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Italian Pages 2103 Year 2002 - 2009
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXII · Numero 1 · Giugno 2002
PISA · ROMA
ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI® MMII
Elisabetta Ulivi*
Benedetto da Firenze (1429-1479) un maestro d’abaco del XV secolo Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI
* Dipartimento di Matematica, Viale Morgagni 67/A, 50134 Firenze. Lavoro eseguito nell’ambito del Progetto di interesse nazionale “Storia della matematica in Italia”. A p. 210 si trova una lista delle sigle con cui nel corso del lavoro sono indicati gli archivi e le biblioteche citate.
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXII · (2002) · fasc. 1
Sommario Introduzione
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Benedetto da Firenze nella tradizione abacistica
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La famiglia
14
Benedetto di Antonio
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Benedetto dell’abaco
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Le scuole di M° Benedetto e le sue relazioni con gli abacisti fiorentini del Quattrocento
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Sui trattati di M° Benedetto
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Appendice 1. Documenti dell’Archivio di Stato di Firenze
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Appendice 2. Abacisti fiorentini Famiglie di abacisti Scuole d’abaco a Firenze
195
Elenco delle sigle
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Bibliografia
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Indice dei nomi di persona
220
Indice dei luoghi, monumenti e istituzioni
236
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXII · (2002) · fasc. 1
Introduzione
Quisquis Arithmeticae rationem discere, et artem Vult, Benedicte, tuos libros, chartasque revolvat, Possit ut exiguis numeris comprendere arenam Littoris, et fluctus omnes numerare marinos.
Con queste parole elogiative, il poeta fiorentino Ugolino Verino1 ricordava Benedetto da Firenze, uno degli autori più significativi del Quattrocento legati alla trattatistica dell’abaco. Nonostante il suo valore e la sua notorietà, su Benedetto si avevano finora scarsissime notizie biografiche. Indiscutibili sono quelle che si leggono nei suoi stessi scritti: il suo nome di battesimo, senza peraltro alcuna precisazione sul patronimico, il suo luogo di origine, Firenze, l’indicazione dei suoi studi matematici sotto la guida di Calandro di Piero Calandri e della sua professione di maestro d’abaco. A un’altra attività del Nostro sono legati due documenti del fondo Operai di Palazzo dell’Archivio di Stato di Firenze, che si riferiscono ad alcuni lavori di ristrutturazione del Palazzo della Signoria cui partecipò anche Benedetto dell’abaco nelle vesti di misuratore. Tali documenti vennero resi noti dal Gaye2 e ricordati in una delle Schede del Poligrafo Gargani della Biblioteca Nazionale di Firenze3. Di incerta fonte era l’informazione riferita dal Solmi e da Hart circa la data di nascita di M° Benedetto che i due studiosi collocavano nel 1432. Probabile, ma solo ipotetica, la notizia riferita dagli stessi di un diretto rapporto tra Benedetto e Leonardo da Vinci, e che risalirebbe agli anni della giovinezza del grande scienziato4. 1
Cfr. Verino [1790], p. 112. Cfr. Gaye [1839], pp. 253-254. 3 BNF, Poligrafo Gargani 1, scheda 143. 4 Cfr. Hart [1961], p. 28; Solmi [1900], pp. 12-13. L’osservazione relativa ai presunti rapporti tra Leonardo e Benedetto fu suggerita al Solmi dalla presenza, nel Codice Atlantico, di una lista di 2
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A livello del tutto congetturale erano infine le identificazioni del Nostro con un altro “Benedetto da Firenze” che fu maestro d’abaco pubblico a Brescia nel 14365, e con un “B. guardi” citato nel prologo del manoscritto Palat. 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze6. Attualmente moltissimi documenti, da noi reperiti dopo lunghe ed attente indagini, fanno piena luce sulla figura di M° Benedetto, ampliando, confermando o smentendo quanto finora scritto dell’illustre abacista. Le principali fonti – oltre agli Operai di Palazzo – sono i seguenti fondi dell’Archivio di Stato di Firenze: Prestanze, Estimo, Catasto, Monte Comune o delle Graticole: Copie del Catasto, Decima Repubblicana, Notarile Antecosimiano, Podestà, Mercanzia, Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, Compagnia poi Magistrato del Bigallo, Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri, Ospedale di Santa Maria Nuova. Altre notizie si ricavano dalle Schede del già citato Poligrafo Gargani e da alcuni repertori genealogici: la Raccolta Sebregondi, il fondo Ceramelli-Papiani, e le Carte dell’Ancisa del fondo Manoscritti, tutti dell’Archivio di Stato, il Necrologio fiorentino del Cirri, conservato alla Biblioteca Nazionale. Nel corso della nostra esposizione abbiamo riportato solo dei passi di alcuni documenti. In una prima Appendice abbiamo trascritto integralmente tutti quelli relativi a M° Benedetto, e per esteso o parzialmente i più significativi che si riferiscono ai suoi familiari. L’ampia documentazione qui raccolta – con la sola esclusione dei due documenti segnalati dal Gaye e dal Gargani – è del tutto originale. Oltre a fornire importanti informazioni sulla famiglia del Nostro, permette di ricostruire le tappe più salienti della sua vita di uomo e di abacista, sullo sfondo della Firenze del Quattrocento e nell’ambito culturale, in particolare scientifico, del tempo7. personaggi illustri del tempo in cui compare “Benedetto dell’abbaco” e che egli interpretò come il ricordo di Leonardo di una conversazione avvenuta con gli stessi forse su materie astronomiche. Il passo in questione è il seguente: “Quadrante di Carlo Marmocchi - Messer Francesco, araldo Ser Benedetto da Cepperello - Benedetto dell’abbaco - Maestro Pagolo, medico - Domenico di Michelino - El Calvo de li Alberti - Messer Giovanni Argiropolo”: cfr. Leonardo da Vinci [19751980], vol. I (1975) pp. 91-92 (Tavole, c. 42v). 5 Cfr. Arrighi [1969], p. 127. 6 Cfr. Van Egmond [1976], p. 360. 7 Nella trascrizione dei documenti abbiamo sciolto le abbreviazioni, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunte le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono a una lacuna nel documento. Ricordiamo che l’anno fiorentino iniziava il 25 marzo. Nel fare riferimento ai singoli documenti, abbiamo sempre seguito la datazione moderna, mantenendo quella originale solo all’interno dei documenti stessi. Un doveroso ringraziamento va a Gino Corti per la collaborazione nella trascrizione di alcuni documenti.
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Conclude il lavoro una seconda Appendice: Abacisti fiorentini, Famiglie di abacisti, Scuole d’abaco a Firenze. Si tratta di un primo e solo schematico risultato di una lunga ricerca ormai in fase conclusiva che, prendendo spunto dal fondamentale studio di Van Egmond8, ha portato al reperimento, in archivi e biblioteche di Firenze, di centinaia di documenti su abacisti e scuole d’abaco in un periodo compreso tra la seconda metà del XIII secolo e la prima del XVI. Su quasi tutte queste scuole avremo modo di soffermarci anche in relazione alla biografia di M° Benedetto.
8
Cfr. Van Egmond [1976].
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1. Benedetto da Firenze nella tradizione abacistica Il panorama matematico italiano del basso Medioevo e del primo Rinascimento è dominato essenzialmente dalla trattatistica dell’abaco. I libri d’abaco - di cui rimangono circa trecento esemplari distribuiti in biblioteche di tutto il mondo, in massima parte italiane e soprattutto fiorentine9 – sono redatti nella lingua volgare delle varie regioni, spesso in volgare toscano, prendendo come modelli le due importanti opere di Leonardo Pisano, il Liber abaci e la Practica geometriae10. Rispetto a queste presentano però, in generale, una maggiore semplicità e una minore estensione, pur contenendo a volte elementi innovativi. I trattati d’abaco hanno un carattere prevalentemente tecnicopratico; essi svolgono, in misura diversa, gli argomenti tipici della matematica mercantile, con la presenza, seppure meno frequentemente, di questioni relative alla geometria pratica e all’algebra, nonché di problemi di matematica ricreativa, talvolta anche di aritmetica speculativa, teoria delle proporzioni e teoria dei numeri. Gli autori potevano essere, in qualche caso, mercanti, artisti o cultori della matematica, ma erano per lo più maestri d’abaco, che insegnavano cioè nelle “scuole d’abaco”. Durante i secoli XIII-XVI, le scuole d’abaco ebbero una vasta diffusione in molte località italiane. Nella maggior parte dei casi, erano essenzialmente comunali o finanziate da corporazioni mercantili, più raramente, e in alcuni grossi centri, erano del tutto o in prevalenza a caratteri privato. Nella Firenze del basso Medioevo e del primo Rinascimento, l’insegnamento dell’abaco si svolgeva privatamente in case o botteghe di proprietà dei docenti o da loro prese in affitto, da cui la denominazione di “botteghe d’abaco”. Spesso due o più maestri si associavano, lavorando insieme nella stessa bottega, e dividendo sia l’eventuale affitto che i proventi della scuola. La quota pagata dai singoli studenti, come anche la frequenza, nelle diverse scuole, subivano variazioni legate alla particolare situazione economica e demografica del periodo storico, oltre che al prestigio delle scuole e dei relativi titolari, forse anche all’ubicazione delle scuole stesse. Tra la seconda metà del Duecento e la prima metà
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Cfr. Van Egmond [1980]. Cfr. Pisano [1862].
del Cinquecento si susseguirono a Firenze una settantina di abacisti11, quasi tutti maestri d’abaco, e si ha notizia di venti scuole d’abaco. Una delle figure di massimo rilievo fu quella di M° Benedetto. Assieme alla “scuola di grammatica”, la scuola d’abaco costituiva un livello di studi medio, che faceva seguito ad un primo ciclo scolastico in cui i ragazzi imparavano la lettura e la scrittura in latino e volgare. Mentre la scuola di grammatica era dedicata all’approfondimento della grammatica latina e allo studio delle lettere, della retorica e della logica, la scuola d’abaco era riservata all’apprendimento della matematica e aveva essenzialmente lo scopo di preparare all’esercizio di attività mercantili, commerciali ed artistiche, ma veniva frequentata anche da ragazzi di famiglia nobile e da chi desiderava proseguire gli studi per intraprendere poi una professione. Il corso nella scuola d’abaco iniziava per lo più verso i 10-11 anni, con una durata di circa due anni: il momento dell’ingresso nella scuola poteva però sensibilmente variare, e così il periodo di apprendimento che era adeguato alle esigenze e alle attitudini dell’allievo. L’insegnamento si divideva in sezioni, dette “mute”; si svolgeva sia di mattina che di pomeriggio, era basato su esercitazioni scritte ed orali, e prevedeva compiti per casa. Anche il programma di studi poteva variare e comprendeva parte degli argomenti normalmente svolti nei Trattati d’abaco. Dobbiamo tuttavia sottolineare che questi ultimi non furono in generale concepiti come libri di testo, ma ebbero in prevalenza carattere di promemoria, utili a chi, dopo aver frequentato la scuola d’abaco, era nell’esercizio delle proprie attività; solo in parte, soprattutto durante il XV secolo, si andò delineando e accentuando il loro intento didattico. Nel Quattrocento, sempre nell’ambito della tradizione abacistica, emergono alcune opere manoscritte che, per estensione e contenuto, si pongono ad un livello nettamente più elevato rispetto agli altri testi d’abaco. Tali opere, spesso definite le “enciclopedie” matematiche del primo Rinascimento, si configurano come ampi compendi del sapere matematico del tempo. Esse propongono, in una trattazione organica e sistematica, tutti gli argomenti tipici della matematica dell’abaco, con l’aggiunta di questioni spesso del tutto assenti o solo in parte presenti nei trattati minori, e con costanti richiami e riferimenti ad autori anteriori. Riportano inoltre alcune trascelte di opere non pervenuteci, dovute a noti abacisti dei secoli XIV e XV, non infrequentemente 11
Ossia studiosi ed esperti della matematica dell’abaco.
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corredate da informazioni biografiche sui relativi autori, e da notizie su alcune delle più importanti scuole d’abaco di Firenze12. Una di queste “enciclopedie” è l’estesa Praticha d’arismetricha contenuta nel codice Palat. 573 della Biblioteca Nazionale di Firenze13. Venne compilata da un anonimo abacista che si dichiara allievo di Domenico d’Agostino Vaiaio, ed era quasi sicuramente rivolta a Girolamo di Piero di Cardinale Rucellai. Allo stesso autore è stata attribuita anche una Praticha di geometria conservata nel Palat. 577 della stessa Biblioteca14. Una versione, in parte rielaborata e ridotta di entrambi, è contenuta nel codice Ottobon. Lat. 3307 della Biblioteca Apostolica Vaticana15. I tre trattati furono presumibilmente composti attorno al 1460-146516. Nel codice L.IV.21 della Biblioteca Comunale di Siena, datato 146317, si trova un’altrettanto estesa Praticha d’arismetricha attribuita a Benedetto da Firenze. Di tale opera ci sono pervenute altre due copie contenute nei codici Plimpton 189 della Biblioteca della Columbia University di New York, non datato, e nell’Ash. 495 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, che riporta la data 6 febbraio 1494. L’ampio codice senese, forse destinato ad un membro della famiglia Marsuppini18, è l’unico esemplare completo dell’opera, mentre negli altri due manca la parte finale19.
12 Sulla trattatistica dell’abaco, sulle scuole d’abaco e sulle “enciclopedie” del primo Rinascimento si vedano: Arrighi [1965-1966, 1966, 1986]; Bartolozzi, Franci [1990]; Franci [1981, 1984, 1985, 1986, 1988b, 1990, 1992a, 1992b, 1996, 1998, 2000]; Franci, Toti Rigatelli [1982, 1985, 1988, 1989]; Goldthwaite [1972]; Rivolo, Simi [1998]; Simi [1992, 1993, 1996, 2000a]; Simi, Toti Rigatelli [1993]; Toti Rigatelli [1985, 1986, 1992]; Ulivi [1993, 1994, 1996, 1998, 2002]; Van Egmond [1976]; inoltre i lavori pubblicati in Commerce et Mathématiques [2001]. Sulla scuola in Italia nel periodo in questione, rimandiamo a Grendler [1989]; si veda anche Verde [1973-1994]. 13 Sul codice Palat. 573 cfr. Arrighi [1967a, 1967b]; Gratia de’ Castellani [1984]. 14 Cfr. Simi, Toti Rigatelli [1993], pp. 462-463. Il codice era stato precedentemente attribuito a M° Benedetto: cfr. Picutti [1979], pp. 196, 206 e Picutti [1989], p. 76. Oltre al trattato di geometria il codice Palat. 577 contiene anche una volgarizzazione del Liber Quadratorum di Leonardo Pisano. Si vedano Arrighi [1967e] e Picutti [1979]. 15 In generale sul codice Ottobon. Lat. 3307 cfr. Arrighi [1968a]. Inoltre: Anonimo Fiorentino [1998]; Arrighi [1967c]; Simi [1999, 2000b]. 16 Sulla datazione dei codici Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307 e sul problema della loro paternità, si veda l’ultimo capitolo. 17 Si veda in proposito Arrighi [1965]. Sul contenuto dell’ L.IV.21 cfr. anche: Arrighi [1967d]; Benedetto [1982]; Biagio [1983]; Giovanni di Bartolo [1982]; Mazzinghi [1967]; Franci [1988a]; Franci, Toti Rigatelli [1983]; Pancanti [1982]; Picutti [1978, 1979]; Leonardo Pisano [1984]; Urbani [1979/80]. 18 Si veda Arrighi [1965], p. 370; cfr. inoltre la nota 209. 19 Segnaliamo che, in realtà, tra le “enciclopedie” matematiche del primo Rinascimento, è da includere anche un’opera a stampa, la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità di Luca Pacioli che fu pubblicata a Venezia nel 1494. In essa, esattamente nel Tractatus geometrie, il matematico di Sansepolcro inserì tra l’altro una copia della Praticha di geometria contenuta nel codice Palat. 577. Si veda in proposito Picutti [1989], p. 76. In generale sul contenuto della Summa cfr. Ulivi [1994], pp. 41-57.
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Probabilmente verso il 1465, M° Benedetto compose anche un Trattato d’abacho di cui conosciamo diciotto copie, distribuite in biblioteche di tutto il mondo20. Questo testo, benché di contenuti e dimensioni nettamente inferiori rispetto al precedente, occupa ugualmente un posto di rilievo nell’ambito della trattatistica dell’abaco per la sua organicità ed importanza didattica. Ricordiamo infine che nel trattato di aritmetica, l’autore rimanda ad una sua opera geometrica, scrivendo “... in altro trattato di geometria parleremo”21, opera forse non pervenutaci o non ancora individuata.
20 La copia contenuta nel codice Acq. e Doni 154 della BMLF è stata pubblicata a cura di G. Arrighi ed attribuita a Pier Maria Calandri: cfr. Calandri [1974]. Per alcune precisazioni e osservazioni circa l’attribuzione a M° Benedetto della Praticha d’arismetricha del codice senese e del Trattato d’abacho si veda qui l’ultimo capitolo. In particolare, per la datazione del Trattato d’abacho cfr. la nota 207. 21 BCS, L.IV.21, c. 1v; Arrighi [1965], p. 380.
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2. La famiglia Maestro Benedetto appartenne ad una famiglia piuttosto numerosa che conobbe, almeno per un certo periodo, una notevole agiatezza. I suoi genitori furono Antonio di Cristofano di Guido, o Guidone, soprannominato “Rosso”, e Monna Taddea di Domenico di Piero. Il padre di Benedetto nacque nel 1381, la madre verso il 138722. Molto probabilmente il nonno paterno fu un Cristofano di Guidone che compare in due rogiti del 17 e 18 novembre 141823, conservati tra le filze del notaio Niccolò Mangeri con il quale dieci anni dopo lo stesso Antonio di Cristofano stipulò un contratto di acquisto. Sia dall’Estimo del Contado del 141424 che dai suddetti documenti notarili, Cristofano di Guido risulta in quegli anni abitante nel Comune di Montevarchi del Piviere di Cavriglia, nella zona del Valdarno Superiore, dove possedeva tra l’altro un terreno in località Bottaio. Come vedremo, la famiglia di Benedetto ebbe diversi poderi proprio in quella zona. Già all’Estimo del 1412, Cristofano di Guido compare inoltre tra i confinanti di altri poderi, sempre a Montevarchi, assieme a Ser Giovanni Guiducci25, padre di frate Mariotto, un maestro d’abaco fiorentino26. Meno probabile ci sembra l’identificazione del padre di Antonio con un Cristofano di Guido “maestro, fa candele di sevo” o con un Cristofano di Guido di Torello “famiglio de’ Signiori”, entrambi
22 Cfr. Appendice 1, documenti 2-9. Avvertiamo che per tutte le date di nascita, qualora non siano precisamente indicate nei Libri dell’età dell’ASF o nei Registri dei Battesimi dell’AOSMFF, abbiamo sempre fatto riferimento ai Catasti. Da questi ultimi le date sono comunque sempre deducibili con approssimazione. Ricordiamo che i Libri dell’età cominciano a registrare le date di nascita dei cittadini fiorentini a partire dal 1373, ma forniscono solo elenchi parziali, mentre i Registri dei Battesimi iniziano dal 1450. 23 Cfr. Appendice 1, documenti 17 e 18. 24 ASF, Estimo 279, c. 105r. 25 Cfr. Appendice 1, documento 1. 26 Mariotto (n.1427-1447) fu un frate francescano; studiò l’abaco sotto la guida di Antonio di Salvestro dei Micceri da Figline (n.1413/17-m.1445). Mariotto ha lasciato un Libro d’arismetricha, conservato alla BNF nel codice Conv. Soppr. I. 10. 36 (c. 1465). Cfr.: Giusti [1993]; Van Egmond [1976], p. 392; Van Egmond [1980]. Qui ed in seguito, per le persone citate nel corso del lavoro, le date precedute da n. ed m. sono quelle (esatte o approssimate) corrispondenti rispettivamente alla nascita e alla morte; le altre sono invece le date del primo, in ordine di tempo, e dell’ultimo (o dell’unico) documento relativo finora noti. Sia per le date riferite alle persone che per la datazione dei codici: c.= circa, d.= dopo, p.= prima. Precisiamo inoltre che, in relazione ai singoli abacisti, abbiamo riportato dei cenni biografici solo per i contemporanei di M° Benedetto, mentre degli altri ci siamo essenzialmente limitati a segnalare i lavori che ci sono pervenuti e di cui abbiamo notizia, oltre alle scuole ed istituti nei quali insegnarono, rimandando per ulteriori informazioni alla corrispondente bibliografia ed alle fonti archivistiche.
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elencati tra i tassati del Quartiere di San Giovanni di Firenze27: il primo nelle Prestanze del Gonfalone del Leon d’Oro degli anni 1406-141228, il secondo nella Prestanza del 28 ottobre 141329. Sull’attività del nonno materno, Domenico di Piero, troviamo due indicazioni discordanti in due notarili del 23 agosto 1466 e del 16 aprile 1468, dove si ricorda tale Domenico, all’epoca già morto, rispettivamente come linaiolo e come calzolaio30. Antonio e Taddea si sposarono attorno al 1410 ed ebbero otto figli, tutti maschi. Già sette di questi figurano nel Catasto del 142731, con la rispettiva età: Iacopo di quindici anni, Lorenzo di quattordici, Simone di tredici, Cristofano di sei, Guido di quattro, e due “fanciulli naquono a uno chorpo”, ossia due gemelli di circa dodici anni, Luca e Giovanni. A quel tempo essi vivevano, in affitto, in una casa situata Oltrarno, nel Quartiere di Santo Spirito, sotto il Gonfalone della Scala, nel Popolo di Santa Lucia degli Angeli, detta anche Santa Lucia de’ Magnoli o de’ Bardi. L’abitazione si affacciava sulla Piazzetta dei Mozzi ed era proprietà di Iacopo de’ Bardi, noti mercanti e banchieri di Firenze. Circa un anno dopo, la famiglia si trasferì in un’altra zona della città, ossia nel Quartiere di San Giovanni, sotto il Gonfalone del Drago Verde. Qui, il 28 settembre 1428, Antonio acquistò infatti, dai nobili Rinaldo, Giovanni e Carlo di Bindo degli Agli ... unam domum cum curia, puteo, terreno et aliis ad dictam domum pertinentiis, positam Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, in loco dicto Piaza Padella, cui domi a I dicta platea, a II via, a III Filippi Ser Brunelleschi, a IIII [ ], infra predictos confines vel alios veriores ... . Quam venditionem dicti venditores ... fecerunt pro pretio ... florenorum trecentorum auri nitidorum dictis venditoribus32.
L’ampia dimora, del costo di trecento fiorini, si trovava dunque nel Popolo di San Michele Berteldi, sull’ormai scomparsa Piazza Padella
27 Ricordiamo che, a quel tempo, Firenze era suddivisa in quattro Quartieri: Santa Maria Novella, Santa Croce, San Giovanni, e Santo Spirito. Ognuno di questi comprendeva quattro Gonfaloni con i rispettivi Popoli che prendevano nome dalla parrocchia di appartenenza. 28 ASF, cfr. ad esempio Prestanze 2214, c. 18r; 2220 bis, c. 7v; 2555, c. 18r; 2570, c. 17v; 2621, c. 17v; 2761, c. 17v; 2864, c. 17v. 29 ASF, Prestanze 2904, c. 59r. Quella del 28 ottobre 1413 è l’ultima Prestanza; nel 1427 verrà istituito il Catasto. 30 Cfr. Appendice 1, documenti 28 e 29. 31 Ibidem, documento 2. 32 Ibidem, documento 19.
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verso il Chiasso dei Buoi, l’attuale Via Teatina, non lontano da Piazza del Duomo33. La casa confinava con l’abitazione di Filippo di Ser Brunellesco, abitazione che poi, nel 1446, dopo la morte del noto architetto34, passò al suo figlio adottivo ed erede testamentario, lo scultore Andrea di Lazzaro Cavalcanti, detto il Buggiano35. Nella stessa casa, poco dopo il suo acquisto, nacque l’ultimogenito di Antonio di Cristofano, quello che divenne poi M° Benedetto. Come si deduce dai Catasti e da due documenti notarili del 16 aprile 1468 e dell’11 dicembre 148036, oltre all’abitazione di Piazza Padella, la famiglia del Nostro ebbe anche numerosi possedimenti nei pressi di Firenze. Alcuni – come si è detto – erano situati nel Valdarno Superiore. Tre di questi furono acquistati prima del 1427: un terreno nella Lega di Cascia, Popolo di San Tommaso d’Ostina, in un luogo detto San Giovenale, un podere con vigne ed olivi ed un castagneto nel Comune di Castelfranco di Sopra, Piviere di Sco, Popolo di San Donato a Menzano, rispettivamente nelle località Bologna e Radice. Sempre a Menzano ebbe in seguito ancora un oliveto, un vigneto ed un castagneto in località Solatìo e Luodo. Un altro appezzamento era sempre nel Piviere di Sco: Antonio lo acquistò da tale Corso di Adamo da Campiano verso il 1433. Ulteriori possedimenti con annessa una casa colonica erano in Valdelsa, nel Comune di Castelfiorentino, esattamente nel paese di Cambiano, Popolo di San Prospero, nelle località: Pescaia, Padule, Prato, Capannetta, Pestina, Poggio di Monte, Docce, Renaio, Vecchia, Ponte verso Granaiolo, Castellare, Palaia, Poderano e Ginestraio. Il terreno di Pescaia fu ceduto ad Antonio da Diego e Vico Popoleschi il 7 marzo del 1440, gli altri piccoli appezzamenti, tra il 1458 ed il 1464, da tali Giovanni di Simone e Checco di Matteo, tutti in cambio di alcune somme di denaro a lui dovute. I non pochi beni immobili di Antonio di Cristofano furono il frutto della sua intensa attività di tessitore di seta, che egli svolse in entrambe le abitazioni di Piazza dei Mozzi e di Piazza Padella, affiancato da alcuni familiari e da qualche dipendente, e lavorando con “cinque telaia da tessere drappi, cioè zetani velutati”37.
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Cfr. Bargellini, Guarnieri [1977-1978], vol. IV (1978), p. 160; Sframeli [1989], pp. 95-96. Il Brunelleschi morì il 15 aprile del 1446. Cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 14 (1972), pp. 534-545. 35 Cfr. ASF, Catasto 679, c. 403r: dichiarazione di Andrea di Lazzaro Cavalcanti. Sul Buggiano cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 22 (1979), pp. 605-608. 36 Cfr. Appendice 1, documenti 2-10, 29 e 38. 37 Ibidem, documento 2. A quei tempi il possesso di cinque telai era indice di un’azienda molto ben avviata. Sull’attività dei tessitori nella Firenze del Quattrocento cfr. Dini [2001], pp. 164-169. 34
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Conseguentemente a questo suo esercizio, il padre del Nostro ebbe frequenti relazioni di lavoro con importanti mercanti: tra questi Felice Brancacci, negli anni 1427-143338. Il Brancacci era un ricco setaiolo, al tempo celebre per la sua fortunata ambasceria sulla prima galera fiorentina che la Repubblica aveva inviato nel 1422 al sultano di Egitto allo scopo di stringere trattative e ottenere concessioni, e noto anche per avere commissionato la decorazione della cappella di famiglia nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Masolino da Panicale ed al Masaccio, che vi lavorarono tra il 1423 e il 1428. Proprio nel settembre del ’28, fu la Compagnia Brancacci, in debito con Antonio di 300 fiorini, a impegnarsi con la famiglia degli Agli circa il pagamento dell’ingente somma per l’acquisto della casa di Piazza Padella. Sempre per la sua attività di tessitore e commerciante di drappi, Antonio si presentò più volte davanti al Tribunale della Mercanzia nelle vesti di creditore, come risulta da alcuni “Atti in Cause Ordinarie”. Di particolare interesse è un atto del 23 novembre 1448 che mette in relazione Antonio di Cristofano col già citato Calandro, il maestro d’abaco di Benedetto39. Nel documento si fa cenno ad una vertenza tra il detto Antonio ed i fratelli Calandro e Antonio di Piero Calandri “merciai”40: qualche tempo prima, i Calandri, tramite un certo Zanobi di Ser Iacopo, avevano acquistato da Antonio di Cristofano alcuni drappi per i quali dovevano pagare ancora 68 lire e 16 soldi di grossi. I due fratelli furono convocati il 17 dicembre per ascoltare la relativa sentenza41. In data 31 maggio 1451 un mercante di asini, Luca Domenico di Michele, figura nei libri della Mercanzia per un debito di 13 lire, a seguito della vendita di due asini da parte di un lavorante di Antonio di Cristofano42. Il 7 giugno 1451, anche due setaioli, Piero e Adovardo, vennero citati davanti al Tribunale quali debitori dello stesso Antonio di 42 lire e 16 soldi43.
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Sul Brancacci si veda Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 13 (1971), pp. 764-767. Cfr. Appendice 1, documento 43. Come risulta evidente da tale citazione, in quel periodo, in alternativa o parallelamente all’insegnamento, M° Calandro esercitava il mestiere di merciaio. Anche nel Catasto del febbraio 1447, Monna Checca, madre di Calandro, dichiara infatti di possedere in Via del Corso una “botteghuza di mercialo la quale fanno e figluoli di detta Monna Checca”: cfr. ASF, Catasto 681, c. 293r. Sul Calandri e sulla sua famiglia si vedano qui le pp. 39-40, 47-49. 41 Cfr. Appendice 1, documento 44. 42 Ibidem, documento 45. 43 Ibidem, documento 46. 39 40
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Infine, il 17 maggio 1465, venne discussa una causa tra M° Benedetto, procuratore ed erede di Antonio di Cristofano, e gli eredi del notaio Lorenzo di Agnolo da Terranova per una somma di 10 fiorini di suggello che tale Lorenzo avrebbe dovuto dare al padre di Benedetto44. All’epoca di quest’ultimo documento Antonio di Cristofano era chiaramente già morto. Egli fu infatti sepolto nella Chiesa di San Michele Berteldi il 7 dicembre 146445. Nel suo testamento, redatto il 19 novembre dello stesso anno, all’età di ottantatré anni, Antonio nominò suoi eredi universali i figli Giovanni e Benedetto. Alla moglie Taddea lasciò l’usufrutto della casa di Piazza Padella e di tutti gli altri beni immobili. Stabilì che al figlio Lorenzo venissero consegnati annualmente 30 staia di grano, un orcio d’olio e un congio di vino. Lasciò 150 fiorini in dote alla nipote Maddalena, figlia del defunto Luca, fratello gemello di Giovanni. Stabilì anche che venissero dati 30 fiorini, per la dote, a una fanciulla di nome Orsa, originaria di Ragusa, che era al servizio della famiglia. In un successivo codicillo del 3 dicembre 1464, Antonio nominò infine Taddea e Benedetto suoi rappresentanti e procuratori nell’amministrazione dei beni familiari46. Come il marito, anche la madre di Benedetto morì più che ottuagenaria. Il Catasto ed un documento notarile ci permettono di collocarne la scomparsa tra il 19 febbraio del 1470 ed il 148047. A Monna Taddea si riferiscono diversi altri rogiti del 23 agosto 1466, del 16 e 22 aprile 1468 e del 26 gennaio 147048. Dal testamento di Antonio di Cristofano risulta evidente che solo tre dei suoi otto figli erano senz’altro ancora in vita nel novembre del 1464: Lorenzo, Giovanni e Benedetto. Il figlio Luca, a quel tempo, era già morto. Egli aveva lasciato la casa paterna tra il febbraio del 1447 e il febbraio del 145849. Si era sposato ed aveva avuto una figlia di nome Maddalena. Anche i rimanenti quattro fratelli di Benedetto – Iacopo, Simone, Cristofano e Guido – non essendo mai nominati nel testamento paterno, erano presumibilmente tutti scomparsi al tempo della stesura di tale documento. Vengono elencati per l’ultima volta nella denuncia 44 45 46 47 48 49
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Ibidem, documento 47. ASF, Arte dei Medici e Speziali 245, c. 77r. Cfr. Appendice 1, documenti 24 e 25. Ibidem, documenti 10 e 32. Ibidem, documenti 28-31. Ibidem, documenti 6 e 8.
catastale di Antonio di Cristofano relativa all’anno 143150; in seguito non ne abbiamo più notizie. Otre al Catasto e alla Decima Repubblicana, soprattutto diversi documenti della Mercanzia, del Podestà e del Notarile – sui alcuni dei quali torneremo più dettagliatamente nei successivi due capitoli – ci forniscono non poche informazioni biografiche relative a Giovanni e Lorenzo. Giovanni, salvo periodiche assenze da Firenze, rimase sempre con la famiglia di origine e non si sposò. Egli continua infatti a comparire regolarmente nei Catasti del padre e della madre fino al 146951. Da un atto notarile del 20 luglio 1444, stipulato tra il rettore dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e Antonio di Cristofano, e relativo al testamento del linaiolo Cambino di Niccolò Cambini, si evince che Giovanni fu per un certo periodo alle dipendenze del ricco mercante, ereditandone, per resto del suo salario, denari e beni immobili52. Con i fratelli Benedetto e Lorenzo, Giovanni viene poi ricordato in un rogito del 1° maggio 146553, nel già citato rogito del 16 aprile 1468, e in uno immediatamente successivo del 22 aprile54. In seguito, per complesse questioni di eredità, figura anche in un importante Atto del Podestà del 13 giugno 148055 oltre che in tre notarili dei giorni 1° e 11 dicembre dello stesso anno e del 19 marzo 148156. Dalla Decima Repubblicana risulta che egli morì prima dell’aprile 1495. Lorenzo lasciò la casa paterna tra il 1433 ed il 1442, per trasferirsi in un’altra zona di Firenze o forse in un’altra località. Tra la fine del 1441 e l’inizio del ’42 si sposò con Andrea, figlia di tale Andrea di Domenico, la quale portò in dote cento fiorini, consegnati alla famiglia del marito dal fratello Bartolomeo di Andrea nel gennaio del 144257. Diversi documenti degli anni 1480-1482 ci informano che dall’unione con Monna Andrea, Lorenzo ebbe una femmina e sette maschi: Antonia, Iacopo, Cristofano, Andrea, Domenico, Pellegrino, Guido o Guidone che divenne Priore, e Pietro che si fece frate col nome del padre58.
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Ibidem, documenti 2-4. Ibidem, documenti 2-9. Ibidem, documento 20. I libri di conto dei Cambini sono conservati all’ AOIF. Sui Cambini cfr. Tognetti [1999] e Dini [2001], pp. 38-44. La Compagnia Cambini è stata anche oggetto di studio per varie tesi di laurea. 53 Cfr. Appendice 1, documento 26. 54 Ibidem, documento 30. 55 Ibidem, documento 41. 56 Ibidem, documenti 37-39. 57 Ibidem, documenti 4-5, 38. 58 Ibidem, documenti 16, 37-42. 51 52
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Successivamente al testamento di Antonio di Cristofano, Lorenzo viene ancora nominato, assieme al fratello Benedetto, in due notarili del 12 luglio 1465 e del 16 aprile 146859. In un volume della Mercanzia, relativo al fondo “Libri di denari depositati”, Lorenzo e un membro della nobile famiglia Davanzati, Niccolò di Giovanni, figurano, in data 13 febbraio 1467, quali depositari di 10 fiorini a favore di Tommaso di Agnolo Corbinelli60. Infine il 23 dicembre 1471, sempre Lorenzo è citato in un “Libro di Sentenze” del Tribunale della Mercanzia come creditore, per 90 lire, di tale Messer Paolo da Napoli61. Lorenzo di Antonio esercitò per tutta la vita l’attività di tessitore di drappi. Morì probabilmente verso il giugno del 1479 nel solito Popolo di San Michele Berteldi62. Sua moglie Andrea si trasferì poco dopo, con alcuni figli, nel Popolo di Santa Maria Maggiore, sotto il Gonfalone del Drago Verde del Quartiere di San Giovanni. Monna Andrea morì tra il 1482 ed il 1495. Dell’unica figlia femmina di Lorenzo, Antonia, sappiamo solo che si sposò nel maggio del 1481 con Zanobi di Giovanni Lapi, un cartolaio o libraio del Popolo di Santa Maria del Fiore, in San Giovanni63. Guido fu prima monaco cistercense nella Badia di San Salvatore a Settimo e nel Monastero di Cestello. Il 26 dicembre 1486, dopo aver prese l’abito dell’ordine camaldolese, divenne Priore del Convento di Santa Maria degli Angeli. Morì di peste a Roma nel 150064. Per quanto riguarda i figli maschi laici di Lorenzo, dalla Decima Repubblicana si deduce che forse solo due, Iacopo ed Andrea, erano ancora in vita nell’aprile del 1495 ed abitavano sempre in San Giovanni. Iacopo fu, come il padre e il nonno, tessitore di drappi e visse in affitto nella Via Fiesolana del Popolo di San Pier Maggiore65. Andrea esercitò invece il mestiere di cartolaio. Si sposò nel novembre del 1482 con la figlia di un sarto, Monna Nanna di Iacopo, dalla quale nacquero Vincenzo e Giovanbattista. Dopo alcuni anni trascorsi in San Michele Berteldi ed in Santa Maria Maggiore, egli passò, con i propri familiari, in una casa situata nella Via dei Fibbiai del Popolo di San Michele Visdomini, che acquistò dai frati del Convento di Santa
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Ibidem, documenti 27 e 29. Ibidem, documento 49. Ibidem, documento 51. 62 Ibidem, documenti 36 e 38. 63 ASF, Not. Antec. 9635, c. 293v: rogito del 28 maggio 1481. 64 ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 50; 87, 69, inserto n° 46; 87, 96, cc. 55r e 68v. Cfr. anche Annales Camaldulenses [1762], Indice, ad voc. 65 ASF, Decima Repub. 30, c. 37r. 60 61
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Maria degli Angeli il 25 giugno 149366. La vendita venne effettuata dal fratello Guido, al tempo Priore dello stesso monastero. Andrea di Lorenzo morì dopo l’aprile del 149767. I due figli di Andrea, Giovanbattista e Vincenzo, verranno elencati nella Decima Granducale del 1532/34, sempre sotto il Gonfalone del Drago, con il cognome Laurentini68, ovviamente derivato dal nome latino del nonno paterno. Giovanbattista abitò nel Popolo di San Lorenzo, in Via Santa Caterina; Vincenzo in Via della Rosa nel Popolo di San Pier Maggiore. Sui Laurentini, discendenti di Giovanbattista e Vincenzo, abbiamo notizia fino alla seconda metà del XVII secolo. Molti di loro rivestirono a Firenze importanti cariche pubbliche. Si ricorda in particolare un Paolo di Andrea Laurentini, nipote di Giovanbattista, che ad una intensa attività come funzionario del Granducato, negli anni 16391672, associò quella di orafo ed argentiere69.
66 Cfr. Appendice 1, documento 16. ASF, Not. Antec. 9636, c. 118r: rogito del 25 novembre 1482; 9643, c. 30r: rogito del 25 giugno 1493; Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 2v. Come si legge nella Decima Granducale del 1532/34 (cfr. la nota 68) la casa di Via dei Fibbiai venne poi incamerata nei locali dell’ Ospedale degli Innocenti. 67 Compare infatti tra i debitori e creditori del Convento di Santa Maria degli Angeli fino al 12 aprile 1497: ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 50, cc. 24s-24d. In un precedente volume Andrea si trova sempre tra i creditori per la vendita di “più libri latini”, “di più libri di gramaticha” e “per legature e miniature”, effettuate nell’anno 1486: ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 294d. 68 ASF, Decima Grand. 3639, cc. 341v-342r; 3641, cc. 452v-453r. Cfr. anche Appendice 1, documento 16. 69 ASF, Raccolta Sebregondi 2999; Ceramelli-Papiani 2731; Manoscritti 356 (Carte dell’Ancisa HH), c. 589v e 360 (Carte dell’Ancisa MM), cc. 10v, 250r. BNF, Poligrafo Gargani 1104, schede 198, 199, 201-207; 1105, scheda 124; 1139, scheda 173. BNF, A. Cirri, Necrologio fiorentino, vol. X, p. 130.
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3. Benedetto di Antonio Nel suo Trattato d’abacho, M° Benedetto scrive di essere ... nato et allevato ... in Fiorenza et in quella experimentato ...70
Così nel codice L.IV.21 si legge: E perché nato sono in Firenze et in quello experimentato secondo l’uso fiorentino ...71
Dalle dichiarazioni catastali del padre per gli anni 1431, 1433, 1442, 1447, e da quella della madre Taddea fatta nel 1469, Benedetto di Antonio risulta di fatto nato a Firenze, all’inizio del 142972. Il Catasto dell’ormai anziano padre relativo all’anno 1458, porterebbe invece a posticipare tale data al 143273, anno peraltro e forse non a caso coincidente con quello riferito dal Solmi e da Hart74. Essendo quest’ultima data deducibile da uno solo dei sette Catasti a noi pervenuti, riteniamo decisamente più probabile, anzi praticamente certo, il 1429 come anno di nascita del Nostro, e dunque inesatta la dichiarazione del 1458, cosa del resto non infrequente nei documento catastali dell’epoca. Dopo avere studiato l’abaco e già nel pieno della sua attività di abacista, verso la fine di ottobre e i primi di novembre del 1457, Benedetto si sposò con Pippa dei Tinghi, originari di Gangalandi nel Valdarno. Come quella di Benedetto, anche la famiglia Tinghi fu molto numerosa75. Pippa ebbe infatti dieci fratelli, sette maschi e tre femmine: Simone, Bartolomeo, Piero Antonio, Bice, Francesco, Giovanni Gualberto, Luca, Verano, e le gemelle Bonda e Piera. La madre fu tale Monna Orrevole e il padre fu Giovanni di Bartolo di Giovanni Tinghi, soprannominato “Falsamostra”, che esercitò l’attività di “chomandatore de’ Signiori”.
70
BNF, Magl. XI. 76, c. 1r. L.IV.21, c. 83r; cfr. Arrighi [1965], p. 385. Cfr. Appendice 1, documenti 3-6 e 9. Il Catasto del 1451 ( documento 7) non riporta l’elenco delle “bocche”. 73 Cfr. Appendice 1, documento 8. 74 Si veda l’Introduzione. 75 Cfr. Appendice 1, documenti 11-15. 71 72
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La data pressoché esatta del matrimonio di Benedetto si deduce proprio dalle dichiarazioni di Antonio di Cristofano e di Giovanni Tinghi consegnate agli Ufficiali del Catasto fiorentino alla fine di febbraio del 1458. Qui il Tinghi scrive di avere concesso temporaneamente in usufrutto a Benedetto di Antonio un terreno con casa colonica situato nel Popolo di Sant’Angelo a Legnaia, in cambio di 170 fiorini “... per resto della dote di Monna Pippa ...”, “... che è circa a mesi 4 n’andò a marito ...”76. La dote complessiva della figlia ammontava infatti a 250 fiorini che i Tinghi si erano impegnati a consegnare alla famiglia di Benedetto “inter denarios et res”, assieme a cinquanta lire delle spese nuziali77. I dati catastali relativi all’età di Pippa forniscono indicazioni discordanti per la determinazioni del suo anno di nascita che possiamo solo approssimativamente collocare tra il 1436 ed il 1440. Prima di sposarsi, con i genitori ed i fratelli, essa trascorse alcuni anni nel Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone del Leon Bianco, in Via dell’Amore, e successivamente passò nel Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone del Drago Verde, esattamente in Borgo San Frediano. Dopo il matrimonio si trasferì nell’abitazione del marito, in Piazza Padella. Dall’unione con Pippa sembra che Benedetto non abbia avuto figli; perlomeno nessun figlio risulta dichiarato e dunque in vita nel Catasto successivo al suo matrimonio, né compare tra i fiorentini battezzati in Santa Maria del Fiore78. Dopo la morte del padre, Benedetto, pur essendo il più giovane dei figli di Antonio di Cristofano, assunse il ruolo di capo famiglia e di amministratore dei beni lasciati dal padre in eredità79. Da tempo il fratello Luca e probabilmente altri quattro dei suoi sette fratelli erano già morti. Lorenzo ormai da molti anni si era staccato dalla casa paterna. Oltre a Benedetto, solo Giovanni era rimasto con la madre; spesso però, sia lui che Lorenzo, dovevano essere assenti da Firenze80. In tutti i documenti familiari a noi noti, posteriori al 1464, Benedetto figura infatti da solo, o con la madre Taddea, e sempre in qualità di rappresentante del fratello Giovanni o in sostituzione di Lorenzo.
76
Ibidem, documento 13. Ibidem, documento 23. AOSMFF, Registri dei Battesimi. 79 Già da qualche anno, con un rogito del 4 agosto 1460, Benedetto era stato nominato dal padre suo procuratore nell’amministrazione dei beni del Monte Comune: cfr. Appendice 1, documento 22. 80 Nel Catasto del 1469, Taddea dichiara infatti esplicitamente che “Giovanni ... non ci è a Firenze”: cfr. Appendice 1, documento 9. 77 78
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Albero genealogico della famiglia di M° Benedetto Guido Cristofano Antonio (n.1381-m.1464) con Taddea di Domenico (n.1387-m.1470/80)
Iacopo (n.1412)
Lorenzo
Simone
Luca
Giovanni
Cristofano
(n.1413-m.1479) (n.1414-1431) (n.1416-m.1447/64)(n.1416-m.1481/95) (n.1421-1431) con Andrea di Andrea di Domenico (1442-m.1482/95)
Guido
BENEDETTO
(n.1423-1431) (n.1429-m.1479) con Pippa Tinghi (n.1436/40m.1479/80)
Maddalena (1464)
Iacopo
Cristofano
(1482-1495)
(1482)
Andrea
Guido
(1480-1497) (1482-m.1500) con Nanna di Iacopo (1482)
Pietro
Domenico Pellegrino
(1482)
(1482)
(1482)
Vincenzo
Giovanbattista
(1532/34-1552) con Nannina (m.1586)
(1532/34-1573) con Ginevra (m.1572)
Antonia (1481-1482) con Zanobi di Giovanni (1481-1482)
Francesco (m.1554)
Andrea
Francesca (1568)
(1573)
Girolamo
Paolo
(1630-1673) con Maddalena (m.1660)
(1639-m.1679) con Margherita di Zanobi da Gagliano (1622)
Zanobi
Giovanni
Andrea
(m.1659)
(1632-1659)
(1659-1681) con Caterina (1681)
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Andrea
Leonardo
Francesca
(m.1642)
(1649-1662)
(1696)
Dal punto di vista economico, gli anni immediatamente successivi alla scomparsa di Antonio furono probabilmente alquanto difficili per la famiglia. A tale proposito, significativo è un documento del 23 agosto 1466 in cui risulta che Taddea e Benedetto avevano ricevuto cento fiorini in prestito da un cambiavalute, tale Bono di Giovanni dei Boni, con l’impegno di restituirli entro un anno81. Per due volte l’abacista venne inoltre citato davanti al Tribunale della Mercanzia come debitore: il 18 giugno 1466 per una somma di 3 lire e 16 soldi di piccioli che doveva ad un calzolaio, Domenico di Gualberto, e il 13 settembre 1471 – quale mallevadore di tale Tommaso o Maso di Grazia – per un debito di 26 lire di piccioli con il galigaio Piero di Matteo Fiordalisi82. Dopo il 1464 Benedetto e i suoi furono anche costretti a rinunciare ad alcuni possedimenti: Il primo maggio 1465 il Nostro vendette a Filippo di Taccerino di Lorenzo Taccerini ed a Giovanni di Meo Pucci un appezzamento di terreno situato nel Popolo di Santa Maria a Sco83. Presumibilmente nello stesso periodo, la famiglia degli Agli riacquistò la casa di Piazza Padella che Antonio di Cristofano aveva comprato nel 1428. In seguito, come risulta dai due contratti del 16 e 22 aprile 146884, vendendo a Bernardo di Giovanni Cambi una casa colonica e i terreni del Popolo di San Prospero a Cambiano, Benedetto e Taddea riuscirono tuttavia a riscattare da Lotto degli Agli la vecchia abitazione, che figura infatti tra i possedimenti da loro denunciati al Catasto del 1469. In questo periodo, però, la casa non era abitata dalla famiglia dell’abacista ma affittata, parte a tale Guglielmo, un “marruffino” ossia un dipendente di Messer Giovannozzo Pitti, e parte ad un prete, Marco di Baldo. Benedetto ed i suoi, forse già da qualche anno, si erano infatti ritirati in una vicina abitazione più piccola della precedente, situata anch’essa in Piazza Padella, al tempo proprietà in parte di Monna Tita, vedova del linaiolo Baldo di Simone, e in parte dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e della Società di Orsanmichele: l’abitazione era costituita da alcuni locali ceduti in affitto dalla stessa Monna Tita, al prezzo di dieci fiorini l’anno85. Poco dopo la denuncia catastale dell’agosto ’69, con un atto notarile del 19 febbraio 1470, la casa di Piazza Padella fu di nuovo e defini81 82 83 84 85
Cfr. Appendice 1, documento 28. Ibidem, documenti 48 e 50. Ibidem, documento 26. Ibidem, documenti 29 e 30. Ibidem, documento 9; cfr. inoltre ASF, Catasto 926, c. 392r: Portata di Monna Tita.
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tivamente venduta da Benedetto a Zanobi di Zanobi di Niccolò del Cicca86; in realtà questi la acquistò, al prezzo di 276 fiorini, per conto di un importante artista del tempo, Antonio di Iacopo Benci detto Antonio del Pollaiolo, come risulta da un successivo atto di nomina del 2 aprile 147087. È anche interessante rilevare che all’epoca della stesura del precedente rogito, una delle abitazioni confinanti con la casa di Benedetto apparteneva ad un membro dell’illustre famiglia Rucellai, Bernardo di Piero di Cardinale, fratello di quel Girolamo al quale fu quasi sicuramente rivolto il trattato contenuto nel codice Palat. 573. Benedetto rimase con i propri familiari nel Popolo di San Michele Berteldi, probabilmente sempre in Piazza Padella, almeno fino all’estate del 1476, come si deduce da due rogiti del 17 ottobre 1471 e del 5 luglio 147688. Il primo si riferisce alla nomina di Piero di Donato, nipote dell’umanista Leonardo Bruni, come arbitro di una lite tra Benedetto e Francesco di Giovanni Naldi del Distretto fiorentino di Balneo di Santa Maria. Sul secondo, che riguarda l’affitto di una casa nel Chiasso dei Buoi, ritorneremo tra breve. Un libro del Monastero di Santa Maria degli Angeli ci informa che Benedetto di Antonio, assieme alla moglie Pippa, trascorse gli ultimi anni di vita in un’altra zona di Firenze, ossia nel Popolo di San Michele Visdomini, vicino alla Piazza Santissima Annunziata, comunque sempre in San Giovanni, Gonfalone del Vaio. Qui, almeno tra la fine del 1476 e la primavera del 1479, egli visse in una casa di Via dei Fibbiai, allora proprietà del Monastero, pagando un fiorino al mese di affitto89. Il sito era molto vicino a quello acquistato nel 1493, e abitato poi, da un nipote del Nostro, Andrea di Lorenzo. Il grande e glorioso Monastero di Santa Maria degli Angeli del Tiratoio – situato in Via degli Alfani e fondato nel 1295 per volontà 86 Cfr. Appendice 1, documento 32. Più precisamente, il 2 ottobre del 1469, Benedetto aveva stipulato un precedente atto di vendita della casa con Antonio di Michele di Feo Dini, che l’avrebbe acquistata a nome della moglie Angela di Bartolomeo degli Stagnesi. A tale vendita, il 26 gennaio 1470, dette il proprio consenso la madre di Benedetto, Taddea: cfr. Appendice 1, documento 31. L’atto di vendita del 2 ottobre venne poi annullato, con l’approvazione della stessa Monna Angela, il 28 febbraio 1470: cfr. ASF, Not. Antec. 5290, c. 489v. 87 Cfr. Appendice 1, documento 33. Antonio del Pollaiolo, come egli stesso racconta nella Decima Repubblicana del 1495, dopo aver dato un acconto di 100 fiorini, finì di pagare quella casa nel 1481. Un anno dopo gli “fu chonvinta per la via del Podestà di Firenze”. Nel 1495 la casa era proprietà di Francesco di Antonio Giugni: cfr. Decima Repub. 8, c. 6r; 14, c. 293v. Ricordiamo che Antonio del Pollaiolo ed i suoi fratelli Giovanni e Piero abitarono molto vicino alla Piazza Padella, ossia in Piazza degli Agli, oggi scomparsa. In questa piazza Piero del Pollaiolo ebbe anche il proprio studio di pittore: ASF, Catasto 999, c. 14; 1000, c. 206r; 1001, c. 200r. Sulle case di Antonio del Pollaiolo si vedano Cruttwell [1905], pp. 383-384 e Giglioli [1907]. 88 Cfr. Appendice 1, documenti 34 e 35. 89 Ibidem, documenti 82, 108.
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e grazie ad un lascito di Fra’ Guittone d’Arezzo – fu famoso dal punto di vista artistico e culturale. Nel corso del Trecento come sede di un importante laboratorio di miniatura da cui uscì il pittore Lorenzo Monaco; nel Quattrocento quale centro di studi promossi da Ambrogio Traversari e ai quali parteciparono uomini illustri tra cui, oltre al citato Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini, Bartolomeo Valori, Paolo dal Pozzo Toscanelli, Cosimo e Lorenzo de’ Medici90. Per oltre tre anni, tra il febbraio del 1476 ed i primi di giugno del 147991, Benedetto fu strettamente legato a questo convento; rimase infatti ininterrottamente alle dipendenze dei frati come loro “fattore” o “procuratore”, percependo mensilmente, per i primi nove mesi uno stipendio di tre fiorini, e in seguito di due fiorini92. Tre filze di “Debitori e creditori” dei frati di Santa Maria degli Angeli registrano centinaia di pagamenti fatti per mano di Benedetto, che si occupava di tutte le spese del monastero93. In questi elenchi figura più volte l’Ospedale di Santa Maria Nuova. Sono citate note Compagnie fiorentine, come la Compagnia della Misericordia, del Bigallo e delle Laudi di Sanzanobi, oltre a diversi istituti religiosi, tra cui le Chiese di Santo Spirito e di San Michele Visdomini. Compaiono nomi di importanti mercanti, orafi, banchieri e notai del tempo, quali i lanaioli Bartolomeo Ciacchi, Niccolò di Giovanni del Barbigia, Antonio Gerini, il linaiolo Michele di Lorenzo, lo speziale Mariotto di Marco, il ritagliatore Valerio di Andrea di Berto, i tessitori Rinaldo di Giovanni della Magna, Domenico di Zanobi e Andrea di Antonio del Giocondo, gli orafi Antonio del Mazza e Matteo di Lorenzo, i banchieri Giovanni di Chirico Pepi, Bartolomeo Strinati e Bartolomeo di Leonardo Bartolini, i notai Ser Giovanbattista d’Albizzo da Fortuna e Ser Luigi Gambini. Spiccano inoltre alcuni nomi di rilievo tra cui quelli del già citato Piero di Donato Bruni, di Messer Lorenzo di Ridolfo Ammannati, abate di San Baronto, e del letterato e uomo politico Bartolomeo Scala. In particolare, per l’anno 1478, si trova il dettagliato elenco delle spese sostenute dall’abacista, sempre per conto dei frati degli Angeli, “per la festa” fatta in occasione del battesimo di una figlia dello Scala94. 90 Sul Monastero di Santa Maria degli Angeli si vedano Richa [1754-1762], vol. VIII (1759), pp. 143-174 e Savelli [1983, 1992]. 91 Segnaliamo che a quel tempo il Priore del convento fu Leonardo di Donato di Leonardo Bruni, ovviamente anch’egli nipote di Leonardo Bruni. 92 Cfr. Appendice 1, documenti 82-83, 100, 113. 93 Ibidem, documenti 55-59, 61, 64-118. 94 Ibidem, documento 55. Il battesimo era presumibilmente quello di Lucrezia Scala, che risulta appunto nata nel 1478: cfr. ASF, Catasto 1015, c. 269r. La ben più nota sorella Alessandra, amata dal Poliziano, nacque nel 1475. Su Bartolomeo Scala si veda Brown [1990].
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In due dei tre volumi, viene nominata per tre volte anche Monna Pippa, la moglie di Benedetto, in relazione all’acquisto di due “vangaiole” e di una cintola fatta per lei dall’orafo Antonio del Mazza95. Non infrequenti sono i riferimenti ad altri libri purtroppo non pervenutici: volumi di “Debitori e creditori” o di “Ricordanze” del Convento e di alcuni tra i mercanti citati, nonché libri di conti tenuti dallo stesso Benedetto, che dovevano contenere ulteriori informazioni sull’attività da lui svolta. Proprio nel rivedere tali libri, dopo la morte del Nostro, i frati ebbero modo di rilevare come più volte l’abile fattore avesse furbamente e “fraudatamente” sottratto del denaro al Convento in quanto “tutto poteva fare perché lui era sindaco nostro a potere fare ogni cosa”96. Un ulteriore “Registro di monaci” di Santa Maria degli Angeli parla inoltre di una “scripta in bambagia di mano di Benedetto” del 28 febbraio 1479 relativa alla vendita di una casa in Via dei Fibbiai a tale Martino di Giovanni Dannono, di Lombardia, ed a sua moglie Margherita, da parte dei frati del Convento97. Nelle suddette tre filze di “Debitori e creditori”, l’ultimo pagamento registrato dai frati di Santa Maria degli Angeli ed effettuato da Benedetto – una lira e 10 soldi a lui consegnati da Francesco d’Albizzo, fratello di Ser Giovanbattista – risale al 3 giugno 147998. Il 7 dicembre dello stesso anno i frati scrivono di dovere 4 lire e 16 soldi a un ceraiolo, Francesco di Giuliano Benintendi, per otto libbre di cera, di cui sei portate a Ser Franco, cappellano della Chiesa San Michele Visdomini, “per uno uficio facemo fare a San Michele Visdomini per la benedetta anima di Benedetto d’Antonio nostro factore”99. Tale chiesa, detta anche di San Michelino e situata nella piazza omonima sulla Via dei Servi, era ed è molto vicina alla Via dei Fibbiai dove l’abacista si era trasferito nel 1476100 ed era di fatto la chiesa parrocchiale di Benedetto. Da notare che nel solito volume i frati raccontano di essere creditori di Benedetto di 25 fiorini per due anni ed un mese di affitto della casa di Via dei Fibbiai, dal 30 aprile 1477 al 31 maggio 1479. Sei mesi dopo la stessa casa verrà da loro nuovamente affittata a Luca di Iacopo di 95
Cfr. Appendice 1, documenti 57, 71 e 84. Ibidem, documento 74; cfr. inoltre documento 108. Ibidem, documento 64; ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 5v. 98 Ibidem, documento 106. 99 Ibidem, documenti 113 e 115. 100 Sulla Chiesa di San Michele Visdomini si vedano: Calzolai [1977]; Fantozzi [1974], pp. 379381; Richa [1754-1762], vol. VII (1758), pp. 1-30. 96 97
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Piero Migliorelli, a decorrere dal 30 novembre 1479101. Osserviamo infine che, in data 19 giugno 1479, essi riferiscono anche di avere mandato alcuni ceri al solito cappellano di San Michele Visdomini, forse proprio per la messa funebre del loro fattore102. In definitiva Benedetto morì senz’altro tra il 3 giugno ed il 7 dicembre del 1479, quasi sicuramente entro il mese di novembre; non è inoltre da escludere che la sua scomparsa sia avvenuta poco prima del 19 giugno. Di lì a poco, anche Monna Pippa seguì il marito nella tomba. Un Atto del Podestà di Firenze del 13 giugno 1480, ci informa infatti che essa morì entro il febbraio del 1480103. Con molta probabilità i due coniugi – e con loro anche Lorenzo, il fratello di Benedetto – furono vittime della terribile pestilenza che nel triennio 1476-1479 colpì la maggior parte delle regioni italiane; anche a Firenze l’epidemia fu talmente grave che ventimila cadaveri vennero sepolti nel cimitero di Santa Maria della Scala104. Dopo la scomparsa di Benedetto, dal marzo del 1480 al febbraio del 1481, si verificarono alcune controversie tra i parenti dell’abacista e i frati del Convento di Santa Maria degli Angeli, forse per un debito di oltre 158 fiorini che il Nostro aveva contratto con gli stessi frati. In un volume del Convento si parla, tra l’altro, di una relativa sentenza e di una lettera inviata il 15 luglio 1480, su richiesta dei frati, dagli Otto di Guardia e Balia al Vicario di San Giovanni, affinché venissero effettuati alcuni sopralluoghi in Valdarno per fare l’inventario dei beni e valutare le rendite dei terreni che erano stati di Benedetto105. Come abbiamo già rilevato, Benedetto e Pippa non lasciarono figli, e sembra siano morti senza fare testamento. Dopo la loro scomparsa, dei beni di famiglia che il Nostro aveva ereditato dal padre Antonio di Cristofano era rimasta una metà dei terreni di San Giovenale e di San Donato a Menzano, in Valdarno. L’altra metà apparteneva a Giovanni di Antonio, probabilmente l’unico fratello di Benedetto
101 Cfr. Appendice 1, documento 60. Si veda anche ASF, Catasto 1016, c. 395r: dichiarazione di Luca di Iacopo Migliorelli. Il Migliorelli rimase nella casa di Via dei Fibbiai almeno fino al maggio del 1481. In seguito il sito, già proprietà di tali Paolo e Lodovico di Santi, sellai, a seguito di una sentenza della Corte del Podestà fu assegnato a Monna Benedetta, la vedova di Lodovico; dopo il 1495 fu tenuto in affitto da un ceraiolo, Giovanni di Giuliano di Iacopo Benintendi. Cfr. Appendice 1, documento 63; ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 49, c. 9r; Decima Repub. 10, cc. 353r-353v: dichiarazione di Giovanni Benintendi e fratelli. 102 Cfr. Appendice 1, documento 107. 103 Ibidem, documento 42. 104 Cfr.: Artusi, Patruno [2000], p. 220; Del Panta [1980], pp. 118, 124, 126; Torricelli et al. [2001], p. 27. 105 Cfr. Appendice 1, documenti 62 e 119.
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allora ancora in vita. L’assegnazione di quei beni venne stabilita, tra il 1480 ed il 1482, da diverse sentenze della Corte del Podestà, purtroppo non tutte pervenuteci. Il citato Atto del Podestà del 13 giugno 1480 sancì che il podere di San Giovenale venisse dato ai fratelli di Pippa – Bartolomeo, Francesco e Luca Tinghi, allora ricchi possidenti – in restituzione della dote della sorella, in quanto morta dopo la scomparsa del marito106. L’ 11 dicembre del 1480, Giovanni di Antonio consegnò la sua metà dei terreni di Menzano a Monna Andrea, la vedova dell’altro fratello Lorenzo, anche qui in restituzione di metà della sua dote107. A completamento di questa, un altro Atto del Podestà del 28 marzo 1482 assieme ad una precedente donazione fatta dalla stessa Monna Andrea il 19 marzo 1481, a favore di sua figlia Antonia, decisero l’assegnazione alla stessa Antonia dell’altra metà dei terreni, quella appartenuta a Benedetto108. Ancora il rogito del 19 marzo ’81 ed uno successivo del 19 giugno 1482109 stabilirono la definitiva attribuzione di tutte le terre di Menzano ad Andrea, figlio di Lorenzo. Alla Decima Repubblicana del 1495 ed alla Decima Granducale del 1532/34, i poderi di San Giovenale e di San Donato a Menzano figuravano ancora rispettivamente nella denuncia dei Tinghi110, e in quelle di Andrea di Lorenzo e dei suoi figli Giovanbattista e Vincenzo Laurentini111.
106 Il terreno figura infatti tra i beni dei Tinghi al Catasto del 1480/81: cfr. ASF, Catasto 1001, cc. 248r-248v. Come risulta dalla loro dichiarazione catastale, i Tinghi, dopo il 1468, acquistarono molti terreni nel Popolo di San Martino a Pontifogni, nel Valdarno Superiore: cfr. anche ASF, Not. Antec. 11680, cc. 40v-41v, 70r-70v; 11681, cc. 9v-10r, 139v; 20286, cc. 83r-83v. 107 Cfr. Appendice 1, documento 38. Delle terre di Menzano che furono consegnate a Monna Andrea, si parlava anche nel Catasto di quegli anni: cfr. Appendice 1, documento 10 (Catasto 1019). Precisiamo che del Catasto del 1480/81 non sono pervenute le Portate dei cittadini ma solo i corrispondenti Campioni, ossia le copie dei registri fatte dagli Ufficiali del Catasto. Di Monna Andrea e dei figli non ci sono rimasti neppure i Campioni. L’indice del volume 1019 (Campione di San Giovanni, Drago) - dove è scritto tra l’altro erroneamente “Monna Andrea vedova, donna fu di Antonio di Cristofano”, anziché “donna fu di Lorenzo di Antonio di Cristofano” - rimanda infatti a c. 488 dove non si trova, però, la denuncia della stessa Andrea, ma si legge: “Beni e posesori degli infrascripti beni che furono riportati nel Catasto 1470, c. 980, in nome di Madonna Taddea, donna fu d’Antonio di Cristofano di Ghuido, tese drapi.” L’intestazione è seguita dalla descrizione del terreno di San Donato a Menzano, a proposito del quale si precisa poi: “Posto nel Drago, San Giovanni, primo, c. 617, in Madonna Andrea vedova.” Qui si fa probabilmente riferimento alla Portata perduta di Monna Andrea. 108 Cfr. Appendice 1, documenti 16 e 39. 109 Ibidem, documento 41. 110 ASF, Decima Repub. 8, cc. 151r-152r. 111 Cfr. la nota 68.
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4. Benedetto dell’abaco Come abbiamo visto, Antonio di Cristofano svolse, per tutta la vita, una fruttuosa attività di tessitore e di commerciante di drappi. Benedetto – come probabilmente tutti i suoi fratelli – seguì dunque il destino allora comune ai figli dei mercanti. Dopo un primo periodo di studi elementari, in cui, ricordiamo, si apprendeva a leggere e scrivere in italiano e latino, egli passò alla scuola d’abaco. Esaurito il proprio ciclo scolastico, Benedetto fu senz’altro più interessato agli studi matematici che alle attività commerciali e mercantili. In tutti i documenti a lui relativi e da noi finora rintracciati, egli non viene infatti mai citato come tessitore: è dunque quasi certo che non abbia mai esercitato il mestiere paterno, al contrario ereditato dal fratello Lorenzo e forse anche da Giovanni. Indiscutibile e più volte attestata risulta invece la sua professione di maestro d’abaco. Con tale qualifica, o con equivalenti appellativi, lo troviamo infatti nominato in ben 45 documenti dell’Archivio di Stato di Firenze: 42 vanno dal 1448 al 1479, anno di morte dell’abacista, due risalgono al 1480/81 e uno è di poco posteriore al 1495. Tali scritti sono contenuti in nove fondi: diciassette nella Compagnia poi Magistrato del Bigallo e della Misericordia, tre negli Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri, cinque nel Notarile Antecosimiano, due nella Mercanzia, due nel Monte Comune o delle Graticole e nel Catasto, tre nell’Ospedale di Santa Maria Nuova, due negli Operai di Palazzo, undici nelle Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese: Badia del Sasso e Convento di Santa Maria degli Angeli. In questo capitolo ne esporremo in sintesi il contenuto. Su alcuni, importanti per le informazioni sull’attività didattica del Nostro, ritorneremo più ampiamente nel successivo capitolo. – Nel fondo relativo alla Compagnia poi Magistrato del Bigallo e della Misericordia, nove libri di “Lasciti, allogazioni, debitori e creditori” e un volume di “Deliberazioni e stanziamenti” contengono sedici documenti relativi agli anni 1448-52, 1455-56, 1465, 1468, 1473 e 1479: in questi Benedetto di Antonio di Cristofano viene elencato tra i debitori e creditori della Compagnia sempre con l’appellativo di “maestro d’abacho” o “Maestro”112.
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Cfr. Appendice 1, documenti 121-122, 124-136, 138.
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In un’ altra scritta del Bigallo si ricorda inoltre che 12 dicembre 1477113 vennero consegnati f. dodici di suggello ... a Benedetto d’Antonio dell’abacho ... e f. dua di suggello ...
che il Nostro portò ai frati del Convento di Santa Maria degli Angeli per alcune messe fatte rispettivamente a favore dei defunti Monsignor Fantini e Monna Lisabetta di Banco Bettini114. – Nel Quattrocento gli Ufficiali di Notte erano una magistratura preposta alla tutela della moralità pubblica. I citati tre documenti su M° Benedetto115 si trovano nelle relative liste delle “tamburazioni”, cioè querele per sodomia, e delle corrispondenti condanne o assoluzioni. Tra i “tamburati” del giorno 3 dicembre 1453, gli Ufficiali elencano infatti Benedictum Antonii, docet abacum
Diversi anni dopo, il 7 marzo 1468 Benedictus [ ] magister artismetricis
subì un’altra denuncia da parte del quattordicenne Giovanni di Andrea Salutati. Il 17 marzo, però, lo stesso “Benedictus arismetricus” venne discolpato dall’accusa116. – Il primo rogito del Notarile Antecosimiano risale al 25 aprile 1457 e venne stipulato nella Cappella dei Beccanugi della Chiesa di San Michele Berteldi, che al tempo era la parrocchia di Benedetto117 . Qui, durante una riunione degli affiliati alla Società di San Michele
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Ibidem, documento 137. Monsignor Fantini era morto nel 1367, Monna Lisabetta di Banco Bettini, moglie di Cervagio di Agnolo, nel 1385: ASF, Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 86, 95, cc. 27v e 57r. 115 Cfr. Appendice 1, documenti 140, 143-144. 116 In questo caso si ebbe una diretta confessione da parte del ragazzo. Generalmente le denunce avvenivano invece in forma segreta ed anonima e raccolte in appositi tamburi che si trovavano in determinate zone della città. Benedetto compare altre volte nelle liste dei “tamburati”. E peraltro, i maestri d’abaco del tempo subivano frequentemente querele per sodomia. Cfr. Appendice, documenti 139, 141-142; si vedano inoltre le note 160 e 164. 117 Cfr. Appendice 1, documento 21. 114
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Benedittus Antonii de arismetrica
venne eletto “procuratore” e “fattore” della stessa compagnia, assieme ad un altro maestro d’abaco, Bettino di Ser Antonio da Romena, già consigliere della Società di San Michele118. La fama ed il prestigio di cui godeva M° Benedetto sono testimoniati dal secondo rogito del 5 novembre 1462, che si riferisce alla dote di Monna Pippa119. Nel 1462 Giovanni Tinghi, padre di Pippa, non aveva ancora colmato il debito di 170 fiorini con la famiglia del Nostro quale resto della dote di sua figlia, denaro che egli doveva avere dalla Cassa del Generale del Comune di Firenze, in seguito al suo incarico di “comandatore” o “precettore” della Signoria120. Per questo, il 30 giugno 1462, il Consiglio dei Cento emanò appositamente una legge a favore di M° Benedetto con cui si stabiliva che l’abacista dovesse ricevere quei 170 fiorini dallo stesso Comune. Nel rogito del 5 novembre Benedictus filius Antonii, magister abbachi ... fecit etc. suum procuratorem etc. ... nobilem virum Paulum Iacobi de Federigis de Florentia, specialiter et nominatim ad petendum et exigendum etc. a Comuni Florentie et a commissariis Camere dicti Comunis ... summam et quantitatem florenorum auri centum septuaginta ...
Il terzo documento notarile, del 12 luglio 1465, fu rogato nella sede dell’Arte degli Albergatori. Qui un tale Iacopo di Antonio Carboni, stufaiolo, e Benedictus olim Antonii, magister artis metice, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, pro et vice et nomine Laurentii eius fratris carnalis ...121
si presentarono per eleggere gli arbitri di una lite, di cui peraltro non conosciamo la causa, sorta in precedenza tra il fratello di Benedetto, Lorenzo, e il detto Iacopo.
118 M° Bettino nacque verso il 1415/20 da una famiglia molto facoltosa originaria di Romena in Casentino, dove ebbe case e terreni. Abitò nel Quartiere di San Giovanni, prima in Via Sant’ Egidio, poi in Via del Cocomero, un tratto dell’attuale Via Ricasoli. Rimase celibe; in tarda età si ritirò nella casa di famiglia nel Castello di Romena e morì dopo il 1480: cfr. ASF, Catasto 684, cc. 327r-331v; 721, cc. 336r-339r; 826, cc. 568r-568v; 1018, c. 145r; Monte Comune o delle Graticole, Copie del Catasto 90, c. 193r. Su Bettino cfr. Ulivi [2001], pp. 315-316, 344; inoltre qui, p. 42. 119 Cfr. Appendice 1, documento 23. 120 Ibidem, documento 13. 121 Ibidem, documento 27.
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Nel quarto notarile del 26 gennaio 1470, la madre Taddea, rogante ... cum consensu Benedicti Antonii Christofari insegna l’abbaco ...
ratificò un precedente atto del 2 ottobre 1469 relativo alla vendita della casa di Piazza Padella, da parte dello stesso Benedetto, ad Antonio di Michele di Feo Dini ed a sua moglie Angela di Bartolomeo degli Stagnesi122. Infine il quinto rogito risale al 5 luglio del 1476 e fu stipulato nell’Ufficio dell’Onestà di Firenze. Con tale documento, nelle vesti di provveditore dei Capitani della Società di Orsanmichele, Benedictus quondam Antonii dell’abacho, Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia ... locavit ad pensionem Francische greche, publice meretrici in Chiasso Bobum de Florentia ... partem cuiusdam domus, posite Florentie in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, et in Chiasso Bobum ...
La casa era molto vicina all’abitazione di Benedetto, apparteneva alla stessa Società di Orsanmichele e venne affittata per due anni e quattro mesi al prezzo di 54 lire l’anno123. – I due documenti del Tribunale della Mercanzia fanno entrambi parte degli “Atti in Cause Ordinarie”. Nel primo, del 18 giugno 1466, tale Domenico di Gualberto, calzolaio, dichiara che Benedetto d’Antonio, maestro d’abaco, fu ed è suo vero debitore di lire [3], s. 18 piccioli per mercantia di bottega sua, a llui venduta e data ...124
Così nel secondo, che risale al 13 settembre 1471, il galigaio Piero di Matteo Fiordalisi ricorda che125 Maxo di Gratia126 del Popolo di Stia di Casentino e Benedecto di [ ] vocato del’abacho, suo malevadore, e qualunque di loro in tutto, furono e sono suoi veri e legitimi debitori di lire ventisei piccioli per vigore di scripta privata ... 122
Ibidem, documento 31; si veda anche la nota 86. Ibidem, documento 35. 124 Ibidem, documento 48. 125 Ibidem, documento 50. 126 Maso o Tommaso di Grazia era un contadino alle dipendenze di M° Benedetto e della sua famiglia come lavorante del podere di San Giovenale: cfr. Appendice 1, documenti 8 e 9. 123
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– Nelle dichiarazioni catastali della famiglia di Benedetto non si parla mai della sua attività di abacista. Solo in un volume del Monte Comune o delle Graticole – che contiene le Copie del Catasto del 1469, fatte dai relativi Ufficiali – dopo la denuncia di Monna Taddea e dei figli, si legge la seguente postilla: Rechò Benedetto d’Antonio a dì 14 d’aghosto, all’abacho127.
Un analogo riferimento è contenuto in una successiva scritta del Catasto, posteriore alla morte del Nostro. Si tratta infatti della denuncia consegnata nel 1480/81 dai fratelli dell’ormai defunta Monna Pippa. Qui, nell’elencare i vari possedimenti, Simone, Bartolomeo, Francesco e Luca Tinghi ricordano l’atto del Podestà di Firenze del 13 giugno 1480 con cui il podere di San Giovenale, già appartenuto alla famiglia di Benedetto, era stato loro assegnato ... per la dota di Monna Pippa, nostra sirochia e donna fu di Benedetto del’abacho128.
– In due filze dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, tra le “Uscite”, sono registrati tre pagamenti ai frati degli Angeli effettuati tramite “Benedetto d’Antonio dell’abacho” o “Benedetto dell’abacho” quale “sindacho” e “procuratore” degli stessi frati, nei giorni 3 luglio 1476, 21 marzo 1478 e 24 marzo 1479129. È interessante rilevare che il 3 luglio il denaro venne consegnato “per mano di Ser Piero d’Antonio da Vinci”, importante notaio fiorentino, padre di Leonardo130. – Anche in un “Libro di ricordi” della Badia del Sasso di San Giovanni decollato, nel Valdarno casentinese, al tempo annessa al Convento di Santa Maria degli Angeli, l’allora Priore Don Piero di Iacopo, nell’elencare alcune spese da lui sostenute per la Badia, scrive di avere consegnato £. 1, s. [ ], d. sei ... a Don Piero Ghini negli Agnioli e per me £. una e a Benedetto dell’abacho s. undisci ...,
durante un suo soggiorno a Firenze presso i frati degli Angeli, avvenuto probabilmente tra l’aprile ed in giugno del 1479131. 127 128 129 130 131
Ibidem, documento 9 e nota relativa. Ibidem, documento 15. Ibidem, documenti 145-147. Su Ser Piero cfr. Il Notaio [1984], pp. 256-258. Cfr. Appendice 1, documento 118.
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– Di indubbio interesse sono i due documenti contenuti nel fondo Operai di Palazzo e relativi ad una attività che il Nostro svolse parallelamente all’insegnamento. Le due scritte attestano la partecipazione di M° Benedetto ai lavori di ricostruzione di alcune sale del Palazzo della Signoria di Firenze, che tra il 1472 ed il 1480 videro impegnati celebri scultori e architetti del Quattrocento: Benedetto132 e Giuliano di Leonardo da Maiano, Francesco di Giovanni detto Francione, i fratelli Marco, Domenico e Giuliano del Tasso, Francesco Monciatto e Giovanni da Gaiole133. Nel luglio del 1475, gli Operai di Palazzo, ritenendo eccessivo ed inadeguato quanto richiesto dai maestri per i loro lavori, nominarono una commissione composta da altri quattro maestri legnaioli per effettuare una stima. Non trovandosi d’accordo, ciascuno di questi stilò un proprio rapporto. Il 2 dicembre gli Operai approvarono quello di Domenico da Prato, da lui depositato il 29 agosto, ed indicante i prezzi per braccio quadro di palchi, tetti e ornamenti in legno delle sale. Finalmente il 18 dicembre venne consegnata la relazione dettagliata e definitiva con tutte le misure ed i costi complessivi. Allo scopo di fornire un’esatta stima dei lavori, Domenico chiamò in suo aiuto altri due legnaioli ed anche Benedictum magistrum abbaci, in re bene peritum, qui posuit mensuram ...
Il 24 febbraio 1477, per la sua prestazione, vennero consegnate Magistro Benedicto abbaci, libras duas134
– Quattro scritte contenute in una filza del Convento di Santa Maria degli Angeli, vedono ancora M° Benedetto nel ruolo di misuratore. In esse, relativamente agli anni 1474-1475, sono descritti cinque poderi che appartenevano ai frati e che erano situati nel Popolo di San Piero a Monticelli: tutti vennero misurati per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abacho135.
132 Benedetto da Maiano ebbe un figlio di nome Giuliano (n.1492-m.1527?), anche lui scultore. A quest’ultimo Van Egmond attribuisce un trattato d’abaco, Alchuno memoriale (c.1505) conservato alla BRF, del quale probabilmente Giuliano non fu l’autore ma solo un trascrittore e possessore. Cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 8 (1966), p. 435; Van Egmond [1980], pp.153-154. 133 Cfr.: Gotti [1889], pp. 93-101; Lensi [1911], pp. 52-58; Lensi Orlandi [1977], pp. 76-81. Sull’argomento si veda anche l’Introduzione. 134 Cfr. Appendice 1, documenti 148-150. 135 Ibidem, documenti 52-54.
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Ancora due volumi di Santa Maria degli Angeli, nell’estesa lista dei pagamenti in cui ricorre il nome di Benedetto quale “fattore” del Convento, contengono quattro documenti, riguardanti un arco di tempo che va dal 1477 al 1480, in cui il Nostro viene ancora esplicitamente citato come “Benedetto d’Antonio dell’abaco”: nei giorni 8 e 29 settembre 1478 per aver ricevuto 5 fiorini larghi da tale Piero di Nuto, barbiere, a nome del rigattiere Giordano di Iacopo; per due volte tra il 1479 ed il 1480 – poco dopo la morte – come debitore verso il convento di oltre 157 e 138 fiorini; infine, sempre sotto la data 1479, in relazione a un debito di circa 15 fiorini con i lanaioli Bartolomeo Ciacchi e compagni, per avere acquistato tra il 1477 e il 1478 alcune pezze di “pagonazo”, di “panno nero di perso” e di “panno tane”136. In uno dei suddetti volumi ed in un’ulteriore filza di vari Contratti del convento, rispettivamente nell’anno 1480 e in data successiva al 1495, i frati elencheranno la casa di Via dei Fibbiai che fu abitata dal Nostro, ormai scomparso, come quella dove stava già Benedetto dell’abaco ...137
Oltre quindici anni dopo la sua morte, era dunque ancora vivo il ricordo del grande abacista, già procuratore del convento.
136 137
Ibidem, documenti 61, 92, 110 e 117; cfr. anche il documento 108. Ibidem, documenti 60 e 63.
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5. Le scuole di M° Benedetto e le sue relazioni con gli abacisti del Quattrocento Le notizie sugli studi e sulla formazione culturale di Benedetto dell’abaco ci vengono esclusivamente dal codice L.IV.21. Nel secondo capitolo del XV libro del manoscritto, riferendosi all’abacista Giovanni di Bartolo, l’autore scrive: Fu di statura mezana e quasi in viso pieno, benché a’ mio tenpo non avessi chognitione inperoché in quel tenpo che io mi posi a ‘nparare egli era morto, overo morisse.
E precedentemente, in un altro passo dell’introduzione al XV libro: ... fu Maestro Gratia frate di Sancto Aghostino gran teologho de’ Chastellani, fu al tempo di Maestro Giovanni anchora quello per lo quale et dal quale io ò avuto un pocho di chognitione delli chasi sottili, benché il mio maestro fusse quello che al tenpo presente excede gli altri, cioè Maestro Chalandro di Piero Chalandri huomo di gentil sangue et di chostumi et buone usanze chopioso138.
M° Benedetto, il compilatore della Praticha d’arismetricha contenuta nel codice L.IV.21, cominciò dunque a studiare l’abaco al tempo della scomparsa di Giovanni di Bartolo, sotto la guida di Calandro di Piero di Mariano Calandri. Evidentemente, molto importanti per le sue conoscenze matematiche furono gli scritti di Grazia dei Castellani, contemporaneo di Giovanni139. Giovanni di Bartolo140 morì dopo avere a lungo lavorato nella famosa Bottega di Santa Trinita, allora proprietà delle due famiglie Soldanieri e Deti, bottega situata nel Quartiere di Santa Maria Novella, 138
BCS, L.IV.21, cc. 408v, 431v; cfr. Arrighi [1965], pp. 396, 398. Grazia de’ Castellani (1392-m.1401) fu monaco agostiniano nel Convento di Santo Spirito di Firenze. Sembra non avere esercitato l’attività di maestro d’abaco; fu invece lettore di teologia nello Studio del suo convento e presso l’Università. Scrisse opere di filosofia, logica, aritmetica e geometria. Per quanto riguarda i lavori matematici, si conoscono: un Trattato del chatain riportato nel Palat. 573, nell’Ottobon. Lat. 3307 e nell’ L.IV.21, alcuni Chasi sopra conpagnie, i Chasi notabili al meritare e scontare, e un Capitolo sopra chasi d’uomini facienti lavorii, contenuti nel Palat. 573 e nell’Ottobon. Lat. 3307, una traduzione in volgare di parte di un trattato di geometria pratica dal titolo De visu che si trova nel codice Ottobon. Lat. 3307. Cfr.: Arrighi [1967c]; Gratia de’ Castellani [1984]; Van Egmond [1976], pp. 380-381; Toti Rigatelli [1986], pp. 12-19. 140 Per informazioni biografiche su Giovanni di Bartolo (n.c. 1364-m.1440) rimandiamo a Van Egmond [1976], pp. 374-377 e alla relativa bibliografia; si veda inoltre Arrighi [1965], pp. 375-376 e Arrighi [1977], p. 99; Ulivi [1996], pp. 114-115, 117. Di Giovanni di Bartolo possediamo solo alcune trascelte di problemi: Certi chasi, riportati nel codice L.IV.21, Quistioni absolute nel Palat. 573 e Alchuno chaso nell’Ottobon. Lat. 3307. Sulle prime due si vedano Giovanni di Bartolo [1982] e Arrighi [1967b]. 139
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sulla Piazza Santa Trinita – anticamante detta anche Piazza degli Spini – di fronte alla chiesa omonima, tra Via Porta Rossa e Via delle Terme141. Giovanni fu sepolto il 3 giugno del 1440 nella Chiesa di Santa Maria del Carmine142. Da prima del 1440, forse già dal 1436, e almeno fin verso il 144345, l’allora molto giovane Calandro di Piero Calandri143, succedendo 141 Giovanni – che fu anche lettore di astrologia presso l’Università di Firenze – rimase sempre legato alla Scuola di Santa Trinita, dove negli ultimi anni fu affiancato da M° Lorenzo di Biagio da Campi. In quella scuola, durante il XIV secolo e prima di Giovanni, insegnarono Don Agostino di Vanni (1363-m.1372/75) e Antonio di Giusto Mazzinghi (n.1350/55-m.1385/91). Dopo Giovanni si ebbero Lorenzo, e Mariano di M° Michele quasi sicuramente in società con M° Taddeo (n.1419/22m.1492), fratello di Antonio di Salvestro dei Micceri da Figline. Finora solo presunta, ma non documentata, è l’attività, nella Scuola di Santa Trinita, di Paolo di Piero dell’abaco (1329-m.1367) e di Michele di Gianni o della Gera (1351-m.1413), che ereditò l’uso e le suppellettili della scuola dove Paolo insegnò negli ultimi anni della sua vita (cfr. la nota 301). Sulla Bottega di Santa Trinita e sui relativi abacisti si veda: Ulivi [1996], pp. 116-117; Ulivi [1998] pp. 50-51 e Ulivi [2001]. Su Antonio Mazzinghi, Paolo dell’abaco, Michele di Gianni, Lorenzo di Biagio, Antonio e Taddeo Micceri cfr. anche: Franci [1988a]; Ulivi [1994]; Van Egmond [1976], pp. 358-359, 386, 394-403, 393, 354-358, 408-409; Van Egmond [1977, 1980]. Su Mariano si veda inoltre Sarti [1997/98], pp. 331-333, 336339. Infine a proposito di Mariano, Lorenzo, Antonio e Taddeo Micceri cfr. qui le pp. 42-45. Paolo dell’abaco fu discepolo, e forse anche socio in una scuola d’abaco, di M° Biagio detto “il vecchio” (m.c.1340). Egli ha lasciato diverse composizioni poetiche e i seguenti scritti di contenuto matematico: Trattato di tutta l’arte dell’abacho conservato nei codici Fondo Princ. II.IX.57/I (c.1340) e Targioni 9 (c.1435) della BNF, Ricc. 2511 (c.1340) e Ricc. 1169 (c.1465) della BRF, Ash. 1662 (c.1430) della BMLF, Cors. 1875 (c.1340) della BANLR, Bologna 2433 (c.1513) della BUB, Italien 946 (c.1452) della BNP, Plimpton 167 (c.1445) della BCUNY; Regoluzze nei codici Targioni 9 e Magl. XI.85 (1467) della BNF, Ricc. 2511 e 1169, Ash. 1163 (c.1487) e Ash. 1662 della BMLF, Cors. 1875, Italien 946 e Plimpton 167; Gli sciemi del 60 nel codice S. Pantaleo 13 (c.1475) della BNR; la Tavola degli scemi nel codice C.III.23/V (sec. XVII, cop. c. 1412) della BCS; la Operatio cilindri nel Palat. 798 (sec. XV) della BNF. Si attribuiscono a Paolo dell’abaco anche l’Istratto di ragioni contenuto nel codice Magl. XI.86 (c.1440) della BNF, Alquante ragioni merchatantesche nel codice Ash. 1308 (c.1440) della BMLF, le Tabulae planetarum ad annum 1366 nel codice Fondo Princ. II.II.67 (secc. XIV-XV) della BNF: la paternità di tali opere, secondo Van Egmond, sarebbe però incerta. Sul Trattato di tutta l’arte dell’abacho cfr. Piochi [1984]; sulle Regoluzze cfr. Paolo dell’Abbaco [1966]; su Operatio cilindri, Gli sciemi del 60 e la Tavola degli scemi cfr. Boncompagni [1854], pp. 380-384; sull’ Istratto di ragioni cfr. Paolo dell’Abbaco [1964]. Biagio “il vecchio” fu autore di un Trattato di praticha di argomento algebrico esposto da M° Benedetto nel codice L.IV.21. Cfr. in proposito: Biagio [1983]; Franci, Toti Rigatelli [1985], pp. 3235; Van Egmond [1976], pp. 362-363. Antonio Mazzinghi fu allievo di Paolo dell’abaco e maestro di Giovanni di Bartolo; oltre che in Santa Trinita, insegnò in una scuola d’abaco situata nel Popolo di Santa Margherita del Quartiere di San Giovanni, assieme al M° Tommaso di Davizzo dei Corbizzi (1339-m.1374/75) ed a suo figlio Bernardo (1365-m.1374/96). Del Mazzinghi ci sono pervenute diverse raccolte di problemi algebrici.; la più ampia è la trascelta fatta da M° Benedetto nel codice L.IV.21 e ripresa dal Trattato di fioretti; oltre a questa si conoscono le Regole dell’arzibra nuova riportate nel codice Magl. XI. 120 (c. 1400) della BNF; qualche Reghola d’algebra con alcune Ragioni absolute si trovano nel Palat. 573; Alchune quistione sottile asolute nell’ Ottobon. Lat. 3307. Sempre nel Palat. 573 e nell’ Ottobon. Lat. 3307 sono inoltre trascritte le Tavole del merito, cioè le tavole degli interessi compilate dal Mazzinghi. A M° Antonio è infine probabilmente da attribuire una Regola che è buono fare in ciaschedun giorno della luna, esposta nei codici Magl. XI. 119 (c. 1437), Magl. XI, 85 (1466-1469) della BNF e Ash. 343 (c. 1444) della BMLF. Sul Trattato di fioretti cfr. Mazzinghi [1967]. Su Tommaso di Davizzo cfr. Van Egmond [1976], p. 409. Di M° Michele conosciamo solo la soluzione algebrica da lui proposta ad un problema che riporta Benedetto nell’ L.IV.21: cfr. Pancanti [1982], pp. 298-299. 142 ASF, Ufficiali poi Magistrato della Grascia 189, c. 20r. Giovanni di Bartolo redasse il proprio testamento, purtroppo non pervenutoci, il 15 maggio 1440 (ASF, Not. Antec. 21426, c. 74v). 143 Calandro nacque il 12 agosto del 1419 (ASF, Tratte 79: Libri dell’età, c. 128v) da Monna Checca, figlia dell’abacista Luca di Matteo. Visse sempre con la famiglia in Via Pietrapiana nel Popolo di San Pier Maggiore del Quartiere di San Giovanni; oltre alla propria abitazione ebbe anche dei
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allo zio materno, l’abacista Giovanni del M° Luca144, insegnò in una scuola al tempo comproprietà della famiglia degli Spini e delle suore del Convento di Sant’Agata. Questa scuola, costituita da diversi locali e “cum curia et orto et puteo et aliis hedifitiis”145 si trovava, come la bottega dei Soldanieri-Deti, nel Popolo di Santa Trinita del Quartiere di Santa Maria Novella, più esattamente in Via di Lungarno, l’attuale Lungarno Corsini, nel tratto tra il Ponte Santa Trinita e il Ponte alla Carraia, e confinava con la stessa Chiesa di Santa Trinita146. È dunque presumibilmente nel 1440, con M° Calandro e nella bella e grande Scuola del Lungarno che Benedetto di Antonio intraprese i propri studi matematici. A quel tempo egli doveva avere circa undici anni, proprio l’età alla quale i ragazzi iniziavano per lo più l’apprendimento dell’abaco. Otto anni dopo – come si deduce dai documenti citati nel precedente capitolo e compresi tra il 1448 ed il 1479 – Benedetto di Antonio aveva già iniziato la propria professione di maestro d’abaco, professione che si svolse, sembra ininterrottamente, e intensamente in un ampio arco di tempo di oltre un trentennio. Lo stesso Benedetto, nel codice L.IV.21, ci informa in prima persona del proprio insegnamento; nell’elencare i maestri fiorentini a lui contemporanei, scrive infatti: E benché non meriti essere chonosciuto per insegnante, ma per imparare anchora, si può dire io essere fra gli altri147 .
Anche nel suo Trattato d’abacho egli dichiara di ... essere totalmente obrighato al servigio della fiorentina goventù ...148 possedimenti nella zona dell’Antella e nel Popolo di Santo Stefano a Campi. Sua moglie, Lucrezia di Ser Agnolo da Terranova, gli dette i figli Pier Maria, Selvaggia, Mariano e Filippo Maria. Calandro morì il 19 marzo 1468 e fu sepolto nella Chiesa di San Pier Maggiore. 144 Giovanni del M° Luca (n.1395-m.1436) era figlio di Luca di Matteo e fu padre di Leonarda, moglie di M° Antonio di Salvestro dei Micceri. 145 ASF, Not. Antec. 1208, c. 159r. Cfr. Ulivi [1993], pp. 5-6. 146 Prima di Giovanni del M° Luca, nella Bottega del Lungarno, insegnarono Biagio di Giovanni (1354-m.1397) e il suo discepolo Luca di Matteo (n.1356-m.1433/36). Un altro molto probabile abacista della scuola fu Michele di Gianni. Non è inoltre da escludere che, in un primo periodo di attività, la Scuola del Lungarno abbia visto tra i suoi maestri anche Paolo dell’abaco e Antonio Mazzinghi. Su tale bottega e sui relativi docenti si vedano: Ulivi [1993] e Ulivi [1998], pp. 51-52; Van Egmond [1976], pp. 362, 378, 387-388 e Van Egmond [1980]. Luca di Matteo ha lasciato un’Arte d’abacho conservata nel Pluteo 30, 25 (sec. XV), codice miniato della BMLF, nel Plimpton 196 della BCUNY (c.1445) e nel Canon. Ital. 236 (c.1453) della BLO. Inoltre 50 ragioni di M° Luca si trovano nel Palat. 573 e Alchuni chasi di algebra nel codice Ottobon. Lat. 3307: si veda in proposito Toti Rigatelli [1986], pp. 7-11. Di Giovanni del M° Luca conosciamo tre copie del Libro sopra arismetricha, nei codici Plimpton 172 (1422), Plimpton 192 (1456) e Plimpton 195/I (1478) della BCUNY. 147 BCS, L.IV.21, c. 408v; cfr. Arrighi [1965], p. 396. 148 BMLF, Acq. e Doni 154, c. 11r; cfr. Calandri [1974], p. 31.
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L’inizio dell’attività didattica di M° Benedetto è quasi sicuramente da collocare nel novembre del 1448, quando egli era ancora solo diciannovenne In tre filze della Compagnia del Bigallo e della Misericordia relative agli anni 1448-1451, si legge infatti dell’affitto a M° Benedetto di una ... chasa atta a squola, posta in Orto Sa’ Michele, cho’ sua chonfini, sopra al nostro fondacho ...149
Un precedente volume del 1400-1412 la descrive più dettagliatamente come Una chasa con fondacho di sotto in volta e con palchi di sopra, posta in su la Via di Calimala e in sulla Piazza d’Ortosanmichele, posta nel Popolo di Sa’ Michele in Orto ...150
La scuola era dunque situata vicino alla bellissima Chiesa di Orsanmichele, nell’omonimo Popolo del Quartiere di Santa Croce, sopra un magazzino dell’Arte dei Mercatanti o di Calimala151 allora proprietà, assieme alla casa, della stessa Compagnia: doveva trovarsi all’angolo tra Via Calimala e l’attuale Via de’ Lamberti, dove al tempo si affacciava l’ormai scomparsa Piazza di Orsanmichele152. Il sito era stato venduto alla Società del Bigallo l’8 gennaio 1403 da Iacopo di Latino dei Pilli ed Accorri di Geri dei Pilli, o Pigli153, nobili fiorentini che al tempo avevano le loro case nella stessa zona. Come si apprende dai suddetti tre volumi, il contratto di affitto della casa, purtroppo non pervenutoci, venne stipulato tra Benedetto e i Capitani del Bigallo l’11 dicembre 1448. Esso prevedeva che la locazione avesse una durata di tre anni, dal 1° novembre 1448 al 31 ottobre 1451, con un affitto di 52 lire di piccioli l’anno da pagare di sei mesi in sei mesi. Una “entratura” della casa era inoltre affittata per otto lire annue a Ser Apollonio di Francesco Cascesi, allora cappellano della Cappella di San Cristoforo nella Chiesa di San Firenze. Nei libri del Bigallo, Benedetto continuerà tra l’altro a comparire fino alla morte, come debitore di 67 lire e un soldo, forse per resto dell’affitto degli ultimi due anni. 149
Cfr. Appendice 1, documento 122 e documenti 121, 124, 126-127. Ibidem, documento 120. L’Arte che si occupava del commercio e dell’esportazione dei prodotti in lana. 152 Cfr. Sframeli [1989], pp. 344-348. 153 ASF, Not. Antec. 14943, cc. 67v-68r. Rileviamo che, per l’atto di vendita, il mallevadore della Compagnia del Bigallo fu Cappone Capponi, figlio del potente uomo politico Neri Capponi e nipote di Gino Capponi; il camarlingo della stessa Compagnia, che effettuò il pagamento, era allora Matteo di Angelo, detto Malatesti, della nobile famiglia Cavalcanti. 150 151
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In riferimento al rogito dell’11 dicembre 1448, un particolare interessante è la presenza, e la corrispondente e ripetuta citazione nei libri del Bigallo, del già ricordato abacista Bettino di Ser Antonio da Romena, che nove anni dopo fu anche, con M° Benedetto, tra gli affiliati alla Società di San Michele, nonché procuratore della stessa società. Bettino, nel contratto di affitto della scuola, ebbe il ruolo di mallevadore di Benedetto, assieme a suo padre Antonio di Cristofano154. Sembra inoltre che Bettino abbia pagato alcuni lavori di ristrutturazione della scuola, esattamente 10 lire “per II usci e per ammattonare”155, forse per conto dello stesso Benedetto e subito prima che il Nostro vi iniziasse il suo periodo di insegnamento. Questo intervento di Bettino, al tempo trentenne, fa pensare che egli abbia potuto coadiuvare il più giovane Benedetto nella conduzione della Scuola di Orsanmichele. Di fatto, appena tre mesi dopo la conclusione del contratto di affitto della scuola, esattamente il 26 gennaio 1452, Bettino stipulò a sua volta un rogito con i frati della Badia fiorentina per la locazione di un’altra bottega d’abaco, che tenne tra il novembre del 1452 e il novembre del 1456156. Nella stipulazione del contratto, si fece garante di Bettino il maestro d’abaco Lorenzo di Biagio da Campi157, socio dell’abacista di Romena nella stessa bottega. La Scuola della Badia era situata non lontano da quella di Orsanmichele, in Via San Martino oggi Via Dante Alighieri, nel Popolo di Santa Maria e Stefano alla Badia del Quartiere di Santa Croce, e confinava proprio con la splendida Badia fiorentina allora sede di una delle più importanti biblioteche della città158.
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Cfr. Appendice 1, documenti 121-122, 124, 126, 129, 132-133. Ibidem, documenti 121 e 123. Cfr. ASF, Corp. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 78, 78, cc. 136s-136d; 78, 261, c. 132r. Sulla Badia fiorentina si veda Sestan et al. [1982]. 157 Lorenzo di Biagio nacque nel 1414 da una famiglia originaria di Campi, dove padre e fratelli tennero in affitto diversi poderi. Egli fu l’erede testamentario di M° Giovanni di Bartolo che gli lasciò una vigna a Sollicciano e una casa in Via San Salvatore, l’ultimo tratto dell’attuale Via della Chiesa, nel Popolo di San Frediano del Quartiere di Santo Spirito; la casa, negli anni 1451-1458 confinava con lo studio dei pittori Bicci di Lorenzo e di suo figlio Neri di Bicci. Dalle dichiarazioni catastali di quest’ultimo e di un altro confinante, sembra che Lorenzo di Biagio abbia svolto l’attività di maestro d’abaco, almeno tra il 1458 e il 1469, in alcuni locali della sua stessa abitazione. Lorenzo non si sposò e morì tra il 1472 e il 1480. Cfr. ASF, Catasto 621, c. 369r; 709, c. 178r; 794, c. 94r; 818, cc. 428r428v; 907, c. 68r; 910, c. 62r; Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Franc. 78, 261, c. 50r e segg.; inoltre Van Egmond [1976], p. 386. 158 Come racconta l’autore del codice Ottobon. Lat. 3307, vi erano conservate anche copie di opere di Leonardo Pisano, in particolare la “Praticha d’arismetricha intitolata a Michele Schoto e la Praticha di geometria ... e il Fioretto ... e anchora el Libro de’ numeri quadrati ...”: BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349r; cfr. anche Arrighi [1968a], p. 81. 155 156
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Per tutto il corso del Quattrocento, prima del novembre del 1448 e successivamente all’ottobre del 1451 la casa del Bigallo non ospitò altre botteghe d’abaco; fu invece in prevalenza affittata a dei maestri di grammatica159. Dopo i tre anni trascorsi in Orsanmichele, Benedetto passò infatti in un’altra scuola d’abaco. Di questa abbiamo notizia da una filza del già ricordato fondo degli Ufficiali di Notte. Il 3 dicembre 1453 ed il 2 gennaio 1454, negli elenchi dei “tamburati”, viene riportato il nome di M° Benedetto precisando rispettivamente che docet abacum cum Mariano,
e che stat in bottega Mariani dell’abaco160
A quel tempo la bottega di M° Mariano161 era l’importante Scuola dei Santi Apostoli. Come si deduce dai suoi Catasti, questa era situata sotto l’abitazione dell’abacista Lungharno nel Popolo di Santto Apostolo, che da primo Via di Lungharno, a secondo Chiasso della Vergine Maria, da terzo Anttonio di Guglielmo da Tore di Valdipesa162.
cioè sul Lungarno Acciaiuoli, all’angolo con l’attuale Chiasso degli
159 Si susseguirono i seguenti maestri: Francesco di Ser Feo d’Arezzo con Santi di Domenico d’Arezzo e Ser Piero di Barnaba da Orvieto, Antonio di Messer Giovanni di Roselli d’Arezzo, Iacopo di Simone da Pesaro (o Terni) con Perello Filiziano del M° Perello da Zigole, Ser Pellegrino di Giovanni da Rimini, Niccolò di Giovanni da Catalogna ancora con Iacopo di Simone, Ser Luca di Antonio da San Gimignano, Simone di Francesco, Santi di Lorenzo da Dicomano: Cfr. ASF, Comp. poi Mag. del Bigallo 732, c. 30s; 733, c. 37s; 737, c. 106s; 739, c. 81s; 740, c. 53s; 745, c. 19s; 746, c. XXs; 749, c. 32s; 750, c. 27s; 751, c. 25s; 752, c. 11s; 753, c. 11s; 754, c. 11s; 8, fasc. II, cc. 23r e 31v, e fasc. IV, c. 50r. Rileviamo che Ser Pellegrino di Giovanni da Rimini ebbe come mallevadore del contratto di affitto della scuola il libraio e biografo Vespasiano da Bisticci. 160 Cfr. Appendice 1, documenti 140 e 141. Nello stesso volume, tra i querelati del 1° settembre 1453 e dell’11 luglio 1455 compare anche rispettivamente “Benedictus Antonii” e “Benedictus Antonii tessitori drapporum”: quasi certamente si tratta ancora di M° Benedetto (cfr. Appendice, documenti 139 e 142). Tra il 1452 ed il ’56, sempre nella lista dei “tamburati” per sodomia, si trovano più volte quasi tutti i maestri d’abaco attivi in quegli anni: Bettino e Lorenzo che vi figurano per lo più insieme, Mariano, Banco di Piero e Calandro, il cui nome si legge anche unitamente a quello di Mariano: cfr. ASF, Ufficiali di Notte 3, cc. 2v, 3r, 3v, 4v, 5r, 5v, 6v, 7r, 7v, 8r, 9v, 13v, 15v, 16r, 16v, 64v. 161 Mariano nacque nel 1387. Visse sempre nell’abitazione di famiglia in Via di Lungarno e fu anche proprietario di una casa con podere all’Antella nei pressi di Firenze. Come Bettino e Lorenzo non si sposò mai ed abitò con la sorella nubile Nanna. Per la sua biografia si veda Ulivi [2001]. 162 Cfr. ad es. ASF, Catasto 361, c. 357r; Ulivi [2001], pp. 307, 330.
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Altoviti, allora denominato Chiasso della Vergine Maria, che collega il Lungarno con Borgo Santi Apostoli. La Scuola dei Santi Apostoli venne fondata verso l’ultimo quarto del XIV secolo dal padre di Mariano, Michele di Gianni. Questi, nel primo quindicennio di attività della scuola, vi lavorò quasi sicuramente in società con M° Luca di Matteo Pelacane e con tale M° Orlando di Piero. Alla morte di Michele, la gestione della bottega passò a suo figlio Mariano che insegnò in Santi Apostoli per quasi mezzo secolo, salvo un triennio, fra il 1442 ed il 1445, durante il quale venne sostituito da Antonio di Salvestro dei Micceri, ed oltre ad un periodo trascorso, attorno al 1447 e probabilmente in società con Taddeo dei Micceri, nella Bottega di Santa Trinita. Fino dall’agosto del 1451, in Santi Apostoli, Mariano ebbe come collaboratore l’appena diciottenne Banco di Piero Banchi163, che percepiva “un piccolissimo salario di circha di fiorini quindici l’anno”. Mariano morì il 16 febbraio 1458. Nel testamento, egli dispose che Banco, dopo la sua scomparsa, potesse usufruire della casa del Lungarno e della sottostante bottega per due anni, senza alcun pagamento, che nei successivi cinque anni egli dovesse corrispondere ai suoi eredi la somma annuale di 16 fiorini, e che infine, trascorso anche questo periodo, potesse rimanere nella scuola solo previa concessione degli stessi eredi. In realtà, Banco di Piero non visse nella casa di Mariano che venne invece occupata dagli eredi dell’abacista; rimase però a insegnare nella Scuola dei Santi Apostoli fino alla morte, avvenuta nel 1479, lo stesso anno della grande pestilenza e della scomparsa di M° Benedetto. In definitiva, almeno tra la fine del 1453 e l’inizio del ’54, Benedetto esercitò la propria attività in Santi Apostoli in collaborazione con Mariano e forse anche con Banco. Il sodalizio doveva essere iniziato dopo l’ottobre del 1451, ossia una volta espletato il contratto di affitto della Bottega di Orsanmichele. Con buona probabilità Benedetto lasciò la Scuola dei Santi Apostoli prima del febbraio 1458. Nel Catasto di quell’anno, infatti, seguendo 163 Banco nacque verso il 1433 da famiglia piuttosto benestante che ebbe non pochi possedimenti in diverse zone dei dintorni di Firenze. Abitò prima in Via di Sitorno, un tratto dell’odierna Via della Chiesa, quindi in Via Santa Maria, entrambe nel Popolo di San Felice in Piazza del Quartiere di Santo Spirito. Per qualche tempo visse nel Popolo di San Michele Visdomini, in San Giovanni. Si spostò quindi in Santa Croce, fuori della Porta a Pinti, e infine nel Popolo di Santa Maria Nipotecosa, di nuovo in San Giovanni. Sua moglie fu Francesca di Cenni d’Aiuto, dalla quale ebbe le figlie Gianna e Maria ed i figli Andrea, Agostino e Piero, il primo dei quali divenne notaio (cfr. ASF, Not. Antec. 1-18). Su Banco si veda ASF, Catasto 695, c. 290r; 798, cc. 394r-395r; 911, cc. 508r-508v; Not. Antec. 10094, cc. 116r-118r.
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le disposizioni testamentarie di Mariano, Banco dichiara di insegnare da solo nella bottega164. Per il periodo successivo a quello trascorso in Santi Apostoli, un’informazione su dove si svolse, almeno per qualche tempo, l’attività didattica di M° Benedetto ci viene ancora dagli Ufficiali di Notte. Come abbiamo già ricordato, il 7 marzo del 1468, Benedetto venne, sembra ingiustamente, accusato di sodomia da Giovanni di Andrea Salutati, probabilmente un suo studente, che abitava in San Frediano, nel Quartiere di Santo Spirito. Nel documento si precisa che il fatto era avvenuto in eius orto posito contra hospitale Scalarum.
L’Ospedale di Santa Maria della Scala si trovava nella via omonima del Quartiere di Santa Maria Novella. Dunque “l’orto” di cui si parla nel documento non faceva parte dell’abitazione di M° Benedetto, che visse sempre in San Giovanni, ma era senz’ altro il giardino della scuola dove egli insegnava nel marzo del 1468165. L’esatta ubicazione dell’Ospedale della Scala era in realtà all’angolo tra Via della Scala, già Via di Ripoli, e l’antica Via Polverosa, che fu poi chiamata Via degli Orti Oricellari166. La scuola, “contra hospitale Scalarum” era dunque o in una di tali vie oppure anch’essa all’incrocio tra le due strade, nel Popolo di Santa Lucia d’Ognissanti del Quartiere di Santa Maria Novella.
164 ASF, Catasto 798, c. 394r. In seguito, Banco si avvalse forse, per qualche tempo, della collaborazione di un bisnipote di Mariano, M° Niccolò di Lorenzo (n.c.1443-m.1475/80). Nella conduzione della scuola seguirono poi Taddeo di Salvestro dei Micceri e suo figlio Niccolò (n.c.1453m.1527/32) che vi lavorò in società con Piero di Zanobi (n.1478-m.1525) e con Giuliano di Buonaguida della Valle (1508-m.1527/38). Sulla Scuola dei Santi Apostoli si veda Ulivi [2001]. Tra le botteghe d’abaco fiorentine, la Scuola dei Santi Apostoli fu probabilmente quella con il più lungo periodo di attività, circa un secolo e mezzo, e fu senz’altro una delle più frequentate. Nei primi decenni del Cinquecento, durante il periodo di insegnamento di Niccolò di Taddeo, la scuola contava ben duecento scolari; nello stesso anno, ad esempio, la bottega d’abaco situata in Via dei Rustici, nel Popolo di San Romeo del Quartiere di Santa Croce, con tale M° Antonio, aveva solo quaranta scolari: Cfr. BNF, Nuovi Acq. 987, cc. 5v, 94r. Rileviamo anche che, prima di insegnare in Santi Apostoli, come risulta dai libri degli Ufficiali di Notte, nell’anno 1475 Niccolò di Taddeo era maestro in una bottega d’abaco di Piazza del Vino, nel Popolo di San Piero Scheraggio del Quartiere di Santa Croce: cfr. ASF, Ufficiali di Notte 18, Parte I, c. 68v. Piazza del Vino era vicina alla scomparsa Piazza del Grano, verso le attuali Via della Ninna e Via de’ Neri: cfr. BNF, Nuovi Acq. 987, c. 83v. 165 Peraltro gli episodi di sodomia si verificavano per lo più nelle scuole e nelle botteghe di artisti, artigiani e mercanti. Il 19 gennaio 1473 si racconta di un episodio avvenuto tra i due pittori Gino Benozzi e Benedetto di Domenico Pialla dentro la bottega di Sandro Botticelli, nella Via Nuova; cfr. ASF, Ufficiali di Notte 16, c. 49v. 166 Cfr. Bargellini, Guarnieri [1977-1978], vol. II (1977), pp. 357-358 e vol. III (1978), pp. 358359. Sull’ Ospedale della Scala si veda Artusi, Patruno [2000], pp. 215-222.
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Di fronte all’ospedale, sempre ad uno degli angoli tra le due vie, l’Arte di Calimala possedeva Un podere chon chasa da llavoratore, chon corte e pozzo e chamino e sale e terre lavoratie e viti e chon orto e alberi fruttiferi e non fruttiferi ...
come viene descritto in un libro che elenca i beni dell’Arte nell’anno 1459, e che all’epoca era affittato a un certo “Andrea di Stefano, sta al sale”167. Il 4 febbraio 1483, il podere e la casa vennero acquistati da Nannina de’ Medici, sorella di Lorenzo e moglie di Bernardo di Giovanni Rucellai168; la proprietà venne ampliata sette anni più tardi, nel febbraio del 1490, con un nuovo appezzamento ottenuto a fitto perpetuo sempre dall’Arte dei Mercatanti. Si tratta del grande “orto” che Bernardo elencherà tra i suoi possedimenti alla Decima Repubblicana del 1495169. Su quel terreno, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, il Rucellai fece costruire una casa di forma quasi quadrata, con uno splendido giardino che adornò di statue e bassorilievi e che divenne la sede della cosiddetta Accademia degli Orti Oricellari, luogo di incontro per letterati, artisti e uomini politici del tempo170. In definitiva, la scuola con il giardino171, nella quale Benedetto insegnava nel marzo del 1468, era o molto vicina al sito che ospitò poi i famosi Orti, oppure occupava addirittura parte di quel sito. Benedetto lavorò nella scuola di Santa Maria della Scala in un arco di tempo successivo al febbraio del 1458 e precedente l’agosto del ’69. Nei Catasti del Nostro relativi a quegli anni, infatti, non vengono elencati né possedimenti né locali presi in affitto in Via della Scala. Per gli ultimi undici anni della vita di M° Benedetto, come per quelli che intercorrono tra i citati documenti in nostro possesso e riguardanti l’attività da lui svolta nelle tre scuole di Orsanmichele, Santi Apostoli e Santa Maria della Scala, non abbiamo informazioni sul suo insegnamento.
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Cfr. ASF, Arte di Calimala 144, c. 245r. ASF, Not. Antec. 14183, cc. 107r-107v. ASF, Decima Repub. 22, cc. 195v-196r. 170 Sugli Orti Oricellari si veda Comanducci [1996] e Ginori Lisci [1972], vol. I, pp. 301-302. 171 Secondo quando riferisce il Varchi, attingendo alle pagine di Bendetto Dei (cfr. Varchi [18331841], p. 105), nel Quattrocento vi erano in Firenze “tra orti e giardini centrentotto”, dei quali ventiquattro nel Quartiere di Santa Maria Novella: due di questi erano gli “orti” delle scuole d’abaco del Lungarno e di Santa Maria della Scala. 168 169
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Ovviamente una possibilità è che questo si svolto unicamente nelle suddette scuole. Altre eventuali congetture si deducono da alcuni elementi legati alla biografia del Nostro e da ulteriori notizie e osservazioni. Una prima considerazione riguarda la più volte menzionata abitazione di Piazza Padella. Questa, come ricordiamo, fu venduta al padre di Benedetto nel 1428 da Carlo, Giovanni e Rinaldo degli Agli. Poco dopo il 1464, ossia dopo la scomparsa di Antonio di Cristofano, la casa ritornò proprietà della famiglia degli Agli, per essere poi riacquistata da Benedetto e Taddea nel 1468. Nel Catasto del 1469 essa figura infatti tra i beni di famiglia di Benedetto e in parte temporaneamente affittata a Marco di Baldo, un prete che la utilizzava come “schuola di fanciulli”, cioè come scuola di livello primario dove si insegnava a leggere e scrivere. Dunque, uno o più locali della casa erano allora, e forse anche in precedenza, adibiti ad uso scolastico. Altre considerazioni ci riconducono agli abacisti della famiglia Calandri. Ricordiamo che il Nostro compì i propri studi d’abaco con M° Calandro, presumibilmente a partire dal 1440, in una bottega situata sul Lungarno Corsini. Calandro insegnò nella bottega del Lungarno almeno fino al 1442, forse fin verso il 1443-45. I locali della bottega, dopo essere stati comproprietà della famiglia degli Spini e delle suore del Convento di Sant’Orsola, poi Sant’Agata, vennero infatti venduti tra il 1443 ed il 1445 ad Antonio di Dino di Francesco Canacci ed incorporati nella sua abitazione. Il palazzo del Canacci fu acquistato nel 1449 dalla famiglia senese dei Tegghiacci che in seguito vi effettuò grossi lavori di ristrutturazione; l’autore dell’opera contenuta nel codice Ottobon. Lat. 3307 ricorderà infatti la Bottega d’abaco del Lungarno dicendo che si trovava “dove è oggi il muramento de’ Teghiacci”172. Dopo la chiusura di quella scuola, Calandro proseguì altrove l’insegnamento. Per alcuni anni, da prima del 1452 almeno fino al 1461 – forse con un periodo di interruzione – egli tenne in affitto una bottega d’abaco da Zanobi e Francesco di Bartolomeo dei Nobili,
172 BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349v; cfr. anche Arrighi [1966], p. 292 e Arrighi [1968], pp. 81-82; Toti Rigatelli [1986], p. 6. Ancora in fase di ristrutturazione, il sito fu poi venduto alla famiglia Gianfigliazzi. Il palazzo rimase ai Gianfigliazzi fino alla fine del XVIII secolo. Passò quindi alla famiglia Verdi, divenendo l’“Albergo delle Quattro Nazioni” che ospitò, tra l’altro, Alessandro Manzoni. Nel 1828 fu acquistato da Luigi Bonaparte che vi trascorse frequenti soggiorni. Cfr. Ginori Lisci [1972], vol. I, pp. 141-142, 145; Ulivi [1993], pp. 1 e 9. Uno studio fondamentale sul Palazzo Gianfigliazzi nei secoli XV-XVI è quello di B. Preyer, di prossima pubblicazione.
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situata nel Popolo di Santa Maria Sopra Porta del Quartiere di Santa Maria Novella: il sito si affacciava sulla scomparsa Piazza o Corte dei Pilli, verso l’antico Chiasso del Mangano, vicino all’attuale Via Pellicceria, tra l’altro a poca distanza dalla Scuola di Orsanmichele173. Tra il maggio del 1459 ed il marzo del 1463, lo stesso Calandro acquistò una casa, sempre sulla Piazzuola dei Pilli, in quella che fu poi chiamata la Via o Corticina dell’Abaco174, nel Popolo di San Miniato tra le Torri: lì egli trasferì definitivamente la propria scuola rimanendovi fino alla morte, avvenuta il 19 marzo 1468. In seguito, almeno fino dal 1480, come risulta dalle dichiarazioni catastali della famiglia, la bottega di M° Calandro passò al suo figlio maggiore Pier Maria, che fu poi forse affiancato nell’insegnamento dal fratello Filippo Maria. Già nell’agosto del 1469, oltre un anno dopo la scomparsa del suo fondatore, la Scuola di Piazza dei Pilli risultava comunque in attività e sempre “a uso d’abacho”175. In quell’anno, nessuno dei due figli di Calandro poteva tuttavia insegnare, essendo ancora entrambi troppo giovani176. In riferimento ai due figli di M° Calandro, segnaliamo anche che nell’incipit di due delle diciotto copie conosciute del Trattato d’abacho di M° Benedetto, quelle contenute nei codici fiorentini Acq. e Doni 154 della Biblioteca Medicea Laurenziana (c.1480) e Magl. XI, 82 della Nazionale (c.1507), si legge rispettivamente: fatto da P° Ma a uno suo amicho. fatto e conposto per Filipo [C]halandri.
Il secondo riporta chiaramente il nome di Filippo Calandri; nel primo le due abbreviazioni si riferiscono quasi con certezza a Pier Maria Calandri. Così, nel secondo codice e presumibilmente anche nel primo, compaiono i due figli di Calandro nelle vesti di compilatori dell’opera, anche se ne furono solo dei trascrittori177. Sono peraltro 173
Cfr. Sframeli [1989], pp. 217, 221-222, 253. Ibidem, pp. 217, 224. 175 Sui Calandri e sulle loro botteghe d’abaco si vedano: Calandri [1974], pp. 11-13; Van Egmond [1976], pp. 363-364, 368-369, 407; Ulivi [1993], pp. 9-10; Ulivi [1998], p. 53. Per le fonti archivistiche cfr. ASF, Catasto 704, c. 332r; 830, cc. 322r-323v; 926, c. 236r; 928, cc. 1139r-1139v; 1022, cc. 212r212v; Decima Repub. 33, c. 251r. La storia degli abacisti della famiglia Calandri, di quella del M° Luca e della famiglia Micceri, tra loro imparentate (cfr. le note 143 e 144), delle loro scuole e dei maestri ad essi legati, saranno oggetto di una nostra prossima pubblicazione. 176 Pier Maria nacque il 7 marzo 1457 e Filippo Maria il 7 gennaio 1468: cfr. AOSMFF, Registri dei Battesimi, 1450-1460, c. 167v e 1466-1473, c. 25v. Essi abitarono nella casa paterna di Via Pietrapiana; del primo si ha notizia fino al 1533, del secondo fino al 1512. Pier Maria si sposò, presumibilmente con tale Costanza, ed ebbe due figli di nome Antonio e Calandro. 177 Di Pier Maria Calandri, escludendo il Tractato d’abbacho del codice Acq. e Doni 154 a lui talvolta erroneamente attribuito, non conosciamo opere originali. Filippo Calandri è autore di un 174
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queste, e forse non a caso, le uniche copie del trattato, entrambe posteriori alla scomparsa di Benedetto, dove il nome o l’iniziale del nome dell’autore non coincidono con quelli dello stesso Benedetto. Mettendo insieme le precedenti osservazioni ci sembra plausibile che Benedetto, tra il 1451 ed il 1469 – oltre che nelle due botteghe dei Santi Apostoli e di Santa Maria della Scala – abbia tenuto, per un certo periodo, una scuola d’abaco in alcuni locali della sua ampia abitazione di Piazza Padella, prima che la casa ritornasse proprietà della famiglia degli Agli: gli stessi locali che nel 1469 Ser Marco di Baldo occupava per fare “schuola di fanciulli”. E che in seguito – tra il 1469 ed il 1479 – egli abbia lavorato nella Bottega della Corticina dell’abaco, dopo la morte di Calandro e almeno fino a quando Pier Maria Calandri non intraprese egli stesso l’insegnamento dell’abaco. Per quanto riguarda ulteriori ipotesi sull’attività didattica di M° Benedetto e sulle sue relazioni con gli abacisti fiorentini del Quattrocento, da segnalare è anche il citato rogito del 16 aprile 1468 sul riacquisto della casa di Piazza Padella178. Il documento notarile, pur non contenendo espliciti riferimenti all’attività di Benedetto come maestro d’abaco, è però di indubbio interesse per la presenza di due nomi – seppure indirettamente – molto significativi: quello del vaiaio Filippo di Domenico d’Agostino, che interviene come mundualdo di Monna Taddea, ossia tutore e procuratore della madre di Benedetto, e quello di Sodo di Lorenzo del Sodo, che fu uno dei testimoni del rogito. Filippo di Domenico apparteneva all’illustre famiglia Cegia o Del Cegia, detta anche Ganucci. Suo fratello e suo nipote, rispettivamente Agostino di Domenico e Francesco di Agostino, furono due noti uomini politici del tempo, al servizio della famiglia Medici in qualità di amministratori del patrimonio di Lorenzo e Giuliano179. Filippo ed Agostino erano inoltre due dei tre figli dell’abacista Domenico d’Agostino soprannominato il Cegia, ma più frequentemente ricordato come
testo a stampa, il De arimethrica opusculum, pubblicato a Firenze nel 1492 e dedicato a Giuliano di Lorenzo de’ Medici. Ha lasciato inoltre una Aritmetica conservata manoscritta nello splendido codice miniato Ricc. 2669 (c.1485) della BRF, e pubblicata in facsimile a cura di G. Arrighi, ed Una raccolta di ragioni contenuta nel codice L.VI.45/II (c. 1495) della BCS: cfr. Calandri [1969, 1982]; Van Egmond [1980]. 178 Cfr. Appendice 1, documento 28. 179 Cfr. Dizionario Biografico [1960-2000], vol. 23 (1979), pp. 324-327. Francesco di Agostino Cegia ha lasciato un Libretto segreto ... di debitori e creditori e richordi (1495-1497): ASF, Carte Strozziane, s. II, 25.
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il Vaiaio per la sua attività di mercante di pellicce di vaio180, e già scomparso al tempo della stesura del suddetto rogito181. Del Vaiaio – come abbiamo detto inizialmente – fu discepolo l’anonimo autore dell’opera contenuta nel codice Palat. 573, l’ampia Praticha d’arismetricha strutturalmente molto simile a quella dell’L.IV.21. Con buona probabilità, Domenico d’Agostino si dedicò alla matematica per puro diletto, senza esercitare professionalmente l’insegnamento: allo stato attuale delle indagini, infatti, non conosciamo alcun documento attestante una sua attività in qualche scuola d’abaco e inoltre il suo nome non figura nel pur dettagliato elenco dei maestri d’abaco fiorentini che Benedetto riporta nell’L.IV.21182. L’ altro personaggio per noi di rilievo che compare nel rogito del 1468 – Sodo di Lorenzo, al tempo sensale dei linaioli – era il padre di Giovanni del Sodo, anch’egli importante maestro d’abaco. Giovanni del Sodo, che fu di alcuni anni più anziano di Benedetto183, ebbe vita molto lunga e un’intensa attività di abacista che iniziò probabilmente in età matura, forse dopo il 1463184, ma che si protrasse fino agli albori del XVI secolo. Come si deduce dalla Decima Repub180 Erano pellicce molto pregiate. Secondo Francesco Balducci Pegolotti venivano genericamente chiamati vai: “Organni, Bolgari lunghi, Ischiavi, Pasquardini, Ischeruoli, Ermellini, Orzeruoli”. Cfr. Pegolotti [1936], p. 298: dal manoscritto Ricc. 2441 (1472) della BRF; Dini [2001], p. 130. 181 Domenico d’Agostino nacque nel 1386. Abitò almeno fino al 1433 nel Quartiere di Santa Croce, Gonfalone del Carro, Popolo di Santa Cecilia, prima in Via Vacchereccia e poi verso Via Calimaluzza. In seguito, già dal 1442, si spostò in Via della Croce al Trebbio, un tratto dell’attuale Via delle Belle Donne, all’angolo con Via Cornina, ora Via del Trebbio, nel Quartiere di Santa Maria Novella, sotto il Gonfalone del Leon Bianco. Oltre ad una casa in Via Guelfa, nel Popolo di San Firenze del Quartiere di San Giovanni, ebbe anche diversi possedimenti nelle campagne circostanti, a San Quirico a Marignolle, Giogoli e Mantignano, e anche a Scarperia nel Mugello. Egli esercitò l’attività di vaiaio in una bottega di Via Vacchereccia, in società con Tommaso di Scolaio Ciacchi. Ebbe due mogli, Caterina di Francesco di Santi e Maria di Lorenzo, una vedova figlia di uno stagnaio; la prima gli dette i tre figli, Agostino, Filippo e Caterina. Domenico d’Agostino morì presumibilmente verso il 1452, senz’altro dopo l’agosto del 1451 e prima del gennaio del 1455. Sulla sua biografia si veda Van Egmond [1976], pp. 366-367; Sarti [1997/98], pp. 91-93. Per le fonti archivistiche cfr. ASF, Catasto 68, c. 204v; 348, cc. 240r-240v; 444, cc. 236r-237r e 698r; 621, cc. 90r-91r; 674, cc. 549r-550v; 709, cc. 241r-242r; 798, c. 688r; 818, cc. 837r-840v. L’autore del codice Palat. 573 riferisce che Domenico d’Agostino compose un’opera scritta in forma di dialogo e suddivisa in tre parti riguardanti il calcolo delle radici, l’algebra e la geometria. Dell’opera completa – che verso il 1460 era il possesso di Niccolò Chini – non abbiamo traccia; di essa ci sono però pervenuti 50 chasi absoluti per reghola d’algebra riportati nel codice Palat. 573 e sei chasi geometrici sottili contenuti nell’Ottobon. Lat. 3307. Sui problemi algebrici cfr. Toti Rigatelli [1986], pp. 19-21; su quelli geometrici Anonimo Fiorentino [1998] e Simi [2000b], pp. 195-209. 182 Cfr. qui le pp. 52-53. 183 Giovanni del Sodo nacque verso il 1419/23. Abitò prima in una casa di proprietà situata sulla Piazza San Giovanni e poi in affitto nella Via Palazzuolo del Popolo di Santa Lucia d’Ognissanti, Quartiere di Santa Maria Novella. Ebbe vari poderi nei Popoli di Santo Stefano e di San Giusto a Campi, di cui era originaria la famiglia Del Sodo. Si sposò in tarda età con Maria di Uguccione dei Pazzi, che gli dette i figli Pierantonio, Lorenzo e Cosa. Morì prima del 1518. Cfr. ad es. ASF, Catasto 621, cc. 616r-616v; 922, cc. 300r-301r; 1013, cc. 384r-384v; Decima Repub. 24, cc. 525r525v. 184 Nel codice L.IV.21, datato 1463, Giovanni del Sodo non compare infatti nell’elenco dei maestri d’abaco fiorentini: cfr. qui le pp. 52-53.
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blicana e da un libro di Ricordanze di Tribaldo dei Rossi – membro di un’antica famiglia di magnati fiorentini – almeno tra il 1493 ed il 1500, egli insegnava in una scuola di Via dei Ferravecchi, il primo tratto dell’attuale Via degli Strozzi185, verso il Canto dei Sassetti186, nel Popolo di Santa Maria degli Ughi del Quartiere di Santa Maria Novella. Lo stesso Tribaldo, il cui figlio Guerrieri fu allievo dell’abacista, lo ricorda come “el migliore maestro d’abaco di Firenze”187. Alla scuola di Giovanni del Sodo andò a studiare l’abaco anche Bartolomeo Masi, figlio di un calderaio, tra il 1489 ed il 1490188. In rapporto a M° Benedetto, Giovanni del Sodo è significativo per la ripetuta associazione col nome del Nostro che viene fatta da Francesco di Leonardo Galigai, o del Pelacane, anche questi discepolo dello stesso Giovanni, nella Summa de arithmetica del 1521189. Qui il Galigai, dopo avere esposto una “Ragione apostata” cioè un problema di matematica ricreativa dice: Questa scrive Benedetto e Giovanni del Sodo dicendo essere apostata, e che non ve regola ferma ma mettono questa ragione per la sera di verno quando si sta al fuoco, e che e mancono e ragionamenti, acciò s’habbi a ragionare di qualche cosa, e per seguire l’ordine di Benedetto che fu grand’huomo in Aritmetica e Giovanni del Sodo precettore mio per loro amore e per concordarmi con detti mia maggiori me parso di dare ad altri un medesimo lume, el quale eglino a me hanno dato ...190 185 Cfr. Bargellini, Guarnieri [1977-1978], vol. IV (1978), pp. 135-136. Probabilmente nella stessa bottega, al tempo proprietà dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, Giovanni del Sodo svolse anche il mestiere di linaiolo. 186 ASF, Ufficiali di Notte 35, c 59r. 187 Cfr. BNF, Fondo Princ. II.II.357, cc. 99v, 158v, 159r. Si veda inoltre Klapisch-Zuber [1984], pp. 766-768. Come si legge nelle Ricordanze del padre, Guerrieri aveva iniziato i propri studi di abaco nel 1495 in Via de’ Bardi, nel Popolo di Santa Maria Sopr’Arno del Quartiere di Santo Spirito, con Ser Filippo, un prete che ebbe tra i suoi discepoli anche Cristofano di Piero, bisnipote di un importante notaio, Andrea di Cristofano Nacchianti, negli anni 1498-1499: cfr. AOIF, Estranei 633, c. 118v. 188 Cfr. Masi [1906], pp. 14-15. 189 Cfr. Galigai [1521]. L’opera venne nuovamente pubblicata nel 1548 e nel 1552 col titolo Praticha d’arithmetica. Ricordiamo che anche Francesco Galigai (c.1505-m.1537) fu maestro d’abaco; lavorò assieme a Giuliano di Buonaguida della Valle, in una scuola situata presumibilmente nei pressi dell’antico monastero cistercense di Cestello. Questo, attualmente in San Frediano, si trovava allora in Borgo Pinti, dove è oggi la Chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, nel Quartiere di Santa Croce. Il contratto che sanciva la costituzione della società tra i due maestri fu stipulato il 30 novembre 1519 e porta la data del 3 dicembre. Dal rogito si apprende anche che, in precedenza, Giuliano della Valle aveva fatto compagnia, in un’altra scuola, con Pier Maria Calandri. In seguito egli passò nella Scuola dei Santi Apostoli. Cfr.: Goldthwaite [1972], pp. 421-427; Ulivi [1998], pp. 53-54, 58-59; Van Egmond, [1976], pp. 371-372. Su Giuliano della Valle si veda anche la nota 164. 190 Cfr. Galigai [1548], c. 65r. Nel testo, il Galigai cita più volte anche il solo Benedetto ricordando le “Regole di Benedetto sopra e resti”(c.46r), le “Compagnie di Benedetto”(c.55r), ed anche un passo sull’algebra che introduce con le parole “Dice Benedetto la regola dell’Arcibra”(c.71r). A proposito dei capitoli X, XI, XIII, XIV e XV fa inoltre ancora riferimento a Giovanni del Sodo precisando: “Nel Decimo e Primo di nostra Arcibra tratto del Decimo di Euclide et Leonardo Pisano et Giovanni del Sodo” e “Nel Terzodecimo e Quarto et ultimo libro dell’Arcibra tratto dal nostro precettore Giovanni del Sodo”(cc.100r-114r). Dalle citazioni del Galigai si deduce che Giovanni del
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Segnaliamo infine che – escludendo Luca Pacioli – “Benedetto dell’abaco” e Giovanni del Sodo sono anche gli unici nomi di autori del Quattrocento legati alla trattatistica dell’abaco che figurano nel Codice Atlantico di Leonardo191. Quanto qui rilevato, in particolare la presenza, nell’atto notarile del 1468, di un figlio del Vaiaio e del padre di Giovanni del Sodo, denota un’evidente legame tra la famiglia del Nostro e quelle degli altri due abacisti, legame che fa pensare alla possibilità di una qualche collaborazione sul piano scientifico tra il giovane Benedetto ed il Vaiaio e tra lo stesso Benedetto e Giovanni, forse anche ad un collegamento fra Benedetto, Giovanni e Domenico. Non si può infine escludere che Benedetto e Giovanni del Sodo abbiano collaborato anche sul piano didattico. Dalla lettura di questo e dei precedenti capitoli emerge in definitiva la figura di un matematico, Benedetto di Antonio da Firenze, che attuò la propria formazione scientifica e operò in un vasto ambiente culturale, dove ebbe relazioni dirette, indirette o presunte con quasi tutti gli abacisti del Quattrocento. A tale proposito, è interessante concludere questa parte col riportare l’ormai notissimo passo del codice L.IV.21 – da cui abbiamo già tratto alcuni stralci – dove l’autore ricorda proprio i più significativi maestri d’abaco fiorentini del XIV e XV secolo192. Non è difficile riconoscere quasi tutti i nomi finora incontrati, in relazione alla biografia di Benedetto, nel corso della nostra esposizione: Inchomincia el quindecimo libro di questo trattato, nel quale si chontenghono [ ] chasi d’alquanti maestri antichi e, prima, la divisione del detto libro. Le dispute sono state grande et diverse proponendo quali sieno stati di più eccellentia di sapere: o Maestro Pagholo193, overo Maestro Antonio194, overo Maestro Giovanni195. E certamente di chi à insegnato, questi 3 di gran lungha gli ànno avanzati, e ciascheduno chopiosamente ne’ suoi trattati à mostro, e per quel che si truovi dal 1300 in qua sono stati chi à scritto, benché Lionardo Pisano fusse intorno allo detto tenpo dal quale
Sodo doveva aver lasciato qualche importante scritto di contenuto algebrico, forse più in generale sulla matematica dell’abaco: in proposito si veda Franci, Toti Rigatelli [1985], p. 68. 191 Leonardo da Vinci [1975-1980], vol. I (1975), p. 92 (Tavole, c. 42v) e vol. IV (1976), p. 210 (Tavole, c. 331r). Per il riferimento a Benedetto cfr. anche la nota 4. 192 BCS, L.IV.21, c. 408v; inoltre Arrighi [1965], p. 396. 193 Paolo di Piero dell’abaco. 194 Antonio di Giusto Mazzinghi. 195 Giovanni di Bartolo.
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tenpo sono stati questi maestri. Cioè, chome già dissi, Maestro Biagio196 che circha 1340 morì, al quale tenpo el grande M° Pagholo fiorì che circa a 1360 durò. E dopo questo fu M° Antonio benché morisse govane. Dopo il quale fu Maestro Giovanni che circha al 1440 morì. Furono molti altri maestri ne’ tenpi di questi, chome Maestro Michele197 padre di Maestro Mariano, Maestro Lucha198, un altro Maestro Biagio199. E al presente di più assai chopia la terra nostra n’è dovitiosa; e’ nomi de’ quali voglio recitare in vituperio di noi che in chonparatione a’ passati non de’ partitori, non che ragionieri saremo stati. Dicho d’alchuni, de’ quali Maestro Chalandro200, Maestro Bancho201, Maestro Antonio de’ Mancini202, che per età doviria essere il primo, Maestro Tadeo da Fighine fratello di Maestro Antonio che in verità sarebbe pervenuto perfecto ragioniere overo da essere nominato buono ragioniere, Maestro Bettino203, Maestro Lorenzo204 da Champi, frate Mariotto de’ Guiducci205. E benché non meriti essere chonosciuto per insegnante, ma per inparare anchora, si può dire io essere fra gli altri. E volendo adunque scrivere chi à detto et quel che à detto, certo el vilume sarebbe in fastidio; ma reciterò alchune ragioni di Lionardo Pisano, alchune di Maestro Giovanni et alchune di Maestro Antonio. Et perché e vilumi loro sono manifesti, mi pare lecito di quelli scrivere. E certo sono che Maestro Pagholo chonpose opera assai chopiosa; ma non si truova se non ispezata. E però perché quella di chostoro è in piè et tutto il dì si può chiarire, è dovuto conciosiachosaché, fuori di chi à insegnato, sia anchora stato di quelli che sono ecellenti in queste scientie: fra’ quali fu Maestro Gratia frate di Sancto Aghostino gran teologho de’ Chastellani, fu al tempo di Maestro Giovanni anchora quello per lo quale et dal quale io ò avuto un pocho di chognitione delli chasi sottili, benché il mio maestro fusse quello che al tenpo presente excede gli altri, cioè Maestro Chalandro di Piero Chalandri huomo di gentil sangue et di chostumi et buone usanze chopioso. Adunque: el presente libro in 3 chapitoli dividerò: nel primo ponendo e’ chasi che Lionardo Pisa nell’ultima parte della Praticha d’arismetricha scrive; nel secondo parte de’ chasi che scrive M° Giovanni pigliando e’ chasi sopra e’ passati; nel terzo scriverrò parte de’ chasi sottili scritti dal sottile M° Antonio. E per rispondere alla disputa, quali di queste 3 avanzasse l’uno l’altro, certo in alchune eccellentie s’avanzavano, ma sanza spetialità, ma in chomune essere nati a uno chorpo, secondo me gudicho. Adunque diamo opera al primo chapitolo.
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Biagio “il vecchio”. Michele di Gianni. Luca di Matteo Pelacane. Biagio di Giovanni. Calandro di Piero Calandri. Banco di Piero Banchi. Antonio di Salvestro era in realtà della famiglia Micceri. Bettino di Ser Antonio da Romena. Lorenzo di Biagio. Mariotto di Ser Giovanni Guiducci.
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6. Sui trattati di M° Benedetto In quest’ultimo capitolo, senza volerci addentrare nell’analisi contenutistica delle opere di Benedetto dell’abaco, è nostro scopo aggiungere, a quanto accennato inizialmente, alcune precisazioni e chiarimenti circa la determinazione della loro paternità; in secondo luogo esporre qualche osservazione sul problema dell’individuazione del compilatore dei trattati che si trovano nei codici Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307. Come abbiamo già ricordato a M° Benedetto è ormai da tempo attribuita la Praticha d’arismetricha dei codici L.IV.21, Ash. 495 e Plimpton 189 anche se, nel prologo dei primi due, compare solo l’iniziale del nome dell’autore, del tutto mancante nel terzo manoscritto. Riportiamo gli incipit dell’L.IV.21 e dell’ Ash. 495, datati rispettivamente 1463 e 6 febbraio 1494206. Inchomincia [ ] del trattato di praticha d’arismetrica, tratto de libri di Lionardo pisano ed altri auctori conpilato da B. a un suo charo amicho negl’anni di xpo MCCCC°LXIII. [I]nchomincia [ ] del tractato di praticha d’arismetricha tracto de libri di Lionardo Pisano ed altri auctori compilato da B. a uno suo charo amicho nel gli anni del nostro Signore yhu xpo M°. CCCC°. LXXXXIII°. die VI. mensis februari.
Un incipit molto simile in cui si trova la stessa iniziale B., o l’abbreviazione B° ad indicarne l’autore, ricorre in sette delle diciotto copie conosciute del Trattato d’abacho di M° Benedetto compilato verso il 1465207. Ad esempio, nel codice Magl. XI. 76 (c. 1470) della Biblioteca Nazionale di Firenze e nel codice Ottobon. Lat. 3004 (c.1475) della Biblioteca Apostolica Vaticana abbiamo rispettivamente: Inchomincia uno trattato d’abacho fatto da B° a uno charo amicho208.
206 Segnaliamo che, per i passi riportati in questo capitolo, abbiamo fatto sempre riferimento a Van Egmond [1980]. 207 Su queste si veda Van Egmond [1980]. La più antica, tra le copie attualmente note del Trattato d’abacho, è quella del codice Ricc. 2109 che Van Egmond ha datato c. 1465. Tale datazione concorda con la presenza di problemi all’interno dei quali figurano date comprese tra il 1459 ed il 1465. 208 Sul codice Magl. XI. 76 cfr. Arrighi [1987].
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Inchomincia uno tractato d’abocho sotto posto alla merchatantia facto da B. a uno suo charo amicho.
In questo caso l’attribuzione risulta peraltro accertata dalla presenza, in due copie dello stesso Trattato, del nome completo del suo autore. Così, nel Fondo Princ. II. IX. 63 (c.1525) della Biblioteca Nazionale di Firenze si legge: Inchomincia uno trattato d’abbacho fatto da Benedetto a uno suo charo amicho el quale è sotto posto alla merchatantia209.
Un ulteriore elemento di interesse nella determinazione della paternità del codice L.IV.21 è anche la presenza, in tale manoscritto, di una invocazione iniziale che ritroviamo assolutamente identica nelle due copie del Trattato d’abacho contenute nei codici Italiano IV.35 della Biblioteca Marciana di Venezia e Italien 947 della Biblioteca Nazionale di Parigi. L’invocazione si trova nella prima carta dei tre manoscritti ed è la seguente: Adsit principio virgo Maria meo
209 Riportiamo anche gli incipit delle altre sei copie del trattato in cui compare l’iniziale B., l’abbreviazione B° oppure il nome per esteso di Benedetto. BNF, Magl. XI, 97 (c.1470): Inchomincia uno trattato fatto da B. a uno amicho, el quale chontiene quello che s’apartiene al merchatante secondo l’arte dell’abacho ... BNF, Fondo Princ. II.IX.114 (c.1470): Inchomincia uno trattato d’abacho sotto posto alla merchatantia fatto da M° B [...] suo charo amicho. BMLF, Ash. 1379 (c.1475): Inchomincia un trattato d’abacho sotto posto alla merchantia fatto da B. a un suo charo amicho. BMV, Italiano IV.35 (c.1475): Inchomincia uno trattato d’abacho composto da B° a uno suo charo amicho. Sul manoscritto Ital. IV.35 si veda Arrighi [1968b]. Osserviamo che in una carta del codice Ital. IV.35 si legge la seguente nota di possesso: “Questo Libro è di Jacopo di Lorenzo di Jacopo Marsupini”. Come ha rilevato l’Arrighi, ad un membro della stessa famiglia venne probabilmente destinato anche il codice L.IV.21, nel quale è visibile lo stemma dei Marsuppini (c. 1r): cfr. la nota 18. BAV, Regin. Lat. 1805 (c.1475): Inchomincia un trattato d’abacho sotto posto alla merchatantia fatto da B. a uno suo charo amicho. BNP, Italien 947 (c.1475): Inchomincia uno tractato d’abacho fatto da Benedetto a uno suo charo amicho. Su questo codice cfr. G. Arrighi [1969]. I rimanenti codici, anonimi o attribuiti ad altri autori, in cui si trova una copia del trattato di M° Benedetto sono: Magl. XI, 1 (1473), Magl, XI, 82 (1507), Magl. XI, 115 (c.1495) e Magl. XI, 134 (1480) della BNF; Acq. e Doni 154 (c.1480), Antinori 19 (c.1480), Ash. 359 (c.1475) e Ash. 1038 (c. 1493) della BMLF; Ricc. 2109 (c.1465) della BRF.
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La stessa frase, con poche varianti ortografiche, si legge in altre tre copie dello stesso Trattato d’abacho210 . Proprio l’analisi dell’ incipit e dell’invocazione contenuta nella prima carta del codice L.IV.21 e di una copia del Trattato d’abacho – quella del Magl. XI. 76 – aveva portato l’Arrighi a identificare M° Benedetto con il compilatore della Praticha d’arismetricha del codice senese211. Lo storico lucchese aveva inoltre messo a confronto un passo del manoscritto L.IV.21 con uno molto simile, che abbiamo già ricordato, e che Francesco di Leonardo Galigai riporta nella Summa de arithmetica scrivendo “Dice Benedetto la regola dell’Arcibra ...”212. La tesi dell’ Arrighi risulta ora ulteriormente avvalorata dalle precedenti precisazioni, oltre che da non poche corrispondenze tra alcuni dati della vita di M° Benedetto, figlio di Antonio di Cristofano, e le informazioni biografiche che si leggono nel Trattato d’abacho e nell’opera contenuta nell’L.IV.21. Veniamo ora ai manoscritti Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307. Come abbiamo già sottolineato, la Praticha d’arismetricha che si trova nel Palat. 573, composta poco prima del 22 aprile 1460213, è di 210
Nell’ Ash. 359 della BMLF: Adsit principio Virgho Ma M° Nel Magl. XI.76 della BNF: Adsit principio virgo M[ari]a meo Nell’ Ottobon. Lat. 3004 della BAV: Adsit principio virgho Maria meo 211 Cfr. Arrighi [1965], pp. 370-371. Precedentemente anche il Solmi aveva attribuito il codice L.IV.21 a M° Benedetto: cfr. Solmi [1900], p. 13 e Solmi [1908], pp. 95-96. 212 Si veda la nota 190. Cfr. Arrighi [1965], p. 394. 213 Nel codice, oltre allo stemma dei Rucellai (c. 1r), si trova infatti la seguente nota di possesso: “MCCCCLX. A dì XXII di aprile. Questo libro è di Girolamo di Piero di Chardinale Rucellai cittadino fiorentino ed è suo propio.” (BNF, Palat. 573, c. 491v; cfr. anche Arrighi [1967a], p. 396). Un passo dello stesso manoscritto, che si riferisce agli abacisti Michele di Gianni ed a suo figlio Mariano, suggerisce un limite inferiore nella sua datazione. In tale passo l’autore ricorda quando Michele, dopo avere, assieme ad altri esperti, giudicato Antonio Mazzinghi degno erede dei libri e degli strumenti astrologici di Paolo dell’abaco, consegnò egli stesso ad Antonio il noto cassone contenente tali libri e strumenti, e scrive: “ ... da maestro Michele padre del maestro Mariano che fu di grande praticha, che fu uno de’ detti giudichatori, chon buona choscienza gli furono licenziati”(Palat. 573, c. 478v; Arrighi [1967a], p. 437). Qualora la frase “che fu di grande praticha” fosse riferita a Mariano, il quale ebbe al suo tempo fama di ottimo abacista, si dedurrebbe che quest’ultimo era già scomparso all’epoca della stesura del trattato in questione. Mariano morì il 16 febbraio 1458. L’opera contenuta nel Palat. 573 risulterebbe dunque compiuta dopo quella data. E peraltro, in un precedente passo del manoscritto (Palat. 573, c. 47r; Arrighi [1967a], p. 417) si fa riferimento ad una legge che sembra avesse stabilito l’abolizione del fiorino a fiorini e dei suoi sottomultipli. Della stessa legge si parla anche nell’aritmetica del codice L.IV.21 (1463), dicendo che era in vigore da “circa 4 anni”, dunque circa dal 1459 (BCS, L.IV.21, c. 83v; Arrighi [1965], p. 387). Come viene rilevato in Goldthwaite, Mandich [1994], p. 52, proprio attorno al 1460 si ebbe infatti la sparizione del fiorino a fiorini nei libri di conto.
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autore anonimo. Al medesimo autore si devono anche – ricordiamo – la Praticha di geometria del Palat. 577, di non molto posteriore all’Arismetricha214, e quasi con assoluta certezza i trattati aritmetico e geometrico dell’Ottobon. Lat. 3307, datato da Van Egmond c. 1465. Purtroppo il problema dell’individuazione del compilatore di tali opere rimane a tutt’oggi aperto. Sulla complessa questione vogliamo però esporre alcune considerazioni che si rifanno a M° Benedetto. Fino ad ora unicamente due elementi hanno portato a non valutare, se non addirittura a escludere, la possibilità che, tra tutti gli abacisti operanti a Firenze verso la metà del Quattrocento, proprio il Nostro fosse l’autore del Palat. 573. Il primo si rifaceva ad un passo del prologo del manoscritto palatino, dove si legge: Inchomincia el trattato di praticha d ‘arismetricha e, prima, la divisione di tutto el libro. El pocho tenpo non patiscie che, di nuovo, opera chonstituischa; ma per volerti servire chome amicho, el trattato fatto, già è più tempo, a B. guardi, trascriverò agugnendo nientemeno e levando sechondo che vedrò sia di bisogno e chon brevità diciendo, acciò che ‘l trattato non sia riputato rincrescievole.
Da questo si deduce che, prima dell’Aritmetica contenuta nel Palat. 573, l’autore aveva scritto, per un certo “B. guardi” – forse un amico o un semplice commissionario – un trattato di contenuto analogo a quello dello stesso codice palatino. Sul misterioso “B. guardi” è stata a suo tempo formulata l’ipotesi che si trattasse di Benedetto dell’abaco215, il cui cognome o patronimico, prima d’ora sconosciuto, avrebbe dunque dovuto essere Guardi216. L’ipotesi era forse suggerita dalla presenza, anche qui, dell’iniziale B. che compare nell’incipit delle opere di Benedetto. Come è ovvio, tale interpretazione risultava alquanto significativa, portando inevitabilmente ad eliminare lo stesso dalla rosa dei possibili autori del Palat. 573. Allo stato attuale delle indagini, sapendo che il Nostro era figlio di Antonio di Cristofano di Guido, risulta evidente che il suddetto “B. guardi” non era M° Benedetto. Possiamo inoltre precisare che, al tempo della stesura del trattato in questione, vivevano a Firenze, nel Quartiere di Santa Croce, due fratelli di nome Battista e Benedetto di Ser Francesco Guardi e un 214
Cfr. Simi [2000b], p. 192 (nota 14). Cfr. Van Egmond [1976], p. 360. 216 Rileviamo che a quel tempo, nell’indicazione del cognome o del patronimico, era di uso comune l’iniziale minuscola. 215
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Bernardo di Guardi di Lapo Guardi. Battista e Benedetto, figli di un importante notaio, nacquero rispettivamente nel 1422 e nel 1436; il primo continuò la professione paterna, mentre il secondo divenne un ricchissimo banchiere socio della compagnia di Francesco Mellini217. Bernardo nacque verso il 1427, fu figlio di un agiato lanaiolo ed ebbe anche lui un “traficho d’arte di lana”218. Ognuno di questi tre fiorentini – soprattutto Benedetto e Bernardo, visti i loro interessi legati alla pratica dell’abaco – avrebbe potuto commissionare l’opera di cui parla l’autore del Palat. 573 e dunque coincidere con il B. Guardi citato nel relativo prologo. L’altra motivazione era legata a quanto dichiarano M° Benedetto e l’autore, sia dei trattati contenuti nei codici Palat. 573 e 577 che presumibilmente di quelli dell’Ottobon. Lat. 3307, circa i rispettivi maestri d’abaco. Come ricordiamo, Benedetto, nell’ elencare i nomi dei più importanti abacisti di Firenze, ci informa che il suo maestro fu Calandro di Piero Calandri. Nel Palat. 573 l’autore scrive invece “el mio nobile maestro Domenico”219; inoltre nell’Ottobon. Lat. 3307, in riferimento allo stesso Domenico d’Agostino Vaiaio, si legge: “E lui fu quello che diè lume a quello pocho che so ...”220. Tali affermazioni hanno fatto credere che, da una parte il trattato del manoscritto senese e dall’altra quelli dei codici palatini e vaticano, fossero stati compilati da due diversi abacisti, uno allievo del Calandri, l’altro di Domenico Vaiaio. A questo punto, ricollegandoci a quanto abbiamo osservato sulla biografia di Benedetto di Antonio, in particolare al rogito del 16 aprile 1468, che fa pensare ad un suo stretto rapporto con Domenico d’Agostino, possiamo ritenere probabile che il Nostro, dopo avere frequentato la scuola del poco più che ventenne Calandro ed avere appreso con lui i primi rudimenti dell’abaco, abbia completato ed affinato la propria formazione matematica sotto la guida del più maturo ed esperto Vaiaio. E del resto – come abbiamo già rilevato – Domenico d’Agostino, ricco pellicciaio, coltivò probabilmente la matematica a livello solo dilettantesco e non svolse l’attività di maestro 217 Si veda in proposito: ASF, Tratte 77 (Libri dell’età), cc. 14v e 15r. Catasto 805 (febbraio 1458), cc. 694r-697v: dichiarazione di Ser Francesco Guardi; 914 (agosto 1469), cc. 458r-460v: dichiarazione di Guido di Ser Francesco Guardi e fratelli. I rogiti di Ser Battista Guardi sono conservati all’ASF: cfr. Not. Antec. 10459-10462 (1444-1478). Segnaliamo che Benedetto di Ser Francesco Guardi rivestì in Firenze importanti cariche pubbliche; cfr. ad es. ASF, Tratte 904, cc. 4v, 31r, 108r. Egli redasse il proprio testamento il 26 ottobre 1491 e fu sepolto due giorni dopo nella Chiesa di Santa Croce: cfr. ASF, Not. Antec. 4259, cc. 328r-330r; Ufficiali poi Magistrato della Grascia 191, c. 219r. 218 ASF, Catasto 809 (febbraio 1458), cc. 371r-373v: dichiarazione di Bernardo Guardi. 219 BNF, Palat. 573, c. 379r; cfr. Arrighi [1967a], p. 433. 220 BAV, Ottobon. Lat. 3307, c. 349v; cfr. Arrighi [1968a], p. 82.
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d’abaco. Ciò risulta confermato, oltre che dalla mancanza di documenti relativi e dall’assenza del suo nome nell’elenco dei maestri d’abaco fiorentini che si trova nell’L.IV.21, anche dal fatto che l’autore del codice Palat. 573 ricorda il Vaiaio sì come “el mio nobile maestro”, ma non con il titolo di Maestro, come fa invece per gli altri abacisti da lui citati che tennero effettivamente e regolarmente una scuola, o più scuole, d’abaco. A questo aggiungiamo che M° Benedetto, l’ormai accertato compilatore del codice L.IV.21, e l’autore del Palat. 573 furono entrambi – considerato il contenuto delle loro opere – due abacisti di grande rilievo e di ampia cultura matematica. Entrambi hanno lasciato due monumentali Pratiche d’arismetricha le quali presentano fortissime analogie, distinguendosi da tutti gli altri trattati manoscritti della tradizione abacistica, e presumibilmente entrambi scrissero un Trattato di geometria, anche se solo quello dell’anonimo discepolo del Vaiaio sembra essere stato individuato. Non irrilevanti sono infine l’assonanza tra l’incipit del Palat. 573 e quelli delle opere di M° Benedetto, nonché la presenza, alla seconda carta del codice palatino, della seguente invocazione: Adsit principio virgho Maria meo
ovviamente la stessa che si legge nell’L.IV.21 e nelle ricordate cinque copie del Trattato d’abacho. In conclusione non è da escludere che l’allievo del Vaiaio, autore delle opere di aritmetica e di geometria dei manoscritti Palat. 573, Palat. 577 ed Ottobon. Lat. 3307, ed il compilatore del trattato contenuto nell’ L.IV.21 siano la stessa persona, ossia M° Benedetto221. Quest’ultimo avrebbe dunque composto diverso tempo prima del 1460 un trattato di aritmetica destinato o a Benedetto, o a Bernardo oppure a Battista Guardi. In seguito, verso il 1460, vi avrebbe apportato delle modifiche, compilando la Praticha d’arismetricha contenuta nel Palat. 573. Lo avrebbe ancora rielaborato nel 1463 con la stesura dell’altra Praticha d’arismetricha che si trova nell’ L.IV.21. Dopo le opere di aritmetica avrebbe anche composto la Praticha di geometria del Palat. 577, la stessa annunciata nell’L.IV.21. Attorno al 1465, la
221 A sostegno di questo vogliamo ancora ricordare come nel febbraio del 1470, tra i confinanti dell’abitazione di M° Benedetto, vi fosse, forse non a caso, Bernardo di Piero di Cardinale Rucellai, fratello di quel Girolamo al quale fu quasi sicuramente rivolto il trattato contenuto nel Palat. 573: cfr. qui p. 26 e Appendice 1, documento 32.
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Praticha d’arismetricha del Palat. 573 e la Praticha di geometria sarebbero state anche riunite, con alcune variazioni, in un’unico trattato, quello contenuto nel codice Ottobon. Lat. 3307. Sempre verso il 1465, lo stesso autore avrebbe compilato, essenzialmente a scopo didattico, il Trattato d’abacho, che ebbe vasta diffusione e probabilmente ampio utilizzo nelle scuole d’abaco della seconda metà del Quattrocento e del primo Cinquecento. E sarebbe in definitiva Benedetto di Antonio di Cristofano l’unico autore delle più ricche e significative opere quattrocentesche legate alla tradizione abacistica. Purtroppo, uscendo dal campo puramente congetturale, la pur ampia documentazione da noi finora raccolta sul Nostro e più in generale sulle scuole ed i maestri d’abaco fiorentini, non permette di scendere in più precise e conclusive affermazioni. Ci auguriamo che nuove indagini e conseguenti risultati portino quanto prima a fare piena chiarezza sulla questione.
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Appendice 1 Documenti dell’Archivio di Stato di Firenze
In questa Appendice sono trascritti i documenti dell’Archivio di Stato di Firenze che si riferiscono a M° Benedetto ed alla sua famiglia, reperiti nei seguenti fondi: Estimo, Catasto, Monte Comune o delle Graticole: Copie del Catasto, Decima Repubblicana, Notarile Antecosimiano, Podestà, Mercanzia, Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, Compagnia poi Magistrato del Bigallo, Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri, Ospedale di Santa Maria Nuova, Operai di Palazzo. All’inizio di ogni documento ne abbiamo riportato la data o le date estreme, seguendo lo stile moderno.
Documento del fondo Estimo 1. Estimo 213, c. 673r 1412 Questi sono i beni de’ forestieri che sono nel decto Comune e Corte di Montevarchi ... Ser Giunta di Lippo da Montegonzi à nel decto Comune gl’infrascritti beni: ... Uno pezzo di terra posto nello Sparquatoio, da primo Ser Giovanni Guiducci, secondo Cristofano di Guido, III Sandro da Montegonzi f. LXX
c. 674r Sandro [...] da Montegonzi à nel decto Comune e Corte gl’infrascritti beni: 61
Uno pezzo di terra di staiora quatro posta nelle Berti, da primo via, secondo Ser Giunta di Lippo, III Cristofano di Guido f. LXX
Documenti del fondo Catasto 2. Catasto 15 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Scala), c. 83r luglio 1427 Al nome di Ddio amen, a dì [ ] di luglio 1427 Qui apresso iscrivino le sustanzie di me Antonio di Cristofano tessitore di drappi, Gonfalone della Schala, Popolo di Santa Lucia Oltrarno, in questa cioè: Un podere posto nel Chomune di Chastelfrancho nel Valdarno di Sopra nel Popolo di Santo Donato a Menzano, luogho detto a Bolognia, cho’ chasa e terre vigniate e lavoratie e boschate, che da primo via, per mezzo e da lato fossato, da 1/3, 1/4 Donato e Matteo figliuoli di Salucio di Guido del detto Popolo, ònne di rendita l’anno in mia parte istaia otto di grano, barili otto di vino, orcia uno d’olio, vale f. [ ] Uno podere posto nella Legha di Cascia nel Popolo di Santo Tomè d’Ostina, luogho detto a Sancto Giovanale, chonfinato da più parti la via e da l’altra parte un fiume si chiama Pilano, dal’altra parte un fiume chiamato Erescho, e da l’altra parte Giovanni di Nicholò Charnesechi, e da l’altra parte Mariano di Stefano forbiciaio e Baldo di Bartolomeo, detto Popolo. Il sopradetto podere sono in sei pezzi di tera cho’ sopradetti chonfini; ònne di rendita l’anno istaia trentasei di grano, barili quindici di vino, uno orcio d’olio e un porcho, vale detto podere f. [ ] Un chastagneto posto nel Chomune di Chastelfrancho, da primo via, secondo Erescho, 1/3, 1/4 luogho detto la Radicie, chostò f. quatro. Anche ò avere da Ser Tomaso, prete di Santo Lorenzo da Chascia, f. sedici f. 16 Anchora cinque telaia da tessere drappi, cioè zetani velutati f. 100 Anche ò avere da Felice Branchacci e chompagni setaiuoli f. 24 Anche ò in sudetti poderi, tra bestie e preste di lavoratori, che vagliono f. 40 Apresso mi truovo la persona mia d’età d’ani 46 62
f. 200
Apresso mi truovo la donna mia d’età d’ani 40, à nome Donna Tadea f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’eta d’ani 15, à nome Iachopo f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 14, à nome Lorenzo f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 13, à nome Simone f. 200 Apresso II fanciulli naquono a uno chorpo, anni 12, ànno nome Lucha e Giovanni f. 400 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 6, à nome Cristofano f. 200 Apresso un fanciullo maschio d’età d’ani 4, à nome Ghuido f. 200 Apresso istò a pigione nella chasa di Giachopo de’ Bardi, in sulla Piazza de’ Mozzi, e paghone l’anno f. 23 f. [ ] Non ò niente di Prestanzone.
3. Catasto 382 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 767r-767v 31 gennaio 1431222 Dinanzi a voi Signori Uficiali del Chatasto del Chomune di Firenze farò menzione di tutte mie sustanze. Io Antonio di Cristofano, tessitore di drappi, sto nel Quartiere di Santo Giovanni, Gonfalone del Drago. Ò di chatasto s. 12 in su mie sostanze, chome apresso dirò; i beni sono quelli, cioè: Una chasa per mia abitazione, posta nel Popolo di San Michele Berteldi, luogo detto Piazza Padella, chonfinata da primo Via del Chomune, e da sechondo Filippo di Ser Brunellescho, e da terzo uno chiassolino rimurato, e da quarto Frate Domenico, e quivi abito cho’ mmaserizie e cho’ miei telaia del mestiero mio. Vaglono le telaia in istima di f. 80. Uno poderetto posto nel Chomune di Chastello Francho di Sopra,
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La data è riportata a c. 776v dove, in riferimento alla Portata di Antonio, si legge: “Antonio di Cristofano tesse drappi ___ f. 12 Rechò e’ detto a dì 31 gennaio”.
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Popolo di Santo Donato a Menzano, luogho detto a Bolognia, chonfinato da primo via e da secondo Matteo di Salvuccio e da tterzo Donato di Salvuccio, e ònne l’anno staia otto di grano e otto barili di vino e uno orcio d’olio, altro non vi richolgho; se n’ònne parecchi frutte. Un altro podere posto nella Legha di Chascia, nel Popolo di Santommè d’Ostina, luogo detto a San Giovanale, chonfinato da primo la via chomune, e da sechondo l’erede di Giovanni Charnesecchi, e da terzo Mariano di Stefano, forbiciaio, e da quarto Baldo di Bartolomeo, e da quinto un fiume chiamato Pilano. Rendemi l’anno un moggio e mezzo di grano e uno chognio e mezzo di vino e una soma d’olio. Altro non vi richolgho chosa di stima. Ò avere da detti lavoratori f. 30 tra in prestanze e bestiame v’anno sue f. 30 Anche ò avere da Piero de’ Bardi e chompagni setaiuoli f. 90 f. 90 Anche ò avere da Ser Tommaso, prete di San Llorenzo a Chascia di Valdarno di Sopra f. 12 f. 12 Anche ò avere da Ser Antonio, prete di San Donato a Menzano di Valdarno di Sopra, f. otto f. 8 Da altre persone non ò avere. Ora va presenterò i mia incharichi. Incharichi Ò a ddare a Felice Branchacci e chompagni setaiuoli f. 65 ___ f. 65 Anchora ò a dare a Talento d’Antonio, lavorante di drappi, per sua lavoratura f. 11 Anchora ò a dare a Chorda di Michele, lavorante di drappi, per sua lavoratura f. 9 Anchora ò a dare a Matteo di Niccholò, lavorante di drappi, per sua lavoratura f. 4 Anchora ò a dare al piovano della Pieve di Chascia f. quatro ___ f. 4 Anchora ò a dare a Tano legnaiuolo f. cinque f. 5 Anchora ò a dare ad Antonio de Rredito, che fa e pettini ____ f. 5 Anchora ò a dare a Simone di Ser Antonio Fazi, merciaio ____ f. 3 Anchora ò a dare a Gualterotto de’ Bardi per resto di pigione d’una chasa tenevo da llui, f. sette f. 7 Anchora ò debito in più persone in istima di fiorini otto, altri debiti non ò f. 8 Ora v’ò fatto menzione di tutte mie sustanze e charichi. Al presente vi fo menzione in quest’altra faccia di tutta mia famiglia.// 64
La famiglia mia è questa, cioè: Io Antonio di Cristofano detto sono d’età d’anni 50 La donna mia d’età d’anni 44 Uno figliuolo à nome Iachopo d’età d’anni 19 Un altro figliuolo à nome Lorenzo d’anni 18 Un altro figliuolo à nome Simone d’anni 16 Un altro figliuolo à nome Lucha e d’anni 15 Un altro figliuolo à nome Giovanni, naque insieme cho’ Llucha, d’anni 15 Un altro figliuolo à nome Cristofano d’anni 10 Un altro figliuolo à nome Guido d’anni 7 Un altro figliuolo à nome Benedetto d’anni 1 1/2 D’altre chose non v’ò a fare menzione.
4. Catasto 474 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), c. 74r 20 maggio 1433 1433 a dì 20 di magio Dinasi a voi Signiori Uficiali del Chatasto del Chomune di Firenze rapresento tutte mie sostazie e beni io Antonio di Cristofano, tessitore di drappi del Popolo di San Michele Berteldi, Ghonfalone del Dragho Verde, Quartiere di San Giovanni. La chasa dove io abito è mia e cho’ maserizie dentro di chasa e chon maserizie e fornimenta di cinque telaia di drappi. Uno podere nella Legha di Chasscia, luogho detto a San Giovanale, chonfini da primo via, e sechondo Berto Carnesechi e Mariano di Stefano forbiciaio e Baldo di Bartolomeo, rende l’anno di mezzo uno mogio e mezzo di grano, uno chongno e mezo di vino e una soma d’olio. Un atro poderetto posto nel Chomune di Chastello Franco nel Valdarno di Sopra, Popolo di San Donato a Menzano, luogho detto a Bolognia, chonfinato da primo via, da sichondo Mateo e Donato figliuoli di Saluccio, ed è di rendita di staia otto di grano e di quattro some di vino l’anno e d’uno orcio d’olio. Anchora ànno da me i’ Prestaza i miei lavoratori e i’ bestie fiorini 30. Queste sono tutte le mie sostazie. Ò a dare a Felice Branchacci e chompagni setaioli f. 20. Anchora o’ a dare e a pagare a Chomune f. 18. 65
Di miei chatasti che ò di chatasto s. 9. Ora vi rapresento le persone: Io Antonio sono d’età d’anni 52 La donna mia d’età d’anni 46 Lorenzo mio figliuolo d’anni 19 Lucha e Giovanni d’età d’anni 17 Benedetto è d’età d’anni 4 Anchora ò avere da Ser Baldino, prete di Sa’ Iachopo a Montecharegli, f. 7. Anchora ò avere da Ser Tomaso, prete di Sa’ Lorenzo a Chascia, f. 5.
5. Catasto 624 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), c. 154r 30 agosto 1442 1442 a dì 30 d’aghosto Dinanzi da voi Signori et ghovernatori et conservatori del Popolo e Chomune di Firenze Io Antonio di Cristofano di Guido del Popolo di Santo Michele Berteldi, tessitore di drappi, Quartiere di Santo Giovanni nel Drago, vi rapresento tutte mie processioni et rendite. La casa dove io abito è mia e cho’ maserizia drento. Uno podere nel Valdarno di Sopra, nella Legha di Cascia, luogho detto a Santo Giovanale. Rede di mezo uno mogio et mezo di grano e uno mezo mogio di biada et uno cognio et mezo di vino et una soma d’olio; chonfini co’ lle rede di Berto Charnesechi e Mariano di Stefano forbiciaio. Grano staia 36, a s. 17 _____ £. 30, s. 12 Biada staia 12, a s. 10 ______ £. 6 Vino barili 15, a s. 34 ______ £. 25, s. 10 Olio barili 2, a £. 5 ________ £. 10 Rende in tutto____________ £. 72, s. 2 ________ f. 18, s. -, d. 6 Uno altro poderecto nel Comune di Castello Franco di Sopra, luogho detto a Menzano, chon uno pezzo di terra posta luogho detto in Piano di Scho. Rende di mezo istaia venti di grano, uno cognio di vino, una somma d’olio; chonfinato cho’ Matteo di Salvuccio. Grano staia 20, a s. 17 ____ £. 17 66
Vino barili 10, a s. 34 _____ £. 17 Olio barili 2, a £. 5 _______ £. 10 Rende in tutto ____________ £. 44 ________________ f. 11, s. Uno altro podere a Castello Fiorentino, posto luogho detto a Chamiano. Rede di mezo uno mogio et mezo di grano e uno mogio e mezo di biada e uno chognio di vino; chonfinato collo Spedale della Scala e co’ Baldassarre setaiuolo. Grano staia 36, a s. 18 _____ £. 32, s. 8 Biada staia 36, a s. 10 ______ £. 18 Vino barili 10, a s. 26 ______ £. 13 _____________ £. 63, s. 8 __________ f. 15, s. 17 Io Antonio detto sono d’età d’anni 62 Monna Taddea mia donna d’età d’anni 56 Lucha e Giovanni fratelli d’età d’anni 26 Benedetto d’età d’anni 14 Io Antonio decto ò di cinquina uno fiorino e dodici soldi. Somma f. 44, s. 17, d. 6.
6. Catasto 679 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 505r-505v [ 28 febbraio ] 1447 Io Antonio di Cristofano di Guido, tessitore di drappi prestanziato in decto Gonfalone, vi rapresento mie sustantie e beni. Nella decina 1444 f. 1 Nel dispiacente [ ] f. -, s.1 5 Nel Catasto del 1427 ero prestanziato nel Quartiere di Sancto Spirito, Gonfalone della Schala. Avevo per decto Chatasto s. 12. Sustantie Una chasa dov’ io abito cho’ maseritie, posta nel Popolo di Sancto Michele Berteldi, luogho decto Piaza Padella, cho’ suoi chonfini, da I decta piaza, da II via, da terzo le rede di Filippo di Ser Brunellescho, da IIII Baldo di Simone, la quale conperai da Carlo e Rinaldo e Giovanni, figluoli di Bindo degli Agli, carta facta per mano di Ser 67
Nicholaio Bramangieri del mese di sectembre 1428, chostò f. 300, e quali avevo avere da Felice Brancacci e chompagni setaiuoli, sichome troverete nel primo Catasto. Uno podere nel Valdarno di Sopra, posto nella Legha di Cascia, nel Piviere di Chascia, luogho decto Sangiovanale, chonfinato da più parte via e lle redi di Berto Carnesechi e Mariano di Stefano de Nese forbiciaio, el quale al tempo del primo Catasto lo lavorava Donato di Salvucio, ogi lo lavora Lucha di Donato. À di prestanzie, tra buoi e danari, f. 22. Rende di mezo: Grano staia 36 Biada di più ragioni staia 18 Vino barili 16 Olio orcia 2 _______________________________ f. 17, s. 2, d. 4 Un altro poderecto in Valdarno di Sopra, posto nel Piviere di Scho, nel Popolo di Sancto Donato a Menzano, chon uno pezo di terra posto in decto Piano di Scho, da più chonfini via e Macteo di Salvucio. Al tempo del primo Chatasto lo lavorava Pierino di Guidocto, ogi lo lavora Macteo di Salvucio. Non à nulla di prestanza. Rende di mezo: Grano staia 24 Vino barili 15 Olio orcia 2 _________________________________ f. 13, s.-, d. _____________________ f. 30, 2, 4 // Beni acresciuti Uno [podere] posto nella Valdelsa, luogho decto a Chamiano, Popolo di San Prospero, il quale da più chonfini via e lo Spedale della Schala e Baldassare del Grasso, il quale podere non à chasa e chonviene che lavoratore ne togli a pigione una, el quale podere avemo da Degho e Vicho Popoleschi per f. 200 avevamo avere dal detto Degho, toglemolo per non poter avere altro; funne roghato Ser Nicholao da Valentino, anno 1439 del mese di marzo, dice la carta in Giovanni di Bernardo e fecesi dire in lui perché aveva avere da noi f. 50, e noi non posendogliele dare, lo tenne tanto fu pagato e poi ce lo rendé. Il quale podere al tempo del primo Chatasto lavorava Antonio d’Andrea e anchora ogi lo lavora. À di prestantie, tra buoi e asini e danari, f. 50. Rende di mezo: Grano staia 36 Spelda staia 30 Biade di più ragioni staia 10 68
Vino barili 10 ___________________________________ f. 14, s. Non mi truovo niuna altra substantia Boche Io Antonio d’età d’anni 66 Monna Taddea mia donna d’anni 60 Lucha e Giovanni frategli d’età d’anni 30 Benedecto d’età d’anni 18 ______________________________ f. -
7. Catasto 715 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 87r-87v 12 agosto 1451 1451, a dì 12 d’aghosto Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago, e nel Chatasto primo ero nel Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Schala, ebbi di Catasto s. 12 Io Antonio di Cristofano di Guido, tessitore di drappi, vi rapresenterò tutte mie rendite e prociesioni. La chasa dov’io abito e n’è mia, chomperala da Charlo e Rinaldo e Giovanni di Bindo degli Agli, 1428, chostò f. 300, e quivi abito cho’ mia famiglia, posta nel Popolo di San Michele Berteldi, chonfinata da prima Piaza Padella, e da sechondo via, da terzo le rede di Filippo di Ser Brunellescho______________________________________ f. 7 Uno podere posto in Valdarno di Sopra, nella Legha di Chascia, e luogho detto a Sancto Giovanale, Popolo di San [...] a Ostina, chonfinata da primo via, e da sichondo uno fiumicello detto Pilano, da terzo l’erede di Berto Charnesechi, e da quarto Mariano di Stefano forbiciaio. Rende di mezo: Istaia 36 di grano, a s. 15 _____________ £. 27 Biada di più ragioni istaia 18, a s. 8 ____ £. 7.4 Vino barili 16, a s. 28 ________________ £. 22.8 Olio orcia 2, a s. 5 __________________ £. 10 __________ £. 66. 12 __ f. 17, s. 13 Un atro poderetto posto i’ Valdarno detto, Chomune di Chastello Francho, Popolo di San Donato a Manzano, chonfinato da prima via, e sichodo via, da terzo e quarto Matteo di Saluccio di Guido, e chon 69
esso uno pezzo di terra posto i’ Piano di Scho e uno chastagneto, luogho dicto alla Radicie, nello detto Popolo di Menzano. Rende di mezo: Grano istaia 24, a s. 15 ________________ £. 18 Vino barili 20, a s. 32 _________________ £. 32 Olio orcia 2 _________________________ £. 10 ___________ £. 60 _______ f. 15 Uno mezzo podere posto in detto luogho detto a Chamiano, Chomune di Chastello Fiorentino, il quale podere era nel primo Chatasto di Bonachorso, e rimase l’altra metà alo Spedale della Schala e chosì troverete a questa istribuzione che si chiarì molto bene inanzi che lla si potesse amettere per Bernardo del Maestro Galileo la vuole chiarire molto bene inanzi la volesse amettere, chonfinato detto podere da più parti via e sichondo Lesa223 e terzo lo Spedale della Schala, da più parti Baldassarre del Grasso alberghatore. Rende di mezzo: Grano istaia 36 Ispelda istaia 30 Panicho e seghale 10 Vino barili 10________________________________________ f. 14
8. Catasto 825 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 199r-200r 28 febbraio 1458224 Antonio di Cristofano di Guido tesse drappi. E nel primo Catasto ero nel Quartiere di Santo Spirito, Ghonfalone della Schala. Ebbi di catasto s. II Cinquina f. uno Valsente f. sette, s. diciotto, d. 4 Sustantie Una chasa dov’io abito co’ masseritie, posta luogho detto Piaza Padella, i’ sul canto al lato al Chiasso de’ Buoi, da primo e secondo via, da terzo l’erede di Filippo di Ser Brunellescho, da 4° l’erede di Baldo, la quale comprai a dì 28 di settembre 1428 da Carlo e Rinaldo
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Dovrebbe essere Elsa. In fondo alla carta 200v si legge: “Recò Benedetto suo figliuolo a dì 28 di febraio 1457”.
e Giovanni, frategli e figliuoli di Bindo degli Agli, e chostò f. 300, e quali avevo avere da Felice Brancacci e compagni setaiuoli, chome nel primo Catasto apare, carta fatta per Ser Nicholao Ser Mangieri. Uno podere in Valdarno di Sopra, posto nella Legha di Cascia, luogho detto a San Giovanale, confinato da più parti via e lle rede di Berto Carnesechi e Mariano di Stefano di Nese forbiciaio; lavoralo Tomaso di Gratia. Rende di mezo: Grano staia 36 Biada di più ragioni staia 12 Vino barili 15 Olio barili 2 À di prestanza co’ buoi f. 24_____________________ f. 249. 5. 9 Un altro poderetto pure in Valdarno di Sopra, luogho detto a Sancto Donato a Menzano, chon uno pezo di terra, posto luogho detto Piano di Scho, chonfina da primo via, da 2° e 3° e 4° Matteo di Salvuccio. Non à di prestanza alchuna chosa; lavoralo Pierazino.// Rende di mezo: Grano staia 24 Vino barili 15 Olio barili 2____________________________________ f. 214. 5. 9 Un altro poderetto posto nella Valdelsa, nel Chomune di Chastel Fiorentino, luogho detto a Chamiano, il quale podere ebbi da Degho e da Vicho Popoleschi e per denari avevo avere, il quale podere è sanza chasa, quasi chome cosa abandonata, funne roghato Ser Nicholò da Valentino a dì 7 di marzo 1439. Non à prestanza. Lavoralo Antonio. Rende di mezo: Grano staia 36 Vino barili [ ] Biade staia 36___________________________________ f. 200 // El quale poderetto è confinato da più parte lo Spedale della Schala e Baldassarre del Grasso setaiuolo. E perchè il lavoratore non à chasa d’abitare in sul detto podere, gli diamo £. dodici, per lla qual chosa pichola cosa rimane di rendita a me. Una terza chasa con 20 staiora di terra, luogho detto a Legnaia, nel Popolo di Santo Agnolo, confinata da primo via, da 2° e terzo el Munistero di Santa Felicita, da 4° lo Spedale di Santa Maria Nuova. El quale terreno ò in pegno da Giovanni di Bartolo detto Falsamostra, comendatore, per f. cento settanta, ò avere per resto della dote di Monna Pippa sua figliuola, la quale è maritata a Benedetto mio figliuolo; e quando mi darà detti f. 170 debbogli dare detta terza casa con detto terreno. Lavoralo Andrea detto el Ducha. E perché è circha di mesi 4 almeno, non so quello si rende, ma secondo mi dicie detto 71
Giovanni rende di mezo: Grano staia 15 Vino barili 15 Biade di più ragioni staia 3 Di frutte e orto £. 4 _________________________________ f. 170 Anchora debbo avere del Monte f. 38, sono per denari ò paghati in più volte che cerco di vendegli, e truovone f. 3__________ f. 7. 12 Anchora ò avere per fitto d’un boscho e castagni staia 3 1/2 di grano __________________________________________________ f. 9. 8. 2 Antonio d’età d’anni 77 _____________________________ f. 200 Mona Tadea mia moglie, 74 __________________________ f. 200 Giovanni mio figliuolo, 39 ____________________________ f. 200 Benedetto mio figliuolo, 26 ___________________________ f. 200 Mona Pippa, donna di Benedetto, d’anni 18 ______________ f. 200
9. Catasto 926 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 404r-404v 14 agosto 1469225 Monna Tadea, donna fu d’Antonio di Cristofano di Guido, tesse drappi, e Giovanni e Benedetto suoi figliuoli e figliuoli di detto Antonio e di detta Monna Taddea, cioè rede di detto Antonio, vi presentiamo nostre sustanzie e beni e incharichi. Al Chatasto del 1427 diceva in detto Antonio nel Gonfalone della Schala. Ebbe di chatasto _______________________________ f. -, s. 12 Ebbe di valsente nel Ghonfalone del Dragho, Santo Giovanni ______________________________________________ f. 7, s. 18, d. 4 Ebbe di catasto nel 1457 in detto Ghonfalone _____ f. -, s. 15, d. 9 Ebbe di ventina in detto Gonfalone _______________ f. -, s. 18 Sustantie Una chasa posta nel Popolo di Sancto Michele Berteldi, luogho detto Piaza Padella, che da primo via, a secondo detta piaza, a 3° l’eredi 225 Nelle Copie del Catasto dell’anno 1469, in relazione alla Portata di Taddea si legge: “Rechò Benedetto d’Antonio a dì 14 d’aghosto, all’abacho”. Cfr. ASF, Monte Comune o delle Graticole: Copie del Catasto 91, cc. 1035v e 1044r-1044v.
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di Filippo di Ser Brunellescho, da 4° Tomaso nipote di Pierganni. La quale chasa comprò detto Antonio da Charlo e Giovanni e Rinaldo, figlioli di Bindo degli Agli; la charta fe’ Ser Nicholò Bramangieri nel 1428. La quale chasa una parte ne tiene a pigione Guglelmo che sta per marrufino chon Messer Govanozo Pitti, e abianne f. undici l’anno, e un’altra parte tiene Ser Marcho prete e figliuolo di Baldo fabro, per pregio di f. 2 2/3, che vi tiene schuola di fanciulli. In tutto n’abiamo di pigione f. 13 2/3, benché finito el tempo ve torneremo entro prestanza. Uno podere posto nel Valdarno di Sopra, Piviere di Chascia, luogho detto a Santo Giovanale, chonfinato da più parte via e lle rede di Berto Carnesechi e lle rede di Mariano di Stefano di Nese. Lavoralo Maso di Gratia. A’ di prestanza cho’ buoi f. 24. Rende di mezo l’ano: Grano staia 36 Vino barili 15 Biade di più ragioni staia 15 Olio orcia 2 Un altro poderetto posto in Valdarno di Sopra, nel Piviere di Scho, Popolo di San Donato a Mezano, luogo detto a Bolognia, che da primo via, 2°, 3°, 4° Iachopo di Matteo di Salvuccio. Lavoralo oggi Giovanni di Stefano Rubini, non à prestanza. Rende di mezo: Grano staia 15 Vino barili 15 Olio orcia 1 1/2 Incarichi Mona Tadea d’età d’anni 80 o più ______________________ f. 200 Giovanni d’età d’anni 52, non ci è a Firenze____________ f. Benedetto d’età d’anni 40 ____________________________ f. 200 Mona Pippa, moglie di Benedetto, d’età d’anni 31 _________ f. 200 Tegnamo una parte d’una chasa a pigione, la quale è di Mona Tita, donna fu di Baldo linaiuolo, posta in sulla Piaza Padella, Popolo di Santo Michele Berteldi, che da 1°, 2° via, a terzo Tomaso nipote di Pierganni; paghianne f. 10. Dallo in questo, n° 439, avere apigionata detta chasa per f. 10 Mona Tita, do[nna] fu di Baldo ___________ ____________________________________________ f. 607. 7. 10 // Anchora dobbiamo dare a Lorenzo figliuolo di detto Antonio e fratello di detto Giovanni e Benedetto ciaschuno anno staia 30 di grano e barili 10 di vino e uno orcio d’olio, e questo lasciò Antonio detto 73
per testamento, fu roghato di detto testamento Ser Piero di Ser Andrea da Campi. Anchora dobbiamo dare a una fanculla del paese di Ragugia, la quale è stata circha d’anni 12 cho’ noi, la quale à nome Orsi, f. 30, e quali f. 30 lasciò per testamento detto Antonio che se gli dessino di dì in dì per maritarla. Beni alienati Uno podere posto in Valdelsa, luogo detto a Chamiano, Popolo di Santo Prospero, el quale s’ebbe da Degho e Vicho Popoleschi, e nel primo Chatasto à per una parte d’uno podere che diceva in Mona Cilia, donna fu di Bonachorso di Nicholò Latini, e fu roghato della nostra chompra Ser Nicholò Valentini. E certi pezi di terra di pichola stima, e quali decto Antonio si ripigliò per denari aveva avere da Giovanni di Simone e da’ figliuoli, di detto Popolo, e chostò f. 23; funne roghato Ser Nicholò di Ser Biagio da Chastello Nuovo. E certi pezi di terra di piccola stima, s’ebbono per denari detto Antonio aveva avere da Checho di Matteo, e chostò f. 25; funne roghato Ser Antonio di Ser Nicholò Lenzi. El quale podere cho’ detti pezi di terra vendemmo a dì 16 d’aprile 1468 a Bernardo Chambi per pregio di f. 250; funne roghato Ser Nastagio Vespucci226 . Uno pezo di terra lavoratia e ulivata posta nel Popolo della Pieve a Sco, la quale comperò Antonio detto da Chorso d’Adamo da Campiano, è circha 36 anni, e per righore d’una donagione nell’anno 1464 ci fu convinta da due sirochie, che l’una è maritata a Giovanni di Chafferello; funne roghato Ser Riciardo di Piero. Somma suo valsente_____________________________ f. 607. 7. 10 Abatti per 5% di f. 607. 7. 10 _________________ f. 30. 7. 5 Abatti per pigione di chasa di f. 10 l’ano _______ f. 142. 17. 3 Abatti per boche 3 _______________________________ f. 600 ______________ 773. 4. 8 Chomposto per partito degli Uficiali in s. quatordici; roghato Ser Nicholò Ferrini nostro chancelliere__________________ f. -, s. 14, -
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Cfr. Appendice 1, documento 29.
10. Catasto 1019 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), c. 488r 1480 Beni e posesori degli infrascripti beni che furono riportati nel Catasto 1470, c. 980, in nome di: Madonna Tadea, donna fu d’Antonio di Cristofano di Ghuido, tese drapi Un podere posto in Valdarno di Sopra, Piviere di Scho, Popolo di San Donato a Mezano, luogho detto a Bolongnia, che da primo via, 2°, 3°, 4° Francesco di Marco di Salvuccio. Lavoralo ogi Giovanni di Stefano Rubinio, non à sustanze, rende a mezo: Ghrano staia 15 Vino barili 15 Olio orcia 1 1/2 ____________ f. 174. 5. 9 Soma le sue sustanze f. CLXXIIII, s. V, d. VIIII ___ f. 174. 5. 9 Abatesi per 5 per cento, sono f. 8. 14. 3 __________ f. 8. 14. 3 ___________ f. 165. 11. 6 Resta sue sustanze f. 165. 11. 6 [...] a 7 per cento f. 11. 11. 10 Posto nel Drago, San Giovanni, primo, c. 617, in Madonna Andrea vedova.
11. Catasto 621 (Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Bianco), cc. 321r-321v 1442 Quartiere di Sancta Maria Novella, Gonfalone Leon Biancho Dinanzi da voi Signiori Dieci Uficiali della conservazione e umentazione della Città di Firenze, fovi fede delle sustanze di Giovanni di Bartolo di Giovanni, chomendatore de’ Signiori. Una meza chasa posta in Borgho San Friano, da prima via, da sechonda Istagio chalzaiuolo, da 1/3 Michele di Piero Ghuerucci, e da 1/4 Giuliano Branchacci, e detta chasa dice in Monna Orevole, donna del detto Giovanni. Tiella a pigione Cipriano dipintore. Danne l’anno f. otto. Rende di mezo, cioè f. 8 1/1______________ f. 8. 10 75
Un mezo pezzo di terra per non divisa chon Papi mio fratello, di staiora 4 a chorda, chon chasolari, posto nel Chomune di Ghanghalandi, luogho detto Poggio Ruberti, da prima e sechonda e 1/3 via, da 1/4 rede rimasono di Salvestro Pagnini. Rendemi l’anno in mia parte: Grano istaia _____1 1/1 _____________________________ f. 1, Tengho una chasa a pigione da Albizo di Piero ischarpellatore, posta nella Via dell’Amore, Popolo di San Lorenzo di Firenze, da prima e sechonda via, da terza la Chompagnia d’Ortosanmichele, da 1/4 Nicholò di Panuzio righattiere. Pagone l’anno f. 12. Ebbi io di cinquina __________________________________ f. 1 __________ f. 9. 10 // Giovanni di Bartolo sopradetto d’età d’anni quaranta, cioè d’anni 40 Monna Orevole sua donna Simone suo figliuolo d’età d’anni nove, cioè anni 9 Bartolomeo suo figliolo d’età d’ani 8 Piero suo figliuolo d’età d’ani 3 Pippa sua figliola
12. Catasto 674 (Quartiere di Santa Maria Novella, Gonfalone del Leon Bianco), c. 738r [febbraio] 1447 Giovanni di Bartolo di Giovanni Tinghi detto Falsamostra, chomendatore de’ Signori. Ebbe Bartolo suo padre del primo Chatasto_____ f. 3, era nel Ghonfalone della Ferza. Decina eb’io Giovanni ____________________________ f. 6, d. 8 Per dispiacente __________________________________ f. 6, d. 8 Un pezzo di terra chon chasa e chasolare e chorte chon albori, posta in Chomune di Ghanghalandi, luogho detto Poggio Ruberti, nel Popolo di San Martino a Ghaghalandi, da primo via, 1/2 via, 1/3 le rede di Salvestro Pagnini, 1/4 chiasso. Rende l’anno: Grano staia 6 Il detto pezzo della terra è mezo di Papi di Bartolo di Giovanni Tinghi, suo fratello __________________________________ f. -, s. 12 Una mezza chasa posta nel Popolo di San Friano di Firenze, da prima via, 1/2 Giuliano di Giuliano Branchacci, 1/3 Piero di Michele Gherucci, 1/4 le mura del chomune. La detta chasa chomperai dalle 76
rede di Michele di Niccholò Lapi vaiaio, la quale chasa abito per me e mia famiglia __________________________________________ f. Gl’incharichi Giovanni sopradetto d’età _________________________ d’anni 45 Monna Orevole sua donna _________________________ d’anni 28 Simone suo figliuolo ______________________________ d’anni 13 Bartolomeo suo figliuolo __________________________ d’anni 11 Pipa sua figliuola, non à dota ______________________ d’anni 9 Piero Antonio suo figliuolo ________________________ d’anni 8 Bice sua figliuola, non à dota _______________________ d’anni 4 Francescho mio figliuolo ______________________ d’anni 1 1/1
13. Catasto 795 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone del Drago Verde), cc. 460r-460v [febbraio] 1458 Giovanni di Bartolo di Giovanni detto Falsamostra. E il Catasto dicieva in mio padre, cioè Bartolo di Giovanni Tinghi; era nel Quartiere detto, nel Gonfalone della Ferza. Aveva s. tre di Catasto. E di cinquina ebb’io Giovanni in detto Quartiere e in detto Gonfalone s. 3, d. 8. Valsente s. 2, d. 7 E’ beni ch’erano di mio padre gli tiene Papi da Ghanghalandi mio fratello. Sustantie Una chasa per mio abitare, posta in Borgho Sancto Friano, da primo via, da secondo Giuliano Brancacci, da terzo Piero di Matteo227 Guerrucci e da 4° le mura del Chomune. La quale casa mi lasciò la metà Mona Piera mia zia, donna fu di Core di Iacopo Berzi, la quale acquistò per parte di sua dote. La metà comprai dalla madre di Giovanni di Ser Luca Franceschi, la quale gli rimase per un lascio fece Michele di Nicholò Lapi. Una terza casa con staiora 20 di terreno posto nel Popolo di Sancto Agnolo a Legnaia, da primo via, da 2° e terzo el Munistero di Sancta 227
Probabilmente dovrebbe essere Piero di Michele.
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Felicita, da 4° Sancta Maria Nuova. El quale terreno mi lasciò Mona Piera predetta per resto di sua dote. El quale podere lavora Andrea chiamato il Duca. Rende di mezo: Grano staia 15 Vino barili 15 Biada staia 3 D’orto e frute £. 4 ______________________ f. 1, £. 6, s. 1, d. 6 E debbo avere dal Chomune di Firenze f. 170 dalla Chassa del Generale, e quali denari sono per la dote di Monna Pippa mia figliuola, che è circa a mesi 4 n’andò a marito. E perché è stato tolto gli asegniamenti a detta cassa e mandato a’ Consoli del Mare, e perciò non ò potuto averne denari e anche né spero averne_________ f. 170 296. 1. 6 Incharichi Prima ò in sudetta terza casa con staiora 20 di terreno f. 55 e gli debbo dare a Papi mio fratello per parte gli tochava di detta dote della detta Mona Piera, e quali gli debbo dare per di qui a 4 anni e 8 mesi, per vigore d’un lodo dato da’ miei magnifici Signori. E più debbo dare ogni anno per frutte di detto f. 55, £. otto al detto Papi. // Incharichi E di più detta terza casa con istaiora 20 di terreno è oblighata a Benedetto d’Antonio di Cristofano per f. [cento] settanta, sono per resto della dote di Mona Pippa, mia figliuola, moglie di detto Benedetto, e debbelo husufruttare tanto tenpo quanto pena avere detti f. CLXX, cioè tanto quanto pena a ritrarre e f. cento settanta che sono in sulla Camera, come nel capitolo passato è scritto. Dicho che ‘l detto Benedetto debba tenere detta terza casa con detto terreno tanto si ritralgha e detti f. 170, e diensi al detto Benedetto. Overo che Giovanni dia a detto Benedetto f. 170. Boche Giovanni predetto d’età d’anni __________ 60 ___________ f. 200 Mona Orrevole sua donna d’anni ________ 36 ___________ f. 200 Simone suo figliuolo d’anni _____________ 24 ___________ f. 200 78
Bartolomeo d’anni ___________________ 23 ___________ f. 200 Piero suo figluolo d’anni ______________ 17 ___________ f. 200 Francesco suo figluolo d’anni ___________ 12 ____________ f. 200 Giovanni Gualberti suo figliuolo _________ 8 ____________ f. 200 Lucha d’anni _________________________ 5 _____________ f. 200 Verano pur suo figluolo ________________ 3 ____________ f. 200 E anchora n’aspetto da mogliama, di dì in dì, un altro.
14. Catasto 907 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone della Ferza), cc. 468r-468v. 1469/70 Figliuoli e Rede di Giovanni di Bartolo Tinghi da Ghanghalandi, vocato Falsamostra ... Sustanze Una chasa per Nostro abitare, posta in Firenze nel Popolo di Sancto Friano, nel Borgo di Sancto Friano detto, che da primo decta via, a II figliuoli e Rede di Giuliano Branchacci, a III Antonio di Giovanni di Maestro Antonio Mazinghi228, a IIII figliuoli di Piero Guerrucci ... Bocche Monna Orrevole nostra madre d’anni _________ 48 Simone di Giovanni detto anni _______________ 34 Bartolomeo di Giovanni detto anni ___________ 32 Piero di Giovanni detto anni ________________ 28 Francesco di Giovanni detto anni ____________ 23 Lucha di Giovanni detto anni _______________ 15 Bonda di Giovanni detto anni _______________ 11 Piera di Giovanni detto anni ________________ 11 // Beni alienati Vendemo a Domenicho di Iacopo Federici, Gonfalone Leon Rosso: Una chasa da lavoratore con staiora XX di terra lavoratia, posta nel
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Si tratta del nipote del noto maestro d’abaco Antonio di Giusto Mazzinghi: cfr. Ulivi [1996],
p. 108.
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Popolo di Sancto Michelagnolo a Legniaia, che da primo via, a II beni dello Spedale di Sancta Maria Nuova, a III Munistero di Sancta Felicita di Firenze ...
15. Catasto 1001 (Quartiere di Santo Spirito, Gonfalone del Drago Verde), cc. 248r-249r. 1480/81 Simone, Bartolomeo, Francesco e Lucha fratelli e figliuoli furono di Giovanni di Bartolo di Giovanni Tinghi da Ghanghalandi, detto el Falsamostra, fu comandatore della Signoria, del Popolo di San Friano di Firenze. Ebbono di Catasto l’anno del 1470 in detti nomi et in detto Gonfalone. Sustanze Una casa posta in Borgho San Friano, che a primo via, a II Giuliano Branchacci, a III l’heredi d’Antonio di Giovanni Mazinghi, a IIII via, laquale tenghono per loro habitare, che la prese Monna Orrevole nostra madre per sua dota ... //(c.249r) ... Un podere chon chasa da hoste e lavoratore e con terre lavoratie e vigniate, ulivate, alborate e fructate, in tutto di staiora 20, posto nel Popolo di San Giovanale, Piviere di Cascia, luogo detto San Giovanale, a I via, a II Salvestro Maruscelli, a III Masino di Baldo, a IIII fiume di Pilano, a V Francesco Angeni. El quale abbiamo avuto per la Chorte del Palagio del Podestà di Firenze, per sententia, e per la dota di Monna Pippa nostra sirochia e donna fu di Benedetto del’abacho. Rende l’anno in parte: Grano staia 45 Vino barili 15 Olio barili 3 _____________________________________ f. 237.17.3 Lavoralo Marcho Busi di detto Popolo; à di presta f. 10, tienvisi su un bue di stima di ___________________________________ f. 10 Boche Simone detto d’età d’anni 43, è stato di fuori anni 27 e più, e mai non è stato e non ci è Bartolomeo detto d’età d’anni 42, è comandatore de’ Signori Francesco detto d’età d’anni 32, Lucha detto d’età d’anni 26, danno la lana a panno ed è 3 anni non ànno fatto nulla 80
Monna Orrevole loro madre d’anni 62 Agnniola sta cho’ loro, d’anni 14, ànola a maritare e darle di dota £. 120 ...
Documento del fondo Decima Repubblicana 16. Decima Repubblicana 29 (Quartiere di San Giovanni, Gonfalone del Drago Verde), cc. 119r-119v [aprile1495] Andrea di Lorenzo di Antonio di Cristofano del Popolo di San Michele Visdomini. Dise la graveza de la Schala inchameratta de l’anno 1481 in Mona Andrea dona fu di Lorenzo di Antonio di Cristofano e mia madre, nel Gonfalone Drago. Sustanzie Una chasa in detto Popolo di San Michele Visdomini, ne la Via de’ Fibiai, per mio abitare, chonfini da prima detta via, da sichonda beni di Santa Maria degli Agnioli di Firenze, tenuti per fratte Gabrielo de l’ordine de’ Servi, a 1/3 Chosimo Fiorini, a 1/4 beni del detto Munistero tenuti per Mona Giuliana, stette già per serva, ora ghuarda le donne; la quale chasa ebe in pagamento dal Priore e Chonvento di Santa Maria degli Agnioli predetto per f. 160 larghi di grossi, scritta per mano di Ser Giovanni di Ser Marcho da Romena, sotto dì 25 di giugnio 1493; tengola per mio abitare. Uno poderuzo posto nel Popolo di Santo Donato a Menzano, luogo detto Bolongnia, da prima la via, da sichonda beni di Sanfele da Popi, a 1/3 burone, a 1/4 figlioli ed erede di Iachopo di Teo Salvucci, chiamato el Sordo, el quale poderuzo la mettà per non diviso Giovanni d’ Antonio di Cristofano dette in pagamento a detta Mona Andrea mia madre per f. cinquanta di sugelo, de l’anno 1480 e del mese di dicenbre di detto anno, di sua dotte, mano di Ser Giovanni da Romena229. La detta Mona Andrea, a dì 19 di marzo di detto anno, mi donò e dette la metà di detto poderuzo230; l’antra mettà di detto poderuzo fue
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Cfr. Appendice 1, documento 38. Ibidem, documento 39.
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giudichatto in pagamentto a Mona Antonia mia sorela per f. 45 di sugelo, parte di dotte de la detta Mona Andrea, de l’anno 1482 a dì 28 del mase di marzo di detto anno, per giudice del Quartiere di Santo Giovanni e Santa Maria Novela de la Chorte del Podestà di Firenze. E di poi detta metà di detto poderuzo mi fu agudichata per lodo rogato Ser Cetto di Bernardo da Lore, dato ne la Schala, inchamerata a dì 15 di gungnio 1482231 di detto anno 1481, per deta Mona Andrea mia madre Rende l’anno in parte: Grano staia otto _______________ barili 8 Vino barili dodici ______________ barili 12 Olio barili uno _________________ barili 1 _________ f. 11 // ... Al 1532 in Vincenzio di Andrea di Lorenzo Laurentini, Gonfalone detto di n° 66 .... Al 1532 in Giovanbatista d’Andrea di Lorenzo Laurentini, Gonfalone detto di n° 67 ...232
Documenti del fondo Notarile Antecosimiano 17. Notarile Antecosimiano 15194 (Ser Niccolò Mangeri), cc.141v142r 17 novembre 1418 Procura plurium de Montevarchi Item, dictis anno [1418], indictione, et die decima septima mensis novembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine, presentibus Ser Iacobo Iohannis et Ser Iohanni Ser Mattei, notariis florentinis et aliis testibus, etc. Francischus olim Ser Bindi Francisci de Montevarchio ... ut maritus Domine Clare eius uxore et filie olim Ricci Santis ... et ut procurator et legiptimus administrator Mattei, Leonardi, Antonii et Checche, sive Francisce, et Antonie, filiorum et filiarum dicti Francisci ... et Laurentius olim Cechi alias Conte, de dicto Castro Montis Varchi, suo proprio nomine et ut maritus ... Domine Iohanne eius uxoris et filie olim Corsi Iacopi Buriani, et ut pater ... Angeli, Tholomee dette Mee, et Marie, suorum filiorum ... et quilibet ipsorum ..., fecerunt etc. procuratorem etc. // Ser Christofanum Andree de Laterino ad agendum, causandum etc. Item specialiter et nominatim ad nominandum
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Ibidem, documento 41: la data del rogito è in realtà 19 giugno 1482. Si fa in riferimento alla Decima Granducale del 1532/34: cfr. la nota 68.
... possessorem infrascriptorum bonorum Christofanum Guidonis de dicto Castro Varchi ... que bona sunt ista, videlicet: Unum petium terre, positum in Comune Montis Varchi, Comitatus Florentie, loco ditto in Bottaio, stariorum otto vel circha, cui a I Via di Bottaio, a II Pauli Bernardi, a III Nannis Lodovici, a IIII Magistri Iohannis, infra predictos confines vel alios veriores ...
18. Ibidem, c. 142v 18 novembre 1418 1418, indictione XII Procura Christofani de Monte Varchi Item dictis anno, indictione et die decima ottava mensis novembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie florentine, presentibus testibus Antonio Francisci et Ser Nicholao Ghabrielli, civibus et notariis florentinis, et aliis testibus etc. Christofanus olim Guidonis de Castro Montis Varchi, Comitatus Florentie, omni modo etc. fecit etc. procuratorem etc. Ser Christofanum Andree de Laterino, Ser Talduccium Sandri et Ser [...] et Ser Paulum Iacobi de Laterino et quemlibet ipsorum etc. ...
19. Notarile Antecosimiano 15198 (Ser Niccolò Mangeri), c.n.n. 28 settembre 1428 Emptio Antonii Christofani ab Rainaldo de Aleis et fratribus Item, dictis anno [1428], indictione [VI], et die vigesima octava mensis sectembris. Actum Florentie, in Populo et Ecclesia Sancte Marie in Campo de Florentia, presentibus Piero Antonii orciolario de Bachereto, Comitatus Florentie, et Iuliano Antonii calzolario Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, et aliis testibus ad infrascripta omnia et singula habitis et rogatis, et aliis. Rainaldus et Iohannes, fratres et filii olim Bindi de Aleis de Florentia, et quilibet ipsorum, eorum et cuiuslibet ipsorum propriis et privatis nominibus, ac etiam procuratores et procuratoriis nominibus Caroli, fratris eorum et filii dicti condam Bindi de Aleis, ut de ipsorum procura et mandato constat et apparet publicum instrumentum manu Ser Nichole Mangeri, notarii infrascripti, sub die vigesima 83
tertia presentis mensis settembris233, dicto procuratorio nomine et nominibus et quilibet ipsorum dictis modis et nominibus, et omni modo, via et iure quo et quibus potuerunt, iure proprio et imperpetuum dederunt, vendiderunt etc. Antonio Christofori, detto Rosso, testori drapporum de Florentia, Populi Sancte Lucie de Agnolis de Florentia, presenti, ementi et recipienti pro se et suis heredibus et quibus ius suum concessit, unam domum cum curia, puteo, terreno et aliis ad dictam domum pertinentiis, positam Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, in loco dicto Piaza Padella, cui domi a I dicta platea, a II via, a III Filippi Ser Brunelleschi, a IIII [ ], infra predictos confines vel alios veriores, cum omnibus que dicti confines habent super se etc., ad habendum, tenendum etc. Quam venditionem [...] dicti venditores fecerunt pro pretio et [...] pretii florenorum trecentorum auri nitidorum dictis venditoribus. Quod pretium et quantitatem florenorum trecentorum dicti venditores et quilibet ipsorum, dictis modis et nominibus, fuerunt confessi et contenti habuisse et recepisse a dicto emptori hoc modo, videlicet promissionem dicte quantitatis ab filiorum [ ] de Branchaccis et sotiorum setaiuolorum de Florentia, termino otto mensium. Quam quidem domum et bona dicte venditionis quilibet eorum in solidum, dictis modis et nominibus, promiserunt conservare precario nomine dicti emptoris tenere et possidere usque quo dictus emptor dictorum bonorum possessionem acceperit corporalem, quam accipiendi [...]. Et insuper // etiam promiserunt et solempniter [...] convenerunt dicti venditores et quilibet eorum, dictis modis et nominibus, super dicta bona lites non inferre [...] sed dicta bona defendere etc. ab omni persona etc. ...234.
20. Notarile Antecosimiano 19345 (Ser Matteo Sofferoni), c. 41r 20 luglio 1444 Finis generalis hospitalis Sancte Marie Nove et Antonii Christofani, testoris drapporum Item postea, eodem anno [1444], indictione [VII], et die XX mensis iulii. Actum ubi supra [Florentie, in Populi Sancte Marie in Campo], presentibus testibus Baroncello olim Leonardi Baroncelli dicti Populi, 233 Tale atto di procura si trova di fatto nello stesso notarile, alla carta precedente quella che contiene il rogito del 28 settembre. 234 Dopo il contratto di vendita, nella stessa carta, si trova anche una fideiussione di Francesco di Gerozzo degli Agli, fatta in data 11 ottobre e sempre relativa alla vendita della casa di Piazza Padella.
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et Ser Bindo Angeli de Staggia notario florentino, et Iohanne Antonii Martini cive florentino, et aliis. Venerabilis vir presbiter Andreas olim Simonis, rector et hospitalarius hospitalis Sancte Marie Nove de Florentia, heredis in solidum ex testamento Cambini Nicholai Cambini linaiuoli, ex parte una, et Antonius olim Christofani, testor drapporum Populi Sancti Michaelis Bertelde, suo nomine proprio et ut pater et tanquam pater et legiptimus administrator et pro vice et nomine Iohannis, eius filii, pro quo de rato promisit etc., ex parte alia, fecerunt sibi invicem, dicto nomine, finem generalem etc. de omni et toto eo quod pervenisse ad manum dictorum Antonii et Iohannis, vel alterius eorum, de pecunia, rebus et bonis dicti Cambini etc., et de omni et toto ei quod petere posset tam occaxione sui salarii ab hereditate dicti Cambini dicto Iohanni debita etc., quam alia quacumque occaxione etc. Et hoc ideo fecerunt etc. quia fuerunt confessi habuisse etc. omne id totum etc. finierunt etc. per acceptilationem etc. promiserunt etc., finem et rationem habere etc., et contra non facere etc., sub pena florenorum centum etc., obligaverunt etc., renuntiaverunt etc., guarantigia etc.
21. Notarile Antecosimiano 7977 (Ser Francesco di Iacopo da Romena), cc. 1r-1v 25 aprile 1457 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifere incarnatione millesimo quadringentesimo quinquagesimo septimo, indictione VI et die 25 aprilis. Actum Florentie in Ecclesia Sancti Michaelis Berteldi, in cappella que dicitur la Chappella de’ Bechanugi, presentibus testibus ad habitis, vocatis et rogatis Guasparre Nicholai, Populi Sancte Felicitatis de Florentia, et Iacobo Antonii, Populi Sancti Laurentii de Florentia. Convocatis infrascriptis hominibus et personis Societatis Sancti Michaelis, que congregatur in Sancto Michaele Berteldi in loco eorum solite congregationis, de mandato ad requisitionem Pieri de Masseto, prepositi dicte societatis, quorum nomina sunt hic, videlicet: Pierus de Masseto, prepositus Michele Lodovici Gardi Iohannes Nicholai, ferraveterus, Chapitanei dicte Societatis, absente Matteo Tani, eorum college 85
Laurentius Pieri, choregiarius Bettinus Ser Antonii Ser Bandini Clemens Zanobii, legnaiuolus Pulidorus Parissis Archangiolus Dominici, choregiarius Consultores, absente Piero legnaiuolo, eorum college Francischus Fruosini Tommasus Francisci Stranatis Benedittus Antonii de arismetrica // Dominicus Laurentii et Dominus Nicholaus, rettor dicte Ecclesie Sancti Laurentii, Capitanei, consultores et corpus dicte societatis, asserentes se esse duas partes et ultra capitanei et consultores et corpus, et esse maiores partes hominum dicte societatis et se facere et representare dictam societatem, omni modo, via, iure et forma, quo et quibus magis et melius potuerunt, fecerunt, constituerunt, creaverunt et ordinaverunt eorum et dicte societatis sindicos et procuratores, actores, fattores et certos nuptius spetiales et quidquid melius dici et nominari potest, discretos et honestos viros Bettinum Ser Antonii ser Bandini et Benedittum Antonii, homines dicte societatis, ibidem presentes et dictam procurationem acceptantes, in omnibus et singulis etc. Idem ad recipiendum certam quantitatem pecunie a Santi del Mostaccio, polleauolo. Item ad faciendum chapi et chaptum ipsumque relapsari etc. Item ad petendum et de receptis finiendum etc. Item ad substitutionem et generaliter predictas permittere etc. Relevans etc. Et presens mandatum voluerunt datare per totum mensem mai proxime futurum. Rogans etc.
22. Notarile Antecosimiano 16778 (Ser Piero di Andrea da Campi), c. 106v 4 agosto 1460 Procuratio Item postea, dictis anno [1460], indictione VIII, die vero quarta mensis aughusti. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, presentibus testibus etc. Zenobio olim Daniellis spetiario Populi Sancte Marie Nepotecose de Florentia, [ ] vocato Tedeschino 86
de Alamania, habitatore in dicto Populo Sancte Marie predicte. Antonius Christofani Ghuidonis, testor drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, omnimodo etc., non revocando etc., fecit etc. suum procuratorem etc. Benedictum eius filium, presentem et acceptantem, spetialiter et nominatim ad permutandum et seu permutari, summi et elevari petendum et faciendum omnes et quoscunque denarios Montis cantantes in dictum constituentem, cum eorum pagis, donis et interesse eidem constituenti debitos et debendos, et eos ponendum ad rationem et computum cuiuscunque etc., pro eo pretio et pretiis, de quo et seu quibus dicto procuratori videbitur et placebit, et propterea finiendum etc., et quascunque ghabellas solvendum etc. Et generaliter etc., dans etc., sub ypoteca etc.
23. Notarile Antecosimiano 18452 (Ser Antonio Salomoni), cc. 71r-71v 5 novembre 1462 Item postea, dictis anno [1462], indictione [X] et die quinto mensis novembris. Actum in Camera Comunis Florentie, presentibus Papio Laurentii, guardiano Camere predicte et Paulo Luce Buonaguide, familiare Chamere predicte, omnibus testibus etc. Pateat omnium evidenter quod Benedictus filius Antonii, magister abbachi, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, cum consensu, verbo, licentia dicti Antonii, eius patris, ibidem presentis etc., non revocando propter hoc aliquem vel alios eius procuratores etc., omni modo etc. fecit etc. suum procuratorem etc., duraturum tam in vitam quam etiam post mortem, dicti [ ] nobilem virum Paulum Iacobi de Federigis de Florentia, specialiter et nominatim ad petendum et exigendum etc. a Comuni Florentie et a commissariis Camere dicti Comunis [...] casseriis summam et quantitatem florenorum auri centum septuaginta, eidem debitam et debendam pro dote et occasione dotis Domine Pippe, eius uxoris et filie Iohannis Bartoli, preceptoris Dominationis Florentie, virtute legis in eorum favorem facte et obtente pro eorum [...] conclusione in Consilio Centum sub die 30 mensis iunii 1462, seu alio veriori tempore. Et omnem alium eidem debitum et debendum a supradicto occurendum // pro dote etc. Et de hiis que exigeret etc. finem etc. Et generaliter etc. dans etc. prout etc., sub ypotheca etc. Et ultra predicta dedit dictus Benedictus, dicto consensu, licentia etc. quod de dicto credito florenorum 170 fiat et nunc voluntas dicti Pauli etc. Rogans etc. 87
24. Notarile Antecosimiano 16795 (Ser Piero di Andrea da Campi), inserto n° 26, cc. 69r-70r 19 novembre 1464 In Dei nomine amen235. Anno Domini ab eius salutifere incarnatione millesimo quadringentesimo sexagesimo quarto, indictione XIII et die XVIIII mensis novembris. Actum in Civitate Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis et habitis et ab infrascripto testatore proprio hore rogatis, videlicet presbitero Nicholao Petri cappellano in dicta ecclesia, Christofano Luce Dini textore drapporum Populi Sancti Ambrosii de Florentia, Fhilippo Ser Iohannis Ser Pieri textore drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, et Baldassarre Antonii Ser Bernardi legnaiuolo Populi Sancti Pauli de Florentia, asserentibus etc. se infrascriptum testatorem cognoscere, et Sancte Angeli Sanctis legnaiuolo, etiam asserente infrascriptum testatorem cognoscere, et Iohanne del Pace legnaiuolo Populi Sancte Marie del Fiore de Florentia, et Francisco Laurentii legnaiuolo Populi Sancti Petri Maioris de Florentia. Quoniam nichil est certius morte et nichil incertius eius hora, hinc est quod prudens vir Antonius olim Christofani Guidonis, textor drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, sanus per Dei gratiam mente, sensu, visu et intellectu, licet corpore languens, nolens intestatus decedere, suum sine scriptis nuncupativum condidit testamentum, per quod volumptatem suam disposuit et ordinavit in hunc modum et formam, videlicet. In primis namque animam suam omnipotenti Deo eiusque gloriose matri Virgini Marie humiliter et devote recommendavit. Sepulturam autem sui corporis elegit in Ecclesia Sancti Michaelis predicti, in eius sepulcro. Item iure legati reliquit et legavit Opere Sancte Marie del Fiore de Florentia et nove sacrestie eiusdem, ac etiam operi et constructioni murorum civitatis Florentie, in totum inter omnes, libras duas parvorum. Item amore Dei et pro remedio anime sue et suorum predecessorum, reliquit, voluit et mandavit quod per infrascriptos eius heredes fiat unum annuale in Ecclesia Sancti Michaelis predicti // quolibet anno, a die mortis dicti testatoris et per tres annos tantum et non ultra, cum cera, presbiteris et aliis requisitis, in quo annuali expendatur et expendi voluit anno quolibet dictorum trium annorum, inter omnia libre tres parvorum. 235
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In margine a sinistra si legge: “Publice restitutum ut hic dicto Benedicto”.
Item iure legati reliquit et legavit Domine Taddee, eius uxori et filie olim Dominici Pieri, in casu quo dotes suas non petierit et donec dotes suas non petet, durante tempore ipsius Domine et non ultra, usumfructum, redditum, habitationem et proventum omnium suorum bonorum mobilium et immobilium, una cum infrascriptis eius heredibus. Item reliquit et legavit Magdalene, nepoti dicti testatoris ex filio, et filie Luce olim filii legitimi et naturalis dicti testatoris, pro ipsa dotanda, florenos centum quinquaginta auri de bonis, cum hoc quod si ipsi infrascripti eius heredes imponerent tot credita Montis nomine dicte puelle super Monte Comunis Florentie, quod vulgariter dicitur delle fanciulle, ex quibus debito tempore ipsa efficiatur et sit creditrix in tanta quantitate florenorum centum quinquaginta auri de bonis, ipsa aliud non possit petere vigore presentis legati. Item iure institutionis reliquit et legavit Laurentio, eius filio legitimo et naturali, unum congium vini et sextaria triginta grani quolibet anno durante vita ipsius Laurentii, dandum eidem per infrascriptos eius heredes, et hoc in casu quo dictus Laurentius de predictis contentus esset. Et in casu quo dictus Laurentius de predictis contentus non esset, tunc et eo casu, loco dicti grani et vini et olei, reliquit eidem florenos centum quinquaginta auri, dandos eidem libere infra unum annum a die mortis dicti testatoris per infrascriptos eius heredes. Declarans dictus testator relinquere eidem Laurentio dicta sextaria triginta grani et unum condium et unum urceum olei, ipso volente et ipso non volente, loco grani et vini et olei, dictos florenos centum quinquaginta modis predictis, pro omni et toto eo quod dictus Laurentius petere posset tam iure nature // et seu legitime alio quocunque iure in hereditate vel bonis et seu hereditate dicti testatoris. Iubens et mandans dictus testator dictum Laurentium stare contentum predictis et nihil aliud petere posse in hereditate vel bonis et seu hereditate dicti testatoris. Item amore Dei et ad pias causas et pro remedio anime sue, reliquit et legavit Urse de partibus Rauge, ad presens serve ipsius testatoris, et seu eidem servienti, florenos triginta auri tempore nuptus dicte Urse, pro dote et seu in subsidium dotium suarum, dandos eidem Urse per infrascriptos eius heredes. In omnibus autem aliis suis bonis, mobilibus et immobilibus, iuribus, nominibus et actionibus, presentibus et futuris, heredes universales instituit, fecit et esse voluit Benedictum et Iohannem, etiam eius filios legitimos et naturales, et quemlibet eorum pro una dimidia. Et hanc dixit et asseruit dictus testator fuisse et esse suam ultimam volumptatem, quam valere voluit iure testamenti et si iure testamenti non valeret, valere voluit iure codicilli et si iure codicilli non valeret, 89
valere voluit iure donationis causa mortis vel alterius cuiuscunque ultime volumptatis, prout melius valere poterit et tenere. Capsans, irritans et anullans omne aliud testamentum et ultimam volumptatem actenus ab eo usque in presentem diem factam manu cuiuscunque notarii, non obstante quod in eo, ea vel eis essent apposita aliqua verba derogatoria, penalia vel precisa, etiam si talia forent de quibus in presenti testamento et clausula revocatoria expressa mentio fieri deberet, de quibus dixit se ad presens non recordari et omnino penituisse et penitere. Et voluit presens testamentum omnibus aliis ipsius testatoris testamentis et ultimis volumptatibus prevalere et nullo modo vel per aliquam revocationem tacitam vel expressam, generalem vel specialem, quoquo modo infringi, revocari aut modo aliquo irritari, sed totiens confirmari et de novo fieri quotiens appareret modo aliquo revocatum, nisi in tali revocatione contineretur et inserta esset tota oratio dominicalis, videlicet: Pater Noster etc., et tota series presentis testamenti. Rogans me Petrum notarium infrascriptum ut de predictis presens publicum conficerem instrumentum.
25. Ibidem, cc. 71v-72r 3 dicembre 1464 Item postea, dictis anno et indictione predicta, die vero tertia mensis decembris. Actum in Populo Sancti Michaelis predicti, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis et habitis et ab infrascripto codicillatore proprio hore rogatis, videlicet Stephano Iacobi Rosselli Populi Sancti Marci de Florentia, Philippo Boni Philippi testore drapporum Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, Zenobio Baldi fabro Populi Sancti Michaeli predicti, Nicholao Dominici Benedicti pettinagnolo Populi Sancti Marci predicti, Iohanne Antonii Dominici Populi Sancte Marie del Fiore de Florentia, Antonio quondam alterius Antonii Ser Andree Bartholi Populi Sancti Simone de Florentia, et Amadore Iacopi Angeli Populi Sancti Laurentii de Florentia. Prefatus Antonius, codicillator predictus, cum suam mutaverit volumptatem quam usque ad finem vite ac finalis exitus immutare licet, advertens et considerans quod ipse Antonius codicillator post suum per me conditum testamentum et ultimam voluntatem suos condidit codicillos, per quos in effectum iure institutionis reliquit et legavit Laurentio eius filio dum vixerit et post eius mortem filiis masculis legitimis et naturalibus, tam natis quam nascituris dicti Laurentii, durante eorum et cuiuslibet vel alterius eorum vita, sextaria triginta grani et unum urceum olei et unum congium vini, dandos eidem vel 90
eisdem inter omnes, singula singulis congrue referendo post mortem dicti Antonii quolibet anno a die mortis predicte per Benedictum et Iohannem, eiusdem Antonii filios et heredes institutos in eius testamento modo, conditione et formis in dictos codicillos contentis et ibidem descriptis et narratis, prout de predictis codicillis et omnibus in eo contentis constat manu mei notarii infrascripti, sub die XX mensis novembris proxime preteriti. Addendo dictis codicillis voluit et disposuit quod dicti Benedictus et Iohannes, eius filii et heredes instituti predicti in dicto eius testamento teneantur solvere dictum granum, vinum et oleum modis et conditionibus et formis predictis, cum hoc quod dictus Laurentius dum vixerit, et post eius mortem dicti eiuis filii et quilibet vel alter eorum, cui vel quibus fieri deberet solutio dicti grani, vini et olei solvant de ipsorum et cuiuslibet vel alterius ipsorum propterea singula singulis congrue referendo, quolibet dictorum annorum, omnes expensas vecture et gabelle dicti grani, // vini et olei, et omnes expensas honerum et gravedinum tangentes bonis immobilibus tantumdem quolibet anno reddentes congruis temporibus dictis Benedicto et Iohanni, heredibus predictis aut cui vel quibus iura eorum concesserint vel predicta solvi mandaverint. Et cum hoc etiam quod dictus Laurentius et seu eius filii predicti teneatur et seu teneantur conservare indempnes et penitus sine dampno dictum Antonium codicillatorem et post eius mortem dictos Benedictum et Iohannem et quemlibet eorum ab omnibus et singulis promissionibus et obligationibus quarumcunque quantitatum florenorum, pecuniarum et rerum factis per dictos Antonium, Benedictum et Iohannem, et quamlibet vel alterum eorum pro dicto Laurentio cuicunque persone et seu personis, loco, Comuni, Collegio, Societate et Universitate, et tam de promissionibus huiusmodi factis quam de illis que in futurum usque in diem mortis dicti codicillatoris fierent, ad que in presentiarum vel in futurum dicti Antonius, Benedictus et Iohannes et quilibet vel alter eorum solvere tenentur et seu tenebuntur pro dicto Laurentio. Cetera autem in dicto suo testamento et codicillis predictis contenta, confirmavit et approbavit et per presentes codicillos plenam roborem, firmitatem habere voluit et mandavit, et hanc suam ultimam volumptatem asseruit esse et esse velle, quam valere voluit iure codicillorum vel alterius cuiuscunque ultime volumptatis, prout melius valere poterit et tenere. Item postea incontinenti, dictis anno, indictione, die et loco et coram dictis testibus, etc. Prefatus Antonius olim Christophani Ghuidonis omni modo etc., non revocando etc., fecit etc. suos procuratores etc. inrevocabiles et 91
duraturos etiam post mortem ipsius Antonii, eius hereditate adita vel non adita, apprehensa, iacentia et seu repudiata et quomodocunque sit, Dominam Taddeam, eius uxorem et filiam olim Dominici Pieri, nec non dictum Benedictum, filium ipsius Antonii, et quemlibet eorum in solidum et in totum, generaliter in omnibus litibus etc. ad agendum etc., item ad intrandum in tenutam et in solutum petendum etc. Item ad petendum et exigendum etc. et de exactis finiendum etc. Item ad faciendum capi etc. et relapsari etc. et staggiri etc. Item ad locandum etc. Item ad exigendum pagas Montis etc. Item ad substituendum etc. Item ad faciendum quamcunque compositionem etc. cum debitoribus dicti Antonii etc. Item ad faciendum celebrari et creari etc. super predictis contractus et instrumenta etc. et scripture publice quam private etc. Et generaliter etc. Dans etc., promictens etc. sub ypoteca etc. Rogans etc.
26. Notarile Antecosimiano 17847 (Ser Ricciardo di Piero), cc. 462r-462v 1° maggio 1465 Item postea, dictis anno [1465], indictione [XIII], die [I mensis maii]. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, presentibus [ ] // Domine Taddee vidue, filie olim Dominici Petri et uxori olim Antonii Christofori Ghuidonis, Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, presenti etc., dedi etc. in suum mundualdum Ser Pierum Ser Andree [...] Pantini etc., Macteo Tani, Bartolino legnaiuolo et Francisco Pasquini Nicholai, Populi [...]. Item postea, dictis anno, indictione, die et loco, et presentibus eiusdem testibus etc. Benedictus olim Antonii Christofani, textoris drapporum, suo nomine proprio et [in] perpetuo, et vice et nomine Iohannis, eius fratris carnalis et filii olim dicti Antonii Christofori, pro quo de rato et rati habitione promisit et se facturum et curaturum ita et taliter quod infra unum annum a die presentis venditionis ratificavit presentem contractum et se obligavit infrascriptam venditionem etc., alias de suo proprio observare etc., et quolibet dictorum modorum et nominorum simul et de per se, omni modo etc., iure proprio et in perpetuum etc., dedit et vendidit etc., Filippo olim Taccerini Laurentii Taccerini, Populi Sancti Andree a Pulicciano, Comitatus Florentie, et Iohanni olim Mei Simonis Pucci, Populi Plebis Sancte Marie a Scho, Comitatus Florentie etc., presentibus etc., ementibus etc., pro se et eorum heredibus etc., 92
infrascripta bona, videlicet unum petium terre laboratie, olivate, stariorum quinque vel circa, positum in Populo Sancte Marie a Scho, a I, 2° via, 3° bona Plebis Sancte Marie a Scho, 4° Nencii Angeli in parte et in parte Iacopi Chanchi, infra predictos confines. Que bona dictus Antonius Christofori, pater dicti venditoris, predicta emit a Domina Lucia vidua, filia olim Mattei Bruni etc. Ad habendum etc., cum omnibus etc., et cum omnibus etc. Que bona etc. constituit etc., insuper iussit etc. et fecit suum procuratorem etc. Ita etc. Benedictum venditorem etc. fecit pro pretio florenorum auri quadringentorum auri et medietatem fructuum presentis anni etc. Quod pretium dictus venditor confessus fuit habuisse et recepisse a dictis Filippo florenos viginti auri, a dicto Iohanne florenos auri quattuor et soldos sedecim ad aurum; residuum vero dictus Iohannes promisit etc. solvere hinc ad per totum mensem maii.
27. Notarile Antecosimiano 13441 (Ser Mattia di Cenni d’Aiuto), c. 126r 12 luglio 1465 Compromissum Item postea, dictis anno [1465], indictione [XIII] et die XII mensis iulii. Actum in Arte Alberghatorum, posita Florentie in Populo Sancti Andree, presentibus etc. Dominico Cionis et Francischo Ser Iohannis, famulis dicte artis, et aliis. Benedictus olim Antonii, magister artis metice Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, pro et vice et nomine Laurentii eius fratris carnalis, pro quo promisit de rato et quod ratificabit etc. infra octo dies proxime futuros etc., ex parte una, et Iacobus olim Antonii Carbonis, stufaiuolus, ex parte alia, omnes eorum dictis nominibus lites etc., comuni concordia etc., commiserunt et compromiserunt in providos viros Iohannem Rinaldi, stufaiuolum ad stufam Sancti Laurentii, et Iohannem Megli, stufaiuolum ad stufam que est posita in Via dell’Ariento de Florentia, ambos in concordia, dantes etc. dicte partes dictis eorum arbitris auctoritatem etc. laudandi etc. usque ad per totum presentem mensem iulii et interim continue. Et promiserunt dicte partes dictis modis et nominibus parere omni laudo etc., et ab eo non appellare etc. Et cum pacto etc. quod quicquid fuerit laudatum etc. intelligatur fuisse litem etc. Que omnia etc. promiserunt etc. adtendere etc., sub pena florenorum quinquaginta, que pena etc., qua pena etc., pro quibus etc. obligaverunt etc., renuntiantes etc. Rogantes etc. 93
28. Notarile Antecosimiano 16794 (Ser Piero di Andrea da Campi), cc. 217r-218r 23 agosto 1466236 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo sexagesimo sexto indictione XIIII et die XXIII mensis aughusti. Actum in Civitate Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis, habitis et rogatis, videlicet Antonio Salimbenis Bartholomei legnaiuolo Populi Sancti Pauli de Florentia, et Antonio Iohannis Stefani, vocato Basso, habitatore in Populo Sancti Petri a Varlungho, Comitatus Florentie. Domine Taddee vidue, filie olim Dominici Pieri linaiuoli, et uxori olim Antonii Christofani Ghuidonis, textoris drapporum, habitatrici in Populo Sancti Michaelis predicti, presenti et petenti, ego Petrus, iudex ordinarius notariusque publicus infrascriptus, habens auctoritatem dandi mundualdum mulieribus et alia faciendi, de quibus in imperiali mihi indulto privilegio et statutis Comunis Florentie latius continetur, dedi et datum confirmari in eius et pro suo mundualdo legitimo et generali, Sanctem Zenobii Ribussati, legnaiuolum Populi Sancte Marie Novelle de Florentia, ibidem presentem et esse volentem cuius consensu, licentia et auctoritate dicta Domina possit se et sua bona obligare et omnia et singula sua negotia exercere et maxime infrascripta. Dicens eidem Sancti esto mundualdum hinc Domine, et in predictis et circa predicta, meam et Comunis Florentie quibus fungor auctoritatem interposui et decretum. Item postea dictis anno, indictione, die et loco, et coram dictis testibus ad infrascripta omnia et singula etiam vocatis, habitis et rogatis. Prefata Domina Taddea, cum consensu, verbo, licentia, parabola et auctoritate dicti Sanctis sui legitimi mundualdi ibidem presentis et eidem Domine in omnibus et singulis infrascriptis consentientis et consensum, licentiam, parabolam et auctoritatem dantis et prestantis expresse, certificata tamen, primo et ante omnia per me Petrum notarium iam dictum et infrascriptum de his que agebat et facebat et de iuribus et importantia presentis contractus et de beneficio velleani senatus consultus pro mulieribus introductus et de omnibus sibi competentibus quantum fuit expediens et de iuribus requiritur, de quibus omnibus dicta Domina dixit et asseruit se claram, certam et 236
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Una sintesi di questo rogito si trova nel Not. Antec. 16780, cc. 229r-229v.
advisatam fore ratificando et acceptando dotes suas per dictum olim Antonium et alios quoscunque confessatas, et ratificando etiam omnia et quecunque legata eidem Domine // per dictum Antonium olim eius virum in eius testamento facta, et Benedictus filio dicte Domine et dicti olim Antonii Christofani, suo nomine proprio et ut et tanquam heres pro una dimidia ex testamento dicti olim Antonii Christofani rogato manu mei notarii infrascripti, infrascriptam hereditatem pro dicta dimidia ad cautelam adeundo et quilibet dictorum Domine Taddee et Benedicti in solidum et in totum se obligando modis et nominibus quibus supra, omni meliori modo, via, iure et forma, causa et nomine quibus magis et melius potuerunt, vocaverunt et publice recognoverunt se ex causa veri et gratuiti mutui fuisse et esse veros et legitimos debitores nobili viri Boni Iohannis de Bonis campsoris, civi florentini, in summa et quantitate florenorum centum auri de sigillo, quos dixerunt et confessi fuerunt se habuisse et recepisse a dicto Bono. Quos florenos centum dicta Domina Taddea, dicto consensu, et dictus Benedictus modis et nominibus quibus supra, et quilibet dictorum Domine Taddee et Benedicti in solidum et in totum se obligando unica tamen solutione sufficiente, promiserunt et solepniter convenerunt dicto Bono licet absenti, et Iohanni eius filio et mihi notario infrascripto, ut publice persone, et quilibet nostrorum presentibus pro dicto Bono et eius heredibus et cui vel quibus iura sua concesserit recipientibus et stipulantibus, reddere, solvere et restituere hinc ad unum annum proxime futurum ab hodie, sine aliqua exceptione iuris vel facti, Florentie, Pisis, Senis, Luce, Bononie et ubique locorum et terrarum quacunque parte mundi fori privilegio non obstante, et huius debiti totius vel partis non opponere vel probare solutionem, absolutionem, terminum mutatum vel alium pactum per testes vel alio modo, nisi per publicum instrumentum finis vel solutionis vel per instrumentum sibi redditum, dampnatum vel legitime cancellatum. Que omnia et singula suprascripta, dicta Domina Taddea et Benedictus et quilibet eorum, modis et nominibus quibus supra, promiserunt et solepniter convenerunt eidem Bono, licet absenti, et dicto Iohanni eius filio, et mihi notario infrascripto, ut publice persone et cuilibet presentium et ut supra recipientium et stipulantium, actendere et observare et contra non facere vel venire per se vel alios, aliqua ratione, iure, modo vel causa, in iudicio sive extra, de iure vel de facto, sub pena florenorum ducentorum auri, que pena totiens commictatur et peti et exigi possit et valeat cum effectu quotiens in aliquo predictorum fuerit quomodolibet contrafactum vel ventum vel ut dictum est predicta omnia non fuerint totaliter observata, que pena commissa vel non, soluta vel non, seu etiam gratis remissa, nihilominus predicta et infrascripta omnia et 95
singula firma perdurent. Pro quibus omnibus et singulis observandis et firmis et ratis habendis et tenendis, et pro dicta pena solvenda si et quotiens commissa fuerint, obligaverunt dicta Domina Taddea et Benedictus et quilibet eorum // modis et nominibus quibus supra, se ipsos Dominam Taddeam et Benedictum et quemlibet ipsorum et cuiuslibet ipsorum dictis modis et nominibus, heredes et bona omnia et singula, presentia et futura. Renumptiaverunt in predictis omnibus et singulis dicti Domina Taddea et Benedictus, et quilibet eorum, exceptioni non sic facti et celebrati contractus, rei non sic geste, aliter actum quam scriptum fore, exceptioni non numerate pecunie, doli, mali, infacte actioni, conditioni indebite, sine causa et ex iniusta causa et beneficio de fideiussore et de pluribus reis debendum, et beneficio velleani senatus consultus pro mulieribus introductis, et omni alio iuris, legum et constitutionum auxilio et eisdem et cuilibet vel alteri eorum quomodolibet competentibus et competituris, et iuribus et legibus quibuscunque dicentibus generalem renuntiationem non valere vel non sufficere. Quibus quidem Domine Taddee et Benedicto et cuilibet eorum presentibus et predicta omnia et singula sic volentibus, facientibus et promictentibus, precepi ego Petrus, iudex ordinarius notariusque publicus infrascriptus, per guarentigiam nomine iuramenti, prout mihi licuit videlicet ex forma staturum et ordinamentorum Comunis Florentie de guarantigia loquentium, quatenus predicta omnia et singula supra per eos promissa facta et gesta, actendant, faciant et instrumentum observent in omnibus et per omnia prout et sicut superius promiserunt, continetur et scriptum est, et taliter me Petrum notarium infrascriptum rogatum ut de predictis publicum conficerem instrumentum.
29. Notarile Antecosimiano 21064 (Ser Anastasio Vespucci), fascicolo 4, cc. 47r-48r 16 aprile 1468 Data fides ut hic, Domina Ursia de Rausia Item postea dictis anno [MCCCCLXVIII], indictione [prima] et die XVI aprilis. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia et in domo habitationis infrascripti contrahentis, presentibus testibus Sodo Laurentii del Sodo, sensale Populi Sancte Marie de Florentia, Baldassarre Iacobi Stefani, textore drapporum Populi Sancti Laurentii de Florentia. Domine Taddee filie olim Dominici Pieri, calzolari de Florentia, et 96
uxori olim Antonii Christofori Ghuidonis, textoris drapporum, presenti etc, dedi in mundualdum Filippum Dominici Augustini de Ghanuccis, variarum. Item postea incontinenti et coram dictis testibus, suprascripta Domina Taddea cum dicto consensu certificata, et Benedictus filius olim Antonii Christofori, usufructuarius, dicti Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia // faciens dictus Benedictus pro se et suis heredibus etc., suo nomine proprio et pro et vice et nomine Iohannis, eius fratris carnalis et filii olim dicti Antonii Christofori Guidonis, pro quo de rato promisit, absentes et quilibet dictorum modis et nominibus etc., et quilibet eorum in solidum, insimul et de per se, eorum nominibus eorundem heredum et successorum et omni meliori modo, dederunt, vendiderunt etc., Bernardo olim Iohannis Dominicis de Chambis, civi et mercatori florentino emente pro se et suis heredibus et successoribus et seu pro nominandis eo etc., unam domunculam, cum palcho, turrem et aliis hedifitiis, positam in Comitatu Florentie et in Chastro Chamiani et in [...] Chastri Florentie, muratam ad terram, cui a primo via, a secundo Antonii Pauli de Chamiano, a III muro chastellano, a IIII Hyeronimi Silvestri. Item petium unum terre stariorum XII ad granum, loco dicto in Paule, a I vie, II dicti Bernardi emptori, a III flumen Else, a IIII Ieronimi Silvestri et nepotum. Item petium unum terre stariorum duorum vel circa, positum loco dicto alla Chapannetta, a I via, a II et III Hospitalis della Schala, a IIII via. Item petium unum terre stariorum otto vel circa, loco dicto al Prato, cum nonnullis vitibus, a I via, a II la Pestina, a III bona Ecclesie Sancti Prosperi, a IIII Domine Nanne olim Toni [...]. Item petium unum terre stariorum six vel circha, cum nonnullis vitibus, positum ultra flumen Else, a I via, a II flumen Else, a III heredum Mei Chambii, a IIII la Schala. Item petium unum terre stariorum trium vel circa, positum loco dicto alla Peschaia, cum nonnullis quercibus a capite, a I via, a secondo Baldassarre del Grasso, a III Ecclesie Sancti Prosperi, a IIII la Schala. Item petium unum terre stariorum octo vel circa, positum loco dicto Poggio di Monte, in parte laboratie et in parte sode, a I via, a II dicto Bernardi emptoris, a III et IIII Mactei Pintasso. Item petium unum terre sode, stariorum sex vel circa, posite loco dicto alle Docce, a I via, a II dicti Bernardi emptoris, a III Hieronimi Silvestri, a IIII dicti Bernardi emptoris. Item petium unum terre, loco dicto alla Vechia, in parte vineate et in parte laborate et in parte sode, stariorum XII vel circa, a I via, a II Societatis Chamiani, a III Hieronimi Silvestri, a IIII dicte Ecclesie Sancti Prosperi. Item petium unum terre, stariorum duorum vel circa, loco dicto Renaio, a I via, a II dicti Bernardi emptoris, a III heredum Mei Chambii, a IIII dicte Ecclesie Sancti Prosperi. Item petium unum stariorum sex vel circa, 97
positum loco dicto al Ponte verso Granaiuolo, a I via, a II fossato, a III via, a IIII la Schala. Item petium unum terre stariorum septem vel circa, loco dicto al Chastellare, a I via, a II fossato, a III la Schala, a IIII Bartolomei Moschini. Item petium unum terre, stariorum quinque vel circa, partim sode et partim laborate, loco dicto alla Palaia, a I via, a II heredum Antonii Bartholomei, a III la Schala, a IIII Tonini. Item petium unum terre sode, stariorum triginta vel circa, loco dicto al Poderano, a I via, a II Bartolomei Moschini, a III fossato, a IIII bona Monis [ ] et nepotum. Item petium unum terre stariorum unius cum dimidio vel circa, loco dicto al Ginestraio, a I via, a II et III Tonini [ ], a IIII Ecclesie Sancti Prosperi predicti, infra predictos confines. Item duas vegetes et unum tinum cum tres tinellis // cum omnibus et singulis etc., ad habendum etc. Constituentes etc. tenere etc. precario etc. donec etc., quam accipiendi etc. auctoritate propria etc. et fecerunt procuratorem [ ] ad dandum tenutam etc, et insuper etc. conservare iuris etc., promictentes dictam vendictionem [...] et eorum et cuiuslibet eorum [...]. Laurentius olim Antonii Christofori Guidonis, ut fideiuxor etc., constituens se principalis [...]. Que omnia etc. promiserunt observare etc. sub pena dupli pretii infrascripti etc. Que pena etc., qua pena etc. [...]. Et predictam venditionem fecerunt dicti venditores pro pretio florenorum ducentorum quinquaginta auri de sigillo, ad omnes expensas gabelle contractuum et aliarum dicti Bernardi emptoris. Quod pretium dicti venditores voluerunt et dimiserunt penes dictum emptorem hac lege et conditione quod deberet illud converti in quadam domo seu in emptione cuiusdam domus posite in urbe Florentie et in dicto Populo Sancti Michaelis, que olim fuit dicti Benedicti venditoris et fratrum, et que hodie tenetur et possidetur per Lottum Nicolai Lotti de Alliis et idem Lottus dicitur emisse a dictis Benedicto et fratribus, satisdandum per dictum Loctum per idoneum fideiussorem ad electionem dicti Bernardi emptoris; et cum pacto quod dicta domus sic ut supra vendita, stet et sit principaliter obnoxia pro defensione dictorum bonorum emptorum ut supra per dictum Bernardum etc. Pro quibus omnibus etc. obligaverunt etc. Renuntiantes etc. guarantigia etc. Rogantes etc. Laurentius olim Antonii Christofori de Guidonis fideiuxit et satisdedit pro dicto emptore.
30. Ibidem, c. 49r 22 aprile 1468 Item postea, dictis anno [MCCCCLXVIII], indictione [prima], et 98
die XX secunda mensis aprilis. Actum in urbe Florentie, in domo seu in Arte mercatorum del Chambio de Florentia, presentibus testibus etc. Mariano Andree Tocti de Mucello, dicte Artis del Chambio, et Michele olim Nicolai Iohannis de Ravenna, habitatore Florentie in Populo Sancti Florentii de Florentia. Lottus olim Nicolai Lotti de Aleis seu de Liberalibus, civis florentinus, per se et suos heredes et successores, iure proprio et imperpetuum, dedit, vendidit Beneditto et Iohanni, fratibus carnalibus, et filiis olim Antonii Christofori de Florentia, Populi Sancti Michaelis Bertelde, et predicto Benedicto presenti et pro se et dicto Iohanne eius fratre predicto absenti, et eorum et cuiuslibet eorum heredibus et successoribus et seu nominandis etc., ementi et recipienti etc., cum pacto quod infrascripta bona sint principaliter obligata Bernardo Iohannis Dominici de Chambis de Florentia et suis heredibus etc. antequam in dicto emptore aut eorum heredum etc, pro tuitione bonorum emptorum per dictum Bernardum a Domina Taddea et Benedicto, prout patet supra sub die 16 presentis mensis aprilis presentis anni etc., in omni casu evictionis etc., unam domum cum palchis, salis, cum puteo, volta, curte et stabulo et aliis edifitiis, positam in civitate Florentie et in dicto Populo Sancti Michaelis Bertelde et super platea vocata Piaza Padella, cui a I dicta platea, a II heredum Filippi de Brunelleschis seu Andreucci heredis dicti Filippi, III chiassetto mediante, a IIII bona Tommasi Iacobi Fini, infra predictos confines, ad habendum etc., pro pretio florenorum centum nonaginta octo, nitidorum ab omni expensa gabelle domus et aliorum bonorum venditorum. Quod pretium dictus venditor fuit confessus recepisse a dicto emptore in pecunia numerata et est contentus quod deponantur super bancho Antonii de Rabacta et sociis bancheriis de Florentia. Qui Antonius de Rabacta et socii teneantur et debeant retinere in eorum manibus dictum pretium florenorum 198 de sigilo usque quo per dictum venditorem expendatur in creditis Montium Comunis Florentie cum condicione quod dicta credita sint obligata prius Domine Benedicte, uxori dicti venditoris et filie Simonis Honofrii de Bonachursis, pro dotibus suis, antequam alicui cuicumque persone, et in casu quo ipsa domina superviverit possit de dictis crediti cum pagis computari sibi pro sua dote pro valore et pretio quo erit tempore mortis dicti Locti eius viri, aut convertantur in bonis immobilibus ad electionem et declarationem Bernardi Iohannis Dominici Chambii. Que bona sic emenda sint pro fundo dotali dicte Domine et ipsi domine prius obligata quam alteri cuicunque persone et non aliter. Et promisit dictus Lottus venditor principalis et eius precibus et mandato Honofrius eius frater carnalis et filius olim dicti Nicolai Lotti de Aleis, alias de Liberalibus, ut fideiussor constituens se principalis, 99
et quilibet in solidum promiserunt defensionem pro dato et facto tantum dicti Lotti venditoris, sub pena dupli pretii suprascripti.
31. Notarile Antecosimiano 5290 (Ser Ricciardo Ciardi), c. 484r 26 gennaio 1470 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo CCCCLXVIIII, indictione III et die 26 ianuarii. Actum Florentie in Populo Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, presentibus testibus etc., videlicet Matheo Tani Bartholomei legniaiuolo dicti Populi, et Bartholomeo Ser Francisci de Ambra, Populi Sancte Marie Maioris de Florentie, asserentibus cognoscere infrascriptam Dominam Taddeam etc. Domina Taddea, filia olim Dominici et uxor olim Antonii Christofori Guidonis, textoris drapporum Populi Sancti Michaelis predicti, constituta etc., petiit in suum mundualdum Iohannem Iuliani Laurentii, alias Grassina, ritagliatorem de Florentia, ac etiam ad cautelam cum consensu Benedicti Antonii Christofori, insegna l’abbaco, eius filii etc. eidem consensu in omnibus infrascriptis etc. Prefata Domina Taddea, dicto consensu etc., omni modo etc., advertens ad quandam scriptam factam de anno presenti 1469 et diem secundum ottobris proximo preteritum, per Ieronimum Vespini sensalem, in qua in effectu continetur qualiter Benedictus filius dicti olim Antonii Christofori, vendidit unam domum positam in dicto Populo Sancti Michaelis Berteldi, dicte Domine Taddee, pro pretio florenorum 1300 Montis Comunis Florentie, et promisit dictus Benedictus quod dicta Domina faciet instrumentum venditionis dicte domus Antonio Michaelis Fei Dini, promictenti et ementi pro Domina Angela, eius uxore et filia olim Bartholomei Nicholai de Stagnensibus. Unde dicta Domina Taddea, habens notitiam de dicta scriptura et contentibus in ea et dictis promissis pro ea per dictum Benedictum, ratificavit dictam scriptam et contenta in ea, et promisit observantiam omnium in dicta scripta contentorum per dictum Benedictum, et propterea obligavit se suosque heredes et bona etc.
32. Notarile Antecosimiano 1744 (Ser Antonio Bartolomei), c. 194r 19 febbraio 1470 Item postea, dictis anno [1469], indictione, et die decimo nono februarii. Actum in Arte etc., presentibus etc. Salvino Luce Salvini et 100
Pavolo Iohannis [...] et Francisco Marci [...]. Benedictus Antonii Christofori, Populi Sancti Michaelis Bertelde de Florentia, suo nomine et pro et vice et nomine Domine Taddee, eius matris et uxoris olim dicti Antonii, pro qua de rato promisit etc. et se facturum quod ratificabit infra decem dies proxime futuros, alias etc., de suo proprio etc. et omni modo etc., per se et suos et eorum heredes etc., vendidit Zenobius alterius Zenobii Nicholai del Cicha, presenti et pro se et suos heredes [...] unam domum cum curia, stabulo, palchis et orto [...] positam in Populo Sancti Michaelis Bertelde de Florentia, super Platea Pladella, cui a I et II via, a III Tommasi [...], a IIII Bernardi Pieri Cardinalis de Oricellaris, infra dictos confines, ad habendum etc. Que bona [...] et cessit etc., promisit defendere etc. et dare, renuntiare etc. et non molestare [...]. Quam venditionem [...] pro pretio florenorum auri ducentorum septuaginta sex [...] quod pretium dictus venditor confessus fut habuisse etc., videlicet quia dictus [...] promisit dare et solvere Francisco Vieri del Bene, presentem, florenos quadraginta octo per totum mensem aprilis proxime futurum, et florenos quinquaginta de sigillo et libras vigintiquinque parvorum Antonio Michaelis Fei [...].
33. Ibidem, c. 251r 2 aprile 1470 Item postea, dictis anno [1470], indictione, et die secundo aprilis. Actum in Arte etc., presentibus etc. Ser Andrea Manetti et Antonio [...] del Proconsolo. Certum et verum est quod die XVIIII februarii proxime preteriti Benedictus Antonii Christofori, Populi Sancti Michaelis Bertelde de Florentia [...] vendidit Zenobio Nicholai del Cicha pro se et seu nominandis etc. unam domum cum suis habituris positam in dicto Populo Sancti Michaelis, pro pretio florenorum ducentorum septuaginta sex auri, et promisit defensionem et de evictione etc. ut patet manu mei notarii infrascripti. Unde hodie dictus Zenobius volens agnoscere bonam fidem, nominavit in emptorem dictorum bonorum Antonium Iacobi Antonii aurificem, Populi Sancte Marie Maioris, presentem etc. [...] dictus Benedictus [...] recepit florenos vigintiquatuor etc. [...] et promisit observare sub pena florenorum quadringentorum etc., que pena etc., qua pena etc. [...] 101
34. Notarile Antecosimiano 16781 (Ser Piero di Andrea da Campi), c. 386r 17 ottobre 1471 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quingentesimo septuagesimo primo, indictione quinta et die XVII mensis octobris. Actum in civitate Florentie, in Populo Sancti Laurentii, presentibus testibus etc. Iacobo Bartholomei de Chorella, Comitatus Florentie, trechone ad Plateam Sancti Laurentii, et Davit Pieri del Savio, de Mosciano de Mucello, ambobus dicti Populi Sancti Laurentii, asserentibus se infrascriptum Francischum cognoscere, et Cristophoro Vive Cristophori de Caprese. Francischus olim Iohannis Naldi de Balneo ad Sanctam Mariam, Districtus Florentie, omni modo etc., ex parte una, et Benedictus olim Antonii Christophani Ghuidonis, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, omni modo etc., ex parte alia, generaliter omnes eorum lites etc., commiserunt etc., et de eis et qualibet earum generale compromissum, duraturum hinc ad et per tres annos proxime futuros ab hodie fecerunt etc. in providum virum Pierum Donati Domini Leonardi de Brunis, civem florentinum, tanquam in eorum arbitrum etc. Dantes dicte partes dicto eorum arbitro baliam etc. laudandi etc. semel et pluries etc., de iure et de facto et de iure tantum et de facto tantum, die et seu diebus feriatis et non feriatis, sedendo etc., partibus citatis etc., una citata etc., partibus presentibus vel absentibus, una presente et alia absente, quolibet loco et tempore etc. Cum pacto etc. quod quicquid laudatum fuerit, intelligatur latum etc., promictentes etc. stare etc. omni laudo etc. et ab eo non appellare etc., sub pena florenorum ducentorum auri etc. que pena etc., qua etc., pro quibus etc. obligaverunt etc. Et cum pacto etc. quod presens compromissum transeat etiam in heredes dictorum compromictentium et cuiuslibet eorum etc. Renuntiantes etc., per guarantigiam etc.
35. Notarile Antecosimiano 20286 (Ser Tommaso di Niccolò Tommasi), c. 94v 5 luglio 1476 Locatio Item postea, dictis anno [1476], indictione [VIIII] et die V iulii. Actum Florentie in Offitio Honestatis, presentibus testibus etc. Andrea Banboci famulo Dominorum, et Stefano Sgodi famulo dicti Offitii, etc. 102
Benedictus quondam Antonii dell’abacho, Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, per se et suos heredes, omni modo etc., locavit ad pensionem Francische greche, publice meretrici in Chiasso Bobum de Florentia, presenti et cum consensu Pieri Francisci Chalchagni, becharii de Florentia, eius mundualdi etc., conducentis etc., partem cuiusdam domus, posite Florentie in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, et in Chiasso Bobum, cui a I via, a II via, a III bona Societatis Orti Sancti Michaellis de Florentia, a IIII Bartholomei Nardi, et alios fines etc. Que domus dictus Benedictus conduxit a Capitaneis Orti Sancti Michaellis, sive a provisore eorundem, cum auctoritate alteri locandi ad habitandum, pro tempore duorum annorum et mensium quattuor, inceptorum die prima presentis mensis. Promixit dicto consensu dicto Benedicto etc. solvere nomine dicte pensionis quolibet anno libras quinquaginta quatuor, videlicet libras 54 parvorum, solvendorum Societati Orti Sancti Michaellis, sive eorum provisori vel sacrestano. Et promixit, durante dicto tempore, servare pensionem et eam manutenere et defendere etc., sub pena florenorum 4 auri etc., qua pena etc., que pena etc., totiens etc., quotiens etc., promixit etc., obligavit etc. Renuntians etc., guarantigia etc. Rogans etc. In presentia mei notarii et testium suprascriptorum. Que Francischa solvit ad presens, pro parte pensione, sacrestano Orti Sancti Michaellis, libras novem denariorum parvorum pro pensione duorum mensium237.
36. Notarile Antecosimiano 9635 (Ser Giovanni di Marco da Romena), c. 125r-125v 29 giugno 1479 Item postea, dictis anno [1479], indictione, et die XXVIIII iunii. Actum Florentie, in Populo Sancti Michaelis Vicedominorum, presentibus Antonio Iohannis Niccolai, filatorario dicti Populi, et Iohanne Pieri Antonii, sutore etiam dicti Populi, testibus etc. ... Domine Andree vidue, uxori olim Laurentii Antonii Christofori et filie olim Andree Dominici, habitatori Populi Sancti Michaelis Berteldi, presenti etc., ego Iohannes etc. dedi etc. in eius mundualdum Iohannem Baptistam Bartholomei Andree, Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, ibidem presentem etc. ...
237 In una postilla scritta a sinistra del documento si legge “Restituit copiam Bartholomeo Berti procuratori, Tedeschino et dicta Francescha”.
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Aprehensio Domine Andree de bonis obligatis Item dictis anno, indictione, die, loco et cum dictis testibus, prefata Domina Andrea, cum consensu dicti sui mundualdi etc., certificata etc., sua propria auctoritate, vigore pacti dotalis de quo constare dixit in instrumento confessionis sue dotis tradite dicto olim Laurentio, eius viro et [...] de quibus ibidem fit mentio, prout constare dixit, manu Ser Niccolai Valentini quondam notarii et civis florentini, vel alicuius publici notarii, dixit et declaravit qualiter ipsa intendebat sibi satisfacere de infrascriptis bonis tanquam de bonis obligatis sibi pro dictis suis dotibus, quas fuisse florenorum centum auri de sigillo, et pro dictis suis animo et omni meliori modo quo potuit, protestata fuit se tenere et possidere dicta bona, de ipsis sibi satisfaciendo etc. Que bona sunt ista, videlicet: ...238
37. Notarile Antecosimiano 5112 (Ser Cetto di Bernardo da Loro), fascicolo 1480-1481, inserto 17 1° dicembre 1480 1480, indictione XIIII et die primo decembris Aditio hereditatis ex paterno testamento Iohannes olim Antonii Christofori Guidonis, testoris drapporum Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, florentinus civis, asserens et affirmans dictum Antonium, olim eius patrem, de anno millesimo quadringentesimo sexagesimo quarto et de mense novembris suum ultimum condidisse testamentum, scriptum et rogatum per Ser Petrum olim Ser Andree Mimuli de Campi, notarium publicum, et in ipso testamento inter alia sibi heredes universales instituisse dictum Iohannem et Benedictum eius fratrem, filios legitimos et naturales dicti testatoris, et successive infra paucum tempus mortuum esse et discessisse, nullo alio per eum condito testamento vel alia ultima voluntate saltim revocatoria predicti testamenti [...] et propterea hereditatem dicti Antonii sui patris, testatoris predicti, eidem Iohanni ex testamento predicto delatam fuisse et esse, et deferri et cognoscere et scire dictam hereditatem pro una dimidia ex testamento et pro omni parte
238
38.
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Vengono qui elencati i possedimenti più dettagliatamente descritti nel successivo documento
et iure et quomodocumque sibi deferente, omni meliori modo etc. adhibit et in ea se inmisit, protestans etc. Item postea, dictis anno, indictione et die et loco et coram dictis testibus, prefatus Iohannes, filius dicti olim Antonii Christofori Guidonis, testoris drapporum Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, florentinus civis, suo nomine proprio et ut heres et hereditario nomine dicti Antonii pro una dimidia et quolibet dictorum modorum et nominorum, in simul in solidum et de per se et omni meliori modo, via et iure etc. fecit eius procuratores etc. Ser Iohannem Ser Marci de Romena, Ser Migliorem Manecti Masini, Andream Laurentii Antoniii Guidonis, cartolarium, et Iohannem Baptistam Bartolomei Andree, Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, et quilibet eorum in solidum etc., ad agendum etc., ad faciendum capi et tangi etc. ... Item ad promovendum etc. quamcumque litem movendam etc. ... Item ad substituendum etc. ...
38. Notarile Antecosimiano 9635 (Ser Giovanni di Marco da Romena), cc. 203v-204v 11 dicembre 1480 Datio in solutum pro Domina Andrea Item postea, dictis anno [1480], indictione [XIIII] et die undecima mensis decembris. Actum Florentie, in Populo Sancti Stefani Abbatie Florentine, presentibus Ser Bartolomeo Ser Iohannis de Fortinis et Ser Francisco [ ] Sini et Ser Cetto Bernardi Ser Cetti de Loro, notariis et civibus florentini, testibus etc. Certum esse dicitur quod de anno MCCCCXXXXprimo et de mense ianuarii dicti anni, vel alio veriori tempore, Antonius Christofori Guidonis, Populi Sancti Michaelis Berteldi de Florentia, testor drapporum, et Laurentius eius filius, cum consensu dicti Laurentii239 sui patris, et quilibet ipsorum fuerunt confessi et contenti se habuisse a Bartolomeo quondam Andree Dominici, solvente pro dote et nomine dotis Domine Andree, uxoris dicti Laurentii, florenos centum aurii inter res mobiles et denarios, quam dotem restituere promiserunt quilibet ipsorum in solidum, unica solutione sufficienti, in omni casu restituende dotis cum pactis, obligationibus et aliis in instrumento dicte dotis contentis, publice scriptis et rogatis manu publici notarii. 239
Dovrebbe essere “dicti Antonii”.
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Et certum esse dicitur quod dictus Antonius ut supra ad dictam dotem obligatus, iam sunt anni quindecim et ultra decessit, relictis et remanentibus post eum dicto Laurentio et Benedicto et Iohanne, eius filiis legitimis et naturalibus, prius per eum suo ultimo condito testamento, in quo inter alia sibi heredes universales instituit dictum Benedictum et Iohannem, eius filios, et quemlibet eorum pro dimidia, prout latius in publico instrumento dicti testamenti dicitur contineri. Et certum esse dicitur quod postea, et iam et annus elapsus et ultra, dictus Laurentius vir et maritus dicte Domine Andree, mortuus est et decessit, relicta et remanenda post eum dicta Domina Andrea eius uxore predicta, et quibusdam eius et dicte Domine Andree comunibus filiis, et quod propterea casus dicte restituende dotis evenit et stetit et est et stat. Et certum esse dicitur quod rationibus et causis predictis dicta Domina Andrea, per medium sui procuratoris, auctoritate Curie Comunis Florentie meruit habere et habuit tenutam et corporalem possessionem infrascriptorum bonorum, tanquam in bonis et de bonis sibi obligatis pro dictis suis dotibus, et in ipsa tenuta confirmata fuit ut dicitur contineri in actis et per acta presentis iudicis collateralis Quarteriorum Sancte Marie Novelle et Sancti Iohanni Curie Domini Potestatis Civitatis Florentie et eius proxime in Officio precessoris. Unde hodie, hac presenti suprascripta die, prefatus Iohannes, filius et heres dicti olim Antonii pro una dimidia ex [...] predicto et ad cautelam dicte hereditatis, pro dicta dimidia et pro omni parte et iure adeundo et in ea se inmiscendo, asserens et affirmans dimidiam infrascriptam bonorum ad se tanquam heredem predictum, pertinere etc., dicto hereditario nomine // et omni meliori modo etc. dedit et tradidit etc. dicte Domine Andree, presenti et recipienti etc. in solutum etc., pro dimidia dicte sue dotis, videlicet pro florenis quinquaginta ex dote predicta, medietatem integram pro indiviso omnium infrascriptorum bonorum. Que bona sunt ista, videlicet: Imprimis unum petium terre, stariorum duorum, laboratie et olivate et vineate, positum in Comuni Castri Franchi et seu in Populo Sancti Donati de Menzano, Vallis Arni superioris, Comitatus Florentie, loco detto al Solatìo, confinatum a I via, a II botrus, a III Iacobi Tei Salvini, a IIII etiam eiusdem Iacobi. Item unum petium terre laboratie, vineate, olivate, stariorum quatuor vel circa, cum domo pro laboratore, cellario, stabulo, furno et aliis suis pertinentiis, positum in dicto Comuni et seu Populo, loco detto a Bologna, confinatum a I via, a II, tertio et IIII dicti Iacobi Tei Salvini. Item unum petium terre vineate et pergolate, stariorum duorum vel circa, positum in dicto Comuni seu Populo et loco, confinatum a I via, a II heredum Iohannis de Guidettis, a III etiam dictorum heredum, 106
a IIII Abbatie de Strumi. Item unum petium terre castagnate, stariorum trium vel circa, positum in dicto Comuni Castri Franchi, loco detto la Radice, confinatum a primo fossatus Reschi, a II Plebis Sancte Marie de Scho, a III Blondi Laurentii. Item unum petium terre castagnate, positum in dicto Comuni, loco detto la Luodo, stariorum duorum vel circa, confinatum a primo via, a II heredum Iohannis Cechi, a III botrus, infra predictos confines vel alios si qui forent plures aut veriores, ad habendum, tenendum etc., confirmans pro dicta medietate dictorum bonorum dictam Dominam Andream in dicta tenuta etc., cum protestatione ad cautelam etc., quod ipse non intendit modo aliquo adire hereditatem Benedicti sui fratris vel bona aut iura hereditatis dicti Benedicti alienare etc., sed solum dictam medietatem dictorum bonorum ad se pertinentium ut heredem dicti sui patris pro dicta dimidia etc. Et insuper dictus Iohannes, pro defensione dictorum bonorum etc. cessit etc. omnia iuria etc. sibi competentia in dicta dimidia etc., et promisit etc. dicta bona etc. defendere etc. ab omni homine etc., et si qua lix etc., litem in se suscipere etc., infra otto dies etc., et si dicta dimidia dictorum bonorum etc. fuerit evicta etc., promisit etc. // restituere etc. dictos florenos quinquaginta etc. cum pena dupli etc., et omnes expensas etc. infra decem dies etc., cum pacto etc., quod notificatio facta domi sufficiat etc., remictens etc. omnem necessitatem appellandi etc., et cum pacto etc. quod si dicta dimidia dictorum bonorum ut supra adiudicatorum etc. fuerit dicte Domine Andree vel eius heredibus aut successoribus, ullo unquam tempore evicta vel abvocata, quod ei et suis heredibus et successoribus et cuilibet eorum liceat si voluerint redire ad iura dicte sue dotis etc., reservato sibi Domine Andree iure residui dicte sue dotis et dicte tenute pro aliis florenis quinquaginta etc., quibus preiudicare non intendit etc. Que omnia etc. promisit etc. habere firma etc., pro quibus etc. obligavit etc., renuntiavit etc., et dictam dationem in solutum etc. fecit dictus Iohannes pro dictis florenis qunquaginta per eum debitis ut heredem predictum dicte Domine Andree pro dicta dimidia dicte sue dotis, de quibus dicta Domina vocavit se bene contentam, reservans sibi, ut supra, ius residui dicte sue dotis pro aliis florenis quinquaginta sibi non solutis, quibus modo aliquo preiudicare non intendit, renuntians dictus Iohannes etc., cui etc., per guarentigiam etc.
39. Ibidem, cc. 223r-224v 19 marzo 1481 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione 107
millesimo quadringentesimo octuagesimo, indictione XIIII et die decima nona mensis martii. Actum in populo Sancte Marie Maioris de Florentia. ... Prefata Domina Andrea ... confessa fuit se habuisse et recepisse etc. ab Andrea eius filio et dicti Laurentii eius olim viri, florenos auri quindecim largos pro expensis per eam factis pro exigenda eius dote florenorum centum ... Item postea ... prefata Domina Andrea, propter benemerita dicti Andree, eius filii, ... dedit et donavit dicto Andree eius filio ibidem presenti etc., dimidiam omnium infrascriptorum bonorum ... 240. Quam dimidiam dictorum bonorum ut supra donatam, dicta Domina Andrea, cum dicto consensu, asseruit se recepisse in solutum pro extimatione florenorum quinquaginta, pro parte dicte sue dotis florenorum centum, ab Iohanne filio et herede pro una dimidia Antonii sui olim soceri, obligati ad dictam dotem ... // Item postea ... prefata Domina Andrea asserens se esse veram et legitimam creditricem hereditatis eius olim viri et eius olim soceri, obligatorum ad dictam dotem in florenis quinquaginta de sigillo, pro residuo dicte dotis, et in expensis per eam factis pro exigendo dictam dotem, et habuisse et habere pro dicta eius dote nonnulla bona obligata et maxime dictam aliam dimidiam dictorum bonorum etc., et in dicta altera dimidia fuisse et esse in possessionem etc., et volens residuum dicte sue dotis et dictas expensas donare infrascripte Antonie eius filie, ut exinde facilius nubere et donari possit ... dedit et donavit etc. prefate Antonie ... ius et nomen petendi et exigendi dictos florenos quinquaginta, pro residuo dicte sue dotis ...
40. Notarile Antecosimiano 5106 (Ser Cetto di Bernardo da Loro), c. 6v 22 aprile 1482 Repudiatio hereditatis Item postea, dictis anno [1482], indictione [15] et die vigesima secunda mensis aprilis. Actum Florentie in Populo Sancti Stefani Abatie florentine, presentibus Dopno Christoforo Bartolomei, monaco professo Sancti Salvatoris de Septimo, ordinis cistercensis, et presbi-
240
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Cfr. il precedente documento.
tero Francisco Ducci Iohannis, Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, testibus etc. Andreas olim Laurentii Antonii Christofori, cartolarius Populi Sancte Marie Maioris de Florentia, sciens dictum Laurentium eius patrem mortum esse et decessisse iam sunt anni duo, et ex eo remansisse Iacobo, Christofano, Andrea, Dompno Guidone, Petro alias fratre Laurentio, Dominico et Peregrino, filiis legitimis et naturalibus dicti Laurentii, et hereditatem dicti Laurentii pertinere pro septima parte, et sciens dictam hereditatem potius esse damnosam etc., idciro pro dicta septima parte et pro omni parte etc., dictam hereditatem repudiavit et ab ea se abstinuit, protestans etc., rogans etc.
41. Ibidem, cc. 10r-12r 19 giugno 1482 19 iunii 1482 Laudum Andree cartolarii et sororis In Dei nomine amen. Nos Iohannes olim Ser Marci Tommasi de Romena, civis et notarius florentinus, arbiter et arbitrator electus et asumptus ab Andrea olim Laurentii Christofori, cartolario, ex parte una, et a Domina Antonia, eius sorore et filia dicti olim Laurentii Christofori, et uxor Zenobii Iohannis Lapi, cartolarii, cum consensu dicti Zenobii sui legitimi mundualdi, ex parte alia (ut de compromisso in nos facto constat manu notarii infrascripti, sub die nona ferbruarii proxime preteriti), viso igitur dicto compromisso, auctoritate, potestate ... laudamus, sententiamus et arbitramur in hunc modum et formam, videlicet. In primis namque, cum inveniamus et nobis constet quod de anno Domini millesimo quadringentesimo octuagesimo et de mense martii dicti anni, vel alio veriori tempore, cum Domina Andrea // vidua, filia olim Andree Dominici et uxor olim Laurentii Antonii Christofori, habitatrix tunc in Populo Sancte Marie Maioris de Florentia, asserens se fuisse tunc creditricem hereditatis dicti Laurentii eius olim viri et dicti Antonii eius olim soceri in florenis quinquaginta de sigillo pro residuo dotium suarum, per dictos eius virum et socerum receptarum, et in expensis factis per eam pro exigendo dotem predictam, et volens residuum dotis et expensas predictas donare Antonie, eius filie ut exinde facilius nubere et dotari posset, dedit et donavit dicte Antonie, ius et nomen petendi et exigendi, dictos florenos quinquaginta et expensas predictas, prout latius continere vidimus in publico instrumento exinde per nos rogato. Ac etiam inveniamus quod postea 109
prefata Antonia, vigore dicte donationis et iurium predictorum, precedente valido et legictimo processu tam primi quam secundi decreti, accepit in solutum a Curia Domini Potestatis Civitatis Forentie, dimidiam omnium infrascriptorum bonorum pro indiviso cum Andrea eius fratre superius mentionato et pro extimatione florenorum quadraginta quinque de sigillo, que bona sunt ista, videlicet: ... 241 // Et viso et reperto quod ex confessione partium predictorum coram nobis facta, qualiter prefata Domina Antonia nupsit dicto Zenobio, eius viro et pro ea et eius dote sive partis dotis, dictus Andreas eius frater solvit dicto Zenobio eius viro summam et quantitatem florenorum octuaginta largorum ... Et viso et reperto quod dicta Domina Antonia, soror dicti Andree, non habet alia bona ex quibus possit comodius satisfieri dicto Andree eius fratri quam ex dictis bonis superius eidem Domine Antonie vigore dicte donationis eidem a dicta Domina Andrea eius matre adiudicata. Unde volentes dicto Andree satisfacere ... idcirco ... laudamus, sententiamus et arbitramur dictam Dominam Antoniam fuisse et esse veram et legitimam debitricem dicti Andree eius fratris in dicta summa et quantitate florenorum octuaginta. Pro cuius quantitatis solutione et satisfactione laudamus, pronumptiamus et arbitramur dictam dimidiam dictorum bonorum dicte Domine Antonie ut supra adiudicatorum ... fuisse et esse dandam et adiudicandam, ipsamque dimidiam bonorum predictorum hoc nostro presenti laudo et sententia, damus, concedimus et adiudicamus dicto Andree in solutum et pagamentum partis dicte quantitatis florenorum octuaginta, pro concurrenti quantitate valoris et extimationis dictorum bonorum. Que bona declaramus, pronumptiamus et arbitramur non fuisse nec esse minoris valoris florenorum quinquaginta, ad habendum, tenendum et possidendum et quicquid dicto Andree et eius heredibus et successoribus placuerit perpetuo faciendum ...
Documento del fondo Podestà 42. Podestà 5166, cc. 684r-688v 13 giugno 1480 Quarterium Sancti Spiriti Die martis, de sero, XIII iunii 1480 Ad petitionem et instantiam dicti Ser Andree olim Ser Angeli de 241
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Cfr. Appendice 1, documento 38.
Terranova, notarii et civis florentini, procuratoris et procuratorio nomine dictorum Bartholomei, Francisci et Luce, fratrum et quondam filiorum Iohannis Bartoli de Gangalandi, preceptoris Dominorum, Populi Sancti Fridriani de Florentia, heredum ab intestato, videlicet quilibet ipsorum pro tertia parte et inter omnes in solidum Domine Pippe, eorum sororis carnalis et uxoris olim Benedicti Antonii Christofari Guidonis, textoris drapporum Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, Paulus Andree, numptius publicus Comunis Florentie, retulit dicto Domino iudici collaterali et Curia et michi notario Curie suprascripto, se die ottava presentis mensis iunii, ex parte et mandato dicti iudicis et Curie, ivisse et perentorie citasse et requisivisse dictam hereditatem iacentem dicti olim Antonii Christofari Guidonis et Benedicti eius filii et cuiuslibet ipsorum, si et in quantum iaceat, et omnes et singulos heredes et bonorum possessores si qui sunt vel esse volunt dictorum olim Antonii et Benedicti et cuiuslibet ipsorum si et in quantum iacent, et omnes et singulos ad quos pertinet et expectat et delata est et defertur et pertinere et expectare dicitur prima vel secunda causa subcessionis dictorum olim Antonii et Benedicti et cuiuslibet ipsorum, et spetialiter et nominatim Iohannes Antonii Christofari Guidonis et fratrem carnalem dicti Benedicti, et Christofarum, Dominicum, Andream et Pellegrinum, fratres et quondam filios Laurentii Antonii Christofari Guidonis, Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, et Iacobum Laurentii Antonii Christofari predictum, textorem drapporum Populi Sancti Petri Maioris de Florentia, et quemlibet ipsorum, et omnes et singulos creditores et dicentes se esse creditores dictorum olim Antonii et Benedicti, et hodie dicte eorum hereditatis et heredum, et omnes et singulos alios volentes contradicere et seu hereditatem dictorum olim Antonii et Benedicti, et iuria eiusdem hereditatis et dictum Iohannem et alios suprascriptos quomodolibet defendere seu quomodolibet opponere aut sua dicere vel putare quomodolibet interesse, et omnes et singulos angniatos, congniatos, consortes, coniunctos, affines, amicos, vicinos et notos dictorum olim Antonii et Benedicti, et omnes et singulos volentes dicta vel de dictis bonis in solutum petitis per dictum Andream dicto nomine emere vel ea defendere aut dicere se in eis aliquod ius pretendere vel habere, et omnes et singulos alios in dicta causa nominatos et comprehensos, et quemlibet ipsorum quatenus ipsi et quilibet ipsorum legitime compareant coram dicto Domine iudice collaterali et Curia ad videndum et audiendum infrascriptam sententiam pronumptiatam, et expensarum // condepnationem et texationem, et bonorum in solutionem dationem et adiudicationem dandum et ferendum, et quam et seu quas dictus Dominus iudex collateralis dare et ferre intendit et vult in dicta 111
causa et questione dicte petitionis et libelli bonorum insolutorum, mota per dictum Ser Andream dicto nomine coram proxime precessore dicti Domini iudicis collateralis et Curiam, contra et adversus supra nominatos et quemlibet ipsorum inde copiam accipiendum, dicendum et opponendum contra si et quicquid volunt et possunt de iure et secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie, alias in dicto termino et postea quandocunque in predictis et causa et de iure procedetur et fiet ut iuris fuerit et ut dicto Domino iudici collaterali et Curie videbitur iuris esse, eorum vel alicuius eorum absentia vel contumacia non obstante. Et predictas citationes et omnia et singula suprascripta retulit dictus numptius se fecisse dicta et de dictis Iohanne et aliis suprascriptis, domi et ad domum ipsorum et cuiusque ipsorum habitationem et ecclesie et vicinis, et eisdem et cuilibet ipsorum dimisisse et cum dimissione cedule dicte citationis, affixionis et aplicationis ad et apud hostium dictorum domorum et cuiusque ipsorum, secundum formam statutorum et ordinamentorum Comunis Florentie et dicte et de dicta hereditate iacente dictorum olim Antonii et Benedicti, si et in quantum iaceat et de omnibus et singulis aliis suprascriptis, supra tam in genere quam in spetie citatis et cuilibet et de quolibet ipsorum, domi et ad domum habitationis dictorum Antonii et Benedicti, et in qua dicti Antonius et Benedictus tempore eorum et cuiuslibet ipsorum vite et mortis habitabant et soliti erant habitare et ecclesie et vicinis, ac etiam publice palam, alta et intelligibili voce in vicineam et per vicineam contratam et Populum dictorum olim Antonii et Benedicti, et in quibus dicti olim Antonius et Benedictus tempore eorum virte et mortis habitabant et soliti erant habitare, ac etiam in plateis et per plateas Dominorum Priorum libertatis et Vexilliferi iustitie Populi florentini Sancti Iohannis Baptiste Orti Sancti Micaellis, fori novi et veteri civitatis Florentie et ad et apud ianuam et fores palatii Comunis Florentie, residentie dicti Domini Potestatis Civitatis Florentie, et in omnibus et singulis aliis locis publicis, debitis, requisitis et consuetis dicte Civitatis Florentie et in quibus et prout solent et debent citari forenses et non habitantes nec domum et domicilium proprium habentes in Civitate, Comitatu et Districtu Florentie, et in dictis omnibus et singulis locis et quolibet eorum dimisisse et cum dimissione semper cedule dicte citationis affixione et aplicatione et maxime ad et apud hostium dictarum // domorum dictorum olim Antoniii et Benedicti et apud ianuam residentie dicti Domini Potestatis Civitatis Florentie, prout requiritur de iure et secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie. Et omnia et singula alia retulit dictus numptius se fecisse et observasse in predictis et circha predicta 112
necessaria, consueta, requisita et opportuna, de iure et secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie et stilum et consuetudinem dicte Curie. In Dei nomine amen. Nos Iohanfrancischus de Antinellis de Turdeto, legum dottor, iudex collateralis predictus, pro tribunali sedens ut supra ad nostrum solitum iuris banchum, ut moris est, visa quadam petitione et libello bonorum in solutum, coram nostro proxime precessore exhibita et porretta per dictum Ser Andream, dicto nomine, de mense februarii proxime preteriti, cuis quidem petitionis et libelli tenor talis est, videlicet: Coram vobis Domino iudice collaterali et curia reverenter exponit et dicit dictus Ser Andreas olim Ser Angeli de Terranova notarius et civis florentinus, procurator et procuratorio nomine dictorum Bartholomei, Francisci et Luce, fratrum et quondam filiorum Iohannis Bartoli de Gangalandi, preceptoris Dominorum, Populi Sancti Fridiani de Florentia et heredum ab intestato, videlicet quilibet ipsorum pro tertia parte et inter omnes in solidum, Domine Pippe eorum sororis carnalis et uxoris olim Benedicti Antonii Christofarii Guidonis, textoris drapporum Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, et de anno Domini ab eius incarnatione MCCCCLseptimo et mense decembris dicti anni vel alio veriori tempore, dictus Antonius olim Christofari Guidonis, textor drapporum Populi Sancti Micaellis Berteldi de Florentia, et dictus Benedictus filius dicti Antonii, cum consensu, verbo, licentia et auctoritate dicti Antonii sui patris, ibidem tunc presenti et eidem in omnibus et singulis infrascriptis consentientis et verbum et licentiam dantis et prestantis, et quilibet ipsorum in solidum et in totum obligandum, fuerunt confessi et contenti habuisse et recepisse a Domina Pippa, filia Iohannis Bartoli de Gangalandi, preceptoris Dominorum de Florentia, pro dote et nomine dotis dicte Domine Pippe, inter denarios et res, inter eos comuni concordia extimatos, florenos ducentos quinquaginta auri, retti ponderis et coni florentini, a dicto Iohanne eius patre, dante et solvente pro ea, et fecerunt donationes propter nuptias de libris quinquaginta florenorum parvorum. Quas dotes et donationes propter nuptias promixerunt et solepni stipulatione convenerunt dictus Antonius et Benedictus, dicto consensu, et cuilibet ipsorum in solidum dicto Iohanne Bartoli, tunc presenti, recipienti et stipulanti pro dicta Domina Pippa eius filia et eius heredibus, reddere et solvere et restituere in omni casu et eventu dicte dotis reddendi et restituendi et donationes //solvendi constante matrimonio vel soluto. Et pro predictis observandis, debitas promissiones et obligationes fecerunt et preceptum guarantigie in se et super se 113
legitime subsceperunt, prout predicta et alia plenius et latius constant et asserent in dicto publico instrumento dotis et donationis predicte, ad quod et contenta in eis dictus Ser Andreas dicto nomine se retulit et refert in omnibus et per omnia. Et quod dicta Domina Pippa et Benedictus fuerunt vir et uxor et veri et legitimi coniugales et matrimonium ad invicem contraxerunt et per carnalem coppulam consumaverunt. Et quod dicta Domina Pippa mortua est et decessit, et relictis et superviventibus post se dictis Bartholomeo, Francischo et Lucha, eius fratribus carnalibus suprascriptis, et nullis aliis relictis filiis vel aliquibus aliis qui haberent dictos Bartolomeum, Francischum et Lucham excludere ab hereditate dicte Domine Pippe vel cum eius in aliqua parte concurrere. Et quod dictus Benedictus eius vir etiam mortuus est et decessit, relicta et supervivente post se dicta Domina Pippa. Et quod dicti Bartolomeus, Franciscus et Lucas fuerunt et sunt veri et legitimi creditores dicte dotis et donationis, et eisdem vel alicui ipsorum non fuit nec est in aliquo solutum vel satisfactum. Et quod de presenti mense februarii, auctoritate Curie et Comunis Florentie, pro iuribus, rationibus et causis et quantitatibus suprascriptis, et pro suprascripta quantitate florenorum ducentorum quinquaginta pro dicta dote et librarum quinquaginta pro donatione predicta et pro expensis, Franciscus Iohannis Bartoli de Ghangalandi, suo nomine propio et pro et vice et nomine et ut procurator et procuratorio nomine dictorum Bartholomei et Luce, eius fratrum carnalium, meruit habere et missus fuit in tenutam et corporalem possessionem, per numptium publicum Comunis Florentie, infrascriptorum bonorum infra contentis et confinatis, videlicet: Imprimis unius predii, cum domo pro domino et laboratore et cum terris laborativis, vineatis, boscatis et fructiferis, stariorum triginta vel circha, in pluribus petiis terrarum ad unum tenere, positi in Comitatu Florentie et in Populo Sancti Tommè a Hostina, Plebatus Sancti Petri a Cascia, vallis Arni Superioris, Comitatus [Florentie], loco dicto a San Giovanale, cui a I via, a II heredum Francisci Berti de Carnesechis de Florentia, a III Silvestri Andree de Maruscellis de Florentia, a IIII Francisci Ser Ambrosii de Florentia, a V fiume del Rescho, a VI fiume di Pilano, a VII Masuli Baldi [...] // a VIII Geri del Buono de Florentia, a VIIII bona Capituli Sancti Laurentii de Florentia, a X bona Ecclesie Sancti Donati a Menzano, a XI Matiale Marci del Chofacia, dicti loci, a XII bona dicte Ecclesie Sancti Tomè a Hostina, infra predictos confines vel alii si qui forent pluries aut veriores. Et omnia alia petia terrarum cum dicto podere et bonis tenere et laborare consuetis, ubicumque positis et existentia, cum eorum vocabulis, confinibus et demostrationibus quibuscunque, tanquam bonoru, in bonis, de bonis 114
et super bonis dictorum Antonii Christofari et Benedicti eius filii et cuiuslibet ipsorum, et que per eos et quemlibet ipsorum, tempore dicte confessionis dotis et donationis, et antea et postea tenebantur et possidebantur, et tenta et possessa fuerunt, et que in eorum hereditate et bonis fuerunt et remanxerunt, et tanquam bonorum in bonis, de bonis et super bonis obligatis et ipotecatis dictis Bartholomeo, Francischo et Lucha, heredibus predictis et executionem patientibus pro iuribus, rationibus et causis et quantitatibus suprascriptis. Et dicta tenuta fuit facta relatio per numptium publicum Comunis Florentie, et quod predicta omnia et singula suprascripta fuerunt et sunt vera et veritate fulgiri, et ea non dicere vel petere animo calupnie, sed pro veritate tantum. Quare facto sic breviter exposito, petiit et petit dictus Ser Andreas, dicto nomine, per vos Dominum iudicem collateralem predictum et vestram Curiam, pronumptiari, sententiari, decerni et declarari predicta omnia et singula vera fuisse et esse, et quod inveniatis et inveniri faciatis bona et de bonis dictorum Antonii Christofari et Benedicti eius filii, et cuiuslibet ipsorum, et maxime bona suprascripta, supra contenta et confinata, et ipsis sic inventis ea vendatis et distrahatis et seu vendi et distrahi faciatis et de ipsorum pretio solvatis et satisfaciatis dictis Bartolomeo, Francischo et Lucha, dominis et principalibus dicti Ser Andree dicto nomine, de dictis florenis ducentis quinquaginta auri, pro dicta dote, et de dictis libris quinquaginta florenorum parvorum pro dicta donatione, singula singulis congrue referendum. Et si emptor non inveniretur, petiit et petit quod dicta bona extimatis et adpretiatis, et de eis dari et adiudicari in solutum et in pagamentum dicti Bartholomeo, Francischo et Lucha, pro concurrenti et usque in concurrenti quantitate dictorum florenorum ducentorum quinquaginta auri pro dicta dote, et librarum quinquaginta florenorum parvorum pro dicta donatione, et expensarum suprascriptarum et infrascriptarum, singula singulis congrue referendum secundum formam Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie, et seu tamen lege et condictione // quod si contingerit dicta bona vel aliqua eorum parte evinci vel abvocari dictis Bartholomeo, Francischo et Lucha, heredibus predictis, dominis principalibus dicti Ser Andree dicto nomine vel eorum heredibus et cui vel quibus iura eorum concesserint, quod eis liceat et licitum sit redire ad dicta iura et actiones dictarum suarum dotium et donationum predictarum et eis uti quemadmodum poterant seu potuissent ante presentem dationem et adiudicationem in solutionem et pagamentum subsequendum ac si dicta in solutionem datio et adiudicatio facta non esset, et petit expensas factas et fiendas et tam gabelle Comuni Florentie solvende quam aliarum expensarum. Predicta quidem et quodlibet predictorum 115
dicit, proponit et petit dictus Ser Andreas, dicto nomine, simul coniunctim et divisim et ordine subcessivo, et in omni modo, via, iure, forma, causa et nomine, quo, qua et quibus magis et melius potuit et potest, salvo dicto nomine iure addendi, minuendi, mutandi et corrigendi et in melius reformandi petitionem et libellum predictum usque quo de iure sibi dicto nomine permictitur. Protestans quod se, dicto nomine, non adstringit ad aliquam probationem superfluam in predictis, sed solum ad necessaria offitium dicti iudicis et collegialis et Curiam, ubi et quatenus sibi dicto nomine locum vendicet in predictis inplorando, petens in tota causa et causis ius et iustitiam ministerii. Visa namque dicta petitione et libello et omnibus et singulis in dicta petitione et libello contentis, et visis citationibus et bapnis solempniter et rite factis ex parte, commissione et mandato nostri proximi precessoris, et ad petitionem dicti Ser Andree, dicto nomine de dictis omnibus et singulis in dictis citationibus et banpnis solempniter et rite factis ex parte, commissione et mandato nostri proximi precessoris, et ad petitionem dicti Ser Andree, dicto nomine, de dictis omnibus et singulis in dictis citationibus et bampnis nominatis, et ad dictam petitionem et libellum videndum et audiendum et opponendum contra et alia faciendum, que de iure fieri possunt et de quibus et prout in dictis citationibus et bampnis et eorum commissione et relatione latius continetur, et visis dictis citationibus et bampnis commissione et relatione, et omnibus et singulis in eis et quolibet eorum contentis; et visa quadam comparitione et intentione, positione et capitulis testium, inductione et productione et ipsorum testium citatione, comparitione et iuramento, notarii electione et commissione coram nostro proxime predecessore, exhibitis et porrettis per dictum Ser Andream, dicto nomine, cum citatione et relatione citationis partis adverse, et eorum absentia et contumacia. Et visa citatione facta de parte adversa ex parte et mandato dicti nostri proxime precessoris, ad eligendum pro eorum parte unum bonum et legalem hominem dicti Populi Sancti Tomè ad Ostina, in quo Populo posita sunt dicta bona, alias in eorum // defectu et contumacia, eligi, videndi et audiendum dictum bonum et legalem hominem dicti Populi pro Officiale Montis Comunis Florentie, et ad videndum et audiendum eligi per dictum Ser Andream, dicto nomine, et pro eius dicto nomine parte unum alium bonum et legalem hominem dicti Populi inventorem et extimatorem dictorum bonorum supra contentorum et confinatorum, et ad videndum et audiendum facere dictam extimationem et alia faciendum, de quibus in dicta citatione et relatione continetur et fit mentio. Et visa relatione, citatione dicte partis adverse et eius absentia 116
et contumacia, et visa electione facta in defectu et contumacia partis adverse et pro eius partes per Officiales Montis Comunis Florentie, de Taglino Marci Blasii, bono et legale homine dicti Populi Sancti Tomè a Hostina. Et visa relatione facta per dictum Ser Andream dicto nomine et existentia in dicto Populo et alia faciendi, de quibus in dicta eorum electione continetur et fit mentio. Et visa ipsorum inventionem et extimationem, citationem, comparitionem et iuramentum. Et visa commissionem eisdem, extimationem per nos et nostra Curiam factam de inveniendo, referendo et extimando dicta bona in solutione petita per dictum Ser Andream dicto nomine, et alia faciendum, de quibus in dicta commissione continetur et fit mentio. Et visa relatione dicte extimationis, qui retulerunt solempniter inter se invenisse et invenire, et dicta bona immmobilia supra in dicta petitione et libello contenta et confinata fuisse et esse dictorum olim Antonii et Benedicti et per eos et quemlibet ipsorum tempore eorum vite et mortis tenta et possessa fuerunt, et in eius hereditate et bonis fuisse et remansisse et posita et existentia in dicto eorum Populo, extimaverunt et valore dixerunt florenorum trecentorum triginta, videlicet ad libras quatuor et soldos duos pro quolibet dictorum florenorum. Et visis omnibus et singulis in predictis et circha predicta factis et gestis tam per nos et nostram Curiam quam per presentes numptios et dictos extimatores, singula singulis congrue referendo. Et visa quadam alia [...] et instrumentum actorum, statuta, iura, testium et adtestationes et alia producta et deposita et iuramenta petita coram nobis et nostra Curia, et etiam coram nostro proxime precessore exhibita et porrecta per dictum ser Andrea dicto nomine, cum citatione et relatione partis adverse et eius absentia // et contumacia; et omnibus et singulis in dicta comparitione contentis. Et visis omnibus et singulis actis et actitatis, factis et gestis in dicta causa ad petitionem dicti Ser Andree, dicto nomine, et tam per dictum Ser Andream, dicto nomine, quam per nostrum proxime precessorem, iudicem et Curiam, quam per nos et nostram Curiam, quam per numptios et alios predictos. Et visis omnibus et singulis infrascriptis et iuribus in dicta causa productis, usis et allegatis per dictum Ser Andream, dicto nomine; et visis testibus adtestationibus et eorum dictis in dicta causa inductis et productis per dictum Ser Andream, dicto nomine. Et demum visa suprascripta citatione ultimo loco, et per emptorem facta ex [...] parte et mandato de parte adversa ad hanc nostram presentem sententiam videndum et audiendum. Et visa relatione dicte citationis, et viso instrumento procuratoris et mandati dicti Ser Andree, et visa forma iuris, Statutorum et Ordinamentorum Comunis Florentie, et omnibus visis et consideratis que videnda et 117
consideranda fuerunt, Dei nomine repetito, pro tribunali sedentes ut supra, cum causa, cognitione et omni modo, via, iure, forma, causa et nomine quo, qua et quibus magis et melius possumus et debemus, in hiis scriptis pronumptiamus, sententiamus, decernimus et declaramus omnia et singula in dicta petitione et libello contenta, vera fuisse et esse et veritatis fulgere, dictaque bona immobilia dandi et adiudicandi fuisse et esse in solutionem et pagamentum dicto Ser Andree, dicto nomine, dicta bona immobilia pro dicta extimatione florenorum trecentorum triginta, ad rationem librarum quatuor soldorum 2 pro quolibet floreno. Et quod bona et quolibet ipsorum damus, concedimus et adiudicamus dicto Ser Andree, dicto nomine, in solutione et pagamento ex secundo decreto pro dicta extimatione florenorum 330, a £. 4, s. 2 pro quolibet floreno, pro concurrenti et usque in concurrentem quantitatem, primo et infrascriptarum expensarum infra per nos taxandarum et propterea subcessive dictorum florenorum ducentorum quinquaginta auri, recti ponderis et conii florentini, dotis predicte, et librarum quinquaginta florenorum parvorum pro donatione propter nuptias predictas, singula singulis congrue referendum, cum ista tamen lege et conditione quod si contigerit aliquo tempore dicta bona supra per nos data et adiudicata in solutum et pagamentum dicto Ser Andree, dicto nomine, vel aliquod ipsorum vel aliqua ipsorum pars eisdem Bartholomeo, Francischo et Luche, dominis et principalibus dicti ser Andree // dicto nomine, vel eorum hereditatibus vel habentibus ius vel causam ab eis et a quolibet vel alio ipsorum, evinci, vel advocari aut quod evinceretur vel advocarentur, liceat et licitus sit dictis Bartholomeo, Francischo et Luche, dominis et principalibus dicti Ser Andree, dicto nomine, vel eorum heredibus vel habituris ius vel causam ab eis redire ad dicta iura et actiones dictarum infrascriptarum expensarum et dotis et donationis predicte, singula singulis congrue referendum ut supram, et eis uti quemadmodum poterat et seu potuisset dicti Bartholomeus, Francischus et Lucas ante presentem dationem et adiudicationem in solutum et in pagamentum, et ac si dicta presens datio et adiudicatio facta non esset, dictasque hereditates iacentes, dictorum olim Antonii et Benedicti, et dicta bona et alios suprascriptos et quemlibet ipsorum in solidum et in totum unica tamen solutione sufficiente victos dicti Ser Andree dicto nomine victori, in expensis in causa factis et fiendis, et tam gabelle Comunis Florentie, solvendi quam in aliis expensis, condepnamus. Quas expensas ex nunc, habito colloquio cum quampluribus viris de predictis petitis, et maxime cum prudenti viro Ser Iohanne [...] Bartolomei, notario et cive florentino, taxamus fuisse et esse florenos quinque auri larghos et libras sexaginta et soldos quinque 118
florenorum piccioli. Et commictimus, inponimus et mandamus Bono Nardi, numptio publico Comunis Florentie, et cuilibet alio numptio dicti Comunis in solidum, quatenus vadat et ex dicti iudicis parte, commissione et mandato, ponat, mictat et inducat dictos Bartholomeum, Francischum et Lucam et quemlibet eorum procuratorem, in tenutam et corporalem possessionem dictorum bonorum ex secundo decreto. Quem Bonum numptium predictum et quemlibet alium numptium dicti Comunis in solidum adsumendum nostrum nostreque Curie et Comunis Florentie executores facimus et esse volumus in predictis et ad predicta. Lata, data, lecta et in hiis scriptis sententialiter fuit pronumptiata et promulgata dicta sententia, pronumptiatio in solutum, datio et adiudicatio et expensarum condepnatio et taxatio numptii, datio et remissio, et omnia et singula suprascripta facta fuerunt per dictum iudicem collateralem pro tribunali sedentem ut supra, presenti et predicta fieri petenti, et recipienti dicto Ser Andrea dicto nomine in parte et partibus pro eo dicto nomine facienti et iuranti ad Sancta Dei // scripturis corporaliter manu tactis sic et tantum et ultra ut supra, dictos Bartholomeum, Franciscum et Lucam, dominos et principales dicti Ser Andrea, in dicta causa et causis expendidisse. Et presentibus testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis, Ser Tommasio Nicolai Tommasii et Ser Riciardo Ser Benedicti Ciardi, notariis et civibus florentinis, et aliis.
Documenti del fondo Mercanzia 43. Mercanzia 1370: Atti in Cause Ordinarie, c. 54r 23 novembre 1448 A dì 23 di novembre [1448] Dinanzi a voi Messer Ufficiale e Corte espone e dice Antonio di Cristofano, tessitore di drappi, che Calandro e Antonio di Piero Calandri, merciai, sono suoi debitori di lire 68, s. XVI di grossi per resto di magior somma di valuta e prezo di più drappi ebe da lui e per lui da Zanobi242 e compagni, sichome appare a libro di detto Zanobi e compagni, a c. [ ]. Et più volte aver cessato pagare contro
242 Si tratta di un certo Zanobi di Ser Iacopo, che compare in un atto precedente sempre del 23 novembre 1448, a c. 53v della stessa filza.
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ogni dovere. Et però detto Antonio domanda che vi piaccia condampnare detti Calandro e Antonio a dare e [...], in tutto, uno pagamento bastando a dare e pagare a llui [...] detta quantità di lire 68, s. 10, d. 4, e domanda [...]. Et produxe ad pruova delle sue ragioni detto libro di detto Zanobi e compagni [...]. Ad petitione di detto Antonio, Zuffulachio, messo di detta Corte, rapportò se aver richiesto detti Calandro e Antonio [...] a vedere detta petitione e domanda [...].
44. Mercanzia 7157: Sentenze de’ Sei e dell’Uffiziale di Mercanzia, c. 223v 17 dicembre 1448 A dì XVII di decembre [1448] Ad petitione di decto Antonio di Christofano, tesse drappi, Guelfo di Guido, messo di decta Corte, raportò se avere richiesto decto Calandro e Antonio di Piero Calandri, merciai, per lo primo dì vero e peremptorio, e poi per ogn’altro dì e hora, a udire sententia e dire e opporre contro al sopradetto. Et decta richiesta raportò avere facta a dì 29 di novembre proximo passato alla casa e bottegha, con cedola.
45. Mercanzia 1381: Atti in Cause Ordinarie, c. 86v 31 maggio 1451 Die ultimo madii 1451 Conparì dinanzi a voi Messer Ufficiale e Corte Antonio di Cristofano Rosso che tesse drappi, cittadino fiorentino, che Luca Demenico de Michele, che mercanta asini e sta in nella Corte d’Empoli, funne suo debitore di £. 13 per prezo d’una bestia asinina col poledo a lui venduti per lo detto Antonio da Camiano allora lavorante del detto Antonio insino dell’anno 1448 [...] // A petitione di detto Antonio, Nofrio di Gherardo, messo di detta Corte, raportò al detto Ufficio e Corte e a me notaio infrascritto sé da parte del detto Officiale e Corte avere richiesto detto Luca a vedere detta petitione e domanda e ciò che in essa si contiene, e torre copia etc. [...] a dì 28 di magio 1451, alla chasa di sua habitatione in persona della madre, con cedula. 120
46. Ibidem, cc. 118v-119r 7 giugno 1451 Die VII iunii 1451 Comparì davanti a voi, Messer Officiale e decta Corte Antonio di Cristofano, vocato Rosso, tessitore di drappi, cittadino fiorentino, e ciascun de loro [...] // suo figlio, che furo setaiuoli tutti, furono suoi debitori in lire 42, soldi 16, per resto di magior somma, per tessitura di drappi per esso Antonio tessuti al decto Piero, e di ciò apare a un quaderno di decto Antonio, fatto un saldo d’acordo col decto Piero e Adovardo a dì di genaio 144[2], per la quale esso Piero apare vero debitore di decto Antonio in lire 65 e soldi 10, de’ quali promette dare al decto Antonio soldi due in [...] per ciascuna lira, ogni anno, tanto l’avesse pagato di decte lire 65, s. 10, incominciando il primo pagamento de’ s. 2 per lira a dì 4 di genaio 1442 ... In caso che decto Piero non pagasse, el decto Adovardo s’obligò a esso Antonio per lo decto Piero, promise pagare la decta quantità in caso esso Piero non pagasse ... e più di pagare per subscriptione a piè fatta del decto saldo di decto Adovardo. Al quale quaderno e subscriptione decto Antonio si riferisce, e tutti produce, usa e allega denanzi a decto Officiale, e a prova delle sue ragioni e tutti depone di sotto, e domanda se di bisogno che ‘l decto libro sia aprovato per l’Officio de’ Sei, secondo la forma degli Statuti ... che decta quantità di lire 65, s. 10 esso Antonio n’à ‘uti lire 22, s.14, di che resta aver le decte lire 42, soldi 16. E di che più volte richiesti decti Piero e Adovardo, essi e qualunque di loro ànno sempre cessato pagare contro ogni debito di rascione. E pertanto decto Antonio domanda che vi piaccia per vostra sententia pronuntiare e declarare le soprascritte cose ... essere vere in nel modo e forma che di sopra si dice, e i decti Piero e Adovardo ... essere veri debitori detto Antonio di Cristofano in nelle decte lire 42 ... .
47. Mercanzia 1438: Atti in Cause Ordinarie, cc. 93r-93v 17 maggio 1465 Decto dì [17 maggio 1465] Dinanzi a voi Messer Ufficiale e nuntii, expone e dice Benedecto, figliolo et procuratore et procuratorio nomine, duraturo in vita et doppo la morte d’Antonio di Christofano di Guido, tessitore di drappi, suo padre, che gli heredi et possessori di beni di Lorenzo d’Agniolo da Terranova del Valdarno, distretto fiorentino, furon e sono suoi 121
debitori, modi e nomi veri e legittimi debitori, di fiorini X di sugello per parte di magior somma. E quali sono per denari pagati e che il decto per adrieto Antonio pagò per lo decto Lorenzo ad altri, et per altre cose che decti per adrieto Antonio e Lorenzo ebbono a fare insieme, come di tutto appare al libro di decto Antonio e di suoi heredi, detto c. 4. Et che più volte richiesto il decto Lorenzo mentre viveva e di poi i suoi heredi et heredità dal decto Benedetto, decti modi e nomi, sempre ànno ricusato pagarli et farli d’ogni debito di ragione. Il perché il decto Benedetto, decti modi e nomi, dimanda che per voi, Messer Ufficiale et vostri nuntii, si pronumptii, sententii e dichiari le predette cose essere state et essere vere, et il decto per adrieto Lorenzo, mentre viveva, et oggi i suoi heredi et heredità essere stati et essere veri et legittimi debitori del decto Benedetto, detti modi e nomi, della decta soprascripta quantità di fiorini dieci d’oro di suggello per parte di maggior somma. Et così dichiaro vi piaccia per vostra sententia condampnare e decti heredi, heredità e possessori di beni di decto per adrieto Lorenzo, a dare e pagare al decto Benedecto, decti modi e nomi, la decta soprascripta quantità di fiorini X d’oro di suggello per parte di maggior somma et per sorte, et in tutte le predette cose dimanda le spese della causa e ragione e iustitia. Et le predette cose et ciascheduna d’esse dice, propone, dimanda il decto Benedetto, decti modi e nomi, insieme congiunte e divise, e salva a lui la ragione dello agiugnere, sciemare etc., et salvo la regione della maggiore somma et ogni altra sua, decti modi e nomi, ragione. Et produsse decto Benedetto al [...] della sua persona, lo instrumento del suo mandato, e diposelo apresso a Ser Michele d’Antonio notaio. Item produsse il decto Benedetto ad prova della sua, decti modi e nomi, ragioni il decto libro del decto per adrieto Antonio, e dipuoselo apresso a Ser Michele d’Antonio, notaio fiorentino, e dimandò che sia approvato per l’Ufficio dei Sei Consiglieri. Ad petitione di decto Benedetto, decti modi e nomi, il decto Messer Ufficiale, sedente ut supra, veduta decta petitione etc., per vigore di suo officio etc., commisse etc. al Rena, messo di // decta Corte e di qualunche altro e di tutto che richiede, i decti heredi, heredità e possessori di beni di decto Lorenzo, a vedere la decta petitione e dimanda di ragione, e a dir contro, alias etc.
48. Mercanzia 1445: Atti in Cause Ordinarie, cc. 113v-114r 18 giugno 1466 Die 18 iunii [1466] 122
Dinanzi a voi, Messer Ufficiale e Corte, ‘spone e dice Domenicho di Gualberto, calzolaio, che Benedetto d’Antonio, maestro d’abacho, fu ed è suo vero debitore di lire [3], s. 18 piccioli per mercantia di bottega sua, a llui venduta e data, come di tutto appare al libro e quaderno ricordanze di decto actore, segnato D, c. 82. Et più volte richiesto, à cessato pagare contro ragione. Et però decto Domenicho dimanda che vi piaccia per vostra sententia condampnare decto Benedecto a dare e pagare a esso actore la decta quantità di £. 3, s. 18, e dimanda le spese [...]. Et produsse decto libro di che di sopra si fa mentione. Ad petitione del decto Domenicho il decto Messer Ufficiale sedente come di sopra, // veduto la decta dimanda e produtione di libro, commisse a Liena, messo di decta Corte [...], detto Benedetto a vedere la detta dimanda e produzione di libro [...]. Ad petitione del decto actore, Lliena, messo, rapportò al detto Ufficiale e Corte essere ito e avere richiesto decto Benedetto in persona a vedere la decta petitione e petitione di libro e a dare conto [...].
49. Mercanzia 11794: Depositi di denari, c. 210v 13 febbraio e 6 marzo 1467 MCCCCLXVI243 Lorenzo di Antonio di Cristofano, tessitore di drappi e Nicholò di Giovanni Davanzati depositarono a dì 13 di febbraio f. dieci perché si diano liberamente a Tomaso d’Agnolo Chorbinelli, per resto di f. 60 di sugiello, e quali sono per vigore di una scritta privata, fatta sotto dì 10 di dicembre 1465. A dì sei di marzo vene Tomaso Corbinegli sopradetto e licenziò detto deposito perché dise era pagato per altra via da’ sopradetti.
50. Mercanzia 1470: Atti in Cause Ordinarie, c. 106r 13 settembre 1471 Die 13 septembris 1471 Dinanzi a voi, Messer Ufficiale e Corte, ‘spone e dice Piero di 243 Qui ed in seguito, le date così riportate si trovano, nella carta contenente il documento, in alto al centro.
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Matteo ghalighaio Fioralisi che Maxo di Gratia del Popolo di Stia di Casentino e Benedecto di [ ] vocato del’abacho, suo malevadore, e qualunque di loro in tutto, furono e sono suoi veri e legitimi debitori di lire ventisei piccioli per vigore di scripta privata, per le ragioni e cagioni che nella deta scripta si dichono [...] alla quale il decto Piero in tutto e per tutto si riferisce e quella di sotto produce, usa e allega e depone apresso a Ser Michele d’Antonio da Santa Croce, notaio fiorentino. Et domanda che il decto Maxo di Gratia e Benedecto del’abacho, e qualunque di loro, siano richiesti ad quella risquotere infra tre dì proxime futuri. Et più volte richiesti che paghino sempre ànno cessato contra l’onore, et però domanda che per voi, Messer Ufficiale e vostra Corte si pronuntii, sententii e dichiari i detti sopradetti rei e qualunque di loro essere stati et essere suoi veri e legittimi debitori della detta soprascritta quantità per le soprascritte ragioni e cagioni. Et produxe la decta scripta, e quella, di mandato di decto Ufficiale, depose apresso al decto Ser Michele d’Antonio da Santa Croce. Item produxe il decreto pasato a dì 13, decto libro c. 106. Item produxe li Statuti et Ordini del Comune di Firenze e della Corte. El quale Messer Ufficiale ut supra, pro tribunali sedente, veduta la detta petizione e domanda, comisse, impose e comandò a Nicholò di [...], messo di detta Corte, e al Passignano, messo anchora di decta Corte, et qualunque di loro, a vedere la decta petizione e domanda, produzione di ragioni, e che infra tre [dì] proximi futuri [...]. El quale Passignano predecto [...] raportò al decto Messer Ufficiale e Corte e a me notaio infrascritto, avere richiesto decto Benedecto di [ ] de l’abacho a vedere la decta petitione e domanda, produzione di ragioni. Et infra II dì proxime futuri aparischino a ricognoscere la decta soprascritta domanda [...]244.
51. Mercanzia 7223: Sentenze de’ Sei e dell’Uffiziale di Mercanzia, cc. 438r-439r 23 dicembre 1471 A petizione di decti Lorenzo d’Antonio de Cristofano [...], Niccolò [...], messo di detta Corte, raportò al detto Ufficiale avere [...] al detto Messer Paulo de Napoli per questo dì stare a udire la infrascritta sentenza [...] e disse avere fatto ale piazze e lochi publici, cioè Merchato Vechio e Novo, al Palagio del Podestà [...]. 244 Nella Mercanzia 7223, cc. 82r-82v, è riportata la relativa sentenza, in data 26 ottobre 1471. Qui non viene però citato M° Benedetto.
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Al nome di Dio amen. Noi Piero Paulo [...] de volere, consiglio de’ nobili [...], cioè Lorenzo di Neri d’Agnolo [...] Rocco [...] Capponi Bernardo di Marcho Salvetti Antonio di Tomaso Antinori Francesco Carnesecchi Benci di Nicholò Benci Sei consiglieri insieme con noi [...] detto palazzo [...] per il nostro Ufficio esercitare [...], veduta una petizione di Lorenzo del 28 novembre passato [...] per la quale domandò che detto Messer Paulo fosse per sententia condannato [...] lire centodieci, s. 19 piccioli, per parte di maggiore somma. E veduto che in detta petitione si contenta [...] veduta la stima facta di quelli cavalli [...], // pronunziamo [...] e condanniamo il detto Messer Paulo per vero debitore di decto Lorenzo di decte lire novanta [...] e dieci cavalli, come di sopra stimati lire 90, doversi e potersi dare ... per questa nostra presente sententia condenniamo a dare e pagare a esso Lorenzo dette lire 90 per resto tuto quello è stato domandato ... .
Documenti del fondo Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 52. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 47 (Convento di Santa Maria degli Angeli), c. 118s 23 novembre 1474 MCCCCLXXIIII Un podere posto nel Popolo di San Piero a Monticielli con chase da llavoratori, chaneto e vignie e più alberi fruttiferi, che da primo via, a II e III beni del nostro Munistero e a IIII beni dell’Arte de’ Merchatanti, e a V [ ]. Ed è staiora 57, panora 7, pugnora 1, braccia 8, misurato per Benedetto d’Antonio di Christofano maestro d’abaco; el quale podere è de cinque poderi teneva a fitto Tano, in questo c. 12 __________________________________ st. 57, pa. 7, pu. 1. br. 8 El detto podere s’ è alloghato oggi questo dì 23 di novembre 1474 a Simone di Cambio di Lorenzo del detto Popolo per £. centocinquanta l’anno. E quali danari àne a pagare di lire nette e dando fiorini larghi. S’ànno a contare quello saranno disegniati all’Arte del Chambio, e con 125
patto paghino la metà per tutto dì 15 d’agosto e l’altra metà per tutto ottobre. E non paghando a detti tenpi sia allora licito a’ frati allora alloghare el detto podere a cchi a lloro parrà e piacierà. El detto aluogho dee incominciare a dì primo di novembre 1475. E per lui promisse Nicholò di Francesco legnaiuolo, vocato Nicolò delle tarsie. E di tutto fu rogato Ser Guglielmo di Vanni Merini da Prato, notaio nell’Arciveschovado di Firenze, detto dì ________________ f. -, £. 150
c. 118d 26 novembre 1474 MCCCCLXXIIII Un podere chon chasa da llavoratore chon suoi edifiti e terre lavoratie e vigniate e chaneto e più ragioni, frutti, posto nel Popolo di San Piero a Monticelli a piè del Munistero vecchio e a llato al chontrascritto podere, che da primo e II via, a III beni del nostro Munistero, a IIII Lorenzo Bencioni, el quale podere e n’è uno de’ cinque poderi teneva a fitto Tano, in questo c. 12. Ed è staiora cinquantadue, panora nove e pugnora sette, braccia undici _______ _______________________________________st. 52, pa. 9, br. 11, misurato per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abacho. El detto podere s’è affittato questo dì 26 di novembre 1474 a Matteo di Domenico di Matteo, al presente lavoratore di Lorenzo Bencioni, per due anni inchominciati insino a dì primo di novembre detto 1474 per £. cientoquindici l’anno di lire nette. E volendo dare fiorini larghi s’abino a contare per quello saranno disegniati all’Arte del Chambio. E le dette £. centoquindici de’ paghare l’una metà per tutto dì 15 d’agosto, e ll’atra metà per tutto ottobre di ciaschuno anno. E per lui promisse Chresci di Marcho di Cresci, mugnaio al Ponte a Schandicci e Franchino di Giovanni di Franchino del Popolo di Sansepolcho, e Santi di Chimento Talani, Popolo di Santa Maria a Soffiano, e Vannino di Meo Cienfanelli del Popolo di Sansepolcho [...]. E in chaso non paghassino ai detti tenpi, sia licito al detto Munistero o Priore o Sindacho a lloro piacimento possino alloghare el detto podere a cchi a loro pererà e piacerà, come se fusse propio, finita detta allogagione. E non di mancho rimanendo ubrighati detti malevadori di quello restassi a paghare, che paghi loro______________________ f. -, £. 115 E di tutto roghato Ser Guglielmo de Prato nottaio in Veschovado, sotto detto dì, posto debitore del fitto in questo, c. 122. 126
53. Ibidem, c. 120s 22 gennaio-26 febbraio 1475 MCCCCLXXIIII Un podere posto nel popolo di San Piero a Monticielli cho’ chasa, corte, stalla, terreni, pozzo, palchi, con staiora [ ] di terre lavoratie, viti e chaneto e altri frutti, che da primo via, a II beni del nostro Munistero, a III beni dello Spedale di San Pagholo di Firenze, a IIII beni dello Spedale di Santa Maria Nuova, e staiora trentauno e panora dieci e pugnora uno e braccia uno a corda, misurati per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abacho e in presenza di Bernardo di Ser Cetto di Ser Agnolo da Lloro. Un podere posto in detto Popolo e al lato al sopradetto podere cho’ chasa da lavoratore e terre lavoratie e vigniate e con più ragioni, frutti e chaneti, che da primo via, a sechondo el sopradetto podere, e a III in parte beni dello Spedale di San Pagholo di Firenze e in parte beni dell’Arte del Chambio, e a IIII beni dell’Arte de’ Notai, ed è staiora cinquantadue e panora tre e pugnora cinque e braccia dieci a corda, misurato per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abaco e in presenza di Bernardo di Ser Cetto di Ser Agnolo da Lloro. Questo dì 22 di gienaio 1474 Frate Andrea di Iacopo del Lunigiana, come sindaco e prochuratore del detto Munistero, alloghò e sopradetti due poderi a Matteo e Piero frategli e figloli che furono di Domenicho di Palmieri Porcelli, lavoratori di terre, e a Francesco di Michele di Domenico Porcelli, lavoratore di terra, tutti del Popolo di Sant’Agnolo a Legnaia, per uno anno già incominciato insino a dì primo di novebre prosimo passato e da finire per tutto il mese d’ottobre 1475 prossimo ch’è da venire per £. dugiento, le quali £. dugiento debono paghare l’una metà per tutto dì [ ] del mese d’ago[sto] e l’altra metà per tutto ottobre 1475. E con patto che paghando f. larghi s’abino a contare quello saranno disegnati all’Arte del Chambio. E non paghando a detti tenpi, che allora el detto Munistero e suo prochuratore a sua volontà possi alloghare e detti poderi come a lloro parrà restando sempre hubrighati loro e loro malevadori di quello che restassino o fussino debitori, e per lloro promisse le sopradette quantità di denari Marcho di Domenico di Feo ferravecchio del Popolo di Santa Lucia d’Ognissanti fuori di Firenze, Francesco di Marcho di Domenico Porcielli del Popolo di San Piero a Monticielli, posti debitori in questo, c. 123 ____ _____________________________________________________ f. 200 Anchora detto dì el detto Frate Andrea in detto nome e modo 127
alloghò a’ sopradetti chondottori uno podere di sopra nominato, cioè quello di sopra di staia 31 e panora X e pugnora 1, braccia 1, per lire cento l’anno per anni quatro, cominciando a dì primo di novebre 1475 ____________________________________________________ £. 100 Fitto anchora parte dell’altro podere cioè dalla chasa verso el podere di sopra nominato cioè di staia trenta e panora cinque e pugnora quatro, bracia uno, che da primo via, a II beni di detto Munistero, a III beni dell’Arte del Chambio, a IIII beni di detto Munistero, cioè quella parte che si aluogha a Aghostino, delle quali staiora 30, panora 5, pugnora 4, braccia 1, e detti condottori di sopra nominati debono dare per cischuno anno, durante e detti quatro anni, £. sesantauno e s. diciasette, d. IIII l’anno, e con patto che paghino come di sopra nella prima alloghagione de’ II poderi interi, e chon quelle medesime patti e modi. E così e sopradetti Marcho di Domenicho di Feo ferravecchio e Francesco stettono mallevadori come di sopra ______________________________________ £. 61, s. 17, d. 4 E di tutto fu roghato Ser Cetto di Bernardo di Ser Cetto da Lloro. E Aghostino di Marcho di Puccio ne rimane staiora ventuno e panora dieci e pugnora uno e braccia nove, per £. cinquanta e s. II, d. otto colla casa, che da primo via, a II beni del nostro Munistero, a III beni dell’Arte del Cambio, a IIII beni dell’Arte de’ Notai. Questo 26 di febraio 1474 s’è allogato la sopradetta parte del podere al detto Aghostino per 4 anni, che debano inchominciare a dì primo di novebre 1475, per £. cinquanta, s. II, d. otto, con patto che debi paghare l’una metà per tutto aghosto e ll’altra metà per tutto ottobre per ciaschun ano durante detto aluogho, e con patto non paghando a detti tenpi, sie licito a detti frati alloghare a lloro piacimento, e con patto che dando f. larghi s’abi a contare per quello saranno disegnati all’Arte del Chambio. E uno de’ cinque poderi teneva a fitto Tano, in questo, c. 12 ______________________________ f. 50, s. 2, d. 8
54. Ibidem, c. 121s 1475 MCCCCLXXIIII Un podere chon chasa da lavoratore e con porticho, sale, camere terrene e cella e sale e palchi e altri edifici, pozzo, chapanna, con terre lavoratie, chaneti, vignie e alberi fruttiferi di più ragioni, posto nel Popolo di San Piero a Monticelli, che da primo via, a II beni dell’Arte de’ 128
Merchatanti di Firenze, a III beni del nostro Munistero, a IIII [ ]. Ed è uno de’ cinque poderi teneva a fitto Lucha di Tano. El quale podere e n’è staiora cinquantuno e panora sette, pugnora tre, braccia 6, insieme cholla chasa, cioè staiora 51, panora 7, pugnora tre, braccia 6, misurato per Benedetto d’Antonio di Cristofano maestro d’abaco e Bernardo di Ser Cetto. Tiello a fitto Aghostino di Marcho di Puccio di detto luogho per lire centoventicinque, e chosì l’à tenuto più tenpo fa; vuolsi ricondure, che poi lo lasciò Lucha non s’è ricondotto _____ f. 125 per l’anno 1475 E de’ dare per fitto di questo anno 1475 lire cinquantacinque e per una parte del podere ch’à lavorato pe ‘l pasato Salvestrino e da questo anno a lavorare abiano afittato tuto detto podere a Simone di Canbio per lire 150, come apare in questo, c. 117. Di questo mezo podere à essere debitore Augustino solo per questo anno 1475 ________________ _______________________________________ f. 55 per l’anno 1475 Posto al libro debitori e creditori segnato G245, a c. 24.
55. Ibidem, c. 131s 1478 1478 Chonto di certe spese fatte per Benedetto chome distesamente fieno scritte, cioè prima: Per la festa Al convento e per lui a Piero di Donato246 quando s’andò a batezzare la fanculla di Messer Bartolomeo Schala al libro segnato G, a c. 142 ________________________________________ f.-, £. 1, s. 2 Alla cucina per salina, c. 137 ___________________ f. -, £. -, s. 6 Al convento el dì della festa e per lui a Piero, c. 142 ____________________________________________ f.-, £.-, s. 7, d. 4 A lui detto e per [ ] a Sesto per huova £. 9, s. 5, de’ quali dette Piero f. 1 largo, e il resto Benedetto, c. 133 ________ f. -, £. 3, s. 10 Al convento e per lui a quello fece le chiave vechie £. 3, s. 13, de’ quali gli dette Piero £. 2 e il resto Benedetto, c. 142
245 246
Il “libro segnato G” è il Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200. Piero di Donato Bruni: cfr. Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200, c. 204s.
129
____________________________________________ f. -, £. 1, s. 13 Alla cucina per pesci £. 4, s. 8, de’ quali gli dette Piero £. 1, s. 8 e il resto Benedetto, c. 133 __________________________ f. -, £. 3 Al convento s. 2, dette a uno di Casentino che rechò huova, disse per paglia, c. 142 ______________________________ f. -, £. -, s. 2 Alla chanova del vino s. 14 per 2 fiaschi di vernaccia, c. 146 _____________________________________________ f. -, £. -, s. 14 Al convento £. 1, s. 8 per libre 12 di fune, c. 142 _____ f. -, £. 1, s. 8 Al convento e per lui a Piero s. 5, comprò chose, c. 157 __________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 0 Al convento detto e per lui a Messer Priore comperò chose, c. 157 __________________________________________ f. -, £. -, s. 8, d. 4 Al convento detto e per lui al fornaio di Santo Tomaso, c. 157 _____________________________________________ f. -, £. 1, s. 13 Al convento e per lui a Piero in 2 volte f. due larghi, e quali spese pel convento, c. 157 ____________________________________ f. 2 Al convento detto per perdita di f. 2 larghi, c. 157 _____ f. -, £. -, s. 6 Alla chucina e per lui a Meo247 dise per huova aveva comprato s. 10, c. 133 __________________________________________ f. -, £. 1 Al convento e per lui al Priore contanti f. 1, £. 2, s. 10 per ispese fece, c. 157 __________________________________ f. 1, £. 2, s. 10 Al convento e per lui a Piero s. 15 per comprare cose, c. 157 ______ ____________________________________________ f. -, £. -, s. 15 Conto di biada Benedetto debbe avere chome si vede per lo conto di sopra _________________________________________ f. -, £. 13, s. 6, d. 8 Al convento e per lui a quello che aveva fatto le chiave vechie, c. 157 _______________________________________________ f. -, £. 1 Al convento e per lui a Lorenzo248 calzolaio, c. 157___ f. -, £. 18, s. 15 Al convento per ispese quando andai a Puliciano, c. 157 ___ f. -, £. 1 Al convento e per lui quando fece le chiavi di nuovo, c. 157 _ f. -, £. 2 Alla cucina per 100 huova, c. 133 ______________ f. -, £. 1, s. 15 Alla infermeria per carne, c. [ ] ______________ f. -, £. - , s. 2 Al convento per perdita di 1 fiorino, c. 157 ______ f. -, £. -, s. 2 Al convento e per lui a Frate Mauro f. 1 larghi e £. 1, c. 157 _______ _______________________________________________ f. 1, £. 1 , 247 248
130
Meo di Fio, ortolano: ibidem, c. 2s. Lorenzo di Lorenzo: ibidem, c. 76s.
Al convento e per lui a Frate Mauro detto £. 13, s. 6, c. 157 _______ _____________________________________________ f. -, £. 13, s. 6 1. 52. 6. 8
c. 131d 1478 El conto della festa debbe avere f. 4 larghi, e quali s’ebbono da Simone di Matteo al libro segnato G, c. 159 ______________f. 4, E de’ avere, posto debbi dare in questo per conto di biada, c. 131 _________________________________________ f. -, £. 13, s. 6, d. 8 Benedetto de’ dare Dal convento per 25 staia d’orzo e 15 di fave a s. 12, d. 8 lo staio, c. 157 ___________________________________ f. -, £. 25, s. 6, d. 8 Dal Priore e per lui da Frate Mauro £. 1, s. 13, c. 158 ______________ ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 13 Dal convento e per lui dal Priore f. 1 largo, c. 158 ______ f. 1, Dal convento detto e per lui dal Priore s. 9, 158 _____________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 9 Dal convento e per lui da quello della biada, c. 157 ______________ _____________________________________________ f. -, £. 13, s. 6 Dal convento e per lui dal Priore per resto d’uno fiorino gli rimase quando si comprò pesci, che si spese £. 4, s. 5, d. 4, che mi rimase £. 1, s. 7, d. 8, c. 158 _____________________ f. -, £. 1, s. 7, d. 8 1. 42. 2. 4 E de’ dare, posto debbi avere in questo a c. 132 __________________ ________________________________________ f. -, £. 10, s. 4, d. 4 E de’ dare s. 10 sono per una partita nel conto di sopra che dice £. una, v’era fuora vuol dire s. 10, e però nella charta 132 dirà £. nove, s. 14, d. 4 _____________________________________ f. -, £. -, s. 10
56. Ibidem, c. 132s 3 settembre-1°ottobre 1478 1478 Benedetto debba avere chome apare in questo a c. 132 per lo conto 131
passato __________________________________ f. -, £. 9, s. 14, d. 4 Al convento e a dì primo d’ottobre a Ser Tommaso, disse per dare al Monte, c. 157 ___________________________________ f. -, £. 3 Alla cucina e a dì detto a Sexto per 150 huova e portatura, c. 133 _________________________________________________ £. 2, s. 13 Al convento e a dì detto per due libre di candele e perdita d’un fiorino, c. 157 ___________________________________ f. -, £. -, s. 7, d. 4 Al convento insino a dì [3] di settenbre s. 8 dati a Michele, c. 157 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 8 Al convento a dì detto per usura e partita per lo mio mantello, c. 157 ______________________________________ f. -, £. -, s. 8, d. 4 A Benedetto detto f. uno largo el quale paghò per me Gordano al libro segnato G, c. 142 __________________________________ f. 1 Alla cucina per 100 huova a dì 3 detto, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 15 Alla cucina a dì 4 detto per 140 huova con la recatura, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 16 Al convento a dì detto per granate, stoppa e una guaina per Meo, c. 157 _____________________________________ f.-, £. -, s. 9, d. 4 Al convento a dì 4 detto per lui a Don Piero249, disse per dare al fornaio, c. 157 _____________________________ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Alla cucina a dì detto £. 1, s. 10 e per lui a Piero, disse per paghare quel di Luca, c. 133 ____________________________ f. -, £. 1, s. 10 Al convento a dì detto £. 20, chontando £. 2, s. 15 è debitore allo conto di Frate Mauro al libro segnato G a c. 157 __________________________________________________ f. -, £. 20 Alla chucina a dì detto per una libra di salina e 2 pani bianchi, c. 133 ______________________________________ f. -, £. -, s. 3, d. 4 Al convento a dì detto per due libre di candele, c. 157 _____________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Alla cucina per 102 huova comperò Baldassarre, c. 133 ____________ ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 14 Alla infermeria per charne per due volte, a dì 9 detto, c. 149 ______ __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 8 Alla cucina per 50 huova comperò Baldassarre, c. 133 ____________ __________________________________________ f.-, £. -, s. 16, d. 8 Alla cucina a dì 10 detto per 300 huova comprò Baldassarre, c. 133 ___________________________________________________ f. -, £. 5 Al convento a dì 13 detto a Don Piero in villa, c. 157 __________ ___________________________________________________ f.-, £. 3 249
132
Don Piero, Grasso: cfr. Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200, c. 157s.
Al convento detto a dì detto quando tornai a Firenze per la via, c. 157__________________________________________ f. -, £. -, s. 8 Al convento a dì 18 detto quando andai in villa, c. 157 _____________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 7 Al convento a dì detto s. 16 per salsicie e carne detti a’ veturali arechassino in villa, c. 157 ________________________ f. -, £. -, s. 16 Al convento a dì 19 detto £. 2, s. 15, chontanti in villa, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 15 Al convento a dì 23 quando tornai per la via, c. 157 __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Al convento insino a dì 22 £. 1, s. 8, spesi in villa in huova e polli per frati, e s. 4 detti a Mafio per pipioni, in tutto, c. 157 _____________ ______________________________________________ f. -, £. 1, s. 12 Alla cucina a dì 25 detto s. 1 per huova fresche, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 1 Ala infermeria per alodole a dì detto, c. 149 __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Alla cucina per 33 huova a Sexto, c. 133 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 13
c. 132d 1°-17 ottobre 1478 1478 Benedetto de’ dare a dì primo d’ottobre f. 5 larghi, ebbe da Gordano di Iacopo rigattiere, contanti un fiorino pagò per lui, c. 126 _________________________________________________ f. 5 larghi E de’ dare a dì 17 detto f. due larghi, ebbe da Fio250 chuocho, de’ quali ne diè f. uno largo a Pagholo muratore, resta a lui f. 1 che si chambiò, c. 159 ________________________________ f. 0, £. 5, s. 13 E de’ dare insino a dì 3 d’ottobre f. 4 larghi, ebbe da’ frati di Santa Maria Novella, e quali gli dettono per la Compagnia delle Laude di San Piero Martire, c. [ ] ____________________________ f. -, £. 23 5. 28. 13 1 ______________ 4 250
Fio di Luca: ibidem, c. 159s.
133
E de’ dare, posto debbi avere in questo a c. 133 ___ f. -, £. 9, s. 19, d. 8 5. 38. 12. 8
57. Ibidem, c. 133s 3-30 novembre 1478 1478 Benedetto debba avere, come apare in questo a c. 132, per lo conto passato _________________________________ f. -, £. 9, s. 19, d. 8 Alla canova del vino a dì 3 di novembre [1478] per uno fiascho di vincotto, c. 140 ______________________________ f. -, £. -, s. 6 Al convento a dì detto per uno cavallo per Monsignore, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 16 Al convento a dì detto e per lui al veturale di Benedecto scharpellino, c. 157 ______________________________________ f. -, £. 2, Alla cucina a dì otto detto per lasagne, c. 133_____ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Al convento a dì detto e per lui a Piero che andò al’ermo, c. 157 ___________________________________________________ f. -, £. 1 Al convento a dì detto d. 4 a uno rechò stivali, c. 157 ___________________________________________ f.-, £. -, s. -, d. 4 Alla infermeria per carne a dì detto, c. 149 __________________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 10, d. 8 Alla cucina a dì detto per huova, c. 133 _____ f. -, £.-, s. 4, d. 8 Al convento a dì detto per 2 libre di candele, c. 157 ___________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 4, d. 8 Alla cucina251 a dì 12 per charne, c. 133 ___ f. -, £. -, s. 8, d. 8 Alla cucina a dì 13 per 100 huova, c. 133 _______ f. -, £. 1, s. 16 A lui decto per chascio e portatura a dì detto, c. 133 ___________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Al’orto a dì detto e per lui a Michele, e quali dette [...], c. 146 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 13 Al convento a dì 14 detto e per lui ad Agnolo, presta cavagli, c. 157 _________________________________________________ f. 1, Alla cucina a dì 16 detto in huova e cascio, c. 133________________ _____________________________________________ f. -, £. 3, s. 2 A Piero Porcelli a dì detto s. 11 e per lui a Sandro messo, c. 109 _____________________________________________ f. -, £. -, s. 11 251
134
In margine a sinistra: “Alla infermeria”.
Al convento a dì 17 detto £. 2, s. 10 e per lui a uno presta cavagli, sta al lato a’ Rondinegli, c. 157 ___________________ f. -, £. 2, s. 10 A Mona Checca a dì detto f. 10 larghi, de’ quali n’ebbi f. 9 dal Priore e f. 1 detti de’ mia, in somma di f. 10 che n’ò ascrivere a me f. 1, c. 105 _______________________________________________ f. 1, £. Alla canova del vino a dì detto s. 5 per razese, c. 146 _____________ _______________________________________________ f. - £. -, s. 5 Alla infermeria a dì 18 detto per charne, c. 149 _________________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 8 A lei detto a dì 19 detto per caprone in più volte, c. 133 ___________ ______________________________________________ f. -, £. -, s. 14 Alla cucina a dì detto per huova e portatura, c. 133 ______________ ______________________________________________ f. -, £. 2, s. 3 Al convento a dì detto per due quaderni di fogli, c. 157 ____________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 8 Alla cucina a dì 20 detto s. 7 per lei a Piero, disse per pesce, c. 133 __________________________________________ f. -, £. -, s. 7 Alla canova del vino a dì detto per trebiano, c. 146 _______________ __________________________________________ f.- , £. -, s. 6, d. 8 Alla cucina a dì detto per huova e portatura, c. 133 ____f. -, £. 2 A ghabella d’olio a dì 21 detto s. 10, venne da Pozolaticho, c. [ ] ______________________________________________ f. -, £. -, s. 10 Alla infermeria a dì detto, portò Bartolomeo per charne, c. [...] _________________________________________ f. -, £. -, s. 1, d. 8 Al convento a dì detto e per lui al sarto per lavoro fatto al Priore, c. 157 ________________________________________ f. -, £. 2, s. 10 Al convento a dì 21 detto, portò Frate Antonio, disse gli voleva il Priore, c. 157 _______________________________________ f. -, £. 1 Alla cucina a dì 23 detto per huova, c. 133 __________ f. -, £. 2 Al’orto a dì detto e per lui a Michele disse per aconciare rastrelli, c. 146 ________________________________________ f. -, £. -, s. 5 A ghabella di fichi a dì 25 detto, portò Bartolomeo, c. [ ] ___________ _______________________________________________ f. -, £. -, s. 18 A Mona Checha f. 1 largo mi dette il Priore insino a dì 24 detto, c. 105 ________________________________________________ f. Alla infermeria per charne a dì 25, c. 139 ________ f. -, £. -, s. 10 Alla cucina a dì 27 per huova, c. 133 ___________ f. -, £. -, s. 10 Al convento a dì detto per candele _________ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Al convento a dì 28 detto per rischotere la cintola della Pippa, c. 157 ____________________________________ f. -, £. 18, s. 11, d. 8 Alla cucina a dì detto s. 14 in tonnina, c. 157 ____ f. -, £. -, s. 14 A ghabella di vino venuta da Uzano £. 7, s. 5, cioè per barili 14 135
1/2 rechò [ ], c.- ______________________________ f. -, £. 7, s. 5 A Mona Checha a dì 30 detto s. 8 per lui a Nicholò suo figliuolo per legne, c. 137 _______________________________ f. -, £. -, s. 8
c. 133d 13-22 novembre 1478 1478 Benedetto de’ dare a dì 13 di novembre £. 1, s. 10, ebbe da Francesco charradore, c. 116 _____________________ f. -, £. 1, s. 10 Da Alexo rigattiere a dì 14 detto f. 2 larghi e per lui da Braccio suo compagno, c. 127 _________________________________ f. 2, Da Ser Giovanbatista d’Albizo a dì detto f. 1 largo e per lui a Francesco suo fratello, c. 160 _____________________ f. -, £. 5, s. 13 Da Maestro Antonio barbiere a dì detto £. 6, c. 4 _____ f. -, £. 6 Da Simone di Matteo a dì detto f. 2 larghi, c. 159 _________________ _____________________________________________ f. -, £. 11, s. 6 Da Piero Porcelli a dì 22 detto f. 2 larghi, c. [ ] _________________ ______________________________________________ f. -, £. 11, s. 6 Da Francesco ceraiuolo a dì detto f. 2 larghi de’ quali v’è £. 4, s. 10 dati a Piero, et £. 3, s. 3, d. 4, ebbe Bartolomeo, a me resta, c. 161 _________________________________________ f. -, £. -, s. 12, d. 8 Da Simone di Matteo a dì detto f. 4 larghi in grossoni a £. 5, s. 11 per fiorino, c. 159 __________________________ f. -, £. 22, s. 4 E de’ dare £. 6, s. 16, d. 4, posto debbi avere in questa, c. 134 _________________________________________ f. -,£. 6, s. 16, d. 4
58. Ibidem, c. 134s 3-12 dicembre 1478 1478 Benedetto de’ dare per questi denari avuti, cioè: Da quello della porta, cioè da Francesco caradore [...] contanti, c. 116 _________________________________________ f. -, £. 1, s. 10 Da Giordano a dì 3 di dicembre £. una, s. dieci contanti in sull’uscio suo, c. 126 ____________________________________ f. -, £. 1, s. 10 Da Rinaldo a dì 12 detto £. tre, rechò contanti, c. 127 _f. -, £. 3 Da Michele linaiuolo £. 4, s. 16 chontanti per resto di £. 20, c. 134 _____________________________________________ f. -, £. 4, s. 16 136
Dalla Compagnia del Bighallo f. 9 larghi e £. tre, s. 7, d. -, c. 161___________________________________________ f. 9, £. 3, s. 7 Da Francesco ceraiuolo f. uno largho per una immagine, c. 161 ________________________________________________ f. ...............
c. 134d 3-27 dicembre 1478 1478 Benedetto de’ avere come apare in questo a c. 124 _______________ ________________________________________ f. -, £. 6, s. 16, d. 4 Al chonvento a dì 3 di dicembre s. 6, dettonsi a uno arechò paglia, c. 157 _________________________________________ f. -, £. -, s. 6 A ghabella di vino a dì detto £. una, s. 10 per barili 3 vennono da Uzano, portò Nofri, c. 150 _______________________ f. -, £. 1, s. 10 Alla cucina a dì detto e per lei al pizichagnolo del Ponte Vecchio f. 2 larghi, e quali ebbi dal Priore, c. 133 _________________ f. ....... Alla infermeria a dì 3 detto per charne, c. 149 ____ f. -, £. -, s. 8 Al convento di Santa Croce f. 2 1/2 larghi e [ ] ______f. ................. Alla cucina e per lei a Bartolino pizicagnolo f. 1 largo, ebbi dal Priore _________________________________________ f. ................. Al convento per più chose avute cioè 3 fiaschi d’olio e 2 libre di chandele e 3 libre di salina e huova, in tutto, a dì 5 detto, c. 157 __________________________________________ f. -, £. 2, s. 3, d. 4 Alla cucina a dì 7 detto per huova, c. 133 __________________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 14, d. 4 Al’orto a dì 8 detto per lui a Michele, disse per ferri, c. 146 _______________________________________________ f. -, £. -, s. 9 Antonio di Iacopo Matto vinattiere in Vinegia a dì detto £. una, s. 6, d. 8 per lui a Ser Luigi Ghambini per richiamo alla Mercatantia, c. 119 ____________________________________ f. -, £. 1, s. 6, d. 8 A ghabella di più cose e per loro al figliuolo di Michele di Mona Diana per ghabella di staia 4 1/2 di fichi, che n’ebbe dal Priore s. 7, d. 8, e da me s. 6, d. 4, c. 147 _______________ f. -, £. -, s. 6, d. 4 Al chonvento a dì 10 detto per una libra di chandele, c. 157 __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Alla cucina a dì 11 detto per uno ochio di tonnino s. 5, c. 133 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 5 A Nofri a dì detto f. 1 largho e £. 5, e quali denari ebbi dal Priore, c. [ ] ___________________________________________ f. 1, £. 5 Al convento a dì 12 detto s. 15 a Ser Piero dal Repole, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 15 137
Al convento a dì 14 detto s. 6, d. 8 e per lui a Piero spese in più cose, c. 157 _______________________________ f. -, £. -, s. 6, d. 8 Alla cucina a dì 16 detto s. 4, d. 4 per una tincha, c. 133 __________________________________________ f. -, £. -, s. 4, d. 4 Antonio di Iacopo matto s. 18, d. 8 per una sententia s’ebbe contro a detto Antonio alla Merchatantia, c. 119 _____ f. -, £. -, s. 18, d. 8 A Michele252 a dì 22 detto s. 5, d. 4, c. 153 _______ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Alla cucina a dì 24 detto per salina, c. 133 ___________ f. -, £. -, s. 4 Al convento a dì detto per fune tolse Don Tomaso, c. 157 ________________________________________________ f. -, £. 1, s. 5 Al convento insino a dì 23 detto £. 3, s. 14 e per lui a Maso di Piero dell’Antella per vettura d’uno cavallo, c. 157 ___________ f. -, £. 3, s. 14 Al convento a dì 24 detto s. 7 e per lui a Piero per più cose comprò, c. 157 __________________________________________ f. -, £.- s. 7 Al convento dì detto per candele s. 4, d. 8, c. 157 _________________ _________________________________________ f. -, £. -, s. 4, d. 8 A Nofri a dì detto e per lui ad Agnolo di Mone da Marti, c. [ ] ____________________________________________________ f. 2, Al convento a dì detto e per lui Antonio da Ghagliano f. 2 larghi per parte di cera biancha, tolse el priore, c. 157 _____________ f. 2 Alla cucina a dì detto per huova e cascio e portatura, cioè £. 5, s. 11, d. - in huova e £. 3, s. 17, d. 8 in cascio e d. 8 per portatura, in tutto, c. 133 _______________________________ f. -, £. 9, s. 9, d. 4 A Giovanni Borghini a dì detto f. 3 larghi ebbi dal Priore, c. [ ] _____________________________________________________ f. ........ Al chonvento a dì 25 detto e per lui al Priore £. una per dare la mancia a Michele e a Govanni, c. 157 ____________ f. -, £. 1, A Michele a dì 27 detto s. 8, c. 153 ____________ f. -, £. -, s. 8 A ghabella di biada s. 5, d. 4, cioè panicho, arechò i’ fratello di Salvestrino, c. [ ] ________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 Al convento a dì detto per inchiostro, c. 157 _____ f. -, £. -, s. 1 Al convento e per lui al notaio di Porta Santa Maria per trovare un contratto, c. 157 _____________________________ f. -, £. -, s. 3 A ghabella di farina £. una, s. 16 de’ quali ne pagai io £. una e il resto il Priore _____________________________________ f. -, £. 1 A Charlo insino a dì 23 detto f. uno largho e per lui a Marchionne sensale per panno gl’aveva venduto ________________________ f. 1 Benedetto debba avere posto debbi dare in questo a c. 35 ________ _________________________________________ f. -, £. 1, s. 16, d. 8 252
138
Michele di Simone de’ Moretti, ortolano: Cfr. Corpor. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 200, c.153d.
59. Ibidem, c. 135s 9-19 gennaio 1479 1478 Benedetto de’ dare come apare in questo a c. 34__ f. -, £. 1, s. 16, d. 8 E de’ dare a dì 9 di genaio f. 8 larghi, £. 4, s. 12 e quali ebbi dalla Ghabella delle Porte e per loro da Francesco Baroncini, c. 128 ______________________________________________ f. 8, £. 4, s. 12 E de’ dare a dì 12 detto £. cinque, s. 18 in fiorino uno largo e s. quatro, ebbe da Rinaldo di Giovanni della Magna, c. 127 ______________________________________________ f. 1, £. -, s. 4 E de’ dare a dì 19 di gennaio £. 4 ebbe da Bartolomeo della Magna in questo a c. 127 ________________________________ f. -, £. 4, f. 9 larghi, £. 10. 12. 8
c. 135d 3 gennaio-27 aprile 1479 1478 Benedetto de’ avere a dì 6 di genaio per denari paghati e prima: A Marchione sensale a dì 3 di genaio per senseria, c. 157 _____________________________________________ f. -, £. 4, s. 10 Alla sacrestia a dì 6 di genaio s. 2, d. 8 per ostie _________________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 8 Alla infermeria a dì 7 detto per carne, c. 149 _______ f. -, £. -, s. 2, d. 4 Alla cucina a dì 9 detto per huova, c. 133 ______ f. -, £. 1, s. 12, d. 8 A lei detto a dì detto per cascio, c. 133 __________ f. -, £. 1, s. 10 Al convento a dì detto e per lui a [ ] Bardani253 per cera cioè per resto di cera si tolse già è più tempo da llui, c. 157 ______________________________________________ f. -, £. 3, s. 10 Al convento a dì detto e per lui al notaio di Ghabella s. 12 per una libra di chandele, c. 157 _________________________ f. -, £. -, s. 12 Al convento a dì detto per libre 3 di candele portò Piero, c. 152 ______________________________________________ f. -, £. -, s. 7 A Chimenti da Monte Loro a dì 10 detto f. otto larghi, e quali lasciai al Priore gliele mandassi quando andai in Val di Pesa, c. 90 253
Francesco Bardani, ceraiolo: ibidem, c. 157d.
139
______________________________________________________ f. 8 A Michele ortolano a dì 12 detto s. 7, disse aveva achatati da Don Mauro quando ebbe e denari del marroni a l’avanzo d’un fiorino che lo spese in chalze, c. 153 ________________________ f. -, £. -, s. 7 Al convento a dì detto £. una, s. 7 sono per più orciuoli e stoviglie chonprò Piero, c. 157 ___________________________ f. -, £. 1, s. 7 Alla cucina £. due, s. 11 oltra a f. uno largho, e quali denari sono per pesci si tolsono a dì 15 di genaio per Frate Mauro; et il fiorino paghò Charlo di Donato, c. 133 __________________ f. -, £. 2, s. 11 A Michele a dì 18 detto s. 5 chontanti, c. 153_____ f. -, £. -, s. 5 A Michele a dì 29 detto s. 5, disse per achonciare una marra, ebbe chontanti ______________________________________ f. -, £. -, s. 5 A tochatori a dì [ ] di genaio s. 10 per tochare Antonio vinattiere, c. [ ] ________________________________________ f. -, £. -, s. 10 A Michele a dì [ ] di genaio s. 5 per uno pennato, c. [ ] _________ _______________________________________________ f. -, £.-, s. 5 A Piero a dì 7 di genaio per 8 huova mandò per esse Piero a casa c. [ ] ___________________________________ f. -, £. -, s. 2, d. 8 A Michele a dì 12 detto per agli, c. [ ] _________ f. -, £. -, s. 4 Alla cucina a dì detto per pescie, disse Piero gli dessi, portò uno [...], c. [ ] ____________________________________ f. -, £. -, s. 8 A Michele a dì 14 detto per dare al Padre, c. 153 ______ f. -, £. -, s. 10 A Michele a dì 2 d’aprile s. 2 contanti, c. 153 ____ f. -, £. -, s. 2 Alla infermeria s. 2 per carne a dì 17 detto, c. [ ]_____ f. -, £. -, s. 2 Al convento £. una, s. 2 e per lui a [ ] Buoni per più cose si conprorono e lui prestò e denari __________________ f. -, £. 1, s. 2 Alla cucina s. 1, d. 4 in due volte a uno arechò cascio _____________ __________________________________________ f. -, £. -, s. 1, d. 4 A Michele nostro ortolano a dì 27 d’aprile £. una, e quali ebbe quando andò a San Godenzo, disse per uno paio di scarpette, c. 153 ___________________________________________________ f. -, £. 1 Al chonvento e per lui a Don Bernardino e per lui al notaio al Veschovado per richiamo di Marino, a dì 27, s. dodici __________ f. -, £. - s, 12
60. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 48 (Convento di Santa Maria degli Angeli), c. 46d 1480 1480 Luca di Iacopo Migliorelli nostro pigionale nella Via de’ Fibbiai 140
nella casa dove stava già Benedetto dell’abaco de’ avere £. diciannove, s. X, posto debbi dare al libro nostro segnato G, c. 208 _______________ _________________________________________ f. -, £.19, s.10, d. -
c. 46s 30 novembre 1479-31 maggio 1481 Luca di Iacopo Migliorelli de’ dare a dì ultimo di maggio f. sei larghi, sono per la pigione finita da dì ultimo di novembre 1479 per insino a detto dì __________________________________ f. 6, £. - ... E de’ dare a dì ultimo di maggio 1481 f. dodici larghi, sono per la pigione d’uno anno finito da dì ultimo di maggio 1480 per insino a detto dì ________________________________________ f. 12, £. -
61. Ibidem, c. 49s 13 dicembre 1478 1480 Benedetto d’Antonio dell’abaco, per l’adrieto nostro factore, de’ dare f. centocinquanzette larghi e £. ducentocinquantuno, s. XI, d. II, posto li debbi avere al libro nostro segnato G, c. 212, per resto d’una sua ragione __________________________ f. 157, £. 251, s. 11, d. 2 E de’ dare, per insino a dì XIII di dicembre 1478, f. uno largo e £. 1, s. 4, ebbe per noi da Francesco di Nicolò di Panuntio, posto li debbi avere al libro nero segnato G, a c. 14 _____ f. 1, £. 1, s. 4, d.-
62. Ibidem, c. 52s 27 marzo 1480-27 febbraio 1481 1480 Il Piato contro a’ beni e possessori de’ beni di Benedetto, deono dare a dì XXVII di marzo 1480 £. ventinove, s. XV, come appare a uscita segnata H, c. 64 ___________________ f. -, £. 29, s. 15, d. E a dì VI d’aprile s. V, d. IIII, portò Marchionne per richieste, come appare a uscita segnata H, c. 64 ______________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 E a dì XV detto £. una, s. VIII, d. VIII per la probatione del libro e richieste, come appare a uscita segnata H, c. 64 _____ f. -, £. 1, s. 8, d. 8 141
E a dì XVIIII detto s. V, d. IIII per richieste, come appare a uscita segnata H, c. 64 ___________________________ f. -. £. -, s. 5, d. 4 E a dì XXVI detto s. X, d. IIII per la copia della sententia e richieste, come appare a uscita segnata H, c. 65 ___________ f. -, £. -, s. 10, d. 4 E a dì XXIIII di maggio £. quatro, s. VIIII, portò Marchionne di Fhilippo, cioè £. una, s. III per la cassa e £. tre, s. VI per dare a Ser Giovanni Migliorelli per la copia della sententia, come appare in uscita segnata H, c. 65 ___________________________ f. -, £. 4, s. 9, d. E a dì XV di luglo s. XVI, sono per una lettera dagli Otto al Vicario di San Giovanni per examinare testimoni de’ poderi di Valdarno, come appare a uscita segnata H, c. 67 _____________ f. -, £. -, s. 16, d. E a dì XXVII detto £. due, demo a Piero di Donato per andare in Valdarno per fare examinare e lavoratori de’ poderi di Benedetto, come appare a uscita segnato H, c. 68 _____________ f. -, £. 2, s. E a dì XXVIII d’agosto £. una, demo a Bono di Nardo messo per andare a pigliare la tenuta di detti beni in Valdarno, come appare a uscita segnata H, c. 68 __________________________ f. -, £. 1, s. E a dì XVIII d’ottobre £. una e per lui a Bono di Marco, messo al Palagio del Podestà, per fare il comandamento dello sgombero, come appare a uscita segnata H, a c. 71 ___________ f. -, £. 1, s. E a dì III di dicembre £. una, s. IIII, portò [ ] messo per cedole, portò a’ detti beni come appare a uscita segnata H, a c. 73 ________________________________________ f. -, £,. 1, s. 4, d. E a dì XVIII detto £. una, s. VII, portò Piero di Donato per pagare alla Torre e a’ Banditori, come appare a uscita segnata H, a c. 73 _________________________________________ f. -, £. 1, s. 7, d. E a dì XXVII di febraio s. VI, portò Piero detto, disse per richiesta, come appare a uscita segnata H, a c. 77 _______ f. -, £. -, s. 6, d. -
63. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 65 (Convento di Santa Maria degli Angeli), cc. 126r-126v Nota delle chase parteneano al Monisterio di Santa Maria degli Angioli ... // ... + Una chasa posta nella Via de’ Fibbiai, habitala Paolo di Santi, laquale chasa s’era venduta a Chavalino254 , tavolacino de’ Signiori, f.
254 Si tratta di Lorenzo di Piero d’Andrea detto Cavallino: la casa gli fu venduta il 26 febbraio 1485. Cfr. ASF, Corp. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 49, c. 7v.
142
60 larghi. E perché detto Paolo vendé una casa in detta via al [...] f. 280 a tempo d’anni 6, riservandosi il dominio di detta casa, non avendo di poi hoservato detto paghamento, il detto Paolo ci sta in detta casa per detta chagione; e nelle chase comprate del detto v’entra in tenuta la moglie del fratello di detto Paolo per la dota di f. 210 ... . La chasa che di sopra segnata + si comprò nel modo detto di sopra f. 280, a tempo d’anni 6. Et poiché in detto tempo morì Lodovicho, fratello di detto Paolo, la donna sua è entrata, e auta la sententia che per la sua dote di f. 210 entri in due chase sul chalto dela Via de’ Fibbiai, i’ nelle qua’ chase, in una è Chavalino tavolacino, e nel’altra dove già stete Benedetto dell’abacho è Giovanni cieraiuolo, el quale stava prima a pigione nella chasa in sul chato de’ Servi ...255.
64. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 96 (Convento di Santa Maria degli Angeli), c. 96r 28 febbraio 1479 Al nome di Dio a dì XXVIII di febraio 1478 Sia nota a cciascuna persona come questo dì ventotto di febraio 1478 sopradetto el venerabile religioso Don Lionardo di Donato di Lionardo Bruni, Priore e sindaco del nostro Monasterio, considerato che el sopradetto Monasterio à debito con più persone mediante le imposte e le guerre, per miglior partito vendé e dette e trasferì e concedé a Martino di Giovani Dannono, d’età d’anni quarantazei, di Lombardia, presente e comperante per sé e Mona Margherita sua donna d’età d’anni quaranta, e vita di loro due e di chi di loro sopraviverà, una casa posta nel Popolo di San Michele Visdomini di Firenze e che da primo via, a II e III beni del nostro Monasterio, a IIII l’heredi di Giovanni da Gaviola, o più veri confini che veri si trovassino. E così i sopradetti Martino e Mona Margherita sono tenuti a mantenere la casa e ogni acconcime o miglioramento vi facessino dopo la vita loro non possi mai essere adomandato. E la sopradetta casa vendemo loro f. cinquanta di sugello messi a entrata segnato G, c. 5, dal Convento nostro. E così il sopradetto Don Lionardo Priore promette a’ sopradetti Martino e Mona Margherita la difesa di detta
255 Tale documento 63, non datato, è sicuramente posteriore al 1495, in quanto nella Decima Repubblicana di quell’anno Giovanni di Giuliano di Iacopo Benintendi ha ancora in affitto una bottega di ceraiolo dai frati degli Angeli, situata sull’angolo di Via dei Servi: ASF, Decima Repub. 10, c. 353v.
143
casa se per alcuno tempo fussi loro molestata a ogni spesa del nostro Monasterio. E così i sopradetti non possono mai per alcuno tempo vendere o impegnare o apigionare la detta casa sanza licentia del Priore del nostro Monasterio che per tempi saranno. E di detta compera ànno una scripta in bambagia di mano di Benedetto nostro factore, soscripta di mano del sopradetto Don Lionardo Priore e d’Arrigo di Bernardo Tornaquinci e di Giuliano di Piero di Philippo della Fioraia. Et perché il sopradetto Martino di Giovanni e Mona Margherita ànno speso di poi vendemo la soprascritta casa circa di £. centocinquanta o più e così ànno animo di spendervi, vogliamo e così comendiamo a chi verrà dopo di noi che dopo la vita loro sia pregato i’ Dio per l’anime loro e che sieno partecipi de’ beni e dell’orationi si fanno continuamente in detto Monasterio come nostri benefattori a’ quali a Dio piaccia alla loro fine fare loro verace perdono e di condurgli alla gloria di vita etterna.
65. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese 86, 200 (Convento di Santa Maria degli Angeli)256, c. 5d 1475 MCCCCLXXV Podere di Pozolaticho de’ avere ... El podere di rinpetto de’ avere £. cento ottanta due, s. tredici, sono per braccia 600 di divelto chol muro a s. cinque il braccio, il quale divelto si fecie fare in su detto podere, e opere quarantacinque misse Antonio Ma[r]tini e Fantapié, e opere quindici messe da più persone, e per braccia cinquantacinque di fossa posta e fognata a formelle cinque di puntoni, monta in tutto, posto debbi dare in questo, c. 131 __________________________________________ f. -, £. 182, s. 13 f. 182, £. 6, s. 0, d. 4 che tanti si sono paghati, e ‘l resto n’è creditore Benedetto in questo perché tanti n’achordò e fattore di dette opere, c. [ ].
256 Rileviamo che nell’inventario dell’ASF questa filza viene erroneamente registrata tra quelle del Convento di Sant’ Agata del Monte San Savino, che fu annesso al Convento di Santa Maria degli Angeli.
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66. Ibidem, c. 7s 17 gennaio 1476 MCCCCLXXV Spese di casa per mangiare e altre spese minute cotidiane .... E deono dare a dì 17 [di gennaio] detto £. sei, s. sette per cacio comperò Benedetto, a uscita segnata EE, c. 159 _____ f. -, £. 6, s. 7
67. Ibidem, c. 9s 8 aprile-9 novembre 1476 MCCCCLXXVI Benedetto chontraschritto de’ dare a dì 6 di luglo f. uno larghi, ebbe di me contanti per parte di sua ragione, come appare a uscita segnato EE, a c. [ ] __________________________________ f. 1, s. 4, d. E de’ dare a ddì 8 d’aprile 1476 fiorini quatro, soldi uno, denari undici a oro di sugello per una promessa fecie per noi Giovanni di Bonaiuto Lorini nostro pigionale, come apare al libro bianco segnato DD, c. 109 ____________________________ f. 4, s. 1, d. 11 a oro E de’ dare a dì 17 di maggio £. una, ebbe lui contanti, a uscita segnato EE, c. 167 ________________________________ f. -, £, 1, s.E de’ dare a dì primo di giugno £. una , s. dieci, portò lui contanti, a uscita segnato EE, c. 169 ______________________ f. 1, £. 1, s. E de’ dare a dì 12 detto £. due, s. dodici, d. otto, ebbe da Giordano nostro pigionale in somma di £. sei, a uscita segnato EE, c. 170_ ________________________________________ f. -, £, 2, s. 12, d. 8 E de’ dare a dì 10 di luglio fiorini sei larghi, ebbe lui chontanti a uscita segnato EE, c. 170 ________________________ f. 7, s. 4 a oro E de’ dare a dì 7 di settembre f. uno larghi, ebbe d’ Antonio del Maza, posto Antonio avere, c. 25 __________________ f. 1, s. 4 a oro E de’ dare a dì 6 d’ottobre f. uno largho ebbe d’Antonio detto in questo a c. 25 _____________________________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 9 di novembre f. uno largho ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi dato in questo a c. 25 ___ f. 1, s. 4 a oro E de’ dare a dì 11 d’ottobre £. tre, s. 10 di piccioli, sono per tanti 145
fatti buoni a Rinaldo257 tessitore di pannilini, posto Rinaldo habbi dato in questo a c. 56 ________________________ f. -, £. 3, s. 10 a oro Posto la chasa debbi avere _______ f. 17 larghi et £. 4, s. 2, d. 8 in questo a c. 132
c. 9d 1476 MCCCCLXXVI Benedetto d’Antonio chontro ascritto de’ avere f. quindici, s. - a oro, posto debbi dare in questo a c. 72 ___________ f. 15, s. 0 a oro E de’ avere £. venti paghate a più operai per lo podere da Pozolaticho, in questo apare a c. 5 dalla somma di f. 3 larghi e £. 61 insino in £. 182, s. 13 _______________________________ f. 1, £. 20
68. Ibidem, c. 25d 4 maggio 1476-30 aprile 1477 MCCCCLXXVI Antonio del Maza orafo chontraschritto dee avere ... E de’ avere a ddì 4 di maggio f. uno largho, recò Benedetto a entrata EE, c. 44 ________________________________________ f. 1, s. 4 ... E de’ avere a ddì 21 di gugno f. uno largho, recò Benedetto a entrata EE, c. 46 _________________________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a ddì 7 d’agosto f. due larghi, recò Benedetto a entrata EE, c. 47 _________________________________________ f. 2, s. 8 E de’ avere a ddì 7 di settenbre f. uno largho fece buono a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 9 _______________ f. 1, s. 4 E de’ avere a ddì 16 d’ottobre f. uno largho fattogli buono da Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 9 __________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 9 di novenbre f. uno largho el quale dette a Benedetto, posto Benedetto nostro fattore debbi dare in questo a c. 9 ______________________________________________ f. 1, s. 4 ...
257
146
Rinaldo di Giovanni di Rinaldo della Magna (cc. 56, 127).
E de’ avere a dì 15 di dicenbre f. uno largho ebbe Benedetto, posto ebbi dare in questo a c. 9 ____________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 8 di genaio f. uno largho ebbe Benedetto, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 78 ______________ f. 1, s. 4 E de’ avere dì 8 di febraio f. uno largho ebbe Benedetto, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 79 ______________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 18 di marzo f. uno largho ebbe Benedetto, posto debbi dare in questo a c. 79 __________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 26 d’aprile f. uno largho, ebbe Benedetto, posto debbi dare in questo a c. 79 __________________________ f. 1, s. 4 E de’ avere a dì 30 detto f. uno largho, ebbe Benedetto fattore, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 79 _________ f. 1, s. 4
69. Ibidem, c. 29s 15 luglio e 5 ottobre 1476 MCCCCLXXVI Nicholò contraschritto dee dare a dì 15 di luglio f. due larghi, ebbe in due volte, portò lui chontanti Benedetto a uscita EE, c. 171 ________________________________________________ f. 2 larghi E deono dare a dì 5 d’ottobre f. due larghi, portò Benedetto per resto di detta ragione ________________________________ f. 2 larghi
c. 29d 15 luglio 1476 MCCCCLXXVI Nicholò, treccone in Merchato Vechio, dee avere insino a dì 15 di luglio £. diciassette, s. cinque per huova, zuche e bietole, tolse da llui Benedetto pel convento insino detto dì d’accordo co’ lui ______________________________________________ f. -, £. 17, s. 5
70. Ibidem, c. 32d 10-13 luglio 1476 MCCCCLXXVI Bartolomeo Bartolini e chompagni, banchiere, de’ avere ... 147
E de’ avere a dì 10 [di luglio] detto f. undici larghi rechò Benedetto nostro fattore a entrata, c. 49 _________________________ f. 11 ... E de’ avere a dì [13] detto f. sei larghi rechò Benedetto a entrata segnata EE a c. 49 _____________________________________ f. 6
71. Ibidem, c. 42d 3 settembre 1478 1476 Maestro Antonio258 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì III di septembre 1478 ... E de’ avere £. nove per noi a Benedetto nostro factore, cioè £. cinque per uno paio di vangaiuole e £. quatro dati in duo volte a Mona Pippa, donna del detto Benedetto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 _______________________________________________ f. -, £. 9, s. -
72. Ibidem, c. 43d 24 settembre 1478 1476 Matteo di Pagholo Martini de’ avere ... E de’ avere, per insino dì XXIIII di septembre 1478, s. X, diè a Benedetto nostro factore quando andò lasù, posto gli debbi dare in questo, c. 172 ____________________________ f. -, £. -, s. 10, d. -
73. Ibidem, c. 45d 11 maggio-6 luglio 1476 1476 Giovanni259 chontro ascritto debba avere f. quatro, s. 1, d. 11 a oro, e quali paghò per Benedetto a Bartolomeo Lapi e compagni, posto Benedetto abbia avuto in questo a c. 9 ____________ f. 4, s. 1, d. 11 E de’ avere a dì 11 di maggio f. quatro larghi, arrechò Benedetto 258 259
148
Antonio di Giovanni Francioso, barbiere (c. 42s). Giovanni di Bonaiuto Lorini (c. 45s).
a entrata, c. 44 _____________________________________ f. 4, s. 16 E de’ avere a dì 22 di gugno ... E de’ avere per più spese fatte insino al detto dì d’achordo chon Benedetto __________________________________________ f. 25 ... E de’ avere f. 2 larghi in grossoni, arechò Benedetto a entrata, posto debbi dare, c. 172 _______________________________ f. 2 larghi ... E de’ avere f. due larghi, s. XVI, d. XI e per noi a Benedetto nostro factore per insino a dì VI di luglio quali aveva avuti in un partita di f. quatro larghi, s. III, d. VIII, come appare al libro bianco segnato A, c. 8. E del resto ne gli à facto creditore qui di sopra di f. uno largho e £. due piccioli, siché, come si vede, gli restò in mano di contanti in detti f. due larghi s. XVI, d. XI, posto detto Benedetto debbi dare innanzi, c. 172 _____________________ f. 2, s. 16, d. 11 a oro larghi
74. Ibidem, c. 48s giugno 1476-febbraio 1479 1476 Domenico di Zanobi del Giochondo de’ dare ... E de’ dare f. trentatre, s. XII, d. VIII, sono per tanti facto creditore al ricontro in tre partite, cioè la prima di f. XVI, s. XIIII, d. VIII e la seconda di s. 18 a oro e la terza di f. sedici, i quali Benedetto per l’adrieto nostro factore aveva acconcio, cioè i f. XVI, s. XIIII, d. VIII per acconcimi facti alla bottega di giugno 1476, a tempo la teneva detto Domenico, ed esi feciono dette spese di febraio 1478, nel tempo la teneva Andrea d’Antonio del Giocondo, e lui ce n’à debitore al libro bianco, libro c. [ ]. E di mano di Benedetto à uno quadernuccio di detto Andrea segnato A, c. 54, e s. XVIII a oro mette di contanti e pel conto loro non appare, e più i f. sedici di sugello dice avere avuti Bartolomeo Bartolini e compagni banchieri in drappi di Domenico del Giocondo; nonn’ è cosa alcuna, perché Domenico non ce ne fa debitore, né Bartolomeo Bartolini creditore, siché evidentemente si vede detto Benedetto fraudatamente l’avea acconce solo per dare colore alla verità e che il nostro Priore non se ne potesse avedere. Imperò che lui avea facto fare a detto Andrea una promessa a Bartolomeo Strinati di f. venzei e s. VI, d. VIII a oro larghi, come a ricontro ne gli fo creditore, sotto dì XVII di maggio 1478, e fecela fare in nostro nome, sanza ne sapessimo cosa alcuna. E tutto poteva fare perché lui era sindaco nostro a potere fare ogni cosa ___________________________________________ f. 33, s. 12. d. 8 149
c. 48d 14 giugno 1476-29 maggio 1478 1476 Domenico contro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì XIIII di giugno 1476 f. quatro, s. III, d. XI, sono per once otto 3/4 di raso verde, levò Benedetto disse per la Marietta, sirochia del Priore, ma ebbelo Carlo di Donato Bruni, posto gli debbi dare innanzi, c. 179 ____________________________ f. 4, s. 3, d. 11 E de’ avere a dì IIII d’aprile 1478 ... E de’ avere a dì XXIIII detto f. due larghi e per noi a Benedetto nostro factore, posto gli debbi dare in questo innanzi a c. 172 e i quali ebbe per Domenico d’Andrea d’Antonio del Giocondo __________ f. 2, s. 8, d. E de’ avere a dì XVII di maggio f. ventitre larghi e un terzo e per noi a Benedetto nostro factore, i quali ebbe d’Andrea detto, e furono per una promessa fece in nome della casa come fece acconciare detto Benedetto a Bartolomeo Strinati banchiere in Mercato Vechio, i quali Benedetto ebbe dal detto Bartolomeo, posto detto Benedetto d’Antonio gli debbi dare innanzi, c. 172 ___________________ f. 23, s. E de’ avere a dì XXVIIII detto f. tre, s. XV a oro larghi, sono per braccia tre di raso verde levò Benedetto per Carlo di Francesco Tuccerelli, posto debbi dare in questo innanzi c. 124, e il detto drappo s’ebbe d’Antonio detto _________________________ f. 4, s. 10, d -
75. Ibidem, c. 51d 4 febbraio 1479 1476 Rede260 contro ascritto deono avere ... E deono avere a dì IIII di febraio 1478 f. tre di sugello e per loro da Guasparre Spinelli e compagni, dettono per noi a Benedetto nostro factore, posto gli debbi dare in questo, c. 172_____________ f. 3, -
260
150
Gli eredi di Matteo di Lorenzo, orafo (c. 51s).
76. Ibidem, c. 56d 9 novembre 1476 1476 Rinaldo261 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì 9 di novenbre ... E de’ avere a dì detto £. 3, s. 10 per tanti gli fa buoni Benedetto fattore, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 9 __________ f. -, £. 3, s. 10
77. Ibidem, c. 60d 10 giugno 1478 1476 Rede d’Albizo262 chontro ascritto de’ avere ... E deono avere a dì X di giugno [1478] f. duo larghi, ebbe Benedetto factore, e per loro da Baldo dipintore, come appare al libro suo, c. 53 a entrata, posto Benedetto gli debbi dare innanzi, c. 172 ____________________________________________ f. 2 larghi, £. -
78. Ibidem, c. 61d 8 giugno 1476-8 maggio 1479 1476 Bartolomeo263 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì VIII di gugno 1476 ... E de’ avere f. 3 larghi, e quali dette per noi a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 172 ____________ f. 3, s. 12 ... E de’ avere insino a dì 14 d’aghosto f. quatro larghi, sono per panno ebbe Benedetto, posto debbi dare in questo a c. 172 _______ f. 4. 16 E de’ avere a dì 8 di maggio 1479 f. sette, s. 5, d. 4 a oro di sugello per panno s’ebbe da lloro per Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo, c. 172 __________________________________ f. 7. 5. 4 ...
261 262 263
Cfr. la nota 257. Albizzo da Fortuna (c. 60s). Bartolomeo Ciacchi (c. 175d).
151
E deono avere per tanti fatti buoni da Benedetto f. 4, s. 18, d. 8 per panno, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 172 ______ f. 4. 18. 8
79. Ibidem, c. 65s 23 maggio 1478 1476 Bartolomeo e compagni chontro ascritti deono dare ... E deono dare f. quatordici, s. V, d. X a oro larghi a dì XXIII di maggio 1478, e quali ebbono da Benedetto nostro factore, posto gli debbi avere innanzi, c. 172, per resto di questa ragione ______________ _____________________________________________f. 14, £. 1, s. 13
c. 65d 31 luglio 1476-24 gennaio 1477 1476 Bartolomeo di Lionardo Bartolini e chompagni264 deono avere ... E de’ avere a dì 31 di luglio f. quatro larghi, rechò Benedetto a entrata, c. 47 _________________________________________ f. 4 ... E de’ avere a dì 24 di settenbre arechò Benedetto f. due larghi e £. nove, s. 1, e quali [...], posto Benedetto gli debbi dare innanzi a c. 172 ______________________________________ f. 1, s. 9, d. 1 ... E de’ avere a dì 24 di genaio f. tredici larghi, dette per noi a Benedetto nostro fattore, posto Benedetto habbia vuto in questo a c. 79 _________________________________________________ f. 13 ... E de’ avere f. nove larghi per tanti facto debitore di contro, avuti in duo volte da Bartolomeo Ciacchi e così creditore detto Bartolomeo indrieto, c. 61, e lui non gli avere pagati ma dati a Benedetto in altri modi, come apare al libro loro segnato A, c. 7. Inperò n’abbiamo a fare debitore Benedetto d’Antonio, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 __________________________________________________ f. 9, £. -
264
152
banchieri (c. 32d).
80. Ibidem, c. 71s 23 marzo-12 maggio 1477 1476 Messer lo Priore nostro Don Lionardo chontro ascritto de’ dare ... E de’ dare a dì 23 di marzo f. uno largho, ebbe in prestito da Benedetto, posto debbi avere in questo el detto Benedetto, in questo, c. 79 __________________________________________ f. -, £. 5, s. 14 E de’ dare a dì 12 di maggio 1477 f. uno largho, ebbe da Benedetto, lo riebbe da Don Francesco scritto i’ nome del Priore, a uscita c. 82 ______________________________________________ f. -, £. 5, s. 14
c. 71d 1476 1476 Messer lo Priore nostro Don Lionardo de’ avere ... E de’ avere, per saldo fatto per Benedetto d’Antonio fattore, £. novanta, s. due, d. 8, chome apare a l’uscita a c. 187 ________________ ________________________________________ f. -, £. 90, s. 2, d. 8 E de’ avere per saldo fatto per detto Benedetto, chome apare a uscita segnata EE, a charta 189 _____________ f. -, £. 70, s. 2, d. 9
81. Ibidem, c. 72s 6 settembre 1476-gennaio 1477 1476 Benedetto d’Antonio fattore del nostro chonvento de’ dare chome apare in questo a c. 9 _____________________ f. 15, s. 10, d. 3 a oro E de’ dare a dì 6 di settembre £. una, s. 10, ebbe chontanti a uscita segnato EE a c. 175 ____________________________ f. -, s. 6, d. 8 E de’ dare per tanti posti per errore della prima partita di sopra che vuol dire f. 15, s. 10, d. 3 a oro che v’è per errore s. 14 a oro _____________________________________________ f. -, s. 14, d. E de’ dare a dì 28 di settembre s. 24, ebbe chontanti a c. 177 ______________________________________________ f. -, s. 5, d. 4 E de’ dare a dì 26 d’ottobre f. uno largho, ebbe chontanti, c. 180 153
___________________________________________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 15 di dicembre f. uno largho, ebbe d’Antonio del Maza, posto habbi dato in questo a c. 25 ______________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 15 di dicembre £. due, s. 16, sono per 1/2 f. largho ebbe dal Priore a uscita segnato EE a c. 28 _____________ f. -, s. 12 E de’ dare a dì [ ] di genaio f. uno largho, ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi havere in questo a c. 25 _____ f. 1, s. 4
c. 72d 1476 1476 Benedetto chontro a scritto de’ avere posto debbi dare in questo a c. 79 ________________________________ f. 20, s. 10, d. 0 a oro
82. Ibidem, c. 79s 26 dicembre 1476-31 giugno 1477 1476 Benedetto d’Antonio nostro fattore de’ dare chome apare in questo, posto debbi avere, c. 72 ___________________ f. 20, s. 10, d. 3 a oro E de’ dare insino a dì 26 di dicembre £. una, ebbe chontanti a uscita a c. 183 ___________________________________ f. -, s. 4, d. 5 a oro E de’ dare a dì 8 di febraio f. uno largho, ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbia avere in questo a c. 25 ___________ f. 1, s. 4 E de’ dare insino a dì 24 di gennaio f. tredici larghi, ebbe da Bartolomeo Bartolini, posto Bartolomeo habbi avere in questo a c. 65 ________________________________________________ f. 15, s. 12 E de’ dare a dì 17 detto s. 7 picioli a uscita, c. 184 ________________ _________________________________________ f. -, s. 1, d. 6 a oro E de’ dare insino a dì 25 di genaio f. uno largho, c. 184 ____ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 15 di marzo f. uno largho ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi dato in questo a c. 22 ____________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 26 d’aprile f. uno largho ebbe d’Antonio del Maza, posto habbi dato in questo a c. 22 ____________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 30 d’aprile f. uno largho d’Antonio del Maza, posto habbi dato in questo, c. 25 __________________________ f. 1, s. 4 E de’ dare a dì 8 di maggio s. 10 piccioli chome apare a uscita segnato G, c. 82 _______________________________ f. -, s. 2, d. 2 154
E de’ dare a dì 12 detto s. 8 perché ebbe chontanti a uscita segnato G, c. 82 _______________________________________ f. -, s. 1, d. 9 E de’ dare a dì 2 di gugno £. una , s. 10, ebbe contanti a uscita segnato G, a c. 83 _____________________________ f. -, s. 6, d. 8 E de’ dare a dì 7 di gugno £. una, portò chontanti a uscita segnato G, c. 83 _______________________________________ f. -, s. 4, d. 5 E de’ dare a dì 14 detto f. uno largho el quale ebbe dalle rede d’Albizo da Fortuna e per lui a Giovanni Richoveri, posto le rede dette debino avere in questo a c. [ ] ______________________ f. 1, s. 4 E de’ dare insino a dì 12 di giugno s. 12, portò contanti, c. 83 ______________________________________________ f. -, s. 2, d. 7 E de’ dare a dì 16 detto s. 11, d. 8, portò chontanti, c. 83 _______________________________________________f. -, s. 2, d. 7 E de’ dare a dì 31 detto £. una, s. 8, portò contanti, c. 83 ______________________________________________ f. -, s. 6, d. 3
c. 79d 1° novembre 1476-30 aprile 1477 1476 Benedetto chontro ascritto de’ avere per suo salario insino a dì primo di novenbre, che sono mesi nove a f. tre larghi il mese, f. venzette larghi che sono ____________________________________ f. 32, s. 8 E de’ avere per salaro di mesi tre insino a dì primo di febraio a f. due larghi el mese, f. sei larghi che sono, e f. uno largho el mese si mette per pigione della casa che gl’anno dato e frati ___________________________________________________ f. 7, s. 4 E de’ avere per salario di mesi uno finiti a dì primo di marzo, f. due larghi ________________________________________ f. 2, s. 8 E de’ avere per salario di 2 mesi finiti a dì ultimo d’aprile, f. quatro __________________________________________________ f. 4, s. 16 E de’ avere insino a dì 23 di marzo f. uno largho prestò al Priore, posto el Priore debbi dare in questo, c. 72 _____________ f. 1, s. 4 E de’ avere s. otto, d. 7, posto debbi avere in questo a c. 88 _____________________________________________ f. 3, s. 10, d. 3
155
83. Ibidem, c. 88s 21 giugno 1477-12 dicembre 1478 1477 Benedetto d’Antonio nostro fattore de’ dare dì 21 di gugno f. uno largho el quale ebbe d’Antonio del Maza, posto Antonio habbi dato in questo a c. 83 _____________________________________ f. 1, E de’ dare s. otto, d. 7 a oro di sugello chome apare in questo a c. 79, che sono a f. larghi ___________________ f. -, s. 7, d. 2 a oro E de’ dare a dì 5 di luglio f. due larghi, portò chontanti, c. 83 _____________________________________________________ f. 2, E de’ dare a dì 17 detto f. uno largho, portò contanti, c. 84 _______________________________________________________ f. 1 E de’ dare a dì 2 d’aghosto f. uno largho, £. 3, s. 13 a uscita segnata G, c. 84 ______________________________________ f. 1, s. 13 a oro E de’ dare a dì 3 d’aghosto s. quaranzei di piccioli a uscita, c. 85 ______________________________________________ f. -, s. 8, d. 1 E de’ dare insino adì 8 di maggio 1477 f. quatro laghi, ebbe per noi da Giovanni di Chiricho Pepi e compagni e per lui gli paghò alla Compagnia del Bigallo, posto Giovanni debbi avere in questo, c. 88 _________ f. 4 E de’ dare a dì 11 d’ottobre f. 5 larghi, ebbe chontanti a uscita, c. 86 _________________________________________________ f. 5 E de’ dare a dì detto £. una, s. 15, d. 4, ebbe contanti per resto di uno fiorino, c. 86 ____________________________ f. -, s. 6, d. 2 E de’ dare a dì 19 di genaio f. uno largho, ebbe contanti, c. 92 ______________________________________________________ f. 1 E de’ dare ... E de’ dare f. tre, s. 15, d. 2 a oro per tanti avuti d’Antonio del Maza orafo, posto debbi avere in questo a c. 89 ____________ f. 3. 15. 2 E de’ dare insino a dì 28 di marzo 1478 s. 30 a uscita, c. 94 ___________________________________________________ f. -, 5. 5 E a dì 23 di maggio £. due, portò chontanti, c. 96 ____ f. -, 7. 3 E de’ dare insino a dì 15 d’aghosto f. due larghi, ebbe d’Antonio del Maza in questo, c. 89 _______________________________ f. 2 E de’ avere insino a dì 12 di dicembre £. 11, s. 14 piccioli, e quali ci fa buoni per Rinaldo della Magna tessitore, posto Rinaldo debbi avere in questo a c. 127 per lavorio fatto___________ f. 2, s. -, d. 11 E de’ dare posto debbi avere in questo a c. 142 ____ f. 24, s. 15, d. 3 Messer Lorenzo contro ascritto de’ dare f. 64 larghi per errore che debba essere in questo a c. 93. 156
c. 88d 1° novembre 1477-31 ottobre 1478 1477 Benedetto chontro ascritto de’ avere per salario di 6 mesi finiti a dì primo di novembre 1477 f. dodici larghi e per resto, in questo a c. 79, f. 3, s. 10, d. 13 ________________________ f. 15, s. 10, d. 3 E de’ avere per la pigione d’un terreno di sotto per f. 3 larghi l’anno per uno anno che n’ànno la pigone _________________________f. 3 E de’ avere per lo suo salario di 6 mesi finiti a dì ultimo d’aprile 1478 ________________________________________________ f. 12. E de’ avere f. uno largho el quale è scritto per debitore in questo a c. 79, el quale fiorino non ebbe, e però lo pongho creditore _______________________________________________________ f. 1 E de’ avere insino a dì 14 d’aghosto f. due larghi, £. 9, s. 10 prestò a Don Francesco insino di gugno, a entrata segnata G, c. 4 ____________ ________________________________________________f. 3, 12 a oro E de’ avere insino a dì detto f. due larghi dati a [ ] Bruni per denari aveva fatti prestare al Priore _____________________________ f. 2 E de’ avere per salario di 6 mesi finiti a dì ultimo d’ottobre 1478 ______________________________________________________ f. 12 E de’ avere per errore che £. 20 sono messe per f. 3, s. 10 a oro di sugello e debbono dire f. 1, s. 1, d. 8 che mancha s. 9 a oro, et più s. 7, d. 2 a oro per la partita di f. 7, d. [ ] a oro che dice per resto e va a dire chosì ______________________ f. -, s. 16, d. 2 a oro
c. 88s 24 gennaio 1478 Giovanni di Chiricho Pepi e cchompagni chontro ascritti deono dare... E de’ dare a dì 24 di genaio £. otto di piccioli, e quali dette per lui el Priore a Do’ Francesco, le quali £. otto el detto Don Francesco l’aveva pagate a Benedetto nostro fattore per una ragione d’arrechare a un dì, posto el Priore debbi avere in questo a c. 71 ___________ f. 1, s. 8, d. 1
c. 88d 17 maggio 1477 Giovanni di Chiricho Pepi e chompagni banchieri deono avere a 157
dì 17 di maggio ... E de’ avere a dì detto f. quatro larghi, e quali diè per noi a Benedetto nostro fattore e per lui alla Compagnia del Bighallo, posto Benedetto debbi dare in questo, c. 88 ______________________________ f. 4
84. Ibidem, c. 89s 24 maggio-21 giugno 1476 1476 Antonio del Maza orafo de’ avere a dì 24 di maggio f. uno largho el quale dette per noi a Benedetto nostro fattore, posto Benedetto habbia avuto in questo a c. 88 __________________________ f. 1 ... E de’ avere insino a dì 21 di gugno f. uno largho per noi a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 8 ______ f. 1
c. 89d - 15 agosto 1477 1477 Antonio chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere f. tre, s. 15, d. 2 a oro, gl’avuti Benedetto, posto debbi dare in questo c. [ ] ________________________________ f. 3.15.2 E de’ avere f. uno largho el quale si dette per convento al libro per una cintola della donna di Benedetto aveva prestato al Priore per Piero, posto el convento debbi dare in questo a c. 121 _____________ f. 1 E de’ avere insino a dì 15 d’aghosto f. due larghi e per lui a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 88 ____ f. 2 ... E de’ avere f. sei larghi dette per noi a Benedetto, posto Benedetto debbi dare in questo a c. 142 _____________________________ f. 6 E de’ avere f. sei larghi, dette per noi a Benedetto nostro fattore e per lui a Gino Ginori, posto detto Benedetto gli debbi dare in questo innanzi, c. 172 __________________________________________ f. 6
158
85. Ibidem, c. 98d 20 agosto 1478 1477 Giovanni di Matteo265 chontro scritto de’ avere ... E de’ avere a dì XX d’agosto 1478 £. quarantadue per noi a Benedetto nostro factore, e quali ebbe per lui da Piero di Nicolò Masini a entrata c. [ ], e posto Benedetto gli debbi dare innanzi, c. 172 _____________________________________________ f. -, £. 40 E de avere a dì [ ] per insino a dì V detto £. otto, diè per noi al detto, posto il detto, c. 172 ________________________ f. -, £. 8 E de’ avere adì VII detto £. dua, diè per noi al detto, posto il detto, c. 172 ___________________________________________ f. -, £. 2
86. Ibidem, c. 105s 17-24 novembre 1478 1477 Mona Checha266 chontro ascritta de’ dare ... E de’ dare a dì 17 di novenbre [1478] f. 10 larghi de’ quali ebbe da Benedetto f. uno e il resto per grano venduto, scritti al conto di Benedetto al libro segnato DD267 , a c. 133 ________________ f. 10 E de’ dare a dì 24 detto f. uno largo a detto chonto, c. 133 _____________________________________________________ f. 1, -
87. Ibidem, c. 107d 29 ottobre 1477 1477 Valerio di Andrea di Berto e compagni268 deono avere a dì 29 d’ottobre f. [ ], e quali sono per tanti è creditore di Benedetto
265 266 267 268
Giovanni di Matteo di Masino (c. 98s). Vedova di Vieri di Filippo Bancozzi (c. 105d). Il “libro segnato DD” è il Corp. Rel. Soppr. dal Gov. Fran. 86, 47. ritagliatori (c. 28d).
159
d’Antonio nostro fattore, et per lui al detto convento gl’impromette, e quali si debbano pagare secondo che apare al libro richordanze segnato A, c. 27 ______________________________________ f. [ ] Nicholò di Giovanni di Sandro269 lanaiuolo de avere f. otto di sugello, e quali denari si paghano per Benedetto d’Antonio nostro fattore, e quali s’ànno a pagare chome apare al libro di ricordi segnato G, a c. 27, posto Benedetto gli debi dare in questo innanzi, c. 172 ____________________________________ f. 6, s. 13 d. 4 a oro larghi
88. Ibidem, c. 109s 16 novembre 1478 MCCCCLXXVII Piero Porcelli270 chontro ascritto de’ dare ... E de’ dare per l’anno finito ... 1478 ... E deono dare s. 11 a dì 16 di novenbre e per lui a Sandro messo, a chonto di Benedetto al libro segnato DD a c. 133 ________ f. -, £. -, s. 11
89. Ibidem, c. 111d 1477 1477 Adovardo di Lorenzo dello Stechuto de’ avere f. dieci, s. 10 a oro di sugello, chon quelli modi e a que’ tenpi chome apare al libro richordi segnato G, a c. 30. E quali denari paghiamo per Benedetto d’Antonio nostro factore, come appare a dette ricordanze segnate G, c. 30, posto gli debbi dare innanzi a c. 172 ______ f. 10, s. 10 a oro di sugello
90. Ibidem, c. 116s 14 e 19 novembre 1477 1477 Mona Checha chontro ascritta de’ dare ... 269 270
160
Nicolò di Giovanni del Barbigia (c. 172d). Piero di Domenico Porcelli, affittuario (c. 41).
A dì 14 di novenbre f. due larghi, sono per uno chatasto di legna si chonperarono da [ ], portò Benedetto, c. 89 _________ ch. 1 ... A dì 19 di novenbre £. 1, s. 6 per due some di fraschoni, portogli e denari Benedetto, ebbegli la fante, a uscita in somma di £. 2, s. 16, c. 89 _______________________________________________ so. 2 ... A dì 19 di novenbre £ una, s. 10 per una soma di bracie, portogli e denari Benedetto, c. 89 ___________________________ so. 1 bracie
c. 116d 23 gennaio 1478-19 novembre 1480 1477 Francesco271 e figliuoli contro ascritti deono avere a dì 23 di gennaio £. 10, rechò Benedetto, ebbegli dall’Opera di Santo Spirito per loro, c. 3 __________________________________ f. -, £. 10 ... E de’ avere a dì 23 di novenbre £. tre al conto di Benedetto, c. 133 ___________________________________________________ f. -, £. 3 E de’ avere a dì [ ] £. tre al detto conto, c. 134 ____ f. -, £. 3 E de’ avere a dì XI di dicenbre 1479 ... E de’ avere f. quatro e mezo larghi, posto el convento nostro li debbi dare innanzi a c. 213, i quali lasciò loro il nostro Priore amore Dei perché loro dicevano restare avere, de’ sopradetti due anni, ducati undici larghi, e secondo noi restavano avere ducati due, ma loro dicevano che Benedetto, per l’adrieto nostro factore, aveva detto restavano a dare ducati trenta e il simile dicevano avea detto el Priore. Ma el Priore se ne raportava a Benedetto. E di poi avemo da lloro ducati quarantuno: siché, non si potendo chiarire perchè Benedetto è morto e il simile detto Francesco, ora siamo d’acordo con Santi e Stuagio suo figluoli dove restavano avere ducati due n’abbino avere, con questi quatro, sei e mezo, e così ne siamo rimasti d’acordo oggi questo dì XVIIII di novembre 1480 ______________ f. 4, £. 2, s. 18
91. Ibidem, c. 119s 9 dicembre 1478 1478 Antonio di Iachopo vinattiere in Vinegia de’ dare ... 271
Francesco di Cambio, carradore (c. 116s).
161
E de’ dare a dì 9 di dicenbre £. 1, s. 6, d. 8, e quali dette a Ser Luigi per lo richiamo se gli fece al conto di Benedetto, al libro segnato DD, c. 134 _______________________________ f. -, £. 1, s. 6, d. 8
c. 119d 29 gennaio-15 maggio 1479 1478 Antonio di Iachopo vinattiere in Vinegia de’ avere ... E de’ avere a dì XXVIIII di gennaio £. sette, dette per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innnanzi, c. 172 e a entrata, c. [ ]__________________________ f. -, £. 7, d. E de’ avere a dì primo di febraio f. uno largo di £. quatro, s. XIIII dette per noi a Benedetto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 _________________________________________ f. 1, £. 4, s. 14, d. E de’ avere a dì XX d’aprile 1479 f. uno largho, dette per noi al detto, posto gli debbi dare innanzi a c. 172 ____________ f. 1, £. E de’ avere a dì XV di maggio f. uno e mezo largho, dette per noi al detto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 _______ f. 1 1/2, £. -
92. Ibidem, c.126d 8 e 29 settembre 1478 1478 Giordano272 chontro ascritto de’ avere ... E de’ avere a dì VIII di settembre 1478 f. cinque larghi diè per noi a Benedetto d’Antonio dell’abaco e per lui li ebbe in duo volte da Piero di Nuto barbiere, cioè tre detto dì e due a dì XXVIIII detto, posto detto Benedetto li debbi dare innanzi c. [ ] __________f. 5, £.-, ...
c. 126d 1478 1478 Rede d’Aghostino273 detto deono avere ... 272 273
162
Giordano di Iacopo, rigattiere (c. 126s). Agostino di Marco di Puccio (cc. 34d, 126s).
E deono avere £. diciannove, s. XII dette per noi a Benedetto nostro factore per resto dell’anno 1478, e posto gli debbi dare c. 171 a entrata c. [ ] _____________________________________ f. 19, s. 12, d. -
93. Ibidem, c. 127d 14 novembre 1478 1478 Alexo274 contro ascritto de’ avere a dì 14 di novenbre f. 2 larghi, ebbe Benedetto al conto suo al libro segnato DD, a c. 133 ______________________________________________________ f. 2 .......................................................................................................................................
12 dicembre 1478-1479 Rinaldo275 chontro ascritto de’ avere per più panno fatto a Benedetto insino a dì 12 di dicenbre 1478, £. 11, s. 14, d’acordo posto Benedetto debbi dare in questo a c. 88 ___________________________ _____________________________ f. 2 larghi, £. -, s. -, d. 11 a oro ... E de’ avere a dì 12 di genaio £. sei in f. 1 largho e s. 4, ebbe Benedetto a detto conto, c. 135 __________________ f. 1, s. -, d. 7 E de’ avere £. dieci, s. X e per noi a Benedetto d’Antonio, sono per braccia quarantadue di pannolino grosso a s. V il braccio, dato al detto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172 ____________ f. -, £. 10, s. 10, d. E de’ avere £. tre, s. IIII e per noi a Benedetto detto, sono per la valuta di libre quatro di cera bianca avamo avere di due anni, cioè del 1478 e 1479, posto Benedetto gli debbi dare in questo innanzi, c. 172 __________________________________________ f. -, £. 3, s. 4, d. E de’ avere f. uno largho dette per noi a Benedetto detto quando tornò dal Poggio Imperiale, posto debbi dare in questo innanzi, c. 172 __________________________________________________ f. 1, £. ..........................................................................................................................................
274 275
Alesso di Iacopo, rigattiere (c.127s). Cfr. la nota 257.
163
21-29 gennaio 1479 Bartolomeo chontro ascritto de’ avere £. dieci, le quali à dato in due volte, una di £. 6 sotto dì 21 di genaio 1478 che l’ebbe il Priore, e una di £. quatro sotto dì 29 detto che gl’ebbe Benedetto chontanti __________________________________________________ f. -, £. 10 E le sopradette £. sei àne avute il Priore sono a entrata segnata G, c. 5, e le £. quatro àne avute Benedetto n’è debitore a uno conto da parte al libro bianco segnato DD, c. 135.
94. Ibidem, c. 128d 9 gennaio 1479 1478 Ghabella della Porta deono avere, a dì 9 di gennaio, f. otto larghi, £. 4, s. 12 al conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 135 ________________________________________ f. 8 larghi, £. 4, s. 12
95. Ibidem, c, 132s 1478 1478 La chasa nostra de’ avere ... E de’ avere f. 17 larghi e £. 5, s. 2, d. 8, paghati a Benedetto nostro fattore, chome apare in questo a c. 9 ________ f. 17, £. 5, s. 2, d. 8
96. Ibidem, c. 133s - 15 agosto 1478 1478 La chucina nostra de’ dare ... E de’ dare a dì [ ] per lui a Bartolino pizzicagnolo, portò Benedetto, c. 102 __________________________________________ f. 2 ... E de’ dare insino a dì 15 d’aghosto per salina a chonto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 131 _____________________ f. -, £.-, s. 6 E de’ dare a dì detto allo Sexto per huova, che ne dette Piero f. 164
uno largho e Benedetto £. 3, s. 10, a detto conto, £. 3, s. 10, d. -, c. 131 _______________________________________ f. 1, £. 3, s. 10 ...
97. Ibidem, c. 134d 12 dicembre 1478-5 marzo 1479 1478 Michele di Lorenzo linaiuolo de’ avere ... E de’ avere a dì 12 di dicenbre £. 4, s. 16 chontanti, ebbe Benedetto al chonto suo al libro segnato DD, a c. 134 _____ f. -, £. 4, s. 16 ... E de’ avere a dì V di marzo f. uno largho e per noi a Benedetto nostro factore, e per lui Adovardo di Lorenzo dello Steccuto, posto detto Benedetto lo debbi dare in questo, c. [ ] _____________ f. -, £. 5, s. 14, d. -
98. Ibidem, c. 137s 30 novembre 1478 1478 Mona Checa de’ dare ... E de’ dare a dì 30 di novenbre s. otto, ebbe Nicholò suo figluolo, disse per legne, a conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 133 ________________________________________________ f. -, £. , s. 8
99. Ibidem, c.140d 1478 1478 La chasa nostra de’ avere ... E de’ avere f. 4 larghi per tanti dati a Benedetto nostro fattore, chome apare in questo a c. 72 ______________________ f. 4, £. - ... E de’ avere f. 8, s. 16, d. 4 sugello a oro per tanti dati a Benedetto nostro fattore, chome apare a parte in questo a c. 79 ___ f. 7, £. 1, s. 19
165
100. Ibidem, c. 142s 23 agosto-1° ottobre 1478 1478 Benedetto chontro ascritto de’ dare a dì 23 d’aghosto £. una, portò chontanti, c. 100 ____________________________________ f. -, £. 1 E de’ dare £. due s. 15 per tanti avuti chontanti da Frate Mauro a uscita, c. 101 _________________________________ f. -, £. 2, s. 15 E de’ dare a dì primo d’ottobre f. uno largho ebbe da Gordano chome apare al conto suo a libro segnato DD a c. 132 _______ f. 1 E de’ dare a dì primo di maggio f. 6 larghi, ebbe d’Antonio del Maza per una promessa fece per detto Benedetto, posto Antonio debbi avere in questo a c. 89 ___________________________________ f. 6 E de’ dare f. nove larghi, sono per nove mesi che lui s’à facto creditore di f. venzette larghi e non à avere se none diciotto perché non gli davamo se none f. due larghi il mese, però lo facciamo debitore de’ detti f. nove larghi, come appare detto errore indrieto, c. 79 __________________________________________________ f. 9, £. E de’ dare f. venti larghi e s. XII, d. VIII di piccioli, posto gli debbi avere innanzi, c. 172, sono per resto di questa ragione _______________ _______________________________________ f. 20, £. -, s. 12, d. 8 f. 36 larghi, £. 4. 7. 8
c. 142d 1° maggio 1479 1478 Benedetto d’Antonio nostro fattore de’ avere, come apare in questo a c. 88, f. 24, s. 15, d. 3 a oro larghi, e de’ avere per salario di 6 mesi finiti a dì primo di maggio 1479 ________________________ f. 12
101. Ibidem, c. 143d 13 dicembre 1478 [1478] Francesco di Nicolò di Panuntio de’ avere a dì XIII di dicembre 1478 ... 166
E de’ avere a dì detto f. uno largho, £. 1, s. 4, diè per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto lo debbi dare al libro giallo segnato H, a c. 49 ________________________________ f. 1, £. 1, s. 4, d. -
102. Ibidem, c. 146s 15 agosto 1478 1478 La chanova del vino de’ dare ... E de’ dare insino a dì 15 d’aghosto s. 14 per due fiaschi di trebiano a conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 131 _____ f. -, £. -, s. 14 ...
103. Ibidem, c. 153s 22 e 27 dicembre 1478 1478 Michele nostro ortolano de’ dare ... E de’ dare a dì 22 di dicenbre s. 5, d. 4, ebbe da Benedetto chontanti, a conto di detto Benedetto, al libro segnato DD, a c. 134 __________________________________________ f. -, £. -, s. 5, d. 4 E de’ dare a dì 27 detto s. 8, portò chontanti, c. 134 ___ f. -, £. -, s. 8 E de’ dare s. 7 disse aveva achatatti da Frate Mauro per resto d’un fiorino aveva avuto di marroni, che è debitore di f. 1 largho, e detti s. 7 aveva dati Benedetto perché gli rendé a Frate Mauro, et £. 5, s. 8 sono posti per creditore el convento, in questo a c.157 _______________________________________________________ f. 1
104. Ibidem, c. 158s 8 dicembre 1478 1478 Messer Don Lionardo di Donato di Messer Lionardo de’ avere ... E de’ avere a dì 8 di dicenbre s. 7, d. 8, e quali prestò al convento, al conto di Benedetto al libro segnato DD a c. 134, in soma di s. 6, 167
d. 4 cavate fuora __________________________ f. -, £. -, s. 7, d. 8 Messer Don Lionardo di contro de’ dare f. sei larghi, sono per tanti n’era creditore indrieto, c. 71, aveva pagati a Guasparre bichieraio e non era vero, per errore ch’avea preso Benedetto nostro factore __________________________________________________ f. 6, £. -
c. 158d 27 dicembre 1478 1478 Messer Don Lionardo di Donato di Messer Lionardo, al presente Priore, debbe avere ... E de’ avere s. 16 a dì 27 di dicenbre, e quali dette alla Ghabella di farina in somma di £. 1, s. 16, che £. una è al chonto di Benedetto al libro segnato DD, c. 134 ______________________ f. -, £. -, s. 16 E de’ avere f. 1 largho e £. 2, s. 2, chome apare al conto di Benedetto al libro segnato DD a c. 131, che glene dette 2 partite el Priore, e l’ altra Fra’ Mauro _______________________________ f. 1, £. 2, s. 2 E de’ avere f. uno largho, el quale dette a Benedetto, che si spese in pesto £. 4, s. 5, d. 4 et il resto ebbe Benedetto, al detto conto a c. 131 _________________________________________________ f. 1
105. Ibidem, c. 159d 17 ottobre 1478 1478 Fio276 chontro ascritto de’ avere a dì 17 d’ottobre f. 2 larghi, de’ quali ne dette f. uno a Pagholo muratore, posto concimi di fuora debbino avere in questo a c. [ ] f. 1 largho, e f. uno largho dette a Benedetto al conto suo al libro segnato DD a c. 132 _______ f. 2
276
168
Cfr. la nota 250.
106. Ibidem, c. 160d 14 novembre 1478-3 giugno 1479 1478 Ser Giovanbatista e Francesco e Lucha277 suo frategli deono avere ... E deono avere a dì 14 di novembre f. 1 largo ebbi da Ser Giovanbatista al conto di Benedetto, al libro segnato DD, a c. 133 __________________________________________________ f. 1, -, ... E deono avere f. uno larghi e £. -, s. XVIIII, e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, i quali ebbe da Ser Giovanni e Francesco detto per insino a maggio 1479 _________________________________________ f. 1, £. 0, s. 19, d. E deono avere a dì XXII di maggio 1479 £. quatro, dettero per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, i quali ebbe da Luca d’Albizo _____________ f. -, £. 4, s. E deono avere a dì XXVIIII detto £. 3, s. XV e per noi a Benedetto detto, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, i quali ebbe da Francesco _______________________________________ f. -, £. 3, s. 15, d. - ... E deono aver per insino a dì III di giugno 1479 £. 1, s. X, dettono per noi a Benedetto nostro factore, posto debbi dare innanzi, c. 172, sono che tanti n’ebbe contanti da Francesco detto _______________________________________ f. -, £. 1, s. 10, d. - ...
107. Ibidem, c. 161d 7 gennaio-19 giugno 1479 1478 Francesco di Giuliano ceraiuolo de’ avere ... E de’ avere a dì VII di gennaio f. 1 largo e £. quatro, diè per noi a Benedetto d’Antonio, posto gli debbi dare innanzi c. 172, sono messi in una somma di f. due larghi e £. IIII, come appare al quadernuccio di detto Francesco, delle portate, segnato A, c. 31, di mano di Benedetto, perché vi mette f. uno largo, facto creditore qui di sopra per una immagine data a Michele nostro ortolano, resta in tutto dati a Benedetto il detto f. uno largho e £. 4 _______________ f. 1, £. 4 277
Giovanbattista, Francesco e Luca d’Albizzo da Fortuna.
169
E de’ avere a dì primo di febbraio £. tre e per noi a Benedetto d’Antonio, posto debbi dare innanzi, c. 172 _________ f. -, £. 12, E de’ avere a dì XVIIII di giugno £. tre, sono per libre 5 di candele di cera, dette per noi a Ser Franco Cappellano di San Michele Visdomini, posto la detta chiesa debbi dare indrieto, c. 86 _______________________________________________ f. -, £. 3, s.............................................................................................................................................
1476-dicembre1478 La Chompagnia del Bigallo de’ avere a dì [ ] di dicenbre al conto di Benedetto al libro segnato DD a c. 134 _________ f. 9, £. 3, s. 17 E deono avere £. ventitré, s. VIII e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare innanzi, c. 172, sono che tanti s’avea ritenuti in mano in tre anni, cioè del 1476 e 1477 e 1478, come si vede, che ogn’ano faceva debitore la detta Compagnia di £. 56, e ella avea a essere debitore di £. sexantatré, s. XII col retenimento, siché s’à ritenuto in mano di nostro, come si vede, le sopradette £. 23, d.8 ne’ sopradetti tre anni _________________________ f. -, £. 23, s. 8
108. Ibidem, c. 172s 2 ottobre 1476-15 maggio 1479 1479 Benedetto d’Antonio che fu nostro factore de’ dare a dì V d’agosto 1478 £. otto, ebbe per noi da Giovanni di Matteo di Masino nostro fictaiuolo, come apare indrieto c. 98 ______________ f. -, £. 8, d. E de’ dare a dì VII detto £. dua, ebbe per noi dal detto, come apare, c. 98 _________________________________________ f. -, £. 2, d. E de’ dare a dì XX detto £. quaranta, ebbe per noi dal detto, come apare c. 98 ___________________________________ f. -, £. 40, s. E de’ dare £. diciannove, s. dodici, ebbe per noi da rede di Francesco d’Agostino, come apare indrieto c. 126 ______________ f. -, £. 19, s. 12 E de’ dare per insino a dì XVI di luglo 1478 f. uno largo, ebbe per noi da Giordano rigattiere, come apere indrieto a conto di Giordano, c. 126 ___________________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XXIX di gennaio £. due, s. cinque, ebbe dal detto come apare c. 126 _______________________________ f.-, £. 2, s. 5 170
E de’ dare a dì XIII di marzo f. uno largo, ebbe dal detto come apare c. 126 _______________________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XXX detto £. tre, s. VI, ebbe dal detto come apare c. 126, disse per un paio di calze _________________ f. -, £. 3, s. 6 E de’ dare per insino a dì X di giugno 1478 f. duo larghi, ebbe per noi da rede d’Albizo da Fortuna, come apare indrieto c. 60, e per loro da Baldo dipintore ______________________________ f. 2, £. E de’ dare a dì XXIX di gennaio £. sette, ebbe per noi da Antonio di Iacopo vinattiere, come apare indrieto c. 119 _____ f. -, £. 7, s. E de’ dare a dì primo di febbraio f. uno largo et £. quatro, s. XIIII, ebbe per noi da Antonio di Iacopo detto, come apare c. 119 _____________________________________________ f. 1, £. 4, s. 14 E de’ dare a dì XX d’aprile 1479 f. uno largo, ebbe per noi dal detto, come apare c. 119 ____________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XV di maggio f. uno e mezo largo, ebbe per noi dal detto, come apare c. 119 _________________ f. 1 1/1, £. 2, s. 18 E de dare f. quatro larghi sono che tanti n’à facto creditore Antonio del Maza orafo, come apare al conto del detto Antonio indrieto c. 25. I quali denari il detto Benedetto ci à fraudati perché li à rimessi da piè e in mezo d’una faccia all’entrata segnata EE c. 49 e c. 50; l’una mette a dì 2 d’ottobre 1476 e l’altra a dì due di novembre 1476. E i detti denari non appariscono pel libro delle portate del detto Antonio, ma uno fiorino per volta, in altri tempi che in quelli che lui gli à messo a cconto di detto Antonio e così all’entrata segnato EE ___________________________________________________ f. 4, £. E de’ dare per insino a dì XXIIII di maggio 1477 f. uno larghi, ebbe per noi da Antonio del Maza orafo, come apare in questo indrieto c. 89, il quale dice aversene facto debitore a c. 88, e di poi non l’à facto ___________________________________________________ f. 1, £. E de’ dare ducati due, s. V, d. 6 a oro larghi, ebbe per noi d’ Antonio del Maza orafo, posto gli debbi avere, indrieto c. 89 _______________________________________ f. 2, £. 1, s. 11, d. 7 E de’ dare ducati sei larghi, ebbe per noi da Antonio del Maza orafo, pagò per noi a Gino Ginori, posto detto Antonio gli debbi avere indrieto __________________________________________ f. 6, £. E de’ dare f. tre larghi, ebbe per noi da Bartolomeo Ciacchi, come apare indrieto a conto di detto Bartolomeo, c. 61 ______ f. 3, £. E de’ dare per insino a dì XIIII d’agosto f. quatro larghi, ebbe per noi dal detto, indrieto c. 61 ___________________________ f. 4, E de’ dare a dì otto di maggio 1479 f. sette, s. V, d. IIII di sugello, ebbe per noi dal detto indrieto, c. 61 _________ f. 6, £, -, s. 6, d. 7 E de’ dare f. quatro, s. XVIII, d. VIII di sugello, ebbe per noi dal 171
detto, indrieto c. 61 ___________________________ f. 4, £. -, s. 13 E de’ dare f. tre di sugello per insino a dì IIII di febbraio 1478, ebbe per noi da rede di Matteo di Lorenzo orafo e per loro da Guasparre Spinelli e compagni, come apare in questo indrieto c. 51 ______________________________________________ f. 2, £. 2, s. 17 E de’ dare f. uno largo, factone creditore Bartolomeo Ciacchi, sotto dì due di gennaio 1476, chiamando l’ entrata segnata EE, c. 51, et vedesi quivi la partita rimessa e per loro conto non si truova abbino mai dato uno fiorino ma maggiore somma e in altri tempi, ma metteva variati perché noi potessimo vedere le ragioni raguagliate, posto detto Bartolomeo debbi avere, indrieto c. 61 _________________ f. 1, £. E de’ dare f. quindici, s. XIII, d. IIII a oro larghi, e per lui a Bartolomeo Ciacchi e compagni lanaiuoli, posto gli debbino avere, in questo innanzi c. 175, per resto di f. quarantuno larghi cioè sono f. dieci larghi, per braccia otto e mezo di pagonazo, come apare al libro loro giallo segnato A, c. 91, e f. diciannove, s. 9, d. 7 a oro larghi per bracia quatordici di panno nero di perso, come apare al detto libro c. 108, e f. undici, s. XIII, d. IIII larghi per braccia dodici di pano tane, come apare a detto libro c. 108. El panno pagonazo ebbe a dì XII di maggio 1477 e il panno nero di perso ebbe a dì XXIIII d’ottobre 1477 e il panno tane ebbe a dì XII di novembre 1478, come apare al detto libro giallo, e in tutto montano detti panni f. quarantuno, s. II, d. XI a oro larghi, de’ quali n’abbiano facti buoni a detti Bartolomeo Ciacchi e compagni in sei partite f. ventiquatro larghi, s. XVIIII, d. 7, piccioli in questo indrieto c. 61; la prima di f. uno largo e l’ultima di f. quatro, s. XVIIII, d. otto di suggello, benché i detti Bartolomeo Ciacchi e compagni non ce n’abbino debitori in quel modo gli abbiano creditori. Et il resto facciamo loro buoni innanzi c. 175, come di sopra si dice ________________________________ f. 15, £. 3, s. 16 larghi E de’ dare £. nove e per lui a Maestro Antonio di Giovanni Francioso barbiere, posto gli debbi avere in questo indrieto c. 42 _______________________________________________ f. -, £. 9, s. E de’ dare a dì V di marzo 1478 f. uno largo, ebbe per noi da Michele di Lorenzo linaiuolo nostro pigionale il quale dette, per detto Benedetto, a Adovardo di Lorenzo dello Steccuto, come apare a conto di detto Michele indrieto c. 134 ____________________ f. 1, £. E de’ dare per insino a dì XXVI di gennaio 1477 £. otto, s. XV, ebbe per noi dallo Spedale di Santa Maria Nuova, posto debbi avere in questo innanzi c. 180 _________________________ f. -, £. 8, s. XV E de’ dare per insino a dì XIII di febbraio 1478 £. diciassette, s. IIII, ebbe per noi dallo Spedale di Santa Maria Nuova, posto debbi avere in questo innanzi c. 180 ___________________ f. -, £. 17, s. 4 172
E de’ dare per insino a dì XXIIII di marzo 1478 f. due larghi, ebbe per noi dallo Spedale di Santa Maria, posto debbino avere innanzi c. 180 _______________________________________________ f. 2, £. E de’ dare per insino a dì primo detto f. uno largo, come appare a uscita segnata G, c. 103 ____________________________ f. 1, £. E de’ dare a dì XIII detto £. una, portò contanti a uscita c. 104 ______________________________________________ f. -, £. 1, s. E de’ dare per insino a dì VIIII di giugno 1478 f. due larghi, ebbe per noi dalla Compagnia delle Laudi di Sanzanobi, come appare indrieto a c. 50, i quali lui avea mesi con una partita d’uno fiorino largo, messi a entrata segnata G, c. 4, sotto dì nove di marzo 1477, e qua[li] lui, come si vede, si ritenne a sé ______________ f. 2, £. E de’ dare £. dieci, s. X, ebbe per noi da Rinaldo della Magna nostro pigionale, in sul conto della Via de’ Fibiai, in braccia quarantadue di pannolino, come appare indrieto c. 127 _____ f. -, £. 10, s. 10, d. E de’ dare £. tre, s. IIII, ebbe per noi da Rinaldo detto, come appare indrieto c. 127 _____________________________ f. -, £. 3, s. 4, d. -
c. 172d 1476-31 maggio 1479 1479 Benedetto d’Antonio di contro de’ avere per insino a dì XXIII di maggio 1478 f. quatordici, s. V, d. X a oro larghi e per noi a Bartolomeo di Lionardo Bartolini e compagni banchieri, posto gli debbino dare in questo indrieto c. 65 __________________ f. 14, £. 1, s. 13, d. E de’ avere f. venti larghi e s. XII, d. VIII di piccioli posto gli debbi dare indrieto c. 142, sono per resto di quella ragione ________________________________________ f. 20, £. -, s. 12, d. 8 E de’ avere £. quatro, s. X per insino a dì XXVIII di novembre 1478, avuti da Francesco di Giuliano ceraiuolo, scritti Benedetto in una somma di f. due larghi e £. due avere ricevuto contanti, che n’ebbe Piero £. IIII, s. 10, che si spesono in casa, posto el convento debbi dare innanzi, c. 188 _______________________ f. -, £. 4, s. 10, d. E de’ avere per insino a dì XXVIIII di dicembre 1478 f. uno largo, recò contanti come appare a entrata segnata G, c. 5 _____ f. 1, £. E de’ dare a dì X di maggio 1479 f. cinque larghi, recò contanti come appare a entrata segnata G, c. 6 _________________ f. 5, £. E de’ dare per insino a dì XXII detto £. quatro, sono per tanti n’è debitore, qui da piè avuti da Luca d’Albizo, e gli aveva recati Piero 173
di Donato come appare a entrata segnata G, c. 6, in nome di Ser Giovanni d’Albizo ______________________________ f. -, £. 4, s. E de’ avere f. centotrentotto, £. ducentoquarantanove, s. XVIIII, d. II, posto gli debbi dare in questo innanzi c. 212, sono per resto di questa ragione _______________________ f. 138, £. 249, s. 19, d. 2 178, £. 260. 14. 10 E de’ dare f. uno largo, ebbe per noi da Rinaldo della Magna, come appare indrieto c. 127 ______________________________ f. 1, £. E de’ dare £. ventitre, s. VIII, ebbe per noi dalla Compagnia della Misericordia, come appare in questo indrieto c. 161, sono che tanti s’avea ritenuti in tre anni sanza assegnarne alcuno conto, cioè 1476 e 1477 e 1478; e perchè noi non ce ne avedessimo non faceva debitore la Compagnia se non è di £. cinquantasei, che abbiamo avere ogni anno f. XIIII di sugello, che in questi tre anni, col ritenimento ci fanno, ci tornono ogni anno f. sexantatre, s. XVI, o più o meno secondo le valute, ma noi mettiamo questi tre anni secondo gli riscose l’anno 1476 benché l’anno 1479 ne abbiamo ritratto f. undici larghi, £. III, s. XII _________________________________________ f. -, £. 23, s. 8, d. E de’ dare f. otto a oro di sugello e per lui a Nicolò di Giovanni del Barbigia lanaiolo, posto gli debbi avere indrieto c. 107, per panno avuto da llui _____________________________ f. 6, £. 3, s. 17, d. E de’ dare f. dieci, s. [ ] a oro di sugello e per lui a Adovardo di Lorenzo dello Steccuto, posto gli debbi avere indrieto, c. 111 _________________________________________ f. 8, £. 4, s. 6, d. E de’ dare f. tre e mezzo di sugello e per lui a Iacopo di Iacopo Sangalletti, posto gli debbi avere innanzi, c. 182 ___________________ _________________________________________ f. 2, £. 5, s. 5, d. E de’ dare f. dieci, s. II, d. VIIII a oro larghi e per lui a Valerio d’Andrea di Berto e compagni, posto debbino aver indrieto a c. 107 _______________________________________ f. 10, £. -, s. 16, d. E de’ dare per insino a dì XXIIII di septembre 1478 s. dieci, ebbe per noi da Matteo di Pagolo Martini da Pulicciano, posto gli debbi avere indrieto, c. 43 _______________________ f. -, £. -, s. 10, d. E de’ dare f. nove larghi, sono che tanti n’avea facto debitore Bartolomeo di Lionardo Bartolini banchiere in Mercato Vechio, indrieto c. 65, avuti da Bartolomeo Ciachi e compagni lanaiuoli, i quali non aveano pagati, ma avevongli facti buoni a Benedetto per suo conto in altre somme, come appare pel quaderno segnato A, c. 7 di detto Bartolomeo Ciachi __________________________________ f. 9, £. E de’ dare per insino a dì VII di septembre 1476 £. nove, s. 1, ebbe 174
per noi da Bartolomeo Bartolini e compagni, postogli debbino avere indrieto, c. 65 _____________________________ f. -, £. 9, s. 1, d. E de’ dare per insino a dì XXIIII d’aprile 1478 f. due larghi e per noi d’Andrea d’Antonio del Giocondo, per conto di Domenico del Giocondo, posto gli debbi avere indrieto c. 48 __________ f. 2, £. E de’ dare a dì XVII di maggio 1478 f. ventitre larghi, s. sei, d. VIII larghi e per noi d’Andrea detto per conto di detto Domenico, posto gli debbi avere indrieto, c. 48 ________ f. 23, £. 1, s. 18, d. E de’ dare a dì XXII di maggio 1479 f. ventitre e 1/3 larghi e per noi da Nicolò di Domenico del Giocondo, posto debbi avere innanzi, c. 190 ________________________________ f. 23, £. 1, s. 18, d. E de’ dare f. venticinque larghi sono per la pigione della casa teneva da noi nella Via de’ Fibiai per f. 12 larghi l’anno, da dì ultimo d’aprile 1477 per insino a dì ultimo di maggio 1479, posto pigioni e ficti debbino avere innanzi, c. 191 _______________________ f. 25, £. E de’ dare per insino a dì XXVIII di novembre 1478 f. due larghi e £. due, ebbe per noi da Francesco di Giuliano ceraiuolo, posto gli debbi avere indrieto, c. 161 ______________________ f. 2, £. 2, s. E de’ dare a dì VII di gennaio f. uno largo e £. quatro, ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 ____ f. 1, £. 4, s. E de’ dare a dì primo di febbraio £. tre, ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 _________________ f. -, £. 3, s. E de’ dare a dì XVII d’aprile 1479 £. dodici ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 ________________ f. -, £. 12, s. E de’ dare adì XII di maggio £. una, s. XII ebbe per noi dal detto, posto debbi avere indrieto, c. 161 _____________ £. 1 -, s. 12, d. E de’ dare f. due larghi e per noi da Giovanni di Lorino, posto debbi avere indrieto, c. 45_________________________________ f. 2, £. E de’ dare f. due larghi, s. XVI, d. 10 a oro larghi, ebbe per noi da Giovanni detto, posto debbi avere indrieto, c. 45 _________________________________________ f. 2, £. 4, s. 16, d. 10 E de’ dare £. nove, s. III, d. II e per lui a Mariotto di Marco spetiale alla Palla, posto gli debbi avere innanzi, c. 182, in una somma di £. 550 sono per medicine e altre cose avute da llui __________________________________________ f. -, £. 9, s. 3, d. 2 E de’ dare £. quindici, s. XVII e per lui a Giuliano d’Arrigo calzolaio, posto gli debbi avere indrieto, c. 135, in un somma di £. trecentotrenta per lavorio avuto da llui _____ f. -, £. 15, s. 17, d. E de’ dare f. uno largo di £. 0, s. XVIIII, ebbe per noi da Ser Giovanni e Francesco d’Albizo, posto gli debbi avere indrieto, c. 160 _________________________________________ f. 1, £. 0, s. 19, d. E de’ dare per insino a dì XXII di maggio 1479 £. quatro ebbe per 175
noi da Luca d’Albizo, posto gli debbi avere indrieto a conto de’ detti, c. 160 _________________________________________ f. -, £. 4, s. E de’ dare a dì XXVIIII detto £. tre, s. XV ebbe per noi da Ser Giovanni e Francesco d’Albizo, posto gli debbino aver indrieto, c. 160 _________________________________________ f. -, £. 3, s. 15, d. -
109. Ibidem, c. 173d 19 maggio 1479 1479 Benedetto Gori de’ avere a dì XVIIII di maggio 1479 f. quindici larghi, recò Benedetto d’Antonio, come appare a entrata segnata G, c. 7 ____________________________________________ f. 15, £. - ...
110. Ibidem, c. 175d 1479 1479 Bartolomeo Ciacchi e compagni lanaiuoli deono avere f. quindici, s. XIII, d. IIII a oro larghi e per noi a Benedetto d’Antonio dell’abaco, posto gli debbi dare indrieto, c. 172, per resto ogni ragione avessi avuto a fare detto Benedetto co’ detti _________ f. 15, s. 13, d. 4 a oro larghi
111. Ibidem, c. 180d 26 gennaio 1478-24 marzo 1479 1479 Spedale di Sancta Maria Nuova de’ avere £. otto s. XV per insino a dì XXVI di gennaio 1477 e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare indrieto, c. 172, i quali denari sono per parte di ritratto delle pigioni delle boteghe di Michelozo del Bambo, come apare al libro bianco segnato DD, c. 67 ______________ f. -, £. 8, s. 15, d. E deono avere a dì XIII di febraio 1478 £. diciassette, s. IIII, dati per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare indrieto, c. 172, i quali denari sono per parte di ritracto di dette botteghe _______________________________ f. -, £. 17, s. 4, d. - ... 176
Spedale di contro de’ avere per insino a dì XXIIII di marzo 1478 f. due larghi e per noi a Benedetto d’Antonio nostro factore, posto gli debbi dare indrieto, c.172 _________________________ f. 2, s. -
112. Ibidem, c. 182d 9 marzo 1478 1478 Iacopo di Iacopo Sangalletti de’ avere per insino a dì VIIII di marzo 1477 f. tre e mezo di sugello, e quali li diamo per Benedetto d’Antonio nostro factore, come appare alle ricordanze segnate G, c. 31, posto Benedetto gli debbi dare indrieto, c. 172 ____________ f. 2, £. 5, s. 5, d. -
113. Ibidem, c. 188s 28 novembre 1478-7 dicembre 1479 1479 El Convento nostro de’ dare ... E de’ dare per insino a dì XXVIII di novembre 1478 £. quatro e s. X e per lui da Benedetto d’Antonio, posto gli debbi avere indietro, c. 172, sono che tanti si spesono pel Convento, e debbonsi da Francesco ceraiuolo, e Benedetto gli scrisse avere ricevuti lui contanti in una partita di f. due larghi e £. due, de’ quali ne l’abbiamo debitore indrieto, c. 172 ___________________________ f. -, £. 4, s. 16, d. E de’ dare a dì VII di dicembre 1479 £. quatro, s. XVI e per lui a Francesco di Giuliano ceraiuolo, posto debbi avere innanzi c. 192, sono per libre otto di cera, sei per uno uficio facemo fare a San Michele Visdomini per la benedetta anima di Benedetto d’Antonio nostro factore, e libre una per dare al notaio di dogana e una a quello del Bigallo _________________________________ f., £. 4, s. 16, d. - ... E de’ dare f. sexantasei larghi, s. XVIII, d. III a oro larghi, sono che tanti ce n’à debitore Benedetto fu nostro factore indrietro in più luoghi, cioè c. 79, c. 88, c. 142, sono per resto di salario d’anni tre e mesi tre a f. ventiquatro larghi, che montano ducati septantotto, ma del resto n’è debitore el Convento, indietro c. 140, in duo partite, una di f. 4 larghi, di f. 7, s. 1, d. 9 ____________ f. 66, £. 4, s. 5, d. 177
114. Ibidem, c. 190d 22 maggio 1479 1479 Nicolò di Domenico del Giocondo de avere per insino a dì XXII di magio 1479 f. ventitré e 1/3 a oro larghi e per lui d’Andrea d’Antonio del Giocondo, sono per una impromessa facta pel convento sanza nostra saputa, ma per commessione di Benedetto d’Antonio nostro factore e sindaco a Bartolomeo Strinati banchiere in Merchato Vechio, i quali denari dette a Benedetto d’Antonio detto, posto gli debbi dare indrieto, c. 172 _____________ f. 23, s. 6, d. 8 a oro larghi E de’ avere a dì detto f. tredici e 1/3 larghi, sono per spese facte nella bottega, come ne rimase d’accordo con Benedetto, de’ quali denari se n’à a scontare ogni anno el quarto, posto concimi di fuori debbino dare indrieto, c. 143 ______________ f. 13, s. 6, d. 8 a oro
115. Ibidem, c. 192d 7 dicembre 1479 1479 Francesco di Giuliano ceraiuolo de’ avere ... E de’ avere a dì VII di dicembre £. quatro, s. XVI, sono per libre otto di cera, cioè libre sei a Ser Franco capellano di San Michele per uno ufficio facemo fare per la benedetta anima di Benedetto d’Antonio per l’adrieto nostro factore, e più libre due, cioè una al nottaio di dogana e una al nottaio del Bigallo, posto el convento debbi dare indrieto, c. 188 __________________________ f. -, £. 4, s. 16, d. -
116. Ibidem, c. 208d 1° dicembre 1479 1479 Luca di Iacopo Migliorelli nostro pigionale nella casa che noi comperamo da Lodovico e Pagolo di Sancti, sellai, de’ avere £. sedici, recò Piero di Donato contanti, come apare a entrata segnata G, c. 6 _____________________________________________ f. -, £. 16, s. E de’ avere a dì primo di dicenbre £. tre, s. X, sono che tanti pagò per noi a Maestro Donato imbiancatore per imbiancare la sala e la 178
camera della casa tengono da noi, posto el convento li debbi dare innanzi, c. 210 __________________________ f. -, £. 3, s. 10, d. -
117. Ibidem, c. 212s 21 ottobre 1477-29 settembre 1478 [1479] Benedetto d’Antonio dell’abaco per l’adrieto nostro factore de’ dare f. centotrentotto larghi e £. dugentoquarantanove, s. XVIIII, d. II, posto li debbi avere indrieto, c. 172, sono per resto d’una sua ragione _____________________________________ f. 138, £. 249, s. 19, d. 2 E de’ dare per insino a dì VIII di septembre 1478 f. cinque larghi, ebbe per noi da Giordano rigattiere, posto li debbi avere indrieto, c. 126 e per lui li ebbe in due volte da Piero di Nuto barbiere, in due volte, cioè tre a dì VIII detto e due a dì XXVIIII detto ____ f. 5, £.E de’ dare per insino a dì XXI d’ottobre 1477 f. quatordici larghi e £. una, s. XII e per lui Antonio Gerini e compagni lanaiuoli in San Martino, portò Piero di Donato Bruni contanti, come appare a uscita segnata G, c. 108 _______________________ f. 14, £. 1, s. 12, d. -
c. 212d 1479 1479 Benedetto di contro de’ avere f. centocinquanzette larghi e £. dugentocinquantuno, s. XI, d. II, posto li debbi dare al libro giallo segnato H, c. 49 ______________________ f. 157, £. 251, s. II, d. 2
118. Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo francese 86, 217 (Badia del Sasso) c. 5v 1479 MCCCCLXXVIIII Spesi £. una, s. otto per parte di Ghabella di vino, portò Salvadore di Bartolomeo del Quercia a dì 4 d’aprile 1479 _______________ £. 1, s. 8 Spesi nella venuta a Ffirenze quando era il padre a Sancto Ghodenzo £. 1, s. [...], d. sei, detti a Don Piero Ghini negli Agnioli e per 179
me £. una e a Benedetto dell’abacho s. undisci. E el Priore mi disse volere venire alla Badia e per fargli honore conperai fiaschi due di trebiano, tenevano tre, chostornomi s. sedisci, e più chonperai due chapretti, uno da Llazero della Perghola, l’altro da Bartolino della Villa, chostorno £. ventidue, e più chonperai sei bichieri e due ghuastade, costorno s. 4, e più chonperai 1/2 oncia di pepe e 1/2 oncia di spezie dal Mancino, costò s. tre, d. otto, in tutto £. 5, s. sei, d. 8, prestomegli Girolamo mio chogniato, non tutti ma £. tre di moneta ____________________________________________ £. 5. s. 6, d. 8 Spesi a dì 12 di gugno 1479 ...
Documento del fondo Otto di Guardia e Balia della Repubblica 119. Otto di Guardia e Balia della Repubblica 56, c. 14v 15 luglio 1480 Die XV iulii 1480 Vicario Sancti Ioannis littere Quod faciat omnem diligentiam inveniendi omnes res supillictilia et recollecta que spectabant et pertinebant ad Benedictum Antonii Christophori et maxime id intelligat ab Iacobo Tei et filius de Menzano, exceptis rebus que cepisset, pro dote Domine Pippe olim uxoris dicti Benedicti, Bartholomeus Ioannis Falsamostra et fratres eius et mittat copiam ad nos et riscribat de omnibus facto fieri inventario de rebus predictis.
Documenti del fondo Compagnia poi Magistrato del Bigallo 120. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 730, c. 55v 1400-1412278 Una chasa con fondacho di sotto in volta e con palchi di sopra, posta in su la Via di Calimala e in sulla Piazza d’Ortosanmichele, posta 278
180
Tali date si leggono all’inizio del volume.
nel Popolo do Sa’ Michele in Orto, dal primo la Via di Calimala, dal secondo le rede di Nicholò di Bartolo Cini, dal terzo la Piazza d’Ortosamichele, e dal quarto la Compangnia d’Ortosamichele. La quale si comprò da Iacopo di Latino de’ Pilgli e dall’Acorri di Geri de’ Pilgli, e ciascuno s’obrighò in solido con tutto, e le loro donne dierono la parola. E mallevadore fu in tuto Chappone di Neri Chapponi, chome appare carta di tutte queste cose per mano di Ser Nofri di Ser Paolo Nemi nostro notaio, rogata dì VIII di genaio anni MCCCCII279 ; e Mateo d’Angnolo Cavalcanti, detto Malatesti, nostro camarlingho, per stanziamento de’ nostri Capitani, paghò a detti Iachopo e Acorri fiorini millecentoventicinque, che così ne demmo a lloro netti, posto Matteo debbi avere a’ libro dell’alogagioni, a c. 147 _______________________________________________ f. MCXXV
121. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 747, c. 22s aprile-1° novembre 1448 MCCCCXLVIII Una chasa atta a squola, posta in Orto Sancto Michele, cho’ sua chonfini, sopra al nostro fondacho280, levata da’ libro segnato I, c. 17, tiella a pigione: Maestro Nicholò di Giovanni da Chatalongna, Maestro Iachopo di Simone da Terni, per lire sesanta l’anno, chon questo, che lire otto si trae da Bartolomeo detto Larciano, filatolaio, perch’à l’entrata per la nostra schala; posto che debi dare in questo, c. 19, le lire 8 l’ano, e’ sopradetti n’ànno a dare a ragione di lire 52. E per loro sodò Piero di Bartolomeo, spetiale al Chapello, chome apare a libro d’Antonio di Perticino, segnato G, c. 20. Restano a dare per tutto aprile 1448 lire settanta, s. 13 piccioli ____________________________________________ f. -, £. 70, s. 13 E deono dare per la pigione di sei mesi, che finisce per tutto ottobre 1448 ____________________________________________ f. -, £. 26. Alloghamo la detta bottegha per a dì primo di novembre 1448 a Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, chome apare in questo c. 27. 279
ASF, Not. Antec. 14943, cc. 67v-68r. Nel precedente volume 745 della Comp. poi Mag. del Big., a c. 19s, viene precisato: “posta sopra e’ nostro fondacho di Chalimala”. 280
181
c. 22d Maestro Nicholò di Giovanni e Maestro Iachopo di Simone chontrascritti deono avere ... E deono avere lire dieci, i quali spese Bettino di Ser Antonio da Romena in detta chasa, chome partitamente apare in una scritta in filza, che sono per II usci e per ammattonare, posto spese dare in questo, c. 143 _________________________________________ f. -, £. 10 ...
122. Ibidem, c. 27s 1° novembre 1448-ottobre 1449 MCCCCXLVIII Una chasa atta a squola, posta in Orto Sa’ Michele, cho’ sua chonfini, sopra al nostro fondacho, la quale è scritta in questo, c. 22, in Maestro Nicholò di Giovanni e altri; e a dì XI di dicembre l’aloghamo per anni tre, che chominci il tenpo insino a dì primo di novembre passato 1448, per lire cinquantadue l’anno; e oltre a quelle abiamo lire 8 di pigione l’anno da Ser Apollonio281, dell’entratura della schala, che chosì facemo di patto, aloghamola a Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano a £. 52 l’anno, charta fatta per mano di Ser Matteo Sofferroni, e a pagare di sei mesi in sei mesi. E suo mallevadori ci stanno Antonio di Cristofano suo padre, e Bettino di Ser Antonio da Romena, e ongnuno in tutto. Resta a dare per tutto ottobre 1449 lire cinquantadue ____ f. -, £. 52
c. 27d Posto a libro segnato M, a c. 25, resta a dare per tutto ottobre 1449 lire cinquantadue piccioli.
281 Ser Apollonio di Francesco Cascesi, cappellano della Cappella di San Cristoforo nella Chiesa di San Firenze: cfr. ad es. Comp. poi Mag. del Big. 6, fasc. I, c. 18v.
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123. Ibidem, c. 143s 1448 MCCCCXLVIII Spese universale della nostra Chompagnia deono dare ... E deono dare £. dieci per più spese fatte per Bettino di Ser Antonio da Romena chome apare in questo, c. 22, a chonto di M° Nicholò e M° Iachopo, nella schuola ____________________________ f. -, £. 10
124. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 748, c. 25s 1° novembre 1448-1° aprile 1450 1449 Una chasa atta a sschuola posta in Ortosamichele chon sua chonfini levato dal libro segnato L, a c. 27, tiela a pigione: Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano per £. cinquantadue l’anno. E aloghò per tre anni, inchominciati a dì primo di novembre 1448, intendendo che debi dare £. 52, oltre a lire otto abiamo di pigione l’anno da Ser Apolonio d’una entratura di detta chasa, chome in questo a c. 21, e de’ pagare di sei mesi in sei mesi, charta per mano di Ser Matteo Sofferroni; e suo malevadori istà Antonio di Cristofano suo padre e Bettino di Ser Antonio da Romena. E ongnuno in tutto chome apare al libro segnato L, a c. 27. Resta a dare per tutto ottobre 1449 £. cinquantadue, chome apare al libro segnato L, a c. 27 ____________________ f. -, £. 52, s. -, d.-
c. 25d Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ avere a dì primo d’aprile 1450 £. undici, s. 16, per noi a Simone Formichoni. Rechò a entrata a c. 3, posto debi dare in questo a c. 163; portò Bolognino282 ____________________________________ f. -, £. 11, s. 16, d.Posto al libro segnato N, c. 25, e resta a dare £. quaranta, s. 4 per tutto otobre 1449.
282 Nello stesso volume, alle cc. 156s-156d, si legge: Piero di Vicho detto Bolognino, famiglio della Compagnia.
183
125. Ibidem, c. 163s 1° aprile 1450 Simone di Giorgio Formichoni, kamarlingo della nostra Compagnia, de’ dare ... E de’ dare a dì primo d’aprile 1450 £. undici, s. sedici, per noi da Maestro Benedetto d’Antonio maestro d’abacho, posto debbi avere in questo detto Maestro Benedetto, c. 25_______ f.-, £. 11, s. 16, d. -
126. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 749, c. 22s 1° novembre 1448-1° novembre 1451 MCCCCLI Una chasa atta a schuola posta inn Ortosantomichele, cho’ suoi chonfini, levata dal libro segnato N, c. 25, tiell’a pigione Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano per lire cinquantadua di piccioli l’anno. Alloghossi per tre anni, inchominciati a dì primo di novembre 1448 e finiti chome seghue. Intendendo che ci debba dare £. 52, holtr’a £. otto che ci dà Ser Apollonio d’una entrata d’ una schala tiene di detta chasa, come apare in questo, charta per mano di Ser Matteo Sofferroni, e ssuo mallevadore Antonio di Cristofano suo padre e Bettino di Ser Antonio da Romena, chome apare al libro segnato N, a c. 25. Resta a dare per tutto hottobre 1450 £. settantadue, s. IIII piccioli ______________________________________________ f. -, £. 72, s. 4 E de’ dare per tutto ottobre 1451 £. cinquantantadua, per la pigione di deto anno __________________________________ f. -, £. 52, s. E finita la sopradetta alloghagione a dì primo di novembre 1451, v’è tornato Ser Lucha d’Antonio da San Gimingnano, maestro di schuola di gramaticha, chome apare in questo, c. 32.
c. 22d 3 novembre 1450-10 luglio 1452 MCCCCLI Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, de’ avere a dì III di novenbre £. sette, s. XVII piccioli, per noi a Mariotto Lippi chamarlingo, posto debbi dare in questo c. 184, rechò Piero di Vicho a entrata c. 3 ________________________________ £. 7, s. 17 184
E de’ avere a dì VII di dicenbre £. quindici, s. XVI, per lui da Bettino di Ser Antonio da Romena, per noi a Mariotto Lippi chamarlingo, posto debbi dare in questo, c. 186, rechò Bolognino a entrata c. 3 _________________________________________ f. -, £. 15, s. 16 E de’ avere a dì XXIIII d’aprile 1452 £. dicasette, s. XVI di piccioli, per noi a Monte di Iachopo di Monte chamarlingho, posto debbi dare in questo a c. 192, a entrata c. 4 ________________ f. -, £. 17, s. 16 E a dì X di luglio £. ottantadue, s. XV larghi, posto che debbi dare al libro segnato P, a c. 107 ________________ f. -, £. 82, s. 15, d.-
127. Ibidem, c. 32s 1° novembre 1451 MCCCCLI Una chasa atta a uso di schuola, posta in Ortosanmichele, cho’ suoi chonfini, tiella a pigione: Ser Lucha d’Antonio da Sangimingnano, maestro di schuola di gramaticha, per £. cinquantadua di piccioli l’anno per tre anni che chominciano a dì primo di novenbre 1451, la quale chasa teneva per l’adrieto Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, chome apare in questo, c. 22 ...
128. Ibidem, c. 184s 3 novembre 1451 MCCCCLI Mariotto di Ghinozo di Stefano Lippi chamarlingo de’ dare ... E de’ dare a dì III di novenbre ... E de’ dare a dì detto £. sette, s. XVII piccioli per noi da Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, posto debbi avere in questo c. 22, a entrata c. 3 _______________ f. -, £. 7, s. 17
129. Ibidem, c. 186s 7 dicembre 1451 MCCCCLI Mariotto di Ginozo di Stefano Lippi chamarlingo de’ dare ... 185
E de’ dare, dì VII di dicenbre ... E de’ dare a dì detto £. quindici, s. XVI di piccioli per noi da Maestro Benedetto d’Antonio, per lui da Bettino di Ser Antonio, posto debbi avere in questo c. 22, a entrata c. 3 _____ f. -, £. 15, s. 16, -
130. Ibidem, c. 192s 24 aprile 1452 MCCCCLII Monte di Iachopo di Monte chamarlingo de’ dare ... E de’ dare a dì XXIIII d’aprile ... E de’ dare a dì detto £. dicasette, s. XVI piccioli, per noi da Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, posto debbi avere in questo c. 22, a entrata c. 4 ______________ f. -, £. 17, s. 16
131. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 6, fasc. V, cc. 21r e 22r 16 giugno 1451 Die XVI mensis iunii 1451 Transmissio debitores Societatis ad speculum ... //... Magister Benedictus Antonii Cristofani, c. 25.
132. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 750, c. 100s 1455 [MCCCCLV] Monna Benedetta283 d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, de’ dare lire sessantasette, s. uno, levato dal libro segnato R, c. 85 ________________________________________ f. -, £. 67, s. 1, d. Tenuto per lui Antonio di Cristofano suo padre e Bettino di Ser Antonio da Romena. 283 Qui e nel successivo documento è erroneamente scritto “Monna Benedetta” anziché “Maestro Benedetto”.
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c. 100d Posto al libro segnato T, c. 99. 133. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 751, c. 91s 1456 MCCCCLVI Monna Benedetta d’Antonio di Cristofano, maestro d’abacho, de’ dare lire sesantasette, s. uno, levato da’ libro segnato B, c. 100 ________________________________________ f. -, £. 67, s. 1, d Tenuto per lui Antonio di Cristofano suo padre, e Betino di Ser Antonio da Romena.
c. 91d MCCCCLVI Posto debi dare al libro segnato V a c. 85 __ f. -, £. 67, s. 1, d -
134. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 752, c. 105s 1465 1465 Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ dare f. sesanzette, s. 1 per una sua ragione levata dal libro rosso, c. 354 _____________________________________________ f. -, £. 67, s. 1
c. 105d Posto debi dare al libro azuro segnato BB, c. 200.
135. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 753, c. 200s 1468 MCCCCLXVIII Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ dare £. sesanzette, s. 1 per una sua ragione al libro segnato AA, c. 105 ______________________________________________ f. -, £. 67, s. 1 187
c. 200d 1473 MCCCCLXXIII Maestro Benedetto di Cristofano de’ avere £. LXVII, s. 1, posto debbi dare al libro giallo segnato GG, c. 175 ______ f. -, £. 67, s. 1
136. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 754, c. 174s 1473 MCCCCLXXIII Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ dare £. sesantazette e s. 1, posto debbi dare al libro azurro segnato BB a c. 200 _ f. -, £. 77, s.1 Posto al libro biancho a c. 83.
c. 174d Maestro Benedetto d’Antonio di Cristofano de’ avere £. setantasette, s. uno per raguaglio di questa ragione posta al libro biancho segnato DD, c. 83 ____________________________________ f. -, £. 77, s. 1
137. Ibidem, c. 353s ottobre-12 dicembre 1477 MCCCCLXXVI Romiti di Santa Maria delgli Angnoli di Firenze deono dare ... E a dì XII di dicembre 1477 f. dodici di suggello, per loro a Benedetto d’Antonio dell’abacho, portò e’ deto contanti, sono per lascio a loro fatto per Monsignor Fantini per dire una messa ongni dì per l’anima sua, per il mese d’ottobre 1477 sino a dì 29 di novembre, rogato Ser Domenicho di Ser Santi notaio de’ Capitani, come a uscita di Mattio di Ser Niccholò di Feo Dini camarlingo, c. 28, posto creditore in questo c. 365 ___________________________ f. 10, £. E a dì detto f. dua di suggello per loro a Benedetto detto portò contanti, sono per lascio a loro fatto per Monna Lisabetta di Cervagio per dire la messa di martori per l’anima sua e per il mese d’ottobre 1477 sino a dì detto, dì rogato il detto, come a uscita di Mattio detto, camarlingo, 188
c. 28, posto debbi avere in questo c. 365 _____________ f. 1, £. 3, s. 16
138. Compagnia poi Magistrato del Bigallo 755, c. 83s 1479 MCCCCLXXVIIII Maestro Benedetto d’Antonio di Christofano de’ dare, posto debbi avere al libro giallo e a c. 175 a una sua ragione dove restava debitore ______________________________________________ f. -, £. 77, s. 1
c. 83d MCCCCLXXVIIII Maestro Benedetto di Christofano de’ avere, posto debba dare al libro bianco segnato GG, c. 14, per resto _________ f. -, £. 77, s. 1
Documenti del fondo Ufficiali di Notte e Conservatori dell’onestà dei Monasteri 139. Ufficiali di Notte 3, cc. 6v-7r 1° settembre 1453 Die 1° mensis settembris 1453 Aperte fuerunt tambura Offitialium Noctis in quo reperte fuerunt infrascripte tamburationes, videlicet: In tamburo Sancti Petri Scheradi ... // Benedictus Antonii sodomitavit Antonium filatoriarum.
140. Ibidem, c. 7v 3 dicembre 1453 Die 3 decembris 1453 In tamburo Sancte Reparate ... 189
Benedictum Antonii, docet abacum cum Mariano, sodomitavit [ ] Amerigi dello Scelto.
141. Ibidem, c. 8r 2 gennaio 1454 Die secundo januarii 1453 Aperte fuerunt tambura Offitialium Noctis ... In tamburo Sancti Petri Scheradii ... Benedictum, stat in bottega Mariani dell’abaco, quem sodomitavit Piergiovanni Andree Bindacci de Ricasoli.
142. Ibidem, c. 15v 11 luglio 1455 Die XI julii 1455 Apertum tamburum Sancti Petri Scheradii et invente fuerunt infrascripte tamburationes: ... Benedictus Antonii tessitori drapporum sodomitavit Francischum Fruosini bottarium.
143. Ufficiali di Notte 12, c. 25v 7 marzo 1468 Die VII dicti mensis martii [MCCCCLXVII] Iohannes Andree de Salutatis, Populi Sancti Fridiani de Florentia, etatis annorum quatuordecim vel circa, constitutus in presentia Francisci Gentilis et Mei Pauli etc., suo iuramento testificando dixit, asseruit et confessus fuit qualiter Benedictus [ ], magister artismetricis ipsum sodomitavit hodie in eius orto posito contra hospitale Scalarum, ex parte anteriore.
190
144. Ibidem, c. 90r 17 marzo 1468 Die XVII martii [MCCCCLXVII] Prefati Officiales, absentibus Nerio del Benino et Simone Mattii, eorum collegiis, visa quadam notificatione facta coram Noctis Officialibus de infrascriptis et diligenter examinata, et quia non invenerunt ipsos vel aliquem eorum culpabiles, ipsos et quemlibet eorum absolverunt etc., quorum nomine sunt ista, videlicet, c. 25: Pierus Iohannis Imperio, molendimarius, Laurentius pizicagnolus, Benedictus arismetricus, Valigia miserus, Andreas gualcherarius, Andreas cimator, Dimitius orbus et Masinus Iohannis Masini, de quibus supra, c. 25, c. 26.
Documenti del fondo Ospedale di Santa Maria Nuova 145. Ospedale di Santa Maria Nuova 4513, c. 161v 3 luglio 1476 1476 A’ ffrati di Santa Maria degli Angnoli f. cinque e s. X a oro, portò Benedetto d’Antonio dell’abacho loro sindacho e proccuratore per mano di Ser Piero d’Antonio da Vinci, sotto dì 3 di luglio 1476, portò in f. 4 larghi e £. III, s. III. A libro chreditori segnato C, c. 30; D, c. 26 ____________________________________________ f. 4. 3. 3
146. Ospedale di Santa Maria Nuova 4514, c. 109v 21 marzo 1478 Mercoledì a dì 18 di marzo [1477] A Piero di Simone del Querciuola vetturale a dì 21 ... A’ frati di Santa Maria degli Angnoli a dì detto f. cinque e mezzo di sugello, portò Benedetto dell’abaco loro sindacho e procuratore, a libro creditori segnato C a c. 249 ...
191
147. Ibidem, c. 167r 24 marzo 1479 Mercoledì a ddì XXIIII [marzo 1478] ... A’ frati di Santa Maria degli Angnoli f. duo d’oro larghi, portò Benedetto del’abacho loro rischottitore, posti a loro chonto al libro segnato C a c. 249; D, c. 98 ...
Documenti del fondo Operai di Palazzo 148. Operai di Palazzo1: Deliberazioni e stanziamenti degl’operai del Palazzo e della Sala del Consiglio dal 1469 al 1477, cc. 5v-6r 29 agosto 1475 Scripta Dominici da Prato, cum pretiis dandis magistris palcorum Al nome di Dio a dì 29 d’agosto 1475 Dinanzi da voi, Signori operarii del Palagio di Signori, si rapporta il pregio di palchi et di tetti nuovamente facti in decto palagio, de’ quali voi ci desti comissione che noi scrivessimo. In primo il palco della Sala del Consiglio, sicondo mio parere, merita il braccio quadro lire septe, il braccio quadro misurando a piano da l’uno cornicione al’altro, cioè _____________________ lire septe Il cornicione di decto palco merita il braccio andante lire dodici, cioè _____________________________________________ £. XII // Il decto palco, cioè la parte di sopra, co’ legni armati et forbici et catene et ogn’altra cosa appartenente a decto palco, merita il braccio quadro lire due, cioè ___________________________________ £. 2 Il palcho dell’Udienza merita il braccio lire nove, faccendo braccia quadre dello architravato come del palco, cioè _____________ £. 9 Il palco della sala dove mangia la Signoria fo il braccio lire octo, cioè il braccio quadro, misurando a piano da l’uno cornicione al’altro, cioè _________________________________________________ £. 8 Il cornicione di decto palco, con tutto l’architrave, fo il braccio lire nove, misurando a braccia quadre _________________________ £. 9 Il palcho decto, cioè la parte di sopra et così el di sopra di quello dell’udienza, fo il braccio soldi [ ], cioè ____________________ £. [ ] Il palcho semprice, ch’è sopra l’Udienza, s. sei il braccio ___________________________________________________ £. -, s. 6 Il braccio del tecto a padiglione, il braccio quadro soldi dodici __________________________________________________ £. -, s. 12 192
Io Domenico di Domenico ho facto questa scripta da me, perché non essendo noi d’acordo insieme facemmo d’acordo che ciaschuno di noi facessi la sua scripta, e po’ l’ò facta sicondo la mia coscientia e sicondo il mio parere.
149. Ibidem, c. 6v 18 dicembre 1475 Mensura et pretium palcorum Die XVIII decembris 1475 Vigore cuiusdam deliberationis facta sub die secunda presentis mensis decembris, Dominicus Dominici de Prato elexit Antonium Salimbenis Bancholini de Florentia, legnaiolum, et etiam apud eorum voluerunt Lucam [ ] legnaiolum, et mensuram posuerunt rem pro re, secundum scriptam datam per dictum Dominicum. Et cum eis etiam habuerunt Benedictum magistrum abbaci in re bene peritum, qui posuit mensuram infrascriptis rebus modo infrascripto, videlicet: La Sala del Consiglio feciono braccia 929 7/16, che a lire septe il braccio fa la somma di _______________________________ £. 6506.1.3 Il cornicione feciono braccia 129 7/10, che a lire XII il braccio fa la somma di _____________________________________ £. 1556.8.0 La ‘mpalcatura di sopra braccia 1085, a lire dua il braccio ___ £. 2170 Udienza braccia 366 7/8, a lire nove il braccio, fanno ______________ _____________________________________________ £. 3301. 17. 6 Cornicione braccia 114 3/8, a lire nove il braccio, fanno __________ ________________________________________________ £. 1029. 7.6 Fregio et architrave braccia 183 1/5, a £. 9 braccio, fanno __________ ________________________________________________ £. 1648. 16 Il palcho sopra l’Udienza braccia 450 1/8, a £. 1, fanno ___________ ________________________________________________ £. 450. 2. 6 Il palcho feriale braccia 396, a s. 6 il braccio, fanno _______________ ___________________________________________________ £. 113.16 Il tecto braccia 1230, a s. XII il braccio, fanno __________________ ___________________________________________________ £. 738.3 __________________ 17519. 11. 9
193
150. Ibidem, c. 8v 24 febbraio 1477 Die XXIIII februarii 1476 Spectabiles viri Operarii Opere Palatii Populi Florentie, congregati pro eorum officio exercendo in audientia et loco Artis Mercatorum Civitatis Florentie et servatis servandis etc., omni modo etc., bonis et iustis rationibus moti, ordinaverunt et deliberaverunt quod ... Ac etiam stantiaverunt et deliberaverunt quod Ieronimus Antonii Martelli, depositarius eorum officii, de pecunia dicte Opere det et solvat Dominico Dominici de Prato, legnaiuolo, et Dominico [ ], et Benedicto [ ] dell’abbaco pro eorum mercede et labore pro mensurando palcum et ornamenta sale Dominationis, florenum unum largum et libras 4 hoc modo, videlicet: Dominico de Prato florenum 1 largum Dominico [ ] libras duas, et Magistro Benedicto abbaci libras duas _________ f.1 largum, £. 4
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Appendice 2 Abacisti fiorentini, Famiglie di abacisti, Scuole d’abaco a Firenze.
I prospetti riportati sono stati costruiti sulla base di una vastissima documentazione rinvenuta in Archivi e Biblioteche di Firenze, da noi parzialmente pubblicata in questo e in precedenti lavori. Essendo il risultato di una ricerca da tempo avviata e in fase conclusiva, ma ancora in corso, i dati contenuti sono suscettibili di ampliamenti e modifiche. Abbiamo inserito in parentesi quadre quelle notizie che, benché probabili, non sono suffragate da documenti specifici che permettano di stabilirle con assoluta certezza.
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Abacisti fiorentini Presentiamo qui un elenco degli abacisti attivi a Firenze tra l’ultimo ventennio del XIII secolo ed il primo quarantennio del XVI. Per la maggior parte furono maestri d’abaco284. L’individuazione di questi ultimi è possibile in quanto, nei documenti, il loro nome è generalmente seguito dalla qualifica: “dell’abaco”, “maestro d’abaco”, “maestro di aritmetica”, o da equivalenti locuzioni. Spesso è preceduto dal titolo di Maestro; non infrequente, essenzialmente nei secc. XIII-XIV, era anche l’uso del titolo di Ser285 che spettava di regola ai notai e ai preti286 . L’elenco è compilato in ordine cronologico rispetto alla prima data di riferimento287. Iacopo288 Puccio Gherardo di Chiaro289 Moro Ranieri o Neri di Chiaro [Vanni Berto di Moro Diedi di Vanni Davizzo dei Corbizzi Francesco di Berto Peruzzo di Cino Piero di Franco Tommaso di Cino Astolfo di Vanni Tommaso290 Gherardino291
1283-1334 1284 1285-1327 1294 1294-1304 1305] 1305-m.1311/13 1305-1323 1309-1331 1310-m.1322/60 1316-1353 1318 1319 1320-1329 1322-m.1329 1323
284 Su alcuni maestri d’abaco che insegnarono in altre località italiane e che, nei documenti relativi, si dicono “da Firenze” (ma dei quali in Firenze non abbiamo trovato traccia), cfr. Ulivi [2002]. 285 Lo stesso titolo venne attribuito, soprattutto nel Quattrocento, anche ai maestri di scuola elementare e di grammatica. Cfr. in proposito Klapisch-Zuber [1984], p. 774; inoltre qui la nota 159. 286 Negli schemi abbiamo mantenuto il titolo Ser solo per i notai e per un prete. 287 I nomi accompagnati da un asterisco sono quelli di abacisti (accertati o presunti) che quasi sicuramente non furono maestri d’abaco. Per le notazioni usate nello schema si veda anche la nota 26. 288 Rileviamo che i corrispondenti documenti, da noi rintracciati, potrebbero riferirsi a maestri d’abaco diversi, di nome Iacopo. Un maestro Iacopo da Firenze fu insegnante d’abaco comunale a Lucca negli anni 1345-1347, e passò poi ad insegnare a Pisa: cfr. Barsanti [1905], pp. 55, 236. 289 Nel 1312 chiese la nomina a maestro d’abaco e misuratore del Comune di Siena, che gli venne accordata: cfr. Davidsohn [1956-1968], vol. VII (1965), pp. 217-218. 290 Probabilmente Tommaso di Cino. 291 Forse Gherardo di Chiaro.
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Paolo Gherardi Paolo di Piero dell’abaco Iacopo di Duccio Piero292 Alesso Giovanni di Davizzo [dei Corbizzi] Tommaso di Davizzo dei Corbizzi293 Biagio “il vecchio” [Giovanni di Piero Giovanni Antonio di Giusto Mazzinghi Michele di Gianni Biagio di Giovanni Luca di Matteo Matteo di Giusto Don Agostino di Vanni Giovanni di Bartolo Bernardo di Tommaso dei Corbizzi Bonagio Bartolomeo di Francesco Piero di Lapo Foraboschi294 Cristofano di Tommaso dei Corbizzi Verozzo di Giovanni Giraldi295 Domenico d’Agostino Cegia* Mariano di M° Michele Orlando di Piero Tedaldo di Vanni Bonacquisti296 Frate Grazia de’ Castellani* Giovanni del M° Luca Antonio di Salvestro dei Micceri da Figline Lorenzo di Biagio da Campi Bettino di Ser Antonio da Romena Calandro di Piero Calandri Taddeo di Salvestro dei Micceri 292 293
1328 1329-m.1367 1334 1334-m.1338/42 1338 1339-1344 1339-m.1374/75 m.c.1340 1342-m.1364/67] 1350 n.1350/55-m.1385/91 1351-m.1413 1354-m.1397 n.1356-m.1433/36 n.c.1360-m.1430/31 1363-m.1372/75 n.c.1364-m.1440 1365-m.1374/96 1367-1375 1371 1373-1395 1374-1389 1375-1387 n.1386-m.1451/55 n.1387-m.1458 1389 n.c.1391-1438 1392-m.1401 n.1395-m.1436 n.1413/17-m.1445 n.1414-m.1472/80 n.1415/20-1480 n.1419-m.1468 n.1419/22-m.1492
Il padre di Paolo dell’abaco; era forse Piero di Franco. Nel 1339 ebbe l’incarico di maestro d’abaco dal Comune di Siena: cfr. Zdekauer [1894], p.
14.
294 Insegnava privatamente a Venezia nel 1383: cfr. Bertanza, Dalla Santa [1907], pp. 125-128. Fu inoltre maestro d’abaco pubblico a Lucca nel 1386 e probabilmente anche a Genova nel 1394: cfr. Barsanti [1905], pp. 55, 239 e Petti Balbi [1979], p. 67. 295 Negli anni 1382-1383 ebbe un incarico come maestro d’abaco presso il Comune di Lucca: cfr. Barsanti [1905], pp. 55, 239. 296 Nel 1435 era insegnante comunale a San Gimignano e nel 1438 a Volterra. Cfr. Vichi Imberciadori [1980], p. 77 e Battistini [1919], p. 124.
197
Giovanni del Sodo Antonio da Città di Castello Frate Mariotto di Ser Giovanni Guiducci [Francesco di Carlo Macigni*297 Benedetto di Antonio da Firenze Banco di Piero Banchi [Niccolò di Stefano Iacopo di Antonio Grassini298 [Francesco di Donato Michelozzi* Niccolò di Lorenzo [Matteo di Niccolò Cerretani* [Piero di Domenico [Antonio di Taddeo dei Micceri [Santi di Paolo Niccolò di Taddeo dei Micceri Raffaello di Giovanni Canacci Pier Maria di Calandro dei Calandri [Antonio di Iacopo Grassini* Taddeo di Francesco Filippo Maria di Calandro dei Calandri [Puccio di Francesco Giovanni Maria di Iacopo Grassini Marco di Iacopo Grassini Piero di Zanobi [Giuliano di Benedetto da Maiano* Ser Filippo (prete) Bartolomeo di Iacopo Francesco di Leonardo Galigai Giuliano di Buonaguida della Valle Antonio Giovanni del Rosso
297
n.1419/23-m.1500/18 m.p.1427 n.1427-1447 n.1428/31-1458] n.1429-m.1479 n.1433-m.1479 n.c.1435-m.1522] n.1438/40-1497 n.1439/43-m.1525] n.c.1443-m.1475/80 n.1443/45-1495] 1449-m.p.1478] n.c.1450-m.1495/1532] n.c.1452-m.p.1518] n.c.1453-m.1527/32 n.1456-m.1496/1532 n.1457-m.1533/36 n.c.1461-1480] 1462 n.1467-1512 1470] n.c.1470-1503 n.c.1475-1514 n.1478-m.1525 n.1492-m.1527?] 1495-1499 m.1504 c.1505-m.1537 1508-m.1527/38 attivo nel primo trentennio del sec. XVI m.1533
Già dal febbraio 1458 risulta residente a Venezia. Fu maestro d’abaco pubblico a Volterra tra il 1464 ed il 1495. Seguirono il figlio Giovanni Maria nel 1497 e probabilmente anche il figlio Marco nel 1507. Cfr. Battistini [1919], pp. 29, 124. 298
198
Famiglie di abacisti Nella tavola seguente sono evidenziate alcune genealogie familiari di abacisti fiorentini, ossia famiglie che vantarono due o più abacisti.
Chiaro
M° Gherardo
Cino di Bencino
M° Ranieri o Neri
M° Peruzzo
[M° Tommaso]
M° Moro [M°] Vanni
M° Berto M° Francesco
M° Diedi
M° Astolfo M° Bartolomeo
M° Piero [di Franco]
[M°] Giovanni
M° Paolo
199
M° Davizzo dei Corbizzi
M° Tommaso
M° Bernardo
[M° Giovanni]
M° Cristofano
Gianni M° Michele
M° Mariano
una figlia Filippa, moglie di Lorenzo di Niccolò M° Niccolò
200
Matteo di Niccolò Pelacane
M° Luca
Checca, moglie di Piero di Mariano Calandri
M° Giovanni
M° Calandro
Leonarda, moglie di M° Antonio di Salvestro dei Micceri
M° Pier Maria
M° Filippo Maria
Salvestro di Piero dei Micceri
M° Antonio
M° Taddeo
M° Niccolò
[M°] Antonio
Antonio di Giovanni (Grassino)
M° Iacopo
Antonio
M° Giovanni Maria
M° Marco
201
Scuole d’abaco a Firenze Forniamo qui una lista delle scuole d’abaco fiorentine attualmente note ed attive tra la prima metà del Trecento e il primo trentennio del Cinquecento. Abbiamo ritenuto opportuno seguire una classificazione topografica, suddividendole per Quartieri, Gonfaloni e Popoli. I nomi delle singole scuole sono stati attribuiti in base alla loro ubicazione. Per ciascuna è riportata la sequenza dei relativi maestri con l’indicazione del periodo durante il quale si svolse – o si ritiene si sia svolto – il loro insegnamento.
QUARTIERE DI SANTA MARIA NOVELLA GONFALONE DELL’UNICORNO POPOLO DI SANTA TRINITA
- Scuola di Santa Trinita299 [Biagio “il vecchio” e Paolo di Piero [Paolo [Paolo e Michele di Gianni Don Agostino di Vanni Antonio di Giusto Mazzinghi [e Michele] Antonio Antonio [e Giovanni di Bartolo]
?- c.1340] c.1340-1364] 1365-1367/68] 1368-1372/73 [1372/73-1375] [1375-c.1382] [c.1383-1385/91]
Giovanni di Bartolo
1391-[c.1433]
Giovanni e Lorenzo di Biagio da Campi
[c.1433]-1440
Lorenzo
1440-1441/42
299
202
Cfr. qui le pp. 38-39, 44.
Nel 1442 la teneva in affitto un albergatore Mariano di M° Michele e Taddeo di Salvestro dei Micceri
1447 [1443/45-p.1451]
Almeno dal 1451 divenne una bottega di legnaiolo - Scuola del Lungarno300 [Biagio “il vecchio” e Paolo di Piero [Paolo
?-c.1340] c.1340-1364]
[Paolo e Michele di Gianni301
1365-1367/68]
[Biagio di Giovanni e Michele
1367/68-1371]
[Biagio di Giovanni, Michele e Antonio Mazzinghi
1371-1372/73]
[Biagio di Giovanni
1372/73-1385]
[Biagio di Giovanni e Michele
1386-1387]
[Biagio di Giovanni
1387-1388]
Biagio di Giovanni e Luca di Matteo Luca Luca e Giovanni del M° Luca Giovanni del M° Luca Calandro di Piero Calandri
1389-1397 1397-[c.1415] [c.1415]-1427/30 1431-c.1436 1436/40-1442/45
300
Cfr. qui le pp. 39-40, 47. Come si vede, i nomi di Biagio “il vecchio”, Paolo dell’abaco e Michele di Gianni, figurano in relazione allo stesso arco di tempo sia nella Scuola di Santa Trinita che in quella del Lungarno. Benché Paolo dell’abaco sia stato finora sempre associato alla Bottega di Santa Trinita, allo stato attuale delle indagini e sulla base di alcuni documenti, non si può escludere che la sua attività - e quella di altri due maestri a lui legati, Biagio e Michele - si sia invece svolta, durante il suddetto periodo, nella Scuola del Lungarno. 301
203
Tra il 1443 ed il 1445 i locali della scuola furono acquistati da Antonio di Dino Canacci ed incorporati nella sua abitazione - Scuola di Via dell’Inferno Marco di Iacopo Grassini
1514
POPOLO DI SANTA LUCIA D’ OGNISSANTI
- Scuola di Santa Maria della Scala302 Benedetto di Antonio da Firenze
1468 [1458-1469]
GONFALONE DELLA VIPERA POPOLO DEI SANTI APOSTOLI
- Scuola dei Santi Apostoli303 [Michele di Gianni e Luca di Matteo
1375-1385]
[Luca
1386-1387]
[Michele e Luca
1387-1388]
Michele e Orlando di Piero
1389-[c.1405]
Michele e Mariano di M° Michele
[c.1405]-1413
Mariano
1413-1442
Antonio di Salvestro dei Micceri
1442-1445
[Mariano Mariano e Banco di Piero Banchi Mariano, Benedetto di Antonio da Firenze [e Banco] 302 303
204
Cfr. qui le pp. 45-46, 49. Ibidem, pp. 43-45, 49.
1445-1450] 1451 1451/53-1454
Mariano, Banco [e Benedetto]
1454-1457/58
Banco [e Niccolò di Lorenzo]
1458-1479
Taddeo di Salvestro dei Micceri e Niccolò di Taddeo dei Micceri
1480-1492
Niccolò dei Micceri
1492-1519
Niccolò dei Micceri e Piero di Zanobi
1519-1525
Niccolò dei Micceri e Giuliano di Buonaguida della Valle
1525-1527
POPOLO DI SANTA MARIA SOPRA PORTA
- Scuola di Piazza dei Pilli304 Calandro di Piero Calandri
d.1447-1452, d.1452-1461/63
Nel 1447 la teneva in affitto il pittore Giovanni di Giovanni, detto Scheggia La scuola venne chiusa prima dell’agosto 1469
GONFALONE DEL LEON ROSSO POPOLO DI SAN MINIATO TRA LE TORRI
- Scuola della Corticina dell’abaco305 Calandro di Piero Calandri [Benedetto di Antonio da Firenze Pier Maria di Calandro dei Calandri [e Filippo Maria di Calandro dei Calandri]
1463-1468 1469-1479] p.1480-1506
Nel febbraio del 1507 la bottega fu venduta ai Capitani di Parte Guelfa 304 305
Ibidem, pp. 47-48. Ibidem, pp. 48-49.
205
POPOLO DI SANTA MARIA DEGLI UGHI
- Scuola di Via dei Ferravecchi306 Giovanni del Sodo
1493-1500
La scuola cessò la propria attività prima del settembre 1502
QUARTIERE DI SANTA CROCE GONFALONE DEL CARRO POPOLO DI ORSANMICHELE
- Scuola di Orsanmichele307 Benedetto di Antonio da Firenze [e Bettino di Ser Antonio da Romena]
1448-1451
Fino all’ottobre del 1448 e dal novembre 1451 fu una scuola di grammatica POPOLO DI SAN PIERO SCHERAGGIO
- Scuola di Piazza del Vino308 Niccolò di Taddeo dei Micceri
GONFALONE DELLE RUOTE POPOLO DI SANTA MARIA E STEFANO ALLA BADIA
- Scuola della Badia fiorentina309 306 307 308 309
206
Ibidem, p. 51. Ibidem, pp. 41-42. Cfr. la nota 164. Cfr. qui p. 42.
1475
Bettino di Ser Antonio da Romena e Lorenzo di Biagio da Campi
1452-1456
POPOLO DI SAN PIER MAGGIORE310
- Scuola verso Borgo Pinti311 Francesco di Leonardo Galigai e Giuliano di Buonaguida della Valle
1519-1522
GONFALONE DEL LEON NERO POPOLO DI SAN ROMEO (o REMIGIO)
- Scuola verso Piazza Peruzzi Iacopo
1334
- Scuola di Via dei Rustici312 Antonio [di Taddeo dei Micceri]
primo trentennio del sec. XVI
QUARTIERE DI SAN GIOVANNI GONFALONE DEL VAIO POPOLO DI SANTA MARGHERITA DE’ RICCI
- Scuola di Santa Margherita313 Antonio di Giusto Mazzinghi, Tommaso di Davizzo dei Corbizzi e Bernardo di Tommaso dei Corbizzi
1370-1371
310 Segnaliamo che il Popolo di San Pier Maggiore faceva parte anche del Quartiere di San Giovanni. 311 Cfr. la nota 189. 312 Cfr. la nota 164. 313 Cfr. la nota 141.
207
Tommaso, Bernardo [e Cristofano di Tommaso dei Corbizzi]
1371-1376
POPOLO DI SANTA MARIA DEGLI ALBERIGHI
- Scuola al Canto de’ Ricci314 di Giovanni Canacci [ Raffaello e Marco di Iacopo Grassini Iacopo di Antonio Grassini [e Marco]
1493-1494] 1495-?
GONFALONE DEL DRAGO VERDE POPOLO DI SAN MICHELE BERTELDI
- Scuola di Piazza Padella315 [Benedetto di Antonio da Firenze
1452-1464]
Nel 1469 era una scuola di primo livello Nel 1470 la casa che aveva ospitato la scuola fu acquistata da Antonio del Pollaiolo
QUARTIERE DI SANTO SPIRITO GONFALONE DEL DRAGO VERDE POPOLO DI SAN FREDIANO
- [Scuola di Via San Salvatore]316 [Lorenzo di Biagio da Campi
314 315 316
208
Ora Canto di Croce Rossa. Cfr. qui p. 49. Cfr. la nota 157.
1458-1469]
GONFALONE DEL NICCHIO POPOLO DI SAN IACOPO SOPR’ ARNO
- Scuola di Borgo San Iacopo Raffaello di Giovanni Canacci
1495
GONFALONE DELLA SCALA POPOLO DI SANTA MARIA SOPR’ ARNO
- Scuola di Via de’ Bardi317 Ser Filippo
317
1495-1499
Cfr. la nota 187.
209
Elenco delle sigle AOIF: AOSMFF: ASF: BANLR: BAV: BCS: BCUNY: BLO: BMLF: BMV: BNF: BNP: BNR: BRF: BUB:
210
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Indice dei nomi di persona
Adovardo, setaiolo, 17, 121 Agli (degli), famiglia, 17, 25, 47, 49 Agli (degli), Carlo di Bindo, 15, 47, 67, 69, 70, 73, 83 Agli (degli), Francesco di Gerozzo, 84 Agli (degli), Giovanni di Bindo, 15, 47, 67, 69, 71, 73, 83 Agli (degli), Lotto di Niccolò di Lotto, 25, 98, 99, 100 Agli (degli), Niccolò di Lotto, 99 Agli (degli), Onofrio di Niccolò di Lotto, 99 Agli (degli), Rinaldo di Bindo, 15, 47, 67, 69, 70, 73, 83 Agnola, presso la famiglia Tinghi, 81 Agnolo, presta cavalli, 134 Agnolo di Mone da Marti, 138 Agostino di Marco di Puccio, 128, 129, 162 Agostino di Vanni, don, maestro d’abaco, 39, 197, 202 Aiuto (d’), Francesca di Cenni, 44 Aiuto (d’), Mattia di Cenni, notaio, 93 Alberti (degli), Calvo, 8 Albizzo di Piero, scalpellatore, 76 Alesso, maestro d’abaco, 197 Alesso di Iacopo, rigattiere, 136, 163 Amadore di Iacopo di Angelo, 90 Ambra (da), Bartolomeo, di Ser Francesco, 100 Ammannati, Lorenzo di Ridolfo, abate di S. Baronto, 27, 156 Andrea, cimatore, 191 Andrea, gualchieraio, 191 Andrea (detto il Duca), lavorante di terre, 71, 78 Andrea di Andrea di Domenico, 19, 20, 24, 30, 75, 81, 82, 103, 105, 106, 107, 108, 109, 110 Andrea di Ser Angelo da Terranova, notaio, 110, 111, 112, 113, 115, 116, 117, 118, 119 Andrea di Domenico, 103 Andrea di Iacopo di Lunigiana, frate, 127 Andrea di Lorenzo di Antonio di Cristofano, cartolaio, 19, 20, 21, 24, 26, 30, 81, 103, 105, 109, 110, 111 Andrea di Manetto, notaio, 101 Andrea di Simone, presbitero, 85 Andrea di Stefano, 46 Angelo di Lorenzo di Cecco, 82 Angeni, Francesco, 80 Antella (dell’), Tommaso di Piero, 138 Antinelli (degli), Giovanfrancesco da Turdeto, dottore in legge, 113 220
Antinori, Antonio di Tommaso, 125 Antonia di Francesco di Ser Bindo, 82 Antonia di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 20, 24, 30, 82, 109, 110 Antonio, filatoiaio, 189 Antonio, frate, 135 Antonio, maestro d’abaco, 45, 198 Antonio, prete di San Donato a Menzano, 64 Antonio (Zuffulacchio), messo del Tribunale della Mercanzia, 120 Antonio da Città di Castello, maestro d’abaco, 198 Antonio da Gagliano, 138 Antonio da Rabatta, banchiere, 99 Antonio del Pollaiolo: v. Benci Antonio di Andrea, 68, 71 Antonio di Antonio di Ser Andrea di Bartolo, 90 Antonio di Bartolomeo, 98 Antonio di Cristofano di Guido (detto il Rosso), tessitore, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23, 24, 25, 29, 30, 31, 42, 47, 56, 57, 62, 63, 65, 66, 67, 69, 70, 72, 73, 74, 75, 83, 84, 85, 87, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 97, 99, 100, 101, 104, 105, 106, 111, 112, 115, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 182, 183, 184, 185, 186, 187 Antonio di Francesco, notaio, 83 Antonio di Francesco di Ser Bindo, 82 Antonio di Giovanni (detto Grassino), 201 Antonio di Giovanni di Niccolò, filatoiaio, 103 Antonio di Giovanni di Roselli d’Arezzo, maestro di grammatica, 43 Antonio di Giovanni di Stefano (detto il Basso), 94 Antonio di Guglielmo da Torre di Valdipesa, 43 Antonio di Iacopo (detto il Matto), vinattiere, 137, 140, 161, 162, 171 Antonio di Paolo da Camiano, 97, 120 Antonio di Perticino, 181 Antonio di Reddito, pettinaio, 64 Antonio di Salimbene di Bartolomeo (o di Bancolino), legnaiolo, 94, 193 Arcangiolo di Domenico, correggiaio, 86 Argiropulo, Giovanni, 8 Astolfo di Vanni, maestro d’abaco, 196, 199 Baldassarre, dipendente del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 132 Baldassarre del Grasso, setaiolo o albergatore, 67, 68, 70, 71, 97 Baldassarre di Antonio di Ser Bernardo, legnaiolo, 88 Baldassarre di Iacopo di Stefano, tessitore, 96 Baldino, prete di San Iacopo a Montecarelli, 66 Baldo, fabbro, 73 Baldo, linaiolo, 73 Baldo, pittore, 151, 171 Baldo di Bartolomeo, 62, 64, 65 Baldo di Simone, linaiolo, 25, 67, 70 Bambo (del), Michelozzo, 176 Bambocci, Andrea, famiglio della Signoria, 102 Banchi, Agostino di M° Banco di Piero, 44 Banchi, Andrea di M° Banco di Piero, notaio, 44 Banchi, Banco di Piero, maestro d’abaco, 43, 44, 45, 53, 198, 204, 205 Banchi, Gianna di M° Banco di Piero, 44 221
Banchi, Maria di M° Banco di Piero, 44 Banchi, Piero di M° Banco di Piero, 44 Bancozzi, Niccolò di Vieri, 136, 165 Barbigia (del), Niccolò di Giovanni di Sandro, lanaiolo, 27, 160, 174 Bardani, Francesco, ceraiolo, 139 Bardi (dei), Gualtiero, 64 Bardi (dei), Iacopo, 15, 63 Bardi (dei), Piero, 64 Baroncelli, Baroncello di Leonardo, 84 Baroncini, Francesco, 139 Bartolini, Bartolomeo di Leonardo, banchiere, 27, 147, 149, 152, 154, 173, 174, 175 Bartolino, legnaiolo, 92 Bartolino, pizzicagnolo, 137, 164 Bartolomei, Antonio, notaio, 100 Bartolomei, Giovanni, notaio, 118 Bartolomeo, 135, 136 Bartolomeo, (detto Larciano), filatoiaio, 181 Bartolomeo di Andrea di Domenico, 19, 105 Bartolomeo di Berto, 103 Bartolomeo di Francesco, maestro d’abaco, 197, 199 Bartolomeo di Iacopo, maestro d’abaco, 198 Bartolomeo di Nardo, 103 Benci, Antonio di Iacopo, 26, 101, 208 Benci, Benci di Niccolò, 125 Benci, Giovanni di Iacopo, 26 Benci, Piero di Iacopo, 26 Bencioni, Lorenzo, 126 Bene (del), Francesco di Vieri, 101 Benedetta (vedova di Lodovico di Santi), 29 Benedetto, maestro d’abaco a Brescia, 8 Benedetto, scalpellino, 134 Benedetto di Domenico Pialla, pittore, 45 Benino (del), Neri, Ufficiale di Notte, 191 Benintendi, Francesco di Giuliano, ceraiolo, 28, 136, 137, 169, 173, 175, 177, 178 Benintendi, Giovanni di Giuliano di Iacopo, ceraiolo, 29, 143 Benozzi, Gino, pittore, 45 Bernardino, don, 140 Bernardo del M° Galileo, 70 Bernardo di Ser Cetto di Ser Agnolo da Loro, notaio, 127, 129 Berto di Moro, maestro d’abaco, 196, 199 Berzi, Core di Iacopo, 77 Bettini, Lisabetta di Banco, 32, 188 Biagio “il vecchio”, maestro d’abaco, 39, 40, 53, 197, 202, 203 Biagio di Giovanni, maestro d’abaco, 40, 53, 197, 203 Bicci di Lorenzo, pittore, 42 Biondo di Lorenzo, 107 Bisticci (da), Vespasiano, 43 Bonacquisti, Tedaldo di Vanni, maestro d’abaco, 197 222
Bonagio, maestro d’abaco, 197 Bonaparte, Luigi, 47 Boni (dei), Bono di Giovanni, cambiavalute, 25, 95, 140 Bono di Nardo (o di Marco), messo, 119, 142 Borghini, Giovanni, 138 Botticelli, Sandro, 45 Braccio, rigattiere, 136 Bramangeri: v. Mangeri Brancacci, compagnia, 17, 84 Brancacci, Felice, setaiolo, 17, 62, 64, 65, 68, 71 Brancacci, Giuliano di Giuliano, 75, 76, 77, 79, 80 Brunelleschi, Filippo, 15, 16, 63, 67, 69, 70, 73, 84, 99 Bruni, Carlo di Donato, 140, 150 Bruni, Leonardo, 26, 27 Bruni, Leonardo di Donato di Leonardo, priore, 27, 130, 131, 135, 137, 138, 139, 143, 144, 149, 150, 153, 154, 155, 157, 158, 161, 164, 167, 168, 180 Bruni, Lucia di Matteo, 93 Bruni, Marietta di Donato di Leonardo, 150 Bruni, Piero di Donato di Leonardo, 26, 27, 102, 129, 142, 173, 174, 178, 179 Buonaccorsi, Benedetta di Simone di Onofrio, 99 Buono (del), Geri, 114 Buriani, Giovanna di Corso di Iacopo, 82 Busi, Marco, lavorante di terre, 80 Calandri, famiglia, 47, 48 Calandri, Antonio di Pier Maria, 48 Calandri, Antonio di Piero di Mariano, merciaio, 17, 119, 120 Calandri, Calandro di Pier Maria, 48 Calandri, Calandro di Piero di Mariano, maestro d’abaco, 7, 17, 38, 39, 40, 43, 47, 48, 49, 53, 58, 119, 120, 197, 201, 203, 205 Calandri, Filippo Maria di Calandro, maestro d’abaco, 40, 48, 198, 201, 205 Calandri, Mariano di Calandro, 40 Calandri, Pier Maria di Calandro, maestro d’abaco, 13, 40, 48, 49, 51, 198, 201, 205 Calandri, Piero di Mariano, 201 Calandri, Selvaggia di Calandro, 40 Calcagni, Piero di Francesco, beccaio, 103 Cambi, Bernardo di Giovanni di Domenico, mercante, 25, 74, 97, 98, 99 Cambini, compagnia, 19 Cambini, Cambino di Niccolò, linaiolo, 19, 85 Canacci, Antonio di Dino di Francesco, 47, 204 Canacci, Raffaello di Giovanni, maestro d’abaco, 198, 208, 209 Canchi, Iacopo, 93 Capponi, Cappone di Neri, 41, 181 Capponi, Gino, 41 Capponi, Neri di Gino, 41 Capponi, Rocco, 125 Carboni, Iacopo di Antonio, stufaiolo, 33, 93 Carlo, tessitore, 138 Carnesecchi, Berto, 65, 66, 68, 69, 71, 73 Carnesecchi, Francesco di Berto, 114, 125 223
Carnesecchi, Giovanni di Niccolò, 62, 64 Cascesi, Apollonio di Francesco, cappellano, 41, 182, 183, 184 Castellani (de’), Frate Grazia, teologo ed abacista, 38, 53, 197 Caterina (moglie di Andrea di Girolamo Laurentini), 24 Caterina di Francesco di Santi, 50 Cavalcanti, Andrea di Lazzaro (detto il Buggiano), 16, 99 Cavalcanti, Matteo di Angelo (detto Malatesti), 41, 181 Cefferello (di), Giovanni, 74 Cegia (o Ciegia o Del Cegia), famiglia, 49 Cegia, Agostino di Domenico, vaiaio, 49, 50 Cegia, Caterina di Domenico, 50 Cegia, Domenico d’Agostino, vaiaio ed abacista, 12, 49, 50, 52, 58, 59, 197 Cegia, Filippo di Domenico, vaiaio, 49, 50, 97 Cegia, Francesco d’Agostino, 49 Cepperello (da), Benedetto, notaio, 8 Cerretani, Matteo di Niccolò, 198 Cervagio di Agnolo, 32, 188 Cetto di Bernardo di Ser Cetto da Loro, notaio, 82, 104, 105, 108, 128 Checca (vedova di Vieri di Filippo Bancozzi), 135, 136, 159, 160, 165 Checca del M° Luca di Matteo, 17, 39, 201 Checco di Matteo, 16, 74 Chiaro (padre dei maestri Gherardo e Ranieri), 199 Chimenti da Monte Loro, 139 Chini, Niccolò, 50 Ciacchi, Bartolomeo, lanaiolo, 27, 37, 151, 152, 171, 172, 174, 176 Ciacchi, Tommaso di Scolaio, 50 Ciardi, Ricciardo di Benedetto, notaio, 100, 119 Cicca (del), Zanobi di Zanobi di Niccolò, 26, 101 Cienfanelli, Vannino di Meo, da Sansepolcro, 126 Cilia (vedova di Buonaccorso di Niccolò Latini), 74 Cini, Niccolò di Bartolo, 181 Cino di Bencino, 199 Cipriano, pittore, 75 Clara di Ricco di Santi, 82 Clemente di Zanobi, legnaiolo, 86 Cofacia (del), Maziale di Marco, 114 Corbinelli, Tommaso di Agnolo, 20, 123 Corbizzi (dei), Bernardo di Tommaso, maestro d’abaco, 39, 197, 200, 207, 208 Corbizzi (dei), Cristofano di Tommaso, maestro d’abaco, 197, 200, 208 Corbizzi (dei), Davizzo, maestro d’abaco, 196, 200 Corbizzi (dei), Tommaso di Davizzo, maestro d’abaco, 39, 197, 200, 207, 208 Corda di Michele, lavorante di drappi, 64 Corso di Adamo da Campiano, 16, 74 Costanza [moglie di Pier Maria Calandri], 48 Cresci di Marco di Cresci, mugnaio a Scandicci, 126 Cristofano di Andrea da Laterino, notaio, 82, 83 Cristofano di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Cristofano di Guido (o Guidone), 14, 24, 61, 62, 83 Cristofano di Guido di Torello, 14 Cristofano di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 24, 109, 111 224
Cristoforo di Bartolomeo, monaco di San Salvatore a Settimo, 108 Cristoforo di Viva di Cristoforo, di Caprese, 102 Dannono, Martino di Giovanni, di Lombardia, 28, 143, 144 Davanzati, Niccolò di Giovanni, 20, 123 Dei, Benedetto, 46 Deti, famiglia, 38, 40 Diedi di Vanni, maestro d’abaco, 196, 199 Dimizio (detto Orbo), 191 Dini, Antonio di Michele di Feo, 26, 34, 100, 101 Dini, Cristofano di Luca, tessitore, 88 Dini, Matteo di Ser Niccolò di Feo, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 188 Domenico, 194 Domenico, frate, 63 Domenico di Cione, dell’Arte degli Albergatori, 93 Domenico di Domenico da Prato, legnaiolo, 36, 192, 193, 194 Domenico di Gualberto, calzolaio, 25, 34, 123 Domenico di Lorenzo, 86 Domenico di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 24, 109, 111 Domenico di Michelino, 8 Domenico di Niccolò, rettore della Chiesa di San Lorenzo, 86 Domenico di Piero, calzolaio o linaiolo, 15, 94, 96 Domenico di Ser Santi, notaio, 188 Donato, imbiancatore, 178 Donato di Salvuccio di Guido, lavorante di terre, 62, 64, 65, 68 Enclide, 51 Fantappié, 144 Fantini, monsignore, 32, 188 Fazi, Simone di Ser Antonio, merciaio, 64 Federici, Domenico di Iacopo, 79 Federigi (dei), Paolo di Iacopo, 33, 87 Ferrini, Niccolò, notaio, 74 Filippa (nipote di M° Michele), 200 Filippo, prete, maestro d’abaco, 51, 198, 209 Filippo di Bono di Filippo, tessitore, 90 Filippo di Ser Giovanni di Ser Piero, tessitore, 88 Fini, Tommaso di Iacopo, 99 Fio di Luca, cuoco, 133, 168 Fioraia (della), Giuliano di Piero di Filippo, 144 Fiordalisi, Piero di Matteo, galigaio, 25, 34, 123, 124 Fiorini, Cosimo, 81 Foraboschi, Piero di Lapo, maestro d’abaco, 197 Formiconi, Simone di Giorgio, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 183, 184 Fortini, Bartolomeo di Ser Giovanni, notaio, 105 Fortuna (da), Albizzo, 151, 155, 171 Fortuna (da), Francesco d’Albizzo, 28, 169, 175, 176 Fortuna (da), Giovanbattista d’Albizzo, notaio, 27, 28, 136, 169, 174, 175, 176 Fortuna (da), Luca d’Albizzo, 169, 173, 176 Francesca, greca, meretrice, 34, 103 Francesca o Checca di Francesco di Ser Bindo, 82 Franceschi, Giovanni di Ser Luca, 77 225
Francesco, araldo, 8 Francesco, don, 153, 157 Francesco d’Agostino, 170 Francesco di Ser Ambrogio, 114 Francesco di Berto, maestro d’abaco, 196, 199 Francesco di Ser Bindo di Francesco, da Montevarchi, 82 Francesco di Cambio, carradore, 136, 161 Francesco di Duccio di Giovanni, presbitero, 109 Francesco di Ser Feo d’Arezzo, maestro di grammatica, 43 Francesco di Gentile, 190 Francesco di Giovanni (detto il Francione), 36 Francesco di Ser Giovanni, dell’Arte degli Albergatori, 93 Francesco di Lorenzo, legnaiolo, 88 Francesco di Marco, 101 Francesco di Marco di Salvuccio, 75 Francesco di Niccolò di Panunzio, 141, 166 Francesco di Pasquino di Niccolò, 92 Franchino di Giovanni di Franchino, da Sansepolcro, 126 Francioso, Antonio di Giovanni, barbiere, 136, 148, 172 Franco, cappellano di San Michele Visdomini, 28, 170, 178 Frosini, Francesco, bottaio, 86, 190 Gabriele, frate dei Servi di Maria, 81 Gabrielli, Niccolò, notaio, 83 Gaiole (da), Giovanni, 36, 143 Galigai, Francesco di Leonardo, maestro d’abaco, 51, 56, 198, 207 Gambini, Luigi, notaio, 27, 137, 161 Ganucci, famiglia: v. Cegia Gardi, Michele di Lodovico, 85 Gasparre, bicchieraio, 168 Gasparre di Niccolò, 85 Gerini, Antonio, lanaiolo, 27, 179 Geronimo di Salvestro, 97 Gherardi, Paolo, abacista, 197 Gherardino, maestro d’abaco, 196 Gherardo di Chiaro, maestro d’abaco, 196, 199 Ghini, don Piero, del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 35, 179 Gianfigliazzi, famiglia, 47 Gianni (padre di M° Michele), 200 Ginevra (moglie di Giovanbattista di Andrea Laurentini), 24 Ginori, Gino, 157, 171 Giocondo (del), Andrea di Antonio, tessitore, 27, 149, 175, 178 Giocondo (del), Domenico di Andrea di Antonio, 150, 175 Giocondo (del), Domenico di Zanobi, tessitore, 27, 149, 150 Giocondo (del), Niccolò di Domenico, 175, 178 Giordano di Iacopo, rigattiere, 37, 136, 145, 162, 166, 170, 179 Giovanni, fornitore del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 138 Giovanni, maestro, 83 Giovanni, maestro d’abaco, 197 Giovanni del M° Luca di Matteo, maestro d’abaco, 40, 197, 201, 203 Giovanni di Antonio di Cristofano, 15, 17, 18, 19, 23, 24, 29, 30, 31, 63, 65, 226
66, 67, 69, 72, 73, 81, 85, 88, 91, 92, 97, 99, 104, 105, 106, 107, 111, 112 Giovanni di Antonio di Domenico, 90 Giovanni di Bartolo, maestro d’abaco, 38, 39, 42, 52, 53, 197, 202 Giovanni di Bernardo, 68 Giovanni di Cecco, 17 Giovanni di Davizzo, maestro d’abaco, 197, 200 Giovanni di M° Giovanni (detto Scheggia), pittore, 205 Giovanni di Giuliano di Lorenzo (detto il Grassina), ritagliatore, 100 Giovanni di Ser Matteo, notaio, 82 Giovanni di Matteo di Masino, 159, 170 Giovanni di Niccolò, ferravecchio, 85 Giovanni di Pace, legnaiolo, 88 Giovanni di Piero (fratello di Paolo dell’abaco), 197, 199 Giovanni di Piero di Antonio, calzolaio, 103 Giovanni di Rinaldo, stufaiolo, 93 Giovanni di Simone, 16, 74 Giovanni Battista di Bartolomeo di Andrea, 103, 105 Giraldi, Verozzo di Giovanni, maestro d’abaco, 197 Girolamo (cognato di Don Piero di Iacopo), 180 Giugni, Francesco di Antonio, 26 Giuliana, serva, 81 Giuliano di Antonio, calzolaio, 83 Giuliano di Arrigo, calzolaio, 175 Giunta di Lippo da Montegonzi, 61, 62 Gori, Benedetto, 176 Grassini, Antonio di Iacopo, 198, 201 Grassini, Giovanni Maria di Iacopo, maestro d’abaco, 198, 201 Grassini, Iacopo di Antonio, maestro d’abaco, 198, 201, 208 Grassini, Marco di Iacopo, maestro d’abaco, 198, 201, 204, 208 Guardi, Battista di Ser Francesco, notaio, 57, 58, 59 Guardi, Benedetto di Ser Francesco, banchiere, 57, 58, 59 Guardi, Bernardo di Guardi, lanaiolo, 57, 58, 59 Guardi, Francesco, notaio, 58 Guardi, Guido di Ser Francesco, 58 Guelfo di Guido, messo del Tribunale della Mercanzia, 120 Guerrucci, Michele di Piero, 75 Guerrucci, Piero di Michele, 76, 77, 79 Guglielmo, marruffino, 25, 73 Guidetti, Giovanni, 106 Guido (bisnonno di M° Benedetto), 24 Guido di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Guido, o Guidone, di Lorenzo di Antonio di Cristofano, monaco, 19, 20, 21, 24, 109 Guiducci, Giovanni, notaio, 14, 61 Guiducci, Frate Mariotto di Ser Giovanni, maestro d’abaco, 14, 53, 198 Guittone d’Arezzo, fra’, 27 Iacopo, maestro d’abaco, 196, 207 Iacopo di Antonio, 85 Iacopo di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Iacopo di Bartolomeo, di Corella, treccone, 102 227
Iacopo di Duccio, maestro d’abaco, 197 Iacopo di Giovanni, notaio, 82 Iacopo di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 20, 24, 109, 111 Iacopo di Matteo di Salvuccio o Salvino (detto il Sordo), 73, 81, 106, 180 Iacopo di Simone da Pesaro (oTerni), maestro di grammatica, 43, 181, 182, 183 Imperio, Piero di Giovanni, mugnaio, 191 Istagio, calzolaio, 75 Lapi, Bartolomeo, 148 Lapi, Michele di Niccolò, vaiaio, 77 Lapi, Zanobi di Giovanni, cartolaio, 20, 24, 109, 110 Latini, Buonaccorso di Niccolò, 70, 74 Laurentini, famiglia, 21 Laurentini, Andrea di Giovanbattista, 24 Laurentini, Andrea di Girolamo, 24 Laurentini, Andrea di Paolo, 24 Laurentini, Francesca di Giovanbattista, 24 Laurentini, Francesca di Paolo, 24 Laurentini, Francesco di Vincenzo, 24 Laurentini, Giovanbattista di Andrea, 20, 21, 24, 30, 82 Laurentini, Giovanni di Girolamo, 24 Laurentini, Girolamo di Andrea di Giovanbattista, 24 Laurentini, Leonardo di Paolo, 24 Laurentini, Paolo di Andrea di Giovanbattista, orafo, 21, 24 Laurentini, Vincenzo di Andrea, 20, 21, 24, 30, 82 Laurentini, Zanobi di Girolamo, 24 Lenzi, Antonio di Niccolò, notaio, 74 Leonarda di M° Giovanni, 40, 201 Leonardo di Francesco di Ser Bindo, 82 Leonardo di Ser Piero da Vinci, 7, 8, 35, 52 Liberali, famiglia: v. Agli Liena, messo de Tribunale della Mercanzia, 123 Lippi, Mariotto di Ginozzo, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 184, 185 Lodovico di Santi, sellaio, 29, 143, 178 Lorenzo, pizzicagnolo, 191 Lorenzo di Ser Agnolo da Terranova, notaio, 18, 121, 122 Lorenzo di Antonio di Cristofano, tessitore, 15, 17, 19, 20, 23, 24, 29, 30, 31, 33, 63, 65, 66, 73, 89, 90, 91, 93, 98, 103, 105, 106, 108, 109, 111, 123, 124, 125 Lorenzo di Biagio da Campi, maestro d’abaco, 39, 42, 43, 53, 197, 202, 207, 208 Lorenzo di Cecco da Montevarchi (detto il Conte), 82 Lorenzo di Lorenzo, calzolaio, 130 Lorenzo di Niccolò, 200 Lorenzo di Piero, correggiaio, 86 Lorenzo di Piero di Andrea (detto Cavallino), tavolaccino, 142 Lorenzo di Neri di Agnolo, 125 Lorenzo Monaco, fra’, 27 Lorini, Giovanni di Bonaiuto, 145, 148, 175 Luca, legnaiolo, 193 Luca di Antonio da San Gimignano, maestro di grammatica, 43, 184, 185 Luca di Antonio di Cristofano, 15, 18, 23, 24, 63, 65, 66, 67, 69, 89 Luca di Donato di Salvuccio, lavorante di terre, 68 228
Luca di Matteo Pelacane, maestro d’abaco, 39, 40, 44, 48, 53, 197, 201, 203, 204 Luca di Tano, 129 Luca Domenico di Michele, mercante di asini, 17, 120 Lucrezia di Ser Agnolo da Terranova, 40 Macigni, Francesco di Carlo, 198 Maddalena (moglie di Girolamo Laurentini), 24 Maddalena di Luca di Antonio, 18, 24, 89 Maffeo, fornitore del Convento di Santa Maria degli Angeli, 133 Magna (della), Bartolomeo, 139 Magna (della), Rinaldo di Giovanni di Rinaldo, tessitore, 27, 136, 139, 146, 151, 156, 163, 173, 174 Maiano (da), Benedetto di Leonardo, 36 Maiano (da), Giuliano di Benedetto, 36, 198 Maiano (da), Giuliano di Leonardo, 36 Mancini (dei), Antonio: v. Micceri, 53 Mancino, speziale, 180 Mangeri, Niccolò, notaio, 14, 68, 71, 73, 82, 83 Manzoni, Alessandro, 47 Marchionne di Filippo, sensale, 138, 141, 142 Marco di Baldo, prete, 25, 47, 49, 73 Marco di Domenico di Feo, ferravecchio, 127, 128 Margherita (moglie di Martino di Giovanni Dannono), 28, 143, 144 Margherita di Zanobi da Gagliano, 24 Maria di Lorenzo, stagnaio, 50 Maria di Lorenzo di Cecco, 82 Mariano di Andrea di Totto, del Mugello, 99 Mariano di M° Michele di Gianni, maestro d’abaco, 39, 43, 44, 45, 53, 56, 190, 197, 200, 203, 204, 205 Mariano di Stefano di Nese, forbiciaio, 62, 64, 65, 66, 68, 69, 71, 73 Marino, 140 Mariotto di Marco, speziale alla Palla, 27, 175 Marmocchi, Carlo, 8 Marsuppini, famiglia, 12, 55 Marsuppini, Carlo, 27 Marsuppini, Iacopo di Lorenzo di Iacopo, 55 Martelli, Geronimo di Antonio, 194 Martini, Antonio, 144 Martini, Giovanni di Antonio, 85 Martini, Matteo di Paolo da Pulicciano, 148, 174 Maruscelli, Salvestro di Andrea, 80, 114 Masaccio, 17 Masi, Bartolomeo, calderaio, 51 Masini, Masino di Giovanni, 191 Masini, Migliore di Manetto, notaio, 105 Masini, Piero di Niccolò, 159 Masino di Baldo, 80, 114 Maso di Grazia: v. Tommaso Maso di Piero dell’Antella, 138 Masolino da Panicale, 17 Masolo di Baldo, 114 229
Matteo di Domenico di Matteo, lavorante di terre, 126 Matteo di Francesco di Ser Bindo, 82 Matteo di Giusto, maestro d’abaco, 197 Matteo di Lorenzo, orafo, 27, 150, 172 Matteo di Niccolò, lavorante di drappi, 64 Matteo di Niccolò Pelacane, 201 Matteo (o Teo), di Salvuccio di Guido, lavorante di terre, 62, 64, 65, 66, 68, 69, 71 Matteo di Tano di Bartolomeo, legnaiolo, 85, 92, 100 Mauro, frate, 130, 131, 132, 140, 166, 167, 168 Mazza (del), Antonio, orafo, 27, 28, 145, 146, 154, 156, 158, 166, 171 Mazzinghi, Antonio di Giovanni del M° Antonio, 79, 80 Mazzinghi, Antonio di Giusto, maestro d’abaco, 39, 40, 52, 53, 56, 79, 197, 202, 203, 207 Medici (de’), Cosimo di Giovanni, 27 Medici (de’), Giuliano di Lorenzo, 49 Medici (de’), Giuliano di Piero, 49 Medici (de’), Lorenzo di Piero, 27, 46, 49 Medici (de’), Nannina di Piero, 46 Megli, Giovanni, stufaiolo, 93 Meo di Cambio, 97 Meo di Fio, ortolano, 130, 132 Meo di Paolo, 190 Mellini, Francesco, 58 Merini, Guglielmo di Vanni, notaio, 126 Micceri (dei), famiglia, 48, 53 Micceri (dei), Antonio di Salvestro, maestro d’abaco, 14, 39, 40, 44, 53, 197, 201, 204 Micceri (dei), Antonio di Taddeo, 198, 201, 207 Micceri (dei), Niccolò di Taddeo, maestro d’abaco, 45, 198, 201, 205, 206 Micceri (dei), Salvestro di Piero, 201 Micceri (dei), Taddeo di Salvestro, maestro d’abaco, 39, 44, 45, 53, 197, 201, 203, 205 Michael Scotus, 42 Michele di Antonio, notaio, 122, 124 Michele di Monna Diana, 137 Michele di Gianni, maestro d’abaco, 39, 40, 44, 53, 56, 197, 200, 202, 203, 204 Michele di Lorenzo, linaiolo, 27, 136, 165, 172 Michele di Niccolò di Giovanni, da Ravenna, 99 Michelozzi, Francesco di Donato, 198 Migliorelli, Giovanni, notaio, 142 Migliorelli, Luca di Iacopo di Piero, 28, 29, 140, 141, 178 Mimuli, Pietro di Ser Andrea, notaio, 104 Monciatto, Francesco, 36 Mone, proprietario di terre a Cambiano, 98 Monte di Iacopo di Monte, camarlingo della Compagnia del Bigallo, 185, 186 Moretti (de’), Michele di Simone, ortolano, 132, 134, 135, 137, 138, 140, 167, 169 Moro, maestro d’abaco, 196, 199 Moschini, Bartolomeo, 98 230
Mostaccio (del), Santi, pollaiolo, 86 Nacchianti, Andrea di Cristofano, notaio, 51 Nacchianti, Cristofano di Piero, 51 Naldi, Francesco di Giovanni, 26, 102 Nanna di Iacopo, 20, 24 Nanna di M° Michele di Gianni, 43 Nanna di Toni, 97 Nanni di Lodovico, 83 Nannina (moglie di Vincenzo di Andrea Laurentini), 24 Nemi, Nofri di Paolo, notaio, 181 Nencio di Angelo, 93 Neri: v. Ranieri Neri di Bicci, pittore, 42 Niccolò, messo del Tribunale della Mercanzia, 124 Niccolò, rettore dalla Chiesa di San Lorenzo, 86 Niccolò, treccone in Mercato Vecchio, 147 Niccolò di Ser Biagio da Castelnuovo, 74 Niccolò di Domenico di Benedetto, pettinaio, 90 Niccolò di Francesco (Niccolò delle tarsie), legnaiolo, 126 Niccolò di Giovanni da Catalogna, maestro di grammatica, 43, 181, 182, 183 Niccolò di Lorenzo, maestro d’abaco, 45, 198, 200, 205 Niccolò di Panunzio, rigattiere, 76 Niccolò di Pietro, cappellano della Chiesa di San Michele Berteldi, 88 Niccolò di Stefano, 198 Nobili (dei), Francesco di Bartolomeo, 47 Nobili (dei), Zanobi di Bartolomeo, 47 Nofri, 137 Nofri di Gherardo, messo del Tribunale della Mercanzia, 120 Orlando di Piero, maestro d’abaco, 44, 197, 204 Orrevole (moglie di Giovanni di Bartolo Tinghi), 22, 75, 76, 77, 79, 80, 81 Orsa di Ragusa, 18, 74, 89 Pace (del), Giovanni, legnaiolo, 88 Pacioli, Luca, 12, 52 Pagnini, Salvestro, 76 Pantini, Piero di Ser Andrea, 92 Paolo, medico, 8 Paolo, muratore, 133, 168 Paolo da Napoli, messer, 20, 124, 125 Paolo di Andrea, messo, 111 Paolo di Bernardo, 83 Paolo di Giovanni, 101 Paolo di Iacopo da Laterino, 83 Paolo di Luca di Buonaguida, famiglio della Camera del Comune, 87 Paolo di Piero, maestro d’abaco, 39, 40, 52, 53, 56, 197, 199, 202, 203 Paolo di Santi, sellaio, 29, 142, 143, 178 Papi di Lorenzo, guardiano della Camera del Comune, 87 Parissi, Polidoro, 86 Passignano, messo del Tribunale della Mercanzia, 124 Pazzi (dei), Maria di Uguccione, 50 Pelacane (del): v. Galigai 231
Pellegrino di Giovanni da Rimini, maestro di grammatica, 43 Pellegrino di Lorenzo di Antonio di Cristofano, 19, 24, 109, 111 Pepi, Giovanni di Chirico, banchiere, 27, 156, 157 Perello Filiziano di M° Perello da Zigole, maestro di grammatica, 43 Pergola (della), Lazzaro, 180 Peruzzo di Cino di Bencino, maestro d’abaco, 196, 199 Piera (vedova di Core di Iacopo Berzi), 77, 78 Pieraccino, lavorante di terra, 71 Piergianni, 73 Pierino di Guidotto, lavorante di terre, 68 Piero, 129, 130, 132, 134, 135, 138, 139, 140, 158, 164, 173 Piero (detto Grasso), don, 132 Piero, legnaiolo, 86 Piero (padre di Paolo dell’abaco), maestro d’abaco, 197, 199 Piero, setaiolo, 17, 121 Piero del Pollaiolo: v. Benci Piero del Repole, 137 Piero di Ser Andrea da Campi, notaio, 74, 86, 88, 90, 94, 96, 102 Piero di Antonio da Bacchereto, orciolaio, 83 Piero di Antonio da Vinci, notaio, 35, 191 Piero di Barnaba da Orvieto, maestro di grammatica, 43 Piero di Bartolomeo, speziale al Cappello, 181 Piero di Domenico, 198 Piero di Franco, maestro d’abaco, 196, 197, 199 Piero di Iacopo, don, Priore della Badia del Sasso, 35 Piero di Masseto, 85 Piero di Nuto, barbiere, 37, 162, 179 Piero di Vico (detto Bolognino), famiglio della Compagnia del Bigallo, 183, 184, 185 Piero di Zanobi, maestro d’abaco, 45, 198, 205 Piero Paolo, 125 Pietro di Lorenzo di Antonio di Cristofano (Frate Lorenzo), 19, 24, 109 Pigli: v. Pilli Pilli (dei), famiglia, 41 Pilli (dei), Accorri di Geri, 41, 181 Pilli (dei), Iacopo di Latino, 41, 181 Pintasso, Matteo, 97 Pisano, Leonardo, 10, 12, 42, 51, 52, 53, 54 Pitti, Giovannozzo, 25, 73 Poliziano, 27 Popoleschi, Diego, 16, 68, 71, 74 Popoleschi, Vico, 16, 68, 71, 74 Porcelli, Domenico di Palmieri, 127 Porcelli, Francesco di Marco, lavorante di terre, 127, 128 Porcelli, Francesco di Michele, lavorante di terre, 127 Porcelli, Matteo di Domenico, lavorante di terre, 127 Porcelli, Piero di Domenico, lavorante di terre, 127, 134, 136, 160 Proconsolo (del), Antonio, 101 Pucci, Giovanni di Meo di Simone, 25, 92, 93 Puccio, maestro d’abaco, 196 232
Puccio di Francesco, 198 Quercia (del), Salvatore di Bartolomeo, 179 Querciuola (del), Piero di Simone, vetturale, 191 Ranieri (o Neri ) di Chiaro, maestro d’abaco, 196, 199 Rena, messo del Tribunale della Mercanzia, 122 Ribussati, Santi di Zanobi, legnaiolo, 94 Ricasoli (dei), Piergiovanni di Andrea di Bindaccio, 190 Ricciardo di Piero, notaio, 74, 91 Ricoveri, Giovanni, 155 Romena (da), famiglia, 33 Romena (da), Bettino di Ser Antonio, maestro d’abaco, 33, 42, 43, 53, 86, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 197, 206, 207 Romena (da), Francesco di Iacopo, notaio, 85 Romena (da), Giovanni di Ser Marco, notaio, 81, 103, 105, 109 Rondinelli, famiglia, 135 Rosselli, Stefano di Iacopo, 90 Rossi (dei), Guerrieri di Tribaldo, 51 Rossi (dei), Tribaldo d’Amerigo, 51 Rosso (del), Giovanni, maestro d’abaco, 198 Rubini, Giovanni di Stefano, lavorante di terre, 73, 75 Rucellai, famiglia, 56 Rucellai, Bernardo di Giovanni, 46 Rucellai, Bernardo di Piero di Cardinale, 26, 59, 101 Rucellai, Girolamo di Piero di Cardinale, 12, 26, 56, 59 Salomoni, Antonio, notaio, 87 Salutati, Giovanni di Andrea, 32, 45, 190 Salvestrino, lavorante di terre, 129, 138 Salvetti, Bernardo di Marco, 125 Salvini, Salvino di Luca, 100 Sandro, messo, 134, 160 Sandro da Montegonzi, 61 Sanfele da Poppi, 81 Sangalletti, Iacopo di Iacopo, 174, 177 Santi di Angelo di Santi, legnaiolo, 88 Santi di Domenico d’Arezzo, maestro di grammatica, 43 Santi di Francesco di Cambio, 161 Santi di Lorenzo da Dicomano, maestro di grammatica, 43 Santi di Paolo, 198 Savio (del), Davide di Piero, di Mosciano del Mugello, 102 Scala, Alessandra di Bartolomeo, 27 Scala, Bartolomeo, 27, 129 Scala, Lucrezia di Bartolomeo, 27 Scelto (dello), Amerigo, 190 Sesto, fornitore del Monastero di Santa Maria degli Angeli, 129, 132, 133, 164 Sgodi, Stefano, famiglio dell’Ufficio dell’Onestà, 102 Simone di Antonio di Cristofano, 15, 18, 24, 63, 65 Simone di Cambio di Lorenzo, 125, 129 Simone di Francesco, maestro di grammatica, 43 Simone di Matteo, 131, 136 Simone di Matteo, Ufficiale di Notte, 191 233
Sini, Francesco, notaio, 105 Sodi (o Del Sodo), famiglia, 50 Sodo (del), Cosa di Giovanni, 50 Sodo (del), Giovanni di Sodo, maestro d’abaco, 50, 51, 52, 198, 206 Sodo (del), Lorenzo di Giovanni, 50 Sodo (del), Pierantonio di Giovanni, 50 Sodo (del), Sodo di Lorenzo, sensale, 49, 50, 96 Sofferoni, Matteo, notaio, 84, 182, 183, 184 Soldanieri, famiglia, 38, 40 Spinelli, Gasparre, 150, 172 Spini, famiglia, 40, 47 Staggia (da), Bindo di Angelo, notaio, 85 Stagio di Francesco di Cambio, 161 Stagnesi (degli), Angela di Bartolomeo di Niccolò, 26, 34, 100 Steccuto (dello), Adovardo di Lorenzo, 160, 165, 172, 174 Stranati, Tommaso di Francesco, 86 Strinati, Bartolomeo, banchiere, 27, 149, 178 Taccerini, Filippo di Taccerino di Lorenzo, 25, 92, 93 Taddea di Domenico di Piero, 14, 15, 18, 22, 23, 24, 25, 26, 30, 34, 35, 47, 49, 63, 67, 69, 72, 73, 75, 89, 92, 94, 96, 99, 100, 101 Taddeo di Francesco, maestro d’abaco, 198 Taglino di Marco di Biagio, 117 Talani, Santi di Chimento, 126 Talduccio di Sandro, 83 Talento di Antonio, lavorante di drappi, 64 Tano, lavorante di terra, 125, 126, 128 Tano, legnaiolo, 64 Tasso (del), Domenico, 36 Tasso (del), Giuliano, 36 Tasso (del), Marco, 36 Tedeschino, 86, 103 Tegghiacci, famiglia, 47 Tinghi, Bartolo di Giovanni, 76, 77 Tinghi, Bartolomeo di Giovanni, 22, 30, 35, 76, 77, 79, 80, 111, 113, 114, 115, 118, 119, 180 Tinghi, Bice di Giovanni, 22, 77 Tinghi, Bonda di Giovanni, 22, 79 Tinghi, Francesco di Giovanni, 22, 30, 35, 77, 79, 80, 111, 113, 114, 115, 118, 119 Tinghi, Giovanni di Bartolo (detto Falsamostra), comandatore della Signoria, 22, 23, 32, 71, 72, 76, 77, 78, 79, 87, 113 Tinghi, Giovanni Gualberto di Giovanni, 22, 79 Tinghi, Luca di Giovanni, 22, 30, 35, 79, 80, 111, 113, 114, 115, 118, 119 Tinghi, Papi di Bartolo, 76, 77, 78 Tinghi, Piera di Giovanni, 22, 79 Tinghi, Piero Antonio di Giovanni, 22, 76, 77, 79 Tinghi, Pippa di Giovanni, 22, 23, 24, 26, 28, 29, 30, 32, 35, 71, 72, 73, 76, 77, 78, 80, 87, 111, 113, 114, 135, 148, 180 Tinghi, Simone di Giovanni, 22, 35, 76, 77, 78, 79, 80 Tinghi, Verano di Giovanni, 22, 79 234
Tita (vedova di Baldo di Simone, linaiolo), 25, 73 Tolomea (o Mea) di Lorenzo di Cecco, 82 Tommasi, Tommaso di Niccolò, notaio, 102, 119 Tommaso, di Piazza Padella, 101 Tommaso (nipote di Piergianni), 73 Tommaso, don, 138 Tommaso, maestro d’abaco, 196, 199 Tommaso, prete di San Lorenzo da Cascia, 62, 64, 66 Tommaso, ser, 132 Tommaso di Cino, maestro d’abaco, 196 Tommaso (o Maso) di Grazia, lavorante di terre, 25, 34, 71, 73, 124 Tonino, proprietario di terre a Cambiano, 98 Tornaquinci, Arrigo di Bernardo, 144 Toscanelli, Paolo dal Pozzo, 27 Traversari, Ambrogio, 27 Tuccerelli, Carlo di Francesco, 150 Valentini, Niccolò, notaio, 68, 71, 74, 104 Valerio di Andrea di Berto, ritagliatore, 27, 159, 174 Valigia, miserabile, 191 Valle (della), Giuliano di Buonaguida, maestro d’abaco, 45, 51, 198, 205, 207 Valori, Bartolomeo, 27 Vanni, [abacista], 196, 199 Verdi, famiglia, 47 Vespini, Geronimo, sensale, 100 Vespucci, Anastasio, notaio, 74, 96 Villa (della), Bartolino, 180 Zanobi di Baldo, fabbro, 90 Zanobi di Daniele, speziale, 86 Zanobi di Ser Iacopo, 17, 119
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Indice dei luoghi, monumenti e istituzioni
Alemannia, 87 Antella, 40, 43, 138 Arezzo, 43 Bacchereto, 83 Balneo di Santa Maria (Distretto di), 26, 102 Berti, località di Montevarchi, 62 Bologna, 95 Bologna, località di S. Donato a Menzano, 16, 62, 64, 65, 73, 75, 81 Bottaio, località di Montevarchi, 14, 83 Bottaio (Via di), 83 Brescia, 8 Cambiano, 16, 67, 68, 70, 74, 97 Camiano: v. Cambiano Camiano (Società), 97 Campi, 39, 42, 53, 74, 86, 88, 102, 104, 197, 202, 207, 208 Campiano, 16, 74 Capannetta, località di Cambiano, 16, 97 Caprese, 102 Cascia (Lega, Pieve o Piviere di), 16, 62, 63, 64, 65, 66, 68, 69, 71, 73, 80 Casentino, 33, 34, 35, 124, 130 Castelfiorentino (Comune di), 16, 67, 70, 71 Castelfranco di Sopra (Comune di), 16, 62, 63, 65, 66, 69, 106, 107 Castellare, località di Cambiano, 16, 98 Castelnuovo, 74 Catalogna, 43, 181 Cavriglia (Piviere di), 14 Città di Castello, 198 Corella, 102 Dicomano, 43 Docce, località di Cambiano, 16, 97 Egitto, 17 Elsa, 70, 97 Empoli (Corte di), 120 Eresco o Resco, fiume di S. Giovenale, 62, 114 Figline, 39, 53, 197 Firenze: – Abaco (Corticina o Via dell’), 48 – Abaco (Scuola della Corticina dell’), 48, 49, 205 – Acciaiuoli (Lungarno), 43, 44 – Agli (Piazza degli), 26 – Albergatori (Arte degli), 33, 93 236
– Alfani (Via degli), 26 – Alighieri, Dante (Via), 42 – Altoviti (Chiasso degli), 43, 44 – Amore (Via dell’), 23, 76 – Ariento (Via dell’), 93 – Badia fiorentina: v. S. Maria e Stefano alla Badia – Badia fiorentina (Scuola della), 42, 206 – Bardi (Scuola di Via de’), 51, 209 – Bardi (Via de’), 51 – Beccanugi (Cappella dei), 32, 85 – Belle Donne (Via delle), 50 – Bigallo (Capitani del), 41, 181, 188 – Bigallo (Compagnia del), 27, 31, 32, 41, 42, 43, 137, 156, 158, 170, 178, 183, 184, 186 – Buoi (Chiasso dei), 16, 26, 34, 70, 103 – Calimala (Arte di), 41, 45, 125, 128, 129, 194 – Calimala (Via), 41, 180, 181 – Calimaluzza (Via), 50 – Cambio (Arte del), 99, 125, 126, 127, 128 – Camera del Comune, 33, 78, 87 – Canto de’ Ricci (Scuola al), 208 – Canto dei Sassetti, 51 – Canto di Croce Rossa, 208 – Capitani di Parte Guelfa, 205 – Carraia (Ponte alla), 40 – Carro (Gonfalone del), 50, 206 – Cassa del Generale, 33, 78 – Catasto, 14, 15, 18, 19, 22, 23, 25, 30, 43, 44, 46, 47, 67, 68, 69, 70, 72, 74, 75, 76, 77, 80 – Catasto (Ufficiali del), 23, 30, 35, 63, 65, 74, 75 – Cestello (Monastero di), 20, 51 – Chiesa (Via della), 42, 44 – Cocomero (Via del), 33 – Comune, 33, 63, 65, 66, 77, 78, 87, 106, 111, 112, 114, 115, 117, 118, 119, 124 – Comune (Via del), 63 – Consiglio (Sala del), 192, 193 – Consiglio dei Cento, 33, 87 – Consoli del Mare, 78 – Cornina (Via), 50 – Corso (Via del), 17 – Croce al Trebbio (Via della), 50 – Decima Granducale, 21, 30 – Decima Repubblicana, 19, 20, 26, 30, 46, 50, 51, 143 – Drago Verde (Gonfalone del): Quartiere di San Giovanni, 15, 20, 30, 63, 65, 66, 67, 69, 70, 72, 75, 81, 208 – Drago Verde (Gonfalone del): Quartiere di Santo Spirito, 23, 77, 80, 208 – Duomo (Piazza del), 16 – Ferravecchi (Scuola di Via dei), 51, 206 – Ferravecchi (Via dei), 51 237
– Ferza (Gonfalone della), 76, 77, 79 – Fibbiai (Via dei), 20, 21, 26, 28, 29, 37, 81, 140, 142, 173, 175 – Fiesolana (Via), 20 – Gabella del Vino, 179 – Gabella della Farina, 168 – Gabella delle Porte, 139, 164 – Gianfigliazzi (Palazzo), 47 – Granducato, 21 – Grano (Piazza del), 45 – Guelfa (Via), 50 – Inferno (Scuola di Via dell’), 204 – Innocenti (Ospedale degli), 21 – Lamberti (Via de’), 41 – Laudi di San Piero Martire (Compagnia delle), 133 – Laudi di Sanzanobi (Compagnia delle), 27, 173 – Leon Bianco (Gonfalone del), 23, 50, 75, 76 – Leon Nero (Gonfalone del), 207 – Leon d’Oro (Gonfalone del), 15 – Leon Rosso (Gonfalone del), 79, 205 – Lungarno (Scuola del), 40, 46, 47, 203 – Lungarno (Via di): Lungarno Corsini, 40, 47 – Mangano (Chiasso del), 48 – Mercanzia (Tribunale o Corte della), 17, 20, 25, 34, 119, 120, 121, 122, 123, 124 – Mercanzia (Ufficiale della), 119, 120, 121, 122, 123, 124 – Mercatanti (Arte dei): v. Calimala – Mercato Nuovo, 124 – Mercato Vecchio, 124, 147, 150, 174, 178 – Misericordia (Compagnia della), 27, 31, 41, 174 – Monte Comune o delle Graticole, 23, 72, 89, 92, 99, 100 – Monte Comune (Ufficiale del), 116, 117 – Mozzi (Piazza dei), 15, 16, 63 – Neri (Via de’), 45 – Nicchio (Gonfalone del), 209 – Ninna (Via della), 45 – Notai (Arte dei), 127, 128 – Nuova (Via), 45 – Onestà (Ufficio dell’), 34, 102 – Operai di Palazzo, 36, 192, 194 – Orsanmichele (Chiesa di), 41, 103 – Orsanmichele (Compagnia o Società di), 25, 34, 76, 103, 181 – Orsanmichele (Piazza di), 41, 180, 181 – Orsanmichele (Popolo di), 41, 112, 181, 182, 183, 184, 206 – Orsanmichele (Scuola di), 41, 42, 43, 44, 46, 47, 48, 181, 182, 183, 184, 185, 206 – Orti Oricellari (Accademia degli), 46 – Orti Oricellari (Via degli), 45 – Otto di Guardia e Balia della Repubblica, 29, 142 – Padella (Piazza), 15, 16, 17, 18, 23, 25, 26, 34, 47, 49, 63, 67, 69, 70, 72, 73, 84, 99, 101 – Padella (Scuola di Piazza), 49, 208 238
– Palazzuolo (Via), 50 – Pellicceria (Via), 48 – Peruzzi (Scuola verso Piazza), 207 – Pietrapiana (Via), 39 – Pilli (Corte o Piazza dei), 48 – Pilli (Scuola di Piazza dei), 47, 48, 205 – Pinti (Borgo), 51 – Pinti (Porta a), 44 – Pinti (Scuola verso Borgo), 51, 207 – Podestà (Corte del), 26, 29, 30, 80, 82, 106, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 117, 119 – Podestà (Palazzo del), 80, 124, 142 – Poggio Imperiale, 163 – Polverosa (Via), 45 – Por Santa Maria (Via), 138 – Porta Rossa (Via), 39 – Prestanze, 15 – Priori di Libertà, 112 – Quattro Nazioni (Albergo delle), 47 – Ricasoli (Via), 33 – Ripoli (Via di), 45 – Rosa (Via della), 21 – Ruote (Gonfalone delle), 206 – Rustici (Scuola di Via dei), 45, 207 – Rustici (Via dei), 45 – S. Agata (Convento di), 40, 47 – S. Ambrogio (Popolo di), 88 – S. Andrea (Popolo di), 93 – S. Apostoli (Borgo), 44 – S. Apostoli (Popolo dei), 43, 204 – S. Apostoli (Scuola dei), 43, 44, 45, 46, 49, 51, 204 – S. Caterina (Via), 21 – S. Cecilia (Popolo di), 50 – S. Cristoforo (Cappella di), 41, 182 – S. Croce (Chiesa e Convento di), 58, 137 – S. Croce (Quartiere di), 15, 41, 44, 45, 50, 51, 57, 206 – S. Egidio (Via), 33 – S. Felice in Piazza (Popolo di), 44 – S. Felicita (Monastero di), 71, 77, 78, 80 – S. Felicita (Popolo di), 50, 85 – S. Firenze (Chiesa di), 41, 182 – S. Firenze (Popolo di), 50, 99 – S. Frediano (Borgo), 23, 75, 77, 79, 80 – S. Frediano (Popolo di), 42, 45, 51, 76, 79, 80, 111, 113, 190, 208 – S. Giovanni (Piazza), 50 – S. Giovanni (Quartiere di), 15, 20, 26, 29, 30, 33, 39, 44, 45, 50, 63, 65, 66, 67, 69, 70, 72, 75, 81, 82, 106, 207 – S. Giovanni (Vicario di), 29, 142, 180 – S. Iacopo (Scuola di Borgo), 209 – S. Iacopo Sopr’Arno (Popolo di), 209 239
– S. Lorenzo (Chiesa di), 86, 114 – S. Lorenzo (Piazza), 102 – S. Lorenzo (Popolo di), 21, 76, 85, 90, 93, 96, 102 – S. Lucia degli Angeli: anche de’ Bardi o dei Magnoli (Popolo di), 15, 62, 84 – S. Lucia d’Ognissanti (Popolo di), 45, 50, 127, 204 – S. Marco (Popolo di), 90 – S. Margherita (Scuola di), 39, 207 – S. Margherita de’ Ricci (Popolo di), 39, 207 – S. Maria (Via), 44 – S. Maria degli Alberighi (Popolo di), 208 – S. Maria degli Angeli (Monastero di), 20, 21, 26, 27, 28, 29, 32, 35, 36, 37, 81, 125, 126, 127, 128, 129, 142, 143, 144, 177, 188, 191 192 – S. Maria degli Innocenti (Ospedale di), 21 – S. Maria degli Ughi (Popolo di), 51, 206 – S. Maria del Carmine (Chiesa di), 17, 39 – S. Maria del Fiore (Chiesa di), 23 – S. Maria del Fiore (Opera di), 88 – S. Maria del Fiore (Popolo di), 20, 88, 90, 96 – S. Maria della Scala (Ospedale di), 29, 45, 67, 68, 70, 71, 97, 98, 190 – S. Maria della Scala (Scuola di), 45, 46, 49, 204 – S. Maria e Stefano alla Badia (Abbazia di), 42 – S. Maria e Stefano alla Badia (Popolo di), 42, 82, 83, 105, 108, 206 – S. Maria in Campo (Chiesa di), 83 – S. Maria in Campo (Popolo di), 83, 84 – S. Maria Maddalena de’ Pazzi (Chiesa di), 51 – S. Maria Maggiore (Popolo di), 20, 90, 100, 101, 103, 105, 108, 109 – S. Maria Nipotecosa (Popolo di), 44, 86 – S. Maria Novella (Chiesa di), 133 – S. Maria Novella (Popolo di), 94 – S. Maria Novella (Quartiere di), 15, 23, 38, 40, 45, 50, 51, 75, 76, 82, 106, 202 – S. Maria Nuova (Ospedale di), 19, 25, 27, 51, 71, 78, 80, 84, 85, 127, 172, 173, 176, 177 – S. Maria Sopra Porta (Popolo di), 48, 205 – S. Maria Sopr’Arno (Popolo di), 51, 209 – S. Martino (Via), 42, 179 – S. Michele (Società di), 32, 33, 42, 85 – S. Michele Berteldi (Chiesa di), 18, 20, 26, 32, 34, 85, 88 – S. Michele Berteldi (Popolo di), 15, 20, 33, 34, 63, 65, 66, 67, 69, 72, 73, 84, 85, 86, 87, 88, 90, 92, 93, 94, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 103, 104, 105, 111, 113, 208 – S. Michele Visdomini o S. Michelino (Chiesa di), 27, 28, 29, 170, 177, 178 – S. Michele Visdomini (Popolo di), 20, 26, 44, 81, 103, 143 – S. Miniato tra le Torri (Popolo di), 48, 205 – S. Orsola (Convento di), 47 – S. Paolo (Ospedale di), 127 – S. Paolo (Popolo di), 88, 94 – S. Pier Maggiore (Chiesa di), 40 – S. Pier Maggiore (Popolo di), 20, 21, 39, 83, 88, 111, 207 – S. Piero Scheraggio (Popolo di), 45, 189, 190, 206 240
– S. Reparata (Popolo di), 189 – S. Romeo, o Remigio (Popolo di), 45, 207 – S. Salvatore (Scuola di Via), 208 – S. Salvatore (Via), 42 – S. Simone (Popolo di), 90 – S. Spirito (Chiesa e Convento di), 27, 38 – S. Spirito (Opera di), 161 – S. Spirito (Quartiere di), 15, 23, 42, 44, 45, 51, 62, 67, 69, 70, 77, 79, 80, 110, 208 – S. Tommaso (Via di), 130 – S. Trinita (Chiesa di), 40 – S. Trinita (Piazza), 39 – S. Trinita (Ponte), 40 – S. Trinita (Popolo di), 40, 202 – S. Trinita (Scuola di), 38, 39, 44, 202, 203 – SS. Annunziata (Piazza), 26 – Scala (Gonfalone della), 15, 62, 67, 69, 70, 72, 209 – Scala (Via della), 45, 46 – Sei (Ufficio dei), 121, 122, 125 – Servi (Via dei), 28, 143 – Signoria, 33, 80, 87, 192 – Signoria (Palazzo della), 7, 36, 192 – Sitorno (Via di), 44 – Spini (Piazza degli), 39 – Strozzi (Via degli), 51 – Teatina (Via), 16 – Terme (Via delle), 39 – Trebbio (Via del), 50 – Udienza (Sala dell’), 192, 193 – Ufficiali di Notte, 32, 45, 189, 190, 191 – Ufficiali di Torre, 142 – Unicorno (Gonfalone dell’), 202 – Università, 38 – Vacchereccia (Via), 50 – Vaio (Gonfalone del), 26, 207 – Vecchio (Ponte), 137 – Vergine Maria (Chiasso della), 43, 44 – Vescovado, 126, 140 – Vessillifero di Giustizia, 112 – Vinegia (Via), 137, 161, 162 – Vino (Piazza del), 45 – Vino (Scuola di Piazza del), 45, 206 – Vipera (Gonfalone della), 204 Gagliano, 24, 138 Gaiole, 36, 143 Gangalandi (Comune di), 22, 76, 79, 80, 111, 113, 114 Genova, 197 Ginestraio, località di Cambiano, 16, 98 Giogoli, 50 Granaiolo, località di Cambiano, 16, 98 241
Laterino, 82, 83 Lombardia, 27, 71, 143 Loro, 82, 104, 105, 108, 127, 128 Lucca, 95, 132, 96, 197 Lunigiana, 127 Luodo, località di S. Donato a Menzano, 16, 107 Maiano, 36, 198 Mantignano, 50 Marti, 138 Menzano, 16, 30, 66, 70, 180 Montecarelli, 66 Montegonzi, 61 Monte Loro, 139 Monte San Savino, 144 Montevarchi (Comune, Corte di), 14, 61, 82, 83 Mosciano in Mugello, 102 Mugello, 50, 102 Napoli, 20 Orvieto, 43 Padule, località di Cambiano, 16, 97 Palaia, località di Cambiano, 16, 98 Panicale, 17 Pesaro, 43 Pescaia, località di Cambiano, 16, 97 Pestina, località di Cambiano, 16, 97 Pilano, fiume di S. Giovenale, 62, 64, 69, 80, 114 Pisa, 95, 196 Poderano, località di Cambiano, 16, 98 Poggio di Monte, località di Cambiano, 16, 97 Poggio Ruberti, località di Gangalandi, 76 Ponte verso Granaiolo, località di Cambiano, 16, 98 Poppi, 81 Pozzolatico, 135, 144, 146 Prato, 97, 127, 192, 193, 194 Prato, località di Cambiano, 16, 97 Pulicciano, 130, 174 Rabatta, 99 Radice, località di S. Donato a Menzano, 16, 62, 70, 107 Ragusa, 18, 74, 89 Ravenna, 99 Renaio, località di Cambiano, 16, 97 Resco, fossato di S. Donato a Menzano, 107 Rimini, 43 Romena, 33, 42, 53, 81, 86, 103, 105, 109, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 197, 206, 207 Romena (Castello di), 33 S. Agata di Monte San Savino (Convento di), 144 S. Agostino (Ordine di), 38, 53 S. Andrea a Pulicciano (Popolo di), 92 S. Angelo o S. Michelangelo a Legnaia (Popolo di), 23, 71, 77, 80, 127 242
S. Baronto, 27 S. Donato a Menzano (Chiesa di), 144 S. Donato a Menzano (Popolo di), 16, 29, 30, 62, 64, 65, 68, 69, 71, 73, 75, 81, 106 S. Gimignano, 43, 184, 185, 197 S. Giovenale, 16, 29, 30, 34, 35, 62, 64, 65, 66, 68, 69, 71, 73, 80, 114 S. Giusto a Campi (Popolo di), 50 S. Godenzo, 140 S. Iacopo a Montecarelli, 66 S. Lorenzo a Cascia, 62, 64, 66 S. Maria a Sco (Plebe e Popolo di), 25, 92, 93, 107 S. Maria a Soffiano (Popolo di), 126 S. Martino a Gangalandi (Popolo di), 76 S. Martino a Pontifogni, 30 S. Piero a Monticelli (Popolo di), 36, 125, 126, 127, 128 S. Pietro a Cascia (Popolo di), 114 S. Pietro a Varlungo (Popolo di), 94 S. Prospero a Cambiano (Chiesa di), 97, 98 S. Prospero a Cambiano (Popolo di), 16, 25, 68, 74 S. Quirico a Marignolle, 50 S. Salvatore a Settimo (Badia di), 20, 108 S. Stefano a Campi (Popolo di), 40, 50 S. Tommaso d’Ostina (Chiesa di), 114 S. Tommaso d’Ostina (Popolo di), 16, 62, 64, 114, 116, 117 Sansepolcro (Popolo di), 12, 126 Sasso (Badia del), 35, 180 Scandicci (Ponte a), 126 Scarperia, 50 Sco (Piano o Piviere di), 16, 66, 68, 70, 71, 73, 74, 75 Servi di Maria (Ordine dei), 81 Siena, 95, 196, 197 Solatìo, località di S. Donato a Menzano, 16, 106 Solicciano, 42 Sparquatoio, località di Montevarchi, 61 Staggia, 85 Stia (Popolo di), 34, 124 Strumi (Abbazia di), 107 Terni, 43, 181 Terranova, 18, 40, 111, 113, 121 Torre di Valdipesa, 43 Turdeto, 113 Uzzano, 135 Valdarno di Sopra, 14, 16, 29, 30, 62, 63, 65, 66, 68, 69, 71, 73, 75, 106, 114, 121, 142 Valdelsa, 16, 68, 71 Valdipesa, 43, 139 Vecchia, località di Cambiano, 16, 97 Venezia, 12, 197, 198 Vinci, 7, 35, 191 Volterra, 197, 198 Zigole, 43 243
IL GIARDINO DI ARCHIMEDE Un Museo per la Matematica
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Fabio Bellissima
BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXIII · Numero 1 · Giugno 2003
PISA · ROMA
ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI MMIV
La Sectio canonis di Euclide e il suo errore logico
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
Sommario Fabio Bellissima, La Sectio Canonis di Euclide e il suo errore logico
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Sandro Caparrini, Guido Fubini e la trasformata di Laplace: storia di un manoscritto inedito
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Iolanda Nagliati, Giuliano Frullani: la formula, gli integrali definiti e le serie Appendice 1. Carteggio inedito di Giuliano Frullani Appendice 2. Opere a stampa di Giuliano Frullani Appendice 3. Prospetto del carteggio di Giuliano Frullani Appendice 4. I programmi d’insegnamento di Giuliano Frullani
63 73 99 100 102
Charles W. Groetsch, The Delayed Emergence of Regularization Theory 105 Michela Malpangotto, Sul commento di Pappo d’Alessandria alle Sferiche di Teodosio
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La Sectio canonis di Euclide e il suo errore logico
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
La Sectio Canonis di Euclide e il suo errore logico Fabio Bellissima*
Introduzione La Sectio Canonis (nome latino con cui oggi è generalmente indicata la Katatome Kanonos, letteralmente ‘divisione del monocordo’) è una breve opera, tradizionalmente attribuita ad Euclide, il cui scopo principale è quello di fornire una veste sistematica e rigorosa ai due problemi che costituiscono il nucleo della teoria musicale pitagorica: la divisione del tono e la definizione dei rapporti numerici corrispondenti agli intervalli musicali. Sia per gli intenti che si pone, sia per i metodi che impiega, l’opera costituisce uno dei momenti di massima razionalizzazione della teoria armonica. Nella dimostrazione dell’enunciato più importante vi è un errore logico: un postulato del tipo α→β è impiegato nella forma ¬α→¬β. Paul Tannery, che nel 1904 scoprì questo ‘paralogismo’, lo giudicò una ragione sufficiente per negare che l’opera fosse di Euclide. In effetti, si tratta di un errore grave. Tuttavia Tolomeo, nella sua Armonica, riporta fedelmente la dimostrazione incriminata senza notare l’errore, e l’autenticità di quest’ultima opera non è in dubbio. Inoltre, in virtù della grande diffusione del testo tolemaico, il passo in questione è stato, nel corso di secoli, letto e commentato da numerosi matematici, senza che l’errore venisse rilevato. Lo scopo principale di questa nota è quello di dimostrare che tutto ciò è accaduto per la presenza di numerosi fattori che hanno mimetizzato quello che, nei termini in cui lo abbiamo esposto, sarebbe un banale errore di logica proposizionale. Questi fattori non dipendono dalla singola dimostrazione, ma riguardano la struttura e gli intenti dell’intera opera, che deve quindi essere analizzata nella sua completezza. Abbiamo pertanto diviso il lavoro nel modo seguente: nel primo paragrafo abbiamo esposto il contenuto delle prime sedici proposizioni della Sectio, che costituiscono la parte teorica e originale dell’opera, al culmine della quale, nella Proposizione 11, vi è l’errore logico. Nel secondo paragrafo ci siamo concentrati su tale errore, indicandone le modalità, le * Dipartimento di Matematica - Università di Siena, Via del Capitano 15, Siena.
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cause e i riflessi sul resto dell’opera. Il terzo paragrafo è stato dedicato alla terminologia musicale ed aritmetica impiegata nella Sectio, e il quarto alla traduzione del testo, con un commento rivolto prevalentemente agli aspetti logici e matematici. Nella Conclusione, infine, abbiamo tentato un giudizio complessivo sull’opera e sulla sua attribuzione ad Euclide.
1. Il contenuto La Sectio Canonis è costituita da un breve proemio e da venti proposizioni, altrettanto brevi. 1 Le considerazioni sulla natura del suono, contenute nel proemio, sono conformi all’impostazione data alla materia da Archita. Molto importante, per il suo legame con le dimostrazioni successive, è l’ultima frase del proemio: Stando così le cose, ne consegue che i suoni consonanti, poiché si fondono entrambi in un unico suono, stanno tra loro in quei rapporti numerici indicati con un solo nome, cioè o multipli o epimori.
È quello che in seguito chiameremo Principio di Consonanza: Se un intervallo è consonante allora il rapporto corrispondente è multiplo o epimorio.
In altri termini, il principio afferma che se due corde (di uguale tensione e sezione) producono un intervallo consonante, allora il rapporto tra la lunghezza p della corda più lunga e la lunghezza q della corda più corta deve essere un rapporto multiplo, cioè p/q = m/1, o epimorio, cioè p/q = (m+1)/m, con m > 1. Questo assioma venne formulato in seguito alla scoperta, di scuola pitagorica, che le tre consonanze fondamentali dell’armonia greca, cioè gli intervalli di ottava (ad esempio, Do-do), di quinta (DoSol) e di quarta (Do-Fa), si ottengono da coppie di corde i cui rapporti di 1. Lo studio più dettagliato è costituto dal volume The Euclidean division of the Canon. Greek and Latin sources, di André Barbera (v.[1]), a cui rimandiamo per approfondimenti filologici. La più importante edizione critica della Sectio, a cui ci siamo riferiti per la nostra traduzione, è di Karl von Jan [9]. In essa sono elencati circa venti manoscritti e testi in cui l’opera compare. Di questi, tre sono manoscritti anteriori al XV secolo (due dei quali in Italia, uno a Venezia: Venetus Marcianus appendicis classis VI, n.3, che comprende la Sectio alle pagine 9-17, e uno a Roma: Vaticanus Gr.191, che contiene due volte il testo, ai fogli 292 e 393), e cinque del XV secolo (tre dei quali in Italia: uno a Napoli: Neapolitanus III C2, uno ancora a Roma: Vaticanus Reginensis 169, e uno ancora a Venezia: Venetus Marcianus 322). I due testi fondamentali su cui si basa l’edizione dello Jan sono i due antichi manoscritti italiani. La prima edizione greca con traduzione latina è del 1557, ad opera di Jean Pena. Seguirono altre edizioni tra cui quella oxoniense di David Gregory del 1703. L’ultima traduzione latina (con testo greco a fronte) è quella di Henricus Menge (1916) [7]. La prima traduzione in inglese, fortemente incompleta, è di Charles Davy (1787), cui ha fatto seguito una traduzione di Thomas Mathiesen (1975) [10] e quella di Andrew Barker (1989) [2]; il traduttore francese è stato Charles-Emile Ruelle (1884). La prima traduzione italiana, del 1990, è di Maria Luisa Zanoncelli [21]. La traduzione del Proemio compare inoltre come appendice al terzo volume dell’opera Pitagorici. Frammenti e testimonianze, di Maria Timpanaro Cardini [17].
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lunghezza sono rispettivamente 2/1, 3/2 e 4/3, e cioè un rapporto multiplo e due rapporti epimori. Il passo citato, tuttavia, non fa riferimento a questa genesi empirica, ma basa il Principio di Consonanza su un’analogia: poiché le consonanze fondono i due suoni in un solo suono, a loro devono corrispondere quei rapporti che si esprimono ‘con un solo nome’, che sono i rapporti multipli e quelli epimori. Per capire il motivo per cui a questi rapporti sia attribuita questa strana caratteristica è necessario fare riferimento al modo in cui i Greci classificavano quelle che noi oggi chiamiamo frazioni improprie, cioè quelle in cui il numeratore p supera il denominatore q. Supponiamo di ridurre p/q a fattori primi. Allora la frazione può assumere una delle seguenti forme: m/1, con m > 1; in tal caso il rapporto era detto multiplo; (m+1)/m, con m > 1; in tal caso il rapporto era detto epimorio. (m+h)/m, con m > 1 e 1 < h < m; in tal caso il rapporto era detto epimerio; (km+1)/m, con m > 1 e k > 1; in tal caso il rapporto era detto multiplo-epimorio. (km+h)/m, con m > 1, 1 < h < m e k > 1; in tal caso il rapporto era detto multiploepimerio.
Dalla precedente classificazione si vede come nei primi due casi intervenga la sola variabile m, mentre nei restanti tre intervengano due variabili (m e h) o tre (m, k, e h). È questo il motivo della strana caratteristica attribuita a multipli ed epimori: per definire tali rapporti basta il solo nome di m. Un rapporto multiplo era infatti definito di doppio, triplo, quadruplo, etc. a seconda che m fosse 2, 3, 4; nel caso dei rapporti epimori i nomi erano sesquialtero, sesquiterzo, sesquiquarto, e in generale, per la frazione (m+1)/m, ‘sesqui’ seguito dall’ordinale di m. Per gli altri tipi di rapporto il nome era invece necessariamente più composito. 2 Secondo il punto di vista pitagorico, questa caratteristica dei multipli e degli epimori indicava un più stretto legame (una maggiore ‘consonanza’) tra numeratore e denominatore, e quindi rendeva tali rapporti gli unici idonei a rappresentare le consonanze musicali, nelle quali appunto i due suoni sono strettamente legati tra loro. Le venti proposizioni dell’opera si dividono piuttosto nettamente in tre gruppi. Le prime nove presentano risultati puramente aritmetici sui numeri naturali, le successive sette sono un’applicazione di quei risultati ai fondamenti della teoria musicale, le ultime quattro forniscono indicazioni per accordare il monocordo. Le prime sedici proposizioni, cioè i 2. Riteniamo tuttavia che l’attenzione non debba tanto esser rivolta all’espressione linguistica in senso stretto quanto al contenuto matematico soggiacente, rappresentato dal numero delle variabili in gioco.
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primi due gruppi, contengono il nucleo della teoria armonica greca; sono fortemente connesse tra loro, e il primo gruppo è rigorosamente funzionale al secondo. Le ultime quattro proposizioni, invece, riguardano problemi più specifici e, in parte, si contraddicono vicendevolmente. In questo paragrafo analizziamo il contenuto delle prime sedici proposizioni, e rimandiamo al Paragrafo 4 per il testo ed il commento delle restanti quattro. Il gruppo dei nove teoremi aritmetici può essere ulteriormente suddiviso. Le Proposizioni 1-5 hanno carattere più generale. Indicando con B,C e D dei numeri naturali, esse asseriscono che: Proposizione 1. Se C:B=B:D e B è multiplo di C allora D è multiplo di C. Proposizione 2. Se C:B=B:D e D è multiplo di C allora B è multiplo di C. Proposizione 3. Se C/D è un rapporto epimorio allora non esiste B tale che C:B = B:D. Proposizione 4. Se C:B=B:D e B non è multiplo di C allora D non è multiplo di C e D/C non è un rapporto epimorio. Proposizione 5. Se C:B=B:D e D non è multiplo di C allora B non è multiplo di C.
La Proposizione 3 è la più significativa del gruppo, in quanto ha come immediata conseguenza l’impossibilità di ottenere l’intervallo di semitono mediante rapporti razionali, essendo il rapporto di tono espresso dal rapporto epimorio 9/8. Tale proposizione è dovuta ad Archita, e questo fatto ha una notevole rilevanza storica in quanto, come osserva lo Heat (v.[8]), facendo riferimento ai teoremi che in essa vengono impiegati si ha un quadro dello sviluppo dell’aritmetica del V secolo. 3 Le Proposizioni 1-2-4-5 hanno, da un punto di vista logico, un significativo rapporto tra loro. La Proposizione 2 è l’inversa della Proposizione 1: insieme ci dicono che, se C:B = B:D, allora B è multiplo di C se e solo se D è multiplo di C. La Proposizione 5, poi, è la Proposizione 1 espressa in forma contronominale, e una situazione analoga si ritrova tra le Proposizioni 2 e 4 (salvo il riferimento di quest’ultima ai rapporti epimori). Indicando con α e β rispettivamente le espressioni «B è multiplo di C» e «D è multiplo di C», otteniamo questo quadrato di proposizioni: diretta (Proposizione 1: α→β), inversa (Proposizione 2: α→β), contraria (Proposizione 4: ¬α→¬β) e contronominale (Proposizione 5: ¬β→¬α). In una tale situazione due proposizioni sono sempre superflue: infatti, la contronominale è logicamente equivalente alla diretta, e la contraria alla inversa (di cui, mediante la legge della doppia negazione, è la controno3. Proprio basandosi su ciò che tale proposizione presuppone, ed anche su analoghe carenze di tipo logico, van der Waerden [19] sostiene che, per quanto concerne i contenuti, sia l’intera Sectio che l’VIII Libro degli Elementi sono opera della scuola di Archita. Sui problemi di attribuzione torneremo comunque in §5.
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minale). Si tratta quindi, da un punto di vista logico, di una esposizione ridondante e pertanto eccepibile. 4 Alla luce di quanto osservato, il contenuto di queste cinque proposizioni si può sintetizzare in due asserti: la Proposizione 3, che in seguito chiameremo Teorema degli Epimori, e il teorema costituito dalle restanti quattro proposizioni, che chiameremo Teorema dei Rapporti Multipli e che rappresentiamo in questo modo: Sia B la media geometrica tra D e C; C è multiplo di D se e solo se B è multiplo di D.
Contrariamente alle Proposizioni 1-5, che hanno carattere generale, le Proposizioni 6-9 riguardano rapporti numerici particolari. Proposizione 6. se m:n = 3:2 e n:s = 4:3 allora m:s = 2:1. Proposizione 7. se m:n = 2:1 e n:s = 3:2 allora m:s = 3:1. Proposizione 8. se m:n = 3:2 e s:n = 4:3 allora m:s = 9:8. Proposizione 9. se m:m2= m2 :m3 = m3 :m4 = m4 :m5 = m5 :m6= m6 :n = 9:8 allora m > 2 n.
È significativo il fatto che in un’opera attribuita ad Euclide appaiono dei numeri: in tutti gli Elementi non si incontrano mai numeri ‘individuali’, ma solo sotto forma di variabili, e questo nonostante che i libri VII, VIII e IX, i cosiddetti ‘libri aritmetici’, siano esclusivamente dedicati ai numeri naturali. 5 In tal modo la Proposizione 9 della Sectio, che impiega uno dei più significativi teoremi del Libro VIII degli Elementi, 6 costituisce anche il primo esempio numerico che abbiamo di tale teorema. La Proposizione 10 segna la svolta, l’inizio delle proposizioni musicali. Proposizione 10. L’ottava è un rapporto multiplo. Proposizione 11. La quinta e la quarta sono rapporti epimori. Proposizione 12. L’ottava è un rapporto doppio [2:1], la quinta è un rapporto sesquialtero [3:2] e la quarta sesquiterzo [4:3]. Proposizione 13. Il tono è un rapporto sesquiottavo [9:8].
Queste quattro proposizioni sviluppano un’unica dimostrazione; più precisamente, le Proposizioni 10 e 11 sono dei lemmi della Proposizione 4. Anche l’Euclide degli Elementi ama i quadrilateri di proposizioni e riserva dimostrazioni specifiche per ciascuna delle proposizioni coinvolte. Formano un tale quadrato, ad esempio, le Proposizioni 7,8,9 e 10 del Libro V, oppure la Proposizione 9 del libro X, il cui enunciato da solo contiene tutte e quattro le forme e la cui dimostrazione è divisa in quattro parti; e ancora il V postulato e le Proposizioni 17, 27-28 e 29 del Libro I, dove piccole variazioni formali sono dovute ai risultati conseguiti nelle proposizioni intermedie, allo stesso modo in cui, nella Sezione, la Proposizione 3 è causa del riferimento aggiuntivo della Proposizione 4 ai rapporti epimori. La struttura di questa parte iniziale è quindi, almeno dal punto di vista dell’organizzazione logica, decisamente euclidea. 5. L’unico numero diverso dall’unità che compare, il due, viene chiamato diade, quasi a nascondere il suo stato di numero. 6. Proposizione VIII.2: Trovare quanti si voglia numeri in proporzione continuata, che siano i più piccoli possibile a stare tra loro in un rapporto dato.
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12, e la Proposizione 13 ne è un corollario. La Proposizione 11 è quella che contiene l’errore logico. La prima parola dell’enunciato della Proposizione 10 è anche il primo termine non aritmetico incontrato nell’opera: diapason, ottava. A questo punto, infatti, tutta l’aritmetica necessaria è stata dimostrata, e interviene il mondo della musica. Dalla teoria musicale vengono prese queste quattro proprietà: (a) la doppia ottava è consonante; (b) la doppia quinta e la doppia quarta sono dissonanti; (c) la quarta e la quinta sono consonanti; (d) l’ottava è costituita da una quinta e una quarta. È importante osservare che, ad esempio, la quinta è considerata consonante non perché sia espressa dal rapporto 3:2 (fatto che verrà dimostrato) ma perché suona bene, o comunque perché tale era considerata nella tradizione musicale greca. Il mondo della musica si presenta insomma nella sua antica purezza, così come era prima della ‘scoperta’ di Pitagora (non si dimentichi che all’inizio del V Secolo la teoria musicale greca era ormai ben consolidata). Queste proprietà non vengono dichiarate preventivamente, ma enunciate come dati di fatto al momento della loro applicazione. Questo non deve esser visto come un elemento antieuclideo. Negli Elementi nessuna delle proprietà logiche impiegate nelle dimostrazioni è enunciata esplicitamente, in quanto la logica è trattata come un sottofondo consolidato su cui basare la dimostrazione. Nella Sectio, anche la musica ha questo ruolo, e da essa è quindi possibile attingere senza preavviso. In entrambe le opere solo la matematica in senso stretto è trattata in modo formale. Per legare tra loro questi due contesti, un’aritmetica priva di suoni e una musica priva di numeri, sono impiegate, nel corso della dimostrazione, due proprietà: la prima è il Principio di Consonanza, e la seconda è la seguente: Se un intervallo Y è il doppio di un intervallo X e se Y è espresso dal rapporto m/ n allora X è espresso dal rapporto p/n, dove p è il medio proporzionale di m e n.
La chiameremo Principio del medio proporzionale. In termini moderni, asserisce che se si somma un intervallo a se stesso allora il rapporto corrispondente all’intervallo dovrà essere moltiplicato per se stesso. Il principio esprime quindi un caso particolare della relazione logaritmica che sussiste tra le operazioni tra intervalli e le corrispondenti operazioni tra i rispettivi rapporti. 7 Questo legame tra intervalli e rapporti è implicito nel linguaggio della Sectio ma non è enunciato in alcuna forma, e sembra trascendere il potere espressivo del linguaggio matematico gre7. Qui di seguito riportiamo una specie di prontuario: a sinistra l’operazione tra intervalli, a
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co, che non parla mai di prodotti tra frazioni ma solo di composizione di rapporti. 8 Esso costituirà a lungo una fonte di insidie e di errori, ma non nella Sectio, dove invece è impiegato in modo matematicamente corretto. Vediamo ora la struttura della dimostrazione: la doppia ottava è consonante (proprietà a). Quindi è un rapporto multiplo o epimorio (per il Principio di Consonanza). 9 Ma non può essere epimorio; infatti i rapporti epimori non hanno medio proporzionale (per il Teorema degli Epimori), mentre l’ottava è medio proporzionale della doppia ottava (Principio del medio proporzionale). Quindi è multiplo, e allora (per il Teorema dei Rapporti Multipli) anche il suo medio proporzionale, cioè l’ottava, è multiplo (e si è conclusa la Proposizione 10). Poi: la doppia quinta è dissonante (proprietà b); quindi non è un rapporto multiplo o epimorio (ecco l’errore: si usa l’implicazione «se X non è consonante allora il rapporto corrispondente non è multiplo o epimorio», che equivale all’inverso del Principio di Consonanza). Pertanto il suo medio, la quinta, non sarà multiplo (per Teorema dei Rapporti Multipli). Ma è consonante (proprietà c), quindi è epimorio (per il Principio di Consonanza). Una dimostrazione analoga vale per l’intervallo di quarta (e si è conclusa la Proposizione 11). Infine, poiché il rapporto di ottava è multiplo (per la Proposizione 10) sarà o doppio o più che doppio. Ma l’ottava è composta da una quarta e una quinta (proprietà IV), le quali sono distinte e corrispondono a rapporti epimori (per la Proposizione 11). E poiché il rappordestra la corrispondente operazione tra i rispettivi rapporti. Somma Differenza Moltiplicazione per n Divisione in n parti uguali Media aritmetica
Prodotto Quoziente Potenza n-esima Radice n-esima Media geometrica
La terminologia di sinistra, quella relativa agli intervalli musicali, viene definita additiva, in quanto parte dalla somma; quella della colonna di destra è invece moltiplicativa. 8. Si veda, ad esempio, questo tentativo di Porfirio, autore del III Secolo d.C: «Secondo Aristosseno ciò che è contenuto tra due suoni di diversa altezza è un intervallo (diastema). Ma altri lo giudicarono diverso dall’intervallo. Eratostene infatti sostiene che l’intervallo è qualcosa di diverso dal rapporto (logos).[...] È la differenza (diafora) che fa l’intervallo. E la differenza è diversa dal rapporto. Infatti tra sei e tre la differenza è tre, il rapporto due. Inoltre, tra i numeri sei e due, il rapporto è triplo e la differenza quattro; ma tra 20 e 16 la differenza è ancora quattro ma il rapporto è sesquiquarto. Quindi che la differenza differisca dal rapporto è manifesto. Tuttavia mostriamo come il rapporto, e la complessione tra loro dei termini comparati, sia detto anche intervallo. Troviamo infatti Intervallo al posto di Rapporto comunemente tra gli antichi [vengono elencati molti nomi tra cui Archita e il Platone del Timeo, e per ultimo compare il riferimento alle Proposizioni 6 e 3 della Sectio]. Euclide inoltre dice che l’Intervallo doppio è composto dei due massimi intervalli epimori, e che in un intervallo epimorio non cade nessun medio proporzionale.» [12], pp. 266-267. 9. Per brevità identifichiamo gli intervalli con i rapporti corrispondenti.
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to di doppio è il prodotto dei due distinti massimi rapporti epimori (Proposizione 6), all’ottava non può corrispondere un rapporto più che doppio. Quindi è di doppio, cioè 2:1. Ciò conclude la parte centrale della dimostrazione, che da questo punto prosegue in modo ovvio associando, con l’impiego delle Proposizioni 8 e 9, alla quinta il rapporto 3:2, alla quarta 4:3, alla dodicesima 3:1, alla doppia ottava 4:1 e al tono 9:8. Il gruppo successivo di proposizioni contiene quello che è forse il più complicato dei problemi della teoria musicale greca: la divisione del tono. Proposizione 14. L’ottava è minore di sei toni. Proposizione 15. La quarta è minore di due toni e mezzo. Proposizione 16. Il tono non è divisibile in parti uguali.
Ciò che emerge già dagli enunciati è un’apparente incongruenza tra la Proposizione 15 e la Proposizione 16. La prima parla di mezzo tono (emitonion), la seconda afferma che non esiste. Questo contrasto è una manifestazione della contraddizione di fondo che ha pesato sulla filosofia pitagorica dopo la scoperta degli irrazionali. Infatti, naturalmente, nella Proposizione 16 si parla di esistenza ‘razionale’. Tale proposizione, che è una immediata applicazione del Teorema degli Epimori e ne costituisce forse la sua principale ragione d’essere, afferma che non vi è numero naturale che sia medio proporzionale tra due numeri che stiano nel rapporto 9:8; in altri termini, enuncia l’irrazionalità di
9 3 , cioè di , 8 2 2
e quindi di 2 . La Proposizione 15, invece, si esprime in termini che potremmo dire geometrici, e fa riferimento al segmento medio proporzionale tra 8 e 9, che individua il semitono. La variazione di linguaggio tra la Proposizione 15 e la Proposizione 16 esprime quindi il passaggio dalle grandezze in generale alle grandezze commensurabili; quello stesso che, negli Elementi, intercorre tra il Libro V e i Libri VII, VIII e IX. Ma richiama anche un’altra, diversa, distinzione: quella tra Armonici 10 e Pitagorici. Ecco una testimonianza di Plutarco: Uno degli intervalli è quello chiamato tono, la cui misura esprime di quanto la quinta è maggiore della quarta. Gli Armonici ritengono di riuscire a dividerlo a metà e di farne due intervalli, che chiamano ambedue semitoni. Ma i Pitagorici riconobbero impossibile la divisione in due parti uguali, e delle due parti disuguali chiamarono la minore leimma (resto), perché resta al disotto della metà. 11
Le parti disuguali di cui parla Plutarco hanno origine proprio dalle relazioni espresse dalle Proposizioni 14 e 15. Infatti, per la Proposizione 15, 10. Con questo termine si indicavano i teorici musicali non appartenenti alla Scuola Pitagorica, che ebbero in Aristosseno il principale rappresentante. 11. Plutarco, de an. procr. in.Tim. c. 17 p.1020.
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la quarta è minore di due toni e mezzo. Quindi la ‘differenza’ 12 tra una
FI HK
4 9 2 28 256 ) è minore della metà del / = 5 = 3 8 3 243 tono, e venne chiamata semitono minore, o diesis, o ancora, come riporta quarta e due toni (che è
9 256 37 2187 = = Plutarco, lemma. La ‘restante’ parte del tono, cioè / , 8 243 211 2048 prese il nome di semitono maggiore, o apotome. Nella Sectio non compaiono né questi nomi, né direttamente questi valori. Tuttavia: la ‘differenza’ tra semitono maggiore e semitono minore, che è
2187 256 312 531411 / = = 2048 243 219 524288
H , dove H e A sono i numeri riportati 2A nella Proposizione 9, che è la base aritmetica della Proposizione 14. In H 2 effetti, l’ottava è costituita da una quarta ed una quinta, cioè / da due A 1 quarte e un tono, e pertanto, poiché una quarta è costituita da due toni e un semitono minore, l’ottava risulta essere cinque toni e due semitoni minori. La ‘differenza’ tra sei toni e un’ottava, e cioè, è quindi proprio di un comma. Questo valore, quello numericamente più complicato circa la suddivisione del tono, è presente nella Sectio. 13 L’opera potrebbe concludersi a questo punto: avremmo un testo fortemente teorico sul problema delle accordature, non direttamente funzionale ad alcuna di esse ed incentrato su due problemi fondamentali: la determinazione astratta dei valori delle consonanze e la divisione del tono. E in effetti termina qui quanto riportato da Porfirio. Le ultime quattro proposizioni segnano un brusco cambio di tono, che diventa molto più ‘pratico’. e viene detta comma, è uguale a
Proposizione 17. Come trovare per consonanza la prima nota mobile di ciascun tetracordo. Proposizione 18. Le seconde note mobili di ciascun tetracordo non dividono gli intervalli in cui cadono in parti uguali.
12. Mettiamo tra virgolette i termini che indicano operazioni aritmetiche riferite ad intervalli musicali, per ricordare che queste operazioni sono il corrispondente logaritmico delle operazioni da compiere sui rapporti che corrispondono agli intervalli stessi. 13. Osserviamo che 6
H 2A , cioè la ‘sesta parte’ del comma, costituisce la ‘differenza’ tra il tono
di 9/8 e il tono della nostra scala temperata, che ‘divide’ l’ottava (la quale continua ad essere il rapporto 2:1) in dodici semitoni, e quindi sei toni, ‘uguali’.
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Proposizione 19. Come dividere il monocordo secondo il Sistema Immutabile. Proposizione 20. Come determinare i suoni mobili.
Un’analisi di queste ultime proposizioni è necessaria per formulare un giudizio complessivo dell’opera, ma non per comprenderne il nucleo logico-matematico. Per un commento rimandiamo alle note del Paragrafo 4, in sede di traduzione.
2. L’errore logico della Proposizione 11 In questo secondo paragrafo, che per chiarezza espositiva dividiamo in sottoparagrafi, ci concentriamo sull’errore logico della Proposizione 11. La prima domanda che ci poniamo è, ovviamente, se davvero si tratti di un errore.
2. 1. Vi è un errore? Secondo la ricostruzione che abbiamo fatto nel paragrafo precedente, non vi è dubbio che nel corso della Proposizione 11 sia stato commesso un errore logico. Al posto del Principio di Consonanza, che per comodità indichiamo con Cons. → (Mult. ∨ Ep.), è stata impiegata la forma ¬Cons. → ¬(Mult. ∨ Ep.), che è equivalente a (Mult. ∨ Ep.)→ Cons., cioè all’inverso del principio stesso. Vi è tuttavia una certa distanza tra la nostra ricostruzione ed il testo originale dell’opera (che riportiamo in §4). In quest’ultimo, ad esempio, non viene fatto alcun riferimento esplicito alla relazione logaritmica tra le operazioni tra intervalli e quelle tra i corrispondenti rapporti numerici, ed inoltre tutti i dati puramente musicali, come la consonanza o dissonanza di certi intervalli (che nella ricostruzione abbiamo indicato come proprietà (a)–(d)) non sono dichiarati preventivamente. Non potrebbe allora essere accaduto che anche l’inverso del Principio di Consonanza sia stato assunto tacitamente? Riteniamo di no. L’asserto (Mult. ∨ Ep.)→ Cons., oltre ad essere assolutamente falso per ogni ragionevole significato del termine consonante, è alieno alla teoria musicale greca. Vi è stato un tentativo di superare l’errore ipotizzando che l’implicazione (Mult. ∨ Ep.)→ Cons. debba essere considerata limitatamente ai numeri della tetraktys, e cioè che i rapporti che si considerano debbano coinvolgere solo numeri appartenenti all’insieme {1,2,3,4} (v.[1]). Tuttavia, se è vero che in tal caso tutti i rapporti multipli o epimori che si ottengono corrispondono a intervalli consonanti, è altrettanto vero che tutti i rapporti che si ottengono sono multipli o epimori. Accettare quest’ipotesi vorrebbe dire banalizzare le definizioni. Si potrebbe ancora osservare che, nella Proposizione 11, non viene impiegata l’implicazione (Mult. ∨ Ep.)→ Cons., ma solo Mult. → Cons.
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(nella forma contronominale ¬Cons. → ¬ Mult.). Ma anche con questa restrizione l’enunciato è falso da un punto di vista musicale: già il rapporto 5/1 corrisponde all’intervallo di diciasettesima, che i Greci non consideravano consonante. 14 Non riusciamo insomma a trovare alcuna ipotesi plausibile che giustifichi l’uso consapevole dell’inverso del Principio di Consonanza, e quindi pensiamo che quello della Proposizione 11 sia, al di là di ogni ragionevole dubbio, un chiaro errore di logica.
2. 2. Chi ha rilevato l’errore, e chi non lo ha fatto L’errore è stato scoperto nel 1904 da Tannery (v. [16]), anche se lo storico francese ritiene di essere stato preceduto già dagli antichi: La Proposizione 11 contiene un paralogismo (in luogo di un postulato esposto nel preambolo, viene impiegato il reciproco di tale postulato). Sebbene questo paralogismo non abbia fatto battere ciglio a Porfirio, che ha riportato pressoché tutto l’opuscolo [la Sectio] nel suo Commento all’Armonica di Tolomeo, esso è stato notato nell’antichità, e si è tentato di dimostrare altrimenti la medesima proposizione, come si può vedere in Boezio (Ist.Mus.,II,21-22).
In effetti, nel suo De Istitutione Musica Boezio riporta fedelmente, nel Libro IV, il proemio e le prime nove proposizioni della Sectio, e si arresta proprio alla Proposizione 10, dove ha inizio la dimostrazione incriminata. Le Proposizioni 10, 11 e 12 sono invece riportate a parte nel Libro II, ma con una dimostrazione completamente diversa (e piuttosto confusa). Alla luce di questo, le due ipotesi avanzate da Tannery, che il cambiamento derivi dalla scoperta dell’errore e che tale scoperta non sia da attribuire a Boezio, sono entrambe piuttosto plausibili, anche se nessun riferimento esplicito è emerso a riguardo. Tuttavia, Tannery non osserva un fatto che riteniamo fondamentale: la dimostrazione incriminata è riportata integralmente e fedelmente anche nell’Armonica di Tolomeo, il quale, come Porfirio, ‘non batte ciglio’. Eppure non possiamo supporre che Tolomeo sia stato distratto o benevolo nei confronti dei Pitagorici (a cui attribuisce la dimostrazio14. Se anche questa volta ci restringiamo all’insieme {1,2,3,4}, l’asserto diventa vero ma non banalmente vero, dal momento che è possibile con tali numeri ottenere rapporti che non sono multipli quali 3/2 e 4/3. Inoltre, considerare 4/1 come rapporto massimo significa limitarsi ad intervalli che siano all’interno della doppia ottava, che è un limite ragionevole per una musica che era eminentemente vocale. Vi sono tuttavia seri ostacoli ad accettare questa ipotesi; ci sembra assolutamente improbabile che sia stata impiegata, in modo consapevole, una distinzione tra epimori e multipli e, all’interno di questi, tra maggiori e minori di 4, il tutto senza alcuna esplicita menzione. È vero, e l’abbiamo osservato, che alcune proprietà sono state impiegate senza essere state preventivamente enunciate, ma si trattava di asserti di altro genere, appartenenti alla piattaforma di conoscenze acquisite e tradizionali su cui la teoria armonica si fonda. Un asserto come il precedente, invece, si pone nei confronti della dimostrazione allo stesso livello del Principio di Consonanza, e al pari di quello sarebbe stato esplicitato.
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ne), in quanto rivolge alla loro impostazione numerose e precise critiche. La prima di esse, molto semplice, mette in luce un’oggettiva difficoltà del Principio di Consonanza: l’intervallo di undicesima è consonante ma il rapporto che lo esprime, che è 8:3, non è né multiplo né epimorio. Il modo in cui i Pitagorici tentarono di superare questa difficoltà fu drastico: negarono lo stato di consonanza all’intervallo di undicesima. In tal modo però dovettero contraddire il principale fondamento della teoria musicale, cioè che l’aggiunta di un’ottava non altera la consonanza di un intervallo; infatti l’undicesima è costituita da una quarta più un’ottava, e la quarta è consonate. La seconda critica di Tolomeo è la seguente: Un altro problema cruciale è costituito dal fatto che essi associano le consonanze solo a quei rapporti epimori e multipli [4/3, 3/2, 2/1, 3/1, 4/1] e non con gli altri, ad esempio 5/4 e 5/1, sebbene anche questi esprimano il rapporto tra i loro termini con un solo nome. ([18], Libro I, Cap. 6).
In altre parole, se è la caratteristica di esser esprimibile ‘con un sol nome’ ciò che rende i multipli e gli epimori degni di essere associati alle consonanze (v. §1), perché tale ventura capita solo ad alcuni di essi mentre la caratteristica è posseduta da tutti? Questa nuova critica si pone su un piano diverso rispetto alla precedente, poiché non è relativa al Principio di Consonanza, ma al suo inverso. Non è infatti il Principio, cioè l’implicazione Cons. → (Mult. ∨ Ep.), che costringe ad inserire 5/1 o 5/4 tra le consonanze, ma è l’implicazione opposta (Mult. ∨ Ep.) → Cons. Come interpretare allora questa critica? La risposta immediata sembrerebbe questa: Tolomeo attribuisce ai Pitagorici il Principio nella forma della doppia implicazione Cons. ↔ (Mult. ∨ Ep.), riservando una critica a ciascuna delle due direzioni. Questa risposta spiegherebbe anche il perché Tolomeo non abbia rilevato l’errore giacché, con questo rafforzamento degli assiomi del sistema, l’errore non sussisterebbe. Dalla lettura del testo tolemaico emerge tuttavia una situazione diversa. La seconda critica non rivela il fatto che per Tolomeo il Principio dei Pitagorici avesse la forma della doppia implicazione (nella quale, ripetiamo, è musicalmente assurdo), quanto il fatto che avrebbe dovuto averla per esser coerente ai presupposti su cui si fonda; pertanto, indirettamente, rivela che Tolomeo deve esser annoverato tra quelli che non hanno scoperto l’errore della Proposizione 11. E furono davvero tanti. Infatti, apparendo la dimostrazione incriminata nell’Armonica di Tolomeo, anche i traduttori e i commentatori di quest’opera sono da aggiungere a coloro che si sono trovati di fronte all’errore della Proposizione 11. Tra essi vi è John Wallis, uno dei grandi matematici inglesi del ‘600. Il suo ruolo in questa vicenda non è margi-
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nale, essendo sua non solo la prima traduzione latina dell’Armonica di Tolomeo, ma anche la traduzione del Commento all’Armonica di Tolomeo di Porfirio. Wallis ha quindi tradotto la dimostrazione della Proposizione 11 per ben due volte. Ciononostante, nella corposa appendice che egli pone a commento dell’opera tolemaica e in cui tra l’altro rileva vari errori di natura matematica, non fa alcun riferimento al nostro errore. Tornando ancora a Tannery, è interessante osservare come egli abbia, prima del 1904, incontrato la Sectio e scritto su di essa senza rilevare alcun problema; ciò accade non solo nella fondamentale Geometrie greque del 1887 ma anche nel più specifico studio Du role de la musique grecque dans le développment de la mathématique pure del 1902. Infine, tra coloro che non hanno riconosciuto l’errore della Proposizione 11 vi sono quelli che potremmo chiamare gli incoreggibili, cioè coloro che disconoscobbero l’errore pur consapevoli della segnalazione di Tannery. Tra questi ricordiamo Charles Ruelle (v.[14]), il primo traduttore francese della Sectio, e Henricus Menge (v.[7]). Anche in questo caso, come già per Tolomeo e Wallis, non possiamo negare ad uno dei più famosi traduttori di Euclide la consapevolezza di che cosa sia una dimostrazione. Eppure è bastato un banale fraintendimento, l’aver scambiato un undici per un due romano, perché egli giudicasse Tannery nel torto. 15 A questo punto, la folta schiera di coloro che hanno studiato la Sectio o parti di essa senza rilevare l’errore 16 induce a pensare che possa esistere qualche fattore specifico che giustifichi tanta disattenzione.
2. 3. Le ragioni della disattenzione Senza dubbio, il passaggio da una implicazione ad una equivalenza è uno degli errori logico-proposizionali più diffusi nel parlare comune. Bisogna anche rilevare che, con ogni probabilità, se l’implicazione errata avesse avuto la forma (Mult. ∨ Ep.)→ Cons. l’errore non sarebbe stato commesso o comunque sarebbe subito stato riconosciuto. Ciò che trae in inganno è la forma contronominale ¬ Cons. → ¬ (Mult. ∨ Ep.). Chiunque abbia insegnato i primi rudimenti di logica proposizionale sa quanto poco convincente, se si ragiona in termini astratti e non su un esempio particolare, risulti di primo acchito l’equivalenza tra ¬α→¬β e β→α, e quan15. Menge lesse il numero 11 nel testo di Tannery relativo alla proposizione incriminata come un due romano, e quindi corresse Tannery dicendo che la Proposizione in cui il Principio di Consonanza viene impiegato non è la 2 ma la 10 (v.[7], VIII, prolegomena XXXVII-LIV). In effetti, nella Proposizione 10 il Principio viene impiegato, e correttamente, ma la segnalazione di Tannery non è stata sufficiente a mettere il Menge in guardia nei confronti dell’errore della successiva Proposizione 11. 16. Chi scrive questa nota non ritiene significativo includere se stesso in questo elenco.
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to invece appaia più plausibile stabilire un’equivalenza tra ¬α→¬β e α→β. Tuttavia, nel caso della Proposizione 11 non abbiamo a che fare con giovani studenti, e neppure con simboli proposizionali non interpretati: ci troviamo di fronte ad autori matematicamente colti e ad una dimostrazione concreta. Siamo perciò convinti che vi siano delle ragioni locali, specifiche della dimostrazione in oggetto o dell’opera in cui si trova, che hanno occultato l’errore. La prima ragione che ci sembra di individuare è legata al fatto che il Principio di Consonanza è falso: come rileva Tolomeo, e come era ben noto ad ogni teorico musicale, l’intervallo di undicesima è consonante (e tale era riconosciuto dai Greci), ma il corrispondente rapporto 8:3 non è né multiplo né epimorio. Ora, sappiamo quanto l’interpretazione dei termini e degli assiomi che compaiono in una teoria sia un buon antidoto contro gli errori logici; l’esistenza di un modello consente infatti di affiancare alle categorie sintattiche ‘dimostrabile’ – ‘non dimostrabile’ le categorie semantiche ‘vero’ – ‘falso’. Ma questo vale, ovviamente, se gli assiomi sono veri nel modello. Al contrario, se un assioma è consapevolmente falso, il riferirsi al modello in cui ciò accade non è di alcun aiuto, in quanto la presenza di un enunciato falso nel corso di una dimostrazione non è più una prova di un errore commesso. Nel caso della Sectio il modello è costituito dalle consonanze musicali, ma in esso l’assioma del Principio di Consonanza è falso. Questa situazione costituisce una novità nella matematica greca: la geometria ha come unico modello lo spazio ‘euclideo’, dove i postulati dei libri geometrici sono veri, e l’aritmetica ha come unico modello i numeri naturali, dove le proprietà assunte nei Libri Aritmetici sono altrettanto vere. A parità d’attenzione logica, quindi, il rischio di commettere errori all’interno della Sectio è molto più alto di quanto non lo sia all’interno degli Elementi. Una seconda ragione che contribuisce ad occultare l’errore è che ci troviamo di fronte ad una dimostrazione anomala, non nella struttura logica (errore a parte), ma per gli scopi che si prefigge. Ricostruendone la storia, abbiamo già osservato come alla base di tutto vi sia stata la scoperta empirica del fatto, fisico, che le consonanze di ottava, quinta e quarta corrispondono ai rapporti 2:1, 3:2 e 4:3. Del resto, la tradizione secondo la quale Pitagora sarebbe giunto alla scoperta ascoltando i suoni prodotti da un fabbro che colpiva con un martello incudini di diversa grandezza, pone l’accento proprio sul dato sperimentale e casuale. Lo scopo della Proposizione 12 è invece quello di dimostrare questa scoperta fisica, e a tal fine viene impiegato un assioma, il Principio di Consonanza, che è una generalizzazione della scoperta stessa. Accade spesso che un
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postulato, ottenuto per estrapolazione da un certo insieme di eventi, sia impiegato per dimostrare anche quegli stessi eventi; il fatto anomalo è che, nel caso della Sectio, ciò costituisce il suo unico scopo. È questa stranezza di fondo, questa apparente totale inutilità, che disorienta chiunque affronti la dimostrazione e abbassa il suo livello di attenzione nei confronti della struttura logica. 17 In realtà, la dimostrazione della Sectio ha uno scopo, tutt’altro che banale: affrancare la musica dall’esperienza. Infatti, dimostrando il legame tra numeri e consonanze mediante il Principio di Consonanza, e fondando il Principio con l’analogia ‘buoni numeri per buoni suoni’, tutto diventa, alla fine, conseguenza delle proprietà intrinseche dei numeri coinvolti. È importante osservare che questo superamento del dato sperimentale non si realizza eliminando il contenuto sonoro dalla teoria musicale, cioè definendo le consonanze in termini numerici e riducendo la musica all’algebra; questa impostazione, di facile comprensione per chi, come noi moderni, è assuefatto all’idea di sistema formale, è estranea all’ideologia della Sectio. Ciò che si vuol fare è dimostrare le proprietà dei suoni impiegando solo le proprietà dei numeri che li rappresentano. 18 E questo ci conduce verso la terza ragione. Tale impostazione, presente nella scuola pitagorica e rafforzatasi nell’idealismo platonico, comporta una sorta di simbiosi tra i numeri e la realtà che essi rappresentano, e quindi, nel nostro caso, tra gli intervalli musicali e i rapporti che li esprimono. Per quanto concerne il Principio di Consonanza, se la sua origine sperimentale giustifica l’implicazione Cons. → (Mult. ∨ Ep.) con cui è stato enunciato e con cui è rimasto nella tradizione musicale greca, le nuove ragioni poste a suo fondamento, basate esclusivamente su proprietà dei numeri, conducono verso l’implicazione inversa (e questo giustifica la seconda critica di Tolomeo). Nella Sectio, che di questo atteggiamento 17. Per taluni, questo è anche un motivo di fascino, simbolo di rigore formale; del resto, tra i significati dell’aggettivo ‘formale’ vi è pure quello di ‘inutile’. Si osservi ad esempio il commento di Karl von Jan [9], uno dei più importanti editori della Sectio: «Che la maggior parte di questo libello sia stata scritta dallo stesso principe dei matematici appare manifesto. Non è infatti opera di un ingegno mediocre trovare una via così lunga, che attraverso undici proposizioni pervenga a ciò che l’autore si propose, e cioè che l’ottava è contenuta nel rapporto 2:1, ed è composta dei due rapporti 3:2 e 4:3. Lo stesso tipo di pensiero si manifesta in questo libretto della Sezione musicale e negli Elementi di geometria.» 18. A tale riguardo è ben noto il passo della Repubblica in cui i musicisti che tentano di trovare ad orecchio l’intervallo di semitono vengono paragonati a dei curiosi che spiano i vicini. «Infatti, misurando i rapporti fra gli accordi e i suoni ad orecchio, si fa […] un lavoro inutile». «E anche ridicolo, per gli dèi! – esclamò –. Infatti, volendo definire certe quali sfumature delle note e tendendovi l’orecchio come se cercassero di captare la voce dei vicini, gli uni dicono di cogliere una ulteriore nota intermedia che sarebbe la più piccola unità di misura dei suoni; gli altri ribattono che le due note risuonano allo stesso modo. È chiaro che si presta più fede all’orecchio che all’intelligenza.» (Repubblica, 531A-B).
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ideologico è una espressione forte, è quindi presente una costante pressione che porta il lettore ad identificare le consonanze con i rapporti multipli ed epimori, e quindi a leggere il Principio non come una implicazione ma come una equivalenza. In una parola, tutto spinge verso l’errore. Il fatto poi che questo passaggio dall’implicazione all’equivalenza non sia avvenuto in modo conscio, è dovuto alla schiacciante falsità empirica dell’implicazione inversa (anche se, come rivela la prima critica di Tolomeo, anche nella forma tradizionale il Principio è musicalmente falso, pur se in misura meno vistosa), ed è un segno della resistenza che il riferimento empirico continuò ad esercitare, anche all’interno della teoria musicale pitagorica, nei confronti di una impostazione più idealistica o misticheggiante. A riprova di questa contraddizione di fondo osserviamo che un’analoga situazione, consistente in un principio dichiarato in forma implicativa ed impiegato in forma di doppia implicazione, si presenta anche nell’Armonica di Tolomeo. Il problema non riguarda più gli intervalli consonanti bensì gli intervalli melodici, cioè quelli che intercorrono tra un grado e l’altro di una scala musicale. Il principio enunciato è che «ogni intervallo melodico deve essere espresso da un rapporto epimorio», e quindi ha la forma Mel. → Ep. Tuttavia, come abbiamo dimostrato in [3], Tolomeo e i teorici greci che lo hanno preceduto hanno impiegato (sotto certe condizioni) tutte le scomposizioni in intervalli epimori matematicamente possibili, indipendentemente dal loro valore acustico; la condizione di esser epimorio è stata quindi considerata non solo necessaria ma anche sufficiente per la melodicità di un intervallo, e ciò significa che il principio, pur essendo stato enunciato in forma implicativa, è stato utilizzato (anche se, questa volta, non in ambito dimostrativo bensì normativo) come doppia implicazione.
2. 4. Il valore della dimostrazione Dopo quanto osservato nel paragrafo precedente, pensiamo di poter concludere che l’errore logico nella dimostrazione della Proposizione 11 non sia, da solo, una ragione sufficiente per dichiarare falsa l’attribuzione ad Euclide della Sectio. Quelle ragioni che hanno portato Tolomeo, e insieme con lui una vasta schiera di commentatori, a non accorgersi dell’errore, possono avere indotto anche un matematico valente a commetterlo. Può allora essere opportuno, per raccogliere ulteriori elementi di giudizio per l’attribuzione dell’opera, cercare di stabilire il ‘valore’ della dimostrazione delle Proposizioni 10-13, mettendone il più possibile in luce la struttura dimostrativa.
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Qui di seguito ne ricostruiamo il percorso in una traduzione moderna, impiegando operazioni tra frazioni al posto delle composizioni di rapporti. Risulta così più facile evidenziare i punti salienti della dimostrazione euclidea, purché si ricordi che, in tal modo, non viene resa la reale difficoltà di alcuni passaggi. Come abbiamo osservato, la Proposizione 10 è il punto della Sectio dove l’aritmetica che è stata sviluppata nelle proposizioni precedenti s’incontra con il mondo della musica tradizionale, quella senza numeri, ben strutturata e radicata già prima di Pitagora. Da questo mondo vengono prese tutte le proprietà sonore che servono alla dimostrazione. Il punto di partenza è costituito dal fatto che gli intervalli di quarta, quinta e ottava sono consonanti. Se indichiamo tali intervalli con Qa, Qi e O, e con C l’insieme degli intervalli consonanti, il dato musicale assunto è quindi che (1) Qa,Qi,O ∈ C. Come abbiamo visto in §1, le proprietà che legano musica e matematica, o meglio, intervalli e rapporti, sono sostanzialmente due. Una è il principio secondo il quale se si sommano due intervalli musicali allora i relativi rapporti si moltiplicano: (PL) Per ogni coppia di intervalli X e Y, f(X+Y) = f(X) ⋅ f(Y).
L’altra è il Principio di Consonanza, che, come a questo punto ben sappiamo, dobbiamo considerare unitamente al suo inverso per poter concludere correttamente la dimostrazione. Se poniamo M = {n : n ≥ 2} e E = {(n+1)/n : n ≥ 2} (cioè se indichiamo con M ed E rispettivamente l’insieme dei rapporti multipli e dei rapporti epimori) allora abbiamo: (DPC) {f(X) : X ∈ C} = M ∪ E.
(Naturalmente, al Principio di Consonanza corrisponde l’inclusione {f(X) : X ∈ C} ⊆ M ∪ E, mentre il suo inverso dà luogo all’inclusione M ∪ E ⊆ {f(X) : X ∈ C}). Il problema della Sectio consiste nell’attribuire a quarta, quinta e ottava i rapporti corrispondenti, cioè trovare i valori di f(Qa), f(Qi) e f(O), che per comodità indichiamo con qa, qi e o. Tra le proprietà aritmetiche è stato dimostrato (Proposizione 6) che l’unico caso in cui il prodotto di due rapporti epimori ha come risultato un rapporto multiplo è quello in cui gli epimori sono 3/2 e 4/3 e il multiplo 2/1. In simboli: (P6) Se x,y ∈ E, z ∈ M e x×y = z allora x = 3/2, y = 4/3 (o viceversa) e z = 2.
Il punto P6 è quello che determina la strategia dell’intera dimostrazione.
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Poiché abbiamo (anche questo è un dato musicale) che (2) Qa + Qi = O
segue, per (PL), che qa ⋅ qi = o. Quindi, in virtù di (P6), è sufficiente dimostrare che qa, qi ∈ E e o ∈ M per ottenere che a quarta e quinta corrisponderanno 3/2 e 4/3 e all’ottava corrisponderà 2/1. Inoltre, poiché da (1) e da (DPC) segue che qa,qi, o ∈ M ∪ E, tutto si riduce nel decidere a quale, tra E ed O, appartengano qa , qi ed o. È solo questo lo scopo delle Proposizioni 10 e 11. Per raggiungerlo bisogna trovare allora qualche proprietà che distingua quarta e quinta da un lato e ottava dall’altro; essa dovrà essere di tipo musicale, naturalmente, ma dovrà potersi convertire in proprietà numeriche, e poiché gli unici ponti di collegamento tra numeri e suoni sono (PL) e (DPC), dovrà necessariamente trattare di composizioni di intervalli e di consonanza o dissonanza dei risultati ottenuti. La proprietà scelta dall’autore della Sectio è stata la seguente: sommando un’ottava a se stessa si ottiene un intervallo consonante, mentre sommando una quinta o una quarta a se stesse si ottengono intervalli dissonanti; cioè, in simboli: (3) Qa + Qa ∉ C, Qi + Qi ∉ C e O + O ∉ C. Da (3), mediante (PL) e (DPC), segue che (4) qa2 ∉ M ∪ E, qi2 ∉ M ∪ E e o2 ∈ M ∪ E. (Osserviamo che per ottenere o2 ∈ M ∪ E è stato impiegata l’inclusione {f(X) : X ∈ C} ⊆ M ∪ E, cioè il vero Principio di Consonanza, mentre negli altri due casi si è dovuta impiegare l’inclusione inversa).
Questa catena di passaggi ci ha condotto a ricercare delle proprietà di tipo aritmetico che consentano di distinguere il comportamento di M e E nei confronti dei quadrati. Tali proprietà sono proprio le Proposizioni 1 e 2 (il Teorema dei Rapporti Multipli) e la Proposizione 3 (il Teorema degli Epimori). Le formalizziamo nell’ordine come segue, dove x è un qualunque rapporto: (P1) x ∈ M → x2 ∈ M (P2) x2 ∈ M → x ∈ M (P3) x2 ∉ E. Da (P3) segue o2 ∉ E, e quindi, per (4), o2 ∈ M, da cui deriva, per (P2), che o ∈ M. Invece, poiché qa ∈ M ∪ E e qa2 ∉ M ∪ E abbiamo, per (P1), che qa ∈ E. Analogamente per qi. Ciò conclude la dimostrazione.
Dalla ricostruzione emerge la notevole organicità della struttura dimostrativa; mediante la progressiva conversione delle proprietà sonore in proprietà
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aritmetiche (non si dimentichi che ci troviamo di fronte ad un teorema di fisica, per quanto anomalo esso sia), e poi delle proprietà aritmetiche particolari in proprietà aritmetiche più generali, tutto viene convogliato verso il Teorema dei Rapporti Multipli e il Teorema degli Epimori, la cui funzione è quella di distinguere tra loro epimori e multipli mediante l’impiego di proprietà numeriche che siano la traduzione di proprietà musicali. L’impianto della dimostrazione ci sembra pertanto davvero non banale (anche con le ipotesi rafforzate) e non attribuibile a un ‘minore’. Ma dalla ricostruzione fatta emerge anche come sia impossibile ottenere il risultato voluto senza l’inverso del Principio di Consonanza. Se al posto di (DPC) prendiamo solo l’inclusione {f(X) : X ∈ C} ⊆ M ∪ E, cioè se richiediamo che le consonanze siano multiple o epimorie senza richiedere che le dissonanze non lo siano, allora vi sono infinite possibili attribuzioni di valori alle tre consonanze fondamentali che rispettano tutte le relazioni musicali. Infatti, se attribuiamo a f(Qa), f(Qi) e f(O) tre valori qa, qi e o che siano numeri naturali maggiori di 1 (cioè appartenenti a M) tali che qa < qi e qa ⋅ qi = o (ad esempio f(Qa) = 2, f(Qi) = 3 e f(O) = 6) abbiamo, essendo M chiuso rispetto al prodotto, che a composizioni di ottave, quinte e quarte corrisponderanno sempre valori appartenenti ad M; l’implicazione Cons. → (Mult. ∨ Ep.) non potrà in tal caso essere falsificata, poiché il fatto che alcune composizioni di consonanze siano dissonanti è logicamente compatibile con essa. Il programma della Sectio, e quindi la riduzione dell’armonia alla matematica con i soli mezzi che i Greci ritenevano lecito impiegare, è irrealizzabile.
3. Il linguaggio della Sectio La traduzione di un testo che coinvolge simultaneamente universi molto differenziati, quali sono oggi la teoria dei numeri e la musica, non può non presentare problemi terminologici. Nel nostro caso, poi, troviamo, l’uno di fronte all’altro, due dei più famosi grovigli notazionali. Da un lato la nomenclatura musicale greca che, pur subendo l’attrazione dell’ottava (chiamata diapason, con chiaro riferimento alla completezza che essa rappresenta), continuò a considerare il tetracordo come unità di riferimento; dall’altro la teoria dei rapporti tra numeri naturali che, pur di non incorrere nel peccato tutto ideologico di frazionare l’unità, si impiglio in una notazione laboriosa e contorta. A peggiorare le cose c’è infine il problema, ben più insidioso, della relazione logaritmica che lega le operazioni tra intervalli e quelle tra i rapporti numerici che li esprimono. Prima di affrontare la traduzione chiariamo quindi le due nomenclature e il loro rapporto, limitandoci per entrambe ai concetti che interven-
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gono nella Sectio. In tal modo la parte propriamente aritmetica si riduce ai nomi dei rapporti tra numeri naturali in cui il numeratore sia maggiore del denominatore, ai nomi cioè degli antenati dei numeri razionali maggiori di uno, mentre quella propriamente musicale può essere limitata ai nomi delle note (fortunatamente nella Sectio non interviene il concetto armonico di ‘modo’!). Cominciamo da questi ultimi. Per noi la molecola che costituisce l’universo musicale è l’ottava. Due note ad intervallo di un’ottava sono considerate equivalenti e ricevono lo stesso nome; i nomi sono quindi sette. 19 Le ottave vengono poi combinate in modo congiunto, nel senso che l’ultima nota di una ottava coincide con la prima nota dell’ottava successiva. 20 Quando è necessario distinguere note aventi lo stesso nome e appartenenti ad ottave diverse, si usano degli indici o degli apici (p. es., al modo italiano, Do, do1, do2 etc.). Per i Greci, invece, l’unità di base era il tetracordo, cioè un insieme di quattro note con le note esterne ad un intervallo di quarta. Se, a parte questa differenza di base, tutto fosse proceduto in modo analogo al nostro, allora i nomi greci delle note sarebbero stati tre. Ma questi nomi, oltre a contenere una indicazione sul tetracordo di appartenenza (l’analogo del nostro indice), variavano dai tetracordi acuti a quelli gravi. Inoltre – ed è questo il grande elemento di disturbo – i tetracordi non venivano combinati solo in modo congiunto, ma anche in modo disgiunto, cioè con l’ultima nota del primo tetracordo a distanza di un tono dalla prima del tetracordo successivo. Data la presenza di due modi distinti di comporre i tetracordi, i Greci stabilirono alcune combinazioni fisse cui diedero il nome di sistemi. Questi erano: la settima, composta da due tetracordi congiunti; l’ottava, composta due tetracordi disgiunti; il Sistema perfetto minore, costituito da tre tetracordi congiunti più una nota al grave a distanza di un tono; il Sistema perfetto maggiore, costituito da due coppie disgiunte di tetracordi congiunti, più una nota al grave; e infine il Sistema perfetto immutabile, ottenuto sovrapponendo il Sistema perfetto minore al Sistema perfetto maggiore (si osservi la forza d’attrazione dell’ottava, anche in una teoria fondata sui tetracordi: la complicata combinazione del sistema maggiore, e quindi di quello immutabile, ha lo scopo di ottenere una doppia ottava. Eppure bisognerà ancora attendere più di mille anni perché i nomi delle note siano dati modulo sette!). A complicare ulteriormente le cose vi è il fatto che i tetracordi erano di vario tipo. Mentre le due note esterne erano, in ogni caso, ad un intervallo di quarta 19. A meno, naturalmente, delle alterazioni. 20. Questa è la ragione per cui, ad esempio, l’intervallo di doppia ottava è un intervallo di quindicesima e non di sedicesima.
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e pertanto erano chiamate fisse, le due note interne potevano variare la loro posizione, ed erano dette mobili. Un tetracordo di tipo diatonico era diviso in tono + tono + semitono (e quindi l’ottava che seguiva da due tetracordi disgiunti era, come per noi moderni, divisa in tono, tono, semitono, tono, tono, tono, semitono); un tetracordo enarmonico era diviso in ditono + quarto di tono + quarto di tono; infine un tetracordo cromatico era diviso in semiditono 21 + semitono + semitono. 22 Ora, nelle ultime due proposizioni della Sectio si determinano i suoni del Sistema perfetto maggiore. Tuttavia (ed è solo una delle anomalie contenute nella parte finale dell’opera) questo sistema viene chiamato «immutabile», e talvolta i nomi delle note e la distinzione tra note fisse e mobili sono quelle del sistema minore. Analizziamo dapprima i nomi delle note del Sistema perfetto maggiore, il più vicino alla nostra concezione, e già per Tolomeo l’unico a cui spettasse l’attributo di «perfetto». I quattro tetracordi, partendo come i Greci dall’acuto, erano detti «dei suoni più elevati» (hyperbolaion), «dei suoni separati» (diezeugmenon, in riferimento al fatto che tale tetracordo si trovava al di sopra del tono di separazione dei due tetracordi centrali), «dei suoni di mezzo» (meson), e «dei suoni estremi» (hypaton). I tre nomi delle note dei due tetracordi acuti erano «estrema», «quasi estrema» e «terza» (nete, paranete, trite), quelli dei due tetracordi gravi erano «indice» (il riferimento è al dito che suonava quella corda nella lira), «quasi suprema» e «suprema» (lykanos, parhypate, hypate); le note dove avveniva la disgiunzione erano dette «media» e «vicino alla media» (mese e paramese), e infine la nota aggiunta al grave era chiamata «aggiunta» (proslambanomenos). 23 I nomi rimanevano costanti, qualunque tipo di accordatura venisse adottato. Ora, mentre la proslambanomenos e le note estreme di ogni tetracordo erano fisse (nella tabella successiva le abbiamo sottolineate), le altre, come abbiamo detto, erano mobili, e la loro altezza relativa rispetto alle note fisse variava secondo il tipo di tetracordo impiegato; pertanto i loro nomi indicavano semplicemente la posizione e non l’altezza relativa. L’attribuzione dei nomi moderni alle note greche avviene inquadrando la doppia ottava da la1 a la3. 24 Riportiamo di seguito la 21. Cioè un tono e mezzo. 22. Le indicazioni dei vari tipi di tetracordo erano qualitative, nel senso che ogni teorico sceglieva l’ampiezza da dare al tono e alle sue frazioni, e anche se dare ai due toni del tetracordo diatonico la stessa ampiezza o ampiezza diversa. Il tetracordo diatonico pitagorico, che troviamo in filolao e Platone e che incontreremo nelle due ultime proposizioni della Sectio, aveva entrambi i toni di 9/8 e quindi il semitono di 256/243, cioè di ampiezza pari al risultato di (4/3)/(9/8)2. 23. Sia in sede di commento che di traduzione, citeremo i nomi greci delle note costantemente al nominativo, e li considereremo femminili. 24. Naturalmente, non c’è pervenuto nessuno strumento con l’indicazione delle note prodotte; e facendo riferimento ai pochi e problematici frammenti musicali giunti fino a noi, sarebbe più corretto inquadrare la doppia ottava dal fa1 al fa3, o dal fa#1 al fa#3. Il motivo della scelta del la è
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traduzione. Per quanto osservato, tale traduzione è sensata solo se ci si riferisce ad una accordatura diatonica; nel caso di accordatura enarmonica o cromatica, la traduzione resta valida per le note fisse ma è fuorviante per le note mobili. Ad esempio, la prima nota mobile di un tetracordo cromatico è a un tono e mezzo dalla nota fissa che la precede: in tal modo la lycanos meson non sarebbe un sol ma un fa#; nel caso di un tetracordo enarmonico la stessa nota sarebbe addirittura un fa. Questo problema si presenterà nella più controversa tra le proposizioni della Sectio, la diciottesima, e verrà discusso dettagliatamente. Le due proposizioni finali, invece, propongono una accordatura diatonica, e quindi in tal caso la seguente tabella è valida. nete hyperbolaion paranete hyperbolaion trite hyperbolaion nete diezeugmenon paranete diezeugmenon trite diezeugmenon paramese mese licanos meson parypate meson hypate meson lichanos hypaton parypate hypaton hypate hypaton proslambanomenos
la3 sol3 fa3 mi3 re3 do3 si2 la2 sol2 fa2 mi2 re2 do2 si1 la1
Il Sistema perfetto minore variava, rispetto a quello maggiore, nella parte acuta, dove al posto dei tetracordi «dei suoni più elevati» e «dei suoni separati» del sistema maggiore vi era un unico tetracordo, detto «dei suoni congiunti» (synemmenon), il quale appunto era congiunto e non disgiunto dalla mese, con la conseguente scomparsa della paramese. questo: come abbiamo visto, la doppia ottava del Sistema perfetto maggiore non era pensata come un insieme di due ottave, ma come un’ottava centrale (il sistema di due tetracordi disgiunti) con un tetracordo congiunto all’acuto un tetracordo congiunto al grave, più una nota. Ora, considerando i tetracordi accordati in modo diatonico, la divisione dell’ottava in toni e semitoni risultava la seguente: TTSTTTS. Questa sarebbe la divisione del nostro modo maggiore, se non fosse che le scale greche, come osservato, erano discendenti, dall’acuto al grave. E volendo, su una tastiera moderna, fare una scala discendente con quella successione di toni e semitoni che impieghi solo tasti bianchi, è necessario partire dal mi (infatti la scala ascendente di do maggiore, guardando la tastiera allo specchio, viene vista come una scala discendente mi re do si la sol fa mi, che, tra l’altro, non è né una scala di mi maggiore, né di mi minore, ma è nel modo greco per eccellenza, il dorico). È solo per evitare nomi di note alterati da diesis e bemolli, quindi, che l’ottava centrale è stata inserita dal mi al mi, e, di conseguenza, la doppia ottava che la incorpora è stata inserita dal la al la.
La Sectio canonis di Euclide e il suo errore logico nete synemmenon paranete synemmenon trite synemmenon mese licanos meson parypate meson hypate meson lichanos hypaton parypate hypaton hypate hypaton proslambanomenos
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re do sib la sol fa mi re do si la
Infine, il Sistema perfetto immutabile si otteneva sovrapponendo il sistema minore a quello maggiore. Poiché nell’ottava grave i due sistemi coincidono, e poiché il tetracordo più acuto è presente solo nel sistema maggiore, le diversità tra il sistema immutabile e quello maggiore si trovano all’acuto della mese, dove il tetracordo congiunto del sistema minore si contrappone al tetracordo disgiunto del sistema maggiore. 25 Terminiamo questo paragrafo con un cenno sulla nomenclatura matematica. Come abbiamo già visto nel §1, il nome dei singolo rapporti multipli, quelli che ridotti a fattori primi danno luogo ad un numero naturale, indicava appunto tale naturale: duplo per il rapporto tra 2 e 1, ma anche per quello tra 4 e 2, tra 6 e 3, etc; triplo per il rapporto tra 3 e 25. Nel caso (e solo in quello) che i tetracordi siano accordati al modo diatonico pitagorico (con entrambi i toni di 9/8 e quindi con il semitono di 256/243), la situazione si presenta come nella seguente figura:
Infatti, il tono di disgiunzione D è di 9/8 per ogni accordatura. Per avere la coincidenza della trite diezeugmenon del sistema maggiore con la paranete synemmenon del sistema minore è necessario che valga D+C = B+C, e cioè B = D; inoltre, affinché la paranete diezeugmenon coincida con la nete synemmenon è necessario che sia A = B. Pertanto una accordatura soddisfa entrambe le uguaglianze se e solo se A = B = 9/8.
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1, tra 6 e 2 etc., quadruplo per quello tra 4 e 1, e così via. Per gli epimori, invece, si considerava il rapporto nella forma ridotta ai minimi termini (n+1)/n ed il nome attribuito era sesqui (epi in greco) seguito dall’ordinale di n. Ad esempio, il rapporto tra 5 e 4, così come quello tra 10 e 8 etc., era detto sesquiquarto (epitetartos); il rapporto tra 4 e 3, ma anche quello tra 8 e 6, tra 12 e 8 etc., era sesquiterzo (epitrito); il rapporto tra 3 e 2 era sesquialtero (emiolio). 26 Tutti questi termini sono aggettivi del generico sostantivo «rapporto». Non è quindi opportuno sostituirli, in sede di traduzione, con la moderna nomenclatura frazionaria che tratta ogni singolo rapporto (3/2, 5/4 etc.) come un sostantivo, poiché in tal modo verrebbe alterata l’intera struttura della frase. Ma vi è un motivo anche più grave che rende inopportuna tale traduzione: benché i termini sesquialtero, sesquiterzo etc. siano aggettivi del sostantivo «rapporto», nelle opere di teoria musicale come la Sectio vengono anche impiegati come aggettivi del sostantivo «intervallo». Abbiamo quindi una sovrapposizione tra la notazione musicale e quella matematica e questo fatto, stante il rapporto logaritmico che le lega, è una possibile fonte di confusione. Ad esempio, la Proposizione 8 asserisce che «se da un intervallo sesquialtero si toglie un intervallo sesquiterzo si ottiene un intervallo sesquiottavo». Traducendo i termini sesquialtero, sesquiterzo, sesquiottavo con 3/2, 4/3, 9/8, otterremmo: «se da 3/2 togliamo 4/3 otteniamo 9/8», e quindi 3/2 – 4/3 = 9/8. Per evitare simili assurdità potremmo allora tradurre l’operazione tra intervalli con la sua immagine antilogaritmica, nel modo seguente: «se dividiamo 3/2 per 4/3 otteniamo 9/8», e quindi (3/2)/(4/3) = 9/8, ma questa espressione, benché corretta, ha ormai snaturato il testo. Abbiamo quindi tradotto tutti i termini in modo letterale, rinunciando ad ogni forma di «correzione». 27 Del resto, il fatto che ancora oggi si faccia uso del termine «intervallo» e della relativa nomenclatura additiva ha motivi più profondi del protrarsi di un errore terminologico, o dell’ossequio ad una tradizione millenaria. La nostra intuizione percepisce la relazione tra due suoni come un salto, e quindi la identifica con tale salto. Questo tipo di rappresentazione è stato definitivamente consolidato dall’immagine della tastiera del pianoforte, in cui ad intervalli omonimi corrispondono spazi uguali. Non è solo per 26. Per una trattazione dettagliata della nomenclatura dell’aritmetica greca si veda [11]. 27. Per i nomi delle frazioni, abbiamo italianizzato la traduzione latina dei termini originali, salvo che per «epimorio» ed «epimerio»; in tal caso infatti i corrispondenti termini latini «superparticolare» e «superparziale», benché siano la traduzione letterale del termine greco e stiano a significare che il numeratore supera il denominatore di una particula (cioè di un divisore; infatti p/q = (n+1)/n se p = q+d dove d è un divisore di q) o di una parte, assumono in italiano un significato fuorviante.
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fedeltà al testo, quindi, che abbiamo rinunciato a tradurre i termini greci con il loro reale significato matematico: così facendo l’opera sarebbe risultata, oltretutto, molto più difficile alla lettura.
4. Il testo Forniamo ora la traduzione italiana della Sectio Canonis di Euclide.
La sezione del canone Proemio Dove c’è quiete e immobilità, c’è silenzio; e se c’è silenzio e non si muove nulla, nulla si ode. Perché si possa dunque udire qualcosa è necessario che prima vi sia stata una percossa e un movimento. Perciò, dal momento che tutti i suoni avvengono quando qualcosa è stato percosso, il che non accade se prima non vi è stato un movimento – e tra i movimenti alcuni sono più frequenti, altri più radi, e i più frequenti producono suoni più acuti, e i più radi suoni più gravi – è necessario che alcuni suoni siano più acuti, allorquando sono prodotti da moti frequenti e numerosi, ed altri più gravi, quando sono composti da moti più radi e scarsi. 28 E così i suoni che sono troppo acuti si correggono con una diminuzione del moto, allentando le corde, mentre quelli troppo gravi si correggono con un accrescimento del moto, tendendo le corde. E perciò bisogna dire che i suoni siano composti di particelle, dal momento che si correggono per aggiunzione e detrazione. 29 Ma tutte le cose che sono composte di particelle stanno tra loro in un certo rapporto numerico, cosicché diciamo che è necessario che pure i suoni stiano tra loro in tali rapporti. Tra i numeri, d’altra parte, alcuni sono detti in rapporto multiplo, altri in rapporto epimorio, altri ancora in rapporto epimerio, cosicché, necessariamente, anche i suoni stanno tra loro nei medesimi rapporti. Di questi, i multipli e gli epimori vengono indicati con un solo nome. Sappiamo anche che alcuni suoni sono tra loro consonanti, altri dissonanti, e consonanti sono quelli che si fondono in un solo suono, dissonanti quelli che non lo fanno. 30 Stando così le cose, ne consegue che i suoni consonanti, dal momento che si fondono entrambi in un
28. Sono particolarmente forti le analogie con la teoria sul suono di Archita, come riportata da Armonico. (v.[17], II, 359-369). 29. Questa è una forte dichiarazione di atomismo pitagorico, che conferma ulteriormente la matrice architea di questo proemio. 30. Questa definizione, perfettamente condivisibile da un moderno, è particolarmente significativa se si pensa che i Greci consideravano gli intervalli soprattutto in modo melodico (due suoni in successione) e non armonico (due suoni simultanei).
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unico suono, stanno tra loro in quei rapporti numerici indicati con un solo nome, cioè o multipli o epimori. 31 1. Se un intervallo multiplo è composto due volte, ciò che si ottiene sarà ancora un intervallo multiplo. 32 Sia BΓ un intervallo, 33 sia B multiplo di Γ, e Γ stia a B come B sta a ∆. 34 Dico che ∆ è multiplo di Γ. Infatti, poiché B è multiplo di Γ, Γ divide B. Ma Γ stava a B come B sta a ∆, perciò Γ divide anche ∆. Quindi ∆ è multiplo di Γ. 2. Se un intervallo composto due volte produce un intervallo multiplo, allora esso stesso sarà multiplo. 35
Sia BΓ un intervallo, e Γ stia a B come B sta a ∆. Sia ancora ∆ multiplo di Γ. Dico che anche B è multiplo di Γ. Infatti, poiché ∆ è multiplo di Γ, Γ divide ∆. Abbiamo visto che se quanti si voglia numeri sono in proporzione e il primo divide l’ultimo, allora il primo divide i medi. 36 Perciò Γ divide B e quindi B è multiplo di Γ. 3. In un intervallo epimorio non vi sono né uno né più medi proporzionali. 37 Sia BΓ un intervallo epimorio. Siano ∆Z e Θ i minimi termini che stanno 31. L’interpretazione di degli ultimi tre periodi è tuttora oggetto di controversia (si veda ad esempio [5]). Tuttavia il loro contenuto è ormai chiaro: enunciano il Principio di Consonanza e lo fondano mediante una analogia tra suoni e numeri. 32. Un rapporto multiplo elevato al quadrato è ancora un rapporto multiplo; cioè, se Γ :B = B :∆ e B è multiplo di Γ allora ∆ è multiplo di Γ. Se si considera l’asserto in questa forma: se B=nΓ e ∆=nB allora ∆=n2Γ, allora si vede come esso costituisca un caso particolare della proposizione: se B è multiplo di Γ e ∆ di B allora ∆ è multiplo di Γ. Tuttavia, come abbiamo osservato, le proposizioni aritmetiche della Sectio sono strettamente funzionali alla parte più propriamente musicale. 33. Il termine «intervallo BΓ » deve esser inteso come «rapporto B su Γ ». 34. E quindi ∆/Γ = (B/Γ)2. 35. Abbiamo osservato come i numeri siano sempre da intendersi naturali. E in questo caso, contrariamente al precedente, questa condizione è necessaria. 36. Il risultato a cui ci si riferisce con l’espressione «abbiamo visto» è la Proposizione VIII.7 degli Elementi: Se si danno quanti si voglia numeri in proporzione continuata, ed il primo divide l’ultimo, esso dividerà anche il secondo. 37. Se G/D è un rapporto epimorio allora non esiste B tale che Γ :B = B :∆. Boezio, nel De institutione musica. iii.11, riporta questo risultato, con dimostrazione molto simile, attribuendolo ad Archita. Il teorema si limita a mostrare che se un rapporto epimorio è ridotto ai minimi termini allora diventa del tipo (n+1)/n; in altre parole, esso giustifica la definizione ‘moderna’ di rapporto
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tra loro come B e Γ. 38 L’unico divisore comune tra ∆Z e Θ è quindi l’unità. Si prenda HZ uguale a Θ. Poiché ∆Z è in rapporto epimorio con Θ, la parte restante ∆H è un divisore di ∆Z e di Θ. 39 Quindi ∆H è l’unità e tra ∆Z e Θ non vi sarà alcun medio proporzionale. Esso infatti dovrebbe essere minore di ∆Z e maggiore di Θ, e in tal modo si dividerebbe l’unità, il che è impossibile. Quindi non esisterà alcun medio proporzionale tra ∆Z e Θ. Ma tra due numeri che stanno in un certo rapporto vi sono tanti medi proporzionali quanti ve ne sono tra i minimi termini che stanno nel medesimo rapporto. Ma non ve ne è nessuno tra ∆Z e Θ, e quindi non ve ne sarà nessuno tra B e Γ. 4. Se un intervallo non multiplo è composto due volte, 40 l’intervallo risultante non sarà né multiplo né epimorio. 41 Sia BΓ un intervallo non multiplo, e Γ stia a B come B sta a ∆. 42 Dico che ∆ non è né multiplo di Γ, né in rapporto epimorio con esso. Supponiamo epimorio. Perché questo teorema sia significativo è fondamentale quindi che i rapporti epimori vengano definiti nel modo originario, come quelli in cui il numeratore è uguale ad denominatore più un divisore di questi. Anche considerando ciò, comunque, il peso della dimostrazione viene a gravare su un risultato, citato come noto, che corrisponde alla Proposizione VIII.8 degli Elementi: Se fra due numeri vengono ad interporsene altri in proporzione continuata, altrettanti se ne potranno interporre in proporzione continuata fra due altri numeri che abbiano tra loro lo stesso rapporto dei primi due. Lo Heath [8] osserva che vengono presupposti anche altri risultati che compaiono negli Elementi, quali la Proposizione VII.20: I numeri più piccoli fra quanti abbiano tra loro a due a due lo stesso rapporto, sono equisottomultipli dei numeri che hanno tra loro a due a due lo stesso rapporto, rispettivamente il numero maggiore del maggiore e quello minore del minore; la Proposizione VII.33: Dati quanti si voglia numeri, trovare i numeri più piccoli tra quelli che abbiano il loro stesso rapporto; e la Proposizione VII.22: I numeri più piccoli tra quanti abbiano tra loro a due a due lo stesso rapporto, sono primi fra loro. L’attribuzione di questo teorema ad Archita è quindi importante, sempre secondo lo Heat, in quanto mostra che «esisteva, almeno già dai tempi di Archita, un trattato di qualche tipo sugli Elementi di Aritmetica in forma simile a quello euclideo, e contenente molte delle proposizioni in seguito inglobate da Euclide nei libri aritmetici dei suoi Elementi.» [8], p.216. Più drastico il punto di vista di van der Waerden [19], il quale ritiene addirittura che sia l’intero contenuto del Libro viii sia quello della Sectio siano da attribuire ad Archita o alla sua scuola. 38. ∆Z/Θ è la frazione B/Γ ridotta ai minimi termini. Si osservi che mentre con BΓ si intende il rapporto B/Γ, con ∆Z si intende il singolo numero il cui segmento corrispondente ha estremi ∆ e Z. Usualmente, i segmenti-numeri vengono indicati con una sola lettera, tranne i casi in cui si individuano nuovi punti interni al segmento. 39. Un rapporto è epimorio quando il numeratore è uguale ad denominatore più un divisore di questi; e in questo caso ∆Z = ∆H+HZ, cioè ∆H + Θ. 40. Cioè se un rapporto è elevato al quadrato. 41. Sia Γ :B = B :∆. Se B non è multiplo di Γ allora ∆ non è multiplo di Γ e ∆/Γ non è un rapporto epimorio. Per i rapporti tra questa proposizione e la Proposizione 2 si veda la nota alla dimostrazione successiva. 42. E quindi ∆/Γ = (B/Γ)2.
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dapprima che sia multiplo di Γ. Ma abbiamo visto che se un intervallo composto due volte produce un intervallo multiplo, anche l’intervallo stesso è multiplo (Prop.2); 43 pertanto B sarebbe multiplo di Γ, il che è falso. Quindi è impossibile che ∆ sia multiplo di Γ. Ma non è nemmeno in rapporto epimorio con esso, in quanto in un intervallo epimorio non vi sono medi proporzionali (Prop.3). Ma B è il medio tra ∆ e Γ. Quindi è impossibile che D sia in rapporto multiplo o epimorio con Γ. 5. Se un intervallo composto due volte non costituisce un intervallo multiplo, allora anche l’intervallo stesso non sarà multiplo. 44 Sia BΓ un intervallo, e Γ stia a B come B sta a ∆. Sia ∆ non multiplo di Γ. Io dico che anche B non sarà multiplo di Γ. Infatti, se B fosse multiplo di Γ, anche ∆ sarebbe multiplo di Γ (Prop.1). Il che è falso. Quindi B non sarà multiplo di Γ. 6. L’intervallo doppio è composto dai due massimi rapporti epimori, il sesquialtero e il sesquiterzo. 45 Sia BΓ in rapporto sesquialtero con ∆Z, e sia ∆Z in rapporto sesquiterzo con Θ. Dico che BG è il doppio di Θ. Si prenda ZK uguale a Θ, e ΓΛ uguale a ∆Z. Allora, poiché BΓ è in rapporto sesquialtero con ∆Z, BΛ è la terza 43. Abbiamo aggiunto, come consuetudine, i riferimenti alle proposizioni del testo. 44. Questa proposizione è la Proposizione 1 espressa in forma contronominale, e le è quindi logicamente equivalente. Nella dimostrazione pertanto non hanno alcun ruolo i contenuti specifici degli enunciati, e tutto si riduce alla ‘dimostrazione’ di una legge logica (la Regola della Contronominale) mediante un’altra legge logica (l’Assurdo). Infatti, ponendo α : B è multiplo di β e : ∆ è multiplo di Γ, abbiamo che la tesi ¬β→¬α si ottiene dal fatto che α∧¬β e α→β (in questo caso la Proposizione 1) sono contraddittorie, e questo vale qualunque siano α e β. Un rapporto un po’ più complesso lega le Proposizioni 2 e 4. Senza il riferimento di quest’ultima ai rapporti epimori la situazione sarebbe identica alla precedente, cioè la Proposizione 4 sarebbe la Proposizione 2 in forma contronominale. In tal modo invece, definendo α e β come prima e ponendo γ : ∆ è in rapporto epimorio con Γ, abbiamo che la Proposizione 2 è β→α mentre la Proposizione 4 è ¬α → (¬β ∧ ¬γ). Questa è equivalente a (β ∧ γ) →α, e quindi implica la Proposizione 2. 45. Se m:n = 3:2 e n:s = 4:3 allora m:s = 2:1. Esprimendoci in termini di frazioni, (3/2)⋅(4/3) = 2. Poiché 2/1 non è considerato tra i rapporti epimori, i massimi tra questi sono 3/2 e 4/3. Fatto piuttosto insolito, del teorema vengono date due dimostrazioni: la prima, più geometrica, si basa sul frazionamento dei segmenti al fine di trovare un fattore comune; la seconda, più aritmetica, impiega numeri e proporzioni. Le dimostrazioni delle successive Proposizioni 7 e 8 saranno nello stile di questa seconda.
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parte di BΓ e la metà di ∆Z. E ancora, poiché ∆Z è in rapporto sesquiterzo con Θ, ∆K è la quarta parte di ∆Z e la terza parte di Θ. Poiché ∆K è la quarta parte di ∆Z e BΛ la metà di ∆Z, ∆K sarà perciò la metà di BΛ. Ora, BΛ era la terza parte di BΓ : dunque ∆K è la sesta parte di BΓ. Ma ∆K era la terza parte di Θ : quindi BΓ è il doppio di Θ. 46 In altro modo: sia A in rapporto sesquialtero con B, e B in rapporto sesquiterzo con Γ. Dico che A è il doppio di Γ. Poiché A è in rapporto sesquialtero con B, allora A e uguale a B più una metà di questo. Per cui due A è uguale a tre B. E ancora, poiché B è in rapporto sesquiterzo con Γ, B è uguale a Γ più un terzo di questo. Per cui tre B sono uguali a quattro Γ. Ma tre B sono uguali a due A, per cui due A sono uguali a quattro Γ, e A è uguale a due Γ. Quindi A è il doppio di Γ. 7. Da un intervallo doppio e uno sequialtero si ottiene un intervallo triplo. 47 Sia A il doppio di B, e sia B in rapporto sesquialtero con Γ. Dico che A è il triplo di Γ. Poiché A è il doppio di B, A è uguale a due B. E ancora, se B è in rapporto sesquialtero con Γ allora B contiene Γ e una metà di questo. Pertanto due B sono uguali a tre Γ. Ma due B sono uguali ad A, e allora A è uguale a tre Γ. Quindi A è il triplo di Γ. 8. Se da un intervallo sesquialtero togliamo un intervallo sesquiterzo, ciò che resta è un intervallo sesquiottavo. 48 Sia A in rapporto sesquialtero con B, e Γ in rapporto sesquiterzo con B. 46. I numeri riportati nella figura, e così in molte delle figure successive, non sono i numeri minimi che stanno in quel rapporto. Ovviamente, ciò è tanto manifesto da non poter essere attribuito ad errore, nè alla mancata conoscenza della Proposizione VIII.4 degli Elementi. Più probabilmente, i numeri 6, 8, 9 e 12 della quaterna armonica fondamentale divennero per i Greci un riferimento privilegiato. 47. Se x/y = 2 e y/z = 3/2 allora x/z = 3. In altri termini: 2 ⋅ (3/2) = 3. Nel testo di Porfirio questa è l’ottava proposizione, in quanto dopo la Proposizione 6 è inserita la proposizione: «Il solo rapporto multiplo che sia prodotto di rapporti epimori è il rapporto doppio», che non compare nella Sectio. 48. In termini di frazioni, (3/2)/(4/3) = 9/8 (infatti, alla differenza di intervalli corrisponde il quoziente dei rapporti).
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Dico che A è in rapporto sesquiottavo con Γ. Poiché A è in rapporto sesquialtero con B, allora A contiene B e una metà di questo. Pertanto otto A sono uguali a dodici B. E ancora, se Γ è in rapporto sesquiterzo con B, allora Γ contiene B e un terzo di questo. Pertanto nove Γ sono uguali a dodici B. Ma dodici B sono uguali a otto A; pertanto otto A sono uguali a nove Γ. Quindi, A è uguale a G più un ottavo di questo, per cui A è in rapporto sesquiottavo con Γ. 9. Sei intervalli sesquiottavi sono maggiori di un intervallo doppio. 49 Sia A un numero, B in rapporto sesquiottavo con A, G in rapporto sesquiottavo B, D in rapporto sesquiottavo con G, E in rapporto sesquiottavo con D, Z in rapporto sesquiottavo con E, e H in rapporto sesquiottavo con Z. Dico che H è maggiore del doppio di A. Poiché abbiamo visto come trovare sette numeri ciascuno maggiore di un ottavo, siano A,B,Γ,∆,E,Z,H i numeri trovati: 50 A = 262144 B = 294912 Γ = 331776 ∆ = 373248 E = 419904 Z = 472392 H = 531441 ed abbiamo che H è maggiore del doppio di A. 10. L’intervallo di ottava è multiplo. Sia A la nete hyperbolaion (la3), B la mese (la2) e Γ la proslambanomenos (la1). 51 Allora l’intervallo AΓ, essendo una doppia ottava, è consonante. Quindi è o epimorio o multiplo. Ma non è epimorio, poiché in un intervallo epimorio non vi è alcun medio proporzionale (Prop.3); 52 quindi è multiplo. E poiché due intervalli uguali AB, BG composti tra loro danno un intervallo multiplo, anche AB è un intervallo multiplo (Prop.2). 49. (9/8)6 > 2 (infatti, sommare n volte a se stesso un intervallo significa elevare ad n il rapporto corrispondente). 50. Questo problema si ritrova negli Elementi, Proposizione VIII.2: «Trovare quanti si voglia numeri in proporzione continuata, che siano i più piccoli possibile a stare tra loro in un rapporto dato». La soluzione, che Euclide esemplifica per il caso di quattro numeri ma che ha valenza generale, è la seguente: se il rapporto comune è p/q, con p e q primi tra loro, e i numeri da trovare sono m, essi sono qm, qm-1p, qm-2p2,...,pm. Nel nostro caso, A=86, B=85 ⋅ 9, Γ=84 ⋅ 92 etc., fino a H=96. 51. Per i nomi delle note si veda il §3. 52. Al contrario, B, che con A e con Γ costituisce intervalli di ottava, soddisfa la proporzione A:B = B :Γ ed è quindi medio proporzionale tra A e Γ.
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11. Gli intervalli di quarta e di quinta sono epimori. Sia A la nete synemmenon (re3), 53 B la mese (la2) e Γ l’hypate meson (mi2). L’intervallo AΓ, essendo una doppia quarta, è dissonante, e perciò non è multiplo. 54 In tal modo, poiché i due intervalli uguali AB e BΓ composti tra loro non producono un intervallo multiplo, allora AB non è multiplo (Prop.5). Ma è consonante; quindi è epimorio. La stessa dimostrazione per l’intervallo di quinta. 12. L’intervallo di ottava è doppio [quello di quinta è sesquialtero, quello di quarta sesquiterzo, quello di dodicesima è di triplo e quello di doppia ottava è di quadruplo]. 55 Abbiamo dimostrato che l’intervallo di ottava è multiplo (Prop.10). Quindi è o doppio, o più che doppio. Ma poiché abbiamo dimostrato che l’intervallo doppio è composto dai due massimi intervalli epimori 56 (Prop.6), allora, se l’intervallo di ottava è maggiore di quello doppio, non è costituito da due soli intervalli epimori, ma da un numero maggiore. Invece esso è costituito da due intervalli consonanti, la quinta e la quarta, 57 per cui l’ottava non sarà un intervallo più che doppio, e quindi è doppio. Ma poiché l’intervallo di ottava è doppio, e l’intervallo doppio è composto dai due massimi intervalli epimori, segue che l’ottava è costituita da un intervallo sesquialtero e da uno sesquiterzo, che sono i massimi epimori. Ma è anche costituita da una quinta e da una quarta, che sono intervalli epimori (Prop.11). Quindi la quinta, che è la maggiore, deve essere l’intervallo sesquialtero e la quarta il sesquiterzo. 53. Questa nota viene chiamata nete synemmenon, con il nome che ha nel Sistema perfetto minore (v. §3). 54. L’errore. 55. Come visto i §3, i termini sesquialtero e sesquiterzo indicano i rapporti 3/2 e 4/3. La parte tra parentesi non è compresa nell’enunciato, ma viene dimostrata nel corso della proposizione. In Porfirio invece questa parte e la relativa dimostrazione costituiscono due proposizioni autonome, una relativa a quarta e quinta, l’altra a dodicesima e doppia ottava. Osserviamo qui come l’autore, in ossequio al Principio di Consonanza, incorra nella difficoltà rilevata da Tolomeo (v.§2.2): tra le consonanze nell’ambito della doppia ottava egli cita la dodicesima, espressa dal rapporto 3/1, ma non l’undicesima, espressa dal rapporto 8/3, né multiplo né epimorio. Ciò è musicalmente assurdo, dal momento che questi due intervalli sono ottenuti aggiungendo una ottava rispettivamente ad una quinta e ad una quarta, e l’aggiunta di una ottava non varia la consonanza. Del resto, nell’Introductio harmonica dello Pseudo-Euclide, così come in altre opere non rigidamente pitagoriche, troviamo l’undicesima (diapason+diatessaron) e la dodicesima (diapason+diapente) inserite in modo paritetico tra le consonanze. 56. Qui, come in seguito, bisogna intendere i due intervalli epimori distinti tra loro. 57. Che sono epimori (Prop.11).
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Ed è pertanto manifesto che una ottava e una quinta producono un intervallo triplo (Prop.7). Infatti abbiamo dimostrato che l’intervallo doppio e quello sesquialtero producono l’intervallo triplo (Prop.7). La doppia ottava è un intervallo quadruplo. È stato quindi dimostrato, per ciascuna delle consonanze, in quale rapporto si trovino i suoni che la producono. 13. Non resta che discutere dell’intervallo di tono, che è sesquiottavo. 58 Abbiamo osservato che se da un intervallo sesquialtero si toglie un intervallo sesquiterzio, ciò che resta è un intervallo sesquiottavo (Prop.8). D’altra parte, se da una quinta si toglie una quarta ciò che resta è un intervallo di tono. Quindi l’intervallo di tono è sesquiottavo. 14. L’ottava è minore di sei toni. 59 Abbiamo dimostrato che l’intervallo di ottava è doppio (Prop.12) e che quello di tono è sesquiottavo (Prop.13). Ma sei intervalli sesquiottavi sono maggiori di uno doppio (Prop.9). Quindi l’ottava è minore di sei toni. 15. La quarta è minore di due toni e un semitono, e la quinta di tre toni e un semitono. Sia B la nete diezeugmenon (mi3), Γ la paramese (si2), ∆ la mese (la2) e Z l’hypate meson (mi2). 60 Allora l’intervallo Γ∆ è un tono, e BZ, che è una ottava, è minore di sei toni (Prop.14). Quindi gli intervalli restanti, e cioè BΓ e ∆Z, che sono uguali, 61 sono, insieme, minori di cinque toni. Quindi l’intervallo BΓ, che è una quarta, è minore di due toni e mezzo e B∆, che è una quinta, di tre toni e mezzo. 62
58. Il termine sesquiottavo indica il rapporto 9/8. 59. Questa proposizione, con le due successive, verte intorno al problema della suddivisione del tono. Il valore numerico che esprime quanto un’ottava sia minore di sei toni è riportato nella H 531411 , cioè . Questo valore venne detto comma, ed esprime anche la Proposizione 9, ed è 2 A 524288 ‘differenza’ tra tono maggiore e tono minore. 60. Ciò che interessa ai fini dimostrativi e che i numeri B, Γ, ∆ e Z siano tali che Γ/B = Z/∆ = 4/3 e ∆/G = 9/8. 61. La loro uguaglianza deriva dal fatto acustico che ciascuno di essi è una quarta. 62. La differenza tra una quarta ed una quinta è infatti di un tono.
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16. Il tono non è divisibile in due parti uguali, né in più parti uguali. Abbiamo dimostrato che è un intervallo epimorio (Prop.13), e in un intervallo epimorio non cadono né uno né più medi proporzionali (Prop.3). Quindi il tono non potrà essere diviso in parti uguali. 63 17. Le paranete e le lykanos si determinano per mezzo di consonanze come segue. 64 Sia B la mese. Si salga di una quarta fino a Γ, e quindi si scenda di una quinta fino a ∆. B∆ è pertanto un tono. E ancora, da ∆ si salga di una quarta fino a E, e quindi si scenda di una quinta fino a Z. Z∆ è pertanto un tono. Dunque ZB 65 è un ditono e quindi Z è la lichanos. 66 Le paranete si ottengono allo stesso modo. 18. Le parhypate e le trite non dividono il pyknon in parti uguali. 67 Sia B la mese, Γ la lychanos e ∆ l’hypate. Da B si salga di una quinta fino a Z. Z∆ è pertanto un tono. Quindi, da Z si scenda di una quarta fino a 63. A questo punto termina quanto riportato da Porfirio, e termina anche la parte più teorica e generale del testo. 64. Le paranete sono le prime (dall’alto) note mobili dei due tetracordi acuti, le lycanos dei due tetracordi gravi. Al di là dei termini, ciò che la Proposizione 17 mostra è come ottenere un intervallo di ditono. Ma contrariamente a quanto avverrà nelle due proposizioni finali e a quello che ci si attenderebbe da quanto precede, non si tratta di un procedimento aritmetico o geometrico per individuare un determinato segmento, bensì di un modo puramente musicale per intonare questo intervallo. Il metodo proposto, infatti, consiste nel ripetere per due volte l’operazione di salire di una quarta e scendere di una quinta, e consente di intonare un intervallo ‘difficile’ mediante consonanze più facili. Si tratta quindi di una accordatura ‘ad orecchio’, che è aliena all’impostazione pitagorico-platonica del resto dell’opera e che ricorda invece chiaramente i metodi di Aristosseno. Le paranete e lycanos ottenute con il metodo proposto nella dimostrazione sono ad un intervallo di ditono dalla prima nota fissa di ciascun tetracordo. Poiché tali note sono le prime note mobili del tetracordo, dovrebbero distare, se fossimo in una accordatura diatonica, un tono dalla nota fissa che le precede. Il fatto che la distanza sia invece di un ditono dimostra che si sta considerando una accordatura enarmonica, la quale appunto divide il tetracordo in ditono + quarto di tono + quarto di tono. In tal modo si è in aperto contrasto con le due proposizioni finali, le quali, come vedremo, contengono le istruzioni per accordare il monocordo in modo diatonico. 65. L’ordine con cui, nelle ultime quattro proposizioni, vengono ordinate le coppie di lettere, sia quando indicano gli estremi di un segmento sia quando esprimono un rapporto, non è sempre alfabetico, né sembra seguire alcun altro criterio. 66. In questa proposizione, come nella successiva, non abbiamo messo tra parentesi i nomi moderni delle note in quanto, trovandoci in una accordatura enarmonica, sarebbero fuorvianti (v. §3). 67. La nomenclatura impiegata rivela che anche nella Proposizione 18, come già nella precedente, viene considerata un’accordatura enarmonica. L’enunciato asserisce che le parhypate e le trite non dividono il pyknon in parti uguali. Ora, il termine pyknon indica l’intervallo tra la prima nota mobile e la seconda nota fissa di ciascun tetracordo (si veda la parte in neretto della figura), ma solo nel caso di accordatura cromatica o enarmonica.
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E. L’intervallo BE è, come Z∆, un tono. Ad entrambi aggiungiamo ∆Γ. Quindi ZE è uguale a ∆B. Ma ZE è una quarta, per cui non è divisa da alcun medio proporzionale essendo un intervallo epimorio (Propp. 3 e 11). Ora, ∆B è uguale a ZE; perciò non esiste alcun medio in ∆Γ, cioè tra l’hypate e la licanos. Quindi la parhypate non divide il pyknon in parti uguali. 68 Per lo stesso motivo neppure la trite. 19. Come suddividere il monocordo secondo il cosiddetto sistema immutabile. 69 Sia AB la lunghezza del monocordo, cioè della corda, e si divida in quattro parti uguali in Γ, ∆, E. Quindi BA, essendo il tono più grave, sarà
enarmonico
cromatico
diatonico
Dalla dimostrazione, poi, si comprende che il rapporto tra le estremità del pyknon è (4/3)/(9/8)2 = 256/243, cioè il semitono minore, e quindi che il tetracordo considerato è enarmonico. Per quanto riguarda il tipo di accordatura proposta, Proposizioni 17 e 18 sono pertanto concordi tra loro, e in contraddizione con le due proposizioni finali. 68. La Proposizione 18 pone a nostro avviso un problema. Ciò che si vuole dimostrare è che nel pyknon enarmonico pitagorico, che ha l’ampiezza di una quarta ‘meno’ un ditono, non cade medio proporzionale (che sia esprimibile mediante numeri naturali, naturalmente). Poiché 256/ 243 non è un rapporto epimorio, il Teorema degli Epimori non può essere immediatamente applicato. In termini figurati (e additivi!) la dimostrazione procede allora in questo modo: invece di togliere un intero intervallo di doppio tono dall’intervallo di quarta, si toglie un tono per parte (v. figura). In tal modo il pyknon rimane ‘al centro’; e poichè l’intervallo di quarta è epimorio, per il Teorema degli Epimori non ammette medio (geometrico, e pertanto aritmetico nella corrispondente immagine musicale), e quindi non ammetterà medio neppure un intervallo posto ‘simmetricamente’ intorno al suo centro, dal momento che i due medi dovrebbero coincidere.
Sarebbe tutto molto intuitivo, se davvero potessimo procedere in termini additivi. Si tratterebbe infatti di una applicazione della seguente ovvia proprietà: il medio aritmetico tra A e B coincide con il medio aritmetico tra A+X e B-X. Ma, come sappiamo, in ambito musicale quella additiva è solo una immagine di una realtà moltiplicativa. La proprietà che realmente viene impiegata, altrettanto vera ma non altrettanto ovvia, è quindi la seguente: il medio geometrico tra A e B coincide con il medio geometrico tra A×X e B/X. Ma, per la prima volta nella Sectio, non ci sembra che questa proprietà si trovi negli Elementi. Infatti, anche cercando di rimanere il più possibile aderenti al linguaggio dei libri aritmetici, otteniamo l’enunciato «Se A:C = D:B allora Y è medio proporzionale tra A e B se e solo se è medio proporzionale tra C e D», e negli Elementi non troviamo proposizioni a cui essa si possa collegare in modo immediato. Probabilmente, questa proposizione è un regalo (che potrebbe essere inconsapevole se, come pensiamo, la Proposizione 17 è stata scritta da mano diversa da quella delle prime sedici proposizioni) fatto dal modello additivo degli intervalli musicali all’aritmetica moltiplicativa dei rapporti corrispondenti. 69. Le Proposizioni 19 e 20 sono quelle che danno il titolo all’opera; descrivono infatti il metodo per dividere il canone, cioè il monocordo. Ciò che si ottiene è una doppia ottava diatonica accordata al modo pitagorico di Filolao e Platone (ricordiamo che l’ottava pitagorica ha i seguenti intervalli: 9/8, 9/8, 256/243, 9/8, 9/8, 9/8, 256/243); la Proposizione 19 ha lo scopo di determinare le note fisse (più il re), la Proposizione 20 quelle mobili. Il metodo impiegato evidenza la
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la nota bassa. 70 Ora, AB è in rapporto sesquiterzo con ΓB, cosicché ΓB produce con AB una consonanza di quarta verso l’acuto. E poiché AB è la proslambanomenos (la1), ΓB sarà la hypaton diatonos (re2). 71 E ancora, poiché AB è il doppio di BD, BD produce con AB una consonanza d’ottava e sarà la mese (la2). E ancora, poiché AB è il quadruplo di EB, questa sarà la nete hyperbolaeon (la3). Dividiamo GB in due parti uguali nel punto Z. ΓB sarà il doppio di ZB, e produce quindi con questa una consonanza d’ottava; ZB è quindi la nete synemmenon (re3). 72 Togliamo da ∆B un suo terzo ∆H. ∆B sarà quindi in rapporto sesquiterzo con HB, e quindi ∆B produrrà con HB una consonanza di quinta. Pertanto HB sarà la nete diezeugmenon (mi3). Se poniamo HΘ uguale a HB, 73 ΘB produrrà con HB una consonanza di ottava, e ΘB sarà la hypate meson (mi2). Prendiamo ΘK uguale alla terza parte di ΘB. ΘB sarà in rapporto sesquialtero con KB, e così KB è la paramese (si2). Poniamo LK uguale a KB, 74 e in tal modo ΛB sarà la hypate bareia (si1). 75 Avremo così determinato tutti i suoni fissi 76 del sistema immutabile.
‘pitagoreicità’ di tale accordatura: le sole operazioni che si richiedono sono infatti divisioni e moltiplicazioni per multipli di 2 e di 3. 70. Letteralmente: «...sarà bombix.» Questo termine indicava un espediente per abbassare il tono del flauto. La nota a cui ci si riferisce è la proslambanomenos. 71. Il nome di hypaton diatonos è alternativo a quello di lychanos hypaton (si veda ad esempio l’Introductio armonica dello Pseudo-Euclide, in [7]). Vi è comunque una anomalia. In questa proposizione il re2, cioè la lychanos hypaton, è considerata tra le note fisse, mentre è una nota mobile rispetto a qualunque sistema. La spiegazione che sembra più plausibile è che la ricerca di un metodo efficace per dividere il monocordo abbia costretto il suo autore a ‘razionalizzare’ il sistema, sostituendo la stabile ottava all’instabile tetracordo. Il sistema maggiore infatti è trattato davvero come una doppia ottava e non come una combinazione di quattro tetracordi congiunti e disgiunti. Ad esempio, la proslambanomenos (il la1), il cui nome significa ‘aggiunta’ in quanto è una nota fuori dal sistema dei tetracordi, è invece la prima nota ad essere ottenuta, in qualità di nota grave dell’ottava grave. Analogamente la lychanos hypaton, nonostante sia una nota mobile del tetracordo grave, risulta essere, trovandosi ad una quarta dalla nota grave dell’ottava grave, tra le note ottenute dalla prima operazione. In tal modo viene innalzata, contro ogni consuetudine, al rango di nota fissa. 72. Questa nota viene chiamata nete synemmenon: è il nome che ha nel Sistema Perfetto Minore, ed è uno dei due nomi, nel caso accordatura diatonica pitagorica, che ha nel Sistema Perfetto Immutabile. Il nome è quindi coerente sia con l’enunciato della proposizione, che parla di Sistema Immutabile, sia con il fatto che questa nota venga considerata tra le note fisse, ma è in contrasto con l’assenza nella Sectio della trite synemmenon, il sib, l’unica nota del Sistema Immutabile (diatonico pitagorico) che non coincida con alcuna nota del Sistema Maggiore. Nonostante venga chiamato immutabile, quindi, il sistema descritto nella Sectio è il Sistema Perfetto Maggiore: il più razionale, quello in cui l’ottava prevale sul tetracordo, e che in virtù di questo fatto evolverà in modo naturale nella moderna accordatura. 73. Con Q compreso tra H ed A. 74. Con L compreso tra K ed A. 75. Questo nome è alternativo a hypate hypaton.
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20. Non rimane altro che determinare i suoni mobili. 77 Dividiamo EB in otto parti uguali, e poniamo EM uguale ad una di loro, 78 cosicché MB sia in rapporto sesquiottavo con EB. Ancora, dividiamo MB in otto parti uguali, e poniamo NM uguale ad una di loro. In tal modo NB sarà più grave di un tono rispetto a BM, e MB di un tono rispetto a BE, cosicché NB sarà la trite hyperbolaeon (fa3) e MB la hyperbolaeon diatonos (sol3). 79 Prendiamo la terza parte di NB e poniamo NΞ in modo che ΞB sia in rapporto sesquiterzo con NB e sia quindi più grave di una quarta; ΞB sarà in tal modo la trite diezeugmenon (do3). Ancora, prendiamo la metà di ΞB e poniamo ΞO in modo che OB sia in consonanza di quinta con ΞB. Quindi OB sarà la parhypate meson (fa2). Prendiamo OΠ uguale a ΞO, cosicché ΠB diventerà la parhypate hypaton (do1). Infine, prendiamo ΓP uguale alla quarta parte di BΓ, cosicché PB diventerà la meson diatonos (sol2). 80
5. Conclusione Prima di trarre alcune conclusioni circa l’autenticità e il valore dell’opera, ripercorriamo le opinioni a tale riguardo di alcuni tra i più autorevoli
76. L’aggettivo «fissi» è stato aggiunto dallo Jan, in quanto non compare nei manoscritti. In effetti, dal momento che vengono determinate solo alcune note, e poiché l’enunciato della proposizione successiva fa riferimento ai suoni mobili, l’aggiunta è molto ragionevole, nonostante che, come abbiamo osservato, vi sia l’inserzione della hypaton diatonos. 77. La Proposizione 20 definisce le note mobili, e cioè, in assenza del re (v. nota alla proposizione precedente), le note di sol, fa e do. Il metodo è il seguente: partendo dalla nota fissa più acuta, il la3, si aumenta di un ottavo la sua lunghezza, scendendo così di un tono verso il grave ed ottenendo il sol3 ; la stessa operazione si compie sul sol3 ottenendo il fa3. A questo punto il do3 viene ottenuto scendendo di una quarta dal fa3, ed il sol2, il fa2 e il do2 scendendo di una ottava dai loro omonimi. Il modo in cui vengono ottenuti il sol3 e il fa3 è, da un punto di vista matematico, davvero poco economico. Si parte, in modo molto tradizionale, dalla nota fissa del tetracordo e si scende di un tono fino alla prima nota mobile, e poi da questa ancora di un tono per ottenere la seconda nota mobile. Questo metodo, cambiando l’ampiezza degli intervalli, è applicabile ad ogni tipo d’accordatura. Ma nel diatonico pitagorico il sol è di una quarta più acuto del re, mentre il fa è di una quinta più grave del si, ed sia il re che il si sono già stati ottenuti. Pertanto, invece di dividere due diversi segmenti ogni volta per 8, sarebbe stato possibile ottenere il sol3 riducendo di un quarto la corda di re3 ed il fa2 aumentando di un terzo la corda di si2. Globalmente, quindi, il metodo impiegato nelle Proposizioni 19 e 20 presenta, accanto a momenti in cui l’elemento razionale prende il sopravvento su quello tradizionale, alcune procedure in cui le caratteristiche matematiche del diatonico pitagorico non vengono affatto sfruttate. Anche questo costituisce un elemento di disomogeneità, che si aggiunge ai molti che abbiamo incontrato in queste ultime quattro proposizioni e che porta a dubitare della loro autenticità. 78. Con M compreso tra E ed A. 79. Questo nome è alternativo a paranete hyperbolaion. 80. Questo nome è alternativo a lychanos meson. In molti manoscritti compare, a questo punto, un diagramma con i nomi ‘comuni’ del Sistema perfetto maggiore (non quelli alternativi impiegati sovente nel testo), così come li abbiamo riportati in §3.
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studiosi della Sectio. 81 Dobbiamo innanzi tutto premettere che le testimonianze del fatto che Euclide abbia scritto di musica sono varie e attendibili. Nel Commento al I Libro degli Elementi di Euclide, Proclo afferma: Esistono di questo autore molte altre opere matematiche, dotate di mirabile esattezza e speculazione scientifica. Tali sono l’Ottica, la Catottrica, tali anche gli Elementi di Musica e inoltre il piccolo libro Sulle divisioni. Ma lo si ammira soprattutto per i suoi Elementi di Geometria [...]. 82
Lo stesso termine «Elementi di Musica» si trova anche in Marino e in Teodoro Metochita. Inoltre Porfirio, nel suo Commento all’Armonica di Tolomeo, riporta pressoché integralmente i primi sedici teoremi della Sectio attribuendoli esplicitamente ad Euclide, anche se non fa alcun cenno al nome dell’opera. D’altro canto, i manoscritti musicali a nome di Euclide che ci sono pervenuti sono relativi a due opere: la Sectio Canonis e l’Introduzione armonica. Poiché è certo che quest’ultima non sia di Euclide, rimane da determinare l’autenticità della Sectio e il suo rapporto con gli Elementi di musica. Riguardo a questo secondo problema, sia il Menge che lo Jan concordano nel ritenere che la Sectio sia troppo esigua per configurarsi come un trattato di elementi. Tuttavia, mentre per lo Jan «è lecito supporre che Euclide, dopo avere esposto più diffusamente [la teoria musicale] in un altro libro, abbia riportato nella Sectio gli argomenti principali», 83 per il Menge «questo genere di riduzione sarebbe inconciliabile con gli usi e i costumi di Euclide». 84 Lo stesso Menge riporta tuttavia l’opinione di E.F.Bojsen, che nel suo De armonica scientia Graecorum (Hafniae 1833) ritiene che la Sectio possa essere un libro di elementi di musica e che quindi le due opere possano coincidere; egli osserva infatti che la Sectio «contiene i teoremi musicali organizzati e dimostrati in modo non meno accurato di quanto non lo siano quelli geometrici nei celeberrimi Elementi». Riguardo all’autenticità della Sectio, il primo autore a negarla è stato Paul Tannery, nel citato articolo Inautenticité del 1904 (v.[16]). Prima di lui l’opera era stata concordemente ritenuta di Euclide, e tra costoro vanno annoverati Heiberg, Jan (che tuttavia ritiene non euclideo il pro-
81. Per un resoconto più dettagliato si veda [1]. 82. [13], p. 74. 83. [9], p. 118. 84. [7], Vol VIII, p. XXXVIII.
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emio), e lo stesso Tannery fino a quella data. Alla base di questo suo ripensamento vi è appunto la scoperta dell’errore della Proposizione 11 e dell’incompatibilità delle due proposizioni finali (che propongono un’accordatura diatonica) con le due immediatamente precedenti (che fanno riferimento ad una accordatura enarmonica). Il Tannery ritiene che le due proposizioni finali siano state aggiunte al tempo di Eratostene e che la parte restante appartenga al tempo di Platone. A questa posizione si è opposto Charles-Emile Ruelle (v.[14]), il traduttore francese dell’opera. In una comunicazione tenuta nel 1905 egli sostiene che «il trattato forma un tutto omogeneo e il proemio stesso non deve essere staccato, come invece tenta di fare Karl von Jan». Il Menge, dopo aver passato minuziosamente in rassegna le opinioni dei suoi predecessori, conclude: A questo punto ciascuno giudichi secondo il suo arbitrio. Da parte mia oso dichiarare che la Sectio, nella forma in cui c’è pervenuta, non è dello stesso Euclide ma piuttosto è stata estratta da quei più generali Elementi di musica di cui riferiscono Proclo e Marino da un autore non del tutto sagace e diligente. 85
Più netta è la posizione di van der Waerden (v.[19]). Egli ritiene che il contenuto dell’opera sia, insieme al Libro VIII degli Elementi (di geometria) sul quale la Sectio si basa, da attribuirsi ad Archita (del quale rileva l’intuito matematico insieme alla carenza di rigore logico), con Euclide nel ruolo di curatore di materiale preesistente: Una lettura critica del Libro VIII degli Elementi e della Sectio Canonis ci rileva un Archita in affanno di fronte alla richiesta di rigore logico e di esposizione lineare avanzata dai matematici della sua epoca ([19], p.150).
E ancora: Così come i libri aritmetici VII e IX, queste parti [i libri V, X, XII e XIII degli Elementi] sono di livello matematico molto alto, altre parti, specialmente il Libro VIII e la correlata Sectio Canonis, sono molto al di sotto di esso. Contengono errori logici e la formulazione degli enunciati è spesso confusa. Sembra che il livello di Euclide sia determinato da quello dei predecessori dai quali attinge. Quando è guidato da un autore eccellente, come Teeteto o Eudosso, egli stesso è eccellente; ma quando copia da un autore meno eminente, egli stesso è meno eminente ([19], p.197).
Nel passo precedente, insomma, invece di elevare la Sectio ad Euclide, si abbassa Euclide alla Sectio. Venendo a tempi più recenti, Barker (v.[2]) sostiene che «non vi sono buone ragioni per negare l’attribuzione ad 85. [7], Vol. VIII, prolegomena, XXXVII-LIV.
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Euclide della principale parte del trattato, almeno di quella riportata da Porfirio [cioè le prime sedici proposizioni]» ed anzi ritiene che l’intera opera sia di un solo autore; Barbera [1] giudica che non vi siano dati sufficienti per assumere una posizione determinata mentre la Zanoncelli [21] ritiene l’errore della Proposizione 11 una ragione sufficiente per negare che Euclide sia l’autore della Sectio. A nostro avviso, è chiaro che il contenuto delle prime sedici proposizioni dell’opera sia di scuola pitagorica ed abbia accenti che noi oggi definiamo platonici; esso è quindi compatibile con la sua attribuzione ad Euclide, che apparteneva ad una scuola platonica e che scrisse per ogni disciplina del quadrivio pitagorico. Le contraddizioni e lo stile delle quattro proposizioni finali fanno invece pensare ad un’aggiunta successiva. Una volta stabilita questa compatibilità di base, il più grande ostacolo per attribuire ad Euclide la parte centrale dell’opera è, ovviamente, l’errore della Proposizione 11. D’altronde, non riteniamo possibile porre l’errore da un lato e l’impostazione generale della Sectio dall’altro, attribuendo questa ad un autore nobile (Archita o Euclide che sia) e quello ad un minore che avrebbe rielaborato materiale preesistente. Come abbiamo dimostrato, l’impiego dell’inverso del Principio di consonanza è irrinunciabile per raggiungere gli obiettivi che l’opera si pone, e quindi l’errore forma un corpo unico con il resto della Sectio. Tuttavia, abbiamo anche visto come tale errore avvenga in un contesto che prima spinge verso di esso e poi tende a nasconderlo, identificando la realtà con i numeri, e quindi le consonanze con rapporti numerici. Certamente, l’errore della Sectio è più grave delle incongruenze deduttive che si riscontrano nel Libro VIII degli Elementi. Ma la Sectio è un’opera diversa, di matematica applicata all’acustica, e quindi di fisica, e diverso può esser il metro di valutazione. Alla luce di tutto questo, pensiamo che l’errore della Proposizione 11 non sia sufficiente per negare che l’opera sia di Euclide. Di più; riteniamo che la sua presenza non sia neppure sufficiente a sottrarre all’opera la sua bellezza, che invece riscontriamo nella sua struttura (una parte matematica attentamente calibrata sulle applicazioni musicali), nell’impiego della teoria dei numeri (parti sostanziali del VII e dell’VIII libro degli Elementi) e nell’audacia degli intenti (eliminare dalla musica il ricorso all’esperienza senza però privarla del suo contenuto acustico). La Sectio non è opera di un minore. E se il contenuto può esser attribuito ad Archita, la sapiente scansione con cui si succedono i risultati delle prime sedici proposizioni (prima i teoremi generali sui numeri, poi i teoremi particolari sui numeri, infine l’applicazione di tali risultati ai suoni) fa pensare ad un autore attento agli aspetti didattici, quale Euclide
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senza dubbio era e quale Archita pare non fosse. Anche fattori più particolari, quali l’amore (anti-logico) per i quadrati di proposizioni e l’ingresso dei numeri il più possibile ritardato, rimandano allo stile euclideo. Infine, che la Sectio coincida in parte con gli Elementi di Musica di cui parla Proclo, o li abbia preceduti, o ancora sia stata estratta da essi da un autore successivo, non può essere determinato con ragionevole fondamento solo in base al contenuto e alla struttura logica dell’opera (e neppure, a quanto sembra, in base ad argomenti filologici). Tuttavia, lo studio delle altre opere greche d’armonia rivela chiaramente che se la Sectio è un estratto degli Elementi di Musica, allora è un estratto sapiente, che non deve fare troppo rimpiangere ciò che è stato eventualmente tralasciato. Le sue prime sedici proposizioni costituiscono infatti il nucleo fondamentale dell’applicazione della matematica alla musica nella cultura greca, e si pongono, per contenuto e per struttura, ben al di sopra di ogni altra opera greca di teoria musicale, anche della stessa Armonica di Tolomeo, che alla loro ideologia sostanzialmente si adegua e che da esse parte per proporre nuove alternative numeriche al problema dell’accordatura. E questo rende lo studio della Sectio una tappa indispensabile non solo per comprendere il rapporto tra la musica e la matematica, ma anche le caratteristiche e i limiti del programmi pitagorico e platonico, cioè di una parte fondamentale del pensiero greco.
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Bibliografia [1] Barbera A., The Euclidean Division of the Canon, University of Nebraska Press, 1991. [2] Barker A., Greek Musical Writings II, Cambridge University Press, 1989. [3] Bellissima F., Epimoric Ratios and Greek Musical Theory, in M. L. Dalla Chiara et al. (eds), Language, Quantum, Music, 303-326, Kluwer Academic Publischers, 1999. [4] Bellissima F., Numeri e suoni nelle scale musicali di Tolomeo, Nuova Civiltà delle macchine, Rai-Eri, 1998. [5] Boezio, De Istitutione Musica, Teubner, 1867. [6] Bowen A. C., Euclid’s Sectio Canonis and the History of Pythagoreanism, in A. C. Bowen ed., Science and Philosophy in Classical Greece, Garland Publishing Inc., 1991. [7] Euclidis opera omnia. ed Heiberg-Menge, vol. VIII, Euclidis Phaenomena et scripta musica, ed. Henricus Menge, Lipsiae, 1916. [8] Heath T. L., A History of Greek Mathematics, 2 voll., Oxford Clarendon Press, 1921. [9] Jan C. von, Musici scriptores graeci Teubner, Lipsia 1895, rist. 1962. [10] Mathiesen T., An Annotated Translation of Euclid’s Division of Monochord, «Journal of Music Theory» 19.2, 236-258, 1975. [11] Michel P. H., Contribution a l’Histoire des Mathématiquess Préeuclidiennes, Les Belles Lettres, Paris, 1950. [12] Porfirio. Harmonica Ptolomaei commentarius, in J.Wallis, Opera Mathematica, III. Georg Olms Verlag, 1972. [13] Proclo, Commento al I Libro degli Elementi di Euclide, Ed. It. a cura di M.Timpanaro Cardini, Pisa. [14] Ruelle, C. E., Sur l’autenticité probable de la division du canon musical attribuée a Euclide, «Revue des études grecques» 19, 318-320, 1906. [15] Tannery P., Du Role de la Musique Grecque dans le Développment de la Mathématique Pure. «Bibliotheca Mathematica», 3. Folge, t.III, 161-175, 1902 (anche in Mémories Scientifiques de Paul Tannery, III, 68-89). [16] Tannery P., Inautenticité de la Division du canon attribuéè à Euclide «Comptes rendus de l’Académie des Inscriptions ed Belles Lettres» 439-445 (anche in Mémories Scientifiques de Paul Tannery, III, 213-219), 1904. [17] Timpanaro C. M., Pitagorici. Frammenti e testimonianze. La Nuova Italia, 1962. [18] Tolomeo, Armonica, in J.Wallis, Opera Mathematica, III, Georg Olms Verlag, 1972. [19] van der Waerden B. L, Science Awakening, Kluver Academic Publishers, 1954. [20] Wallis J., Opera Mathematica, III, Georg Olms Verlag, 1972. [21] Zanoncelli L., La Manualistica musicale greca, Guerini Studio, 1990. Pervenuto in redazione il 1 dicembre 2000.
Guido Fubini e la trasformata di Laplace
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Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Vol. XXIII · (2003) · fasc. 1
Guido Fubini e la trasformata di Laplace: storia di un manoscritto inedito Sandro Caparrini*
1. Introduzione Tra i molti contributi dati da Guido Fubini (1879-1943) 1 alla matematica, sia pura che applicata, ce n’è uno che non gli è ancora stato riconosciuto e che merita di esserlo per le ragioni che mi accingo a mostrare. Si trova in un’opera rimasta inedita, un manoscritto di 80 pagine dedicato ad una trattazione elementare delle trasformate di Laplace, molto simile, nella struttura, ai testi moderni per gli studenti di ingegneria elettronica o elettrotecnica. La redazione di questo manoscritto fu così raccontata nel 1979, in occasione delle celebrazioni promosse all’Accademia delle Scienze di Torino nel centenario della nascita di G. Fubini e F. Severi, da Aldo Ghizzetti 2 (1908-1992), che fu dapprima allievo di Fubini, poi suo assistente al Politecnico di Torino dal 1930 al 1938: Vengo infine a parlare di un lavoro di Fubini che, sfortunatamente, non è mai stato pubblicato. Nell’anno 1935 Fubini cominciò a interessarsi del calcolo simbolico degli elettrotecnici e del suo inquadramento nell’ambito delle trasformate di Laplace e su tale argomento tenne una conferenza nel gennaio 1936. 3 Visto il mio vivo interesse per quest’argomento, Fubini mi propose di scrivere in collaborazione un libro, con una prima parte (di Sua redazione) sulla teoria della trasformazione di Laplace ed una seconda (da me redatta) sulle applicazioni alle reti di circuiti elettrici. Il lavoro si svolse negli anni 1936 e 1937 e, nei primi [giorni] 4 del 1938, spedimmo il manoscritto al Consiglio Nazionale delle Ricerche per la sua pubblicazione nella Collana di monografie matematiche edite dal C.N.R. Pochi mesi dopo vennero emanate le leggi razziali che provocarono il trasferimento della famiglia Fubini negli Stati Uniti e la comunicazione da parte del C.N.R. che il nostro libro non poteva essere pubblicato perché uno degli Autori era ebreo. D’altra parte era impossibile pubblicare, da solo, il testo da me scritto a causa dei continui riferimenti alla parte scritta da Fubini. Dopo molte incertezze tenendo conto che nel frattempo era comparso il libro di G. Doetsch, * Dipartimento di Matematica, Università di Torino, via C. Alberto 10, 10123 Torino. Ricerca eseguita nell’ambito del progetto ‘Storia delle Scienze Matematiche’ miur, unità di Torino. 1. Per un elenco aggiornato di scritti sulla vita e sull’opera di G. Fubini si veda Fava 1999. 2. Notizie sulla vita accademica e sulla produzione scientifica di A. Ghizzetti si possono trovare in Fichera 1994. 3. Cfr. in Bibliografia Fubini 1936. 4. Nell’originale, per evidente lapsus, è scritto «anni».
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mi decisi a fare il tentativo di riscrivere completamente la mia parte, aggiungendovi il minimo indispensabile delle nozioni teoriche mancanti e facendo riferimento al libro di Doetsch. Ciò richiese un lungo lavoro, svolto nel triennio 1939-41; il C.N.R. accettò la pubblicazione del nuovo testo e fu così che nel 1943 comparve il mio libro Calcolo simbolico. 5 Nel 1948 l’edizione era esaurita, ma non mi sentii di stamparne una seconda senza fare numerose aggiunte e profondi cambiamenti (fra cui l’uso sistematico dell’integrale di Lebesgue). La nuova stesura si protrasse per molti anni e, soltanto dopo aver associato al mio libro l’amico Alessandro Ossicini, è comparsa nel 1971. 6 Mai ho potuto dimenticare tutto quello che devo a Fubini per la realizzazione di questo lavoro. Ho conservato con cura, per oltre quarant’anni, una copia del manoscritto della parte da Lui redatta; credo che sia giunto il momento di restituirlo alla Famiglia oppure depositarlo presso questa Accademia affinché resti il ricordo del grave torto che è stato fatto al nostro grande Maestro. 7
Ghizzetti donò il manoscritto all’Accademia delle Scienze di Torino, dove è tuttora conservato. 8 Per capire la sua importanza è necessario esaminare brevemente la storia della trasformata di Laplace e dei metodi matematici per lo studio dei circuiti elettrici.
2. La trasformata di Laplace e il calcolo simbolico di Heaviside La storia della trasformata di Laplace 9 non inizia con Pierre Simon de Laplace, come si potrebbe ragionevolmente pensare, ma con i tentativi di Euler e di J. L. Lagrange di risolvere le equazioni differenziali ordinarie lineari per mezzo di opportune trasformazioni integrali. A Laplace si devono alcune lunghe memorie in cui si cercano le soluzioni di equazioni alle derivate parziali lineari del secondo ordine sotto forma di integrali definiti, pubblicati tra il 1782 e il 1812. Il lettore moderno ritrova con difficoltà, in mezzo alla gran quantità di calcoli complicati, un equivalente della trasformata di Laplace come la si conosce oggi; in effetti in questi suoi lavori Laplace non stabilisce una teoria sistematica di questo tipo di operazione, e adopera diversi tipi di trasformazione integrali a seconda delle necessità del momento. Per comprendere lo sviluppo storico successivo della questione è ne5. Si veda Ghizzetti 1943. 6. Si veda, in Bibliografia, Ghizzetti & Ossicini 1971. 7. Ghizzetti 1982, p. 19. 8. Collocazione: Ms. 2797. 9. Esistono degli eccellenti studi storici per gli argomenti che formano lo sfondo di questa ricerca. Deakin ha ricostruito lo sviluppo della trasformata di Laplace (v. Deakin 1981, 1982, 1992) e Lützen ha descritto i vari tentativi di rendere rigoroso il calcolo simbolico di Heaviside (Lützen 1979). Per l’inquadramento storico può anche essere utile lo studio di Koppelman sulla storia del calcolo simbolico (Koppelman 1972). Quanto segue non è altro che un riassunto dei punti per noi più importanti di questi articoli a cui si potrà far riferimento per informazioni più complete.
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cessario a questo punto distinguere fra trasformazione e trasformata di Laplace. 10 La prima è un procedimento per la ricerca di soluzioni di un’equazione differenziale sotto forma di integrali definiti. Nelle trattazioni della seconda metà dell’Ottocento questi integrali furono generalizzati al campo complesso ed assunsero la forma
z
e spψ (s)ds
C
dove C è un opportuno contorno nel piano di Gauss e ψ è una funzione da determinare. La trasformata di Laplace, invece, è un algoritmo di calcolo, che associa ad una funzione assegnata f(t) una funzione trasformata F(p), secondo la relazione +∞
z
F ( p) = e− pt f (t)dt 0
Concettualmente la trasformata di Laplace stabilisce una relazione tra spazi di funzioni. 11 Conviene perciò introdurre la notazione F ( p) = L f (t ) che mette in evidenza l’aspetto funzionale. Dal punto di vista del calcolo la trasformata di Laplace è utile per abbassare l’ordine di difficoltà delle operazioni poiché trasforma la derivazione nella semplice moltiplicazione per un numero reale e la integrazione in una divisione. Valgono infatti le relazioni
af
af a f
L F ' t = pL F t − F 0 ,
L O 1 LMz F (t)dt P = L F (t) N Q p t
0
che si dimostrano facilmente con una integrazione per parti. Chiarita questa distinzione, possiamo dire che la trasformazione di Laplace fu studiata in campo reale nell’Ottocento in svariati lavori di J. Fourier, 12 S. D. Poisson, 13 S. F. Lacroix, 14 A.-L. Cauchy, 15 N. H. Abel, 16 J. Liouville, 17 ed altri matematici minori. 18 Essa fu poi in un certo senso 10. Cfr. Deakin 1992, p. 266. 11. Questa idea fondamentale si deve a S. Pincherle: si veda Amaldi, Pincherle 1901, p. V. 12. Deakin 1981, p. 362. 13. Deakin 1981, p. 363. 14. Deakin 1981, pp. 360-361. 15. Deakin 1981, pp. 364-368. 16. Deakin 1981, pp. 368-369. 17. Deakin 1981, pp. 369-371. 18. Quali, ad esempio, J. A. Grunert, R. Murphy, R. Lobatto, J. Petzval, S. Spitzer. I loro contributi sono tutti discussi in Deakin 1981
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riscoperta, a partire dal 1880 circa, da H. Poincaré e da S. Pincherle, che ne stabilirono le proprietà nella sua forma complessa. 19 La trasformata di Laplace, invece, fu usata forse per la prima volta da H. Bateman nel 1910. 20 Il suo sviluppo successivo è dovuto soprattutto a G. Doetsch, che vi dedicò gran parte dei suoi scritti e ne diede una trattazione generale nella sua Theorie und Anwendung der Laplace-Transformation (1937). 21 Da quel momento essa rimpiazzò definitivamente la precedente trasformazione di Laplace. Il calcolo simbolico per la risoluzione dei circuiti elettrici ebbe uno sviluppo in gran parte indipendente dalla teoria della trasformata di Laplace. Esso fu creato dal fisico matematico inglese O. Heaviside in una serie di lavori pubblicati tra il 1881 e il 1892, e consiste essenzialmente in un ‘calcolo algebrico’ di operatori differenziali. 22 Per risolvere un circuito elettrico percorso da correnti variabili Heaviside sostituisce ad ogni elemento del circuito una ‘pseudo-resistenza’. Denotata con la lettera p la derivata rispetto al tempo d/dt (in modo da poter operare con la derivata come se fosse un simbolo algebrico), Heaviside associa ad una induttanza L la ‘resistenza’ pL e ad una capacità C la ‘resistenza’ C/p, mentre una vera resistenza R mantiene il suo valore. Fino a questo punto, come si vede, non si è ancora aggiunto nulla di sostanzialmente nuovo, poiché non si è fatto altro che introdurre una sorta di stenografia per la scrittura delle equazioni differenziali del circuito. Si è però trasformato il circuito originale in una rete puramente ohmica fittizia, a cui si possono applicare le ordinarie regole di calcolo basate sulle leggi di Kirchhoff. Le equazioni a cui si arriva con questo procedimento, che dovrebbero fornire il valore della corrente istante per istante, sono in realtà relazioni tra operatori. Per interpretarle Heaviside propose una regola, basata su uno sviluppo in serie di queste formule, detta expansion theorem. Essa forniva risultati corretti, ma le sue basi teoriche erano a dir poco oscure. Heaviside non era membro di alcuna università, e i suoi metodi sembravano poco più che una collezione di regole empiriche, prive di una vera giustificazione teorica. Non sorprende perciò che esse abbiano riscosso poco successo per circa vent’anni. I primi tentativi di rendere rigoroso il calcolo di Heaviside furono fatti da J. T. I’A. Bromwich e da H. Jeffreys attorno al 1916, usando integrali nel campo complesso; le loro formulazioni, seppure ingegnose, urtarono 19. Cfr. Deakin 1982, pp. 352-357. 20. Cfr. Deakin 1982, pp. 369-370. 21. Sulla vita e le opere di Gustav Doetsch (1892-1977) si vedano Wagner 1952, Sartorius 1963, Remmert 1999a, 1999b, 1999c, 2001. 22. Cfr. Lützen 1979, pp. 162-175.
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contro difficoltà di vario tipo. È un fatto sorprendente, ma innegabile, che per circa un quarto di secolo nessuno si sia accorto che si poteva interpretare tutto il procedimento di ‘algebrizzazione’ delle equazioni del circuito come un passaggio alle trasformate di Laplace delle correnti e delle forze elettromotrici, e che l’expansion theorem riassumeva le regole per calcolare la antitrasformata delle funzioni elementari. Il collegamento tra il calcolo di Heaviside e la trasformata di Laplace fu indicato per la prima volta nel volume Electric Circuit Theory and the Operational Calculus di J. R. Carson 23 (1926). In realtà fu Bateman ad accorgersi di questo fatto: egli lo segnalò in una lettera a Carson, il quale fece uso di questa osservazione in alcuni punti della trattazione. 24 Carson non applicò in modo sistematico la trasformata di Laplace, ma si limitò a verificare la validità del metodo su esempi specifici. Quando il suo libro fu tradotto in tedesco nel 1929, Doetsch ne fece oggetto di una recensione al vetriolo, 25 in cui lo accusava di non aver posto fin dal principio su basi rigorose il calcolo simbolico. Da questo momento in poi si può dire che fosse chiara la strada da seguire per formalizzare il calcolo di Heaviside. Restava ormai solo da preparare una esposizione generale in cui fossero illustrati questi nuovi sviluppi.
3. Il manoscritto di Fubini Dopo questo breve excursus storico, siamo ora finalmente in grado di comprendere il significato del trattato di G. Fubini e A. Ghizzetti: in sostanza doveva essere il primo libro di testo in cui le trasformate di Laplace venivano sistematicamente applicate alla risoluzione dei circuiti elettrici. Secondo gli storici, questo primato spetterebbe ad un testo dell’americano McLachlan, pubblicato nel 1939, 26 ma il volume di Fubini e Ghizzetti era ultimato nel gennaio del 1938 e avrebbe dovuto uscire già alla fine del 1938 ed è quindi precedente. Nel tener conto delle date è necessario essere precisi: in questo campo lo sviluppo e la diffusione della teoria, quando risultò chiaro il legame tra il calcolo di Heaviside e la trasformata di Laplace, furono a dir poco rapidissimi. Nel 1930 pochi analisti erano al corrente della questione, ma già nel 1950 un giovane 23. John Renshaw Carson (1886-1940) si laureò in ingegneria elettrica a Princeton nel 1909, dove insegnò fino al 1914. Divenne poi ricercatore nell’industria, dapprima presso la American Telephone and Telegraph Company e dal 1925 fino alla morte presso i Bell Telephone Laboratories. Le sue ricerche hanno un ruolo importante nello sviluppo della teoria delle reti elettriche. Negli archivi dell’università di Princeton si conserva parte del suo epistolario. 24. Lützen 1979, p. 198. 25. Doetsch 1930. Cfr. anche Deakin 1992, sect. 3. 26. McLachlan 1939.
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ingegnere elettrotecnico doveva conoscere piuttosto bene questi nuovi metodi matematici. 27 Il lavoro di Fubini è anche il primo testo divulgativo sulle trasformate di Laplace. Si tenga presente che l’autorevole trattato di Doetsch è del 1937, e che il primo lavoro elementare sull’argomento fu pubblicato solo nel 1939. 28 Non è un merito da poco il tentativo di Fubini: all’epoca la trasformata di Laplace era ancora un argomento della matematica più astratta e non era un compito facile riuscire a spiegarlo in modo semplice. Per valutare correttamente l’importanza del volume di Fubini e Ghizzetti è necessario confrontarlo con le opere dello stesso tipo pubblicate in quegli anni, vale a dire con gli articoli ed i libri sul calcolo simbolico e sulla teoria dei circuiti. Nella seconda metà degli anni ’20 furono pubblicati diversi articoli sulla rigorizzazione dei metodi di Heaviside, e in alcuni di essi veniva mostrato in modo più o meno esplicito il collegamento con le trasformate di Laplace. 29 Queste trattazioni, però, erano assai lontane dalle esposizioni moderne: il loro livello matematico era talvolta assai elevato e vi si faceva uso di vari tipi di trasformazioni integrali. Inoltre esse erano poco adatte agli scopi degli ingegneri, poiché il calcolo di Heaviside veniva studiato insieme ad altri tipi di calcolo simbolico e non era considerata in dettaglio l’applicazione ai circuiti elettrici. Un discorso analogo vale per i libri di testo pubblicati fra il 1926 e il 1940. Escludendo quelli che non tengono conto dei nuovi risultati, bisogna considerare solo i testi di J. R. Carson (1926), V. Bush (1929), P. Humbert (1934) e N. W. McLachlan (1940). Anche in questo caso le differenze con i manuali moderni si vedono immediatamente. Carson si limita ad accennare all’uso della trasformata di Laplace, senza applicarla in modo sistematico; in effetti, come si è detto, essa fu aggiunta solo quando il piano dell’opera era già deciso. Lo stesso problema si ritrova nel volume di Bush. Il lavoro di Humbert mostra come le regole di base del calcolo simbolico si possano spiegare per mezzo dello ‘integrale di Carson’ (una versione della trasformata di Laplace), senza applicare il metodo allo studio dei circuiti o ai sistemi di equazioni differenziali; in sostanza si tratta di una breve introduzione (31 pagine) ai metodi generali di calcolo simbolico. Il testo di McLachlan è di livello matematico piuttosto elevato: la prima parte (circa un terzo del volume) è una trattazione 27. Cfr. Deakin 1992, p. 272. 28. Droste 1939. È un testo di sole 35 pagine, con un’introduzione di Doetsch. 29. Ad esempio i metodi di T. J. I’ A. Bromwich, H. Jeffreys e B. van der Pol. I loro lavori sono discussi in Lützen 1979, pp. 175-180.
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della teoria delle funzioni di variabile complessa; inoltre la trasformata di Laplace è spiegata accanto ad altri tipi di trasformate integrali. Passiamo ora ad esaminare il manoscritto di Fubini. È intitolato Parte prima, redatta da Guido Fubini. Preliminari matematici, e si divide nei seguenti 14 capitoli, o paragrafi: 1 Lemmi di calcolo integrale, p. 1; 2 La trasformazione di Laplace, p. 2; 3 Proprietà algoritmiche della L-trasformazione, p. 8; 4 Alcune conseguenze delle formole precedenti, p. 14; 5 Le frazioni razionali, p. 15; 6 Le funzioni impulsive, p. 22; 7 Una prima applicazione della L trasformazione, p. 30; 8 Applicazione a certi sistemi di equazioni differenziali, p. 37; 9 Il calcolo simbolico, p. 46; 10 Sviluppi in serie ed esempii, p. 58; 11 Cenno sulle funzioni di Bessel, p. 63; 12 Proprietà asintotiche della L-trasformazione, 30 65; Appendice alla parte prima. 13 La antitrasformata di una funzione ϕ(p), 70; 14 Alcune proprietà della funzione φ(t), p. 76.
Il testo si presenta nella sua forma ormai definitiva, con pochissime correzioni; in effetti, secondo quanto riferiva sopra Ghizzetti, era già stato consegnato per la stampa. 31 L’indice dei capitoli è sufficiente di per sé a chiarire la spirito generale dell’opera. Fubini si propone di stabilire i concetti fondamentali della trasformata di Laplace mantenendosi ad un livello elementare, che presuppone in sostanza solo la conoscenza dell’analisi matematica fornita da un primo corso di una facoltà scientifica. Egli punta direttamente allo scopo senza nessun fronzolo, limitandosi a stabilire al principio un minimo di teoremi sulla convergenza degli integrali impropri e trasferendo agli ultimi capitoli le questioni più elevate. Non vengono discussi altri tipi di trasformate integrali oltre a quella di Laplace. Un intero capitolo è dedicato alla risoluzione di alcuni particolari sistemi di equazioni differenziali, che formalizzano le equazioni che si presentano nello studio dei circuiti a costanti concentrate. 32 Il capitolo sul calcolo simbolico si limita 30. Il § 11 è stato redatto dal Dott. Ghizzetti (nota di Fubini). 31. Questo lavoro potrebbe essere pubblicato senza problemi così com’è; sarebbe forse un modo non banale per onorare la memoria di Guido Fubini e rimediare in parte al torto che gli fu fatto. Non mi soffermo sulla questione degli effetti delle leggi razziali sull’ambiente dei matematici italiani; si vedano al riguardo Guerraggio & Nastasi 1993 ed Israel & Nastasi 1999. 32. In un circuito elettrico reale le resistenze, le capacità, le induttanze sono distribuite lungo il circuito, e la loro trattazione porta ad equazioni alle derivate parziali. Nei casi più semplici si può schematizzare la situazione supponendo che queste proprietà siano concentrate in alcuni punti del circuito. Si parla allora di costanti concentrate, e si usano equazioni differenziali ordinarie.
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Sandro Caparrini
a descrivere brevemente le linee essenziali del metodo di Heaviside: esso è infatti un procedimento ormai superato, essendo stato sostituito dalla sistematica applicazione delle trasformate di Laplace alle equazioni dei circuiti. 33 Tutte queste caratteristiche distinguono il lavoro di Fubini dai testi precedenti sullo stesso argomento. Coerentemente con l’impostazione elementare da lui scelta, Fubini considera quasi esclusivamente il caso di funzioni reali di variabile reale; solo nei capitoli finali vengono introdotte le funzioni di variabile complessa. A rigore sarebbe necessario impostare sin dal principio tutta la questione in campo complesso, poiché solo così si può arrivare alla formula di inversione della trasformata. È chiaro però che in tal modo si uscirebbe dal dominio degli interessi di un ingegnere, al quale, in un primo approccio è più che sufficiente una tabella di antitrasformate. Vale la pena di notare anche il capitolo sulle funzioni impulsive. Fubini le definisce semplicemente come il limite di integrali definiti. Sia I(t, h) una funzione «che conservi uno stesso segno nell’intervallo α DB si deduce che, nel sollevare il vette portando l’estremo F in B, il punto C si sposta in E e si allontana dal punto B nel quale è applicata la potenza avvicinandosi, invece, all’estremo A che fa da sottoleva. Allora, essendo GCF una leva inter-resistenziale, indicato con PotF la potenza in F e con P il peso, per il vette vale la relazione PotF GC = P GF da cui GC PotF = P (4) GF Dunque, la potenza in F deve sopportare una parte di peso uguale al rapporto delle distanze GC e GF. D’altra parte, poiché «il momento opera secondo la sua perpendicolare», per il vette ADB nella posizione obliqua si può scrivere la relazione PotB AD = P AB E poiché AG, CE e BF sono parallele tagliate dalle trasversali AB, GB, GC AE si ha che = e la (4) può anche scriversi GF AB AE PotF = P AB Ora, quando si solleva l’estremo B, il punto del momento del peso P AE diventa il punto E, ed essendo AE < AD, sarà anche AB < AD AB , sicché in B la potenza dovrà sostenere una frazione di peso minore che in F.¹ Si è visto che, nel corso della dimostrazione, Stigliola afferma che «il momento opera secondo la sua perpendicolare»; questa precisazione conferma, ove mai ce ne fosse ancora bisogno, quanto chiaro e corretto fosse il concetto di momento posseduto dallo scienziato nolano. Vale la pena ricordare che anche Galileo nelle sue Mechaniche dedicò uno specifico Avvertimento per spiegare il modo in ¹ Ovviamente avviene il contrario quando, essendo il centro di gravità del peso al disopra della leva, un estremo della leva viene abbassato, o quando il centro di gravità del peso è al disotto della leva e si solleva un estremo della leva (cfr. Appendice I, II, III), ivi, p. 29.
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295 cui si deve considerare la distanza dalla forza agente dal punto di momento.¹ 4. I ’ Una ulteriore e non meno probante dimostrazione della solidità delle idee concepite da Stigliola in merito al concetto di momento, è fornita dalla trattazione del successivo capitolo, Raggi nell’asse, nel quale lo scienziato nolano prende in considerazione i due distinti casi, quello in cui due raggi di una ruota, i cui estremi siano centri di gravità di pesi in essi applicati, stanno sulla stesa retta, e quello in cui, invece detti raggi formano tra loro un angolo diverso dall’angolo piatto.² Alla base della sua trattazione c’è la seguente Positione: Pigliamo, il momento di ciascun peso, secondo il ponto, ove la perpendicolare del momento taglia la linea orizzontale, che passa per l’asse.³
Stigliola, dunque, assume per assioma che, nella considerazione del momento, per distanza deve intendersi il segmento avente per estremi il punto di momento e il piede della perpendicolare tracciata dal peso all’asse considerato. Il problema dell’equilibrio nel caso di raggi sulla stessa retta è, allora, ricondotto a quello della leva, per cui è facile dimostrare che: Delle grandezze poste in raggi che non fanno tra di lor angolo, in qualunque sito poste, li momenti tra di loro hanno l’istessa ragione.⁴
Nella posizione orizzontale (F. 15), infatti, è: MB AB = MC AC Nella posizione di DE MD AG = ME FA e poiché ¹ Cfr. G. G, Le Mecaniche, cit., il capitolo Alcuni avvertimenti circa le cose dette, pp. 52-54. ² Supposizione: «Supponiamo, in uno istesso asse, due raggi c’habbiano nelli suoi stremi li centri de pesi. E detti raggi, o in una pianezza, e che non facciano angolo, o in due, e che facciano angolo», ivi, p. 31. ³ Ibidem. ⁴ Ivi, pp. 31-32.
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Delle grandezze poste in raggi che non fanno tra di lor angolo, in qualunque sito poste, li momenti tra di loro hanno l’istessa ragione 82 .
Nella posizione orizzontale (FIG. 14), infatti, è:
Nella posizione orizzontale (FIG. 14), infatti, è:
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Nella posizione di DE Nella posizione di DE
M AC 0 B = M B AC M C BA = 0 BA — page —M C16:09
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si ha che
si ha che si ha che
AG AGAEAE ACAC = =AC= = AG AE BA = FA DA = DA BA FA FA DA BA MB MD = M M M BMCM DB M =E D MC
= MC ME
ME
FIG. 15.FIG . 15.15. F.
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M D AG = M D AG FA = ME M E FA
296 e poiché e poiché
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FF. IG. 16. FIG. 16. 16.
Se, invece, i raggi nell’asse non stanno sulla stessa retta, ma formaangolo (F. 16), per determinare i punti in cui i pesi B e C si fanno equilibrio,¹ bisogna innanzitutto assumere sulla congiun-24 gente i centri dei pesi B e C il punto D tale che il rapporto dei pesi stessi sia uguale al rapporto inverso delle loro distanze da D, ossia
81 Ibidem. Ibidem. un certo Ivi, pp. 31-32. 82no Ivi, pp. 31-32.
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B CD = C DA Unito poi D con A si traccia da A la perpendicolare AEF a BD e si assume sulla circonferenza descritta da B il punto G tale che sia ˆ = DAB ˆ e sulla circonferenza descritta da C il punto H tale che EAG ˆ = EAH. ˆ I punti G e H saranno allora i punti in cui i pesi B e DAC C staranno in equilibrio. Infatti, quando B si porta in G percorrendo ˆ D si porta su AE percorrendo l’angolo EAG ˆ = DAB. ˆ l’angolo DAB, ¹ Propositione II: «Date qual si voglia due gravezze, nelli raggi che facciano angolo dato, ritrovar nelle loro circolationi, ponti ove facciano equipondio», ivi, pp. 33-34.
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297 ˆ = EAH, ˆ ossia DAE ˆ + EAC ˆ = EAC ˆ + CAH, ˆ D’altra parte, essendo DAC ˆ ˆ segue che DAE = CAH, il che vuol dire che, quando C si porta in H il punto D si porta sulla AE. Dunque, mentre B si porta in G e C si porta in H, il punto D, che è il comune centro dei pesi B e C, si porta sulla AE, ossia sulla perpendicolare del sostentamento e i pesi saranno in equilibrio. In modo analogo Stigliola risolve il problema della determinazione dei punti in cui i momenti dei pesi agli estremi di due raggi formanti un certo angolo stiano in un rapporto assegnato.¹ Queste considerazioni costituiscono una premessa per la trattazione del successivo capitolo dedicato alle Rote vettive. Tuttavia, prima di affrontare questo argomento, Stigliola parla dei Momenti centrali. Lo fa, in vero, in modo assai sintetico, dicendo: E quanto delli momenti paralleli habbiamo mostrato, tutto si adatterà anco alli momenti concorrenti à centro: se in vece di linee dritte consideriamo le circolari d’intorno il centro ove li momenti concorrono: e in dette circolari si faccia l’istessa partitione: e se in vece delli corpi terminati, da superficie parallele, s’intendano altri corpi terminati, parte da superficie sferiche c’habbiano detto centro: parte da superficie piane che passano per esso.²
Qui è evidente che per momenti paralleli bisogna intendere momenti di forze (potenze e resistenze) parallele, quali ad esempio sono i pesi che pendono dagli estremi della bilancia, e per momenti centrali i momenti di forze (potenze e resistenze) che non sono parallele e le cui rette di azione convergono in un punto. La distinzione tra momenti paralleli e momenti centrali conferma il fatto che Stigliola concepiva il momento come una grandezza caratterizzata non solo dal modulo, ma anche da una direzione. Questo importante aspetto emerge anche in altri punti del seguito. Nel capitolo delle Rote vettive, che fa seguito immediatamente a queste considerazioni, Stigliola considera il differente comportamen¹ Proposizione I (ma leggasi III): «Date qual si voglia due grandezze nelli dati raggi, che fanno dato angolo ritrovar nelle loro circolazioni, ponti ove il momento dell’uno, al momento dell’altro habbia qual si voglia data ragione». ² Ivi, p. 37. È molto probabile che una più estesa trattazione di qusto specifico argomento doveva essere contenuta nel capitolo previsto nella Enciclopedia Pitagorea, Delli due momenti delle parti, delle sfere prime di natura: l’uno detto centrale, et l’altro assale, che mai vide la luce.
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to di una ruota o di più ruote congiunte insieme¹ in movimento su di un piano orizzontale e su di un piano inclinato. Pone alla base della sua trattazione due Positioni con le quali caratterizza l’effetto del momento di forze agenti su una ruota vettiva, e più propriamente che ogni forza con cui una ruota vettiva viene tirata o spinta aggiunge momento nella direzione in cui essa agisce,² e che se il centro del peso della ruota sta sulla linea di sospensione o di sostentamento, il peso non ha momento in alcuna direzione.³ Dimostra quindi che, se una ruota vettiva si muove su di un piano orizzontale, il suo centro di peso sta sempre nella perpendicolare del sostentamento.⁴ infatti che,delconsiderata la sulla linea AB e su momento nella direzione in cuiFa essa agisce 87osservare , e che se il centro peso della ruota sta linea 88 di sospensione di sostentamento, il peso non ha alcuna direzione di essa oun cerchio tangente ABmomento in uninpunto C (F.. 17), il diametro Dimostra quindi che, se una ruota vettiva si muove su di un piano orizzontale, il suo centro di CD, perpendicolare in C ad AB, divide la ruota in due parti uguali 89 peso sta sempre nella perpendicolare del sostentamento . Fa infatti osservare che, considerata la Pertanto è la sostentamento linea eABequiponderanti. e su di essa un cerchio tangente AB inesso un punto C (Flinea IG. 17),di il diametro CD, perpendi- a cui colare in C ad AB, divide la ruota in due parti uguali e equiponderanti. Pertanto esso è la linea di appartiene il centro della ruota che è anche il centro di gravità della sostentamento a cui appartiene il centro della ruota che è anche il centro di gravità della stessa. stessa. Risulta allora manifesto che,
FIG. 17.
F. 17.
Risulta allora manifesto che,
rote,delle su quali l’asse qualicheposi la gravezza: che nel piano nelle nelle rote, su l’asse posidelle la gravezza: nel piano orizzontale, non habbiano momentoorizzontale, né verso l’una, né verso l’altra parte 90 non habbiano momento né verso l’una, né verso l’altra parte⁵
da che si trae che
¹ Stigliola distingue la congiunzione semplice da quella molteplice:91 si ha la prima (Definiqualsivoglia possanza, le porterà così nell’una, come nell’altra parte . tione I) quando le ruote sono congiunte su di uno stesso asse; la seconda (Definitione II) quando le ruote sono congiunte su risultato più assi.che, su un piano orizzontale, per mettere in In tal modo Stigliola stabilisce l’importante ² Positione I. «Poniamo o trattiva, o forza. pulsiva, giunger momento moto una ruota soggetta al solo suoogni pesoforza, basta una qualsiasi Corregge dunque Pappoverso che, quella ove tira,matematiche, o spinge», ivi, p. 39. nelle parte, sue Collezioni aveva erroneamente affermato che per mettere in moto un cor92 po su di³ un piano orizzontale occorre al peso del linea corpodell’appendimento, . È interessante notare Positione II: «E se’l centrouna delforza pesouguale sia nell’istessa o sostenche anche Galileo nella versione lunga Le Mecaniche stabilisce con assoluta chiarezza se parte», tamento: che la gravezza non de habbia momento, ne verso l’una, ne verso che, l’altra si considera ibidem.il problema dal punto di vista prettamente geometrico, ovvero se si astrae dall’attrito, dalla resistenza del mezzo e da ogni altro accidente, un corpo su di un piano orizzontale è mosso 93 ⁴ Propositione I: «Della rotache vettiva, che si move sopra dialun«qual piano «da qualunque minima forza» , cosa è perfettamente equivalente si orizzontale, voglia possan-il centro peso sempre è nella perpendicolare sostentamento», ivi,ilpp. 39-40. nella sua za» didel Stigliola. Dobbiamo supporre che Stigliola,del come Galileo, consideri problema ⁵ Appendice II, ivi, p. 40che il corpo di cui si sta parlando sia una sfera geometrica pogpura essenza geometrica, ovvero
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87 Positione I. «Poniamo ogni forza, o trattiva, o pulsiva, giunger momento verso quella parte, ove tira, o spinge», ivi, p. 39 88 Positione II: «E se’l centro del peso sia nell’istessa linea dell’appendimento, o sostentamento: che la gravezza non habbia momento, ne verso l’una, ne verso l’altra parte», ibid. 89 Propositione I: «Della rota vettiva, che si move sopra di un piano orizzontale, il centro del peso sempre è nella perpendicolare del sostentamento», ivi, pp. 39-40. 90 Appendice II, ivi, p. 40 91 Appendice III, ibidem. 92 Cfr. PAPPO ALESSANDRINO, Mathematicae Collectiones, cit., p. 459. 93 G. GALILEO, Le mecaniche, cit., V. l., ll. 895-896.
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299 da che si trae che qualsivoglia possanza, le porterà così nell’una, come nell’altra parte.¹
In tal modo Stigliola stabilisce l’importante risultato che, su un piano orizzontale, per mettere in moto una ruota soggetta al solo suo peso basta una qualsiasi forza. Corregge dunque Pappo che, nelle sue Collezioni matematiche, aveva erroneamente affermato che per mettere in moto un corpo su di un piano orizzontale occorre una forza uguale al peso del corpo². È interessante notare che anche Galileo nella versione lunga de Le Mecaniche stabilisce con assoluta chiarezza che, se si considera il problema dal punto di vista prettamente geometrico, ovvero se si astrae dall’attrito, dalla resistenza del mezzo e da ogni altro accidente, un corpo su di un piano orizzontale è mosso «da qualunque minima forza»,³ cosa che è perfettamente equivalente al «qual si voglia possanza» di Stigliola. Dobbiamo supporre che Stigliola, come Galileo, consideri il problema nella sua pura essenza geometrica, ovvero che il corpo di cui si sta parlando sia una sfera geometrica poggiata su di un piano geometrico. In ogni caso è bene sottolineare che Stigliola giunge alle sue conclusioni seguendo un percorso differente da quello di Galileo. La via da lui seguita, per vari aspetti, è molto simile a quella di Erone, ma l’opera di meccanica in cui questo autore tratta delle macchine semplici, fu riscoperta soltanto sul finire del sec. XIX,⁴ il che esclude ogni possibile diretta influenza di detta opera sullo scienziato nolano. Probabilmente questi conobbe la trattazione del piano inclinato di Leonardo da Vinci, come dimostrerebbe la successiva Propositione II⁵ nella quale si prende in considerazione il problema del piano inclinato da lui così enunciato: ¹ Appendice III, ibidem. ² Cfr. P A, Mathematicae Collectiones, cit., p. 459. ³ G. G, Le Mecaniche, cit., V. l., ll. 895-896. ⁴ Il Baroulkos, ovvero la meccanica di Erone di Alessandria, ci è giunto in una versione araba del nono secolo dovuta a Qust¯a b. L¯uq¯a di Baalbek. Questo testo è stato tradotto in francese da Carra di Vaux e pubblicato in più fascicoli del Giornale Asiatico nel 1893. Successivamente, nel 1894, venne ristampato per formare il volume Les Mècaniques ou L’élévateur de Hèron d’Alexandrie publiées pour la première fois sur la version arabe de Qostà ibn Lùqà et traduit en Fançais par M. le Baron Carra de Vaux. Extrait du Journal Asiatique, Paris, Imprimerie Nationale, 1894. ⁵ Cfr. Codice Atlantico 358 r. b. e il manoscritto M 412 r pubblicato anche da C. T, Essays on the history of mechanics, 1968.
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300 su di un piano geometrico. In ogni giata caso è bene sottolineare che Stigliola giunge alle sue conclusioni seguendo un percorso differente da quello di Galileo. La via da lui seguita, per vari aspetti, è molto simile a quella di Erone, ma l’opera di meccanica in cui questo autore tratta delle macchine semplici, fu riscoperta soltanto sul finire del sec. XIX 94 , il che esclude ogni possibile Nellainfluenza rota che porta piano inchinato, il centro delquesti peso, è fuori della diretta di si detta operaper sullo scienziato nolano. Probabilmente conobbe la trattaperpendicolare del di sostentamento, il momento della rota appoggiata zione del piano inclinato Leonardo da Vinci,etcome dimostrerebbe la successiva Propositioneal 95 IIpiano, nella quale si prende in della considerazione il problemaladel piano inclinato da luil’eccesso così enunciato: al momento rota sospesa, ragione ha, che delle portioni circolo, al circolo Nella rota chedel si porta per piano inchinato, tutto.¹ il centro del peso, è fuori della perpendicolare del sostentamento, et il momento della rota appoggiata al piano, al momento della rota sospesa, la ragione ha, che l’eccesso delle portioni del circolo, al circolo tutto. 96
F. 18. FIG. 18. Se, infatti, AB rappresenta il piano orizzontale, AC il piano inclinato e DEF la ruota che tocca quest’ultimo piano nel punto D (punto di sostentamento), la perpendicolare FDB per questo punSe, infatti, AB rappresenta il piano orizzontale, AC il piano inclinato to ad AB non contiene il centro del cerchio (FIG. 18). Infatti, essendo il triangolo ADB rettangoˆ A è acuto e DEF che«etocca nel DGF, punto D (punto di D lo, l’angololaBruota perciò –quest’ultimo conclude Stigliola piano – la portione è maggiore del semicircolo ed in essa sarà il centro del circolo, che è anco centro di peso». Il centro del peso, dunsostentamento), la perpendicolare FDB per questo punto ad AB non que, cade fuori della linea del sostentamento sicché la ruota non sta in equilibrio, ma discende contiene centroSe,del cerchio (F. 18). Infatti, il triangolo lungo il pianoilinclinato. infatti, si descrive la porzione di cerchioessendo DHF simmetrica rispetto a ˆ DF dellarettangolo, DEF, essendo uguali questeBdue si faranno la lunula DGF che, ADB l’angolo DAparti è acuto «eequilibrio. perciò Resta – conclude Stiglionon essendo equilibrata da altro, fa discendere la ruota verso il basso. Stigliola spiega la cosa in la – la portione DGF, è maggiore del semicircolo ed in essa sarà termini di momento. Infatti scrive:
il centro del circolo, che è anco centro di peso». Il centro del peso, dunque, cade fuori della linea del sostentamento sicché la ruota non sta in equilibrio, ma discende lungo il piano inclinato. Se, infatti, si descrive la porzione di cerchio DHF simmetrica rispetto a DF della Il Baroulkos, ovvero la meccanica di Erone di Alessandria, ci è giunto in una versione araba del nono secolo DEF, essendo uguali queste due parti si faranno equilibrio. Resta la dovuta a Qustā b. Lūqā di Baalbek. Questo testo è stato tradotto in francese da Carra di Vaux e pubblicato in più fascicoli del 1893. Successivamente, nel 1894, venne il volume Les lunulaGiornale DGF Asiatico che, nel non essendo equilibrata daristampato altro,perfaformare discendere la Mècaniques ou L’élévateur de Hèron d’Alexandrie publiées pour la première fois sur la version arabe de Qostà ibn ruota verso il basso. spiega laExtrait cosaduinJournal termini diParis, momento. Lùqà et traduit en Fançais par M.Stigliola le Baron Carra de Vaux. Asiatique, Imprimerie Nazionale, 1894. Infatti scrive: Cfr. Codice Atlantico 358 r. b. e il manoscritto M 412 r pubblicato anche da C. TRUSDELL, Essays on the il momento della rota appoggiata sarà meno che della rota sospesa, secondo la ragione della figura lunulare a tutto il circolo: cio è secondo la ragione dell’eccesso delle portioni, al circolo tutto 97 .
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history of mechanics, 1968. 96 De Gli Elementi, cit., p. 41. 97 Ivi, p. 42.
il momento della rota appoggiata sarà meno che della rota sospesa, secondo la ragione della figura lunulare a tutto il circolo: cio è secondo la 27 ragione dell’eccesso delle portioni, al circolo tutto.² ¹ De Gli Elementi, cit., p. 41.
² Ivi, p. 42.
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301 In tal modo lo scienziato nolano spiega perché la ruota scende lungo il piano inclinato, ma non fornisce una relazione tra i parametri caratteristici del piano inclinato che consenta di determinare analiticamente la forza necessaria a mantenere in equilibrio un corpo sul piano inclinato. Tuttavia la relazione tra momenti da lui determinata, sebbene poco utilizzabile nella pratica, è efficace a mostrare che non Intutto il lopeso della ruota, ovvero l’intero suo momento, ma solo tal modo scienziato nolano spiega perché la ruota scende lungo il piano inclinato, ma non fornisce una relazione tra i parametri caratteristici del piano inclinato che consenta di determinauna resua parte è causa del moto lungo il piano inclinato. Come dire analiticamente la forza necessaria a mantenere in equilibrio un corpo sul piano inclinato. Tutche tavia la componente efficace moto èsebbene quella allapratica, parte di peso la relazione tra momenti da luialdeterminata, poco dovuta utilizzabile nella è efficace a mostrare che non tutto il peso della ruota, ovvero l’intero suo momento, ma solo una sua relativa DGF.¹ parte èalla causa lunula del moto lungo il piano inclinato. Come dire che la componente efficace al moto è quella dovuta alla parte di peso relativa alla lunula DGF 98 .
FIG. 19. F. 19.
Stigliola completa poi la sua trattazione con la considerazione delle ruote congiunte (congiogate) mostrando che, nel caso che queste siano su di un piano orizzontale, i loro assi sostengono un peso in ragione inversa alle distanze del punto del momento dagli assi 99 ; nel caso in cui le stesse ruote si trovano su di un piano inclinato, l’asse della ruota inferiore sosterrà un peso maggiore di quello sostenuto sul piano orizzontale 100 . Poiché il punto di momento appartiene alla perpendicolare all’orizzontale, quando il sistema delle ruote congiunte sta sul piano orizzontale, il suo punto di momento è G; quando, invece, sta su di un piano inclinato, il suo punto di momento è H. E poiché EH>EG e DH EG e DH < DG, la ruota che sta più in basso sosterrà una porzione di peso secondo il rapporto EH/ED che è più grande del rapporto DH/ED che rappresenta la parte di peso sostenuta dalla ruota superiore. Segue una breve trattazione delle taglie nella quale Stigliola, dopo aver posto la distinzione tra taglia stabile e mobile mostra, fondando ancora una volta le sue argomentazioni sul concetto di momento, i principi generali del funzionamento di tali macchine. Dimostra così che ogni corda proveniente dalla taglia superiore all’inferiore e dall’inferiore alla potenza sostiene un’uguale parte di peso; che se un capo della corda avvolta alle girelle è legato alla taglia superiore o ad un termine fisso, il peso sostenuto è distribuito secondo un numero pari; se, invece, un capo, delle corda è avvolta alla taglia inferiore, il peso sostenuto è distribuito in parti secondo un numero dispari. Questo capitolo si conclude con la risoluzione di due problemi: nel primo si chiede di determinare in una taglia il numero minimo di girelle con le quali una data potenza possa sollevare un dato peso; nel secondo di conoscere quante taglie costituite da una sola girella ciascuna o quante taglie costituite da più girelle bisogna applicare per sollevare un determinato peso con velocità maggiore di una qualsiasi velocità prefissata.² 5. L Particolarmente interessante è l’argomento delle Rote motive, ovvero della trasmissione del movimento tra ruote «che stanno co’l toccamento», quali sono ad esempio le ruote dentate. Questo argomento fu poco trattato dagli studiosi di meccanica del ‘500. Non fu preso in considerazione da Maurolico, Guidobaldo, Benedetti, per citare alcuni dei maggiori autori che si interessarono di questa disci¹ Propositione IIII: «Se’l peso sia portato da due congiogationi di rote per piano inchinato: sostenta l’asse delle rote inferiori di detto peso, maggior portione che se fusse nel piano orizontale», ivi, pp. 44-45. ² Ivi, pp. 47-57.
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303 plina. Qualche cosa in merito scrisse Galileo nella versione breve de Le Mecaniche. Entrando qui in gioco tutto un sistema di ruote ciascuna con un movimento proprio, e quindi con un momento proprio, Stigliola mette in risalto la possibilità di sommare o sottrarre i momenti a seconda del verso del moto da essi prodotto. Definisce infatti momenti concorrenti quelli che portando verso l’istessa parte, si accrescono¹
e, momenti contrari, quelli che s’impediscono portando in contrario”²
Assume poi come assioma che potenze uguali in ruote di uguali semidiametri hanno momenti uguali,³ in ruote di semidiametri differenti hanno momenti in ragione dei semidiametri stessi⁴ e che momenti contrarij, per quanto si annullano, l’uno essere eguale all’altro.⁵
La trattazione di Stigliola, in merito, è alquanto articolata prendendo egli in considerazione varie situazioni. Dimostra per prima cosa che, data una serie di ruote congiunte ciascuna avente un proprio asse i cui punti di contatto appartengono al segmento congiungente i loro centri, se la potenza agente sulla prima ruota è annullata da quella agente sull’ultima ruota, allora le due potenze sono uguali.⁶ Fa poi vedere che se due ruote sono congiunte sullo stesso asse ed hanno uguale momento, allora il rapporto delle potenze agenti sulle due ruote è uguale al rapporto inverso dei raggi delle ruote stesse.⁷
¹ Definitione I, ivi, p. 58. ² Definitione II, ibidem. ³ Positione I: «Poniamo, possanze eguali in circonferenze di rote eguali, haver momenti eguali», ibidem. ⁴ Positione II: «Et in rote ineguali haver momento ineguale, secondo ragio de semidiametrj», ivi, p. 59. ⁵ Positione III, ibidem. ⁶ Proposizione I: «Se quante si voglia rote, una per asse, si tocchino: e poste le possanze l’una nella circonferenza della prima, e l’altra dell’ultima, si rattengono: saranno le possanze ugualj», ivi, pp. 59-60. ⁷ Proposizione II: «delle rote in uno asse la possanza, che fa eguale momento nella rota maggiore è di valor minore: e nella minore è di valor maggiore, nella ragione de semi diametri reciproca», ivi, pp. 60-61.
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FIG. 20.F.
FIG. 20.
FIG. 21.
20.
FIG. 21. F. 21. Infine considera la congiunzione di due diversi sistemi di ruote sullo stesso asse (FIG. 22) e fa ruote sullo stessodaasse (FIG . 22) e fa Infine considera congiunzione di due diversi sistemi vedere che se lalapotenza agente sulla prima ruota del primodisistema è annullata quella agente vedere che seruota la potenza agente sulla prima ruota del primo sistema è annullata sull’ultima del secondo sistema, allora il rapporto tra le due potenze è uguale da allaquella ragione Infine dal considera la congiunzione di due diversi sistemi diuguale ruote sul-agente composta ruota rapporto dei semidiametri delle ilruote congiunte ciascun asseè presi reciprocasull’ultima del secondo sistema, allora rapporto tra lesudue potenze alla ragione lo stesso asse (F. 22) e fa vedere che se la potenza mente, ovvero composta dal rapporto dei semidiametri delle ruote congiunte su ciascun agente asse presisulla reciproca-
mente, ovvero prima ruota del primo sistema è annullata da quella agente sull’ulti-
PB FD CA ma ruota del secondo sistema, =allora il rapporto tra le due potenze PPFB DC AB CA è uguale alla ragione composta dalFDrapporto dei semidiametri delle = PF DC AB ruote su ciascunleasse presi ovvero dove PB e congiunte PF denotano rispettivamente potenza agentireciprocamente, in B in F 109 .
dove PB e PF denotano rispettivamentePle CAin B in F109 . FD agenti B potenza
= ⊗ PF DC AB dove PB e PF denotano rispettivamente le potenza agenti in B in F.¹ Questi problemi costituivano dei casi paradigmatici a partire dai quali si potevano risolvere altre questioni più complesse relative a ruote congiunte risultanti dalla combinazione dei suddetti casi.² Gli Elementi Mechanici si chiudono con la seguente esposizione dei Momenti acquistati: FIG. 22.
Poniamo degli momenti, altri esser intrinsechi: altri acquistati, et altri miQuesti problemi costituivano dei casi paradigmatici a partire dai quali si potevano risolvere altre FIG. 22. questioni più complesse relative a ruote congiunte risultanti dalla combinazione dei suddetti ca110¹ Propositione III: «Se le rote, poste a due in ciascun asse, si tocchino: e le possanze, si . poste l’una nella prima, l’altra nell’ultima rota, si arattengono: lasiragion dell’una pos- altre Questi costituivano casi paradigmatici partire dai sarà quali potevano risolvere acquistati: Gliproblemi Elementi Mechanici si dei chiudono con la seguente esposizione dei Momenti
sanza più all’altra l’istessa,relative che la aragion composta delli semidiametri, che sono su questioni complesse ruote congiunte risultanti dalla combinazione deil’istesso suddetti capigliate reciprocamente», pp.in62-63. III: «Se le rote, posteivi, a due ciascun asse, si tocchino: e le possanze, poste l’una nella prima, si 110asse, . 109 Propositione l’altra nell’ultima rota, si rattengono: sarà la ragion possanzaesposizione all’altra che la ragion composta delli Alla fineMechanici di detta trattazione Stigliola quellol’istessa, che dei oggi si direbbe un proGli²Elementi si chiudono condell’una la proponeva seguente Momenti acquistati: semidiametri, che sono su l’istesso(Propositione asse, pigliate reciprocamente», ivi, pp. 62-63. tardità di possanza. e qualblema di ottimizzazione IV): «Data qualsivoglia 110 Alla fine di detta trattazione Stigliola proponeva quello che oggi si direbbe un problema di ottimizzazione 109 sivoglia velocità: e qualsivoglia data la ragion diametri delle congiogate: minimo Propositione III: «Se le rote, poste a dei due in ciascun asse, sirote tocchino: e eledata possanze, l’una nella (Propositione IV): «Data tardità di possanza. e qualsivoglia velocità: laritrovar ragionposte deiun diametri delleprima, numero di congiogationi, che laladiragion data possanza mova laall’altra cosa con maggior della l’altra nell’ultima rota, si rattengono: sarà dell’una si possanza l’istessa, che la velocità ragion composta rote congiogate: ritrovar un minimosinumero congiogationi, che la data possanza mova la cosa con maggior ve- delli locità dellaivi, data», ivi, pp. 66-67. Il volumetto contiene anche una una breve trattazione del cuneo edel dellacuneo vite. e della semidiametri, chepp. sono su l’istesso asse, pigliate reciprocamente», ivi,breve pp. 62-63. data», 66-67. Il volumetto contiene anche trattazione 110 Alla fine di detta trattazione Stigliola proponeva quello che oggi si direbbe un problema di ottimizzazione vite. 30 (Propositione IV): «Data qualsivoglia tardità di possanza. e qualsivoglia velocità: e data la ragion dei diametri delle rote congiogate: ritrovar un minimo numero di congiogationi, si che la data possanza mova la cosa con maggior velocità della data», ivi, pp. 66-67. Il volumetto contiene anche una breve trattazione del cuneo e della vite.
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vedere che se la potenza agente sulla prima ruota del primo sistema è annullata da quella agente sull’ultima ruota del secondo sistema, allora il rapporto tra le due potenze è uguale alla ragione composta dal rapporto dei semidiametri delle ruote congiunte su ciascun asse presi reciprocai mente, ovvero
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“main” — 2007/2/7 — 16:09 — page 305 — #164 PB FD CA = PF DC AB
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dove PB e PF denotano rispettivamente le potenza agenti in B in F 109 .
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22. FF. IG. 22.
Questi problemi costituivano dei casi paradigmatici a partire dai quali si potevano risolvere altre sti: et intrinsechi quelli, che non da movimento precedente dipendono: coquestioni più complesse relative a ruote congiunte risultanti dalla combinazione dei suddetti came sono gli movimenti delle gravezze in giù, e del corpo leggiero dentro 110 si . l’humor più grave in su. Acquistati quelli, che seguono l’impression fatGli Elementi Mechanici si chiudono con la seguente esposizione dei Momenti acquistati: ta da precedente movimento: come il movimento della cosa lanciata, che segue il movimento del braccio, o della corda. Misti, come il movimento 109 Propositione III: «Se le rote, poste a due in ciascun asse, si tocchino: e le possanze, poste l’una nella prima, delle gravezze dopo l’haver dato principio a muoversi: per il che veggial’altra nell’ultima rota, si rattengono: sarà la ragion dell’una possanza all’altra l’istessa, che la ragion composta delli di vicino lasciati,reciprocamente», muoversi con ivi, minor momento, che lasciati semidiametri, chemo sonolisupesi l’istesso asse, pigliate pp. 62-63. 110 di lontano: e molte cose portate dalla proprio gravezza nell’aria penetrar Alla fine di detta trattazione Stigliola proponeva quello che oggi si direbbe un problema di ottimizzazione contro di quel che porta l’intrinseco momento: dopo (Propositione IV):sotto «Datal’acqua, qualsivoglia tardità di possanza. e qualsivoglia velocità: e dataonde la ragion dei diametri delle rote congiogate: ritrovar minimo numero di congiogationi, che la data mova la cosa con maggior vel’essereunaffondate da se stessi ritornare si a galla. Et ilpossanza momento intrinseco locità della data»,esser ivi, pp. 66-67. Il volumetto contiene anche una breve trattazione del cuneo l’istesso sempre, l’acquistato, mancando la causa di ponersi, ee della con ilvite. tempo, e dall’impedimento che le faccia resistenza.¹ 30
Quest’ultima caratterizzazione si presta almeno ad una riflessione. Ci riferiamo alla frase «come sono gli movimenti delle gravezze in giù, e del corpo leggiero dentro l’humor più grave in su» che lascia intendere senza ombra di dubbio che in Stigliola era avvenuto il pieno superamento della concezione aristotelica dei luoghi naturali. Egli, infatti, giustifica il moto di corpi verso l’alto per il fatto di essere immersi in un ambiente di essi «più grave». E questa sua visione moderna delle cose ci fa ancor più rimpiangere la perdita di tante sue opere che probabilmente avrebbero rivelato in lui una personalità scientifica di assoluto valore, e giustificato la considerazione in cui fu tenuto dai suoi contemporanei. Pervenuto in redazione il 16 /4/06 ¹ Ivi, p. 68.
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IS T RU Z I O NI PER GLI AUTORI «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche» pubblica manoscritti e carteggi inediti di maIdelletematici del passato, saggi bibliografici ed articoli originali riguardanti la storia della matematica e scienze affini. Tranne casi eccezionali, gli articoli dovranno essere scritti in italiano, inglese, francese, latino o tedesco. I lavori presentati per la pubblicazione dovranno essere inviati in duplice copia al seguente indirizzo: Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche Dipartimento di Matematica Viale Morgagni 67/A I - 50134 Firenze (Italia) I manoscritti inviati non verranno restituiti; gli Autori dovranno aver cura di conservarne almeno una copia. I lavori dovranno essere forniti su floppy disk o su altro supporto elettronico, allegando copia cartacea a spaziatura doppia. Una cura speciale dovrà essere usata per i riferimenti bibliografici che devono essere i più completi possibile in modo da permettere l’identificazione immediata della fonte. In particolare per le opere moderne si indicherà: A, Titolo completo, editore, Luogo e data di pubblicazione (per i libri) ovvero «Rivista», Volume, Anno e pagine (per gli articoli). Per le opere più antiche è consigliabile un’accurata trascrizione del frontespizio. Le figure nel testo vanno disegnate a parte su carta lucida, con inchiostro di china a grandezza doppia del naturale, indicando sul dattiloscritto il luogo dove devono essere inserite. Gli Autori dovranno fornire: l’indirizzo dell’istituzione a cui appartengono, il proprio indirizzo postale, quello e-mail, numero di telefono e fax. Dovranno altresì inviare un abstract in inglese di non più di 10 righe. Gli Autori riceveranno un solo giro di bozze, che dovranno essere tempestivamente corrette e restituite all’Editore; eventuali modifiche e/o correzioni straordinarie apportate in questo stadio sono molto costose e saranno loro addebitate. Nel caso di articoli in collaborazione le bozze saranno inviate al primo Autore, a meno che non sia esplicitamente richiesto altrimenti. Di ogni articolo gli Autori riceveranno gratuitamente 50 estratti.
* I N S T RU C T I ONS FOR AUTHORS «Bollettino» publishes correspondence and unpublished manuscripts of interest in the history T of mathematics, bibliographical essays and original papers concerning the history of mathematical sciences. Its preferred languages are Italian, English, French, German, and Latin. Papers submitted for publication should be sent in two copies to: Bollettino di Storia delle Scienze matematiche Dipartimento di Matematica Viale Morgagni 67/A I - 50134 Firenze (Italia) Manuscripts forwarded will not be returned. Authors will have to make sure that they keep at least another copy of them. Articles should be sent on floppy disk or other electronic support, together with a paper copy, typed in double spacing. Special care should be taken over bibliographic references, which must be as complete as possible. In particular, for modern works it is necessary to indicate: A, Complete title, Publisher, place and date of publication (for books) or else «Journal», Volume, year and pages (for articles). For older works, a precise transcription of the title page is advisable. Figures in the text must be drawn in double size on separate sheets of glossy paper in black ink, indicating on the manuscript where are to be placed. Authors must communicate the complete address of the institution to which they belong, their postal address, e-mail address, and telephone and fax numbers. In addition, a concise and informative abstract in English (not exceeding 10 lines) is required. Authors will usually receive one set of proofs, which must be corrected and promptly returned to the publisher; any additional modifications after this stage are very expensive and will be charged to the Authors. In case of joint works, proofs will be sent to the first Author unless otherwise requested. Authors will receive fifty offprints of each paper free of charge.
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LA M AT E M AT I CA ANTICA IN CD-ROM dei maggiori problemi nell’insegnamento e nella ricerca in Storia U della matematica consiste nella difficoltà di accedere alle opere originali dei matematici dei secoli passati. Ben pochi autori, in genere solo i più importanti, hanno avuto edizioni moderne; per la maggior parte occorre rivolgersi direttamente alle edizioni antiche, presenti solo in poche biblioteche. Questa situazione è particolarmente gravosa nei centri privi di biblioteche importanti, dove anche lo svolgimento di una tesi di laurea in storia della matematica è ritardato dai tempi, a volte lunghissimi, necessari per procurarsi fotocopie o microfilms delle opere necessarie, ma sussiste anche nei centri maggiori, dove in ogni caso l’accesso ai volumi antichi è sottoposto a controlli e limitazioni. Per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti, e permettere una maggiore diffusione della cultura storico-matematica, il Giardino di Archimede ha preso l’iniziativa di riversare su CD-rom e diffondere una serie di testi rilevanti per la storia della matematica. Ogni CD contiene circa 5000 pagine (corrispondenti circa a 15-20 volumi) in formato PDF. La qualità delle immagini è largamente sufficiente per una agevole lettura anche dei testi più complessi e non perfettamente conservati. Il prezzo di ogni CD è di 130 euro. Per acquisti o abbonamenti a dieci o più CD consecutivi viene praticato uno sconto del 20%. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del Giardino di Archimede: www.archimede.ms Per ordinazioni: Il Giardino di Archimede Via San Bartolo a Cintoia 19a 50143 Firenze Tel. ++39-055-7879594, Fax ++39-055-7333504 e-mail: [email protected] Indice degli ultimi pubblicati: GdA 41 Bonfioli Malvezzi, Antonio - Epistola de Galilaei demonstratione a cl. Andres exposita. De Martino, Pietro - De luminis refratione et motu. Napoli, 1741. Köchler, Johann Baptist - Elementa ignis, aquae et terrae. Innsbruck, Wagner, 1734.
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Lorgna, A. Mario - Discorso sopra l’Adige. Verona, Moroni, 1768. Lorgna, A. Mario - Dissertazione sopra l’aria di Mantova. Mantova, Pazzoni, 1771. Lorgna, A. Mario - Dissertazione sopra le pressioni dell’acqua. Mantova, Pazzoni, 1769. Lorgna, A. Mario - Fabbrica ed usi della squadra di proporzione. Verona, Moroni, 1768. Lorgna, A. Mario - Memorie intorno all’acque correnti. Verona, Moroni, 1777. Lorgna, A. Mario - Opuscula mathematica et physica. Verona, Moroni, 1770. Lorgna, A. Mario - Opuscula tria ad res mathematicas pertinentia. Verona, Ramanzini, 1767. Lorgna, A. Mario - Principi di geografia astronomico-geometrica. Verona, Ramanzini, 1789. Luini, Francesco - Delle progressioni e serie. Milano, Galeazzi, 1767. Luini, Francesco - Esercitazione matematica, e altri opuscoli di vari autori. Milano, Marelli, 1769. Maffei, Scipione - Della formazione de’ fulmini. Verona, Tumermani, 1747. Maffei, Tommaso Pio - De cyclorum soli-lunarium inconstantia et emendatione. Venezia, Bartoli, 1706. Mairan, Jean Jacques - Lettre sur la question des forces vives. Paris, Jombert, 1741. Mairan, Jean Jacques - Dissertation sur la glace. Paris, Imprimerie Royale, 1749. Malfatti, Gianfrancesco - De natura radicum in aequationibus quarti gradus. Ferrara, Barberi, 1758. Mancini, Giulio - Apologia dell’occhio. Opera ottico-metafisica. Siena, Pazzini Carli, 1795. Manfredi, Eustachio - Compendio et esame del libro “Effetti dannosi ..” . Roma, Camera Apostolica, 1718. Manfredi, Eustachio - De gnomone meridiano Bononiensi. Bologna, Volpe, 1736. Manfredi, Eustachio - Mercurii ac solis congressus. Bologna, Pisarri, 1724. Manfredi, Eustachio - Replica de’ bolognesi ad alcune considerazioni dei ferraresi. Roma, Gonzaga, 1717. Manfredi, Eustachio - Elementi della geometria piana e solida. Bologna, Volpe, 1755. Manni, Domenico Maria - Degli occhiali da naso inventati da Salvino Armati. Firenze, Albizzini, 1738. Marchelli, Giovanni - Trattato del compasso di proporzione. Milano, Galleazzi, 1759. Marchetti, Alessandro - Discorso a Bernardo Trevisano contro la “Risposta apologetica” del p. Grandi. Lucca, Venturini, 1714.
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Marchetti, Francesco - Risposta apologetica contro G. Battista Clemente Nelli. Lucca, Giuntini, 1762. Marchetti, Francesco - Vita e poesie di Alessandro Marchetti. Venezia, Valvasense, 1755. Marescotti, Giacomo - Alla sacra congregazione delle acque. Roma, Bernabò, 1765. Mari, Gioseffo - Lettera sopra il trasporto del canale di Busseto. Parma, Rossi e Ubaldi, 1798. Marinoni, Giovanni - De astronomica specula domestica. Vienna, Kaliwod, 1745. Marsili, Luigi Ferdinando - Instrumentum donationis in gratiam novae scientiarum institutionis. Bologna 1712. Martin, Benjamin - Grammatica delle scienze filosofiche. Bassano, Remondini, 1769. Martini, Ranieri Bonaventura - Analysis infinite parvorum, sive Calculi differentialis elementa. Pisa, Carotti, 1761. Marzagaglia, Gaetano - Nuova difesa dell’antica misura delle forze motrici. Verona, Ramanzini, 1746. Mascardi, Giuseppe - Replica alla scrittura “Risposta idrometrica sopra il progetto di diramare il Tartaro in Po”. Bologna, Volpe, 1769. Mascheroni, Lorenzo - La geometria del compasso. Pavia, Galeazzi, 1797. Mascheroni, Lorenzo - Problemi per gli agrimensori. Pavia, Comino, 1793. Matani, A. Maria - Dissertazioni sopra l’istoria delle varie opinioni relative alla figura della Terra. Pisa, Pizzorno, 1766. Matheseophilus - Problemata mathematica quadraturam circuli concernentia. Augsburg, Pfeffel, 1733. Maupertuis, Pierre Louis, Camus, Clairaut- La figure de la Terre. Paris, Imprimerie Royale, 1738. Maupertuis, Pierre Louis - Examen des ouvrages qui ont été faits pour déterminer la figure de la Terre. Paris, Bachmuller, 1738. Mazzuchelli, Giammaria - Notizie istoriche e critiche intorno ad Archimede. Brescia, Rizzardi, 1737. GdA 42 Mengoli, Pietro - Novae quadraturae arithmeticae. Bologna, Monti, 1650. Mengoli, Pietro - Speculationi di musica. Bologna, Benacci, 1670. Mercator, Nicolaus - Institutiones astronomicae. Padova, Seminario, 1685. Mersenne, Marin - Cogitata physico-mathematica. Paris, Bertier, 1644. Mersenne, Marin - Novarum observationum physico-mathematicarum tomus III. Paris, Bertier, 1647.
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Mersenne, Marin - Questions physico-mathematiques. Et les mechaniques du sieur Galilée. Paris, Guenon, 1635. Meschini, Domenico - Narrazione delle solenni esequie del Sig. Francesco Piccolomini. Siena, Marchetti, 1608. Micalori, Giacomo - Antapocrisi. Roma, Cavalli, 1635. Micalori, Giacomo - Della sfera mondiale. Urbino, Mazzantini, 1626. Michelini, Famiano - Trattato della direzione de’ fiumi. Firenze, Stamperia della stella, 1664. Michelini, Gio Battista - Il vero giorno della Pasqua. Ravenna, Pezzi, 1685. Mignotti, Lanfranco - L’ultima parte della geometria. Pavia, Bartoli, 1620. Milliet Dechales, Claude Francois - L’art de naviger. Paris, Michallet, 1677. Minati, Asinio - Brevi considerazioni sopra la cometa apparsa nel mese di agosto 1682. Firenze, alla Condotta, 1682. Miscellanea italica physico-mathematica. Collegit Gaudentius Robertus. Bologna, Pisari, 1692. Mocenico, Leonardo - Philosophus peripateticus. Roma, Phaei, 1615. Molyneux, William - Sciothericum telescopicum. Dublin, Crook and Helsam, 1686. Monconys, Balthasar - Iournal des voyages (3 vol.) Lyon, Boissat & Remeus, 1665-66. Monod, Pierre - Il capricorno, o sia l’oroscopo di Augusto Cesare. Torino, Tarino, 1633. Montalbano, Ovidio - Speculum euclidianum. Bologna, Ferroni, 1629. Montalto, Filippo - Optica. Firenze, Giunti, 1606. GdA 43 Benedetti, Giovan Battista - Speculationum liber. Venezia, Baretti, 1599. De gli elementi. Venezia, Aldo, 1557. Del Monte, Guidobaldo - De ecclesiastici calendarii restitutione. Pesaro, Concordia, 1580. Del Monte, Guidobaldo - De cochlea libri quatuor. Venezia, Deuchino, 1615. Del Monte, Guidobaldo - Le mechaniche. Venezia, Franceschi, 1581. Del Monte, Guidobaldo - Mechanicorum liber. Venezia, Deuchino, 1615. Del Monte, Guidobaldo - Perspectivae libri sex. Pesaro, Concordia, 1600. Del Monte, Guidobaldo - Planisphaeriorum universalium theorica. Pesaro, Concordia, 1579. Del Monte, Guidobaldo - Problematum astronomicum libri septem. Venezia, Giunti e Ciotti, 1609. Manilius, Marcus - Astronomicon. Leyden, Rapheleng, 1600. Manzoni, Domenico - Quaderno doppio col suo giornale. Venezia, Comin da Trino, 1554.
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Martelli, Ugolino - La chiave del calendario gregoriano. Lyon, 1583. Marzari, Giacomo - Scelti documenti in dialogo a’ scholari bombardieri. Vicenza, Perin, 1595. Maurolico, Francesco - Quadrati fabrica et eius usus. Venezia, Bascarini, 1546. Mela, Pomponio - I tre libri del sito, forma e misura del mondo. Venezia, Giolito, 1557. Melanchthon, Philipp - Doctrinae physicae elementa, sive initia. Lyon, Tornes et Gaze, 1552. Mellini, Domenico - Discorso nel quale si prova non si poter dare un movimento che sia cotinuovo et perpetuo. Firenze, Sermartelli, 1583. Memmo, Giovanni Maria - Tre libri della sostanza e forma del mondo. Venezia, De Farri, 1545. Mengoli, Cesare - Della navigatione del Po di primaro. Cesena, Raveri, 1600. Mercator, Bartholomaeus - Breves in Sphaeram meditatiunculae. Birckmann, 1563. Mercator, Gerhard - Chronologia. Birckmann, 1569. Michele, Agostino - Trattato della grandezza dell’acqua et della terra. Venezia, Moretti, 1583. Mirami, Rafael - Compendiosa introduttione alla prima parte della specularia. Ferrara, Rossi e Tortorino, 1582. Mizauld, Antoine - Ephemerides aeris perpetuae. Antwerp, Beller, 1560. Mizauld, Antoine - Funebre symbolum de Orontio Finaeo. Paris, Gourbin, 1555. Mizauld, Antoine - Planetae, sive Planetarum collegium. Paris, Guillard, 1553. Moleti, Giuseppe - Discorso nel quale si insegnano tutti i termini e tutte le regole della geografia. Venezia, Valgrisi, 1561. Moleti, Giuseppe - Discorso ... della geografia di nuovo ricorretto e accresciuto. Venezia, Ziletti, 1573. Moleti, Giuseppe - Efemeridi dall’anno 1563. Venezia, Valgrisi, 1563. GdA 44 Milliet Dechales, Claude Francois - Cursus seu mundus mathematicus, Lyon, Anisson, Posuel et Rigaud, 1690. GdA 45 Benvenuti, Carlo - De lumine. Roma, De Rossi, 1754. Benvenuti, Carlo - Synopsis physicae generalis. Roma, De Rossi, 1754. Boscovic, R. Josip - De inaequalitate gravitatis in diversis Terrae locis. Roma, De Rossi, 1741. Boscovic, R. Josip - De lentibus et telescopiis dioptricis. Roma, De Rossi, 1755.
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Controversia sul Reno: Ragioni della città di Ferrara nella controversia con i Signori della Gabella grossa di Bologna. Ferrara, Barbieri, 1710. Risposta dei Sindici della Gabella grossa della città di Bologna alle pretese ragioni della città di Ferrara. Bologna, Benacci, 1711. Mezzavacca, Flaminio - Otia sive ephemerides felsineae recentiores, vol. I. Bologna, Pisari, 1701. Mezzavacca, Flaminio - Otia sive ephemerides felsineae recentiores, vol. II. Bologna, Pisari, 1701. Michelini, Famiano - Trattato della direzione de’ fiumi. Bologna, Borzaghi, 1700. Michell, John - Traité sur les aimants artificiels. Paris, Guérin, 1752. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. I. Paris, Agasse, 1799. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. II. Paris, Agasse, 1799. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. III. Paris, Agasse, 1802. Montucla, Jean Etienne - Histoire des mathématiques, vol. IV. Paris, Agasse, 1802. GdA 46 More, Henry - Opera omnia. London, Norton, 1679. Moretti, Tommaso - Trattato dell’artiglieria. Venezia, Brogiollo, 1665. Naudin - L’ingenieur francois. Paris, Michalet, 1696. Connette, Michel - La geometrie practique.Paris, Ulpeau, 1626. Marchetti, Alessandro - Exercitationes mechanicae. Pisa, Ferretti, 1669. Martinelli, Domenico - Horologi elementari. Venezia, Tramontino, 1669. Metius, Adrian - Arithmeticae libri duo; et Geometriae lib. VI. Leiden, Elsevier, 1626. Montanari, Geminiano - L’astrologia convinta di falso. Venezia, Nicolini, 1685. Montanari, Geminiano - Copia di lettere ad Antonio Magliabechi. Venezia, Poletti, 1681. Montanari, Geminiano - Copia di lettera a G. Orsi. Bologna, Manolessi, 1676. Montanari, Geminiano - Discorso sopra la tromba parlante. Venezia, Albrizzi, 1715. Montanari, Geminiano - La fiamma volante. Bologna, Manolessi, 1676. Montanari, Geminiano - Le forze d’Eolo. Parma, Poletti, 1694.
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Montanari, Geminiano - Lezione accademica sopra le controversie passate fra il dottissimo sig. N. N. [Donato Rossetti] e lui. Torino e Bologna, Manolessi, 1678. Montanari, Geminiano - Manualetto dei bombisti. Verona, Merlo, 1682. Montanari, Geminiano - Pensieri fisico-matematici... intorno diversi effetti dei liquidi in cannuccie di vetro. Bologna, Manolessi, 1667. Montanari, Geminiano - Prostasi fisico-matematica: discorso apologetico di Ottavio Finetti intorno alle gare nate fra il sig. dottore Donato Rossetti e il sig. dottore Geminiano Montanari. Bologna, Manolessi, 1669. Montanari, Geminiano - Speculazioni fisiche ... sopra gli effetti di quei vetri temprati. Bologna, Manolessi, 1671. GdA 47 Belgrado, Jacopo - De vita B. Torelli Commentarius. Padova, Seminario, 1745. Boscovich, R. G., Maire, C. - De litteraria expeditione ad dimetiendos duos meridiani grados. Roma, Pagliarini, 1755. Cocoli, Domenico - Proposizioni fisico-matematiche. Brescia, Ragnoli, 1775. Colle, Giovanni Michele - Due lettere sopra il rigurgito dell’acque correnti. Brescia, Rizzardi, 1772. De Martino, Pietro - De corpurum viribus. Napoli, 1741. De Moivre, Abraham - La dottrina degli azzardi. Milano, Galeazzi, 1776. De Moivre, Abraham - Miscellanea analytica de seriebus et quadraturis. London, Tonson & Watts, 1730. F. F. - Lettera intorno la cagione fisica de’ sogni. Torino, Mairesse, 1762. Luini, Francesco - Esercitazione matematica. Milano, Marelli, 1769. Marchetti, Angelo - Breve introduzione alla cosmografia. Pistoia, Bracali, 1738. Maupertuis, Pierre Louis - Lettere filosofiche. Venezia, Zatta, 1760. Mazière, Jean Simon - Pièce qui a remporté le prix pour l’annèe 1726 [Le choc des corps] Paris, Jombert, 1727. Mazière, Jean Simon - Traité des petits tourbillons de la matière subtile. Paris, Jombert, 1727 Memorie relative a un progetto di ridurre il padule di Castiglione della Pescaia a laguna d’acqua salsa. Firenze, Bonducci, 1785. Menelaus - Sphaericorum libri III. Oxford, Sumptibus Academicis, 1758. Menni, Ottaviano - Amussis munitoria. Napoli, Roselli, 1702. Michelessi, Domenico - Vita di Francesco Algarotti. Venezia, Pasquali, 1770. Minasi, Antonio - Dissertazione prima sopra la Fata Morgana. Roma, Francesi, 1773. Miniscalchi, Luigi - Osservazioni sopra la scrittura austriaca che è intitolata Benacus per le vertenze del lago di Garda nell’ anno 1756. Montanari, Antonio - Risposta al dottor Fantoni. Bologna, Della Volpe, 1761.
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
BOLLETTINO DI STORIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE Il Giardino di Archimede Un Museo per la Matematica
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BOLLETTINO DI STORIA DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXVII · Numero 2 · Dicembre 2007
PISA · ROMA FABRIZIO SERRA · EDITORE MMVII
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SOMMARIO Sandro Caparrini, Il calcolo vettoriale di Domenico Chelini (1802-1878) 197 Erika Luciano, Il trattato Genocchi - Peano (1884) alla luce di documenti inediti 219 Roshdi Rashed, Lire les anciens textes mathématiques. Le cinquième livre des Coniques d’Apollonius 265 Elisabetta Ulivi, Ancora su Benedetto da Firenze
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Raffaella Franci, Trattatistica d’abaco e numismatica. Un caso esemplare: il trattato del senese Tommaso della Gazzaia. Ms. C. III. 23 della Biblioteca Comunale degl’Intronati di Siena 315
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I L CA LCO LO V E T TORIALE DI D O M E N I CO CH E LIN I (1802-1878) Sandro Caparrini* Abstract · While the creation of vector calculus is commonly attributed to W.R. Hamilton, H. Grassmann, J.W. Gibbs and O. Heaviside, it can be argued that the core of the geometrical theory was already present in the works of the Italian mathematician Domenico Chelini (18021878), who began to publish his results as early as 1838. Chelini was motivated by the well-known theo-
rems in statics regarding the composition of forces and moments of forces. In 1845 he applied his “theory of projections” to the differential geometry of skew curves and of surfaces, and in 1868 he expressed the main formulae of vector calculus in non-orthogonal Cartesian coordinates. His work was quickly forgotten after his death, and these results had to be rediscovered later.
1. Preliminari giudizio della maggior parte degli storici, la storia del calcolo vettoriale elementare è ormai ben conosciuta. Il testo principale al riguardo è la History of Vector Analysis di M.J. Crowe [1967], che viene citato in ogni articolo sull’argomento e le cui conclusioni non sono mai state messe in discussione. Crowe descrive uno sviluppo che si può dividere in tre tempi. Dapprima vi fu la scoperta della rappresentazione geometrica dei numeri complessi, un risultato ottenuto indipendentemente da almeno sei autori diversi (C. Wessel, A.Q. Buée, J.R. Argand, C.V. Mourey, J. Warren e Gauss) nel periodo che va dal 1798 al 1831. Essa condusse attorno al 1844 Hamilton e Grassmann, a formulare, indipendentemente uno dall’altro, due importanti teorie matematiche che comprendevano il calcolo vettoriale come caso particolare. Hamilton, com’è noto, creò un sistema di numeri ipercomplessi a quattro unità detti quaternioni; Grassmann delineò in sostanza quella che oggi viene detta algebra lineare. Sia Hamilton che Grassmann applicarono i loro formalismi alla fisica matematica, ma non riuscirono a convincere la maggioranza degli altri matematici a seguirli su questa strada. In effetti le due teorie erano in un certo senso ancora troppo ampie e potenti per le applicazioni, ed era dunque
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* Sandro Caparrini, Dipartimento di Matematica, Università di Ferrara. E-mail: caparrini@ libero.it «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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necessario semplificarle e modificarle. Questo compito fu affrontato (contemporaneamente e indipendentemente) attorno al 1880 da Heaviside e Gibbs, i quali ottennero così il calcolo vettoriale moderno. I metodi vettoriali furono diffusi soprattutto tramite i lavori sull’elettromagnetismo dei fisici tedeschi e vennero generalmente accettati attorno al 1910. Questa ricostruzione presta però il fianco alle critiche.1 Sembra strano infatti che una teoria tanto semplice sia sorta così tardi, e che la sua nascita non sia stata influenzata dalle applicazioni. In realtà, un esame più attento delle fonti rivela che nella prima metà dell’Ottocento vi fu un’intensa attività su temi vettoriali. In meccanica si scoprì che non solo la forza e lo spostamento, ma anche la velocità angolare e i momenti sono grandezze che si compongono secondo la legge del parallelogramma. I lavori di statica di Poinsot, all’epoca molto noti, diedero l’esempio di un ramo della meccanica completamente ricondotto alla composizione geometrica di vettori. In geometria si studiarono i poligoni sghembi considerandone i lati come segmenti orientati, si rappresentarono vettorialmente i poliedri per mezzo di segmenti ortogonali alle facce, si applicò la proiezione di segmenti orientati per ricavare le trasformazioni tra sistemi di assi non ortogonali e si studiarono analiticamente i tetraedri e i parallelepipedi come sistemi di tre vettori aventi un’origine comune. Nei lavori di Lagrange, L. Carnot, Binet e Cauchy appare la formula del prodotto scalare e il suo significato geometrico, il prodotto misto comparve sotto forma di volumi orientati e la teoria dei momenti, equivalente all’uso del prodotto esterno, venne esposta in forma geometrica. Si delinearono così poco per volta i diversi aspetti del calcolo vettoriale elementare. In seguito cominciarono ad apparire alcune trattazioni generali che riunivano questi primi risultati. Nel 1820 l’italiano G. Giorgini pubblicò una Teoria analitica delle projezioni in cui diede una formulazione unitaria dei problemi sui segmenti orientati; poiché fece uso di assi cartesiani non ortogonali, dovette introdurre quelle che oggi sono dette componenti contravarianti e covarianti di un vettore.2 Ispirandosi al lavoro di Giorgini e alla statica di Poinsot, nel 1830 M. Chasles trasportò dalla meccanica alla geometria i risultati principali sui sistemi di forze e sui loro momenti; per quanto rozzo e incompleto, questo è probabilmente il primo ten1 Per maggiori dettagli sulla ricostruzione che segue, qui esposta solo nelle sue linee più essenziali, si vedano [Caparrini 2002, 2003, 2004, 2005]. 2 Il significato geometrico delle componenti covarianti e contravarianti di un vettore si perde un po’ nelle trattazioni moderne, in cui si procede nel modo più generale. Se ci limitiamo allo spazio euclideo tridimensionale e riferiamo tutto ad assi cartesiani non ortogonali, i due tipi di componenti diventano appunto le due proiezioni di Giorgini.
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tativo di creare un calcolo vettoriale. A partire da allora, forse sotto l’influsso dei lavori di Cauchy sui momenti delle forze, si moltiplicarono i sistemi di calcolo geometrico. Nel 1832 nacque il calcolo delle equipollenze di Bellavitis (limitato a due dimensioni), nel 1840 Grassmann espose una prima teoria geometrica dei vettori (pubblicata solo nel 1911), nel 1844 cominciarono ad essere pubblicati lavori di O’Brien, nel 1845 apparve il calcolo vettoriale di Saint-Venant, ispirato alla meccanica, nel 1844 e nel 1847 le lunghe memorie di Cauchy sulle proiezioni dei segmenti orientati. Saint-Venant applicò la composizione di vettori alla geometria differenziale delle curve sghembe in lavoro del 1845. La teoria dei quaternioni di Hamilton e la Ausdenungslehre di Grassmann non sono dunque altro che la parte più notevole di uno sviluppo molto ricco, che aveva avuto origine quasi cinquant’anni prima. Mentre Hamilton e Bellavitis erano partiti dalla teoria dei numeri complessi, gli altri autori si erano ispirati alla meccanica e alla geometria. 2. Domenico Chelini (1802-1878) Tutte le teorie e i metodi vettoriali sviluppati nei primi anni dell’Ottocento confluirono nell’opera dell’italiano Domenico Chelini. Unendo i diversi risultati, Chelini creò un vero e proprio calcolo vettoriale in componenti, ispirato dalla meccanica, che contiene operazioni equivalenti ai prodotti scalare, esterno e misto. Il calcolo di Chelini era basato sull’idea di proiettare i segmenti orientati sugli assi di un sistema cartesiano, e le superficie piane sui tre piani coordinati; da qui il nome di «teoria delle projezioni». Sommando queste proiezioni, egli definiva quindi la composizione di segmenti e superficie. La prima pubblicazione risale al 1838, ed è quindi anteriore agli analoghi lavori di Grassmann, Hamilton, SaintVenant e O’Brien. Su Chelini esiste un buon articolo biografico di Cremona [1879], da cui riassumiamo i dati essenziali. Nacque il 18 ottobre 1802 a Gragnano, in provincia di Lucca, da una famiglia agiata. Studiò dapprima a Lucca, poi, dal 1819 al 1826, al Collegio Nazareno a Roma. Divenne scolopio nel 1818, prete nel 1827. In matematica non ebbe maestri di particolare rilievo; come capita spesso, si formò soprattutto sui lavori originali. Divenuto insegnante fu dapprima professore di retorica a Narni (1828-29), e l’anno successivo professore di filosofia a Città della Pieve. Nel 1831 Chelini ottenne finalmente la cattedra di matematica al Collegio Nazareno, che conservò per vent’anni. Nel 1851 divenne professore di meccanica e idraulica all’università di Bologna, ma nel 1864 dovette lasciare la cattedra perché aveva rifiutato di prestare giuramento al nuovo Regno d’Ita-
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lia. Si trasferì quindi a Roma, dove nel 1867 gli fu assegnata la cattedra di meccanica razionale all’università, ma anche in questo caso dovette lasciare il posto quando Roma divenne capitale d’Italia. Da allora insegnò nell’università pontificia fino alla sua soppressione. Morì il 16 novembre 1878. Chelini fu membro delle maggiori accademie italiane (Lincei, di Bologna, dei XL, …), e divenne amico di alcuni importanti matematici della sua epoca, tra cui Jacobi, Beltrami e Cremona.1 Il calcolo vettoriale di Chelini, di cui egli diede nel corso degli anni diverse formulazioni, assomiglia alla teoria di Saint-Venant o al primo calcolo geometrico di Grassmann. A differenza di Grassmann, Chelini usa un vettore ortogonale per rappresentare le superficie; a differenza di Saint-Venant, la teoria di Chelini è ben più che un primo abbozzo. Il merito di Chelini fu soprattutto di aver compreso l’importanza dei metodi vettoriali e di averli applicati ai problemi più svariati, ritenendo che permettessero di unificare rami diversi della matematica. Le sue concezioni non furono influenzate in alcun modo dalle scoperte di Hamilton e Grassmann; quanto a Heaviside e Gibbs, i loro lavori sui vettori cominciarono ad apparire solo due anni circa dopo la sua morte, oltre quarant’anni dopo che egli aveva pubblicato il primo articolo sul calcolo vettoriale. Il calcolo di Chelini è il punto d’arrivo dello sviluppo dei metodi vettoriali interno alla meccanica e alla geometria. Buona parte dell’opera di Chelini consiste di lunghe esposizioni sistematiche di teorie già note, formulate in uno stile matematico denso e preciso, quasi sempre abbreviate e chiarite mediante l’uso dei vettori. Nonostante la mancanza di vera originalità, però, Chelini fu un matematico di buon livello. Si può avere un’idea della considerazione in cui era tenuto dai suoi contemporanei leggendo l’elenco degli studiosi italiani e stranieri che contribuirono alla raccolta di saggi in suo onore, pubblicata dopo la sua morte [Beltrami e Cremona 1881]. La prefazione di Beltrami alla Collectanea in memoria di Chelini è in pratica l’unico esame critico della sua opera [1881]. Per fortuna si tratta di uno studio preciso e meticoloso, in cui ogni lavoro viene descritto e valutato singolarmente. Beltrami discute in più punti della teoria delle proiezioni, mostrando di apprezzarne l’utilità ma senza tuttavia riuscire a inquadrarla correttamente nello sviluppo storico dei metodi vettoriali. È un errore giustificabile: nel 1881 Beltrami non poteva prevedere la successiva diffusione del calcolo vettoriale, e d’altra parte la teoria delle pro1 Il prof. Romano Gatto e la prof.ssa Maria Rosaria Enea stanno attualmente studiando la corrispondenza di Chelini, da poco ritrovata presso la Casa Generalizia dei Padri Scolopi a Roma, che promette di essere interessantissima.
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iezioni doveva sembrare ormai elementare rispetto alla matematica più recente, quali ad esempio la teoria dei parametri differenziali. Proprio in quegli anni usciva la trattazione di Gibbs del calcolo vettoriale [1881]. Un confronto fra le due teorie mostra i limiti di Chelini, ma è un paragone ingeneroso, che non tiene conto dei quarant’anni circa che separano le due formulazioni. Se ritorniamo al periodo precedente al 1850 vediamo che la teoria delle proiezioni non sfigura neanche rispetto ai lavori di Grassmann. Chelini ha dunque un posto di rilevo tra i creatori del calcolo vettoriale. 3. Il calcolo vettoriale di Chelini Da dove ebbe origine la «teoria delle projezioni»? Per nostra fortuna, abbiamo la testimonianza di Chelini stesso: Fin dai primi anni dei miei studii nelle scienze esatte mi avvenne di notare che le leggi quali si danno in Meccanica per comporre, decomporre ridurre e trasformare i sistemi di forze, mirabilmente perfezionate dall’immortale Poinsot, potevano egualmente stabilirsi (rimossa ogni idea di forza) pe’ sistemi di rette, pe’ sistemi di aree e pe’ sistemi di punti affetti da coefficienti, e che, una volta stabilite sopra definizioni puramente geometriche, queste leggi divenivano il vero punto di partenza ed il principio più semplice e più fecondo della geometria in genere, ma più particolarmente della geometria analitica. Con simile intendimento composi e pubblicai nel 1838 un saggio di geometria analitica, imperfettissimo, senza dubbio, ma che pure mi fu approvato dal signor Poinsot, come apparisce da una lettera che ho riportato nel preambolo ai miei Elementi di Meccanica razionale (Bologna, 1860). In appresso ho cercato di porre in chiaro l’utilità di questo metodo, applicandolo successivamente a diverse questioni di geometria infinitesimale e di meccanica. Da ultimo, nella Memoria Sulla composizione geometrica de’ sistemi di rette, di aree e di punti, letta all’Accademia delle Scienze di Bologna il 12 Maggio 1870, ed in un’altra del 1871, riassumendo il metodo nella sua unità di principio (Risultanti e loro Momenti), ho dimostrato che in esso metodo si trova pur contenuta la vera base della Nuova geometria de’ complessi di Plücker [1873, p. 205].
In una nota a piè di pagina di un altro suo lavoro Chelini discute della relazione tra la propria teoria e i lavori degli altri creatori di metodi vettoriali: Fin dal 1831, essendo in Roma addetto all’insegnamento delle matematiche nel Collegio Nazareno, mi avvenne di notare la fecondità di questo principio (fecondità che parmi venire principalmente dal modo con cui preparo e stabilisco la definizione geometrica della risultante); e ne feci l’oggetto di una Memoria che lessi nell’Accademia de’ Lincei, e che qualche anno dopo, cioè nel 1837 o 1838, pubblicai nel Giornale Arcadico sotto il titolo: Saggio di geometria analitica trattata con nuovo metodo. Quanto all’idea di comporre le rette come le forze e
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le aree come le coppie, ho in appresso riconosciuto che non era nuova (Si veda nel tom. VI della Corrispondenza matematica e fisica di M. Quetelet, an. 1830, Mémoire de géométrie pure, sur les systèmes de forces, et les systèmes d’aires planes; et sur les polygones, les polyèdres, et les centres des moyennes distances par M. Chasles; Nel tom. IV degli Ann. di Gergonne, an 1813 e 1814. Nouveaux principes de géométrie de position et interpretation géométrique des symboles imaginaires par M. J. Français, Essai sur une manière de représenter les quantités imaginaires par M. Argant [Sic]; e negli Annali del Fusinieri, an. 1835, Calcolo delle equipollenze del Sig. Giusto Bellavitis). Ciò che mi sembra meritevole di qualche attenzione, e che ignoro se altri ancora abbia messo in rilievo, si è il metodo semplice e pressoché intuitivo con cui dalla definizione, quale si è da me posta, della risultante si deducono e svolgono le verità più essenziali ed importanti della geometria [Chelini 1863, p. 4].
È un fatto interessante che le prime riflessioni di Chelini sul calcolo vettoriale risalgano al 1831. Nel 1830 Chasles aveva pubblicato la propria teoria, mentre nel 1832 sia Grassmann che Saint-Venant, per loro stessa ammissione, avevano cominciato a sviluppare i loro sistemi di calcolo geometrico. Evidentemente i tempi erano ormai maturi. Chelini nega esplicitamente di essersi ispirato ai lavori di Giorgini e di Chasles: Nel percorrere la Correspondance mathématique et physique che si pubblicava dal Sig. A. Quetelet (favoritami dal chiarissimo Principe D. Baldassare Boncompagni) mi sono incontrato (tom. VI, a. 1830) nella bella Memoria del Sig. Chasles intitolata Mémoire de géométrie pure, sur les systèmes de forces, et les systèmes d’aires planes; et sur les polygones, les polyèdres, et les centres des moyennes distances, dove trovasi sviluppata l’idea di comporre le rette e le aree come le forze, e di rappresentare le aree con proporzionali segmenti de’ loro assi, e dove inoltre insieme co’ teoremi de’ n. 15 e 20 si enunciano e si dimostrano più e più altre verità, ad alcune delle quali era già pervenuto dal suo lato (come avverte lo stesso Sig. Chasles) il ch. Sig. Gaetano Giorgini autore di eccellenti opere geometriche e meccaniche. Tuttavia noi differiamo nel punto di partenza, nel metodo e nello scopo. Non mi è occorso fin qui di leggere alcun geometra il quale abbia rilevato che negli esposti principii sta il vero fondamento della geometria analitica, e che da essi convien cominciarne la costruzione [Chelini 1849b, p. 334].
Sembrerebbe dunque che l’idea originaria sia nata riflettendo sulla meccanica, in particolare sulle opere di Poinsot, indipendentemente dai lavori di altri autori sul calcolo dei segmenti orientati. Solo in seguito Chelini sarebbe venuto a conoscenza degli scritti di Chasles, Argand e Bellavitis.1 1 Per inciso, si noti come i tre matematici italiani che contribuirono alla nascita del calcolo vettoriale appartengano a tre linee di sviluppo differenti: Giorgini prese spunto principalmente dalla geometria, Chelini dalla meccanica, Bellavitis dall’interpretazione geometrica dei numeri complessi. Su Bellavitis si vedano, ad esempio, [Freguglia 1992, 2001].
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Non c’è dubbio però che egli sia stato influenzato dalla Teoria analitica di Giorgini, come si capisce ad esempio dalla forte somiglianza fra diverse formule corrispondenti dei due autori.1 La prima memoria in cui Chelini espose il proprio calcolo vettoriale fu la Teorica de’ valori delle proiezioni [1838], che è anche una delle prime da lui pubblicate. In una breve introduzione egli afferma di considerare la teoria delle proiezioni come un prologo necessario alla geometria analitica, ed in effetti questo lavoro non è altro che la prima parte di un trattato di geometria analitica.2 Chelini esordisce definendo la proiezione di un punto su un piano dato parallelamente ad una retta assegnata. Per questa operazione egli usa il simbolo daX, essendo a il punto proiettato, X il piano della proiezione e d l’asse dirigente. Allo stesso modo, Chelini definisce la proiezione di un punto su una retta assegnata parallelamente ad un piano dato, operazione denotata con il simbolo Dpx, essendo p il punto proiettato, x l’asse e D il piano dirigente. La proiezione di una figura si ottiene proiettando i singoli punti. Egli dimostra rapidamente la formula per la proiezione obliqua di un segmento a sopra un asse x parallelamente ad un piano dirigente D, a = a sen.Da , a = a sen.Dx ,
D D x x
già ottenuta da Giorgini e, prima ancora, da Hachette.3 Chelini usa solo segmenti e superficie superficie orientati, e discute con cura lo convenzioni sulle proiezioni. Seguono altri teoremi ben noti, tra cui quello per cui la somma algebrica delle proiezioni dei lati di un poligono qualsiasi su una retta data è nulla. L’uso della proiezione di segmenti lungo una direzione fissata è ovviamente una operazione geometrica circa equivalente al nostro prodotto scalare, e il teorema sulla proiezione dei lati di un poligono corrisponde alla formula (a + b + c + …)·u = a·u + b·u + c·u + …
Chelini definisce una «retta risultante», ovvero la somma geometrica di vettori. La sua definizione differisce da quella usuale, ed è basata sul concetto di proiezione: 1 Entrambi i matematici erano di Lucca e all’incirca coetanei. La Teoria analitica di Giorgini fu pubblicata appunto negli Atti dell’Accademia di Lucca. 2 Pubblicato anche come volume a parte: Saggio di geometria analitica trattata con nuovo metodo [1838]. 3 In tutti i suoi scritti Chelini usa il termine «retta» per denotare un segmento orientato; chiaramente si tratta di una traduzione letterale del francese droite, usato con lo stesso significato dagli autori precedenti.
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La risultante di più rette divergenti da un centro, è la retta la cui proiezione sopra un asse mutabile (essendo qualunque il piano dirigente) è sempre uguale alla somma delle proiezioni omologhe di tutte le rette date, le quali si diranno componenti della prima. Quindi è palese che, trattandosi di proiezioni, si potrà sostituire la risultante alle componenti, e viceversa. Si sa dalla meccanica, che se le rette componenti rappresentassero forze, la retta risultante rappresenterebbe la forza unica cui equivalgon le prime. È di qui che si sono desunte le denominazioni di risultante e di componenti [1838, p. 57].
Da questa definizione egli ricava poi le usuali proprietà della somma di vettori.1 Operando con le proiezioni di segmenti, Chelini introduce esplicitamente il prodotto scalare: Teor. Una retta r moltiplicata per la proiezione che riceve da un’altra q, è uguale alla somma delle componenti a, b, c, d … dell’una r, moltiplicate rispettivamente per la proiezione che ricevon dall’altra q: cioè qrq = rqr = aqa + bqb + cqc + dqd + ec. [1838, p. 59]
Nell’introduzione Chelini aveva fatto notare l’importanza di questo teorema: […] e dimostro che una retta moltiplicata per la proiezione che riceve da un’altra retta, è uguale alla somma delle componenti dell’una, moltiplicate rispettivamente per la proiezione che ricevon dall’altra. Da questo teorema, il quale nella teorica delle forze divenendo il principio delle velocità virtuali tutta in sé racchiude la meccanica, si deriva un nuovo metodo sommamente semplice, elegante e spedito di trattare la geometria a due e a tre coordinate, finita ed infinitesimale, del quale darò un saggio in seguito [1838, p. 47].
Chelini passa quindi a trattare della proiezione di superficie piane orientate (“aree”), un’operazione equivalente al prodotto esterno di vettori. Per cominciare, egli distingue tra le due facce di una superficie per mezzo di un asse perpendicolare, allo stesso modo di Poinsot [1803], Poisson [1811] e Chasles [1830]. Introduce quindi la rappresentazione vettoriale delle superficie piane: E converremo di rappresentare ogni area positiva con un proporzionale segmento dell’asse positivo; e però con un proporzionale segmento dell’asse negativo, ogni area negativa [1838, p. 62]. 1 Chelini dimostra anche l’unicità della risultante, che si poteva supporre intuitivamente vera. Questo rigore formale non era così diffuso all’epoca, almeno per quanto riguarda la geometria e la meccanica.
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Grazie alla rappresentazione per mezzo di un segmento perpendicolare, la composizione di superficie piane si riduce alla regola del parallelogramma. Chelini può dunque ricavare facilmente i teoremi per le superficie piane equivalenti a quelli sulle proiezioni di segmenti (come già aveva fatto Chasles). In particolare può definire le proiezioni sui piani coordinati come «aree componenti», e sommando le componenti ottiene una «area risultante». Da ultimo Chelini si occupa di quelle particolari superficie piane che rappresentano i momenti. Per Chelini «la teorica delle proiezioni delle aree può ridursi alla teorica delle proiezioni de’ momenti» [1838: 71];1 dal punto di vista storico, si tratta di un ritorno alle fonti della teoria. I momenti di Chelini sono dei triangoli rappresentati da un vettore, per cui assomigliano forse più ai momenti di Poisson che a quelli di Poinsot o Cauchy. Chelini usa sistemi di assi cartesiani non ortogonali. Sarebbe perciò necessario distinguere tra i due tipi di componenti, covarianti e contravarianti, di un vettore, ma nelle prime esposizioni egli si limita a definire le componenti contravarianti. Bisogna sottolineare l’importanza della notazione usata da Chelini. In effetti uno degli aspetti importanti del calcolo vettoriale moderno è proprio l’uso di una notazione algebrica per la trattazione di operazioni geometriche. L’introduzione di una notazione specifica, per quanto farraginosa e non del tutto adeguata, è quindi un passo importante nella creazione di un calcolo geometrico. Il calcolo vettoriale di Chasles, ad esempio, si limitava a usare i simboli usuali della statica. Si è già detto che Chelini espose la sua teoria in più lavori e sotto diverse forme. Al principio della memoria Sulla curvatura delle linee e delle superficie [1845] egli ne riassunse i princìpi essenziali. I principi geometrici che io suppongo e da cui io parto sono i seguenti: 1. Le rette parallele sono proporzionali alle loro projezioni omologhe. 2. Se due rette r, r, divergenti da un medesimo punto, hanno su tre assi rettangolari le projezioni (l, m, n), (l', m', n'), sarà rr'cos(rr') = ll' + mm' + nn', vale a dire: Una retta moltiplicata per la projezione che riceve da un’altra, è uguale alla somma delle projezioni dell’una su tre assi rettangolari, moltiplicate rispettivamente per le projezioni omologhe dell’altra. […] 1 La teoria dei momenti può esser vista come un metodo per comporre geometricamente i triangoli: infatti, il momento di una forza rispetto a un punto non è altro che l’area del triangolo avente la forza come base e il punto come vertice. Ogni superficie piana delimitata da una poligonale può essere spezzata in triangoli, e ogni superficie piana generica può essere approssimata da una superficie delimitata da una poligonale.
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3. Il parallelogrammo costruito sulle due rette r, r', ed = rr'sen(rr'), ha sui piani coordinati yz, zx, xy, le projezioni mn' – m'n, nl' – n'l, lm' – l'm. 4. Se l’espressione rr'sen(rr') si considera come rappresentante una retta perpendicolare al piano (r, r'), tale retta avrà sugli assi x, y, z, le projezioni mn' – m'n, nl' – n'l, lm' – l'm. [1845, p. 105]
Da qui è evidente come la teoria delle proiezioni di Chelini coincida in gran parte con l’algebra vettoriale dei nostri giorni. Chelini diede un’altra esposizione del calcolo vettoriale in un’appendice ai suoi Elementi di Meccanica razionale [1860].1 I procedimenti logici sono gli stessi della prima formulazione, ma i risultati vengono ottenuti in modo meno conciso. Nella nuova formulazione viene anche applicato più diffusamente il formalismo per indicare le operazioni di proiezione. Così, ad esempio, la proprietà secondo cui la proiezione su una retta della somma di più vettori è uguale alla proiezione della loro somma è data dalla formula D
rx = D(a + b + c + d)x,
dove r = a + b + c + d è la somma dei vettori proiettati, D il piano della proiezione e x l’asse dirigente. La trattazione dettagliata dei due tipi di componenti comparve finalmente nella prima parte della Teoria delle coordinate curvilinee nello spazio e nelle superficie [1868b], una memoria dedicata alla geometria differenziale. I procedimenti di Chelini sono basati sull’introduzione di un secondo sistema di assi non ortogonali, ‘supplementari’ ai primi nel senso di Hachette,2 e sull’uso sulla trigonometria sferica. In tal modo si maschera forse un po’ la semplicità dei risultati, poiché si considerano allo stesso tempo le componenti rispetto a entrambi i riferimenti. 1 Gli Elementi sono dedicati a Poinsot: «Alla memoria di Luigi Poinsot, che colle tecniche intuitive delle coppie e delle rotazion de’ corpi aprì nella scienza dell’equilibrio e del moto quasi un gran centro di nuova luce e di bellezza». Negli Elementi Chelini riporta anche una lettera inviatagli da Poinsot contenente un giudizio positivo sul suo calcolo vettoriale. 2 Hachette [1811] aveva definito gli assi «ausiliari» di un sistema assegnato di assi cartesiani non ortogonali Dato il sistema (O; x, y, z), l’asse OX è perpendicolare al piano yOz, l’asse OY è perpendicolare al piano zOx, l’asse OZ è perpendicolare al piano xOy. Gli assi ausiliari di Hachette furono poi ripresi da Cauchy [1841]. Nelle trattazioni moderne del calcolo vettoriali, vengono detti «basi reciproche» o «basi duali». Sia infatti (e1, e2, e3) una base generica di uno spazio euclideo tridimensionale. La sua base reciproca (e1, e2, e3) è definita dalle relazioni ei · ek = ‰ik (i = 1, 2, 3), dove ‰ik è il simbolo di Kronecker. Un attimo di riflessione è sufficiente per comprendere che i vettori della base reciproca hanno la stessa direzione degli «assi ausiliari» di Hachette.
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Fissato dunque un sistema di assi cartesiani non ortogonali, per un dato vettore r Chelini definisce le proiezioni ortogonali L = r cos(xr),
M = r cos(yr),
N = r cos(zr),
e le componenti l = r sen(yz,r) , l = r sen(yz,x) ,
m = r sen(zx,r) , m = r sen(zx,y) ,
n = r sen(xy,r) , n = r sen(xy,z) ,
essendo ovvio il significato dei simboli. In termini moderni, come sappiamo, queste non sono altro che le componenti covarianti e contravarianti del vettore r. Ottiene poi la relazione tra i due tipi di componenti, vale a dire le formule che permettono di ottenere le componenti covarianti date quelle contravarianti, L = l + m cos(xy) + n cos(zx), M = m + n cos(yz) + l cos(xy), N = n + l cos(zx) + m cos(yz),
come pure le formule inverse. Introduce quindi il prodotto scalare e ne fornisce e espressioni, per mezzo dei due tipi di componenti: rr'cos(rr') = Ll' + Mm' + Nn', rr'cos(rr') = ll' + (mn' + m'n) cos(yz).
∑ ∑
Queste relazioni erano però già state ottenute da Giorgini. Chelini riconosce esplicitamente l’importanza del prodotto scalare e il suo legame con la meccanica: Al principio delle velocità virtuali, fondamento di tutta la meccanica, corrisponde in geometria analitica un principio analogo fecondissimo, che, associato al principio della proporzionalità, ne regge e governa tutte le parti elementari [Chelini 1849º, p. 39].
Chelini definisce inoltre il prodotto esterno: Le due rette r, r' date nello spazio in grandezza e in direzione, si concepiscano condotte parallelamente a sé stesse ad aver comune l’origine, e si riguardino come lati di un parallelogrammo, il quale s’intenda rappresentato in grandezza e in asse da una terza retta p, vale a dire da una retta di lunghezza = rr'sen(rr'), sorgente perpendicolarmente sul piano (rr'), e disposta rispetto all’angolo rr' (minore di due retti) come uno degli assi polari positivi, per es. Ox1, è disposto rispetto all’angolo (yz) [Chelini 1868b, p. 486].
Di esso trova i due tipi di componenti. Ad esempio, per il prodotto esterno p di due vettori r, r' le componenti contravarianti sono date da (MN' – M'N) H-1, (L'N – LN') H-1, (LM' – L'M) H-1,
e le componenti covarianti da
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sandro caparrini (mn' – m'n) H, (l'n – ln') H, (lm' – l'm) H,
essendo H/6 il volume del tetraedro identificato dall’origine e dalle intersezioni dei tre assi cartesiani con la sfera di raggio unitario centrata nell’origine. Infine, Chelini definisce il prodotto misto Sia data una terza retta r" di componenti l", m", n", e di projezioni L", M", N". Se si moltiplica p per la projezione che riceve da r", il prodotto dovrà essere uguale, com’è noto, alla somma de’ prodotti che si ottengono moltiplicando le componenti dell’una delle due rette p, r", per la projezione che ricevono sulle loro direzioni dall’altra retta [Chelini 1868b, p. 486].
Anch’esso viene espresso sia mediante le coordinate covarianti che rispetto a quelle contravarianti: [(mn' – m'n)l" + (nl' – n'l)m" + (lm' – l'm)n"] H, [(MN' – M'N)L" + (NL' – N'L)M" + (LM' – L'M)N"].
Questi risultati rimarchevoli, che in parte vanno oltre quello che aveva ottenuto Giorgini, non sembra siano stati notati all’epoca.1 Chelini diede altre esposizioni della sua teoria, ad esempio nella memoria Sull’uso sistematico de’ principii relativi al metodo delle coordinate rettilinee [1849b]. L’esposizione più ampia, in un certo senso definitiva, del calcolo vettoriale di Chelini si trova nella memoria Sulla composizione geometrica de’ sistemi di rette, di aree e di punti [1870]. Le righe introduttive dànno una buona idea di quali siano state le fonti d’ispirazione di Chelini: Esporre le leggi geometriche che presiedono alla composizione e trasformazione de’ sistemi, sia di rette, sia di aree, sia di punti affetti da coefficienti, rimossa ogni idea di forza e di velocità, tale è l’oggetto del presente scritto. In altre Memorie ho più volte toccato questo argomento, ma sempre parzialmente: qui mi propongo soprattutto di metterne in rilievo il principio di unità che ne informa ed anima, per così dire tutte le parti, collegandole in una nuova teoria semplice ed elementare. La quale, ove fosse introdotta nell’insegnamento, aprirebbe un accesso oltre modo piano ed attraente (secondo che a me pare) non solo alla geometria analitica e sintetica, ma ben anche alla meccanica; essendomi studiato di rendere puramente geometrici i grandi concetti dei Sigg. Poinsot e Chasles sulla composizione e riduzione delle forze e delle rotazioni simultanee; concetti di una mirabile fecondità, espressi dai loro autori con tale chiarezza, con ordine così lucido che potrebbero forse servire di base sia per rischiarare, sia per coordinare in meglio le nuove vedute del Sig. Plücker sulla 1 In parte queste formule si trovavano già nel Saggio di geometria analitica, trattata con nuovo metodo [1838-1839, § 57]. Si veda anche la prima parte della memoria Sull’uso sistematico de’ principii relativi al metodo delle coordinate rettilinee [1849b].
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geometria dello spazio considerato nei complessi di rette, almeno per ciò che riguarda il progresso vero della Meccanica [Chelini 1870, p. 343].
Questa lunga memoria di fatto non aggiunge nulla ai risultati precedenti, ma anzi li soffoca in un mare di dettagli. Così, ad esempio, vengono dedicate diverse pagine a spiegare nuovamente, quasi negli stessi termini usati originariamente, diversi teoremi sulle coppie che derivano dalla Statique di Poinsot. A differenza di altri autori, Chelini non riuscì mai a staccare del tutto il proprio calcolo vettoriale dalle sue origini nella meccanica. 4. Applicazioni alla geometria differenziale La teoria delle proiezioni di Chelini ottenne i suoi risultati più brillanti in geometria differenziale. Il fatto non è sorprendente, se si pensa che buona parte della teoria classica delle curve e delle superficie può essere ricondotta a poche relazioni fondamentali tra un numero limitato di vettori caratteristici. Introducendo i metodi vettoriali in geometria differenziale, Chelini riuscì a semplificare e a razionalizzare la trattazione dei classici teoremi ottenuti nella prima metà dell’Ottocento. Il primo lavoro di questo tipo fu la memoria Sulla curvatura delle linee e delle superficie [1845]. Beltrami osserva che esso apparve contemporaneamente al Mémoire sur les lignes courbes non planes di Saint-Venant, e che i due lavori coincidono in parte riguardo ai metodi ed ai risultati pur essendo completamente indipendenti. In effetti oggi sappiamo che le idee di Chelini e di Saint-Venant avevano seguito uno sviluppo parallelo: attorno al 1831-1832 entrambi avevano cominciato a sviluppare il proprio calcolo vettoriale ispirandosi alla meccanica, e solo diversi anni dopo lo esposero per iscritto, per poi applicarlo alla geometria differenziale. Trattando delle curve sghembe, Chelini considera in un punto generico M della curva il segmento orientato di componenti (dx, dy, dz), ovvero il vettore tangente dr, come pure il versore tangente dr/ds = t. Prendendo la differenza dei versori posti in due punti ‘successivi’ della curva, M ed M + dM, ottiene il vettore ⎛d dx, d dy, d dz⎞ , ovvero dt, normale alla ⎝ ds ds ds ⎠ curva. Da qui ricava facilmente un’espressione per il raggio di curvatura Ú = ds/dı [1845: 107]. Rappresenta poi il parallelogramma costruito su due ‘lati successivi’ della curva mediante un segmento ad esso perpendicolare, denotato con v, di componenti dy d2 z – dz d2 y,
dz d2 x – dx d2 z,
dx d2 y – dy d2 x.
È ovvio che v non è altro che il vettore dr × d2r, ovvero la binormale [1845: 108]. L’angolo tra due binormali ‘successive’ è l’angolo di torsione. Con-
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siderando il vettore dv, Chelini ottiene una formula di Lancret per l’angolo di torsione. Nella seconda parte dell’articolo, Chelini discute delle curve che giacciono su una superficie: Supponiamo adesso che la curva AMB corra nella superficie dell’equazione u = 0, e che il punto M abbia le coordinate x, y, z. Facciamo du du du = X, dy = Y, dz = Z, dx e rappresentiamo con t la retta che sugli assi x y z ha le projezioni X, Y, Z. Differenziando u = 0 abbiamo X dx + Y dy + Z dz = 0, la quale mostra che la retta t è normale alla superficie nel punto M [Chelini 1845, p. 131].
Il vettore t (X, Y, Z) è il gradiente, che compare esplicitamente per la prima volta.1 Nel seguito Chelini applica, in forma ancora imperfetta, un ragionamento vettoriale assai semplice e potente [1845: 433]. Data la solita curva giacente su una superficie, consideriamo in un suo punto generico il versore normale t = dr/ds e un vettore N normale alla superficie. Ovviamente N·t = 0. Derivando rispetto alla lunghezza d’arco s questa relazione otteniamo dt d2r cos(N,n), – t · dN ds = N · ds = N · ds2 = Ú
essendo n la normale e Ú il raggio di curvatura. Il membro di sinistra non dipende dalla curva che passa per il punto prescelto se non per la direzione della tangente. Da qui, con pochi passaggi si ottengono i teoremi di Euler e di Meusnier. La forma definitiva di questa dimostrazione compare alcuni anni dopo, nella memoria Della curvatura delle superficie con metodo diretto e intuitivo [1868a: 52]. È il metodo che si trova oggi, ad esempio, nelle Lectures on Classical Differential Geometry di Struik [1950], probabilmente grazie alla sua riscoperta da qualche autore successivo a Chelini. La memoria contiene un accenno ad un risultato interessante (non dimostrato): l’invarianza in forma dell’espressione per il rotore nel passaggio da un sistema di assi ortogonali ad un altro [1845: 441]. Chelini scrisse diversi altri lavori di geometria differenziale, tutti assai interessanti. Ognuno di essi contiene qualche applicazione del calcolo 1 Le proprietà vettoriali del gradiente, ovvero delle tre derivate parziali prime di una funzione f(x, y, z), erano però già state riconosciute da Poinsot nel considerare l’equilibrio di un punto soggetto a una forza esterna e vincolato a restare su una superficie [Poinsot 1806, § II].
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vettoriale elementare. Le considerazioni sulle più generali trasformazioni di coordinate, inoltre, sviluppano i risultati di Lamé e anticipano quelli di Beltrami. La memoria Sulle formole fondamentali riguardanti la curvatura media delle superficie e delle linee [1853], ad esempio, contiene la prima trasformazione in coordinate generali (non necessariamente ortogonali) dell’operatore laplaciano [1853, p. 364]. Nella Teoria delle coordinate curvilinee nello spazio e nelle superficie si trova un’eloquente difesa dei metodi vettoriali e un’amara constatazione della loro scarsa influenza sui matematici dell’epoca: La teoria delle coordinate curvilinee, costituita da Gauss, e successivamente sviluppata e perfezionata per opera di Lamé, Bertrand, Bonnet, Liouville ed altri illustri geometri, è stata di recente ripresa sotto un altro punto di vista più generale dai chiarissimi Professori Brioschi, Codazzi, Beltrami, Aoust. Dal mio lato sino dall’anno 1853 pubblicai intorno alle coordinate curvilinee (intersezioni sotto un angolo variabile di un sistema triplo di superficie) le formole generali acconce ad esprimere i parametri differenziali del 1º e 2º ordine, sia le direzioni delle linee di curvatura sopra una data superficie e le lunghezze de’ raggi principali corrispondenti, sia i punti singolari chiamati ombelici, e mostrai come da queste formole si passava alle formole date da Lamé per un sistema triplo ortogonale. Sembra per altro che quel mio lavoro sia rimasto del tutto inosservato, per colpa mia senza dubbio, avendo io tralasciato in sulle prime di addurre le dimostrazioni, ed in seguito appoggiandomi sopra i principii geometrici della composizione e decomposizione delle linee e delle aree, i quali, benché semplicissimi e fecondissimi, non parmi che siano ancora passati nell’insegnamento e nell’uso comune per quanto, a mio credere, lo richiederebbe la loro importanza. Ritornando ora sopra questo argomento, trovo che gli stessi principii debitamente sviluppati conducono pure direttamente e colla più grande chiarezza ai nuovi risultati a cui sono giunti, per mezzo di calcoli più o meno laboriosi, gli autori sullodati, conferendo loro per sovrappiù un significato geometrico che non può mancare di essere assai utile nelle applicazioni. Questa è almeno la mia fiducia nel pubblicare la presente Memoria, dove mi propongo di niente omettere di ciò che può servire a render chiare e facili le dimostrazioni, e a dare al soggetto l’unità e la semplicità di una vera teoria [Chelini 1868b, p. 483].
Per apprezzare il valore delle osservazioni di Chelini si ricordi che la memoria precede di quasi vent’anni i lavori di Gibbs e Heaviside. Chelini trattò degli elementi della geometria differenziale di curve e superficie anche in appendice agli Elementi di meccanica razionale [1860: Appendice 38-58]. Qui l’esposizione è più semplice di quella data nel 1845, e si limita ai concetti fondamentali. Alcuni indizi, quali le notazioni un po’ diverse dalle precedenti, fanno pensare che in questo caso Chelini abbia approfittato della memoria di Saint-Venant.
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sandro caparrini 5. Altre applicazioni geometriche
In quasi tutti i lavori di Chelini si trovano applicazioni della sua «teoria delle proiezioni». Paradossalmente le memorie meno interessanti dal nostro punto di vista sono quelle di meccanica. In effetti il calcolo vettoriale di Chelini non è altro, come si è già detto, che la trasposizione immediata in geometria di operazioni meccaniche, per cui il suo ritorno alla meccanica risulta, per così dire, ridondante. Per lo stesso motivo, però, le applicazioni alla geometria risultano tutte degne di nota. Abbiamo già esaminato i contributi di Chelini alla geometria differenziale; vediamo ora quelli alla geometria analitica e sintetica. La prima applicazione del calcolo vettoriale di Chelini alla geometria si trova nel Saggio di geometria analitica, trattata con nuovo metodo [1838-1839]. Il Saggio è un trattato sistematico di geometria analitica elementare, e il nuovo metodo è la teoria delle proiezioni. Ecco, ad esempio, come viene ricavata l’equazione della retta in tre dimensioni riferita ad assi obliqui: Trovar l’equazione di una retta riportata a tre assi coordinati (x), (y), (z). Soluz. Consideriamo sulla retta un segmento v che cominci dal punto ·‚Á e termini al punto xyz: le componenti di v rispettivamente parallele agli (x), (y), (z) siano l, m, n. Poiché le rette parallele sono proporzionali alle loro componenti omologhe, si avrà x–· y–‚ z–Á v = m = n = r. l Queste due equazioni appartengono soltanto alla retta condotta pel punto ·‚Á parallelamente alla risultante delle linee l, m, n, cioè ad una retta unica [Chelini 1838-39: § 58].
A parte la notazione non c’è alcuna differenza tra la dimostrazione di Chelini e quella moderna, in cui la direzione della retta viene definita per mezzo di un vettore. Per inciso, la forma dell’equazione della retta usata nella dimostrazione all’epoca era relativamente recente, poiché la sua applicazione sistematica si trova solo nelle Leçons sur les Applications du Calcul infinitésimal a la Géométrie di Cauchy [1826, Oeuvres, p. 19].1 Anche per trovare l’equazione del piano viene data una dimostrazione vettoriale: L’equazione
Ax + By + Cz = D rappresenta un piano distante dalla origine O dell’intervallo k = D/g, ove g è un segmento di tale distanza, avente sugli assi coordinati (x), (y), (z) le proiezioni A, B, C. 1 Essa compare però già in una memoria di Euler sulla teoria dei momenti [1793: § 8].
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Dim. Prendiamo, a partire dalla origine O sull’asse (x) un segmento Oa = A; sull’asse (y) un segmento OB = B; sull’asse (z) un segmento OC = C; e all’estremità di questi segmenti eleviamo sopra gli assi (x), (y), (z) tre piani perpendicolari, i quali concorreranno necessariamente in qualche punto g. Designata per g la retta Og, prendiamo sulla medesima (prolungata, se occorre) un segmento Ok = D/g = k, e sopra questo segmento nella sua estremità s’innalzi perpendicolare un piano indefinito: questo piano sarà il luogo geometrico dell’equazione [del piano]. Infatti consideriamo in esso un punto qualunque M = (x, y, z): OM avrà per componenti x, y, z. Quindi il noto principio delle proiezioni fornisce g.OM cos gOM = Ax + By + Cz; ma g.OM cos gOM = gk = D: dunque D = Ax + By + Cz. Cosi ogni punto xyz del nostro piano verifica questa equazione, ed inoltre si vede che non può verificarla altro punto al di qua o al di là del medesimo piano [Chelini 1838-1839, § 59].
Qui viene introdotto esplicitamente il vettore normale, e l’equazione del piano viene correttamente identificata come un prodotto scalare. Nel Saggio vengono inoltre usati sistematicamente gli axes conjuguées di Hachette, qui denominati «assi supplementarii» [1838-1839, § 28]. Chelini riprese gli stessi argomenti nella memoria “Sull’uso sistematico de’ principii relativi al metodo delle coordinate rettilinee” [1849b], a cui aggiunse qualche altra dimostrazione di carattere vettoriale. Ad esempio, per trovare la minima distanza tra due rette, egli calcolò il prodotto esterno tra i due vettori direzione delle rette e considerò i piani passanti per tali rette e normali a tale vettore [1849b: 351]. Questi risultati ci autorizzano ad affermare che è stato Chelini ad introdurre per la prima volta esplicitamente il calcolo vettoriale in geometria analitica (nel 1838!).1 Nella parte finale della memoria, Chelini trova le equazioni del cambiamento di assi cartesiani usando il suo formalismo vettoriale, e discute infine, basandosi sulla semplice analogia formale, dell’invarianza di talune espressioni formate con i simboli di derivata parziale, in modo analogo a quanto aveva fatto Cauchy [1841]. Anche l’esplicita formulazione vettoriale della teoria del centro di massa, implicitamente contenuta nelle opere di Carnot [1803] e Lhuilier [1789], si deve a Chelini. La si trova nella memoria Sui centri de’ sistemi geometrici [1849a]: Definizione. Centro di un sistema di punti A, A', A", … è un nuovo punto, di cui le distanze ai punti dati hanno una risultante nulla, ossia projettate omologa1 «Non mi è occorso fin qui di leggere alcun geometra il quale abbia rilevato che negli esposti principii sta il vero fondamento della geometria analitica, e che da essi convien cominciarne la costruzione» [Chelini 1849b, p. 334].
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mente sopra un asse qualunque, la somma delle projezioni è sempre uguale a zero. Problema. Trovare il centro di un sistema di m punti A, A', A"… Soluzione. Da un punto qualunque V tiriamo ai punti dati altrettante rette VA, VA', VA" … Determinata la loro risultante VR, prendiamovi sopra un segmento VO = VR/m; il punto O sarà il centro degli m punti dati. Infatti prolunghiamo RV al di là di V di un intervallo VR = -RV = m.OV; la risultante delle rette VA, VA', VA", … VR sarà = 0, e però sarà = 0 la somma delle loro projezioni omologhe sopra un asse qualunque. Ora, avuto riguardo ai triangolo OVA, OVA', OVA", OVA"', … si vede che le projezioni, sopra un asse qualunque, delle rette OA, OA', OA", … (distanze tra il punto O e ciascuno dei punti dati) equivalgono rispettivamente alle projezioni omologhe delle linee spezzate OV + VA, OV + VA', OV + VA", … Ma la somma delle projezioni di queste sopra un asse qualunque è nulla, essendo eguale evidentemente alla somma delle projezioni omologhe delle rette m.OV, VA, VA', VA", … la cui risultante è nulla per la fatta costruzione. Le distanze adunque tra il punto O e ciascuno de’ punti dati A. A, A, … hanno una risultante nulla. Dunque il punto O è il centro de’ punti dati, giusta la definizione [Chelini 1849a: 40].
A parte il linguaggio arcaico, la dimostrazione di Chelini coincide nella forma e nella sostanza con le attuali dimostrazioni vettoriali. In sostanza: dato il sistema di punti A, A', A', …, aventi rispettivamente le masse m, m', m", …, il centro di massa G è definito dalla relazione m · GA = 0, e per trovarlo è sufficiente considerare il vettore m · OA / m, essendo O un punto qualsiasi. Le altre dimostrazioni della memoria sono simili a questa.
∑
∑ ∑
6. Conclusioni Dopo la morte di Chelini rimasero ben poche tracce della sua teoria delle proiezioni. I suoi lavori, infatti, non ebbero alcuna influenza diretta su coloro che si occuparono di calcolo vettoriale alla fine dell’Ottocento. È interessante osservare, però, che la composizione di aree di Chelini viene citata da Peano in relazione alla nascita del prodotto esterno di vettori nel Formulaire mathématique:
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L’expression uav est le “produit alterné” ou “produit extérieur” des vecteurs u, v. On peut le représenter par le parallélogramme construit sur u et v. Elle est dite aussi “bivecteur”, et dans la Mécanique “couple” (Poinsot, a. 1803). On rencontre un calcul sur les aires dont on considère l’orientation dans Chelini, Saggio di geometria analitica, trattata con nuovo metodo, Roma a. 1838 [Peano 1903, p. 278].
In un altro lavoro di Peano [1890], Chelini viene affiancato a Grassmann, Möbius e Hamilton, come creatore del concetto di bivettore. Dunque Peano conosceva bene il ruolo di Chelini nella storia del calcolo vettoriale. I metodi vettoriali di Poinsot, Chasles e Saint-Venant continuarono a essere usati nell’insegnamento almeno fino agli anni ’30. In quasi tutti i libri di meccanica razionale e di geometria analitica di quegli anni, infatti, il capitolo sul calcolo vettoriale ha spesso poco a che fare con le teorie formali derivate da Grassmann. Si vedano, ad esempio, le Leçons de cinématique di Koenigs [1895] e il Traité de Mécanique rationnelle di Appell [1941 (VI edizione)], in cui tutte le nozioni sui vettori derivano dagli autori della prima metà dell’Ottocento. Anche nella Einführung in die Maxwellsche Theorie der Elektrizität di Foeppl [1921 (VIII edizione)], il testo fondamentale per la conoscenza dell’elettromagnetismo all’inizio del Novecento, il prodotto esterno viene definito come un caso particolare della composizione e decomposizione di superficie piane rappresentate da un vettore ortogonale. Gli esempi si potrebbero facilmente moltiplicare. Il definitivo tramonto di questa teoria semplificata si ebbe solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’introduzione dei metodi più astratti anche nella matematica di base. Ringraziamenti Parte delle ricerche per il presente lavoro sono state svolte durante il mio periodo di dottorato presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino (XVI ciclo). Ho potuto inoltre usufruire del sostegno del Gruppo di Storia della Matematica dell’Università di Torino e del GNSAGA. La redazione finale è stata effettuata nel periodo trascorso a Cambridge (MA) come fellow del Dibner Institute for the History of Science and Technology (2005-06). Sono grato a Paolo Freguglia per le piacevoli discussioni sulla storia del calcolo vettoriale. Ringrazio inoltre Livia Giacardi per l’aiuto costante in tutte le fasi del lavoro.
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sandro caparrini Bibliografia
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il calcolo vettoriale di domenico chelini
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I L TR AT TATO G E N OCCHI - PEAN O (1884) A L L A LUCE D I D O CU M E N T I IN E D IT I Erika Luciano* Abstract · This paper presents the contents, the scientific progress and the differences with respect to Genocchi’s lectures and the debates that surrounded the writing of the Genocchi - Peano treatise (1884). The study of the correspondence between Genocchi and his contemporaries sheds light on the context of the publication of the volume (Genocchi at first refused to put his name on it) and how Genocchi’s behaviour changed after comments were received from abroad. An examination of three manuscript versions of Genocchi’s unpublished lectures,
conserved in the archives of Piacenza and Torino, shows the extent of the influence exerted on Peano by his master, the differences between the teachings of the two mathematicians, and the accurate studies by Peano of the most important treatises of his time. Thanks to the marginalia, noted by Peano on his copy, it is possible to follow the development of the research undertaken by Peano in the years 1884-1899, when the German version was published, and the progression to the logical notations in his research and teaching in the field of analysis.
razie allo studio di fonti archivistiche edite e inedite, reperite nelle biblioteche di Cuneo, Torino, Genova, Piacenza, Parma e Napoli, sono emersi alcuni elementi di novità e di interesse concernenti il contesto, le fasi di elaborazione, i retroscena e i dibattiti che accompagnarono la stesura e l’uscita del Genocchi - Peano.1 In particolare, il carteggio ine-
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* Ricerca eseguita nell’ambito del Progetto MIUR, Storia delle Matematiche, Unità di Torino. Erika Luciano, Dipartimento di Matematica, Università di Torino, Via Carlo Alberto 10, I 10123, Torino. E-mail: [email protected] 1 Per le fonti d’archivio si utilizzano le seguenti abbreviazioni: ADT, Archivio Privato del Prof. M.U. Dianzani, Torino; AFT, Archivio Storico, Istituto Francesco Faà di Bruno, Biblioteca dell’Istituto del Suffragio, Torino; ASUT, Archivio Storico dell’Università di Torino; BCC, Biblioteca Civica di Cuneo; BCT, Biblioteca Civica di Torino; BNT, Biblioteca Nazionale di Torino; BUG, Cassetta Loria, Biblioteca Universitaria di Genova; FCP, Fondo Cassina, Biblioteca del Dipartimento di Matematica dell’Università di Parma; FGP, Fondo Genocchi, Biblioteca Passerini-Landi, Piacenza; FSN, Fondo Siacci, Biblioteca del Dipartimento di Matematica dell’Università di Napoli. Per gli scritti di Peano si utilizzano le sigle riportate nel cd-rom L’Opera Omnia di Giuseppe Peano, indicato in Bibliografia come Peano 2002 e consultabile nel sito www.dm.unito.it/collanacdrom/operaomnia/scritti.pdf. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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dito fra Angelo Genocchi e Placido Tardy consente di illustrare i rapporti di stima che legarono Genocchi e Peano, solo temporaneamente e superficialmente incrinati dalla vicenda legata alla comparsa del trattato di Calcolo differenziale, con la conseguente dichiarazione di estraneità all’opera da parte di Genocchi. Il raffronto fra i manoscritti delle Lezioni di Calcolo differenziale ed integrale dettate da Genocchi all’Università di Torino e il testo a stampa permette invece di valutare l’impronta dell’insegnamento di analisi di Genocchi sulla formazione del giovane Peano e di stabilire in che misura e in che senso quest’ultimo recepì, utilizzò e modificò le lezioni del maestro. Infine, lo studio dei marginalia apposti da Peano sulla sua copia del Genocchi - Peano rende possibile ripercorrere, anche attraverso le edizioni successive, gli sviluppi che questo trattato ebbe nella ricerca e nella didattica di Peano nel campo dell’analisi. 1. Il contesto internazionale e l ’ ambiente torinese Quando nel settembre del 1884 è pubblicato a Torino, presso l’editore Bocca, il trattato di Angelo Genocchi Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal D.r Giuseppe Peano1 la capitale sabauda sta vivendo un periodo di indiscutibile vivacità dal punto di vista culturale e scientifico. Nell’ambito dell’ateneo operano docenti di spicco fra cui, oltre a Genocchi, Enrico D’Ovidio, Francesco Siacci e Francesco Faà di Bruno; nel 1883 è stata inaugurata la Biblioteca Speciale di Matematica e, nello stesso tempo, alcune case editrici, fra cui quella dei Fratelli Bocca avviano collane destinate alla matematica e alle scienze. Il panorama della ricerca scientifica internazionale in cui si inserisce la pubblicazione di questo trattato si configura come una fase di transizione verso la moderna analisi, contraddistinta da una stretta interazione fra attività di ricerca e di insegnamento: un’epoca in cui i docenti erano «chiamati ad insegnare ciò che essi medesimi giorno per giorno studiavano e scoprivano»2 e in cui gli allievi non si limitavano ad assistere passivamente alla creazione di nuove teorie, ma erano essi stessi invitati a collaborare con osservazioni e contributi originali. La didattica e la ricerca viva nel campo dell’analisi si alimentano ed arricchiscono vicendevolmente, e il frutto degli studi sui fondamenti del Calcolo si traduce 1 Angelo Genocchi, Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale pubblicato con aggiunte dal D.r Giuseppe Peano, Torino, Bocca, 1884. Nel seguito tale trattato sarà citato in nota come Peano 1884c. 2 Vito Volterra, Le matematiche in Italia nella seconda metà del secolo XIX, Atti del IV Congresso Internazionale dei Matematici (Roma, 6-11 aprile 1908), Roma, Tip. della R. Accademia dei Lincei, vol. I, 1909, p. 58.
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nella produzione di una manualistica di alto livello, ai cui vertici si distinguono le lezioni di Ulisse Dini e il Genocchi - Peano, testi che portano l’Italia all’avanguardia nell’insegnamento dell’analisi a livello europeo. Il Genocchi - Peano viene così a rappresentare una tappa fondamentale e un riflesso di quella stagione della matematica, a ragione caratterizzata da Beppo Levi come il «periodo eroico della teoria delle funzioni di variabile reale»,1 di cui Peano diventerà, a breve, brillante protagonista. Nel contempo, emergono e vanno delineandosi, con sempre maggiore chiarezza, tre scuole di ricerca impersonate da Vito Volterra nelle figure di Enrico Betti, Francesco Brioschi e Felice Casorati che, pur con mutue interazioni, propugnano le istanze dell’analisi pura, di quella applicata e dell’analisi intesa come studio critico, volto a portare rigore e precisione in teorie già assodate.2 È soprattutto la figura del matematico pavese a fornire il metro di paragone con cui contestualizzare i primi lavori di Peano nel campo dell’analisi3 e, non a caso, sarà proprio Casorati, con cui Peano è in contatto a partire dal novembre 1883, a risultare uno dei mentori del Genocchi - Peano a livello nazionale, suggerendone la lettura e l’acquisto da parte dei suoi studenti all’Università di Pavia.4 Se l’insegnamento di Casorati privilegia il legame fra la docenza del Calcolo infinitesimale e delle sue applicazioni, utili a coloro che avrebbero operato nelle Scuole di applicazione per ingeneri,5 l’insegnamento impartito da Genocchi all’Università di Torino si contraddistingue per il taglio maggiormente orientato ai temi dell’analisi astratta. Formatosi da autodidatta, alla scuola di Giovanni Plana e di Felice Chiò, Genocchi è un valente analista, la cui produzione spazia dalla teo1 Levi 1932, p. 256 e 1955, p. 13. 2 Vito Volterra, Betti, Brioschi, Casorati, trois analystes italiens et trois manières d’envisager les questions d’analyse, in Compte rendu du deuxième Congrès international des mathématiciens, Paris, 1900; Paris, Colin, 1902, pp. 43-57. 3 Vito Volterra, Betti, Brioschi, Casorati, cit., 1902, pp. 46-47: «L’esprit de Casorati était d’une nature différente: il vécut et travailla presque exclusivement pur ses élèves et pour son école. Ses travaux en effet ont presque tous ce cachet spécial qui révèle que le but de l’auteur était d’éclaircir quelque point obscur, ou de corriger quelque résultat, ou d’exposer d’une manière critique un corps de doctrines. Mais quelle originalité dans la critique, quel talent dans l’exposition d’une théorie, qui devenait une nouvelle théorie en vertu du point de vue d’où Casorati l’envisageait, combien de résultats nouveaux et complètement inattendus ressortaient d’une simple erreur qu’il corrigeait!» 4 F. Casorati a G. Peano, Pavia 6.11.1883, G. Peano a F. Casorati, Torino 13.11.1883 e F. Casorati a G. Peano, Pavia 2.12.1883 in Gabba 1957, pp. 877-878. 5 Felice Casorati, Discorso pronunziato il 17 Gennajo 1864, Prolusione al corso di Calcolo differenziale ed integrale, Università di Pavia, riedito in Antonio Capelo, Mario Ferrari, Alberto Gabba, P. Moglia, Un discorso di Felice Casorati sull’analisi matematica del suo tempo, «L’insegnamento della matematica e delle scienze integrate», 20B, 1997, pp. 209-266, cfr. in particolare p. 240.
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ria delle serie – in particolare i numeri di Bernoulli, l’espressione del resto nella serie di Euler sotto forma di integrale definito, la serie di Lagrange, gli sviluppi in serie di Stirling, di Binet e di Prym – fino agli studi riguardanti le funzioni interpolari, ellittiche e gli integrali euleriani, un soggetto che rivela in lui «un seriissimo istinto di maestro associato a quello di ricercatore».1 Approdato all’insegnamento universitario nel 1857, Genocchi tiene dapprima il corso di Algebra complementare e Geometria analitica, nel 1861 diviene titolare dell’insegnamento di Analisi Superiore, passando poi nel 1862 alla cattedra di Introduzione al Calcolo2 e successivamente, nel 1865, a quella di Calcolo differenziale ed integrale, denominato a partire dal 1876 Calcolo infinitesimale, su cui rimane fino alla morte. Sia sotto il profilo contenutistico, sia a livello espositivo, l’insegnamento di Genocchi presenta importanti innovazioni. Mosso dalla convinzione, che gli aveva fruttato un richiamo ufficiale nel 1858,3 che il livello dell’insegnamento della matematica in Italia non potesse che abbassarsi se si ponevano «nelle mani dei giovani elementi molto leggieri, i quali compariscono facili perché sono inesatti»,4 Genocchi impartiva lezioni che si distinguevano per chiarezza, precisione e rigore delle trattazioni. D’altro canto egli mirava a introdurre le conquiste della moderna critica analitica, con il commento ai lavori di Augustin-Louis Cauchy e di Felice Chiò5 e amava fare oggetto di insegnamento teorie analitiche su 1 Enrico D’Ovidio, Onoranze ad A. Genocchi, «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze FMN», 27, 1892, pp. 1088-1106 citazione a p. 1101. Sulla figura e l’opera scientifica di Genocchi cfr. anche Francesco Siacci, Cenni necrologici di Angelo Genocchi, «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», 39, 1889, pp. 463-496; Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, pp. 195-202; Conte, Giacardi 1991 e Livia Giacardi, Angelo Genocchi, in Roero 1999, t. II, pp. 461-467. 2 Il corso di Introduzione al Calcolo è previsto come insegnamento obbligatorio dal Regolamento della Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali del 13 novembre 1859 (Legge Casati). In ASUT, XIVB, è conservato il Programma per gli esami d’introduzione al calcolo proposto a norma dell’art. 130 della Legge del 13 novembre 1859 dalla Commissione creata dal Ministero della Pubblica Istruzione, ed approvato dal Consiglio Superiore, redatto da E. Martini e pubblicato a Torino, presso la Stamperia Reale nel 1861. Il corso di Introduzione al calcolo è poi accorpato a quello di Calcolo differenziale ed integrale nel Decreto Matteucci (settembre 1862). Come si evince dai Registri delle sue lezioni, Genocchi continuerà tuttavia ad operare ufficiosamente una suddivisione del corso da lui tenuto in due parti distinte: un primo gruppo di una quindicina di lezioni, dedicate appunto all’Introduzione al calcolo, tenute dall’assistente, cui segue il corso ‘vero e proprio’ di Calcolo differenziale ed integrale, svolto interamente dal professore. 3 Cfr. Angelo Genocchi, Notizie intorno alla vita ed agli scritti di Felice Chiò, «Bullettino di Bibliografia e Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche (Boncompagni)», 4, 1871, pp. 375-376. 4 Pietro Paoli, Elementi di Algebra, vol. I, Torino, Stamperia Reale, 2a ed., 1799, p. i. 5 Secondo la testimonianza di D’Ovidio (Enrico D’Ovidio, Onoranze ad A. Genocchi, cit., 1892, p. 1099), Genocchi ben conosceva ed ammirava anche i risultati ed i metodi di B. Riemann e di K. Weierstrass, pur non adoperandoli come strumenti di ricerca.
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cui lavorava egli stesso come ricercatore: significativa, in tal senso, risulta l’esposizione di argomenti quali la teoria delle funzioni interpolari e le funzioni prive di derivata, all’epoca al centro della ricerca, illustrate sia nell’ambito delle lezioni accademiche, sia nel contesto delle conferenze alla Scuola di Magistero in Matematica.1 Apprezzato per le sue doti scientifiche e umane, «più che amato, venerato dagli studenti»,2 nella sua decennale carriera di docente Genocchi ha, fra i suoi più eccellenti allievi, oltre a Peano, anche il geometra algebrico Corrado Segre e l’economista Vilfredo Pareto, che segue il corso di Calcolo tenuto da Genocchi nell’anno accademico 1865-66.3 Il matematico piacentino contribuirà, con il suo insegnamento, a creare a Torino un ambiente aperto e recettivo in cui – dopo il definitivo consolidamento delle teorie di Cauchy e grazie all’acquisizione dei moderni studi di aritmetizzazione dell’analisi ad opera di K. Weierstrass, G. Cantor, E. Heine, R. Dedekind e C. Méray – potrà dispiegarsi l’opera creativa di Peano. 2. I rapporti fra Genocchi e Peano alla luce del carteggio fra Genocchi e Tardy Iscrittosi al corso di laurea in Matematica dell’Università di Torino nel 1876, il giovane Peano si fa da subito apprezzare come uno studente di promettente talento da tutti i suoi maestri.4 Fra questi vi sono eminenti matematici – come Enrico D’Ovidio, Francesco Faà di Bruno, Angelo Genocchi e Francesco Siacci – che, attirati dalla politica illuminata di casa Savoia e di Cavour, si erano trasferiti a Torino negli anni a ridosso dell’unità d’Italia per contribuire al risorgimento nazionale e alla ripresa culturale: saranno loro ad esercitare su Peano la più forte influenza e ad orientarlo verso la ricerca. Personalità dal forte carisma, E. D’Ovidio è professore di Peano nel corso di Algebra Complementare e Geometria Analitica ed è relatore della sua tesi di laurea. Consapevole delle capacità non comuni del giovane Peano, gli offre il posto di assistente nella Scuola da lui diretta5 e lo indirizza nelle prime ricerche, incentrate sui connessi e sulla teoria delle 1 Cfr. Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, pp. 197, 199. 2 Enrico D’Ovidio, Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, «La Letteratura», quotidiano apparso a Torino il 1.4.1889, pagina non numerata. 3 Cfr. Luigi Pepe, La formazione matematica di Vilfredo Pareto, «Revue Européenne des Sciences Sociales», XXXVII, 1994, n. 116, pp. 173-189. 4 Sugli anni della formazione universitaria di Peano cfr. Clara Silvia Roero, Giuseppe Peano, geniale matematico, amorevole maestro, in Allio 2004, pp. 138-140. 5 Cfr. ASUT XIV B, 30.10.1880.
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forme multiple e binarie, presentando all’Accademia delle Scienze di Torino le sue prime note.1 Seguendo nel 1878 il corso di Analisi superiore, Peano ha inoltre la possibilità di apprezzare la radicale opera di innovazione apportata da F. Faà di Bruno che, animato dal desiderio di creare una tradizione di studi algebrici e analitici in grado di competere con le sedi europee della ricerca avanzata, rivede radicalmente i contenuti del corso, incrementando il peso della trattazione dell’algebra lineare e dedicando ampio spazio all’esposizione della teoria delle forme binarie, degli invarianti e dei covarianti. L’eredità dell’insegnamento di Faà di Bruno sul giovane Peano è destinata ad emergere, oltre che nella comune propensione alla trattatistica, in tre suoi lavori giovanili sulle forme binarie,2 fortemente apprezzati da G. Battaglini.3 Per quanto concerne infine il corso di Calcolo differenziale ed integrale, da cui trarrà origine il Genocchi - Peano, esso era affidato a Genocchi, era obbligatorio per il curriculum del secondo anno4 e, come si desume dal programma ufficiale redatto da Genocchi nel 1870, prevedeva la trattazione di 16 tesi di Calcolo differenziale e di 15 tesi di Calcolo integrale, oltre a comprendere le Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, il cui insegnamento era però affidato all’assistente Eligio Martini. Il 27 ottobre del 1880, a poco più di tre mesi dalla laurea conseguita con il massimo dei voti, Peano è assunto come assistente provvisorio presso la Scuola di Algebra complementare e Geometria analitica diretta da d’Ovidio,5 un incarico che tiene fino al 16 giugno del 1881, quando è chiamato d’urgenza a sostituire E. Martini nella commissione d’esame di Calcolo infinitesimale. Quest’ultimo aveva infatti deciso di non prender parte agli esami a causa delle agitazioni studentesche che avevano gravemente disturbato il suo insegnamento nel corso dell’an1 Cfr. Giuseppe Peano, Costruzione dei connessi (1,2) e (2,2), 1880a; Un teorema sulle forme multiple, 1881a; Sui sistemi di forme binarie di egual grado e sistema completo di quante si vogliano cubiche, 1881b. 2 Giuseppe Peano, cit., 1881a; cit., 1881b; Giuseppe Peano, Formazioni invariantive delle corrispondenze, 1882a. 3 Cfr. Relazione sul concorso al posto di professore straordinario di calcolo infinitesimale nella R. Università di Modena, «Bollettino ufficiale dell’Istruzione», XI, 11.10.1885, p. 40. 4 In base al Programma per gli esami speciali di Algebra complementare e di Geometria analitica, Torino, Stamperia Reale, 1873 gli studenti acquisivano infatti i primi rudimenti di analisi nell’ambito del corso tenuto da D’Ovidio. Quest’ultimo doveva illustrare a lezione, ad esempio, i seguenti argomenti: la classificazione delle funzioni, la continuità, le derivate, il teorema di esistenza degli zeri, la formula di Taylor per il caso di funzioni razionali intere, la continuità delle funzioni razionali intere, le derivate di funzioni razionali intere, lo studio del segno di una funzione, i primi elementi della teoria delle differenze e la formula di interpolazione di Newton. 5 Cfr. ASUT, XIV B, Disposizioni relative al personale insegnante, Preside, Prof. ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 27.10.1880, 30.10.1880.
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no e a nulla erano valsi i tentativi di Genocchi di distoglierlo dalla sua decisione.1 Messo nella necessità di completare repentinamente la commissione d’esame, Genocchi si rivolge al Rettore, che convoca Peano. Per il giovane matematico si tratta del primo contatto con il matematico piacentino. Nell’ottobre del 1881, in seguito al ritiro dall’insegnamento di Martini, Peano gli subentrerà definitivamente in qualità di assistente. A partire da questa data, Genocchi è afflitto da una lunga serie di malattie, fra cui la progressiva cecità, che lo portano a diradare ed infine ad interrompere la sua attività di ricercatore e di docente. I rapporti fra allievo e maestro sono da subito improntati ad un’indiscutibile stima reciproca. Genocchi elogia il suo giovane assistente sia dal punto di vista dell’attività di ricerca, che sotto il profilo dell’insegnamento. Comunica ad esempio i lavori di Peano, talvolta inviandone anche gli estratti, a H. Schwarz, C. Hermite e G. F. Monteverde,2 e non esita, insieme a D’Ovidio, a supportarlo fin dal 1882 dal punto di vista accademico, proponendo per lui un aumento del salario.3 Impossibilitato a proseguire le sue lezioni per una caduta, Genocchi sospende il suo insegnamento nell’aprile del 1882, affidando la prosecuzione del corso di Calcolo e la gestione degli esami a Peano,4 che nel maggio dello stesso 1 Cfr. ASUT, XIV B, 74, Disposizioni relative al personale insegnante, Preside, Prof.i ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, E. Martini, 17.5.1881, 23.5.1881, 25.5.1881, 16.6.1881, 30.6.1881, 4.7.1881, 14.7.1881, 18.7.1881, 25.10.1881; FGP, ms. TT, Copia di lettera del Sig. Prof. Martini, 30.9.1881; ASUT, XIV B, 77bis, Disposizioni relative al personale inseg.te, Preside, Professori ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 28.10.1881, 28.11.1881; FGP, ms. TT, Conferma del Dottore Giuseppe Peano ad Assistente provvisorio, 14.7.1882; FGP, ms. TT, Conferma di incarico, 27.9.1884. 2 Cfr. A. Genocchi a H. Schwarz, Torino 26.5.1882, in H. Schwarz, Gesammelte Mathematische Abhandlungen, 2, Berlin, Springer, 1890, p. 369; C. Hermite a A. Genocchi, Flanville par Metz 22.9.1882, Paris 16.10.1882 in Cassina 1950, p. 322 e Michelacci 2005, pp. 101, 104, G. F. Monteverde a A. Genocchi, Genova 25.10.1886, FGP, ms. QQ, c. 1r: «Ricevetti l’interessante nota del chiaris.mo D.r Peano, che acquista ai miei occhi maggior pregio in quanto che mi viene da Lei.» 3 Cfr. ASUT XIV B, 77bis, Disposizioni relative al personale inseg.te, Preside, Professori ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 21.5.1882, 25.5.1882; ASUT XIV B, 83, Disposizioni relative al personale insegnante, Preside, Professori ordinari, straordinari, incaricati e supplenti, 14.6.1884; E. d’Ovidio a A. Genocchi, [Torino] 4.6.1883, FGP, ms. I, cc. 1r-2r; E. D’Ovidio a A. Genocchi, [Torino] 17.4.1884, FGP, ms. I, c. 1r. Cfr. anche G. Peano ad A. Genocchi, Torino 14.7.1882, FGP, ms. G2, c. 1r: «Ricevetti ieri sera un avviso della Rettoreria dove mi si fissa lo stipendio per l’anno scorso. Io la ringrazio vivissimamente della proposta che Elle fece; perché non mi aspettavo tanto; procurerò quindi d’ora innanzi di fare tutto per meritarmi ognor più la sua stima.» 4 Genocchi interrompe le sue lezioni il 22.4.1882, per riprenderle l’11.3.1884. Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 21.5.1882, BUG, busta 12/73, c. 1r: «Ho sospeso per ciò le mie lezioni facendomi suplire dal mio assistente Dr Peano che è veramente un bravo giovine e di cui avrete veduto qualche lavoro negli Atti dell’Accademia.»; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 20.10.1883, BUG, busta 12/82, c. 1r: «Lunedì prossimo all’Università cominceranno gli esami affidati alla Commissione a cui appartengo ma io non vi assisterò e spero di poter riprendere nel nuovo anno scolastico il corso delle mie lezioni.»
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anno illustra a lezione la sua osservazione sull’erroneità della definizione di area secondo Serret, elaborata indipendentemente ed in contemporanea a H. Schwarz. Sempre a causa delle cattive condizioni di salute, pur essendo Socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, non sarà Genocchi a presentare i primi lavori analitici di Peano, la cui lettura è affidata a E. D’Ovidio e a F. Siacci. Nel giugno del 1883 il direttore della casa editrice Bocca, Lerda, desiderando inaugurare la nuova collana «Biblioteca Matematica» con la pubblicazione del corso di Calcolo tenuto da Genocchi, si rivolge a Peano, sollecitandolo ad agire come intermediario.1 Genocchi accorda prontamente e senza riserve il permesso a pubblicare le sue lezioni e la stesura del trattato dovrebbe essere completata nelle vacanze estive del 1883. Nel novembre di quell’anno alcuni fascicoli del Genocchi - Peano sono già stampati e tuttavia, nei mesi intercorsi, il matematico piacentino ha continuato a mantenersi estraneo alla compilazione del trattato, lasciando cadere inascoltati gli inviti di Tardy, che lo pregava di non far mancare al giovane assistente aiuto e consigli.2 Nonostante le reiterate richieste di Peano a rivedere il manoscritto o almeno le bozze di stampa, Genocchi ha infatti preferito disinteressarsene, come egli stesso confessa a Tardy: Il mio assistente Dr Peano indotto dal Libraio Bocca si è messo a far stampare un Corso di calcolo differenziale e integrale ch’egli stesso viene compilando sulla traccia delle mie lezioni orali degli anni scorsi. Egli mi aveva pregato di rivedere il manoscritto o almeno le bozze di stampa ma io non ho voluto saperne temendo di avermi troppo a seccare, e così la compilazione rimane tutta sua e sotto la sua responsabilità.3
Nel marzo del 1884, a stampa del volume ormai avanzata,4 i rapporti fra Genocchi e Peano sono ancora ottimi, come si evince dai retroscena della polemica intercorsa fra Philippe Gilbert e Peano.5 Nei primi mesi dell’anno, infatti, quest’ultimo ha rilevato un’inesattezza nel celebre Cours d’Analyse di Camille Jordan e, non senza una certa qual mancanza di diplomazia, ne ha fatto l’oggetto di una lettera aperta apparsa sui 1 Cfr. G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.6.1883, in Cassina 1952, pp. 344-345 e Borgato 1991, p. 87. 2 Cfr. P. Tardy a A. Genocchi, Genova 13.11.1883, in Cassina 1952, p. 346. 3 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.11.1883, BUG, busta 12/83, c. 1r. 4 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-v, qui trascritta in Appendice. 5 Cfr. Giuseppe Peano, Extrait d’une lettre [su un teorema di Camille Jordan], 1884a, pp. 4547; Philippe Gilbert, Correspondance, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 153-155; Giuseppe Peano, [Réponse à Ph. Gilbert], 1884b, pp. 252-256; Philippe Gilbert, Lettre de M. Ph. Gilbert, Professeur à l’Université de Louvain, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 475-482. Sulla polemica con Gilbert cfr. anche Peano 1884c p. xiv.
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«Nouvelles Annales». Jordan, in contatto epistolare con Peano, ammette pubblicamente l’errore commesso, e richiede al suo interlocutore di esibire la dimostrazione della proprietà in questione.1 Peano invia a Jordan la dimostrazione e la pubblica poco dopo sulla medesima rivista.2 La critica di Peano ha suscitato però l’intervento inutilmente polemico e non pertinente di Gilbert,3 professore di Analisi all’Università di Lovanio e autore a sua volta di un trattato di Calcolo. Genocchi, come testimonia il suo carteggio con Tardy, segue con attenzione la regia di questa polemica e supporta il suo allievo, lodando la schietta franchezza che ha improntato lo stile degli interventi dei protagonisti, Jordan e Peano, e criticando invece la condotta ambigua di Gilbert.4 Nel frattempo la macchina editoriale si è attivata in vista dell’uscita del Genocchi - Peano, annunciato in corso di stampa con un buon battage pubblicitario dalla casa editrice Bocca. Il volume, inizialmente a nome del solo Genocchi, a partire dai primi mesi del 1884 è reclamizzato con quello che diventerà il suo frontespizio definitivo.5 Il trattato è licenziato infine nell’autunno del 1884, con notevole ritardo sui tempi previsti: la Prefazione, a firma del solo Peano, reca la data 1 settembre. L’autore sottolinea l’intenzione da cui è nato il volume, cioè quella di contribuire a colmare una lacuna nella manualistica di analisi in lingua italiana, pubblicando un corso, quale quello di Genocchi, «tanto, ed a ragione, stimato pel suo rigore».6 Nello stesso tempo, appellandosi alla distanza naturale che intercorre fra un testo edito e la trascrizione delle lezioni orali a cura degli studenti, Peano giustifica l’esigenza, avvertitasi in corso d’opera, di apportare aggiunte e modifiche. Per redigerle egli ha quindi ritenuto necessario confrontare i contenuti dell’insegnamento orale impartito da Genocchi con quelli inseriti nei principali testi di analisi, in uso in Italia e all’estero, e ampliarli con il frutto di personali ricerche: un lavoro di studio critico, questo, che da un lato è confluito nella redazione di un apparato di note storico-bibliografiche (un elenco di 1 Cfr. Extrait d’une Lettre de M. C. Jordan, in Peano 1884a, p. 47. 2 Giuseppe Peano, [Réponse à Ph. Gilbert], 1884b, pp. 254-256. 3 Philippe Gilbert, Lettre de M. Ph. Gilbert … 1884, pp. 153-155, cit. in nota 5 a p. 226. 4 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-2r; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 10.4.1884, BUG, busta 12/87, cc. 1r-2r; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 27.4.1884, BUG, busta 12/88, cc. 1r-1v in Appendice. 5 Il repertorio Bibliografia Italiana, presente in BNT, comprende, oltre all’elenco di tutte le pubblicazioni italiane a stampa, anche le inserzioni pubblicitarie a pagamento delle maggiori case editrici. Il Genocchi - Peano è annunciato, a nome del solo Genocchi, nelle pubblicità dell’editore Bocca inserite in Bibliografia Italiana, XVII, 1883, p. 251 e con il titolo che resterà definitivo in Bibliografia Italiana, XVIII, 1884, p. 142. 6 Peano 1884c, Prefazione, pagina non numerata.
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«date e nomi di autori» come rileva qui lo stesso Peano), dall’altro ha condotto ad evidenziare imprecisioni ed errori presenti in numerosi trattati di riferimento. Il volume giunge a Genocchi il 23 settembre 1884, come testimonia la data autografa apposta sull’esemplare in suo possesso, ora conservato nella Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza. La vicenda che ne segue è nota. La reazione di Genocchi di fronte ad una prima lettura del trattato è espressamente negativa ed egli non esita a sfogare la propria amarezza con P. Agnelli, C. Hermite, P. Tardy, cui manifesta l’intenzione di sconfessare pubblicamente Peano. Da più parti alcuni storici hanno tentato di avallare questa brusca presa di posizione sia invocando l’indole di Genocchi, incline a scatti d’ira e poco diplomatica, sia ipotizzando il presunto risentimento per la qualifica di «importanti» con cui l’allievo aveva descritto le aggiunte da lui apportate, o appellandosi al dispiacere da lui provato per aver visto tanti suoi amici e corrispondenti colti in fallo, a causa delle inesattezze presenti nei loro trattati e qui denunciate esplicitamente da Peano.1 Il carteggio intercorso con Tardy consente invece di mostrare come quella di Genocchi sia un’obiezione di carattere strettamente deontologico, che investe i temi della responsabilità e della collaborazione scientifica. Genocchi infatti non rimprovera a Peano di avere alterato il dictat delle sue lezioni, né si pronuncia sul merito scientifico delle integrazioni. Si mostra invece estremamente piccato per la mancata segnalazione dell’entità e dell’estensione di tutte le aggiunte, e per la ritrosia, da parte di Peano, ad accollarsi, a suo solo nome, la responsabilità di tali parti dell’opera, come si evince dalle sue parole: Si è finito di stampare il volume di Calcolo che pubblicava il Dr Peano mettendovi il mio nome. […] Ma è strano che mentre il Peano mi aveva chiesto il permesso di pubblicare le mie lezioni, si sono poi fatte senza mia saputa non poche aggiunte e variazioni che non si sa dove comincino e dove finiscano, e inoltre molte annotazioni critiche delle quali non ho avuta conoscenza prima della pubblicazione e dopo ciò si è messo il mio nome in capo ad un frontespizio spropositato! Io avea dimandato che il mio nome fosse tolto dal frontespizio ma non potei ottenerlo, e mi limiterò a pubblicare una protesta …2 1 Cassina 1952, pp. 341-342; Bottazzini 1981, p. 238; Kennedy 1980, p. 14; Kennedy 2002, p. 17. 2 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.10.1884, BUG, busta 12/96, c. 1v. Cfr. anche L. Cremona a A. Genocchi, Roma 2.12.[1884], G. Battaglini a L. Cremona, Roma 2.12.1884 ed A. Genocchi a L. Cremona, Torino 23.11.1884, in Luciano Carbone, Romano Gatto, Franco Palladino (a cura di), L’epistolario Cremona-Genocchi (1860-1886), La costituzione di una nuova figura di matematico nell’Italia unificata, Firenze, Olschki, 2001, pp. 139, 140, 211-212.
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Il risentimento di Genocchi non rimane confinato solo a livello di corrispondenze private, ma si concreta nella pubblicazione di alcune secche dichiarazioni apparse su prestigiose riviste dell’epoca – in Belgio la «Mathesis» di Mansion, in Francia i «Nouvelles Annales» e in Italia gli «Annali» di Brioschi – in cui, senza entrare nella questione del merito scientifico dell’opera, si «stabilisce la verità dei fatti»1 e cioè l’effettiva estraneità di Genocchi alla redazione del volume.2 Nel novembre del 1884 sono ormai pervenuti al matematico piacentino, da più parti, giudizi altamente elogiativi del Genocchi - Peano. Prima ancora di venire a conoscenza dell’affaire legato al disconoscimento della paternità dell’opera, il 6 ottobre 1884 Hermite scrive a Genocchi elogiando il trattato3 e, in particolar modo, l’ineccepibile paragrafo sulle funzioni interpolari, a tal punto chiaro che egli non ha avvertito problemi nella sua lettura, nonostante la poca dimestichezza con la lingua italiana.4 Il 31 ottobre torna a scrivergli sullo stesso tema, mostrandosi dispiaciuto per il torto che Genocchi ha subito da parte di Peano, assistente «indiscreto e infedele», ma lo invita a prescindere dai risvolti morali della vicenda e ribadisce il suo apprezzamento per un’opera che concede ampio spazio alle moderne esigenze del rigore.5 Mansion reputa «eccellente» il lavoro di Peano6 e Schwarz scrive a Genocchi: Die Arbeiten des Herrn Peano finde ich sehr sorgfältig redigiert; ich bin der Meinung, daß die eine über Integrale einen beträchtlichen Fortschritt enthält. Hoffentlich gefällt mein neuester Beweis auch Ihnen.7
Ecco allora che, nel volgere di appena un mese, Genocchi rivede radicalmente la sua opinione sulla condotta tenuta da Peano, a cui è ormai solo ascritta una colpa di «imprudenza», tipicamente giovanile: Il Peano […] in sostanza non è un cattivo giovine e non ha agito con cattiva intenzione. È stato imprudente facendo al mio corso aggiunte che io non aveva 1 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.11.1884, BUG, busta 12/97, c. 1v. 2 Angelo Genocchi, Correspondance, «Mathesis» (P. Mansion), 4, 1884, pp. 224-225; Angelo Genocchi, Correspondance, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 579, 580; Angelo Genocchi, Dichiarazione, «Annali di Matematica pura ed applicata», s. 2, 12, 1883-1884, pagina non numerata. 3 C. Hermite a A. Genocchi, Flanville par Metz 6.10.1884 in Cassina 1952, p. 348 e Michelacci 2005, pp. 176-179. 4 C. Hermite a A. Genocchi, Flanville par Metz 6.10.1884 in Cassina 1952, p. 348 e Michelacci 2005, p. 177. 5 C. Hermite a A. Genocchi, Paris 31.10.1884 in Cassina 1952, pp. 348-349 e Michelacci 2005, pp. 179-182. 6 Paul Mansion, [N.d.r.], «Mathesis» (P. Mansion), 4, 1884, p. 224. 7 H. A. Schwarz a A. Genocchi, Göttingen, 9.1.1884, FSN, c.p.
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previamente approvate né conosciute, ma solo mosso dal pensiero di accrescere il merito del suo libro il che per suo giudizio doveva piacere anche a me. Non volle fare una speculazione perché aveva un // contratto coi librai Bocca e la somma pattuita non si variava fossero molte o poche le copie vendute. Del resto sento che molti trovano l’opera eccellente.1
La contrastata vicenda editoriale del Genocchi - Peano non è priva di ricadute negative per Peano: l’editore Bocca «va un poco in collera» con lui e ricuce i rapporti solo grazie alle assicurazioni di Genocchi che il libro «era stato lodato anche da illustri matematici» e dopo la conferma di quest’ultimo che la pubblicazione del corso era avvenuta previo suo consenso.2 Peano è descritto da Genocchi a Luigi Cremona come fortemente «abbattuto e addolorato» per il clamore suscitato dalla reazione di Genocchi3 e quest’ultimo, plausibilmente consapevole di aver gettato un certo discredito sul suo assistente, rinuncia a pubblicare altre puntualizzazioni sul «Giornale di Matematica ad uso degli studenti delle Università Italiane» di Giuseppe Battaglini e sugli «Zeitschrift für Mathematischen und Naturalischen Wissenschaften» di Siegmund Günther. A partire dal dicembre del 1884, i rapporti fra Genocchi e Peano tornano ad essere improntati a toni di reciproca cordialità e tali resteranno fino alla fine.4 A seguito della restitutio della condotta del suo allievo personalmente compiuta da Genocchi, alcuni corrispondenti si ricredono sul conto di Peano. Tardy dichiara di non aver mai dubitato della sua lealtà5 e Hermite, rallegrandosi per la conclusione del malinteso, si spinge a scrivere: J’ai eu une véritable satisfaction à apprendre par vôtre dernière lettre que l’affaire de la publication de l’ouvrage de M. Peano était beaucoup moins grave pour lui que je ne pensais, et qu’au fond tout se réduit à un simple mal entendu, sans qu’il y ait eu à sa charge un abus de confiance.6
La vicenda si può considerare definitivamente conclusa con la convalida delle affermazioni di Genocchi da parte di Peano, pubblicata dapprima sulla rivista belga «Mathesis» nel 1885 e, successivamente, nel 1887, nella 1 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.11.1884, BUG, busta 12/97, cc. 1r-v. 2 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 6.12.1884, BUG, busta 12/98, cc. 1v-2r. 3 A. Genocchi a L. Cremona, Torino 23.11.1884, in Luciano Carbone, Romano Gatto, Franco Palladino (a cura di), L’epistolario Cremona-Genocchi, cit., 2001, p. 211. 4 Cfr. ad esempio la lettera di G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.9.1886, FGP, ms. G2, c. 1v: «Godo assai che Ella abbia lasciato Torino, ove [da] alcuni giorni fa un caldo soffocante, per l’aria marina, dove si troverà assai meglio. Sono certo che Ella ritornerà a Torino con una buona dose di salute. Io le auguro, amatissimo signor professore, tutto il bene che posso […].» 5 P. Tardy a A. Genocchi, Genova 28.11.1884 in Cassina 1952, p. 347. 6 C. Hermite a A. Genocchi, Paris 20.11.1884, FSN, c. 1r.
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Prefazione al trattato Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale che, pur entro limiti di una sostanziale autonomia, si configura come il secondo tomo del Genocchi - Peano.1 Qui l’autore si limita a segnalare, elencando i numeri dei rispettivi paragrafi, tutte quelle aggiunte e modifiche che non sono state stampate in corpo minore, o che non sono state contrassegnate con la sigla del suo nome nel trattato dell’84 e se ne assume la piena responsabilità. Nel 1885 la salute di Genocchi sembra conoscere un lieve miglioramento, tanto che egli può riprendere le sue lezioni, ma è purtroppo costretto ad interromperle dopo un breve periodo,2 e gradualmente finisce per estraniarsi dalla vita scientifica e accademica:3 Anche per quest’anno ho incaricato il Dr Peano di far le mie veci all’Università. Io non intendo di riprendere le mie lezioni. Nulla posso dirvi di lavori nuovi e non ho visto i libri che mi citate.4
Genocchi inoltre mostra di non essere a conoscenza del fatto che Peano sta redigendo le Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, nonostante l’allievo l’avesse tenuto al corrente in merito,5 dal momento che scrive a Tardy che Peano non pensa «per ora al secondo volume del Calcolo», e ribadisce di aver perso interesse per la ricerca e per le novità editoriali, fra cui il primo volume del Traité d’Analyse di H. Laurent.6 Nello stesso tempo egli manifesta il proposito, che però non metterà mai in pratica, di ritirarsi del tutto dall’insegnamento.7 Sempre più spesso Ge1 Giuseppe Peano, Correspondance, «Mathesis» (P. Mansion), 5, 1885, p. 11; Giuseppe Peano, Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, 1887b, pp. viii-ix. Le stesse precisazioni saranno ribadite nel necrologio di Genocchi: cfr. Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, pp. 198-199. 2 Cfr. ASUT, XIV B, 93, Preside. Personale Insegnante della Fac.à Disposizioni relative, 1.2.1886, 11.2.1886, 18.2.1886; FGP, ms. TT, Sua [di Genocchi] supplenza per due mesi, 18.2.1886; ASUT XIV B, 93, Disposizioni relative alla Facoltà di Scienze. Insegn.ti, iscrizioni, tasse, esami, orari, relazione, 15.5.1886. Cfr. anche A. Genocchi a P. Tardy, [Torino 1885], BUG, busta 12/104, c. 1r; E. D’Ovidio a P. Tardy, Torino 27.2. [1885], BUG, busta 22/7, c. p. 3 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 5.3.1886, BUG, busta 12/111, cc. 1r-v; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 20.10.1886, BUG, busta 12/116, cc. 1r-v; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 28.12.1886, BUG, busta 12/117, c. 1r; E. D’Ovidio a P. Tardy, Torino 28.12.1888, BUG, busta 22/9, c.p.; F. Siacci a P. Tardy, Torino 10.3.1889, BUG, busta 18/2, cc. 1r-2r. 4 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 14.11.1887, BUG, busta 12/118, c. 1r. 5 G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.9.1886, FGP, ms. G2, c. 1v: «Per quanto riguarda me, vado terminando finalmente il libro in corso di pubblicazione.» 6 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.12.1885, BUG, busta 12/110, c. 2r. Cfr. anche P. Tardy a A. Genocchi, Genova 22.12.1885, FGP, ms. EE, c. 2v. 7 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 20.10.1886, BUG, busta 12/116, cc. 1r-v: «All’Università sono cominciati gli esami a cui da // parecchi anni non intervengo. Presto cominceranno le lezioni e mi sento ancora incerto di darle o di lasciarle al mio assistente avendo sofferto un forte raffreddore dopo il mio ritorno da Cornigliano. Sono molto tentato di seguire il vostro esempio e di ritirarmi del tutto dall’insegnamento. Basta: vedremo.»
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nocchi ricorre all’aiuto di Peano,1 e il 29 maggio 1886 conclude la sua trentennale carriera di insegnamento all’Università di Torino, tenendo l’ultima lezione. 3. Le lezioni di Genocchi e il trattato del 1884 La trama del Genocchi - Peano è costituita dalle lezioni di Calcolo infinitesimale, impartite dal matematico piacentino all’Università di Torino, a partire dal 1865. Secondo la testimonianza di Peano, Genocchi le aveva in gran parte scritte e le dettava con stile piano, lucido ed essenziale, ricorrendo all’aiuto di uno studente per scrivere le formule alla lavagna.2 Un resoconto fedele dell’insegnamento di Genocchi proviene quindi da due suoi manoscritti autografi: il Calcolo differenziale e l’Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale, risalenti al 1865-1867 conservati a Piacenza e da tre altri manoscritti delle sue lezioni redatte da allievi, attualmente custoditi a Torino.3 I marginalia apposti agli autografi piacentini, e datati fino al 1881-1885, testimoniano l’incessante lavoro di revisione e di perfezionamento stilistico e di contenuti compiuto da Genocchi. Essi inoltre permettono di individuare le fonti di riferimento, cui attingeva di preferenza per le sue lezioni, grazie alle citazioni e ai rimandi ai trattati di C. Hermite, E. Hoppe, J. Hoüel, J. Bertrand, G. Novi, A.L. Cauchy, J. Serret, J.-M. Duhamel, ecc. La storiografia secondaria, che si è prevalentemente incentrata sui manoscritti piacentini, ha soprattutto evidenziato l’influenza esercitata dal Cours d’analyse di Cauchy sull’insegnamento di Genocchi.4 U. Cassina in particolare, riteneva che «non vi fosse traccia di redazioni più recenti» delle lezioni e sottolineava che la presenza, in questi appunti, di imprecisioni ed errori analoghi a quelli denunciati da Peano sui trattati di analisi dell’epoca, avrebbe potuto amareggiare Genocchi.5 Ad esempio tro1 Cfr. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 5.3.1886, BUG, busta 12/111, c. 1r: «Ho sofferto per infreddature che mi hanno costretto ad astenermi dalle lezioni. Il Ministro mi ha conceduto due mesi di riposo accogliendo la proposta della Facoltà di farmi supplire dall’assistente Dr Peano.»; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 28.12.1886, BUG, busta 12/117, c. 1r: «Io sono sempre tormentato da un forte raffreddore al quale devo se non ho potuto riprendere le mie lezioni: mi supplisce al solito l’assistente Dr Peano, ed io mi annoio mortalmente non facendo niente.» 2 Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, p. 197. 3 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, ff. 1-24; [Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale 1867], FGP, ms. S2, ff. 1-13 (i due manoscritti sono redatti su fogli formato protocollo, di quattro pagine ciascuno, scritti sulla metà di destra); [Calcolo differenziale], 1871-72, ADT, cc. 1-497; Calcolo integrale, 1871-72, ADT, cc. 1-338; Calcolo Differenziale ed Integrale, Lezioni del Prof. Genocchi, 1870-71, BCT, Iº Calcolo Differenziale, ms. 669, cc. 1-356, IIº Calcolo Integrale, ms. 570, cc. 1-289; Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale fatte dal Prof.e A.lo Genocchi nella Regia Università di Torino 1881-82 Compilati da Benvenuto Luigi, AFT, An.C.6.16, cc. 1-223. 4 Cfr. Cassina 1952, pp. 350-354; Bottazzini 1991. 5 Cfr. Cassina 1952, p. 343.
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viamo in questi manoscritti la definizione di limite come «una quantità fissa a cui una quantità variabile si accosta in modo da poterne differire quanto poco si voglia senza mai eguagliarla»1 e un’incerta trattazione dei rapporti fra continuità e derivabilità. La distanza fra queste lezioni e il Genocchi - Peano emerge poi in tutta evidenza nel paragrafo di apertura, in cui si illustra la «Divisione delle funzioni»,2 senza alcun cenno alla teoria assiomatica dei numeri reali. Di grande interesse risultano invece i paragrafi sulla risoluzione numerica delle equazioni trascendenti,3 sul teorema di Taylor4 e sull’interpolazione.5 Tutti questi temi, infatti, costituiranno uno degli oggetti preferenziali di ricerca da parte di Peano negli ultimi anni della sua vita. La loro introduzione nell’insegnamento, lungi dall’essere una bizzarria di Peano, come lascerebbero supporre le critiche di Francesco Tricomi,6 rappresenta un retaggio dell’insegnamento di Genocchi, che ampio spazio concedeva a questi argomenti «d’utilità anche pratica».7 Pur trattandosi dell’unica redazione autografa di Genocchi, i manoscritti piacentini non rappresentano tuttavia una traccia esaustiva del corso da lui tenuto, dal momento che egli non aveva avuto la forza di «metterlo tutto per scritto».8 Tali appunti infatti, arrestandosi alla teoria delle funzioni implicite, non comprendono alcun elemento di calcolo integrale, né la trattazione delle equazioni differenziali o delle applicazioni geometriche del Calcolo. Inoltre, tenendo conto del fatto che Peano non ebbe mai occasione di vedere questi manoscritti, come egli stesso dichiara,9 ci è parso preferibile appuntare l’attenzione su quelle «migliaia di sunti» scritti dagli allievi di Genocchi e generalmente fedeli, su cui Peano effettivamente si basò per una prima stesura del trattato del 1884.10 1 Angelo Genocchi, [Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale 1867], FGP, ms. S2, f. 2, c. 1r. 2 Angelo Genocchi, [Introduzione alle Lezioni di Calcolo differenziale 1867], FGP, ms. S2, f. 1, cc. 1r-2v. 3 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 7, cc. 1r-2v. 4 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 8, cc. 1r-2v, f. 9, cc. 1r-2v, f. 10, cc. 1r-2r. 5 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 10, c. 2v. 6 Francesco Tricomi, Matematici torinesi dell’ultimo secolo, «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino», 102, 1967-68, p. 257: «Quanto al lungo insegnamento del Peano […] non si può tacere che esso, ottimo all’inizio, cominciò a scadere intorno alla fine del secolo scorso, degenerando infine in una poco seria congerie di logica matematica, applicazioni del calcolo vettoriale, approssimazioni numeriche, ecc.» 7 Angelo Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 7, c. 1r. 8 A. Genocchi a P. Agnelli, Torino 16.8.1883, in P. Agnelli, Di Angelo Genocchi memoria biografica, Strenna piacentina, 1893, p. 42 e Cassina 1952, p. 345. 9 Giuseppe Peano, Angelo Genocchi, 1890a, p. 202. 10 Cfr. Peano 1890a, cit., pp. 198-199. A proposito della redazione del Genocchi - Peano cfr. anche G. Peano a E. Cesàro, Torino 14.1.1891, in Palladino 2000, pp. 17-18: «[…] abbondano anche le correzioni tipografiche […] nel principio di quel libro, e specialmente nel primo foglio di stam-
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La prima di queste redazioni, conservata nell’Archivio privato del prof. Mario Umberto Dianzani, è costituita dagli appunti presi da uno studente anonimo che frequentò le lezioni di Genocchi nell’anno accademico 1871-72.1 L’analisi di tali manoscritti ha evidenziato alcune differenze non solo dal punto di vista stilistico – espressioni farraginose o poco precise possono infatti derivare dalla disattenzione o dall’imprecisione dello studente che stilò gli appunti – ma anche a livello strutturale, con interi paragrafi la cui collocazione risulta differente rispetto al piano del Genocchi - Peano: i principii di differenziazione, ad esempio, sono posti fra la teoria delle serie e la trattazione delle serie di Taylor. A livello di tecnica dimostrativa occorre rilevare come in alcune dimostrazioni è assunta da Genocchi senza giustificazioni la completezza dei numeri reali2 e sono compiute imprecisioni nell’invertire il senso delle implicazioni: la continuità viene ad esempio a configurarsi come condizione necessaria e sufficiente per l’esistenza della derivata.3 All’anno accademico 1870-71 risalgono invece le Lezioni di Genocchi, in possesso di Adolfo Rossi, come appare dalla firma apposta sul frontespizio, e conservate alla Biblioteca Civica di Torino.4 Tali lezioni sono suddivise in due tomi, il primo dei quali, che raccoglie il Calcolo differenziale, è particolarmente utile per il confronto con il Genocchi - Peano. Esso è stato a lungo considerato perduto ed è riemerso solo recentemente, in fase di catalogazione del patrimonio librario della Biblioteca Civica. Comprendente 57 lezioni di Calcolo differenziale e 36 di Calcolo integrale, il manoscritto di Rossi, la cui redazione rivela una maggior precisione ed accuratezza, rispetto agli appunti citati sopra, conservati nell’Archivio Dianzani,5 consente di apprezzare la ricchezza di esempi ed esercizi con cui Genocchi corredava l’insegnamento teorico, la semplicipa; poiché io diedi al compositore le lezioni autografate dagli allievi, delle mie lezioni, pensando poi di correggerle sulle bozze (allora ero nuovo allo stampare!), cosa che poi non mi riuscì bene; quindi i fogli successivi li scrissi io stesso; e quel primo io lo voleva rifare, ma ne fui impedito dall’editore.» 1 Si tratta dei manoscritti [Calcolo differenziale], 1871-72, ADT, cc. 1-497; Calcolo integrale, 187172, ADT, cc. 1-338. Essi sono parzialmente trascritti e commentati in Giuliana Borzieri (relatore Livia Giacardi), Le lezioni di Analisi di Angelo Genocchi (1871-72) e il trattato Genocchi - Peano (1884) a confronto: un’analisi storico-critica, Tesi di Laurea in Matematica, Università di Torino, a.a. 1997-98; un sunto è apparso in Tesi, «Annali di Storia delle Università Italiane», 5, 2001, pp. 283284. Il microfilm di questi manoscritti è conservato nella Biblioteca del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, Inv. 11030, Rullo 17. 2 [Calcolo differenziale], ADT, cc. 8, 89-90. 3 [Calcolo differenziale], ADT, c. 56. 4 Calcolo Differenziale ed Integrale, Lezioni del Prof. Genocchi, 1870-71, BCT, Iº Calcolo Differenziale, ms. 669, cc. 1-356, IIº Calcolo Integrale, ms. 570, cc. 1-289. 5 Ad esempio, il valore per l’esponenziale è correttamente registrato in Calcolo Differenziale, BCT, c. 12, mentre risulta errato in [Calcolo differenziale], ADT, c. 10.
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tà della sua esposizione della teoria elementare delle serie1 e l’ampiezza con cui trattava le applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale.2 Le Lezioni di Rossi, così come quelle conservate a Piacenza, si aprono con la classificazione delle funzioni in uniformi e multiformi, di una e di più variabili, algebriche e trascendenti, implicite ed esplicite, razionali ed irrazionali, intere e frazionarie e così via. Si trattava di un tema, affrontato da Genocchi ricorrendo ai testi di C. Hermite, E. Hoppe e J. Hoüel, cui era assegnato il ruolo di paragrafo preliminare al Calcolo. Nel trattato del 1884 Peano abbandona del tutto tale trattazione, che viene sostituita con un paragrafo dedicato ai contributi sulla teoria assiomatica dei numeri reali, desunti dai lavori di U. Dini, R. Dedekind e M. Pasch. A fianco di questi, Peano cita i contributi di G. Cantor, ripresi da A. Harnack, R. Lipschitz e P. du Bois-Reymond: il matematico tedesco, con un’impostazione meno semplice rispetto alle precedenti, definisce infatti gli irrazionali come limiti di successioni di razionali, senza ricorrere al concetto di sezione.3 Segue la definizione rigorosa del concetto di funzione di variabile reale,4 mentre nelle Annotazioni Peano ripercorre il percorso storico di questo concetto, con citazioni di passi originali, selezionati a partire dal testo di H. Hankel, Untersuchungen über die unendlich oft oscillirenden und unstetigen Funktionen (Tübingen, 1870).5 Numerose sono le dimostrazioni riprese dalle Lezioni di Genocchi: ad esempio quelle dei teoremi sull’algebra dei limiti,6 e la dimostrazione del teorema del differenziale totale,7 poi ulteriormente semplificata nelle Lezioni di Analisi infinitesimale di Peano all’Accademia Militare.8 Tuttavia, anche nelle Lezioni in possesso di Rossi si riscontrano incertezze teoriche, espressioni ambigue ed arcaismi del tipo «far crescere indefinitamente». La trattazione di alcuni paragrafi risulta del resto estremamente prolissa rispetto al trattato a stampa: così, mentre Peano dedica appena poche righe alla differenziazione delle funzioni composte, il medesimo tema occupa quasi sette pagine nelle Lezioni di Rossi.9 La medesima prolissità, non meramente giustificabile sulla base delle esigenze didattiche, né appellandosi allo stile espositivo del cura1 Calcolo Differenziale, BCT, cc. 60-72. 2 Calcolo Differenziale, BCT, cc. 233-356. 3 Peano 1884c, pp. vii-viii e pp. 1-3. 4 Peano 1884c, p. 3. 5 Peano 1884c, p. viii. Nell’esemplare del Genocchi - Peano conservato in FCP, sui margini di p. 3, si trovano gli appunti presi da Peano per redigere l’Annotazione al N. 6 (Peano 1884c, p. viii) inerente la storia del concetto di funzione. 6 Cfr. Calcolo Differenziale, BCT, cc. 3-8 e Peano 1884c, pp. 5-7. 7 Cfr. Calcolo Differenziale, BCT, cc. 110-113 e Peano 1884c, pp. 139-140. 8 Cfr. Giuseppe Peano, Lezioni di analisi infinitesimale, 1893h, vol. II, p. 143. 9 Cfr. Calcolo Differenziale, BCT, cc. 37-43 e Peano 1884c, p. 41.
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tore, emerge con evidenza accostando le dimostrazioni del teorema del confronto per i limiti di funzioni fornite rispettivamente da Genocchi e da Peano. Se nel Genocchi - Peano la dimostrazione è condensata in quattro righe,1 nelle Lezioni ha un’estensione quadrupla e del medesimo enunciato, per altro elementare, sono fornite due dimostrazioni equivalenti.2 Esiste infine un manoscritto di Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale, compilati dallo studente Luigi Benvenuto nell’anno accademico 1881-82 e conservate a Torino nel Fondo Faà di Bruno della Biblioteca dell’Istituto del Suffragio.3 Si tratta di una corposa redazione, particolarmente interessante per il fatto che proprio nell’aprile del 1882 Peano subentrava a Genocchi, tenendo le sue prime lezioni di Calcolo infinitesimale. Fra gli elementi di maggior novità che tali lezioni presentano spicca la trat∞ tazione di Genocchi degli integrali del tipo ∫ senx dx, già apprezzata per 0 x il suo rigore da Peano, e quella delle equazioni differenziali, una teoria non affrontata nel Genocchi - Peano, ma destinata a rivelarsi uno dei temi di ricerca privilegiati da Peano negli anni immediatamente successivi.4 L’analisi comparata di queste Lezioni con il trattato a stampa,5 se da un lato evidenzia la cura con cui Genocchi impartiva il suo insegnamento, dall’altro ne rimarca la distanza sotto il profilo contenutistico, strutturale, espositivo e metodologico. 1 Peano 1884c, p. 7: «Teorema V. – Se una quantità è sempre compresa fra due altre che tendono verso uno stesso limite, anche la prima tende verso questo limite. Infatti se P e Q sono due variabili che tendono verso A, ed R è sempre compreso fra P e Q, sarà anche R – A compreso fra P – A e Q – A; e se si rendono P – A e Q – A minori di  sarà anche R – A minore di  ossia R ha per limite A.» 2 Calcolo Differenziale, BCT, cc. 8-9: «Supponiamo ora di avere tre quantità variabili che potrebbero anche essere costanti. Siano esse P, Q, R tali che il valore di Q sia sempre compreso fra i valori di P e di R cioè P < Q < R. Se P ed R tendono verso uno stesso limite L, questi sarà pure il limite di Q. Difatti se la differenza fra P o R ed L può divenire tanto piccola quanto si vuole, siccome Q è sempre compreso fra P ed R, la differenza fra Q ed L potrà pure divenire tanto piccola quanto si vuole ossia lim Q = L. Ciò si può pure dimostrare in altro modo. Possiamo scrivere Q = P + ı (R – P) in cui © varierà solo da 0 ad 1 giacché se si fa ı = 0 si ha Q = P, e se si fa © = 1 si ha Q = R. Avremo allora lim Q = lim P + lim[ı (R – P)] ossia lim Q = lim P + lim © × lim(R – P). Ora lim ı, essendo © compreso fra 0 ed 1, è compreso anche fra 0 ed 1, lim(R – P) tende ad L – L ossia a zero, quindi lim Q = lim P ossia lim Q = L come si voleva provare. Se una delle quantità è costante, il suo limite è il suo valore costante, così può darsi che R sia costante: avrà per valore costante L, e la dimostra//zione sarà sempre la stessa». 3 Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale fatte dal Prof.e A.lo Genocchi nella Regia Università di Torino 1881-82 Compilati da Benvenuto Luigi, AFT, An.C.6.16, cc. 1-223. 4 Sunti delle Lezioni di Calcolo Integrale …, AFT, cc. 145, 147-149, 169-223. 5 Un’analisi maggiormente dettagliata è condotta nella mia tesi di dottorato, Giuseppe Peano docente e ricercatore di analisi, diretta da Clara Silvia Roero, in corso presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino.
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L’aggiornamento e la riforma dei programmi dei corsi di Calcolo infinitesimale non sono infatti sufficienti, da soli, a spiegare la maggiore attenzione posta da Peano all’assiomatica di Dedekind, alla definizione di limite superiore ed inferiore, alla teoria della derivabilità e dell’integrabilità e ai criteri per determinare massimi e minimi di funzioni di più variabili. Nel Genocchi - Peano è inoltre ben chiara la distinzione – non solo labile, ma talora del tutto assente nelle lezioni di Genocchi – fra i concetti di continuità e di continuità uniforme, di convergenza e di convergenza uniforme. Il maggior rigore di Peano si esplica non solo nell’elaborazione dei controesempi e nelle definizioni rigorose dei concetti, ma anche nella volontà di depurare gli enunciati dei teoremi da quelle condizioni superflue di cui spesso erano infarciti i trattati classici. Le notazioni utilizzate da Peano risultano, generalmente, più chiare ed uniformi rispetto a quelle di Genocchi, tuttavia manca nel Genocchi - Peano qualsiasi impiego dell’ideografia logica, i connettivi e i quantificatori sono assenti, con una certa ritrosia è introdotto il simbolo di sommatoria e la gestione algoritmica dei valori assoluti non è ancora condotta con sicurezza. Infine, mentre emerge una comune idiosincrasia per l’approccio grafico-intuitivo, a cui Genocchi ricorre estremamente di rado e che risulta assente nel trattato dell’84, per contro è da rilevare l’innegabile progresso ottenuto da Peano relativamente alla generalità delle dimostrazioni. È plausibile che un’esigenza di mediazione didattica abbia indotto Genocchi a far precedere sovente la dimostrazione di un teorema da alcuni casi particolari, ricavando poi induttivamente la proposizione desiderata, tuttavia questo approccio risulta una pratica dimostrativa ricorrente anche nei manoscritti piacentini, la cui redazione non era finalizzata alla consultazione da parte degli allievi. Le differenze che abbiamo segnalato trovano del resto riscontro nei Registri delle lezioni tenute da Genocchi, negli anni 1877-78, 1882-83, 188384 e 1885-86.1 Tali registri, finora studiati solo dal punto di vista biografico-aneddotico,2 permettono di verificare le mutue corrispondenze e le discordanze fra i contenuti previsti nei programmi ufficiali, quelli presentati a lezione dai due matematici e quelli confluiti nel Genocchi - Peano e consentono di evidenziare le differenze nelle cadenze didattiche degli 1 Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (Assistente E. Martini) nell’anno scolastico 1877-78, FGP, ms. SS; Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi nell’anno scolastico 1881-82, FGP, ms. SS, cc. 1r-5v; Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 1r-6v; Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi e Assistente Peano nell’anno scolastico 1885-86, FGP, ms. SS, cc. 1r-6r. 2 Cassina 1952, p. 338.
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insegnamenti di Peano e di Genocchi. Per esempio, Peano dedicava più lezioni alle formule di interpolazione e di Simpson1 e alle funzioni interpolari,2 mentre Genocchi preferiva soffermarsi sulla teoria degli integrali impropri3 e sugli integrali euleriani.4 Il trattato del 1884, secondo la qualifica dello stesso Peano, è essenzialmente «un lavoro di compilazione» per la redazione del quale è stato necessario consultare un gran numero di testi, per la maggior parte dichiarati nelle note di apertura del volume. Le fonti annoverano una trentina di opere, fra cui i principali manuali di analisi infinitesimale italiani, francesi e tedeschi, e in particolare i corsi di C. Jordan, J. Serret, U. Dini, A. Harnack ed I. Todhunter, e oltre un centinaio di monografie. Stupisce soprattutto la citazione di lavori recentissimi, fra cui il testo di O. Rausenberger sulla teoria delle funzioni periodiche, edito nel 1884, e il cui riferimento fu aggiunto in fase di revisione delle bozze di stampa, come si deduce dai marginalia apposti sull’esemplare di Parma.5 Alla luce di queste note autografe si può stabilire la consistenza e la successione temporale delle letture di Peano. Per la redazione del capitolo sulle serie, egli ad esempio annota, in un foglio bianco rilegato fra le pagine 54 e 55, alcuni rimandi ai lavori di N. Trudi, D. Besso, E. Catalan, F. Siacci, E. Lucas, G. Ascoli, J. Thomae, U. Dini, P. du Bois-Reymond, M. A. Stern, J. A. ˝ ttinger e K. Weierstrass, ed essi sono solo parzialmente reGrunert, L. O gistrati nelle note in apertura al trattato. Per quanto concerne la redazione dell’apparato di Annotazioni, è da rilevare, fra l’altro, come siano solo in parte veritiere le lamentele espresse da Genocchi ai contemporanei (v. sopra), che sosteneva di non esser stato preventivamente consultato sul contenuto di queste note. Le poche lettere inviategli da Peano permettono infatti non solo di mostrare che i contenuti delle annotazioni ai numeri 44-45, 55 e 62 erano stati sommariamente comunicati,6 ma anche che lo studio critico intrapreso da Peano in quei mesi aveva coinvolto altri illustri analisti, quali A. Harnak, M. 1 A questi temi Genocchi dedica una lezione e mezza su 68, mentre Peano tre lezioni su 65 (cfr. Registro … 1883-84, FGP, ms. SS, c. 5v, lezioni del 17.4.1884 e 19.4.1884 e Registro … 1885-86, FGP, ms. SS, cc. 4v-5r, lezioni del 27.3.1886, 30.3.1886 e 1.4.1886). 2 Mentre le funzioni interpolari non sono presentate nelle lezioni tenute da Genocchi, Peano vi dedica due lezioni (cfr. Registro … 1883-84, FGP, ms. SS, c. 2r, lezioni del 15.12.1883 e 18.12.1883). 3 Genocchi dedica a questo tema le lezioni del 11.3.1884, del 13.3.1884 e parte della lezione del 18.3.1884, Peano tratta gli integrali impropri nella sola lezione del 16.3.1886 (cfr. Registro … 188384, FGP, ms. SS, c. 4v, e Registro … 1885-86, FGP, ms. SS, c. 4r). 4 Cfr. Registro … 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 4v-5r, lezioni del 22.3.1884, 27.3.1884 e 29.3.1884. 5 Cfr. FCP, marginalia Peano 1884c, p. 54. 6 Cfr. G. Peano a A. Genocchi, Torino 7.10.1882, G. Peano a A. Genocchi, s.l., s.d. [settembre 1884], G. Peano a A. Genocchi, s.l., s.d. [settembre 1884], in Borgato 1991, pp. 85-86, 88-92.
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Pasch e C. Jordan, di cui Peano acclude a Genocchi le lettere. Purtroppo, non restando traccia a Piacenza di queste missive, non è possibile ricostruire il contenuto dei singoli interventi.1 A sancire la fama ed il successo del Genocchi - Peano sono proprio i contributi originali di Peano, fra cui troviamo le condizioni per lo sviluppo di una funzione di più variabili in serie di Taylor con espressione esplicita del resto, il teorema sulla continuità uniforme per le funzioni di più variabili, le condizioni di esistenza e derivabilità delle funzioni implicite, l’integrazione delle funzioni razionali con zeri del denominatore non noti, la presentazione rigorosa dei teoremi sui limiti, l’espressione analitica della funzione di Dirichlet e la definizione dell’integrale definito come estremo superiore ed inferiore di somme finite. Numerose sono le note di tipo critico, in cui Peano riscontra e denuncia lacune ed inesattezze presenti in una folta messe di manuali spesso stereotipati uno dall’altro: dieci sono gli errori rilevati nei trattati di J. Serret, cinque in quelli di C. Jordan e di J. Bertrand, quattro nel testo di C. Sturm, due in quelli di P. Gilbert, I. Todhunter e G. Novi, mentre un solo errore è segnalato nei volumi di O. Rausenberger, L. Olivier, J. König, E. Amigues, C. Hermite, O. Schlömilch, L. Königsberger.2 È particolarmente severa la critica esercitata da Peano nei confronti del Cours de Calcul différentiel et intégral (1879) di Serret, un testo considerato di alto livello all’epoca e che riscosse un notevole successo, con sei edizioni fra il 1868 e il 1911.3 Il matematico cuneese scorge in esso alcune asserzioni gratuite, scaturite dalla mancata introduzione dell’assiomatica dei numeri reali, e segnala errori nella trattazione della continuità e derivabilità delle funzioni, nei criteri di convergenza delle serie, nella stima dell’errore nelle tavole d’interpolazione dei logaritmi, nella determinazione del resto della formula di Taylor per funzioni di più variabili, e così via.4 Celebri però, in primis, risultano i controesempi, efficaci e ben scelti, coniati con l’obiettivo di mostrare la fallacia di risultati accolti fino ad allora senza riserve. L’esempio di una funzione le cui derivate parziali seconde miste non commutano, quello di una funzione di due variabili, continua su ogni retta del piano ma non in tutto il piano, e quello sui massimi e minimi delle funzioni di due variabili sono divenuti ormai classici nella letteratura matematica e sanciscono, come rileva Glaeser, con la loro «intrusione», un cambiamento radicale nelle abitudini mentali dei ma1 G. Peano a A. Genocchi, Torino 4.10.1884; G. Peano a C. Jordan, Torino 16.2.1884, in Borgato 1991, pp. 88, 93-95. 2 Cfr. Peano 1884c, pp. viii, xi, xiv, xv, xvi, xvii, xviii, xxiii, xxv, xxvii, xxviii, xxix, xxx. 3 Cfr. Zerner 1986, p. 13, Zerner 1994, pp. 10, 67-68. 4 Cfr. Peano 1884c, pp. viii, xiv, xvi, xxiii, xxv, xxvii, xxix.
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tematici, a partire dalla fine dell’Ottocento.1 In tal senso, è invece rimasto finora taciuto il suggestivo legame fra questi controesempi e la scoperta della curva che riempie un quadrato. Quello che è unanimemente ritenuto uno dei più celebri risultati ottenuti da Peano nel campo analitico è infatti considerato anch’esso dal matematico piemontese un controesempio, elaborato con l’intenzione di chiarificare il concetto di dimensione, dopo aver riscontrato alcune inesattezze in merito nei trattati di geometria.2 Se è vero che, nella forma e nella sostanza, l’insegnamento di Genocchi e quello di Peano sono separati da un solco marcato, occorre in conclusione sottolineare come sia ravvisabile una forte eredità culturale del maestro sul giovane allievo, sia sul versante della ricerca che della didattica. L’accento di Genocchi sull’importanza di porre rigorosamente i concetti fondamentali dell’analisi, perseguendo la semplicità dei procedimenti e la chiarezza di esposizione diventano infatti il leitmotiv della docenza di Peano. La sensibilità di Genocchi per l’inquadramento storico dei concetti trova largo riscontro nell’operato del matematico cuneese che, secondo la testimonianza di M. Gliozzi e di G. Vacca, conduceva l’insegnamento «con metodo storico»,3 costellava di riferimenti storicobibliografici i suoi lavori e non esitava a criticare quei trattati di analisi, che attribuivano ‘a casaccio’ la paternità dei teoremi, come ad esempio il testo di H. Lebesgue.4 Infine, nell’attività di ricerca, intesa da entrambe come arricchimento e riflesso del loro insegnamento, Genocchi e Peano sono accomunati dalla consonanza dei temi, dall’attitudine critica e dalla metodologia di lavoro, tanto che le parole usate da D’Ovidio per caratterizzare la produzione scientifica del primo potrebbero descrivere con ugual aderenza quella di Peano: [Genocchi] soleva ritornar sovente sopra un medesimo soggetto; tanto più che molti de’ suoi lavori, abbondando di commenti agli altrui e di svariate osservazioni, mal si prestano ad esser riassunti senza che perdano troppo della propria 1 G. Glaeser a P. Dugac, 10.2.1992 in Dugac 2003, p. 330. 2 Scrive infatti Peano nel curriculum edito a Torino, Pubblicazioni di G. Peano Prof. ord. di Calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino, 1916e, p. 4: «Sur une courbe qui remplit toute une aire plane […]. In realtà, lo scopo del lavoro è molto modesto; esso si propone, al pari dei lavori N. 28 [Sopra alcune curve singolari], 39 [Esempi di funzioni sempre crescenti e discontinue in ogni intervallo], ecc. di indicare degli errori che si trovavano in alcuni libri.» 3 Mario Gliozzi, Giuseppe Peano (27 augusto 1858-20 aprile 1932), «Archeion», XIV, 1932, p. 255; Giovanni Vacca, Lo studio dei classici negli scritti matematici di Giuseppe Peano, «Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze», XXII, 9-15.10.1932, II, 1933, pp. 97-99. 4 Cfr. la lettera di G. Peano a G. Vitali, Torino 3.4.1905, in Maria Teresa Borgato, Luigi Pepe, Opere sull’analisi reale e complessa, Carteggio, Bologna, Cremonese, 1984, p. 453.
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fisionomia. […] Non vi è forse scrittura del Genocchi, nella quale non sia corretto qualche errore, chiarito qualche punto di storia della scienza, giudicata qualche questione di priorità. Non poche sono interamente dedicate ad argomenti di critica, e sono modelli di acuto ragionare, di coscienziosa ricerca storica, di vasta e sicura erudizione.1
4. L’influenza del trattato del 1884 sulla produzione di Peano Se è indubbio che nel Genocchi - Peano confluiscano in larga misura le ricerche analitiche del giovane Peano, e in particolar modo i contenuti delle sue note sull’integrabilità delle funzioni2 e sulle funzioni interpolari,3 meno palese appare invece il legame con un cospicuo gruppo di lavori successivi. Fra questi possiamo citare le note sui determinanti Jacobiani4 e quelle sul resto nella formula di Taylor, oggi detto «resto di Peano», enunciato nel trattato del 1884, dimostrato nelle Applicazioni geometriche del 1887 e infine pubblicato su una rivista scientifica nel 1889.5 I contributi di Peano a questo proposito non ricevono subito grande accoglienza, tanto che, recensendo il monumentale Traité d’Analyse di H. Laurent, Peano lamenta che il matematico francese «insieme a tutti gli autori» abbia riportato sotto il nome di teorema di Bertrand la proposizione sui determinanti Jacobiani, la cui inesattezza egli aveva già rilevato fin dal Genocchi - Peano e abbia continuato a dimostrare la formula di Taylor supponendo la continuità della derivata n-esima.6 La nota di Peano del 1895 sulla definizione di integrale nasce invece da un appunto mosso da Giulio Ascoli ad uno dei riferimenti storico-bibliografici del trattato del 1884.7 Nell’annotazione al paragrafo 193 si attribuiva infatti a Volterra la definizione dell’integrale basata sui concetti di limite superiore ed inferiore delle somme integrali: un contributo di cui Ascoli rivendica la paternità.8 Sono però soprattutto alcune riflessioni sui concetti fondamentali del Calcolo infinitesimale, e in particolar modo su quelli di limite, di deriva1 Enrico D’Ovidio, Onoranze ad A. Genocchi, cit., 1892, pp. 1099, 1101. 2 Giuseppe Peano, Sull’integrabilità delle funzioni, 1882b; Peano 1884c, pp. xxxi, 298-300. 3 Giuseppe Peano, Sulle funzioni interpolari, 1882c; Peano 1884c, pp. xx-xxii, 90-95. 4 Peano 1884c, pp. xvi-xxvii, 170-173; Giuseppe Peano, Su d’una proposizione riferentesi ai determinanti jacobiani, 1889f. 5 Peano 1884c, p. xix; Giuseppe Peano, Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, 1887b, p. 49; Giuseppe Peano, Une nouvelle forme du reste dans la formule de Taylor, 1889e. 6 Cfr. Giuseppe Peano, Osservazioni sul “Traité d’Analyse par Hermann Laurent”, 1892e, pp. 3132, 34. 7 Giuseppe Peano, Sulla definizione di integrale, 1895n. 8 Cfr. Peano 1884c, p. xxxi; Giulio Ascoli, Sulla definizione di integrale, «Annali di Matematica pura ed applicata», s. 2, 23, 1895, pp. 67-71.
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ta e di differenziale, ad essere oggetto di successivi ampliamenti. Tali concetti sono studiati da Peano, fra il 1884 e il 1895, con l’obiettivo di tradurli in linguaggio ideografico, per inserirli nel Formulario di Matematica,1 e successivamente essi vengono inglobati nelle ricerche sulla teoria della definizione. Nell’articolo Le definizioni in matematica Peano si interroga ad esempio sulla liceità di definizioni che, come quella di derivata fornita nel Genocchi - Peano, non garantiscono di per sé l’esistenza del definito, tanto da dover essere completate con opportune condizioni necessarie e sufficienti.2 Nel 1912-13 questi temi, contestualizzati dal punto di vista storico, diventeranno l’oggetto dell’intervento di Peano nel dibattito nazionale scaturito dall’introduzione di elementi di analisi nell’insegnamento secondario, ad opera di G. Castelnuovo. Precorrendo l’invito di E. Beke, che domanda: comment, dans le pays de la critique mathématique où Dini, Genocchi et Peano ont traité les principes du Calcul infinitésimal d’une façon modèle, comment, dans ce pays, on présentera ces principes aux élèves3
Peano pubblica i saggi Derivata e Differenziale e Sulla definizione di limite.4 Nel primo si interroga sui pregi della notazione differenziale, nel secondo presenta invece uno studio critico comparativo delle definizioni di limite nella manualistica secondaria e universitaria, commentando le trattazioni di R.-L. Baire, E. Cesàro, F. D’Arcais, C. Arzelà, U. Grassi, J. Serret, J.-M. Duhamel, A.-L. Cauchy, E. Borel, J. Tannery, R. Sturm, E. Catalan e H. Fine, e conclude con queste significative parole: Confrontando i programmi proposti per le scuole italiane, con quelli francesi, del 31 maggio 1902, giudico migliori i nostri perché più liberali. Nei programmi francesi è quasi imposto il metodo di insegnamento. […] Se l’insegnante delle scuole medie impiega la sua prima lezione a sviluppare tutto il formalismo della logica matematica, avrà uno strumento per spiegare in modo semplicissimo queste complicazioni. Altrimenti io temo che l’introduzione del limite delle funzioni (invece di quello delle classi) riproduca nelle scuole medie quella se1 Cfr. Giuseppe Peano, Sulla definizione del limite d’una funzione, 1892l; Sur la définition de la dérivée, 1892s; Estensione di alcuni teoremi di Cauchy sui limiti, 1895a; Sur la définition de la limite d’une fonction. Exercice de logique mathématique, 1895c. 2 Cfr. Peano 1884c, p. xiv e Giuseppe Peano, Le definizioni in matematica, 1911d, p. 54: «Dalla definizione ordinaria: “Derivata d’una funzione è il limite del suo rapporto incrementale”, risulta che la derivata esiste o non, secondo che esiste o non questo limite. Alcuni autori, per voler essere più rigorosi, dicono: “Derivata è il limite, ove esista, del rapporto incrementale”, e allora se il limite non esiste, non si può più conchiudere che la derivata non esiste.» 3 Emanuel Beke, Les résultats obtenus dans l’introduction du calcul différentiel et intégral dans les classes supérieures des établissements secondaires, Rapport général, «L’Enseignement mathématique», 16, 1914, p. 255. 4 Giuseppe Peano, Derivata e differenziale, 1913a; Sulla definizione di limite, 1913e.
il trattato genocchi - peano
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rie di confusioni, di cui si è a stento (e non completamente) liberato il Calcolo infinitesimale odierno.1
Un’ulteriore allusione inserita nel Genocchi - Peano riguarda la teoria dei «modi di diventare di una funzione» o «teoria dei fini», e i suoi legami con la ricerca dell’ordine di infinità delle funzioni, adombrati nelle annotazioni di apertura del trattato: Del resto il modo di diventare d’una funzione f(x) è un ente, che si può introdurre in matematica […]. Invero, potremo definire di questi enti l’eguaglianza e disuguaglianza, e le operazioni analitiche fondamentali. […] Potremo assumere le seguenti definizioni: Diremo che, col crescere indefinitamente di x, f(x) diventa maggiore o eguale o minore di Ê(x), se da un certo valore di x in poi f(x) è maggiore o eguale o minore di Ê(x). La Ê(x) potrebbe anche ridursi ad un numero costante, ed allora resta definita l’eguaglianza o diseguaglianza del modo di diventare di f(x) e di un numero.2
Tale trattazione sarà approfondita nel 1910 sia sotto il profilo della ricerca, che nei suoi risvolti didattici, e sarà proposta da Peano al suo allievo Vincenzo Mago come tema di dissertazione di laurea.3 Nel trattato dell’84 si possono rintracciare, infine, i germi dell’interesse del matematico cuneese per le approssimazioni numeriche e per le formule di interpolazione.4 Anch’essi sono scaturiti dall’insegnamento di Genocchi, noto anche in ambito internazionale per le sue ricerche in teoria dei numeri,5 e si sono alimentati con la lettura dei lavori di G. Bellavitis, H. Schwarz, J. Bertrand e T. Stjeltjes. Questo tipo di ricerche si è poi ampliato con la stesura del volume di Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale ed è giunto a maturazione molti anni più tardi, in relazione all’attività di Peano nell’ambito delle Conferenze Matematiche Torinesi.6 1 Giuseppe Peano, Sulla definizione di limite, 1913e, pp. 771, 772. 2 Peano 1884c, pp. ix-x. 3 Cfr. Giuseppe Peano, Sugli ordini degli infiniti, 1910b, p. 780: «Così si è condotti ad unire ad ogni funzione un nuovo ente, che rappresenta l’ultimo modo di comportarsi della funzione, e che, in mancanza di termine più appropriato, dirò suo fine, e che si definisce per astrazione come segue. Il fine d’una funzione avente il valore costante a è questa costante. Il fine d’una funzione f è maggiore, o eguale, o minore del fine d’una funzione g, se si può determinare un indice m, tale che per ogni indice x da m in poi, sempre si abbia fx > gx, o fx = gx, o fx < gx. […] Ad ogni successione f corrisponde allora un nuovo ente, suo fine […].» Sul concetto di fine cfr. anche Giuseppe Peano, Le definizioni per astrazione, 1915k, p. 116; Relazione sulla memoria del Dr. Vincenzo Mago: Teoria degli ordini, 1914a e Vincenzo Mago, Teoria degli ordini, «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», s. 2, 64, 1914, N. 8, pp. 1-25. 4 Cfr. Peano 1884c, pp. xx-xxiii, 90-103. 5 Cfr. Carlo Viola, Alcuni aspetti dell’opera di Angelo Genocchi riguardanti la teoria dei numeri, in Conte, Giacardi 1991, pp. 11-29. 6 Gli ultimi risultati matematici di Peano in questi campi risalgono agli anni 1913-1918 e furono oggetto di successive generalizzazioni ad opera di E. J. Rémès, J. Radon, F. Riesz, A. Sard, A. Ghizzetti e A. Ossicini. Cfr. Roero 2004, p. 142.
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erika luciano 5. La ricezione del Genocchi - Peano e la sua collocazione nel contesto europeo
Il Genocchi - Peano riscuote da subito un ottimo successo editoriale, avvalorato dalle traduzioni nelle lingue tedesca (1899) e russa (1903 e 1922),1 dalle numerose recensioni elogiative,2 dalle varie citazioni in articoli di ricerca3 e dalla sua presenza nelle maggiori biblioteche. Nella recensione apparsa sul «Bulletin des Sciences Mathématiques», Amédée Paraf4 sottolinea con particolar enfasi lo «spirito moderno» con cui è stato redatto il trattato, che egli auspica destinato ad influenzare positivamente la didattica dell’analisi a livello internazionale. Paraf rileva 1 Angelo Genocchi, Differentialrechnung und Grundzüge der Integralrechnung, herausgegeben von Giuseppe Peano, 1899t; Differencial’noe ischislenie i osnovy integral’nago ischislenija, izdannyja prof. Giuseppe Peano, 1903t; Differencial’noe ischislenie i nachala integral’nogo ischislenija, izdannoe s dopolnenijami i primechanijami prof. Dzh. Peano, 1922u. 2 Amédée Paraf, Angelo Genocchi. Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale …, «Bulletin des Sciences Mathématiques», 2, IX, 1885, pp. 170-172; Otto Stolz, Angelo Genocchi. Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale …, «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik», 16, 1884, pp. 223-224; Emil Lampe, Genocchi Angelo, Differentialrechnung und Grundzüge der Integralrechnung, herausgegeben von Giuseppe Peano …, «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik», 29, 1898, pp. 227-228; «Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik», 30, 1899, pp. 260-261; Gino Loria, Angelo Genocchi, Differentialrechnung und Grundzüge der Integralrechnung, herausgegeben von Giuseppe Peano …, «Bollettino di Bibliografia e Storia delle Scienze Matematiche», II, 1899, pp. 123-124. 3 Fra gli autori che trassero spunti dal Genocchi - Peano in edizione italiana o tedesca per le loro ricerche di analisi si possono citare: L. Scheeffer, Theorie der Maxima und Minima einer Function von zwei Variabeln, «Mathematische Annalen», 35, 1890, pp. 546, 557, 572-576; W. Osgood, The law of the mean and the limits 0, ∞ ∞, «The Annals of Mathematics», 12, 1898, p. 70; W. Osgood, Sufficient conditions in the Calculus of Variations, «The Annals of Mathematics», 2, 2, 1900, p. 114; O. Bolza, Lectures on the calculus of variations, Chicago, University Press, 1904, p. xi; E. Hedrick, A peculiar example in minima of surfaces, «The Annals of Mathematics», 2, 8, 1907, p. 172; A. Miller, Note on the definitions of a variable, «The American Mathematical Monthly», XIV, 1907, p. 214; A. Emch, Geometric Properties of the Jacobians of a Certain System of Functions, «The Annals of Mathematics», 2, 15, 1913, p. 136; W. Osgood, On functions of several complex variables, «Transactions of the American Mathematical Society», 17, 1, 1916, p. 3; H. Hancock, Theory of maxima and minima, Boston, USA, 1917, p. v; A. Emch, A model for the Peano surface, «The American Mathematical Monthly», 29, 10, 1922, pp. 388-391; H. S. Carslaw, The differentiation of a function of a function, «The Mathematical Gazette», 12, 170, 1924, p. 93; P. v. Szász, Über einen Mittelwertstaz, «Mathematische Zeitschrift», 25, 1926, p. 119. 4 Curiosi sono i commenti di Genocchi relativi a questa recensione: A. Genocchi a P. Tardy, Torino 25.7.1885, BUG, busta 12/106, c. 2r: «Nel Bulletin Darboux (pag. 170) un articolo piuttosto laudativo parla del mio Corso pubblicato con aggiunte del Dr Peano, ed è firmato A. Paraf. Chi si nasconde mai sotto questa cifra per me indecifrabile?»; P. Tardy a A. Genocchi, San Marcello Pistoiese 12.8.1885, FGP, ms. EE, c. 2r: «Non ricevendo qui il Bullettino di Darboux non ho visto l’articolo sul volume del Peano né capisco da quella cifra chi possa esserne l’autore»; A. Genocchi a P. Tardy, Torino 24.8.1885, BUG, busta 12/107, c. 2r: «Un telegramma di Aristide Marra annunziava al Boncompagni che A. Paraf sottoscritto ad un articolo del Bulletin Darboux è Amédée Paraf della Ecole Normale Supérieure di Parigi. È dunque un nome vero; ma ignoro che qualità abbia nella scuola N. S.»
il trattato genocchi - peano
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l’importanza dell’introduzione della teoria di Dedekind e dei paragrafi sui limiti superiore ed inferiore, e segnala un unico neo nel mancato inserimento dei classici teoremi sui limiti della somma e del rapporto degli infinitesimi: un’obiezione, questa, cui Peano risponderà implicitamente nel 1891, recensendo il volume di Calcolo infinitesimale di F. D’Arcais: La parte II, Infinitesimi, contiene, fra l’altro, i due noti principii fondamentali sui rapporti e sulle somme di infinitesimi […]. Ma a questo proposito mi sia permesso di osservare che il primo, quello riferentesi al rapporto di infinitesimi, è di applicazione così ovvia, che parmi non necessario venga espressamente menzionato; il secondo poi […] è dalla massima parte dei trattati enunciato sotto forma inesatta.1
L’obiezione di Paraf ha portata molto più ampia di quanto si potrebbe a tutta prima supporre: proprio la presenza del principio di sostituzione per gli infinitesimi è infatti uno dei parametri che stigmatizzano il passaggio fra i manuali di analisi ‘di seconda generazione’ – cui appartengono i testi di J.-M. Duhamel, J. Serret e C. Sturm – e quelli della ‘terza’, redatti da J. Tannery e E. Goursat.2 La scelta di sorvolare sul principio di sostituzione, unitamente all’attenzione per i fondamenti dell’analisi e per la costruzione dei numeri irrazionali basterebbero quindi da sole a rendere il Genocchi - Peano un testo all’avanguardia in campo internazionale. Secondo il giudizio espresso da A. Voss e A. Pringsheim nell’Enzyklopädie der Mathematischen Wissenschaften, il Genocchi - Peano è uno dei diciannove trattati che maggiormente hanno contribuito al rinnovamento dell’insegnamento dell’analisi a livello universitario.3 Peano stesso, nel 1916, elenca le principali novità contenutistiche del trattato, già rilevate nell’Enzyklopädie e successivamente ribadite da A. Mayer,4 e non esita ad asserire che il Genocchi - Peano è «citato in tutti i libri di Calcolo che contengono alcune righe di bibliografia».5 1 Giuseppe Peano, Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo infinitesimale, 1891e, p. 19. 2 Zerner 1986, pp. 10-13 e Zerner 1994, pp. 7-14. 3 Cfr. Alfred Pringsheim 1898, pp. 2, 26, 48, 49; Voss 1898, pp. 66, 72, 73, 77, 83, 92. 4 Adolph Mayer, Vorwort, in Peano 1899t, pp. iii-iv. 5 Giuseppe Peano, Pubblicazioni di G. Peano …, cit., 1916e, p. 1. Fra i manuali in cui è espressamente menzionato il Genocchi - Peano possiamo ad esempio citare: Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo Infinitesimale, I, Padova, Draghi, 1891, p. v; Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo Infinitesimale, 2a ed. con aggiunte e modificazioni, I, Padova, Draghi, 1899, p. v; Cesare Arzelà, Lezioni di Calcolo Infinitesimale date nella R. Università di Bologna, I, §1, Firenze, Le Monnier, 1901, p. iv; Ernesto Cesàro, Elementi di Calcolo Infinitesimale, 2a ed., Napoli, Alvano, 1905, pagina non numerata; Paul Mansion, Résumé du cours d’analyse infinitésimale de l’Université de Gand, Calcul différentiel et Principes de Calcul intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1887, p. viii; Otto Stolz, Grundzüge der Differential-und Integralrechnung, Leipzig, Teubner, 1893, pp. iii, ix, 45, 91, 134, 146, 226, 294, 458.
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Pur senza addentrarci in un’indagine sistematica, per lumeggiare l’influenza esercitata da questo trattato sulla manualistica successiva, risultano significative le parole con cui D’Arcais dichiara le sue fonti d’ispirazione: Le opere che più mi furono utili […] sono: in primo luogo le Lezioni di Analisi Infinitesimale (litografia) e Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili reali del nostro illustre professore Ulisse Dini, opere […] alle quali deve necessariamente ricorrere chi si accinge a scrivere un libro di analisi; il Calcolo differenziale e principî di Calcolo integrale del prof. Genocchi pubblicato con molte aggiunte e proprie considerazioni dal Prof. G. Peano, e Die Elemente der Differential und Integralrechnung di Axel Harnack, i quali due ultimi lavori, unitamente a quello del Lipschitz, segnarono ancor essi un progresso nei metodi coi quali devonsi trattare le ricerche spettanti al calcolo infinitesimale.1
Analogamente, in Belgio, P. Mansion così ribadisce l’influenza ricevuta nella redazione delle dispense del suo corso di analisi all’Università di Gand: Pour rédiger ce livre, nous avons consulté la plupart des bons Traités d’Analyse infinitésimale. […] Mais nous devons signaler spécialement, parmi les écrits qui nous ont servi de guide, les manuels de Cauchy et de Duhamel, le Lehrbuch der Analysisde M. Lipschitz, et, à partir du nº 214, le Cours de MM. Genocchi et Peano.2
Sul fronte della ricerca, lo studio dei limiti delle forme indeterminate è ripreso da W. Osgood,3 mentre H. Hancock riceve dal Genocchi - Peano lo stimolo per le nuove teorie sugli estremali delle funzioni di più variabili reali, sviluppate da G. Scheffers, dallo stesso Stoltz e da V. Dantscher.4 Nei Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo appare inoltre, a firma di A. Capelli, la relazione sul Genocchi - Peano, in cui si sottolinea il retaggio positivo avuto dalla polemica fra Peano e Gilbert sul trattato stesso: [Peano] fa in particolare delle osservazioni sull’importanza dell’enunciato, più generale del consueto, di un teorema fondamentale del calcolo, che ha dato luogo ad una recente polemica. (Nouvelles Annales des Math. 3èmè serie, vol. III. 1884) […]. Fa notare come in questo enunciato, che non suppone necessariamente la continuità delle derivate, si deve però intendere che ammetta f(x) dappertutto una derivata ordinaria. Con ciò restano escluse per le derivate le discontinuità così dette di prima specie; cioè il teorema si applica ad ogni funzione continua 1 Francesco D’Arcais, Corso di Calcolo Infinitesimale, cit., 1891, p. v. 2 Paul Mansion, Résumé … cit, 1887, p. viii. Egli, di fatto, utilizza il trattato del 1884 nell’esposizione della teoria dei massimi e minimi di funzioni di due variabili, dei determinanti funzionali, nello studio delle forme indeterminate, e così via (cfr. § 217, 226, 280, 303). Mansion aveva subito manifestato il proposito di studiare con attenzione il Genocchi - Peano e di utilizzarlo per la redazione del suo Corso. Cfr. P. Mansion a A. Genocchi, Anvers 17.10.1884 e Gand 28.10.1884, in Cassina 1952, pp. 349-350. 3 Cfr. William Osgood, The law of the mean and the limits 0, ∞ ∞, cit., 1898, p. 70. 4 Cfr. Harris Hancock, Theory of maxima and minima, cit., 1917, p. v.
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f(x) avente una derivata continua od anche affetta da discontinuità di seconda specie. Indica alcune applicazioni di questo teorema.1
A fianco dei giudizi positivi finora visti, si registrano tuttavia altri commenti non del tutto favorevoli. Hermite, ad esempio, nella sua corrispondenza con Genocchi esprime la convinzione che non si debba «concedere tanto al rigore» in sede di insegnamento elementare e afferma che mai «perderebbe tempo» a lezione per esporre le complicate dimostrazioni sulle funzioni discontinue di Darboux o per provare la non commutabilità delle derivate parziali seconde miste.2 La valutazione dei contenuti del Genocchi - Peano oscilla in effetti fra chi, come B. Levi, ritiene che siano troppo ristretti3 e chi, come G. Loria, è convinto del contrario.4 Questa valutazione di Loria è peraltro stata recentemente sposata da M. Zerner, che ritiene i Fondamenti del Dini e il Genocchi - Peano trattati di fondamenti della teoria delle funzioni di variabile reale, piuttosto che veri corsi di analisi infinitesimale.5 Analoga disparità di giudizi sarà espressa a proposito delle Applicazioni geometriche6 e delle Lezioni di Analisi Infinitesimale7 di Peano, e deriva 1 Seduta del 4.12.1884, Rivista bibliografica: Alfredo Capelli, Sul Trattato di Calcolo differenziale etc. di Angelo Genocchi pubblicato con aggiunte dal Dr. Giuseppe Peano (Torino, 1884), «Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo», I, 1884-1887, pp. 11-12. Tale relazione è segnalata in FCP, marginalia Peano 1884c, apposto sul risvolto di copertina. 2 C. Hermite a A. Genocchi, Paris 31.10.1884 in Cassina 1952, pp. 348-349 e Michelacci 2005, pp. 180-181. 3 Levi 1932, p. 256 e 1955, p. 14: «[fu un] volume che […] ebbe dal Peano, mediante chiose critiche e storiche, mediante esempi ed altre aggiunte, un carattere personale: pel quale, pur contenuto in un programma che, lungi dall’avvicinarsi all’ampiezza dei classici trattati del Serret, del Jordan, del Dini, può considerarsi ristretto anche per un nostro odierno Corso universitario, passò presto fra i classici di quel periodo critico […].» 4 Gino Loria, Angelo Genocchi …, cit., 1899, p. 124: «Non si tratta di un manuale nel senso ordinario […], specialmente non si tratta di un manuale per principianti, che non hanno preparazione sufficiente ad un completo rigore. Ciò non ostante, lo stile limpido in cui il libro è scritto farà sì che chiunque sia famigliare cogli elementi dell’analisi, potrà leggerlo agevolmente e trarne perenne utilità e non comune piacere.» 5 Cfr. Zerner 1994, p. 17. 6 Cfr. Relazione della Commissione incaricata di giudicare sul concorso alla cattedra di professore straordinario di calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino, «Bollettino ufficiale dell’Istruzione», a. XVIII, 16, 16.4.1891, p. 428: «Il trattato delle applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale è inferiore a molte opere sullo stesso argomento uscite prima e contemporaneamente al lavoro del Peano, avendo l’autore tralasciato molti dei più importanti capitoli della geometria differenziale, forse perché troppo preoccupato del metodo che ha voluto usare (il calcolo dei segmenti) metodo che non sarebbe opportuno introdurre nell’insegnamento in sostituzione di quelli classici»; Jules Tannery, G. Peano, Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, «Bulletin des Sciences Mathématiques», 2, 11, 1887, p. 237: «L’auteur de ces Applications géométriques du Calcul différentiel a moins cherché à accumuler dans son Livre des faits mathématiques qu’à éclaircir les définitions et à donner des notions à la fois générales et précises: il est, à cet égard, intéressant et satisfaisant; au surplus, la publication antérieure du Livre intitulé: Calcolo differenziale e principii di Calcolo integrale, […] avait déjà montré quelles étaient ses préoccupations.» 7 Le Lezioni di Analisi redatte da Peano per gli allievi dell’Accademia Militare sono considera-
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dalla sintomatica attitudine del matematico piemontese a considerare il libro di testo come uno strumento di formazione autonoma, che da un lato confida nella mediazione didattica del docente, e dall’altro esige autonomia di studio da parte dell’allievo. La fortuna del Genocchi - Peano è ampiamente dovuta al suo taglio innovativo rispetto ad altri celebri testi di analisi dell’epoca. L’innovazione di maggior rilievo che esso presenta è da individuarsi nell’ampio spazio dedicato ai fondamenti del Calcolo, e in particolar modo ai risultati della scuola tedesca. È sufficiente scorrere l’indice analitico del trattato del 1884 per percepire il rinnovo del suo impianto strutturale: mentre nei Cours di Camille Jordan1 o di Joseph Serret2 i principi del Calcolo si riducevano all’esposizione dei teoremi sugli infinitesimi, Peano affronta dettagliatamente temi come la costruzione dei numeri reali, l’esistenza del limite superiore, i teoremi sui limiti e sulle successioni di reali, la convergenza uniforme e così via. Diverso è anche il peso attribuito alla continuità e allo studio di funzioni. Mentre nei trattati – soprattutto in quelli francesi – apparsi fra il 1870 e il 1886, come quelli di J. Hoüel3 e di C. Hermite,4 la continuità è un tema poco o niente studiato, sulla scia di Genocchi e di Dini, Peano dimostra, con dovizia di dettagli, le proprietà fondamentali delle funzioni continue, fra cui il teorema dei valori intermedi. Né manca, nelle note di apertura del volume, un cenno agli studi fondamentali condotti da G. Darboux,5 largamente ignorati da parte degli analisti francesi contemporanei. L’attenzione per i fondamenti dell’analisi si riverbera poi in alcuni aspetti tecnici, e giustifica le critiche rivolte da Peano a Jordan, Serret e Sturm, per le imprecisioni relative all’esistenza della derivata, alla dimostrazione del teorema fondamentale del calcolo integrale e alle condizioni di validità della formula di Taylor.6 te nell’Enzyklopädie der Mathematischen Wissenschaften fra i diciannove trattati che maggiormente hanno influito sullo sviluppo del calcolo infinitesimale; da B. Levi sono invece considerate, come già il Genocchi - Peano, troppo schematiche (Levi 1955, p. 9). 1 Camille Jordan, Cours d’Analyse de l’Ecole Polytechnique, t. 1, Calcul différentiel, Paris, Gauthier-Villars, 1882, t. 2, Calcul intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1883, t. 3, Paris, Gauthier-Villars, 1887. 2 Joseph Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier Villars, 1a ed. 1868, 2a ed., 1879. 3 Jules Hoüel, Cours de calcul infinitésimal, Paris, Gauthier Villars, 1878. 4 Charles Hermite, Cours [de calcul infinitésimal] professé à la Faculté des Sciences pendant le 2. semestre, 1881-1882, Paris, Gauthier Villars, 1882. 5 Gaston Darboux, Mémoire sur les fonctions discontinues, «Annales Scientifiques de l’École Normale Supérieure», s. 2, IV, 1875, pp. 57-112. 6 Cfr. Peano 1884c, pp. xii-xiv, xvii-xix, xxv-xxvi.
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Il trattato dell’84 viene così ad inserirsi in un nuovo filone di manuali per l’insegnamento dell’analisi, avviato in Italia dalla pubblicazione in litografia dei Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili reali di U. Dini e contraddistinto da un taglio più rigoroso ed astratto. A livello europeo il Genocchi - Peano contribuirà a sua volta a sancire il decollo di questa tipologia di trattatistica, cui afferiscono, dopo il 1884, i corsi di analisi di Jules Tannery,1 la seconda edizione del Cours di Camille Jordan2 e i manuali di O. Stolz e P. Mansion.3 Simile per impostazione e metodologia al trattato di Dini, il Genocchi Peano se ne discosta però a livello contenutistico, presentando solo una parte delle teorie svolte dal matematico pisano, senza quindi illustrare argomenti, come ad esempio le funzioni non derivabili di una variabile reale su un insieme di punti, che esulavano dai confini del corso di analisi tenuto tradizionalmente all’Università di Torino. Le fonti stesse consultate dai due autori sono differenti: per Dini è H.A. Schwarz in primis a costituire il tramite per la conoscenza dei risultati della scuola tedesca, mentre Peano è orientato prevalentemente dalla lettura degli scritti di A. Harnack e di P. Du Bois Reymond.4 Nonostante l’approccio assai moderno ai fondamenti dell’analisi, anche il Genocchi - Peano presenta tuttavia alcuni nei. Essi sono ravvisabili ad esempio nell’eccessiva concisione con cui sono introdotti i reali e nella presentazione dell’integrazione come operazione inversa della derivazione. Quest’approccio adottato da Peano in sede didattica appare antiquato, se si pensa che in Italia, negli stessi anni, Cesare Arzelà stava elaborando per questo tema una trattazione diversa e più articolata.5
1 Jules Tannery, Introduction à la théorie des fonctions d’une variable, Paris, Hermann, 1886. 2 Mosso dall’intenzione di ovviare alle critiche mosse da Peano e da altri colleghi al suo Cours del 1882-1887, Jordan pubblicherà nel 1893 una nuova edizione del suo trattato interamente rivista ed emendata, nella quale ampio spazio è attribuito ai risultati sui fondamenti dell’analisi. Uno studio comparato delle due edizioni del Cours di Jordan è condotto in Hélène Gispert, Camille Jordan et les fondements de l’analyse. Comparaison de la 1ère édition (1882-1887) et de la 2ème (1893) de son cours d’analyse de l’Ecole Polytéchnique, Paris, Université de Paris-Sud, 1982 («Publications mathématiques D’Orsay», 82-05). 3 Otto Stolz, Vorlesungen über allgemeine Arithmetik, Leipzig, Teubner, 1885; Paul Mansion, Résumé du cours d’analyse infinitésimale de l’Université de Gand: Calcul différentiel et calcul intégral, Paris, Gauthier Villars, 1887. 4 Cfr. Axel Harnack, Die Elemente der Differential und Integral Rechnung, Leipzig, Teubner, 1881; Paul Du Bois-Reymond, Die allgemeine Functionentheorie. I. Teil. Metaphysik und Theorie der mathematischen Grundbegriffe: Grösse, Grenze, Argument und Function, Tübingen, Laupp, 1882. 5 Sui contributi di Arzelà a questo proposito cfr. Veronica Gavagna, Cesare Arzelà e l’insegnamento della matematica, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XII, 2, 1992, pp. 265-268.
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erika luciano 6. I marginalia di Peano al trattato del 1884 e i riflessi sull’insegnamento successivo
A partire del 1884 Peano progressivamente modifica la struttura dei suoi corsi, come si evince da un manoscritto di Lezioni di Calcolo, a cura degli studenti di Peano, non datate, ma ascrivibili agli anni 1885-1889.1 Nell’anno accademico 1885-86 abbandona l’esposizione della teoria delle funzioni interpolari, introduce nell’insegnamento le formule di quadratura e i relativi resti e nel 1891, commentando alcuni paragrafi del Genocchi - Peano, confida a Cesàro: Per alcuni anni diedi in iscuola questi teoremi sulle funzioni continue; ma da molto tempo non li espongo più (nel corso di Calcolo) limitandomi ad accennarli, ed ammetterli come precedentemente dimostrati quando ne ho bisogno. E faccio questo onde poter trattare più ampiamente altre questioni che paionmi di maggiore importanza pratica. Ma se avessi da darli nuovamente, o pubblicare una nuova edizione del libro, cambierei tutte le dimostrazioni …2
La dinamica di queste modifiche trova riscontro nell’analisi dei contenuti inseriti nel trattato del 1884, nelle Applicazioni (1887) e nelle Lezioni di Analisi (1893): pur tenendo presente il diverso pubblico di lettori cui questi testi sono rivolti, si rileva infatti uno spostamento dell’asse concettuale nella scelta dei temi e soprattutto nella metodologia didattica. Entrambe questi aspetti possono essere giustificati tenendo conto del fatto che, nel periodo immediatamente successivo all’edizione del Genocchi Peano, Peano si era accostato ai metodi e alle notazioni del calcolo geometrico, e, parallelamente, aveva iniziato ad interrogarsi sull’opportunità di elaborare un’ideografia logico-matematica, funzionale sia all’attività di ricerca, sia alla didattica. Proprio in conseguenza di ciò, le Lezioni di Analisi possono segnare, come asserisce B. Levi, un regresso rispetto al trattato del 1884 a livello di rigore espositivo,3 ma nel contempo ne rap1 Cfr. Giuseppe Peano, Lezioni di Calcolo, ms. litografato, cc. 1r-178v, nn., Archivio Privato del Prof. E. Casari. 2 G. Peano a E. Cesàro, Torino 20.1.1891, in Palladino 2000, p. 20. 3 Levi 1932 p. 262, 1955, p. 21: «[…] e qui voglio ancora ricordare una caratteristica per così dire pratica del pensiero e dell’insegnamento del Peano, che potrebbe parere in opposizione colle astrattezze dell’assoluto rigore: chi esamini le Lezioni di Analisi infinitesimale che riproducono il Corso quale egli impartì fra il 1890 e il 1900 nella R. Accademia Militare e nella R. Università di Torino a scolaresche miste di aspiranti alla scienza pura e alla pratica applicazione, non trova né ricerca di generalità, né minuzia di condizioni per la validità delle proposizioni; nonostante qualche divagazione attraverso gli argomenti prediletti, notazioni logiche e calcolo geometrico, l’Autore procede rapido ammettendo tutte le condizioni di continuità che nella pratica si verificano e che consentono agli enunciati e alle dimostrazioni la massima semplicità.»
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presentano il completamento, essendo arricchite di nuovi paragrafi, dedicati alla logica e alla teoria dei complessi ad n-unità.1 Non stupisce allora che, all’atto di curare l’edizione tedesca del Genocchi - Peano, si sia scelto di integrare la versione italiana proprio con la traduzione di quei paragrafi delle Lezioni di Analisi,2 né stupisce che, citando nei lavori successivi il suo trattato, Peano ricorra sovente all’edizione tedesca.3 Il maggior peso della logica e dei temi dell’analisi algebrica, e la progressiva acquisizione di una mentalità operatoriale e funzionale, che emergono nelle ricerche di analisi di questi anni, riflettono le nuove esigenze dei progressi compiuti dalla ricerca analitica, e sono presenti anche nelle lezioni litografate dei corsi tenuti da Peano nel 1891 e nel 1904.4 Essi costituiscono uno dei trait d’union fra il Genocchi - Peano e il Formulario di Matematica, definito non a caso dallo stesso Peano: un trattato, più completo dei miei precedenti, di Calcolo Infinitesimale incluse le parti introduttorie, Aritmetica, Algebra e Geometria.5
Fra il 1884 e il 1899 Peano conduce un attento esame delle ambiguità linguistiche ancora presenti nel Genocchi - Peano. Alcune tracce di quest’analisi affiorano nelle sue corrispondenze. Ad esempio egli scrive a E. Cesàro nel gennaio del 1891: Riesaminai la dimostrazione del teorema di Cantor, a pag. 13 e 14 del Calcolo differenziale ecc. di A. Genocchi, da me pubblicato, e la trovo del tutto rigorosa. Salvochè la dicitura non è la migliore […]. Ritornando a questa dimostrazione, essa mi pare rigorosa. Forse c’è pericolo di ambiguità nella 3a ultima riga di pag. 13, ove dico che le quantità della serie possono crescere in modo da raggiungere b. Con queste parole non intendo di affermare che esse crescano in modo da raggiungere b, cosa che non sarebbe vera; ma semplicemente che si può scegliere la serie in modo tale che esse crescano in modo da raggiungere b. Quindi Ella mi farà assai piacere a segnalarmi le difficoltà che vi ha trovato. […] E io spero che Ella vorrà anche parlarmi di altre questioni di Matematica; e poiché noi dobbiamo fare lo stesso insegnamento, e quindi incontrare sulla nostra via le stesse difficoltà, io mi permetterò di sottoporre anche qualcuna al suo giudizio.6 1 Giuseppe Peano, Lezioni di analisi infinitesimale, 1893h, vol. I, pp. 9-10, 132-136, 259-266, vol. II, pp. 1-140. 2 Il capitolo di Peano 1899t sulla teoria dei complessi è parzialmente tradotto dalle Lezioni di Analisi, 1893h, vol. II, pp. 1-140. 3 Giuseppe Peano, Formulaire de Mathématiques, 1899b, pp. 133, 171, 174; Formulaire de Mathématiques, 1901b, p. 148; Formulaire mathématique, 1903f, p. 179. 4 Lezioni di calcolo infinitesimale del prof. G. Peano per cura di C. S. Meriano, 1891n; Lezioni di Calcolo infinitesimale tenute dal prof. G. Peano nella R. Università di Torino, 1904, Stenografate da Igino De Finis, 1904d. 5 Giuseppe Peano, Pubblicazioni di G. Peano, cit., 1916e, p. 8. 6 G. Peano a E. Cesàro, Torino 14.1.1891, in Palladino 2000, pp. 17-18.
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A distanza di appena pochi giorni Peano torna sull’argomento proponendo di emendare così il testo del trattato del 1884: Le espressioni di cui mi servii a pag. 13 lasciano molto a desiderare. Invece delle parole (linea ultima) le quantità a, a1, a2, … tenderanno verso un limite, e sia c si legga: Sia c il limite superiore di tutte le possibili quantità a, a1, …1
Una fonte preziosa per documentare le ricerche di Peano in campo analitico in questi anni è inoltre fornita dai marginalia da lui apposti sulla sua copia del Genocchi - Peano, conservata a Parma. Essi costituiscono una sorta di memorandum in cui sono registrati, con accuratezza, le fasi, i tentativi e i risultati dell’analisi logico-linguistica condotta sul trattato di Calcolo.2 Si tratta di oltre seicento note autografe, la cui datazione risale agli anni 1884-1899. Il termine post quem è giustificato dal fatto che le annotazioni comprendono le correzioni dei refusi tipografici, apportate in fase di revisione di bozze per stilare l’Errata Corrige apposto al termine del volume.3 Il limite ante quem è invece dovuto ai riferimenti e confronti fra l’edizione italiana e quella tedesca, risalente appunto al 1899.4 A ridosso dell’uscita del trattato Peano registra, sul risvolto di copertina e sulle pagine bianche del volume, la dichiarazione di Genocchi di estraneità pubblicata sugli «Annali di Matematica» e l’intervento da lui inviato in risposta alla dichiarazione apparsa invece sulla rivista belga «Mathesis». Trascrive poi i commenti lusinghieri che avevano accolto il trattato: la recensione di A. Paraf, la relazione di A. Capelli, il giudizio eccellente di P. Mansion, la prefazione alla terza edizione del Cours d’Analyse di P. Gilbert, in cui quest’ultimo dichiarava di essersi «particolarmente ispirato» al Genocchi - Peano e, infine, la recensione a questo testo curata da P. Fambri e P. Cassani, in cui gli autori ne ribadivano il rigore: In questi ultimi tempi apparvero tre opere magistrali di calcolo differenziale ed integrale. Essi dal lato del rigore dimostrativo soddisfano pienamente alle esigenze dei tempi: d’una è autore il Ch.mo sig. Jordan, d’un’altra i nostri lodatissimi Genocchi e Peano, della terza l’illustre sig. Gilbert.5 1 G. Peano a E. Cesàro, Torino 20.1.1891, in Palladino 2000, pp. 19-20. 2 La correzione elaborata da Peano, a seguito delle obiezioni sollevate da Cesàro, è ad esempio registrata in FCP, marginalia Peano 1884c, p. 13. 3 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 4, 7, 13, 16, 18, 19, 25, 28, 32, 43, 44, 45, 48, 50, 61, 71, 73, 77, 97, 110, 117, 124, 148, 150, 153, 172, 173, 178, 188, 190, 207, 224, 245, 275, 277 e 282. 4 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xiii. 5 FCP, marginalia Peano 1884c, apposto sulla pagina non numerata della Prefazione; Paulo Fambri, Pietro Cassani, Relazione intorno al nuovo corso d’analisi infinitesimale del prof. Filippo Gilbert dell’Università di Lovanio, «Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», VII, 1888-1889, pp. 589-601, la citazione qui riportata si trova a p. 590.
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Accanto ai marginalia di Peano si trovano poi alcune note, talora scritte su foglietti bianchi inseriti nel Genocchi - Peano, ma autografe di U. Cassina: ad esempio, nella pagina della Prefazione, a fianco della frase «mi obbligò a importanti aggiunte e a qualche modificazione» Cassina scrive: «Ecco la frase che deve aver offeso Genocchi!».1 Frutto di un accurato e continuo lavoro di revisione e di integrazione, i marginalia di Peano comprendono complementi e appunti per dimostrazioni alternative,2 correzioni,3 e integrazioni bibliografiche.4 Queste ultime testimoniano, fra l’altro, le ricerche svolte da Peano, in corso di edizione, per redigere le sue Annotazioni iniziali. Esse sono state redatte dopo l’uscita dei primi ventidue fascicoli e sono infine confluite nei due fascicoli di «aggiunte», in apertura al volume.5 Altre note, risalenti agli anni successivi alla stampa del volume, comprendono citazioni e appunti su quei matematici che, alla luce della pubblicazione del Genocchi - Peano, hanno corretto le inesattezze e gli errori segnalati nei loro trattati o ne hanno tratto spunti per modificare le loro esposizioni. Ad esempio Peano commenta a pagina XI: Il Gilbert, nella 3a edizione (1887) pag. 61 si corregge e fa rilevare l’errore in cui era caduto.6
A piè di pagina, dopo l’annotazione contenente il celebre controesempio sulla teoria dei minimi e massimi per funzioni di due variabili, Peano segna invece i nomi di F. Richelot, P. Schiermacher, K.A. Posse e B. Bukreiew che, fra il 1884 e il 1893, hanno ripreso e ampliato tale risultato.7 A fianco del teorema sui determinanti Jacobiani, erroneamente enunciato da J. Bertrand, Peano osserva invece che «il Laurent, pag. 164 riporta questo teorema»:8 un cenno, questo, che utilizzerà nella sua recensione al Traité d’Analyse (1892).
1 FCP, marginalia Peano 1884c, autografo di U. Cassina, apposto sulla pagina non numerata della Prefazione. 2 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. xv, 1, 3, 4, 6, 7, 8, 11, 12, 22, 23, 25, 26, 28, 29, 30, 35, 38-39, 42, 43, 44-45, 46, 49, 50-51, 53, 61, 62, 63, 64, 65, 68, 70, 71, 72, 78, 79, 80, 82, 84, 85, 87, 89, 90, 91, 93, 94, 95, 96, 99, 106, 107, 108-109, 110, 111, 114, 116, 117, 118, 119, 148, 176, 177, 182, 183, 191, 192, 194, 195, 200, 203, 214, 219, 220, 222, 223, 228, 242, 251, 269, 274, 275, 276, 277, 282, 283, 284, 309, 316, 317, 327, 331, 332, 333. 3 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 13, 76, 97, 112, 120, 139, 253, 255, 259. 4 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. vii, ix, xvi, xxvii, 5, 13, 27, 29, 30, 31, 36, 43, 44, 53, 57, 65, 68, 69, 78, 85, 89, 90, 91, 92, 93, 99, 103, 115, 116, 117, 118, 120, 122, 124, 129, 131, 144, 149, 172, 191, 195, 208, 218, 220, 252, 264, 266, 267, 269, 274, 275, 276, 277, 282, 299, 313, 318, 328, 330. 5 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 3, 10, 20, 29, 50, 52, 54, 58, 64, 65, 69, 70, 71, 90, 107, 108, 123, 124, 125, 128, 178, 215, 224, 262. 6 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xi. 7 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xxix. 8 FCP, marginalia Peano 1884c, p. xxvii.
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Numerosi marginalia, inoltre, comprendono la traduzione in linguaggio logico-matematico delle proposizioni del trattato del 1884.1 Essa è stata condotta ricorrendo a differenti sistemi simbolici e i marginalia registrano il processo per prove ed errori con cui Peano ha elaborato il suo linguaggio ideografico e lo ha applicato nell’ambito analitico. L’interesse per le notazioni in uso nei differenti trattati emerge a partire dal 1887 ed è confermato dal commento sui segni impiegati da Gilbert nella terza edizione del suo Calcolo: – per ≥ e ⬍ – per ≤; VA per valore assoluto di; M per medio.2 Propone il segno ⬎
Nel paragrafo sul concetto di limite, su cui Peano si sofferma fra il 1892 e il 1895, molte proposizioni sono accostate alla loro traduzione in linguaggio ideografico, con il ricorso a simboli poi abbandonati da Peano. Nella relazione (A 䉰 lim E) 艚 (B 䉰 lim E) < (A = B)3
che esprime il teorema secondo cui «una quantità non può tendere contemporaneamente verso due limiti diversi» compare infatti il segno < per denotare l’implicazione fra classi, poi sostituito con il simbolo 傻, mentre il segno 䉰 cadrà successivamente in disuso. A pagina 8 si trova invece l’espressione in linguaggio ideografico del concetto di limite superiore: A sia una classe di N.[umeri] Def. lim sup A = x : {[A(> x) = 0] 艚 [y : {(y < x) 艚 [A(> y) = 0]} = 0]}4
Proprio l’esame di questi marginalia, unitamente a quello delle note autografe alle Lezioni di analisi infinitesimale del 1893, apposte sulla copia in possesso di Peano, oggi conservata nella Biblioteca Civica di Cuneo,5 ha consentito di evidenziare un legame fra questi trattati e di mostrare come essi abbiano costituito una delle basi contenutistiche per la redazione dei capitoli di calcolo differenziale ed integrale del Formulario di Matematica. 1 FCP, marginalia Peano 1884c, pp. 1, 4-5, 6, 7, 8, 10, 11, 28, 36, 42, 49, 55, 59, 61, 62, 106, 127, 149, 152, 170, 218, 229, 230, 231, 235, 237. 2 FCP, marginalia Peano 1884c, apposto sul risvolto di copertina. 3 FCP, marginalia Peano 1884c, p. 5. 4 FCP, marginalia Peano 1884c, p. 8. 5 Giuseppe Peano, Lezioni di analisi infinitesimale, 1893h, BCC, vol. I, marginalia pp. 1, 3, 4-5, 6, 7, 8, 12, 13, 14, 15, 16, 21, 33, 54, 58, 61, 64, 85, 105, 123, 124, 127, 130, 137, 138, 154, 155, 163, 165, 191, 211, 216, 217, 218, 219, 221, 223, 224, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 236, 243, 245, 247, 259, 262, 264, 265, 271, 278, 283, 288, 290, 298-299, 305, 306, 309, 312, 313; vol. II, marginalia pp. 2, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 19, 28, 33, 34, 39, 42, 43, 44, 48, 54, 55, 59, 60, 62, 63, 66, 73, 74, 78, 84, 96, 108, 115, 121, 130, 135, 136, 141, 149, 150, 193, 195, 210, 211, 212, 213, 214, 220, 221, 230, 231, 232, 233, 235, 236, 237, 240, 242, 244, 245, 248, 255, 259, 261, 262, 263, 264, 267, 268, 269, 270, 274, 275, 276, 277, 279, 280, 282, 283, 285, 286, 287, 288, 290, 291, 294, 295, 296, 300, 302, 303, 304, 305, 307, 308, 309, 316, 317, 318, 321, 323.
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In conclusione, nel volgere di una decina di anni, l’interesse di Peano per gli aspetti formali si traduce in attenzione per il simbolismo matematico. I marginalia al trattato del 1884 riflettono apertamente il duplice spirito che anima l’elaborazione da parte di Peano del suo linguaggio logico-simbolico: essa da un lato risulta motivata dalla volontà di fornire uno strumento utile per la ricerca, dall’altro è dovuta all’intenzione di implementare la precisione e il rigore nell’insegnamento dell’analisi. Peano stesso mostra del resto piena consapevolezza del fatto che l’introduzione del linguaggio e degli strumenti logici nelle scuole deve essere graduale e mediata, come si evince dalla lettera che scrive a E. Catalan nel 1892: Or, dans notre cas, je suppose données les idées générales de logique […]. L’homme acquiert ses cognitions non seulement au moyen de la déduction (définitions, syllogismes, etc.), mais aussi, et spécialement dans sa jeunesse, par l’induction, la généralisation, l’abstraction, etc. Et il convient dans l’enseignement tirer parti de toutes les cognitions précédentes, et de toutes les qualités de l’âme, au lieu de se servir seulement de quelqu’unes. Cela n’empêche pas qu’on puisse ensuite étudier ce qu’on peut déduire, en supposant seulement certaines idées, et sans se servir des autres. […] Les études de cette nature ne sont pas, je crois, stériles. On voit sous des points différents les éléments de la mathématique; et lorsque ces théories sont suffisamment élaborées, on les peut substituer ou partiellement ou en totalité dans l’enseignement à d’autres théories. Mais il ne faut pas, de l’autre coté, exagérer, et croire qu’on puisse tout-de-suite expliquer dans les écoles, les définitions et les théorèmes, p. ex., sous la forme que j’ai publié. Ils seront simplement incomprensibles.1
I marginalia offrono allora un bell’esempio della feconda interazione fra l’attività di ricerca e la docenza che costituisce una delle più efficaci chiavi di interpretazione dell’intera opera di Giuseppe Peano. Appendice La polemica Gilbert-Peano 1. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-2r. Carissimo Tardy, Domenica scorsa (9 Marzo) la nostra Accademia tenne adunanza a classi unite per festeggiare il centenario della sua fondazione. Lesse il Presidente Fabretti2 1 G. Peano a E. Catalan, Torino 25.1.1892, in François Jongmans, Quelques pièces choisies dans la correspondance d’Eugène Catalan, «Bulletin de la Société Royale des Sciences de Liège», 50, 9-10, 1981, pp. 307-308. 2 Ariodante Fabretti è presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino dal 1883 al 1885.
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un bel discorso sulle vicende del nostro sodalizio, e il Tesoriere Barone Manno1 un ragguaglio di documenti manoscritti che si trovavano nei vecchi scaffali dell’Accademia. Poi fu distribuito agli Accademici un grosso volume che già vi annunziai e che contiene le mie Note biografiche intorno a Luigi Lagrange.2 Credo che questo volume si mandi a tutti i Corrispondenti dell’Accademia e quindi lo avrete ricevuto o lo riceverete anche voi; ma ignoro che si siano destinati esemplari a parte del mio articolo, e non ho osato di chiedere se si diano o non si diano, ma il mio articolo era già stampato da più d’un anno, cosicché a quest’ora non devo più aspettarne esemplari a parte. In pochi giorni sarà pure pubblicato il primo fascicolo degli Atti della stessa Accademia pel nuovo anno 1883-84. Il Peano ha pubblicata la seconda dispensa delle lezioni // di calcolo che va incirca fino alla pag. 150.3 Egli ha scritto al Jordan4 comunicandogli una dimostrazione che non abbisogna della continuità della derivata e che è la stessa data da me nel mio Corso orale,5 ovvero con poche modificazioni quella che è riferita dal Serret nel suo Trattato e da lui attribuita ad Ossian Bonnet.6 Nei Comptes rendus ho stampato un sunto d’alcune mie vecchie ricerche intorno all’esistenza di certi numeri primi.7 Me ne diede occasione l’annunzio di ricerche analoghe d’un M. Lefébure che prima aveva preteso di poter dimostrare il teorema del Fermat (xn + yn = zn impossibile per n > 2) e anzi (se non erro) è uno dei due concorrenti pel premio stabilito sopra tale questione dall’Accademia di Brusselle, premio che non fu assegnato ad alcuno.8 La questione della tautocrona fu trattata di nuovo dal prof. Formenti nei Rendiconti dell’Istituto Lombardo ove chiamò l’attenzione a studi del Lagrange9 1 Antonio Manno è vice tesoriere dell’Accademia delle Scienze di Torino dal 1879 al 1883 e tesoriere dal 1883 al 1889. 2 A. Genocchi, Note Biografiche intorno ai tre fondatori della R. Accademia delle Scienze, I Luigi Lagrange, in A. Manno, Il primo secolo della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Notizie Storiche e Bibliografiche, 1783-1883, Torino, Paravia, 1883, pp. 86-95. 3 Peano 1884c. Le prime due dispense comprendevano il Capitolo I, Delle funzioni (pp. 1-30), il Capitolo II, Delle derivate (pp. 31-53), il Capitolo III, Delle Serie (pp. 54-125) e il Capitolo IV, Delle funzioni di più variabili. Funzioni implicite (pp. 126-148). 4 La lettera di G. Peano a C. Jordan, Torino 16.2.1884, è edita in Borgato 1991, pp. 93-95. Tardy cita le osservazioni di Peano a Jordan nella lettera ad A. Genocchi, Genova 1.3.1884, FGP, ms. EE, c. 2v: «Il Peano ha cominciato a stampare le lezioni di Calcolo? Vidi di lui una rettificazione al Jordan che fu trovata giusta dall’autore. In quanto alla formola f(x + h) – f(x) = hf'(x + ©h) anch’io sono poco persuaso che non sia necessaria la continuità delle derivata.» 5 Cfr. A. Genocchi, [Calcolo differenziale 1865-66], FGP, ms. S1, f. 6, cc. 1r-2v; [Calcolo differenziale], ADT, cc. 91-96; Calcolo Differenziale, BCT, cc. 48-52. 6 Cfr. J. A. Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. I, pp. 17-19 (edizione da me consultata, 3a, 1886, vol. I, pp. 17-19). 7 A. Genocchi, Sur le diviseurs de certains polynômes et l’existence de certains nombres premiers, «Comptes Rendus de l’Académie des Sciences», XCVIII, 1884, pp. 411-413. 8 A. Lefébure, Sur la composition de polynômes algébriques qui n’admettent que des diviseurs premiers d’une forme déterminée, «Comptes Rendus de l’Académie des Sciences», XCVIII, 1884, pp. 293295, 413-416. 9 C. Formenti, Espressione generale di Lagrange della forza atta a produrre un movimento tautocrono, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo», 2, XVI, 1883, pp. 927-936.
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di cui non avevano fatto cenno né il Bertrand né il Brioschi1 ma ch’io aveva notati da molti anni proponendomi di parlarne, e che ho menzionati nelle suddette mie Note biografiche.2 // Leggerò appena potrò la Memoria che m’indicate del Thomé.3 Il Darboux fu eletto dall’Accademia di Parigi a successore del Puiseaux.4 Ho salutati per voi gli amici D’Ovidio5 e Siacci6 che vi ringraziano e vi rendono il saluto. Scrivetemi subito se non volete dimenticarvene di nuovo, state sano e credetemi Torino (14 via Rossini), 11 marzo 84 Vro Affmo Amico A. Genocchi
2. P. Tardy a A. Genocchi, Genova 13.3.1884, FGP, ms. EE, cc. 1r-2v. Carissimo Genocchi, vi scrivo subito due righe, perché domani l’altro parto per Roma. Vado a passare là alcuni giorni con mio nipote, e più tardi andrò in Toscana da una delle nipoti. Probabilmente farò la Pasqua fuori di Genova, ma non sono ancora del tutto deciso. Una volta, quando non ero solo, faceva dei progetti ben definiti; ora mi lascio guidare un po’ dalle circostanze, inoltre più che spesso mi prende // la smania di mutare, come se il cangiamento dovesse farmi del bene, o recarmi un conforto. Vi ringrazio della vostra lettera, e del piccolo lunario, e delle notizie che mi date.7 Conosceva la dimostrazione di quella formola data dal Bonnet, e riferita dal Serret. Ora non ho il tempo di riguardarla, ma l’impressione che mi è rimasta si è che le condizioni imposte alla derivata ne implicassero la continuità.8 Aveva pure veduto l’articolo del Formenti, il quale mentre ha delle // osservazioni giuste, in qualche punto non mi soddisfa.9 Ora faccio i preparativi per la partenza, e non ho la quiete per occuparmi d’altro. Ho sviluppato un altro calcolo non fatto dal Thomé, e mi pare di avere anche semplificata la deduzione di una sua formola.10 1 F. Brioschi, Intorno al problema delle tautochrone, «Bullettino di Bibliografia e Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche (Boncompagni)», 9, 1876, pp. 241-246. 2 Cfr. nota 2, p. 256. 3 Genocchi allude qui ai due saggi di L.W. Thomé, Zur Theorie der linearen Differentialgleichungen, «Journal für die reine und angewandte Mathematik (Crelle)», 74, 1872, pp. 193-217 e L.W. Thomé, Zur Theorie der linearen Differentialgleichungen (Fortsetzung; siehe Bd. 74 und 75 dieses Journals), «Journal für die reine und angewandte Mathematik (Crelle)», 76, 1873, pp. 273-302. 4 Gaston Darboux (1842-1917) fu eletto nel 1884 socio dell’Accademia delle Scienze di Parigi, sul posto lasciato vacante da Victor Alexandre Puisieux (1820-1883) e nel 1900 divenne segretario dell’Accademia. 5 Enrico D’Ovidio (1843-1933). 6 Francesco Siacci (1839-1907). 7 A. Genocchi a P. Tardy, Torino 11.3.1884, BUG, busta 12/86, cc. 1r-2r. 8 Cfr. note 5 e 6, p. 256. 9 Cfr. nota 9, p. 256. 10 Cfr. nota 3, p. 257.
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Cremona1 mi ha scritto una riga per dirmi che Hirst2 è a S. Remo e che forse tra qualche giorno passerà per Genova. Mi rincresce moltissimo di non trovarmi, e perdere così l’occasione di rivedere quell’uomo tanto simpatico. // Penso con piacere che più tardi (forse nel Giugno) potrò trovarmi con voi in Torino, se non sorgeranno ostacoli. Addio, carissimo Genocchi, vogliatemi sempre bene, e credetemi Vo Aff. P. Tardy È forse il Bona l’editore del trattato di Calcolo del Peano?3 Vi do il mio indirizzo di Roma, se mai voleste scrivermi: 133. Via Principe Umberto. Del resto le lettere mandate a Genova mi saranno sempre recapitate.
3. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 10.4.1884, BUG, busta 12/87, cc. 1r-2r. Carissimo Tardy, Ricevetti a suo tempo la grata vostra del 13 marzo che mi annunziava la vostra partenza per Roma e la probabile vostra dimora fuori di Genova fin dopo Pasqua.4 Scrivo nondimeno a Genova come mi suggerite poiché non avete potuto assegnar preciso il tempo né il luogo della vostra assenza. Intanto sin dal giorno 11 marzo ho ripreso le mie lezioni all’Università5 senza troppo incommodo anzi con qualche vantaggio per le distrazioni che mi procurano togliendomi alla noia del vivere solitario. Ne ho fatte undici e spero di continuarle dopo le vacanze pasquali.6 Sono solito anche di assistere alle adunanze della nostra Accademia delle Scienze. Seppi che il libro del Centenario non si mandava ai Corrispondenti, e a me non furono dati esemplari a parte delle mie Note biografiche intorno al Lagrange;7 ma il prof. Giuseppe Molinari, Assistente alla Segreteria dell’Accademia, al quale io manifestai il desiderio che uno di quei volumi potesse venirvi mandato, lo comunicò al Presidente prof. Ariod. Fa1 Luigi Cremona (1830-1903), professore ordinario di Geometria superiore all’Università di Bologna e di Statica grafica al Politecnico di Milano, nel 1873 si trasferì a Roma come direttore della Scuola d’Ingegneria. I suoi contributi più importanti riguardano lo studio delle corrispondenze algebriche birazionali, poi dette cremoniane, e la geometria algebrica, di cui pose le basi. Cfr. Luigi Cremona (1830-1903), Convegno di Studi matematici, Milano 16-17 ottobre 2003, Milano, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 2005. 2 Thomas Archer Hirst (1830-1892), docente di fisica all’University College di Londra, lasciò importanti contributi sulle trasformazioni cremoniane e il suo lavoro su questo tema fu insignito della medaglia della Royal Society nel 1883. 3 Il trattato del 1884 fu pubblicato dalla casa editrice Fratelli Bocca e fu stampato a Torino per i tipi di Vincenzo Bona, come si legge sul retro del frontespizio. 4 P. Tardy a A. Genocchi, Genova 13.3.1884, FGP, ms. EE, cc. 1r-2v. 5 Genocchi tenne le sue lezioni dall’11.3.1884 fino al termine dell’anno scolastico; l’ultima lezione è datata 24.5.1884. Cfr. Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 4v-6v. 6 Si tratta delle lezioni tenute nei giorni 11, 13, 18, 20, 22, 25, 27 e 29 del mese di marzo, 1, 3 e 5 aprile. Il corso di Genocchi riprese regolarmente, dopo la pausa delle vacanze pasquali, il 17 aprile 1884. Cfr. Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 4v-5v. 7 Cfr. nota 2, p. 256.
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bretti e questi avendone più d’uno ebbe la gentilezza di darne uno al Molinari che s’incaricò di trasmetterlo per la posta sinchè già da qualche tempo sarà giunto al vostro domicilio in Genova. Mi avete fatto cenno dei vostri studi per spiegare e semplificare la deduzione d’alcuna formola del Thomé. Non sarebbe utile che li pubblicaste?1 Il Serret, dopo aver riportata la dimostrazione di Ossian Bonnet per la formola f (x0 + h) – f(x0) = hf' (x0 + ıh) dice espressamente ch’essa non suppone la continuità della derivata; la sola condizione espressa è che la derivata abbia un valore determinato per ogni valore di x nell’intervallo da x0 ad x0 + h.2 Ora una funzione può avere un valor determinato in un intervallo anche lungo senza esser continua e si può immaginare che l’in//tervallo sia diviso in molte parti, che in ciascuna parte la funzione sia continua e si riduca a qualche funzione nota, e che nel passaggio dall’una all’altra parte prenda per esempio il valore zero. Trovo nel Serret una funzione che rappresento con 2
∞
∫0 senat tcos xt dt
e che per x < a ha il valore 1, per x = a il valore 21 e per x > a il valore zero: ecco dunque una funzione discontinua che ha sempre un valor determinato.3 La dimostrazione di Ossian Bonnet a me quando la lessi parve esatta o facilmente riducibile all’esattezza, ed era solito darla in iscuola. Credo anche l’abbia data il Peano nell’anno scorso e in questo.4 Nelle Nouvelles Annales, marzo 1884, pag. 153, la quistione tra Jordan e Peano è stata ripresa dal prof. Ph. Gilbert di Lovanio5 che sostiene aver ragione il Jordan anche nella parte principale in cui egli aveva confessato d’aver avuto torto, cosa che mi pare alquanto strana.6 Il Gilbert suppone che Jordan abbia veduto dietro l’obbiezione del Peano qualche difficoltà più sottile; ma una delle due: o questa difficoltà infirmava la dimostrazione del Jordan, e allora questi avrebbe errato nel suo libro, o non la infirmava e Jordan non doveva ritirarsi innanzi ad 1 Il suggerimento di Genocchi fu accolto da Tardy che pubblicò le sue ricerche nella nota Relazioni tra le radici di alcune equazioni fondamentali determinanti, «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino», XIX, 1884, pp. 835-848. 2 J. A. Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. I, p. 19 (edizione da me consultata, 3a, 1886, vol. I, p. 19). 3 J. A. Serret, Cours de calcul différentiel et intégral, Paris, Gauthier-Villars, 1868, vol. II (3a edizione da me consultata, 1886, vol. II, pp. 130-131). 4 Tale dimostrazione è esposta da Peano nella nona lezione del corso, tenuta il 27.11.1883 (cfr. Registro delle Lezioni di Calcolo infinitesimale dettate dal Sig. Prof. Genocchi (assistente Dr Peano) nell’anno scolastico 1883-84, FGP, ms. SS, cc. 1v), mentre non è possibile datare quella dell’anno precedente, mancando il relativo Registro. 5 Louis-Philippe Gilbert (1832-1892), professore di analisi all’Università cattolica di Lovanio dal 1855, si occupò di calcolo infinitesimale, di ottica teorica e di fisica sperimentale. Cattolico militante, partecipò alla creazione della Société Scientifique de Bruxelles e, in alcuni lavori di storia della scienza, cercò di difendere la condotta tenuta dalla Chiesa nel processo di Galileo. Cfr. J. Mawhin, Une brève histoire des mathématiques à l’Université Catholique de Louvain, «Revue des Questions Scientifiques», 163, 1992, pp. 372-375. 6 P. Gilbert, Correspondance, «Nouvelles Annales de Mathématiques», 3, III, 1884, pp. 153-155.
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essa e ammettere d’aver errato.1 Poi viene la quistione della continuità della derivata, e il Gilbert crede che Jordan l’abbia sollevata non sans malice perchè le théorème est inexact, ma porta un esempio che non prova nulla. La funzione che dal valore 兹苶苵 2 px passa al valore 兹苶苶苵 2 p(2a苵苶 – x) ha una derivata p p 苶 passa al valore – 苶 苶苶 che dal valore 2x 2(2a – x) quindi al valore x = a della p p 苶 苶 e – 2a di questa derivata, e non si sa variabile corrispondono due valori 2a a quale dei due valori si debba dare la preferenza. Non si tratta dunque soltanto d’una derivata discontinua ma di una derivata che non ha un valor determinato per un valor determinato della variabile. Ma come si vede il gesuita che mancando di franchezza non può ammettere che gli altri siano franchi e sinceri! Jordan non sarebbe schietto quando riconosce d’aver errato e nasconderebbe una malizia quando chiede una dimostrazione. Il Peano ha mandata al Jordan la dimostrazione chiestagli, e quegli non ha più replicato onde è probabile che l’abbia trovata esatta.2 Ma Gilbert pare che voglia per forza farci ricordare d’esser sempre quel clericale che diede le sue dimissioni dall’Accademia di Brusselle perchè un // Accademico si era burlato della Balena di Giona. Avete indovinato. È proprio il Bona l’editore del Calcolo di Peano. Una disgrazia che non mi aspettava è accaduta in questo tempo. Il Sella che aveva dieci anni meno di me ci è stato rapito!3 Ciò mi ha recato molto dolore anche pei servigi e gli atti di benevolenza ch’io ho avuti da lui in ogni tempo. Nella presidenza de’ Lincei gli è succeduto il Brioschi.4 Molti portavano il Cremona e senza dubbio sono scienziati eminenti l’uno e l’altro. Datemi vostre notizie al più presto, gradite i miei cordiali augurii per le prossime feste, e credetemi sempre Vro Affmo A. Genocchi Torino (via Rossini Nº 14) 10 aprile 1884
兹
兹
兹
兹
PS. Se non fosse giunto alla sua destinazione in Genova il volume Accademico del centenario, avvertitemi e ne faremo subito ricerca per ricuperarlo e mandarvelo. 1 Extrait d’une lettre de Camille Jordan, in Peano 1884a, p. 47. 2 La lettera di G. Peano a C. Jordan, Torino 16.2.1884, è edita in Borgato 1991, pp. 93-95. Cfr. anche G. Peano, [Réponse à Ph. Gilbert], 1884b, pp. 254-256. 3 Quintino Sella (1827-1884), formatosi all’École des Mines di Parigi, docente presso la Facoltà di Scienze dell’Università e alla Scuola di Applicazione per gli ingegneri di Torino, è uno dei fondatori della cristallografia matematica. Eletto deputato nel 1861 partecipò attivamente all’attività politica del nuovo stato italiano. Cfr. F. Parlamento, Quintino Sella, in Roero 1999, t. II, pp. 477-482, da cui risulta che morì a Biella il 14.3.1884. 4 Francesco Brioschi (1824-1897) professore di idraulica al Politecnico di Milano si occupò soprattutto di analisi, lasciando importanti contributi sulla risoluzione mediante funzioni ellittiche delle equazioni di 5º e di 6º grado. Fu presidente dell’Accademia dei Lincei dal 1884 alla morte. Cfr. C. G. Lacaita, A. Silvestri (a cura di), Francesco Brioschi e il suo tempo (1824-1897), Milano, F. Angeli, 2000.
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4. A. Genocchi a P. Tardy, Torino 27.4.1884, BUG, busta 12/88, cc. 1r-1v. Carissimo Tardy, ho ricevuto la vostra lettera di Firenze 18 Aprile e la vostra cartolina da Genova 24 aprile e vi ringrazio dell’una e dell’altra. Ho sentito con piacere che a Genova avete trovato il volume del primo secolo della nostra Accademia ed io intendeva di far oggi i vostri ringraziamenti al Presidente Fabretti, essendovi adunanza della nostra Classe, ma il Fabretti mancava essendo trattenuto a Roma dal Consiglio Superiore. Fate pure quanto mi accennavate delle vostre note sul Thomé: ne prenderò cognizione e vi dirò il mio parere.1 Tornando alla questione della continuità della derivata, io citai un esempio preso dal Serret d’una funzione discontinua che ha sempre un valor determinato; e voi rispondeste che quella funzione prende tre valori che non sarebbero meno di due quand’anche la funzione fosse tale da aver uguali i valori estremi.2 Credo che la vostra osservazione non regga. La funzione Ê(x) di cui si tratta prende tre valori Ê(a – h), Ê(a), Ê(a + h) quando h sia, se si vuole, infinitesimo ma diverso da zero, ma questi tre valori corrispondono a tre diversi valori di x a – h, a, a + h; se si suppone h = 0 si ha un solo valore a di x e un solo valore Ê(a) della funzione. Trattandosi d’una funzione discontinua non è permesso di sostituire zero ad un valore infinitesimo. Voi premettete che nella dimostrazione del Bonnet non solo la derivata deve aver un valor determinato per ogni valore di x ma si deve aggiungere che il valor della derivata deve rimanere lo stesso per x = a sia che x si accosti al valore a da una parte sia che vi si accosti dall’altra parte. E anche ciò non mi pare esatto. Supposta la funzione f (x), non è la derivata f ' (x) che debba tendere verso lo stesso valore quando x tende verso a da destra o da // sinistra, ma è il rapporto 1 Cfr. nota 3, p. 257. 2 Ecco quanto in proposito si legge nella lettera di P. Tardy a A. Genocchi, Firenze 18.3.1884, FGP, ms. EE, cc. 1v-2v: «Grazie pure di quanto mi scrivete circa la nota formola. Però è sempre qualche dubbio, e mi pare che nella dimostrazione del Bonnet non basta la condizione che la derivata abbia un valore determinato per ogni valore di x nello intervallo da x0 ad x0 + h, e che bisogna aggiungere sia che si accosti a questo valore da una parte o dall’ // altra. Nell’esempio della funzione che voi portate abbiamo tre valori Ê(a – o), Ê(a), Ê(a + o). E se anche si prendesse una funzione per cui Ê(a – o) e Ê(a + o) fossero uguali e Ê(a) diverso si avrebbero due valori. Erano queste considerazioni che mi facevano dire che implicitamente nella dimostrazione del Bonnet era ammessa la continuità della derivata. Forse, esaminando meglio la cosa, si potrà concludere che basta avere Ê(a – o) = Ê(a + o) e che Ê(a) possa assumere un valore diverso, e quindi essere Ê(x) discontinua per x = a; ma non sono ancora del tutto persuaso. Aspetto vostri dischiarimenti. Le osservazioni del Gilbert sono strane davvero, e quando sarò a Genova leggerò il suo articolo nelle Nouvelles Annales.»
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f (a + h) – f (a) h che deve tendere allo stesso limite quando h tende verso zero da destra o da sinistra. Questo rapporto ha per limite la derivata ma non è la derivata, e le due cose non si possono confondere senza presupporre la continuità della derivata. Il Peano ha mandata al Jordan la dimostrazione ch’egli ha dichiarato di aver desiderio di conoscere,1 e il Jordan gli ha risposto con una lettera gentilissima ringraziandolo e assicurandolo che profitterà delle sue osservazioni nel seguito della sua opera. Vedete che linguaggio diverso da quello del Gilbert. Qui regna un gran movimento per l’Esposizione.2 Non ve ne parlo perché dai giornali saprete più di quanto io ve ne potrei dire. State sano e scrivetemi subito Torino 27 aprile 1884 Vro Affmo A. Genocchi
Ringraziamenti Al termine di questo lavoro desidero esprimere il mio più sentito ringraziamento alla Prof.ssa C.S. Roero, che con acume critico e generosa disponibilità ha diretto questa ricerca in tutte le sue fasi, incoraggiandomi ad esporla ed essendo prodiga di innumerevoli e preziosi suggerimenti. Sono inoltre grata al Prof. E. Giusti per le sue interessanti osservazioni e alla Prof.ssa L. Giacardi che ha messo a mia disposizione il manoscritto delle Lezioni di Genocchi conservato nell’Archivio privato del Prof. M.U. Dianzani. Bibliografia Celebrazioni in memoria di Giuseppe Peano nel cinquantenario della morte, Atti del Convegno organizzato dal Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, 27-28 ottobre 1982, Torino, Litocopisteria Valetto, 1986. Peano e i fondamenti della matematica, Atti del Convegno, Modena, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, 22-24 ottobre 1991, Modena, Mucchi, 1993. Allio Renata (a cura di) 2004, Maestri dell’Ateneo torinese dal Settecento al Novecento, Torino, Stamperia artistica nazionale. Ascoli Guido 1955, I motivi fondamentali dell’opera di Giuseppe Peano, in Terracini 1955, pp. 23-30. Boggio Tommaso 1933, Giuseppe Peano, «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino», 681, pp. 436-446. 1 Cfr. nota 2, p. 260. 2 Si allude all’Esposizione Generale Italiana, inaugurata a Torino nell’aprile del 1884.
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LI R E L ES A N CI E N S T E X T E S MAT HÉ M AT IQUE S. LE CI N QUI È M E LIVRE DE S C ON I QU E S D’A P OLLON IUS Roshdi Rashed* Abstract · One of the main questions raised by historians of ancient and classical mathematics is how to read and comment the authors’ text and how to choose among the various and rival readings and commentaries. This paper takes anew this
question for one of the major contributions to Greek mathematics: the fifth book of Apollonius’ Conica. It presents three possible models for the proper understanding of this book and discusses the value of each.
C
omment lire une œuvre mathématique ancienne? quels sont les moyens qui conviennent le mieux à son interprétation? Cette question n’a cessé de préoccuper aussi bien les historiens que les philosophes des mathématiques. Même l’historien indifférent aux faits mathématiques au point de traiter l’œuvre qui les expose comme il le ferait pour un tableau ou un texte théologique, c’est-à-dire comme un fait sociologique, ne peut contourner cette question. Il devra pour le moins classer, sinon hiérarchiser, les œuvres mathématiques. La réponse à cette interrogation est cependant loin d’être immédiate et simple: il suffit de rappeler les débats et les controverses qui ont opposé les historiens à son propos. Pour mieux cerner la difficulté, distinguons les deux tâches qui sont impliquées dans toute interprétation d’une œuvre mathématique. La première tâche est aussi celle qui incombe à l’historien lecteur d’une œuvre philosophique: il lui faut exhiber la structure des réseaux des significations, celle de l’argumentation, tout en dégageant les intuitions de l’auteur. C’est en examinant les articulations de ces structures qu’il peut reconstituer l’œuvre et l’insérer dans la tradition, ou les traditions, à laquelle elle appartient. Mais, si l’historien de la philosophie peut s’en tenir à cette tâche interprétative, sans juger de la vérité des éléments de la doctrine, il en va tout autrement pour l’historien des mathématiques. Chacun sait en effet que c’est
* Roshdi Rashed, Centre d’histoire des sciences et des philosophies arabes et médiévales, cnrsUniversité Paris 7. E-mail: [email protected] «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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en examinant la vérité des faits mathématiques – théories et théorèmes – et la validité des démonstrations qu’il accomplit la vraie lecture de l’œuvre. Mais cette tâche se heurte à bien des obstacles lorsque l’œuvre lue est ancienne, c’est-à-dire produit d’une rationalité mathématique qui n’est plus la nôtre, parfois dans une langue aujourd’hui morte et au sein d’une société et d’une culture depuis longtemps disparues: l’Égypte, Babylone, la Grèce, etc. Il est vrai que dans sa lecture l’historien tirera parti de certains traits qui distinguent un texte mathématique; quelle que soit sa nature, en effet, ce texte est traduisible dans d’autres langues mathématiques. Cette possibilité est elle-même la conséquence d’une propriété plus fondamentale: une fois établis, une théorie ou un théorème le sont pour toujours et en tout lieu. Il n’y a aucun exemple de théorème rejeté après avoir été démontré. Aussi ce même théorème peut-il se dire dans d’autres langues que celle de sa formulation initiale. Or cette possibilité de traduction est à la fois théorique et historique. Théoriquement, on peut en effet énoncer le même fait dans plusieurs langages. Ainsi le plan dans la géométrie hyperbolique peut être défini axiomatiquement, comme chez Lobatchevski, et la géométrie plane de ce dernier s’est ainsi élaborée comme dans les Éléments d’Euclide. On peut aussi considérer un morceau de plan de la géométrie hyperbolique comme la surface d’une pseudo-sphère, les courbes géodésiques tenant lieu de lignes droites. On peut aussi prendre pour plan de la géométrie hyperbolique l’intérieur d’un cercle. Cette possibilité de traduction est d’ailleurs à l’origine de la notion de modèle en logique. Mais il arrive souvent que ces traductions multiples soient des lectures historiques, où il est d’ailleurs permis de voir l’un des vecteurs principaux du développement des mathématiques: on reprend les anciens faits mathématiques dans un autre langage, dans une autre mathesis que la leur. C’est ainsi que les mathématiciens du Xe-XIe siècle, Alhazen notamment, puis ceux du XVIIe siècle, comme Fermat, ont lu certains travaux d’Archimède, et que plus tard cette même œuvre d’Archimède fut traduite dans le langage des sommes intégrales. On peut aussi évoquer les Arithmétiques de Diophante, lues dans le langage de l’algèbre classique, et, plus récemment, les travaux d’Euler et de Lagrange sur la théorie des formes quadratiques repensés ensuite par Kummer, Dedekind et Kronecker dans le langage des corps des nombres algébriques. Les exemples abondent de cette pluralité – théorique et historique – de lectures, dont chacune recueille une nouvelle richesse de l’objet mathématique. L’historien des mathématiques se trouve de ce fait dans une situation un peu paradoxale, où la stabilité du fait mathématique s’op-
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 267 pose à la variété des matheseis dans lesquelles ce même fait s’intègre. Pour revenir à la lecture d’Archimède par ses successeurs, l’organisation de l’ontologie n’est pas la même chez Archimède et chez Alhazen ou Fermat, non plus que les méthodes, les langues et le pouvoir d’extension de la pensée mathématique. Prenons un exemple simple, celui du célèbre problème (II. 8) de Diophante: «Partager un carré proposé en deux carrés».1 À la suite de l’invention de l’algèbre, les mathématiciens arabes l’ont lu comme une équation indéterminée du second degré à deux variables, x2 + y2 = a2; d’autres, qui avaient développé l’analyse diophantienne entière, y ont vu un problème arithmétique – triangle rectangle numérique; on peut aussi le lire comme un problème de paramétrage rationnel du cercle (x = ut; y = ut – a; d’où x = 2au et y = a · u2 – 1; le point (0, -a) est 1 + u2 1 + u2 rationnel). C’est à propos de ce problème que Fermat énonce en marge l’impossibilité de décomposer une puissance n-ième en somme de deux puissances n-ièmes lorsque n ≥ 3; cette observation est à l’origine du fameux «dernier théorème de Fermat», démontré seulement en 1994. Le fait mathématique est vrai quelle qu’en soit la lecture; mais la mathesis est chaque fois différente. La question est donc posée: l’historien peut-il indifféremment opter pour une quelconque lecture; ou y a-t-il une lecture qui, mieux que les autres, permette de situer l’œuvre mathématique dans l’histoire? ou, enfin, est-il indispensable de multiplier les lectures, et lesquelles? La tentation la plus commune est de lire l’œuvre à la lumière des travaux des prédécesseurs de son auteur. C’est précisément ce qui s’est passé lorsque l’on a voulu lire les Arithmétiques de Diophante dans la langue de la logistique et de l’arithmétique de ses prédécesseurs; ou lire la Géométrie de Descartes dans la seule langue des Cossistes ou de Clavius. Mais cette seule lecture risque de manquer ce que l’œuvre contient 1 Voici son texte: «Proposons donc de partager 16 en deux carrés. Posons que le premier membre est 1 carré d’arithme. Dès lors, l’autre nombre sera 11 unités moins 1 carré d’arithme. Il faut donc que 16 unités moins 1 carré d’arithme soient égaux à un carré. Formons le carré d’une quantité quelconque d’arithmes diminuée d’autant d’unités qu’en possède la racine de 16 unités. Que ce soit le carré de 2 arithmes moins 4 unités. Ce carré sera donc 4 carrés d’arithme plus 16 unités moins 16 arithmes. Égalons-le à 16 unités moins 1 carré d’arithme; ajoutons de part et d’autre les termes négatifs, et retranchons les semblables des semblables. Il s’ensuit que 5 carrés d’arithme sont égaux à 16 arithmes, et l’arithme devient 16. 5 Dès lors, l’un des nombres sera 256, 25 et l’autre sera 144. 25 Or, ces deux nombres additionnés forment 400, 25 c’est-à-dire 16 unités, et chacun d’eux est un carré» (Diophante d’Alexandrie. Les six livres arithmétiques et le livre des nombres polygones, œuvres traduites pour la première fois du grec en français par Paul Ver Eecke, Nouveau tirage, Paris, Librairie A. Blanchard, 1959, p. 54).
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de nouvelles formes, et que les successeurs ne cesseront de mettre à jour et de féconder; si bien que l’histoire d’une œuvre mathématique est aussi celle de l’exploitation que les mathématiciens ultérieurs en ont faite. Et d’ailleurs l’historien qui s’en tiendrait à l’examen des prédécesseurs encourrait un autre risque, celui de dériver vers une recherche des origines, lesquelles sont le plus souvent enfouies dans les limbes. La discussion engagée depuis bientôt deux siècles sur les origines de l’Algèbre d’alKhwa¯rizmı¯ illustre bien les limites de cette recherche. Une autre tentation peut s’emparer des historiens, surtout lorsque leur connaissance des prédécesseurs est incertaine ou fragmentaire, c’est de commenter les propos de l’auteur en recourant à d’autres phrases, empruntées à son propre texte. Ce commentaire, nécessairement limité, risque en fait de n’être qu’une piètre répétition, en d’autres mots, de la transcription mathématique du texte. Bien plus, cette lecture est encore moins bien armée que la précédente pour démasquer les nouvelles vérités sous leurs anciens habits. Il n’est pas rare que de telles lectures, qui se réclament de la «fidélité» au texte, finissent en fait par en trahir le contenu mathématique. C’est donc une véritable stratégie de lecture des œuvres anciennes qu’il va falloir élaborer. Rappelons d’abord que bon nombre de ces œuvres ont subi de graves accidents lors de leur transmission, et que la connaissance de leurs auteurs et de leurs prédécesseurs est pauvre et lacunaire. Telle est la situation d’Apollonius et de ses Coniques, de Menelaüs et de ses Sphériques, de Diophante et de ses Arithmétiques, et de bien d’autres mathématiciens alexandrins et arabes. Il arrive aussi qu’il faille attendre des siècles et le secours d’une autre mathématique pour que l’on se mette à lire et à exploiter l’œuvre. C’est seulement au IXe siècle qu’on a commencé à lire Diophante; quant à Apollonius, il a fallu attendre le Xe siècle pour que soit réactivée la recherche sur la géométrie des Coniques, etc. Il importe donc au premier chef de commencer par établir rigoureusement les textes de l’auteur et de ses successeurs mathématiciens. À ce stade, il est judicieux de solliciter une autre mathématique, à laquelle on empruntera les instruments susceptibles d’actualiser toute l’information mathématique présente dans l’œuvre lue. Autrement dit, il s’agit, à partir d’une autre mathématique, d’élaborer un modèle qui permette d’aller plus loin dans l’intelligence du texte. Il arrive même que ce modèle, parfois conçu à partir des mathématiques récentes, joue le rôle d’un révélateur en dévoilant les méthodes sous-jacentes à l’œuvre en question. Ce modèle a donc un rôle instrumental et heuristique. Ainsi, pour lire les Arithmétiques de Diophante, on a proposé un modèle
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 269 forgé à partir des concepts de la géométrie algébrique sur le corps des rationnels. Un tel modèle est à l’évidence anhistorique. Dans d’autres cas, la mathématique du modèle, cette fois encore différente de celle de l’œuvre lue, s’inscrit toutefois dans la postérité de cette dernière. C’est le cas, nous le verrons, des Coniques d’Apollonius et des mathématiques algébrico-analytiques. Si le recours à des modèles pour l’interprétation d’une œuvre ancienne nous semble indispensable, c’est parce que l’œuvre entretient un rapport diffus d’identité et de différence avec les mathématiques postérieures, que ce lien soit théorique ou historique. Que le modèle ne soit pas l’objet, c’est un truisme. Modèle et œuvre interprétée relèvent, on l’a dit, de deux matheseis différentes. Mais cet usage instrumental et heuristique des modèles risque de déplaire deux fois. D’abord, à ceux qui ne distinguent pas le modèle de son objet. Certains éminents mathématiciens n’ont en effet pas hésité à trouver dans les Arithmétiques de Diophante non seulement l’algèbre, mais les notions mêmes de la géométrie algébrique et ses méthodes (la méthode de la corde, celle de la tangente). Attitude qui n’a cependant rien à voir avec la démarche qui consiste à opérer une régression brutale, sans quelque modèle que ce soit, pour découvrir dans l’ancien texte des concepts et des procédés qu’il a fallu plusieurs siècles pour concevoir. C’est la démarche que suit J. Dieudonné lorsqu’il écrit à propos des Coniques d’Apollonius: […] les développées des coniques y sont complètement caractérisées et étudiées, les théorèmes que prouve Apollonius se traduisent immédiatement dans nos notations en l’équation de la développée, que seule l’insuffisance de l’algèbre grecque l’empêche d’écrire.1
C’est une chose de recourir à un modèle élaboré à partir d’une autre mathématique; c’en est une autre, bien différente, d’en projeter les concepts et les méthodes sur une œuvre conçue dans une mathématique différente. L’appel aux modèles déplaira aussi aux historiens qui, impressionnés par le reflet des concepts mathématiques récents sur les miroirs ternis des époques anciennes, y verront une démarche anachronique. Notons que le modèle n’est pas unique. On peut en élaborer plusieurs, à partir des différentes mathématiques. Les Arithmétiques de Diophante, par exemple, s’accommodent d’un modèle algébrique, d’un modèle 1 Jean Dieudonné, Cours de géométrie algébrique, I: Aperçu historique sur le développement de la géométrie algébrique, Paris, PUF, 1974, p. 17.
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arithmétique, d’un modèle géométrique, alors que Diophante n’était pas davantage algébriste que géomètre. Il en est de même pour le cinquième livre des Coniques d’Apollonius, comme on le verra. Tout le problème est donc de trouver le modèle pour ainsi dire minimal, capable de recueillir toute l’information contenue dans le texte et d’expliquer de manière exhaustive tous les faits mathématiques qui s’y trouvent. Reste enfin à confronter le modèle aux mathématiques de l’auteur et de l’époque pour en ôter toutes les notions étrangères au contexte de l’œuvre. Ainsi, dans le cas des Arithmétiques, une fois évacuées les notions de géométrie algébrique, il reste un nombre réduit d’algorithmes (correspondant en particulier à la méthode de la corde et à celle de la tangente) qui rendent compte de tous les problèmes considérés par l’auteur. Le modèle a donc permis d’identifier un nombre restreint de méthodes et de mettre ainsi en lumière la démarche de Diophante, dont on affirmait depuis Hankel qu’elle n’était en fait que l’examen aléatoire d’une succession de problèmes.1 Or c’est précisément cette confrontation qui est épreuve de vérité, et qui permet de juger de la pertinence du modèle. Pour illustrer rapidement cette recherche historique et cette stratégie, j’évoquerai le cinquième livre des Coniques d’Apollonius. Le cinquième livre est assurément l’un des sommets des mathématiques anciennes et classiques. Si on le compare aux autres livres du traité d’Apollonius, c’est sans aucun doute le plus important et le plus difficile. La difficulté est d’autant plus grande que l’analyse d’Apollonius est absente. Alors que ce livre est au fond le plus analytique des sept qui constituent les Coniques, le style de sa rédaction est purement synthétique. On comprend qu’il n’est pas facile d’en faire un commentaire systématique. Ce commentaire exige d’abord, bien entendu, une véritable édition critique ainsi qu’une traduction rigoureuse – ce que nous pensons avoir accompli. Le commentaire peut alors être tenté, ce qui exige que soient multipliés les angles d’attaque. Le premier n’est certes pas une lecture de la contribution d’Apollonius dans celles de ses prédécesseurs, mais, seulement et dans la mesure où les documents le permettent, un repérage des questions soulevées par ces derniers et de leur reprise par Apollonius. La seconde lecture s’opère au moyen d’un modèle algébrico-analytique, dont l’élaboration s’engage un millénaire après Apollonius et dont le développement s’étendra encore sur plusieurs siè1 Hermann Hankel, Zur Geschichte der Mathematik in Altertum und Mittelalter, 1e éd., Leipzig, 1874; reprod. Hildesheim, Georg Olms, 1965, pp. 164-165.
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 271 cles. Étrangères donc à la mathématique des Coniques, il reste que ces mathématiques algébrico-analytiques trouvent dans le livre d’Apollonius l’une de leurs racines historiques. On voit toute la complexité des rapports d’identification et de différence. Une troisième lecture, à l’aide de la théorie des singularités d’applications différentiables, si elle est dénuée de toute dimension historique, aide cependant à apprécier toute la richesse des objets considérés par le mathématicien alexandrin. Il va de soi que dans le cadre d’une brève étude on ne peut évoquer que les grandes lignes de ces lectures. Ce sera donc une esquisse rapide, où je m’arrêterai à une seule courbe, la parabole. Quelles étaient les intentions d’Apollonius lorsqu’il élaborait le cinquième livre; quel était son projet? Apollonius est avare d’explications. Juste une petite phrase dans le prologue du premier livre des Coniques, où il dit que le cinquième livre est consacré «d’une manière plus développée aux minima et aux maxima», c’est-à-dire aux lignes extrémales que l’on peut mener d’un point donné aux points de la courbe. Pour comprendre cette allusion, nous avons pour seule source le prologue du cinquième livre. Dans sa lettre d’envoi du cinquième livre à Attale, Apollonius trace un rapide historique de la recherche qu’il compte y entreprendre, et s’explique sur son propre apport. On regrettera que l’historique aussi bien que l’explication soient très brefs, voire quelque peu allusifs. Il écrit d’abord à Attale: Dans ce livre se trouvent des propositions sur les lignes maximales et minimales.1
Voilà le domaine désigné. Il poursuit: Il faut que tu saches que nos prédécesseurs et nos contemporains ne se sont que peu attachés à l’examen des minimales, et ont montré, grâce à cela, quelles sont les droites qui touchent la section, et la réciproque; c’est-à-dire ce qui advient aux droites qui touchent les sections, de telle sorte que, si cela advient, les droites soient tangentes.
De cet historique, il ressort donc que les prédécesseurs et les contemporains se sont intéressés seulement aux lignes minimales, et dans l’unique perspective de déterminer les tangentes aux sections coniques. On voit donc qu’il s’agissait, pour les anciens, d’un prolongement de l’étude faite par Euclide des tangentes au cercle. Bien que notre information sur 1 Voir notre édition, traduction et commentaire du Livre V des Coniques, à paraître chez De Gruyter.
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les prédécesseurs et les contemporains d’Apollonius soit aussi lacunaire que partielle, on peut voir là une allusion au second livre des Corps flottants d’Archimède, et à des mathématiciens de la tradition de Conon et de Dosithée, qui ont traité du miroir parabolique – et dont certains sont évoqués par Dioclès. Ce dernier fait en effet appel à deux propriétés de la parabole qui portent sur la tangente et la normale: le sommet de la parabole est le milieu de la sous-tangente; la sous-normale est égale à la moitié du côté droit.1 Apollonius lui-même reprend cette étude dans les propositions 27 à 33, et nous informe par là-même sur ce type de recherche menée par les prédécesseurs et les contemporains. Il s’agit en fait d’étudier l’orthogonalité de la droite minimale aboutissant à un point A de la section conique, à partir d’un point B dans la concavité de la courbe, et de la tangente en A. Rappelons par exemple l’énoncé de la proposition 27: La droite menée de l’extrémité de l’une des droites minimales que nous avons mentionnées, et qui est tangente à la section, est perpendiculaire à la droite minimale.
Soit une parabole d’axe B°, la tangente à l’extrémité A d’une droite minimale est perpendiculaire à cette droite. A
°
H
B
¢
Si l’on en croit Apollonius, ses prédécesseurs et contemporains avaient déterminé les tangentes comme étant perpendiculaires aux droites minimales issues de l’axe – étude qu’Apollonius, on le verra, intègre dans un champ plus vaste. 1 Les Catoptriciens grecs. I: Les miroirs ardents, édition, traduction et commentaire par Roshdi Rashed, Collection des Universités de France, publiée sous le patronage de l’Association Guillaume Budé, Paris, Les Belles Lettres, 2000, p. 103 sq.
le cinquième livre des coniques d ’apollonius Continuons à écouter Apollonius.
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Pour notre part, nous avons montré ces choses dans le premier livre, sans utiliser pour démontrer cela ce qui a trait aux lignes minimales; et nous avons voulu faire que leur position soit proche du lieu où nous avons expliqué la génération des trois sections, afin de montrer, grâce à cela, que, pour chacune des sections, il peut y avoir de ces droites tangentes un nombre infini; et en raison de ce qui advient et de ce qui leur est nécessaire, comme ce qui est advenu pour les premiers diamètres.
Apollonius explique ainsi que, s’il n’a pas recouru, comme ses prédécesseurs et ses contemporains, aux droites minimales dans la recherche sur les tangentes, c’est parce que, contrairement à eux, il a, lui, voulu élaborer une théorie des tangentes aux courbes coniques, comme il l’avait fait pour les diamètres, et en liaison avec les diamètres plutôt qu’avec les normales. Ainsi, pour pouvoir rendre compte de leur nombre infini et de leurs propriétés nécessaires, il ne suffit plus d’étudier les tangentes à l’aide des normales; mais on doit procéder comme pour les diamètres, en leur consacrant une étude propre. Contrairement à d’autres études menées par Euclide au troisième livre des Éléments, ou par Archimède dans La Spirale, l’étude d’Apollonius ne porte pas sur la tangente à une courbe – le cercle ou la spirale –, mais sur la tangente à toute une classe de courbes: les sections coniques. Dans cette nouvelle étude, on doit en outre aborder plusieurs thèmes de recherche autres que tangente et normale, comme par exemple tangente et ordonnée, tangente et diamètre, tangente et asymptote, différentes méthodes pour déterminer les tangentes, etc. Or cette extension, sans précédent, du domaine aussi bien que des thèmes, a, semble-t-il, exigé une élucidation plus poussée du concept de tangente, ainsi que l’élaboration d’une théorie qui l’englobe. Tâche qui s’imposait d’autant plus qu’Apollonius commençait délibérément par examiner les propriétés de la tangente pour toute une classe de coniques, avant de revenir à son étude pour une sous-classe: coniques à centre, d’une part, parabole, d’autre part. C’est dans le premier livre, là où il traite de la génération des sections coniques, qu’Apollonius, nous l’avons montré,1 jette les bases de cette théorie des tangentes, ce à quoi il consacre une douzaine de propositions. Une fois élaborée une théorie de la tangente – dans laquelle les droites minimales ne jouent pas un rôle fondateur –, Apollonius revient vers celles-ci pour en entreprendre une étude systématique. Mais cette étude appelle tout naturellement celle de leur alter-ego: les droites maximales. 1 Voir notre édition, traduction et commentaire du Livre I des Coniques, sous presse chez De Gruyter.
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Tel est précisément le thème attribué au cinquième livre: les droites extrémales. Écoutons encore Apollonius s’adresser à Attale: Quant aux propositions dans lesquelles nous nous sommes exprimé sur les lignes minimales, nous les avons distinguées et isolées, à part, après un long examen; et nous avons réuni tout ce qui en est dit à ce qui est dit des lignes maximales que nous avons expliquées auparavant – parce que nous avons vu que ceux qui étudient cette science en ont besoin pour connaître la détermination et l’analyse des problèmes, ainsi que leur synthèse; outre ce qui tient à ellesmêmes. C’est l’une des choses auxquelles aspire l’étude.
Les propos sont limpides, le but est clair: le cinquième livre est un traité entièrement consacré aux lignes extrémales, à la fois pour l’intérêt propre de ces objets mathématiques et pour l’utilité qui est la leur dans les diorismes et l’analyse et la synthèse des problèmes. Il s’agit principalement d’étudier la distance d’un point donné du plan à un point variable, décrivant l’une ou l’autre section conique. On devrait en particulier, pour chacune des trois sections coniques, déterminer s’il existe des solutions; et, dans le cas où elles existent, leur nombre. Tel est donc l’objet du cinquième livre. Au cours de cette étude cependant apparaîtra un sousgroupe de propositions qui portent expressément sur la normale: les propositions 27 à 33. Outre ce groupe, on ne cesse de rencontrer cette notion de normale dès que l’on examine un peu plus à fond la progression du cinquième livre. Pour saisir quelle est la place de cette étude de la normale dans le cinquième livre, avant d’en entreprendre un commentaire détaillé, rappelons que l’étude de la distance d’un point E donné dans le plan d’une section conique, à un point M variable sur la section, soit la distance l = EM, s’opère en deux temps. Les trois sections y sont rapportées à leur axe qui, dans le cas de l’ellipse, peut être le grand ou le petit axe; le sommet ° de la section est pris comme origine sur cet axe. Apollonius considère en général les points M sur une moitié de la section séparée de cet axe. I: Le point E est pris sur l’axe de la section, qui est une demi-droite intérieure à la section dans le cas de la parabole ou de l’hyperbole, et un segment de droite dans le cas de l’ellipse. Dans les propositions 1 à 43, Apollonius étudie la variation de l en fonction de l’abscisse du point variable M, et montre l’existence d’une droite EM1 d’une longueur minimale l1 (si E est pris sur le petit axe de l’ellipse, il s’agira d’une droite maximale). Apollonius montre en particulier que, dans tous les cas, une droite minimale (ou maximale) est normale à la section. L’exposé s’articule de la manière suivante:
le cinquième livre des coniques d ’apollonius
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M M1
E
Z
°
1. Les propositions du premier groupe (1-3) sont des lemmes. 2. Groupe (4-11): Apollonius montre qu’à chaque point E de l’axe est associée une distance minimale l = EM, ou une distance maximale si E est sur le petit axe de l’ellipse. La proposition 12 est un corollaire (pour les trois coniques) de la proposition 7. 3. Groupe (13-25): il montre qu’à chaque point M de l’arc considéré est associé sur l’axe un point E unique, pour lequel la distance l est minimale. Dans le groupe (16 à 32) il montre quand cette distance est maximale. 4. Groupe (27-29): il montre que toute droite EM, distance minimale (ou maximale), est orthogonale à la tangente au point M; c’est-à-dire qu’elle est normale à la section. 5. Groupe (31-33): il montre réciproquement que, pour tout point M de l’arc considéré, la normale coupe l’axe en E, et l = EM est la distance minimale associée au point E (distance maximale si E est sur le petit axe de l’ellipse). 6. Groupe (35-36): il étudie l’angle que fait la normale avec l’axe. 7. Groupe (38-40): il étudie la position du point d’intersection de deux droites minimales (ou maximales); dans la proposition 38, pour toute section conique; dans les deux autres propositions, pour l’ellipse. 8. Groupe (41-43): il étudie les conditions dans lesquelles une droite minimale recoupe la section. 9. Dans les deux propositions qui restent (12 et 34), il fait quelques remarques sur les distances. C’est ainsi que se présente la structure de la première partie du cinquième livre, qui comporte quarante-trois propositions. Neuf propositions portent directement sur la normale. II: Le point E n’est pas pris sur l’axe. Ce point E et la partie considérée de la section sont de part et d’autre de l’axe. Apollonius étudie alors les droites passant par E et qui sont les supports des droites minimales examinées dans I. Il discute dans cette partie – les propositions 44 à 63 – de l’exis-
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tence et du nombre de telles droites. La partie centrale est formée des propositions (51, 52) et (62, 63). Le groupe (44, 49, 51, 58, 62) est consacré à la parabole; alors que le groupe (45 à 48, 50, 52 à 57, 59, 63) traite de l’ellipse et le groupe (45 à 50, 52 à 61 et 63) de l’hyperbole. III: Le dernier groupe (64 à 77) est consacré à l’étude de la variation de la distance l quand le point M décrit la section considérée; Apollonius fait intervenir les résultats des discussions précédentes, et notamment les propositions 51 et 52. Le groupe (64, 67, 72 plus le lemme 68) est consacré à la parabole; le groupe (65, 67, 72 plus le lemme 69) traite de l’hyperbole, et le groupe (66, 73 à 75 plus les lemmes 70 et 71) de l’ellipse. Restent les propositions 76 et 77 qui sont des cas particuliers. Dans ces groupes on rencontrera, comme dans les propositions 73, 74, 75, des résultats relatifs aux normales. Le cinquième livre s’organise donc selon ces trois parties. À cette étape de la discussion, on pourrait dire que l’examen des normales s’impose tout naturellement au cours de cette étude des distances, mais sans être visé pour lui-même; il représente une part importante de cette étude, sans toutefois que celle-ci s’y réduise. Une description plus détaillée montrera le sens et la portée de cette conclusion. Nous allons donc engager les commentaires. Première lecture Des propos mêmes d’Apollonius, il ressort d’une part que ses prédécesseurs et ses contemporains se sont interrogés sur les minima et les maxima, et que d’autre part c’est précisément cette réflexion qu’il entend reprendre plus amplement. Apollonius ne nomme ni ses prédécesseurs ni ses contemporains, et n’expose pas les résultats de leurs recherches. On sait toutefois par d’autres sources que deux techniques mathématiques fleurissaient à l’époque pour l’examen des problèmes solides: l’intercalation d’une part, et l’intersection des coniques. Ainsi, dans son Traité sur la spirale (propositions 5, 7, 8, 9 notamment), Archimède ramène à des intercalations les propositions les plus difficiles. D’autre part, selon le témoignage d’Apollonius lui-même, on sait que, dans l’entourage de Conon d’Alexandrie, on avait recours à l’intersection des coniques pour l’étude des problèmes solides. Mais on sait aussi qu’il y avait des problèmes, tels que les deux moyennes, qu’on étudiait à l’aide des deux techniques. Or, bien des propositions du cinquième livre peuvent se ramener aux neusis sous différentes formes. Apollonius y traite le
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 277 diorisme de l’intersection d’une section conique et d’un cercle de centre donné et de rayon variable. Il y donne aussi l’intercalation entre une conique et l’un de ses axes d’une droite donnée dirigée vers un point donné. Le sujet semble avoir été traité par les prédécesseurs, si l’on en croit le prologue. On sait d’ailleurs qu’Archimède, dans le second livre des Corps flottants, fait appel aux normales à la parabole. On vient aussi de rappeler le témoignage d’Apollonius selon lequel ses prédécesseurs avaient déterminé les tangentes comme étant perpendiculaires aux lignes les plus courtes issues de l’axe, en procédant pour ainsi dire comme plus tard Descartes, au second livre de sa Géométrie. La détermination des droites minimales issues des points de l’un des axes d’une section conique était donc un problème bien connu à l’époque d’Apollonius. Non seulement le mathématicien le reprend, mais il en considère un, plus général, et qui exige d’autres moyens: les droites issues d’un point quelconque, pour étudier comment il se ramène à celui de la détermination d’un lieu solide. Reprenons ce problème. Une conique étant donnée par son axe, son sommet et son côté droit, on cherche à lui mener des normales à partir d’un point P fixé; on impose que P et les pieds de ces normales soient dans les demi-plans opposés face à l’axe de la conique. Limitons-nous au cas de la parabole.1 Si PM est normale à la parabole P et coupe l’axe en Q, on sait que la sous-normale QZ (Z projection orthogonale de M sur l’axe) est égale au demi-côté droit p; leur recherche s’apparente à une neusis: insérer, entre l’axe et P, une droite QM dirigée vers P et dont la projection QZ est égale à une droite donnée. Le point P étant dans le demi-plan inférieur, on commence par déterminer le lieu des points M du demi-plan supérieur tels que, si PM coupe l’axe en Q, la projection QZ de QM soit égale à p. Y
M
K Q
H
Z
P
1 Cf. également Hieronymus Georg Zeuthen, Histoire des mathématiques dans l’Antiquité et le Moyen Âge, Paris, Gauthier-Villars, 1902, pp. 178-182 et Jean Itard, L’angle de contingence chez Borelli: commentaire du livre V des Coniques d’Apollonius, «Archives internationales d’histoire des sciences», nº 56-57, 1961; reprod. dans Jean Itard, Essais d’histoire des mathématiques, réunis et introduits par R. Rashed, Paris, Librairie A. Blanchard, 1984, pp. 112-138, aux pages 118-124.
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Les triangles PQK (K projection de P sur l’axe) et MQZ sont semblables, QZ KQ KH + HZ donc ZM = KP = ZM KZ + KP = ZM + KP , où on a introduit le point H de KZ tel que KH = p = QZ, donc HZ = KQ; ainsi QZ (ZM + KP) = ZM (KH + HZ), d’où KH · KP = QZ · KP = ZM · HZ si on supprime les termes égaux QZ · ZM = ZM · KH. Cette relation signifie que le point M appartient à l’hyperbole HP d’asymptotes HZ, HY qui passe par le point P; plus précisément, M est sur la branche de HP dans le demi-plan supérieur et P est sur l’autre branche. Ainsi les pieds des normales à P issues du point P sont les points d’inHZ KH HZ2 KH2 KH2 KH tersection de P avec HP. On a KP = ZM , donc KP 2 = ZM2 = 2KH·AZ = 2AZ où A est le sommet de la parabole et où on a tenu compte du symptôme de la parabole ZM2 = 2p · AZ. Comme le carré KP2 et le segment KH 2 sont connus, la détermination de Z relève du lemme d’Archimède pour la proposition 4 du livre II de La sphère et le cylindre: diviser la droite donnée AH au point Z tel que le rapport du carré de HZ au carré donné KP2 soit égal au rapport du segment donné KH 2 à AZ. Le diorisme de la proposition 51 se reconstitue facilement. Le point K étant fixé, cherchons une position du point P sur la perpendiculaire KP à l’axe tel que l’hyperbole HP soit tangente à P en un point B se projetant en E sur l’axe. On sait que la tangente en B à P rencontre l’axe en un point F tel que EA = AF; si cette droite est aussi tangente à HP, E est le milieu de HF, donc HE = EF = 2EA et E se trouve donc au tiers de AH à partir de A. Ceci détermine le point E, donc le point B et le point G où PB rencontre l’axe, puisque GE = p; on a enfin P au point où BG rencontre KP. Apollo§ nius détermine KP = § à partir de BE en se servant de la proportion BE = 2 2 KG HE 2AE EB § 1 2 GE = KH ; on a HE2 = KH2 = KH où AE = 3 AH et HE = 3 AH; ainsi §2 · KH = 8 AH3, ce qui détermine K en fonction de AH. 27 L B
K G H
P
E
A
F
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Considérons maintenant un point P' de KP tel que KP' > §; on a donc KH · KP' > KH · KP et il en résulte que, pour tout point M de HP', ZM · HZ > EB · HE. Ainsi la branche supérieure de l’hyperbole HP' est au-dessus de celle de HP et cette branche est donc entièrement extérieure à P, donc il n’y a pas de normale issue de P' avec un pied dans le demi-plan supérieur. Si au contraire KP' < §, KH · KP' < KH · KP et ZM · HZ < EB · HE pour tout point M de HP'; il en résulte que la branche supérieure de HP' est audessous de celle de HP et qu’elle rencontre P en deux points séparés par B. Il y a donc deux normales issues de P' avec des pieds dans le demi-plan supérieur. On a donc remarqué que les points d’intersection de cette hyperbole et de la parabole donnée seront les pieds des normales issues de P (x0, y0). Tout le problème est donc de déterminer les points P dont les hyperboles sont tangentes à la parabole. Le lieu de ces points est une courbe (une parabole semi-cubique) qui partage le plan en deux régions telles que des points de l’une on peut mener deux normales et des points de l’autre une seule normale. C’est lors de la recherche des conditions pour que ces hyperboles soient tangentes à la parabole que l’on détermine l’ordonnée d’un point de cette courbe, connaissant son abscisse. On sait que cette courbe est la développée de la parabole. Mais rien ne permet d’affirmer qu’Apollonius ou quiconque avant Huygens a pensé à cette courbe. 1. Dans cette étude, Apollonius est aussi proche que possible de la définition de la développée de la parabole P, puisqu’à chaque abscisse x d’un point P de l’axe, il associe une longueur de référence § qui est l’ordonnée du point d’abscisse x sur la développée. Il est clair cependant qu’il ne considère nullement cette courbe et que la considération des ordonnées et des abscisses de points n’a de sens, dans son traité, que pour les points d’une conique. 2. On a déjà remarqué que, dans le cas de la parabole, la construction des normales issues de P se ramène au problème de la division d’Archimède. Le commentaire d’Eutocius à La sphère et le cylindre contient une construction de cette division, qu’Eutocius a rétablie à partir d’un texte corrompu qu’il attribue à Archimède. Cette construction, appliquée au problème qui nous occupe, détermine le point Z comme la projection sur l’axe AH de l’intersection d’une parabole de sommet A, d’axe AL perKP2 pendiculaire à AH et de côté droit AH , avec une hyperbole d’asymptotes
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AH et AL passant par le point B tel que HB soit perpendiculaire à AH et égal à KH 2 . Ces deux courbes sont différentes de P et de HP; l’hyperbole ne dépend que de K tandis que la parabole dépend de la position de P sur KP et que HP dépend de la position de P et P est fixée. Le diorisme permettant de déterminer à quelle condition les deux courbes se rencontrent est aussi obtenu, dans le commentaire d’Eutocius, par la détermination de la position qui assure le contact des deux courbes. L’hyperbole est fixée et on fait varier la parabole en changeant la valeur de KP; comme dans le cas d’Apollonius, les propriétés des tangentes aux coniques permettent de conclure que le contact a lieu lorsque Z est au tiers de AH à partir de A. On observe ainsi une parenté entre la tradition issue d’Archimède et les recherches d’Apollonius. 3. On peut exprimer l’idée sous-jacente au diorisme d’Archimède ou d’Apollonius en disant que les propriétés d’intersection d’une conique fixe C avec une conique mobile HP changent seulement lorsque HP vient à être tangente à C, c’est-à-dire lorsque la transversalité des deux courbes est perdue. On est proche de l’intuition selon laquelle la transversalité est une propriété stable. Ajoutons que l’ensemble des points P pour lesquels HP et C ne sont pas transversales est la développée de C, donc un ensemble fermé rare. C’est un cas tout à fait simple et élémentaire du célèbre théorème de transversalité de Thom. 4. L’étude menée par Apollonius sur la détermination des droites extrémales issues d’un point donné est présentée d’une manière entièrement statique en ce sens qu’il compare des longueurs de segments pour diverses positions d’une extrémité sur la conique. Apollonius n’envisage pas encore à ce stade la variation continue d’une droite joignant un point fixe de l’axe à un point mobile sur la conique. À partir de la proposition 64 de ce même livre, il étudie en revanche la variation continue de la distance d’un point E du plan à un point variable M sur la conique. On ne saurait trop insister sur le caractère novateur de cette étude dans la mathématique héllenistique.1 Au XIe siècle, Ibn al-Haytham développe davantage la recherche sur la variation continue il étudie notamment le comportement asymptotique de grandeurs telles que des segments, mais aussi des rapports de segments ou d’arcs de cercles à l’aide de notions infinitésimales; les préoc1 Voir Apollonius, Les Coniques, Livre V, établi et commenté par R. Rashed, De Gruyter, à paraître en 2008.
le cinquième livre des coniques d ’apollonius 281 cupations astronomiques (mouvement apparent d’une planète sur la sphère céleste) n’y sont sans doute pas étrangères.1 Il est tout à fait vraisemblable qu’Apollonius ait procédé à cette analyse, et l’on peut se satisfaire d’un tel commentaire, qui ne fait intervenir aucun concept inconnu d’Apollonius, et qui d’autre part rend compte de ses rapports aux mathématiciens de son temps. En revanche, ce commentaire ne nous éclaire pas suffisamment sur le lien entre les concepts élaborés par Apollonius et la rationalité mathématique qui les habite et qui s’est imposée à Apollonius. Si donc on veut saisir les vraies raisons de sa recherche dans le cinquième livre, élucider tous les faits mathématiques qui y sont présents pour ainsi comprendre ce qui fait de ce livre ce qu’il est effectivement, il nous faudra définir ce lien et suivre sa genèse. Or cette tâche explicative ne pourra se faire d’une manière pertinente dans les mathématiques de l’auteur. Il faudra donc recourir à un modèle élaboré à partir d’une autre mathématique, au risque de devoir revenir au texte pour apprécier le pouvoir qu’a ce modèle explicatif d’épuiser l’information qu’il véhicule. Le premier modèle trouve sa source dans une mathématique algébrico-analytique, suscitée par la lecture des Coniques d’Apollonius par al-Khayya¯m, Sharaf al-Dı¯n al-T ․u¯sı¯, Descartes, Fermat, etc. Deuxième lecture On attend donc de ce modèle qu’il décrive l’évolution de la recherche au cours du cinquième livre, qu’il éclaire les liaisons entre les différents thèmes abordés par le mathématicien et dégage les raisons des faits mathématiques établis. C’est ainsi que se dessinent les thèmes autour desquels s’organise le livre: la distance extrémale d’un point variable de la courbe conique à un point donné du plan, qui peut être sur l’axe ou en dehors de celui-ci; une théorie des normales et une étude de la variation d’une grandeur géométrique: la distance entre le point donné dans le plan aux points de la courbe. Or, si l’étude des droites minimales et maximales délimite le domaine de la recherche, celle des normales et de la variation des distances s’impose comme une recherche aussi féconde que novatrice. C’est d’ailleurs principalement par cette recherche que l’étude d’Apollonius se distingue de celle de ses prédécesseurs et de ses contemporains. Considérons rapidement et partiellement l’exemple de la parabole. 1 R. Rashed, Les Mathématiques infinitésimales du IXe au XIe siècle. Vol. V: Ibn al-Haytham: Astronomie, géométrie sphérique et trigonométrie, Londres, 2006.
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Apollonius commence par étudier la longueur l – la distance – d’un point donné E (x0, y0) à un point M (x, y) qui parcourt la parabole P rapportée au repère rectangulaire (°x, °y) formé par l’axe et la tangente au sommet, d’équation y2 = 2 px. Il considère les cas suivants: E est donné sur l’axe x0 > 0, y0 = 0 et M sur la demi-parabole d’ordonnée positive, et sur l’axe °x on prend le point Z tel que °Z = p. l2 = EM2 = (x – x0)2 + y2 = x2 – 2x x0 + x 20 + 2 px l2 = f (x) = x2 – 2x(x0 – p) + x20, f '(x) = 2x – 2(x0 – p).
La dérivée f '(x)est positive ou nulle si x≥ x0 – p, ce qui a toujours lieu lorsque x0 ≤ p, c’est-à-dire lorsque le point E est entre ° et Z. Dans ce cas f(x) est toujours croissante et son minimum est obtenu pour x = 0, soit M = °; alors la valeur minimum l0 de EM est E° = x0 (si x0 = p, on obtient l0 = p). y M
M0
°
E1
Z
H0
E
x
Si au contraire x0 > p, c’est-à-dire si E est au-delà de Z sur l’axe °x de la parabole, f '(x) < 0 pour 0 ≤ x < x0 – p et f est décroissante dans cet intervalle. Dans ce cas, f (x) a un minimum pour x = x0 – p, de valeur: x2 – 2x(x0 – p) + x 02 = x 02 – (x0 – p)2 = 2x0p – p2
et la valeur minimum de EM est EM0 = l0 = 兹苶苶苵 2 x0 p苵苶 – p2 où M0 est le point de la parabole d’abscisse x0 – p. Sa projection H0 sur l’axe est telle que EH0 = p et on voit donc que EM0 est normale à la parabole. Pour tout autre point M, on a EM2 = l2 = l 02 + (x + p – x0)2 EM2 = EM 02 + (xM – xM )2. 0
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Conclusion: À tout point E de l’axe °x d’abscisse x0 ≥ p correspond sur la demi-parabole d’ordonnée positive un point M0 d’abscisse xM = x0 – p 0 tel que la longueur EM0 = l0 soit la longueur minimale de tous les segments EM. Inversement, à tout point M d’abscisse xM pris sur la demi-parabole correspond sur l’axe °x un point E d’abscisse x0 = xM + p. Donc par tout point M il passe une droite et une seule sur laquelle l’axe sépare une droite minimale. Apollonius étudie ensuite l’angle que fait la droite minimale avec l’axe. Le triangle MEH est rectangle en H, donc MÊ° < 1 droit. Posons MÊH = ·, on a tg · = yp . Quand M décrit la parabole, yM croît de 0 à l’∞, donc tg · croît de 0 à + ∞ et · croît de 0 à 2 . M
Conséquence immédiate: Deux droites minimales issues de deux points M et M1 d’ordonnées positives se coupent en un point O d’ordonnée négative. Ce début du commentaire montre que, pour Apollonius, l’étude des normales est intimement liée à celle des droites minimales. L’étude du nombre des droites minimales qui se rencontrent en un point donné se ramène à l’étude des normales à la parabole qui passent par ce point p y2 = 2 px ⇒ 2 yy' = 2 p ⇒ y' = y . p y
est le coefficient directeur de la tangente au point d’ordonnée y, donc – py est le coefficient directeur de la normale. M2
M1
M
°
·0
H
·1
E
·2
E2
E1
O
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Apollonius étudie les normales passant par O (x0, y0) et qui rencontrent la parabole au point (x, y). On a y – y0 = m (x – x0), avec m = – px le coeffim 2p cient directeur; d’où m2p2 = 2 px (équation de la parabole) et x = m2p ; et, en remplaçant dans la première équation, on a (*)
f(m) = pm3 + 2m(p – x0) + 2y0 = 0.
• Si y0 = 0, m = 0 est solution pour toute valeur x0; m = 0 donne la droite O° qui est la normale au sommet °. Si pm2 + 2(p – x0) = 0, deux cas se présentent: x0 ≤ p; la seule racine de l’équation (*) est m = 0; la seule normale est O °. 2(x – p) x0 > p; m2 = 0 p , d’où deux racines opposées m' et m" qui donnent deux normales en deux points symétriques par rapport à l’axe °x. • Si y0 ≠ 0, on peut supposer y0 < 0; l’équation (*) s’écrit (**)
f (m) = m3 + 2m
(p – x0) 2y0 p + p = 0.
L’étude du nombre des racines de cette équation (x > 0, y < 0) se déduit du signe de 27 y 02 – 8p (x0 – p)3. 8 (x – p)3. On est donc ramené à étudier l’équation y2 = 27 p Mais on se souvient qu’Apollonius avait défini une «longueur de référence» k dans les deux propositions les plus importantes du cinquième 8(x – p)3. livre, telle que k2 = 0 27
On comprend ainsi la genèse de cette «longueur de référence», donnée sans explication par Apollonius. L’autre thème particulièrement important est l’étude de la variation de la distance EM quand M décrit la demi-parabole. On montre alors que, si les points M' et M" correspondent aux deux normales issues du point E, alors la distance EM croît quand M parcourt l’arc ° M', décroît quand M parcourt l’arc M'M" et croît indéfiniment quand M s’éloigne indéfiniment.
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M”
M‘
p
x
°
E
Cette lecture recueille toute l’information contenue dans le cinquième livre, et rend compte de tous les faits mathématiques qui y sont établis. Une fois débarrassée de toutes les notions étrangères à la géométrie d’Apollonius, elle met la lumière sur tous les faits établis par ce dernier. Troisième lecture On peut également lire la recherche d’Apollonius à l’aide de la théorie des singularités d’applications différentielles. Dans ce cas où le texte d’Apollonius n’est plus l’une des sources de cette théorie, cette lecture permet cependant de dégager une potentialité de sa recherche, qui ne pouvait être actualisée que dans une autre mathématique. Il s’agit d’une théorie des développées (enveloppes des normales à la parabole dans ce cas), qui permet, a posteriori, de dévoiler l’organisation du cinquième livre et révèle l’enchaînement rationnel des propositions qui le composent. Soit une parabole P d’équation (1)
y2 = 2 px
et un point E du plan, de coordonnées (Í, Ë); on cherche les valeurs extrémales de la distance d (E, M) quand M parcourt P. On peut paramétrer P pour exprimer cette distance comme une fonction d’une seule variable; en posant x = uy dans (1), on trouve (2)
x = 2 pu2, y = 2 pu.
Le carré de la distance s’écrit (3)
d(E, M)2 = f (u; Í, Ë) = 4 p2u2(1 + u)2 – 4 pu(Íu + Ë) + Í2 + Ë2.
Le problème revient donc à étudier les valeurs de u pour lesquelles cette
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fonction passe par un extremum, encore appelées valeurs critiques; elles sont données par l’annulation de la dérivée f '(u; Í, Ë) = 4 p[4pu3 – 2 u(Í – p) – Ë],
(4)
qui s’annule en même temps que le polynôme P (u; Í, Ë) = 4 pu3 – 2 u(Í – p) – Ë = 0.
(5)
On remarque que, pour u fixé, le polynôme P est linéaire en (Í, Ë); l’équation P (u; Í, Ë) = 0 définit donc une droite N dans le plan de E. Cette droite passe par le point M défini par l’équation (2); sa pente est égale à – 2u. Comme la pente de la tangente à P en M est u2 , on voit que N est une normale à P en M (c’est la base de l’étude algébrico-analytique). L’équation (5) est de degré 3, de la forme ·3 + ·a + b = 0. Elle admet donc 1 ou 3 solutions finies selon que le discriminant ¢(Í, Ë) = 8(Í – Ë)3 – 27 pË2
(6)
est positif ou négatif. Le cas limite, ¢(Í, Ë) = 0 définit une courbe Q d’équation (Í – Ë)3 –
(7)
27 pË2 . 8
Cette courbe est une parabole semi-cubique, et elle partage le plan en deux régions: l’intérieur, {(Í, Ë)|¢(Í, Ë) > 0}et l’extérieur {(Í, Ë)|¢(Í, Ë) < 0}. On montre que, lorsque E est à l’intérieur de Q, il y a trois racines finies de P; et que lorsque E est à l’extérieur de Q, il y a une seule racine. La courbe Q est décomposée en une partie régulière X et un point de rebroussement Z auquel aboutissent les deux arcs: Q = X 艛 Z.
P
Z °
Q
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Sans nous étendre davantage, rappelons seulement que le point de vue adopté ici conduit à examiner la dépendance des solutions u de l’équation f ' (u; Í, Ë) = 0 par rapport à (Í, Ë) = E. On sait par exemple qu’en dehors de la courbe Q, ces solutions sont fonctions différentielles de (Í, Ë), dépendant régulièrement de E; autrement dit, les pieds des normales issues de E dépendent régulièrement de E. De même, le long de la courbe Q, la racine double u de P dépend régulièrement de E. * Les lectures d’une œuvre mathématique ancienne, et qui plus est fondatrice, telle que les Coniques et en particulier le cinquième livre, sont, on l’a vu, multiples, différentes et nullement exclusives l’une de l’autre. La première consiste à tenter de comprendre l’œuvre dans le contexte de la recherche de son temps, en fonction de laquelle, mais aussi contre laquelle, elle s’est constituée. La tâche n’est ni facile, ni définitive. En effet, une œuvre scientifique n’est ni uniforme, ni d’un seule tenant, et celle de l’ancien mathématicien a elle aussi ses aspérités, ses clivages et ses stratifications. Comme contribution ancienne, elle est de plus marquée par le temps et par les aléas de la transmission et de la traduction. Aussi la reconstitution d’une telle œuvre n’est-elle jamais qu’un arrangement provisoire, régi par les critères d’une époque. Elle est donc toujours perfectible, au gré des progrès de la connaissance des faits, ou d’une meilleure intelligence des résultats et des méthodes mathématiques. Le but de l’historien qui entreprend une telle reconstitution est double: comprendre les intentions de l’auteur mathématicien; et saisir l’enchaînement rationnel des concepts qu’il a mis en œuvre, afin d’appréhender la réalité mathématique qu’il vise. On pourra également, et c’est la deuxième voie suivie, forger un modèle capable de dégager la structure latente de l’œuvre, aussi bien que ce qu’elle contient en puissance et qui sera exploité par les mathématiciens postérieurs. En suivant cette démarche, on s’efforce, il est vrai, d’examiner l’œuvre de manière intrinsèque, hors de la diachronie. On ne s’intéresse cette fois nullement à ce qu’elle peut devoir aux travaux des prédécesseurs et des contemporains. Sans doute cela engagera-t-il certains à dénoncer cette voie, ainsi que le «modèle» élaboré, en les taxant d’anachronisme. Mais ce serait oublier la fonction assignée au modèle, c’està-dire instrumentale et heuristique. Et de fait l’exemple du cinquième livre nous a montré comment les modèles ont mis en lumière les thèmes de recherche, théorie des normales et étude de la variation entre autres,
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les réseaux des liaisons et les procédés d’argumentation. Ces modèles ne sont du reste ni arbitraires ni exclusifs, et ne sont pas non plus les seuls possibles. Tous portent sur cette même réalité mathématique étudiée par Apollonius, mais selon une refonte de l’ontologie chaque fois différente. Et chaque fois de nouvelles strates de signification viennent au jour dans cette réalité mathématique qu’Apollonius s’est efforcé d’appréhender il y a deux millénaires déjà. La contribution d’Apollonius n’est donc nullement une première approximation de l’un des modèles invoqués; elle est elle-même un modèle élaboré à partir d’une organisation particulière de l’ontologie. Pour lire un texte ancien, l’historien des mathématiques n’a aucun autre choix que de mobiliser toutes ces méthodes et de renoncer à la prétention à une fidélité chimérique. Il lui faut se convaincre une fois pour toutes que la seule soumission aux mots n’assure pas nécessairement la fidélité aux concepts, et que l’histoire des mathématiques est à jamais inachevée, toujours à reconstruire, à la merci des acquis des mathématiques futures. Pervenuto in redazione il 19 settembre 2007
A NC OR A S U B E N E D E T TO DA F IRE N Z E Elisabetta Ulivi* Abstract · Our work presents new documents on the master of the abacus Benedetto di Antonio from Florence. In particular: a subscription to a family deed, drawn up by the abacist in 1457; an autograph report presented by Benedetto to the Ospedale di San Matteo in 1469, in which we
find our subject alongside Francesco Monciatto, a well-known master carpenter and inlayer; two documents of the Mercanzia from 1480; a group of other notarial deeds from the years 1468-1481, most of them contained in the registers of Ser Piero da Vinci, Leonardo’s father.
1. Introduzione nota presenta un nuovo gruppo di documenti inediti dell’ArQ uesta chivio di Stato di Firenze, riguardanti Benedetto di Antonio da Firenze, uno dei più significativi maestri nonché autori di trattati d’abaco del Quattrocento.1 Ne ricordiamo la Praticha d’arismetrica (1463), una delle cosiddette ‘enciclopedie’ matematiche del primo Rinascimento, conservata nel codice L. IV. 21 della Biblioteca Comunale di Siena, ed un Trattato d’abacho (ca 1465) di cui sono pervenute ben diciotto copie manoscritte. Del noto abacista abbiamo già ampiamente parlato in una monografia ed in un più recente lavoro, costruiti sulla base di oltre centosessanta documenti inediti sempre dell’Archivio di Stato, dai quali riassumiamo in breve le principali notizie biografiche.2 * Elisabetta Ulivi, Dipartimento di Matematica, Università di Firenze. E-mail: ulivi@math. unifi.it 1 I documenti sono riportati in Appendice. Nella trascrizione abbiamo sciolto le abbreviazioni, staccato le parole, introdotto accenti ed apostrofi, ricostruito la punteggiatura e l’uso delle maiuscole; in parentesi quadre abbiamo aggiunto le date talvolta mancanti, e lettere o parole utili alla comprensione del testo. Nei documenti riportati parzialmente i tre puntini di sospensione stanno ad indicare brani da noi omessi nella trascrizione. Tre puntini in parentesi quadre indicano un passo illeggibile. Tre spazi vuoti tra parentesi quadre corrispondono ad una lacuna. Ricordiamo che l’anno fiorentino iniziava il 25 marzo. Nel fare riferimento ai singoli documenti, abbiamo sempre seguito la datazione moderna, mantenendo quella originale solo all’interno dei documenti stessi. 2 Elisabetta Ulivi, Benedetto da Firenze (1429-1479) un maestro d’abaco del XV secolo. Con documenti inediti e con un’Appendice su abacisti e scuole d’abaco a Firenze nei secoli XIII-XVI, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2002 (in «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXII, 1, 243 pp.). E. Ulivi, Un documento autografo ed altri documenti inediti su Benedetto da Firenze, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVI, 1, 2006, pp. 109-125. Per un altro documento in cui è citato «Benedetto dell’abacho» cfr. Robert Black, Education and Society in Florentine Tuscany: Teachers, Pupils and Schools, c. 1250-1500, Leiden-Boston, Brill, 2007, p. 369. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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Ultimo di otto figli, Benedetto nacque a Firenze nel 1429 da Taddea di Domenico di Piero e da Antonio di Cristofano di Guido, un tessitore di seta la cui fruttuosa attività assicurò alla famiglia un’ampia casa a Firenze e possedimenti in Valdarno Superiore e in Valdelsa. Nel 1457 Benedetto si sposò con Pippa di Giovanni di Bartolo Tinghi, un «chomandatore» della Signoria. La ragazza portò al marito una buona dote di 250 fiorini, ma sembra che non gli abbia dato figli. Benedetto visse con i familiari fino al 1476 nel Popolo di San Michele Berteldi sotto il Gonfalone del Drago del Quartiere di San Giovanni, sulla scomparsa Piazza Padella, verso l’attuale Via Teatina. Prima, e per quasi un quarantennio, nel palazzo di proprietà confinante con l’abitazione che appartenne a Filippo Brunelleschi e successivamente al suo erede Andrea di Lazzaro Cavalcanti, detto il Buggiano; poi, in un periodo di ristrettezze economiche successivo alla morte del padre, in una vicina casa presa in affitto. Nell’ultimo triennio della sua vita, Benedetto e la consorte abitarono nella Via dei Fibbiai, sempre in San Giovanni ma nel Popolo di San Michele Visdomini all’insegna del Vaio, in un sito che al tempo apparteneva al Monastero di Santa Maria degli Angeli. Il maestro morì nel 1479, seguito a breve distanza dalla moglie. Allievo di Calandro di Piero Calandri, Benedetto insegnò a partire dal 1448 in più botteghe d’abaco di Firenze, collaborando col Maestro Mariano figlio del Maestro Michele di Gianni, quasi sicuramente con Bettino di Ser Antonio Da Romena, e forse anche con Banco di Piero Banchi e con i figli di Calandro, Piermaria e Filippo Maria.1 Ebbe inoltre due nomine come maestro d’abaco ad Arezzo e Perugia. All’attività didattica, il Nostro unì ed alternò quella di perito e misuratore, fino ad oggi testimoniata da resoconti relativi al Palazzo della Signoria del 1475 e 1477, da atti notarili privati tra cui un lodo scritto dallo stesso Benedetto nel 1477, e da documenti del 1474-1475 appartenenti 1 Sui maestri Michele di Gianni e Mariano di Michele si veda E. Ulivi, Mariano del Mº Michele, un maestro d’abaco del XV secolo, «Nuncius, Annali di Storia della Scienza», XVI, 1, 2001, pp. 301-346; E. Ulivi Maestri e scuole d’abaco a Firenze: la ‘Bottega di Santa Trinita’, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXIV, 1, 2004, pp. 51-53, 61-63, 66-69, 74-75. Su Bettino Da Romena cfr. E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, un maestro d’abaco nel Castello di Romena, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVI, 1, 2006, pp. 57-107. Sugli abacisti della famiglia Calandri, su altri abacisti fiorentini ad essi legati, ed in particolare sul Maestro Banco di Piero, è in corso la stesura di un libro che ne raccoglie notizie e documenti inediti; per alcune informazioni in proposito si veda E. Ulivi, I Maestri Biagio di Giovanni e Luca di Matteo e la “Bottega d’abaco del Lungarno”, Quaderno del Dipartimento di Matematica “U. Dini”, Università degli Studi di Firenze, 11, 1993, 17 pp., ed E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco il Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di E. Giusti e con la collaborazione di R. Petti, Firenze, 2002, p. 135 e segg. Cfr. anche R. Black, Education and Society in Florentine Tuscany, cit., ad vocem.
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alla Mercanzia ed al Monastero degli Angeli, per il quale l’abacista lavorò anche nelle vesti di sindaco e procuratore. 2. Benedetto da Firenze, Francesco Monciatto e l’Ospedale di San Matteo Il primo dei documenti che qui riportiamo, trascrivendolo per intero, è contenuto in una filza dell’Ospedale di San Matteo. Si tratta di una relazione autografa del Maestro Benedetto, che risale al 1469, e che precede dunque di otto anni la sentenza arbitrale stilata dalla mano del maestro, da noi già pubblicata. L’Ospedale di San Matteo,1 detto anche «di Lemmo» o «di Lelmo» fu fondato da Guglielmo di Vinci di Graziano Balducci da Montecatini, un cambiatore che, verso la fine della sua vita, decise di devolvere gran parte delle ricchezze accumulate grazie all’usura, per la creazione di un nosocomio sull’antico Monastero delle suore benedettine di San Niccolò di Cafaggio, all’angolo tra la Via del Cocomero, ora Via Ricasoli, e Via della Sapienza, oggi Cesare Battisti. Le monache trasferirono la loro sede poco lontano, dall’altro lato della Via del Cocomero all’angolo con Via del Ciliegio, l’odierna Via degli Alfani, dove si trova il Conservatorio musicale Luigi Cherubini. I lavori per l’edificazione dell’ospedale, i cui locali ospitano oggi l’Accademia delle Belle Arti, iniziarono verso il 1385 e si protrassero per oltre un ventennio. Tra il 1387 ed il 1393 l’abacista Michele di Gianni vi collaborò con i capomastri incaricati della costruzione, e nel corso del Tre-Quattrocento vi lasciarono alcune loro opere illustri artisti quali Paolo Uccello, Lorenzo di Credi e Andrea della Robbia, del quale, sul portone principale, è ancora visibile una lunetta in terracotta policroma invetriata. Prima intitolato a San Niccolò, l’ospedale prese poi il nome di San Matteo protettore dell’Arte del Cambio, alla quale il Balducci aveva conferito, nel suo testamento, il perpetuo patronato sulla pia istituzione. Verso il 1465 i Consoli dell’Arte stabilirono di sfruttare la vasta area dell’orto del nosocomio che si affacciava sulla Via del Ciliegio del Popolo di San Michele Visdomini, edificando su di essa quattro case, una di seguito all’altra.2 Le prime due vennero ultimate oltre tre anni dopo, quando Benedetto dell’abaco, il 13 febbraio 1469, espose in tre carte la propria det1 Sull’ospedale di San Matteo e per alcuni cenni a Maestro Benedetto cfr. Esther Diana, San Matteo e San Giovanni di Dio, due ospedali nella storia fiorentina, Firenze, Le Lettere, 1999, pp. 21-122. Sull’ospedale anche Luciano Artusi, Antonio Patruno, Gli antichi ospedali di Firenze, Firenze, Semper, 2000, pp. 247-256. 2 Per la storia di quelle case cfr. in particolare Archivio di Stato di Firenze (in seguito ASF), Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 99, cc. 5r-6r.
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Fig. 1. La relazione presentata da Benedetto da Firenze il 13 febbraio 1469. ASF, Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci, c. 114r.
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tagliata relazione con il resoconto di tutte le misure fatte da lui nelle costruzioni appena edificate, e con i relativi costi.1 Parte della paga stabilita gli verrà consegnata dal capo-mastro Michele di Mariano, e registrata in tre filze dell’ospedale.2 Una delle due case venne data in affitto, nello stesso anno, al notaio Ser Marchionne Donati, per essere poi venduta nel 1481 al medico Antonio di Ser Paolo Benivieni.3 L’altra fu appigionata a Francesco di Domenico, un maestro del legno ed intarsiatore, noto anche come il Monciatto, dal soprannome sia del nonno sia del padre Domenico di Simone di Domenico, che fu prima corriere e poi legatore alla dogana. Dopo aver vissuto al Canto alla Briga, nel Popolo di San Pier Maggiore del Gonfalone delle Chiavi in San Giovanni, Francesco si trasferì, nel 1468, con i genitori e la moglie Piera, nella casa dell’Ospedale di San Matteo, dove divenne padre di due figlie e dove rimase almeno fino al 1495.4 Tra il 1468 ed il 1483 il legnaiolo prestò più volte la sua opera per lo stesso ospedale e per le due case misurate dal Maestro Benedetto, collaborando dunque col Nostro negli anni della loro edificazione.5 Nella sua scritta, Benedetto fece, di fatto, ripetuti riferimenti al Monciatto, al tempo già conosciuto a Firenze per aver lavorato ai ponti della lanterna del Duomo nel 1455, e per aver realizzato il coro della Basilica di San Miniato al Monte e lavori in legno del Palazzo della Signoria nel 1466. Benedetto di Antonio e Francesco di Domenico avranno occasione di ritrovarsi, negli anni 1475-1478, durante l’opera di ristrutturazione della Sala Grande e della Sala del Consiglio, o dei Duegento, di Palazzo Vecchio, che vide impegnati importanti architetti e scultori del Quattrocento.6 L’artigiano e l’abacista apparterranno infine alla stessa parrocchia, il 1 Cfr. Appendice, documento 1. Una delle restanti due case fu solo iniziata e quindi venduta a Iacopo di Stefano Rosselli, mentre per il quarto edificio l’ospedale concesse la porzione di terreno utile alla costruzione ad un livellario, Zanobi di Michele Brancacci: Ospedale di San Matteo 331, cc. 97s, 151s. 2 Cfr. Appendice, documenti 2-4. 3 ASF, Ospedale di San Matteo 186, c. 207v; 188, c. 97v; 331, cc. 106s, 192s. 4 ASF, Catasto 80 (anno 1427), c. 526r; Catasto 719 (anno 1451), c. 944r; Catasto 828 (anno 1458), c. 482r; Catasto 927 (anno 1469), c. 383r; Catasto 1021 (anno 1480), c. 33r; Decima Repubblicana 31 (anno 1495), c. 517r; Ospedale di San Matteo 331, c. 85s. Dal Catasto del 1458, abbiamo notizia anche di un figlio illegittimo di Francesco. 5 ASF, Ospedale di San Matteo 188, cc. 29v, 53r, 57r, 84r; 257, c. 107v; 331, cc. 58s, 58d, 81d, 85d. 6 Sempre in Palazzo Vecchio, nel 1495-1497, il legnaiolo collaborerà alla fabbrica della Nuova Sala del Consiglio, o Salone dei Cinquecento. Nel 1498 ai restauri della lanterna di Santa Maria del Fiore. Del Monciatto, è nota la partecipazione, nel gennaio del 1504, all’insigne commissione per la collocazione del David di Michelangelo. Ricordiamo anche che nel 1471 gli Operai dell’Opera del Duomo commissionarono a Francesco di Domenico gli arredi del coro. Benedetto Dei lo elenca, nella sua Cronaca fiorentina, tra i maestri di prospettiva a Firenze nel 1470. Assie-
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Popolo di San Michele Visdomini, nell’ultimo triennio della vita di Benedetto da Firenze. 3. Benedetto e Ser Piero da Vinci Dopo quelli dell’Ospedale di San Matteo, i successivi quattordici documenti sono atti notarili. Il primo è riportato in un protocollo di Ser Giuliano di Giovanni Lanfredini. Uno è contenuto in una filza di Ser Benedetto di Ser Francesco da Cepperello. Tre si trovano tra le carte di Ser Angelo di Ser Alessandro da Cascese. Tutti gli altri fanno parte dei rogiti di un ben più famoso ed importante notaio del tempo, Ser Piero di Antonio da Vinci, il padre di Leonardo. Si tratta di quattro notai che furono tra loro professionalmente molto legati, come attesta la frequente e reciproca presenza nei rispettivi rogiti, e quella contemporanea in atti di altri colleghi.1 Ser Giuliano di Giovanni Lanfredini ebbe con Ser Piero da Vinci anche relazioni di parentela; sua figlia Francesca fu infatti la seconda moglie di Ser Piero. I Lanfredini abitarono nel Popolo di San Frediano, in Santo me a Giuliano da Maiano, Francione e Baccio Pontelli, il Monciatto è citato, ancora nel 1470, in relazione al Monastero delle SS. Flora e Lucilla ad Arezzo, e nel 1476 circa alcuni lavori per il Duomo di Pisa. Sulla sua attività si vedano: Giovanni Gaye, Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV-XV-XVI, Firenze, G. Molini, vol. I, 1839, pp. 574, 587; Cesare Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., 1857, pp. 105, 120; Aurelio Gotti, Storia del Palazzo Vecchio in Firenze, Firenze, Stabilimento G. Civelli, 1889, pp. 110, 121; Iginio Benvenuto Supino, I maestri d’intaglio e di tarsia in legno nella Primaziale di Pisa, «Archivio Storico dell’Arte», VI, 1893, p. 164; Cornelius Von Fabriczy, Giuliano da Maiano, «Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen», XXIV, 1903, p. 164; Giovanni Poggi, Il Duomo di Firenze. Documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile tratti dall’Archivio del’Opera, Berlino, Bruno Cassirer, 1909 (ristampa anastatica con note a cura di Margaret Haines, Firenze, Medicea, 1988, 2 voll.), vol. I, pp. cxxi-cxxiii, 241-242; Giuseppina Carla Romby, Descrizioni e rappresentazioni della città di Firenze nel XV secolo, con la trascrizione inedita dei manoscritti di Benedetto Dei e un indice ragionato dei manoscritti utili per la storia della città, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1976, p. 73; Giulio Lensi Orlandi, Il Palazzo Vecchio di Firenze, Firenze, Martello-Giunti, 1977, pp. 76-81, 89-92, 110; Franco Borsi, Gabriele Morolli, Francesco Quinterio, Brunelleschiani, Roma, Officina, 1979, pp. 203, 242, 284, 286; Margaret Haines, La sacrestia delle messe del Duomo di Firenze, Firenze, Cassa di Risparmio, 1983, pp. 27, 138, 310; Francesco Gurrieri, L’Architettura, in La Basilica di San Miniato al Monte a Firenze, Firenze, Giunti, ed. Cassa di Risparmio di Firenze, 1988, pp. 49, 120-121; Nicolai Rubinstein, The Palazzo Vecchio 1298-1532, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 29, 32, 40, 60; F. Quinterio, Giuliano da Maiano ‘grandissimo domestico’, Roma, Officina, 1996, ad vocem: Franco Gizdulich, Il modello del coro di Santa Maria del Fiore, in Sotto il cielo della Cupola. Il coro di Santa Maria del Fiore dal Rinascimento al 2000, Milano, Electa, 1997, pp. 46-47. Si ringrazia Margaret Haines per le informazioni bibliografiche riguardanti Francesco Monciatto. 1 Si veda ad esempio ASF, Notarile Antecosimiano 7525 (Ser Andrea di Romolo Filiromoli); 8343 (Ser Fronte di Tommaso di Fronte); 12124 e 12125 (Ser Lorenzo di Niccolò di Diedi).
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Spirito,1 il quartiere dove Ser Giuliano stilò buona parte dei suoi rogiti, complessivamente tra il 1433 ed il 1483.2 Ser Benedetto da Cepperello visse prima nel Quartiere di Santa Croce sotto il Gonfalone del Bue, poi nel Popolo di San Miniato tra le Torri del Quartiere di Santa Maria Novella.3 Esercitò l’attività notarile almeno dal 1466 al 1480.4 Ser Angelo da Cascese era nipote del maestro d’abaco Banco di Piero Banchi, essendo sua madre Antonia una sorella dell’abacista.5 Come Benedetto da Firenze, abitò anche lui, per qualche tempo, nel Popolo di San Michele Visdomini,6 dopo avere probabilmente vissuto all’insegna della Vipera, in Santa Maria Novella.7 Ser Angelo ha lasciato numerosi protocolli compresi tra il 1470 ed il 1513.8 Ser Piero da Vinci svolse la sua intensa professione per oltre un cinquantennio, dal 1449 alla morte, avvenuta nel 1504.9 Almeno dal 1457, ma quasi con certezza già da diversi anni, Ser Piero ebbe successive residenze a Firenze, nelle zone di Santa Croce e di Santa Maria Novella: in particolare, nel Popolo di Santa Maria Sopra Porta, di quest’ultimo quartiere, il notaio abitò tra il 1462 ed il 1467 verso la Piazza di Parte Guelfa, vicino alla casa che il Maestro Benedetto aveva in Piazza Padella. Fin dal 1456, Ser Piero svolse la sua professione nel Popolo di Santo Stefano alla Badia, dal 1461 in una bottega che era proprietà della stessa Badia Fiorentina e che si trovava in Via del Palagio del Podestà, un tratto dell’attuale Via Ghibellina, di fronte al Bargello.10 Lo studio di Ser Piero era in una zona allora densa di botteghe di notai, tra cui quelle di Ser Niccolò Da Romena fratello dell’abacista Bettino,11 e di Ser Angelo da Cascese,12 e dove anche Ser Benedetto da Cepperello stilò molti dei suoi rogiti. Accanto agli studi notarili, in quelle strade fiorirono varie botteghe di mi1 ASF, Catasto 693 (anno 1451), c. 4r; Catasto 795 (anno 1458), c. 353r; Catasto 909 (1469), c. 731r; Catasto 1000 (anno 1480), c. 215r. 2 Cfr. ASF, Notarile Antecosimiano 11400-11404. 3 Cfr. ASF, Catasto 801 (anno 1458), c. 710r; 913 (anno 1469), c. 1037v; 1003 (anno 1480), c. 172r. 4 ASF, Notarile Antecosimiano 2308. 5 Biblioteca Nazionale di Firenze, Magl. XXVI, 142, p. 340. ASF, Catasto 695 (anno 1451), c. 290r. 6 Cfr. ad esempio ASF, Notarile Antecosimiano 12124, c. 62v e 16827, c. 3v. 7 Suo padre Ser Alessandro di Angelo si trova infatti nel Sommario dei Campioni del Catasto del 1458 per il Gonfalone della Vipera, ma la corrispondente portata risulta mancante: ASF, Catasto 836. 8 ASF, Notarile Antecosimiano 610-635. 9 ASF, Notarile Antecosimiano 16823-16842. 10 Sull’attività notarile di Ser Piero da Vinci e sulle sue residenze a Firenze, si vedano Il notaio nella civiltà fiorentina. Secoli XIII-XVI. Mostra nella Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze 1º ottobre10 novembre 1984, Firenze, Vallecchi, 1984, pp. 256-258; E. Ulivi, Le residenze del padre di Leonardo da Vinci a Firenze nei Quartieri di Santa Croce e di Santa Maria Novella, «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», XXVII, 1, 2007, pp. 155-171. Cfr. anche i lavori citati nella nota 4 a p. 296. 11 E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, cit., pp. 66-67. 12 Cfr. ad esempio il Notarile Antecosimiano 613, c. 60r.
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niatori, di cartolai e librai come il biografo Vespasiano da Bisticci.1 In Via San Martino, ora Via Dante Alighieri, ebbe vita la Scuola d’abaco della Badia, confinante con la celleria del monastero, dove il Maestro Bettino insegnò tra il 1452 ed il 1456,2 dopo gli anni della sua presunta collaborazione con Benedetto di Antonio nella Scuola di Orsanmichele. Dei suddetti quattordici rogiti, il primo risale al 1457, il successivo al 1468, undici riguardano il biennio 1476-1477, mentre l’ultimo del 1481 è posteriore alla morte del Maestro Benedetto. Al di là del loro contenuto, essi giocano un ruolo significativo su quanto a suo tempo ipotizzato da Solmi e da Hart circa eventuali rapporti diretti tra Benedetto e Leonardo,3 negli anni che il giovane scienziato trascorse a Firenze subito dopo aver lasciato Vinci e prima di trasferirsi a Milano.4 Un’ipotesi che fu suggerita al Solmi dalla presenza, nel Codice Atlantico, di un elenco di uomini illustri del tempo, probabilmente compilato verso la fine degli anni settanta. Il passo in questione contiene, infatti, il nome di «Benedetto de l’abbaco» e, certo non a caso, anche quello di Ser Benedetto da Cepperello.5 Altri per1 E. Ulivi, Bettino di Ser Antonio, cit., p. 75. 2 Ivi, pp. 75-80. 3 Edmondo Solmi, Leonardo (1452-1519), Firenze, G. Barbera, 1900, pp. 12-13; Ivor Hart, The world of Leonardo da Vinci, London, Mac Donald, 1961, p. 28. 4 Come ben noto, Leonardo nacque il 15 aprile 1452, figlio naturale di Ser Piero e di una ragazza di nome Caterina. Dopo un primo periodo trascorso a Vinci nella casa del nonno paterno Antonio, Leonardo si trasferì a Firenze verosimilmente entro i primi anni sessanta. Lasciò Firenze verso il 1482; nella primavera del 1483 era già a Milano. Per notizie sulla famiglia di Leonardo e sulla sua prima giovinezza, e per i relativi riferimenti archivistici e bibliografici, si vedano: Gustavo Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, Firenze, Stabilimento di G. Pellas, 1872; Nino Smiraglia Scognamiglio, Ricerche e documenti sulla giovinezza di Leonardo da Vinci (14521482), Napoli, Riccardo Marghieri di Gius., 1900; Luca Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci, Milano, Fratelli Treves Editori, 1919; Gerolamo Calvi, Spigolature Vinciane dall’Archivio di Stato di Firenze, «Raccolta Vinciana», XIII, 1926-1929, pp. 35-43; Renzo Cianchi, Vinci Leonardo e la sua famiglia (con appendice di documenti inediti), Milano, Ed. Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, 1953; Carlo Vecce, Leonardo, Roma, Salerno editrice, 1998; Pietro C. Marani, Leonardo: una carriera di pittore, Milano, Federico Motta, 1999; David Alan Brown, Leonardo da Vinci: origini di un genio, Milano, Rizzoli, 1999; David Alan Brown, Leonardo apprendista, Comune di Vinci, Firenze, Giunti, 2000; Enrico Guidoni, Fanciullezza e giovinezza di Leonardo da Vinci, Roma, Kappa, 2003; Leonardo da Vinci. La vera immagine. Documenti e testimonianze sulla vita e sull’opera, a cura di Vanna Arrighi, Anna Bellinazzi, Edoardo Villata, Firenze-Milano, Giunti, 2005; Edoardo Villata, Leonardo, Milano, 5Continents, 2005; Angelo de Scisciolo, Per un’altra storia. Studi sull’opera “Il Ritratto di Ginevra de’ Benci” di Leonardo da Vinci, Città di Castello, Edimond, 2006; E. Ulivi, Le residenze del padre di Leonardo da Vinci a Firenze, cit.; E. Ulivi, Nuovi documenti e notizie sulla famiglia di Leonardo: I matrimoni di Ser Piero e Francesco di Antonio da Vinci, Quaderno del Dipartimento di Matematica “U. Dini”, Università degli Studi di Firenze, 9, ottobre 2007, 35 pp. 5 Lo riportiamo per esteso: «Quadrante di Carlo Marmocchi - Messer Francesco, araldo - Ser Benedetto da Cepperello - Benedetto de l’abbaco - Maestro Pagolo, medico - Domenico di Michelino - El Calvo de li Alberti - Messer Giovanni Argiropolo»: cfr. Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Trascrizione diplomatica e critica di Augusto Marinoni, Firenze, Giunti Barbera, I, 1975, pp. 91-92 (Tavole, c. 42v). In proposito cfr. anche C. Vecce,
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sonaggi citati sono: il noto scienziato Paolo dal Pozzo Toscanelli; Carlo Marmocchi, ingegnere e matematico al servizio della Signoria di Firenze nonché cultore di astronomia e geografia; il pittore Domenico di Francesco detto Domenico di Michelino; gli umanisti Giovanni Argiropulo traduttore e commentatore delle opere di Aristotele, e Francesco Filarete che fu araldo della Signoria.1 Passiamo ora ad una rapida descrizione dei rogiti. Il primo concerne la dote di 250 fiorini che Benedetto da Firenze ebbe dalla famiglia della moglie Pippa Tinghi, ed è di poco successivo al loro matrimonio. Nel documento, datato 6 dicembre 1457, l’abacista e suo padre Antonio di Cristofano, dichiaravano di aver ricevuto da Giovanni Tinghi, per la dote della figlia, cinquanta fiorini, e in sostituzione dei rimanenti duecento l’usufrutto di un podere con casa da lavoratore situato nel Popolo di Sant’Angelo a Legnaia. L’atto si conclude con tre sottoscrizioni: una di Benedetto, le altre dei due testimoni del rogito.2 Il breve passo che si deve alla mano di Benedetto è, a tutt’oggi, il più antico documento autografo lasciato dal maestro fiorentino. I successivi dodici rogiti, di cui riportiamo solo degli estratti, sono tutti legati ad una stessa attività che il Nostro svolse negli ultimi anni di vita, al di fuori dei suoi impegni come abacista, quella cioè di procuratore. Prima con una nomina privata del 2 febbraio 1468 fatta dal notaio Ser Matteo di Ramondo Fortini,3 che abbiamo già incontrato in relazione al Maestro Benedetto,4 poi quale sindaco di due istituti religiosi, il Convento delle suore agostiniane di Santa Maria sul Prato di Ognissanti e il Monastero dei frati camaldolesi di Santa Maria degli Angeli. Il Convento di Santa Maria sul Prato, fondato nel 1289 dal Vescovo Andrea de’ Mozzi ed unito nel 1714 a quello di San Giuseppe, si trovava verso Borgo Ognissanti sull’area chiamata “Il Prato” a causa della manLeonardo, cit., pp. 60-61; A. de Scisciolo, Per un’altra storia, cit., pp. 59-60, 68, 176; E. Villata (a cura di), Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee. Milano, Castello Sforzesco, 1999, p. 12. 1 Sul Toscanelli si veda G. Uzielli, La vita e i tempi di Paolo dal Pozzo: ricerche e studi, Roma, Auspice il Ministero della Pubblica Istruzione, 1894. Su Domenico di Michelino, Giovanni Argiropulo e Francesco Filerete cfr. il Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem. Ricordiamo che il Filarete fu, con Leonardo da Vinci e Francesco Monciatto, fra coloro che espressero un parere alle autorità cittadine in merito alla collocazione del David: cfr. G. Lensi Orlandi, Il Palazzo Vecchio, cit., p. 110. 2 Cfr. Appendice, documento 5. Un riferimento al documento del 6 dicembre 1457 si trova in un appunto stilato dal notaio Ser Matteo Guerrucci in data 19 agosto 1467, e conservato tra le carte di Ser Giovanni di Domenico Carondini: ASF, Notarile Antecosimiano 4358 (1466-1468), n. 14. 3 Cfr. Appendice, documento 6. 4 Cfr. E. Ulivi, Un documento autografo ed altri documenti inediti su Benedetto da Firenze, cit., pp. 117-118, 121-122, 124-125.
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canza di pavimentazione, in quanto allora occupata dal mercato settimanale del bestiame.1 Il lavoro svolto da Benedetto per il convento ci viene per la prima volta attestato da un documento del 6 luglio 1477,2 dove si fa riferimento alla sua elezione a sindaco in un atto rogato da Ser Giovanni di Francesco Neri, ma non pervenutoci, e col quale l’abacista trasferì il suo incarico di sindaco a Messer Piero di Donato di Leonardo Bruni, nipote dell’umanista aretino Leonardo Bruni, e personaggio di rilievo che ebbe stretti rapporti col Nostro.3 Il grande Monastero di Santa Maria degli Angeli del Tiratoio – situato in Via degli Alfani e fondato nel 1295 per volontà e grazie ad un lascito di Fra’ Guittone d’Arezzo – fu famoso dal punto di vista artistico e culturale. Nel corso del Trecento come sede di un importante laboratorio di miniatura da cui uscì il pittore Lorenzo Monaco; nel Quattrocento come centro di studi promossi da Ambrogio Traversari ed ai quali parteciparono uomini illustri, tra cui Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini, Bartolomeo Valori, Paolo dal Pozzo Toscanelli, Cosimo e Lorenzo de’ Medici.4 Quattro volumi del convento testimoniano e raccontano ampiamente il lavoro svolto dal loro «fattore» Benedetto tra il febbraio del 1476 ed i primi di giugno del 1479, al tempo in cui ne fu priore Don Leonardo di Donato di Leonardo Bruni, fratello del citato Piero. A questi documenti, già pubblicati, si aggiungono ora: quattro rogiti del 3 e 9 luglio 1476 e del 14 marzo 1477 che contengono la «Sindicatio», cioè l’atto ufficiale con cui l’abacista veniva periodicamente nominato procuratore e sindaco del monastero, per due volte assieme a frate Andrea di Iacopo da Lunigiana;5 cinque rogiti del 18, 19, 26 settembre 1476 e 30 maggio 1477 dove Benedetto compare solo nel ruolo di testimone di quattro atti di locazione del Monastero degli Angeli e di una «Sindicatio» del solito Piero di Donato Bruni;6 infine una «Promissio» fatta da Benedetto allo stesso Don Leonardo il 26 ottobre 1477.7 L’ultimo rogito, e due documenti della Mercanzia ad esso correlati, che trascriviamo sempre in sintesi, riguardano una questione intercorsa 1 Cfr. Giuseppe Richa, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine divise ne’ suoi Quartieri. In Firenze, nella Stamperia di Pietro Gaetano Viviani, IV, 1756, pp. 238-251; Gianpaolo Trotta, Il Prato d’Ognissanti a Firenze, genesi e trasformazione di uno spazio urbano, Firenze, Alinea, 1988, pp. 20-21, 28, 43, 56, 59. 2 Cfr. Appendice, documento 9. 3 Cfr. E. Ulivi, Benedetto da Firenze, cit., ad vocem; E. Ulivi, Un documento autografo ed altri documenti inediti su Benedetto da Firenze, cit., p. 117. Messer Piero rimase procuratore delle monache almeno fino al 1485: ASF, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese 129, 70, cc. 2r, 4r, 7r. 4 Sul Monastero di Santa Maria degli Angeli si vedano G. Richa, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, cit., VIII, 1759, pp. 143-174 e Divo Savelli, Il Convento di S. Maria degli Angeli a Firenze, a cura dell’a.n.m.i.g., Firenze, Editoriale Tornatre, 1983. 5 Cfr. Appendice, documenti 7, 8, 10, 15. 6 Cfr. Appendice, documenti 11-14, 16. 7 Cfr. Appendice, documento 17.
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Fig. 2. La sottoscrizione di Benedetto da Firenze al documento del 6 dicembre 1457. ASF, Notarile Antecosimiano 11401, c.n.n.
tra alcuni parenti di Benedetto da Firenze ed il Monastero di Santa Maria degli Angeli, dopo la morte del Nostro. I tre documenti non aggiungono, in realtà, molto a quanto già sappiamo, grazie ad un atto del Podestà del 13 giugno 1480, ad una lettera degli Otto di Guardia e Balia della Repubblica datata 15 luglio 1480, ed a vari passi tratti dagli stessi libri del convento, tutti a suo tempo pubblicati. Mettono tuttavia a fuoco alcuni punti della questione, ci portano a conoscenza di altri documenti, convalidano e confermano alcune ipotesi da noi già avanzate sul periodo immediatamente successivo alla scomparsa dell’abacista. Il lungo rogito, del 4 aprile 1481,1 inizia ricordando alcuni avvenimenti: Ancora il matrimonio di Benedetto e Pippa, e la consegna della dote al maestro ed a suo padre Antonio da parte di Giovanni Tinghi; la morte di Benedetto e quella di Pippa, «ab intestato» e «parum post mortem ipsius Benedicti», avvenute «nullis ex eis relictis comunibus filiis vel aliis descendentibus masculis vel feminis legiptimis et naturalibus, uno et seu pluribus»; l’assegnazione agli eredi di Pippa, i suoi tre fratelli Bartolomeo, Francesco e Luca, ed in restituzione della sua dote, di un podere situato a San Giovenale nella Plebe di Cascia del Valdarno Superiore, assegnazione che fu stabilita dal citato atto del Podestà, a seguito di 1 Cfr. Appendice, documento 18.
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un’istanza avanzata l’11 febbraio 1480 da Ser Andrea di Ser Angelo da Terranova. Il rogito prosegue informandoci che, nello stesso anno, i frati del Monastero di Santa Maria degli Angeli, dopo aver conteggiato un debito di oltre 180 fiorini lasciato da «Benedetto dell’abacho», negli anni in cui fu loro procuratore, chiesero agli eredi del maestro il risarcimento del debito, che venne loro accordato con una sentenza del Tribunale della Mercanzia. La petizione fu presentata al Tribunale il 24 marzo 14801 dall’allora sindaco del monastero Don Mauro di Giampiero, contro i suddetti eredi, ossia Andrea, Cristoforo e Iacopo, nipoti di Benedetto in quanto figli di suo fratello Lorenzo, e la sentenza fu emanata dal giudice il successivo 16 maggio.2 Finalmente, la «Convenctio» stilata da Ser Piero da Vinci il 4 aprile 1481, stabilì che una parte di quel debito, 45 fiorini larghi, venisse pagata ai monaci di Santa Maria degli Angeli dai fratelli nonché eredi di Pippa Tinghi, avendo stimato il podere ad essi aggiudicato di valore superiore alla dote della sorella. È quello, a tutt’oggi, l’ultimo documento noto in relazione a Benedetto da Firenze. Ap pe ndic e Do cum e n ti de l l ’ Archivio di Stato di Firenz e 1. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 1 (Scritture attinenti a Lemmo Balducci ed alla fabbrica dell’ospedale), cc. 114r-115r 13 febbraio 1469 1468 Richordo chome a dì 13 di febraio io Benedetto d’Antonio dell’abacho misurai el lavorio di 2 chase poste al lato al fornaio da Sancto Nicholò della Via del Chochomero, che sono dello Spedale di Lelmo, fatte per Michele di Mariano, e prima Tetti El tetto di dette due chase dinanzi a’ veroni insino alla via, quadro __ br. 1337 El tetto che è di sopra a’ terrazi d’amenduni le chase, quadro ______ br. 1112 El tetto di dietro a’ veroni d’amenduni le chase, quadro___________ br. 1480 El tetto dove sono le cucine e stalle d’amenduni le chase __________ br. 1190 Somma 1119 Muro di mattone sopra mattone El muro del chamino, che cholla trameza, in tutto quadro_________ br. 1178 1 Cfr. Appendice, documento 19.
2 Cfr. Appendice, documento 20.
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El muro dell’altro chamino, e cholle spallette insino al verone, quadro _ br. 1193 E muri d’amenduni e terrazi, in tutto quadro___________________ br. 1248 El muro dell’uscio che va in sul verone d’amenduni le chase, quadro_ br. 1124 E muri che sono al lato al detto uscio, in tutto quadro ____________ br. 1175 E muri de’ chamini d’amenduni le chase, quadro ________________ br. 1170 El muro di tramezo delle chamere e cucine e antichamere d’amenduni le case, quadro ______________________________________________ br. 1136 El muro ch’è sopra la loggia d’amenduni le case, quadro in tutto____ br. 1752 El muro degli scrittoi e necessari d’amenduni le chase, quadro in tutto _ br. 1184 El muro che è sopra le schale delle volte d’amenduni le chase, quadro in tutto ____________________________________________________ br. 1118 El muro de’ tramezi delle stalle e cucine d’amenduni le chase, quadro__ br. 1116 E muri delle spallette da piè delle schale d’amenduni le chase, quadro in tutto ____________________________________________________ br. 1138 El muro di sopra il muro grosso ch’è di sopra alle stalle, e il muro dal lato, e il tramezo, e il muro dell’altra chasa, di stalla e cucina, quadro in tutto ____________________________________________________ br. 1154 El muro de’ 2 chamini di sopra a dette stalle e cucine, in tutto quadro braccia ____________________________________________________br. 1130 El muro di detti chamini cioè le ghole e dall’alto, in tutto quadro____ br. 1190 El muro dinanzi di dete cucine e stalle, quadro in tutto, d’amenduni le chase ____________________________________________________ br. 1195 El muro che è di sopra al muro grosso, che divide la chorte dal’orto delle monache ____________________________________________ br. 1100 El muro che divide amenduni le chase, quadro _________________ br. 1154 El muro delle schaluze delle stalle ___________________________ br. 1117 El muro che divide le chase fatte da quelle che s’ànno a ffare, quadro ___ br. 1188 El muro dell’orticino dove sta Monciatto, quadro________________ br. 1119 El muro del pozo cioè la ghola, dal lato di Monciatto dal piano in su _ br. 1114 El muro del muricciuolo della chasa di Monciatto _______________ br. 1116 El muro del chamino del fornaio ch s’è fatto di nuovo e quello che s’è rifatto, in tutto________________________________________________ br. 1190 Somma 2589 Palchi amattonati El palchi d’amenduni e terrazi di dette chase, quadro_____________ br. 1160 E palchetti sotto e terrazi di dette due chase, quadro in tutto _______ br. 1124 E palchi di sopra d’amenduni le chase, quadro in tutto____________ br. 1570 E palchi degli scrittoi e necessari d’amenduni le chase ____________ br. 1126 E palchi di sopra le cucine e stalle di dette due chase _____________ br. 1168 Somma 848 //
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El muro di verso l’orto della Via de’ Servi, cioè il muro della chasa di Monciatto e il muro che divide le 2 chase, in tutto____________________ br. 1568 E muri de tramezi d’amenduni le chase che dividono le schale, quadro _ br. 1960 El muro della faccia dinanzi d’amenduni le chase, quadro _________ br. 1419 El muro che divide le chamere dall’antichamere di di dette 2 chase, quadro ____________________________________________________br. 1325 El muro dal lato del fornaio, dal tetto di detto fornaio in su, quadro__ br. 1308 El muro rinfondato nelle volte, e più uno muro rifatto in una volta __ br. 1143 El muro di verso l’orto delle stalle e chucine d’amenduni le chase ___ br. 1180 El muro tra la chorte e l’orto delle monache, quadro _____________ br. 1180 El muro dov’è murato e chondotti, quadro braccia ______________ br. 1126 Somma 3909 Le volte amattonate Le volte delle sale e chamere e antichamere d’amenduni le chase, in tutto ___ _____________________________________________________br. 543 Le volte delle 2 dette chase sopra la volta del vino, quadro in tutto ___ br. 206 Le volticiuole del piano della volta del vino d’amenduni le chase, in tutto ____________________________________________________ br. 118 La volticiuola di sopra gl’androni d’amenduni le chase, in tutto quadro__ br. 152 Somma 809 Intonachi Intonachi d’intorno alle volte da vino d’amenduni le chase, quadro ___ br. 312 E dove sono le schale da vino d’amenduni le chase, quadro _________ br. 162 E più gl’intonachi del muro vechio, quadro bracia ________________ br. 448 Somma 822 Schale Le schale delle volte da vino d’amenduni le chase ________________ br. 118 Le schale di dette chase, cioè d’amenduni, in tutto________________ br. 190 Somma 108 Muro di 1/2 braccio El muro che divide l’androne dalle chamere d’amenduni le chase, in tutto quadro ______________________________________________ br. 160 El muro del pozo dalla ghiaia insino al piano dell’aloggio, in tutto quadro br. 122 Somma 182
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Amattonati Gli amattonati d’amenduni le loggie di dette chase _______________ br. 140 Gli amattonati de’ terreni d’amenduni le chase, quadro in tutto______ br. 200 Gli amattonati delle chucine d’amenduni le chase, quadro in tutto ___ br. 160 Gli amattonati e lastrichi delle stalluccie di dette chase, quadro in tutto__ br. 160 Somma 460 // Somma le braccia quadre del tetto, in tutto braccia __ 1119, monta per 2 s., 2 d. il braccio ___________________________________ £. 121, s. 14, d. 6 Somma le braccia di muro di mattone sopra monta _ 2589, monta per 2 s., 9 d. il braccio_______________________________________ £. 355, s. 19, d. 9 Somma le braccia de’ palchi amattonati _____ 848, monta per 4 s., 8 d. il braccio ___________________________________________ £. 197, s. 17, d. 4 Somma le braccia del muro grosso _____ 3909, monta per 4 s., – il braccio __ ______________________________________________ £. 781, s. 16, d. 4 Somma le braccia della volta amatonata ______ 809, monta per 6 s, – il braccio ______________________________________________ £. 242, s. 14, d. 4 Somma le braccia dell’intonachi ______ 822, monta per 1 s., – il braccio ______________________________________________ £. 141, s. 12, d. 4 Somma le braccia del muro di 1/2, braccio ______ 182, monta per 4 s., – il braccio ___________________________________________ £. 136, s. 18, d. 4 Somma le braccia delle schale _______ 108, monta per 4 s., 8 d. il braccio ______________________________________________ £. 125, s. 14, d. 4 Somma le braccia delli amattonati __________ 460, monta per 1º s., – il braccio ___________________________________________ £. 123, s. 44, d. 4 E più per 2 focholari del chamino delle cucine che sono braccia _____ 20, per 4 s. il braccio____________________________________ £. 114, s. 44, d. 4 Due truoghi nelle cucine, due vasi murati, due navicelli nelle chucine £. 7, s. 10, d. – Una schaluza nelle stalle di braccia 5 per 4 s., 8 d. __________ £. 111, s. 13, d. 4 Due volticiuole sopra pozi neri nelle volte _______________ £. 112, s. 18, d. 4 Per 2 s. il braccio, 4 fogne degli acquai di cucine al pozo da smaltare, braccia 28 in tutto ________________________________________ £. 112, s. 16, d. 4 Due chamini di sale chon 2 aquai, due aquai in terreno, due navicelle delle loggie ___________________________________________ £. 118, s. 44, d. 4 E più braccia 130 d’intonachi nella chorte e dietro allo vano del muro vechio, monta a s. 1º il braccio ____________________________ £. 116, s. 10, d. 4 E più braccia 140 d’arriciato nella corte sopra le mura vechie, monta per 0 s., 6 d. il braccio_____________________________________ £. 113. s. 10, d. 4 Somma in tutto £. 1861,1 s. [ ]4, d. 11 1 «1861» è corretto da «1868».
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2. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 188 (Giornale e Ricordi), c. 37v 13 febbraio 1469 Ricordo delle misure fatte de’ lavori à fatti Maestro Michele di Mariano alle nostre chase nuove, misurati per Benedetto d’Antonio dell’abacho per insino a dì 13 di febraio 1468, e de’ pregi di detti lavori fatti per Maestro Domenicho di Taddeo e Maestro Stefano di Iachopo da San Chasciano, chapo maestri chiamati d’achordo per Messer Lucha spedalingho e detto Maestro Michele, e loro raporto è in filza … Posto al Libro Azuro segnato G,1 c. 57.
3. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 257 (Libro di Entrata e Uscita segnato F), c. 106r 11 aprile 1469 A dì 11 di detto [aprile 1469] A Michele di Mariano chapo maestro £. due, s. diciassette, per lui al maestro dell’abacho per misuratura delle chase nuove, che in tutto ebbe f. uno largho, al Libro Azurro segnato G, c. 57 ____________________________ £. 2, s. 17
4. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 331 (Libro Azzurro segnato G: Debitori e creditori), c. 57s 11 aprile 1469 Michele di Mariano chapo maestro de’ dare … A dì XI detto [aprile 1469] £.dua, s. XVII per lui al maestro dell’abacho per fare la misura delle chase, come apare a uscita segnata F,2 c. 106________ £. 2, s. 17
5. Notarile Antecosimano 11401 (Ser Giuliano di Giovanni Lanfredini), c.n.n. 6 dicembre 1457 MCCCCLVII, indictione VIa et a dì VI di dicembre [1457] Sia manifesto a qualunche persona vedrà la presente scriptta che egli è certa cosa che oggi questo dì soprascripto Antonio di Cristofano di Guido tessitore di drappi et Benedetto suo figluolo confessorono avere avuto fiorini ducentocinquanta in dota et per dota di Monna Pippa figluola di Giovanni di Bartolo comandatore et donna di detto Benedetto. Et che el vero è che detti Antonio et Benedetto non ànno avuto se non fiorini cinquanta per le donora, et che la det1 Cfr. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 331. 2 Cfr. Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci 257.
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ta confessione s’è fatta per potere ritrorre di camera fiorini cento settanta per vigore di leggie scriptta in camera al libro del […] ad c. 231 et c. 232. Et per ritrargli fece detto Benedetto consentimento d’Antonio suo padre, procuratore Paolo di Iacopo Federighi. Onde oggi questo dì detto di sopra, volendo el decto Giovanni sicurare e soprascripti Antonio et Benedetto della detta dota, consegnò al soprascripto Benedetto uno podere con casa da llavoratore posta nel Popolo di Santo Angnolo a Legnaia, che da primo la via del comune, a II beni di Santa Maria Nuova, a terzo et quarto beni del Munistero di Santa Felicita di Firenze, infra predetti confini o altri che più veri fussono, ad avere, tenere, possedere et usufructare per insino che gl’arà interamente pagato fiorini dugento, oltra a’ soprascripti cinquanta, per la dota di detta Monna Pippa. Et promette el detto Giovanni al detto Benedetto lasciargli tenere el detto podere et quello usufructare liberamente insino che gl’arà interamente pagati e detti fiorini dugento, oltra e soprascripti fiorini cinquanta. Et così et converso, el detto Benedetto, con consentimento di detto Antonio suo padre presente et a llui a ttucte le infrascripte cose consentiente, comme apparisce per mano di me Giuliano notaio infrascripto, promisse al detto Giovanni rendere et restituire al detto Giovanni el soprascripto podere di sopra scriptto et confinato ogni volta che arà ricevuto e soprascripti fiorini dugento, oltra a detti fiorini cinquanta che à avuto per le donora comme di sopra. Et per le dette cose attendere et observare obligorono le dette parti, l’una all’altra et econverso, loro et ciaschuno di loro heredi et beni presenti et futuri et rinumptiorono a ogni benificio che per loro facesse. Et io Giuliano di Giovanni Lanfredini, comme servata persona, di volontà et per chiarezza delle dette parti ò fatta questa presente scriptta di mia propia mano et amendune le parti si soscriverranno da piè et così Antonio Cavalcanti et Domenico da Castello Fochognano, è quali furono presenti e testimoni alla presente scriptta. Io Giovanni di Bartolo chomadatore sopradeto sono chontento a quato di sopra si chotiene et per chauza di ciò mi sono soscchito di mia propia mano, ano, mese et dì sopradeto. // Io Benedetto d’Antonio sopra detto sono chontento a quanto si chontiene in questa scritta et per chiareza di ciò mi sono soscritto di mia propia mano, anno et mese, dì detto di sopra. Io Antonio di Guido Chavaleschi fui presente quanto in questo si convene di sopra, anno e messe e dì detto, e però mi sono soscrito di mia propia manno dì detto. Io Domeniche di Nanni da Chasstello Fochogniano fui pressente a quanto di sopra si chontiene, e per fede di ciò mi sono soschritto di mia propia mano, anno e mese e dì detto di sopra.1
1 La scritta è preceduta da un rogito, sempre del 6 dicembre 1457, che espone i termini della questione, ricordando il matrimonio di Benedetto e Pippa e la relativa confessione di dote, purtroppo con lacune per quanto concerne le date ed il notaio.
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6. Notarile Antecosimiano 2308 (Ser Benedetto di Ser Francesco da Cepperello), c. 119r 2 febbraio 1468 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo sexagesimo septimo, indictione prima, die vero secunda mensis februarii. Actum Florentie et in Populo Sancti Michaellis Berteldi de Florentia, presentibus testibus etc. Laurentio olim Niccolai Michaellis lignaiolo Populi Sancti Felicis in Piaza de Florentia, et Masio olim Gratie Iusti laboratore terarum Populi Sancti Thomei a Hostina Plebatus Cascie Vallis Arni Superioris Comitatus Florentie, et Bartholomeo filio Benedicti Baldesis barbitonsore Populi Sancti Pauli de Florentia. Pateat omnibus evidenter qualiter Ser Matheus filius ut dixit emancipatus Raymundi Antonii Raymondi, civis et notarius florentinus Populi Sancti Marci de Florentia … fecit etc. suum procuratorem etc. Benedictum olim Antonii Cristofori magistrum arismetrice in civitate et civem florentinum, generaliter etc. ad agendum etc. … .
7. Notarile Antecosimiano 611 (Ser Angelo di Ser Alessandro da Cascese), c. 182r 9 luglio 1476 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius incarnatione 1476, indictione VIIII et die nona iulii. Actum in Conventu Angelorum et in loco capituli, presentibus testibus etc. Ricchardo Mattie Ser Riccardi legnaiuolo Populi Sancte Reparate de Florentia et Michele Laurentii Luce Ferracci Populi Santi Iusti al Ponte a Greve Comitatus Florentie. Convocatis ad capitulum etc. fratribus seu heremitis Angelorum: Dominus Leonardus olim Donati Domini Leonardi de Aretio dignus prior … Dominus Benedictus Marci de Alamania, Dominus Gherardus Gherardi de Alamania … Dominus Andreas Sandris de Boemia …, fecerunt sindicos … Fratrem Andream et Benedictum Antonii Cristofari … .
8. Notarile Antecosimiano 611, c. 183v 9 luglio 1476 Eadem die, et loco et coram dictis testibus etc. Prefati sindici ambo in concordia, ex parte una, et Niccolaus olim Francisci Ugolini Cucci, ex alia … compromiserunt etc. in spectabiles viros Filippum Francisci de Tornabuonis et Ieronimum Mattei Morelli de Morellis cives florentinos ambos in concordia … .
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9. Notarile Antecosimiano 612 (Ser Angelo di Ser Alessandro da Cascese), c. 46r 6 luglio 1477 In Dei nomine amen. Anno Domini ab eius incarnatione millesimoCCCCLXXVII, indictione X et die sexta iulii. Actum Florentie in Populo Sancti Michaelis Vicedominorum de Florentia, presentibus testibus etc. Iuliano Benedicti Pieri Giuntini Populi Sancti Petri Maioris de Florentia et Antonio Simonis Matini vetturale Populi Sancti Stefani a Pozzolaticho. Benedictus olim Antonii dell’abbacho civis florentinus, sindicus et procurator et sindicario et procuratorio nomine abbatisse et monialis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie dal Prato Ognisancti de Florentia, ut de suo sindicatu sufficienti etc. constare dixit publicum instrumentum manu Ser Iohannis Francisci Nerii … ad substituendum etc., omni modo etc., substituit et subrogavit etc. Pierum Donati Domini Leonardi de Aretio civem florentinum presentem et acceptantem etc. … .
10. Notarile Antecosimiano 16831 (Ser Piero di Antonio da Vinci), cc. 93r93v 3 luglio 1476 Sindicatio In Dei nomine amen. Anno ab eiusdem salutifera incarnatione MCCCCLXXVI, indictione VIIII et die IIIº mensis iulii. Actum Florentie in Monasterio fratrum Angelorum Florentie et in loco capituli ditti monasterii, presentibus testibus etc. Dominico Filippi Monis Cinozi laboratore terrarum Populi Sancti Bartoli in Cinto et Bartholomeo Fei Dominici laboratore terrarum Populi Sancti Stefani a Chierichale Vallis Grevis. Convocatis ad capitulum omnibus et singulis fratribus seu monacis et heremitis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis … de consensu et voluntate … venerabilis pretris Dompni Leonardi Donati Domini Leonardi Bruni digni prioris dicti monasterii … infrascripti monaci … fecerunt … veros et legiptimos sindicos et procuratores etc. fratrem Andream Iacobi de Lunigiana fratrem professum et conversum dicti monasterii, et Benedictum Antonii del’abacho civem florentinum, et quemlibet eorum in solidum etc., ad agendum et causandum etc. item ad ministrandum introitos etc. … // … .
11. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 127v-128r 18 settembre 1476 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [VIIIIa] et die [XVIII mensis settembris]. Actum in Monasterio Sancte Marie de Angelis in loco camerarii dicti monasterii, presentibus testibus etc. Piero Donati Domini Leo-
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nardi Bruni cive florentino et Benedicto Antonii Cristofari magistro abbaci cive florentino. Frater Andreas Iacobi de Lunigiana frater profexus et conversus dicti monasterii nec non sindicus et procurator prioris, fratrum, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia, ordinis camaldulensis … locavit ad affictum Tommasio et Simoni fratribus et filiis // olim Iohannis Tomasii Populi Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … unum podere cum domibus pro laboratore … positum in Populo Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … .
12. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 128r-128v 19 settembre 1476 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [VIIIIa] et die XVIIII dicti mensis settembris. Actum ubi supra, presentibus testibus etc. Piero olim Domini Leonardi Bruni et Benedicto Antonii Cristofari magistro abbaci, civibus florentinis. Frater Andreas Iacobi de Lunig[i]ana frater profexus et conversus dicti monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia, ut sindicus et // procurator … locavit ad affictum Augustino olim Marci Pucci Populi Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … unum podere cum domo pro laboratore … positum in Populo Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … .
13. Notarile Antecosimiano 16831, c. 129r 19 settembre 1476 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [VIIIIa] et die [XVIIII dicti mensis settembris] et loco et presentibus dictis suprascriptis testibus … Prefatus Frater Andreas sindicus et procurator predictus … locavit ad affictum dicto Augustino olim Marci Pucci Populi Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … unum podere cum chasecta et cum terris laborativis … positum in dicto Populo Sancti Petri a Monticelli prope Florentiam … .
14. Notarile Antecosimiano 16831, c. 130v 26 settembre 1476 Sindicatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [Xa] et die [XXVI mensis settembris]. Actum in Monasterio Sancte Marie de Angelis de Florentia, in capitulo dicti monasterii, presentibus testibus etc. Benedicto Antonii magistro abbaci de Florentia et Meo Fei Dominici Populi Sancti Stefani a Polichalli Vallis Grevis Comitatus Florentie. Convocatis ad capitulum omnibus et singulis fratribus seu monacis et heremitis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis, ad sonum campanelle ut moris est et in loco capituli dicti
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monasterii, de licentia, voluntate et ad requisitionem venerabilis Prioris fratris Leonardi Donati Domini Leonardi Bruni … infrascripti fratres … fecerunt etc. eorum et dicti monasterii etc. verum et legiptimum sindicum etc. Pierum olim Donati Domini Leonardi de Aretio absentem etc. … .
15. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 210v-211r 14 marzo 1477 Sindicatio Item postea, dictis anno [MCCCCLXXVI], indictione [Xa] et die XIIII dicti mensis martii. Actum Florentie in Monasterio Sancte Marie de Angelis ordinis camaldulensis, in capitulo et loco capituli ipsius monasterii, presentibus testibus etc. Paulo Pieri Bartholomei de Sancte Marie Impruneta et Bartholomeo Fei Populi Sancti Stefani Vallis Grevis ortulano dicti monasterii. Convocatis ad capitulum omnibus et singulis monacis monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis, ad sonum campanelle ut moris est et in capitulo et loco capituli ipsius monasterii … de consensu, voluntate et licentia et ad requisitionem venerabilis Prioris Dompni Leonardi olim Donati Domini Leonardi Bruni digni prioris dicti monasterii … infrascripti monaci … fecerunt et constituerunt eorum et cumsilibus eorum et dicti monasterii, capituli et conventus verum et legiptimum sindicum et procuratorem Benedictum Antonii Cristofari dell’abacho civem florentinum habsentem sed tamquam presentem … ad confitendum et recognoscendum a Domino Bartholomeo Schala, cancellario Magnificorum Dominorum Civitatis Florentie, summam et quantitatem florenorum quatuorcentorum auri de sigillo, pro dando et solvendo abbati, // monasterio, capitulo et Conventui Sancti Salvatoris de Septimo prope Florentiam ordinis cisterciensis, pro pretio cuiusdam poderis venditi per dictum abbatem, monacos, monasterium, capitulum et conventum dicto Domino Bartholomeo Schala, positi in Civitate Florentie iuxta monasterium cisterciensium, via mediante, infra suos confines ut de dicta vendita constare dixerunt manu Ser Amanzi Ser Nicholai de Sancto Geminiano civis et notarii florentini sub hac presente die … .1
16. Notarile Antecosimiano 16831, cc. 259v-260r 30 maggio 1477 Locatio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVII], indictione [Xa] et die XXXº dicti mensis maii. Actum Florentie in Monasterio Sancte Marie de Angelis de Florentia, presentibus testibus etc. Ser Thommasio Marci Zenobii cive et notario florentino et Benedicto Antonii Cristofari cive florentino. Frater Andreas Iacobi Orselli de Lunigiana frater conversus et profexus nec non sindicus et procurator Prioris, fratrum seu heremitarum Sancte Marie de 1 ASF, Notarile Antecosimiano 13149 (Ser Amanzio di Niccolò Martini), cc. 125r-125v: atto del 13 marzo 1477.
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Angelis de Florentia … locavit ad pensionem etc. Iohanni olim Chirichi Iohannis Pepi campsori et civi florentini … duas apothecas quarum una est ad usum banci et alia ad usum aurificis, contiguas … positas in Populi Sancte Cicilie de Florentia, super angulum Calismale … // … .
17. Notarile Antecosimiano 16831, c. 352r 26 ottobre 1477 Promissio Item postea dictis anno [MCCCCLXXVII], indictione [XIa] et die [XXVI mensis ottobris]. Actum in Monasterio Angelorum de Florentia, presentibus testibus etc. Piero Donati Domini Leonardi Bruni et Ciore Antonii Ser Baldi civibus florentinis. Benedictus olim Antonii Cristofari magister arismetrice habitator ad presens in Populo Sancti Michaellis Vicedominorum de Florentia, omni modo etc, et ex certa scientia etc. promisit et solempni stipulatione convenit venerabili religioso Dompno Leonardo olim Donati Domini Leonardi digno priori Monasterii Angelorum ibidem presenti et pro se et dicto monasterio, monacis, capitulo et Conventu Angelorum recipienti et stipulanti, ipsum priorem, monacos, monasterum, capitulum et Conventum Angelorum … conservare indempnem et indempnes et penitus sine dampno ab omni et quarumlibet promissione, obligatione et solutione facte et seu quomodolibet fiende per dictum priorem, monacos, monasterum, capitulum et conventum alicui creditori dicti Benedicti et tam presenti quam futuri, que omnia etc. sub pena florenorum ducentorum auri … .
18. Notarile Antecosimiano 16832 (Ser Piero di Antonio da Vinci), cc. 586r-588v 4 aprile 1481 Conventio Item postea, dictis anno [MCCCCLXXXI], indictione [XIIIIa] et dicta die quarta dicti mensis aprilis. Actum Florentie in Monasterio Sancte Marie de Angelis de Florentia, et in loco capituli dicti monasterii, presentibus testibus etc. Lodovico Taddei de Antilla et Niccholao Vieri de Banchozis ambobus Florentie. Certum esse dicitur qualiter de anno Domini ab eius incarnatione MCCCCLVII et de mense decembris dicti anni, seu alio veriori tempore, Antonius olim Cristofari Guidonis textor drapporum Populi Sancti Michaellis Berteldi de Florentia et Benedictus filius dicti Antonii cum consensu, verbo, licentia et auctoritate dicti Antonii eius patris ibidem presentis et eidem consentientis … habuisse et recepisse a Domina Pippa filia Iohannis Bartholi de Ghanghalandi Preceptoris Dominorum de Florentia, et uxoris dicti Benedicti, dante pro dote et nomine dotis ipsius Domine Pippe, inter denarios et res mobiles, eorum concordia extimatas florenos ducentos quinquaginta auri recti ponderis et conii florentini et a dicto Iohanne eius patre dante et solvente pro ea, et propterea fecerunt eidem Domine Pippe donationem propter nuptias de libris quin-
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quaginta florenorum parvoum secundum formam statutorum et ordinamentorum Comunis Florentie, quas dotes at donationem propter nuptias prefati Antonius et Benedictus et quilibet eorum in solidum et in totum se obligando promiserunt et solempni stipulatione convenerunt dicto Iohanni ibidem tunc // presenti at pro dicta Domina Pippa eius filia et eius heredibus et successoribus recipienti reddere, solvere et restituere … . Et quod dicti Benedictus et Domina Pippa fuerunt vir et uxor legiptimi et legiptimi coniugales et ad invicem et vicissim matrimonium legiptime contraxerunt et carnali copula consumaverunt iam sunt anni XXIII proxime elapsi vel circa. Et quod postea et post dictum contractum et consumatum matrimonium prefatus Benedictus olim vir et maritus dicte Domine Pippe mortuus est et decessit iam sunt anni duo proxime elapsi vel circa, relicta et supervivente dicta Domina Pippa eius uxore legiptima predicta et nullis ex eis relictis comunibus filiis vel aliis descendentibus masculis vel feminis legiptimis et naturalibus uno et seu pluribus. Et quod postea et post mortem dicti Benedicti dicta Domina Pippa etc. mortua est et decessit parum post mortem ipsius Benedicti, relictis poste se et hodie superviventibus Bartholomeo, Francisco et Luca fratribus carnalibus ipsius Domine Pippe et nullis aliis relictis … et quod ipsi Bartholomeus, Franciscus et Lucas fuerunt estimati veri et legiptimi heredes dicte Domine Pippe … . Ac etiam dicitur esse verum qualiter postea et de anno Domini MCCCCLXXVIIII et die XI mensis februarii dicti anni, ad instantiam et petitionem Ser Andree olim Ser Angeli de Terranova civis et notarii florentini, tunc procuratoris et procuratorio nomine seu nominibus dicti Bartholomei et Francisci et Luce fratrum et filiorum dicti Iohannis Bartholi de Gangalandi Preceptori Dominorum de Florentia, heredum ab intestato quilibet eorum pro tertia parte dicte Domine Pippe eorum sororis carnalis et uxoris dicti olim Benedicti Antonii … pro executione dicte dotis fuit pronuntiata tenuta infrascriptis bonis, videlicet: Uno predio cum domo pro domino et laboratore et cum terris laborativis, vineatis, olivatis, boscatis et fructatis stariorum triginta vel circa in pluribus // (587r) petiis terrarum ad unum tenere, positum in Comitatu Florentie et in Populo Sancti Thommè a Ostina Plebatus Sancti Petri a Chascia Vallis Arni Superioris, loco dicto a Sangiovenale … que quidem pronuntiatio tenute pronuntiata fuit per Dominum Andream de’ Recuperatis de Faventia tunc iudicem collateralem Quarteriorum Sancti Spiriti et Sancte Crucis tunc Domini Potestatis Civitatis Florentie tamquam in bonis, de bonis et super bonis dicti olim Antonii Cristofari et Benedicti eius filii et obligatorum ad restitutionem dicte dotis dicte Domine Pippe. Et que quidem bona, postea et de anno proxime preterito MCCCCLXXX et die XIII mensis iunii dicti anni, seu alio veriori tempore, per Dominum Iohannem Franciscum de Antinellis de Turdeto tunc iudicem collegialem dictorum Quarteriorum Sancti Spiriti et Sancte Crucis tunc Domini Potestatis Civitatis Florentie … adiudicata fuerunt in solutionem et pagamentum dicto Ser Andree de Terranova tunc procuratori et procuratorio nomine dictorum Bartholomei et Francisci et Luce … pro extimatione florenorum trecentorum triginta ad rationem librarum quatuor, et soldorum duorum pro quolibet floreno … .
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Ac etiam dicitur esse verum qualiter de dicto anno proxime predicto MCCCCLXXX et de mense maii dicti anni, seu alio veriori tempore, prior, monaci seu heremiti monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia ordinis camaldulensis obtinuerunt sententiam in Curia Mercantie et Universitatis Mercantie Civitatis Florentie // contra et adversus heredes et hereditatem et bona et possessores bonorum dicti Benedicti olim Antonii Cristofari Guidonis vocati Benedetto dell’abacho, per quam in effectu causis et rationibus in dicta sententia contentis prefati heredes et hereditas et bonorum possessores dicti Benedicti fuerunt declarati debitores veri et legiptimi dicti prioris, monacorum et seu heremitarum dicti monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis de Florentia et eorum sindici et procuratoris, de summa et quantitate florenorum centum ottuaginta auri largorum, pro vera fonte, et librarum triginta quatuor et soldorum quatuor florenorum parvorum … . Et quod postea et de dicto anno proxime predicto MCCCCLXXX et die secunda mensis octobris dicti anni, seu alio veriori tempore, ad petitionem et instantiam Ser Caroli Iohannis Pieri de Meleto civis et notarii publici florentini tunc sindici et procuratoris dicti prioris, monacorum seu heremitarum monasterii, capituli et Conventus Sancte Marie de Angelis, vigore dicte sententie et pro eius executione pronuntiata fuit tenuta in dicto suprascripto podere et bonis ut supra dictis Bartholomeo et Francischo et Piero adiudicatis, et eisdem Bartholomeo, Francischo et Piero facta fuerunt precepta de disgombrando, que tenuta pronuntiata fuit per Dominum Iohanfranciscum de Antinellis de Turdeto legum doctorem tunc iudicem collateralem Quarteriorum Sancte Marie Novelle et Sancti Iohannis … . Et quod … asserebatur dicta bona ut supra in solutione accepta per dictos Bartholomeum, Francischum et Pierum fuerunt et sunt multo maioris valute et extimationis quod in veritate non fuerunt extimata et quod pro eo pluri dicta bona pertinent ad dictum monasterum, capitulum et conventum, pro satisfactione dicte eorum sententie habite per suprascriptos priorem, monacos, capitulum et conventum in Curia Mercantie … // (588r) … idcirco prefatus Bartholomeus olim Iohannis Bartholi … vice et nomine dictorum Francisci et Luce eius fratrum carnalium … ex parte una, et prefati prior, monaci et seu heremiti dicti monasterii … ex parte alia, devenerunt ad infrascriptam compositionem et concordiam et transsationem, videlicet: Et primo quod dicta bona ut supra contenta et confinata et per dictos Bartholomeum, Franciscum et Pierum1 in solutionem accepta in totum pertineant et expectent ad ipsos Bartholomeum, Francischum et Pierum … Item quod dicti Bartholomeus, Francischus et Pierus et quilibet eorum in solidum et in totum unica solutione sufficientie teneant et obligati sint, per omni et toto eo quo dicta bona supra contenta et confinata plus valerent credito dictorum Bartholomei et fratrum … dare et cum effectu solvere et pagare dicto priori, monacis, capitulo et conventui florenos quadragintaquinque de auro lar1 Qui ed in seguito, al posto del nome Piero si deve leggere Luca.
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gos hoc modo videlicet, impresentiarum florenos duodecim de auro largos et in auro, et residuum, videlicet florenos triginta tres de auro largos et in auro, infra decem et octo menses proxime futuros hodie incipiendos, videlicet quolibet semestri tertiam partem, videlicet florenos undecim largos et in auro. // … .
19. Mercanzia 1506: Atti in Cause Ordinarie 24 marzo 1480 Die XXIIII martii 1479 Dinanzi a voi Dompno Marcho di Giovanpiero monacho ordinis heremitorum del Monastero di Santa Maria degli Angeli di Firenze, sindico e procuratorio nomine del decto monastero, che gli heredi e possessori de’ beni di Benedetto d’Antonio dell’abacho sono veri debitori del decto monastero di f. cento ottanta larghi, per parte di magior somma per danari che ’l decto per l’adrieto Benedetto d’Antonio, come sindico e procuratore del decto monastero, à riscosso da’ debitori di decto monastero, e d’altra ragione auta a ffare insieme, come appare al libro del decto Monastero … el quale decto Marco … domanda etc. vi piacia previa sententia … condamnare a dare e pagare al detto Monastero … .
20.Mercanzia 7260, c.n.n. 16 maggio 1480 Die XVI maii 1480 Ad petitione di decto Don Mauro di Gianpero monacho et heremita di Sancta Maria degli Agnoli di Firenze, sindaco e procuratore et sindicario e procuratorio nomine de’ monaci e heremiti e Monastero di Santa Maria degli Agnoli di Firenze, ne’ modi e nomi nello instrumento del suo mandato contenuti, Antonio vocato Cerrota messo della decta Corte rapportò al decto Messer Ufficiale e a me notaio infrascripto sé di licentia di detto Messer Ufficiale avere richiesti e detti heredità, heredi et possessori de’ beni di Benedetto d’Antonio dell’abacho et nominatamente Andrea, Cristofano et Iacopo fratelli del decto per l’adreto Benedetto et figli del detto Antonio dell’abacho,1 a’ quali s’aspetta la presente causa della sucessione della heredità del detto per l’adrieto Benedetto, et a ciaschuno di loro per questo dì e hora, ultimo e perhentorio thermine, a vedere et udire la nostra sententia … . Et decta richiesta et rapporto detto messo avere fatta a dì XX del passato mese d’aprile in questo modo a detti heredità, heredi, beni e possessori de’ beni del decto Benedetto alla casa dell’uscita habitatione del decto per l’adrieto Benedetto al tempo della sua vita et morte, con dimissione di cedula … . Et più rapportò decto Cerrota messo predecto di nuovo avere richiesti decti heredi, heredità e possessori de’ beni del decto Benedetto alla casa della uscita habitatione del decto per l’adrieto Benedetto al tempo della sua vita et morte con dimissione di cedula … a dì 29 d’aprile 1480 … . 1 Erano in realtà i nipoti di Benedetto, in quanto figli di suo fratello Lorenzo.
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Al nome di Dio amen, noi Vandino de’ Vandini da Firenze giudice ex Officio predecto … veduta e considerata una petitione e domanda data e fatta nella presente Corte insino a dì XXIIII del mese di marzo proximo passato, o in altro più vero tempo, per decto Don Mauro di Gianpiero, decti nomi, contro decti heredità, heredi, beni e possessori de’ beni del decto Benedetto d’Antonio per la quale in effetto decto Don Mauro, detti nomi e modi, adimandò che per noi s’adoprasse decti heredità, heredi, beni et possessori de’ beni del decto Benedetto a dare e pagare ai detti monaci heremiti e Monastero di Sancta Maria degli Agnoli e al decto Don Mauro, detti nomi et modi, fiorini cento ottanta larghi per pare di maggior somma // per denari che ’l decto per l’adrieto Benedetto d’Antonio, come sindicho et procuratore del decto monastero et heremiti à riscosso da’ debitori di decti heremiti et monastero, et d’altre cose avute a ffare insieme, come partialmente apparisce al libro et per libro del decto monastero et heremiti, segnato G, a c. 172 … . Et veduto decto libro et l’aprovatione di quello facta per decti nostri Sei consiglieri … et finalmente veduta la soprascripta richiesta e la forma della ragione, statuti et ordini di decta Corte … pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo decti heredi, heredità, beni e possessori de’ beni di decto Benedetto d’Antonio essere stati et essere veri e legittimi debitori de’ decti monaci heremiti et Monastero di Sancta Maria egli Angnoli e del decto Don Mauro, decti nomi e modi, della decta quantità di fiorini cento ottanta larghi, per dette ragioni e cagioni. Et così per questa nostra presente sententia condempniamo decti heredi, heredità, beni et possessori de’ beni del decto Benedetto d’Antonio a dare e pagare a detti monaci heremiti e Monastero di Sancta Maria degli Agnoli e al decto Don Mauro, decti nomi e modi, la decta quantità di fiorini cento ottanta larghi per decte cagioni per parte, et più £. XXXIIII, s. IIII per le spese nella detta causa fatte per detto Don Mauro … . Lata, data … nell’anno del Signore 1480, indictione XIII et a dì 16 di maggio, presenti Giovanni di Biag[i]o e Adamo di Lorenzo donzelli di decta chasa, testimoni alle predecte cose avuti e chiamati. Pervenuto in redazione il 19 settembre 2007
T R ATTAT I S T I CA D’A BACO E N UM IS M AT IC A. U N C A S O E S E M P LA R E : IL T RAT TATO DEL SEN E S E TO M M A S O DE LLA G AZ Z AIA ms. c. iii. 23 della biblioteca comunale degl’ intronati di siena Raffaella Franci* Abstract · The abacus treatise written in the first quarter of the 15th century by Tommaso della Gazzaia, a merchant and banker of Siena, is specially interesting as to Medieval numismatics. This text in fact gives a
great attention to mercantile problems on currencies and alligation, further it includes three interesting lists of silver and gold coins whose transcription we includes.
1. Introduzione
L’
esistenza di scuole d’abaco è documentata in molte città dell’Italia centro-settentrionale a partire dalla seconda metà del XIII secolo. Nei centri minori esse erano istituite e finanziate dalle amministrazioni comunali che non solo pagavano gli stipendi dei docenti, i maestri d’abaco, ma li sceglievano con molta cura e vigilavano sul loro operato.1 Queste scuole assieme a quelle di grammatica rispondevano alla esigenza di istruzione connessi con il grande sviluppo economico e commerciale dell’epoca. Nelle scuole di grammatica si imparava a leggere e scrivere, in quelle d’abaco venivano insegnate prevalentemente l’aritmetica commerciale e la geometria pratica. La prima comprendeva l’insegnamento del sistema indo-arabico di rappresentazione dei numeri e dei metodi per eseguire le operazioni con i numeri e le frazioni, della regola del tre, delle regole di falsa posizione e delle loro applicazioni alle principali operazioni commerciali (sistema di monete-pesi-misure, calcolo del prezzo delle merci, cambio, calcolo degli interessi e degli sconti, calcolo
* Raffaella Franci, Dipartimento di Scienze matematiche e informatiche Roberto Magari, Università di Siena, Pian dei Mantellini 44, I-53100 Siena. E-mail: [email protected] 1 Raffaella Franci, L’insegnamento della matematica nel Tre-quattrocento, «Archimede», 40 (4), 1988, pp. 182-193; Elisabetta Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di Enrico Giusti e con la collaborazione di R. Petti, Firenze, 2002, pp. 121-159. «Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXVII · 2007 · Fasc. 2
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delle leghe metalliche etc.). Una esemplificazione dell’insegnamento impartito nelle scuole d’abaco si trova nei contemporanei trattati d’abaco nei quali sono ampiamente illustrati tutti gli argomenti sopra elencati. Attualmente conosciamo circa trecento di questi testi il più antico dei quali risale agli ultimi decenni del XIII secolo.1 I trattati d’abaco pervenutici sono diversi per forma, contenuti e ampiezza, il loro tratto distintivo è la presenza di un consistente numero di problemi di tipo commerciale. Gli autori dei testi attualmente noti non sono, come ci si potrebbe aspettare, solo maestri d’abaco ma anche mercanti, artisti, artigiani e marinai. I trattati d’abaco, infatti, non erano libri di testo ad uso degli studenti ma compilazioni fatte dagli autori per uso personale onde mantenere vive le nozioni apprese a scuola e quelle successivamente acquisite nell’esercizio delle loro attività. Gli autori pertanto vi inserivano oltre agli elementi basilari di matematica mercantile argomenti attinenti alla loro occupazione. Abbiamo così trattati d’abaco contenenti calendari, portolani, pratiche di mercatura, regole astrologiche e astronomiche, elenchi di monete. Da alcuni decenni questi testi sono studiati non solo dagli storici della matematica ma anche da quelli di storia dell’economia, della ragioneria, dell’astronomia, della lingua italiana. Il loro uso negli studi di numismatica è invece molto recente, è iniziato, infatti, con Lucia Travaini che in suo saggio sulle monete medioevali analizza e confronta elenchi di monete contenuti in alcune pratiche di mercatura dei secoli XIV e XV e in quattro trattati d’abaco del XIV secolo.2 Osserviamo che le liste di monete sono abbastanza rare nei trattati d’abaco, tuttavia utili contributi alla storia della moneta si possono desumere anche da altre sezioni dei trattati medesimi quali quelle dedicate alle leghe metalliche, al cambio e alla valuta delle monete. Sollecitata da Lucia Travaini ho esaminato numerosi trattati d’abaco manoscritti alla ricerca di ulteriori elenchi di monete. La mia indagine finora ha dato un solo risultato positivo che però, come vedremo, è di grande interesse. Il manoscritto in questione, contiene un trattato d’abaco composto dal senese Tommaso della Gazzaia agli inizi del XV secolo nel quale sono presenti tre elenchi di monete e numerose questioni ad esse legate quali il calcolo del loro prezzo e delle loro leghe. L’attenzione dell’auto1 Per un elenco, una descrizione e un sommario dei contenuti dei trattati d’abaco attualmente noti vedi: Warren Van Egmond, Practical Mathematics in the Italian Renaissance. A catalog of Italian abbacus manuscripts and printed books to 1600, Supplemento agli «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza», Fascicolo 1, Firenze, 1980, pp. xliv+442. 2 Lucia Travaini, Monete mercanti e matematica, Roma, Jouvence, 2003.
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re a queste questioni ben si spiega se si tiene presente che egli apparteneva a una famiglia di mercanti e che i mercanti senesi erano prevalentemente mercanti-banchieri, cioè la merce principale da essi trattata era proprio il denaro.1 2. Il trattato d ’ abaco di Tommaso della Gazzaia Il manoscritto C. III. 23 della Biblioteca Comunale degl’Intronati di Siena della fine del XVII o inizi del XVIII secolo, delle dimensioni di 288 × 200-205 mm, è composto di 292 carte numerate più tre non numerate all’inizio e due alla fine. È rilegato in cartone con dorso in pergamena sul quale figura l’iscrizione miscellane a / storica / letteraria. È scritto con inchiostro marrone in una chiara grafia corsiva da un’unica mano. La numerazione delle pagine e l’indice seguente, contenuto nella terza carta non numerata iniziale, sono invece di mano diversa: Indici / Ottanta tre ottave delle quali mancano dieci in principio 1 / Cronaca di Ser Gorello in terza rima intorno ai fatti della città di Arezzo 14 / Varie lezioni cavate da due Mss dell’Istoria di Ser Gorello tutti e due di Sig. Baliredi 100 / Capitoli della Compagnia e spedale di S. Andrea Apostolo e di S. Honofrio fatti ed approvati in Siena nel 1351 nel mese di Maggio 110 / Trattato di Algebra e Geometria del Cav. Tommaso della Ghazaia di Siena 136 / Sonetto di M. Tommaso della Ghazaia, di M. Benuccio Salimbeni a Bido Bonichi, Bindo Bonichi a B. Salimbeni 285. Il codice contiene una serie di documenti di varia natura ricopiati, non sappiamo per quale motivo, da testi più antichi. Il trattato di Tommaso della Gazzaia o Agazzari occupa le carte 136r-284v, in realtà le sue carte sono 152, come del resto mostra una sua propria numerazione posta all’interno, poiché quella predetta che è posta all’esterno reca anche le segnature 139bis, 253bis, 277bis. La paternità del trattato è testimoniata da numerosi passi dell’opera nei quali l’autore afferma di avere personalmente trovato alcune delle regole presentate, si tratta di regole per calcolare la misura delle botti e la data della Pasqua.2 Le date degli esempi relativi all’ultima regola, comprese tra il 1400 e 1415, suggeriscono l’ipotesi che il testo sia stato compilato proprio in quell’arco di tempo. Era infatti consuetudine illustrare le regole 1 Vedi Marco Tangheroni, Siena e il commercio internazionale nel Duecento e Trecento, in Banchieri e mercanti di Siena, Siena, Monte dei Paschi di Siena, 1987, pp. 23-105. Riprodotto anche in Marco Tangheroni, Medioevo tirrenico, Pisa, Pacini Editore, 1992, pp. 133-193. 2 Io Tommaso de la Gazaja Kavaliere trovai per me medesimo certa regola da misurare le botti, c. 186r; Regola trovata e composta per me Tommaso di Missere Bartolomeo de la Gazaja Kavaliere, c. 269r; Questa seguente tavola dimostra a quanti dì del mese di Marzo o del mese di Aprile sia la Pasqua … colta e composta per me Tommaso Kavaliere de la Gazzaja, c. 264v, etc.
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con esempi contemporanei. La presenza di date molto precedenti 12701271, 1331-1332-1333 presenti in alcuni problemi commerciali, ci fa pensare invece che per queste parti Tommaso abbia trascritto testi più antichi. Per meglio illustrare il contenuto del trattato ne proponiamo un indice ricavato dai titoli che si incontrano nella lettura integrandoli laddove mancano. 136r. – Partire per regola 137v. – Multiplicazioni di numeri spezzati vel rocti 138v. – Soctraimento di numeri spezzati vel rocti 139r. – Diminuire vel menomare di numeri e rocti 139v. – A partire in ciento, cioè per lo quintale di ciento libre 139bisr. – 151v. – 156v. – Ragioni di baracti 159r. – 160r. – Regole tutte disposte delle tre chose 163v. – Ragioni di numeri 164v. – Praticha di Geometria e tutte misure di terre 173r. – Ragioni di tempo 175v. – Ragioni di saldare e di rechare a termine1 180v. – 184r. – Regola da misurare botti e cogliare scemi 188r. – 230r. – 233r. – Inchomincia che chosa è saldare e rechare a termine2 240r. – Qui inchominciaremo a scrivare lege di monete 244v. – 245v. – 246r. – 253r. – Ragioni da leghare oro e argento 253v. – 255r. – La ragione della Luna3 259r. – Regola da misurare botti 260v. – Fare d’oro d’ogni ragione 261v. – 269v. – 277v. – La tavola e la regola da cogliere li scemi delle botti … fatta per Maestro Pavolo da Firenze. 278r. – 1 Gli esempi sono tutti relativi all’anno 1333. 2 Gli esempi sono relativi agli anni 1270-1271 e 1331-1332-1333. 3 Le regole sono relative all’età della luna e alla determinazione di quale sia il primo giorno dell’anno o del mese. Gli esempi sono relativi agli anni 1410, 1412 e 1415.
il trattato del senese tommaso della gazzaia
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La lettura dell’indice mette subito in evidenza che il testo è composto di due parti. La prima che occupa le carte dalla 136r alla 229v sembra più strutturata e corrisponde al contenuto standard di un trattato d’abaco elementare, seguito da una pratica di mercatura. La seconda si presenta come una miscellanea di argomenti, che si susseguono senza alcun ordine logico. Alcuni, come il calcolo degli interessi, ragioni di saldare e recare a termine, già presenti nella prima parte. Altri nuovi come le regole del calendario e quelle per calcolare la data della Pasqua e la capacità delle botti.1 Di alcune fra queste ultime, come abbiamo già osservato, l’autore rivendica orgogliosamente la paternità. La struttura del testo sopra evidenziata, suggerisce l’ipotesi che Tommaso abbia in un primo tempo compilato per suo uso personale un trattato d’abaco, annotando successivamente altri problemi su argomenti già trattati o nuove regole, alcune delle quali da lui stesso elaborate. Questa ipotesi è suffragata anche da quello che il trascrittore scrive all’inizio dell’opera: «Incipit Liber Geometriae P.us Quat.or / Paucis relictis sic sequitur». Il Liber Geometriae, in realtà un trattato d’abaco,2 corrisponde alla prima parte, i Paucis relictis, che potrebbero anche essere stati fogli sparsi, alla seconda. Come abbiamo già notato, Tommaso si dichiara autore di alcune delle regole presentate, per le altre parti del testo, in particolare per quelle concernenti gli argomenti classici della trattatistica dell’abaco egli può aver fatto riferimento a qualche testo compilato da uno dei numerosi maestri d’abaco che avevano insegnato e insegnavano a Siena.3 La parte più propriamente matematica del testo è comunque molto elementare, non sono infatti menzionate né le regole di falsa posizione né quella d’algebra. L’unico strumento matematico usato per risolvere i problemi è la 1 La parte del manoscritto relativa agli ultimi due argomenti è stata trascritta e studiata da Gino Arrighi, vedi: Gino Arrighi, Regole sul calendario del matematico senese Tommaso dalla Gazzaia, «Bullettino Senese di Storia Patria», 72 (1965), pp. 3-13; Gino Arrighi, La tenuta delle botti e il calcolo degli scemi, «Rivista di Storia dell’Agricoltura», n. 3, 1967, pp. 3-24. La Praticha di Geometria è trascritta e studiata in Tommaso della Gazzaia, Praticha di Geometria e tutte misure di terre. Dal ms. C. III. 23 della Biblioteca Comunale di Siena. Trascrizione di C. Nanni, introduzione di G. Arrighi, «Quaderni del Centro Studi della Matematica Medioevale», n. 1, Siena, 1982. 2 Ricordiamo che all’epoca in cui il trattato è stato trascritto la parola Geometria era spesso usata come sinonimo di matematica. 3 Sull’insegnamento dell’abaco a Siena vedi Stefano Moscadelli, Maestri d’Abaco a Siena tra Medioevo e Rinascimento, in L’Università di Siena: 750 anni di storia, Milano, 1991, pp. 111-129. Per un maestro d’abaco contemporaneo di Tommaso della Gazzaia che ci ha lasciato un trattato d’abaco più professionale, vedi: Raffaella Franci, Gilio da Siena: un maestro d’abaco del XIV secolo, in Atti del Convegno di Storia della Matematica Italiana, Cagliari, 29-30 Settembre-1 Ottobre 1982, Cagliari, 1983, pp. 319-323.
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raffaella franci
regola del tre della quale si fa comunque un uso molto semplice. Gli stessi problemi presentati e risolti sono in genere faci