricilindriche con cilindri, stantuffi e manovellismi uguali. Abbiamo visto che le masse rotanti si possono equilibrare esattamente con contrappesi. Le forze d’inerzia delle masse alterne espresse da )
= −P
D
= − P ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
si possono rappresentare in uno dei seguenti modi I)
I ordine - proiezione sull’asse di moto del pistone del vettore di modulo 2 P ω U diretto come la manovella; II ordine - proiezione sull’asse di moto del pistone del vettore di modulo 2 P ω U λ con anomalia pari a α nel verso di ω;
II)
1 2 P ω U ruotati di ±α; 2 1 II ordine - risultante di due vettori di modulo P ω 2 U λ ruotati di ±α 2
I ordine – risultante di due vettori di modulo
In un motore monocilindrico, con la prima rappresentazione appare chiaro che la forza alterna del primo ordine può essere equilibrata dalla componente lungo l’asse del moto del pistone della forza centrifuga −P ω 2 U prodotta da una massa di momento statico P U aggiunta sull’albero in opposizione alla manovella (ovvero sul contrappeso). Nasce tuttavia la forza
)
= − P ω 2 U sen α
diretta normalmente all’asse del cilindro e avente la stessa ampiezza e pulsazione della forza d’inerzia che si voleva equilibrare. Il risultato è solo quello di aver ruotato di π la retta d’azione della componente della forza d’inerzia alterna.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione IX Equilibramento delle macchine a stantuffo
Utilizzando la seconda formulazione, si nota che se sul contrappeso si aggiunge, invece della massa di momento statico P U , una avente 1 P U, si ottiene momento statico pari a 2 l’equilibramento di metà della forza d’inerzia del I ordine, mentre nasce un’altra forza normale all’asse del cilindro di intensità pari a quella equilibrata.
L’unico artificio per equilibrare completamente le forze d’inerzia del I ordine in un monocilindrico mediante due alberi sussidiari controrotanti alla velocità ω, portanti entrambi 1 una massa di momento statico pari a P U . 2 Ovviamente con altri due alberi controrotanti alla velocità ω e dotati, ciascuno, di una massa 1 di massa di momento statico pari a P Uλ è 2 possibile equilibrare completamente anche le componenti del II ordine.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione IX Equilibramento delle macchine a stantuffo
Motori con cilindri in linea Si utilizza la prima formulazione del problema. 1) bicilindrico con manovelle a 360° - può essere visto come l’insieme di due monocilindrici in fase tra loro. Quindi le forze d’inerzia di ogni ordine sono in fase tra loro e si sommano; 2) bicilindrico con manovelle a 180° (indipendentemente dalla disposizione dei cilindri in linea o boxer):
)
)
)
= )1
+ )2
= )1
+ )2
= P ω 2 U ( cosα + cos (α + π ) ) = 0
= P ω 2 Uλ ( cos 2α + cos 2 (α + π ) ) = 2P ω 2Uλ cos 2α
3) tricilindrico con manovelle a 120°: !" #$ 2 4 )% % &' $ = P& ω 2 U cosα + cos α + π + cos α + π = 3 3 3 3 1 1 = P& ω 2 U cosα 1 − − − sen α − = 0 2 2 2 2 Analogamente si può dimostrare che !" #$ )% % &' $
( () * +, -. )/ ) / 01 .
2 4 = P0 ω 2 Uλ cos 2α + cos 2 α + π + cos 2 α + π = 0 3 3
4) il quattro cilindri con manovelle a 180° ha le sole forze d’inerzia del I ordine equilibrate mentre quelle del II si sommano tutte (due bicilindrici a 180°) 5) il sei cilindri in linea con manovelle a 120° ha le risultanti tanto del I ordine, quanto del II equilibrate 6) l’otto cilindri con manovelle a 90° ha pure esso le risultanti del primo e del secondo ordine equilibrati.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione IX Equilibramento delle macchine a stantuffo
Motori a V Si ricorre in questo caso alla decomposizione di ogni componente della forza d’inerzia con due vettori controrotanti. Normalmente le bielle di due cilindri appartenenti alle due bancate opposte sono collegati alla medesima manovella, così da ridurre anche la lunghezza longitudinale del motore.
α
α
α
Indichiamo con ψ l’angolo formato dall’asse di un cilindro con la bisettrice dei due assi, con α1=α e α2 gli angoli di rotazione della manovella misurati nel verso di ω rispettivamente dagli assi del primo e secondo cilindro. Avremo Vettori modulo fase (cilindro 1) fase (cilindro 2)
I ordine 1 2 P ω U 2 ±α ± (α + 2ψ )
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
II ordine 1 2 P ω Uλ 2 ±2α ±2 (α + 2ψ )
4
Lezione IX Equilibramento delle macchine a stantuffo
Per riferire tutti gli angoli all’asse del primo cilindro si deve sottrarre all’angolo calcolato ψ Pertanto l’angolo di rotazione del vettore di ordine n del secondo cilindro, ruotante in verso orario, vale
α 2 − 2ψ = Q (α + 2ψ ) − 2ψ
Q
mentre quello del vettore ruotante in senso antiorario vale −Qα 2 − 2ψ = −Q (α + 2ψ ) − 2ψ
Vettori modulo
I ordine 1 2 P ω U 2 ±α α
fase (cilindro 1) fase (cilindro 2 orario) fase (cilindro 2 antiorario)
II ordine 1 2 P ω Uλ 2 ±2α 2α + 2ψ −2α − 6ψ
−α − 4ψ
Quindi risultante dei vettori in senso orario Vettori
I ordine 2 P ω U α
modulo fase
II ordine 2 P ω U λ cosψ 2α + ψ
E risultante dei vettori in senso antiorario Vettori
I ordine 2 P ω U cos 2ψ −α − 2ψ
modulo fase
II ordine 2 P ω U λ cos3ψ
−2α − 3ψ ( ±π )
Per cui, a esempio, un bicilindrico a V di 90° (ψ=45°) ha le forze d’inerzia del I ordine controrotanti nulle, mentre quelle rotanti possono essere equilibrate con una massa di momento statico pari a P U posta sul contrappeso.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione X Attrito statico e cinetico
AZIONI MUTUE TRA ELEMENTI DI MACCHINE Possono essere suddivise in due categorie: o azioni scambiate tra solido e solido; o azioni scambiate tra solido e fluido. La prima categoria può essere divisa in tre sottocasi principali, trascurando i fenomeni di urto: o superfici che aderiscono tra loro; o superfici che strisciano; o superfici che rotolano. ADERENZA Consideriamo il caso che tra i due corpi a contatto non vi sia moto relativo. L’esperienza mostra che se applichiamo al corpo una forza ), anche non perpendicolare al piano, il corpo resta fermo finché la componente ) non supera un certo valore ) Possiamo perciò dire che il piano è in grado di esercitare una reazione R avente una componente 5 di valore massimo 5 (uguale a ) ) capace di opporsi all’azione di ) che tenderebbe a muovere il corpo rispetto al piano di appoggio. Dalle esperienze di Coulomb, risulta che W
W
W
W
W
W
ove
5Q
= I 5 è la componente normale della reazione; 5
*
ID
è il coefficiente di aderenza (o attrito statico) dipendente dalla natura e dallo stato delle superfici a contatto, indipendente entro ampi limiti dall’estensione dell’area di contatto. Per cui, affinché non vi sia moto relativo tra le superfici deve valere che
≤
5
I 5
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione X Attrito statico e cinetico
STRISCIAMENTO Se 5
>
I 5
il corpo è moto rispetto alla superficie d’appoggio con velocità v e allora vale r
=−
5
I
( ) Y
5
r
Y
Y
equidiretta ma in verso opposto a quello della velocità Y. IY
coefficiente di attrito dinamico (o cinetico), dipendente dallo stato e dalla natura delle superfici a contatto, ma non dall’estensione delle aree di contatto. Normalmente, in prima approssimazione, si trascura la
fa
dipendenza di IY dalla velocità e si assume I
FRVW
.
L’indipendenza di I dalla velocità è ammissibile entro limiti non troppo ampi di velocità. Dopo una brusca diminuzione passando da velocità nulla (attrito statico) a velocità piccolissime di qualche millimetro al secondo, subisce poi un sensibile aumento al crescere della velocità fino a valori di circa 0,3 m/s. Per velocità maggiori, fino a circa 5 m/s, il coefficiente d’attrito rimane costante. Oltre quella velocità il coefficiente di attrito tende a decrescere, diminuzione che diventa notevole a forti velocità. Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione X Attrito statico e cinetico
r
=−
5
I
( ) Y
5
r
Y
Y
Tale relazione vale solamente se le superfici a contatto sono piane e Y=costante. Se entrambe tali ipotesi non sono verificate, allora solo la relazione infinitesimale è verificata: r
=−
G5
I
( ) Y
G5
r
Y
≅ − IG5
Y
r
Y Y
ove G$ è l’area di contatto infinitesima, Y è la sua velocità di strisciamento e la reazione normale a G$ agente su di essa. G$
G5Q
è
La potenza dissipata vale r
:
(
)
r
= − 5 × Y =
I
( ) Y
r
5
Y
Y
r ×Y =
I
( ) Y
5 Y
espressa secondo la formulazione: :
− : − : =
G( GW
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione X Attrito statico e cinetico
Giustificazione fisica dell’indipendenza di I dall’area di contatto
Una delle teorie più accreditate è quella della PLFURVDOGDWXUD fra le parti effettivamente a contatto, la cui superficie complessiva è una piccolissima frazione di quella apparente di contatto.
In seguito alla compressione mutua e alle conseguenti deformazioni plastiche ed elastiche, la aree reali di contatto, fra le quali può verificarsi una vera saldatura, si estendono proporzionalmente alla forza che preme i corpi l’uno contro l’altro e indipendente dalla superficie apparente di contatto. Per far strisciare i corpi l’uno sull’altro si debbono rompere dette saldature e per conseguenza Rn 5 =τ max $ ma
$
=
5
σ max
quindi 5
Rt
=
τ max σ max
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
=
I5
4
Lezione X Attrito statico e cinetico
Esempio: superfici piane a contatto ma con velocità variabile da punto a punto Consideriamo un perno spingente, ruotante attorno al proprio asse e appoggiato a una superficie piana contro la quale è premuto da una forza assiale 1 I punti della superficie piana d’appoggio del perno sono ciascuno di una velocità proporzionale alle distanza dall’asse di rotazione e di direzione tangente alla rispettiva traiettoria circolare. Avremo
ovviamente
che dall’equilibrio
alla
traslazione verticale: 1
= 5 = ∫ G5 = ∫ SG$
con p = pressione di contatto, funzione solo del raggio r per l’ovvia simmetria polare ma 5
= ∫ G5 = 0 ≠ ∫
IG5
=
I
∫
G5Q
=
I5
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione X Attrito statico e cinetico
Logoramento o Ipotesi di Reye Intimamente collegata è il fenomeno del ORJRUDPHQWR ossia dell’usura che si produce nelle parti a contatto. Ipotesi di Reye ,O YROXPH GL PDWHULDOH DVSRUWDWR SHU ORJRUDPHQWR q SURSRU]LRQDOH DO ODYRUR FRQVXPDWRSHUDWWULWR
Su un elemento G$ della superficie di contatto, su cui agisce la pressione S, si ha una forza normale SG$ e perciò, durante il moto, una componente tangenziale ISG$, con Isupposto noto e costante. Se Z è la velocità di strisciamento, il lavoro perduto nell’unità di tempo vale: G/
=
ISZG$
Se δ è lo spessore asportato sull’elemento per logoramento nell’unità di tempo, il volume asportato risulta δG$; per la proporzionalità affermata dal Reye, detto k un coefficiente di usura dipendente dai materiali di cui sono costituiti i due membri e dalle condizioni di lavoro, risulta:
δ G$ = NISZG$ ovvero
δ = NISω U Nel caso in esame lo spessore di materiale asportato nell’unità di tempo risulta costante e indipendente dalla posizione sulla superficie per cui
ω U = FRVWDQWH∴ S(U ) ∝
NIS
1 U
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione X Attrito statico e cinetico
Applicazione: innesto a frizione nella costruzione di veicoli Esigenze: o i motori a combustione interna non possono avviarsi sotto carico e devono essere mantenuti, durante l’avviamento di un veicolo, a un regime di coppia superiore a un dato valore minimo; inoltre occorre poter fermare il veicolo stesso senza fermare il motore; o esistendo un cambio di velocità, il passaggio da una marcia all’altra va fatto mentre la trasmissione non trasmette coppia. Tali esigenze sono soddisfatte dagli innesti a frizione che permettono di trasmettere una data coppia motrice tra due alberi coassiali rotanti a velocità angolari differenti. Utilizzano le forze d’attrito disponibili tra due superfici rotanti (a-a1 e b) rispettivamente solidali con l’albero motore e con quello comandato, premute l’una contro l’altra dallo spingidisco a1. Tale pressione è generalmente data da molle opportunamente precaricate ed è necessario che la pressione sia tale da poter trasmettere una coppia superiore a quella massima.
E’ necessario, d’altronde, che o l’innesto possa funzionare come giunto di sicurezza evitando che, in caso di frenatura d’urgenza con motore innestato, si possano trasmettere all’albero motore decelerazioni troppo grandi; o la differenza tra la coppia che l’innesto trasmette slittando e la coppia motrice non sia troppo grande per evitare grandi rallentamenti nel motore durante la fase di avviamento del veicolo
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione X Attrito statico e cinetico
Coppie trasmesse per attrito Indicato con A2 il precarico dato dalle molle avremo che la pressione p agente su una faccia del disco b solidale con l’albero di trasmissione risulta essere pari a:
Req
$
2
= ∫ SG$ = ∫ 2π SUGU
Ricordando, tuttavia, che la distribuzione di pressione varia in modo inversamente proporzionale al raggio
$
2
= ∫ 2π
N
′
U
UGU
= 2π N ′ ( U − U )
da cui, noto A2 e le dimensioni del disco N
′=
$
2
2π ( U − U )
Nel moto relativo tra i dischi, a causa dell’attrito definito dal coefficiente I supposto costante, si genera quindi un momento opposto alla velocità angolare del motore
0
= ∫ I 2π
N
′
U
2
U GU
= I π N′
(
U
2
− U 2
)
che può essere visto come dovuto a una forza tangenziale risultante fittizia fA2 avente un braccio equivalente Req tale che
N′ 2 2 2 0 = I 2π U GU = I π N ′ ( U − U ) = I$ 5 2 ∫ U
5
=
I
π N ′ ( U 2 − U 2 ) I$
2
=
(
U
− U
)(
U
+ U )
2 ( U − U )
=
U
+ U 2
pari al raggio medio del disco Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione X Attrito statico e cinetico
Applicando allora il bilancio di potenze al sistema composto dal motore e dalla campana della frizione avremo: 0
(ω )ω − 0 ′ω = - ω& ω
dove 0 ′ = 2 0 essendo, nel nostro caso, due le facce che trasmettono il moto al disco della frizione. Poiché tale momento è maggiore della coppia massima erogata dal motore, quest’ultimo decelera
ω& =
0
(ω ) − ′ 0
-
e la conseguente legge del moto risulta
ω
( ) = ω0 − W
0
′ − (ω ) 0 -
W
dalla quale si nota che se la velocità angolare iniziale del motore è troppo piccola, e conseguentemente la coppia erogata, la grande decelerazione può portare il motore a spegnersi.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
9
Lezione X Attrito statico e cinetico
Per quanto riguarda il disco della frizione, rigidamente collegato all’utilizzatore, possiamo applicare a esso il bilancio di potenze 0
′ω ′ − (ω′ )ω′ = ′ω& ′ ω ′ 0
-
avendo indicato con 0 e -¶, rispettivamente la coppia e il momento d’inerzia del veicolo ridotti all’albero sul quale è calettato il disco della frizione. X
N.B. Il momento d’inerzia ridotto deve tener conto solo della massa del veicolo, del momento d’inerzia delle ruote e degli organi di trasmissione. L’accelerazione del disco della frizione sarà quindi
ω& ′ =
0
′ − (ω ′ ) 0 -
′
e la conseguente legge del moto del veicolo, supposto inizialmente fermo, sarà
ω′
( )= W
0
′ − (ω ′ ) 0 -
′
W
Dopo un tempo t’, detto tempo d’innesto, le due velocità angolari saranno eguali e la frizione si comporterà come un collegamento rigido e la legge del moto varrà ovviamente
ω′
( ) = ω ( ) = ω ( ′) + W
W
W
0
(ω
)− -
0
′+ -
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
(ω )
W
10
Lezione X Attrito statico e cinetico
Tale legge vale se non vi è slittamento tra disco e campana della frizione ovvero se sono verificate entrambe le equazioni: 0
′ max = 2 I
$ 5
> 0 (ω
)+
0
′ max = 2 I
$ 5
> 0 (ω
)+
2
2
ω& (ω
)
′ω& (ω
)
-
-
dove 0 ′ max rappresenta il momento massimo della frizione in condizioni di incipiente slittamento. Si noti che: o durante il transitorio d’innesto gli organi della trasmissione sono sollecitati da un momento torcente maggiore della coppia massima erogata dal motore e ciò spiega le possibili rotture in fase di partenza; o d’altronde l’aumento del momento trasmesso durante la fase di slittamento riduce il tempo d’innesto a vantaggio delle prestazioni; o la riduzione di -, facendo il momento d’inerzia della campana e del disco i più piccoli possibili, migliora le accelerazioni; o aumentando il momento trasmesso dalla frizione in fase d’innesto porta a un incremento della potenza dissipata con corrispondente incremento della temperatura del materiale d’attrito con conseguente riduzione del coefficiente d’attrito dinamico della guarnizione d’attrito.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
11
Lezione XI Attrito volvente
Attrito di rotolamento Se i corpi fossero continui e perfettamente rigidi, quali si suppongono in schemi di prima approssimazione, nel rotolamento puro di un corpo su un altro, ammesso che le forze agenti tra i due corpi passino sempre per i punti di contatto, non si dovrebbe avere, per effetto di tale moto relativo, dispersione alcuna di energia meccanica. Infatti, essendo nullo, per la definizione stessa di rotolamento, il moto istantaneo tra i punti di contatto, forze agenti tra i due corpi con linee d’azione passanti per detti punti eseguono lavoro nullo. Anche se i corpi non fossero rigidi, ma perfettamente elastici, il rotolamento non darebbe dispersione di energia, perché l’energia spesa per produrre la deformazione negli elementi che vengono successivamente a contatto sarebbe eguale a quella restituita da quelli che abbandonano il contatto.
I corpi reali non sono perfettamente elastici con l’effetto di far diminuire i valori che assumono le forze elastiche, nel periodo in cui il corpo tende a riprendere la forma primitiva, rispetto ai valori che esse avevano, per il medesimo valore di deformazione nel periodo in cui questa aumentava.
La distribuzione reale delle pressioni assume quindi l’andamento E , rispetto a quello simmetrico D del caso di perfetta elasticità. La risultante 5 delle pressioni passa per un punto C1 spostato nel verso del moto di una quantità X e il lavoro compiuto dalla risultante per uno spostamento unitario del centro C della ruota è pari a Q
/
=
1 U
5 X
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XI Attrito volvente
/
=
1 U
5 X
ovvero è come si dovesse vincere una forza resistente pari a X U
5
=
I 5
dove con I si è indicato il coefficiente di attrito volvente Y
fv Il coefficiente di attrito volvente è funzione della velocità di marcia (diagramma sperimentale per due tipi di pneumatici nuovi)
fv
Normalmente si esprime la funzione I Y con l’espressione Y
I
=
I
0
+ .Y 2
valida fino a una velocità detta velocità critica del pneumatico.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XI Attrito volvente
Effetto dell’usura del battistrada
Pneumatico radiale Incremento della resistenza al rotolamento in funzione dell’accelerazione centripeta nel moto in curva Pneumatico convenzionale
Valori tipici di f0 Cemento ottimo Asfalto ottimo Cemento medio Lastricato ottimo Mac Adam ottimo Asfalto medio Cemento cattivo Lastricato buono Mac Adam medio Asfalto cattivo Mac Adam con polvere Selciato buono Fondo naturale ottimo Selciato cattivo Strato neve {5 cm) Strato neve (10 cm) Fondo naturale abbandonato Sabbia
0,008 - 0,010 0,010 - 0,0125 0,010 - 0,015 0,015 0,013 - 0,016 0,018 0,020 0,020 0,018 - 0,023 0,023 0,023 - 0,028 0,033 - 0,055 0,045 0,085 0,025 0,037 0,080 - 0,160 0,150 - 0,300
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XI Attrito volvente
Microslittamenti Lontano dalla zona di contatto si può ritenere che la velocità di P (relativa al sistema mobile ξη) sia Y
= ωU
All’avvicinarsi però del bordo in A dell’area di contatto tale velocità viene progressivamente a modificarsi a causa della deformazione periferica della ruota Detta O la lunghezza di una porzione di battistrada a riposo (lontano da A) questa si muterà in O avvicinandosi ad A, con una deformazione GO O O La velocità con cui il battistrada “fluisce” nell’area di contatto diventa
Y
con con
GO GW GO GW
= ωU +
GO GW
> 0 per battistrada teso (ruota frenata (b)) < 0 per battistrada compresso (ruota motrice (a))
La velocità di P nella zona di aderenza corrisponde a quella del centro ruota C, per cui si hanno le condizioni − ωU =
Y
GO GW
>0
per ruota trascinata, e Y
− ωU =
GO GW
0 alla portata di trascinamento si sottrae quella di pressione, mentre dove grad p < 0 la portata di pressione si somma a quella di trascinamento. h
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XIII Teoria elementare della lubrificazione
Sostituendo l’espressione della portata Q Q=
in quella del gradiente di p p′( x ) =
vh ( x0 ) 2
12 µ vh ( x ) − Q h3( x) 2
otteniamo p′ ( x ) =
6µ v ( h ( x ) − h ( x0 ) ) h3 ( x )
che integrata sulla lunghezza l del meato porta 6µ v ( h ( x ) − h ( x0 ) )dx = 0 0 h3 ( x ) ma
p (l ) − p (0) = ∫ p ′( x ) dx = ∫ l
0
l
h ( x ) = h1 −
h1 − h2 x l
da cui differenziando h2 − h1 l dx ∴ dx = dh l h2 − h1 h2 ( h − h ( x0 ) ) l 6µ v∫ − h − h dh = 0 h1 h3 1 2 che semplificata nelle costanti dh =
∫
h2
h1
h2 dh h2 dh h − h ( x0 ) 2h h dh = 0 ∴ ∫ 2 = h ( x0 ) ∫ 3 ∴ h ( x0 ) = 1 2 3 h1 h h1 h h h1 + h2
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XIII Teoria elementare della lubrificazione
∫
h2
h1
h2 dh h2 dh h − h ( x0 ) 2h h dh = 0 ∴ = h x ∴ h ( x0 ) = 1 2 ( ) 0 3 2 3 ∫ ∫ h1 h h1 h h h1 + h2
espressione che sostituita in h ( x0 ) =
2h1h2 h −h = h1 − 1 2 x0 h1 + h2 l
permette di calcolare l’ascissa x0 Ricordando la larghezza unitaria del meato, avremo l
l
x
0
0
0
N = ∫ p ( x ) dA = ∫ p ( x )dx = ∫ dx ∫ p ′( x ) dx A
quindi la pressione genera una spinta N per unità di larghezza del cuscinetto capace di tenere separate le due superfici. Inoltre, sulla superficie superiore in moto si genera una reazione d’attrito pari a l
T = ∫τ
z =h ( x )
dx
0
Possiamo quindi calcolare il coefficiente di attrito mediato come T ≅ 0,01 N Detta b la larghezza del meato, l’azione tangenziale genera una potenza resistente fm =
r r Wr = − bT × v = bTv = f mbNv
che si trasforma in calore portando il lubrificante alla temperatura θ f m Nv αl ove α è il coefficiente di scambio termico, θ è la temperatura del fluido a regime e θe è la temperatura esterna Wr = f mbNv = α bl (θ − θe ) ∴θ = θ e +
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XIII Teoria elementare della lubrificazione
Noto, quindi, il carico P=bN che il cuscinetto deve sopportare e la sua geometria (b,l) si può quindi valutare la temperatura di funzionamento e quindi scegliere l’olio della gradazione più opportuna, tenendo conto che all’aumento della temperatura la viscosità (e quindi la capacità di sostentamento) decresce. Si noti che se entrambe le superfici sono in moto, l’integrale generale µu =
dp z 2 + C′z + D′ dz 2
u ( 0 ) = v1 deve essere risolto per le condizioni al contorno u ( h ) = v2
dove v1 e v2 sono le velocità delle due superfici. Se esse sono eguali e opposte è facile verificare che la portata Q è pari a 0, ovvero non può instaurarsi la lubrificazione idrodinamica naturale. Si noti, infine, che il carico effettivo applicabile nella realtà è inferiore a quello ricavato da questa trattazione elementare, infatti il fluido non ha sempre direzione parallela a x, ma si ha fuoriuscita laterale e, quand’anche questa non vi fosse, il moto non è unidirezionale ma piano. Sperimentalmente si è ricavato un fattore correttivo c, detto coefficiente di fuoriuscita laterale e il carico effettivamente sopportabile e P’ c=
b +l Nb ∴ P′ = b c
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione XIII Teoria elementare della lubrificazione
La teoria fin qui mostrata è applicabile alle coppie spingenti lubrificate ovvero ai cuscinetti reggispinta (cuscinetti Michell)
Per i perni lubrificati, la teoria elementare non è più sufficiente e si deve ricorrere alla integrazione numerica delle equazioni di NavierStokes o alla teoria semplicata di Reynolds, infatti il perno cambia posizione del centro al variare del carico a parità di velocità angolare o a pari carico al variare della velocità di rotazione.
Nella lubrificazione idrodinamica, per basse velocità di rotazione è possibile ancora il contatto tra le superfici e per valori molto bassi di v, zona detta di attrito combinato, il coefficiente di attrito mediato fm anziché variare con legge parabolica come vorrebbe la teoria ritorna crescere fino ad assumere il valore dato da OB che rappresenta l’attrito untuoso. Questo è uno dei motivi per cui gli olii lubrificanti sono addittivati con prodotti che creino un resistente epilamine. Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
9
Lezione XIV Prestazioni di un autoveicolo
Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo nel moto rettilineo Per quanto detto nelle precedenti lezioni, la potenza necessaria al moto su strada piana in condizioni di regime assoluto e in assenza di vento è data da 1 = Y 0J ( I 0 + .Y 2 ) + ρ Y 2 6& 2 trascurando la portanza aerodinamica. :
La resistenza al rotolamento è preponderante alle basse velocità, mentre la resistenza aerodinamica lo è alle velocità più elevate 1
0,8
!"
Resistenza al rotolamento
0,6
Resistenza aerodinamica
Aerodinamica/rotolamento 0,4
0,2
0 0
50
100
150
Diagramma calcolato per una vettura media europea con . ( V P , 6 P e &
200
0
NJ
,
I
,
[
Come si nota dal grafico oltre gli 80 km/h le forze preponderanti diventano quelle aerodinamiche, mentre piccola è la variazione della resistenza al rotolamento con la velocità, per valori di quest’ultima inferiori alla velocità critica del pneumatico. Per le autovetture bisogna altresì notare che la resistenza aerodinamica è, a parità di velocità, tanto più importante quanto più è piccola la vettura: al crescere delle dimensioni la massa aumenta generalmente in modo più rapido della superficie 6, mentre è difficile realizzare buoni & sulle vetture di piccole dimensioni. [
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XIV Prestazioni di un autoveicolo
Nel caso di marcia non in piano alla resistenza aerodinamica e a quella al rotolamento deve essere aggiunta quella necessaria al superamento della pendenza α, ovvero :
1 = Y 0J cosα ( I 0 + .Y 2 ) + ρ Y 2 6& + 0J sin α 2 sempre trascurando l’effetto portanza = .
della
DHU
Affinché il moto a regime sia possibile è necessario che la potenza motrice Mg disponibile alle ruote sia almeno pari a : . La potenza viene trasmessa al suolo tramite il contatto ruota-strada ed è limitata dall’aderenza dei pneumatici. Ovvero in condizioni di incipiente slittamento di entrambe le ruote della sala motrice e supponendo per esse ugual coefficiente di aderenza avremo che per una vettura a trazione anteriore: U
;
1
=
I =
1
∴:
max
=
I = Y
max
=
I = Y
1
per una a trazione posteriore = I = 2 ∴: e per una vettura a quattro ruote motrici ;
;
1
+ ;2 =
I
2
(
=
1
+ = 2 ) ∴:
max
2
=
I
(
=
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
+ =2 ) Y
2
Lezione XIV Prestazioni di un autoveicolo
Supponendo che la vettura si muova in piano in condizioni di regime assoluto e senza carico trainato (= e ; uguali a 0) e sempre trascurando = , 0 e Mg misurando le ascisse e le ordinate dal punto O avremo per una trazione posteriore, scrivendo l’equilibrio alla rotazione attorno al punto a terra delle ruote anteriori direttrici 1 2 = ( [ − [ + ∆[ − ∆[ ) − 0J ( [ + ∆[ ) − ρ Y 6& \ = 0 2 1 2 1 2 1 1 2 da cui, essendo eguali le quattro ruote 5
5
$(5
$(5
1 2 ρ Y 6& 2 = = 2 ( [1 − [2 ) mentre per una vettura a trazione anteriore ( 1 + ∆[1 ) +
0J [
=
( − [2 + ∆[1 − ∆[2 ) − 0J (− [2 − ∆[2 ) +
1 [1
\
1 2 ρ Y 6& 2
\
=0
da cui, essendo eguali le quattro ruote
=
1
=
0J
1 (− [2 − ∆[2 ) − ρ Y 2 6& 2 ( [1 − [2 )
\
che, essendo in generale [ ≅[ , evidenzia come una vettura a trazione posteriore di ugual massa, dimensioni e resistenze aerodinamiche e al rotolamento di una gemella a trazione anteriore, possa scaricare al suolo una potenza maggiore essendo = = .
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XIV Prestazioni di un autoveicolo
Anche nel moto vario la trazione posteriore mostrerà il suo vantaggio in accelerazione in quanto, trascurando le coppie d’inerzia delle ruote Mg
=
2
=
( 1 + ∆[1 ) +
0J [
1 2 ρ Y 6& 2 ( [1 − [2 )
\
+0
GY GW
\
mentre per una trazione anteriore, nelle medesime condizioni
=
1
=
0J
1 (− [2 − ∆[2 ) − ρ Y 2 6& 2 ( [1 − [2 )
\
−0
GY GW
\
situazione che peggiora ulteriormente se la trazione anteriore ha il motore disposto trasversalmente con il senso di rotazione orario in quanto nell’equilibrio alla rotazione compare anche la coppia d’inerzia dovuta al motore stesso
=
1
=
0J
1 (− [2 − ∆[2 ) − ρ Y 2 6& \ − 0 2 ( [1 − [2 )
GY GW
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
\
− ω& -
4
Lezione XIV Prestazioni di un autoveicolo
Si noti che se una vettura slitta con velocità del baricentro Y , per l’impronta di ogni singola ruota motrice, avremo, a ruota con velocità angolare nulla: *
Y
I 1
Se acceleriamo, la ruota assumerà una velocità periferica ωU e quindi la velocità di strisciamento della ruota diventerà Y¶, riducendo la componente della forza d’attrito in grado di contrastare la perturbazione che ha provocato lo slittamento
Y I 1
Y¶
Y
ωU
I 1
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XV Cinghie
Organi di trasmissione Organi flessibili Nelle macchine trovano numerose applicazioni tanto organi flessibili propriamente detti (cinghie e funi), quanto organi costituiti da elementi rigidi tra loro articolati (catene). Ci limiteremo a trattare il problema degli organi flessibili propriamente detti per la trasmissione del moto rotatorio da una puleggia motrice a una puleggia condotta e anche il loro impiego per ottenere un’azione frenante. Normalmente gli assi di rotazione delle due pulegge sono paralleli. Consideriamo una cinghia avvolta per un angolo θ su una puleggia di raggio U ruotante a velocità angolare costante ω. Trascurando lo spessore della cinghia e supponendo che non vi sia strisciamento, la velocità periferica ωU della puleggia sarà uguale alla velocità della cinghia. Il ramo di cinghia che si avvolge sulla puleggia, detto conduttore, essendo detta puleggia conduttrice quella a cui è applicata una coppia motrice &P, ha una tensione 7 necessariamente maggiore di quella 7 del ramo che lascia la puleggia, detto condotto. Infatti, per l’equilibrio alla rotazione attorno a 2 &P = (71 − 70 ) U > 0
La differenza (71 − 70 ) = 4 rappresenta la forza motrice trasmessa dalla cinghia, infatti dal bilancio di potenze in condizioni di regime assoluto &Pω = (71 − 70 ) ω U = 4Y
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XV Cinghie
−7 (ϕ ) sen
La tensione 7 in una generica sezione, individuata dall’angolo ϕ, della cinghia avvolta sulla puleggia avrà una tensione compresa tra 7 e 7. Scrivendo gli equilibri alla traslazione per un generico elemento di cinghia di lunghezza UGϕ, si ha lungo la direzione radiale per una cinghia di larghezza unitaria
Gϕ Gϕ Y2 − (7 (ϕ ) + G7 ) sen + P UGϕ + S (ϕ ) UGϕ = 0 2 2 U
ove P è la massa per unità di lunghezza della cinghia e Sϕ è la pressione incognita tra cinghia e puleggia N.B. non valgono le relazioni di Coulomb su tutto l’arco di avvolgimento in quanto le superfici a contatto non sono piane. Per la piccolezza dell’angolo Gϕ potremo dire che sen
Gϕ Gϕ ≅ 2 2
e, trascurando l’infinitesimo di ordine superiore G7 sen
avremo quindi che
Gϕ Gϕ ≅ G7 2 2
7 (ϕ ) = S (ϕ ) U + PY 2
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XV Cinghie
7 (ϕ ) = S (ϕ ) U + PY 2
Dall’equazione di equilibrio lungo la tangente in condizioni in incipiente slittamento G7 = S (ϕ ) I D UGϕ
ma, trascurando le forze di volume, S (ϕ ) U = 7 (ϕ ) − PY 2
per cui G7 = I D Gϕ 7
che, integrata sull’angolo di avvolgimento θ positivo in senso antiorario 71
∫7
0
θ G7 7 = I D ∫ Gϕ ∴ 1 = H IDθ 0 7 70
71 = 70 H
θ
ID
La forza motrice Q varrà allora 4 = 71 − 70 = 70 H
θ
ID
− 70 = 70 H
(
θ
ID
)
−1
La equazione vale in caso di incipiente slittamento. Nel caso di strisciamento diventa 4 = 71 − 70 = 70 H
(
IG
θ
)
−1
con IG coefficiente di attrito cinetico.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XV Cinghie
Nel caso di freni a nastro in cui la cinghia è ferma e la puleggia slitta su di essa. la velocità Y della cinghia è nulla per cui: 4 = 71 − 70 = 70 H
(
IG
θ
)
−1
Ma dall’equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera a terra della leva 70 = )
per cui 4=)
D H E
(
IG
θ
D E
)
−1
e una potenza frenante r r D : = −4 × Y = ) H E
(
U
IG
θ
−1 ω U
)
Si noti che se l’albero girasse in verso opposto, si avrebbe che 70 > 71 e quindi 71 = 70 H −
per cui
IG
θ
r r D : = −4 × Y = ) H − E U
(
IG
θ
−1 ω U
)
con un potere frenante notevolmente inferiore.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XV Cinghie
Per ovviare alla dissimmetria di comportamento del freno a nastro semplice, si può utilizzare il freno a nastro addizionale nel quale 70 = )
D (H
O I
+ 1)
θ
e quindi : = )Uω U
O (H
D (H
I
θ
I
θ
− 1)
+ 1)
che , a pari F applicata e a pari geometria, fornisce una potenza frenante maggiore del freno a nastro semplice. Ritornando alle cinghie, nelle trasmissioni si dovrà fare in modo di avere sempre un margine di sicurezza rispetto alla condizione di incipiente slittamento; ciò può ottenersi calcolando la coppia massima trasmissibile in condizioni di incipiente slittamento introducendo nelle formule scritte un angolo θ minore di quello effettivamente abbracciato sulla puleggia. Questo procedimento corrisponde all’effettivo andamento del fenomeno, in quanto si può dimostrare che, in condizioni diverse da quelle limite, tenuto conto dell’allungamento elastico della cinghia, la forza di aderenza tra cinghia e puleggia si esercita solo per una certa porzione dell’arco abbracciato, a partire dal punto in cui la cinghia lascia la puleggia; lungo tale arco ha luogo un incipiente slittamento e la variazione della tensione con legge esponenziale, mentre per il restante arco abbracciato (che si riduce a zero nelle condizioni limite) la tensione rimane costante. Se le due pulegge hanno diametri diversi, in condizioni inferiori a quelle limiti, avremo che Y = ω1U1 = ω 2 U2 ⇒ τ =
ω 2 U1 = ω1 U2
ma gli archi abbracciati sono diversi e quindi dovremo calcolare il valore di Q sulla puleggia che ha angolo d’avvolgimento minore a parità di coefficiente di aderenza. Se non vi sono speciali accorgimenti, quali galoppini tendicinghia, l’angolo di avvolgimento minore è quello abbracciato sulla puleggia di diametro inferiore. Da qui l’uso, nonostante alcuni inconvenienti, di cinghie incrociate.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XV Cinghie
E’ comunque evidente che dovremo fare in modo che il prodotto IDθ sia il massimo possibile. Metodi per aumentare θ Sfruttare il peso proprio della cinghia se si hanno grandi interassi tra le pulegge
Con galoppini tendicinghia, con l’inconveniente di una minore durata per le maggiori sollecitazioni a flessione
Con questo sistema si mantiene costante 4 e θ, ma l’interasse è variabile
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XV Cinghie
Metodi per aumentare ID Cinghie trapezoidali 7 + G7
2G1 sin β
2G)
G1
W
7
G1 sin β
la reazione risultante nel piano verticale vale 2G1 sin β = 7 sin
Gϕ Gϕ + (7 + G7 ) sin ≅ 7Gϕ 2 2
e G7 ≅ 2G)W = 2 I D G1 =
ID 7Gϕ sin β
per cui è come se si fosse in presenza di un coefficiente di aderenza pari a
ID > ID sin β
Esempio di moderne cinghie impiegate nelle trasmissioni
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XVI Freni meccanici
Freni Generalità I freni sono dispositivi atti a creare resistenza al moto allo scopo di impedirne l’inizio o per regolarne la velocità o l’accelerazione. A seconda del tipo di resistenza si distinguono in: • freni ad attrito o meccanici; • freni a fluido (a liquido, aerodinamici), usati soprattutto per la misura della curva caratteristica di motori; • freni elettromagnetici, usati, soprattutto, anch’essi per la misura della curva caratteristica di motori. A seconda della funzione, si notano: • freni di stazionamento o di trattenuta, atti a impedire l’inizio del movimento; • freni di arresto o servizio che servono ad arrestare temporaneamente il movimento; • freni di lavoro il cui scopo è quello di regolare il movimento. Ci occuperemo qui solo dei freni meccanici che si suddividono in: • freni a nastro (già trattati a proposito delle trasmissioni a cinghia) ;
• freni a ceppi o a tamburo (in figura un freno a ceppi liberamente girevoli, tipico nelle costruzioni ferroviarie);
• freni assiali o a disco.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
7=
∫ S (φ ) IOU cos (φ − φ ′) Gφ = I1
φ1
−φ1
Lezione XVI Freni meccanici
Freni a ceppi
Nelle due figure sono rappresentati, rispettivamente, dei freni a ceppi esterni (usati soprattutto negli impianti di sollevamento) e altri a ceppi interni (di comune impiego nei veicoli). I ceppi sono infulcrati su cerniere distinte e alle estremità libere delle leve agisce la forza . tendente a chiudere i freni. Limitando lo studio alle azioni scambiate tra il tamburo e un solo ceppo, la coppia frenante 0U, la risultante 1 delle pressioni, quella delle azioni tangenziali 7 e il relativo braccio equivalente K rispetto al centro del tamburo sono calcolabili dalle relazioni 0U = 1= 7=
−
∫ S (φ )OU cos (φ − φ ′) Gφ
φ1
1
−φ1
∫φ S (φ ) IOU cos (φ − φ ′) Gφ = I1 1
φ1
0U = 7
2
φ1 −
K=
∫φ S (φ ) IOU Gφ
φ1
∫
−φ1
S (φ ) IOU 2 Gφ
U ∫ S (φ )Gφ φ1
=
−φ1
∫ S (φ ) IOU cos (φ − φ ′) Gφ ∫φ S (φ ) cos (φ − φ ′) Gφ
φ1
−φ1
φ1
−
1
essendo Sφ la distribuzione incognita delle pressioni di contatto, I il coefficiente di attrito radente, O la larghezza del ceppo e U il raggio del tamburo.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XVI Freni meccanici
L’angolo φ¶ è quello che la retta di azione della 1 forma con la bisettrice con l’arco di contatto e si determina imponendo che la risultante in direzione ortogonale alla retta d’azione sia nulla. Ovvero:
∫ S (φ ) sin (φ − φ ′) Gφ = 0
φ1
−φ1
Come già visto in precedenza, il problema può essere risolto solo conoscendo la distribuzione delle pressioni Sφ . A questo scopo si nota che, supponendo il ceppo infinitamente rigido, una sua rotazione piccolissima δϕ attorno alla cerniera, che porta i vari punti della guarnizione di attrito a venire a contatto con il tamburo, può sempre essere vista come una rotazione rigida infinitesima δϕ del ceppo stesso attorno a un altro polo, a esempio il centro del tamburo, più una traslazione δ Uδϕ. Nel moto del ceppo, solo la traslazione porta i punti della guarnizione di attrito ad avvicinarsi al tamburo e quindi a esercitare una pressione su quest’ultimo. Per quanto detto la direzione di accostamento, ovvero quella per cui avviene la frenatura, sarà perpendicolare alla congiungente il centro della cerniera del ceppo e quello del tamburo e individuata da un angolo φ rispetto alla bisettrice dell’arco di contatto. Per come sono costruiti i freni a ceppi quest’angolo è piccolo per cui da un punto di vista pratico si può considerare φ circa uguale a e quindi considerare la direzione di accostamento praticamente coincidente con la bisettrice dell’arco di azione.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XVI Freni meccanici
Per effetto dell’avvicinamento δ del ceppo, lo spessore di guarnizione asportato nel generico punto di essa risulta uguale alla componente dello spostamento secondo la normale alla superficie nel punto considerato, ovvero δ (φ ) = δ 0 cos φ
Secondo l’ipotesi di Reye, δ (φ ) G$ = δ 0 cos φ OUGφ = NIS (φ ) OUGφ Uω
ovvero, supponendo costante la velocità angolare S (φ ) = S0 cos φ
espressione che sostituita negli integrali prima visti porta a φ1
∫
−φ1
S0 cos φ sin (φ − φ ′ ) Gφ = cos φ ′
1 1 2 ′ ∫−φ cos φ sin φ Gφ − sin φ −∫φ cos φ Gφ = − 2 sin φ ′ sin 2φ1 = 0 ∴φ ′ = 0 1 1
φ1
φ
1 = S0OU ∫ cos 2 Gφ = S0OU φ1 + 1 sin 2φ1 2 φ1
−φ1
0 U = IS0OU 2
(
φ1
∫φ cos
−
e a un braccio K della 7 K=
)
Gφ = 2 IS0OU 2 sin φ1
1
0U sin φ1 = 2U >U I1 φ1 + 1 2 sin 2φ1
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XVI Freni meccanici
Scrivendo l’equilibrio alla rotazione rispetto al perno per il ceppo sinistro otteniamo
e per quello destro
11 = .
D = S01OU φ1 + 1 sin 2φ1 2 E − IF
(
)
12 = .
D = S02OU φ1 + 1 sin 2φ1 2 E + IF
)
con un momento frenante totale
(
0 U = 2 I.K
DE E − I 2F2 2
L’azione trasmessa dai due ceppi al tamburo è quindi ; = 11 − 1 2 = 2 I.
1 E2
DF
≠0 2 F 1− I E 1 DF < = I ( 11 − 1 2 ) = 2 I 2 . 2 ≠0 2 E F 1− I E
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XVI Freni meccanici
Per questo motivo si usano i freni a ceppi autoavvolgenti (o autocentranti) per i quali 11 = 1 2 = .
Si ricordi che se
I
D E − IF
F = 1 ⇒ I11 = ∞ E
il ceppo è autofrenante (s’impunta e impedisce la rotazione del tamburo)
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XVI Freni meccanici
Freni a disco Vantaggi rispetto al freno a tamburo • minor massa e momento d’inerzia; • maggior facilità di asportare il calore; • facilità nell’asportare impurità depositatesi sul disco. Svantaggi • minor potere frenante (meno della metà) a parità di forza . applicata, coefficiente di attrito e dimensioni
5
0 U = 2 I.51 < 2 I.K
DE 1 ≅ 4 I.K 2 2 E −I F (1 − I 2 ) 2
anche supponendo 51 ≅ E ≅ F ≅
D ω 1 2G 2G
Ne risulta che a velocità angolare ω costante, le sfere sono sottoposte a una accelerazione centripeta pari a
D2 =
2Y2 = '1 + G 2
2 ω VI G
(
) 2
2
'1 + G
che è maggiore nel caso in cui sia rotante la corona esterna con conseguenti carichi dinamici maggiori che le sfere o rulli devono sopportare.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XVII Cuscinetti a rotolamento
Scelta del tipo di cuscinetto La scelta del tipo di cuscinetto dipende soprattutto da: • lo spazio disponibile, in quanto in molti casi il diametro del foro è determinato da quello dell’albero e così lo spazio disponibile in senso radiale; • dall’entità del carico; in generale i cuscinetti a rulli sono in grado di sopportare carichi maggiori, a parità di dimensioni d’ingombro, di quelli a sfere; • dalla direzione del carico; quelli a sfere e a rulli hanno una modesta capacità di sopportare carichi combinati, ovvero con una componente radiale e una assiale agenti contemporaneamente
• dalla velocità; la velocità a cui possono funzionare i cuscinetti volventi è limitata dalla temperatura di lavoro ammissibile. Minore à l’attrito, minore è il calore sviluppato e quindi la temperatura di funzionamento. Proporzionamento dei cuscinetti con le formule della durata Il metodo più semplice per calcolare la durata è quello di utilizzare la formula ISO della durata base
& /10 = 3 con
S
/ = durata di base in milioni di giri; & = coefficiente di carico dinamico [N] 3 = carico dinamico equivalente sul cuscinetto [N] S = esponente della formula della durata S per cuscinetti a sfere S per cuscinetti a rulli
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XVII Cuscinetti a rotolamento
Se i cuscinetti ruotano a velocità costante n (espressa in giri/1’), può essere più comodo calcolare la durata base in ore
/10 K con
106 & = 60Q 3
S
/K = durata di base in ore di funzionamento
mentre per i veicoli su strada o su rotaia, specie per i cuscinetti delle sale, risulta più conveniente correlare la durata base ai chilometri percorsi
/10 V
con
π' & = 1000 3
S
/V = durata di base in milioni di chilometri ' = diametro ruota [m]
Per la scelta di un cuscinetto è pratica generale basare i calcoli sulla durata /, per cui è essenziale conoscere la durata base per l’applicazione. Quali valori orientativi /K può variare da qualche migliaio di ore per apparecchi d’uso domestico e macchine agricole a circa 100.000 ore per applicazioni in grosse macchine elettriche, linee d’assi di navi ecc. /V varia invece da 300.000 km per le autovetture a oltre 3.000.000 km per carrozze per treni viaggiatori, automotrici e locomotive elettriche. Il coefficiente di carico dinamico &, fornito dagli abachi della Case costruttrici, vale per normali temperature di funzionamento. A temperature elevate si ha una riduzione della capacità di carico dinamico, riduzione di cui si tiene conto moltiplicando & per un coefficiente minore di 1, che vale 1 per temperature uguali o inferiori a 150° e 0,6 per temperature di funzionamento di 300°.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XVIII Ingranaggi
INGRANAGGI Volendo trasmettere un momento tra due alberi con un certo rapporto di trasmissione τ si possono utilizzare degli elementi solidali con i due alberi che realizzino dei profili coniugati. Essendo la velocità relativa diretta come la tangente comune ai due profili il punto 3, posto sulla perpendicolare alla direzione della velocità relativa, è il centro d’istantanea rotazione del moto relativo. Poiché r r r 930 = 9U30 + 9W30 essendo, per definizione P0 centro d’istantanea rotazione del moto relativo, risulta
930 = 9W30 ovvero
ω1 ( 30 − 21 ) = ω 2 ( 30 − 22 ) e quindi
τ=
ω 2 30 − 21 = ω1 30 − 22
Il rapporto di trasmissione rimarrà costante, quindi, solo nell’ipotesi che la distanza di 3 da 2 e 2 sia costante per le varie posizioni che i due profili coniugati assumono, ovvero i luoghi delle posizioni assunte da 3 siano delle circonferenze. Tali circonferenze sono dette primitive.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XVIII Ingranaggi
Materializzando le primitive, si arriva alla trasmissione tramite ruote di frizione, ovvero tramite due ruote, solidali ai due alberi, premute l’una contro l’altra. Per quanto detto avremo:
ω1U1 = ω2U2 ⇒ τ =
ω 2 U1 = ω1 U2
L’inconveniente à quello di avere una limitazione sulla coppia massima trasmissibile data dalle condizioni di aderenza, ovvero
7 ≤ ID 1 e inoltre un rendimento
η=
1 2 1I Y U2 1+ 02
Infatti in condizioni ideali (attrito volvente nullo) il momento motore in condizioni di regime assoluto
:P − :U = 0 ⇒ 0 1ω1 − 0 2ω 2 = 0 ⇒ :X = 0 2ω 2 = 0 2τω1 dall’equilibrio alla rotazione della ruota 2, abbiamo che
0 2 = 7U2 − 1I Y U2 ovvero
02
U1 U = 7U1 − 1I Y U1 ⇒ 7U1 = 0 2 1 + 1I Y U1 U2 U2
mentre per la ruota 1 si ha
U 0 1 = 7U1 + 1I Y U1 = 0 2 1 + 1I Y U1 + 1I Y U1 = 0 2τ + 2 1I Y U1 U2 :X = 0 2ω 2 = 0 2τω1 0 1 = 0 2τ + 2 1I Y U1
e quindi una potenza entrante
:H = ( 0 2τ + 2 1I Y U1 )ω1
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XVIII Ingranaggi
da cui un rendimento
η=
0 2τω1 1 = ( 0 2τ + 2 1IY U1 )ω1 1 + 2 1IY U2 02
che peggiora all’aumentare di 1. Bisognerà dare quindi al precarico 1 il minimo valore compatibile con la sicurezza della trasmissione. Per trasmettere coppie notevoli dobbiamo avere valori elevati di 1 e quindi non è conveniente utilizzare le ruote di frizione per trasmettere momenti elevati.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XVIII Ingranaggi
RUOTE DENTATE Potremmo pensare di sostituire alle ruote di frizione, materializzazione dei cerchi primitivi (enti cinematici che rappresentano i luoghi dei centri d’istantanea rotazione relativi durante il moto) con una trasmissione a cinghia incrociata.
La soluzione b) (centrale), ottenuta con una cinghia incrociata, ha lo stesso rapporto di trasmissione della a) (con ruote di frizione) se
τ= dove 'E e 'E sono detti cerchi di base.
Q2 '1 'E1 = = Q1 '2 'E 2
Anche la soluzione c), con interasse delle pulegge aumentato, presenta un aumento dei diametri dei cerchi primitivi di funzionamento ma presenta lo stesso rapporto di trasmissione, essendo rimasto invariato il rapporto 'E 'E.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XVIII Ingranaggi
Evolvente di cerchio Figura piana i cui centri di curvatura si trovano su un cerchio e i cui raggi di curvatura godono della proprietà che
ρ = 70 = 70 0 Nel suo moto solidale con il cerchio l’evolvente risulta tangente a una retta parallela al generico raggio 27
Per costruire l’evolvente: • si divida la circonferenza in parti uguali; • per ognuno dei punti così ottenuti si tracciano le tangenti; •
a parte si tracci il segmento
π
'E ; 2
• sulle tangenti precedentemente tracciate, e a partire dai punti di tangenza, si riportino segmenti di lunghezza uguale a quella dell’arco compreso tra l’origine dell’evolvente e il punto di tangenza considerato. Per costruzione si ha
0′1′ = 01 = 1$
0′2′ = 02 = 2 % HFF
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XVIII Ingranaggi
Siano ( e ( le evolventi ai due cerchi di base &E e &E della trasmissione a cinghia incrociata. Il luogo dei punti di contatto di queste due evolventi, che sono superfici coniugate per costruzione, è il segmento 11 tangente ai due cerchi di base. Se la ruota di centro 2 ruota di un angolo α, l’evolvente ( andrà in (¶, spingendo il profilo ( che andrà in (¶ ruotando di un angolo α. I punti $ e % dei rispettivi profili compiranno una traiettoria circolare fino ad andare nel nuovo punto di tangenza in %. Per la definizione di evolvente, possiamo scrivere
$1 1 ’1 − $11 = 11 11′ =
%$$1 2 − %1 1 2′ = 1 2 1 2′ = $% da cui risulta che
11 11′ = α1
'E1 ' = 1 2 1 2′ = α 2 E 2 2 2
ciò significa che i due cerchi primitivi rotolano senza slittare.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XVIII Ingranaggi
Il segmento N1N2 è il luogo geometrico dei punti di contatto ed è detto retta d’azione. Dal punto di vista cinematico la trasmissione ottenuta con ruote dentate a evolvente è equivalente a quella con pulegge e cinghie incrociate. Il rapporto di trasmissione è indipendente dalla distanza degli assi ma solo dai diametri dei cerchi di base. Dal punto di vista della potenza questa viene trasmessa per le azioni normali che si scambiano i profili a contatto e non più da quelle tangenziali. Per garantire la continuità della trasmissione i profili E1 ed E2, quindi i denti, devono ripetersi tante volte in modo tale che due di loro risultino a contatto lungo un arco, detto arco d’azione, almeno fino a quando altri due denti successivi siano entrati in contatto, ovvero la distanza tra due denti successivi appartenenti alla medesima ruota deve risultare
DUFRDFFHVVR > 1∴1,2 ÷ 1,4 SDVVR Ovviamente, volendo garantire una trasmissione del moto bidirezionale entrambi i fianchi di ogni dente di ogni ruota dovranno essere dei profili a evolvente del proprio cerchio di base. I profili a evolvente sono tracciati a cavallo della primitiva così da limitare gli strisciamenti, in quanto solo sulla primitiva, luogo dei centri d’istantanea rotazione relativi, le velocità relative sono nulle. Le evolventi sono limitate dal cerchio di troncatura esterna, o cerchio di testa, e da quello di troncatura interna, o di piede. Nel proporzionamento modulare, si assume come dimensione caratteristica il modulo m
P= P=
S con S = passo circonferenziale misurato π
S con p = passo circonferenziale misurato sulla primitiva π sulla primitiva
Ne deriva che la circonferenza primitiva di una ruota di diametro primitivo ' con ] denti è
S] = 'π = Pπ ]
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XVIII Ingranaggi
e quindi, poiché i denti di due ruote devono ingranare tra loro occorre che abbiano lo stesso passo circonferenziale e quindi il medesimo modulo
P=
'1 '2 = ]1 ]2
Ne deriva inoltre che
τ=
Q2 '1 ]1 = = Q1 '2 ]2 Nel proporzionamento modulare inoltre l’addendum D è posto uguale al modulo, il dedendum G a 5/4 di P e quindi l’altezza radiale del dente è pari a P.
In assenza d’attrito, la spinta mutua tra i denti agisce lungo la retta d’azione, inclinata sulla tangente comune alle primitive di un angolo detto di pressione. Tale angolo vale normalmente 20°.
θ
L’esigenza di poter creare ruote d’assortimento ovvero di poter creare ingranaggi con numero di denti diverso, ma tutti accoppiabili tra loro così da poter realizzare la più vasta gamma di rapporti di trasmissione, porta all’utilizzo per il taglio di una dentiera a fianchi diritti, facilmente affilabili. I profili dei denti che si ottengono sulla ruota sono sempre delle evolventi di cerchio, anche se il Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione XVIII Ingranaggi
posizionamento non è corretto. Lo svantaggio che si può avere è dovuto al fatto che non si possono tagliare ingranaggi con un numero di denti molto piccolo. Infatti, in realtà, se i contatti tra tagliente e ruota avvengono in un punto 3 esterno al segmento 73, il tagliente risulta tangente al ramo fittizio dell’evolvente (quello tratteggiato) e quindi sottotaglia alla base il dente. Ciò accade quando l’addendum della dentiera è maggiore di 7+ ovvero
]min
D = P sin 2 θ
D > 307 sin θ = U sin 2 θ =
P] 2 sin θ 2
2
e se il proporzionamento è modulare e θ risulta che il numero minimo di denti è pari a 17. Se l’ingranaggio è tagliato con una fresa, non vi sarà sottotaglio, ma bensì interferenza.
La figura mostra come varia la forma del dente di ingranaggio di 18 denti al variare dell’angolo di pressione θ (nella figura indicato come α). La zona tratteggiata nella figura per α θ mostra il sottotaglio durante la creazione del dente. Aumentare troppo l’angolo di pressione porta ad accrescere inutilmente il carico radiale sui cuscinetti, per cui non è pratica conveniente. Per evitare l’interferenza, mantenendo costante l’angolo di pressione, si devono quindi usare proporzionamenti non modulari come il ribassamento in cui si utilizza un utensile con altezza ridotta nel rapporto
α=
D per cui il numero minimo di denti risulta dato da P ]min
D P = 2 sin θ 2α
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
9
Lezione XVIII Ingranaggi
Ovviamente anche il dedendum sarà ridotto e pari a G = α
5 P. 4
Per ribassamenti notevoli, può tuttavia risultare compromessa la continuità del moto.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
10
Lezione XVIII Ingranaggi
La correzione si ottiene, invece, tagliando un dente della coppia ingranaggio, quello con il numero minore di denti, con la mediana della dentiera spostata esternamente in modo da ridurne l’addendum di una quantità [ e tagliando l’altro con un addendum aumentato della medesima quantità [.
Risulta per la ruota con numero minore di denti
]min
D−[ P = sin 2 θ 2
Il dente risulta così irrobustito, il taglio economico, in quanto non è necessario usare una dentiera speciale come nel ribassamento, ma è tuttavia necessario che l’interferenza non si presenti sull’altra ruota in quanto comunque deve risultare
]1 + ]2 > 2 ]min Si noti che allontanando il contatto dalla primitiva aumentano gli strisciamenti e quindi peggiora il rendimento.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
11
Lezione XVIII Ingranaggi
M 1 = M 2τ + 2 Nf v r1
e quindi una potenza entrante We = ( M 2τ + 2 Nf v r1 ) ω1
da cui un rendimento M 2τω1 1 = ( M 2τ + 2 Nf v r1 ) ω1 1 + 2Nf vr2 M2 che peggiora all’aumentare di N. Bisognerà dare quindi al precarico N il minimo valore compatibile con la sicurezza della trasmissione. Per trasmettere coppie notevoli dobbiamo avere valori elevati di N e quindi non è conveniente utilizzare le ruote di frizione per trasmettere momenti elevati. η=
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XVIII Ingranaggi
La correzione si ottiene, invece, tagliando un dente della coppia ingranaggio, quello con il numero minore di denti, con la mediana della dentiera spostata esternamente in modo da ridurne l’addendum di una quantità x e tagliando l’altro con un addendum aumentato della medesima quantità x. Risulta per la ruota con numero minore di denti a−x m = sin2 θ 2
z min
Il dente risulta così irrobustito, il taglio economico, in quanto non è necessario usare una dentiera speciale come nel ribassamento, ma è tuttavia necessario che l’interferenza non si presenti sull’altra ruota in quanto comunque deve risultare z1 + z 2 > 2 zmin
Si noti che allontanando il contatto dalla primitiva aumentano gli strisciamenti e quindi peggiora il rendimento.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
11
Lezione XIX Ruote e rotismi
RUOTE DENTATE ELICOIDALI AD ASSI PARALLELI Non interessa qui trattare del taglio delle ruote dentate elicoidali, basti ricordare che le superfici dei denti sono delle superfici coniugate a evolvente come negli ingranaggi a denti diritti. Lo studio cinematico, in via approssimata, viene eseguito sulla sezione normale dell’asse del dente e da questo risulta confrontando i risultati con quelli di una ruota a profilo normale ]min HO = ]min cos3 β ovvero con un angolo di pressione θ di 20° mentre per un ingranaggio a denti diritti il numero minimo di denti per evitare il sottotaglio è pari a 18, in un ingranaggio elicoidale con β pari a 30° tale valore scende a 12 e con β pari a 45° risulterebbe pari a 7.
Inoltre a parità di raggio primitivo e di numero di denti, col proporzionamento fatto sulla sezione normale del dente e perciò in base a un modulo ridotto di cosβ, il dente risulta più basso che in quelli a dentatura diritta con conseguente minore strisciamento. Con dentatura diritta potrebbe venire meno la continuità del moto, mentre nella dentatura elicoidale la trsmissione del moto è più facilmente assicurata con conseguente maggior silenziosità. Per contro le ruote elicoidali, oltre a un maggiore costo, presentano l’inconveniente di dare una spinta mutua tra i denti in presa obliqua rispetto agli assi delle ruote, spinta che deve essere contrastata con un cuscinetto reggispinta o a rulli assiale. A parità di momento trasmesso, aumentano quindi le forze che si scambiano i denti e quindi le componenti d’attrito. Ne deriva quindi un peggiore rendimento, solo in parte compensato dalla minor velocità di strisciamento, rispetto alle ruote a dentatura cilindrica, che presentano inoltre il vantaggio di avere un maggiore spessore e quindi di offrire una maggiore resistenza a flessione.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XIX Ruote e rotismi
Per la trasmissione di potenza tra assi paralleli si può anche ricorrere a cinghie dentate positive che permettono interassi anche notevoli tra i due alberi.
I vantaggi di questa soluzione possono essere così riassunti: • minimo precarico (come negli ingranaggi) e minima sollecitazione dei supporti; • costanza del rapporto di trasmissione (come negli ingranaggi); • rendimento elevato (come negli ingranaggi); • silenziosità (come nelle cinghie); • esclusione di lubrificazione e ridotta manutenzione (come nelle cinghie); Quanto a un confronto tra i rendimenti, si può assumere un valore di 0,98 per trasmissioni a cinghia piana o trapeziodale, di 0,97 per ruote di frizione lisce, di 0,880,9 per ruote di frizione scanalate e per una coppia d’ingranaggi 1 1 η ; 1 − 0,5 + ]1 ]2
N.B. Negli arpionismi, in moto retrogrado, tale rendimento scende a valori prossimi a 0.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XIX Ruote e rotismi
Trasmissioni di potenza tra assi paralleli e non Tralasciando le ruote coniche e la vite perpetua, oggetto di corsi specialistici, parliamo qui dei rotismi, formati dall’unione in serie di parecchi ingranaggi. Si devono distinguere: • i rotismi ordinari, i cui assi sono fissi, accoppiati cioè rotoidalmente al telaio (es. cascata d’ingranaggi nel comando della distribuzione in un motore a c.i.) e nei quali, come sappiamo, il rapporto di trasmissione totale vale ovviamente Q
τ WRW = ∏ L =1τ L se n sono le coppie che formano la cascata. Nel caso particolare in figura
τ WRW =
]1 ]Q
• i rotismi epicicloidali nei quali i perni delle ruote sono accoppiati a un membro rigido, detto portatreno, che può a sua volta ruotare attorno a un asse. Le ruote i cui assi sono mobili per effetto della rotazione del portatreno sono detti satelliti. Nelle figure con Q e Q sono indicate le velocità angolari dell’albero d’ingresso (collegato al motore) e di Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XIX Ruote e rotismi
quello d’uscita, collegato all’utilizzatore.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XIX Ruote e rotismi
Diciamo Ω la velocità angolare del portatreno, ω quella dell’albero d’ingresso e ω quella dell’albero d’uscita in quanto non è possibile in un rotismo epicicloidale definire quale sia la ruota conduttrice e quella condotta, in quanto entrambe potrebbero essere conduttrici e condotto il portatreno o viceversa ovvero tutte le possibili combinazioni. Potremo solo considerare le velocità angolari relative al portatreno ωΩ dell’albero d’ingresso e ωΩ di quello d’uscita. Il rapporto di trasmissione rimarrà quello relativo al rotismo ordinario che indichiamo con τ; risulta perciò
τ=
ω2 − Ω ω1 − Ω
detta anche formula di Willis, dove le velocità angolari e il rapporto di trasmissione devono essere introdotti con i segni che loro competono.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XIX Ruote e rotismi
Applicazioni 1- Differenziale di un veicolo Glossario • F pignone solidale con l’albero di trasmissione di velocità angolare ωWU; • E corona ingranantesi con il pignone e solidale con il portatreno; • C e D satelliti con un numero di denti pari a ]& ]' • A e B (con ]$ ]% denti) planetari collegati tramite i semialberi alle ruote motrici di velocità angolare, rispettivamente, ω H ω La velocità angolare del portatreno risulta Ω = τ SRQWH ωWU
Dalla formula di Willis risulta
ω2 − Ω ] ] = − 1 g 3 = −1 ]3 ]1 ω1 − Ω Si noti che in questo caso il portatreno è conduttore, mentre gli altri due alberi sono condotti. τ=
Risulta
ω1 + ω 2 2 ovvero la velocità angolare del portatreno è sempre la media aritmetica delle velocità angolari dei semialberi. ω 2 − Ω = −ω1 + Ω ⇒ Ω =
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XIX Ruote e rotismi
Moto in curva a regime ω1 Ω
ω2
centro
Detta YGLII la velocità costante della scatola del differenziale avremo che la velocità Y' del della ruota motrice
interna alla curva si avrà Y' =
mentre Y6
Y6 =
'2 YGLII = ω 2 UUXRWD H '2 + 2
'2 + H YGLII = ω1UUXRWD H '2 + 2
Supponiamo che una vettura ferma abbia una sola ruota motrice, a esempio la destra, appoggiata su un terreno con basso coefficiente di aderenza. Applicandovi potenza, questa inizierebbe a slittare con un’accelerazione angolare
ω& ' =
0 ' − I1 ' UUXRWD -'
che porterebbe rapidamente, per il piccolo valore di -', la ruota che slitta alla velocità di regime di Ω, mantenendo fermo il veicolo se la forza d’attrito I1 ' non è Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XIX Ruote e rotismi
sufficiente a farlo muovere.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione XIX Ruote e rotismi
Rotismo epicicloidale di Fairbairn ω1
Ω
portatreno fermo
ω2
Spesso è necessario avere dei forti rapporti di riduzione con piccoli ingombri, come è il caso di elicotteri a turbina dove si deve accoppiare un motore il cui regime di funzionamento è dell’ordine delle decine di migliaia di giri con un rotore di grandi dimensioni le cui pale devono avere una velocità periferica ben lontana da quella del suono. Il rotismo è composto da due corone dentate interne di ] e ] denti e da un satellite costituito da due ruote accoppiate di ] e ] denti. A
τ=
]1 ]3 g ]2 ]4
che è possibile rendere il più prossimo a facendo in modo che ] e ] differiscano il meno possibile, e la stessa differenza vi sia tra ] e ]. Inoltre non volendo fare corone interne grandi (] e ] grandi) è opportuno che ] e ] siano i più grandi possibili. A esempio con ] , ] , ] e ] si ottiene τ =
formula di Willis ponendo ω si ottiene
243 e applicando la 245
243 ω 2 − Ω 2 243 = ⇒ ω 2 = 1 − Ω = Ω 245 245 −Ω 245
dove ancora una volta il conduttore (collegato alla turbina) è il portatreno e il condotto (collegato al rotore) è il planetario ]
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
9
Lezione XIX Ruote e rotismi
Cambio epicicloidale (con freni e frizioni)
Attenzione, in questo esempio la velocità angolare del portatreno è indicata come ω0 A portatreno fermo avremo
]1 ]3 ] g =− 1 ]3 ]2 ]2 Collegando, a portatreno fermo (freno C inserito), il motore all’albero 1 si ha che l’albero 2, collegato all’utilizzatore ruota, a una velocità angolare ] ω ] − 1 = 2 ⇒ ω 2 = − 1 ω1 (retromarcia) ]2 ω1 ]2 Se blocchiamo il planetario (freno B inserito), e colleghiamo all’utilizzatore l’albero del portatreno ] ω0 ]1 − 1 =− ⇒ ω0 = ω1 (I velocità) ]2 ω1 − ω 0 ]1 + ]2 Frizione F inserita e utilizzatore collegato al portatreno ⇒ ω 0 = ω1 (presa diretta) Freno A bloccato, motore collegato al portatreno e utilizzatore al planetario ] ω − ω0 ] +] − 1 =− 2 ⇒ ω 2 = 1 2 ω 0 (marcia moltiplicata) ω0 ]2 ]1
τ =−
•
•
• •
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
10
Lezione XIX Ruote e rotismi
RUOTE DENTATE ELICOIDALI AD ASSI PARALLELI Non interessa qui trattare del taglio delle ruote dentate elicoidali, basti ricordare che le superfici dei denti sono delle superfici coniugate a evolvente come negli ingranaggi a denti diritti. Lo studio cinematico, in via approssimata, viene eseguito sulla sezione normale dell’asse del dente e da questo risulta confrontando i risultati con quelli di una ruota a profilo normale ]min HO = ]min cos3 β ovvero con un angolo di pressione θ di 20° mentre per un ingranaggio a denti diritti il numero minimo di denti per evitare il sottotaglio è pari a 18, in un ingranaggio elicoidale con β pari a 30° tale valore scende a 12 e con β pari a 45° risulterebbe pari a 7.
Inoltre a parità di raggio primitivo e di numero di denti, col proporzionamento fatto sulla sezione normale del dente e perciò in base a un modulo ridotto di cosβ, il dente risulta più basso che in quelli a dentatura diritta con conseguente minore strisciamento. Con dentatura diritta potrebbe venire meno la continuità del moto, mentre nella dentatura elicoidale la trsmissione del moto è più facilmente assicurata con conseguente maggior silenziosità. Per contro le ruote elicoidali, oltre a un maggiore costo, presentano l’inconveniente di dare una spinta mutua tra i denti in presa obliqua rispetto agli assi delle ruote, spinta che deve essere contrastata con un cuscinetto reggispinta o a rulli assiale. A parità di momento trasmesso, aumentano quindi le forze che si scambiano i denti e quindi le componenti d’attrito. Ne deriva quindi un peggiore rendimento, solo in parte compensato dalla minor velocità di strisciamento, rispetto alle ruote a dentatura cilindrica, che presentano inoltre il vantaggio di avere un maggiore spessore e quindi di offrire una maggiore resistenza a flessione.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XX Sistemi vibranti a 1gdl-Moto libero e forzato non smorzato
EFFETTI DELLA DEFORMABILITÀ DINAMICA (MECCANICA DELLE VIBRAZIONI) Per le macchine viste finora, è quasi sempre possibile effettuare uno studio considerandole a un solo grado di libertà, dove ogni elemento è ritenuto rigido. In realtà essi sono approssimati, pertanto i nostri schemi sono approssimati. La deformabilità degli elementi componenti può essere voluta o indesiderata: a es. le sospensioni di un veicolo sono elementi volutamente deformabili. Purtroppo, per le difficoltà che insorgono nello studio e per gli effetti collaterali, sono ben più importanti i casi di deformabilità dinamica non voluta, quando un elemento che il progettista vorrebbe rigido si deforma, dando luogo di regola a moti vibratori indesiderati e dannosi. Per lo studio di questi moti vibratori è necessario fare qualche considerazione sui modelli matematici atti a descrivere tali fenomeni. Spesso la difficoltà consiste nell’associare un modello deformabile a qualcosa che nella realtà il progettista vorrebbe rigido. Ovviamente questi schemi devono essere i più semplici possibili ed è possibile suddividerli in due gruppi: • modelli continui (a infiniti gradi di libertà) derivanti dalla Scienza delle Costruzioni, dove riferendoci, a esempio, a una trave, ogni punto di questa può muoversi e ogni sezione può ruotare. Per descriverne il comportamento è necessario conoscere una funzione f(x) e delle equazioni alle derivate parziali. Tali modelli vengono usati per lo studio delle vibrazioni trasversali di travi o funi; • modelli discreti (a n finiti gradi di libertà) che contrastano con l’osservazione del fenomeno fisico secondo la quale la deformabilità e l’inerzia sono distribuite nel modello fisico. Per fortuna, molte volte è possibile ricondurre il modello reale a sistemi a uno o pochi gradi di libertà. Si tenga presente che per utilizzare modelli a uno o pochi gradi di libertà, è necessario prima effettuare lo studio con schemi a un numero maggiore di g.d.l. e capire sotto quali condizioni si può tornare a pochi g.d.l. senza perdere informazioni importanti per la risoluzione del problema.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XX Sistemi vibranti a 1gdl-Moto libero e forzato non smorzato
Un velivolo in atterraggio, a esempio, possiede una velocità che non è mai perfettamente orizzontale e per questo i carrelli sono dotati di opportuni molleggi che hanno il compito di dissipare l’energia associata alla componente verticale di tale velocità.
Se analizziamo in prima approssimazione l’impatto del velivolo sul campo d’atterraggio, trascurando, nel breve intervallo di tempo in cui avviene l’impatto, l’effetto dovuto alla componente orizzontale della velocità si nota che il comportamento dinamico del sistema, grazie alla grande rigidezza della fusoliera rispetto agli elementi elastici del treno d’atterraggio, può essere rappresentato dalla seguente equazione differenziale.
−P\&& − N\ = 0 Altro esempio noto dalla Meccanica Razionale è quello del pendolo per il quale la scrittura dell’equazione di equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera 2 porta a
−PO 2θ&& − PJO sin θ = 0
che per piccole oscillazioni attorno alla posizione di equilibrio, definita da θ , può essere linearizzata
sin θ ; θ −Oθ&& − Jθ = 0 dando luogo a una equazione differenziale lineare simile a quella già vista per il velivolo.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XX Sistemi vibranti a 1gdl-Moto libero e forzato non smorzato
Trattiamo il problema delle vibrazioni a un solo g.d.l. in modo generale, studiando per ora il caso che sul sistema dinamico, considerato in assenza di attriti o smorzamento, non agiscano forze esterne.
[, [& , && [, )
Per mettere in equazione il modello meccanico, dobbiamo scegliere la coordinata libera, ovviamente la [, e sceglierne l’origine. Vedremo in seguito il motivo, ma risulta comodo misurare la coordinata libera (ovvero le coordinate libere in sistemi a più gradi di libertà) a partire dalla posizione di equilibrio statico.
Consideriamo un moto traslatorio della massa e scriviamo l’equazione di moto del sistema. Vi sono due metodi per ricavare le equazioni di moto: • gli equilibri dinamici; • i principi energetici. Utilizziamo, per ora, gli equilibri dinamici. In una generica posizione deformata x(t), agiranno sul corpo la forza d’inerzia e la forza di richiamo elastico della molla, ovvero
−P[&& − N[ = 0 ⇒ P[&& + N[ = 0 equazione differenziale lineare omogenea a coefficienti costanti, la cui soluzione è del tipo
[ (W ) = $Hλ
W
dove $ è una costante arbitraria e λ un parametro da determinare. Sostituendo la soluzione nell’equazione di partenza
P$λ 2Hλ + N$Hλ = 0 W
W
che, trascurando la soluzione banale $ = 0 ⇒ [ (W ) = 0∀W (0 < W < ∞) che rappresenta l’equilibrio statico, porta a
λ2 = −
N N ⇒ λ1,2 = ±L = ±Lω 0 P P
La soluzione dell’equazione differenziale è quindi data dalla combinazione lineare delle due soluzioni date da λ e λ
[ (W ) = $1H ω0 + $2H− ω0 L
W
L
W
Lo spostamento x(t) è una quantità reale, mentre per la forma dell’equazione essa è complessa per cui affinché [ (W ) ∈ℜ possiamo ricordare che possiamo sempre moltiplicare la soluzione dell’omogenea per una costante arbitraria e quindi $ e $ possono essere reali o complesse.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XX Sistemi vibranti a 1gdl-Moto libero e forzato non smorzato
Sviluppando trigonometricamente la soluzione
[ (W ) = $1 ( cos ω 0W + L sin ω 0W ) + $2 ( cos ω 0W − L sin ω 0W ) = ( $1 + $2 ) cos ω 0W + L ( $1 − $2 ) sin ω 0W Si vede che prendendo $ e $ complessi e coniugati ($ DLE; $ DLE) si ottiene
[ (W ) = $1 ( cos ω 0W + L sin ω 0W ) + $2 ( cos ω 0W − L sin ω 0W ) = 2D cos ω 0W − 2E sin ω 0W [ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W
ovvero
Poiché entrambe le funzioni armoniche hanno lo stesso argomento:
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W = & cos (ω 0W + ϕ ) & = $2 + % 2 con % WJϕ = $
Le due costanti presenti nella soluzione ($%), ovvero l’ampiezza & e la fase ϕ sono determinate attraverso le condizioni iniziali. Supponiamo che al tempo W
[ ( W = 0 ) = [R e [& ( W = 0 ) = [&0
sostituendo si trova
$ = [0 e % =
[&0 ω0
5
T0
4 3 2 1 0 -1 -2
fase ϕ
C
-3 -4 -5
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XX Sistemi vibranti a 1gdl-Moto libero e forzato non smorzato
Il moto risulta armonico con periodo 70 =
2π , indipendente dalle condizioni iniziali mentre ω è ω0
detta pulsazione propria del sistema. Consideriamo ancora lo stesso oscillatore già visto, ma supponiamolo anche soggetto alla gravità. Nel precedente esempio avevamo posto l’origine della coordinata libera ([ ) dove è nulla la forza esercitata dalla molla. Anche in questo caso porremo l’origine \ dove la molla è scarica. L’equazione di equilibrio dinamico porta a
−P\&& − N\ + PJ = 0 ⇒ P\&& + N\ = PJ equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa. Se prendiamo ora come origine della coordinata libera [ la posizione di equilibrio statico sarà
\ = [ + δ VW && \ = && [
con
δ VW = che sostituite portano a
PJ N
PJ −P[&& − N [ + + PJ = 0 ⇒ P[&& + N[ = 0 N Ovvero, se non interessa lo studio del moto derivante in seguito all’applicazione di una forza costante nel tempo, conviene scegliere l’origine della coordinata libera nel punto di equilibrio statico in quanto si ottiene sempre un’equazione differenziale omogenea.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XX Sistemi vibranti a 1gdl-Moto libero e forzato non smorzato
[, [& , && [, )
Sempre in assenza di smorzamento e di attriti, vediamo ora cosa succede se applichiamo al sistema una forza esterna )W che supponiamo per semplicità armonica, ovvero
) (W ) = )0 sin ω W con ) e ω noti.
L’equazione di equilibrio per la massa P diventa
−P[&& − N[ + ) ( W ) = 0 ⇒ P[&& + N[ = )0 sin ω W
equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa il cui integrale generale è dato dall’integrale generale dell’omogenea associata più l’integrale particolare, ovvero
[ (W ) = [J (W ) + [ S (W ) [ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W + [ S (W ) con
[ S ( W ) = & sin ω W integrale particolare che sostituito nell’equazione di partenza
−Pω 2& sin ω W + N& sin ω W = )0 sin ω W ⇒ & =
)0 N − Pω 2
quindi
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W +
)0 sin ω W N − Pω 2
Il moto risultante risulta quindi somma di due funzioni armoniche, una con pulsazione ω e l’altra con pulsazione ω e il moto risultante non è armonico (per ω diverso da ω) e neppure, in generale, periodico a meno che una non sia multipla dell’altra
sin Qα = 2sin ( Q − 1)α cosα − sin ( Q − 2 )α
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XX Sistemi vibranti a 1gdl-Moto libero e forzato non smorzato
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W +
)0 sin ω W N − Pω 2 Caso
ω!!ω
e
Caso
ω ≅ ω0
e
)0 1 ω0 ω0 ω0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XXIII Sistemi vibranti a 1 gdl Effettuiamo un’analisi qualitativa del comportamento del sistema studiando il diagramma vettoriale delle forze agenti sulla massa.
ω ω0 L’angolo di fase è piccolo e quindi è la forza della molla a equilibrare la forzante esterna cui si somma la forza d’inerzia
ω =1 ω0 L’angolo di fase è pari a 90° per cui la forzante esterna è equilibrata dalla forza viscosa. L’ampiezza di vibrazione a regime è pari a
; =
)0 ; = 0 Uω 0 2ξ
ω >1 ω0 L’angolo di fase si avvicina a 180° e la forza impressa è equilibrata quasi integralmente da quella d’inerzia
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XXIII Sistemi vibranti a 1 gdl ,VRODPHQWRGHOOHYLEUD]LRQL Come abbiamo visto, la forzante armonica impressa al nostro oscillatore potrebbe essere dovuta a un macchinario ruotante con velocità angolare ω posto sulla massa di fondazione.
La forza trasmessa al terreno al generico tempo t, sarà
) (W ) = N[ + U[& = N;H ω + LUω ;H ω = ; ( N + LUω ) H ω = ) H ω L
W
L
W
L
WU
W
L
W
WU
dove
)WU =
)0 N 2 + ( Uω )
2
( N − Pω ) + ( Uω ) 2 2
2
ovvero
ω 1 + 2ξ ω0
2
)WU = 2 )0 ω 2 ω 2 1 − + 2ξ ω 0 ω 0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XXIII Sistemi vibranti a 1 gdl Come già visto questa forzante armonica applicata al terreno lo porterà a vibrare con un’ampiezza b ovvero con una legge del tipo
\ (W ) = E sin ω W
che forzerà le strutture circostanti Per questa struttura l’equazione di equilibrio è
−P[&& − U ( [& − \& ) − N ( [ − \ ) = 0 P[&& + U[& + N[ = U\& + N\ = E ( Lω U + N ) H ω L
W
e il relativo integrale particolare
; =
E N 2 + ( Uω )
2
( N − Pω ) + ( Uω ) 2 2
2
ovvero
ω 1 + 2ξ ω0
2
; = 2 E ω 2 ω 2 1 − + 2ξ ω 0 ω 0 Si noti che pur essendo due fenomeni diversi, la soluzione è del tutto analoga a quella della forza trasmessa
ω 1 + 2ξ ω0
2
)WU = 2 )0 ω 2 ω 2 1 − + 2ξ ω 0 ω 0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XXIII Sistemi vibranti a 1 gdl In entrambi i casi interessa che la soluzione sia = 1 tanto per la forza trasmessa al terreno quanto per la trasmissibilità
β=
; E
I parametri di progetto sono: • per la macchina eccitatrice M, ω e me
• per la struttura eccitata m, b e ovviamente ω che è uguale a quello della macchina sbilanciata.
Diagrammiamo l’andamento di che
per
ω = 2 ω0
β=
; ω al variare di . Si nota E ω0
la
trasmissibilità è pari a 1 e che al crescere del rapporto tra le frequenze la trasmissibilità scende fino a tendere asintoticamente a zero per
ω →∞. ω0
Questo fatto avviene indipendentemente dal valore dell’indice di smorzamento ξ il cui effetto è quello, al suo aumento, di ridurre l’ampiezza di vibrazione
ω ω = 1 , ma d’altro lato rallenta la diminuzione di β per > 2. ω0 ω0 ω Pω 2 > 2⇒N < e nel contempo avere valori Riassumendo, converrebbe, quindi scegliere ω0 2
per
di ξ piccoli per non ricorrere a k troppo piccoli.
Poiché abbiamo scelto di far operare la fondazione con
ω > 2 , ciò significa che tutte le volte ω0
che avvieremo o fermeremo il macchinario, entrambe le nostre fondazioni, durante il transitorio, si
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XXIII Sistemi vibranti a 1 gdl troveranno a passare per
ω = 1 e quindi non conviene avere valori dell’indice di smorzamento ω0
trascurabili in quanto ciò porterebbe ad ampiezze in risonanza elevate che creerebbero problemi ai collegamenti verso l’esterno del macchinario. In secondo luogo, operare con valori di ξ piccoli significa anche non poter più trascurare l’integrale generale dell’omogenea associata, parte della soluzione che torna a essere presente tutte le volte che avvengono delle perturbazioni, per quanto piccole, delle condizioni di regime. I problemi maggiori vengono, tuttavia, creati da k. Dal diagramma si vede, a esempio, che per ridurre del 60% le vibrazioni nelle strutture circostanti dobbiamo avere
ω ≥ 2 ovvero ω0
N ω Pω 2 ≤ ⇒N≤ 4 P 2 Tale ragionamento porterebbe a scegliere ma
δ VW =
ω0 → 0 ,
PJ J 1 = 2 ∴δ VW ∝ 2 N ω0 ω0
ovvero dovremmo realizzare fondazioni con frecce statiche molto grandi, e tale problema è ovviamente di impossibile soluzione se abbiamo macchine lente in cui ω è dell’ordine di qualche centinaio di giri/1’.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione XXIII Sistemi vibranti a 1 gdl La rigidezza k è esprimibile come
N=
) ) ) g( ) g(g $ (g $ = = = = Kg ) K ∆K Kgε Kgσ
quindi per ridurre k, scelto un materiale e quindi il modulo di elasticità E, dovremo avere delle aree A piccole e degli spessori h degli elementi elastici (a esempio un tappeto di gomma) grandi. Ma
$>
) PJ PJ g ( > ∴N > σ DP σ DP σ DP gK
ovvero
ω 02 =
N Jg( > P σ DP K
da cui si nota come dovremmo avere bassi valori di E e corrispondentemente, impossibili nei materiali, alti valori σam e comunque alti valori di h, che creerebbe problemi d’instabilità. Per tasselli di gomma dura (E = 100 kg/cm2) sollecitati a compressione vale il seguente diagramma in funzione del fattore di forma R
\ = δ VW
Nell’abaco si parte dalla conoscenza di
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
9
Lezione XXIII Sistemi vibranti a 1 gdl Meglio si comporta la gomma a taglio dove
)=
O g* G = NG 1 U22 4 + O 24 1 2
con ( ≅ 3* e
Ricordarsi infine che
)=
$g* G = N G con ρ = raggio giratore K2 K 1 + 2 36 ρ W
della sezione intorno all’asse neutro della flessione
Risulta
NW =
$g ( $g ( < N = D K K2 3K 1 + 2 36 ρ
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
10
Lezione XXIV Sistemi vibranti a 1 gdl 67580(17,',0,685$'(//(9,%5$=,21, Tra le applicazioni del nostro oscillatore vi è quella di usarlo come strumento per la misura delle vibrazioni assolute di un corpo Con riferimento alle grandezze indicate nella figura e ai relativi versi positivi degli spostamenti, avremo che
. V [0 + %[&0 = 0[&&0 = 0 ( && [L − && [0 ) che può essere riscritta usando le nostre consuete notazioni come
N[0 + U[&0 = 0[&&0 = 0 ( && [L − && [0 ) [L ( W ) = ; L sin (ωLW − ψ L )
dove
è l’andamento temporale dell’i-sima componente armonica (serie di Fourier) dello spostamento incognito x(t) del vincolo. Riordinando l’equazione avremo
&&&0 + U[&0 + N[0 = 0[&& = −ω 2 ; 0H 0[ L
L
M
(ωLW −ψ L )
L
il cui integrale particolare vale
ωL2 − 2 ; L H − Mψ − Mψ 2 −ωL ; L 0H ω0 = = ; 0L H − Mφ ; 0L = 2 2 ( −ωL 0 + N ) + MUωL 1 − ωL + M 2ξ ωL 2 ω0 ω0 L
L
L
con
ω0 =
N U U eξ= = 0 UF 2 0 ω 0
1
Lezione XXIV Sistemi vibranti a 1 gdl Se riferiamo le fasi della risposta a quelle delle componenti armoniche avremo che
ω2 − 2 ; ω0 − = ;0 H ;0 = 2 ω ω 1 − 2 + M 2ξ ω0 ω0 L
L
L
M
(φ −ψ ) L
L
L
L
= ; 0 H−
M
βL
L
L
otteniamo
ω2 − 2 ω0
;0 = 2 2 ; ω2 ω 1 − 2 + 2ξ ω0 ω0 L
L
L
L
L
e
2ξ
β = tan −1 L
ω ω0 L
ω 1− ω0
2
L
Si nota, quindi, che se ω ? ω 0 (almeno 4-5 volte) la misura dell’ampiezza della vibrazione relativa permette di ricavare quella incognita di trascinamento. L
Ovviamente, affinché la misura non sia distorta, deve essere
;0 = costante e βi =nπ ; L
L
(n=0,1,2,..,N) per i = 1,2,3,…,N Questa esigenza porta che il sismografo, tale è il nome dello strumento, abbia una frequenza propria
ω0
ω0 la seconda tenda con asintoto orizzontale a 20 log10(1/m), ovvero, nel nostro caso con m=200 [kg], a –46 dB [kg]
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XXV Sistemi vibranti a 1 gdl Da quanto detto, misurando sperimentalmente la funzione di trasferimento di un sistema meccanico possiamo ricavare quindi tutti i parametri (detti anche parametri modali) del sistema stesso. Infatti, come visto, i termini di rigidezza e di massa possono essere calcolati dal modulo della funzione di trasferimento.
+ (ω ) =
1 N 1 −
$ (ω ) = − + (ω ) ω 2 =
2
2 ω ω + 2ξ ω 0 ω 0 2
≅
1 ω se =1 N ω0
ω2 Pω2
2
ω 2 ω 2 0 − 1 + 2ξ 0 ω ω
≅
1 ω se 0 = 1 P ω
Inoltre 2
1 − ω ω ω0 Re + (ω ) = = 0 per =1 2 ω0 ω 2 ω 2 1 − ω + 2ξ ω 0 0 e
+ (ω 0 ) =
1 1 ⇒ξ = 2Nξ 2 N + (ω 0 )
Quindi nell’ipotesi che + (ω ) sia una funzione continua misurata sperimentalmente, possiamo ricavare tutti i parametri modali.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XXV Sistemi vibranti a 1 gdl /DPLVXUDGHOODIXQ]LRQHGLWUDVIHULPHQWR La catena di eccitazione e misura della funzione di trasferimento di un sistema meccanico può essere riassunta nello schema seguente
Il sistema meccanico da sottoporre alla prova deve essere opportunamente preparato e una delle fasi più importanti è scegliere come deve essere vincolata la struttura, ovvero se la struttura è libera o vincolata al terreno.
Nel primo caso, struttura sospesa, introduciamo arbitrariamente sei frequenze proprie, dovute ai moti rigidi dell’oggetto in prova. Nel secondo vi è il rischio di introdurre degli irrigidimenti alla struttura per via dei vincoli a terra aggiunti.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XXV Sistemi vibranti a 1 gdl Non minore attenzione deve essere posta nella scelta del sistema di eccitazione che può appartenere a una delle seguenti due categorie: • •
sistemi collegati alla struttura da provare (tavoli vibranti meccanici, elettromagnetici o elettroidraulici); sistemi non collegati alla struttura (elettromagneti no-contact) o solo temporaneamente connessi (martelli dinamometrici).
Entrambe le categorie presentano vantaggi e svantaggi e nel caso dei tavoli vibranti questi possono essere sospesi (con la conseguente impossibilità di misurare + (ω ) al di sotto di qualche Hz e di introdurre poca energia alle basse frequenze) o fissati al suolo. Soprattutto in quest’ultimo caso è importante studiare con attenzione il modo di collegamento con la struttura, in modo sia di non modificare il comportamento dinamico della stessa, sia di misurare la reale entità della forza F(t)ad essa applicata (la soluzione (b) è la meno indicata).
Nelle prove di strutture aeronautiche, caratterizzate da smorzamenti molto piccoli, per cui non vi è l’esigenza di fornire alla struttura energie elevate, può essere sufficiente usare un martello dinamometrico per eccitare la struttura. Lo spettro della forza applicata nell’impatto è a banda larga e ha componenti armoniche fino a circa 1 kHz, per cui è un modo molto rapido per misurare + (ω ) in quel campo di frequenze. Non potendo, tuttavia, controllare l’entità della forza applicata è facile riscontrare delle non linearità nel comportamento della struttura. Meglio è usare metodi deterministici con i tavoli vibranti, nei quali possiamo facilmente controllare l’entità della forza applicata. Senza entrare in dettagli i tavoli vibranti possono essere pilotati in modo da generare forze armoniche con ampiezza e pulsazione ω variabile a piacimento. Lo svantaggio principale di questo tipo di eccitazione consiste nella lentezza, in quanto devo prima cambiare la frequenza di eccitazione, poi aspettare che il moto imposto sia a regime e quindi infine acquisire i dati alla frequenza di eccitazione (ovvero estrarre dallo spettro della risposta il modulo e la fase Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XXV Sistemi vibranti a 1 gdl corrispondenti alla frequenza di eccitazione). Molto veloce è invece, il metodo di pilotare il tavolo vibrante con un segnale di rumore casuale (random noise) che è un segnale continuo che non si ripete mai e le cui componenti armoniche possono essere definite solo in termini statistici. Continuando a variare con continuità le ampiezze e le fasi associate a ogni frequenza, questo tipo di segnale permette di valutare la miglior stima lineare di + (ω ) , ovvero di eliminare mediamente le non linearità del sistema meccanico. Tuttavia il segnale non è periodico e quindi a rigore non potremmo usare la serie di Fourier, ma bensì l’integrale di Fourier, e inoltre non è semplice, ovvero praticamente impossibile, riuscire a generare un tale tipo di segnale. Poiché gli analizzatori di spettro operano su record discreti di lunghezza finita pari a un numero di campioni potenza di 2 (normalmente 512=29 o 1024=210) così da utilizzare i più semplici algoritmi di FFT (Fast Fourier Transform), del tutto conseguente parve di dotarli di un’uscita analogica sulla quale fornire un segnale in tensione pseudo-random atto a pilotare il tavolo vibrante. Poiché l’analizzatore di spettro opera su record di lunghezza T, viene generato un segnale random di uguale durata il cui spettro discreto è fisso e costante in
ampiezza, mentre le fasi sono casuali. Tale segnale viene fornito con continuità sull’output dello strumento. Il vantaggio principale di questo tipo di segnale consiste nel fatto che è periodico con periodo pari al periodo di campionamento dell’analizzatore e quindi le ipotesi sulle quali si basa la serie di Fourier sono tutte soddisfatte. Lo svantaggio consiste nel fatto che le eventuali non linearità eccitate da alcune componenti armoniche del segnale temporale sono presenti in modo deterministico nella risposta e non sono mediamente annullate come nel segnale random noise, nel quale le ampiezze delle medesime componenti armoniche variano con continuità.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XXV Sistemi vibranti a 1 gdl
Concettualmente derivato da quest’ultima è l’eccitazione del tipo impulsivo periodico con periodo T pari alla durata del record di campionamento dell’analizzatore. La differenza principale rispetto al precedente tipo di segnale è che la fasi sono fisse e non random. I vantaggi sono i medesimi del segnale pseudo-random, così come gli svantaggi aggravati dal fatto che il fattore di cresta (rapporto tra il valore di picco e quello efficace o RMS del segnale) è molto elevato e quindi eccita facilmente le non linearità del sistema. Da qui l’utilità di questo segnale come tipo di eccitazione di controllo con le + (ω ) ottenute con altri tipi di eccitazione. Infatti se il sistema ha comportamento lineare,
la soluzione + (ω ) dell’equazione differenziale è indipendente dal tipo di eccitazione ma dipende solo, come visto, dai parametri modali costanti.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
8
Lezione XXV Sistemi vibranti a 1 gdl
Nel tentativo di unire i vantaggi del segnale tipo random noise, impossibile a essere generato ma concettualmente ideale per ottenere un’approssimazione lineare del sistema meccanico, e di quelli periodici, gli unici che permettano la corretta applicazione della serie di Fourier, cercando di mantenere uno spettro costante con la banda più ampia possibile per determinare in un solo colpo tutte le righe di + (ω ) al variare discreto di ω, molti moderni analizzatori presentano la possibilità di fornire un segnale elettrico del tipo random periodico per pilotare il tavolo vibrante. Questo tipo di segnale è formato da un segnale pseudo-random (A) ripetuto per un paio di volte per portare a regime il sistema meccanico, più una terza volta per effettuare una prima misura di + (ω ) . A questo segue un nuovo segnale pseudo-random (B) di diversa ampiezza per tutte le componenti armoniche, normalmente ripetuto anch’esso per almeno tre volte, e quindi un altro segnale pseudo-random (C) e così via. La funzione di trasferimento, approssimazione lineare del comportamento del sistema, sarà data dalla media statistica delle N + (ω ) , ottenuta alle diverse ampiezze degli N spettri dovuti ai 3*N segnali pseudo-random, ciascuno di lunghezza T, generati L
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
9
Lezione XXVI Sistemi vibranti a 1 gdl 9,%5$=,21,75$16,725,(
Quando un sistema dinamico viene sollecitato da una eccitazione non periodica applicata improvvisamente, come nel caso di un impulso, le risposte a tali eccitazioni sono dette transitori, dal momento che generalmente non si producono oscillazioni di regime. Tali oscillazioni avvengono con le frequenze proprie del sistema e l'ampiezza varierà a seconda del tipo di eccitazione. Per prima cosa studiamo la risposta del solito oscillatore a una eccitazione impulsiva, dal momento che questo caso è importante per la comprensione del problema più generale dei transitori. Incontriamo frequentemente forze molto grandi agenti per un tempo molto breve, ma con integrale finito rispetto al tempo. Chiamiamo tali forze impulsive e il loro valore è definito dall'equazione
)ˆ =
W
+ε
∫ )GW W
La figura mostra una forza impulsiva di grandezza F /ε con durata nel tempo ε. Se ε tende a zero,
tali forze tendono all'infinito; l'impulso definito dal suo integrale rispetto al tempo è )ˆ . Quando )ˆ è uguale all'unità, tale forza nel caso limite di ε → 0 viene chiamata impulso unitario o funzione delta, e viene indicata con il simbolo δ (t- ξ) e gode delle seguenti proprietà
δ ( W − ξ ) = 0 per ≠ ξ W
∞
∫ δ ( W − ξ )Gξ = 1 0
∞
∫ I (ξ )δ ( W − ξ )Gξ = I (ξ ) 0
Dal momento che F dt = m dv, 1'impulso ˆ agente sulla massa darà luogo a una improvvisa variazione di velocità senza un apprezzabile cambiamento di posizione. Allora un oscillatore, )
eccitato da un impulso ˆ , nel caso di vibrazioni libere presenterà le condizioni iniziali )
[ ( 0 ) = 0; [& ( 0 ) = Y0 =
)ˆ P
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XXVI Sistemi vibranti a 1 gdl Se il sistema non è smorzato, la soluzione dell’integrale generale dell’equazione differenziale omogenea è data da
[(W ) =
)ˆ sin ω 0W = K(W ) )ˆ Pω0
mentre nel caso smorzato
[(W ) =
)ˆ Pω0 1 − ξ
(
)
−ξω H sin 1 − ξ 2 ω 0W = K(W ) )ˆ 2 0W
dove con h(t) si indica la risposta all'impulso unitario.
Nota la risposta h(t) del sistema meccanico a un’eccitazione d’impulso unitario è quindi possibile calcolarne la risposta a una forza arbitraria f(t), immaginandola come costituita da una serie d’impulsi )ˆ =
I (ξ )∆ξ
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XXVI Sistemi vibranti a 1 gdl Il contributo alla risposta al tempo t di ogni singolo impulso è pari a I
(ξ )∆ξ K(W − ξ )
e poiché il sistema è lineare, valendo il principio di sovrapposizione degli effetti, la risposta del nostro sistema alla forzante arbitraria f(t) è dato da W
[ (W ) = ∫ I (ξ )K(W − ξ )Gξ 0
detto anche integrale di Duhamel o della sovrapposizione (o della convoluzione). Da quanto detto, si può banalmente calcolare la risposta a una forzante a gradino del tipo f(t)=F0, già vista in precedenza. Se il sistema è non smorzato, abbiamo che
K(W ) =
1 sin ω 0W Pω 0
e quindi
) ) [(W ) = 0 ∫ sinω0 ( W − ξ ) Gξ = 0 (1 − cos ω0W ) Pω0 0 N W
coincidente, ovviamente, con quanto avevamo ottenuto attraverso le condizioni iniziali e l’integrale particolare. Inoltre, vale che la funzione di trasferimento ∞
+ ( I ) = ) K (τ ) = ∫ K (τ )H−
M
2π I τ
Gτ
0
e, ovviamente che
K(τ ) = ) −1 + ( I )
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XXVI Sistemi vibranti a 1 gdl 6,67(0,121/,1($5,
La seconda formulazione dell’equazione di Lagrange per sistemi conservativi a un grado di libertà è la seguente
G ( G7 ) − G7 + G8 = 4 GW GT& GT GT dove • T è l’energia cinetica del sistema; • U è l’energia potenziale delle forze conservative agenti; • q è la coordinata libera che si è scelta per rappresentare il moto del sistema; • Q, detta componente lagrangiana, rappresenta la somma dei lavori elementari di tutte le altre * forze agenti sul sistema per un incremento virtuale unitario δ T = 1 della variabile indipendente. In perticolare, il termine
G G7 G7 ( )− GW GT& GT
d’inerzia del sistema; il termine mentre
4 = G: δT
*
G8 GT
rappresenta il lavoro virtuale delle forze e coppie
il lavoro virtuale delle forze che ammettono potenziale,
è il lavoro virtuale di tutte le altre forze agenti sul sistema.
Potrà essere spesso comodo esprimere T, U e Q in funzione di spostamenti virtuali dxi di m coordinate geometriche xi legate alla coordinata libera q da m relazioni del tipo
[ = [ (W , T ) per i = 1,2, 3, …, m L
L
Nei casi di cui ci occuperemo, gli m legami geometrici risultano indipendenti dal tempo per cui
[ = [ (T ) per i = 1,2, 3, …, m L
L
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XXVI Sistemi vibranti a 1 gdl
[ = [ (T ) per i = 1,2, 3, …, m L
L
Ne deriva che P
P
1 7 = ∑ 7 = ∑ P [& 2 2 =1 =1 L
L
L
L
L
Ma
[& = L
G[ (T ) G[ (T ) = T& GW GT L
L
e quindi 2
G[ (T ) 1 7 = ∑ 7 = T& 2 ∑ P = 7 ( T, T& ) 2 GT =1 =1 P
P
L
L
L
L
L
Ma
7 (T, T& ) = 7 (T0 ,0) + 1 ∂ 27 + 2 ∂T 2
∂7 ∂T
(T − T0 ) + T= T0 ,T& = 0
∂7 ∂T&
T& + ... T = T0 , T& =0
∂ 27 1 ∂ 27 (T − T0 ) + (T − T0 )T& + & ∂ ∂ 2 ∂T& 2 T T T = T0 , T =0 T= T0 ,T = 0
T& 2 + ...
2
&
&
T = T0 ,T& = 0
Ricordando Lagrange e l’espressione di T si ha
G G7 ∂ 27 ( )≅ 2 ∂T& GW GT&
∂ 27 T& T&& + & ∂ ∂ T T T = T0 , T =0 T = T0 ,T = 0 &
&
e
G7 ∂7 ≅ GT ∂T
T = T0 ,T& =0
∂ 27 + ∂T 2
T= T0 ,T& = 0
∂ 27 T& ( T − T0 ) + ∂T∂T& T=T0 ,T=0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
&
5
Lezione XXVI Sistemi vibranti a 1 gdl Analogamente l’energia potenziale U dipende solo dalla configurazione e quindi
8 (T) = 8 (T ) + G8 ( T − T ) + 1 G 8 ( T − T ) 2 GT T T GT T T 2
0
0
=
2
0
2
=
0
+ ...
0
che porta a
G8 ≅ G8 + G 8 ( T − T ) GT GT T T GT T T 2
0
2
=
=
0
0
Per quanto riguarda la componente lagrangiana Q in essa compariranno i lavori virtuali uur r δ * / = ) × δ [ ovvero L
L
L
r
G[ ur r r ) × * * ur G: δ / ) ×δ [ G GT GT* = ) × [ = ) cosα G[ 4= * =∑ * =∑ = ∑ ∑=1 GT* ∑=1 GT GT* GT* GT* =1 GT =1 =1 ur
P
P
P
L
L
L
L
P
P
L
L
L
L
L
L
L
L
L
L
L
&& si avrà Poiché le Fi possono essere funzioni anche non lineari di W , T, T& , T
G4 (W − W ) + 4(W , T, T&, T&&) = 4(W , T ,0,0) + G4 W W GW T T T T GT WT WT 0
0
+
0
=0 = 0 , & = &&= 0
G4 GT& WT WT
=0 = 0 ,T& = T&&=0
T& + G4 GT&& WT WT
=0 = 0 ,T& = T&&=0
=0 = 0 ,T& = T&&=0
(T − T0 ) + ...
T&& + ...
Ovvero, utilizzando Lagrange, ed eventualmente linearizzando con Taylor i termini non lineari, perverremo sempre a una equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa del tipo
PT&& + UT& + NT = ) (W ) + )0 dove, nel caso più generale, •
•
∂ 27 P= 2 ∂T&
− T = T0 ,T& =0
G4 GT&& WT WT
U = − G4 ; GT& WT WT T T N = G 8 − G4 GT T T GT WT WT
;
=0 = 0 ,T& = T&&=0
=0 = 0 , & = &&=0
2
•
2
=
0
;
=0 = 0 ,T& = T&&=0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XXVI Sistemi vibranti a 1 gdl •
) (W ) =
G4 ; GW WT==WT ,T=T=0 0
•
0 & &&
G8 )0 = 4(W0 , T0 ,0,0) − GT
T = T0
G 28 + 2 GT
T0 T = T0
Con un’opportuna scelta di t0 e di q0 è sempre possibile fare in modo che F0 sia nullo, se non interessa studiare la risposta del sistema alla sua applicazione, e quindi risolvere l’equazione differenziale linearizzata al fine di valutare la stabilità del sistema per piccole oscillazioni attorno alla posizione q0 a partire dall’istante t0. Si vede immediatamente che se q0 è la posizione di equilibrio statico all’istante t0, definita da
4(W , T ,0,0) − G8 GT T T 0
0
=
=0
0
ovviamente misurando gli spostamenti a partire da questa posizione avremo
T = T − T0 ; T& = T&; T&& = T&&; )0 = 0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XXVII Sistemi vibranti a 1 gdl (VHPSLGLVLVWHPLQRQOLQHDUL
Molle ad aria Ricordando quanto detto a proposito dell’isolamento delle vibrazioni, possiamo dimostrare che utilizzando un sistema di molle ad aria è possibile avere frequenze proprie del sistema molto piccole con freccia statica nulla. Il comportamento della molla ad aria può essere studiato supponendo che il mantice sia costituito da un pistone e da un cilindro di area A. Indicando con p0 la pressione nella posizione di equilibrio statico del sistema, questa varrà
M
S0 $ = 0J Supponendo che l’aria segua una legge di trasformazione politropica, spostandosi la massa M, avremo di conseguenza
S090γ = S9 γ con
γ=
&S ovvero &9 γ
9 S = S (9 ) = S0 0 9
con V0 volume corrispondente alla posizione di equilibrio statico. Il lavoro virtuale compiuto dalla pressione per uno spostamento virtuale, misurato dalla posizione di equilibrio, del suo punto di applicazione vale
δ * / = − ( S(9 ) − S0 ) $δ [* e quindi
4 = −( S(9 ) − S0 ) $ ovvero
4 ≅ −( S0 +
GS S (9 − 90 ) − S0 ) $ = (γ 0 (9 − 90 )) $ 90 G9 9 =9 0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XXVII Sistemi vibranti a 1 gdl
4 ≅ −( S0 +
GS S (9 − 90 ) − S0 ) $ = (γ 0 (9 − 90 )) $ G9 9 =9 90 0
ma
9 = 90 − $[ per cui
4 ≅ (γ
S0 S 0J ( 90 − $[ − 90 )) $ = −γ 0 $2 [ = −γ $[ 90 90 90
e quindi
0[&& + γ
0J 0J $[ = 0 ⇒ ω 0 = γ $ 90 90 0
Profili alari Uno dei profili alari usati nel recente passato nello sport automobilistico era il NACA 009 che veniva montato posteriormente, collegato direttamente ai portamozzi delle ruote motrici tramite due bracci verticali. L’angolo d’incidenza α0 comunemente usato era di circa –14° così da farlo lavorare in prossimità del minimo del coefficiente di portanza CL e ottenere la massima deportanza possibile a ogni velocità (circa –1,2). Il corrispondente CD della sola ala era circa uguale per quell’angolo d’attacco a 0,12. Trascuriamo, per ora l’effetto della coppia aerodinamica e consideriamo il moto traslatorio lungo la verticale della sala posteriore completa di ala mentre sull’ala agisce la forza aerodinamica per effetto della sola velocità di avanzamento V della vettura.
V
[, [&, &&[, )
A una certa velocità V, costante, e trascurando l’effetto degli spoiler anteriori, la sospensione posteriore si troverà compressa rispetto alla posizione indeformata per effetto non solo della Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
2
Lezione XXVII Sistemi vibranti a 1 gdl quota parte del peso della vettura che su di essa si scarica, ma anche per effetto della deportanza e della resistenza.
1 5O = : O + 'K − /O ⇒ [
0
2
=
15 NV
dove W è il peso della vettura e ks è la rigidezza equivalente della sospensione posteriore (per semplicità supponiamo i montanti dell’ala rigidi). Supponiamo ora un moto verticale della sospensione con relativa traslazione dell’ala rispetto a questa posizione di equilibrio. L’ala verrà quindi investita da una velocità relativa
95 = 9 2 + [& 2
V VR
[&
con anomalia
αˆ = tan −1
[& 9 VR
L
L
αˆ
V
α D
α D
per cui scrivendo l’equazione di equilibrio alla traslazione verticale della sola sospensione posteriore, ala compresa, avremo, con ovvio significato dei simboli,
1 1 − PV && [ − UV [& − NV [ − ρ $952&' (−αˆ + α )sin αˆ + ρ $952&/ (−αˆ + α )cosαˆ = 0 2 2 che linearizzata con Taylor porta a
[ − UV [& − NV [ + − PV &&
G& (α ) 1 1 / & ρ $&/ (α 0 )9 2 − ρ $[9 + &' (α 0 ) = 0 Gα α =α 2 2 0
ovvero
G& (α ) 1 1 [ − UV + ρ $9 / − PV && + &' (α 0 ) [& − N V [ + ρ $&/ (α 0 )9 2 = 0 Gα α =α 2 2 0 Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Lezione XXVII Sistemi vibranti a 1 gdl Ora, nel caso in questione,
G&/ (α ) Gα α =α
può essere negativa assumendo valori molto maggiori di 0
G& (α ) / + &' (α 0 ) 0
che daranno luogo a un moto libero espansivo nel tempo per effetto di una perturbazione iniziale.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
4
Lezione XXVII Sistemi vibranti a 1 gdl Ad analoghi fenomeni d’instabilita (dette anche vibrazioni autoeccitate) si giunge a esempio nello studio approssimato della frenatura con freni a disco Supponiamo che la rigidezza e lo smorzamento del vincolo della pinza in direzione verticale siano ks, rs e mp sia la sua massa. Esercitando una forza N sulla pinza, nascerà una forza frenante sul disco pari a
) = 2 1I diretta in verso opposto alla velocità periferica relativa del disco e a una forza uguale e opposta sarà sottoposta la pinza. Ricordiamo che che il coefficiente di attrito varia in funzione della velocità relativa tra i due corpi che strisciano con un legge che ha l’andamento di figura.
Scrivendo l’equilibrio alla traslazione in direzione verticale (approssimabile alla direzione della velocità periferica V del disco nella zona di contatto tra questi e le pastiglie) otteniamo
− PS && [ − UV [& − NV [ + 2 1I
(9UHO ) = 0
dove
I (9UHO ) ≅ I ( 0 ) +
GI G9UHO 9
UHO
9UHO =0
ovvero
−P
[
U [ − NV [ + 2 1
S && − V &
P S &&[ + UV + 2 1 GI G9UHO
9UHO
P S &&[ + UV + 2 1 GI G9UHO 9
UHO
GI & I (0) + (9 − [ ) = 0 G9UHO 9 =0 UHO
[& + N V [ = 2 1 =0
GI I ( 0) + 9 G9UHO 9 =0
[& + N V [ = 2 1 =0
I ( 0 ) + GI 9 G9UHO 9 =0
UHO
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
UHO
5
Lezione XXVII Sistemi vibranti a 1 gdl Anche in questo caso
GI G9UHO 9
< 0 per cui esisterà sempre una forza N tale per cui
UHO = 0
UV + 2 1 GI G9UHO 9
UHO
0; p2 = kT 11kT 22 − kT 12 kT 21 > 0; b > 0; c > 0 2 = λ1,2
1 −( m k + m k ) ± ( m k + m k ) 2 − 4m m ( k k − k k ) < 0 T 11 T 22 T 21 T 12 11 T 22 22 T 11 11 T 22 22 T 11 11 22 2m11m22
essendo b > b 2 − 4ac
per cui i quattro autovalori sono tutti immaginari e il moto libero risultante è asintoticamente stabile, ovvero si annulla per effetto dell’inevitabile smorzamento.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
5
Lezione XXXII Sistemi vibranti a 2-n gdl
• la matrice [ KT ] non è definita positiva ovvero o p1 = kT 11 < 0 oppure p2 = kT 11kT 22 − kT 12 kT 21 < 0 , ovvero entrambe le condizioni sono verificate. Nell’ipotesi che p2 = kT 11kT 22 − kT 12 kT 21 = c < 0 avremo che b 2 − 4ac > b 2 > 0
e quindi
λ12 > 0; λ22 < 0 La prima radice porta a due valori opposti reali che danno luogo per la soluzione positiva a un fenomeno di instabilità statica (divergenza) essendo la soluzione del tipo { z (t )} = {Z } eλt Campo di forze non conservativo ∂F ∂F Accade che x ≠ y e la matrice [ K F ] non risulta simmetrica. ∂y ∂x Ricordando 2 λ1,2 =
1 − ( m k + m k ) ± ( m k + m k ) 2 − 4m m ( k k − k k ) 11 T 22 22 T 11 11 T 22 22 T 11 11 22 T 11 T 22 T 21 T 12 2m11m22 2 λ1,2 =
se risulta che avremo che
1 −b ± ∆ 2a
4m11m22 ( kT 11kT 22 − kT 21kT 12 ) > (m11kT 22 + m22 kT 11 ) 2 ⇒ ∆ < 0 2 λ1,2 =
1 1 1 ∓ i tan −1 ( ∆ b ) b 2 + ∆e b 2 + ∆e ∓ iα −b ± i ∆ = = 2a 2a 2a
e quindi 1 1 b 2 + ∆ eiα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 + i sin α 2 ) = ± (ψ 1 + iψ 2 ) 2a 2a 1 1 =± b 2 + ∆ e −iα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 − i sin α 2 ) = ± (ψ 1 − iψ 2 ) 2a 2a
λI , II = ± λIII , IV
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
6
Lezione XXXII Sistemi vibranti a 2-n gdl
1 1 b 2 + ∆ eiα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 + i sin α 2 ) = ± (ψ 1 + iψ 2 ) 2a 2a 1 1 =± b 2 + ∆ e −iα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 − i sin α 2 ) = ± (ψ 1 − iψ 2 ) 2a 2a
λI , II = ± λIII , IV
Ricordando la soluzione generale
{ z (t )} = {Z } eλt sappiamo che, come più volte dimostrato, ciascuna coppia di radici coniugate fornisce una sola soluzione puramente reale delle quali quella con parte reale positiva è esponenzalmente espansiva (asintoticamente instabile), mentre l’altra è esponenzialmente decrescente (asintoticamente stabile). Ovvero il moto libero risultante è ellittico e instabile con pulsazione ψ 2 . Il fenomeno prende il nome di flutter. Se invece con
4m11m22 ( kT 11kT 22 − kT 21kT 12 ) < (m11kT 22 + m22 kT 11 ) 2 ⇒ ∆ > 0
( kT 11kT 22 − kT 21kT 12 ) < 0
avremo anche che b< ∆
e quindi, essendo 2 λ1,2 =
1 −b ± ∆ 2a
avremo due soluzione reali opposte e due immaginarie coniugate, con quella positiva reale che porta alla divergenza. Gli altri casi, portano a soluzioni armoniche stabili, differenti solo nei valori delle frequenze proprie da quello già trattato nel caso di campo di forze conservativo. Banale è poi il caso in cui la matrice [ RT ] sia definita non positiva. Il sistema sarà soggetto a fenomeni di instabilità dinamica, con ampiezze crescenti esponenzialmente nel tempo.
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
7
Lezione XXXIII Sistemi vibranti a 2-n gdl
Il flutter di un profilo alare Qualora un profilo alare si comporti come un sistema a due gradi di libertà, ovvero oltre a traslare in direzione ortogonale alla vena possa anche variare l’incidenza rispetto a questa, potremo ricondurci questo modello matematico
θ
le cui equazioni di equilibrio dinamico sono: mx + rx x + k x x = L cosψ + D sinψ Jθ + rxl 2θ + k xl 2θ = M dove ψ è l’angolo tra la velocità relativa Vr della vena e la direzione della corrente indisturbata V, supposta costante. Si noti che nel puro moto rotatorio, ogni punto della superficie del profilo possiede una velocità di trascinamento diversa, quindi la velocità relativa Vr varia da punto a punto del profilo. Non sarebbe quindi lecito utilizzare la teoria quasi-statica senonché è possibile dimostrare che riferendosi alla velocità di trascinamento di un punto P1 del profilo alare, in genere vicino al bordo d’attacco, posto a una certa distanza b1 dall’asse di rotazione, è possibile utilizzare ancora la teoria quasi-statica. Di fatto immaginiamo che dal punto di vista delle azioni aerodinamiche il profilo trasli con la velocità di P1. V Varrà quindi che Vt ψ 2 x + b1θ Vt = x + b1θ;Vr = V 2 + x + b1θ ;ψ = − tan −1 V V x + b1θ x + b1θ V − sinψ = − ;cosψ = 1 Vr V Vr
(
)
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
1
Lezione XXXIII Sistemi vibranti a 2-n gdl
Istantaneamente, quindi, l’angolo d’incidenza sarà dato da
α =ψ +θ −
x + b1θ +θ V
per cui il sistema di equazioni differenziali diventa m 0
x rx 0 + J θ 0
0 x k x + rxl 2 θ 0
C (α )cosψ + CD (α )sinψ 0 x 1 2 L SV = ρ r CCM (α ) k xl 2 θ 2
ma linearizzando intorno alla posizione di equilibrio, che per un profilo simmetrico è abbiamo che α = α0 = 0 ,
1 1 dC ρ SVr2 ( CL (α )cosψ + CD (α )sinψ ) = ρ SV 2 CL ( 0 ) + L 2 2 dα 1 1 dC ρ SVr2CCM (α ) = ρ SV 2C CM ( 0 ) + M dα 2 2
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
x + b1θ (α ) − CD ( 0 ) V α =0
α =0
(α )
2
Lezione XXXIII Sistemi vibranti a 2-n gdl
Sostituendo ad α la sua espressione e riordinando, abbiamo che il campo di forze linearizzato è equivalente a 1 dCL b dC dC − L 0 + CD ( 0 ) 1 L + CD ( 0 ) dα α =0 x V dα α =0 1 V dα α =0 x 1 2 2 − ρ SV − ρ SV 2 dC θ C dCM Cb1 dCM θ 2 0 −C M V dα α =0 V dα α =0 dα α =0
per cui ρ SV dCL + CD ( 0 ) rx + 2 dα α =0 [ RT ] = ρ SVC dCM 2 dα α =0
ρ SVb1 dCL + CD ( 0 ) 2 dα α =0 rxl 2 +
ρ SVCb1 dCM 2 dα
α =0
ρ SV 2 dCL − k x 2 d α α = 0 [ KT ] = ρ SV 2C dCM 0 k xl 2 − 2 d α α =0 Potremmo, quindi, avere instabilità dinamica a un grado flessionale se il termine ρ SV dCL + CD ( 0 ) < 0 , mentre il profilo sarebbe instabile torsionalmente se rx + 2 dα α =0 rxl 2 +
ρ SVCb1 dCM 2 dα
< 0. α =0
Come è ben noto, per i profili alari normalmente usati si ha
dCL dα
>0 e α =0
dCM > 0 , per cui tali possibilità non sussistono, ma il fenomeno potrebbe dα α =0 avvenire per profili con elevata sezione frontale (a.es. travi a semplice o doppio T ecc.).
ρ SV 2C dCM Tuttavia, analizzando la matrice [ KT ] , il termine kT 22 = k xl − 2 dα
α =0 della matrice di rigidezza modifica la frequenza propria torsionale del profilo alare riducendola al crescere della velocità, mentre quella flessionale, dipendente da kT11, rimane costante. Per cui se, come accade nella realtà, la frequenza propria torsionale in assenza di vento è più alta di quella flessionale, vi sarà sempre una velocità V per cui le due frequenze diverranno coincidenti, dando luogo al fenomeno del flutter. 2
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine A.A. 2000/2001
3
Sistemi a più gradi di libertà: cinematica diretta Introduzione La posizione e l'orientamento di una terna solidale all’ultimo elemento di un meccanismo a più gradi di libertà (robot) dipende evidentemente dalle caratteristiche geometriche della sua struttura e dalla configurazione dei suoi giunti. La risoluzione del problema prevede l’individuazione di una relazione analitica esplicita che, nota la geometria e la configurazione del meccanismo fornisca la posizione l’orientazione della terna di estremità: tale procedimento viene globalmente detto cinematica diretta. La prima parte (Par.1,2,3), dedicata all'inquadramento qualitativo del problema, definisce il formalismo con cui verrà affrontata la cinematica diretta, risolve il problema in modo intuitivo per un sistema a due gradi di libertà utilizzando le trasformazioni omogenee e propone una serie di considerazioni sull'estensione del metodo a robot a sei gradi di liberta. La seconda (Par.4,5), dedicata all'approccio quantitativo alla cinematica diretta, sviluppa un metodo di modellizzazione della struttura del robot basata sull'assegnazione di terne di riferimento cartesiane ai suoi elementi e sull'utilizzo di trasformazioni omogenee per descriverne le posizioni relative. Al termine vengono proposti una serie di esempi applicativi.
1 - Cinematica diretta La cinematica diretta affronta il problema statico della ricerca delle relazioni che legano la posizione e l'orientamento dell'estremità della struttura del robot alle variabili di giunto. Tale relazione prende il nome di equazione cinematica in quanto governa il comportamento cinematico del robot (Fig.1).
Fig. 1 – Schema generale di un meccanismo a più gradi di libertà La struttura dei robot industriali è sempre costituita da una catena cinematica aperta, cioè da una serie di elementi rigidi collegati l'uno all'altro da giunti. Per identificare correttamente e sinteticamente i componenti della struttura conviene associare a ciascuno di essi un numero seguendo un'opportuna convenzione (Fig.2).
Fig. 2 – Numerazione di elementi e giunti in un robot a n giunti Nel seguito il primo elemento della struttura, cioè quello collegato a terra, sarà identificato come segmento zero e i successivi con una numerazione progressiva: 1, 2, ..., n-1, n dove n è il numero dei giunti. I giunti vengono numerati progressivamente, a partire da uno, nell'ordine in cui si incontrano muovendosi dalla base della struttura verso la sua estremità. Con questa convenzione, il generico giunto i sarà quello che unisce gli elementi i-1 e i della struttura. La cinematica diretta è meglio definita introducendo n+1 sistemi di riferimento tali che:
ϑ2 ϑ2 ϑ2 ϑ2 ϑ2
la terna O0_X0Y0Z0 sia quella base, la terna O1_x1y1z1 sia solidale con il primo elemento della struttura, la terna O2_x2y2z2 sia solidale con il secondo elemento ………………………………………………………………. la terna O2_xnynzn sia solidale con l'estremità della struttura
L'equazione cinematica è l'insieme delle relazioni che esprimono la posizione e l'orientamento della terna O2_xnynzn rispetto a quella di riferimento O0_X0Y0Z0, in funzione delle variabili di giunto. La configurazione assunta dalla struttura del robot, e quindi la posizione e l'orientamento della terna di estremità, possono essere calcolate note che siano le relazioni della cinematica diretta e gli n valori delle variabili di giunto. Premesso questo si può pensare di definire uno spazio, detto spazio dei giunti, avente un numero di dimensioni pari a quello dei giunti, cioè n. Un punto appartenente a tale spazio viene individuato da un insieme ordinato di n coordinate (n1,n2,...,nn). Quindi ad ogni configurazione assunta dalla struttura del robot corrisponderà in tale spazio un punto le cui n coordinate saranno i valori delle variabili di giunto. L'inverso non e' sempre vero in quanto i giunti hanno possibilità di movimento limitata e quindi non sarà possibile far corrispondere ad ogni punto dello spazio dei giunti una possibile configurazione della struttura del robot. La cinematica diretta può quindi essere pensata come l'insieme di quelle relazioni che trasformano un punto dello spazio dei giunti (che esprime la configurazione della struttura del robot) nella posizione ed orientamento di una terna cartesiana (quella solidale con l'estremità della struttura).
2 - Cinematica diretta per un meccanismo piano a due gradi di libertà Si consideri un meccanismo a due gradi di libertà in cui gli assi di rotazione dei due giunti siano entrambi perpendicolari al foglio in modo tale che ogni suo movimento avvenga in tale piano (Fig.3).
Fig. 3 – Schema e geometria del meccanismo Essendo due i giunti, si dovranno definire tre terne, la prima di riferimento, la seconda solidale al primo segmento della struttura e l'ultima al secondo. Essendo a priori del tutto arbitraria sia la posizione in cui sistemare l'origine che l'orientamento da dare agli assi di riferimento, conviene posizionare le terne in modo tale da semplificare il problema. Una buona soluzione per la terna di riferimento O0_X 0 Y0 Z0 è quella di fare coincidere l'origine con l'intersezione tra l'asse di rotazione del primo giunto e il piano in cui si muove il robot. Per quanto riguarda l'orientazione è conveniente che l'asse Z0 coincida con quello di rotazione del primo giunto. L'origine della terna O1_x 1y 1z1 può essere sistemata tra l'intersezione dell'asse di rotazione del secondo giunto ed il piano di movimento del robot, l'asse z1 coincidente con quello di rotazione del secondo giunto mentre l'asse x1 può essere vantaggiosamente orientato in modo da essere il prolungamento del primo braccio. L'origine dell'ultima terna, O1_x 2 y 2 z 2 , viene in genere posizionata in un punto dell'ultimo elemento della struttura particolarmente interessante, ad esempio quello in cui avviene la chiusura delle due dita. Per quanto riguarda gli assi, una buona soluzione e' di disporre z2 parallelo a Z0 e z1 e x2 come il prolungamento del secondo braccio. Nel seguito si utilizzeranno le matrici di trasformazione 4 x 4 introdotte nel capitolo precedente anche se, essendo tutti i movimenti appartenenti al piano X 0 Y0 della terna di riferimento, sarebbe in teoria possibile utilizzare delle matrici 3 x 3 che trascurino la terza dimensione. Tali matrici si ottengono da quelle che verranno utilizzate togliendo la terza colonna e la terza riga. La scelta di utilizzare comunque le più complesse matrici 4 x 4 è giustificata dalla esigenza di rendere l'esempio più aderente alla trattazione generale del problema che verrà sviluppata nel seguito. Nell'intento di semplificare la rappresentazione delle funzioni trigonometriche seno e coseno, di cui si farà un uso intenso, si adotteranno le seguenti convenzioni: sin ϑn = Sn cos ϑn = Cn sin ( ϑ m + ϑn ) = Smn cos( ϑ m + ϑn ) = Cmn
La trasformazione omogenea che descrive la terna O1_x 1y 1z 1 rispetto a quella di riferimento e':
C1 S A1 = 1 0 0
0 l1 C1 0 l1 S1 1 0 0 1
− S1 C1 0 0
attorno all'asse Z0 del sistema di La variabile di giunto è l'angolo di rotazione ϑ1 riferimento base. Questa prima osservazione permette di scrivere immediatamente la sottomatrice di rotazione rot(z, ϑ ). Rimangono da determinare gli elementi della quarta colonna, che sono poi le coordinate di O1. Tale punto è vincolata a muoversi attorno a O0 ad una distanza fissa pari alla lunghezza del primo elemento della struttura del robot (distanza tra i due assi di rotazione). Quindi e' possibile esprimere la sua ascissa e la sua ordinata in modo trigonometrico: X = l1 * C 1
Y = l1* S1
La coordinata Z di O1 non pone alcun problema in quanto e' sempre nulla. Determinate le prime tre righe della matrice non resta che completarla con la quarta per ottenere la matrice sopra riportata. La trasformazione omogenea che descrive la terna O2_x2 y 2 z 2 rispetto alla O1_x1 y 1 z 1 è:
A2
C 2 S = 2 0 0
− S2 C2
0 0
0 l2C2 0 l 2 S 2 1 0 0 1
Il procedimento per ottenere questa matrice e' analogo a quello utilizzato per determinare A1. L'equazione cinematica per questo robot a due gradi di libertà sarà:
C12 T = A1A2 = S1 2 0 0
− S12 0 l2C12 + l1C1 C12 0 l2S12 + lS1 0 1 0 0 0 1
L'esattezza dei risultati può essere verificata calcolando la posizione dell'origine O2 della seconda terna e l'angolo di cui risulta ruotata rispetto a quella di riferimento utilizzando la trigonometria. La coordinate x ed y del punto O2 si ottengono proiettando sull'asse delle ascisse e delle ordinate le lunghezze dei due bracci (Fig.4): x = l2 C12+ l1C1 y = l 2 S 21+l 1 S1
elemento [1,4] della matrice "
[2,4] "
"
La terna di estremità risulta ruotata attorno all'asse Z dell'angolo ϑ12 rispetto al riferimento, come risulta dalla sottomatrice di rotazione 3 x 3.
Fig. 4 – Schema del meccanismo con riportate le terne di riferimento e le coordinate libere Esempio: dato il robot di Fig.4, calcolare la posizione dell'estremità della struttura quando:
ϑ1 = 60° ϑ2 = -30° sapendo che: l 1 = 600 mm l2 = 500 mm Disponendo le terne come precedentemente descritto e facendo coincidere l'origine della seconda terna con il punto cercato, si ottiene: .866 − .500 .500 .866 0 0 0 0
0 733.013 0 769.615 1 0 0 1
La posizione dell'estremità della struttura sarà: x = 733.013 y = 769.615
3 - Cinematica diretta per un robot a sei gradi di libertà I robot a sei gradi di liberta rappresentano le strutture più complete effettivamente operanti in ambito industriale e quindi la ricerca della loro equazione cinematica può essere vista come il caso più complesso che si possa incontrare. L'equazione cinematica viene ricavata con l'applicazione ripetuta del procedimento utilizzato per il robot a due gradi di libertà: prima si numerano i segmenti che costituiscono la struttura e i giunti e
poi si dispongono le terne, una di riferimento e altre sei, ciascuna solidale ad un singolo elemento nella struttura del robot (Fig.5). L'equazione cinematica è la relazione matematica che, in funzione dei valori delle sei variabili di giunto, dà posizione ed orientamento della terna O6…..x6y6z6 rispetto al riferimento O0…..X0Y0 Z0 .
Fig. 5 – Schema generale dell’applicazione delle terne al meccanismo Tale relazione sarà in pratica una trasformazione omogenea, cioè una matrice 4 x 4, i cui singoli elementi saranno funzione delle variabili di giunto. La posizione e l'orientamento di una qualsiasi delle terne introdotte, rispetto alla sua precedente, può essere espressa tramite una opportuna trasformazione omogenea funzione della variabile di giunto che ne permette il movimento relativo. Quindi l'equazione cinematica può essere ottenuta come il prodotto delle sei trasformazioni omogenee che descrivono le relazioni tra le terne (Fig.5). Le sei trasformazioni di interesse sono: A1 -> A2 -> A3 -> A4 -> A5 -> A6 ->
posiz. ed orient. di " " " " " " " " " " " " " " " " " " " "
O1_X1 Y1Z 1 O2_x2y2z2 O3_x3y3z3 O4_x4y4z4 O5_x5y5z4 O6_x6y6z6
rispetto ad rispetto ad rispetto ad rispetto ad rispetto ad rispetto ad
O0 _x0y0z0 O1_x1y1z1 O2_x2y2z2. O3_x3y3z3 O4_x4y4z4 O5_x5y5z4
dove con A si indica la matrice corrispondente e con l'indice il numero del giunto che permette il movimento relativo delle due terne. Ad esempio, gli elementi della matrice A3 saranno funzione della posizione assunta dal terzo giunto ed esprimeranno la posizione e l'orientamento di O3_x3y3z 3 rispetto ad O2_x2y2z 2. L'equazione cinematica, che d'ora in poi chiameremo T, sarà data dal prodotto delle sei matrici che descrivono le relazioni tra le terne: T = A1A2A3A4A5A6 Tutto è quindi ricondotto alla determinazione delle singole trasformazioni, problema che verrà affrontato successivamente. La maggior parte delle strutture dei robot industriali prevedono che i primi tre giunti siano specializzati a posizionare gli oggetti nello spazio mentre i tre rimanenti ne permettono l'orientazione. Questa considerazione suggerisce di riscrivere l'equazione cinematica sottolineando questa specializzazione:
T = TpTo dove: Tp = A1A2A3 To = A4A5A6 La trasformazione Tp esprime la posizione e l'orientamento della terza terna, solidale con il terzo elemento della struttura, rispetto al riferimento base. Quando il robot è cartesiano tale trasformazione sarà caratterizzata dall'avere la componente rotatoria costante in quanto i primi tre assi del robot sono prismatici e quindi non modificano l'orientamento della terza terna rispetto al riferimento (Fig.6).
Fig. 6 Quando invece almeno uno dei primi tre giunti è rotoidale, anche la componente rotatoria della matrice Tp sarà funzione delle variabili di giunto (Fig.7). La trasformazione To esprime la posizione e l'orientamento della terna di estremità della struttura rispetto alla terza. Gli ultimi tre giunti delle strutture dei robot sono praticamente sempre rotoidali per cui la trasformazione To conterrà sempre una componente rotatoria funzione delle variabili di giunto. La componente traslatoria può al contrario essere nulla. Questo accade quando i giunti sono disposti in modo che i tre assi di rotazione si incontrano in un unico punto (si parla di polso sferico e la condizione e' verificata nella maggior parte dei robot industriali) che viene fatto coincidere con l'origine delle terne, dalla terza alla sesta (Fig.8a). La componente di traslazione sarà in questo caso nulla perché la posizione dell'origine della sesta terna, coincidente con quella della terza, non può essere modificata dal movimento degli ultimi tre giunti in quanto appartiene ai loro assi di rotazione.
Fig. 7 Nella pratica questa situazione si riscontra raramente in quanto la sesta terna viene sempre posizionata in un punto significativo della struttura (Fig.8b); ad esempio in corrispondenza della flangia di attacco degli utensili o coincidente con la loro estremità operativa.
Fig. 8 Quando il polso non e' sferico la To conterrà sempre una componente traslatoria risultato del movimento rotatorio dei giunti (Fig.9).
Fig. 9 La matrice T esprime la posizione e l'orientamento riferimento e quindi avrà la seguente forma:
della
sesta terna rispetto a quella di
i x 6 i T = y6 i z 6 0
j x6 j y6 j z6 0
k x6 k y6 k z6 0
O6 x O6 y O6 z 1
L'intenso uso che si farà nel seguito di questa matrice consiglia tuttavia di utilizzare una formulazione più semplice: n x n T= y nz 0
ox oy oz 0
ax ay az 0
px p y pz 1
Analizzando per colonne la matrice si ha (Fig. 10): n = vettore normale. Considerando una pinza ad apertura parallela delle dita sarà ortogonale al piano in cui avviene tale movimento. o = vettore apertura. Verrà orientato in modo da descrivere il movimento di apertura e di chiusura delle dita. a = vettore avvicinamento. Indica la normale al palmo della mano e quindi la direzione con cui l'utensile di presa deve approcciare le parti da manipolare. p = vettore posizione. Esprime la posizione dell'origine della sesta terna rispetto a quella di riferimento. In generale l'origine viene posizionata nel punto centrale della pinza quando le due dita sono completamente chiuse.
Fig. 10 Nella pratica risulta spesso conveniente adottare come terna di riferimento un sistema di riferimento cartesiano diverso da O0_X 0Y 0Z0. Questa eventualità si presenta ad esempio quando si deve gestire un'isola robotizzata in cui operano contemporaneamente più macchine. In tal caso è evidente il vantaggio di riferire le posizioni di tutti gli oggetti e le operazioni ad essi relative ad un unico sistema di riferimento.
Fig. 11 In questi casi, per descrivere la posizione e l'orientamento della sesta terna rispetto al nuovo riferimento costituito dalla terna B (base), occorrerà considerare una ulteriore trasformazione omogenea (Fig. 11). Tale trasformazione, indicata nel seguito con Z, esprimerà posizione ed orientamento della terna O0_X 0Y 0Z0 rispetto alla B. Quindi la sesta terna sarà identificata dalla trasformazione: ZT = ZA1A2A3A4A5A6 Sempre esigenze pratiche spingono ad introdurre, a volte, una ulteriore trasformazione, indicata con U, che descrive la posizione e l'orientazione dell'utensile o della pinza montato sul robot rispetto alla sesta terna (Fig. 11). Un esempio di tale esigenza si ha nei robot di saldatura in cui e' necessario conoscere il punto terminale della torcia di saldatura. Quindi la relazione che da' la posizione e l'orientamento dell'utensile manipolato dal robot rispetto alla terna base sarà: ZTU = ZA1A2 A3 A4 A5 A6 U
4 - Parametri caratteristici degli elementi della struttura Le trasformazioni omogenee Ai descrivono la rototraslazione della generica terna i-esima rispetto alla i-1-esima. La loro ricerca è semplificata dall'utilizzo della rappresentazione di Denavit e Hartenberg. Tale rappresentazione consiste in una matrice di trasformazione omogenea che permette di stabilire in modo sistematico la posizione e l'orientamento dei sistemi di riferimento solidali con i singoli elementi della struttura del robot. Prima di utilizzare questa matrice è tuttavia utile ripercorrere la strada che ha portato alla sua formulazione. Il primo passo e' l'introduzione di alcune regole per la disposizione delle terne di riferimento. Si considerino due elementi generici della struttura (i-1 e i ) e il giunto che li collega (i) che, in ambito industriale, potrà essere di tipo rotoidale (di torsione Fig.12a o di flessione (Fig12b) o prismatico (Fig.13). Ogni sistema di coordinate può essere ben definito utilizzando le seguenti regole (Fig.14):
origine all'intersezione tra l'asse di rotazione del giunto i+1 e la normale comune agli assi dei giunti i e i+1. Si noti che la terna i-esima è quindi in corrispondenza del giunto i+1-esimo. Quando i due assi di rotazione dei giunti i e i+1 sono concorrenti l'origine andrà posizionata nel punto di incontro. Quando invece sono paralleli si sceglierà, tra le infinite normali comuni, quella che passa per la prima origine ben definita che si incontra avanzando nella catena cinematica. asse z i coincidente con l'asse di rotazione del giunto i+1. asse x i lungo il prolungamento della normale comune ed orientato in direzione opposta all'asse i1. Quando gli assi di rotazione dei giunti i e i-1 sono concorrenti la normale comune degenera in un punto e quindi l'asse x i avrà direzione coincidente con quella del prodotto vettore tra z i-1 e z 1 e verso arbitrario. asse y i perpendicolare agli altri due assi in modo da ottenere una terna destra.
Fig. 12
Fig. 13 Le regole sopra esposte sono facilmente estendibili ai giunti prismatici pur di sostituire all'asse di rotazione la direzione di traslazione. Tra le infinite rette aventi tale direzione si opterà per quella passante per la prima origine ben definita che si incontra avanzando nella catena cinematica (Fig.15). La prima e l'ultima terna non possono essere completamente definite utilizzando le regole viste in quanto si trovano alle estremità della struttura.
Fig. 14
Fig. 15 Per quanto riguarda la terna base (la prima) si conviene di posizionare l'origine in un opportuno punto appartenente all'asse di rotazione del primo giunto e di far coincidere quest'ultimo con l'asse Z 0. La disposizione degli assi X 0 e Y 0 e' invece arbitraria. Per la terna di estremità risulta conveniente posizionare l'origine in un opportuno punto dell'organo terminale e di orientare gli assi in modo che sia semplice descrivere rispetto ad essi le operazioni di lavoro (Fig.10). Si considerino ora i due generici elementi della struttura di un robot riportati in Fig.14 con le relative terne. La rappresentazione di Denavit e Hartenberg utilizza quattro parametri per descrivere la posizione e l'orientamento della i_esima terna rispetto alla i-1-esima. La prima coppia descrive la geometria dell'i-esimo elemento della struttura ed è costituita pertanto da due costanti. Tali costanti sono:
a i - distanza dell'asse z i da z i-1 . Tale distanza e' la lunghezza della normale comune, cioè di quel segmento compreso tra i due assi e normale ad entrambi. Questa costante esprime la lunghezza dell'elemento della struttura.
α i - angolo formato dalle proiezioni dei due assi z
e z i-1 su un piano perpendicolare alla normale comune. Per convenzione si assume l'angolo positivo quando la proiezione dell'asse z i-1 deve essere ruotata in senso antiorario attorno all'asse x i per sovrapporla a quella dell'asse zi. Questa costante esprime l'angolo di rotazione dell'elemento della struttura. i
La seconda coppia determina la posizione relativa dei due giunti adiacenti i ed i+1 ed è formata da una costante e da una variabile. di - distanza tra le due intersezioni che gli assi xi-1 ed xi hanno con l'asse e z i-1. Tale parametro risulta essere variabile nel caso in cui il giunto i sia di tipo prismatico;
ϑi - angolo formato dalla proiezione delle due normali comuni (assi xi-1 ed xi su un piano perpendicolare all' asse e z i-1. Per convenzione si assume positivo l'angolo quando la proiezione dell'asse xi-1 deve essere ruotata in senso antiorario attorno all'asse z i-1 per sovrapporla a quella dell'asse xi. Tale parametro risulta essere variabile nel caso in cui il giunto i sia rotoidale. Con questi quattro parametri si e' in grado di rappresentare la posizione e l'orientamento della terna i-esima rispetto alla terna i-1-esima. Per semplificare la procedura che porta a scrivere la trasformazione omogenea relativa e' utile introdurre la terna intermedia Hi_x'y'z' (Fig.16). Tale terna avrà l'origine nel punto di intersezione tra l'asse zi-1 e xi , l'asse x' diretto come xi e l'asse z' come z i-1. Utilizzando le due costanti ai ed α i che descrivono la geometria dell'i-esimo elemento della struttura è possibile scrivere la trasformazione omogenea che permette di passare dalla terna Oi_x iy izi alla Hi _x'y'z'. Tale trasformazione sarà il risultato di una traslazione di ai lungo l'asse x' e di una rotazione di α i attorno all'asse x': H i=trasl(ai,0,0)rot(x', α i ) =
1 0 0 cos α i 0 senα i 0 0
0 − senα i cos α i 0
ai 0 0 1
Tramite i due parametri che descrivono la posizione relativa dei due giunti i-1 e i è possibile scrivere la trasformazione omogenea che permette di passare dalla terna Hi_x'y'z' alla Oi-1_xi1yi-1zi-1. Tale trasformazione e' composta dalla traslazione di lungo l'asse Z i-1 e dalla rotazione ϑi attorno allo stesso asse. C i S H' i= trasl (0,0 d i) rot (z, ϑi ) = i 0 0
− Si
Ci 0 0
0 0 0 0 1 di 0 1
Fig. 16 La trasformazione omogenea di Denavit e Hartenberg è data dal prodotto delle due matrici Hi ed Hi':
H i ' H i = Aii −1
Ci S = i 0 0
− S1 cos α 1 C1 cos α ii senα i 0
S1 senα − C1 senα i cos α i 0
ai Ci ai S i d 1
Per i giunti rotoidali la variabile di giunto è l'angolo ϑi mentre per quelli prismatici è la lunghezza di. Inoltre, quando il giunto i-esimo e' prismatico, la costante ai si annulla.
5 - Esempi di cinematica diretta Le fasi che permettono di ricavare l'equazione cinematica di un robot, indipendentemente dalla complessità della sua struttura, possono essere così riassunte: - definire una terna base di riferimento e assegnare ad ogni elemento della struttura una terna secondo le regole precedentemente esposte. Pur seguendo il formalismo di Denavit e Hartenberg le terne possono essere disposte in molti modi diversi per cui uno stesso problema può essere risolto con più procedimenti equivalenti al fine del risultato finale. - ricavare i parametri cinematici caratteristici per i giunti e per gli elementi della struttura. - ricavare le trasformazioni omogenee Ai che mettono in relazione la terna i-esima con la i-1-esima. - ottenere l'equazione cinematica moltiplicandole tra loro. 5.1 - Robot a due gradi di libertà Si consideri il robot a due gradi di libertà descritto nel Par. 2 e riportato in Fig. 4 e se ne determini l'equazione cinematica. Terne di riferimento: O0_X0,Y0Z0 O0: intersezione tra Z0 e il piano in cui si muove il robot. X0: direzione arbitraria. Y0: completa la terna destra.
Z0: coincidente con l'asse di rotazione del primo giunto. O1_x1y1z1 O1: intersezione tra z1 e il piano in cui si muove il robot. x1: prolungamento della normale comune agli assi Z0 e z1 passante per O0 . y1: completa la terna destra. z1: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto. O2_x2y2z2 O2: punto di chiusura della pinza del robot. x2: prolungamento del segmento O1O2 y2: completa la terna destra. z2: parallelo a Z0 e z1.
Parametri cinematici e variabili di giunto: Giunto
ϑi
d1
αi
a1
Matrice
1
ϑ1 ϑ2
0
0
l1
A1
0
0
l2
A2
2
Matrici di trasformazione D-H: Sostituendo nella trasformazione di Denavit e Hartenberg i parametri cinematici e le variabili di giunto si ricavano le matrici A1 e A 2 riportate nel Punto.2. Equazione cinematica: nx = C12 ny = S12 nz = 0 ox = -S12 oy = C12 oz = 0 ax = 0 ay = 0 az = 1 px = l2*C12+l1*C1 py = l2*S12+l1*S1 pz = 0 5.2 - Robot cilindrico a tre gradi di libertà Si consideri il robot cilindrico di Fig.17 e se ne determini l'equazione cinematica.
Fig. 17 Terne di riferimento: O0_X0Y0Z0 O0: un punto dell'asse di traslazione del primo giunto coincidente con quello di rotazione del secondo. X0: direzione arbitraria. Y0: completa la terna destra. Z0: coincidente con l'asse parallelo alla direzione di traslazione del 1° giunto passante per O0. O1_x1y1z1 O1: intersezione tra z1 e la normale comune con la retta parallela alla direzione di traslazione del terzo giunto passante per O3. x1: coincidente con X0 quando d1=0. y1: coincidente con Y0 quando d1=0. z1: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto. O2_x2y2z2 O2: intersezione tra z2 e la normale comune a z1. x2: normale al piano individuato da z1 e z2. y2: completa la terna destra. z2: coincidente con la retta parallela alla direzione di traslazione del 3°giunto passante per O3. O3_x3y3z3 O3: punto di chiusura della pinza del robot. x3: coincidente con il vettore normale della pinza. y3: coincidente con il vettore apertura. z3: coincidente con il vettore avvicinamento.
Parametri cinematici e variabili di giunto: Giunto
ϑi
di
αi
ai
Matrice
1 2
0
ϑ3
d1 0
0 -90°
0 a2
A1 A2
3
0
d3
0
0
A3
Matrici di trasformazione D-H:
A1=
C 2 S A2 = 2 0 0
1 0 0 0
0 1 0 0
0 0 0 0 1 d1 0 1
0 − S2 C2 0 −1 0 0 0
1 0 A3 = 0 0
0 1 0 0
a2C 2 a 2 S 2 0 1
0 0 0 0 1 d3 0 1
Equazione cinematica: n x = C2 ny=S2 nz=0 ox=0 oy=0 o z = -1 ax=-S2 a y = C2 az=0 p x = -d 3 S 2 + a 2 C2 p y = d 3 C 2 + a 2 S2 p z = d1 Esempio: dato il robot di Fig.17, calcolare la posizione e l'orientamento dell'estremità della struttura quando: d1 = 500 mm ϑ3 = 30 °
d3 = 400 mm sapendo che: a2 = 100 mm Sostituendo nell'equazione cinematica si calcola la trasformazione omogenea che descrive la terna di estremità rispetto al riferimento: .866 0 − .500 − 113.4 .500 0 .866 396.4 T = A1A2A3 = 0 −1 0 500 0 0 1 0
|
Il risultato ottenuto può essere verificato disegnando la configurazione della struttura corrispondente ai dati del problema. 5.3 - Robot antropomorfo a tre gradi di libertà Si consideri il robot antropomorfo di Fig.18 e se ne determini l'equazione cinematica.
Fig. 18 Terne di riferimento: O0_X0Y0Z0 O0: intersezione tra Z0 e Z1. X0,Y0: direzioni arbitrarie. Z0: coincidente con l'asse di rotazione del primo giunto. O1_x1y1z1 O1: coincidente con O0. x1: normale al piano individuato da Z0 e z1. y1: completa la terna destra. z1: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto. O2_x2y2z2 O2: intersezione tra z2 e la normale comune con z1 passante per O1.
x2: prolungamento della normale comune. y2: completa la terna destra. z2: coincidente con l'asse di rotazione del terzo giunto. O3_x3y3z3 O3: coincidente con O2. x3: coincidente con il vettore normale della pinza. y3: coincidente con il vettore apertura. z3: coincidente con il vettore avvicinamento. Intuitivamente si sarebbe tentati di sistemare l'origine di questa terna in corrispondenza del punto di chiusura della pinza. Questa sistemazione non è tuttavia compatibile con la metodologia di Denavit e Hartenberg in quanto i quattro parametri non sarebbero sufficienti per descriverne la posizione rispetto alla terna precedente. In particolare, per portare a coincidere le due origini, sarebbe necessario traslare O3 lungo l'asse x 2, movimento non permesso dal formalismo adottato. La posizione della pinza (P in Fig.18), detta l2 la distanza tra P ed O3 può essere calcolata come segue:
Px = px + l2ax Py = py + l2ay Pz = pz + l2az Infatti P si trova sul prolungamento in direzione positiva dell' asse z3, di cui si conoscono i coseni direttori ax, ay, az. L'orientamento e' invece determinato dalla conoscenza di quello della terza terna. Parametri cinematici e variabili di giunto: Giunto
ϑi
di
αi
ai
Matrice
1 2 3
ϑ1 ϑ2 ϑ3
0 0 0
-90 0 90
0 l1 0
A1 A2 A3
Matrici di trasformazione D-H: C1 S A1 = 1 0 0 A2 =
C2 S2 0 0
0 − S1 C1 0 −1 0 0 0
− S2
C2 0 0
0 0 0 1
0 l1C 2 0 l1 S 2 1 0 0 1
C 3 S A3 = 3 0 0
0 S3 0 − C3 1 0 0 0
0 0 0 1
Equazione Cinematica nx = C1C23 ny = S1C23 nz = -S23 ox = -S1 oy = C1 oz = 0 ax = C1S23 ay = S1S23 az = C23 px = l1C1C2 py = l1S1C2 pz = - l1S 2 La posizione della pinza è data da : Px = l1C1C2 + l2C1S23 Py = l1S1C2 + l2S1S23 Pz = -l1S2+l2C23 Esempio: dato il robot di Fig.18, calcolare la posizione e l'orientamento dell'estremità della struttura quando:
ϑ1 = 90 ° ϑ2 = 0 ° ϑ3 = 0° sapendo che: l1 = 600 l2 = 500 Sostituendo nell'equazione cinematica, si calcola la trasformazione omogenea che descrive la terza terna rispetto al riferimento: 0 0 T = A1A2A3 = − 1 0
0 1 0 0
1 600 0 0 0 0 0 1
Il risultato ottenuto può essere verificato osservando la Fig.18 che rappresenta il robot con questa configurazione dei giunti. La posizione del centro pinza sarà un punto che, rispetto all'origine O3 e' traslato di 500mm nel verso positivo dell'asse z3. Conoscendo i versori di z3 le coordinate di tale punto possono essere calcolate: ascissa ordinata quota
-> -> ->
600+1*500 = 1100 mm 0+0*0 = 0 mm 0+0*0 = 0 mm
L'orientamento della pinza è definito dai versori degli assi della terza terna. 5.4 - Polso sferico Si consideri il polso sferico di Fig.19 e se ne determini l'equazione cinematica.
Fig. 19 Terne di riferimento: Il polso viene normalmente collocato a valle dei tre giunti principali per permettere al robot di orientare correttamente gli oggetti. Per questo si considererà come terna di riferimento la O3_x3y3z3 mentre le successive avranno indice crescente, così come le variabili di giunto che saranno indicate con ϑ 4ϑ5ϑ6 . O3_x3y3z3 O3: intersezione degli assi di rotazione dei giunti. x3,y3: direzioni arbitrarie. z3: coincidente con l'asse di rotazione del primo giunto del polso. O4_x4y4z4 O4: coincidente con O3. x4: normale al piano individuato da z3 e z4. y4: completa la terna destra. z4: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto del polso. O5_x5y5z5 O5: coincidente con O4. x5: normale al piano individuato da z4 e z5. y5: completa la terna destra.
z5: coincidente con l'asse di rotazione del terzo giunto del polso. O6_x 6y 6z6 O6: punto di chiusura della pinza del robot. x6: coincidente con il vettore normale della pinza. y6: coincidente con il vettore apertura. z6: coincidente con il vettore avvicinamento.
Parametri cinematici e variabili di giunto: Giunto polso
ϑi
di
αi
ai
Matrici
1 2 3
ϑ4 ϑ5 ϑ6
0 0 d6
-90 90 0
0 0 0
A1 A2 A3
Matrici di trasformazione D-H: C 4 S A4 = 4 0 0
0 − S4 0 C4 1 0 0 0
0 0 0 1
C 5 S A5 = 5 0 0
0 − S5 0 − C5 1 0 0 0
0 0 0 1
C 6 S A6 = 6 0 0
Equazione cinematica: nx = C4C5C6-S4 S6 ny = S4C5C6-C4 S6 nz = -S5C6 ox = -C4C5S 6-S4 C6 oy = S4C5C6-C4 S6 oz = -S5C6 ax = C4S5 ay = S4S5 az = C5 px =d6C4 S5 py =d6S4 S5
− S6
C6 0 0
0 0 0 0 1 d6 0 1
pz =d6S5 Esempio: dato il polso di Fig.19, calcolare la posizione e l'orientamento della sua terna di estremità quando:
ϑ4=0° ϑ 5 = 0° ϑ 6 = 0° sapendo che: d6 = 150 mm Sostituendo nell'equazione cinematica si calcola la trasformazione omogenea che descrive la terna di estremità rispetto a quella di riferimento: 1 0 T = A4A5A6 = = 0 0
Il
0 1 0 0
0 0 0 0 1 150 0 1
risultato ottenuto può essere verificato immediatamente in riferimento alla fig.19.
Cinematica inversa – A. Curami, R. Sala
Sistemi a più gradi di libertà: cinematica inversa Introduzione La posizione e l'orientamento della terna di estremità di un meccanismo a più gradi di libertà dipendono dalle caratteristiche geometriche della struttura e dalla configurazione dei suoi giunti nel modo descritto nella lezione precedente. Assai meno evidente è il procedimento, noto sotto il nome di cinematica inversa, con cui determinare quale configurazione deve assumere il meccanismo affinchè la terna di estremità assuma una certa posizione ed un certo orientamento. Dopo un inquadramento qualitativo della cinematica inversa si risolve il problema per un robot a due gradi di libertà e si introduce la funzione trigonometrica inversa ATAN2(x,y). Si affronta quindi teoricamente la cinematica inversa per una struttura a sei gradi di libertà per terminare con una serie di esempi a tre gradi di libertà.
1. Cinematica inversa La cinematica inversa affronta il problema statico della ricerca delle relazioni per il calcolo delle variabili di giunto, date la posizione e l'orientamento della terna di estremità della struttura del meccanismo a più gradi di libertà e i parametri caratteristici dei giunti e dei segmenti (Fig.1). Dati una certa posizione e un certo orientamento della terna di estremità della struttura, si tratta di calcolare tutti i possibili insiemi di variabili di giunto che permettono di ottenerli. I parametri caratteristi dei giunti e dei segmenti vengono definiti durante la modellazione secondo Denavit & Hartenberg della struttura e, per ogni grado di libertà del robot, si avranno tre costanti e una variabile. La posizione e l'orientamento della estremità della struttura dipendono dal valore che le variabili di giunto assumono di volta in volta.
Fig. 1 A.A. 2000/2001 – Pag 1 di 1
Cinematica inversa – A. Curami, R. Sala
Nella pratica, la cinematica inversa utilizza come dati di partenza i valori degli elementi della matrice T:
nx n T = y nz 0
ox oy
ax ay
oz 0
az 0
px py pz 1
e ricava i valori delle variabili di giunto corrispondenti: T -->
(q1,q2 ... ,qn-1,qn) (q1,q2 ... ,qn-1,qn) ................... (q1,q2 ... ,qn-1,qn)