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Domenica La
di
DOMENICA 6 DICEMBRE 2009
Repubblica
l’attualità
Il ritorno dei lupi metropolitani PAOLO RUMIZ
cultura
Il K2 e il Duca degli Abruzzi STEFANO MALATESTA
Il 4 gennaio 1960 la morte del grande scrittore francese
FOTO © COLLECTION CATHERINE ET JEAN CAMUS, FONDS ALBERT CAMUS, BIBLIOTHÈQUE MÉJANES AIX-EN-PROVENCE, DIRITTI RISERVATI
Oggi le polemiche innescate da Sarkozy sulle sue spoglie Parla la figlia: “Un uomo solo”
Camus mio padre FABIO GAMBARO
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DARIA GALATERIA PARIGI
uando si ha un genitore celebre come il mio, ai figli resta molto poco del padre. Per questo mi esprimo il meno possibile, cercando di tenere per me la dimensione privata della nostra storia». Inizia così la conversazione con Catherine Camus, la figlia dell’autore de La peste e Lo straniero, di cui il 4 gennaio prossimo ricorrerà il cinquantesimo anniversario della scomparsa. Di Albert Camus, premio Nobel per la letteratura morto in un incidente d’auto a soli quarantasei anni, in questi giorni in Francia si parla molto, anche perché la proposta di Nicolas Sarkozy di trasferirne le spoglie nel Pantheon ha suscitato accese discussioni. In questi stessi giorni la figlia dello scrittore, che vive in Provenza nella casa acquistata dal padre poco prima del tragico incidente, manda in libreria un bellissimo libro, ricco di foto e documenti, intitolato Albert Camus, solitarie et solidarie. E in occasione di tale pubblicazione ha accettato di parlare, benché per ora non desideri intervenire nel dibattito suscitato dalla proposta del presidente: «È un’iniziativa che non mi aspettavo assolutamente», ammette con franchezza. (segue nelle pagine successive)
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l 4 gennaio 1960, sulla Statale 5, a ventiquattro chilometri da Sens, la potente Facel-Vega dei Gallimard sbanda, sbatte contro un platano e rimbalza sfasciandosi. Albert Camus muore sul colpo. Alla guida Michel Gallimard, il nipote dell’editore, è gravissimo; muore in ospedale cinque giorni dopo. Le due donne Gallimard sul retro restano indenni; il loro cane non viene ritrovato. Sul cruscotto, l’orologio è fermo alle 13.30: è ministro della cultura uno scrittore, Malraux, che alla notizia spedisce immediatamente un segretario a ritirare la borsa di Camus, che il sindaco di Sens ha trovato accanto all’auto. Nella borsa c’è in effetti un manoscritto, centoquaranta fogli coperti da una scrittura fitta e senza cancellature: è il romanzo Il primo uomo. Ad Algeri, la madre illetterata di Camus — la «donna che non pensa», che in casa, col suo amore «minerale», «passava il tempo a seguirlo con gli occhi» — come al solito non piange: « È troppo giovane», dice solo (Camus aveva quarantasei anni). Piange la gente per le strade di Parigi, nota con un po’ di stupore Queneau, della casa editrice Gallimard, dove si decide di non pubblicare Il primo uomo. (segue nelle pagine successive)
spettacoli
Biancaneve e i cinquanta nani LUCA RAFFAELLI e MICHELE SERRA
i sapori
La cassoeula ovvero Milano da mangiare DARIO FO e LICIA GRANELLO
le tendenze
Profumi, la primavera sulla pelle LAURA LAURENZI
l’incontro
Paolo Sorrentino, la malinconia creativa SILVANA MAZZOCCHI
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la copertina Anniversari Il 4 gennaio di cinquant’anni fa moriva in un incidente stradale il grande scrittore francese. Il presidente Sarkozy vorrebbe, tra le proteste, trasferirne le spoglie al Pantheon Ora la figlia Catherine racconta chi era in privato l’uomo che sosteneva che il mondo è assurdo
Ma che non per questo bisogna smettere di lottare contro le ingiustizie
FABIO GAMBARO (segue dalla copertina)
«A IL LIBRO Albert Camus, solitarie et solidarie (Michel Lafon, 208 pagine, 39,90 euro) è il libro di Catherine Camus uscito in Francia. Contiene fotografie e documenti inediti Le foto sono qui pubblicate per gentile concessione della Collection Catherine et Jean Camus, Fonds Albert Camus, Bibliothèque Méjanes Aix-en-Provence, diritti riservati
ll’inizio, ho pensato che ciò avrebbe potuto rappresentare una sorta di riconoscimento per tutti gli umili che mio padre ha sempre difeso. Un riconoscimento anche per mia nonna, una donna che ha conosciuto la povertà e la sofferenza. Poi però mi sono resa conto che le cose erano più complicate. Così, dato che per il momento ho troppi dubbi, preferisco non esprimermi, tenendomi lontana dalla polemica. So che prima o poi dovrò parlare, ma lo farò solo quando avrò le idee più chiare. Per una figlia non è facile accettare la riesumazione del padre, ma Camus è un uomo pubblico e i suoi libri appartengono a tutti. Io non voglio imporre nulla a nessuno, non sono la guardiana del tempio, anche perché il tempio non esiste. Quando mi sentirò meno implicata affettivamente, dirò come la penso, anche se allora, forse, il mio punto di vista
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L’assurdo Il mondo è assurdo; si pone allora la domanda: vogliamo accettare la disperazione senza far nulla? Suppongo che nessun uomo onesto possa rispondere di sì Da QUADERNI 1935-1948
La vita segreta di un Nobel “Lasciato solo, ma felice”
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La madre Davanti a mia madre, sento che sono di una razza nobile: quella che non ambisce a nulla A vent’anni, povero e nudo ho conosciuto la vera gloria: mia madre Da QUADERNI 1949-1959
non interesserà più». In questi giorni, molti ricordano il carattere libertario di suo padre. Anche per lei resta un tratto fondamentale? «Certo, era uomo libero, ma per lui la libertà non esisteva senza la responsabilità. Ricordava spesso che occorre sempre assumersi la responsabilità delle proprie scelte, delle azioni come delle parole. Si tratta di una forma di rispetto nei confronti degli altri. È un principio su cui insisteva molto anche in casa. Nella vita quotidiana, infatti, cercava di trasmetterci i valori presenti nelle sue opere. Per noi, il peccato capitale era il non rispetto degli altri». L’uomo privato, quindi, non era diverso da quello pubblico? «Io non ho conosciuto l’uomo pubblico, perché, fino al giorno della sua morte, in realtà non sapevo che fosse celebre. In casa, eravamo protetti dalla sua celebrità». Nemmeno al momento del Nobel? «Non avevamo né radio né televisione, quindi la notizia non ci colpì più di tanto. Mi disse che sarebbe andato in Svezia, ma per me non era un fatto particolarmente importante. Mi ricordo che gli chiesi se esistesse anche un No-
bel per gli acrobati, e siccome mi rispose di no, non diedi più di tanta importanza alla cosa. Avevamo l’abitudine di una vita semplice». Nel suo libro pubblica una lettera inedita a Nicola Chiaromonte, dove Camus ammette che la notizia del Nobel l’ha gettato nel panico... «Pensava di essere troppo giovane. Aveva solo quarantatré anni e stava attraversando un periodo molto difficile, dato che il mondo intellettuale parigino lo aveva emarginato. Inoltre, il Nobel rendeva ancora più profonda la distanza tra la realtà da cui veniva e lo scrittore che era diventato. Non bisogna mai dimenticare le sue origini popolari. In Algeria, era un bambino di strada, per il quale la lingua francese era stata una conquista. La celebrità rischiava di schiacciarlo e non lasciargli più spazio per un’esistenza sua». Trascorreva molto tempo con figli? «Aveva molti impegni pubblici, ma riusciva a essere presente nella nostra vita. Era un padre bravissimo, capace di darci molta sicurezza. Era un uomo divertente e pieno d’ironia. Ci faceva ridere, preparava da mangiare, giocava a pallone. Era pieno di vita. Ricordo mio
BAMBINO Camus a due anni
padre come un uomo felice. Una volta lo vidi triste e gli chiesi perché. Lui mi rispose che era solo. Dovevo avere nove anni e non sapevo come dirgli che con me non sarebbe mai stato solo. Ma doveva essere veramente molto solo, per dirlo a me. Era probabilmente poco dopo la pubblicazione de L’uomo in rivolta». Quel libro produsse la rottura con Sartre. Ne soffrì molto? «Erano amici e quindi ne soffrì, ma credo che la rottura avvenne più per opera di Simone de Beauvoir che di Sartre, che mio padre considerava un uomo generoso. La polemica lo ferì, perché, più ancora del libro, gli attacchi miravano a lui personalmente. Molti si allontanarono da lui. Solo alcuni amici gli rimasero vicini, come Nicola Chiaromonte, Ignazio Silone, René Char o Louis Guilloux». La sua denuncia dello stalinismo fu molto osteggiata? «Fu un vero scandalo, fu accusato di essere di fatto un alleato della destra. Per mio padre ciò che contava era la dignità umana, indipendentemente dagli schieramenti politici. Si poneva sempre dal punto di vista dell’uomo e
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La nobiltà della miseria la sua unica fede DARIA GALATERIA (segue dalla copertina) l romanzo era bellissimo e Camus — dopo Kipling, il più giovane premio Nobel della storia — amatissimo nel mondo. Ma in casa editrice — consultati gli intellettuali di riferimento — ritennero inopportuna la diffusione di quel libro. Il primo uomo era la risposta di Camus al problema algerino, che dal 1954 squassava Francia e Algeria, ed è stato un laboratorio dei conflitti che, a cinquant’anni dal pomeriggio di quell’incidente, agitano la nostra epoca. Da tre anni, Camus, che pure «aveva male all’Algeria, come si ha male ai polmoni», taceva. Il primo uomo è un po’ suo padre, uno dei primi coloni in Algeria; nel 1914, quando Albert ha un anno, muore nella battaglia della Marna. La madre, Catherine, è tornata, quando il marito è partito in guerra, dalla mamma: tre stanze senza acqua né elettricità, in cui vivono anche due fratelli di Catherine e, a un certo punto, una nipote. «Nessuno intorno a me sapeva leggere; tenetene conto», raccomandava Camus. Nel romanzo è la nonna che comperava le scarpe, che «sperava immortali», e che ferrava con grossi chiodi conici perché la suola non si consumasse. Ogni sera, il bambino doveva dimostrare di non averle usurate giocando a calcio sul cemento; quando le suole si staccavano, le legava con un laccio, ma erano «le sere del nerbo di bue»: «Lo sai che costano». I vestiti, per durare, erano troppo grandi, e il bambino era costretto a sbuffare in vita l’impermeabile, stringendo bene la cintura — tanti anni dopo, a New York, chiamavano Camus, per quell’abitudine, «il piccolo Bogart» (gli assomigliava in effetti; era solo molto più alto, e, con la sua «aria da garagista», più bello). La miseria era già una prima risposta alla guerra d’Algeri; i poverissimi si confondono, e ci guadagnano a fraternizzare. Camus aveva sognato perciò un popolo algerino autonomo, e federato con quello dei piccoli coloni francesi (i grandi andavano beninteso eliminati; personalmente Camus aveva difeso i militanti del Fnl imprigionati e torturati). Ma i due campi si erano specializzati, rispettivamente, in terrorismo e napalm. Alla consegna del Nobel, un algerino aveva chiesto a Camus di pronunciarsi in favore della causa d’Algeria; lui aveva risposto: «Tra la giustizia e mia madre, scelgo mia madre» — che era una citazione distorta di Dostoevskij, e anche una testarda protesta contro la violenza, a protezione del più debole, che era ancora la madre. Ma la frase non gli fu perdonata. Quando, prima che gli scoprissero la malattia ai polmoni, Camus giocava a calcio, era portiere. Aveva imparato una grande lezione, che il pallone non arriva mai da dove ce lo si aspetta. Anche gli attacchi gli erano venuti sempre dai più vicini. All’uscita de L’uomo in rivolta, Sartre aveva attaccato il saggio, con le sue denunce di Stalin; tutto il suo gruppo aveva rotto con Camus. Camus soffriva di «pene d’amicizia, come si hanno pene d’amore». « Soffri?», gli aveva chiesto la figlia Catherine, vedendo il padre assorto: «No, sono solo», gli aveva risposto Camus. Lo splendido filosofo Merleau-Ponty, cinque anni dopo quella lacerazione, leggendo dei gulag, si era ricreduto. C’è da imparare qualcosa anche a rileggere oggi Actuelles III, che raccoglie gli articoli di Camus sull’Algeria. Ora, a cinquant’anni dalla morte, Catherine Camus pubblica un ritratto dal titolo Albert Camus, solitaire et solidaire (Michel Lafon, 208 pagine, 39,90 euro) tutto intessuto di foto e di documenti, a volte inediti, di quel suo padre «vertiginoso». Vediamo la casa dei coloni Camus, di primitiva semplicità; seri e composti, il maestro Germain e il professor Grenier, che lottano per convincere la nonna e il ragazzo a fargli continuare, con le borse, gli studi; e poi il sole, il teatro, le donne (Jean Grenier rimproverava a Camus «l’ossessione freudiana per i seni»), le battaglie del giornalismo, in maniche di camicia, ad Algeri e a Parigi; la Resistenza e Combat, foglio clandestino; gli anni del Lo straniero e La peste, col suo enorme successo, a milioni di copie; il lavoro da Gallimard, e gli intellettuali di Parigi; a Stoccolma per il Nobel, con lo smoking affittato a rue de Buci; la madre di straziante cartapecora; e poi Camus in vacanza nel Lubéron col grande poeta Char (Gallimard festeggia Camus con un suo inedito itinerario con Char attraverso il paese di quelle estati, foto di Henriette Grindat, 80 pagine, 22,50 euro; e, a seguire, la corrispondenza con Michel Gallimard, mentre dai Bouquins Laffont Jean Yves Guérin dirige le mille pagine di un Dictionnaire Camus). Non lontano da Char, Camus finì per comperare una casa, nell’incantata Lourmarin, dove riposa. Sarkozy ha recentemente lanciato l’idea di traslarlo al Pantheon. I francesi vicini a Camus pensano che sia meglio lasciare le sue ossa a scaldarsi al sole di Provenza.
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non dell’ideologia. Per questo, nel mondo intellettuale francese rimase solo. Non faceva parte di alcun partito. Diceva sempre che l’unico partito cui avrebbe potuto aderire era il partito di quelli che non sono mai sicuri di aver ragione. Il partito del dubbio. Senza dimenticare le sue origini popolari. La maggior parte degli intellettuali francesi erano dei borghesi che avevano frequentato le migliori scuole. Lui era diverso e per di più veniva dall’Algeria, in un’epoca in cui la Francia guardava soprattutto al nord, rimuovendo la sua dimensione mediterranea». Per Camus la mediterraneità era importante? «Certo. Amava moltissimo la Spagna, la Grecia e soprattutto l’Italia. Per lui, il mare e il sole erano fondamentali. Ha anche scritto che gli sarebbe piaciuto morire sulla strada che sale verso Siena». Oggi Camus è apprezzato da tutti. Non teme che l’eccesso di consenso rischi di imbalsamare la sua immagine ribelle? «No, perché Camus sa difendersi molto bene. I suoi scritti sono lì a provarlo». © RIPRODUZIONE RISERVATA
La povertà È solo il mistero della povertà che fa gli uomini senza nome e senza passato I muti Erano e sono più grandi di me Da IL PRIMO UOMO (appendici)
LE IMMAGINI Al centro del paginone, Camus gioca con il figlio Jean; accanto alla foto, lo scrittore ritratto da Tullio Pericoli, attorno una serie di scatti, manoscritti e documenti In copertina lo scrittore con i due figli, Jean e Catherine
Gli intellettuali In compagnia degli intellettuali, non so perché, ho sempre l’impressione di avere qualcosa da farmi perdonare Questo mi toglie la naturalezza, e così, mi annoio Da PERCHÉ FACCIO TEATRO?
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