Dizionario del jazz  
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Zitiervorschau

DIZIONARIO DEL JAZZ

Mondadori DOC - Dizionario Jazz

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DIZIONARIO DEL JAZZ PHILIPPE CARLES ANDRE´ CLERGEAT JEAN-LOUIS COMOLLI

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Edizione italiana a cura di Luca Conti Traduzione dal francese: Bruno Brunotti, Flavia Celotto, Paola Ciccolella, Luca Conti, Anna Paola Di Benedetto, Marina Geat, Laura Giampietro, Francesca Mariotti, Gabriella Rojatti, Raffaella Rojatti, Claudia Rosauer, Alberto Rossatti, Franca Voli Bartolozzi Redazione: Alex Cambiaghi, Tomaso Lucchelli, Silvia Margaroli, Elisabetta Querci, Silvia Diramati (lettura bozze) Altri collaboratori: Marco Boccitto, Gaspare Cecconi, Maria Teresa Rosetti Elaborazione dati e impaginazione: Edigeo s.r.l., Milano

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

L’editore potra` concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre a mezzo fotocopie una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO), Corso di Porta Romana 108 - 20122 Milano, e-mail: [email protected]

§ 2008 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano per l’edizione italiana Prima edizione: aprile 2008 Prima edizione Mondadori DOC: aprile 2008 § 1994 E´ditions Robert Laffont, S.A., Parigi Titolo originale dell’opera: Dictionnaire du Jazz

Stampato da Mondadori Printing S.p.A., Via Bianca di Savoia 12, Milano presso lo Stabilimento di NSM, Cles (TN)

ISBN 978-88-04-56977-0

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Prefazione

Questo intrecciarsi di musiche e di stili chiamato jazz presenta una strana caratteristica: quella di essere pressoche´ contemporaneo del XX secolo. Nato verso il 1890 a New Orleans (per quanto gli si possa rilasciare un atto di nascita cosı` preciso), il jazz e` cresciuto in un certo qual modo sotto i nostri occhi, e si trova talvolta ancora qualche mitico personaggio che ha partecipato ai suoi primi sviluppi disposto a farne il racconto, nel momento stesso in cui nascono, a loro volta, giovanissimi musicisti. L’autore di un’enciclopedia del jazz – che non puo` essere, trattandosi di questo tipo di musica, che un ‘‘amatore’’ nel senso piu` pieno del termine – possiede quindi l’ambiguo privilegio di doversi occupare contemporaneamente di leggenda, di storia e di attualita`. Abbiamo tentato di rispettare i comandamenti di queste tre Parche e di compilare un dizionario che non sacrifichi un’era a un’altra, un periodo, un’estetica, uno stile, un genere a un altro, dalle origini gia` velate di mistero fino alle alchimie meno stereotipate del presente. La qualita` dei collaboratori di questo nostro dizionario, provenienti da tutti i punti dell’orizzonte jazzistico, indica quanto ci siamo preoccupati di avvicinarci con criteri diversi, aperti, non settari, in una parola eclettici, e nello stesso tempo aggiornati e competenti. Ma se e` vero che, in paragone alla storia della musica occidentale, ben poco tempo ci separa dagli inizi del jazz, un secolo di jazz assomiglia piu` all’espansione di una galassia che al passaggio di una cometa. Si rimane stupiti nel vedere come, partendo dal nocciolo originario di New Orleans, il jazz si espande in modo cosı` irresistibile attraverso gli Stati Uniti, la vecchia Europa, il mondo intero, conquistando i pubblici piu` diversi, influenzando le musiche piu` popolari. La conseguenza di tutto cio` e` che quest’arte, tutto sommato giovane, gia` richiede il censimento di migliaia di esperti, nonche´ l’analisi di decine di scuole, di tradizioni e di correnti. Non si trattava, ovviamente di citare tutti i musicisti di jazz che, in un modo o nell’altro, si sono fatti un nome (cosa impossibile e del resto assurda se si vuole che un dizionario sia uno strumento di consultazione), bensı` di non omettere nessuno di coloro che hanno avuto una parte – seppure modesta – sulle scene e fra le quinte del jazz. E per ciascuno di loro proporre al lettore una sorta di stato civile, dei riferimenti biografici e artistici, un commento sulla carriera, la maniera oppure lo stile. Non senza citare alcuni dei titoli o degli album registrati i quali, nella valutazione puramente soggettiva del o degli autori della voce, rappresentano il meglio dell’opera di ciascun artista. Sono stati quindi accolti nel dizionario soltanto i musicisti che hanno avuto con il jazz (sotto le sue cangianti forme) dei rapporti significativi, un’avven-

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PREFAZIONE

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tura singolare. Per tutti gli altri, musicisti di blues o di rhythm and blues, di rock and roll, di spiritual e di gospel, rinviamo il lettore sia ai dizionari specializzati nei suddetti generi (citati nella bibliografia che conclude la presente opera) sia alle voci dedicate a queste musiche, che consentono di fare l’inventario degli autori piu` noti, nonche´ l’analisi dei loro momenti piu` favorevoli. Anche altri ambiti del jazz sono oggetto di voci: sintesi storiche e stilistiche, approcci musicologici (affidati a Philippe Baudoin), studio dei principali strumenti, analisi dei repertori. Ne risulta che il presente dizionario non resiste alla tentazione enciclopedica e a quella di voler rispondere alle molte domande che oggi si possono fare sul jazz. Ma siccome non e` possibile avere una risposta a ogni domanda, invitiamo il lettore a collaborare a questa nostra ricerca enciclopedica, segnalandoci errori e inadempienze, suggerendoci le correzioni e le modifiche che, noi speriamo, ci aiuteranno a perfezionare questo work in progress rappresentato da un dizionario di jazz. P. Carles, A. Clergeat, J.L. Comolli

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PREFAZIONE

Prefazione all’edizione italiana Chi si occupa di jazz, per lavoro o per passione – che sia un semplice ascoltatore, un musicologo, un giornalista, un organizzatore di concerti ecc. – sa bene (o impara velocemente) che l’oggetto del suo interesse o della sua passione e` un mondo quanto mai complesso e sfaccettato; e sa altrettanto bene che, tra chi ha contribuito in prima persona a crearlo e a tenerlo vivo, figurano alcuni dei personaggi piu` singolari mai apparsi sulla faccia della terra. A fianco dei grandi protagonisti della storia del jazz, dei quali sappiamo tutto – o crediamo di saperlo – si e` sempre mossa, fin dalla nascita di questa musica, una brulicante miriade di uomini e donne il cui contributo non e` forse cosı` rilevante come quello dei maestri universalmente riconosciuti, ma che hanno comunque lasciato un segno piu` o meno indelebile in quella che, nella maggior parte dei casi, si e` sempre mostrata come un’arte collettiva, dove le immense intuizioni di alcuni geni assoluti (Duke Ellington ne e` un ottimo esempio) hanno avuto bisogno, per manifestarsi al meglio, del fondamentale – per quanto variabile – contributo di una folta serie di collaboratori: solisti, sidemen, arrangiatori e cosı` via. La storia del jazz, per come la vediamo noi, e` quindi un gigantesco mosaico le cui tessere sono state fornite, in misura maggiore o minore, da uno smisurato numero di partecipanti, alcuni celeberrimi, altri meno noti e altri ancora quasi del tutto sconosciuti. Sotto questo punto di vista risulta quanto mai evidente – ma lo e` sempre stata – l’utilita`, per non dire la necessita`, di un dizionario biografico del jazz. L’opera coordinata da Philippe Carles, Andre´ Clergeat e Jean-Louis Comolli e` anch’essa, nella migliore tradizione della musica di cui si occupa, un’impresa collettiva, annoverando tra i suoi collaboratori molti tra i migliori specialisti francesi della materia, tutti con una lunga carriera nella pubblicistica di settore e alcuni con una considerevole esperienza di musicisti; e, fin dalla sua prima edizione, ha mostrato una grande apertura mentale, scartando decisamente l’impostazione anglocentrica che caratterizzava quasi tutti i suoi predecessori. In questo senso, e` giusto dire che il Dictionnaire du jazz ha aperto la strada a opere successive e di ampiezza infinitamente superiore, come il New Grove Dictionary of Jazz, che ha giustamente capito che da molto tempo il jazz non era piu` un fenomeno di area esclusivamente angloamericana, ma che esisteva un jazz europeo (e non solo) con tratti distintivi del tutto originali e autonomi, pur nel rispetto e nella consapevolezza della storia di questa musica. Nel realizzare l’edizione italiana ci siamo resi conto che ogni anno che passa, nel mondo del jazz, equivale a un’eternita`: in particolare per quanto riguarda i dati strettamente biografici dei musicisti citati, molti dei quali hanno, come si diceva di Elvis Presley, left the building, o sono passati ad altre attivita` terrene, oppure sono scomparsi nel nulla. Di tutti quanti, a ogni modo, ci siamo ripromessi di seguire le tracce, di sapere che fine avessero fatto, di scoprire quando e dove fossero nati e quando e dove fossero morti; e, per quelli che ancora vivono e lottano assieme a noi, di verificare e registrare le loro

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PREFAZIONE

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attivita` degli ultimi tre lustri. A questo scopo abbiamo consultato un’infinita` di repertori biografici, frugato tra decine di enciclopedie, rovistato negli archivi e nei database (quello della Social Security americana si e` rivelato particolarmente prezioso). Cio` che e` saltato fuori ha spesso sorpreso anche noi (come nel caso dell’enigmatico trombettista e flicornista Wilbur Harden, noto a tutto il mondo del jazz per avere suonato e inciso con John Coltrane alla fine degli anni ’50, ma le cui sorti successive erano ignote ai piu`, o forse a tutti), oltre a confermarci ancora una volta che molte tra le notizie riportate dall’editoria jazzistica si tramandano da un libro all’altro e da una generazione all’altra, spesso senza verifiche dirette, e che il misterioso destino di tanti protagonisti del jazz e` a volte tale perche´ nessuno si e` mai preso la briga di fare qualche ricerca. In questo senso, crediamo di poter affermare che questa edizione del Dizionario del jazz e` al momento la piu` aggiornata, a livello mondiale, per quanto riguarda i dati biografici dei musicisti in essa contenuti. Certo, e` solo un primo passo, e chissa` quante cose restano ancora da scoprire, e quante altre forse non sapremo mai: ma riteniamo che, almeno in questo specifico campo, il nostro lavoro possa servire da contributo a chi vorra` cimentarsi e proseguire nella ricostruzione della memoria del jazz. L. Conti

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Autori

Diretto da Philippe Carles, Andre´ Clergeat, Jean-Louis Comolli, il Dizionario del jazz si e` avvalso della collaborazione di Philippe Baudoin per le definizioni dei termini tecnici musicali e di Jacques Aboucaya, Jean-Philippe Andre´, Alain Antonietto, Pierre-Henri Ardonceau, Jean-Loup Auvray, Pascale Barithel, Paul Benkimoun, Franck Bergerot, Christian Be´thune, Franc¸ois Billard, Tony Bonfils, Michel Boujut, Jean-Louis Chautemps, Ge´rard Conte, Luca Conti, Dominique Cravic, Maurice Cullaz, Jean-Pierre Daubresse, Xavier Daverat, Ivan De´putier, Alain Dister, Andre´ Francis, Patrice Galas, Olivier Gasnier, Christian Gauffre, Alain Gerber, Ste´phane Ghez, Fre´de´ric Goaty, Philippe Gumplowicz, Andre´ Hodeir, Francis Hofstein, Daniel Huck, Alain Lacombe, Michel Laverdure, Jean-Yves Le Bec, Thierry Leboff, Isabelle Leymarie, Emilie e Yves Lucas, Lucien Malson, Francis Marmande, DenisConstant Martin, Jean-Robert Masson, Xavier Matthyssens, Adriano Mazzoletti, Arnaud Merlin, Dany Michel, Jean-Pierre Moussaron, Daniel Nevers, Claude Oberg, Ste´phane Ollivier, Georges Paczynski, Jacques Panisset, Jacques Pe´rin, Xavier Pre´vost, Thierry Quenum, Jacques Re´da, Henri Renaud, Jean-Paul Ricard, Marc Richard, Ge´rard Rouy, Franc¸ois-Rene´ Simon, Daniel Soutif, Christian Tarting, Frank Te´not, Alain Tercinet, Alain Tomas.

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AUTORI

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Riferimenti Come non citare le opere principali che sono state strumenti indispensabili per le nostre ricerche? Le varie edizioni di The Encyclopedia Of Jazz di Leonard Feather, Who’s Who Of Jazz di John Chilton, Jazz - The Essential Companion di Ian Carr, Digby Fairweather e Brian Priestley, Jazz A-Z di Peter Clayton e Peter Gammond; le discografie generali di Walter Bruyninckx, Jorgen Grunnet Jepsen, Brian Rust; le collezioni di riviste: Jazz Magazine, Jazz Hot, Bulletin du Hot Club de France, Down Beat, Cadence, Coda, Jazz Times, Jazz Journal, Wire, Jazz & Pop, Jazz Forum, Swing Journal; senza trascurare le opere dei coautori del presente dizionario: il Dictionnaire du Jazz di Frank Te´not e Philippe Carles (Larousse, Paris 1967), quello di Andre´ Clergeat (Seghers, Paris 1966); Anthologie des musiciens de jazz di Jacques Re´da; Free Jazz/Black Power di P. Carles e J.L. Comolli; West Coast Jazz di Alain Tercinet; Jazz, Mode d’emploi di Philippe Baudoin; la Grande Enciclopedia del Jazz, realizzata dalla casa editrice Curcio sotto la direzione di Adriano Mazzoletti. Tutto questo senza contare le opere segnalate nella bibliografia generale.

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AUTORI

Ringraziamenti Ringraziamo Daniel Richard, senza il quale non avremmo potuto organizzare il materiale necessario a questo lavoro, come tutti quelli che, a diverso titolo, ci hanno offerto la loro collaborazione: Jean-Louis Ginibre, Eric Masclaux, Alain Pistre, Bernard Vignal, Evan Chandlee, Jean-Jacques Marmouillat, Franc¸ois Roy (Yamaha Musique France), Daniel Dorvilma (Hamm, la Maison de la Musique), Noe¨l Herve´ (Night & Day), Jean-Philippe Allard (Polygram), Jean-Pierre Llabador, Christian Pegand e Kurt Weil (GRP), Manfred Eicher (ECM), Gerry Teekens (Criss Cross Records), Isabelle Marmande, Stefan Winter (JMT Records), CBS-France, Pangaea Records, Philippe Vincent (OMD), Philippe Bourdin, Josy Texier, Martine Duverger (Orchestre National de Jazz), Rolf Knusel (Plainisphare), Jeanne Brody, Harriet Wasser (Ralph Mercado Productions), Daniel Michel, Couesnon, Corinne Le´onet, Genevie`ve Peyre`gne, Rene´ Lajoinie, Andre´ Vidal, Matti Kontinen, Thierry Chatain (Rock & Folk), Alain Antonietto (E´tudes tsiganes), Peter Krijnen (Amsterdam), Sue (Gramavision Records), Leo Feigin (Leo Records), Hacina Aı¨ssaoui, Jacques Daniel, Chris Gilardi, Ste´phane Ghez, Christiane Hie´ronimy, Daniel Sauvaget, Jean-Marc Bondier, Laurent de Wilde, Daniel Baumgarten (Bmg), Henri Laurens, Franc¸ois Zalacain (Sunnyside), Olivier Gasnier, Franc¸ois Surmont, Anne Ramade (Fnac), Michel Mouster (Emi), Cyril Roux (Wea), Kiyoshi Koyama, Claudine Franc¸ois, Tania Scemama, Marie-Claude Nouy, Patrick Votan (PolyGram), He´le`ne Lifar, Ingrid Karl (Wiener Musik Galerie), Werner Uehlinger (Hat Art), Francette Delaleu, Bernard Loupias, Jose´phine Pannard, Maxine McGregor, Dominique Jeze´quel, Claude Rinaldy, Vincent Tarrie`re, Annamaria Doro (Musica Jazz), Discothe`que des Halles, Discothe`que de Radio-France, Centre d’information du jazz, Centre culturel canadien, De´le´gation de l’Ontario, The´aˆtre Dunois, l’IRCAM, Paiste Drummer Service, Batteur Magazine, Thierry Frebourg, Philippe Koechlin, Franc¸oise Nabrin, Valerie Wilmer, Frank Cassenti, Agne`s Lupovici, Howard Johnson, Daniel Michel, le sorelle Scotto, Tom Schnabel (KCRW), Giovanni Bonandrini (Black Saint/Soul Note Records), cosı` come Michelle Burgaud, Franc¸oise Gacon, Catherine Hardy, Agne`s Hirtz, Joe¨lle Mair, Dominique Rabotteau, Marie Menant, Emmanuelle Coppeaux.

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Avvertenza

In ogni voce e` indicato in grassetto il nome del musicista cosı` come appare in genere nella discografia e come e` conosciuto nell’ambito jazzistico (in maiuscolo il cognome e tra caporali il soprannome); gli ulteriori componenti del nome anagrafico sono indicati in carattere chiaro, cosı` come il vero nome o il cognome da nubile per le donne, indicati tra parentesi. Nel testo delle biografie, i nomi delle orchestre, i titoli dei brani, degli spettacoli (riviste, opere ecc.), dei libri, dei film e dei giornali sono in corsivo, mentre sono in tondo tra caporali i titoli degli album. Viceversa, allo scopo di evitare qualsiasi confusione, nelle discografie degli autori i nomi delle orchestre sono in tondo. Queste selezioni di dischi indicano in ordine cronologico i brani (in corsivo) e gli album o raccolte (in tondo tra caporali) con i quali il musicista si e` particolarmente distinto. Se un disco non e` stato pubblicato con il nome dell’autore in questione, tra parentesi viene indicato il nome del musicista principale o del complesso. Per gli strumenti e per altri termini musicali utilizzati piu` spesso sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni: ance qualsiasi strumento a fiato ad ancia arr arrangiatore/arrangiamento asax sassofono contralto basso basso batt batteria bcl clarinetto basso bjo banjo brcl clarinetto baritono brsax sassofono baritono bsax sassofono basso cb contrabbasso cbcl clarinetto contrabbasso chit chitarra cl clarinetto cnta cornetta comp compositore cor corno fag fagotto fl flauto (traverso) flic flicorno orch orchestra

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AVVERTENZA

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org perc pf sax sint ssax tast tr trb tsax vibr vl vlc voc

organo percussioni pianoforte sassofono sintetizzatore sassofono soprano tastiere tromba trombone sassofono tenore vibrafono violino violoncello vocalist

Il suffisso ‘‘-el’’ posto dopo l’abbreviazione di uno strumento ne indica la variante elettrica.

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Biografie dei collaboratori

L’apparente disomogeneita` dei testi che seguono deriva dal principio che ci siamo imposti, di rispettare la personalita` dei collaboratori cosı` come emerge dalle schede di presentazione da essi stessi redatte. I nomi seguiti da asterisco compaiono anche come voci del dizionario. Tra parentesi quadre la sigla utilizzata nel corpo del dizionario.

ABOUCAYA, Jacques [J.A.] Al liceo scopre contemporaneamente il jazz grazie a Louis Armstrong e la patafisica grazie a Boris Vian. Scrive i suoi primi articoli sul jazz in un giornale di studenti di Tolosa, poi in un grande quotidiano regionale, dal 1961 agli anni ’80, prima di presentare una trasmissione regolare su una radio locale dal 1983 al 1986. Nel contempo ha dedicato il suo DES di letteratura a Vian e diversi lavori universitari a Jorge Luis Borges e ad Albert Paraz, di cui scrive le premesse alle riedizioni. Collaboratore di Jazz Magazine dal 1982 e, piu` recentemente, di Blujazz (Italia), divide il suo tempo tra l’insegnamento di lettere classiche presso un liceo e le attivita` di critico letterario e musicale. Tra i fautori dell’apertura di una sezione specializzata alla scuola media di Marciac (Gers) nel 1993, tiene dei corsi di storia del jazz. ´, Jean-Philippe [J.P.A.] ANDRE Nato a Barcelonnette il 7/12/1948. Commissario capo di polizia. Appassionato del sassofono, che suona sin da quando aveva dodici anni e ancora, a volte, al commissariato, fra un interrogatorio e l’altro. Collabora a Jazz Magazine.

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ARDONCEAU, Pierre-Henri [P.H.A.] Nato nel 1946. Insegnante-ricercatore di scienze sociali presso l’universita` di Pau et des Pays de l’Adour. E` collaboratore di Jazz Magazine dal 1967, di Libe´ration dal 1978 al 1982, e di Sud-Ouest Dimanche dal 1987 al 1988. Da alcuni anni lavora intensamente sul rapporto fra la musica jazz e i fumetti. AUVRAY, Jean-Loup [J.L.A.] Nato nel 1949. Ha compiuto studi musicali e giuridici, prima di entrare nel settore bancario. Collabora a Jazz Magazine. BARITHEL, Pascale [P.B.] Nato nel 1960. Giornalista. Collabora a Jazz Magazine dal 1983. Pratica il jazz da dilettante (flauto e percussioni) dopo aver frequentato per un certo tempo l’AIMRA e l’E´cole nationale de musique di Villeurbanne. BAUDOIN, Philippe [Ph.B.] Pianista, ha suonato con Bill Coleman, Mezz Mezzrow, Albert Nicholas, Buddy Tate, Cat Anderson, Guy Lafitte ecc. Codirettore della Anachronic Jazz Band, poi leader dell’Happy Feet Quintet, ha com-

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

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posto brani e arrangiamenti per questa formazione e preso parte all’incisione di una ventina di dischi. Professore presso il CIM, ha scritto numerosi articoli e schede tecniche, un saggio, Jazz mode d’emploi, e diretto numerosi stage. E` titolare di un corso di storia del jazz all’universita` di Parigi IV. BENKIMOUN, Paul [P.Be.] Nato a Orano l’11/8/1952. Medico e dal 1988 giornalista professionista (stampa medica), comincia a interessarsi al jazz intorno al 1970-71; le sue prime passioni sono Thelonious Monk (trasmissione televisiva di Henri Renaud), Django Reinhardt ed Ella Fitzgerald, di cui gli ha parlato suo padre, Coltrane e il free-jazz. Scrive per Jazz Magazine dal 1988; collabora inoltre alla Guide du Compact Disc e a Compact. Suona il contrabbasso da dilettante. BERGEROT, Franck [F.Be.] Nato nel 1953. Durante il servizio militare, trovandosi addetto al centralino telefonico, con molto tempo libero e una valigia piena di numeri di Jazz Magazine, si appassiona al jazz ‘‘scritto’’ e, dopo il suo congedo, al jazz vero e proprio nei suoi aspetti contemporanei. Successivamente si e` dedicato a ripercorrere la storia del jazz; ma e` in qualita` di osservatore attento della scena francese contemporanea che e` stato chiamato a collaborare a Jazzophone e a Jazz Hot. A partire dal 1979 e` stato l’animatore dell’archivio discografico di Montrouge, iniziando alla storia del jazz il personale, nonche´ gli allievi dell’E´cole de Jazz del CIM. Collabora a Monde de la musique. BE´THUNE, Christian [C.B.] Nato il 7/5/1949. Professore di filosofia. Collabora alla Revue d’esthe´tique e dal 1979 a Jazz Magazine. Autore di un libro su Charles Mingus pubblicato dalla casa editrice Limon, si e` addottorato in filoso-

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fia con una tesi sul jazz. Ha curato, insieme a Francis Hofstein, un numero della Revue d’esthe´tique dedicato al jazz. BILLARD, Franc¸ois [F.Bi.] Nato a Tolone il 12/9/1948. Collabora a varie riviste, fra cui Jazz Magazine e Guitares Claviers. Produttore per France Musique e produttore discografico (Jazz Musette). Autore di Jazz (1985), Histoires du saxophone (1986), Lennie Tristano (1988), La Vie quotidienne des jazzmen ame´ricains jusqu’aux anne´es cinquante (1989). BONFILS, Tony [T.B.] Nato a Nizza nel 1948. Inizia la sua carriera da autodidatta come bassista del gruppo di rhythm and blues Les Pyranas. Studia al conservatorio di Nizza, quindi nel 1973 si reca a Parigi, dove conduce due attivita` parallele, come musicista di studio e musicista di jazz. Dedica una parte del suo tempo all’insegnamento. Ha pubblicato Exercices de style pour la guitare basse (Lemoine). BOUJUT, Michel [M.B.] Nato a Jarnac nel 1940. Figlio del poeta Pierre Boujut, fondatore della rivista La Tour de Feu. Ha fondato nel 1958 l’Hot Club di Jarnac. Critico e storico cinematografico (Les Nouvelles litte´ raires, Playboy, Eve´nement du jeudi). Collaboratore di Charlie-Hebdo, Te´ le´ rama, France-Culture e France-Inter. Coproduttore della trasmissione Cine´ma Cine´mas su Antenne 2. Autore di un saggio su Wim Wenders (Flammarion), dei romanzi Amours ame´ricaines (Le Seuil) e L’Origine du monde (L’Olivier) e del libro Stars, les incontournables (Filipacchi). Collaboratore di Jazz Magazine e di Cahiers du jazz (anni ’60 e ’70), autore di Pour Armstrong (Filipacchi, 1976) e curatore dei libri di Stanley Dance (Duke Ellington), Ross Russell (Bird), e del Dictionnaire du blues, di Jean-Claude Arnaudon (tutti e tre editi da Filipacchi).

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CARLES, Philippe [P.C.] Nato ad Algeri il 2/3/1941. Giornalista francese. Dopo lo sbarco alleato ad Algeri ha occasione di ascoltare In The Mood alla radio e il boogie-woogie suonato dallo zio (che gli da` lezioni di solfeggio) e dai soldati americani sul pianoforte dei nonni (1944-45). Nel 1958 si iscrive alla facolta` di medicina (che lascera` nel 1963) e vi conosce Jean-Louis Comolli, il quale gli presta «Thelonious Monk Trio» in cambio di Bag’s Groove di Miles Davis. A Parigi nel 1962 incontra di nuovo Comolli: dietro sua raccomandazione due anni dopo viene chiamato da Jean-Louis Ginibre, redattore capo di Jazz Magazine, a collaborare a diverse pubblicazioni del gruppo Filipacchi. Nel 1971, quando Ginibre si trasferisce negli Stati Uniti, gli succede come redattore capo di Jazz Magazine e produttore per France Musique. Con Frank Te´not: Dictionnaire du jazz (Larousse, 1967), Le Jazz (Encyclopoche Larousse, 1977); Free Jazz/Black Power (con J.L. Comolli, Champ Libre, 1971); Jazz Moderne (Henri Renaud, Casterman, 1971); con Andre´ Clergeat: Jazz, les incontournables (Filipacchi, 1990). CHAUTEMPS, Jean-Louis* [J.L.Ch.] Nato nel 1931. Sassofonista e compositore a partire dal 1952. Ha suonato con Chet Baker, Martial Solal, Rene´ Urtreger, Kenny Clarke ecc. per quanto riguarda il jazz; con 2E2M ecc. per quanto riguarda la musica contemporanea. Ha composto From A Saxophonological Point Of View, opera creata per l’IRCAM nel 1981, Interface a` Facettes (commissionatogli dal governo francese nel 1986). Dal 1983 si occupa di informazione musicale. Grand Prix della SACEM (jazz) nel 1985. Autore di un libro sul sassofono (J.C. Latte` s). Insegna al conservatorio di Bagneux. CLERGEAT, Andre´ [A.C.] Nato a Fix-St-Geneys (Haute-Loire) il 4/ 1/1927. Attraverso la canzone ritmica (Charles Trenet) e poi la musica di

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

Django Reinhardt, ‘‘entra’’ nel jazz a Parigi, all’inizio degli anni ’40. Dopo aver seguito studi letterari (laurea in inglese), lavora nell’industria discografica (direttore artistico). Nel 1948 e` cofondatore dell’Hot Club universitario (che organizzera` un concerto di Charlie Parker nel 1949). Nel 1954 e` cofondatore della Acade´mie du Jazz. Capo redattore di Jazz Hot dal 1953 al 1957. Produttore di trasmissioni radiofoniche di jazz alla ORTF/Radio France (France Musique dal 1955), alla RAI (RadioUno dal 1980). Esperto francese, presidente della giuria del Jazz Quiz international organizzato dall’UER. Autore del Dictionnaire du jazz (Seghers, 1966) e, con Philippe Carles, di Jazz, les incontournables (Filipacchi, 1990). Ha collaborato alla Grande enciclopedia del jazz (Armando Curcio Editore, Roma 1982) e al New Grove Dictionary of Jazz (Macmillan Press, 1988). COMOLLI, Jean-Louis [J.L.C.] Scopre Thelonious Monk e Charlie Mingus in rue Michelet, ad Algeri. Collabora a Jazz Magazine negli anni ’60. Autore, insieme a Philippe Carles, di Free Jazz/ Black Power (Champ Libre, 1971). Ha realizzato alcuni film e documentari la cui colonna sonora e` stata scritta da Michel Portal, Martial Solal, Louis Sclavis, Andre´ Jaume, Jimmy Giuffre e altri. CONTE, Ge´rard [G.C.] Nato a Gorcy-Cussigny il 1/2/1931. Nel 1950, durante il servizio militare in Germania, scopre il jazz stile New Orleans. Tornato a Parigi nel 1952, collabora a Jazz Hot recensendo gli avvenimenti di jazz tradizionale per piu` di dodici anni. Alla fine del 1963 fonda l’Associazione francese degli appassionati del jazz New Orleans. Il 24 ottobre 1964 organizza il primo Jazz Band Ball che diverra` poi l’appuntamento annuale degli appassionati di jazz tradizionale. Dal 1974 al 1976 partecipa alle trasmissioni radiofoniche Jazz Classique su France Musique. Eletto

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

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membro dell’Acade´mie du jazz, si dedica alla ricerca storica sulle origini del jazz, sia negli Stati Uniti sia in Francia. CONTI, Luca [L.C.] Nato a Firenze nel 1962, lavora a Milano. E´ consulente letterario e traduttore, specializzato in narrativa angloamericana, e giornalista musicale. Redattore del mensile Musica Jazz, ha svolto per molti anni attivita` di organizzatore di concerti, sia nel campo della classica sia in quello del jazz, contribuendo a ideare alcune importanti rassegne tuttora attive. CRAVIC, Dominique [D.C.] Nato a Dreux. Rimane soggiogato dall’incantesimo della chitarra che gli si presenta in varie forme: lo studio n. 5 in si minore (nella versione di Raymond Devos), Brassens, Big Bill Broonzy (Bill Bailey), Giochi proibiti: un cocktail difficile da ingoiare... Da bambino ascolta il jazz, da Bechet a Coltrane. Da adolescente suona nelle feste popolari (Gentlemen), studia la chitarra da autodidatta poi frequenta il conservatorio nazionale di Bobigny e l’universita` di Parigi VIII. Chitarrista professionista, ha suonato e registrato con D. Roussin, S. Lacy, L. Konitz, F. Varis (Cordes et Lames), T. Farlow, R. Crumb. Collabora occasionalmente per Jazz Swing Journal e Jazz a` Paris, e` membro del comitato di redazione di Guitares et Claviers. Dirige due conservatori nella Essonne. DAUBRESSE, Jean-Pierre [J.P.D.] Nato nel 1945. Commerciante di vini. E` tra gli organizzatori del primo Jazz Band Ball, nel 1964. Nel corso di frequenti viaggi a New Orleans entra in contatto con i vecchi musicisti ancora attivi e organizza le prime tourne´e di questi veterani in Francia, all’inizio degli anni ’70. Nel 1978, 1979 e 1982 riesce a portare in Francia il leggendario trombettista Jabbo Smith, riscoperto in un garage di Milwaukee. Produce dischi realizzati nel corso di queste tourne´e e collabora contempora-

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neamente a un vasto programma di riedizioni prodotte dalla RCA, tra il 1972 e il 1987, e da altre case discografiche (Barclay, MCA, Vogue ecc.). Collabora a Jazz Hot dal 1967 al 1981 e a Te´le´rama; a partire dal 1977 produce regolarmente Temps du Jazz per France Musique.

DAVERAT, Xavier [X.D.] Nato a Bordeaux nel 1956. Si e` addottorato in diritto con una tesi sui diritti degli interpreti. Professore di diritto privato all’universita` di Bordeaux I, e` specializzato in diritto d’autore. Pubblica regolarmente su diverse riviste giuridiche. Dal 1984 al 1990 conduce le trasmissioni di jazz e musica classica di Radio France Bordeaux-Gironde. Collabora per il jazz e la musica classica con Gironde Magazine e dal 1987 con Jazz Magazine. E` autore del libro Le Jazz en personnes (du Ponant, 1986) e di un’opera su John Coltrane. Si occupa inoltre di letteratura e cinema, in particolare dell’area nordamericana.

´PUTIER, Ivan [I.D.] DE Nato a Parigi il 19/10/1927, e` morto il 3/ 11/2007. Diplomatosi all’IDHEC nel 1951, nel 1954 realizza alcuni cortometraggi. Nel 1959 lavora per la televisione. Dal 1948 colleziona dischi di jazz e documenti scarsamente conosciuti. Nel 1950 scrive un saggio discografico su alcune orchestre europee (Gre´gor, Gluskin, Louis Mitchell, Reinhardt). Collabora a varie riviste e trasmissioni radiofoniche di Europe I e France Musique («Le Jazz ailleurs» con D. Nevers). Alcuni capisaldi di una passione precoce: orchestra Stellio (1931), due concerti di Ray Ventura (1933-34), Eddie South (1937), il film Mademoiselle Swing di Richard Pottier (1942), le orchestre di GI, Claude Luter, Charlie Parker (Pleyel, 1949), Ellington (Chaillot, 1950), Stan Kenton (Alhambra, 1953).

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DISTER, Alain [A.D.] Giornalista e scrittore. Cronista di Nouvel Observateur. Produttore per France Culture. Autore di numerosi libri sul rock and roll (Les Beatles, Frank Zappa e Led Zeppelin per Albin Michel; Chroniques de Rock and Roll per VegaPress). Fotografo e curatore di mostre (Jazz et Photo al Muse´e d’Art Moderne, Black Photography in America al Pavillon des Arts). Produttore di trasmissioni televisive sul rock (Antenne 2, TF1, FR3). FRANCIS, Andre´ [A.F.] Nato a Parigi nel 1925. Da 40 anni si dedica anima e corpo a far conoscere il jazz in Francia. Finiti gli studi di arte drammatica, decorazione e cinematografia, presenta le sue prime trasmissioni alla Radiodiffusion franc¸aise nel 1945. Dopo una serie di trasmissioni letterarie al Club d’Essai, entra in contatto con gli ambienti jazzistici. Comincia a organizzare i suoi primi concerti jazz nel 1945, attivita` che non ha mai piu` interrotto. Responsabile del Bureau du jazz di Radio France. Direttore artistico del Festival del jazz di Parigi. Presidente dell’Orchestre national de jazz. Produttore delegato e presentatore di un centinaio di trasmissioni televisive sulla musica. Autore di varie opere sul jazz (Le Seuil, l’Illustration), continuamente ripubblicate e tradotte in decine di paesi. GALAS, Patrice [P.Ga.] Pianista e organista. Si e` esibito in numerosi cabaret, festival, trasmissioni radiofoniche e televisive sia con la sua formazione sia a fianco di Johnny Griffin, Slide Hampton, Stan Getz, Dizzy Gillespie ecc., e in collaborazione con vari gruppi come quelli di Mongo Santamarı´a, Manu Dibango ecc. E` stato uno dei primi insegnanti di jazz al conservatorio e al Centre d’information musicale di Parigi. Queste esperienze pedagogiche l’hanno indotto a creare, in collaborazione col pianista Pierre Cammas, vari metodi che hanno per titolo La Musique moderne e che ri-

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

percorrono un secolo di musica, dal blues al jazz-rock. Ha inciso anche vari dischi in Francia. GAUFFRE, Christian [C.G.] Nato a Montpellier nel 1951 in un ambiente favorevole allo sviluppo musicale: nessun parente organista nella chiesa locale, nessun legame di amicizia con Duke o Count, nessun Chico Freeman tra i compagni di classe. Inizia gli studi secondari a Montpellier e li termina a Marsiglia; intraprende quelli superiori a Aixen-Provence e li finisce a Parigi; dal 1973 comincia a collaborare a Jazz Magazine, di cui diventa un collaboratore fisso cinque anni dopo. Oltre a varie attivita` giornalistiche ed editoriali (ha tradotto: L. e A. Pepper, Straight Life, 1982; G. Smith, Ste´phane Grappelli, 1988; Ben Sidran, La Parole noire, in preparazione), dal 1987 e` caporedattore aggiunto di Jazz Magazine. GERBER, Alain [A.G.] Nato a Belfort nel 1943. Romanziere (Prix du roman populiste nel 1982, Prix Goncourt per il racconto e Grand Prix per il racconto della Socie´te´ des gens de lettres nel 1984, anno in cui il Grand Prix per il romanzo della citta` di Parigi viene assegnato al complesso della sua opera). Dal 1964 collabora a Jazz Magazine e dal 1971 cura trasmissioni specializzate per France Musique e France Culture. Numerosi articoli sul jazz per giornali e riviste (in particolare per il mensile Diapason). Ha partecipato alle opere collettive Jazz Classique e Jazz Moderne (Casterman, 1971), ha scritto per Radio France un dramma su Billie Holiday (Un oiseau au plumage de fume´e) e pubblicato nel 1985 un saggio intitolato Le Cas Coltrane (Parenthe`ses) e nel 1990 Portraits en jazz (Renaudot et Cie). GOATY, Fre´de´ric [F.G.] Nato a Juvisy-sur-Orge il 2/6/1965. Ha studiato storia contemporanea a Nanterre. Educato nella classe ‘‘rayon jazz’’

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

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di Daniel Richard alla Fnac Etoile di Parigi dal 1986 al 1989. Dopo l’incontro con Philippe Carles, diventa collaboratore (1987) e segretario di redazione (1993) di Jazz Magazine. Ha collaborato episodicamente con l’e´quipe dei produttori di France Musique. GUMPLOWICZ, Philippe [P.G.] Nato a Parigi nel 1950. Musicista (Big Band de guitares; Arcane V; con Guy Reibel, concerti La Marseillaise des mille, 1992) e scrittore (Les Travaux d’Orphe´e, Aubier, 1988; Le Roman du jazz, Fayard, 1991), insegna musicologia all’universita` di Parigi IV e di Digione. HODEIR, Andre´* [A.H.] Compositore di jazz (Anna Livia Plurabelle, The Alphabet, Jazz Cantata). Direttore musicale del Jazz Groupe di Parigi negli anni ’50. Ha scritto molte musiche per film (L’E´cume des jours, Le Palais ide´al, De l’amour). Sul piano letterario ha pubblicato Hommes et Proble`mes du jazz (1954), senza dubbio l’opera di critica musicale piu` tradotta, quindi Les Mondes du jazz (1970), prima di affrontare il romanzo con Play-Back (1983), Les Aventures de la chevalie`re (1983) e Musikant (1987). Presidente della Acade´mie du jazz, ha insegnato composizione e storia del jazz ad Harvard e ha diretto un programma di ricerche presso l’IRCAM. HOFSTEIN, Francis [F.H.] La sua passione per il jazz risale agli anni ’50 con la scoperta, in particolare, di Louis Armstrong, Sidney Bechet, Blind Lemon Jefferson e Big Bill Broonzy. Suona la batteria e collabora regolarmente con Jazz Magazine (1965) e Soul Bag (1969). Nel frattempo compie studi di medicina e poi di psichiatria; editor di L’Ordinaire du psychanaliste (12 numeri dal 1973 al 1978). Autore di: Au miroir du jazz (de la Pierre, 1985), Oakland Blues con la fotografa Michelle Vignes (Marval, 1989), Body and Soul con Jean Ber-

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thier e Jean-Louis Chautemps (1991), Le Rhytme and Blues (Que sais-je? PUF., 1991, Prix Langston Hughes 1992 dell’Acade´mie du jazz). Ha coordinato con Christian Be´thune Jazz, il numero 19/91 della Revue d’esthe´tique e ha lavorato con Jean-Paul Ricard a una nuova rivista, L’Art du jazz. Ha scritto una biografia su Muddy Waters. HUCK, Daniel* [D.H.] Ha preferito lasciare agli altri il compito di redigere la propria biografia. LACOMBE, Alain [A.L.] Nato a Cahors nel 1950. Formazione filosofica. Entra a Radio France nel 1975. Poi e` produttore per France Musique e France Inter. E` autore di una serie di saggi sulla musica nella societa` dello spettacolo (Hollywood, Broadway, musica rock, chansons) e di alcune monografie dedicate a George Gershwin (Van de Velde) e a Ella Fitzgerald (du Limon). Autore di testi per Jean Guidoni e Marc Pe´rone, e di un libretto d’opera, Luca Baldavo, per Lalo Schifrin. Ha pubblicato recentemente una biografia di Fre´hel per Belfond. E` scomparso il 14/12/1992. LAVERDURE, Michel [M.L.] A quattordici anni si appassiona alla musica jazz. Suona la batteria come dilettante. Cura una trasmissione sul jazz per Radio Andorra. Membro dei «Friends of Fats», cura per la RCA il «Fats» Waller Memorial. Coautore di Jazz classique (Casterman), pubblica racconti su Playboy e Lui, articoli su Aria Jazz, Blanco y Negro (Spagna), Le Point du Jazz (Belgio) e, a partire dal 1960, su Jazz Magazine. Si interessa al cante jondo e all’arte della tauromachia. Adora Joseph Delteil, il Fino de Jerez, il timo, i terreni coltivati a timo, le pipe di Cogolin e il cielo di Siviglia. LE BEC, Jean-Yves [J.Y.L.B.] Dopo studi di filosofia, insegna questa materia, poi la musica. Redattore di Jazz

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Hot fino al 1986 e poi di Jazz Magazine. Autore di varie voci del Dictionnaire critique du marxisme (PUF), di un saggio su Blaise Cendrars e Robert Delaunay, «Le Verbe colore´» in Blaise Cendrars (Henri Veyrier). Stava preparando un saggio su Machiavelli e un altro su Ornette Coleman. E` scomparso il 14/10/1990. LEBOFF, Thierry [T.L.] Nato a Parigi il 5/4/1942. Dopo qualche lezione di piano classico all’eta` di dieci anni, incontra il jazz grazie ad alcuni amici, nel 1957. Impara da solo a suonare il sassofono alto e, verso la fine degli anni ’50, forma un’orchestra, principalmente con Andre´ Krymkier (sassofono alto) e Jean-Franc¸ois Kresser (batteria), con la quale continua a esibirsi amatorialmente, ma al sax tenore. Medico radiologo, considera il jazz come ‘‘l’elemento essenziale’’ della sua vita. E` scomparso il 9/9/ 2006. LEYMARIE, Isabelle [I.L.] Pianista. Dottore in etnomusicologia, ha insegnato storia del jazz e musica afrocubana in varie universita` in Europa e negli USA, fra cui Yale. Autrice e produttrice di un documentario sul musicista cubano Machito. Ha pubblicato nel 1993 il libro La Salsa et le latin jazz. MALSON, Lucien [L.M.] Agre´ge´ in filosofia. Insegna al Centre National de Pe´ dagogie di Beaumont. Membro dell’Acade´mie Charles-Cros. Produttore per France Musique e France Culture. Ha collaborato stabilmente con Jazz Hot e Jazz Magazine, caporedattore dei Cahiers du jazz, consulente alla direzione musicale dell’ORTF, cronista della pagina culturale di Le Monde (dal 1963 al 1987). Ha pubblicato numerose opere di sociologia e psicologia (Les Enfants sauvages, Le Mongolisme au-dela` de la le´gende), di critica e di musicologia (Le Jazz, Les Maıˆtres du jazz, Le Jazz moderne, La Musique afro-ame´ricaine, Des musiques de jazz).

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

MARMANDE, Francis [F.M.] Nato a Bayonne il 10/1/1945. Contadini, governanti, piccoli commercianti. Pilota di aviazione e di aliante. Scuola Normale Superiore, cattedra di lettere, libero docente universitario. Contrabbassista dilettante: alcuni concerti, alcuni festival. Autore di Georges Bataille politique (PUL) e di L’Indiffe´rence des ruines (Parenthe`ses). Curatore delle Œuvres comple`tes di G. Bataille (Gallimard, tomi X, XI, XII). Collabora occasionalmente a riviste letterarie e con regolarita` a Jazz Magazine (dal 1971), a Libe´ration (197577), a L’Autre Journal (1986), a Le Monde (dal 1977). Disegna su Jazz Magazine. MARTIN, Denis-Constant [D.M.] Laureato in lettere, ricercatore presso la Fondazione nazionale di scienze politiche (Centro di studi e di ricerche internazionali). Collabora a Jazz Magazine da piu` di vent’anni. Ha pubblicato fra l’altro: Les E`tats-Unis et leurs populations (in collaborazione, Complexe, Bruxelles 1980), Aux sources du reggae, musique, socie´te´ et politique en Jamaı¨que (Parenthe`ses, Marsiglia 1982), Tanzanie, l’invention d’une culture politique (Presses de la FNSP/Karthala, Parigi 1988) e produce, nella serie «Le temps du jazz» su France Musique, la trasmissione di Les Voix du Seigneur, Negro Spirituals et Gospel Songs. MASSON, Jean-Robert [J.R.M.] Uscendo di casa alle cinque, in un giorno del 1959 a Londra, ha la rivelazione dell’orchestra di Count Basie e scrive il suo primo articolo. Da allora il suo destino e` segnato. Conosce Frank Te´not e Lucien Malson, collabora ai Cahiers du jazz, entra a Jazz Magazine, di cui diviene caporedattore nel 1960, contemporaneamente fa parte dell’e´quipe di Jazz dans la nuit, la trasmissione di Paris Inter (1961), poi, insieme a Malson e altri, entra a far parte di France Musique, con cui ancor oggi collabora. I microsolchi sono per lui

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

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come una droga dolce, e dissertare sui vari aspetti del jazz gli procura alcune delle piccole gioie della vita. MATTHYSSENS, Xavier [X.M.] Nato a Parigi il 16/5/1956, e` morto il 3/8/ 2002. A sette anni si innamora, con sua sorella, della coppia Paulette MervalMarcel Merke`s nell’Auberge du Cheval blanc. Dopo i Who, prima emozione di ambito jazzistico: Miles Davis a Chaillot nel 1970. Dopo pochi mesi, nell’ambito di una associazione, organizza una quindicina di concerti. Ama anche il flamenco, le musiche africane tradizionali e arabe. Ha collaborato a Jazz Magazine dal 1987 fino alla morte e, sporadicamente, a Revue et corrige´e. MAZZOLETTI, Adriano [A.Ma.] Nato a Genova nel 1935. Scopre il jazz verso il 1948. Stabilitosi a Perugia nel 1950, diviene direttore del locale Hot Club e organizza importanti concerti (Louis Armstrong, Chet Baker ecc.) prima di trasferirsi a Roma nel 1958. Entra alla RAI come produttore di concerti e animatore di trasmissioni di musica pop. E` poi un dirigente di RadioUno. Autore di una storia del Jazz in Italia (Laterza, 1983), e coordinatore della Grande enciclopedia del jazz (Armando Curcio Editore, 1982). Nonostante i molteplici impegni, non rinuncia a riunirsi, una volta alla settimana, con l’orchestra di dilettanti in cui da molto tempo suona la batteria. Direttore e fondatore a Roma nel 1989 della rivista Blujazz. MERLIN, Arnaud [A.M.] Nato a Tours il 9/9/1963. Musicologo e giornalista. Studi di musicologia (laurea a Parigi IV, Sorbona). Premio di storia della musica e premio di estetica al Conservatorio nazionale superiore di musica di Parigi. Ha collaborato a Jazz Hot, a La Lettre du musicien e regolarmente a Monde de la musique, prima di divenire segretario di redazione a Jazzman.

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MOUSSARON, Jean-Pierre [J.P.M.] Nato a Bordeaux nel 1938. Agre´ge´ di lettere classiche. Maıˆtre de confe´rences di lingua e letteratura francese all’universita` di Bordeaux III. Directeur de programme al Colle`ge international de philosophie (CIPh) di Parigi. E` autore di vari saggi critici e poetici e ha pubblicato fra l’altro sulle seguenti riviste: Digraphe, Romantisme, Poe´sie, Critique, Cahiers Flaubert, Les Temps modernes, Sud, Poe´tique. Ha scritto: Feu le Free? et autres e´crits sur le jazz (Belin, 1990), La Poe´sie comme avenir (Le Griffon d’Argille/ PUG, 1992), L’Ethique du don (A.M. Me´taille´, 1992, in collaborazione). Appassionato della musica (europea, africana, orientale, strumentale e vocale), dopo aver studiato il pianoforte, ha praticato il canto corale per diversi anni durante l’adolescenza, e ha cominciato ad ascoltare il jazz e il blues a quindici anni. Collabora a Jazz Magazine dal 1976. NEVERS, Daniel [D.N.] Nato a Parigi nel 1946. Laureato in filosofia, diplomato all’IDHEC, si e` fatto conoscere soprattutto, dopo la seconda meta` degli anni ’60, nell’ambito del jazz, del disco e della radio. Autore di numerosi articoli per le riviste Jazz Hot, Jazz Magazine, Storyville, Sonorite´s, Jazz ensuite ecc. E` uno dei fondatori di Temps du jazz (gia` Jazz classique), trasmissione che va in onda quotidianamente su France Musique a partire dal 1975. In qualita` di consulente e di direttore artistico, ha curato numerose raccolte di dischi per la RCA, la Pathe´-Marconi e la EPM, e altri editori. Attualmente sta lavorando a un romanzo e alla compilazione di una Histoire du jazz en France in piu` volumi. Inoltre ha collaborato a varie riviste cinematografiche nonche´ a Le Collectioneur de Bandes dessine´es. OBERG, Claude [C.O.] Nato ad Hanoi il 16/3/1937. L’anno seguente la famiglia si trasferisce ad Agen, in Francia. A dieci anni scopre il jazz ascoltando Louis Armstrong e Django

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Reinhardt. Studia la chitarra da autodidatta e debutta come professionista nel 1954. Suona in club di provincia (a volte ha occasione di suonare con musicisti in tourne´e come Philippe Brun, Benny Bennett, Bill Coleman) e fa parte dell’orchestra del casino` di Hendaye-Plage (195456). Dopo il servizio militare (Algeri, The´aˆtre aux Arme´es), si stabilisce nell’area parigina, abbandona la professione di musicista, ma continua a suonare per diletto. Collabora a Jazz Magazine dal 1964 svolgendo contemporaneamente attivita` nel campo amministrativo.

OLLIVIER, Ste´phane [S.O.] Nato a Parigi il 17/1/1967. Collaboratore di Jazz Magazine dal 1985. Autore, con il fotografo Guy Le Querrec, del libro Jazz comme une image.

PACZYNSKI, Georges [G.P.] Nato a Grenoble il 30/3/1943. Batterista di jazz e percussionista. Professore al conservatorio di Cergy-Pontoise, al CIM di Parigi e al conservatorio di Colombes. Laureato in lettere, unisce l’esperienza di musicista a quella di pedagogo e di ricercatore. A partire dal 1963 suona con numerosi musicisti francesi e americani; dal 1984 dirige un trio con Jean-Christophe Levinson (piano) e Jean-Franc¸ois JennyClark (contrabbasso) e nel 1992 pubblica il primo album di questa formazione, «Eight Years Old» (JBB Production, Big Blue Records/Harmonia Mundi). Si esibisce in diversi trii diretti da Jean-Paul Celea. Lavora in duo con la pianista Evelyne Stroh, insieme alla quale compone musica per pianoforte e percussione (Zurfluh, 1985-1993). Partecipa regolarmente a trasmissioni di jazz su France Culture e collabora alla rivista Blujazz dal 1990. Autore di Rythme et geste, les racines du rythme musical (Zurfluh, 1988), Une historie de la batterie (Zurfluh, 1994).

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

PANISSET, Jacques [J.Pa.] Nato ad Annemasse il 9/9/1948. Studia linguistica all’universita` di Grenoble. Musicista professionista dal 1974 nell’ambito del Jazz Club e poi dell’AGEM (Atelier Grenoble Espace Musical), partecipa sin dalla sua fondazione alla Big Band de guitares di Ge´rard Marais. Si esibisce alla guida di un trio e di un quartetto. Codirige l’AGEM, dove insegna chitarra e improvvisazione. Ha registrato numerosi dischi con Claire Giroud, Fre´de´ric Page`s, la Big Band de guitares di Ge´rard Marais e, da leader, «Jacques Panisset».

PE´RIN, Jacques [J.P.] Nato a Neuilly il 6/6/1947. Commerciante di dischi. Assiste al suo primo concerto di blues nel 1964: Lightnin’ Hopkins, Howlin’ Wolf e Sonny Boy Williamson tutti nella stessa sera! Nel 1965 fonda la R & B Appreciation Society. Nel gennaio 1968 partecipa al primo (e ultimo) numero della rivista Super Soul. Nel dicembre 1968 lancia la rivista Soul Bag, che nel giro di quarant’anni ha pubblicato piu` di 190 numeri.

´VOST, Xavier [X.P.] PRE Nato a Saint-Quentin nel 1949. Nono e ultimo figlio di una famiglia di agricoltori della Piccardia. Dopo gli studi di filosofia, lettere moderne e management all’universita` di Lille, ha insegnato lettere dal 1975 al 1980. Ha abbandonato l’insegnamento per partecipare alla creazione di Radio K (1981-82), stazione a modulazione di frequenza che trasmette da San Remo coprendo il sud-est della Francia. Produttore di Radio France (France Musique, France Culture) e collaboratore di Jazz Magazine dal 1982 e di Guitare & Claviers dal 1988. Coautore della guida Jazz de France (CENAM, 1989), e` anche collaboratore di Diapason e Zapmag (1990-91).

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

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QUENUM, Thierry [T.Q.] Nato a Granville il 9/4/1954. Professore di lettere, inizia a interessarsi seriamente al jazz circa venti anni dopo essersi stancato del rock, come tutti. Pratica la chitarra e il sassofono da dilettante. Collabora a Jazz Magazine dal 1986. RE´DA, Jacques [J.R.] Nato nel 1929. Uno dei collaboratori piu` stabili di Jazz Magazine a partire dal 1963. Fra il 1980 e il 1985 pubblica tre libri sul jazz: L’Improviste, Jouer le jeu (Gallimard) e Anthologie des musiciens de jazz (Stock). La sua opera propriamente letteraria comprende una quindicina di titoli (Amen-Re´citatif-La Tourne, Les Ruines de Paris, Recommandations aux promeneurs ecc.) pubblicati da Gallimard. Ha ricevuto fra l’altro il Prix Valery Larbaud e il Prix des Critiques. Caporedattore de La Nouvelle Revue franc¸aise fino al 1995. RENAUD, Henri* [H.R.] Nato il 20/4/1925 a Villedieu-sur-Indre. A cinque anni studia il violino; a otto, il pianoforte, prima di scoprire il jazz alla radio nel 1938. Nel 1946, a Parigi, comincia a suonare nei bar e poi nell’orchestra di Jean-Claude Fohrenbach; poi continua la sua attivita` negli Stati Uniti dove registra con i piu` brillanti jazzmen del momento. Nel 1964 diventa direttore del dipartimento jazz della CBS. Produttore di trasmissioni di jazz per la televisione. Consulente musicale, nel 1986, del film di Bertrand Tavernier ’Round Midnight. E´ scomparso a Parigi il 17/10/2002. RICARD, Jean-Paul [J.P.R.] Nato a Le Thor nel 1948. Scopre il jazz in occasione del Festival di Antibes del 1962 (Dizzy Gillespie). L’acquisto di alcuni 45 giri (Dave Brubeck, Miles Davis, Charlie Parker, Lester Young) coincide con l’inizio di una passione e di una mania collezionistica che si esercita di preferenza sul jazz degli anni ’50 e della West Coast, senza alcuna esclusione.

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Con la AJMI, fondata nel 1978 insieme ad alcuni amici, organizza regolarmente concerti ad Avignone e nella regione. Collabora a Jazz Magazine, Diapason, al quotidiano Vaucluse Matin. Conduce ogni settimana la trasmissione Jazz Time su Radio France-Vaucluse. Psicologo, lavora attualmente in un centro per bambini disadattati. RICHARD, Marc [M.R.] Nato a Parigi nel 1946. Sassofonista e clarinettista. Debutta al clarinetto a quattordici anni, poi passa alla tromba e fa parte della prima formazione degli Haricots Rouges. Ritorna al clarinetto e al sassofono nelle orchestre di Irakli, Raymond Fonse` que, Dany Doriz e negli Swingers. Poi fonda la Anachronic Jazz Band ottenendo un vivo successo. Per tre anni fa parte della Europamerica di Jef Gilson. Musicista polivalente, e` l’accompagnatore di numerose vedette statunitensi: Milt Buckner, Curtis Fuller, Dee Dee Bridgewater, Buddy Tate, Harry Edison ecc. Nel 1980 a Firenze gli viene conferito il primo premio al concorso internazionale di erudizione sulla musica jazz, bandito dall’Unione europea per la radiodiffusione. Insegna storia del jazz al CIM. ROUY, Ge´rard [G.R.] Nato a Bar-le-Duc l’8/4/1948. Scopre il jazz all’inizio degli anni ’60 grazie alle trasmissioni di Tenot/Filipacchi e di Philippe Adler sulle reti locali. Ha avuto un’esistenza caotica: supplente, impiegato alle poste, fotografo sportivo e scolastico, organizzatore di festival, imbianchino, conduttore di trasmissioni radiofoniche, fotografo di scena. Collabora a Jazz Magazine dal 1970 in qualita` di redattore e fotografo. SIMON, Franc¸ois-Rene´ [F.R.S.] Nato a Chaumont il 27/10/1945. Di professione giornalista, sassofonista dilettante. Collabora a Jazz Magazine dal 1987.

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SOUTIF, Daniel [D.S.] Nato a Parigi il 19/8/1946. Agre´ge´ e professore di filosofia. Chitarrista e flautista dilettante. Collabora a Jazz Magazine dal 1972. Nel 1994 e` stato nominato direttore di dipartimento al Centre Georges-Pompidou. TARTING, Christian [C.T.] Nato a Tunisi il 17/9/1954. Maıˆtre de confe´rences in estetica all’universita` di Aix-Marseille II. Attivo da quindici anni come curatore di opere sul jazz e sulle musiche improvvisate aventi attinenza col jazz (direzione della collana Epistrophy dal 1980 al 1986 e poi della collana Birdland), collabora per la musica contemporanea e il jazz a Jazz Magazine dal 1978 e a Diapason dal 1986, oltre che a numerose riviste di letteratura e scienze umane. TE´NOT, Frank [F.T.] Nato a Mulhouse il 31/10/1925. Presidente dell’Hot Club di Bordeux (1944). Segretario di redazione di Jazz Hot (1946-48). Creatore, insieme a Daniel Filipacchi, della trasmissione radiofonica quotidiana Pour ceux qui aiment le jazz (1955-70). E` stato direttore della rivista Jazz Magazine, organizzatore di concerti jazz, vicepresidente delle edizioni Filipacchi e presidente del gruppo editoriale

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BIOGRAFIE DEI COLLABORATORI

Hachette. Dal 1986 al 1994 e` stato presidente delegato di Europe I; ha fondato con Jean-Franc¸ois Bizot TSF 89/9, ‘‘la radio 100% jazz’’. Autore, insieme a Philippe Carles, di un Dictionnaire du jazz (Larousse, 1967), di Radios prive´es, radios pirates (1977), Jazz encyclopoche (1977), Jazz, con Raymond Moretti (1983), e Boris Vian. Le jazz et SaintGermain (1993). Ha collezionato dischi dal 1938. E` scomparso l’8/1/2004 a Neuilly-sur-Seine. TERCINET, Alain [A.T.] Nato a Chambe´ry il 29/1/1935. Grafico impaginatore in un gruppo editoriale. Scopre il jazz nel 1948: l’occasione di ascoltare dal vivo Lester Young, cinque anni dopo, sara` determinante. In seguito ha continuato a interessarsi della musica afroamericana. Redattore di Jazz Hot dal 1970 al 1980, membro dell’Acade´mie du jazz, ha pubblicato West Coast Jazz (Parenthe`ses, 1986), Bepop (POL) e un libro su Stan Getz. TOMAS, Alain [A.To.] Nato ad Algeri il 20/11/1946. Studi di fisica; Maıˆtre de confe´rences alla facolta` di scienze farmaceutiche e biologiche. Scopre il jazz a dodici anni e s’interessa alla musica afroamericana. Collabora a Jazz Hot e Soul Bag.

Hanno inoltre collaborato a questo dizionario: Alain Antonietto [A.A.], Maurice Cullaz [M.C.], Olivier Gasnier [O.G.], Ste´phane Ghez [S.G.], Emilie e Yves Lucas [E.L., Y.L.], Dany Michel [D.Mi].

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A AABA f Struttura dei temi – Anatole.

AACM (Association for the Advancement of Creative Musicians) In questa associazione, creata a Chicago nel 1965 per iniziativa di Muhal Richard Abrams (che sin dal 1961 dirigeva la Experimental Band), con il contrabbassista Malachi Favors, il pianista Jodie Christian, il trombettista Phil Cohran e il batterista Steve McCall, ha militato una gran quantita` di musicisti afroamericani. Per citarne alcuni: i sassofonisti Anthony Braxton, Roscoe Mitchell, Joseph Jarman, Kalaparusha Maurice McIntyre, Fred Anderson, Troy Robinson, Edward Wilkerson, John Stubblefield, Chico Freeman, Henry Threadgill, Wallace McMillan, Edwin Daugherty, Richard Brown, Charles Cochran, i trombettisti Frank Gordon, John Jackson, Lester Bowie, Leo Smith, William Brimfield, i trombonisti Lester Lashley e George Lewis, il violinista Leroy Jenkins, il flautista e polistrumentista Douglas Ewart, i pianisti Christopher Gaddy, Amina Claudine Myers, Adegoke Steve Colson, i contrabbassisti Charles Clark, Leonard Jones, Fred Hopkins, Reginald Wallace, il chitarrista Pete Cosey, i percussionisti Thurman Barker, Robert Crowder, Kahil El’ Zabar, Alvin Fielder, Phillip Wilson, Jack DeJohnette, Ajaramu (Gerald Donovan), nonche´ poeti (David Moore), cantanti (Iqua Colson, Penelope Taylor, George Hines), ballerini (Rrata Christine Jones). Oltre a eventuali aiuti materiali e alla difesa degli interessi professionali, gli obiettivi dell’associazione – paragonabili a quelli della newyorkese Jazz Composer’s Guild – consistevano nel moltiplicare le occasioni di incontro tra compositori, strumentisti e orchestre (Ex-

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perimental Band, Afro-Arts Ensemble, Ethnic Heritage Ensemble, Air), nel diffondere un insegnamento centrato sulla musica nera (Great Black Music) e di favorire la nascita di una musica nuova (creative). Nel 1969 alcuni dei membri fondatori dell’associazione si recano a Parigi. L’AACM si fa conoscere anche attraverso le registrazioni fatte a Chicago da Bob Koester (Delmark Records) e Chuck Nessa (Nessa Records). L’Art Ensemble of Chicago, formato da Roscoe Mitchell, Joseph Jarman, Lester Bowie e Malachi Favors, ai quali si aggiunge nel 1970 il batterista Don Moye, rimane l’esempio migliore delle convinzioni estetiche estremamente diversificate dei musicisti dell’AACM. Ad Abrams si sono susseguiti diversi presidenti (nonche´ l’apertura di una sede newyorkese), tra cui Edward Wilkerson e Kahil El’Zabar. [P.C.] AARONS, Al (Albert N.) Trombettista statunitense (Pittsburgh, Pennsylvania, 23/3/1932). Gli strumentisti dei quali dice di aver subito l’influenza (Clifford Brown, Gillespie, Armstrong), la durata degli studi (esce dalla Wayne State University di Detroit nel 1957), la varieta` dei suoi leader (Yusef Lateef e Barry Harris nel 1956-57, Wild Bill Davis nel 1961, Count Basie dal 1961 al 1969), i lavori che ottiene negli studi televisivi di Hollywood (con Della Reese, Flip Wilson, Burt Bacharach, Bill Cosby, Nancy Wilson, Quincy Jones, Henry Mancini e altre stelle del music business californiano), nonche´ la militanza nelle grandi orchestre di jazz (la Juggernaut di Frank Capp e Nat Pierce, quella di Frank Wess e Harry Edison) sono tutte caratteristiche che confermano quanto Aarons sia un musicista assolutamente esemplare.

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ABDULLAH

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Esperto nell’uso delle sordine, talvolta tentato dal flicorno, non esce spesso in assolo; ma quando lo fa, risulta essere un melodista privo di drammaticita`. Una sonorita` rotonda e il gusto per il registro medio caratterizzano quasi sempre questo [P.C.] classico artista tuttofare. Con Basie: Aint’t That Right? (1962), Oh, Lonesome Me (1965), Frankie And Johnny (1967).

ABDULLAH, Ahmed (Leroy BLAND) Trombettista statunitense (New York, 10/ 5/1947). A tredici anni, dopo aver visto Louis Armstrong in televisione, acquista una tromba in un banco di pegni e inizia... da Harlem al Lower East Side di Manhattan, dal rhythm and blues (suona con King Rubin & The Counts) al Birdland (dove ascolta Coltrane e Gillespie), dallo Slugs’ – uno dei luoghi della ‘‘rivoluzione di ottobre’’ del free jazz del 1964 – alla scoperta di Malcolm e dell’islam, l’itinerario di Ahmed Abdullah attraversa innanzitutto le varie fasi della musica e della societa` afroamericana. In seguito, con il trombettista jazz Cal Massey e l’insegnante classico Carmine Caruso, studia improvvisazione e composizione. Nel 1972, il suo Melodic Art-tet (con Charles Brackeen, Ronnie Boykins e Roger Blank) inaugura lo Studio Rivbea, e l’artista si getta nella maggior parte delle operazioni della ‘‘loft generation’’. Lo si puo` ascoltare con Ed Blackwell, Steve Reid, Sam Rivers, Arthur Blythe, Chico Freeman, il clarinettista Kappo Umezu, con la compagnia di danza Sounds In Motion di Diane McIntyre e con il proprio gruppo, Abdullah, formato quasi sempre da Rashid Sinan (batt), Vincent Chancey (cor), Bernard Fennell (vlo), Masujaa (chit), Jerome Hunter (cb) e talvolta da un violinista. Poi incontra il trombettista Chris Capers che, dopo avergli dato alcune lezioni, lo presenta a Sun Ra del quale diventa (1975-80) uno dei principali solisti. Gli accadra` anche, spinto dalla necessita`, di fare il tassista nelle strade di New York. Nel 1986 fonda The Group, con Marion Brown, Billy Bang,

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Fred Hopkins, poi Sirone, e Andrew Cyrille e, nel 1988, il Solomonic Quartet con Chico Freeman Wilbur Morris (cb) e Charles Moffett. Continua a incidere ancora oggi, per la CIMP e l’etichetta finlandese TUM, oltre a esibirsi spesso in Europa. Energico, pungente, arguto, attratto innanzitutto dal registro acuto, Abdullah sviluppa un uso quasi ritmico della tromba, attratto dal ruolo di catalizzatore [P.C.] di tensioni. The House Of Eternal Being (Sun Ra, 1976); Odyssey Of The Oblong Square (Reid, 1977); A Long Time Black (1980); The Fire From Within (Bang, 1984); The Dance We Do (1987): Separation of Stones (Dennis Gonzalez, 1987); «Tara’s Song» (2005).

ABDUL-MALIK, Ahmed Contrabbassista e suonatore di oud statunitense (Brooklyn, New York, 30/1/1927 Long Branch, New Jersey, 2/10/1993). Di origine sudanese (o forse delle Indie Occidentali: recenti ricerche spingerebbero in questa direzione) da parte di padre, studia violino fin dall’eta` di sette anni. Ancora studente liceale, debutta in gruppi specializzati in musica per matrimoni. In seguito segue i corsi della All City High School of Music & Performing Arts, e suona nella sua orchestra sinfonica. Art Blakey lo inizia al jazz e lo assume come contrabbassista (1945-48), ma AbdulMalik compie incursioni esterne al gruppo, in particolar modo nel 1946, accanto a Don Byas. La passione per le musiche extraeuropee lo porta a studiare strumenti quali l’oud e il qanum, ma anche violoncello, tuba e pianoforte. Questa parentesi-cerniera si chiude nel 1954 nel gruppo di Sam «The Man» Taylor. Nel 1957 lo ritroviamo presso Randy Weston, con l’incarico di presentare un programma articolato di musica orientale alla Nonagon Art Gallery di New York. Dal 1957 al 1958 suona nel quartetto di Thelonious Monk. Incide anche in qualita` di leader e soprattutto come sideman di Jutta Hipp, Herbie Mann, Anthony Ortega, Walt Dickerson. Organizza vari pro-

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grammi scolastici, un’occasione per presentare e accompagnare strumentisti e cantanti orientali, africani, haitiani. Dopo un viaggio di studio in Africa, nel 1961, torna negli Stati Uniti e nel 1965 prepara il dottorato presso il New York College of Music. Da allora dedica tutta la sua attivita` all’insegnamento e alla diffusione delle musiche extraeuropee. Ha inciso come leader per la RCA Victor e la New Jazz. Interessato a tutti i generi di musica, Abdul-Malik si e` occupato anche dei suoni e degli strumenti extraeuropei in un periodo nel quale la moda non li aveva ancora portati alla ribalta. Ricercatore di sonorita` esotiche e` anche compositore di temi che vanno dal calypso alle melodie d’ispirazione araba. E` il contrabbassista specia[P.B., C.G.] lizzato nell’oud. In Walked Bud (Monk, 1959); «The Music Of Ahmed Abdul-Malik» (1961).

ABERCROMBIE, John Chitarrista e mandolinista statunitense (Port Chester, New York, 16/12/1944). E` in epoca scolastica, a Greenwich (Connecticut), che scopre la musica. Affascinato da Bill Haley ed Elvis Presley, a quattordici anni inizia a studiare da solo la chitarra e suona in gruppi rock. Un maestro di musica gli fa ascoltare Miles Davis e i primi dischi di Dave Brubeck: e` cosı` che si innamora del jazz. Dapprima colpito dall’arte di Barney Kessel, Tal Farlow, Jimmy Raney e Johnny Smith, scopre in seguito Him Hall. Dal 1962 al 1966 studia presso il Berklee College of Music, con Jack Petersen e Herb Pomeroy. Uscito dalla scuola, lo ritroviamo nell’area di Boston, sideman e solista in diversi gruppi. Nel 1967-68, l’organista Johnny Hammond Smith gli offre la prima scrittura. Nel 1969 passa nel gruppo Dreams (con Billy Cobham e Randy Brecker), poi a New York, dove suona con Chico Hamilton e Gato Barbieri (nonche´ Stanley Clarke e Roy Haynes). Nel 1970 il primo viaggio in Europa con Hamilton (festival di Montreux), nel 1971 la collaborazione con Jeremy Steig.

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ABERCROMBIE

Viene notato da Gil Evans, con il quale suona per qualche tempo. Nel 1975 entra nei New Directions di Jack DeJohnette (con Al Foster e Mike Richmond) e fa alcune esperienze da leader con Jan Hammer, Dave Holland, poi con DeJohnette e Holland nel gruppo cooperativo Gateway. Forma un gruppo con Richard Beirach, George Mraz (cb) e Peter Donald (batt); collabora con Enrico Rava, Charles Earland, Kenny Wheeler. Seguono molteplici esperienze e incontri (John Scofield, Ralph Towner); fonda un trio con Marc Johnson e Peter Erskine, al quale si aggiunge talvolta Randy Brecker; contemporaneamente si dedica all’insegnamento. Nel 1988 si unisce alla tourne´e europea di Michel Petrucciani. All’inizio degli anni ’90 continua a girare con Johnson ed Erskine; nel ’91 fonda un nuovo trio con l’organista Dan Wall e il batterista Adam Nussbaum. In anni recenti ha collaborato lungamente con il violinista Mark Feldman. Gran parte delle sue incisioni e` reperibile sotto l’etichetta ECM. In Abercrombie ritroviamo «the best of two worlds»: lunghi voli lirici interrotti da lampi, talvolta costellati da ispirazioni a John Fahey, il chitarrista fingerstyle. Nel suo modo di suonare, molto naturale, la maturita` proviene da un ritorno a (ossia da una rilettura di) una certa tradizione, che va da Jim Hall a Bill Evans. Questo aspetto piu` classico e questa riflessione storica hanno dato al suo stile un’intensita` ulteriore. Grande specialista del ritmo, sviluppa un campo sonoro vastissimo nella ricerca dei timbri: e` uno dei rarissimi chitarristi ad aver affrontato il free jazz con un suono contemporaneamente chiaro e denso. Nel gergo professionale viene definito un chitarrista ‘‘dalla mano sinistra’’, specialista delle scale diminuite e di una mescolanza di scale pentatoniche, oltre che abile nell’accompagnamento, in cui si avvale al contempo di linee di basso e di accordi. L’uso della chitarra-mandolino (accordi e tessitura dello strumento) gli permette delle frasi nel registro acuto impossibili [P.B., C.G.] su una chitarra.

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ABNEY

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«Timeless» (1974); «New Directions» (DeJohnette, 1978); Four On Six, Solar (1982), «Night» (1984), «Current Events» (1986), «Animato» (1989); «November» (1992, con John Surman, Johnson ed Erskine); «Now It Can be Played» (con Andy LaVerne, 1992); «The Third Quartet» (2007).

ABNEY, Don (John Donald) Pianista statunitense (Baltimora, Maryland, 10/2/1923 - Los Angeles, California, 20/1/2000). Dopo studi in forma privata e, in seguito, presso la Manhattan School of Music, suona il corno in una banda militare ed esordisce con un’orchestra locale. Suona nel trio del chitarristacontrabbassista Eddie Gibbs (1947), nelle orchestre di Snub Mosley (1948), Wilbur DeParis (1948-49), nel gruppo di Bill Harris e Kai Winding (1951-52), con Chuck Wayne (1952), Sy Oliver (1952) e Louie Bellson, prima di dedicarsi in modo particolare all’accompagnamento di cantanti quali Thelma Carpenter (1954), Carmen McRae e soprattutto Ella Fitzgerald, con la quale partecipa a numerosi concerti del JATP alla meta` degli anni ’50. Durante gli anni ’60 si inserisce in varie grandi formazioni che trasmettono alla radio e incidono musiche da film, poi costituisce un suo trio (1969) e accompagna Pearl Bailey in seno alla grande orchestra di Louie Bellson (dal 1969 al 1974). Abney appare accanto a Ella Fitzgerald nel film Pete Kelly’s Blues (Jack Webb, 1955). Improvvisatore modesto, in uno stile alla Art Tatum con timidi riferimenti al bebop, e` innanzitutto un accompagnatore robusto e stimolante per le cantanti, che sostiene sempre con grande precisione. [A.C.]

Con Eddie South: Eddie’s Blues, Swingin’ The Blues (1947); Ella Hums The Blues (Ella Fitzgerald, 1955); Titmouse (Benny Carter, 1966); «As Time Goes By» (Carol Sloane, 1992).

ABRAMS, Lee (Leon ABRAMSON) Batterista statunitense (New York, 1/1/ 1925). Aiutato dal fratello maggiore, Ray Abrams, inizia la sua carriera nella 52ª

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Strada. Nel 1952 viene scritturato da Roy Eldridge, poi da Eddie Heywood (1948), Andy Kirk (accanto al fratello, 1949), Eddie Lockjaw Davis (1950), Illinois Jacquet (1951-52), Oscar Pettiford (195253). In seguito free lance, cessa di ricoprire il ruolo di percussionista in formazioni di primissimo piano. Ha al suo attivo varie registrazioni con Roy Eldridge (1946), Wynton Kelly (1951), Al Haig, Duke Jordan (1954). [A.C.] ABRAMS, Ray (Raymond ABRAMSON) Sassofonista tenore statunitense (New York, 23/1/1920). Il padre gli insegna a suonare il violino e il clarinetto. Adotta il sassofono soltanto all’inizio degli anni ’40, quando comincia a frequentare la 52ª Strada e i club quali il Clark Monroe’s Uptown House, dove partecipa a delle jam session accanto a Charlie Parker e ai primi bopper. Per qualche mese fa parte della grande orchestra di Dizzy Gillespie (1946), poi si reca in Europa in compagnia di Don Redman (1947). Al suo ritorno, dopo aver diretto una propria orchestra al Savoy, collabora con Andy Kirk (1947-49), ritrova Gillespie, suona nuovamente con Hot Lips Page (1950), Bill Harris (1952), per poi proseguire, da free lance, una carriera senza splendore. La sua vicinanza a Parker e Gillespie non ha influenzato in particolar modo il carattere classico delle sue interpretazioni. [A.C.]

Our Delight (Gillespie, 1949); How High The Moon (1952).

ABRAMS, Richard «Muhal» Pianista e compositore statunitense (Chicago, Illinois, 19/9/1930). Fino al 1973, la sua vita e la sua carriera sono limitate a Chicago: studi presso il Musical College (1947-51), primi ingaggi locali (nel 1950 arrangiamenti per il pianista King Fleming; nel 1955 passa nel Modern Jazz Two + 3, accanto al trombettista Paul Serrano, al sax tenore Nicky Hill, al contrabbassista Bob Cranshaw e al batterista Walter Perkins). Ben presto diventa uno degli accompagnatori fra i piu` ricercati

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dai solisti in visita alla Windy City: Miles Davis, Sonny Rollins, Gene Ammons, Zoot Sims, Roland Kirk, Johnny Griffin, Dexter Gordon. Effettua tourne´e con Eddie Harris; lavora anche con Donald Rafael Garrett. Nel 1961 forma una grande orchestra, la Experimental Band, che diventera` poi l’AACM, di cui sara` il primo presidente. Partecipa cosı` tanto alle avventure musicali di Chicago che si reca per la prima volta in Europa molto piu` tardi, quattro anni dopo Anthony Braxton e i suoi amici dell’Art Ensemble of Chicago. A partire dal 1977 divide la propria attivita` fra Chicago, New York e i festival o i club europei, di cui diventa un assiduo frequentatore. Oltre al pianoforte ha pratica esecutiva sul clarinetto, l’oboe, il violoncello, gli strumenti a percussione, il sintetizzatore. Incide con l’Art Ensemble, Braxton, la Creative Construction Company (Leroy, Jenkins, Braxton, Leo Smith, Richard Davis, Steve McCall), Marion Brown, Joseph Jarman, Chico Freeman, il MJT + 3, Eddie Harris, Robin Kenyatta, Barry Altschul, George Lewis, Roscoe Mitchell. Ha al suo attivo una cospicua serie di magnifici album per l’etichetta italiana Black Saint. Di recente ha costituito un trio con George Lewis e Roscoe Mitchell, che ha al suo attivo una splendida incisione per la PI Recordings («Streaming», 2006). Ispiratore della musica dei diversi gruppi e solisti provenienti dall’AACM, per tanto tempo sideman nei club e negli studi di Chicago, Abrams afferma: «Noi possiamo suonare ogni cosa perche´ ascoltiamo ogni cosa... ma siamo degli improvvisatori». La sua opera e` piu` che multipla: e` ramificata, suddivisa in forme e formule che vanno dal piano solo alla big band, dalla passione per i grandi compositori di ragtime (Scott Joplin) a una scrittura che non ignora ne´ Messiaen ne´ la Scuola di Vienna, da un modo di suonare fondato sui silenzi oppure che va dalle solennita` quasi pompose ai parossismi piu` free, passando non tanto dalle citazioni quanto dallo sfioramento del bebop, dal richiamo alla memoria di Thelonious Monk o di [P.C.] Bud Powell.

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ACCORDO

Muhal (Creative Construction Company, 1970); Afrisong (1975), March Of The Transients (1975), Maple Leaf Rag (Braxton, 1976), Bloodline (1983), «Blu Blu Blu» (1990).

Accordo (ingl. chord). Secondo la definizione classica, e` l’emissione simultanea di almeno tre suoni che possono sovrapporsi sotto forma di terze successive (due suoni formano soltanto un intervallo). La nota piu` bassa che serve da base a queste terze e` chiamata fondamentale (ingl. root). L’accordo e` la base dell’armonia e (quando e` correttamente disposto e legato ad altri) serve ad accompagnare una melodia. Viene suonato dagli strumenti polifonici: pianoforte, organo, sintetizzatore, vibrafono, chitarra, banjo, fisarmonica e anche violino o contrabbasso. I solisti di jazz si basano sul concatenamento degli accordi che costituiscono la griglia sulla quale edificano la loro improvvisazione. Gli accordi di tre suoni (triadi) si suddividono in quattro famiglie: gli accordi perfetti maggiori (esempio do maggiore = do, mi, sol), gli accordi perfetti minori (esempio do minore = do, mi b, sol), gli accordi di quinta diminuita (esempio do quinta diminuita = do, mi b, sol b), gli accordi di quinta aumentata (esempio do quinta aumentata = do, mi, sol #). Il ragtime e il jazz degli anni ’20 utilizzano essenzialmente accordi di tre note sulla tonica (I grado) e la sottodominante (IV grado); soltanto l’accordo di dominante e l’accordo di 7ª diminuita prendono una 7ª. Gli accordi possono ovviamente comprendere piu` di tre note: quattro (accordi di 7ª), cinque (accordi di 9ª), sei (accordi di 11ª), sette (accordi di 13ª). Gli accordi di 7ª (quattro note) sono la base dell’armonia moderna. Se ne possono distinguere sei famiglie principali: accordi di 7ª dominante, esempio do7 = dolmilsollsi b; accordi di 7ª minore, esempio dom7 = dolmi blsollsi b; accordi maggiori e 7ª maggiore (oppure 6ª), esempio do7M = dolmilsollsi, oppure do6 = dolmil sollla; gli accordi minori e 7ª maggiore (o 6ª), esempio dom7M = dolmi blsollsi oppure

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ACEA

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dom6 = dolmi blsollla; gli accordi di 7ª minore e 5ª diminuita, esempio: dom7(5–) = dolmi blsol blsi b; gli accordi di 7ª diminuita, esempio: do7- = dolmi blsol blsi b. A queste sei famiglie se ne possono aggiungere altre due; gli accordi di 6ª aumentata, esempio do6+ (ma che si indicano sempre do7) = dolmilsollla #, e gli accordi di 7ª maggiore e 5ª aumentata, un po’ meno usati; esempio: do7M(5+) = dolmilsol #lsi. Due accordi si confondono frequentemente con l’accordo di 7ª dominante: il primo e` l’accordo di 6ª aumentata, poiche´ lo si indica come l’accordo di 7ª dominante, e che ne e` spesso la sostituzione (chiamata di tritono), ma contrariamente a quest’ultimo si risolve sul semitono diatonico inferiore. La seconda confusione e` comune nel blues, la cui gamma rende possibile l’aggiunta di una 7ª minore agli accordi di tonica e di sottodominante; in do si avra` quindi do7 e fa7. Questi accordi non debbono essere confusi, nella loro funzione, con gli accordi di 7ª dominante (che, per definizione, sono posti sulla dominante): sono accordi di 7ª naturale oppure di pseudodominante. Gli accordi possono subire varie trasformazioni grazie alle quali le possibilita` armoniche sono pressoche´ infinite: i rivolti, quando la nota piu` bassa dell’accordo non e` la fondamentale, ma la 3ª, la 5ª o la 7ª, le estensioni (o sovrastrutture dell’accordo), ossia l’aggiunta (in terze successive) della 9ª, 11ª, 13ª, i ritardi e le appoggiature. Si puo` anche, fra due accordi principali, intercalare accordi di passaggio, e gli accordi di sostituzione potranno prendere il posto di altri. Nello stesso modo, la posizione di un accordo puo` variare: lo stesso accordo puo` essere suonato in due ottave diverse, ma si puo` anche aprirlo: nella disposizione piu` stretta l’accordo e` chiuso. Quando, in un accordo chiuso, si fa passare una (o piu`) note, oltre che il basso all’ottava superiore, l’accordo e` aperto. Una o piu` note possono essere ripetute a diverse ottave di altezza senza cambiare la qualita` dell’accordo. Si puo` anche sovrapporre due accordi (bitonalita`). Gli accordi che seguono l’ordine della serie

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degli armonici sono chiamati accordi naturali; esempio: accordo di 13ª naturale: dolmilsollsi blrelfa #lla (usatissimo nel jazz). Con l’evolversi dell’armonia si e` scoperto che il sovrapporsi delle terze non e`, in materia di accordo, l’unico riferimento. Per es., gli accordi di quarte successive saranno utilizzati nel jazz in modo massiccio, a partire dagli anni ’60. Gli accordi che non possono ne´ ridursi in terze successive, ne´ essere identificati, in inglese sono chiamati clusters. f anche Cluster – Griglia – Scala – Siglatura. [Ph.B.]

ACEA, Adriano (John) Pianista, trombettista e sassofonista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 11/9/ 1917 - 25/7/1963). Trombettista, alla fine degli anni ’30, nei gruppi di Jimmy Gorham e Sammy Price, suona anche il sax tenore con Don Bagley e, con frequenza, il pianoforte. Dopo il servizio militare lo ritroviamo a New York come pianista in compagnia di Eddie Davis, Cootie Williams, soprattutto al Minton’s, nella big band di Dizzy Gillespie (1949-50), con Illinois Jacquet e infine, per un anno, come accompagnatore di Dinah Washington. Dopo aver lavorato di nuovo con Cootie Williams, torna con Jacquet (1953) e l’accompagna in Europa (1954). Lavora in seguito come free lance a New York, allontanandosi in seguito, e sempre piu`, dalla scena musicale. Ha inciso con Gillespie, Grant Green, il tenorista Joe Holiday, James Moody, Joe Newman, Zoot Sims e Leo Parker. Anche se utilizza i block chords alla maniera di un Red Garland, Acea suona con delicatezza. Sempre al servizio dello swing, non cerca mai facili effetti, anche a costo di sembrare anonimo. Decisamente moderno, rivendica le influenze di Tatum e Bud Powell. [A.C., T.L.] Tally-Ho (Gillespie, 1949); con J. Newman: Blues for Slim (1954); «Happy Cats» (1957); «Rollin’s With Leo» (L. Parker, 1961).

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ACTIS DATO, Carlo Sassofonista e clarinettista italiano (Torino, 21/3/1952). Dalla prima meta` degli anni ’70 si dedica all’attivita` concertistica e discografica, partecipando alla registrazione di oltre 50 dischi, di cui la meta` come leader o co-leader. Nei referendum indetti dai critici della rivista Musica Jazz e dall’americana Cadence risulta da anni ai primi posti delle classifiche tra i musicisti italiani e per i propri gruppi. Oltre ad aver tenuto concerti in tutta Europa, ha suonato negli Stati Uniti, in Giappone, Canada, Argentina, Antille, Senegal. Nel 1974 e` stato co-fondatore dell’Art Studio, gruppo storico del nuovo jazz italiano. Nel 1984 ha formato un quartetto che ha partecipato a trasmissioni radio nazionali in Germania, Svizzera, Finlandia, Francia, Svezia, Italia ed e` tra i gruppi italiani di jazz piu` conosciuti e apprezzati all’estero. Nell’annuale referendum tra i critici indetto dalla rivista Musica Jazz il quartetto e` stato votato piu` volte tra i migliori gruppi jazz italiani (nel 1988, 1990, 1992, 1996) e la rivista americana Cadence ha nominato «Noblesse Oblige» e «Ankara Twist» tra i migliori dischi usciti in tutto il mondo, rispettivamente nel 1987 e nel 1991. La poliedrica attivita` di Actis Dato comprende varie formazioni e modalita` espressive: da concerti e dischi per solo alle piu` recenti esibizioni con la Actis’ Band, gruppo a forte componente elettrica. Altre formazioni a guida di Actis Dato sono l’Atipico Trio, il Brasserie Trio, Tree. Il sassofonista e` membro della Italian Instabile Orchestra, del Pino Minafra Sud Ensemble, del Sestetto di Enrico Fazio. Ha collaborato spesso con la cantante statunitense [L.C.] Ellen Christi. ADAMS, George Rufus Sassofonista (tenore, soprano), flautista e cantante statunitense (Covington, Georgia, 29/4/1940 - New York, 24/11/1992). Da un lato, il fratello maggiore gli fa ascoltare dischi di rhythm and blues, oltre a Parker e Gillespie; dall’altro, e` lui che impara a leggere la musica accompa-

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gnando al pianoforte il coro della sua chiesa. I suoi primi impegni in club (1956) consistono nell’accompagnare (al sassofono tenore) alcuni bluesmen (Howlin’ Wolf, Little Walter, Elmore James, Lightnin’ Hopkins). Contemporaneamente, presso il Clark College di Atlanta, studia flauto con il pioniere del flauto jazz, Wayman Carver. Tutto questo non poteva non interessare Mingus – l’uomo di Blues And Roots ed Ecclusiastics – che scopre Adams nel gruppo di Roy Haynes (1973). Nel frattempo, Adams ha suonato il basso elettrico nonche´, nell’orchestra classica del suo college, il fagotto; ha inoltre fatto una tourne´e con la star della musica soul Sam Cooke e, nell’Ohio, con alcuni piccoli complessi di organisti (Eddie Baccus, Bill Doggett, Hank Marr) con i quali, nel 1966, verra` in Europa; nel 1968 suona a Brooklyn e fa parte dei Flamingoes, prima di essere assunto da Haynes (1969-73), Art Blakey e infine Mingus. Lascia quest’ultimo nel 1976, costituisce in seguito un trio (con Stafford James, cb, Michael Carvin, batt) e un quartetto con il pianista Ron Burton, suona con McCoy Tyner e Gil Evans; dopo il 1978 forma con Don Pullen e Dannie Richmond un gruppo di ex mingusiani completato dal contrabbassista Cameron Brown. Nel 1985 ritrova James Blood Ulmer (come lui allievo di Hank Marr) nel suo nuovo quartetto. Nel 1990 suona con Sirone e Rashied Ali. Apparira` anche assieme a Gunther Schuller nel recupero del magnum opus mingusiano Epitaph. Ha inciso per Horo, ECM, Soul Note, Moers Music, Blue Note, Enja e altre. Vocale oppure strumentale, il suo discorso e` senz’altro quello piu` ostentatamente ‘‘bluesy’’ del jazz degli anni ’80, quello piu` radicato nell’humus delle tradizioni afroamericane. A tal punto che il suo canto e` tavolta considerato un’ipertrofia, quasi una deformazione grottesca del blues. Ma Adams sa anche rinunciare alle asperita` e ai gemiti low down in favore di delicate e quasi bucoliche improvvisazioni al flauto, oppure di autentici [P.C.] deliri al sassofono tenore.

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ADAMS

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Sue’s Changes (Mingus, 1974); Perhaps (Heiner Stadler, 1978); Imani’s Dance (1979), Solitude (1983).

ADAMS, «Pepper» (Park III) Sassofonista baritono statunitense (Highland Park, Michigan, 8/10/1930 - New York 10/9/1986). Impoveriti dalla crisi economica, i genitori conducono un’esistenza errante prima di sistemarsi a Rochester (New York) dove, nel 1943, il giovane Pepper sente l’orchestra di Cootie Williams con Bud Powell e quella di Duke Ellington: l’invenzione armonica di Rex Stewart e il suono di Harry Carney lo affascinano. Dopo i tradizionali studi di pianoforte, a scuola suona il clarinetto, poi il sassofono tenore. Oltre ai dischi di jazz e il piano dei nonni, ascolta alla radio Fats Waller e John Kirby. Ha sedici anni quando la famiglia si trasferisce a Detroit, dove comincia a suonare il sassofono baritono. Fino al 1955 (all’infuori di due anni di servizio militare svolto in parte in Corea), suona nella zona di Detroit in compagnia di musicisti locali: Lucky Thompson, Tommy Flanagan, Kenny Burrell, Donald Byrd, Paul Chambers, Elvin Jones. New York, 1956: suona con Maynard Ferguson e Chet Baker, prima di essere raccomandato da Oscar Pettiford a Stan Kenton, nella cui big band rimarra` cinque mesi. In California lavora con Shorty Rogers, Lennie Niehaus, Howard Rumsey. Tornato a New York e` assunto da Benny Goodman (1958-59), forma un quintetto con Donald Byrd, Bobby Timmons (poi Herbie Hancock), Doug Watkins ed Elvin Jones (1958-62) e lavora occasionalmente con Lionel Hampton (1962-64). Suona anche con Charles Mingus tra il 1962 e il 1966, forma un quintetto con Thad Jones, Hank Jones (poi Duke Pearson), Ron Carter e John Dentz (poi Mel Lewis) dal quale nascera` la Thad Jones-Mel Lewis Big Band, orchestra in cui suonera` il sax baritono fino al 1977. Da allora e fino alla sua morte sara` sempre piu` spesso invitato a partecipare a sedute di registrazione e si esibira` in particolar modo in Europa. Pepper Adams (il soprannome gli giunse dalla somiglianza

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con un celebre giocatore di baseball, Pepper Martin) fa parte di quegli strumentisti di cui e` piu` facile indicare con chi non abbiano lavorato. Sapeva cavarsela nei contesti piu` diversi, dai giovani bopper neri di Detroit agli arrangiamenti inflessibili di Kenton, passando per le jam session delle grandi formazioni di Hampton o il caos organizzato di Mingus: perche´, oltre alle sue indispensabili qualita` di rigore e d’invenzione, era il piu` baritonista dei baritonisti, sfruttando tutte le possibilita` del suo strumento senza cercare di rinnegarne o di modificarne le caratteristiche. Un suono rauco, basso, spesso e nello stesso tempo tagliente (fu anche chiamato «The Knife», ‘‘la lama’’, ‘‘il coltello’’) e il suo entusiasmo armonico inalterabile hanno reso Adams un modello di equilibrio e di passione che, non tanto per lo stile quanto per il modo di [P.C.] fare, fa pensare a Charlie Parker. Moanin’ (Mingus, 1959); Little Rootie Tootie (Monk, 1959); Sophisticated Lady (1978); Dexter Rides Again (1981).

ADDERLEY, «Cannonball» (Julian Edwin) Sassofonista (alto, soprano) e compositore statunitense (Tampa, Florida, 15/9/ 1928 - Gary, Indiana, 8/8/1975). Nato da un padre cornettista, studia musica presso il liceo di Tallahassee (1944-48) e apprende il flauto, la tromba, il clarinetto e la viola prima di dirigere un’orchestra alla Dillard High School di Fort Lauderdale (1948-50), dove un suo compagno, il batterista Lonnie Haynes, gli affibbia, a causa del suo appetito, il soprannome di «Cannibal», che diventera` «Cannonball». Durante il servizio militare, in compagnia di Junior Mance e di Curtis Fuller, diventa il leader della 36th Army Band e forma nel 1952 il suo primo gruppo a Washington. Studia alla US Naval School of Music e dirige la banda militare di Fort Knox (1952-53). Tornato per due anni a Fort Lauderdale, nel 1955 parte per New York dove arriva alcuni mesi dopo la morte di Charlie Parker. Lavora al Cafe´ Bohemia con il trio di Oscar Pettiford e diventa

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subito ‘‘il nuovo Parker’’. Ottenuto un contratto dalla casa discografica EmArcy, nel 1956 fonda con il fratello Nat un quintetto che si ispira a quello di Gillespie e Parker, ma rallentera` la sua attivita` per lavorare con Miles Davis (accanto a John Coltrane) e con George Shearing (195759). Nel 1959 lo trasformera` in sestetto. Nel 1960 recluta tra l’altro Bobby Timmons, Sam Jones e Louis Hayes. This Here, un tema di Timmons pubblicato in «The Cannonball Adderley Quintet in San Francisco», assicurera` nello stesso anno il grande successo al gruppo. Un altro successo sara` Sermonette. La formazione di Adderley vedra` sfilare alcuni dei migliori musicisti del momento: Hank Jones (1958), Bill Evans (1958 e 1961), Wynton Kelly (1959-61), Victor Feldman (1960-61) e tanti altri. A partire dal 1968 Adderley si orienta piu` volentieri verso una specie di ‘‘funk jazz’’, in compagnia di Joe Zawinul, poi di George Duke, ed elettrifica il suo sassofono. Nel 1975 muore di emorragia cerebrale. Ha inciso per EmArcy, Riverside, Capitol e Fantasy. Certamente influenzato da Parker – ma si trovano anche nel suo stile, secondo i periodi (prima e dopo Parker), tracce di Benny Carter, di John Coltrane e anche di Johnny Hodges – ha saputo tuttavia distaccarsene e raggiungere un’autentica originalita`. In Adderley la velocita` non e` cosa essenziale, poiche´ si piega continuamente alle esigenze della melodia. Sonorita` fluida, larga e tonda, lirismo, spigliatezza, ‘‘drive’’ e grandissimo senso del blues, tanti meriti che spiegano il suo successo e la sua popolarita`. [P.B., C.G.] Nardis, Dancing In The Dark, Autumn Leaves (1958); So What (Miles Davis, 1959); «The Cannonball Adderley Quintet in San Francisco» (1960); Gemini (1962); Nippon Soul (1963).

ADDERLEY, Nat (Nathaniel) Cornettista statunitense (Tampa, Florida, 25/11/1931 - Lakeland, Florida, 1/1/ 2000). Sin da fanciullo pratica il canto, poi inizia lo studio della tromba nel 194546, che abbandona per la cornetta nel 1950-51, quando entra nell’esercito. La

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ADDISON

maggior parte della sua carriera sara` svolta all’ombra del fratello Cannonball con cui fa il servizio militare nella 36th Army Band (1951-53). Dal 1954 al 1955 lo troviamo nell’orchestra di Lionel Hampton, con il quale parte per l’Europa e per Israele. Quando Cannonball costituisce il suo quintetto nel 1956, Nat lo raggiunge. Nel 1957-58 entra a far parte del gruppo di J.J. Johnson e, nel 1959, della big band di Woody Herman. Lo stesso anno ricostituisce il quintetto insieme con il fratello, e lo lascera` soltanto nel 1975, con la morte di quest’ultimo. Nel 1976 fonda un gruppo con Ken McIntyre e John Stubblefield: e` l’inizio di una carriera autonoma posta sotto il segno degli incontri. Durante gli anni ’80 lo troviamo accanto a Sonny Fortune, Larry Willis, Walter Booker e Jimmy Cobb. Nel 1987 partecipa alla Paris Reunion Band. Il figlio, Nat Adderley Jr., e` pianista e arrangiatore di soul e funk e ha collaborato con Luther Vandross e Marcus Miller. Se la fama si e` riversata quasi interamente su Cannonball, bisogna riconoscere che gran parte del successo del quintetto – soprattutto per quel che riguarda il repertorio – e` da attribuire a Nat. Le sue composizioni – Work Song, Jive Samba – sono ormai dei classici. Sotto l’influsso di Fats Navarro, Miles Davis e Dizzy Gillespie, Nat Adderley, pur essendo un brillante specialista della cornetta, non sempre riesce a superare i limiti tecnici dello strumento, come si puo` constatare da un fraseggio talvolta indistinto. Ma queste insufficienze sono compensate da tanta sensibilita` e tanto calore, virtu` che ha in comune con il fratello maggiore. [P.B., C.G.] Up And At It (C. Adderley, 1961); Work Song (1960); «Sayin’ Something» (1966); «The Scavenger» (1969); The Old Country (1990).

ADDISON, Bernard S. Chitarrista statunitense (Annapolis, Maryland, 15/4/1905 - Rockville, New York, 18/12/1990). Dopo aver suonato il violino e il mandolino, fa il suo debutto professionale con il banjo verso il 1920, a

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AD LIB.

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Washington, dove dirige un’orchestra con Claude Hopkins. Raggiunge Rex Stewart a Filadelfia (dove faranno parte dei Jazz Clowns del banjoista Oliver Blackwell). A New York viene scritturato dai pianisti Sonny Thompson e Graham Jackson (che, nel 1925, dirige i Seminole Syncopators), prima di lavorare (1925-29) nel club tenuto a Harlem da Ed Small; prima sideman poi leader, suona, tra l’altro, con Art Tatum e insieme accompagnano la cantante Adelaide Hall. A partire del 1928 si dedica esclusivamente alla chitarra. Fa parte della grande orchestra di Louis Armstrong al Cocoanut Grove. Lo ritroviamo all’inizio degli anni ’30 nel quintetto di Fats Waller, nell’orchestra di Fletcher Henderson (nella quale succede nel 1931 a Clarence Holiday) e nel 1936 con il gruppo vocale dei Mills Brothers, che lo portano in tourne´e in Europa. Nel 1937 fa parte dei Disciples Of Swing di Mezz Mezzrow e forma un duo di chitarre con Teddy Bunn. In seguito suona con Stuff Smith (1939), Sidney Bechet (1940), dirige una banda militare e, smobilitato, parte in tourne´e con il trombonista Snub Mosley. Dopo alcuni anni di free lancing in Canada accompagna gli Ink Spots, partecipa a una ricostituzione dell’orchestra di Fletcher Henderson (1957) e studia chitarra classica. In seguito, oltre ad alcune apparizioni in compagnia della cantante Juanita Hall e di Eubie Blake (in particolare al festival di Newport del 1960), si dedica all’insegnamento. Bernard Addison e` uno dei chitarristi piu` completi dell’inizio degli anni ’30: possiede una pratica eccezionale della tecnica degli accordi e utilizza con frequenza il ritmo shuffle nei suoi assolo. La sua introduzione a Jamaica Shout (Coleman Hawkins, 1933) e` stranamente prossima al futuro Django Reinhardt, le cui prime registrazioni di jazz saranno realizzate [P.C., Ph.B.] soltanto l’anno successivo. Con Armstrong: I Can’t Believe That You’re In Love With Me (1930), Perdido Street Blues (1940); Pontchartrain

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10 (Jelly Roll Morton, 1930); Toledo Blues (Freddy Jenkins, 1935); Blues In Disguise (Mezz Mezzrow, 1937); «Pete’s Last Date» (1961).

Ad lib. (abbr. del latino ad libitum, ‘‘a piacere’’) Nella musica classica, e` la licenza concessa a un interprete riguardo il movimento di un pezzo musicale. Nel jazz ha due significati: – suonare fuori tempo; per esempio, suonare un’introduzione o una coda ad lib. vuol dire improvvisare senza tener conto di nessuno dei tempi gia` definiti; – negli Stati Uniti significa anche improvvisare (in particolar modo negli anni ’20 e ’30). Un Ad lib. piece e` un’interpretazione di jazz interamente improvvisata, secondo il principio della jam session. [Ph.B.]

AEBI, Ire`ne Violoncellista, violinista e cantante svizzera (Zurigo, 27/7/1939). Suona pianoforte e violino dall’eta` di sei anni e fa parte dell’orchestra del conservatorio di Ginevra. In Italia, alla fine degli anni ’60, ascolta Steve Lacy e ne diventa compagna e collaboratrice, dedicandosi da autodidatta al violoncello seguendo i consigli di Kent Carter, Dave Holland e Jean-Franc¸ois Jenny-Clark. Da questo momento partecipa alla maggior parte delle registrazioni e dei concerti di Lacy e comincia a cantare i testi (di Laozi, Braque, Apollinaire, Brion Gysin ecc.) da lui musicati. Ha anche partecipato a incisioni con Alan Silva e Takashi Kako. Spesso inserita in brevi momenti melodici paragonabili ad alcune composizioni di Webern, la sua voce, quasi da contralto, non si allontana molto dalla declamazione o dallo sprechgesang. Al violino e al violoncello, la Aebi e` passata dall’elemento coloristico, sfumato o punteggiante, a quello di solista indispensabile [P.C.] alle atmosfere di Lacy. Con Lacy: The Owl (1979), Rimane poco (1985).

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A&R man (Artist and Repertoire man) Questo termine designava – soprattutto negli anni ’40 e ’50 – la persona incaricata da un discografico di assumere artisti e orientarne il repertorio. L’organizzazione della seduta era spesso articolata attorno a una ‘‘vedette’’ che veniva circondata dai migliori artisti. Tale organizzazione, in pratica monopolio delle grandi societa` discografiche USA, si e` oggi ampiamente diluita. Il rallentamento della carriera dei ‘‘giganti’’ di oltre Atlantico, unito alla crescita delle piccole aziende e alla sempre crescente autonomia dei musicisti, ha provocato la scomparsa della professione. Una parte di tale funzione e` ormai affidata ai produttori (indipendenti e no). Afroamericano Aggettivo usato, soprattutto dalla meta` degli anni ’60 per designare le forme musicali nate sul continente americano in seno alle comunita` nere, e che sono il risultato del contatto tra due civilta` – una di origine africana, l’altra di origine europea – o dell’adattamento dell’eredita` africana al contesto coloniale. Il jazz e` una musica afroamericana, come lo sono alcune musiche dell’America latina e delle Antille, in particolar modo quelle di Cuba e del Brasile, dove i discendenti degli schiavi importati dall’Africa hanno inventato folklori originali, passi di danza originali e melodie popolari. [P.C.] Afrocubano Stile nato dalla mescolanza del bebop e della musica cubana, apparso nella seconda meta` degli anni ’40, ma gia` annunciato dai lavori di Juan Tizol con Duke Ellington. Tale movimento, che non si puo` dissociare dalla presenza a New York di musicisti originari di Cuba (il clarinettista-sassofonista Alberto Socarras e il trombettista Mario Bauza) e di Portorico, e` stato illustrato, in particolar modo, dall’incontro di Charlie Parker e del percussionista-arrangiatore Machito (1948), dalla costanza dei temi e dei ritmi ‘‘latini’’ nel repertorio della big band di

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AFTER BEAT

Stan Kenton, ma soprattutto dal lavoro di Dizzy Gillespie (a volte lui stesso percussionista), che ha accresciuto la ritmica di tutti i suoi gruppi con bonghi e congas, mentre il suo materiale tematico si arricchiva di riferimenti alle danze dell’America latina (mambo, rumba, conga), le cui formule metriche importate corrispondono, nella misura del possibile, alle strutture del jazz. I migliori rappresentanti di tale tendenza sono stati gli arrangiatori Chico O’Farrill, Gil Fuller, George Russell e i percussionisti Chano e Chino Pozo, Candido, Jose Mangual, Ubaldo Nieto, Willie Bobo, Carlos Valdez, Sabu Martinez. Oltre i bonghi e le congas, gli strumenti a percussione che caratterizzano questo stile sono i timbales, le claves e le maracas. Dopo il 1950 molti jazzisti, tra i quali Woody Herman e Herbie Mann, adottarono la musica afrocubana. Poi altre influenze latine e/o caraibiche (calypso, bossa nova...) si fecero sentire nel jazz mentre, sotto l’effetto di un’immigrazione di lingua spagnola sempre piu` importante, stava a poco a poco per imporsi negli Stati Uniti un ‘‘latin jazz’’ dai mutamenti e dalle mode paralleli all’evoluzione del music business statunitense. Oltre all’impiego occasionale di un percussionista aggiunto, bisogna notare che, dopo la meta` degli anni ’50, la maggior parte dei batteristi ha integrato nella propria tecnica elementi usciti dalla polirit[P.C.] mia afrocubana. Cubana Be Cubana Bop, Manteca (Gillespie, 1947); Cuban Carnival (Kenton, 1947); Mango Mangue (Parker-Machito, 1948).

After beat, after-beat (letter. ‘‘dopo il tempo’’) In una misura a quattro tempi indica i tempi deboli, ossia il secondo e il quarto, che sono, nel jazz, i tempi accentati; questi sono messi in particolare evidenza, quando i jazzisti suonano per la danza. Nel jazz, si battono le mani durante l’after beat, e cio` e` contrario alle consuetudini occidentali e spesso disorienta il neofita. L’after beat, oppure off

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AFTER HOURS

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beat, e` segnato dal charleston, e per tale motivo e` chiamato after beat (oppure off beat) cymbal (cioe` ‘‘piatto’’). Altro sino[Ph.B.] nimo: back beat. Willie The Weeper (Louis Armstrong, 1927), Diminuendo And Crescendo In Blue (Duke Ellington, 1956), Moanin’ With Hazel (Art Blakey, 1959).

After hours Espressione che serve a indicare una pratica nata verso la meta` degli anni ’20 e diventata piuttosto rara dopo gli anni ’60, quando i jazzisti, in certi club e a partire da ore tarde, si incontravano per suonare – senza essere pagati – secondo i propri gusti e senza la piu` piccola costrizione, musiche generalmente ‘‘inaccettabili’’ [P.C.] sui luoghi di lavoro abituali. After Hours (Erskine Hawkins, 1940).

AHOLA, Sylvester (Hooley) Trombettista statunitense di origine finlandese (Gloucester, Massachusetts, 24/5/ 1902 - 13/2/1995). Anche se nato negli Stati Uniti, e` senza dubbio uno dei pochi trombettisti finlandesi del jazz anteguerra, e iniziera` a studiare l’inglese solo dopo aver appreso la tecnica della cornetta (1920-12). A partire dal 1921 si esibisce con molte orchestre da ballo newyorkesi: Paul Specht, i California Ramblers, Peter Van Steeden, Adrian Rollini... Tra il 1927 e il 1929 suona a Londra nei Savoy Orpheans, che lascia per entrare nella grande formazione di Bert Ambrose (in cui si ferma fino al 1931). Durante il soggiorno inglese registra la maggior parte dei suoi dischi. Di ritorno a New York, lavora con Van Steeden per quasi tutti gli anni ’30, e fa parte dell’orchestra da ballo della stazione radio NBC. Tornato nella sua citta` natale al termine della guerra, continua in certe occasioni a suonare (cosı` sembra) nella locale orchestra sinfonica. Senza esibire un’originalita` straordinaria, Ahola resta (assieme al francese Philippe Brun) uno dei discepoli piu` interessanti di Bix Beiderbecke. Agile e duttile, il suo

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stile e` di una precisione degna di nota, e, per molti appassionati, piu` ricco di calore [D.N.] di quello di un Red Nichols. Love me or Leave me (B. Ambrose, 1929); Jericho (Philip Lewis, 1929).

AIKEN, Gus (Augustine) Trombettista statunitense (Charleston, South Carolina, 26/7/1902 - New York, 1/ 4/1973). Dopo aver perduto i genitori, viene iniziato alla musica in orfanotrofio. Perfeziona la sua tecnica all’inizio degli anni ’20, in diverse orchestre (Willie Gant, 1921; Black Swan Masters, 1921; Gonzelle White, 1922-24). A partire dal 1930 lo troviamo in formazioni di primo piano come quelle di Charlie Johnson, la Mills Blue Rhythm Band (1930), Luis Russell (1931), Elmer Snowden (1932), Lucky Millinder (1934) e di nuovo Russell. Accompagna Armstrong dal 1934 al 1937. All’inizio degli anni ’40 suona con Alberto Socarras, poi con Budd Johnson, James Archey e a capo del proprio complesso durante gli anni ’60. Louis Armstrong e` stato il suo ispiratore, ma Aiken si colloca molto lontano dal suo modello nei rarissimi assolo da lui incisi. [A.C.]

I’m In The Mood For Love (Armstrong, 1935); con Sidney Bechet: Ain’t Gonna Give Nobody Of This Jenny Roll, Swing Parade (1941).

AIR Trio formato nel 1971 da musicisti dell’AACM, Fred Hopkins (cb), Steve McCall (batt) e Henry Threadgill (sax, fl). A quest’ultimo erano stati commissionati dal Columbia College di Chicago un adattamento di opere di Scott Joplin e una musica di scena per The Hotel, oltre che la formazione di un complesso che potesse partecipare all’azione scenica. Da Chicago a New York e ai festival europei, il trio era destinato a imporsi come l’illustrazione perfetta (e complementare di quella dell’Art Ensemble of Chicago) dei principi dell’AACM. Nel 1983 McCall la-

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scia il gruppo (che si chiamera` New Air) e viene sostituito da Pheeroan AkLaff. Ma il trio si scioglie di lı` a poco. La loro opera e` caratterizzata da omaggi (CTJL, a Cecil Taylor e Jimmy Lyons, Portrait Of Leo Smith, Difda Dance per Kalaparusha Maurice McIntyre) e riletture (opere di Joplin, King Porter Stomp e Buddy Bolden’s Blues di Jelly Roll Morton), da diversita` estrema dei timbri (per quello che riguarda le ance e gli strumenti a percussione) e di formule ritmiche (il basso di Hopkins rappresenta l’asse piu` costante), dal partito preso in materia di gravita` e di violenze misurate, da polifonie sottili e mutevoli... E` una sorta di musica da camera improvvisata, quella che viene proposta dagli Air, una memoria attiva dalle forme tanto rischiose quanto controllate. E` uno dei maggiori [P.C.] gruppi degli anni ’70. «Air Song» (1975); «Air Lore» (1979); «New Air Live At Montreal» (1983).

Aircheck, Airshot Le trasmissioni radiofoniche di jazz negli Stati Uniti sono spesso registrate dalle stazioni radio e possono essere pubblicate su disco a diversi anni di distanza. In tal caso si definiscono ‘‘trascrizioni’’. Ma puo` capitare di incontrare su certi dischi, cosiddetti ‘‘pirata’’, brani registrati direttamente dalla radio, a opera di certi appassionati, la cui qualita` sonora e` spesso variabile e, a volte, scadente. Tali registrazioni sono illegali perche´ privano i musicisti dei loro diritti d’autore e di riproduzione; ma si rivelano, in certe occasioni, una vera manna per l’ascoltatore, perche´ consentono di recuperare brani ed esecuzioni inedite che risalgono addirit[Ph.B.] tura agli anni ’30. AIRTO f MOREIRA, Airto.

´, Noe¨l AKCHOTE Chitarrista e compositore francese (Parigi, 7/12/1968). Studia la chitarra con Philippe Petit, partecipando ai seminari

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AKIYOSHI

di Franc¸ois Jeanneau. Incontra (e suona con) Tal Farlow, John Abercrombie, Philip Catherine, Dave Liebman... Affascinato dalla musica di Derek Bailey, John Zorn, Eugene Chadbourne, si allontana dall’estetica del bop (con cui aveva iniziato) e, dopo aver lavorato come assistente al CIM e come insegnante alla scuola EDIM, fonda il collettivo Astrolab col trombonista Thierry Madiot e il fiatista Daniel Beaussier. Nel 1992 vince il premio di composizione al concorso jazz della De´fense. Incide con Beaussier e, per l’etichetta Deux Z, in trio con Benoıˆt Delbecq e il batterista inglese Steve Argu¨elles, sotto il nome The Recyclers. Suona inoltre col sassofonista Julien Lourau, con Henri Texier, He´le`ne Labarrie`re, The Sashimis (con Serge Lazare´vitch), Daniel Humair e il gruppo Trash Corporation, dove ritrova il pianista Bojan Zulfikarpasic. Rifiutando, grazie all’esempio dei suoi brillanti predecessori (Derek Bailey, Bill Frisell, Marc Ducret), la ripetitivita` dello stile chitarristico degli anni ’70 impone senza pesantezza e con un certo metodo una visione allo stesso tempo sofisticata e giocosa della chitarra jazz: intensa e violenta, meditativa e maliziosa, perfino in[F.G.] solente. «The Recyclers» (1993).

AKIYOSHI, Toshiko Pianista, arrangiatrice, compositrice e caporchestra statunitense (Dairen, Manciuria, 12/12/1929). Sin da bambina studia il piano classico, e scopre il jazz soltanto dopo il suo arrivo in Giappone, dove la famiglia torna nel 1946. A contatto con varie piccole formazioni, acquista esperienza e tecnica, e nel 1951 prende la direzione del proprio gruppo, a Tokyo, dove viene scoperta da Hampton Hawes, poi da Oscar Peterson. I due la incitano a recarsi negli Stati Uniti. Cosı` avverra` dopo la registrazione di un primo disco (1954) con la supervisione di Norman Granz. All’inizio del 1956 si iscrive alla Berklee School of Music. Un altro impresario, George Wein, la prende sotto la sua

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AKLAFF

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protezione, l’assume presso il suo Storyville Club e la fa partecipare al festival di Newport. Nel 1959 sposa il sassofonista Charlie Mariano, con il quale si esibisce frequentemente tanto negli Stati Uniti quanto in Giappone. La sua notorieta` si diffonde, ed e` invitata nei migliori club come solista, in trio, in quartetto e anche con grandi orchestre, come per esempio alla Town Hall (1967). Divorzia da Mariano, sposa un altro sassofonista, Lew Tabackin. Dopo un concerto alla Carnegie Hall (1971) effettua, con il suo quartetto, una tourne´e in Giappone. L’anno successivo fonda a Los Angeles una grande orchestra che si afferma sulla West Coast per poi spostarsi a New York, partecipando a numerosi festival (Newport 1977, Nizza 1982, Marciac 1995). Fortemente influenzata da Bud Powell all’inizio della sua carriera, Toshiko Akiyoshi si libera a poco a poco dal suo ascendente. Il suo modo di suonare, denso di foga e di potenza – inattesa sotto tali dita – non esclude la leggerezza ne´ un certo romanticismo. Ritroviamo nei suoi arrangiamenti per grandi orchestre questa stessa tonicita`. Ama i contrasti timbrici e ricorre talvolta a elementi del patrimonio musicale giapponese. Ma cio` che caratterizza soprattutto il suo stile e` il fraseggio delle masse orchestrali, la leggerezza dell’insieme, l’uso giudizioso dei riff e un’esuberanza alla quale il pubblico statunitense non e` rimasto insensibile: la sua orchestra e` stata, nel 1980, giudicata la migliore dell’anno. Contemporaneamente Toshiko veniva riconosciuta quale migliore compositrice e arrangiatrice dai lettori di Down Beat. Un film le e` stato dedicato (Jazz Is My Native Language, 1984). [A.C.] «East & West» (Mariano, 1963); «Kogun» (1974), «Live At Newport» (tutti e due con la big band e Tabackin, 1977), «Sumi-E» (1979), «March Of The Tadpoles» (1983), «Carnegie Hall Concert» (1991).

AKLAFF, Pheeroan (Paul MADDOX) Batterista statunitense (Detroit, Michigan, 27/1/1955). I dischi della collezione del padre (Monk, Clifford Brown-Max

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Roach) e della madre, le scale eseguite dal fratello, oggi pianista classico, hanno preannunciato quello spettro musicale, di eccezionale ampiezza, sul quale egli esercita adesso il proprio virtuosismo. L’ascolto di Roach, poi di Connie Kay, ha determinato la sua scelta strumentale. Primi lavori, inevitabili in una citta` di stampo ‘‘motown’’: gruppi di rhythm and blues. 1975: prima orchestra di jazz (che suonava, lo ricorda lui stesso, «musiche di ogni specie») con Nat Adderley Jr. (pf), Jay Hoggard, il sassofonista-clarinettistaflautista Dwight Andrews, il contrabbassista Chris Andromidas, il percussionista Jarawa e la cantante Philippa Street, nonche´ l’incontro decisivo con Leo Smith. Inizia il tempo delle esperienze, delle ricerche, di nuovi rapporti tra musica scritta e improvvisazione, con Oliver Lake, Anthony Davis, James Newton, Allan Jaffe, Baikida Carroll, Henry Threadgill. Effettua anche registrazioni con Amina Claudine Myers, Jay Hoggard, il contrabbassista Mario Pavone, Marty Ehrlich, Michele Rosewoman e, nel 1983, succede a Steve McCall in seno al trio Air. Ha collaborato poi con Ray Anderson, Mark Helias, il trombonista Craig Harris, Sonny Sharrock e, di frequente, con il sassofonista Ned Rothenberg. In grado di distinguersi in tutti i contesti (dalle spesse figure del rhythm and blues alle poliritmie piu` moderne del jazz, passando dalle ricostituzioni di storici shuffles), AkLaff si impone maggiormente come percussionista (si e` detto ‘‘post-moderno’’), inventore di melodie dai timbri ansimanti, spezzati, a zigzag, che moltiplicano gli accenti. Questo basta a comprendere quanto egli abbia lavorato soprattutto con strumentisti-compositori. Lui stesso, del resto, non scartava affatto l’eventualita` di rinunziare alla batteria e addirittura a ogni strumento per dedicarsi completamente alla composizione e al[P.C.] l’arrangiamento. Loduis (Lake, 1978); «Fits Like A Glove» (1983); Side Step (New Air, 1986).

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ALBAM, Manny (Emmanuel) Sassofonista baritono e arrangiatore statunitense (Samana, Repubblica Dominicana, 24/6/1922 - Croton-on-Hudson, New York, 2/10/2001). Studia clarinetto alla Stuyvesant High School di New York, ma esordisce con l’alto nel quintetto di Don Joseph, prima di adottare in modo definitivo il sassofono baritono che, ancora adolescente, praticava con Bob Chester (1941). Eccolo in seguito con Georgie Auld (1942-43), nell’esercito (1945-46), con Boyd Raeburn, Charlie Barnet (per il quale realizza gli arrangiamenti di Panamericana e Claude Reigns, 1949) e Charlie Ventura. Nel 1950 abbandona il suo strumento e si dedica esclusivamente alla composizione: lavora, con notevole eclettismo, per grandi direttori d’orchestra quali Count Basie (I Feel Like A New Man) e Stan Kenton (Minor Diversion). Esegue arrangiamenti per il teatro e incide vari dischi con Woody Herman, Terry Gibbs, Buddy Rich, Gerry Mulligan, Clark Terry, Dizzy Gillespie, Coleman Hawkins (Bossa Nova & Jazz Samba, 1962), lavora per la televisione, diventa direttore artistico dell’etichetta Solid State e inoltre insegna al Glassboro State College. La tradizione profonda del jazz e` sempre presente nelle orchestrazioni di Manny Albam, che riconosce in Duke Ellington colui che ha maggiormente influito sulla sua arte. La sua scrittura e` semplice, funzionale, messa umilmente al servizio del solista, eppure in grado di galvanizzare musicisti e metterli in grado di esprimersi [A.C.] con swing e generosita`. «The Jazz Workshop» (1955); «The Drum Suite» (Ernie Wilkins, 1956); «Manny Albam And The Jazz Greats Of Our Time» (1957).

ALBANY, Joe (Joseph ALBANI) Pianista statunitense (Atlantic City, New Jersey, 24/1/1924 - New York, 12/1/1988). Un padre di origine romana che gli da` le prime nozioni di musica alla fisarmonica, due sorelle che faranno carriera nella musica classica e lirica e, durante l’infanzia,

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ALBANY

la vicinanza di un cabaret dal quale esce la voce della cantante Sophie Tucker. A tutto questo si aggiungono i primi rudimenti teorici che gli sono stati trasmessi da un cugino. Dopo l’insegnamento familiare sceglie il pianoforte, studia durante cinque mesi con uno strumentista classico ed entra a far parte di un’orchestra scolastica. Un trombettista, Bob Kersey, gli fa ascoltare i primi dischi di jazz. Primo ingaggio in un cabaret di Atlantic City. Poi fa parte, con Willie Dennis, di un’orchestra che accompagna i numeri di striptease. Nel 1941 segue la propria famiglia a Los Angeles; suona nei club della Central Avenue (dove fa conoscenza con Lester Young, con il quale registra nel 1946) e accompagna Leo Watson. Torna a New York (dove suona con Max Kaminsky, poi con Georgie Auld), partecipa a una tourne´e dell’orchestra di Benny Carter della quale fanno parte J.J. Johnson e Max Roach (1945), prima di frequentare i club della 52ª Strada e vivere – miseramente – all’ombra di Charlie Parker (1946). E` questo anche il periodo in cui comincia a drogarsi, e la sua biografia e` ormai caratterizzata da carcerazioni e da eclissi. Dopo aver suonato per qualche anno da free lance, soprattutto a Los Angeles con Warne Marsh, si esibisce nei piccoli club di San Francisco, compone canzoni per Anita O’Day (1959-60), torna a New York nel 1963, fa parte di diverse formazioni (tra cui quelle di Charles Mingus e di Jay Cameron). Di nuovo in California, poi a Las Vegas, ha un breve soggiorno in un’orchestra da ballo diretta da Russ Morgan. Nel 1972 lo ritroviamo in Europa accanto a Dexter Gordon, Tony Scott, Johnny Griffin, Ben Webster; registra in duo con Niels-Henning Ørsted Pedersen. Nel 1977 torna definitivamente a New York. Muore di crisi cardiaca. Gli e` stato dedicato un film: Joe Albany. A Jazz Life (Carole Langer, 1980). Poiche´ e` stato uno dei primi pianisti associati al bebop (falso bopper per alcuni, bopper eclettico ed eterodosso per altri), e anche probabilmente a causa della sua carriera piena di interrogativi, Albany rimane uno dei pianisti piu` ambigui: un

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ALBUM

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modo di suonare che a volte sembra cercare le note – e cio` gli da`, sul tempo lento, un ritmo quasi claudicante – e a volte lascia salire una marea cristallina che mette in evidenza la sua passione per Art Tatum. Un doppio aspetto che il tempo contribuisce a complicare, nella misura in cui la sua mano sinistra, poco evidente nelle prime registrazioni, prende un’importanza sempre maggiore. [P.C.] Con Lester Young: Lester Leaps In, Lester’s Bebop (1946); Body And Soul (1957), «At Home» (1971), These Foolish Things (1976), Confirmation (1982).

Album All’epoca dei 78 giri, gli album riunivano svariati dischi. Con l’avvento del microsolco, si e` definito album il disco a 33 giri, di 30 centimetri di diametro, dotato di busta interna (in carta o plastica) e inserito in una copertina cartonata su cui figurano titolo dell’opera e nome dell’autore o del gruppo, oltre a un’illustrazione (foto, disegno, soluzione grafica). Il retrocopertina e` di solito destinato all’elenco dei brani e degli esecutori, oltre che a un testo di commento. Certe collane di grandi case discografiche presentano (o presentavano) soluzioni grafiche e colori ripetuti per tutti i loro titoli (Bob Thiele per la Impulse!, Giovanni Bonandrini per la Black Saint/Soul Note, Manfred Eicher per la ECM, Jean-Jacques Pussiau per la OWL, la serie «Jazz Heritage» del catalogo MCA diretta da Jacques Lubin per la Barclay). In altri casi, certe etichette pubblicavano dischi sotto forma di doppio album, come le ristampe della Milestone e quelle, per la RCA, della serie «Black and White» e della collana «Jazz Tribune» di Jean-Paul Guiter e Daniel Nevers. I dischi potevano anche essere raccolti in cofanetto, come per esempio le ristampe prodotte da Michael Cuscuna per la Mosaic, o i due box di Count Basie da venti LP ciascuno realizzati da Henri Renaud per la CBS. Tutto questo non e` mutato di molto nella transizione dal 33 giri al compact disc. [Ph.B.]

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ALCORN, Alvin Elmore Trombettista statunitense (New Orleans, Louisiana, 7/9/1912 - 10/7/2003). Dopo aver imparato a suonare con il fratellastro – il trombettista George McCullum (1906-38) – e studiato teoria musicale con il fratello Oliver, sassofonista, lavora nelle big band dei violinisti Clarence Desdunes (1928) e Armand Piron (1930-31) e con i Sunny South Syncopators (1931), poi registra con l’orchestra texana del trombettista Don Albert (1932-37). Tornato a New Orleans, suona con il batterista Paul Barbarin (1940), il trombettista Sidney Desvignes (1941-50), il sassofonista Tab Smith, il trombettista Oscar Papa Celestin (1951), il clarinettista Alphonse Picou, il pianista e cantante Octave Crosby (California, 1954) e Kid Ory, con il quale viene in Europa (1956) e appare nel film The Benny Goodman Story. Lo si puo` ancora ascoltare con il clarinettista George Lewis (1958) e il trombonista Bill Matthews (1959). Lavora anche come decoratore e fa parte del distaccamento locale del sindacato musicisti. Con il figlio Samuel (anche lui trombettista) partecipa alle parate tradizionali di New Orleans (Young Tuxedo Brass Band, George Williams Brass Band...). Ha rappresentato la sua citta` in Europa in una New Orleans All Stars (1966). Inevitabilmente erede di Armstrong, Alcorn mostra una forza pacata che gli permette di imporsi, al di la` di qualsiasi arcaismo locale, in ‘‘serenate’’ di un roman[P.C.] ticismo singolarmente moderno. Purple Rose Of Cairo (1975), Black And Blues (1977).

ALDEN, Howard Chitarrista statunitense (Newport Beach, California, 17/10/1958). Inizia a suonare verso il 1968, influenzato dalle incisioni di Basie, Goodman, Armstrong, ma anche da chitarristi come Barney Kessel, Charlie Christian, George Van Eps. Dal 1975 lavora nell’area di Los Angeles con svariati gruppi di jazz tradizionale, moderno o mainstream. Nel 1979 trascorre l’estate nel trio di Red Norvo, col quale suonera`

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per parecchi anni. A New York, nel 1982, suona e incide con Joe Bushkin, Ruby Braff, Joe Williams, Warren Vache´ , Woody Herman. In seguito continua a esibirsi come free lance e a registrare con musicisti come Kenny Davern, Flip Phillips, Benny Carter, e forma un trio nel quale si succedono i batteristi Mel Lewis e Alan Dawson e i contrabbassisti Lynn Seaton e Michael Moore; poi dirige, assieme al trombonista Dan Barrett, un quintetto che si esibisce in tutto il mondo. Vincitore, nel 1990, del referendum della critica sul periodico Jazz Times, partecipa a diversi festival con il gruppo Newport All Stars di George Wein, continuando a lavorare in quintetto e in formazioni di diversa grandezza. I suoi assolo mostrano un sottile equilibrio tra l’amore della melodia e dello swing e le aperture ritmiche e armoniche del jazz piu` recente; uniscono spontaneita` e costruzione rigorosa e sviluppano linee melodiche di grande eleganza. Alden sa alternare passaggi accordali e successioni di note isolate che conferiscono al suo stile una fluidita` poco comune. Il suo quintetto si inserisce nella linea dei piccoli gruppi che va da John Kirby al quartetto di Ruby Braff e George Barnes, ma Alden si trova a proprio agio anche in trio, [J.A.] e spesso anche in solitudine. «Me, Myself And I» (Braff, 1988); Love Theme nº 1 (solo, 1989); «Snowy Morning Blues» (1990); «Swing Street» (AldenBarrett, 1991); «A Good Likeness» (1993).

ALDERIGHI, Paolo Pianista italiano (Milano, 1980). Ha iniziato lo studio del pianoforte al conservatorio G. Verdi di Milano diplomandosi a diciannove anni. Dopo una breve attivita` in ambito classico (primo premio ai concorsi Rovere d’Oro di San Bartolomeo al Mare nel 1994, Ca’ Bianca a Milano in duo nel 1997, Pianoforte d’Oro in Piemonte nel 1998; concerti in qualita` di solista e con orchestra) si e` dedicato alla musica jazz: suona infatti in varie formazioni, principalmente di jazz classico, e come solista; nel luglio 1998, al festival

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ALEMAN

del jazz tradizionale di Saint-Raphae¨ l (Francia), ha ricevuto una menzione speciale della giuria ed e` stato definito dalla stampa francese «senza dubbio la grande rivelazione di questa manifestazione». Collabora con musicisti di fama internazionale (Barry Martyn, Dan Barrett, John Defferary, Rudi Balliu, Geoff Bull, Jan Harrington, Sean Moses, Stefano Bagnoli, Luciano Milanese, Aldo Zunino, Riccardo Fioravanti, Alfredo Ferrario, Carlo Bagnoli, Paolo Tomelleri, Danilo Moccia, Luciano Invernizzi). Svolge intensa attivita` all’estero: concerti in Francia (Parigi, festival del jazz di Mege`ve, festival di Saint-Raphae¨ l), Germania (Dresda Jazz Festival, Du¨sseldorf, Stoccarda), Svizzera (Ascona Jazz Festival, Zurigo Jazz Festival), Spagna (Barcellona), Irlanda (Cork Guinness Festival), Gran Bretagna (Whitley Bay Jazz Festival); nell’estate del 2001 e` stato impegnato in una tourne´e di un mese in Australia (Sydney, Melbourne, Brisbane, Canberra, Bellingen Jazz Festival, Dubbo Jazz Festival). [L.C.] ALEMAN, Oscar Marcelo Chitarrista argentino (Resistencia, 20/2/ 1909 - Buenos Aires, 14/10/1980). Orfano a dieci anni, in Brasile impara a suonare il cavaquinho e fonda, con un chitarrista, un duo con il quale si reca in Argentina (1927), poi in Europa (1929) con il ballerino Harry Fleming. Accompagnatore di Josephine Baker a partire dal 1931, Aleman, che divide la propria attivita` tra Parigi e la Spagna, quando non e` in tourne´e con la cantante, prende dimestichezza con il jazz, da lui scoperto ascoltando Eddie Lang. A Parigi, dove dirige un complesso al Chantilly, partecipa a varie jam session accanto a Bill Coleman, Freddy Taylor, Willie Lewis, Arthur Briggs e, ovviamente, Django Reinhardt. Tornato in Argentina (1940), inizia da solista una nuova carriera alternando jazz e musica sudamericana (carriera che terminera` soltanto con la sua morte), ma e` anche alla testa di piccoli complessi

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ALESS

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(Quinteto de Swing) in una strumentazione che ricorda quella del secondo Quintette du HCF. Poco noto (e quindi sottovalutato), Oscar Aleman ha tuttavia tenuto testa sul palcoscenico al grande Django Reinhardt durante gli anni ’30, con uno stile che non deve nulla a nessuno, ne´ a Django che egli ammirava, ne´ a Charlie Christian, da lui scoperto soltanto piu` tardi. Gli assolo di questo grande tecnico, dalla sonorita` molto personale – soprattutto nei suoni gravi dello strumento – evidenziano fantasia e immaginazione, molto swing e spesso anche un colore che rammenta la sua passione per la musica brasiliana. [A.C.]

Joe Louis Stomp (Bill Coleman, 1936); Montmartre Blues (Eddie Brunner, 1938); Nobody’s Sweetheart Whispering (1938), China Boy (Dany Polo, 1939); Russian Lullaby (1939).

ALESS, Tony (Anthony ALESSANDRINI) Pianista statunitense (Garfield, New Jersey, 28/8/1921 - Flushing, New York, 23/ 9/1985). Bunny Berigan gli procura a diciassette anni il suo primo contratto, al quale seguiranno vari soggiorni presso Teddy Powell, Vaughan Monroe, Charlie Spivak, prima che Woody Herman gli conceda la propria fiducia e gli offra la tastiera ormai vacante dopo la partenza di Ralph Burns. E cosı` partecipa alla prima di Ebony Concerto (marzo 1946). Lasciato Herman, per tre anni si dedica all’insegnamento presso il conservatorio di New York, poi riprende il suo posto nelle orchestre specializzate nelle trasmissioni radio e negli studi di registrazione, sollecitato da Chubby Jackson che lo prega piu` volte di incidere. Il suo stile lineare e volubile e la sua ottima tecnica strumentale ci fanno spesso pensare allo spirito di Lennie Tri[A.C.] stano. The Happy Monster (C. Jackson, 1947); Lady In Red (Stan Getz, 1950); «Long Island Suite» (big band, 1955).

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ALEXANDER, Dave (David Alexander ELAM) (noto anche con il nome Omar Hakim Khayyam, oppure Imam Omar Sharriff) Pianista e cantante statunitense (Shreveport, Louisiana, 10/3/1938). Ha sei mesi appena quando la famiglia si stabilisce a Marshall (Texas). Suo padre, che suona il pianoforte, la chitarra e l’ukulele, gli fa ascoltare i primi boogie; sua madre l’autorizza a studiare il piano a condizione che lo suoni anche in chiesa; forma un’orchestra di studenti liceali e assiste agli spettacoli dei pianisti-cantanti Amos Milburn, Floyd Dixon e Ivory Joe Hunter. Esordisce nel 1954 al Dreamland Inn di Kilgore e, nel corso delle sue peregrinazioni a Longview, Houston, Dallas, impara a conoscere gli stili allora popolari nel sud e sulla West Coast. A San Diego (California), dove fa il militare (1955), incontra il cantante-showman Bobby Hebb che accompagna nei bar della citta`, come batterista o pianista. Congedato nel 1957, si stabilisce in California, e a Oakland anima le funzioni della New Bethel Missionary Baptist Church, senza tuttavia rinunciare alla frequentazione dei club di jazz, dove fa la conoscenza del contrabbassista Jimmy Butler, che gli insegna l’armonia, e del batterista Smiley Winters. Durante gli anni ’60 si esibisce sulla West Coast con diverse personalita` del blues e del rhythm and blues (Big Mama Thornton, Sugar Pie DeSanto, Pee Wee Crayton, Lowell Fulson, Charlie Musselwhite...), incide con il chitarrista Albert Collins (1968) e con Ike e Tina Turner, appare ai festival di Ann Arbor e di Berkeley (1970), suona per il Black Panther Party e per Angela Davis. Lo ritroviamo nei club di San Francisco, mentre da` lezioni di ‘‘black piano style’’. Dopo la sua conversione all’islam e il suo secondo cambio d’identita` riappare in Europa nel 1987 e registra di nuovo nel 1991 in California. Se Alexander e` il pianista di blues piu` interessante della sua generazione e` perche´ il suo stile non ignora nulla degli altri generi: jazz, gospel, soul californiano. Uno stile affascinante che accompagna

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una voce dal suono grave e testi di un pessimismo ambiguo. Tanti elementi che hanno fatto della sua musica uno degli aggiornamenti piu` entusiasmanti del blues, nel suo significato piu` ampio e [P.C.] meno riduttivo. St James Infirmary, Jimmy, Is That You? (1972); The Raven (1991).

ALEXANDER, Monty (Montgomery Bernard) Pianista giamaicano (Kingston, 6/6/ 1944). A quattro anni strimpella il piano suonando calypso e boogie. A sei anni prende lezioni di musica classica e a quattordici, dopo avere ascoltato Armstrong e Nat King Cole, decide di suonare jazz. A scuola, verso i sedici anni, fonda la sua prima orchestra da ballo. La sera frequenta i club e i jazzisti: per esempio il chitarrista Ernest Ranglin, con il quale in seguito incidera` spesso e di cui rivendica l’influenza. Dopo avere scoperto la musica di Wynton Kelly, che diventa suo amico, ascolta Bill Doggett, George Shearing e Eddie Heywood. A Miami e` notato da Frank Sinatra; viene scritturato al Jilly’s, poi al Playboy Club di New York con Les Spann. Vi rimane per quasi due anni, incide per la World Pacific («Alexander The Great» e «Spunky»), suona per una stagione al Playboy Club di Los Angeles, con Victor Gaskin (cb) e Paul Humphrey (batt). Lavora con Ray Brown e Milt Jackson, con i quali incide allo Shelly’s Manne Hole. Consigliato da Oscar Peterson, il produttore Don Schlitten prende contatto con lui: nel 1971 Alexander firma un contratto con la MPS. Nel 1974 fa una tourne´e negli Stati Uniti e, nell’aprile 1975, la sua prima apparizione in Europa al Ronnie Scott’s Club di Londra. Piu` tardi lo troviamo nella formazione che piu` gli si confa`, il trio, con Herb Ellis e soprattutto Ray Brown, oppure Ed Thigpen e Mads Vinding (cb), ma non esita a tentare altre vie: da solo, in quartetto, in quintetto, con Reggie Johnson, Thigpen, Robert Thomas Jr. (perc), Gene Wright, la moglie Emily Remler (chit), Paul Werner (cb), Steve Williams

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ALEXANDER

(batt). Negli anni ’80 ha spesso inciso per la Concord, passando poi alla Telarc e recuperando modi e stilemi del reggae. Nonostante alcune esperienze con strumenti a fiato, Monty Alexander preferisce la formazione classica (pf, cb, batt). Per tanto tempo conosciuto come ‘‘il nuovo Peterson’’ (recluta infatti Ellis, Brown e Thigpen, tutti segnati dal sigillo petersoniano), di Peterson possiede la tecnica brillante, il modo di suonare robusto e vivace, anche se gli manca talvolta l’ispirazione. Un ampio cocktail di influenze (da Tatum a Jamal passando per Wynton Kelly e Nat King Cole) e` presente nella sua musica, dagli accenti caraibici, e sempre avvolta in una formula gradevole e [P.B., C.G.] ricca di swing. «In Tokyo» (1979), «Triple Treat» (1982), CC Rider (1982), «Friday Night» (1987), «Caribbean Circle» (1992).

ALEXANDER, «Mousey» (Elmer) Batterista statunitense (Gary, Indiana, 29/ 6/1922 - Orlando, Florida, 9/10/1988). Studia musica a Chicago, esordisce a New York e suona nel complesso di Jimmy McPartland a Chicago (1948-50), poi con Marian McPartland alla Hickory House di New York (1952-53). In seguito e` per tre anni nell’orchestra di Eddie Sauter e Bill Finegan. Lo ritroviamo poi con il chitarrista Johnny Smith (1955-56) in piccoli complessi; a partire dal 1957 in una grande orchestra, quella di Benny Goodman, con qualche assenza piu` o meno prolungata, durante gli anni ’60. Si interessa di parecchi generi per poi tornare al jazz con Al Cohn e Zoot Sims; dirige un trio (1968-69), un quartetto (1974), figura nella grande orchestra di Clark Terry (1969-72) e in quella portata in Europa da Sy Oliver (1973). La salute lo costringe ad abbandonare questa tourne´e e a rientrare a New York. Riprende la propria attivita` musicale soltanto l’anno dopo: suona e incide con Lee Konitz, Sonny Stitt, James Moody e Zoot Sims. La diversita` dei contesti nei quali si e` distinto e` la testimonianza della sua enorme capacita` di adattamento. E` un

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batterista di una discrezione estrema, parsimonioso dietro ai suoi tamburi come lo e` Basie davanti alla tastiera, eppure di una concreta efficacia, leggera e [A.C.] ricca di swing. Hallelujah (Marian McPartland, 1952); con Sims: If I’m Lucky (1977), I Hear A Rhapsody (1978); Pretties (Ruby Braff, 1978).

ALEXANDER, Roland E. Sassofonista, pianista e armonicista statunitense (Boston, Massachusetts, 25/9/ 1935 - Brooklyn, New York, 14/6/2006). Proveniente da una famiglia di musicisti, si diploma nei conservatori di Boston e New York. Gli incontri principali: John Coltrane, il trombonista Matthew Gee, Philly Joe Jones, Mal Waldron, Roy Haynes, Max Roach, Blue Mitchell, Sonny Rollins. Registrazioni: con Charlie Persip, Dollar Brand. Un quintetto, con Kalaparusha Maurice McIntyre e Malachi Thompson. Tra un bebop molto brutale e un free jazz semplicistico, tra avanguardie e tradizioni, il suo stile, fatto tutto di energia e di suoni gravi, imprecisi, potrebbe essere chiamato quello di un moderno shouter. [P.C.]

Jabulani (Dollar Brand, 1973); Body And Soul (1978).

ALEXANDRIA, Lorez (Dolorez TURNER) Cantante statunitense (Chicago, Illinois, 14/8/1929 - Los Angeles, California, 22/ 5/2001). Nata in una famiglia di persone di chiesa e cantanti gospel, studia alla Marshall High School e diviene, all’eta` di quindici anni, una delle piu` attive cantanti di gospel di Chicago. Allo stesso tempo fa parte per undici anni di un coro a cappella diretto da Lucshaa Allen, col quale compie un tour nel Midwest e ha anche l’opportunita` di cantare, alla Blair House di Washington, davanti al presidente Truman. Allestisce un proprio repertorio di blues e standard jazz, oltre che di canzoni pop e, tra il 1957 e il 1960, incide quattro album per l’etichetta King, esibendosi nei club di Chicago con sva-

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riati gruppi (quelli di Jimmy Hill e del pianista e vibrafonista King Fleming, comprendente quest’ultimo il trombettista Paul Serrano, il trombettista basso Cy Touff, il bassista Earl May e il batterista Vernell Fournier, oltre che col trio di Ramsey Lewis). Dal 1960 si dedica interamente al jazz e alla canzone, e registra sei album per la Argo e la Impulse con accompagnatori di alto livello, spesso tratti dall’orchestra di Count Basie (Joe Newman, Fran Wess e Frank Foster ecc.), solisti di classe come il trombettista Howard McGhee e gruppi stabili come il trio di Wynton Kelly (1964). Stabilitasi a Los Angeles assieme al marito e manager Dave Nelson, ottiene un certo successo e si esibice spesso dal vivo, alla televisione e nei grandi club californiani, incidendo e suonando con Bud Shank, Victor Feldman, Paul Horn, Gildo Mahones. Cantante completa, che ha saputo allargare le fondamenta chiesastiche del suo stile con la frequentazione del jazz e l’ascolto delle cantanti moderne (Vaughan, McRae, Washington), ma anche la Fitzgerald e Frank Sinatra, Lorez Alexandria e` stata ammirata da Miles Davis e Sarah Vaughan ed e` riuscita, come poche altre cantanti, a inserire nel suo fraseggio e nella sua intonazione tracce dello stile di Lester Young e Charlie Parker, ovvero le altre influenze da lei riconosciute. [J.P.M.]

«Lorez Sings Prez» (1957), «Early in the Mornin’ With the Ramsey Lewis Trio and Some of Basie’s Cats» (1960), «Harlem Butterfly» (1984).

ALI, Muhammad (Raymond PATTERSON) Batterista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 23/12/1936). Ha suonato e registrato con Albert Ayler (1969-70), Frank Wright (con il quale giunge in Europa nel 1969), Noah Howard e Alan Shorter. Con Wright, Alan Silva e Bobby Few ha partecipato a Parigi al collettivo Center Of The World (1972-75) nonche´ in Europa a varie manifestazioni.

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Rumoroso e di scarsa discrezione, Ali punteggia piu` che accompagnare: un modo di suonare la batteria che rompe con le regole, di economia e di efficacia, in vigore presso i grandi specialisti del ritmo. Sa spingere al massimo la sua bat[P.C.] teria, fino al parossismo. Simone (Few, 1973).

ALI, Rashied (Robert PATTERSON) Batterista statunitense, fratello di Muhammad (Filadelfia, Pennsylvania, 1/7/ 1935). Studia presso la Granoff School of Music, fa parte di orchestre di rhythm and blues e, nel 1953, suona con un suo complesso nei jazz club. Dopo due annate difficili (in mancanza di scritture e` costretto a lavorare come tassista), incontra nel 1963, a New York, Pharoah Sanders, con il quale riprende a suonare, nonche´ Don Cherry, Paul Bley, Bill Dixon, Archie Shepp, Marion Brown, Sun Ra e anche Earl Hines, senza tuttavia smettere di partecipare all’attivita` in gruppi rock. 1965: scritturato da John Coltrane come secondo percussionista accanto a Elvin Jones, rimane, dopo la partenza di quest’ultimo, il solo batterista del gruppo fino alla morte di Coltrane. Alla fine degli anni ’60 fa parte del trio di Alice Coltrane, accompagna Sonny Rollins, poi forma vari complessi. Nel 1972 fonda una sua casa discografica, la Survival Records, e l’anno seguente apre una specie di clubristorante, lo Studio 77 (noto anche come Ali’s Alley). Ha registrato anche con Bud Powell, Jackie McLean, Joe Lee Wilson, Alan Shorter, Gary Bartz, McCoy Tyner, Big Joe Turner. Nel 1986 fonda un trio rock-funk (in seguito di stanza a Bruxelles), con il chitarrista-sassofonista Marc Bogaerts e il figlio Amin Ali, bassista elettrico. Nel 1988 si esibisce in Europa con Antoine Roney (tsax), Greg Murphy (pf) e Tyler Mitchell (cb). Non tanto poliritmico quanto copioso, nonostante la sua ammirazione per i Jones (Philly Joe ed Elvin, i ‘‘liberatori’’ della batteria moderna), il drumming di Rashied Ali procede per giustapposizioni di sonorita` chiare e frazionamento dei

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ALIAS

tempi, che permettono letture diverse per i suoi collaboratori (ovvero i suoi primi [P.C.] ascoltatori). «Duo Exchange» (duetto con F. Lowe, 1972); The Stomp (duetto con L. Jenkins, 1975); From Above (Zusaan Kali Fasteau, 1989).

ALIAS, «Don» (Charles) Percussionista e batterista statunitense (New York, 25/12/1939 - 29/3/2006). Giovanissimo, dopo avere scoperto la musica ascoltando i successi del momento (rhythm and blues, musica latino-americana e jazz), esordisce con Eartha Kitt, che accompagna, nel 1957, al festival di Newport, con la Dizzy Gillespie Big Band. Poi studia medicina a Boston dove incontra Chick Corea, Alan Dawson, Tony Williams. Nel 1967, a New York, trova i suoi primi ingaggi in gruppi locali, prima di essere scritturato per tre anni da Nina Simone. Entra a far parte del gruppo di Miles Davis (1969) con il quale registra due dischi. Poi suona con Mongo Santamarı´a. E` l’inizio di una lunga serie di incontri, con Tony Williams, Elvin Jones, Stan Getz, Joni Mitchell, Charles Mingus, Blood, Sweat & Tears, Weather Report ecc. Nel 1981 fonda il gruppo Stone Alliance con Gene Perla, ma lo si puo` incontrare anche nel settetto di Jaco Pastorius nel 1983 e, nel 1986, con Carla Bley. Ha registrato con Joey Calderazzo, Gil Goldstein, Charlie Haden e la Liberation Music Orchestra, Bob Mintzer e decine di altri. Non sono mai state rivelate le cause della sua morte. Grande maestro delle congas e quindi solista ricercato, Alias ha saputo adattare alle pulsazioni del jazz-rock questo strumento tradizionalmente legato alla musica latino-americana, come dimostrano i suoi interventi nei Weather Report. La sua tecnica alla batteria, certamente meno impressionante, si distingue per il grande rigore di tempo e per il suo fraseggio originale. [P.B., C.G.]

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ALLEN

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«Bitches Brew» (Davis, 1969); «Black Market» (Weather Report, 1976); «Mingus» (Joni Mitchell, 1979); Alliance (Krantz, 1990).

ALLEN, Byron Sassofonista alto (Omaha, Nebraska, 9/ 12/1939). E` figlio di un cementiere e nipote della cantante e chitarrista Sister Rosetta Tharpe, mentre Charlie Parker era un amico di famiglia. Nel 1949, a Los Angeles, comincia a studiare il clarinetto e tre anni dopo sceglie l’alto. Chiamato sotto le armi, incontra John Coltrane a Brooklyn, da Paul Chambers, durante alcune licenze. Consigliato dagli amici, nel 1964 si reca a New York. Raccomandato da Ornette Coleman, registra in un trio per ESP, poi scompare dalle cronache musicali fino al 1979, quando incide un nuovo album per la Interface. Alla fine degli anni ’80 ritorna brevemente sulla scena, ma da allora non si hanno piu` sue notizie. Dapprima considerato uno degli improvvisatori piu` promettenti della scena newyorkese del free jazz, quindici anni piu` tardi sembra piu` attento all’equilibrio e alle tradizioni: niente piu` vibrato o quasi, un fraseggio dalle dolcezze quasi ‘‘cool’’ e sempre un profumo di bebop, il tutto lievemente impregnato di blues. [P.C.] Time is Past (1964), True Believer (1979).

ALLEN, Carl Batterista statunitense (Milwaukee, Wisconsin, 25/4/1961). Dopo due anni di studio presso l’universita` del Wisconsin, passa al William Paterson College, dove insegnano Rufus Reid e Harold Mabern. Diplomatosi nel 1983, si stabilisce a New York e lavora con Joanne Brackeen, Lew Tabackin, Kenny Burrell e Branford Marsalis; gli accade anche di suonare in trio con Reid e Mabern. Alcune tourne´e con Freddie Hubbard e l’apprezzamento dei suoi colleghi (Terence Blanchard e Donald Harrison, Benny Golson, Frank Gordon...) finiscono con imporlo come uno dei batteristi piu` ricercati degli anni ’80 e ’90 e nei settori piu` vari del jazz contemporaneo.

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Noto soprattutto per l’efficacia e la finezza del suo gioco di spazzole e piatti, la sua tecnica rappresenta una delle piu` entusiasmanti attualizzazioni della grande tradizione poliritmica cristallizzata da Tony Williams. [P.C.] Endicott (Harrison-Blanchard, 1987); «Picadilly Square» (1989); Venus And Mars (Dewey Redman, 1992).

ALLEN, Ed (Edward Clifton) Trombettista statunitense (Nashville, Tennessee, 15/12/1897 - New York, 28/1/ 1974). A sei anni si stabilisce a St Louis con la famiglia. Nel 1907 studia pianoforte, poi si dedica alla cornetta e, ancora adolescente, suona in una banda militare. Prima camionista, soltanto nel 1916 diventa musicista professionista. Suona a St Louis in una stazione di servizio, a Seattle con il pianista Ralph Stevenson, a bordo di vaporetti sul fiume Mississippi, con Charlie Creath, alla testa della sua Whispering Gold Band (1922), a New Orleans e nuovamente a St Louis prima di partire per Chicago (1924), dove suona a fianco di Earl Hines. New York, 1925: con gli Sharps And Flats di Joe Jordan, accompagna il Black And White Show di Ed Daily. Comincia a incidere, soprattutto in compagnia di Clarence Williams (oltre 200 dischi tra il 1927 e il 1937) e di Willie The Lion Smith (1935). Suona soprattutto musica da ballo, dirige un’orchestra nella meta` degli anni ’40, fa parte dell’orchestra del pianista Benton Heath (1945), ma deve poi ridurre la propria attivita` per ragioni di salute. Negli anni ’50 partecipa ancora ad alcune sedute di registrazione. Trombettista dalla tecnica molto precisa, dalla sonorita` soave ereditata da Joe Smith, e ottimo manipolatore di sordine alla King Oliver, Ed Allen, collaboratore ideale per Clarence Williams, con l’estremo virtuosismo delle sfumature, dei registri e degli effetti, annuncia i virtuosi polivalenti delle sezioni delle big band. [P.C., Ph.B.]

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23 Con Clarence Williams: Close Fit Blues (1928), I’m Not Worrying (1929), Nobody Knows You When You ’re Down And Out (Bessie Smith, 1929).

ALLEN, Fletcher Sassofonista, clarinettista, compositore e arrangiatore statunitense (LaCrosse, Wisconsin, 25/7/1905 - New York, 5/8/1995). Arriva a New York al seguito del gruppo di Lloyd Scott (1926), con cui incide l’anno seguente i suoi primi dischi. Nel 1928 giunge in Europa con la formazione del violinista Leon Abbey e vi lavora col batterista Benny Peyton (1929-30), Louis Armstrong (1933-34), Freddy Taylor (1935-36), Benny Carter, Willie Lewis (1938), oltre che con gruppi propri. Suona anche in Egitto con gli Harlem Rhythmakers (1938) e rientra negli Stati Uniti nel 1940. Dopo una lunga interruzione, torna alla musica negli anni ’60, suonando soprattutto il sax baritono nella big band di Fred «Taxi» Mitchell (1970-72). Anche se non e` un grande solista, in orchestra Allen fa la sua figura. Piu` originale come arrangiatore, fa a volte pensare a Benny Carter. Come compositore ha firmato brani come Blue Drag e Viper’s Dream, registrati nel 1935 da Freddie Taylor e dal Quintette du Hot Club de France (1937). [D.N.] Symphonic Scronch (L. Scott, 1927); Blue Drag (F. Taylor, 1935); Swingin’ in Paris (1938).

ALLEN, Geri Pianista statunitense (Pontiac, Michigan, 12/6/1957). A Detroit, a dispetto della passione del padre per il jazz, si interessa innanzitutto alle musiche soul e pop. Partite da Herbie Hancock e dai suoi Headhunters, le sue ricerche la portano a Miles Davis, poi a Thelonious Monk, Bud Powell, Art Tatum e Fats Waller. Entra alla Cass Technical High School dove insegna il trombettista Marcus Belgrave, la cui influenza sara` determinante. Suona con il batterista Roy Brooks poi, nel 1975, si reca per quattro anni alla Howard University di Washington, dove conosce Nathan

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Davis e lo segue all’universita` di Pittsburgh dove egli insegna. Ottiene la laurea in etnomusicologia e suona con Davis. Con lui si reca in tourne´e nei Caraibi e scopre altre musiche. Tornata a New York, suona con Oliver Lake, Lester Bowie, James Newton, Pheeroan AkLaff e anche con Mary Wilson delle Supremes. Entra a far parte del gruppo di Steve Coleman, i Five Elements. Durante una tourne´e in Europa, incide in trio con Andrew Cyrille e Anthony Cox («The Printmakers») e registra anche il suo primo disco in solitudine. Fonda il complesso Open On All Sides, che segna una nettissima evoluzione verso il funky. Adopera anche i sintetizzatori. Nel 1988 viene assunta da Wayne Shorter. L’anno successivo registra con Charlie Haden e Paul Motian. Nel 1993, con Jack DeJohnette e Dave Holland, partecipa a un tour di Betty Carter. Sposata col trombettista Wallace Roney, riduce per qualche tempo la sua attivita` e rientra sulla scena con decisione all’inizio del nuovo millennio. Riferendosi contemporaneamente alla tradizione del jazz (materia a citazioni) e alle correnti funky, Geri Allen riassume in se´ le tentazioni della nuova generazione. Utilizzando il proprio strumento in modo molto classico, ricerca una certa ‘‘purezza’’ di suono e favorisce le note scritte piu` che i grandi voli dell’improvvisazione. Dietro il suo tocco delicato spunta tuttavia un’energia evidente forse ancora troppo legata, soprattutto in gruppo. La pianista non e` mai cosı` autenticamente jazz come quando e` sola, faccia a faccia con il suo strumento. [P.B., C.G.] «Home Grown» (1985), Open On All Sides (1986); «In the Year of the Dragon» (1989), «Live at the Village Vanguard» (1990), «Maroons» (1992); Misterioso (Wallace Roney, 1993), «Twenty-One» (1994).

ALLEN, Henry «Red» Jr. Trombettista, cantante, compositore e direttore d’orchestra statunitense (New Orleans, Louisiana, 7/1/1908 - New York, 17/4/1967). Fino alla pubblicazione del Who’s Who Of Jazz di John Chilton, il suo luogo di nascita sembrava essere stato

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Algiers, un agglomerato situato di fronte a New Orleans, sulla riva opposta del lago Pontchartrain. Il ricercatore britannico ha scoperto invece che e` stata proprio New Orleans il luogo di nascita di Henry Allen, figlio di Henry Allen Sr. (1877 - 1952) famoso direttore della New Orleans Brass Band, una tra le piu` popolari della citta`. Il giovane Henry prende inizialmente alcune lezioni dal violinista Peter Bocage, impara quindi a suonare il saxhorn alto poi la tromba, che adotta definitivamente e che da adolescente precoce impiego` nella band del padre. E` presente nell’Excelsior Band (1924) e nelle orchestre di Sam Morgan, George Lewis, John Handy, dopo aver diretto assieme al clarinettista John Casimir un complesso che abbandona per entrare nell’orchestra di Sidney Desvignes, che si esibiva a bordo di un barcone fluviale. Nel 1927 King Oliver, che lo ha scritturato a St Louis, lo porta con se´ a New York, dove Allen fa verosimilmente i primi passi in uno studio di registrazione, forse anche con Clarence Williams. Tornato a New Orleans, suona al Pelican con Fats Pichon, prima di ripartire a bordo di una riverboat in compagnia di Fate Marable (1928-29), e sistemarsi a New York, dove incide i primi dischi a proprio nome. Lo stesso anno respinge un’offerta di Duke Ellington, al quale preferisce l’orchestra di Luis Russell (1929-32), dove sapeva di ritrovare alcuni suoi amici di New Orleans. Dopo un breve periodo presso Fletcher Henderson (1932) e una permanenza presso Charlie Johnson (1932-33), torna da Henderson fino al giugno 1934, diventa membro della Mills Blue Rhythm Band, con la quale il suo brano Ride Red Ride, registrato su disco, ottiene un grande successo. Si suppone che sia anche l’autore di Rug Cutter’s Swing, arrangiato e firmato da Horace Henderson. Nel febbraio 1937 lascia la Mills Blue Rhythm Band per un breve soggiorno presso Duke Ellington (senza avere l’occasione di registrare) e anche nell’orchestra di Eddie Condon e Joe Marsala. Nel marzo 1937 entra a far parte del complesso che accompagna Louis Armstrong, dove rimane

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fino al settembre 1940, partecipando a varie registrazioni. Poi lavora per qualche tempo con Benny Goodman (ottobre 1940). Costituisce un sestetto che presenta a New York (Famous Door), a Chicago, a Boston, in California (1943), di nuovo a Chicago (1943-45), a San Francisco (1945) e a New York (Onyx, 194546), citta` nelle quali torna a piu` riprese fino al 1952. Dopo una scrittura al Central Plaza a New York (1952-53), lo si potra` vedere al Metropole di cui sara`, fino al 1965, l’attrazione principale. Si reca per la prima volta in Europa nel 1959 con l’orchestra di Kid Ory, fa alcune tourne´e in Inghilterra esibendosi come solista (1963, 1964, 1966 e 1967). Muore di cancro sei settimane dopo l’ultima tourne´e. Lascia una mole impressionante di dischi, sia a suo nome sia come sideman: con Fats Waller (Lookin’ Good But Feeling’ Bad, 1929), Victoria Spivey, Billie Holiday, Coleman Hawkins ecc. In un articolo intitolato Henry Red Allen e` il piu` all’avanguardia tra i trombettisti di New York, apparso in Down Beat nel 1965, Don Ellis scrive: «Quale altro trombettista suona ritmi asimmetrici facendo in modo che siano anche swinganti? Quale altro trombettista esprime le sue idee iniziando con un mormorio, innalzandosi sino allo stridore per poi tornare bruscamente al mormorio in modo sempre inatteso? Chi altro possiede quella sorprendente varieta` di colori, di suoni, d’inflessioni diverse, di effetti di cornetta, di glissando... il tutto combinato con labbra di acciaio e il controllo assoluto della piu` dolce e sottile emissione di suono?». Henry Red Allen e` stato troppo frettolosamente catalogato come un imitatore di Armstrong. Per esempio, e` lui e non Satchmo che porta avanti i collettivi, fino all’assolo di trombone, all’inizio di St Louis Blues (Louis Armstrong, 1929). Tuttavia ha ben presto sviluppato un suo stile personale, tenero e lirico, utilizzando tutte le risorse e tutti gli effetti tecnici della tromba (di cui talvolta abusa), nonche´ una concezione armonica e ritmica avanzatissima. Durante gli anni ’50 ricorre con grande maestria e piu` volentieri

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ALLEN

al registro grave. Allen e` anche un cantante gradevole, la cui voce e` un prolungamento del suo stile di trombettista.

Carter e Charlie Parker») permettono di considerarlo uno dei piu` stimolanti e fedeli diffusori delle tesi di Sun Ra. [P.C.]

[A.C., Ph.B.]

Con Sun Ra: Love In Outer Space (morrow, 1964), Exotic Forest (oboe, 1966), Gods Of The Thunder Realm (asax, 1976); «Barrage» (asax, P. Bley, 1964).

It Should Be You (1929); con Luis Russell; Jersey Lightnin’ (1929), Louisiana Swing, Panama (1930); Shakin’ The African (Don Redman, 1931); con F. Henderson: Queer Notions, King Porter Stomp (1933); Ol’ Man River (Horace Henderson, 1933); Heartbreak Blues (Coleman Hawkins, 1933); Sweet Sorrow Blues (Spike Hughes, 1933); Body And Soul (1935); Ride Red Ride (Mills Blue Rhythm Band, 1935); Sentimental And Melancholy (Teddy Wilson, 1937); I’m On My Way (Lionel Hampton, 1939); I Cover The Waterfront (1957); San (Kid Ory, 1959); «Feeling Good» (1965).

ALLEN, Marshall Sassofonista, flautista e oboista statunitense (Louisville, Kentucky, 25/5/1924). Dopo aver studiato clarinetto e sassofono (1934) e fatto parte di una banda militare, suona a Parigi con il pianista Art Simmons (1949-50) e segue contemporaneamente corsi di sassofono e di oboe presso il conservatorio. Suona poi con James Moody. Chicago, 1956: su consiglio del trombettista King Kolax, incontra Sun Ra che in seguito non lascera` piu`. Ha anche suonato con il percussionista Olatunji, partecipato ai film Individual (musica di Bill Dixon) e The Cry of Jazz, e registrato con Paul Bley. In seno all’Arkestra – oltre al suo ruolo, decisivo, nella sezione ance – suona strumenti a percussione, strumenti africani (kora) o da lui fabbricati (morrow). Ultimo sopravvissuto tra i grandi solisti di Sun Ra, assume la direzione dell’Arkestra. Il suo lirismo, sereno e ‘‘orientale’’ (all’oboe), i suoi parossismi di registro, intensita` e tempo (al sax alto), soprattutto nei duo con Danny Davis, il suo estremismo e specialmente la sua capacita` di suonare piu` strumenti, uniti a un’affettuosa conoscenza del lavoro svolto dai suoi grandi maestri («Subivo l’influenza di Johnny Hodges, Willie Smith, Benny

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ALLEN, Moses Contrabbassista e cantante statunitense (Memphis, Tennessee, 30/7/1906 - New York, 2/2/1983). Assieme al batterista James Crawford suona in un’orchestrina studentesca. In seguito, entrambi si uniscono ai Chickasaw Syncopators di Jimmie Lunceford (1927), che Allen lascera` solo nel 1942. Poi apre un negozio a New York e suona solo occasionalmente (soprattutto con un proprio trio, fino a tutti gli anni ’60). Principale artefice, assieme a Crawford, del famoso «ritmo Lunceford», che forniva alla band una precisione e una souplesse ineguagliate, Allen e` stato uno dei primi contrabbassisti a adottare l’amplificazione e il basso elettrico. Nelle sue prime incisioni con l’orchestra ha dato prova di possedere una voce strumentale di grande robustezza e forza struggente. [A.C.]

Con Lunceford: Chcago Stomp (1927), In Dat Mornin’ (1929), Rhythm Is Our Business (1934).

ALLEN, Sam Pianista statunitense (Middleport, Ohio, 30/1/1909 - California, 9/1963). A dieci anni lavora nelle sale cinematografiche come sonorizzatore di film muti. Dopo aver suonato e inciso con Dave Nelson, nel 1931 e` ingaggiato come secondo pianista nell’orchestra di James P. Johnson e, nel 1932, da Teddy Hill, col quale si rechera` in Europa per la Exposition Internationale de Paris (1937), suonando al Moulin Rouge come accompagnatore della Cotton Club Revue. Incide poi alcuni dischi con Dicky Wells. Di ritorno a New York, registra con Slam Stewart (1938),

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ALL-IN

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Stuff Smith (1938-40), suona come solista a Washington e forma infine un trio che si esibisce sulla West Coast. Il suo accompagnamento sa essere intelligente e decorativo, ma Allen e` soprattuto un seguace dello stride, che pratica [A.C.] con forza e convinzione.

cantare il blues con molta espressivita` e in modo singolare. Allison, che riprende i classici del blues, sara` a sua volta imitato dai cantanti di rock-blues inglese (Parchman Farm, di John Mayall) e annunzia altri pianisti-cantanti come Ben Sidran.

China Boy (T. Hill, 1937); Dicky Wells Blues (D. Wells, 1937); That’s What You Call Romance (Slim And Slam, 1938); When Pa Was Courtin’ Ma (S. Smith, 1939).

Trouble In Mind (alla tromba) (1957); The Opener (Cohn-Sims, 1960); Life Is Suicide, V-Ford Blues (1961), The Seventh Son (1965), Your Molecular Structure (1976), Rollin’ Stone, Middle Class White Boy (1982), My Backyard (1989).

All-in (letter. ‘‘tutti insieme’’) Nel jazz equivale al termine tutti usato nella musica classica. Nel jazz tradizionale, dopo i chorus improvvisati, e` il momento in cui tutti i musicisti riprendono il tema principale, generalmente il chorus finale (all-in chorus). «Let’s go home!» (‘‘torniamo a casa!’’), dicono i musicisti. [Ph.B.] ALLISON, Mose John Jr. Pianista, cantante e compositore statunitense (Tippo, Mississippi, 11/11/1927). Studia pianoforte sin dall’infanzia, poi la tromba, che suona nell’orchestra del suo college e in un complesso dixieland che dirige. All’universita` viene iniziato allo stile bebop, poi si esibisce in trio e accompagna Brew Moore (1952). In seguito suona a Denver e nel sud-est degli Stati Uniti, prima di stabilirsi a New York, nel 1956. Fino al 1959, accompagna Stan Getz, Al Cohn, Zoot Sims, e per tempi piu` brevi Gerry Mulligan e Chet Baker. Da allora si esibisce come pianista e cantante, soprattutto in trio, registrando oltre una ventina di dischi con il proprio nome, gli ultimi per la Blue Note. Immerso nel blues sin dall’infanzia, questo ‘‘piccolo bianco del Sud’’ ha dedicato alle proprie origini la sua Black Country Suite, primo disco registrato a suo nome (1957). L’influsso del bebop fa sı` che egli perfezioni la propria tecnica per giungere a una maggiore indipendenza delle mani, costruendo in tal modo forme piu` libere. La sua voce, pur essendo di estensione limitata e poco potente, gli permette di

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[X.P.]

All Stars Indica un’orchestra composta esclusivamente di strumentisti celebri. Si fa quindi riferimento a un gruppo organizzato sulla base della codirezione e di una notorieta` uguale per tutti. L’esempio piu` perfetto potrebbe essere, per gli anni ’80 e per una piccola formazione, il complesso dei Leaders (Chico Freeman, Cecil McBee, Lester Bowie, Don Moye, Arthur Blythe, Kirk Lightsey). Bisogna anche osservare che, quando questa qualifica viene esplicitamente usata, si tratta spesso di un’etichetta commerciale non sempre giustificata: l’esempio piu` evidente e` quello delle All Stars di Louis Armstrong, il quale, dal 1947 al 1968, ha mantenuto questo titolo qualunque fosse la fama, molto variabile, dei propri musicisti (a meno che non si voglia sostenere che tutti coloro che suonavano con Armstrong diventavano, per questo [P.B., C.G.] stesso fatto, delle ‘‘stars’’). ALMEIDA, Laurindo Chitarrista brasiliano (Sa˜ o Paulo, 2/9/ 1917 - Van Nuys, California, 26/7/1995). La madre, pianista classica e concertista, gli da` una prima formazione musicale. Nel 1936, scritturato come chitarrista sul transatlantico Cuyaba, scopre il jazz. Durante un brevissimo soggiorno a Parigi, ascolta Django Reinhardt. Tornato in Brasile, lavora per la radio come direttore d’orchestra (1939-46). Recatosi negli Stati Uniti nel 1947 per suonare in compagnia della violinista classica Elizabeth Waldo, e` ben presto scritturato da Stan

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Kenton, con il quale collabora lungamente. Nel 1950, dopo Kenton, lavora con i Four Freshmen, Pete Rugolo e per il cinema. Nel 1953 il sodalizio con Bud Shank ha come risultato una serie di dischi («Brazilliance») con i quali Almeida rilegge le musiche popolari del suo paese associandone i ritmi al jazz. In tal modo egli si pone come precursore di quella che verra` chiamata in seguito ‘‘bossa nova’’. Nello stesso tempo si lancia in una carriera piu` prossima alla musica classica e leggera che al jazz. Si unisce in seguito a John Lewis e al Modern Jazz Quartet su disco e a Monterey (1963), e partecipa a una tourne´e mondiale in loro compagnia (1964). Con Herbie Mann partecipa anche a registrazioni. All’inizio degli anni ’70 riprende la collaborazione con Shank, fondando il gruppo L.A. Four. In seguito svolge un notevole lavoro di arrangiatore, soprattutto per la televisione e per il cinema, e prosegue le sue esperienze in compagnia di Charlie Byrd, oppure in un trio di cui fanno parte Bob Magnusson e il batterista Milt Holland. Strumentista classico fra i piu` dotati, Almeida oscilla continuamente tra jazz e musica brasiliana, senza accettare interamente ne´ l’una ne´ l’altra. Le sue improvvisazioni di jazz risentono infatti di questa ambiguita`. Tuttavia intuizioni felici, suprema maestria tecnica e senso poetico gli hanno permesso di dar vita a momenti di indiscutibile bellezza. [P.B., C.G.] Lament (Kenton, 1947); «Laurindo Almeida Quartet Featuring Bud Shank» (1954); Concerto de Aranjuez (MJQ, 1963); Romance de Amor (L.A. Four, 1977); «Brazilian Soul» (1980).

ALTENA, Maarten Van Regteren Contrabbassista e compositore olandese (Amsterdam, 22/1/1943). Dopo una formazione relativamente tradizionale, ben presto lavora con i musicisti dell’avanguardia americana ed europea, quali Marion Brown e quelli dell’Instant Composers Pool, fondata dal suo compatriota Misha Mengelberg. Cosı`, all’epoca della maggiore sfrenatezza del jazz olandese, negli anni ’70, lo si e` potuto ascoltare, tra

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ALTSCHUL

l’altro, in numerosi concerti e registrazioni in compagnia di Peter Bro¨tzmann e di Han Bennink, che condividono la stessa sua irriverenza nei riguardi delle convenzioni e lo stesso suo humour, che talvolta arriva fino al sarcasmo e alla derisione. Suona in duo con il violoncellista statunitense Tristan Honsinger, con il quale forma un quartetto (con Barry Guy e Johnny Dyani). Fonda infine la casa discografica Claxon, ma registra anche a lungo per l’etichetta svizzera Hat Art. Dopo i primi tempi di allegra anarchia musicale, Maarten Altena ha saputo mettere a frutto tracce di questa liberta` in strutture musicali altamente sofisticate e in complessi i cui ruoli sono distribuiti con molta precisione: ne abbiamo testimonianza nelle sue registrazioni in quartetto e ottetto, e con Steve Lacy, Lindsay Cooper oppure Kenny Wheeler. [J.Y.L.B.] «High, Low And Order» (duo con Lacy, 1978); «Miere» (1983), Rif (1987), «Cities and Streets» (1989).

Alternate take f Take. Alto f Sassofono.

ALTSCHUL, Barry Batterista e percussionista statunitense (New York, 6/1/1943). Nato nel South Bronx, cresciuto in una famiglia di musicisti, entra in contatto contemporaneamente con la musica classica e le musiche popolari. Verso i dodici anni abbandona il pianoforte e il clarinetto per la batteria. Studia con Charlie Persip, Sam Ulano, Lee Konitz, pur suonando con i musicisti del suo quartiere: Charles Tolliver, Junior Cook, Elmo Hope. Nel 1964 incontra Paul Bley ed entra a far parte della Jazz Composer’s Guild Orchestra; poi, verso la fine del 1967, suona con Carmell Jones e Leo Wright e sbarca in Europa, dove rimane un anno. Nel 1969 suona in California con Hampton Hawes e Sonny Criss, poi a New York con Tony Scott. Nel 1970, con Chick

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ALVAREZ

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Corea e Dave Holland, forma un trio che, con Anthony Braxton, diventera` il quartetto Circle. Dopo lo scioglimento del quartetto (1972), divide il proprio impegno tra i gruppi di Braxton e di Sam Rivers. A partire dal 1977, sotto il suo nome si formano vari complessi, di cui il piu` stabile, Brahma, lo vede associato a Mark Helias e a Ray Anderson (1979-81). Soggiorna alternativamente in Europa e negli Stati Uniti, e tra l’altro registra con P. Bley, la Jazz Composer’s Orchestra (1965), Alan Silva (1969), John Surman (1970), Corea (trio e Circle, 1970-71), Annette Peacock (1970), Peter Warren (1970), Dave Holland (1972), Braxton (1972-76), Rivers (197377), Dave Liebman, Roswell Rudd (1974), Andrew Hill, Julius Hemphill (1975), Pepper Adams (1979), John Lindberg (1982), Kenny Drew, Franco D’Andrea (1983). Ha di recente ritrovato una certa visibilita` internazionale dopo anni di relativa oscurita`. Dal blues (Buddy Guy) al bebop (Babs Gonzales) – che egli rivendica come parte delle proprie radici – e alle varie avanguardie (Steve Lacy o Gato Barbieri), Barry Altschul ha suonato tutti i tipi di jazz con una grande liberta` di percorso. Il suo senso acuto del commento e la sua concezione molto musicale dello strumento (considerato come una gamma di timbri che integra i suoni numerosi accessori percussivi) fanno di lui uno dei batteristi e percussionisti piu` creativi di oggi. Operando sia mediante la deviazione progressiva del ritmo, sia mediante il prolungamento, il commento o la frammentazione del modo di suonare degli altri solisti, Altschul offre alla batteria una funzione di primo piano nell’elaborazione della forma generale. Tra le tante caratteristiche, la sua tecnica si fonda su una grande varieta` di timbri dei piatti, un controllo attento della dinamica e (verso la fine degli anni ’70 e dietro consiglio di Stu Martin) l’impiego simultaneo di [X.P.] due grancasse. Closer (P. Bley, 1965); A.R.C. (Corea, 1971); Q & A (Holland, 1972); Hues Of Melanin (Rivers, 1973); «Five Pieces 1975» (Anthony Braxton, 1975); Woody’n You (P. Adams, 1979): Be Out S’cool (Lindberg, 1982).

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ALVAREZ, «Chico» (Alfred) Trombettista canadese naturalizzato statunitense (Montreal, 3/2/1920 - Las Vegas, Nevada, 8/1/1992). A Inglewood, in California, studia il violino e il pianoforte prima di dedicarsi alla tromba. Nel 1941 e` assunto da Stan Kenton, ma nel 1943 lascia l’orchestra perche´ chiamato alle armi. Dal 1946 al 1951, fatta eccezione per qualche breve permanenza con Red Norvo, Charlie Barnet e Benny Carter, e` di nuovo nella compagine kentoniana, che abbandona infine per aprire un negozio di strumenti musicali a Hermosa Beach e dedicarsi all’arrangiamento per formazioni afrocubane. Lavora in seguito (1958-82) con orchestre di varieta` a Las Vegas. Efficace soprattutto come musicista di sezione con Kenton, ha potuto anche esprimersi in un linguaggio il cui classicismo contrastava con l’atmosfera generale dell’orchestra. [A.C.] Con Kenton: The Nango (1941), Peg O’ My Heart, Scotch And Water, Cocktails For Two (1946), Laura (1947).

ALVIM, Cesarius (BOTELHO) Contrabbassista, pianista e compositore brasiliano (Rio de Janeiro, 28/4/1950). Dapprima pianista, suona sin dal 1964 con il trio Camara. In occasione di una tourne´e in Francia, interrompe la sua carriera di pianista per dedicarsi al contrabbasso e seguire, presso il conservatorio di Parigi, i corsi di composizione di Tony Aubin. Suona in duo con il pianista JeanPierre Mas, in trio con Martial Solal. In qualita` di solista e` invitato presso il complesso Ars Nova di Marius Constant e nel 1982 in quartetto con Eric LeLann. Lo si puo` ascoltare anche con Jean-Louis Chautemps, Charlie Mariano, Joe Henderson, Philip Catherine, Jasper Van’t Hof, Joachim Ku¨ hn, George Gruntz, Franco Ambrosetti, Lee Konitz, Michel Portal. Nel 1985 torna al pianoforte e costituisce la Cesarius Alvim Connection con Jean-Franc¸ois Jenny-Clark e Andre´ Ceccarelli.

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Contrabbassista dal virtuosismo eclettico – suono largo, precisione ritmica eccezionale, velocita` ed entusiasmo melodico – Alvim e` in Francia uno dei musicisti piu` ricercati. Pianista in trio, rivendica l’eredita` di Bill Evans, uno dei primi ad avere contribuito all’emancipazione del con[P.C.] trabbasso. Gravitude (con Mass, 1978); Girland (Le Lann, 1983); «Ninga» (1993); «Threefold» (1998).

ALVIN, Danny (Daniele VINIELLO) Batterista statunitense (New York, 29/11/ 1902 - 5/12/1958). Musicista professionista sin dall’adolescenza, nel 1919 accompagna la cantante Sophie Tucker al Reisenwerber’s. Nel 1922, stabilitosi a Chicago, si esibisce con orchestre locali di jazz e anche di musica leggera. Nel 1930 dirige un suo complesso, per poi unirsi al pianista Art Hodes. Tornato a New York nel 1936, lo troviamo a partire dal 1940 con Wingy Manone e poi con George Brunies, in particolar modo al Nick’s, uno dei rari club newyorkesi dove si esibiscono, durante la Swing Craze, i musicisti di jazz tradizionale. Suona accanto a Brad Gowans, Mezz Mezzrow, Eddie Condon. Nel 1947, a Chicago, suona con il cornettista Doc Evans e nel trio del pianista George Zack (1948), prima di prendere la direzione dei Kings Of Dixieland. Nel 1955 apre un suo club di jazz. Ha avuto occasione di partecipare a un gran numero di sedute di registrazione con musicisti tradizionali e ha accompagnato musicisti piu` moderni quali Buck Clayton e Teddy Wilson. Segnando vigorosamente i quattro tempi sulla grancassa, secondo la tradizione di New Orleans, il suo modo di suonare rammenta spessissimo quello di Zutty Singleton, di cui non possiede tuttavia la varieta`. [A.C.]

Blame It On The Blues (Bechet-Nicholas, 1946); Bugle Call Rag, Shake That Thing (Hodes, 1944).

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AMBROSE

ALVIS, Hayes Contrabbassista, tubista e arrangiatore statunitense (Chicago, Illinois, 1/5/1907 - New York, 29/12/1972). All’inizio suona la batteria, in particolare con Jelly Roll Morton (1927-28), poi si specializza nella tuba, che suona nelle orchestre di Earl Hines (1928-30) e di Jimmie Noone (1931). Entra nella Mills Blue Rhythm Band che lascia nel 1935 per l’orchestra di Duke Ellington, dove prende il posto di Wellman Braud accanto a Billy Taylor. Vi rimane fino al 1938; forma poi un piccolo complesso la cui esistenza sara` effimera, e con il trombettista Freddy Jenkins si esibisce nella rivista Blackbirds Show ed e` scritturato da Benny Carter per la sua grande orchestra che suona al Savoy. Lo troviamo poi nelle orchestre di Bobby Burnett, Louis Armstrong (1941-42) e nel trio di Joe Sullivan. Dopo il servizio militare (1943-45) suona in diversi piccoli complessi (Gene Fields, Dave Martin, Harry Dial), prima di essere scritturato come contrabbassista dal Cafe´ Society di New York. Parallelamente, e senza abbandonare la musica, si occupa di arredamento, inizia studi da odontotecnico e ottiene il brevetto di pilota aeronautico! Nel 1958 torna alla musica a tempo pieno nella band di Wilbur DeParis, con il quale partecipa al festival di Antibes (1960). Torna in Europa nel 1970 con Jay McShann e Tiny Grimes. In big band quello di Alvis e` un modo di suonare robusto e mordente, da grande contrabbassista. In un piccolo complesso e` una presenza reale, assicurata da uno [A.C.] stile agile e stimolante. Low Down On The Bayou (Mills Blue Rhythm Band, alla tuba, 1931); Kissin’ My Baby Goodnight (Ellington, 1936); Downtown Uproar (Cootie Williams, 1937); The Back Room Romp (Rex Stewart, 1937); Sweethearts On Parade (Chris Barber-Sidney DeParis, 1960).

AMBROSE, «Bert» (Benjamin Baruch) Caporchestra e violinista britannico (Londra, 15/9/1896 - 12/1/1971). Dopo un lungo apprendistato, nel 1912 parte per New York, dove suona (al Reisenwe-

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AMBROSETTI

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ber’s Restaurant) con diverse orchestre da ballo che spesso si trova a dirigere. Di ritorno a Londra (1920) guida un gruppo all’Embassy Club, che lascera` nel 1927 per esibirsi al Mayfair Hotel. I suoi primi dischi, di scarso interesse jazzistico, risalgono al 1923. I successivi saranno incisi per la Brunswick (1927), la HMV (1928) e, a partire dal 1929, per la Decca, etichetta nata da poco e che in lui avra` la sua prima vedette. Dopo una nuova parentesi con la HMV dal 1930 al 1933, tornera` a incidere con la Decca fino al termine della carriera. La sua orchestra, di nuovo all’Embassy dal 1933 al 1936, diviene poi la piu` celebre del Regno Unito, assieme a quella di Jack Hylton, e si esibisce nei locali piu` lussuosi di Monte-Carlo, Cannes e Biarritz. Nei suoi anni di maggior successo (192840), Ambrose ha diretto una delle migliori orchestre da ballo d’Europa. Uscendo senza problemi dalle pastoie del jazz, e` riuscito (grazie a buoni arrangiatori come Bert Read e Lew Stone) a donare alle sue interpretazioni una souplesse e una ricchezza insolite tra le formazioni europee, nonche´ bianche, dell’epoca. Ambrose ha saputo anche assicurarsi i servigi di alcuni tra i migliori musicisti britannici (tra cui Ted Heath) e, malgrado l’opposizione del Sindacato Musicisti, di interessanti solisti statunitensi come Sylvester Ahola, il chitarrista Joe Brannelly e, soprattutto, il [D.N.] clarinettista Danny Polo. Mean To Me (1929), Bye Bye Blues (1930), Copenhagen (1935), Cotton Pickers Congregation (1937).

AMBROSETTI, Flavio Sassofonista svizzero (Lugano, 18/10/ 1919). Al termine degli studi di pianoforte, di vibrafono e (dopo avere ascoltato Coleman Hawkins) di sassofono (tenore, poi soprano), diventa uno dei primi seguaci europei del bebop, suona con numerosi jazzisti statunitensi di passaggio (Cannonball Adderley, Donald Byrd, Dexter Gordon...). Dirige – per oltre venticinque anni – un quintetto nel quale si succedono alcuni fra i migliori strumenti-

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sti svizzeri (Pierre Favre, Daniel Humair, George Gruntz, il trombettista Raymond Court, il contrabbassista Eric Peter, il figlio trombettista Franco Ambrosetti) e anche stranieri (Niels-Henning Ørsted Pedersen, il chitarrista milanese Franco Cerri). La sua partecipazione al festival di Monterey, il suo ruolo nella creazione del festival di Lugano e i suoi numerosissimi dischi fanno sı` che Ambrosetti possa essere considerato uno degli esponenti di primo piano del jazz europeo (e tra gli artefici della diffusione del jazz in Europa). Contraltista (suona anche il sax soprano), resta fedele ai suoi amori par[P.C.] keriani. «The Band» (Gruntz, 1976).

AMBROSETTI, Franco Flicornista, trombettista e compositore svizzero (Lugano, 10/12/1941). Figlio di Flavio Ambrosetti, studia pianoforte per otto anni. A diciassette anni inizia lo studio della tromba classica. Nel 1961 fa a Roma la sua prima apparizione in pubblico (da dilettante) nella formazione di Romano Mussolini. A partire dal 1963 suona in compagnia del padre, di Daniel Humair e di George Gruntz (con il quale studia arrangiamento). Viene notato al festival di Lugano, che segna il vero inizio della sua attivita` di semiprofessionista. Nel 1967 partecipa a diversi festival, fra i quali quello di Monterey con il quintetto del padre; durante gli anni ’70 registra vari dischi di hard bop e jazz semi-elettrico per etichette italiane. Tra i musicisti che compaiono spesso al suo fianco, si possono citare, dal 1963, Humair e Gruntz, Mike Richmond (1978-81), Bennie Wallace (1978), Phil Woods (1981) e Mike Brecker (1983). Co-fondatore di The Band, orchestra di statura internazionale, lo si e` potuto ascoltare nel 1981, in quartetto con Gruntz, Isla Eckinger (cb) e Humair. A rappresentanza di questo periodo, citiamo «Heart Bop» con Woods e Humair (1981). Ha inciso con John Scofield, Greg Osby, Geri Allen, Seamus Blake, Kenny Barron, Victor Lewis e de-

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cine di altri grossi nomi. Suo figlio Gianluca e` a sua volta musicista di jazz (sax soprano). Specialista del flicorno, che suona molto piu` spesso della tromba, Ambrosetti possiede una sonorita` rotonda, a volte tinteggiata di un leggero vibrato utilissima alla sua grande fantasia d’improvvisatore. Eccellente virtuoso, possiede anche un’eccezionale articolazione sonora e non cede alla tentazione dei sovracuti. Talvolta si ritrovano in lui alcune caratteristiche di Clifford Brown o di Miles Davis. [P.B., C.G.]

Heart Bop (1981), «Wings» (1983), «Tentets» (1985), «Liquid Gardens» (2004), «The Wind» (2008).

AMMONS, Albert Pianista e compositore statunitense (Chicago, Illinois, 23/9/1907 - 2/12/1949). Mentre lavora da semplice tassista, inizia a suonare in diversi club della sua citta` natale. Fa parte dei Franc¸ois Moseley Stompers (1929), dei William Barbee And His Headquarters (1930-31), della Chesterfield Orchestra (1932-34). In seguito fonda un proprio complesso e partecipa a New York al celebre concerto della Carnegie Hall con i colleghi pianisti Meade Lux Lewis e Pete Johnson (1938). Si associa a quest’ultimo per un duo di boogie-woogie in una tourne´e americana e suona regolarmente al Cafe´ Society. Si amputa un dito nel prepararsi un hamburger (1941), ma riprende le sue tourne´e con Pete Johnson. Benche´ soggetto ad attacchi di paralisi ad ambo le mani, continua a suonare, soprattutto al Mama Yancey’s Parlour, dove si esibiva ancora pochi giorni prima della morte. Il figlio Gene e` stato un importante sassofonista del postbop. Uno dei migliori interpreti di boogiewoogie e, all’occasione, buon pianista stride, Albert Ammons utilizza tutti i registri della tastiera, senza preoccuparsi di sottigliezze accessorie: il suo stile rimane robusto, roboante e suscita un allegro swing. [M.L.]

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AMMONS

Boogie-Woogie Stomp (1936); Cavalcade of Boogie (Pete Johnson, 1938); Jammin’ The Boogie (1944); Beulah’s Sister Boogie, Benson’s Boogie (Lionel Hampton, 1949).

AMMONS, Gene (Eugene) Sassofonista tenore statunitense (Chicago, Illinois, 14/4/1925 - 6/8/1974). Figlio del pianista Albert Ammons, dopo l’orchestra della scuola fa il suo debutto nel 1943 in quella del trombettista King Kolax. Nell’orchestra di Billy Eckstine (1944-47) incontra Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Art Blakey e Dexter Gordon. Suona con Kai Winding (1948) prima di sostituire Stan Getz presso Woody Herman (dicembre 1948-luglio 1949). Con Sonny Stitt fonda un complessino che durera` fino al 1952. La sua carriera, costellata di grandi successi, sia ai tempi dei 78 giri (Red Top), sia a quelli del microsolco (Canadian Sunset), sara` tormentata – e talvolta interrotta – dall’uso degli stupefacenti. Imprigionato nel 1962, continua a suonare il suo strumento fino al giorno della scarcerazione, sette anni piu` tardi, e ritrova intatta la sua popolarita` presso il pubblico nero. Registra dischi con Billy Eckstine (1944), Albert Ammons, Leo Parker (1947), Woody Herman (1949), il Count Basie Octet (1950), Sonny Stitt (1950-52, 1961-62), Bennie Green (1958), Richard Groove Holmes (1961), Jack McDuff, Dodo Marmarosa (1962), Charles Mingus (1972), e a suo nome una quarantina di album per l’etichetta Prestige, dal 1954 al 1974, con John Coltrane, Jackie McLean, Art Farmer, Dexter Gordon, Hampton Hawes e anche – perche´ di moda negli anni ’60 - con molti organisti (oltre Holmes e McDuff, Johnny Hammond Smith, Clarence Anderson, Eddie Buster, Don Patterson). Promotore, con Dexter Gordon, delle ‘‘battaglie’’ di sassofoni in seno all’orchestra di Billy Eckstine, incoraggia questo genere spettacolare e molto popolare con l’ormai dimenticato Tom Archia e soprattutto con Sonny Stitt. Cantante occasionale, gli accade talvolta di suonare il sassofono baritono. Durante la sua adole-

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AMPLIFICAZIONE

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scenza, i musicisti di Chicago lo consideravano decisamente un epigono di Coleman Hawkins; e` vero che ne possiede la stessa sonorita` ampia e rugosa ma, sotto l’influenza di Lester Young, Ammons sviluppa un fraseggio molto fluido, pieno di grande liberta` ritmica. In tal modo associa progressivamente a quest’ampia sonorita`, che stupisce nelle ballads, un’espressivita` violenta nata dal rhythm and blues, e costruisce i suoi assolo con un senso evidente della progressione drammatica (anzi, melodrammatica), non senza abusare talvolta di questo suo talento. Il suo rinnovato incontro con Dexter Gordon (The Chase, 1970), indica una relativa regressione: sonorita` piu` asciutta e discorso meno elaborato. Seppur trascurato dalla critica, Ammons resta uno dei punti piu` alti dell’espressivita` sassofoni[X.P.] stica afroamericana. Idaho (1947); S.P. Blues (Albert Ammons, 1947); El Sino (Leo Parker, 1947); More Moon (Woody Herman, 1949); Fine And Dandy (Stitt, 1950); My Foolish Heart (1950); Funky (1957); Mellow Gravy (McDuff, 1962); Tin Shack Out Back (1972); Mingus Blues (Mingus, 1972).

Amplificazione Procedimento elettroacustico che permette di accrescere la potenza di un segnale sonoro. Nella storia del jazz, il ricorso all’amplificazione per mezzo di microfoni e altoparlanti e` iniziato prestissimo, per quanto riguarda sia i cantanti sia gli strumenti di minore potenza. Negli anni ’50, col passaggio dai club alle grandi sale di spettacolo, gli strumenti a corda (chitarre, contrabbassi, violini) sono stati muniti di amplificatori. Negli anni ’60 i musicisti del rock scoprono fenomeni acustici inerenti all’amplificazione, quali il feedback o ‘‘effetto Larsen’’, che tendono a riprodurre certe caratteristiche di uno spettro vocale alterato: ‘‘wa wa’’, ‘‘phasing’’, ‘‘fuzz’’ (f Hendrix, Zappa). Con gli anni ’80 appare una nuova generazione di effetti acustici, piu` vicini al sintetizzatore che all’utilizzazione snaturata dell’amplifi-

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cazione e resi praticabili da un sistema di pedali (‘‘chorus’’, ‘‘d’armonia’’, ‘‘delay’’). [P.B., C.G.] AMRAM, Dave (David Werner A. III) Cornista, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 17/11/1930). Studia pianoforte, tromba e corno presso il Curtis Institute e, dopo un anno all’Oberlin College (1948), si iscrive alla George Washington University, dove si laurea in storia. Cornista presso la National Symphonic Orchestra di Washington (195152), suona in seguito nella 7th Army Band in Europa. E` in questa occasione che partecipa alle sue prime registrazioni di jazz, a Parigi nel 1955, dopo aver suonato in Germania, l’anno precedente, con Albert Mangelsdorff. Tornato negli Stati Uniti, segue alla Manhattan School le lezioni di Dmitri Mitropoulos e Gunther Schuller, e fa parte del Manhattan Woodwind Quintet. Si esibisce anche con Charles Mingus e Sonny Rollins, fonda un quartetto (con George Barrow al sax tenore) e dedica la maggior parte del tempo alla composizione per il teatro, per la televisione, per il cinema (in particolare Splendor In The Grass di Elia Kazan, 1960) ma anche per le orchestre sinfoniche e per complessi di musica da camera. Compone varie cantate su testi di James Baldwin, Jack Kerouac, Walt Whitman, Langston Hughes. Nel 1966 suona con Freddie Redd, nel 1968 con Mingus e Jeremy Steig, compone e dirige opere per gruppo jazz e orchestra classica. Fa alcune tourne´e per il dipartimento di stato in America latina, in Africa e nel Medio Oriente, e dirige varie orchestre sinfoniche. Registra anche dischi con Lionel Hampton, Don Rendell, Bobby Jaspar, Christian Chevallier (1955), Mat Mathews (1956), Curtis Fuller, la Prestige All Stars, Hampton Hawes, Four French Horns, Oscar Pettiford (1957), Sal Salvador (1958), Kenny Dorham (1959), Mary Lou Williams (1969-70). Ha inoltre registrato un disco di canzoni e pubblicato, nel 1968, la sua autobiografia, intitolata Vibrations.

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Musicista eclettico, Dave Amram si appassiona alle musiche tradizionali, che gli forniscono, durante gli anni ’70, elementi per la sua attivita` di compositore-arrangiatore. La sua originalita` nasce proprio da questa pluralita` di ispirazioni. Come cornista ha subito l’influenza di Julius Watkins; non disdegna l’improvvisazione e utilizza, oltre agli strumenti gia` citati, la chitarra, i flauti europei e quelli del Pakistan, l’ocarina, il buzuki, le percussioni. [X.P.]

Red Ribbon (Lionel Hampton, 1955); I Married An Angel (1955); Havana/New York (1977), Take The A Train (1982).

AMY, Curtis Edward Sassofonista (tenore, soprano, alto), clarinettista e flautista statunitense (Houston, Texas, 11/10/1929 - Los Angeles, California, 5/6/2002). Di madre pianista, viene iniziato al clarinetto sin dalla scuola. Dirige poi svariate big band in diversi college. Nel 1955 si stabilisce a Los Angeles. Dopo aver suonato rhythm and blues nel sestetto del pianista Amos Milburn e lavorato come strumentista free lance (in particolar modo con Dizzy Gillespie), registra dischi a suo nome (tra gli altri con Carmell Jones, Bobby Hutcherson, il trombettista Marcus Belgrave, Jimmy Owens...), dirige un sestetto con il trombettista Dupree Bolton (1962), ed entra nell’orchestra di Gerald Wilson. Partecipa anche alla registrazione dei dischi dell’organista Paul Bryant, dell’arrangiatore-direttore d’orchestra-pianistacantante Onzy Matthews, del cantante Lou Rawls, di Frank Butler e di Roy Ayers. Ha anche inciso con una celebre cantautrice come Carole King («Tapestry») e col gruppo rock dei Doors. Le sue prime registrazioni sono caratterizzate da tipiche formule idiomatiche del blues. Gene Ammons e Sonny Stitt sono i maestri che il giovane Amy rivendica. Ma col tempo la sua tavolozza musicale si estende e accetta situazioni piu` sofisticate e sottigliezze che non sono certo ignorate da Coltrane e da Mingus. [P.C.]

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ANACRUSI

«Groovin’ Blue» (1961), «Katanga» (1963); Do Anything You Wanna (G. Wilson, 1966).

ANACHRONIC JAZZ BAND Orchestra francese diretta contemporaneamente dal pianista Philippe Baudoin e dal pluristrumentista Marc Richard, arrangiatori tutti e due. L’ambizione dell’AJB (nove elementi) era di rinnovare l’interpretazione dei temi del jazz moderno, orchestrandoli come una formazione di jazz tradizionale (classico). L’impegno fu mantenuto (per esempio suonare Giant Steps di John Coltrane alla maniera di King Oliver) e il successo assicurato, grazie a gustosi arrangiamenti e anche alle ottime interpretazioni dei solisti, in particolar modo di Daniel Huck, campione di scat in tutte le categorie (’Round Midnight, 1976); Patrick Artero (trombe, Anthropology, 1976); Andre´ Ville´ger (sassofoni, Daahoud, 1978); Claude Gousset (trombone, Duke’s Idea, 1978). Ma, come vuole la sorte di tutte le formazioni numericamente importanti, il complesso non ha potuto far fronte alle difficolta` materiali ed e` scomparso dopo breve esistenza (1976-80), non senza avere registrato due dischi incantevoli ed essere stato onorato da un articolo sul New York Times firmato da John S. Wilson, un’au[A.C.] torita` in questa materia.

Anacrusi (ingl. pick up) Indica la nota o le note di una melodia poste prima del primo tempo della prima misura di un tema, oppure della prima misura di una frase melodica all’interno di un tema. Il direttore d’orchestra dovra` tener conto del numero di tempi componenti l’anacrusi, nel momento di dare l’attacco. Alcuni temi celebri iniziano con un’anacrusi: Some Of These Days, Creole Love Call, Autumn Leaves, Jordu, Pent Up House, Doodlin’, So What, What Are You Doing The Rest Of Your Life?.

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ANATOLE

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Ovviamente una melodia puo` anche iniziare (senza anacrusi) sul primo tempo della prima misura, e anche dopo quest’ultima. [Ph.B.] Anatole Termine utilizzato esclusivamente in Francia, la cui origine e` estremamente controversa, per indicare due strutture musicali. 1. Struttura di 32 misure di tipo AABA in genere basata sugli accordi di I Got Rhythm o su varianti di questa struttura. Alcuni adoperano la parola anatole in un’accezione piu` ampia, riferendola indistintamente a qualsiasi struttura del tipo AABA. 2. Cellula armonica che si estende su due misure e comprende i quattro accordi seguenti (in do): dollam7lrem7lsol7. Le prime misure di ciascuna A del tema di riferimento (I Got Rhythm) cominciano con questa cellula ripetuta due volte. La cellula dell’anatole puo` subire un gran numero di variazioni armoniche. f anche I Got Rhythm – Struttura dei temi. [Ph.B.]

Ancia (ingl. reed) Dispositivo di produzione del suono in alcuni strumenti a fiato. Esistono tre specie di ance: l’ancia libera (armonica, fisarmonica), l’ancia doppia (oboe, fagotto) e l’ancia semplice, la piu` utilizzata nel jazz (sassofono, clarinetto). L’ancia semplice e` una lamina di canna o di fibra sintetica, fissata all’estremita` superiore dello strumento (sul bocchino) e il cui pregio essenziale e` la flessibilita` . Dalle combinazioni tra i vari bocchini e ance dipendono la sonorita`, il fraseggio, il timbro e la velocita` dello strumentista, nonche´ il suo attacco e la sua potenza. Troppo deboli o troppo forti, le ance nuove sono spesso modificate dal musicista che le utilizza. Secondo la leggenda, Charlie Parker o Don Byas suonavano con delle ance che erano autentiche ‘‘tavole’’, ossia durissime.

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Il termine indica anche lo strumento che utilizza questo sistema: cosı`, parlando di una grande orchestra, si dice semplicemente ‘‘la sezione ance’’. [P.B., Ph.B.]

L’ancia semplice (sassofoni e clarinetti), la piu` utilizzata nel jazz.

ANDERSON, «Cat» (William Alonzo) Trombettista statunitense (Greenville, South Carolina, 12/9/1916 - Los Angeles, California, 30/4/1981). Cresce in un orfanotrofio di Charleston. Affascinato dalla tecnica di Louis Armstrong, fa il suo debutto con i Carolina Cotton Pickers (1932-36) e suona nella Sunset Royal Orchestra di Doc Wheeler (1936-41). Ma la sua personalita` riesce a esprimersi in seno a complessi come quelli di Lucky Millinder o di Erskine Hawkins. Le sue straordinarie prestazioni nei sovracuti attraggono l’attenzione di Lionel Hampton, che egli raggiunge nel 1942. Gli arrangiamenti di Hampton, l’accompagnamento di Earl Bostic, di Arnett Cobb o di Al Sears si prestano benissimo alle sue esigenze di solista. Ma le sue ambizioni sono molto piu` grandi. Nel 1944, alla fine di uno sciopero dei musicisti, entra nell’orchestra di Duke Ellington, contemporaneamente a Russell Procope, Wilbur DeParis, Oscar Pettiford (e poi Alvin Raglin). L’apporto di questi talenti permette a Duke di tentare nuovi esperimenti: Anderson vi occupa un posto preciso, e le esplosioni della sua tromba danno un colore specifico a tutta l’orchestra. Riceve

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percio`, affinche´ possa sfruttarne tutte le possibilita`, un regalo straordinario: tante parti tagliate su misura per i suoi finali in sovracuto. Nel 1947 lascia Ellington per dirigere un suo complesso. Ma dopo qualche anno torna da Duke (1950-53), poi di nuovo con il proprio complesso (195355), e rientra ancora da Ellington che lascera` in modo definitivo nel 1956, per dedicarsi interamente a piccole formazioni. Nel 1977 registra dischi con partner come Raymond Fol, Michel Gaudry, Sam Woodyard, poi con Pierre Michelot e Georges Arvanitas, non senza qualche sporadico soggiorno da Lionel Hampton. Erede incontestato di Armstrong, Anderson subisce nettamente anche l’influenza di Charlie Shavers e di Roy Eldridge. Il suo modo di suonare non ha certo la profondita` di quello di Cootie Williams. E` soprattutto nei suoi scoppi improvvisi e perfettamente fraseggiati che si manifesta la sua tecnica, splendida nel sovracuto. [P.B., C.G.]

Con Ellington: Coloratura (1945), La Virgen de la Macarena, El Gato (1955), «70th Birthday Concert» (1960); Cat Walk (The Coronets, 1951); «C.A. et les Four Bones» (1979); «Old Folks» (1979).

ANDERSON, Chris Pianista, compositore e cantante statunitense (Chicago, Illinois, 26/2/1926 - New York, 4/2/2008). Affascinato dall’armonia e dalle colonne sonore, ad appena dieci anni ha gia` una buona padronanza del pianoforte di casa. Durante il liceo suona il blues nelle bettole del South Side. Impiegato a tempo perso in un negozio di dischi, scopre Nat King Cole, Art Tatum e Duke Ellington ma, fatta eccezione per questi tre maestri, preferira` sempre ascoltare gli arrangiatori e i compositori (Gil Evans, Nelson Riddle, Debussy, Ravel) invece dei pianisti. A diciott’anni accompagna il chitarrista Leo Blevins, che lo raccomanda a Sonny Stitt. Due anni piu` tardi, al Pershing Ballroom, suona assieme a Charlie Parker e Howard McGhee: ha vent’anni e, in seguito a una doppia cataratta, e` divenuto completamente cieco. Nei quindici anni seguenti

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ANDERSON

suona nei locali di Chicago assieme a Sonny Rollins, Clifford Brown, Gene Ammons, Max Roach, Stan Getz, Johnny Griffin, Roland Kirk. Contemporaneamente lavora, influenzandoli, con giovani musicisti locali come Wilbur Ware, Clifford Jordan, Von Freeman, George Coleman, Wilbur Campbell, i pianisti Billy Wallace e Harold Mabern. Nel 1960 Herbie Hancock, dopo averlo ascoltato, decide di studiare con lui. Nel 1961 il produttore Orrin Keepnews lo fa incidere con Philly Joe Jones, Bill Lee e Walter Perkins; Dinah Washington gli propone di accompagnarla in tourne´e. Sei settimane dopo, a New York, la cantante lo licenzia. Anderson decide di rimanere a New York, malgrado altri problemi di salute (una fragilita` ossea che lo costringe spesso all’immobilita`). Quando si sparge la voce del suo insegnamento a Hancock, molti giovani pianisti cominciano a chiedergli lezioni, mantre Barry Harris lo invita a suonare dal vivo. Anderson si esibisce spesso in solo e in duo con Larry Ridley, David Williams, Victor Sproles, Jamil Nasser e molti altri contrabbassisti. Ma i suoi problemi di salute gli impediscono di suonare in pubblico quanto lui stesso vorrebbe. Resta cosı` un pianista leggendario tra i musicisti, e quasi sconosciuto agli appassionati di jazz. Una complessita` e una maestria armonica rare nella storia del jazz, una maniera di scolpire e distribuire le pause che sottolinea la sua abilita` ritmica (tanto da farla apparire fluida): tutto questo avrebbe potuto imporre Anderson come uno dei piu` singolari virtuosi del pianoforte e, soprattutto, come una sorta di irresistibile dram[J.P.A.] maturgo. «Love Locked Out» (1990), «Blues One» (1991); ’Round Midnight («Sun Ra Sextet At The Village Vanguard», 1991).

ANDERSON, Ed (Andy Edward) Trombettista statunitense (Jacksonville, Florida, 1/7/1910). A sei anni studia la tromba al Florida State College, poi al St. Emma di Belmead (Virginia), e decide di diventare musicista di professione. Si tra-

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ANDERSON

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sferisce a New York nel 1926 e suona con Luckey Roberts, passando poi con Clarence Williams, George Howe, Luis Russell, Jelly Roll Morton (1927), Benny Carter, Charlie Johnson, prima di entrare nella Mills Blue Rhythm Band (1930-34). In seguito fa parte degli Arcadians di Charlie Turner, diretti poi da Fats Waller. Suonera` anche con Hazel Scott, Joe Sullivan (1939) e Frank Newton (1941) prima di abbandonare la musica. Le sue rare sortite in assolo, incisive e ficcanti, lasciano il rimpianto per uno sti[A.C.] lista di grande discrezione. Futuristic Jungleism (Earl Jackson, 1931); Doin’ The Shake (Blue Rhythm Band, 1932).

ANDERSON, Ernestine Irene Cantante statunitense (Houston, Texas, 11/11/1928). In seno a una formazione diretta da Russell Jacquet, Ernestine Anderson inizia la propria carriera di cantante, che prosegue con Johnny Otis (1947-49), Eddie Heywood e la grande orchestra di Lionel Hampton (1952-63), dove conosce Clifford Brown, Art Farmer, Benny Golson e Quincy Jones. Con quest’ultimo registra il suo primo disco (Social Call, The One I Love, 1955). Durante una tourne´e in Scandinavia con l’orchestra di Rolf Ericson (1956) realizza il suo primo album a suo nome: «Hot Cargo». Dopo il ritorno negli Stati Uniti, partecipa al festival di Monterey e diventa un personaggio noto sulla West Coast, che ben presto lascia per fuggire due anni a Londra. Al suo ritorno a Los Angeles, nel 1969, presa da una crisi di sconforto, abbandona la musica, alla quale tornera` in seguito a un’esperienza mistica che la porta a interpretare canti buddhisti. Dopo varie attivita` (cameriera, centralinista), riannoda i rapporti con il mondo del jazz e si esibisce negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa (tourne´e della Philip Morris Superband, 1985). Interprete piena di calore e di sfumature nelle ballads, spesso piena anche d’inventiva, eccelle nel blues, grazie alla sua voce [A.C.] ampia e profonda.

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36 «Fascinating Ernestine» (1959), «My Kinda Swing» (1960), «Hello Like Before» (1976), «When The Sun Goes Down» (1984).

ANDERSON, Fred Sassofonista tenore statunitense (Monroe, Louisiana, 22/3/1929). Ha nove anni quando la sua famiglia si stabilisce a Evanston, non lontano da Chicago. Ascolta appassionatamente i dischi di Dexter Gordon, Charlie Parker, Lester Young, Coleman Hawkins e comincia a suonare, nel 1945, nei complessi di rhythm and blues. Nel 1962 costituisce un quartetto con Billy Brimfield (tr), Bill Fletcher (cb) e Vernon Thomas (batt). Dopo l’incontro con Richard Abrams partecipa alla creazione dell’AACM e forma il Creative Jazz Ensemble nel 1965, con Brimfield, Joseph Jarman, il contrabbassista Charles Clark e, alla batteria, Jack DeJohnette, Arthur Reed, Thurman Barker e Steve McCall. Lavora con Brimfield, il suo compagno piu` fedele, e anche con McCall e Lester Lashley. Nel 1977 apre a Chicago un proprio locale, il Birdhouse. Due anni piu` tardi, il suo gruppo comprende Brimfield, Douglas Ewart, George Lewis, il contrabbassista Felix Blackman e il batterista Hamid Drake. Attivo specialmente con i musicisti della ‘‘seconda generazione’’ dell’AACM come il gia` citato Drake, Anderson ha avuto negli ultimi anni una carriera assai intensa, soprattutto sul piano discografico. Nonostante la sua partecipazione al festival di Moers nel 1978, egli rimane uno dei musicisti piu` discreti e piu` sottovalutati dell’AACM. Cio` e` dovuto, senza dubbio, all’‘‘avanguardismo’’ troppo moderato della sua musica. Imbevuto di bebop, dotato di un suono possente ereditato dai grandi strumentisti anteguerra, appare, agli occhi dei Chicagoans piu` giovani, come il soldato di guardia all’altare della Patria. [P.C.] Little Fox Run (Jarman, 1966); «Another Place» (1978), «Saxoon» (1978); «Dark Day» (1979).

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ANDERSON, Ivie Marie Cantante statunitense (Gilroy, California, 10/7/1904 o 1905 - Los Angeles, California, 28/12/1949). Studia canto, prima nella citta` natale, poi a Washington, D.C., sin dall’eta` di dieci anni. Esordisce in un club di Los Angeles e si reca in tourne´e con alcune riviste musicali, per poi cantare al Cotton Club di New York. Di ritorno sulla East Coast, si esibisce con le orchestre di Curtis Mosby, Paul Howard e Sonny Clay. Con quest’ultimo e` presente in una rivista musicale nel corso di una tourne´e in Australia (1928). Per qualche tempo canta in un gruppo del quale e` animatrice e, nel 1930, viene scritturata presso il Grand Terrace di Chicago, dove e` accompagnata da Earl Hines, che la presenta a Duke Ellington. In tal modo entra nell’orchestra di Duke (1931) partecipando ai suoi concerti, alle sue registrazioni e alle tourne´e (in particolar modo in Europa nel 1933 e nel 1939). Sofferente di asma, abbandona Ellington nel 1942 e limita le proprie apparizioni in pubblico. Apre poi un ristorante a Los Angeles. Ivie (o Ivy, come era chiamata all’inizio della sua carriera), appare con i fratelli Marx nel film A Day At The Races (Sam Wood, 1937). Cantando senza ostentazione ne´ ricercatezza, in modo semplice e naturale, con swing e convinzione, Ivie e` stata una delle prime a illustrare, nel 1932, la professione di fede di Ellington: «It don’t mean a [A.C.] thing (if ain’t got that swing)...». Con Ellington: Mood Indigo (1931), Solitude (1934), I’m Checkin’ Out Goo’m Bye (1939); Empty Bed Blues (1946).

ANDERSON, Ray Trombonista, tubista e trombettista statunitense (Chicago, Illinois, 16/10/1952). A otto anni intraprende gli studi musicali e manifesta subito la sua predilezione per il trombone. Durante tutta l’adolescenza, al liceo, studia questo strumento e fa la conoscenza di George Lewis. Ascolta i dischi del padre, appassionato di dixieland, e si entusiasma per Vic Dickenson, Jack Teagarden, Trummy Young e Kid Ory. E`

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ANDREWS SISTERS

inizialmente impegnato in complessi di rhythm and blues e di rock. Dopo l’universita` e un viaggio in Europa, riprende il trombone e, nel 1971-72, e` in California col sassofonista Steve Elson. Nel 1973, a New York, suona in vari complessi, fra cui il Surrealistic Ensemble, con il batterista Tom Bruno. Per sopravvivere esegue molta musica latina e soul. A partire dal 1977, suona e incide con Anthony Braxton. Con quest’ultimo, poi in trio con Mark Helias e Barry Altschul, compie una tourne´e in Europa. Nel 1980 incontra il chitarrista Allan Jaffe. Nasce l’idea di un complesso che dovra` «adattare gli aspetti creativi del jazz a un quadro ritmico piu` apprezzato dal grande pubblico» (Jaffe): Slickaphonics, composto da Steve Elson, Helias e Jim Payne (batt). Ritroviamo Anderson con Helias e Gerry Hemingway, nel trio Oashpe (1983-84), in veste solitaria al Roulette di New York (1985), con Misha Mengelberg, oppure che riscopre il bebop in compagnia di Kenny Barron, Cecil McBee, Dannie Richmond. Anderson, ovvero la diversita`. Appassionato di Lawrence Brown, ma anche di Roswell Rudd, esitante tra Gillespie – di cui insegue talvolta l’ombra sul suo trombone – e Ben Webster, tra Rollins e Coleman Hawkins passando per Juan Tizol, Anderson si interessa innanzitutto all’improvvisazione contemporanea. Preoccupato di respingere e anche di superare i limiti tecnici del suo strumento, limiti che giudica artificiali, e di andare fino al fondo del proprio virtuosismo, e` l’uomo delle sonorita` inattese, splendenti, ma anche del growl e del vibrato. [P.B., C.G.] «Performance For Quartet» (Braxton, 1979); Con alma de noche (Altschul, 1980); If I Ever Had A Home, It Was A Slide Trombone (1980), «Old Bottles, New Wine» (1985), «It Just So Happens» (1987), «Wishbone» (1990); «Big Band Record» (1994).

ANDREWS SISTERS Complesso vocale costituito dalle tre sorelle Andrews, di origine greco-norvegese e nate a Minneapolis, Minnesota:

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ANDRUS

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LaVerne Sophie (6/7/1911 - 8/5/1967), Maxene Angelyn (3/1/1916 - 21/10/ 1995) e Patricia (Patty) Marie (16/2/ 1918). Sin dall’adolescenza si esibiscono in spettacoli di vaudeville, poi in cabaret e alla radio. La loro registrazione di Bei Mir Bist Du Scho¨n (1937) le fa balzare in testa alla hit parade. Diventano cosı` un’attrazione nazionale, il cui successo raggiunge l’apice durante la seconda guerra mondiale e prosegue fino negli anni ’50. Lungo la via aperta dalle Boswell Sisters, le Andrews hanno proposto un repertorio di canzoni ritmate nelle quali e` presente anche lo spirito del jazz, grazie soprattutto a Patty, autrice degli arrangiamenti vocali e della maggior parte degli assolo. Il trombettista Vic Schoen e` stato il piu` noto degli arrangiatori che hanno lavorato sui loro dischi. Dal 1940 al 1948 il trio e` apparso numerose volte sugli schermi cinematografici, soprattutto con Abbott e Costello (Buck Privates, In The Navy, 1941). [A.C.] Boogie Woogie Bugle Boy (1941), Rum and Coca Cola (1945).

ANDRUS, «Chuck» (Charles E. Jr.) Contrabbassista statunitense (Holyoke, Massachusetts, 17/11/1928 - 12/6/1997). Dopo avere studiato a Springfield (Massachusetts) alla Manhattan School of Music e dopo un complesso di jazz nel quale sono presenti Joe Morello, Phil Woods e Sal Salvador viene scritturato da Charlie Barnet (1953), Claude Thornhill (195455), Terry Gibbs, accompagna Bernard Peiffer (1956) e diventa uno dei contrabbassisti piu` richiesti. Nel 1961 entra nel gruppo di Woody Herman e vi rimane quattro anni, prima di tornare alla sua attivita` free lance, dove la sua velocita` e la sua precisione fanno miracoli. [P.C.] Royal Garden Blues (Don Stratton, 1956); Satin Doll (Herman, 1963).

ANTON, Artie (Arthur) Batterista e percussionista statunitense (New York, 8/9/1926). Studi musicali iniziati – e interrotti – nel 1942. Dopo la guerra lo ritroviamo in varie orchestre da

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ballo (Sonny Dunham; Bobby Byrne, 1948; Tommy Reynolds, 1952) e di middle jazz (Bud Freeman, 1952), poi con Jerry Gray e Charlie Barnet (1954). Oltre a diversi impieghi di natura non musicale (commesso viaggiatore, investigatore privato...), lavora sempre piu` negli studi di registrazione californiani. Il suo maggior titolo di gloria rimane la partecipazione alle sedute Capitol di Jimmy Giuffre. Utilizza gli elementi della batteria non tanto come strumento di accompagnamento, quanto come fonte sonora supplementare, e li alterna con le altre ‘‘voci’’ invece di doppiarle, visto che la maggior parte degli interventi delle [P.C.] percussioni e` gia` scritta. Finger Snapper (Giuffre, 1955).

Apollo Uno dei ‘‘templi’’ dell’entertainment e del jazz nero a New York. Situata nella 125ª Strada, tra la 7ª e l’8ª Avenue, questa sala, aperta nel 1910 nel cuore di Harlem – che era allora una zona popolata dai bianchi – presentava spettacoli vari e riviste con star quali Fanny Brice o Sophie Tucker. Fu chiamata Apollo Theater nel 1934. Con l’espansione della comunita` nera a partire dagli anni ’30, l’Apollo fu aperto anche agli artisti di colore. Si puo` dire che, da Bessie Smith ad Aretha Franklin, tutte le star nere dello show business statunitense siano passate su questa scena. Una scena che, ovviamente, ha accolto anche le orchestre piu` celebri: Claude Hopkins per primo, Chick Webb, Fletcher Henderson, Andy Kirk, Jimmie Lunceford, Count Basie, Duke Ellington... A partire dagli anni ’60, il jazz e` diventato molto piu` raro sulla scena dell’Apollo. Secondo una credenza radicata, Ella Fitzgerald vi avrebbe conosciuto il suo primo successo – come Pearl Bailey, Thelonious Monk e Sarah Vaughan – vincendo uno dei concorsi per dilettanti che vi si svolgevano tradizionalmente il mercoledı` sera. Due autori, Jervis Anderson (Harlem, The Great Black Way) e Ted Fox (Showtime At The Apollo), hanno conte-

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stato questa versione dei fatti. Secondo loro, infatti, il concorso di canto si svol[A.C.] geva alla Harlem Opera House. ARBELLO, Fernando «Chico» Trombonista e arrangiatore statunitense (Ponce, Portorico, 30/5/1907 - 26/7/ 1970). Sin dall’eta` di dodici anni studia il trombone, che pratichera` poco piu` tardi nell’orchestra della sua scuola e poi in seno a un complesso sinfonico della citta` natale. A New York suona nelle orchestre di Earle Howard (1927), Wilbur DeParis (1928), June Clark (1929-30) per quattro anni, prima di trasferirsi da Claude Hopkins (1931-34). In seguito lo ritroviamo con Chick Webb (1934-35), Lucky Millinder (1936-37), Fletcher Henderson (1936-37), nonche´ per periodi piu` o meno lunghi con Edgar Hayes, Fats Waller, Claude Hopkins, Benny Carter, Zutty Singleton e nuovamente Henderson. Suona nell’orchestra di Jimmie Lunceford dal 1942 al 1946. Durante gli anni ’50 fonda un suo complesso, per poi suonare con Rex Stewart, a Boston nel 1953, e con Machito nel 1960. Tornato in Portorico alla fine degli anni ’60, prende la direzione di una piccola orchestra. Sostanzialmente musicista di sezione, Arbello e` un solista modesto. I suoi rari interventi presso Claude Hopkins fanno capire per quali motivi i direttori d’orchestra (che tuttavia lo apprezzavano) gli hanno preferito per gli assolo su disco Sandy Williams (Chick Webb), Ed Cuffee (Fletcher Henderson) o Trummy Young (Jimmie Lunceford). [A.C.]

Con Hopkins: Chasin’ All The Blues Away, Zozoi (1934).

ARCHEY, Jimmy (James H.) Trombonista statunitense (Norfolk, Virginia, 12/10/1902 - Amityville, New York, 16/11/1967). Suona il trombone sin dall’eta` di dodici anni e ne prosegue lo studio all’Hampton Institute. A partire dal 1923, a New York, viene successivamente scritturato da Lionel Howard, Ed Small (1924), Edgar Hayes (1927), King Oliver

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ARCHEY

(1930) e infine Luis Russell (1931) con il quale rimane fino al 1937, accompagnando Louis Armstrong. Nel 1937, e per due anni di seguito, lo troviamo presso Willie Bryant, poi con Benny Carter in modo piu` o meno assiduo dal 1939 al 1941; due anni durante i quali suona anche con Coleman Hawkins, Ella Fitzgerald, Cab Calloway, Duke Ellington. In seguito torna da Claude Hopkins (194445), poi da Noble Sissle (1946-48). Nel 1947 e` invitato dal produttore Rudi Blesh nell’orchestra del programma radio This Is Jazz, accanto a star del jazz tradizionale. Nel febbraio del 1948 giunge per la prima volta in Europa con il gruppo formato da Mezz Mezzrow per il festival di Nizza. Tornato negli Stati Uniti, e` scritturato da Bob Wilber per un lungo periodo al Savoy Cafe´ di Boston. Nel 1950 prende la direzione di un piccolo complesso che porta in Europa (1952), dove tornera` nel 1954 per un’altra tourne´ e, guidata da Mezzrow, fino all’inizio del 1955. Torna negli Stati Uniti per entrare a far parte del sestetto di Earl Hines, che si esibisce soprattutto sulla West Coast, in particolar modo all’Hangover Club di San Francisco, tra il 1955 e il 1960. E` nuovamente in Europa con una New Orleans All Stars (1966). Formatosi alla scuola dei trombonisti di New Orleans, Jimmy Archey ne evidenzia innanzitutto le caratteristiche: robustezza ed efficacia nei complessi. Ben presto tuttavia ha saputo seguire l’evoluzione dello strumento e della musica jazz, levigando il proprio stile, liberandolo da ogni arcaismo, rendendolo piu` agile per adattarlo al jazz raffinato di direttori quali Benny Carter e diventando in tal modo – con l’aiuto di una ottima tecnica e di una grande abilita` nell’utilizzare le sordine – uno dei piu` autentici swingmen del trom[A.C.] bone. Nelson Stomp (King Oliver, 1930); Patrol Wagon Blues (Henry Allen, 1930); Mahogany Hall Stomp (Armstrong, 1936); Texas Moaner (1955).

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ARCHI

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Archi Il jazz riserva un ruolo di primo piano ad alcuni strumenti a corde strofinate (contrabbasso, violino, piu` raramente il violoncello ed eccezionalmente la viola) o pizzicate (chitarra, banjo), ma accade a volte che l’organico di una formazione jazzistica venga integrato da un gruppo di archi con la sola funzione di accompagnamento. Dopo Paul Whiteman e i suoi tentativi di ‘‘jazz sinfonico’’ a meta` degli anni ’20, Artie Shaw, Tommy Dorsey, Earl Hines, Louis Armstrong, Billie Holiday e alcuni altri aggiunsero alle loro orchestre una sezione d’archi. A partire del 1950 sono numerosi i solisti che hanno tentato di registrare con orchestre d’archi: Charlie Parker, Coleman Hawkins, Clifford Brown, Bill Evans, Duke Ellington, Count Basie. Nella grande maggioranza dei casi l’accompagnamento degli archi consiste in accordi lungamente tenuti, che sottolineano in maniera ridondante la struttura armonica del tema, secondo una tradizione cara all’opera verista italiana e anche agli orchestratori del cinema hollywoodiano. La scrittura musicale e` generalmente povera, eccessivamente omofonica e restia a struttare le nuove tecniche strumentali (in particolare per quello che concerne la posizione dell’archetto) introdotte dalla musica classica del Novecento. Vi sono tuttavia alcune eccezioni che si segnalano per qualita` e originalita`: Focus, composta da Eddie Sauter per Stan Getz (1961), Variations For Flugelhorn, String Quartet, Bass And Drums di Russell Garcia (1979), Abstraction di Gunther Schuller con Eric Dolphy (1963). Meritano ugualmente di essere menzionate alcune composizioni Third Stream, fra cui European Windows di John Lewis (1958) e Awakening di Ran Blake (1979). Nell’ambito estetico del free jazz, a Skies Of America di Ornette Coleman (1972), orchestrato in maniera molto elementare, si contrapporra` Macbeth di Anatoly Vapirov (1985), sotto questo profilo assai piu` riuscito. Quanto alle opere di Bill Russo Three Pieces for Blues Band and Symphony Orchestra (op. 50) e Street Music (op. 65), esse rispondono a una conce-

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zione del tutto opposta: l’appropriazione, da parte della musica sinfonica, di forme e strumenti appartenenti alla musica afroamericana. Analoga e` la concezione alla base di Stress (1979), scritta da Marius Constant in collaborazione con Martial Solal. In compenso quest’ultimo, nel suo Concerto pour trio de jazz et orchestre (1981), contrappone i due elementi senza interferenze formali. L’uso degli archi nel jazz ha trovato in questi ultimi anni in Francia due esiti notevoli: lo Swing Strings System di Didier Levallet (Paysages intimes, 1978) e «Music For String Quartet, Jazz Trio, Violin And Lee Ko[X.P.] nitz» di Pierre Blanchard (1986). Armonica (ingl. mouth organ o mouth harp) Questo strumento esiste in due versioni: diatonico (blues harp in inglese) e cromatico (armonica). Il primo e` soprattutto usato nel blues, dove i suoi effetti espressivi sono molto efficaci. E` costruito sul principio della scala maggiore e non comprende quindi tutti gli intervalli dei semitoni. Gli armonicisti ottengono, pero`, le note mancanti modificando l’intensita` dei loro attacchi (soprattutto sulle note aspirate). Esistono armoniche per ciascuna tonalita`. Numerosi bluesmen hanno sottolineato l’uso di questo strumento: i due Sonny Boy Williamson, Big Walter Horton, Little Walter, Sonny Terry, Sugar Blue... Sull’armonica cromatica possono essere ottenute tutte le note grazie a un sistema di registri. Essendo maggiori le possibilita` melodiche e armoniche, e` possibile improvvisare su griglie di accordi. La sonorita` dell’armonica cromatica e` talvolta meno espressiva, piu` vicina a quella della fisarmonica. Il principale utilizzatore di questo strumento e` il chitarrista Toots Thielemans. Vanno segnalati ugualmente Larry Adler, che ha lavorato, come e` noto, con Django Reinhardt, il sassofonista Eddie Shu (con gene Krupa a meta` degli anni ’50) e il batterista Wilbert (o Wilbur) Kirk con Wilbur DeParis. [P.B., C.G.]

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41 L. Adler: I Got Rhythm (con il quintetto di Hot Club di Francia, 1938); E. Shu: Harmonica Shu Boogie (G. Krupa, 1953); T. Thielemans: Scotch On The Rocks (1954); S. Terry: Talking Harmonica Blues (1959); S.B. Williamson: The Sky Is Crying (1964).

ARMSTRONG, Lil (Lilian HARDIN) Pianista e cantante statunitense (Memphis, Tennessee, 3/2/1898 - Chicago, Illinois, 27/8/1971). Dopo studi di musica classica esordisce al Dreamland di Chicago nell’Original Creole Jazz Band di Freddie Keppard (1917) di cui King Oliver prendera` la direzione (1920). Sposa Louis Armstrong (1924) dal quale si separera` nel 1931 per poi divorziare nel 1938. Durante la permanenza di Armstrong presso Fletcher Henderson, Lil dirige un proprio gruppo (1925). Partecipa alle registrazioni degli Hot Five e degli Hot Seven. Compie una tourne´e con Keppard (1928), poi dirige all’Harlem Opera House un’orchestra femminile (1931), che formera` nuovamente presso il Regal Theater di Chicago (1934). A partire dal 1940, si esibisce come solista e fa una tourne´e in Europa (1952) e in Canada. Diventa solista ufficiale del Red Arrow Club di Stickney, nell’Illinois (1952-60). Benche´ dinamica, la sua maniera di suonare il pianoforte, molto vicina al ragtime, non presenta attrattive particolari, anche se le va riconosciuto uno swing poderoso. Cantante a torto poco considerata, ha comunque avuto il grande merito (piu` di quanto si creda) di orientare in modo favorevole la carriera iniziale di [M.L.] Louis Armstrong. Con Armstrong: My Heart (1926); Struttin’ With Some Barbecue (1927); Just A Thrill (1936), «Lil Armstrong And Her Swinghand» (1936-40); Big Butter And Egg Man (Sidney Bechet, 1952).

ARMSTRONG, Louis («Pops», «Satchmo») Trombettista, cantante, compositore e direttore d’orchestra statunitense (New Orleans, Louisiana, 4/8/1901 - New York, 6/ 7/1971). Allevato dalla madre Mayann e

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ARMSTRONG

dalla nonna Josephine, forma, giovanissimo, un quartetto vocale che canta nelle strade di New Orleans. Per aver sparato in aria un colpo di pistola durante la notte di San Silvestro del 1912, viene mandato in un orfanotrofio, il Waif’s Home, ed entra nell’orchestra dell’istituto (diretta da Peter Davis). Fa il tamburino e suona altri strumenti prima di adottare la cornetta. In seguito comincia a suonare nei cabaret di Storyville e riceve i consigli di Joe Oliver (1914). Entra nell’orchestra di Kid Ory (1918) poi, sulle riverboats, in quella di Fate Marable (1918-21). Raggiunge Oliver (1922) al Lincoln Garden di Chicago, con il quale incide i primi dischi (1923). Viene scritturato da Ollie Powers e poi, a New York, da Fletcher Henderson (1924). Durante questo periodo accompagna numerose cantanti di blues: Ma Rainey, Trixie Smith, Clara Smith, Bessie Smith (1925). Incide con Clarence Williams e Perry Bradford, torna a Chicago nel gruppo di Lil Armstrong, i Dreamland Syncopators, e incide i suoi primi dischi come leader degli Hot Five (1925-26). Lavora poi con la Vendome Orchestra di Erskine Tate; in quell’occasione lascia la cornetta per la tromba. Passa quindi nel gruppo di Carroll Dickerson, in quello di Clarence Jones, e organizza una serie di registrazioni con gli Hot Seven (1927). Si esibisce all’Usonia, Warwick Hall, con Earl Hines e Zutty Singleton, e poi di nuovo con Carroll Dickerson al Savoy Ballroom. Torna a New York da divo, accompagnato dall’orchestra di Luis Russell (1929), partecipa all’Hudson Theatre di Broadway alla rivista Hot Chocolate al fianco di Fats Waller, con cui firma i numeri musicali. Si esibisce da solista al Lafayette Theatre con l’orchestra di Carroll Dickerson e poi al New Cotton Club di Los Angeles, dove e` accompagnato dai gruppi di Leon Elkins e Les Hite. Appare nel film Flame (1930). A capo di una grande orchestra, attraversa gli Stati Uniti, si esibisce a Broadway e a Harlem. Gira due cortometraggi: Rhapsody in Black and Blue e I’ll Be Glad When You’re Dad, You Rascal You al fianco di... Betty Boop. Si imbarca sul Majestic per

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ARMSTRONG

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l’Europa (1932) e sara` l’attrazione principale del Palladium di Londra. Tornato negli Stati Uniti, suona per un po’ in una nuova versione di Hot Chocolate accompagnato dalla formazione di Chick Webb. Fa un nuovo viaggio in Europa, nel corso del quale si esibisce alla Salle Pleyel di Parigi (1934). Ritorna negli Stati Uniti dove, divenuto ormai una star, gira alcuni film come Pennies from Heaven con Bing Crosby (1936), Artists and Models (1937), Doctor Rhythm Every Day’s A Holiday con Mae West (1938), Goin’ Places (1939), Cabin In The Sky (1942), Jam Session – Atlantic City (1944), Pillow To Bost (1945). Compare a Broadway in una versione musicale del Sogno di una notte di mezza estate intitolata Swinging The Dream (1940). E` la stella del celebre concerto Esquire alla Metropolitan Opera House con Roy Eldridge, Jack Teagarden, Coleman Hawkins, Barney Bigard, Lionel Hampton, Art Tatum, Al Casey, Oscar Pettiford, Sidney Catlett (1944). Gira il film New Orleans (1946). Lascia la sua grande orchestra e si esibisce con una piccola formazione alla Metropolitan Opera, alla Town Hall. Poi forma la sua All Stars che si presenta per la prima volta al club di Billy Berg a Los Angeles (1947). E` una delle stelle del festival di Nizza (1948). Viene consacrato ‘‘King of the Zulus’’ durante un martedı` grasso a New Orleans (1949). I lettori di Down Beat lo eleggono personaggio musicale piu` importante di tutti i tempi (1952). Trionfa al festival di Newport (1957-58 e 1960-61). Incide la sua autobiografia musicale (1956-57). Gira A Song Is Born (1947), Courtin’ Trouble (1948), The Strip, Here Comes The Groom, Botta e risposta (1951), Blind Alley, La Route du bonheur (1952), Glenn Miller Story (1954), High Society con Grace Kelly, Bing Crosby e Frank Sinatra (1956), Jazz at Newport (1958), The Five Pennies, The Beat Generation (1959), Paris Blues (1960), Louis Armstrong (1962), A Man Called Adam (1966). Fa un viaggio in Europa ogni anno, ma si esibisce anche in Giappone (1953), in Australia (1954), in Canada, Giamaica, America latina

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(1957), in Africa e in Unione Sovietica (1965). Alcune di queste tourne´e sono organizzate dal dipartimento di stato statunitense. Pur essendo stato vittima nel 1959 di un grave malessere a Spoleto, continua lo stesso a esibirsi fino all’ultimo giorno. Ha pubblicato due autobiografie: Swing That Music (1936) e Satchmo: My Life in New Orleans (1952). Louis Armstrong ha innegabilmente svolto un ruolo fondamentale nella storia della musica. E` grazie a lui che la forma musicale nata a New Orleans alla fine del secolo scorso raggiunge un pubblico universale. In realta` Armstrong ha inventato il jazz che oggi conosciamo. Mentre i pionieri si preoccupavano di perpetuare l’improvvisazione collettiva tramandata dal folklore, Louis si presenta alla ribalta, in primo piano, lasciando al suo gruppo il solo incarico di fornirgli un background adeguato. Primo vero e proprio solista di jazz, in questo modo potra` mostrare liberamente il suo genio di improvvisatore e fare assaporare nella sua totalita` una sonorita` senza eguali, cristallina, piena e calda allo stesso tempo. Inoltre, mentre i membri delle band da cui sono emersi i primi musicisti jazz erano tenuti a collocare le loro note con grande rigore, Louis Armstrong sposta le sue, sia in anticipo, sia in ritardo sul tempo. L’articolazione della sua frase, che termina in un vibrato sontuoso, guadagna in leggerezza e in scioltezza grazie a questa apparente disinvoltura che genera lo swing. Come cantante, Louis Armstrong adotta la stessa impostazione. La sua voce rauca e velata si piega perfettamente alle volonta` di un musicista d’eccezione. Si notera` che, come i grandi cantanti di blues o di flamenco, Armstrong non tiene conto della struttura intima delle parole scelte in quanto tali. Accorciando o allungando le sillabe a suo piacimento, disprezzando gli imperativi dell’accentazione tonica, egli sfrutta solo le proprieta` strettamente musicali delle parole. Come tutti i jazzisti della sua generazione, Louis Armstrong e`, innanzitutto, uno specialista della perifrasi. Quando, come per Fats Waller e altri, gli viene imposta dai produttori di-

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scografici l’interpretazione delle peggiori canzoni di moda, Armstrong sapra` trasfigurarle fin dalle prime battute. Con l’aiuto di sfalsamenti sottili e insoliti, di accentazioni impreviste, egli da` vita, in qualche modo, a temi che ne erano sprovvisti. Kiss Of Fire, Ramona, La Vie en Rose, C’est si bon o il celebre Hello Dolly, per esempio, diverranno, grazie al suo genio, delle autentiche opere jazz, con un eccezionale swing. E` cosı` che prima di arrivare all’improvvisazione propriamente detta – che sara` sempre molto vicina alla trama originale – Louis Armstrong imporra` il suo metodo. Si puo` quindi affermare che tutti i musicisti jazz hanno piu` o meno subito la sua influenza e che i suoi seguaci sono innumerevoli. Certamente e` un peccato che a volte si sia circondato di partner non degni di lui e che, istigato dal suo manager, si sia lasciato talvolta andare, soprattutto verso la fine della sua carriera, a un esibizionismo esagerato. Rimane il fatto, comunque, che Louis Armstrong ha inciso alcuni dei capolavori di tutti i tempi che hanno nobili[M.L.] tato il jazz. Con King Oliver: Chimes Blues, Tears (1923); Clarence Williams: Pickin’ On Your Baby, Cake Walkin’Babies (1925); Heebies Jeebies, Cornet Shop Suey (1926), Wild Man Blues, Potato Head Blues (1927), St James Infirmary, Tight Like This, West End Blues (1928), When You’re Smiling (1929), My Sweet (1930), Sweathearts On Parade, Shine, Lazy River, All Of Me (1931), That’s My Home (1932), Mahogany Hall Stomp, Basin Street Blues (1933), Public Melody nº 1, Yours And Mine (1937), You’re A Lucky Guy (1939), Cain And Abel (1940), Hey Lawdy Mama (1941), Cash For Your Trash (1942), Joseph And His Brudders, Back O’Town Blues, Where The Blues Were Born In New Orleans, Endie (1946), Someday, Royal Garden Blues (1947), C’est si bon (1949), Yellow Dog Blues, Bye And Bye (1954), «Musical Autobiography» (1956-57); It Don’t Mean A Thing (Ellington, 1961).

ARNOLD, Billy (William) Pianista e direttore d’orchestra statunitense (New York, 1886 - 1954). I fratelli

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ARODIN

Arnold – Billy il pianista e Henry il sassofonista – restano sconosciuti in patria, ma furono tra i primi a diffondere il jazz in Europa. Dal 1919 al 1932 si esibirono con le loro orchestre in Inghilterra e soprattutto in Francia, dove godettero della pubblicita` che gli fecero i giovani musicisti (Darius Milhaud, Jean Wiener) o gli scrittori (Jean Cocteau), e dove divennero gli idoli delle stazioni balneari di moda (Le Touquet, Cannes...). Dopo il tentativo di formare una grande orchestra (1928-32), Billy Arnold ripartı` per gli Stati Uniti dove sembra aver abbandonato completamente la musica. Suo fratello resto` in Francia durante la prima meta` degli anni ’30, diresse piccoli gruppi e lavoro` con alcune grandi formazioni. Lasciata l’imitazione dell’Original Dixieland Jazz Band praticata a Londra (1919-21), una volta arrivata in Francia l’orchestra di Billy Arnold si costruı` un’estetica piu` raffinata, basata soprattutto su arrangiamenti gia` di per se´ complessi, eseguiti da bravi solisti (il trombettista Charles F. Kleiner e il trombonista Billy Trittle). I Billy Arnold furono dunque, con i Mitchell’s Jazz Kings, tra i piu` antichi e regolari diffusori della musica ‘‘hot’’ in [D.N.] Europa. Stop It (1920), Louisville Lou, Virginia Blues, Runnin’ Wild (1923).

ARODIN, Sidney (ARNONDRIN) Clarinettista, sassofonista e compositore statunitense (Westwego, Louisiana, 29/3/ 1901 - New Orleans, Louisiana, 6/2/ 1948). Avendo studiato clarinetto a quindici anni, diventa in breve tempo un musicista di professione sulle riverboats. Arriva a New York nel 1922 con l’Original New Orleans Jazz Band che lascia tre anni dopo, passando poi da una formazione all’altra: New Orleans Rhythm Masters (1926), New Orleans Harmony Kings (1927), Wingy Manone (1927), prima di tornare a New Orleans. E` a Kansas City nel 1933, a New York con Louis Prima nel 1934, ma poi torna in Louisiana dove dirige la sua orchestra al Puppy House (1939-41) fino a che la malattia non lo

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ARPA

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costringe a rallentare l’attivita`. Cio` nonostante riprende a lavorare su un battello ma non potra` andare oltre St Louis. A lui si deve la composizione, in collaborazione con Hoagy Carmichael, di Lazy River (1931). Clarinettista dalla tecnica perfetta, i suoi assolo risentono spesso dello stile creolo e non mancano di ispirazione. [J.P.D.] Duet Stomp (Jones And Collins, 1929); Royal Garden Blues (Wingy Manone, 1934); Tin Roof Blues, Jazz Me Blues (NORK, 1934); That’s Where the South Begins (Prima, 1934).

Arpa Strumento cordofono a pizzico con estensione di sei ottave e mezzo. La sua coloritura lieve e delicata ha destato l’interesse degli arrangiatori di jazz sin dagli anni ’30: Casper Reardon (1907-41), pioniere in materia, fu impiegato gia` dal 1934 da Jack Teagarden. Uno dei primi, Eddie Sauter, ha utilizzato le competenze di Adele Girard. Negli anni ’50 si ritrova Verlyle Mills nelle registrazioni di Charlie Parker con orchestra d’archi. In quest’epoca due donne vanno segnalate per alcune buone improvvisazioni: Corky Hale nell’orchestra di Harry James (la si ritrova anche con Herbie Harper nel 1955) e Dorothy Ashby con le formazioni di Louis Armstrong e Woody Herman. Nelle grandi orchestre di Dizzy Gillespie e Oscar Pettiford l’arpa e` utilizzata come strumento di coloritura e non come solista. Betty Glamann (Wellington, Kansas, 21/5/1923), che suona con Pettiford e Duke Ellington, partecipera` anche a un album di Kenny Dorham (1957). Negli anni ’60 Alice Coltrane, pianista di formazione classica e spinta all’utilizzo dell’arpa dal marito John, da` un contributo considerevole al free jazz, grazie a un uso non convenzionale dello strumento, ispirato soprattutto alle risonanze delle corde simpatiche del sitar e di altri strumenti cordofoni indiani. [P.B., C.G.] C. Hale: I’m Old Fashioned (H. Harper, 1955); B. Glamann: But Beautiful (K. Dorham, 1957), I Remember Clifford (O. Pettiford, 1957), Django (Miles Davis-Michel

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44 Legrand, 1958); D. Ashby: Aeolian Groove (1957), Bohemia After Dark (1958); A. Coltrane: Peace On Earth (J. Coltrane, 1966).

Arrangiamento Architettura musicale che organizza, per un dato pezzo, il ruolo dei vari strumenti o sezioni di strumenti di un’orchestra. E` la realizzazione di una polifonia piu` o meno complessa destinata a ‘‘mettere in suoni’’ (con lo stesso significato di ‘‘mettere in scena’’) una melodia che serve da punto di partenza; una scrittura, quindi, sviluppata in modo orizzontale (contrappunto), ma soprattutto in maniera verticale, con gli accordi che sostengono la melodia (armonizzazione). Nel jazz, ‘‘arrangiamento’’ e` quasi sempre sinonimo di ‘‘orchestrazione’’. Ma puo` andare oltre: alcuni arrangiamenti non si accontentano di modellare (o modificare) la tavola degli strumenti e di regolare la distribuzione delle linee sulla gamma orchestrale, ma possono modificare il tempo, il ritmo, l’andamento di una composizione e renderla completamente diversa e talvolta irriconoscibile (la riscrittura di I Love Paris di Marty Paich, in big band; o quella di Tiger Rag di Barney Kessel, in piccola formazione). L’arrangiamento occupa un posto importante nel jazz. L’arrangiamento orale (ingl. head arrangement) e` un susseguirsi di convenzioni (unisono, riff ecc.) trovate dai musicisti, memorizzate senza ricorrere alla scrittura, come avviene per esempio con il Count Basie degli inizi. L’arrangiamento scritto e` piu` vicino alla nozione classica di orchestrazione con la preparazione di un tema principale e di parti staccate, destinate a ogni musicista. Questa organizzazione non esclude affatto l’improvvisazione dei solisti – questi intervengono nelle ‘‘finestre’’ che vengono predisposte nel tessuto musicale – mentre assicura la sistemazione e il buon svolgimento di un background orchestrale concepito per valorizzarli. Per le formazioni importanti, le varie parti – le sezioni – sono scritte, e l’arrangiatore adattera` quindi il tema (o i temi) preesi-

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stente ai suoi interpreti e solisti: scelta del tempo, struttura ecc. Uno stock arrangement e` un arrangiamento generico, pubblicato in linea di massima dalla casa editrice del pezzo arrangiato e destinato a essere suonato per il ballo da qualunque orchestra (Fletcher Henderson ne ha fatto largo uso). Alcuni stock arrangements sono concepiti per essere suonati da una formazione elastica, aggiungendo o eliminando degli strumenti. Si tratta di arrangiamenti cosiddetti ortofonici. Un arrangiamento costituito solo da ritocchi per passare da una forma strumentale a un’altra si chiama adattamento. L’arrangiamento di un pezzo di big band per piccola formazione e` detto riduzione. L’arrangiamento si colloca percio`, in ordine cronologico, dopo la composizione, sebbene il limite tra i due campi sia talvolta estremamente labile e gli arrangiatori siano creatori di jazz almeno quanto i compositori, quando non si tratti delle [P.B., C.G., Ph.B.] stesse persone. Arrangiatore Musicista che scrive arrangiamenti e orchestrazioni. La maggior parte degli arrangiatori di jazz sono polistrumentisti, alcuni dei quali sono piu` famosi come solisti: Benny Carter, Dizzy Gillespie, Gerry Mulligan. Si tende a mettere l’accento sugli arrangiamenti scritti per big band e a occultare quelli concepiti per trio o quintetto, ma John Lewis per il Modern Jazz Quartet e` arrangiatore quanto Gil Evans. D’altronde nel jazz e` molto raro trovare un musicista che non abbia mai composto un pezzo, scritto un arrangiamento o partecipato all’elaborazione di un arrangiamento orale, anche solo fornendo l’idea di un semplice riff. I precursori. Se l’arrangiamento del jazz ha talvolta dei legami lontani con la musica delle enormi brass band di John Philip Sousa (incisioni dal 1897) e Arthur Pryor, o le orchestrazioni di ragtime (William H. Tyers), esso si diffonde comunque con l’apparizione (molto presto, negli anni ’10) delle prime orchestre di ballo di qualche importanza (Jim Europe, Art

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ARRANGIATORE

Hickman, Isham Jones ecc.) e gode dell’infatuazione per il fox-trot. Cio` nonostante, le riviste musicali avevano permesso ad alcuni musicisti di farsi le ossa alla fine del XIX secolo – e dal 1898 per i neri – con Clorindy, or The Origin Of The Cakewalk, il primo spettacolo completamente nero, diretto da Will Marion Cook. Tra questi, ricordiamo Joe Jordan e soprattutto Will Vodery, che dara` delle nozioni di orchestrazione al suo ammiratore Duke Ellington e diverra` nel 1929 il primo arrangiatore e direttore musicale nero di Hollywood. Jazz classico. Jelly Roll Morton e` l’unico arrangiatore importante dello stile New Orleans. Deane Kincaide fa passare il dixieland dal combo alla grande orchestra con Bob Crosby. Nel jazz degli anni ’20 e ’30 Ferde Grofe´ , Bill Challis, Lennie Hayton, Fud Livingston sono gli arrangiatori bianchi che gravitano attorno alle orchestre di Paul Whiteman, Jean Goldkette, Frankie Trumbauer, Don Redman, John Nesbitt, Benny Carter, Fletcher Henderson, suo fratello Horace Henderson, Charlie Dixon hanno arrangiato per l’orchestra di Fletcher Henderson o per i McKinney’s Cotton Pickers; Alex Hill, Buster Smith, Eddie Durham, Edgar Battle, Edgar Sampson, Chappie Willet, Duke Ellington, Billy Strayhorn, Dick Vance, Andy Gibson, Jimmy Mundy, Buster Harding, Buck Clayton, Tab Smith, Skip Martin, Mary Lou Williams, Sy Oliver, Edwin Wilcox, Willie Smith, Charlie Shavers, Will Hudson, Glenn Miller, Bill Finegan, Billy May hanno scritto arrangiamenti per le orchestre del periodo swing. Bobby Plater, Milt Buckner, Jimmy Jones, Budd Johnson, Wild Bill Davis, Ernie Wilkins, Nat Pierce, Frank Foster hanno continuato la tradizione ben oltre gli anni ’40. Jazz moderno. Tadd Dameron, Dizzy Gillespie, John Lewis, Gil Fuller per il periodo bebop; Johnny Carisi, George Handy, Claude Thornhill, Gil Evans, Gerry Mulligan, Eddie Sauter, Gunther Schuller, George Russell, Ralph Burns, Manny Albam, Bob Brookmeyer, Jimmy Giuffre, Al Cohn, Pete Rugolo, Lennie

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ART ENSEMBLE OF CHICAGO

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Niehaus, Bill Russo, Bill Holman, Johnny Richards, Chico O’Farrill, Lalo Schiffrin, Johnny Mandel, Marty Paich, Neal Hefti, Gerald Wilson, Shorty Rogers, Gary McFarland per il cool, West Coast e Third Stream; Charles Mingus, Gigi Gryce, Quincy Jones, Oliver Nelson, J.J. Johnson, Slide Hampton, Billy Byers, Benny Golson rappresentano il periodo funky e hard bop; Russell Garcia, Nelson Riddle, Claus Ogerman hanno lavorato molto dietro i cantanti; mentre hanno lavorato per il cinema e la televisione Henry Mancini, molto apprezzato dai jazzisti, Michel Legrand, Gene Puerling, mago dell’arrangiamento vocale (Hi-Lo’s, Singer Unlimited); dopo il 1970 bisogna ricordare Sam Nestico, Hank Levy, George Duke, Ian Hammer, Thad Jones, Francy Boland, Mike Gibbs, Bob Moses, Herbie Hancock, Chick Corea, Rob McConnell, Don Sebesky, Joe Zawinul, Toshiko Akiyoshi, Bob Mintzer, Carla Bley, Jim McNeely, Vince Mendoza, Maria Schneider. Gli arrangiatori hanno ceduto quasi tutti alla tentazione di mettere su una propria big band, necessario laboratorio per le loro ricerche, che ha loro permesso anche di farsi conoscere dal pubblico. Effettivamente nel jazz il compositore e l’arrangiatore non hanno il prestigio del solista, tanto piu` che non sono necessariamente presenti quando vengono eseguite le loro opere; eppure sono loro che, spesso, modellano il suono di un’orchestra. Molti arrangiatori si sono lasciati tentare da lavori commerciali (televisione e cinema) piu` redditizi e hanno abbandonato il jazz. Alcuni di loro, ancora affetti dal virus dello swing, tornano alla ribalta in genere come strumentisti, come per esempio Benny Carter o Benny Golson. f anche Arrangiamento – Cinema. [Ph.B.]

(Bowie, Favors e, alla batteria, Robert Crowder). Ma e` a Parigi che verra` registrato, nel giugno 1969, il primo disco dell’Art Ensemble of Chicago in quanto tale, dato che al quartetto iniziale BowieFavors-Jarman-Mitchell si era aggiunto Don Moye, primo batterista regolare del gruppo dopo Phillip Wilson, durante l’estate del 1970. Da allora, l’AEOC ha aumentato piu` volte il numero dei componenti con Fontella Bass (1970), Muhal Richards Abrams (1973-74) o Cecil Taylor (1984). Alla fine del 1971 il quintetto torna negli Stati Uniti. L’abbandono (e poi il rientro) di Joseph Jarman e la morte prima di Lester Bowie e poi di Malachi Favors non hanno intaccato lo spirito del gruppo, che continua la sua attivita` con nuovi e piu` giovani membri: il trombettista Corey Wilkes e il bassista Jaribu Shahid. Esempio dei principi dell’AACM, il gruppo di Chicago e` degno di nota anche per la sua longevita`. Una tale durata, eccezionale per una formazione moderna, e` dovuta sia alla grande diversita` delle attivita` al di fuori dell’AEOC dei membri del gruppo, sia soprattutto alla varieta` del repertorio collettivo. Illustrando ed esplorando tutte le fasi e tutte le possibilita` della ‘‘grande musica nera’’, l’Art Ensemble mischia o alterna storia e attualita` del jazz, riferimenti e parodie, serio e faceto, facendo uso del teatro (trucco, travestimento, mimo, testi) e di un vero e proprio instrumentarium acustico simile a un museo di etnomusicologia. Il risultato e` uno scontro sorprendente di personalita` e di stili, un’arte di raccogliere gli estremi, una gioiosa rabbia enciclopedica di rincollare i pezzi del jazz, con un’esplosione [P.C.] di musica e storia.

ART ENSEMBLE OF CHICAGO Gruppo derivato dall’AACM alla fine degli anni ’60, configurato inizialmente (1967) da un quartetto che riuniva, attorno a Lester Bowie, Joseph Jarman, Malachi Favors e Roscoe Mitchell e, l’anno seguente, dal Roscoe Mitchell Art Ensemble

«Message To Our Folks» (1969), «Les Stances a` Sophie» (1970), «Fanfare For The Warriors» (1973), Charlie M (1980), «Naked» (1986), «The Alternate Express» (1989); «Live at the 6th Tokyo Music Joy» (1990); «Coming Home Jamaica» (1998); «Tribute to Lester» (2003); The Meeting (2003); «Sirius Calling» (2005); «Non-Cognitive Aspects of the City» (2006).

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Articolazione Combinazione delle legature e degli attacchi utilizzati per l’interpretazione di una frase. Va dal legato (tutte le note sono legate tra loro) allo staccato (ogni nota e` staccata dalla precedente). L’articolazione dipende dalla velocita` di esecuzione, dalle possibilita` tecniche dello strumento (e dello strumentista), e dall’effetto ricercato. Per tutti gli strumenti, le possibilita` di articolazione piu` ricorrenti sono: la frasi legate; lo staccato; le ghost notes (note fantasma), o note suggerite (note impercettibili che si risolvono su note accentate e annotate tra parentesi); i vari piccoli glissando verso l’alto: smear, slur, flare, doit, e verso il basso: dropped note (o spill, fall, fall off, fall away), plop; il vero e proprio glissando (stesso principio, ma su un’estensione maggiore); il flip (la nota viene fatta salire e poi scendere verso la nota seguente); il bend (la nota viene fatta scendere e poi salire rapidamente al punto di partenza); il trillo; le appoggiature; il vibrato, elemento importante del jazz; gli armonici; il mordente (un trillo precipitato con un solo intervallo). Per gli strumenti a fiato, ci sono altre possibilita`: il colpo di lingua doppio o triplo, realizzato con la combinazione delle consonanti ‘‘T’’, ‘‘D’’ e ‘‘K’’; il flutter tongue (rotazione rapida della lingua contro il palato); il growl (grugnito); i vari trilli: shake, handshake, lip trill (con la tromba), trillo effettuato senza l’uso dei [P.B., C.G., Ph.B.] pistoni. ARVANITAS, Georges Pianista e organista francese (Marsiglia, 13/6/1931 - Parigi, 25/10/2005). Studia pianoforte classico dai cinque ai diciotto anni, poi accompagna i musicisti di passaggio nella sua citta` natale: Don Byas, Buck Clayton, James Moody. Debutta a Parigi nel 1952, al Tabou, e poi al Trois Mailletz al fianco di Mezz Mezzrow, Albert Nicholas, Bill Coleman. Riceve il premio Django Reinhardt dell’Accademia del jazz nel 1959, poi soggiorna a piu` riprese negli Stati Uniti: nel 1964-65,

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ASHBY

quando suona e incide con Ted Curson e Yusef Lateef, e poi nel 1966. In seguito, con il contrabbassista Jacky Samson e il batterista Charles Saudrais, forma un trio regolare che accompagna la maggior parte dei musicisti di passaggio in Francia, da Dexter Gordon a Roland Kirk passando per Sonny Stitt. Incide con Michel Attenoux, Guy Lafitte, Cat Anderson, i Double Six, Don Byas, Sonny Criss, Bill Coleman, Buddy Tate, Barney Kessel, Anita O’Day, Ted Curson, Ben Webster, Dexter Gordon, Yusef Lateef, Frank Wright, Bud Freeman, Chris Woods, Claude Guilhot, Pepper Adams, David Murray... e sotto suo nome. Formatosi all’ascolto di Bud Powell, usa i rivolti di accordi esaltati da Bill Evans e si preoccupa di arricchire ritmicamente il fraseggio con l’uso di accenti insoliti. La sua conoscenza del jazz classico gli fa considerare prioritaria la nozione di swing, cui si aggiunge un senso acuto della forma blues che egli interpreta in maniera brillante. [X.P.] Bluesy Blues (1959), Mister X (1960), Colchiques dans les pre´s (1969); Prelude To A Kiss (Webster, 1972); Con alma (1973), Monk’s Medley (1976); Reverend Blues (Wright, 1977); Night In Tunisia (1986); «The Ballad Artistry of David Murray» (1990); «Joue George Gershwin» (1993).

ASHBY, Harold Kenneth Sassofonista tenore e clarinettista statunitense (Kansas City, Missouri, 27/3/1925 New York, 13/6/2003). Il suo primo strumento e` il clarinetto, che abbandona per il sax tenore durante il servizio militare in marina. Debutta nell’orchestra di Tommy Douglas, e lo ritroviamo in formazioni specializzate nell’accompagnamento di musicisti blues a Chicago. Va a New York a lavorare con Mercer Ellington e poi, nel 1961, con Count Basie. A partire dal 1963, lavora per brevi periodi nell’orchestra di Duke Ellington che lo scrittura definitivamente il 2 luglio 1968 per sostituire Jimmy Hamilton. Resta nella formazione dopo la morte di Duke, quando suo figlio, Mercer, ne assume la direzione. Questo non gli impedisce, di tanto in

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ASHBY

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tanto, di esibirsi con il suo quartetto, o insieme a vari gruppi, come la Newport Jazz Festival All Stars di George Wein, che lo porta in tourne´e attraverso l’Europa dal 1986. Nel 1990 registra per l’etichetta olandese Criss Cross con una ritmica moderna (Mulgrew Miller, Rufus Reid, Ben Riley). A meta` strada tra il languore inebriante di Ben Webster e la foga esacerbata di Paul Gonsalves, la tranquilla sicurezza di Harold Ashby rappresenta l’equilibrio che si addice ai migliori compagni del Duca. [A.C.]

Con Ellington: Wanderlust (1969), In Triplicate (1969), Blem (1972), Naturellement («Togo Brava Suite», 1971), The Brotherhood (1973), What Am I Here For (1990).

ASHBY, Irving Chitarrista statunitense (Someville, Massachusetts, 29/12/1920 - Perris, California, 22/4/1987). Impara prima a suonare l’ukulele, poi segue i corsi del New England Conservatory di Boston. Nel 1940 viene scritturato da Lionel Hampton, col quale resta due anni. Partecipa al fianco di Fats Waller alle riprese del film Stormy Weather (1943). Conosce la notorieta` a partire dal 1947, quando sostituisce Oscar Moore nel King Cole Trio con il quale arriva in Europa (1950). La formula del trio sembra fatta apposta per lui, dato che lo ritroviamo in quello del pianista Gerry Wiggins, e poi nel team del JATP (di cui faceva gia` parte del 1946) e, dal 1952, nel gruppo di Oscar Peterson. Durante gli anni ’60 si dedica all’insegnamento della chitarra. Irving Ashby e`, in modo quanto mai evidente, un discepolo di Charlie Christian che ha pero` saputo riformulare sul suo strumento la lezione parkeriana. Si apprezza la sua meticolosita` mordente e soprattutto il suo senso dello swing. [A.C.] Fiddle Dee Dee (Hampton, 1940); Moppin’ And Boppin’ (Fats Waller, 1943); New Lester Leaps In (Lester Young, 1945); JATP Blues (1946); Just You, Just Me, One

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O’clock Jump (1947); Lilette (King Cole, 1947); Willow Weep For Me (Oscar Peterson, 1952); Roll ’Em Pete (Basie-Turner, 1974); «Memories» (1976).

ASMUSSEN, Svend Violinista e cantante danese (Copenhagen, 28/2/1916). Comincia lo studio del violino a sette anni ed entra in breve tempo nel mondo della musica professionale, dato che nel 1933 dirige gia` un piccolo gruppo jazz che comincia a incidere l’anno dopo. Nel 1938 fa parte del gruppo che accompagna i Mills Brothers nella loro tourne´e europea. Suona anche con Josephine Baker (1938) e Valaida Snow (1939). Dopo la guerra le sue attivita` risentono piu` della varieta` che del jazz ortodosso, per esempio con il trio The SweDanes, formato nel 1959 con il chitarrista Ulrich Neumann e la cantante Alice Babs, che ebbe un discreto successo durante una tourne´ e negli Stati Uniti. Ma Svend Asmussen e` tornato spesso al jazz, a capo di piccoli gruppi, suonando in Medio Oriente, in Africa, in Francia (festival di Antibes, 1965; Me´morial Django Reinhardt, Samois 1978; con Ste´phane Grappelli, 1987). «The Fiddlin’ Viking», come e` stato spesso soprannominato al suo esordio, unisce alla tecnica di Eddie South il dinamismo di Stuff Smith. Eleganza, finezza e anche umorismo caratterizzano questo showman, cantante pieno di spirito, che suona anche il pianoforte, il vibrafono, la [A.C.] chitarra e il contrabbasso. Some Of These Days (1940); Lonesome Road (1946); «European Encounter» (con John Lewis, 1962); «Violin Summit» (1966); «Toots & Swend» (con Toots Thielemans, 1972); «Resource» (con Ed Thigpen, 1983).

Assolo f Solo. Atlantic Casa discografica indipendente statunitense, fondata nel 1947 da Ahmet Ertegun (Istanbul, 31/12/1923 - New York, 14/12/

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2006, figlio di un ambasciatore turco a Washington), che annovera fin dall’inizio numerosi musicisti jazz (Eddie Safranski, Rex Stewart, Erroll Garner...) e si specializza nel rhythm and blues. I successi di Ray Charles, Lavern Baker, Ruth Brown non impedirono affatto a Nesuhi Ertegun (Istanbul, 26/11/1917 - New York, 15/7/ 1989, fratello del fondatore) di produrre dalla meta` degli anni ’50, e in stereo, un catalogo di jazz di grande importanza: il Modern Jazz Quartet, Lee Konitz, Lennie Tristano, Thelonious Monk (in compagnia dei Jazz Messengers), Ornette Coleman, John Coltrane, Charles Mingus, Art Farmer, Jimmy Giuffre, Roland Kirk, Duke Ellington, Charles Lloyd, Freddie Hubbard, Gary Burton, Keith Jarrett, Gil Evans, Billy Cobham, Jean-Luc Ponty... Gli album Atlantic di Ornette Coleman (tra cui il famoso «Free Jazz») e di John Coltrane hanno segnato una tappa decisiva nell’evoluzione delle forme jazzistiche durante gli anni ’60. Allo stesso tempo, la Atlantic ha prodotto con enorme successo molti artisti di musica soul (Aretha Franklin, Otis Reding, Wilson Pickett...) oltre a una lista impressionante di gruppi rock, dai Led Zeppelin agli AC/DC. Divenuta una major company, la Atlantic si e` unita a Warner Bros, Elektra e Asylum nel gruppo WEA. Nesuhi Ertegun vi ha comunque continuato a rivestire le cariche piu` alte, dirigendo contemporaneamente la Federazione internazionale delle industrie discografiche. Nel 1988, Ertegun ha creato una nuova societa` indipendente, la East-West Records. Nel corso degli anni la Atlantic ha sviluppato etichette secondarie, come Atco, Cat, Cotillion, ma nel campo del jazz ha cessato le nuove produzioni, accontentandosi di gestire i suoi archivi sotto forma di riedi[X.P.] zioni. Atonalita` Sistema di scrittura musicale basato sull’abbandono del sistema tonale che consacrava la preminenza della tonica – punto di riferimento del discorso melodico e armonico – le leggi della cadenza e

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AULD

la gerarchia degli accordi. Il sistema atonale ignora la polarita` tonale, dichiara equivalenti i dodici toni della gamma cromatica e instaura l’autonomia degli accordi. Secondo Scho¨nberg, che ha elaborato questo sistema, non restano che ‘‘vaghi accordi’’ che non appartengono a nessuna tonalita` precisa. L’atonalita` e` sfociata nel dodecafonismo e poi nel serialismo. Il jazz e` una musica tonale ma, come la musica dotta europea, porta in se´ i germi di una possibile evoluzione verso l’atonalita`. Forme atonali sono apparse relativamente presto. La musica di Charlie Parker e` tonale, ma il suo ricorso ai cromatismi, alle gamme alterate, alle quinte e alle none minori apre le porte alla diluizione della tonalita` che si ritrova nei musicisti influenzati da Parker: Lennie Tristano, Jimmy Giuffre (Alternation, Fugue), Andre´ Hodeir (Paradoxe I e II), George Russell (Ezz-Thetic). [P.B., C.G.] Attacco Azione di suonare una nota segnando chiaramente il suo inizio (accento digitale o colpo di lingua a seconda dello strumento). Una nota si divide percio` in due parti: il suo attacco e la risoluzione. Se si passa da una nota all’altra senza attacco, si parla di legato. La qualita` dell’attacco costituisce un criterio strumentale essenziale, ma mentre nella musica classica si ricerca essenzialmente la purezza, la nitidezza, la perfezione dell’attacco, nel jazz conta l’originalita` e l’espressivita`. Musicisti dall’attacco notevole sono Earl Hines (pf), Johnny Griffin (tsax), Charlie Shavers (tr), Django Reinhardt (chit), [P.B., C.G.] Lester Bowie (tr)... AULD, Georgie (John ALTWERGER) Sassofonista (tenore, alto e soprano) e direttore d’orchestra statunitense (Toronto, 19/5/1919 - Palm Springs, California, 8/1/1990). Studia l’alto in Canada e arriva a Brooklyn nel 1929. Due anni dopo ottiene la borsa di studio legata al nome del sassofonista virtuoso Rudy Wiedoeft. Ascolta Coleman Hawkins, passa al tenore nel 1935-36 e ottiene la

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AUSTIN

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prima scrittura al Nick’s Cafe´, a New York. Entra da Bunny Berigan (1937-38) come primo sassofono. Scritturato da Artie Shaw nel 1938, l’abbandono di quest’ultimo nel 1939 gli offre l’occasione di dirigere per breve tempo la formazione. Al suo scioglimento, Auld entra da Jan Savitt (1940) poi, nel novembre, da Benny Goodman, dove suona e incide con Cootie Williams, Charlie Christian, Jo Jones, Count Basie. Partecipa alla Benny Carter All Stars Orchestra che accompagna Billie Holiday in alcuni spettacoli nel 1940. Alla sua ricostituzione, nel 1941, riprende il suo posto nell’orchestra di Shaw. Nel 1942, nuovo scioglimento della formazione. Si esibisce con un suo gruppo prima di entrare nell’esercito per breve tempo (1943). Nell’autunno del 1943 forma una big band sul modello di Basie. Nel 1945 incide con Dizzy Gillespie, Trummy Young, Al Killian, Joe Albany, Serge Chaloff, Al Porcino. Manny Albam, Al Cohn o Neal Hefti sono spesso i suoi arrangiatori. Il successo non arriva; un problema ai polmoni lo obbliga, nel 1946, a sciogliere l’orchestra e a lasciare New York. Nel 1947 lavora per breve tempo con Billy Eckstine. Nel 1949 mette su un’orchestrina e, allo stesso tempo, suona a Broadway per un anno (The Rat Race). Breve soggiorno nell’ottetto di Basie nel 1950, poi quintetto con Tiny Kahn, Lou Levy, Frank Rosolino (1950-51). Di nuovo malato, parte per la California dove apre un club, il Melody Room, e lavora negli studi di registrazione, lavoro che lo riporta a New York alla fine degli anni ’50. Si stabilisce a Las Vegas. Incide molto su sfondo di strumenti ad arco o accompagnato da un gruppo vocale. Nel 1956 ritorna con una formazione ispirata a Lunceford, poi con l’orchestra di Maynard Ferguson. Numerose registrazioni in Giappone dal 1964. Nel 1966 lo ritroviamo da Goodman; lavora con il cantante Tony Martin e gira alcuni film in Europa. E` il sassofonista della colonna sonora del film di Martin Scorsese New York, New York nel 1977. Nel 1983 ha registrato con l’orchestra di Les Brown.

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Auld e` un brillante sassofonista, dal suono forte e caldo e dallo swing solido. La sua grande scioltezza – che riflette forse le sue influenze (Hodges, Carter, Hawkins, poi Lester Young, Ben Webster, inflessioni bebop alla fine degli anni ’40 ecc.) – si rivolta spesso contro di lui. Ma e` anche un uomo di transizione, direttore di un’orchestra che, insieme ai grandi gruppi di Woody Herman o le formazioni di Krupa e Goodman, ha contribuito attivamente al passaggio dallo swing al bebop. Negli anni ’60 si avvicina a una certa [P.B., C.G.] etica getziana. Prisoner Song (B. Berigan, 1938); con B. Goodman: Good Enough To Keep, Breakfast Feud (1940); I Can’t Get Started, Concerto For Tenor (1944), Georgie Porgie (1945).

AUSTIN, Cuba Batterista statunitense (Charleston, West Virginia, 1906 circa - Baltimora, Maryland, anni ’60). Nasce come ballerino di tip tap, poi passa alla batteria e, nel 1926, fa parte dei McKinney’s Cotton Pickers. Nel 1931 diventa leader di uno dei due gruppi (gli Original Cotton Pickers) formatisi in seguito alla scissione dell’orchestra. Dal 1934 continua a esibirsi a Baltimora come free lance, senza pero` mai entrare a titolo definitivo in alcuna formazione stabile. Strumentista di pura tradizione New Orleans, e` mal servito dalla cattiva qualita` delle incisioni dell’epoca. [A.C.] Birmingham Breakdown (Chocolate Dandies, 1928).

AUSTIN, Lovie (Cora CALHOUN) Pianista e caporchestra statunitense (Chattanooga, Tennessee, 19/9/1897 Chicago, Illinois, 10/7/1972). Studia musica alla Roger-Williams University di Nashville e debutta professionalmente a Chicago, suonando nelle orchestre dei vaudeville e delle riviste, oppure accompagnando il numero di varieta` del suo secondo marito e partner. Agli inizi degli anni ’20 forma un piccolo gruppo, i Lovie Austin’s Blue Serenaders, che accompa-

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gna, per l’etichetta Paramount, molte cantanti di blues: da Ida Cox (1923) a Bertha Chippie Hill (1946) e Alberta Hunter (1961), passando per Ma Rainey, Ethel Waters, Edmonia Henderson, Viola Bartlett ecc. E` stata a lungo direttrice musicale in vari teatri di Chicago, poi insegnante privata in un corso di danza. Pianista modesta e riservata (i suoi assolo sono rari e senza grande rilievo), Lovie Austin ha saputo abilmente circondarsi di musicisti di prim’ordine tra cui il piu` in vista fu Tommy Ladnier. Ma bisogna citare anche Jimmy O’Bryant, Buster Bailey, Charlie Green, Johnny Dodds, Joe Smith e Kaiser Marshall. [A.C.] Steppin’ On The Blues (1924), Heebie Jeebies (1925).

AUSTIN HIGH SCHOOL GANG Orchestra costituita agli inizi degli anni ’20 dai giovani allievi dell’Austin High School di Chicago. Erano cinque musicisti bianchi: Jimmy McPartland (cnta), Bud Freeman (tsax), Frank Teschmacher (asax, cl), Dick McPartland (chit, bjo) e Jim Lanigan (cb), cui si aggiunsero ben presto Floyd O’Brien (trb) e Dave Tough (batt). Prendendo a modello l’orchestra dei New Orleans Rhythm Kings, suonando una musica collettiva, aiutati da un’eccellente tecnica individuale, hanno – sotto il nome di Blue Friars – gettato le [A.C.] basi dello stile di Chicago. AUTREY, Herman Trombettista, cantante statunitense (Evergreen, Alabama, 4/12/1904 - New York, 14/6/1980). Fa il suo esordio a quattordici anni nell’orchestra del padre, suonatore di tuba. Poi a Pittsburgh, si unisce a un’orchestra itinerante. Dirige il suo primo gruppo in Florida (1926). Entra nel gruppo di Doc Hyder a Filadelfia (1933) e arriva a New York con la formazione di Charlie Johnson, allo Smalls Paradise, dove viene scoperto da Fats Waller (1934). Collabora con Waller, ma lavora di tanto in tanto con Fletcher Henderson, Charlie Turner (1935), Claude Hopkins (1938-39), Stuff Smith (1941), Eddie

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AVENEL

Condon (1958), Leonard Gaskin (1961). Benche´ gravemente handicappato a causa di un incidente stradale nel 1954, continua la sua attivita` e fa una tourne´e in Europa con i Saints and Sinners (196769). Incide il suo ultimo disco nel febbraio 1978. Non e` un caso che Herman Autrey abbia conosciuto il suo periodo di maggior gloria al fianco di Fats Waller. In effetti, le loro impostazioni presentano delle evidenti similitudini. Come Fats, Herman sa essere al contempo tenero e forte. Dopo essersi accontentato di parafrasare la melodia, Herman si scatena nell’ultimo chorus dell’orchestra, ripetendo con forza una o due note che hanno il dono di stimolare e di mettere in risalto il back[M.L.] ground del pianista. Con Waller: Let’s Pretend There’s A Moon (1934), Dinah, 12 th Street Rag (1935), Don’t You Know Or Don’t You Care? (1937).

AVENEL, Jean-Jacques Contrabbassista francese (Le Havre, 16/6/ 1948). Suonatore dilettante di chitarra (classica ed elettrica) e bibliotecario, scopre il jazz attraverso il suo professore e il contrabbasso, perche´ mancava un contrabbassista. 1972: Steve Lacy viene ad animare uno stage e a dare una serie di concerti a Le Havre con un gruppo ritmico locale; l’unico contrabbassista disponibile e` Avenel. Evidentemente fu un incontro decisivo: Avenel si trasferisce a Parigi e compra un contrabbasso. Kent Carter gli procura la prima scrittura: sostituire Beb Gue´rin al fianco della cantante Colette Magny. Si unisce al Newton Experience dei fratelli chitarristi Henri-Claude e Robert Portal (e partecipa cosı` al suo primo disco), al complesso formato da strumenti a corda Pinch – con Carter, Ire`ne Aebi – e non rifiuta nessuna delle avventure free che gli vengono proposte (da Raymond Boni, i sassofonisti Claude Bernard, Mototeru Takagi, Noah Howard, Daunik Lazro, il vibrafonista Alain Pinsolle, il trombettista Itaru Oki, Franc¸ois Tusques e il collettivo Le Temps des Ceri-

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AYERS

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ses). Agli inizi degli anni ’80 succede a Carter al fianco di Lacy. Nel 1987 e` anche nel quartetto del batterista Jean-Louis Me´chali. Appassionato di corde e di tutto cio` che e` possibile farci (legni, archetto, tutti i registri), in tutte le loro manifestazioni (koto, cheng, kora...), pizzicate, strofinate o percosse, Avenel si distingue al contrabbasso per l’attacco netto unito al suono pieno, il gusto del canto e, all’occasione, un’attua[P.C.] lizzazione del walking bass. Duo 1/Part B (Lazro, 1979); The Smile (Lacy, 1985); «Eclaircie» (1986); «Waraba» (2007).

AYERS, Roy E. Jr. Vibrafonista e cantante statunitense (Los Angeles, California, 10/9/1940). Studia pianoforte con la madre, armonia alla Jefferson High School e perfeziona le sue conoscenze musicali al Los Angeles City College. Dal 1958 comincia a suonare nella sua citta` e nei dintorni, con Phineas Newborn, Curtis Amy, Teddy Edwards, Leroy Vinnegar, Vi Redd. Nel 1963 forma un quartetto con Hampton Hawes. Dopo aver fatto parte della big band di Gerald Wilson e del quartetto di Jack Wilson, dirige nuovamente delle piccole formazioni. Poi viene scritturato da Herbie Mann (1966-70), forma i Roy Ayers Ubiquity, si volge al funky e al soul e, nella seconda meta` degli anni ’80, torna a una certa ortodossia jazz, in compagnia di Stanley Clarke, del percussionista M’tume e di Branford Marsalis. Virtuoso spettacolare, dalla modernita` moderata, influenzato agli inizi da Milt Jackson e Cal Tjader, Ayers e` notevole soprattutto per la forza della sua sensibi[P.C.] lita` melodica. «Daddy Bug» (1969), For You (1985).

AYLER, Albert Sassofonista (tenore, alto, soprano) e compositore statunitense (Cleveland, Ohio, 13/7/1936 - New York, 25?.11/ 1970). Appartenente a una famiglia della ‘‘black middle class’’, a dieci anni suona

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il sax alto nella banda dove suo padre e` tenore e che scorta i funerali a Cleveland. Sempre col padre, suona in duo in chiesa tutte le domeniche. A casa si ascoltano Illinois Jacquet, Lester Young, Charlie Parker e Wardell Gray. Segue, all’Academy of Music, i corsi di Benny Miller poi, alla John Adams High School, incontra Lloyd Pearson (che studia il tenore) e i due giovani suonano nel Lloyd Pearson Counts Of Rhythm. L’armonicista Little Walter lo sente in un bar e gli propone di ‘‘prendere la strada’’ con la sua formazione di rhythm and blues, i Jukes, per due estati di seguito. Ha sedici anni. Fa il servizio militare a ventidue anni in una Special Services Band, dove incontra Beaver Harris col quale suona di tanto in tanto. L’esercito lo spedisce in Francia (Orle´ans) dove suona nelle fanfare. Passa al sax tenore. Sempre con l’esercito visita Parigi, la Danimarca e la Svezia. Congedato nel 1961, raggiunge la California e poi Cleveland, ma il suo stile, che comincia ad affermarsi, non convince affatto. Deluso, mette da parte i soldi per andare in Svezia (1962). E` la` che realizza in trio il suo primo disco. Per la radio danese incide «My Name Is Albert Ayler» (1963), con Niels Bronsted (pf), Niels-Henning Ørsted Pedersen (cb) e Ronnie Gardiner (batt) e incontra, al Jazzhus Montmartre di Copenhagen, Don Cherry, Don Byas e Dexter Gordon ma soprattutto, qualche mese dopo, Cecil Taylor e Sunny Murray. E` la svolta della sua carriera. Tornato a New York, suona al Take Three di Greenwich Village con loro, piu` Jimmy Lyons e Henry Grimes. Nel 1964, con Murray, Grimes e il pianista Call Cobbs, incide degli spiritual senza trovare una casa discografica. Allora forma un trio con Gary Peacock e Murray e incide finalmente il suo primo disco statunitense per la ESP. Scontrandosi sempre con le stesse reticenze, riparte in tourne´e in Danimarca, con Don Cherry che si aggiunge a Peacock e Murray per formare l’Albert Ayler Quartet. Al suo ritorno forma un nuovo gruppo col fratello minore Donald alla tromba e Charles Tyler, Lewis Worrell e Murray (1965), che suona al Village Gate

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e alla Town Hall. Coltrane, che l’aveva sentito in Svezia e ne era rimasto colpito, diventa suo amico e fa di tutto per aiutarlo (infatti gli fa ottenere un contratto con la Impulse). Nel 1966 Michel Sampson (vl), Worrell (cb) e Ronald Shannon Jackson (batt) formano, con i due fratelli, l’Albert Ayler Quintet che torna nuovamente in Europa (con il contrabbassista Bill Folwell e Beaver Harris). Lo stesso anno, Ayler incide con Cherry, John Tchicai, Roswell Rudd, Peacock e Murray la musica del film New York Eye And Ear Control di Michael Snow. Con la morte di Coltrane (1967) – e secondo le sue ultime volonta` – i fratelli Ayler (con Richard Davis e Milford Graves) suonano al suo funerale Truth Is Marching In. Incontra Mary Parks (Mary Maria) che canta, compone e si unisce al suo gruppo nel quale suona anche il pianoforte, il soprano e l’arpa. Riunisce (1969) jazzisti (Bobby Few, Stafford James, Muhammad Ali) e musicisti rock blues (il chitarrista Henry Vestine) o funky (il batterista Bernard Purdie) per dei tentativi di ‘‘fusion’’ che non eliminano i malintesi di cui soffre la sua musica. Di nuovo in Francia nel luglio 1970, da` due storici concerti alla Fondation Maeght a Saint-Paul de Vence. Il 25 novembre 1970 il suo corpo viene ritrovato nell’East River. Morto annegato, dice la polizia. Aveva trentaquattro anni. Un destino folgorante quanto l’opera e la stessa vena artistica del musicista – e` una delle rare figure, nel jazz, di ‘‘artista maledetto’’ – e l’incomprensione che incontra quasi sistematicamente nel corso della sua breve carriera appaiono oggi all’altezza della sua novita`, radicalita` e importanza. Sorprende tutto in questa musica, luogo di esposizione di contraddizioni non risolte e di interi paradossi. Innanzitutto il suono di Ayler – che fece sognare Coltrane – riunisce come in nessun altro la potenza, la violenza, la durezza (usa delle ance di plastica, le piu` ‘‘dure’’, per l’esattezza, che hanno bisogno di una pressione di soffio estrema), la pienezza e l’immediatezza: dalla piu` grave alla piu` acuta, dalla piu` lenta alla piu` rapida, sono la gola, la bocca, la lingua (piu` che le

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AYLER

labbra) che fanno le note, dando l’impressione di mandare in cortocircuito lo stesso strumento e tutto il gioco delle chiavi. E ha anche un vibrato che non si sentiva piu` nel jazz, perche´ era stato spesso abolito per buon gusto. Un suono terribilmente carnale per una musica che fin dagli inizi si e` affermata come ‘‘soffio dello Spirito Santo’’. Ma questo vorrebbe dire dimenticare che nelle chiese dei neri, se lo spirito si manifesta, il corpo non resta immobile (in particolare la lingua, che batte e schiocca negli assalti e nei duelli del responsorio). Una dualita` che ritroviamo nella concezione totalmente ossessiva di ognuna delle composizioni, che giustappongono una melodia sempre semplice, ‘‘naı¨f’’ ha detto qualcuno, ridotta alla sua esposizione lineare, ballad o marcia dall’andamento militare nella tradizione delle prime fanfare, o litanie salmodiate e ripetute come i versetti degli spiritual, e delle improvvisazioni che sono dei veri e propri salti nel vuoto, senza struttura armonica ne´ tematica, e che fanno esplodere l’urgenza di dire, di gridare, con un bisogno di immediatezza, una rabbia espressionista senza eguali nel jazz. Cosı` questa musica, al di la` della parola straziante (e cosı` ‘‘sincera’’) di pace, d’amore e di spiritualita` che Ayler ripete con insistenza, in questa luce acuta che segna la fine quanto l’inizio, fa apparire il profondo divorzio – da cui il jazz deriva e che ha sempre tentato di conciliare – tra la fonte europea e la fonte africana. Come in Parker (l’altra grande voce mai riconciliata), emerge una travolgente verita` sul jazz che supera tutte le (spesso sublimi) formazioni di compromesso che fanno la [J.L.C.] storia di questa musica. I’ll Remember April (1962), Summertime (1963), When The Saints Go Marching In (1964), «Ghosts» (1964), Bells (1965), Truth Is Marching In (1966).

AYLER, Don (Donald) Trombettista e compositore statunitense (Cleveland, Ohio, 5/10/1942 - 21/10/ 2007). Come Albert, suo fratello maggiore di sei anni, comincia a suonare l’alto, poi il soprano (dotato di un’ancia

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da tenore con la speranza di suonare ‘‘come Coltrane’’), prima di optare per la tromba. Suona con Charles Tyler, al quale Albert ha affidato l’incarico di formarlo e di farne un musicista di professione. Con Tyler, infatti, integra il quintetto che il fratello fonda al suo ritorno in Europa nel 1965 e partecipa allo storico Bells del concerto alla Town Hall di New York. Nel 1966 prende parte alla tourne´e europea dell’Albert Ayler Quintet (Lo¨rrach e Parigi), di cui compone alcuni dei brani principali (Jesus, Our Prayer). Con la morte del fratello (1970) la sua carriera si interrompe per problemi psicologici e giudiziari, tranne qualche rara apparizione a Cleveland e, agli inizi degli anni ’80, in Italia (a Firenze, dove ha inciso quelli che sono gli unici tre dischi a suo nome, anche se sembra esistere il nastro di

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un LP realizzato negli anni ’60 per l’etichetta Jihad dello scrittore Leroi Jones e mai pubblicato). Ci voleva una tromba nelle fanfare di Ayler, e quella di Don ha saputo, per uno strano mimetismo fraterno, farsi eco del sassofono di Albert, non solo per raddoppiarlo nelle esposizioni ripetitive di motivi melodici (che funzionano come sistema di incantesimo a due voci, chiamata e risposta) ma anche per riprodurne, spiegarne, rilanciarne le convulsioni, le disarticolazioni, le vertigini. Le accelerazioni violente e sopracute della tromba di Don portano la musica del quintetto al suo punto di incandescenza e lanciano il grido fino a una specie di lacerazione, di la[J.L.C.] mento straziante. Con A. Ayler: D.C. (1965), «Bells» (1965), Jesus (1966); The African Song (1981).

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B BABASIN, Harry Contrabbassista e violoncellista statunitense (Dallas, Texas, 19/3/1921 - Los Angeles, California, 21/5/1988). Di padre armeno, compie i suoi studi nel North Texas State College, da dove escono anche Jimmy Giuffre, Gene Roland e Herb Ellis. Dopo aver debuttato al contrabbasso in orchestre locali, suona a New York nelle orchestre di Gene Krupa, Boyd Raeburn, Charlie Barnet. Nel 1945, in California, ritrova Raeburn e Benny Goodman al fianco dei quali compare nel film A Song Is Born. Suona ancora per breve tempo da Woody Herman, dirige il suo gruppo, The Jazz Pickers, ma si esibisce spesso come free lance con piccoli complessi della West Coast e, sempre piu` spesso, a Hollywood, per la radio e la televisione. Nel 1954 crea, col batterista Roy Harte, un marchio discografico purtroppo effimero: Nocturne. Tende a prediligere la velocita` e a suonare perlopiu` nel registro dei suoni acuti del contrabbasso, con una sonorita` quasi ‘‘sgrassata’’ che evoca la sua passione per il violoncello. Come molti suoi colleghi della West Coast, accompagna spesso in walking bass. Gli viene riconosciuta la paternita` dei primi interventi di violoncello pizzicato, con Dodo Marmarosa (Trade Winds, Dary Depart, 1974). [A.C.] Just You Just Me (1947); I Let A Song Go Out Of My Heart (Barney Kessel, 1953); Blues In The Closet (in duo con Oscar Pettiford, 1953).

BABS, Alice (Alice NILSON SJOBLOM) Cantante svedese (Kalmar, 26/1/1924). Figlia di un pianista e compositore, studia canto all’Accademia reale di Svezia poi sposa un cantante lirico. Nel 1949 rappresenta la Svezia al festival di jazz di Parigi e diventa la cantante piu` famosa del suo

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paese. Estende la sua attivita` al cinema, alla televisione, in teatro, e fa parte del trio The Swe-Danes, costituito nel 1959 da Svend Asmussen (vl) e Ulrich Neumann (chit). Fa una tourne´e negli Stati Uniti con un repertorio orientato piu` verso la canzone di varieta` che verso il jazz. Eppure, in occasione di un programma televisivo a Stoccolma nel 1963, Duke Ellington ha un colpo di fulmine per questa voce la cui purezza lo incanta. «Essa – dice Ellington – possiede tutto il calore, la gioia di vivere, il ritmo e il tragico che, secondo me, sono il segreto piu` profondo del jazz». Nel periodo in cui e` direttore artistico per l’etichetta Reprise, le propone di incidere con lui. Lo spettacolo avra` luogo a Parigi, su un repertorio ellingtoniano (1963). E` l’inizio di una collaborazione segnata dalla partecipazione della Babs ai Concerts of Sacred Music dati da Ellington (il secondo a New York, nel 1968, e il terzo a Londra, nel 1973). Non possiamo far altro che seguire Ellington nella sua ammirazione per Alice Babs, poiche´ questa voce limpida da soprano e` ornata da molte seduzioni: dizione meticolosa, articolazione sciolta, [A.C.] registro esteso, timbro caldo. Con Ellington: «Serenade To Sweden» (1963), Heaven (TGTT), «Second Sacred Concerts» (1968), My Love («Third Sacred Concert», 1973).

Bacchette (ingl. sticks o drum sticks) Le bacchette di legno, alcune delle quali hanno l’estremita` di nylon, si usano in coppia e servono a percuotere le diverse parti della batteria e a produrre varie rullate. A seconda della loro grandezza (e dello strumentista che le usa), possono dare un suono potente (Buddy Rich) o leggero (Billy Higgins). f anche Batteria. [Ph.B.]

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BACK-BEAT

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Back-beat f Beat. Background Accompagnamento di sottofondo a una parte solista. Nel significato piu` esteso, tutto cio` che non e` in primo piano in un’opera e che, scritto o improvvisato, serve da sfondo sonoro agli assolo. Armonico, ritmico o melodico, il background e` concepito e suonato in base alla personalita` del solista, completando la parte improvvisata (o talvolta scritta) e partecipando cosı` allo sviluppo d’insieme. Eseguito dal pianoforte, dalla chitarra, da una sezione piu` o meno grande dell’orchestra, secondo un apporto quasi concertante o, nel caso delle corali religiose, dall’insieme della congregazione, il background ha funzione di interlocutore e di riferi[P.C.] mento. BACON, Louis Trombettista e cantante statunitense (Louisville, Kentucky, 1/11/1904 - New York, 8/12/1967). Dopo il debutto nel 1926 con l’orchestra di Zinky Cohn, va a New York dove suona con Bingie Madison (1928), Tim Brymm (1929), incide con Bessie Smith (New Orleans Hop Scop Blues, 1930), passa nelle orchestre di Chick Webb (1931), Benny Carter (1932) e Duke Ellington (1933), col quale incide come cantante (Blue Interlude, Dear Old Southland). In seguito entra nell’orchestra di Luis Russell che accompagna Louis Armstrong fino al 1938. L’anno seguente suona da Benny Carter e poi si imbarca per l’Europa per unirsi all’orchestra di Willie Lewis (1939). Nonostante la guerra, resta ancora in Europa (Svizzera e Portogallo) prima di rientrare negli Stati Uniti (settembre 1941). Entra nella grande orchestra che dirige Cootie Williams (1942), suona accanto a Garvin Bushell (1944), Jesse Stone (1946-47), ma la sua salute si altera e un’infezione polmonare lo costringe a ridurre la sua attivita` di trombettista. Suonera` ancora fino alla fine degli anni ’50 (al Jimmy

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Ryan’s), ma passera` gli ultimi anni della sua vita a lavorare come autista di ambulanza. La tromba di Louis Bacon fa riferimento a quella di Armstrong, con fedelta` e rigore. [A.C.]

Heebie Jeebies (Chick Webb, 1931); You Are My Lucky Star (Armstrong, 1935); Jam With Bacon (Freddie Johnson, 1939); Sweet Lorraine (1939).

BACSIK, Elek Chitarrista ungherese (Budapest, 22/5/ 1928 - Glen Ellyn, Illinois, 14/2/1993). Studia violino al conservatorio, poi passa alla chitarra e al jazz. Quattro anni dopo intraprende la carriera professionale e lascia l’Ungheria assieme a un suo caro amico, il famoso pianista classico Gyo¨rgy Cziffra. Si esibisce in Svizzera (con il pianista Hazy Osterwald), in Italia (nell’orchestra di Renato Carosone), in Spagna e Portogallo per stabilirsi infine a Parigi nel 1959. Si esibisce per due anni al Mars Club nel trio del pianista Art Simmons, con Michel Gaudry (cb), cosa che gli permette di suonare con la maggior parte dei musicisti statunitensi di passaggio. Quando la cantante Nancy Holloway apre un cabaret, il trio viene scritturato e diventa quintetto con Michel Hausser (vibr) e Art Taylor (batt). Nel 1962 Bacsik incide il primo disco, in cui fornisce ai suoi brillanti assolo un sostegno di qualita` grazie alla sovraincisione. Quello stesso anno suona al terzo festival di Antibes-Juan-les-Pins e, dietro iniziativa di Quincy Jones, incide due pezzi con il quintetto di Dizzy Gillespie. Nel 1966 si stabilisce negli Stati Uniti e passa ai varieta`, lavorando principalmente a Las Vegas come violinista. Bob Thiele, nel 1974, tenta di farlo tornare alla ribalta con l’album «Bird And Dizzy/A Musical Tribute» per la Flying Dutchman (1975). E` l’inizio di una nuova carriera i cui echi non arriveranno in Europa. Maestro di tecnica, Elek Bacsik sa trarre dalla sua chitarra dei suoni puri e di grande espressivita`, con la volubilita` e il lirismo della rapsodia dei musicisti del-

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l’Europa centrale. La sua inclinazione per le lunghe linee melodiche (soprattutto nelle ballads) e` compensata da una straordinaria musicalita` e da un intenso swing che conferiscono al fraseggio, sempre articolato in maniera impeccabile, un in[C.O.] comparabile fascino. Take Five, My Old Flame (1962); For The Gypsies (Gillespie, 1962); Work Song (1963); La Saison des pluies (con Serge Gainsbourg, 1963).

BADINI, Ge´rard Sassofonista tenore, clarinettista e direttore d’orchestra francese (Parigi, 16/4/ 1931). Cresce in un ambiente musicale: suo padre era cantante lirico. Debutta al clarinetto nell’orchestra tradizionale di Michel Attenoux (1952), suona in trio con Claude Bolling a partire dal 1955 e attraversa l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente con Bolling o il Jazz Aux ChampsElyse`es di Jack Die´val. Nel 1958 adotta il sassofono tenore e si esibisce regolarmente con Bolling prima di formare il gruppo degli Swingers. Nel 1973 fonda la Swing Machine, poi accompagna Helen Humes nella sua tourne´e europea (1974). Si ferma per un po’ negli Stati Uniti (1974-75) e si porta dietro l’ex batterista di Duke Ellington, Sam Woodyard, che diviene cosı`, al fianco di Raymond Fol e Michel Gaudry, il percussionista della Swing Machine. Nel 1976, Sonny Payne sostituisce Woodyard. Nel 1977 Badini torna negli Stati Uniti per due anni, suona con Clark Terry, Roy Eldridge e la nuova Swing Machine. Nel 1980 partecipa al festival dell’Arte Africana di Dakar e, nel 1981, costituisce una grande formazione che si colloca nella corrente del classicismo ‘‘alla Basie’’: fraseggio sostanzioso, semplicita` di linguaggio, bravura di espressione, ricerca di swing... Sassofonista di temperamento nella tradizione di Eddie Davis e Paul Gonsalves, Badini e` molto apprezzato per il suo [A.C.] suono focoso e swingante. St Louis Blues (Bechet, 1954); The World Is Sad And Blue (Gonsalves, 1969); Sneaking Around (Humes, 1974); «The Swing Ma-

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BAGLEY

chine» (con Woodyard, 1975; con Payne, 1976); «French Cooking» (1980), «Mr Swing Is Still Alive» (1985); «Mister Swing Meets Claude Debussy» (1991), Runnin’ Wild (1994).

BAG (Black Artists Group) Associazione creata a St Louis (Missouri) alla fine degli anni ’60 e i cui obiettivi erano vicini a quelli dell’AACM: difesa e insegnamento dell’‘‘arte nera’’ (musica, ma anche teatro, poesia, danza) all’interno della comunita` afroamericana. Tra i musicisti e le formazioni derivate dal BAG: i sassofonisti Hamiet Bluiett, Julius Hemphill, Oliver Lake, J.D. Parran, Luther Thomas, James Jabbo Ware; i trombettisti Baikida E.J. Carroll, Floyd LeFlore; il trombonista Joseph Bowie; il contrabbassista Carl Richardson; il violoncellista Vincent Terrell; i batteristi Charles Bobo Shaw, Robert Edwards, Bensid Thigpen; il poeta Ajule´ Rutlin (percussionista, attore e regista di teatro), i gruppi Children Of The Sun, Oliver Lake & Bag, la grande orchestra Bag Ensemble, il Red, Black & Green Solidarity Unit, la Great Black Music Orchestra Of St Louis. Nel 1972 un gruppo composto da Lake, Carroll, LeFlore, Bowie e Shaw doveva rappresentare l’associazione (oggi sciolta) nel quadro del [P.C.] Festival d’Automne di Parigi. «Ofamfa» (Children Of The Sun, 1971).

BAGLEY, Don (Donald Neff) Contrabbassista statunitense (Salt Lake City, Utah, 18/7/1927). Diplomato al Los Angeles City College, studia contrabbasso con Arthur Pabst e composizione con Wesley La Violette. Debutta con gli Hollywood Teenagers nel 1944, poi con le orchestre di Shorty Sherock, Wingy Manone (1945), Dick Pierce (1948). La sua popolarita` cresce notevolmente durante la sua prima permanenza con Stan Kenton (1950-54). Costituisce un trio e si esibisce a Las Vegas per due anni. Nel 1957, forte di questa esperienza, incide il suo primo album con Jimmy Rowles e Shelly Manne. Poi viene scritturato da Les

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BAGS

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Brown come contrabbassista e arrangiatore. Seguono varie tourne´ e con Bob Hope, trasmissioni televisive e, regolarmente, nuovi ingaggi da Kenton (196067). Valido contrabbassista dalla grande musicalita`, per la sua continua preoccupazione di considerare le sue linee di contrabbasso come delle melodie, Don Bagley contribuisce all’emancipazione dello strumento, come l’aveva accennata [J.P.R.] Jimmy Blanton. Popo (Shorty Rogers, 1951); con Kenton: Bags And Baggage (1952), Study For Bass (1954); You’d Be So Nice To Come Home To (Lee Konitz, 1953); Maids Of Cadiz (1957), The Soft Shell (1958).

Bags Soprannome di Milt Jackson, riferito alle evidenti borse sotto gli occhi caratteristiche del vibrafonista di Detroit (che risalgono, parrebbe, alle numerosi notti in bianco da lui trascorse per celebrare il suo congedo dall’esercito). BAILEY, «Benny» (Ernest Harold) Trombettista statunitense (Cleveland, Ohio, 13/8/1925 - Amsterdam, 24/4/ 2005). Dopo le formazioni di Jay McShann (1947), Dizzy Gillespie (1948) e Lionel Hampton (1945-53), si stabilisce in Europa: in Germania, dove suona con la Radio-Symphonie-Orchester di Berlino e quella di Max Greger a Monaco, a Ginevra, nell’Orchestra della Svizzera Romanda, in Italia e soprattutto in Svezia, con l’Orchestra della radio svedese. Nel 1959 torna negli Stati Uniti per suonare con Quincy Jones. In seguito lo ritroviamo in alcuni festival europei, con Les McCann e Eddie Harris, nella Clarke Boland Big Band, e, alla fine degli anni ’80, in gruppi di artisti di passaggio. Nonostante si proclami allievo di Charlie Parker e di Miles Davis in materia di armonia (il suo fraseggio e` infatti uno dei piu` eminenti della tradizione inaugurata da Fats Navarro e Dizzy Gillespie) e si preoccupi della costruzione e della continuita` dei suoi chorus, Bailey preferisce

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stare lontano dall’audacia bebop piu` estrema. Piu` che come leader di un gruppo Bailey e` piu` valido come prima tromba di grandi formazioni: quello che ognuno, pubblico compreso, puo` seguire senza difficolta`. [J.Y.L.B.] «Big Brass» (1960); «Swiss Movement» (McCann e Harris, 1969); «Grand Slam» (1978); «While My Lady Sleeps» (1990).

BAILEY, «Buster» (William C.) Clarinettista e sassofonista statunitense (Memphis, Tennessee, 19/7/1902 Brooklyn, New York, 12/4/1967). Durante il periodo scolastico a Memphis, all’eta` di tredici anni, studia clarinetto con un professore classico. Lo suona dal 1917 nell’orchestra di W.C. Handy. Dal 1919 al 1923 e` a Chicago nell’orchestra di Erskine Tate. Suona con King Oliver (1923-24) e Fletcher Henderson (192427) e partecipa a numerose incisioni di dischi (Clarence Williams, Louis Armstrong, Ma Rainey, Bessie Smith...). Va in Europa con Noble Sissle (1929). Al suo ritorno riprende servizio da Edgar Hayes e Dave Nelson (1930), torna con Noble Sissle dal 1931 al 1933, Fletcher Henderson nel 1934, entra nella Mills Blue Rhythm Band (1934-35), torna con Fletcher Henderson che lascia nel 1937 per Luis Russell (e Louis Armstrong) e Stuff Smith. Nel 1937 entra nel gruppo di John Kirby dove resta quasi senza interruzioni fino al 1946, a parte un breve periodo in cui dirige un piccolo gruppo allo Spotlite di New York (1945). Dal 1947 al 1949 viene scritturato da Wilbur DeParis, Red Allen (1950-51), Big Chief Russell Moore (1952-53), nell’orchestra di fossa che accompagna Porgy And Bess (1953) e di nuovo da Henry Allen, col quale fara` spesso coppia al Cafe´ Metropole di New York (1954). Di tanto in tanto suona con orchestre sinfoniche. Passa ancora da Tyree Glenn (1959) e Wild Bill Davison (1961-63) prima di entrare nella All Stars di Louis Armstrong dove sostituisce Eddie Shu (1965). Gira in tourne´e per due anni – fino alla sua morte – con

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Armstrong. Lo si vede (brevemente) nel film di Elia Kazan Splendor In The Grass (1961). Buster Bailey e`, con Jimmie Noone, il primo grande tecnico del clarinetto. Grazie alla sua formazione classica, suona con grande maestria, tanto che ci si puo` perfino chiedere se a volte non sia vittima del suo virtuosismo e se l’emozione non ceda alla tecnica. Perfettamente inserito nello spirito del jazz tradizionale, il suo stile si distingue da quello rugoso di Johnny Dodds come da quello liscio di Jimmie Noone. La sua frase e` sciolta, ondulante, ravvivata da una bella sonorita` , soprattutto nell’acuto dello strumento che ha spesso privilegiato. [A.C.] Countin’ The Blues (Ma Rainey, 1924); con Clarence Williams: Santa Claus Blues, Terrible Blues e, al sassofono soprano, Everybody Loves My Baby (1924); con Fletcher Henderson: Fidgety Feet (1927), King Porter Stomp (1928), Shanghai Shuffle (1934), Stealing Apples (1936); Rug Cutter’s Swing (Henry Allen, 1934); Blues In C Sharp Minor (Teddy Wilson, 1936); Limehouse Blues (Chu Berry, 1937); Rhythm Rhythm (Lionel Hampton, 1937); Blue Skies (John Kirby, 1939).

BAILEY, Dave (Samuel David) Batterista statunitense (Portsmouth, Virginia, 22/2/1926). Nato e cresciuto in una famiglia di musicisti segue, alla fine degli anni ’40, i corsi del Music Center Conservatory di New York, grazie alla borsa di studio che il governo statunitense concede allora ai soldati smobilitati (il cosiddetto G.I. Bill). Ammiratore di Max Roach e Art Blakey – prima di appassionarsi alle innovazioni di Philly Joe Jones ed Elvin Jones (che tuttavia non arrivera` a integrare nella sua prassi esecutiva) – suona con Herbie Jones (1951-53), Al Sears, Johnny Hodges, Lou Donaldson, Charles Mingus e Horace Silver. Nel 1955 viene scritturato da Gerry Mulligan e collabora fino al 1959 alle diverse formazioni del sassofonista, cosa che non gli impedisce di esibirsi con Ben Webster (1958) e Billy Taylor (1959). Lo ritroviamo poi nel Jazztet, codiretto da Art

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BAILEY

Farmer e Benny Golson, e poi nel quintetto di Clark Terry e Bob Brookmeyer. Incide, agli inizi degli anni ’60, vari album sotto il suo nome (per Epic, Jazztime e Jazzline), poi si ritira dalla scena musicale per diventare istruttore di aviazione al Westchester County Airport. Un gusto molto deciso e un eccezionale senso del tempo hanno autorizzato Dave Bailey a comportarsi da batterista minimalista (nel genere di Connie Kay), piu` preoccupato di servire le intenzioni del solista che di mettersi in primo piano. Percio` e` piu` stimato dai musicisti che dagli appassionati di jazz. L’occasione di una tourne´e in Brasile fa di lui il primo batterista nordamericano a suonare la bossa nova, di cui insegna le sottigliezze a numerosi colleghi («South American Cooking», firmato da Curtis Fuller, [A.C.] 1961). Con Mulligan: Bernie’s Tune (1955), Lollypop (1956); Jubilation (Art Farmer, 1958).

BAILEY, Derek Chitarrista britannico (Sheffield, 29/1/ 1930 - Londra, 25/12/2005). Si definiva autodidatta, riconoscendo come unico insegnante la radio inglese della sua giovinezza (ma sua madre suonava il pianoforte, suo zio la chitarra e suo nonno il pianoforte e il banjo di professione). Musicista di spettacoli di varieta` per una decina d’anni, lascia il ‘‘mestiere’’ per formare, nel 1963, il trio Joseph Holbrooke (dal nome di un musicista britannico che venne chiamato il «Wagner cockney») che lo associa fino al 1966 a Tony Oxley (batt) e Gavin Bryars (cb); con loro si appassiona per John Coltrane e le concezioni del trio pianoforte-contrabbassobatteria realizzate da Bill Evans, Scott LaFaro e Paul Motian, e per John Cage. A partire dal 1965, il gruppo si consacra all’improvvisazione totale. Nel 1966 Bailey si unisce allo Spontaneous Music Ensemble del batterista John Stevens, dove si lega a Evan Parker (sax). In seguito fa parte della London Jazz Composers Orchestra diretta dal contrabbassista Barry

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BAILEY

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Guy, che ritrova con Paul Rutherford (trb) nell’Iskra 1903 e nella Musicians’ Cooperative Association – con Parker, Paul Lytton (batt), Oxley, Howard Riley (pf) – destinata a difendere l’opera dei difensori della libera improvvisazione, in particolare dall’organizzazione di concerti e festival. Dalle azioni e posizioni della Co-op nasce la Music Improvisation Company (1968-71), dove dialoga con Jamie Muir (batt), Hugh Davies (sint) e di nuovo Parker. E` con lui e Oxley che crea, nel 1970, la societa` discografica Incus, strettamente dedicata alla musica improvvisata che pubblichera`, tra l’altro, le tracce dell’attivita` del complesso internazionale Company (non una formazione regolare ma un modulo di improvvisazione personale e a strumentazione variabile), dove si incontrano Anthony Braxton, Misha Mengelberg, Terry Day (batt), Leo Smith, Johnny Dyani (cb), Steve Beresford (pf), Lol Coxhill, Steve Lacy, Maurice Horsthuis (vl), Maarten Altena, Tristan Honsinger (vlo), Han Bennink, Parker, Oxley... Dal 1969 Bailey incide numerosi dischi; partecipa anche alla Globe Unity Orchestra di Alexander von Schlippenbach e pubblica un libro: Improvisation, Its Nature And Practice In Music (1980), composto da interviste commentate di musicisti che praticano l’improvvisazione in varie estetiche (dalle musiche barocche e indiane al rock e al jazz). Frequenti i soggiorni a New York tra il 1978 e il 1983 (e le collaborazioni con John Zorn, Bill Laswell, George Lewis). Suona in duo con Cecil Taylor a Berlino nel 1988 e l’anno seguente collabora con esponenti del free funk come Jamaaladeen Tacuma e Grant Calvin Weston. Dal 2000 la produzione discografica si intensifica con numerose etichette indipendenti (spesso per la Tzadik di Zorn). Il suo ultimo disco pubblicato in vita, «Carpal Tunnel», affronta con schiettezza, fin dal titolo, il grave problema fisico che gli impediva, negli ultimi tempi, di impugnare il plettro della chitarra. Derek Bailey e` stato senza dubbio il migliore sostenitore del radicalismo in materia di musica improvvisata, come mo-

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strano i suoi numerosi album e le prestazioni da solo (che predilige in maniera particolare) cosı` come gli incontri da lui organizzati all’interno della Company. Dell’improvvisazione si e` fatto manifesto il suo libro e la sua pratica ha voluto staccarsi da tutte le codificazioni dell’esecuzione strumentale, dell’ordinamento stesso del musical che determinano il jazz quanto la musica occidentale. In lui le nozioni di tema e di sviluppo vengono totalmente schernite; a maggior ragione sono rifiutate le cellule melodiche e il rispetto di un sistema tonale la cui logica armonica si vede, talvolta, aggredita da un accordo ‘‘aleatorio’’ dello strumento. Prendendo le difese della decostruzione, sistematizzando i contrari e le irregolarita` delle convenzioni jazzistiche, il gesto di improvvisare, fatto nel ‘‘momento decisivo’’, deve, a ogni nuova occasione, fare tabula rasa di tutta l’esperienza. Il risultato e` una musica arida ma incandescente, vivificata, se cosı` si puo` dire, da un liri[C.T.] smo negativo. «Solo Guitar» (1971); «Improvisations For Cello And Guitar» (con Dave Holland, 1971); Together (1974); «Duo» (con Braxton, 1974); «Improvisations» (Globe Unity, 1977); «Pleistoazen mit Wasser» (con Cecil Taylor, 1988); «Solo Guitar, vol. 2» (1991); «Ballads» (2002); «Carpal Tunnel» (2005); «To Play (The Blemish Sessions)» (2006) «Standards» (2007).

BAILEY, Donald «Duck» Orlando Batterista e armonicista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 26/3/1934). Autodidatta, da sempre influenzato da Max Roach, Art Blakey e Philly Joe Jones, diventa noto a partire dal 1956 grazie al suo ingaggio nel gruppo di Jimmy Smith. Dopo otto anni con l’organista si stabilisce a Los Angeles e registra con, tra gli altri, Jimmy Rowles, Hampton Hawes, Bobby Bryant, Harold Land, Mundell Lowe e Red Mitchell. In seguito vive cinque anni in Giappone, dove incide con Sadao Watanabe. Di nuovo negli Stati Uniti (1982), accompagna Sarah Vaughan e Carmen McRae. Si stabilisce di nuovo

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in California, a Oakland, e suona come free lance. E` zio del bassista elettrico Victor Bailey. Accompagnatore ideale, nella tradizione di Kenny Clarke, e` in grado di punteggiare il discorso dei solisti con un efficace lavoro della mano sinistra sul rullante, fornendo un tempo assai ficcante sul ride cymbal. Ma la sua originalita` risiede nel caratteristico fraseggio sul charleston: da un lato Bailey segna, in maniera classica ma incisiva, il secondo e il quarto tempo della battuta, continuando pero` a marcare sul charleston un tempo ininterrotto che prefigura, per esempio, lo stile batteristico di Tony Williams. Uno dei batteristi piu` misconosciuti della storia, Bailey lascia una particolare impressione nei suoi [G.P.] dischi con Hampton Hawes. Con J. Smith: When Johnny Comes Marchin’ Home, Messy Bessie (1960), «Plays Fats Walter» (1962); con H. Haves: «The Seance» (1966), «High in the Sky» (1970).

BAILEY, Mildred (RINKER) Cantante statunitense (Tekoa, Washington, 27/2/1907 - Poughkeepsie, New York, 12/12/1951). Ha fatto la sua ‘‘gavetta’’ nelle riviste musicali sulla West Coast e alla radio prima di essere scritturata, nel 1929, nell’orchestra di Paul Whiteman. Vi canta fino al 1933, anno in cui sposa Red Norvo (vengono soprannominati «Mr e Mrs Swing»). Canta ancora con Ben Bernie (1934) e Willard Robinson prima di collaborare piu` strettamente con l’orchestra di Red Norvo dal 1936 al 1939, continuando a esibirsi con grande successo alla radio, soprattutto in compagnia di Benny Goodman. A partire dal 1940 la sua attivita` e` spesso interrotta dalla malattia. Cio` nonostante canta ancora in tourne´e e nei club (Cafe´ Society, Blue Note) fino all’inizio degli anni ’50. Ispirata all’inizio da Bessie Smith ed Ethel Waters, la sua personalita` la rende la migliore di tutte le cantanti bianche (ma i suoi antenati erano anche indiani nordamericani), la sola a poter rivaleggiare con le grandi vocalist nere dell’anteguerra. La sua voce e` agile nel registro

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acuto, il suo canto e` raffinato senza sdolcinatezze. Dimostra un incontestabile senso dello swing e del blues. Venne soprannominata «The Rockin’ Chair Lady» per aver creato e reso famosa la canzone di Hoagy Carmichael, Rockin’ Chair. [A.C.]

Rockin’ Chair (Paul Whiteman, 1932); Willow Tree (Teddy Wilson, 1935); Wham (Roy Eldridge, 1940); Somebody Sweetheart, Downhearted Blues (1935).

BAILEY, Pearl Cantante statunitense (Newport News, Virginia, 29/3/1918 - Filadelfia, Pennsylvania, 17/8/1990). All’inizio studia danza, poi vince un concorso per cantanti dilettanti (Filadelfia, 1933), parte in tourne´e e si distingue, come piu` tardi Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan, all’Apollo di Harlem. Viene scritturata da molte grandi orchestre (Noble Sissle, Edgar Hayes) poi si esibisce da solista in alcuni club di New York, nei quali torna dopo essere passata (1942-43) nell’orchestra di Cootie Williams. Debutta a Broadway in una commedia musicale, St. Louis Woman (1946), e al cinema in Variety Girl (1947), prima tappa di un percorso che la vedra` trionfare a Broadway e Hollywood (Isn’t It Romantic?, 1948; Carmen Jones, 1954; St. Louis Blues, 1958; Porgy And Bess, 1959; Hello Dolly, 1967). Nel 1952 sposa il batterista Louie Bellson. Da allora canta con il suo accompagnamento sia in piccola formazione sia in grande orchestra. Ha pubblicato un’autobiografia: The Raw Pearl (1968). Una voce dagli affascinanti suoni gravi. Ma, nonostante una reale predisposizione allo swing, Pearl Bailey appartiene piu` a [A.C.] Hollywood che a Harlem. Baby, It’s Cold Outside (Hot Lips Page, 1949); «Porgy And Bess» (1959), «Songs Of The Bad Old Days» (1959).

BAKER, Chet (Chesney H.) Trombettista, flicornista, cantante e compositore statunitense (Yale, Oklahoma, 23/12/1929 - Amsterdam, 13/5/1988). Quando la sua famiglia parte per la Cali-

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fornia, Chet ha appena compiuto dieci anni. Il padre, suonatore di banjo dilettante ma ammiratore di Jack Teagarden, gli regala un trombone. Baker, affascinato all’epoca da Harry James, si affretta a scambiarlo con una tromba. E` nell’orchestra della scuola, a Glendale, che riceve la sua prima formazione musicale e rivela le sue qualita` innate. Attento ascoltatore di Wardell Gray, Lester Young e Dexter Gordon, l’adolescente si esibisce presto con alcune orchestre da ballo. Nel 1946 si arruola e parte per Berlino nella 298th Army Band. E` in Europa che scopre il jazz moderno, attraverso la radio militare e i consigli di Don Bagley, allievo del celebre Wesley La Violette. E` colpito da Woody Herman, Les Brown, Stan Kenton, Dizzy Gillespie e Charlie Parker. Congedato nel 1948, studia armonia e teoria musicale all’El Camino College e suona per la prima volta nei club. A causa di una delusione amorosa decide di raffermarsi nel 1950: ne approfitta per perfezionare la sua educazione musicale. Di stanza a San Francisco, entra nella Presidio Army Band e partecipa alle jam session della citta` con, tra gli altri, Dexter Gordon e Paul Desmond. Nel 1951, trasferito a Fort Huachacha (Arizona), in una specie di battaglione disciplinare, Chet diserta per un mese. Viene riformato per ‘‘motivi psichiatrici’’. Tornato a Los Angeles nel 1952, suona con Vido Musso, Stan Getz e, grazie a un’audizione al Tiffany’s di Hollywood, con Charlie Parker al Billy Berg’s. Scritturato dall’agente Richard Bock, suona all’Haig nel quartetto di Gerry Mulligan. Incide con lui, il 9 luglio 1952, She Didn’t Say Yes, She Didn’t Say No, e poi con Parker il 16 luglio. Mulligan lo assume per il suo famoso pianoless quartet al fianco di Bob Whitlock e Chico Hamilton, poi Larry Bunker e vari contrabbassisti (1952-53). Nel gennaio 1953 e` il solista principale del Mulligan Tentet. Nella primavera del 1953 lascia Mulligan e forma un quartetto con Russ Freeman (1953-54) all’interno del quale svela le sue doti di cantante. Nell’autunno del 1955 parte per l’Europa dove fara` lunghi soggiorni a capo del suo

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quartetto o quintetto, che comprende a seconda dei momenti Jean-Louis Chautemps, Francy Boland, Eddie DeHaas, Charles Saudrais, ma anche Dick Twardzik, Rene´ Urtreger, Raymond Fol. Torna negli Stati Uniti agli inizi del 1956. Colpito dalla droga, entra al Lexington Federal Hospital (Kentucky). Incide una decina di dischi per la Pacific Jazz, soprattutto con Freeman, Phil Urso, Art Pepper, Bud Shank. Lo si sente di tanto in tanto al fianco di Lee Konitz, Johnny Griffin, Al Haig, Kenny Drew, Paul Chambers, Philly Joe Jones, Herbie Mann, Pepper Adams, Bill Evans, Kenny Burrell ecc. Nel 1957 e` la volta di «Reunion», una nuova incisione con Mulligan. La sua attivita` negli USA e in Europa viene interrotta piu` volte a causa di problemi giudiziari per uso di stupefacenti. Nel 1959 viene arrestato a Harlem e rinchiuso a Rikers Island. Bill Grauer, della casa discografica Riverside, lo fa liberare dietro cauzione. Parte per l’Europa dove si stabilisce dal 1959 al 1964. Arrestato piu` volte in Germania e Italia, nel 1961 viene condannato a sedici mesi di prigione a Lucca. Alla sua liberazione, le tourne´e e i dischi si moltiplicano. Nel 1962, arrestato nuovamente in Germania, viene espulso in Svizzera. A Parigi, in seguito al furto della sua tromba, scopre il flicorno. Dopo vari viaggi attraverso l’Europa viene arrestato ancora una volta a Berlino Ovest nel 1964 ed e` espulso definitivamente dalla Germania. Si stabilisce a New York dove dirige un quartetto. Lo si sente presto al fianco di Stan Getz al festival di Newport. Poi torna a Los Angeles, dove sopravvive a fatica, cercando di continuare a suonare, di club in club, fino al 1968. Continua a lavorare al flicorno. Deciso a sfuggire alla droga con il metadone, viene aggredito a San Francisco da alcuni spacciatori: ha la mascella fratturata e perde molti denti. Per tre anni non si hanno sue notizie. Lavora di tanto in tanto in una stazione di servizio, sedici ore al giorno. Da solo, impara di nuovo a suonare, poi comincia, a partire dal 1973, e con l’appoggio di Dizzy Gillespie, un lento ritorno alle scene. Dizzy infatti gli trova delle scrit-

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ture a New York, tra cui l’Half Note, dove fa il suo ritorno. Incide di nuovo, per la CTI, l’etichetta di Creed Taylor. Di fronte a un’accoglienza ostile o diffidente, Baker ricade nella droga e, per sfuggirvi, torna in Europa. Lo ritroviamo al fianco di Mulligan per un disco per la CTI, nel 1974. Registrazioni, incontri e associazioni riprendono a un ritmo frenetico: Michael e Randy Brecker, Tony Williams, Keith Jarrett, Ron Carter, Niels-Henning Ørsted Pedersen, Doug Raney, Philip Catherine, Michel Graillier, i contrabbassisti Jean-Louis Rassinfosse e Ricardo Del Fra; Kirk Lightsey, che ritrova agli inizi degli anni ’80 (nel 1965 aveva inciso con lui cinque dischi per la Prestige), Enrico Rava, Archie Shepp ecc. Ormai alterna lunghi soggiorni in Europa e ritorni negli Stati Uniti, fino al giorno in cui, di passaggio nei Paesi Bassi, non cade dalla finestra della sua camera d’albergo e muore. In questo trombettista della delicatezza e della fragilita`, del soffio e dell’incrinatura, la sonorita` oggi celebre prende forma dopo il suo ‘‘ritorno’’ del 1974, guadagnando in ampiezza e in maturita`. La sua esecuzione, imperniata sulla ricchezza melodica, bandisce la ricerca dell’effetto e lo sfoggio di luoghi comuni e citazioni. In lui sono assenti anche quegli effetti di articolazione ai quali sono affezionati i trombettisti (appoggiature, effetti di ‘‘mezzo pistone’’, growls ecc.), ai quali preferisce un ricorso costante allo staccato semplice (con un attacco leggero e del legato). E` capace di eseguire lunghe frasi in semicrome nel registro dei suoni gravi (dove la diteggiatura e` piu` difficile) con enorme precisione (Broken Wing o How Deep Is The Ocean). D’altra parte e` questo il registro che predilige, dato che la sua tessitura si riassume nel si acuto. La sua emissione e` minima: suona mettendo il microfono nella campana dello strumento, da cui deriva un’amplificazione degli armonici gravi, che da` un timbro piu` profondo e rende percettibili con grande chiarezza il soffio e gli attacchi. Il canto, in lui, e` definito dai rapporti che intrattiene con l’esecuzione della tromba:

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delicatezza e leggerezza, legame e cerniera tra i chorus. La sua voce, struttura evanescente che avvolge la melodia, si dispiega fino al limite estremo dell’incrinatura, soprattutto nell’improvvisazione in scat, e diviene reale complemento della [P.B., C.G.] tromba. Con Mulligan: My Funny Valentine (1952), Rocker (1953); My Funny Valentine, Little Man You’ve Had A Busy Day (1954); For Minors Only (con Art Pepper, 1956); «Chet» (1959), She Was Too Good To Me (1974), «Broken Wing» (1978), «This Is Always» (1979), «Chet Baker, Philip Catherine, Jean-Louis Rassinfosse» (1983), «Sings Again» (1985), «The Last Great Concert» (1988).

BAKER, LaVern Cantante statunitense (Chicago, Illinois, 11/11/1929 - New York, 10/3/1997). Debutta nel 1950 incidendo per la National (sotto lo pseudonimo di «Little Miss Sharecropper»). Incide poi quattro facciate con l’orchestra del pianista Todd Rhodes, per la King. E` solo a partire dal 1953 e con l’Atlantic Records che arriva il successo. Incide a New York con Taft Jordan, Harry Edison, Sam Taylor, Plas Johnson, Paul Quinichette, Budd Johnson, Mickey Baker, Irving Ashby, Connie Kay, Panama Francis. Voce chiara e agile, spesso sostenuta da un quartetto vocale maschile, LaVern Baker si distingue soprattutto nel campo del rhythm and blues con venature jazzistiche. [J.P.] Tweedle Dee (1954), Jim Dandy (1955), I Cried A Tear, «Sings Bessie Smith» (1958), Shake A Hand (1959), Saved (1960).

BAKER, «Mickey» (McHouston) Chitarrista e cantante statunitense (Louisville, Kentucky, 15/10/1925). Dopo una giovinezza tumultuosa (dall’orfanotrofio al riformatorio), impara a suonare la chitarra a New York nel 1942. Fa prima parte del gruppo di Jimmy Neely, poi di Billy Valentine (un imitatore di Charles Brown). Nel 1952 partecipa a incisioni di rhythm and blues per la Savoy. Nello

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stesso periodo escono – senza grande successo – i suoi primi dischi. Ma viene sollecitato a lavorare negli studi di incisione, per l’Atlantic in particolare. Fra gli artisti cui si associa il suo nome si ricordano Hal Singer, Ruth Brown, Ray Charles, Little Esther Phillips, Budd Johnson, Big Joe Turner, LaVern Baker, Floyd Dixon, Big Maybelle, Louis Jordan, Sammy Price... Dal 1955 crea con la cantante Sylvia Vanderpool il duo Mickey & Sylvia (che ebbe successo, nel 1956, con Love Is Strange); l’associazione dura fino al 1961. Baker si stabilisce allora a Parigi dove continua a esibirsi e a incidere. La sua esecuzione tagliente, swingante e diretta traspare in molti dischi di rhythm and blues e anche in molti altri di diverso genere. [J.P.] «Somebody Up There Digs Me» (Jordan, 1956); «Rock With Sam Price & His Orchestra» (Price, 1956); It’s Gonna Work Out Fine (Mickey & Sylvia con Ike & Tina Turner, 1961).

BAKER, «Shorty» (Harold) Trombettista statunitense (St Louis, Missouri, 26/5/1913 - New York, 8/11/1966). Studia la batteria, ma e` con la tromba che debutta a St Louis nell’orchestra che dirige suo fratello Winfield. Segue dei corsi di perfezionamento poi suona a Chicago da Erskine Tate. Di ritorno a St Louis, fa parte dei Cracker Jacks di Eddie Johnson (1932-33) e torna nell’orchestra del fratello. Dal 1936 al 1938 suona con Don Redman, Duke Ellington, Teddy Wilson (1939) e Andy Kirk, dove resta fino al 1942 e incontra Mary Lou Williams. La sposa e dirige con lei una piccola formazione. Nel 1942 viene scritturato da Ellington. Dopo il servizio militare (194446), riprende il suo posto con Duke fino al 1952. In seguito si esibisce con le piccole formazioni di Teddy Wilson, Ben Webster, Johnny Hodges, Dick Vance, Claude Hopkins, Bud Freeman, e di tanto in tanto torna da Ellington. Nel 1964 dirige un quartetto a New York (al Metropole e all’Embers), ma la malattia lo costringe a cessare la sua attivita`. Muore per un cancro alla gola.

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Nello spirito del jazz classico, la sua sonorita` e` piena e tonda, vellutata, sempre controllata. La sua frase sviluppa la melodia logicamente; e` chiara, agile, spesso sensuale e affascinante. Perfetto musicista di sezione, Baker fa parte di quei solisti che Ellington amava valorizzare. [A.C.] Con Ellington: Time’s A Wastin’ (1944), Trumpet No End (1946), Three Cent Stomp (1947), Black Brown And Beige (1958); Time On My Hands (Johnny Hodges, 1954); When I Dream Of You (Billy Strayhorn, 1959).

BALL, Kenny (Kenneth Daniel) Trombettista, direttore d’orchestra e cantante britannico (Ilford, Essex, 22/5/ 1930). Dopo aver suonato in varie orchestre, forma la sua nel 1958, che diventa rapidamente una delle migliori orchestre di jazz tradizionale in Gran Bretagna. Il successo, almeno nel suo paese, non ha mai abbandonato Ball, che ha fatto molte tourne´e in Europa e in Unione Sovietica (1985). Dotato di una bella tecnica strumentale, Kenny Ball si colloca nella tradizione di Louis Armstrong (che tra l’altro ha accompagnato durante una tourne´e di quest’ultimo in Gran Bretagna nel 1968): continuando a suonare con fervore il jazz di New Orleans, Ball si esprime con un bel vigore. [A.C.] «Kenny Ball In Berlin» (1968).

BALL, Ronnie (Ronald) Pianista britannico (Birmingham, 22/12/ 1927 - New York, 10/1984). A quindici anni si esibisce con alcuni gruppi locali prima di raggiungere Londra nel 1948 dove incide, tra gli altri, con Ronnie Scott, Vic Feldman e Spike Robinson. Nel gennaio del 1952 emigra negli Stati Uniti e studia con Lennie Tristano. Incide con Mike Cuozzo e Kenny Clarke, suonando con Chuck Wayne (1952), Lee Konitz (1953-55) e col quintetto di J.J. Johnson e Kai Winding. In seguito entra nel gruppo che Warne Marsh porta in California (1956-57), poi forma un trio con Dennis Budimir e Red Mitchell. Lo ritro-

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viamo poi in compagnia di Buddy Rich (1958), Kai Winding e Gene Krupa, col quale torna in Europa (1959). Scritturato da Roy Eldridge lo stesso anno, lavora nei club e nei festival per il resto della sua carriera. Influenzato agli inizi da Al Haig, Ronnie Ball ha saputo trarre il meglio dall’insegnamento di Lennie Tristano. Praticando, come quest’ultimo, un’esecuzione essenzialmente lineare, e` stato uno dei partner migliori di Warne Marsh, Ted Brown o Konitz. La finezza della sua ispirazione dovrebbe valergli un riconoscimento piu` [A.T.] adeguato. Prez Sez, Citrus Season (1956); Spike’s Delight (Spike Robinson, 1951); Ronnie’s Tune (Lee Konitz, 1955), What’s New (Art Pepper, 1956).

Ballad Melodia popolare di stile ‘‘romantico’’. Per estensione, pezzo jazz suonato in tempo lento. Ma le ballads possono anche essere suonate in tempo medio, e i jazzisti talvolta raddoppiano il tempo nei loro chorus. Esempi di ballads celebri sono Body and Soul, Stardust, Laura, Lover Man. Molti jazzisti affermano che bisogna pensare al senso delle parole per interpretare perfettamente una ballad. Alcuni strumenti, come il sassofono tenore, si prestano meglio, per la loro sonorita` malleabile e sensuale, all’interpretazione della ballad. In effetti puo` essere sconcertante ascoltare Lush Life suonata al banjo (ma non e` detto)... Alcuni grandi compositori di ballads come Duke Ellington, Billy Strayhorn, George Gershwin, Richard Rodgers, Vernon Duke, Jimmy Van Heusen sono stati ben serviti da grandi artisti come Coleman Hawkins, Billie Holiday, Lester Young, Don Byas, Ben Webster, Johnny Hodges, Dexter Gordon, Miles Davis, Chet Baker, Milt Jackson, Clifford Brown, Helen Merrill, John Coltrane, Bill Evans. f anche Repertorio – Standard – Tema. [Ph.B.] Louis Armstrong: I Can’t Give You Anything But Love (1929); Billie Holiday: He’s Funny That Way (1937); Coleman Haw-

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BANG

kins: Body And Soul (1939), Yesterdays (1944); Lester Young: A Ghost Of A Chance (1944); Helen Merrill: «Helen Merrill» (con Clifford Brown, 1954); Clifford Brown: A Ghost Of A Chance (1954); Ben Webster: «Ballads» (1954-55); Miles Davis: My Funny Valentine (1956); Johnny Hodges: Passion Flower (Duke Ellington, 1957); Bill Evans: My Foolish Heart (1961); John Coltrane: «Ballads» (196162); Dexter Gordon: Don’t Explain (1962); Joaˆo Gilberto: «Amoroso» (197677).

BALLARD, «Butch» (George) Batterista statunitense (Camden, New Jersey, 26/12/1918). Membro delle orchestre di Cootie Williams (1942), Louis Armstrong (1946) e, al Minton’s, del gruppo di Eddie Lockjaw Davis (1947), dirige la sua formazione personale nel 1947-48 a Filadelfia. In seguito viene scritturato da Count Basie (1949) e Duke Ellington (1950). Durante gli anni ’50 lo ritroviamo a capo della sua orchestra personale. Ha inciso dei dischi a suo nome e accompagnato Nina Simone e Dinah Washington. Ormai novantenne, e` ancora in attivita`. Batterista di grande orchestra, scelto sia per la big band di Louis Armstrong che per quelle di Count Basie e Duke Ellington, la sua esecuzione ha saputo rispondere alle qualita` richieste per questi posti di grande responsabilita`: suono robusto, grande stabilita` del tempo, atteggiamento mentale e attitudine fisica indispensabili per sostenere delle formazioni cosı` presti[G.P.] giose. Back O’ Town Blues (Armstrong, 1946); St Louis Baby (Basie, 1949); con Ellington: «Ellington Plays Ellington» (1952), «The Pasadena Concert» (1953), One O’Clock Jump (1954).

Band f Orchestra.

BANG, Billy (William Vincent WALKER) Violinista e compositore statunitense (Mobile, Alabama, 20/9/1947). Passa

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BANJO

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l’infanzia a Harlem e l’adolescenza nel Bronx: e` qui che, giocando a pallacanestro, riceve e adotta il soprannome di un personaggio dei fumetti. A causa della bassa statura, gli viene imposto il violino, ma preferisce la batteria. Di ritorno dal Vietnam (1968), fa pratica di flauto, congas, e poi riprende il violino. All’inizio degli anni ’70, suona con Sun Ra, poi studia con Leroy Jenkins. Fonda con James Emery e John Lindberg lo String Trio Of New York (1977). Segue Jemeel Moondoc in Europa (1978). Lo si sente a Moers (1979-80), Willisau e Berlino (1982). Nel passaggio da solista assoluto (1978) alla grande formazione (1982), tenta varie combinazioni assieme a compagni fedeli: Frank Lowe, Charles Tyler, John Betsch, Wilbur Morris, Curtis Clarke e, soprattutto, Dennis Charles. Nel 1982, invita Don Cherry a un’incisione («Anima»). Forma vari gruppi: Forbidden Planet, The Jazz Doctors, incide e si esibisce con il suo quintetto, con il suo String Trio e con The Group (New York, 1986-88). Negli ultimi anni ha rievocato le sue drammatiche esperienze in Vietnam con due brillanti dischi per la Justin Time, incisi assieme a famosi colleghi, anche loro segnati dall’esperienza della guerra. Fondato sul contrasto di ritmi e colori, lo stile impetuoso di Billy Bang resta attaccato alla forma. La sua esecuzione nervosa, dalla sonorita` quasi materiale, volta le spalle tanto alla tradizione classica quanto alla vena zigana, per affermarsi in direzione del blues. [C.B., J.L.A.]

Il manico dello strumento e` quasi identico a quello della chitarra ma e` piu` allungato, e comprende anche le traversine (le versioni primitive ne erano sprovviste). Si suona con le dita o con un plettro. I musicisti folk statunitensi usano soprattutto il banjo a cinque corde; la corda piu` acuta, piu` corta delle altre, e` legata a un pirolo fissato sul lato del manico. Nel jazz, si usa il banjo tenore a quattro corde e 17 o 19 traversine, generalmente accordate per quinta: partendo dal basso dolsollrella. Si usa anche il ‘‘plectrum banjo’’ a quattro corde, dal manico piu` lungo comprendente 22 traversine, accordato dolsoll silre, cosı` come il ‘‘banjo guitar’’ a sei corde, accordato come una chitarra. La sonorita` del banjo e` piu` forte, piu` secca e piu` metallica di quella della chitarra, ma se si vuole ottenere una sonorita` simile a questa, si puo` aggiungere una sordina. Il banjo permette di ottenere effetti ritmici simili alla batteria (rulli).

New York After Dark (1981), Air Traffic Control (1982), Inorganic Beings (1984); con lo String Trio Of New York: Strawberries (1981); Karottenkopf (1988); Lonnie’s Lament (1988), M’am (1993), «Vietnam: The Aftermath» (2001).

Banjo Strumento cordofono a pizzico di origine africana (bania). E` composto da una cassa di risonanza circolare costruita come un tamburo (una pelle tesa su un telaio metallico). Il dorso puo` essere aperto o avere una cassa di legno, spesso molto decorata.

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Il banjo, spesso sinonimo di dixieland.

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Lo incontriamo nella sua forma primitiva (vicina al bania africano) fin dal XVII secolo. Verso il 1857, il compositore di New Orleans Louis Moreau Gottschalk intitola una delle sue composizioni Le Banjo. Nel 1881 i Bohee Brothers, che certamente furono i primi grandi strumentisti di banjo, arrivano in Europa con gli Haverly’s European Minstrels e diventano molto famosi in Inghilterra, come strumentisti e insegnanti. James Bohee, che si stabilisce in Europa, insegna il banjo al principe di Galles. Contrariamente a un’idea radicata secondo cui banjo e tuba abbiano preceduto nel jazz le chitarre e i contrabbassi, esaminando i documenti fotografici dei primi decenni del XX secolo a New Orleans si puo` constatare che tutti questi strumenti sono presenti in contemporanea. Agli inizi del secolo XX molti ragtime vennero adattati al banjo da virtuosi del genere (Vess L. Ossman, Fred Van Eps). Altri virtuosi come Roy Smeck o Harry Reser furono piu` dei suonatori di banjo f novelty che di jazz, e molti chitarristi degli anni ’30 erano stati banjoisti negli anni ’20 (Bernard Addison, Eddie Condon, Danny Barker, Django Reinhardt). In effetti, verso il 1930, il miglioramento delle tecniche di incisione e l’evoluzione delle sezioni ritmiche verso una maggiore scioltezza fanno abbandonare il banjo a favore della chitarra, cosı` come la tuba lascia il posto al contrabbasso. Questi due strumenti tornano alla ribalta negli anni ’40 durante il New Orleans Revival. Da allora sono spesso sinonimi di dixieland. Tra i migliori specialisti del banjo ricordiamo Johnny St Cyr, Bud Scott, Elmer Snowden, Ikey Robinson, Papa Charlie Jackson, Gus Cannon, Buddy Christian, Lee Blair, Lawrence Marrero, Fred Guy (poi chitarrista con Ellington), George Guesnon, Emma[Ph.B.] nuel Sayles, Narvin Kimball. Johnny St Cyr: Black Bottom Stomp (Jelly Roll Morton, 1926), Flat Foot (New Orleans Bootblacks, 1926); Buddy Christian: Sugar House Stomp (1926); Ikey Robinson: Decatur Street Tutti (Jabbo Smith, 1929); Elmer Snowden: «Harlem Banjo» (1960).

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BARAKA

BAQUET, George Clarinettista e sassofonista statunitense (New Orleans, Louisiana, 1883 - Filadelfia, Pennsylvania, 14/1/1949). Suo padre, direttore dell’Excelsior Brass Band, e suo fratello suonavano il clarinetto. E` lo strumento che anche lui adotta e suona fin da prima del 1900 in brass band come l’Onward Brass Band o l’Imperial Band. Lascia New Orleans nel 1902 per una serie di tourne´e con alcuni gruppi di minstrels. Al suo ritorno, appare in varie orchestre della citta`: John Robichaux (1904), The Superior Band, Buddy Bolden, The Magnolia Orchestra, Freddie Keppard, col quale lo ritroviamo a Los Angeles nel 1914 nell’Original Creole Orchestra di Bill Johnson, formazione che lascia nel 1916. In seguito lavora a New York (e a Coney Island, il cui luna park era molto di moda), poi si ferma a Filadelfia dove dirige per vari anni una piccola formazione, The New Orleans Nighthawks, che negli anni ’30 diventa i George Bakey’s Swingsters. Baquet – che ebbe Sidney Bechet come allievo – e` passato alla storia per essere stato l’autore del famoso obbligato di clarinetto in High Society. Ma si e` detta la stessa cosa anche di Alphonse Picou. Il suo stile al clarinetto, che sollecita spesso il registro dei suoni gravi dello strumento, e` tipicamente creolo: mutevole, aereo, volubile, grazie anche a una [A.C.] sonorita` limpida. Burning The Iceberg: Sweet Anita Mine (Jelly Roll Morton, 1929).

BARAKA, Amiri Imamu (LeRoi JONES) Scrittore e poeta statunitense (Newark, New Jersey, 7/10/1934). Figlio di un impiegato delle poste e di un’assistente sociale, studia all’universita` di Howard fino all’eta` di diciannove anni e pubblica le prime poesie grazie a una borsa di studio. Arruolato in aeronautica, viene mandato a Portorico. A New York partecipa al movimento beat. Nel 1960 visita Cuba (e scrive Cuba Libre). Nel 1961 si batte per migliorare le condizioni di vita a Harlem. Autore di romanzi, novelle e saggi, drammaturgo, critico di jazz (collabora alle riviste

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BARBARIN

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Metronome, Jazz Review, Down Beat, Jazz, Jazz Magazine ecc.), agli inizi degli anni ’60 partecipa alla creazione di varie organizzazioni culturali afroamericane – The Spirit House, a Newark, il Black Arts Repertory a New York – e della casa discografica Jihad. Prende parte alla ‘‘rivoluzione d’ottobre’’ del jazz, incide le sue poesie con, tra gli altri, Albert Ayler, Don Cherry, Sunny Murray, Sun Ra e mette in scena le lotte e la musica del popolo nero (The Slave), descrivendole anche nei suoi libri Blues People e Black Music. Passa dal nazionalismo culturale – viene accusato nel 1967 di detenzione di armi e condannato a tre anni di prigione, rilasciato poi nel 1969 – alla rivoluzione culturale e all’internazionalismo proletario. Ai Jihad Singers succedono cosı` gli Advanced Workers e gli Anti-Imperialist Singers. Nel 1982 firma con George Gruntz un’opera jazz: Money. Ha spesso collaborato, anche su disco, con gli Air e con David Murray. Dalle letture di poesie beat con accompagnamento jazz ai testi militanti intrecciati di improvvisazioni free, LeRoi Jones e` uno dei rari jazzisti del verbo, lontano erede dei preachers e inventore dei suoni-urli che fanno parte integrante della Great Black Music. [P.C.] «Black And Beautiful... Soul And Madness» (1965); Black Art (Sunny Murray, 1965); Black Dada Nihilismus (New York Art Quartet, 1970); «New Music New Poetry With David Murray And Steve McCall» (1980).

BARBARIN, Paul Batterista statunitense (New Orleans, Louisiana, 5/5/1899 - 10/2/1969). Suo padre, Isidore Barbarin, e` musicista come tre dei suoi fratelli. Debutta al clarinetto ma adotta presto la batteria ed entra nella Silver Leaf Orchestra e nella Young Olympia Band. Nel 1917 va a Chicago e passa in varie piccole orchestre prima di suonare con Freddie Keppard, Jimmie Noone e, nel 1924, King Oliver, col quale resta fino al 1927. In seguito lo ritroviamo a New York nel gruppo di Luis Russell (1928-32 e 1935-38), dove accompagna

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Louis Armstrong, che ritrova nel 1941. Henry Allen lo scrittura nel suo sestetto (1942-43), poi e` con Sidney Bechet. Torna a New Orleans e costituisce la sua formazione personale che dirige regolarmente per molti anni, se si eccettuano le interruzioni che lo vedono suonare ancora a New York, a Chicago o a Los Angeles... Muore di arresto cardiaco. Suo fratello Louis (New Orleans, Louisiana, 24/10/ 1902 - 15/12/1997), batterista come lui, ebbe una carriera piu` modesta. L’esecuzione di Paul Barbarin e` leggera, varia, ricca d’inventiva, possiamo dire anche evoluta, con riferimento alla sua attivita` all’interno della sezione ritmica di Luis Russell, cosa che puo` spiegare l’attenzione che gli viene dedicata, ai suoi inizi, da un altro batterista di New Or[A.C.] leans: Ed Blackwell. Con Armstrong: Old Man Mose, On Treasure Island (1935); «Paul Barbarin Jazz Band» (1956).

BARBER, Chris (Donald Christopher) Trombonista, trombettista e direttore d’orchestra britannico (Welwyn Garden City, 17/4/1930). Dopo aver imparato il violino, adotta il trombone nel 1948 e forma un’orchestra di dilettanti appassionati di jazz New Orleans. Nel 1953 codirige una nuova formazione con il trombettista Ken Colyer. Quest’ultimo lascia l’orchestra l’anno dopo, e Barber ne assume la direzione. Gli anni ’50 e ’60 saranno segnati da un grosso successo di pubblico. Dopo aver suonato agli inizi una musica vicina allo stile New Orleans, la Chris Barber’s Jazz And Blues Band si evolve verso forme piu` classiche, facendo qualche incursione nel rhythm and blues e nel jazz-rock. Leader pieno di risorse, Barber mantiene la sua formazione alla ribalta in campo internazionale (numerose tourne´e in Europa e negli USA), proponendo di frequente invitati di rilievo come Sonny Boy Williamson, Ray Nance, Louis Jordan, Sister Rosetta Tharpe, John Lewis... La discografia di Barber e` abbondante, costellata di successi commerciali come

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Petite Fleur di Sidney Bechet cui, tramite il suo clarinettista, Monty Sunshine, assicuro` la fama prima dello stesso Bechet. [A.C.]

«Chris Barber’s American Jazz Band» (1960), «The Chris Barber Jubilee Tour Album» (con Ray Nance, 1974); «Echoes Of Ellington» (con Russell Procope e Wild Bill Davis, 1976).

BARBIERI, «Gato» (Leandro) Sassofonista tenore argentino di origine italiana (Rosario, Argentina, 28/11/ 1934). Figlio di un falegname, violinista dilettante, scopre il sax tenore accanto a uno zio sassofonista, poi il jazz ascoltando Charlie Parker nel 1944. Debutta col requinto (un piccolo clarinetto). Segue per cinque anni un corso specifico di clarinetto a Buenos Aires, ma prova anche il sax alto e la composizione. Suona nell’orchestra di Lalo Schifrin nel 1953 e sceglie il tenore nel 1955. Nel 1962, dopo qualche mese in Brasile, si stabilisce a Roma e si fa conoscere in breve tempo come sideman (con Jim Hall, Ted Curson). A Parigi, nel 1965, incontra Don Cherry e lo segue a New York per incidere per la Blue Note «Complete Communion» (1965) e «Symphony For Improvisers» (1966). Nel frattempo, a Milano, partecipa ai Nuovi Sentimenti di Giorgio Gaslini. Nel 1967 incide i due primi dischi col suo nome («In Search Of The Mistery» e «Obsession»). In seguito partecipa a «A Genuine Tong Funeral», scritta per Gary Burton da Carla Bley, e collabora con quest’ultima: «Escalator Over The Hill», «Tropic Appetites», e con la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden. Il duetto con Dollar Brand (1968) imprime alla sua musica una svolta decisiva in direzione delle sue origini sudamericane e, in senso piu` ampio, delle musiche del terzo mondo. Associato a Lonnie Liston Smith fino al 1973, guida molte formazioni per la Flying Dutchman, dove sfilano Roswell Rudd, Joe Beck, John Abercrombie, Stanley Clarke, Jean-Franc¸ois Jenny-Clark, Ron Carter, Chuck Rainey, Beaver Harris, Lennie White, Roy Haynes, Pretty Purdie, Nana´ Vasconce-

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BARBOUR

los, Airto Moreira, James M’tume... Benche´ il suo trionfo al festival di Montreux (El Pampero) e il suo contributo alla colonna sonora del film Ultimo Tango a Parigi (Bernardo Bertolucci) sotto la direzione di Oliver Nelson aumentino sempre piu` la sua popolarita`, a partire dal 1973 Barbieri fa sempre piu` riferimento alle sue origini circondandosi di musicisti sudamericani, in particolare nei quattro «Chapter» per la Impulse. Da allora, la sua produzione per la A & M diventa sempre piu` commerciale, all’interno di importanti formazioni di studio, ma lontano dal jazz e a beneficio di un pubblico piu` vasto. Negli ultimi anni, dopo momenti difficili e seri problemi di salute, Barbieri ha ripreso a frequentare con una certa regolarita` le sale da concerto e i festival. Segnato contemporaneamente dall’universo di Coltrane e dalla sua fruttuosa collaborazione col trombettista di Ornette Coleman, Don Cherry, Gato Barbieri si pone al centro della problematica sollevata dall’evoluzione del free jazz durante gli anni ’60. Stilista del timbro, che maltratta fino all’ultimo, e allo stesso tempo lirico tentato dall’espressivita` del grido e l’autenticita` della melodia, esitando tra la veemenza e il piacere, l’illeggibilita` e la limpidezza, Gato Barbieri ha saputo fondare il suo equilibrio sul radicamento nella tradizione popolare. Proprio come Dollar Brand o Chris McGregor, egli mostra la storia della musica nera americana come esempio alle musiche popolari del [F.Be.] terzo mondo... «Complete Communion» (Cherry, 1965); Hamba Khale (con Brand, 1968); «Escalator Over The Hill» (C. Bley, 1968); «The Third World» (1969), «Under Fire», «El Pampero» (1971), «Chapter Two: Hasta Siempre» (1973), «Chapter Four: Emiliano Zapata» (1975).

BARBOUR, Dave (David Michael) Chitarrista statunitense (Long Island, New York, 28/5/1912 - Malibu, California, 11/12/1965). Suona il banjo nell’orchestra del suo college e debutta con Wingy Manone (1934). Poi suona con

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BARCELONA

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Red Norvo (1935-36), Lennie Hayton (1936-37), Hal Kemp (1938), Artie Shaw (1939), Raymond Scott, Charlie Barnet, Glenn Miller, prima di entrare da Benny Goodman nel 1942. L’anno dopo sposa la cantante dell’orchestra, Peggy Lee, e l’accompagna fino al 1951. Insieme scriveranno canzoni di successo (Man˜ana, 1947). Nel 1949 fa un’apparizione nell’orchestra di Woody Herman per una tourne´e a Cuba. Dopo il divorzio, Dave Barbour accompagna altre cantanti, come Nellie Lutcher o Jeri Southern. Si cimenta nella commedia, in Secret Fury (1951) con Claudette Colbert, ma a poco a poco si ritira dalla scena musicale anche se, nel 1962, partecipa ancora a un’incisione sotto la direzione di Benny Carter. Musicista di transizione – tra la tradizione dixieland e il bebop – Barbour e` passato dal compito di chitarrista ritmico a un’esecuzione che sviluppa gli effetti del legato o dello staccato facilitati dalla chi[A.C.] tarra elettrica. Spreadin’ Rhythm Around (Teddy Wilson/ Billie Holiday, 1935); Casanova’s Lament (Jack Teagarden, 1943); Good Enough To Keep (Andre´ Previn, 1945); Would You Like To Take A Walk? (Louis Armstrong-Ella Fitzgerald, 1951).

BARCELONA, Danny (Daniel) Batterista statunitense (Honolulu, Hawaii, 23/7/1929 - Monterey Park, California, 1/4/2007). Di origini filippine e hawaiane, autodidatta, viene scritturato fin dal 1948 da Trummy Young, col quale suona per tre anni. In seguito forma la sua Hawaiian Dixieland All Stars, che fara` qualche tourne´e, soprattutto in Medio Oriente. Durante gli anni ’50 collabora a una rivista internazionale e viaggia molto. Nel 1957 si stabilisce negli Stati Uniti. Danny Barcelona e` nella storia dei batteristi jazz per la sua presenza al fianco di Louis Armstrong, che lo fa entrare nel 1958 nella sua All Stars, dietro consiglio di Trummy Young. Accompagnatore voluminoso, testimone di una gioia autentica di suonare in pubblico, fiammeggiante solista, Danny Bar-

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celona venne sempre messo in risalto da Armstrong nei momenti culminanti dei concerti, durante le molte tourne´e degli anni ’50. Batterista spesso molto criticato, ma con una bella tecnica sul rullante che suona al confine tra il dixieland e il middle jazz, ammiratore di Gene Krupa, e` stato soprattutto un imitatore di Buddy Rich nei suoi assolo piu` spettacolari, senza possedere la capacita` inimitabile del maestro. Ha saputo ascoltare anche la batteria piu` moderna di Max Roach, che [G.P.] ammirava. Con Armstrong: Rocking Chair (1958), Stompin’ At The Savoy (1965), Canal Street Blues (1966).

BAREFIELD, Eddie (Edward Emmanuel) Clarinettista, sassofonista e arrangiatore statunitense (Scandia, Iowa, 12/12/1909 New York, 4/1/1991). Studia pianoforte a dieci anni e poi si cimenta al sassofono. Arrivera` solo piu` tardi al clarinetto. Nel 1926 debutta con gli Edgar Pillar’s Night Owls poi passa in molte orchestre poco conosciute fino al 1930, dirigendo a volte una piccola formazione. All’inizio degli anni ’30 scrive i suoi primi arrangiamenti per Bennie Moten, con il quale incide i suoi primi dischi (Toby, Moten’s Swing, The Blue Room, Two Times, 1932). Lascia Moten per Zack Whyte (1933), poi Cab Calloway lo porta in una tourne´e in Europa (1934). Lasciato Calloway nel 1936 si ferma sulla West Coast, dove dirige varie piccole formazioni quando non si esibisce con Les Hite. A partire dal 1938 suona con Fletcher Henderson, Don Redman a New York, di nuovo Calloway, Coleman Hawkins, Benny Carter (1941), Ella Fitzgerald (1942). Dal 1942 al 1946 fa parte dell’orchestra della stazione radiofonica ABC, come strumentista ma anche come arrangiatore. Nel 1947 suona con Duke Ellington (all’Hurricane Club), Wilbur DeParis e, alla fine dell’anno, diventa direttore musicale del lavoro teatrale A Streetcar Named Desire che resta in scena fino al 1949. Viene scritturato da Sy Oliver e Fletcher Henderson (1950), torna a suonare negli studi di registra-

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zione, fino al momento in cui Cab Calloway lo assume come direttore musicale della sua orchestra. Dopo una tourne´ e nell’America meridionale (1951), riprende la strada del teatro e degli studi, ritrova Don Redman (1953), suona con i Dukes Of Dixieland (1955), torna in Europa con Sammy Price (1958), poi con lo spettacolo Jazz Train (1960). A New York suona con Wilbur DeParis (1964), i Jazz Giants (1967), i Saints And Sinners (tourne´e europea nel 1969), continuando a dirigere una propria formazione (tourne´e africana nel 1969). Si consacra sempre piu` all’arrangiamento per spettacoli come One Mo’ Time. Suona spesso nel gruppo di Dick Hyman, il New York Jazz Repertory Company, con il quale partecipa al festival di Nizza (1977). Buon tecnico del clarinetto, di cui sfruttava con uguale entusiasmo il registro dei suoni gravi e acuti, Barefield e` un potente swingman (ma di poca regolarita`) al quale il disco rende di rado giustizia. Eppure i suoi interventi in Moonglow (al sax alto, con Calloway, 1934) o Drum Stomp (al clarinetto, con Lionel Hampton, 1937) sono pieni di inventiva e di calore. Al sax alto e` meno tradizionale – si colloca nella linea di Benny Carter – e mostra la stessa mobilita`, inserendo bei chorus di blues (Oliver’s Movements con Harlem On Parade, 1977). [A.C.] Jitterbug (Calloway, 1934); I Surrender Dear (Hampton, 1937); Rose Room (Henderson, 1950); «Eddie Barefield Plays The Work Of Edgar Battle» (1964), «Undestructible» (1977).

BARELLI, Aime´ Trombettista e direttore d’orchestra francese (Lantosque, 1/5/1917 - Monte Carlo, 13/7/1995). E` alle prime armi quando suona in alcune orchestre della Costa Azzurra. A Parigi nel 1904, suona con Fred Adison e poi nel Jazz de Paris diretto da Alix Combelle. Durante l’Occupazione prende parte attivamente alla vita del jazz parigino, staccandosi ben presto dalla schiera dei trombettisti francesi (Alex Renard, Christian Bellest, Pierre Allier...). Cio` nonostante, a partire dagli

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BARKER

anni ’50, si allontana dal jazz per assumere la direzione di un’orchestra di musica da ballo, che accoglie molti giovani musicisti come Martial Solal, che vi troveranno una sorta di corso di formazione. Aime´ Barelli aveva molte carte vincenti: forte sonorita`, tecnica brillante, innegabile senso dello swing e molto dinamismo, come mostra il successo dei dischi che ha inciso durante l’Occupazione con Combelle, Hubert Rostaing, Noe¨l Chiboust, Django Reinhardt o a suo nome. [A.C.]

Be´be´ d’amour (1941), Refrain sauvage, Nouveau rythme (1942), Chico Cristobal, Chagrin (1944).

Baritono f Sassofono.

BARKER, Danny (Daniel) Banjoista, chitarrista e compositore statunitense (New Orleans, Louisiana, 13/1/ 1909 - 13/3/1994). Studia il clarinetto con Barney Bigard poi la batteria con suo zio, Paul Barbarin; ma alla fine, dopo l’ukulele e il banjo, e` alla chitarra, consigliatagli da Bernard Addison, che potra` fare carriera. Suona con la Ragtime Band di Lee Collins alla fine degli anni ’20. Nel 1930 va a New York dove viene scritturato da Dave Nelson (1931), Fess Williams, Buddy Harris (1933), Albert Nicholas (1935), James P. Johnson (Small’s), Lucky Millinder (1937-38), nella grande orchestra di Benny Carter (1938) e in quella di Cab Calloway con la quale collabora regolarmente dal 1939 al 1946. Avendo sposato la cantante Louise Dupont (che prese il nome di Blue Lou Barker), la accompagna con un piccolo complesso pur ritrovando di tanto in tanto Lucky Millinder (1947), Bunk Johnson (1947), Albert Nicholas (1948), Paul Barbarin (1954-55). Alla fine degli anni ’50 e durante gli anni ’60, dirige ogni tanto il suo gruppo ma lo vediamo anche al fianco di Eubie Blake (festival di Newport, 1960), Cliff Jackson (Ryan’s, 1963). Nel 1965 torna a New Orleans per occupare un posto ufficiale al New Orleans Jazz

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BARKER

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Museum. Partecipa a molte manifestazioni in occasione di festival e parate o nei club, tiene delle conferenze e negli anni ’80 continua a essere molto attivo sulla scena musicale della sua citta` natale, suonando spesso con Wynton Marsalis. Memorialista prezioso non solo dell’eta` del jazz di New Orleans ma anche dell’epoca swing e perfino bebop, Danny Barker e` stato una delle fonti di ispirazione di Nat Hentoff e Nat Shapiro per Hear Me Talkin’ To Ya. Tra l’altro ha pubblicato lui stesso, in collaborazione con Jack Buerkle, una raccolta di ricordi, Bourbon Street Black (1973). Danny Barker non si e` limitato alle sezioni ritmiche del jazz tradizionale, ma ha anche portato il suo contributo sottile e pungente a molti solisti dell’epoca swing: il primo, Chu Berry, col quale incide nel 1938 una serie di dischi che mettono bene in luce le sue qualita` di accompagnatore, sciolto e preciso e allo stesso tempo incisivo e stimolante. Sono questi i motivi che, nel 1945, lo fanno suonare per l’Apollo al fianco di Charlie Parker e Dexter Gordon o, nel 1957, con Count Basie, Coleman Hawkins, Lester Young, Roy Eldridge, alla serie televisiva The Sound Of Jazz... Dal 1931, epoca in cui collaborava con Dave Nelson, ha partecipato a molte sedute in sala di incisione con Cab Calloway, Lionel Hampton, Henry Allen, Louis Armstrong, Sidney Bechet, Billie Holiday, La[A.C.] Vern Baker ecc.

dell’Experimental Band e alle prime riunioni dell’AACM. La prima incisione e` in settetto con Joseph Jarman («Song For», 1966). Riformato per asma, lavora in un club della catena Playboy, fa parte dei primi quartetti di Braxton e incide con Abrams. Nel 1968 viene scritturato per lo spettacolo Hair, poi comincia a insegnare all’American Conservatory e diventa il percussionista di vari musical allo Schubert Theatre (The Wiz, Ain’t Misbehavin’, Bubblin’ Brown Sugar...). Incide anche con Bette Midler, Marvin Gaye, esibendosi allo stesso tempo con Abrams e Malachi Favors nelle moschee e nei ristoranti appartenenti alla Nation of Islam. Nel 1978 viene chiamato da Sam Rivers: in due anni, con Rivers o Braxton, fa dodici viaggi in Europa. Poi suona, a New York, con John Stubblefield, ottiene delle scritture nei teatri off-Broadway e, durante una tourne´e europea, succede per brevissimo tempo a Steve McCall all’interno del trio Air. Lo si sente anche al fianco di Leroy Jenkins, David Eyges, Henry Threadgill, Roscoe Mitchell, Amina Myers, Billy Bang, Butch Morris... Percussionista colorista, in particolare alla marimba, e ritmicamente ricco (notevole soprattutto per la varieta` della sua esecuzione ai piatti), improvvisatore inesauribile, Barker e` allo stesso tempo l’esempio delle ambizioni dell’AACM e il prodotto polivalente di una carriera dal[P.C.] l’eclettismo eccezionale.

Con Chu Berry: Body And Soul, Sittin’ in, 46 West 52nd Street (1938).

«Contrasts» (Rivers, 1979); The Clock (Amina Claudine Myers, 1983).

BARKER, Thurman Batterista e percussionista statunitense (Chicago, Illinois, 8/1/1948). E` ancora al liceo quando vede suonare un batterista rock, Roy Robertson, e fa la sua scelta strumentale. I suoi genitori lo iscrivono all’American Conservatory Of Music. Ascolta dischi di Cozy Cole, Cannonball Adderley (con Roy McCurdy), Oscar Peterson (con Louis Hayes). Il debutto e` con il sassofonista John Epps in un bar del North Side. A meta` degli anni ’60 incontra Richard Abrams, partecipa alle prove

BARKSDALE, Everett Chitarrista statunitense (Detroit, Michigan, 28/4/1910 - Inglewood, California, 29/1/1986). Dopo essersi cimentato con molti strumenti a corda (violino, contrabbasso) e al pianoforte in alcune orchestre locali, adotta la chitarra. Agli inizi degli anni ’30 lo troviamo con Erskine Tate a Chicago, nell’orchestra di Clarence Moore al Grand Terrace Hotel (1932) e nel gruppo del violinista Eddie South col quale, nel 1937, viene in Europa. Nel 1940 viene scritturato da Benny Carter

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nella sua grande orchestra poi da Leon Abbey, Herman Chittison, Buster Browne (1942), Cliff Jackson (1944), Lester Boone (1944). Si esibisce occasionalmente con il suo quartetto fino al 1945. Entra nell’orchestra della CBS a New York e vi rimane un anno e mezzo. Dal 1949 al 1955 suona nel trio di Art Tatum (con il contrabbassista Slam Stewart). Diventa direttore musicale del gruppo vocale The Ink Spots che porta in Europa per una tourne´e. Al suo ritorno negli Stati Uniti ritrova Tatum ma solo per qualche mese, dato che il pianista muore alla fine del 1956. Everett Barksdale riprende allora la strada degli studi di registrazione newyorkesi e torna al suo primo amore, il contrabbasso, diventato ormai basso elettrico, e suona nell’orchestra di Buddy Tate (1958-59). Si divide tra la chitarra e il contrabbasso, soprattutto nelle formazioni di studio che suonano per la televisione. Pur essendo un abile tecnico, questo accompagnatore solido e agile non fa mai sfoggio di virtuosismi, anche in un contesto (con Art Tatum) che potrebbe incitarlo. La sua sonorita` e` delle piu` piacevoli, il suo discorso volubile senza esagerare e i suoi chorus, troppo rari, sempre equilibrati e ben costruiti. Suona il blues con [A.C.] grande calore. Con Sidney Bechet: Mood Indigo, Strange Fruit (1941); con Tatum: Out Of Nowhere, Indiana, Just One Of Those Things (1952); Blues For Baby (Joe Thomas, 1958).

BARNES, George Chitarrista statunitense (Chicago, Illinois, 17/7/1921 - Concord, California, 5/ 9/1977). Suo padre, professore di musica, gli da` le prime nozioni di chitarra. Alla fine degli anni ’30 forma un gruppo che lo porta nel Middle West per una lunga tourne´e. In seguito lo troviamo al fianco di Bud Freeman e di Yank Lawson-Bob Haggart, a Chicago e New York. Lavora anche per delle stazioni radiofoniche o in duo con i chitarristi Carl Kress (fino alla morte di questi nel 1965), poi Bucky Pizzarelli (1969-72). L’anno dopo forma,

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BARNES

con Ruby Braff, un quartetto che partecipa a molti concerti e festival (Newport, Nizza) fino al 1975. In seguito trova un nuovo partner nella persona di Joe Venuti, che cerca, mezzo secolo dopo, di dare un seguito al suo duo con Eddie Lang. Con il violinista partecipa, nel 1975, al festival di Concord. Suona anche in tandem con altri chitarristi, fino alla sua morte dovuta a un’insufficienza cardiaca. Musicista fine, preciso, spesso lirico, Barnes eccelle nell’interpretazione del blues. Sosteneva (forse a ragione) di essere stato il primo, in anticipo su Eddie Durham o Floyd Smith, a usare una chitarra amplificata elettricamente. E` autore di molti metodi di chitarra. [A.C.] «Something Tender» (Freeman, 1962); «Town Hall Concert» (con C. Kress, 1963); «The Best I’ve Heard» (con R. Braff, 1973-75); «Gems» (con Joe Venuti, 1975); Blues Going Up (1977).

BARNES, «Polo» (Paul) Sassofonista e clarinettista statunitense (New Orleans, Louisiana, 22/11/1901 13/4/1981). Fratello del clarinettista Emile Barnes, prende qualche lezione di pianoforte a sedici anni, poi nel 1919 acquista un sax contralto e forma la Original Diamond Jazz Band, divenuta poi la Young Tuxedo Orchestra (1922). Si unisce in seguito a Kid Ory ed entra nella Maple Leaf Orchestra (1932), suonando a volte con Chris Kelly. Con la Tuxedo arriva a New York, ma l’orchestra si scioglie sulla via del ritorno. Barnes resta con Papa Celestin e compone My Josephine, brano che incide nel 1926. Nel 1927 King Oliver lo assume nel suo gruppo, col quale registra, compie tourne´e e si esibisce al Savoy. In seguito lo troviamo con Chick Webb, Elmer Snowden, Luis Russell, prima di entrare nei Red Hot Peppers di Jelly Roll Morton. Di nuovo con Oliver (nel 1931, poi nel 1934-35), si esibisce con Kid Howard (1935-42) e si arruola in marina (1942-45). Congedato, torna con Papa Celestin (1946-51), per poi stabilirsi in California e ridurre la propria attivita`.

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Rientrato definitivamente a New Orleans, conclude la carriera alla Preservation Hall, suonando anche in Europa nel 1973. Dotato di buona tecnica al contralto e al soprano, Barnes ha sempre dato l’impressione di essere piu` un onesto professionista, desideroso di partecipare all’evoluzione della musica di New Orleans, che non un solista penetrante. Al clarinetto esibisce una delicatezza, quasi una fragilita`, che sottolinea una solida immaginazione, un acuto senso armonico e una sonorita` piena, soprattutto nel registro [J.P.D.] medio. All’alto: I’m Satisfied You Love Me (P. Celestin, 1926); Deep Creek (Morton, 1928). Al clarinetto: Panama (1960), Ti-Pi-Ti-PiTin (1969).

BARNET, Charlie (Charles Daly) Sassofonista (soprano, alto, tenore), clarinettista e direttore d’orchestra statunitense (New York, 26/10/1913 - San Diego, California, 4/9/1991). Nato in una famiglia assai benestante, studia pianoforte fin da piccolo e, a dodici anni, il sassofono. Fa i suoi studi alla Blair Academy di New York e poi in un college di Winnetka (Illinois) ma, voltando le spalle agli studi di giurisprudenza che vorrebbero fargli fare i genitori, sceglie la musica. A sedici anni, dopo aver debuttato al Waldorf Astoria il 16 marzo 1929, dirige una piccola formazione su un piroscafo da crociera. E` l’inizio di una serie impressionante di viaggi per conto delle piu` importanti agenzie di turismo e navigazione, che gli faranno attraversare l’Atlantico piu` di venti volte e conoscere il Mediterraneo e le acque dell’America meridionale agli inizi degli anni ’30. Di ritorno sulla terraferma, segue i corsi della Rumsey Academy, fa parte dell’orchestra dell’istituto e suona per quasi un anno con i Pennsylvanians di Frank Winegar, utilizzando piu` volentieri il tenore che l’alto dei suoi inizi. Suona con l’orchestra di Beasley Smith, con lo stravagante trombettista Jack Purvis, poi forma la sua prima big band nella primavera del 1933 sul modello di quella di Duke Ellington (al quale si ispira senza

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imitarlo), usando gli arrangiamenti di Horace e Fletcher Henderson, Don Redman, Benny Carter, Billy Moore o Andy Gibson. Per trent’anni (a eccezione di qualche interruzione) dirige questa grande orchestra che, tra l’altro, avra` il merito di essere stata la prima non afroamericana scritturata all’Apollo di Harlem (1934). Charlie Barnet ha favorito molto, fin dalla meta` degli anni ’30, l’integrazione di musicisti neri nella sua orchestra: Charlie Shavers, Frankie Newton, Ram Ramirez, Trummy Young, Roy Eldridge, Oscar Pettiford, Kansas Fields, Al Killian, Lena Horne e molti altri vi passarono per un periodo piu` o meno lungo. Nel 1935, sciolta la sua formazione e prima di costituirne un’altra, gira due film a Hollywood – come attore – al fianco di Jimmy Durante e Simone Simon, ma e` come direttore o solista che la sua immagine restera` nella storia del cinema: lo si vede e sente in Syncopation (1942), Music In Manhattan (1944), Idea Girl (1946), The Fabulous Dorseys (1947), A Song Is Born (1948), Make Believe Ballroom (1949), The Big Beat (1957). Durante gli anni ’50 e di fronte a grosse difficolta` si allontana dalla scena musicale e vive di rendita (aveva ereditato notevoli sostanze), apparendo solo in qualche occasione a New York, Las Vegas o Disneyland (1972) con saltuarie incisioni discografiche, e facendo parlare di se´ nella cronaca mondana per un susseguirsi di divorzi e matrimoni. Benche´ entrata tardi in concorrenza con quelle di Benny Goodman, Tommy Dorsey, Artie Shaw e Glenn Miller, l’orchestra di Charlie Barnet ha conosciuto un grande successo di pubblico (Cherokee, 1939). Molti giovani musicisti, come Neal Hefti, Dodo Marmarosa, Al Haig, Buddy De Franco, Barney Kessel o la cantante Mary Ann McCall vi hanno trovato un trampolino di lancio, e molti altri artisti, come Billy May, i trombettisti Bernie Privin (Ring Dem Bells, 1940), Chris Griffin (Nagasaki, 1935), Bobby Burnet (Midweek Function, 1939), una vetrina privilegiata. Come strumentista, Charlie Barnet si riallaccia sia alla tradizione di

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BARRETTO

Coleman Hawkins (quando suona il sax tenore) sia a quella di Johnny Hodges (al sax alto), talvolta fino al mimetismo. Ha pubblicato un’opera autobiografica: [A.C.] Those Swinging Years (1948).

di spazzole, sollecitando tutte le parti del suo strumento. In opposizione ai batteristi ‘‘tecnici’’ e scolastici, Baron propone uno stile azzardato, rischioso, pieno di contrasti e di potenza ben controllata. [O.G., F.G.]

Pompton Turnpike, Redskin Rumba (1940), Sky-liner (1944), Cuba (1949); I Got Rhythm (Metronome All Stars, 1942).

What is This Thing Called Love? (Hersch, 1987); Some Song and Dance (Frisell, 1988); The Maze (Berne, 1993).

BARON, Joey Batterista statunitense (Richmond, Virginia, 26/6/1955). Inizia a studiare la batteria nel 1964, entra nella marching band della scuola e ascolta alla radio musica latina, rhythm and blues e jazz. A quattordici anni comincia ad accompagnare i musicisti di passaggio in citta`. Dopo il liceo si trasferisce a Boston e, per due anni, frequenta importanti personaggi del jazz e del blues: Tony Bennett, Hampton Hawes, Blue Mitchell, Jay McShann, Big Joe Turner, Red Mitchell, Jim Hall... Carmen McRae gli offre nel 1976, a Los Angeles, il primo ingaggio importante, mentre il debutto discografico avviene in un disco dell’attrice e cantante Cybill Shepherd («Mad about the Boy», con Stan Getz). All’inizio degli anni ’80 suona spesso in trio con Marc Johnson ed Enrico Pieranunzi (collaborazione che dura ancora oggi), cosı` come col pianista Fred Hersch e con Toots Thielemans. Poi lavora regolarmente con Bill Frisell, grazie al quale incontra John Zorn, Tim Berne (con cui registra due dischi in trio, assieme al violoncellista Hank Roberts, sotto il nome di Miniature e, in omaggio a Julius Hemphill, l’album «Diminutive Mysteries»). Nel 1991 firma il primo album da leader, «Tongue in Groove», con Ellery Eskelin al sax tenore e Steve Swell al trombone. Ha continuato a incidere da leader, spesso con Arthur Blythe e Ron Carter. Utilizzando materiali ridotti all’osso, Baron sembra sempre in costante ebollizione. Capace di improvvise frammentazioni del tempo, puo` alternare momenti di violenza estrema (in cui sa anche parodiare con umorismo i ritmi piu` banali) e accarezzare le pelli con un vigoroso gioco

Barrelhouse Questo termine (e il suo sinonimo honky tonk) indicava, agli inizi del secolo XX, dapprima a New Orleans, poi nei quartieri neri delle grandi citta` statunitensi, una mescita di basso rango dove la birra veniva spillata direttamente dai barili (barrels). Questi luoghi erano spesso animati da un pianista, talvolta accompagnato da strumenti di fortuna come il kazoo, il jug, il ‘‘pettine musicale’’ o l’armonica, assistiti, nel migliore dei casi, da una chitarra e un contrabbasso. Per estensione, si e` dato il nome di barrelhouse anche alla musica che vi si suonava. Usando essenzialmente l’aspetto percussivo del suo strumento, il pianista non proponeva grandi finezze. Su una trama armonica rudimentale, mediante il rag, il blues e, piu` tardi, il boogie-woogie, proponeva una musica grezza, rugosa e caotica che le incisioni non hanno potuto conservare. Comunque le registrazioni di Jimmy Yancey, Meade Lux Lewis (Honky Tonk Train Blues, 1927), Cow Cow Davenport, Pinetop Smith e, in genere, dei pianisti di boogie-woogie, possono dare un’idea di cio` che era lo stile praticato nelle barrelhouses, in maniera piu` precisa del brano di Jess Stacy (1935) che porta proprio il titolo Barrelhouse. Molti pianisti jazz, prima degli anni ’30, hanno mosso i primi passi nella penombra e nel brusio di una barrelhouse, su un misero pianoforte verticale che e` lecito chiedersi se fosse regolarmente accordato. [A.C.]

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BARRETTO, Ray (Raymond) Percussionista e batterista statunitense (Brooklyn, New York, 29/4/1929 - 17/2/ 2006). Di origine portoricana, ha solo quattro anni quando suo padre abbandona

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BARRON

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il tetto coniugale. Per seguire corsi di inglese, condizione necessaria alla sopravvivenza, la madre lascia spesso i tre figli da soli con la radio accesa. Ray vi scopre le grandi orchestre del momento: Glenn Miller, Tommy Dorsey, Harry James, ma anche Duke Ellington, Count Basie... A diciassette anni si arruola ed e` proprio nell’esercito, nel 1964-69, a contatto con i musicisti europei, che si interessa attivamente al jazz. Prima all’Orlando Club di Monaco, poi con i dischi che gli fanno scoprire Chano Pozo con Dizzy Gillespie: ne e` conquistato. Debutta all’Orlando con un vecchio banjo. Di ritorno negli Stati Uniti compra un paio di bonghi, studia le percussioni e, fino al 1953, ‘‘improvvisa’’ un po’ ovunque a Harlem, con Lou Donaldson, Donald Byrd, Max Roach, Dizzy Gillespie, Roy Haynes e anche due settimane con Charlie Parker, incontrato all’Apollo. Ottiene la prima scrittura da Jose´ Curbellon, nel 1950. Diventato professionista nel 1954, lo ritroviamo da Tito Puente, Wes Montgomery, Gene Ammons, Red Garland, Lou Donaldson... E` con Dizzy Gillespie che incide il primo disco. Notato da Eddie Bonnemere, del Jazz Latin Combo, fa una tourne´e che aumenta la sua fama. Tito Puente lo scrittura nella sua big band, della quale e` solista per quattro anni, per sostituire Mongo Santamarı´a che ha raggiunto Cal Tjader in California. Decide di formare la sua orchestra e conosce il successo nel 1962-63, in particolare con El Watusi. Da allora si esibisce a capo di formazioni di una decina di musicisti dal personale mutevole. Dopo Chano Pozo, precursore in materia, e` senza dubbio il piu` jazz dei suonatori di congas, legato ben presto e con estrema facilita` alla scena bebop. Non si tratta solo di celerita` e destrezza (che non mancano al piu` newyorkese dei latino-americani); sia da solista che da percussionista aggiunto – e soprattutto ai bonghi – le sfumature della sua pulsazione (che e` anche sapienza di tocco) aggiungono al flusso ritmico globale elasticita` e melodia, come se Ray facesse ‘‘cantare’’ ancora di piu` il

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ritmo. Un musicista del tutto consapevole della sua situazione di via di mezzo tra il jazz e la salsa. [P.B., C.G.] «Rican Struction» (1978), «Fuerza Gigante» (1980).

BARRON, Bill (William Jr.) Sassofonista (tenore e soprano), compositore e insegnante statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 27/3/1927 - Middletown, Connecticut, 21/9/1989), fratello di Kenny. Studia al Metsbaum Vocational High di Filadelfia e poi alla Ornstein School of Music dove suona con Jimmy Heath, Johnny Coles e Red Garland, oltre che a capo del suo gruppo. A New York, nel 1958, suona con Donald Byrd, Charles Mingus e Cecil Taylor (col quale incide un album nel 1959). Suona con Philly Joe Jones nel 1961, poi dirige un quartetto con Ted Curson nella prima meta` degli anni ’60. Dal 1972 si consacra sempre piu` all’insegnamento e, dopo la laurea (1975), dirige la sezione jazz della Wesleyan University (Middletown, Connecticut). Responsabile di tutto il dipartimento musicale dell’universita` dal 1984, vi si esibisce regolarmente e non smette di incidere per la Muse. Aperto a tutte le risorse della composizione, Bill Barron resta ancorato alle forme tradizionali, che travolge dall’interno con frequenti incursioni modali. Strumentista dal lirismo controllato, Barron rifiuta di lasciar parlare i soli affetti e mette la sua sonorita` franca al servizio di improvvisazioni costruite rigorosamente. Ne´ spettacolare ne´ rivoluzionario, il suo stile esigente, quasi geometrico, coltiva la virtu` dell’equilibrio. Questo rifiuto di qualsiasi concessione spiega senz’altro la sua reputazione di ‘‘musicista per mu[C.B., J.L.A.] sicisti’’. Little Lees (Cecil Taylor, 1959); The Leopard, Hurdy Gurdy (con Ted Curson, 1963); Variations In Blues, Be Who You Are (1983).

BARRON, Kenny (Kenneth) Pianista e compositore statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 9/6/1943). Comin-

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cia a studiare pianoforte a dodici anni con la sorella di Ray Bryant e ottiene, nel 1957, la prima scrittura nell’orchestra di Mel Melvin, di cui fa parte suo fratello Bill. Dopo un breve passaggio da Philly Joe Jones, poi da Yusef Lateef (1960), si stabilisce a New York, dove lavora col fratello e Ted Curson, poi con James Moody, Lee Morgan, Lou Donaldson (1961). L’anno dopo collabora con Roy Haynes, prima di sostituire (dietro raccomandazione di James Moody) Lalo Schifrin nel quintetto di Dizzy Gillespie, dove si fa conoscere; lascia Gillespie nel 1966 per unirsi a Freddie Hubbard, Jimmy Owens e Stanley Turentine. Nel marzo 1970 fa parte del quartetto di Yusef Lateef, poi lavora con Milt Jackson, Jimmy Heath, Stan Getz (1974-75), Buddy Rich (1975), prima di associarsi a Ron Carter per lungo tempo (1976-80). Nel 1981 e`, con Charlie Rouse, uno dei fondatori di Sphere, gruppo al quale resta fedele, continuando a lavorare dal 1984 con Bobby Hutcherson e senza smettere di accompagnare molti musicisti, in studio o in tourne´e. Nel 1972 insegna pianoforte al Jazzmobile Workshop e, dal 1973, pratica e teoria musicale alla Rutgers University. Incide molto come accompagnatore (oltre 70 dischi tra il 1961 e il 1987) e a suo nome dal 1973 per una molteplicita` di etichette. E` stato il piu` assiduo accompagnatore di Stan Getz negli ultimi anni di vita del sassofonista, ed e` oggi uno dei pianisti jazz piu` popolari in circolazione. Lo stile e la carriera di Kenny Barron fanno pensare spesso a quelli di Tommy Flanagan e Hank Jones: ha accompagnato moltissimi musicisti, adattandosi a ogni contesto con una capacita` impressionante e mostrando un talento da camaleonte che scoraggia ogni tentativo di singolarizzazione. E` in grado di accompagnare – e improvvisare – ‘‘alla Herbie Hancock’’ (con Freddie Hubbard e Joe Henderson), ‘‘alla McCoy Tyner’’ (ancora con Hubbard) o ‘‘alla Oscar Peterson’’ (con... Ray Anderson). Ma al fianco di Gillespie Kenny Barron si e` rivelato un vero e proprio stilista bebop. Agli inizi degli anni ’80 riveste il ruolo di depositario di una

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BARTHE´LE´MY

tradizione di piano-jazz moderno, trascurando i tratti rapidi un po’ frettolosi e curando soprattutto la sonorita`, uno sviluppo armonico raffinato, inaspettate formule ritmiche, senza distaccarsi da un [X.P.] forte attaccamento allo swing. Blues (from Gillespian) (Gillespie, 1965); Here’s That Rainy Day (1974), Don’t Explain (1983), Scratch (1985); «Live at Maybeck Recital Hall» (solo, 1990); People Time (Stan Getz, 1991); Jackie-ing (1991).

´MY, Claude BARTHE´LE Chitarrista e compositore francese (SaintDenis, 22/8/1956). Ha quattordici anni quando inizia lo studio della chitarra da autodidatta e suona in gruppi di periferia. Dopo gli studi di matematica, si interessa alla musica contemporanea e partecipa a gruppi di jazz-rock, tra cui Œdipe. Nel 1976 prende parte a spettacoli teatrali (Dore´navant I, col pianista Mico Nissim e il batterista Manuel Denizet). Il suo incontro con Michel Portal, nel 1978, segna l’inizio di una cooperazione regolare. All’interno di vari raggruppamenti portaliani e` accanto a Jean-Pierre Drouet, Franc¸ ois Jeanneau, Jean-Franc¸ ois JennyClark, Daniel Humair, George Lewis, Bernard Lubat, Henry Texier. Nel 1979, con Portal e Jenny-Clark, partecipa al disco di Aldo Romano «Il Piacere»; collabora con Vinko Globokar per il teatro e con Ge´rard Buquet (tuba solista dell’Ensemble InterContemporain) per il quale compone vari pezzi. L’incontro di Stu Martin e Ge´ rard Marais porta, quello stesso anno, alla nascita di un trio; esce il suo primo disco, «Jaune et Encore». Si esibisce con Siegfried Kessler, Franc¸ois Laizeau, Dominique Bertram, Muhammad Ali, James Newton... Poi, in Italia, con John Surman e Tony Oxley. Nel 1981, la Big Band de Guitares di Marais lo chiama. Contemporaneamente forma un trio con il batterista e cantante Jacques Mahieux e il contrabbassista Jean-Luc Ponthieux. Nel 1982, nuova collaborazione con Globokar e inizio di un’associazione con George Aperghis. Diventa contrabbassista e arrangiatore all’interno

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BARTHOLOMEW

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del quartetto del sassofonista Jean-Marc Padovani. Con lui, nel 1986, crea un’opera per quintetto di ottoni, sculture musicali e quartetto jazz. Poi sara` la volta di La Gomme, opera per quartetto a corda, quintetto jazz, canto, mimo e video (1987). Lo stesso anno nasce il collettivo ‘‘a orientamenti musicali multipli’’ Zhivaro, con Marais, Didier Levallet, Texier e il sassofonista-clarinettista Sylvain Kassap. Nel 1988, il Concerto d’Aranjuez gli serve da ossatura per una creazione con il complesso di ottoni Concert Arban. Ha diretto l’Orchestre National de Jazz dal 1989 al 1991. Barthe´le´my e` un divoratore di musica, e il suo appetito lo ha portato ad ascoltare di tutto: da Barto´k al rock degli anni ’60. Il virtuosismo tecnico delle sue mani e` riconosciuto da tutti, con particolare menzione per l’‘‘atleticita`’’ della sua mano sinistra. La sua esecuzione testimonia precisione nell’articolazione e una grande base tecnica. La sua impostazione dell’improvvisazione evoca il suo interesse per la musica contemporanea: le sue improvvisazioni possono infatti apparire seriali oppure a tema, e prendono le distanze dal suo umorismo stridente.

stra, e` lui che dirige le sedute in sala d’incisione da cui escono i dischi di Fats Domino, ma anche di Jewell King, Smiley Lewis, Roy Brown, Chris Kenner, The Spiders, James Crawford... Cosa che non gli impedisce di incidere per proprio conto, piu` come cantante che come trombettista, e senza il successo che procura agli altri. L’orchestra di Dave Bartholomew (o di Fats Domino, e` la stessa cosa) ha riunito i migliori specialisti del rhythm and blues di New Orleans: i sassofonisti Lee Allen, Herb Hardesty, Alvin Red Tyler e Clarence Hall; i chitarristi Ernest McLean, Justin Adams e Roy Montrell; il contrabbassista Frank Fields, i batteristi Earl Palmer e Cornelius Coleman. Personaggio indefinibile del music business di New Orleans, Dave Bartholomew e` anche un direttore d’orchestra dall’eccezionale talento di catalizzatore, e un trombettista dixieland tanto caloroso quanto incisivo. Fedele al repertorio tradizionale, ha saputo in qualche modo farlo suo, liberarlo dei resti dei pionieri sfuggiti alle brass band e darne una versione nitida e professionale, in cui si apprezza un suono bello e pulito. Canta an[J.P.] che il blues con forza.

[P.B., C.G.]

Country Gal (1949), No More Black Nights (1953), Jump Childern (1954).

«Modern» (1983), «Real Polit!-K» (1986); con la ONJ: Paradis (avec remorque) (1989), «Manuel» (1991); «Solide» (1993).

BARTHOLOMEW, Dave Trombettista, cantante e direttore d’orchestra statunitense (Edgard, Louisiana, 24/12/1920). Suona sui battelli a vapore, fa parte dell’orchestra di Clayborn Williams, partecipa alla seconda guerra mondiale e si ritrova in Francia. Di ritorno a New Orleans, nel 1947, incide i primi dischi a capo di un sestetto per la DeLuxe. Nel 1949 viene incaricato dal marchio Imperial di scoprire nuovi talenti. Il primo sara` Fats Domino, con The Fat Man. Durante i successivi vent’anni, Dave Bartholomew e` l’uomo chiave del rhythm and blues di New Orleans. Produttore, arrangiatore, compositore, direttore d’orche-

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BARTZ, Gary Sassofonista alto e soprano statunitense (Baltimora, Maryland, 26/9/1940). Inizialmente attratto dalla batteria, opta per il sax alto scoprendo Charlie Parker. A diciassette anni trascorre due anni alla Juilliard School di New York; piu` che dall’insegnamento, troppo formale per i suoi gusti, e` attirato dagli incontri (Lee Morgan, Grachan Moncur III...). Grazie al club del padre, a Baltimora, suona con la maggior parte delle celebrita` sulla scena. Nel 1964 Max Roach gli propone la prima scrittura importante. In seguito e` con Art Blakey, di nuovo Roach (196869), Jackie McLean (1973), ma soprattutto con McCoy Tyner (1968-70-74) e Miles Davis (1970-71). Bartz si afferma anche come leader e, fin dal 1967, incide

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molti dischi a suo nome, in particolare per la Prestige, a capo del Ntu Troop, un gruppo col quale cerca di realizzare una sintesi tra musica africana, blues e jazz (1973). Nella seconda meta` degli anni ’70 si avvicina a esperienze piu` commerciali e funky. Nel 1980 lo si ascolta al fianco di Woody Shaw e a capo di un proprio quartetto; nel 1985, con il trombonista Dick Griffin. Ha suonato e inciso anche con Joanne Brackeen, Cecil McBee, Kenny Barron, John Hicks, Shirley Horn, Roy Hargrove. Molti i suoi album, anche recenti, in cui e` tornato a proporre il vigoroso e avanzato hard bop modale dei suoi anni migliori. Gary Bartz predilige piu` i tenoristi che i contraltisti (con l’eccezione di Charlie Parker), cosa che spiega senza dubbio la sua inclinazione per il registro grave dello strumento. Il suo stile abbondante si adatta assai male alle costrizioni proprie del jazz, ma il suo gusto per le opere ben costruite lo allontana anche da certe im[C.B., J.L.A.] pudenze avanguardistiche. Another Earth (1968); con Miles Davis: What I Say, Funky Tonk, Innamorata (1970); I’ve Known Rivers (Ntu Troop, 1973); «Laura» (1990).

BASCOMB, «Dud» (Wilbur Odell) Trombettista statunitense (Birmingham, Alabama, 16/5/1916 - New York, 25/12/ 1972). Fratello minore di Paul, e ultimogenito di una famiglia di dieci figli, suona il contrabbasso e il piano prima di adottare la tromba durante gli studi alla Lincoln Grammar School della sua citta` natale. Nel 1932 entra nel gruppo dei ’Bama State Collegians e li accompagna a New York, dove Erskine Hawkins assume la direzione di questa orchestra ‘‘regionale’’ e ne fa una delle formazioni di successo prima dell’Apollo, poi del Savoy. Nel 1944 abbandona l’orchestra con suo fratello per formare con lui un sestetto, poi una grande orchestra. Nel 1947 e` ingaggiato da Duke Ellington con il quale resta solo poco tempo. Costituisce agli inizi degli anni ’50 un quintetto, comprendente Lou Donaldson, che dirige per piu` di tre

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BASCOMB

anni al Tyler’s Chicken Shack di Rahway (New Jersey). Si esibisce ancora regolarmente a New York, sia come solista ospite, sia alla testa del proprio gruppo. A partire dal 1963 prende parte a diverse grandi tourne´e in Giappone con il sassofonista Sam «The Man» Taylor o in Europa con la Celebrity Club Orchestra, guidata da Buddy Tate (1969 e 1970). Nel 1969 lo si ritrova a capo di un gruppo, ma e` soprattutto nelle orchestre che accompagnano gli spettacoli di Broadway che suona spesso, fino alla morte. «Armstrong – disse Bascomb – e` stata la mia sola influenza». Per soddisfare la domanda del pubblico, e` diventato uno specialista della sordina di gomma (plunger). Energico virtuoso di big band – e ammirato da Dizzy Gillespie – all’avvento del bebop si e` trovato costretto, come molti trombettisti della sua generazione, a perpetuare una tradizione che trovasse accoglienza presso il grande pubblico nero (dixieland, rhythm and blues). Dotato di talento, perfettamente decifrabile e ostensibilmente radicato nel blues. [A.C.] Con Erskine Hawkins: Swingin’ On Lenox Avenue, Tuxedo Junction, Gin Mill Special (1939), Gabriel Meets The Duke (1940); «Tuxedo Junction» (1959-60); con Buddy Tate: The Mooche, Paris Night (1968).

BASCOMB, Paul Sassofonista tenore statunitense (Birmingham, Alabama, 12/2/1910 - Chicago, Illinois, 2/12/1986). Prima di essere uno dei fondatori dei ’Bama State Collegians di cui Erskine Hawkins prendera` piu` tardi la direzione, ha effettuato alcune tourne´e, in particolare in Florida, in seno alla C.S. Belton Band. Dal 1934, data del suo arrivo a New York con i ’Bama State Collegians, fino al 1944, resta fedele all’orchestra e a Hawkins benche´ nel dicembre 1940 Count Basie lo chiami per una serie di dischi. Abbandonato Hawkins nel 1944, forma con suo fratello Dud un gruppo che durera` per diversi anni. Poi Paul si mette in proprio e accompagna varie cantanti (Dinah Washington) esibendosi nelle

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BASIE

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grandi citta` dell’Est (Chicago, all’Esquire Club; Detroit). Nel 1978 partecipa al festival di Nizza. Paul Bascomb ha fornito all’orchestra di Erskine Hawkins una voce potente, un dinamismo e una mobilita` che devono [A.C.] molto a Coleman Hawkins. Con E. Hawkins: Sweet Georgia Brown, Nona (1940).

BASIE, «Count» (William) Pianista, organista e direttore d’orchestra statunitense (Red Bank, New Jersey, 21/8/ 1904 - Hollywood, Florida, 26/4/1984). Suo padre era vetturino e sua madre, lavandaia, gli insegnera` il pianoforte. Adolescente, accompagna i film muti nei cinema di Red Bank. Nel 1924, a New York, frequenta Fats Waller, James P. Johnson, Willie The Lion Smith, Lucky Roberts. Primi ingaggi con Kattie Cripper e Gonzelle White per degli show itineranti del circuito TOBA. Di ritorno a Kansas City, fa parte dei Blue Devils di Walter Page, poi della grande orchestra di Bennie Moten (1929). Dopo la morte di quest’ultimo (1935), riunisce qualche superstite del gruppo e altri musicisti (Buster Smith, Jack Washington, Lester Young, Herschel Evans, Jimmy Rushing) per suonare al Reno Club e viene ascoltato, grazie all’emittente radio W9XBY, da John Hammond, che gli procura i suoi primi ingaggi a Chicago (Grand Terrace Theatre), poi a New York (Roseland Ballroom). Il suo arrivo coincide con la voga dello swing, e presto l’orchestra si impone accanto a quelle di Benny Goodman e Duke Ellington. Dal 1936 al 1940 non cessa di suonare in tourne´e, sale da concerto o da ballo, grandi alberghi e ristoranti. Il gruppo e` relativamente stabile con Buck Clayton, Shad Collins, Harry Edison, Ed Lewis, Bobby Moore, Tatti Smith (tr), Eddie Durham, Dan Minor, Bennie Morton, Dicky Wells (trb), Chu Berry, Herschel Evans, Buddy Tate, Earl Warren, Jack Washington, Lester Young (ance), Helen Humes, Jimmy Rushing (voce), sostenuti dalla migliore sezione ritmica dell’epoca: Basie (pf), Freddie

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Green (chit), Walter Page (cb), Jo Jones (batt). Gli arrangiamenti sono firmati da Buck Clayton, Fletcher Henderson, Eddie Durham, Herschel Evans, Andy Gibson, Skippy Martin, Jimmy Mundy, Don Redman, Buster Smith. Prince Of Wails (B. Moten, 1932); Honeysuckle Rose, Topsy, Good Morning Blues (1937), Sent For You Yesterday, Jumpin’ At The Woodside, Swingin’ The Blues, Every Tub, I Ain’t Got Nobody (Carnegie Hall), One O’Clock Jump (1938), Jive At Five, Miss Thing (1939).

Dal 1940 al 1950 la formazione del gruppo varia piu` di frequente a causa della partenza per il servizio militare di qualche musicista e anche dalla moda delle piccole formazioni, piu` redditizie per i solisti rispetto al lavoro in sezione. Basie si adatta a questi mutamenti e fa sfilare nei suoi ranghi Emmett Berry, Buck Clayton, Shad Collins, Harry Edison, Al Killian, Joe Newman, Clark Terry, Gerald Wilson, Snooky Young (tr), Ed Cuffee, Vic Dickenson, J.J. Johnson, George Matthews, Dicky Wells, Melba Liston (trb), Jerry Blake, Don Byas, Paul Gonsalves, Wardell Gray, Coleman Hawkins, Illinois Jacquet, Jimmy Powell, Rudy Rutherford, Tab Smith, Buddy Tate, Lucky Thompson, Earle Warren (ssax). Stessa instabilita` nella sezione ritmica dove, accanto a Basie e a Green, troviamo ancora, nel corso degli anni: Rodney Richardson, Gene Wright (cb) e Butch Ballard, Sidney Catlett, Kenny Clarke, Buddy Rich, Shadow Wilson (batt). Helen Humes, Taps Miller e Jimmy Rushing sono i vocalist piu` regolari dell’orchestra, che amplia il suo repertorio con gli arrangiamenti di Count Basie, Dudley Brooks, Buck Clayton, Freddie Green, Buster Harding, Jimmy Mundy, Don Redman, Tab Smith, Gerald Wilson, A.K. Salim. Tickle Toe (1940), Jump The Blues Away, Fiesta In Blue, Harvard Blues (1941), Royal Garden Blues (1942), Taps Miller (1944), Just An Old Manuscript (1945), Mad Boogie, The King (1946).

Nel 1950, Basie dirige un sestetto/ottetto di cui fanno parte Serge Chaloff, Buddy De Franco, Wardell Gray, Gus Johnson,

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Jimmy Lewis, Buddy Rich, Charlie Rouse, Marshall Royal, Rudy Rutherford, Clark Terry, Freddie Green. Blue Beard’s Blues (1950).

Grazie a Norman Granz, la big band prende un nuovo avvio nel 1952. Basie ingaggia Wendell Culley, Reunald Jones, Thad Jones, Joe Newman, Charlie Shavers, Joe Wilder (tr), Henry Coker, Bill Hughes, Bennie Powell (trb), Eddie Davis, Frank Foster, Charlie Fowlkes, Paul Quinichette, Marshall Royal, Ben Webster, Frank Wess, Ernie Wilkins (ance), Eddie Jones, Jimmy Lewis, Gene Ramey (cb), Gus Johnson, Sonny Payne (batt), e sempre Freddie Green (chit). Gli arrangiamenti sono firmati Eric Dixon, Frank Foster, Buster Harding, Neal Hefti, Thad Jones, Johnny Mandel, Jimmy Mundy, Sy Oliver, Nat Pierce, A.K. Salim, Frank Wess, Ernie Wilkins. Blee Blop Blues (1952), Why Not (1952), New Basie Blues (1952), Blues Backstage (1954), April In Paris (1955), Corner Pocket (1955), Shiny Stockings (1956), Every Day I Have The Blues (1956).

La popolarita` di Every Day cantata da Joe Williams rimette Basie saldamente in sella. La sua prima tourne´e europea ha luogo nel 1954, anno in cui suona, in marzo, alla Salle Pleyel di Parigi. Estendera` poi i suoi viaggi a tutti i paesi del mondo occidentale, come anche al Giappone e all’America meridionale, e animera` regolarmente le crociere della Queen Elisabeth. Dal 1956 al 1964, i solisti occupano ancora un posto importante nella sua opera: Al Aarons, Sonny Cohn, Wendell Culley, Harry Edison, Thad Jones, Joe Newman, Snooky Young (tr), Henry Coker, Al Grey, Quentin Jackson, Benny Powell (trb), Eric Dixon, Frank Foster, Charlie Fowlkes, Bill Graham, Budd Johnson, Billy Mitchell, Marshall Royal, Frank Wess (sax). Per la sezione ritmica – accanto a Freddie Green e Sonny Payne – Eddie Jones, Ike Isaacs, Art Davis, Buddy Catlett si succedono al basso. Irene Reid, O.C. Smith, Leon Thomas, Joe Williams eseguono le parti cantate.

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BASIE

Gli arrangiamenti di questo periodo sono affidati soprattutto a Billy Byers, Benny Carter, Eric Dixon, Neal Hefti, Quincy Jones, Sam Nestico, Chico O’Farrill, Lalo Schifrin. «Atomic Mr. Basie» (1957) «Blues In Hoss Flat» (1958), «In A Mellotone» (1959), «Kansas City Suite» (1960), «Basie At Birdland» (1961), «Basie/Sinatra» (1962), «Breakfast Dance And Barbecue», «Lil Ol’ Groove maker», «Basie/Fitzgerald» (1963).

Dal 1964 al 1984, l’orchestra, accanto a quella di Ellington, e` un’istituzione. Libero ormai da preoccupazioni commerciali, Basie si preoccupa piu` del lavoro delle sezioni che della celebrita` dei solisti. Figureranno nelle fila della formazione, piu` o meno a lungo: Al Aarons, Lyn Biviano, Ray Brown, Sonny Cohn, Willie Cook, Wallace Davenport, Harry Edison, John Faddis, Phil Guilbeau, Thad Jones, Pete Minger (tr), Richard Boone (anche voce), Curtis Fuller, Al Grey, Bill Hughes, Grover Mitchell, Buddy Morrow, Dennis Wilson, Booty Wood (trb), Marshall Royal, Bobby Plater divenuto direttore musicale in sostituzione di Marshall Royal, Eddie Davis, Eric Dixon, Jerry Dodgion, Jimmy Forrest, Charlie Fowlkes, Kenny Hing, Hubert Laws, Cecil Payne, Curtis Peagler, Danny Turner, Johnny Williams, Chris Woods (ance). Accanto all’inamovibile Freddie Green, si succedono John Clayton, John Duke, Cleveland Eaton, Norman Keenan, Al Lucas (cb), Gregg Fields, Harold Jones, Rufus Jones, Dennis Mackrel, Butch Miles (batt). Gli arrangiamenti sono firmati Benny Carter, Eric Dixon, Bill Holman, Oliver Nelson, Chico O’Farrill e soprattutto Sam Nestico. Il nuovo repertorio e` sempre infarcito di vecchi successi come One O’Clock Jump (la sigla dell’orchestra) e Jumpin’At The Woodside. «Standing Ovation» (1969), «Satch And Josh» (Basie e Peterson 1974); «I Told You So» (1976), «Prime Time» (1977), «Live In Japan» (1978), «Warm Breeze» (1981), «88 Basie Street» (1983).

Durante lo stesso periodo, l’orchestra ha accompagnato in concerti o in dischi i

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BASIN STREET

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vocalist Tony Bennett, Theresa Brewer, Bing Crosby, Sammy Davis Jr., Billy Eckstine, Ella Fitzgerald, i Mills Brothers, Frank Sinatra, Kay Starr, Joe Turner, Sarah Vaughan, Eddie Vinson, Jackie Wilson, mentre Count Basie registrava in piccola formazione con, tra gli altri, Roy Eldridge, Dizzy Gillespie, Milt Jackson, Oscar Peterson (duo pianistico), Zoot Sims, Clark Terry, partecipando anche al festival di Montreux in jam session. L’insieme della carriera del «Kid From Red Bank» e` situato sotto il segno dello swing, se si fa eccezione per qualche raro pezzo minore in cui si sacrifica alla moda, in particolare per la scelta di vocalist dall’effimera notorieta`. Un leader rigoroso che sceglie degli arrangiamenti accuratamente selezionati, degli eccellenti solisti (soprattutto fino al 1964), degli strumentisti irreprensibili: queste sono le ricette di Basie. L’importante e` innanzitutto mettere in moto, con la complicita` di Freddie Green, il buon ritmo, quello che danza e fa danzare. Nutrito delle radici della musica nera americana, ma sensibile alle sollecitazioni dello show business, Basie ha tradotto innanzitutto il blues, le melodie di Broadway, gli standard e temi originali grazie alle tecniche strumentali moderne per esaltare le risorse della grande orchestra (da quattordici a sedici musicisti). Gli uomini sono cambiati, la forma un po’ alla volta si e` evoluta, lo spirito e` rimasto, quello di Kansas City, la citta` del jazz dove si amava soprattutto il sassofono tenore, strumento privilegiato nella sua orchestra. E` lui d’altronde a portare in scena, sin dal 1936, il duello (chase) tra due stilisti differenti (Young ed Evans). Gli arrangiamenti sono scelti per favorire lo swing di massa: gli ottoni e le ance incrociano le loro voci per far salire la tensione raccontando una storia con un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Gli assolo si incastrano nell’orchestrazione arricchendola, creando cosı` la suspense. L’equilibrio tra le sezioni sta nella scelta dei timbri e nel controllo dei volumi sonori. La precisione esecutiva e` spinta alla perfezione, ma mai a detrimento della

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naturalezza. Dal 1936 al 1941, il riff, scaturito da una complicita` non scritta, poteva a volte bastare all’inquadramento degli assolo, ma molto presto Basie pretese una maggior sapienza nella cesellatura dei motivi orchestrali, e durante gli ultimi anni il solista avra` soprattutto la funzione di far risaltare l’esecuzione d’assieme. Lo stesso vale per la parte della batteria, che si sviluppa come una punteggiatura dosata con vigore, condimento indispensabile allo swing d’insieme la cui trama di base e` affidata al bassista e al chitarrista. Basie e` sempre presente al piano, accompagnatore/sorvegliante e solista magistrale dall’esecuzione stringata, sobria, convincente, che si diverte ogni tanto a evocare lo stride dell’Harlem degli anni ’20 e ’30 o il boogie-woogie. Allorche´ una crisi cardiaca obbliga Basie – dall’agosto 1976 al gennaio 1977 – a prendersi un periodo di riposo, Clark Terry, Joe Williams o Nat Pierce lo sostituiscono. Dopo la sua morte, nel 1984, Thad Jones, poi Frank Foster, hanno tentato di conservare la grande tradizione orchestrale di colui che fu, per quasi mezzo secolo, il piu` sincero dei leader di grandi formazioni e, in ogni caso, il piu` [F.T.] esemplare sulla lunga durata. Si puo` vedere Basie in film (e video) in: Stage Door Canteen (Frank Borzage, 1943, 133’), Hit Parade Of 1943 (Albert S. Rogall, 86’), Rand Parade (Joseph Berne, 1943, 10’), Ebony Parade (1947), Rhythm And Blues Revue (1956, 70’), Disk Jockey Jamboree (Roy Lockwood, 1957, 60’’), Born To Swing (John Jeremy, 1973, 50’), The Last Of The Blue Devils (1974-79, Bruce Ricker, 91’), C.B. Live In Europe (Pat Leguen, 1980, 56’). Libri su Basie: Good Morning Blues (Count Basie e Albert Murray, Random House, 1985); Count Basie: A Bio Discography (Chris Sheridan, Grenwood Press, 1986).

Basin Street Via di New Orleans che, facendo parte del quartiere di Storyville, ne costituiva il limite orientale e ospitava alcuni dei piu` lussuosi bordelli della capitale (animati

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dalle bianche o meticce Willie Piazza, Josie Arlington, Lulu White, Hilma Burt...). La strada deve il nome a un canale – riempito all’inizio del secolo XX – che, nel Settecento, sfociava in un bacino al posto del quale si trova oggi il Municipal Auditorium. E` rimasta celebre grazie a Basin Street Blues, composto nel 1928 da Spencer Williams (e il cui tema principale presenta piu` di un richiamo al Liebestraum di Franz Liszt) e che, da allora, fa parte del repertorio di tutte le orchestre dixieland; il primo jazzman ad averla re[P.C.] gistrata e` stato Louis Armstrong.

BASS, Fontella Cantante statunitense (St Louis, Missouri, 3/7/1940). Debutta come pianista nell’orchestra di Oliver Sain a St Louis nel 1962. Ike Turner la nota e le produce due 45 giri (con Tina Turner come corista). Nel 1964 un duetto con il cantante Bobby McClure, prodotto da Oliver Sain, ottiene un successo nazionale. Sara` seguito da un altro, Rescue Me, in assolo questa volta, che la lancia nella carriera di cantante soul (1967). Sposatasi con il trombettista Lester Bowie, soggiorna a Parigi e partecipa alla registrazione di due album dell’Art Ensemble of Chicago. Di ritorno negli Stati Uniti, registra, dal 1971 al 1976, qualche canzone soul e, piu` di recente, con sua madre, la cantante di gospel Martha Bass, il fratello David Peaston e l’ex marito Bowie. La sua voce a un tempo roca e dolce non viene, curiosamente, troppo segnata dall’influsso del gospel e si dispiega con grande efficacia nelle ballads, che privilegia. Ma ha cantato di tutto, dal rhythm and blues al free, passando per la canzone. Un infarto nel 2005 ha seriamente rallen[J.P.] tato la sua attivita`. Poor Little Fool (1964); Don’t Mess Up A Good Thing (con Bobby McClure, 1964); Rescue Me (1965), Recovery (1966); How Strange (Art Ensemble of Chicago, 1970); To Be Free (1972); For Louie (Bowie, 1982).

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BASSO

BASSINI, Piero Pianista italiano (Codogno, 11/4/1952). Si e` avvicinato alla musica molto giovane suonando la chitarra, l’organo e il pianoforte. Ha svolto attivita` professionale in vari gruppi rock e successivamente nei Rockys Fili, gruppo di rock progressivo che negli anni ’70 si esibiva come supporter degli Area. Dall’eta` di 22 anni si e` dedicato esclusivamente al jazz, esordendo nel 1975 in un applaudito concerto di piano solo al Festival delle Nuove Tendenze del jazz italiano presso l’Universita` Statale di Milano. Nel 1980 ha costituito con il contrabbassista Attilio Zanchi e il batterista Giampiero Prina l’Open Form Trio, con cui ha inciso «Old Memories», «Appointment in Milano», «Perpetual Groove» e «Round Trip» (gli ultimi tre in collaborazione con Bobby Watson). Seguiranno molti altri album, soprattutto in trio, come «In the Shadows» (con Michele Bozza, Giampiero Prina, Gianni Grechi e Luis Agudo), «Nostalgia» (con Furio Di Castri e Prina), «Intensity» (con Luca Garlaschelli e Massimo Pintori). In piano solo vanno segnalati «Tonalita`» del 1976 e «Lush Life» del 1991. Nel suo pianismo si ritrovano echi diversi che vanno dal blues al gospel, dal jazz alla musica contemporanea. Dotato di un tocco originale e brillante e di una notevole tecnica, Piero Bassini privilegia i tempi veloci con un caratteristico fraseg[L.C.] gio legato della mano destra. BASSO, Gianni Clarinettista, sassofonista tenore e soprano italiano (Asti, 25/5/1931). Interessato alla musica fin dalla piu` tenera eta`, frequenta per sei anni il conservatorio della sua citta` natale. Dal 1946 al 1950, vive in Belgio dove la sua famiglia e` emigrata. E` qui che comincia a esibirsi professionalmente, partecipando tra l’altro a un festival di jazz a Knokke-le-Zoute. Nel 1950 ritorna in Italia e partecipa subito alla seconda edizione del festival nazionale che ha luogo al teatro Excelsior di Milano. Nel 1955 si colloca la svolta della sua carriera: e` uno dei promotori del Se-

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BASSO

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stetto Italiano e, soprattutto, costituisce con Oscar Valdambrini un quintetto che conosce immediatamente un enorme successo. Cio` si spiega con la personalita` dei musicisti che successivamente ne fanno parte: Enrico Intra, Berto Pisano, Gil Cuppini, Renato Sellani, Giorgio Azzolini, Gianni Cazzola, Dino Piana. Dal 1956 al 1958 fa parte dell’orchestra della RAI diretta da Armando Trovajoli: un insieme puramente jazz che utilizza tra l’altro degli arrangiamenti di Bill Russo, Bill Holman e Bill Smith. A partire dagli anni ’60 suona e registra con i migliori musicisti italiani e una serie impressionante di solisti statunitensi: Dizzy Gillespie, Sonny Stitt, Chet Baker, Lee Konitz, Tony Scott, Johnny Griffin, Gerry Mulligan. Bisogna anche sottolineare la sua collaborazione alle grandi orchestre di Francy Boland-Kenny Clarke, Thad Jones-Mel Lewis, Clark Terry, Lalo Schifrin. Dopo aver fatto parte dell’Orchestra Ritmica della RAI di Milano, riprende la sua attivita` libera nella meta` degli anni ’80 e si produce come free lance. In seguito ha soprattutto collaborato con Dusˇko Gojkovic e Sal Nistico e messo in piedi una formazione, l’AT Orchestra (dove AT e` la sigla di Asti), costituita da giovani e giovanissimi musicisti dell’Italia del Nord. Incide ancora moltissimo, in particolare per l’etichetta Philology. Il suo stile lo colloca sulla linea dei grandi sassofonisti tenori neri americani. [A.Ma.] Cheek To Cheek (1980), Nature Boy (1986), «Maestro + Maestro = Exciting Duo» (con Guido Manusardi, 1983).

Basso f Contrabbasso.

Basso elettrico Nella seconda meta` degli anni ’40 nascono le prime orchestre di rock and roll, derivate dal jazz. I contrabbassisti di queste orchestre hanno un bel daffare: il loro strumento e` coperto dalla batteria e si fa sempre piu` fatica a sentirli. Vengono fatti alcuni tentativi di amplificazione, ma i microfoni dell’epoca sono di qualita` cosı`

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scarsa che i suoni resi assomigliano piu` alle dolci vibrazioni di una macchina utensile che a quelle di uno strumento musicale. E ancora, i contrabbassisti deplorano l’ingombro del loro strumento. Un liutaio, Leo Fender, concepisce un ibrido che assomiglia contemporaneamente alla chitarra elettrica, per la forma, e al contrabbasso, per il numero delle corde e il modo in cui sono accordate. Nasce cosı` nel 1951 il primo basso elettrico, commercializzato sotto il nome di Precision Bass. Tecnicamente, lo strumento e` composto da un’asse di legno massiccio che serve da corpo; da un manico provvisto di traversine (come la chitarra) che e` fissato al corpo da quattro viti; le quattro corde (sollrellalmi, dall’acuto al grave) sono tese tra una cordiera, ponticello di metallo posto alla base del corpo, e quattro piroli di osso incastrati nella parte alta del manico e provvisti di quattro scanalature; un pick-up magnetico applicato sul corpo capta le vibrazioni delle corde; un sistema di regolazione del volume e della tonalita` tramite due manopole indipendenti fissate sullo strumento completano l’insieme; il tutto e` collegato a un sistema di amplificazione separato da un filo che si innesta sul basso attraverso uno spinotto. La concezione tecnica di questo strumento era davvero notevole e, fatta eccezione per qualche piccolo miglioramento, si puo` considerare che il Precision Bass serve ancora da modello di riferimento, oltre cinquant’anni piu` tardi. Uno dei primi a utilizzarlo e` Monk Montgomery, al fianco di suo fratello Wes o di Lionel Hampton. Le band di musica popolare (Louis Prima, Gene Vincent), capiscono rapidamente l’interesse di questo strumento piu` facile da trasportare e da far suonare. Il fenomeno assume tra il 1952 e il 1960 dimensioni considerevoli; vengono creati nuovi modelli; la maggior parte dei bassisti di gruppi di rock o di musica soul iniziano a considerare l’acquisto di un basso elettrico. Nelle sedute di registrazione, si comincia a doppiare il contrabbasso con un basso elettrico (in realta`, qui si tratta piuttosto di una chi-

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tarra basso, replica della chitarra elettrica, accordata un’ottava piu` bassa e suonata il piu` delle volte da un chitarrista).

Il basso elettrico: un ibrido tra la chitarra elettrica e il contrabbasso. Piroli (1), tastiera (2), traversine (3), cassa, o meglio tavola (4), cordiera (5), pick-up (6), regolazione di volume e tono (7).

Con la pop music negli anni ’60, il basso elettrico conosce un nuovo sviluppo. Paul McCartney dei Beatles e Tim Bogert dei Vanilla Fudge traggono una risorsa melodica dalle linee del basso che fino ad allora erano state confinate a un ruolo puramente ritmico; mentre, nel campo della musica soul e del funk, Chuck Rainey o Carol Kaye (in I Was Made To Love Her di Stevie Wonder nel 1967) danno al soste-

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BASSO ELETTRICO

gno ritmico un’andatura molto elaborata. Negli anni ’70, da una parte il rock evolve e tende a superare i suoi aspetti semplicistici e, dall’altra, il jazz si preoccupa di effetti e suoni che possano sedurre un pubblico piu` vasto: le due correnti si confonderanno dando vita al jazz-rock, nel quale il basso elettrico occupa un posto essenziale. L’evoluzione dei modi di riproduzione del suono permette anche che gli strumenti siano perfettamente comprensibili su tutta la loro estensione, e di qui l’aggiunta di effetti che producano un rilievo sonoro attraente: flanger, delay, wa wa, echi e riverberi. Con tale evoluzione della tecnica strumentale, il bassista svolge spesso un ruolo di solista. Tra i pionieri di questo periodo particolarmente felice per lo strumento (e che, senza dubbio, suscito` numerose vocazioni), vi sono Steve Swallow, uno dei suoi piu` brillanti solisti, che suona servendosi di un plettro; Stanley Clarke che, accanto a Chick Corea, si distingue per un virtuosismo sorprendente; Jaco Pastorius, membro dei Weather Report di Joe Zawinul e Wayne Shorter, che ebbe la felice idea di sopprimere le barrette del suo strumento (trasformandolo cosı` in fretless bass, sul quale sapeva ottenere un’esecuzione molto piu` espressiva) e che utilizzava gli armonici per produrre un gioco polifonico. Gli anni ’80 vedono la continuita` della corrente jazz-rock, con tecnici prodigiosi come Jeff Berlin o Alain Caron del gruppo Uzeb, che sanno integrare nel loro stile influssi che vanno da Bach alla musica indiana, accordati alla forma jazzistica. Simultaneamente si sviluppa il linguaggio ritmico, secondo una tecnica particolare: lo f slap, preso in prestito dai contrabbassisti degli anni ’20 e transitato nel soul-funk (in mano a grandissimi bassisti elettrici cone Bootsy Collins dei Parliament-Funkadelic, James Jamerson dei Motown e Bernard Edwards degli Chic). Louis Johnson, accanto a Quincy Jones, come pure Marcus Miller, gia` sideman di Miles Davis, Jamaaladeen Tacuma, Dar-

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BATISTE

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ryl Jones, Bill Laswell o ancora Mark King, leader del gruppo Level 42, hanno usato questo stile in modo significativo. Numerosi sono i musicisti che hanno legato il loro nome allo strumento: Ralphe Armstrong, Michael Henderson, Alphonso Johnson, Ron Carter, Miroslav Vitous, Eberhard Weber, Mark Egan, Bob Cranshaw, John Lee, Jack Bruce, Hugh Hopper, Jonas Hellborg, Jeff Berlin. Di piu` recente comparsa i bassi a cinque corde (si grave o do acuto) e a sei corde (si grave e do acuto). [T.B.] Steve Swallow: Ice Cream (1979); Stanley Clarke: «Where Have I Known You Before» (Return To Forever, 1974); Jaco Pastorius: «Jaco» (1976), «Heavy Weather» (Weather Report, 1977); Marcus Miller: «We Want Miles» (Miles Davis, 1981); Jeff Berlin: «One Of A Kind» (Bill Bruford, 1987); Mark King: «1982» (Level 42, 1982).

BATISTE, Alvin Clarinettista statunitense (New Orleans, Louisiana, 7/11/1932 - 6/5/2007). Suoi amici d’infanzia sono i sassofonisti Nat Perrilliat e Harold Battiste, suo cugino. Suo padre, musicista dilettante cresciuto musicalmente con Edmond Hall, gli compra un clarinetto d’occasione quando Alvin ha quattordici anni. Alla Washington High School studia il repertorio tradizionale delle fanfare, ma incontra pure Ed Blackwell, Wallace Davenport e una clarinettista che diventera` sua moglie, la poetessa Edith Batiste. La sua partecipazione, come solista ospite della New Orleans Philharmonic, al Concerto per clarinetto di Mozart (una vera ‘‘prima’’ per uno studente nero), gli varra` il soprannome di «Mozot». Parallelamente scopre il jazz e il rhythm and blues che si producono nella sua citta` e, al Palace Theatre, vede le orchestre di Lionel Hampton, Jay McShann, Billy Eckstine. Suona allora con il batterista Earl Palmer e il pianista Edward Frank. Dopo essersi cimentato al sassofono e al flauto, ritorna al clarinetto. E` con il bluesman Guitar Slim che ottiene il suo primo ingaggio. Poi incontra Ray

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Charles che l’ingaggia per sostituire Hank Crawford: nell’orchestra del «Genius» suonera` anche il baritono e il piano. Partito nel 1955 per raggiungere Ornette Coleman a Los Angeles, Ed Blackwell, Ellis Marsalis e Harold Battiste lo fanno tornare l’anno seguente. A New Orleans partecipa all’American Jazz Quintet che Coltrane verra` ad ascoltare con i musicisti del suo quartetto. Fra gli altri impegni di jazz, Batiste accompagna anche le vedette del rhythm and blues locale, lavora con il pianista Joseph Robichaux, forma i Jazzstronauts e, nel 1969, comincia a dirigere il programma jazz della Southern University a Baton Rouge. Durante un suo passaggio a New Orleans, suona, a due clarinetti, con Roland Kirk. Registra con Cannonball Adderley e Billy Cobham, ma, come John Carter (con cui militera` nel Clarinet Summit), Bobby Bradford e altri musicisti texani o della Louisiana appartenenti alla sua stessa generazione, restera` a lungo poco conosciuto dai nonmusicisti. Autore delle North American Idiosyncrasies For Jazz Players And Orchestra, ha anche firmato un concerto per strumenti africani tradizionali e orchestra. Una vivacita` inusuale al clarinetto nei registri medio e grave e un attacco esplosivo gli hanno permesso di adattare ai contesti piu` moderni la tradizionale sonorita` boise´e del clarinetto. [P.C.] Chatter Box (Battiste & The Original American Jazz Quintet, 1957), «Musique d’Afrique Nouvelle-Orle´ans» (1985), Fluffy’s Blues («The Clarinet Summit», 1987), «From Bad to Badder» (The American Jazz Quintet, 1987).

BATTAGLIA, Stefano Pianista italiano (Milano, 31/8/1965). Inizia gli studi pianistici all’eta` di sette anni, diplomandosi nel 1984 a Milano con il massimo dei voti e la lode con menzione. Contemporaneamente si perfeziona con Vittorio Trama, studiando con lui anche composizione. Per lungo tempo ha svolto anche attivita` di concertista classico (nel 1986 e` stato premiato a Du¨sseldorf come miglior giovane interprete dell’anno),

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proponendo per lo piu` repertori barocchi (Bach, Scarlatti e Ha¨ ndel) o moderni (Hindemith, Boulez, Ligeti); nel 1991 si e` esibito come solista dell’Orchestra Giovanile Europea a Barcellona. Nel circuito jazzistico e` stato premiato come miglior talento del 1988 dalla rivista Musica Jazz. Ha collaborato con moltissimi musicisti italiani e diversi artisti stranieri come Tony Oxley, Barre Phillips, Steve Swallow, Aldo Romano, Lee Konitz, Kenny Wheeler, Billy Elgart, Dominique Pifare´ly, Dewey Redman, Jay Clayton, Richard Galliano, Pierre Favre, Marc Johnson, Michel Godard, Marc Ducret, Tomasz Stan´ ko, Bruno Chevillon. Nel 1997 e` stato premiato dalla Radio Nazionale di Bruxelles come miglior giovane pianista europeo e l’anno successivo quale migliore musicista emergente. Ha spesso suonato e inciso in duo con batteristi e percussionisti (Pierre Favre, Tony Oxley e Michele Rabbia), senza mai interrompere l’attivita` in trio, dapprima con Paolino Dalla Porta e Fabrizio Sferra, e piu` di recente con Triosonic, assieme al contrabbassista Giovanni Maier e a Michele Rabbia. Ha pubblicato piu` di sessanta dischi, la meta` dei quali come leader e dieci per solo piano. Nel 1997 la Radio della Svizzera tedesca (DRS2) gli ha dedicato una serie di trasmissioni radiofoniche culminate con la produzione di cinque album («Suisse Radio Tapes»). Nel 1999 l’etichetta Symphonia ha registrato alcuni concerti di pianoforte solo tenuti in varie chiese italiane, editi poi in sei CD («Esalogia dell’abside»). Nel 2004 ha iniziato una collaborazione con la casa discografica ECM, per la quale ha pubblicato un doppio album in trio («Raccolto») e un omaggio a Pier Paolo Pasolini in occasione del trentennale della sua morte. Lavora da tempo a un progetto sulle canzoni [L.C.] di Alec Wilder. Batteria (ingl. trap drums) E` il solo strumento ‘‘inventato’’ per il jazz, quello in cui sfociano, al termine di un lungo viaggio oceanico, le percussioni africane, che incrociano al

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BATTERIA

passaggio nel Nuovo Mondo i tamburi militari europei. L’idea di assemblare dei tamburi, dei piatti e dei mezzi di percussione diversi – per metterli a disposizione di un solo musicista, mentre nelle fanfare questi pezzi sono adoperati da strumentisti differenti – risale indubbiamente alle orchestre da circo del XIX secolo. Molti spettacoli itineranti avevano d’altronde la loro orchestra e i musicisti neri vi erano numerosi. D’altra parte, accadeva alle fanfare di New Orleans di prodursi nei balli e di passare cosı`, in modo del tutto naturale, dalla marcia alla danza. Il gesto decisivo fu quello della messa a punto del pedale della grancassa (una semplice mazza di legno azionata dal piede) che la leggenda attribuisce al batterista Dee Dee Chandler nel 1895. Nella sua forma moderna, la batteria si suona con le bacchette (sticks), le spazzole (brushes) o i martelletti (mallets), se non a mani nude... Essa comprende due sezioni principali. I tamburi 1) Il rullante, tamburo poco profondo munito di un timbro che ne altera il suono e abbrevia la risonanza: i primi batteristi l’utilizzavano soprattutto per segnare il tempo. 2) I tom medio e basso, vicini ai tamburi africani, disposti sulla grancassa e accanto al rullante. 3) La grancassa, tamburo basso di diametro notevole, cuore della pulsazione, azionato da un pedale. Tutti questi tamburi erano fatti, prima degli anni ’60, di pelli animali, molto sensibili alle variazioni termiche e igrometriche e che rendevano cosı` la messa a punto lunga e delicata; oggi sono ormai forniti di pelli sintetiche (plastica o fibre) di una qualita` di tensione costante. I piatti (in lega a base di rame) Ne esistono una moltitudine di modelli che differiscono per il diametro e lo spessore. I piu` grandi sono i ride, piatti da tempo. Poi vengono i crash e, piu` piccoli e piu` sottili, gli splash, entrambi piatti d’accento ritmico. Si possono ‘‘chiodare’’ i piatti inserendo in fori fatti sul bordo perimetrale delle specie di ribattini che risuonano alle vibrazioni del piatto. Il piatto charleston (high hat), azionato da un pedale (suonato

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BATTERIA

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La batteria: il solo strumento inventato per il jazz. Questa configurazione e` composta da un piatto crash (1), un ride (2) e un charleston (3) azionato dal pedale (4); una grancassa (5) azionata dal pedale (6), un rullante (7) e i tom basso (8), medio (9) e acuto (10).

con il piede sinistro per i destrimani), e` l’unione di due piatti posti l’uno sopra l’altro e da cui si puo` trarre un suono breve o lungo a seconda che li si lasci attaccati o che li si allontani immediatamente dopo la battuta; inizialmente rudimentale, era collocato a livello del suolo: si deve a Vic Berton e Kaiser Marshall, verso il 1926, il primo utilizzo di un sistema di asta scorrevole che permetteva di collocare il charleston all’altezza del rullante. I piatti cinesi, infine, hanno i bordi rialzati e una risonanza simile a quella del gong. I batteristi utilizzano anche un gran numero di strumenti a percussione, chimes, cowbells (campane), wood blocks, temple blocks (grossi blocchetti di legno che si suonano nel vecchio stile a gruppi da quattro a sei, accordati dal grave all’acuto)... L’inventario e` infinito, tanto che

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per maneggiare tutti questi strumenti, ai batteristi vengono a volte ad aggiungersi dei percussionisti (f Percussioni). Si potrebbe scrivere la storia del jazz a partire dai cambiamenti di funzione di ciascuno degli elementi costitutivi della batteria dal momento della loro messa in pratica. I primi batteristi svolgevano evidentemente la funzione metronomica di marcatura del tempo, ma la loro esecuzione non e` cosı` meccanica e sistematica come a volte e` stato detto: sapevano far variare il loro accompagnamento nel corso di uno stesso pezzo (si e` spesso associata al jazz di New Orleans la nozione di two-beats, ma nel 1923, per esempio, la Creole Jazz Band di King Oliver gia` suona in quattro). Certamente le registrazioni degli anni ’20 non sono sempre delle testimonianze che rendono giustizia allo stile dei batteristi: i tecnici

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del suono hanno avuto grossissime difficolta` a rendere la batteria ed e` spesso successo che essi abbiano chiesto al batterista di non suonare i tamburi e la grancassa: e` cosı` che nelle registrazioni degli Hot Seven di Louis Armstrong, Baby Dodds suona unicamente il piatto crash... Ma i trii di Jelly Roll Morton, nel 1929, permettono di verificare la varieta` di esecuzione di Zutty Singleton. E gli assolo registrati da Baby Dodds molto piu` tardi (1946), con mezzi tecnici piu` adatti, confermano che la batteria di New Orleans non era povera: si puo` per esempio constatare quanto siano importanti le radici africane nello stile di Baby Dodds, nel quale si ritrovano frasi intere di tamburo congolese... Gli altri grandi batteristi dello stile New Orleans sono Paul Barbarin, i fratelli Tubby e Minor Hall, Ben Pollack, Tony Sbarbaro, Kaiser Marshall e, piu` tardi, Sonny Greer. Ma la batteria era considerata allora – e cosı` rimane fino alla meta` degli anni ’30 – innanzitutto come strumento d’accompagnamento il cui ruolo e` certo di primaria importanza, ma cui non e` richiesto di intervenire come solista, salvo che in break di due misure. Si dice che Zutty Singleton sia stato il primo batterista a eseguire degli assolo completi in orchestra. I primi virtuosi della batteria, eredi diretti dei maestri di New Orleans, appaiono nella meta` degli anni ’20 a Chicago: Gene Krupa, George Wettling e Dave Tough. Precursore dei batteristi swing, Walter Johnson, sin dal 1930, nell’orchestra di Fletcher Henderson, suona sistematicamente il chabada sul charleston per segnare il tempo, mentre il basso e la chitarra segnano i quattro tempi uguali: questa combinazione dei due sistemi ritmici domina, quasi immutata, fino agli inizi degli anni ’40. E` un modo di accompagnare poco variato ma che assicura la coesione – e anche la scioltezza – del trio ritmico chitarra-basso-batteria. Il trio di Count Basie con Jo Jones (a partire dal 1936) rappresenta perfettamente questa formula. E` in questo momento che la batteria comincia a farsi ascoltare in assolo nelle big

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BATTERIA

band: Chick Webb, Gene Krupa, Big Sid Catlett (uno degli accompagnatori piu` lucidi e uno dei solisti piu` inventivi), Cozy Cole, James Crawford, Lionel Hampton. Il batterista diviene gia` un’attrazione, una vedette dell’orchestra. La rivoluzione della batteria avviene con il bebop nel 1945 e grazie alle innovazioni di Kenny Clarke. Sin dall’inizio degli anni ’40, egli opera un insieme di spostamenti dalle conseguenze considerevoli: mentre, fino ad allora, il tempo e` battuto sulle casse e le punteggiature sui piatti, egli rovescia il dispositivo e segna il tempo con il chabada sul grande piatto ride, mentre invece il charleston segna i tempi deboli, e il rullante e la grancassa servono a punteggiare il discorso del solista (la grancassa manda anche, di tanto in tanto, delle ‘‘bombe’’, cosa che era stata gia` fatta, ma che Kenny Clarke ha sistematizzato e reso piu` complessa). Si afferma cosı` l’indipendenza dei quattro arti del batterista, in seguito alla quale puo` nascere tutta la batteria moderna. Ma e` anche la funzione stessa della batteria che e` cambiata: da strumento per il ballo e` diventata strumento da concerto. Con Max Roach, d’altra parte, la batteria si rivela ancor piu` strumento melodico capace di fraseggiare e di modulare i suoni: egli libera la batteria dal peso della sezione ritmica e la rende voce musicale in grado di sostenere e di sviluppare lunghi discorsi. Questo nuovo approccio e` quello di tutta una generazione di batteristi, ciascuno dei quali apporta una sua propria sonorita`: Art Blakey, con il suo afrocubanismo e il suo press roll; Philly Joe Jones, che fa uscire il pedale del charleston dal battito regolare; Denzil Best, il migliore specialista delle spazzole; Roy Haynes e la sua battuta secca che evoca i timbales cubani; Jo Jones, Art Taylor, Connie Kay, Jimmy Cobb, J.C. Heard, Tiny Kahn, Shelly Manne, Frank Butler, Chico Hamilton, Stan Levey, Albert Heath, Dannie Richmond, Louis Hayes, Charlie Persip... Parallelamente all’esplosione del bebop negli anni ’40 e ’50, l’arte della batteria si rinnova anche nelle grandi orchestre, per

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BATTLE

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conoscere forse il suo apogeo con batteristi come Louie Bellson (uno dei primi a utilizzare due grancasse), Buddy Rich (il drummer piu` energico e rapido che si sia mai conosciuto), Gus Johnson, Sonny Payne, Sam Woodyard (mago del tempo e delle atmosfere sonore) e Mel Lewis, di un’efficacissima sobrieta`. Con Elvin Jones, negli anni ’60, a parte la potenza, entra in scena un nuovo modo di punteggiare o piuttosto di nutrire il flusso musicale: poliritmico, esso sostituisce alle figure abituali delle autentiche sequenze che giocano su piu` misure o gruppi di misure e che avvolgono la voce solista – in questo caso quella di John Coltrane – in un tessuto percussivo estremamente ricco e cangiante. E` aperta la strada a un’espressione al contempo piu` libera e piu` complessa. Non vi sono piu` elementi della batteria a cui sia attribuita una funzione precisa e fissa. I batteristi giocano liberamente con i timbri, con i ritmi, che sovrappongono o fanno variare, e disegnano cosı` una musica nella musica. Ed Blackwell e Billy Higgins, agli inizi dell’avventura del free jazz con Ornette Coleman, mettono in atto una totale liberta` metrica, pur dispiegando un fraseggio di una chiarezza esemplare e un solido swing. Con loro Al Foster, Paul Motian, Andrew Cyrille, Daniel Humair, Pierre Favre, Sunny Murray, Beaver Harris, Milford Graves, Charles Moffett, Rashied Ali, Joe Chambers, Tony Oxley... Jack DeJohnette e Tony Williams, entrambi rivelati da Miles Davis, continuano sulla strada aperta da Elvin Jones controllando perfettamente la pulsazione: lontana dal sistematico chabada, essa e` suggerita o percepita piuttosto che esplicitamente marcata, e cio` permette una piu` attiva partecipazione del batterista all’esecuzione d’insieme. All’opposto, l’emergere negli anni ’70 del jazz-rock conduce la batteria a una sorta di ritorno verso concezioni piu` semplici e piu` sottolineate della pulsazione, dietro la pressione della musica da ballo (rhythm and blues, rock and roll). Grancassa e tamburi ridiventano i principali

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marcatori del tempo. Questa tendenza alla semplificazione non esclude certe ricerche ritmiche in batteristi come Bernard Pretty Purdie, Billy Cobham, Lenny White, Alphonse Mouzon... I tentativi del jazz fusion, senza rinunciare al ritmo binario, fanno ritrovare alla batteria varieta` e scioltezza, come in Steve Gadd o Peter Erskine... Le nuove generazioni si succedono inarrestabili: Hamid Drake, Bill Stewart, Bobby Previte, Jim Black, Terreon Gully, Carl Allen, Kenny Washington, Brian Blade, Ralph Peterson e decine di altri. [P.B., C.G., M.R.]

Baby Dodds: «Talking And Drum Solo» (1946); Zutty Singleton: Moppin’ And Boppin’ (1943); Chick Webb: Liza (1938); Gene Krupa: Sing, Sing, Sing (Benny Goodman, 1938); Lionel Hampton: Jack The Bellboy (1940); Sidney Catlett: Haven’t Named It Yet (L. Hampton, 1939), Boff Boff (Louis Armstrong, 1947); Jo Jones: «Jo Jones Trio» (1959); Kenny Clarke: «Louiss-Clarke-Thomas» (1973); Art Blakey: «Orgy In Rhythm» (1957); Max Roach: «Solos» (1977); Shelly Manne: «Checkmate» (1961); Buddy Rich: «Big Swing Face» (1967); Sam Woodyard: «Piano In The Background» (Duke Ellington, 1960); Philly Joe Jones: «Newk’s Time» (Sonny Rollins, 1958); Elvin Jones: «Sun Ship» (John Coltrane, 1965); Ed Blackwell: «Mu» (Don Cherry, 1969); Andrew Cyrille-Milford Graves: «Dialogue of The Drums» (1974); Han Bennink: «Solo» (1978); Tony Williams: «ESP» (Miles Davis, 1965), «Etudes» (Ron Carter, 1982); Billy Cobham: «Between Nothingness And Eternity» (The Mahavishnu Orchestra, 1973); Peter Erskine: «Modern Times» (Steps Ahead, 1984).

BATTLE, Edgar W. Trombettista, trombonista, sassofonista, pianista, organista, arrangiatore e compositore statunitense (Atlanta, Georgia, 3/ 10/1907 - New York, 6/2/1977). Questo polistrumentista fu istruito da suo padre, pianista, bassista, e da sua madre, chitarrista. Particolarmente precoce, studia la tromba a otto anni e debutta nel 1921 con Neal J. Montgomery. L’anno seguente

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mette in piedi un gruppo, The Dixie Serenaders, poi suona nell’orchestra di Eddie Heywood Sr. Nel 1928 e` ingaggiato come solista da Gene Coy, poi da Andy Kirk e Blanche Calloway, accanto a Ben Webster, Clyde Hart, Cozy Cole (1931). Si mette alla testa di un gruppo, raggiunge Ira Coffey (1933), suona a New York presso Sam Wooding, Benny Carter (1934), Alex Hill, Willie Bryant (1935), moltiplicandosi sugli strumenti che pratica con spigliatezza e fornendo numerosi arrangiamenti. Nel 1936 presenta un numero di rivista a Broadway, della serie George White’s Scandals. Nel 1937 riprende la guida di un’orchestra, per poco tempo: si consacrera` ormai all’arrangiamento per formazioni cosı` diverse quanto lo sono quelle di Cab Calloway, Earl Hines, Count Basie, Jack Teagarden, Louis Prima e la grande orchestra di Fats Waller. Durante la guerra diviene elettricista ai cantieri navali di New York. Tenta di lanciare una casa discografica, la Cosmopolitan Records, a meta` degli anni ’60, mettendo in risalto Eddie Barefield nei suoi arrangiamenti e nelle sue composizioni. Trombettista esuberante, dall’acuto incisivo. E` autore, solo o in collaborazione, di Topsy, Ratamacue, Strictly Instrumental, Yellow Fire. [A.C.] Sugar Blues, It’s Right Here For You (Blanche Calloway, 1931); con W. Bryant: A Viper’s Moan, Long Gone From Bowling Green (1935).

Battle f Cutting contest.

BAUDUC, Ray (Raymond) Batterista e compositore statunitense (New Orleans, Louisiana, 19/6/1906 Houston, Texas, 8/1/1988). Suo padre suona la tromba e suo fratello, che suona la batteria, gli procura il primo ingaggio lasciandogli il proprio posto nell’orchestra del Thelma Theater di New Orleans. Lavora ancora con i Six Nola Jazzers, all’Old Absinthe House, partecipa a qualche tourne´e, in particolare con la Wild Canaries Band dei fratelli Dorsey. Di ri-

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BAUER

torno in Louisiana, e` ingaggiato da Johnny Bayersdorffer (1924-26). A New York, suona con Billy Lustig in una formazione che dirige Joe Venuti, con gli Original Memphis Five, prima di essere ingaggiato come batterista e ballerino da Fred Rich che lo porta in Inghilterra (1927). A New York entra poi da Ben Pollack (1928-34), che abbandona sempre piu` i tamburi per dirigere l’orchestra. Nel 1935 costituisce con Bob Crosby (leader) un’orchestra che conosce – fino al suo scioglimento nel 1942 – una grande popolarita`, confermata nel 1934 da un best-seller, Big Noise From Winnetka (composto da Bauduc, con il contrabbassista Bob Haggart). Dopo il servizio militare (1942-44) fonda una grande orchestra con il sassofonista Gil Rodin (1945). La riduce l’anno seguente alla dimensioni di un settetto. Dopo un breve soggiorno presso Tommy Dorsey (1946), ritrova Bob Crosby per qualche mese (1947) prima di essere ingaggiato dal 1948 al 1950 nella grande orchestra di Jimmy Dorsey, che lascera` per Jack Teagarden (1952-55). Sulla West Coast forma con il chitarrista Nappy Lamare un’orchestra dixieland che si produce con successo nei club californiani e attraverso gli Stati Uniti. All’inizio degli anni ’70 si ritira nel Texas. Lo si puo` vedere nel film The Fabulous Dorseys (1947). Ray Bauduc, partendo dalla tradizione dei percussionisti di New Orleans, si e` ispirato ai grandi batteristi neri dell’epoca [A.C.] swing. Call Me A Taxi, March Of The Bob Cats (The Bob Cats, 1938); Blue Lou (Metronome All Stars, 1939).

BAUER, Billy (William Henry) Chitarrista statunitense (Bronx, New York, 14/11/1915 - Albertson, New York, 16/6/2005). Impara l’ukulele e il banjo a nove anni e debutta cinque anni piu` tardi suonando negli speakeasies, poi in un’emittente radio locale. Verso il 1930, sceglie la chitarra e dirige un quartetto in cui gia` utilizza uno strumento amplificato elettricamente (1933-36). Entra nell’or-

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BAUZA

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chestra di Carl Hoff (1941) col quale registra il suo primo assolo (su Okeh), ma produce anche nelle formazioni di Jerry Wald (1939), Dick Stabile, Abe Lyman, costituisce un complesso con Flip Phillips e raggiunge la big band di Woody Herman (1942-46). A New York lavora con Benny Goodman, Chubby Jackson, poi si unisce al gruppo sperimentale d’avanguardia di Lennie Tristano (con Lee Konitz). Nel 1950 e` professore al New York Conservatory of Modern Music. A partire dal 1953 si produce alla radio (NBC), in diversi spettacoli di Broadway, alla televisione (Bobby Byrne’s Band, Steve Allen Show) e, nel 1958, di nuovo accanto a Benny Goodman, suona all’Esposizione di Bruxelles in occasione di una tourne´e europea. Di ritorno a New York, fa un passaggio, che viene notato, all’Half Note con Lee Konitz (1959), poi dirige il proprio gruppo in un club di Long Island (196163), segue le tourne´ e di uno show su ghiaccio, Ice Capades e, nel 1970, apre la sua scuola di chitarra a New York, dove organizza il Guitar Players Club. E` anche autore di opere pedagogiche (Basic Guitar Studies). Billy Bauer ha suonato e registrato con Lennie Tristano, Lee Konitz, Warne Marsh, Woody Herman, Miles Davis, i J.J. Johnson-Kai Winding Combo, Flip Phillips, Al Cohn, Bobby Hackett, Jack Teagarden, i Metronome All Stars, con Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Fats Navarro, e Buddy De Franco. Ha vinto i referendum delle riviste Down Beat (1949-50) e Metronome (1949-53); ha permesso alla chitarra di integrarsi nel movimento cool di cui fu, durante gli anni ’50, uno dei migliori e piu` significativi rappresentanti. Eccellente tecnico, ha sviluppato uno stile chitarristico nel quale le lunghe linee melodiche fluttuanti, complesse e sinuose, gli accordi dissonanti, le sonorita` eteree, il raffinamento estremo del fraseggio, l’abbandono di una tonalita` stretta a profitto di esplorazioni annuncianti l’avvento del free jazz, attestano l’influsso di Lennie Tristano di cui fu, con Lee Konitz e Warne Marsh, uno dei piu` brillanti allievi. Fa valere le sue qualita` di accompa-

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gnatore in seno alla straordinaria sezione ritmica dell’orchestra di Woody Herman (Chubby Jackson al basso e Dave Tough – poi Don Lamond – alla batteria) in cui i suoi accordi, applicati alla maniera di un pianista o di uno strumentista d’ottoni, si rivelavano risolutamente audaci e alta[C.O.] mente stimolanti. Con Herman: Blowin’ Up A Storm, Igor (1946); Subconscious-Lee (Tristano, 1949); con Konitz: Rebecca (1950), Odjenar (1951), Topsy (1956); No Figs (1950); Love For Sale (Parker, 1954); Blues For Trombones (J.J. Johnson-Kai Winding, 1954); It’s A Blue World (1956).

BAUZA, Mario Trombettista, sassofonista e arrangiatore cubano (L’Avana, 28/4/1911 - New York, 11/7/1993). A sei anni suona il clarinetto, l’oboe e, giovanissimo, figura in formazioni della sua citta` natale come l’Orchestra Romeu o l’Orchestra Curbello. Emigra negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’30, suona con Cass Carr (1931), Noble Sissle (1932), Sam Wooding (1932). Avendo adottato la tromba come strumento principale, e` ingaggiato nel 1933 da Chick Webb col quale resta fino al 1938, poi passa brevemente presso Don Redman (1938) ed entra da Cab Calloway dal dicembre 1939 al 1941. Figura ancora in diverse formazioni prima di integrare l’orchestra afrocubana di Machito di cui sara` a lungo il direttore musicale. E` lui in particolare che guida la sezione di trombe dell’orchestra che accompagna Charlie Parker (registrazioni Mercury/Clef del 1948-49-50). Mario Bauza inizia il suo amico Dizzy Gillespie, durante il loro soggiorno presso Calloway, all’universo della musica latino-americana. Prima tromba, non interviene praticamente mai in assolo, tranne [A.C.] un’eccezione. Stompin’ At The Savoy (Webb, 1934); «My Time Is Now» (1993).

BEAL, Charlie Pianista statunitense (Los Angeles, California, 14/9/1908 - San Diego, California,

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31/7/1991). Fratello maggiore di Eddie Beal, anch’egli pianista (Redlands, California, 13/6/1910 - Los Angeles, California, 15/12/1984), che ha suonato in particolare con Buck Clayton e Teddy Weatherford a Shanghai nel 1934 e accompagnato le cantanti Ivie Anderson et Billie Holiday. Gli inizi di Charlie a Los Angeles sono segnati dall’ingaggio al Sebastian’s Cotton Club nell’orchestra che dirige Les Hite (1930). Nel 1932 si stabilisce a Chicago, producendosi in assolo al Gran Terrace Hotel e nelle formazioni di Jimmie Noone, Erskine Tate, Frankie Jaxon, prima di essere chiamato da Louis Armstrong (che l’ha conosciuto presso Les Hite) per sostituire Teddy Wilson nel 1933. Passa allora nelle orchestre di Carroll Dickerson e Noble Sissle, poi, a New York, si produce da solista nei club di grido (Adrian’s Tap Room, Famous Door, Onyx Club) e accanto al violinista Eddie South. Smobilitato, si ritrova a Los Angeles (Jococo Room, 1946) dove Armstrong l’ingaggia nella formazione che si esibisce nel film New Orleans. Nell’ottobre 1948 percorre l’Europa, esibendosi soprattutto in Italia (Piano Club, a Roma) e sulla Costa Azzurra fino al 1975. Ritorna negli Stati Uniti e mette su un gruppo che si produce in California (Racquet Club) alla fine degli anni ’70. Earl Hines e Fats Waller – che gli ha prodigato i suoi consigli – sono alla base dello stile di questo pianista dall’esecuzione sciolta ma dall’ispirazione un po’ [A.C.] limitata. Where The Blues Were Born In New Orleans (Armstrong, 1946); «Straw Hat Jazz» (1979).

Bean (letter., ‘‘fagiolo’’) Soprannome dato a Coleman Hawkins e che, a detta del sassofonista Louis Stephenson (col quale aveva inciso nel 1937 nei Paesi Bassi), faceva riferimento alla sua presunta avarizia: «I haven’t a bean» significa infatti ‘‘Non ho il becco d’un quattrino’’.

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BEAT

BEASON, Bill (William) Batterista statunitense (Louisville, Kentucky, 6/3/1908 - New York, 15/8/1988). Debutta nella sua citta` natale suonando con la Booker T. Washington Center Band, e studia poi alla Wilberforce University. Nel 1924 lo troviamo nei ranghi dell’orchestra di Horace Henderson, i Collegians, con i quali acquisisce sufficiente esperienza e tecnica per interessare King Oliver e James P. Johnson, che lo assumono per alcune sedute d’incisione. All’inizio degli anni ’30 suona soprattutto a New York con Bingie Madison (193031), Teddy Hill (1935) e nell’orchestra che accompagna in Europa la Cotton Club Revue. Ha anche l’opportunita` di partecipare a una celebre serie di incisioni per l’etichetta Swing assieme a Django Reinhardt, Dickie Wells e Bill Coleman. Al suo ritorno e` assunto da Don Redman (1938-39) e sostituisce l’ammalato Chick Webb nell’orchestra di cui Ella Fitzgerald assumera` la guida dopo la scomparsa del famoso batterista. Poi suona insieme a John Kirby (1943-44), Eddie Heywood (1944), Ben Webster (1945), ancora con Kirby (1947), Sy Oliver ed Earl Bostic. Negli anni ’50 si ritira dall’attivita` musicale. Il suo stile, dalla fine degli anni ’30 in avanti, illustra i limiti del batterismo prebop: monotonia metronomica, timidi tentativi di variare la punteggiatura sui piatti, grossolanita` degli interventi solistici su cassa e rullante. All’opposto, insomma, dell’eleganza di un Jo Jones. [A.C.] Dicky Wells Blues (Wells, 1937); The Harlem Twister (T. Hill, 1937); Sing Song Swing (E. Fitzgerald, 1940).

Beat (letter. ‘‘battito’’, ‘‘tempo’’) Nel jazz e` sinonimo di tempo, di pulsazione e anche di swing: He gets a fine beat significa: ‘‘Ha una buona pulsazione’’. In una misura a quattro tempi, il primo e il terzo tempo sono i tempi forti (strong beats) e il secondo e il quarto i tempi deboli (weak beats), o controtempi, chia-

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BEBOP

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mati anche f after-beat, off-beat, backbeat o ancora up-beat. Il down-beat era il primo tempo di una misura. Sul piano ritmico, si oppongono spesso due modi di suonare il jazz: two-beats (due tempi) o four-beats (quattro tempi). Il two-beats consiste, per il contrabbasso (o la tuba), nel segnare solamente i tempi forti (un tempo su due) e il four-beats nel suonare i quattro tempi. Un tenace pregiudizio vuole che lo stile New Orleans si suoni in due tempi. Basta ascoltare i grandi bassisti di questo stile (Pops Foster, Wellman Braud), o anche il piu` vecchio tra di essi, Bill Johnson, per constatare che il luogo comune e` inesatto e che il four-beats viene utilizzato spesso. Neppure il four-beats e` usato nelle forme posttradizionali del jazz in modo sistematico. Il two-beats viene suonato molto di frequente, in tutte le epoche del jazz, per l’esposizione del tema; all’arrivo dei chorus, si traforma in four-beats. L’orchestra di Jimmie Lunceford (periodo swing) utilizza con felicita` il two-beats che e` anzi una delle caratteristiche del suo stile. Si trova un esempio di two-beats per tutta la durata di un pezzo in All Of You di Miles Davis nel 1956. Il termine beat e` diventato famoso negli anni ’60, con la beat generation, Allen Ginsberg e Jack Kerouac, frequentatori di jazz, e con la beat music, all’incirca [Ph.B.] sinonimo di ‘‘pop music’’. Bebop (o be-bop, bop, piu` desueto re-bop) Termine onomatopeico derivato, pare, da una figura ritmica... oppure dalla traduzione vocale (ripresa nel canto scat) di un finale di frase caratteristico del ‘‘nuovo jazz’’ all’inizio degli anni ’40 a New York, e che ha finito per designare l’insieme di questo stile di jazz. Sotto il doppio segno della sperimentazione e della competizione, il bebop venne elaborato, al di fuori di ogni orchestra costituita, da un gruppo di giovani musicisti neri che, avendo acquisito una solida esperienza professionale, si ritrovavano a Harlem, al Monroe’s Uptown

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House, e, soprattutto, al Minton’s Playhouse, dopo il loro lavoro regolare: Charlie Christian, Thelonious Monk, Benny Harris, Kenny Clarke, Dizzy Gillespie e Joe Guy, tra gli altri, ai quali si univano a volte degli ospiti venerabili come Chu Berry, Ben Webster, Don Byas o Lester Young. «Piu` sensibili dei loro confratelli all’erosione dello stile swing» (Andre´ Hodeir), i partecipanti a queste jam session e incontri after-hours stimavano che il jazz praticato allora fosse stato sfruttato fino all’estremo limite del possibile e che i solisti girassero in tondo all’interno delle stesse formule armoniche, degli stessi tipi di arrangiamento, sullo stesso background ritmico. La tecnica, il virtuosismo e l’invenzione dei maestri dell’epoca (Armstrong, Tatum, Coleman Hawkins, Lester Young, Benny Goodman, Lionel Hampton, Jo Jones, Sid Catlett...) raggiungevano una tale perfezione che sembrava impossibile far meglio nella stessa direzione. Ci si puo` chiedere, d’altronde, se la ipersofisticazione armonica degli Hawkins (che recluto` con entusiasmo dei giovani bopper), Tatum, Ellington, Dodo Marmarosa, come pure la liberta` melodica e ritmica di un Lester Young e di un Roy Eldridge, o l’efficace scioltezza di un Jo Jones presso Basie non prefigurassero i rivolgimenti del bop... Parallelamente agli incontri di Harlem, il jazz, sin dal 1942, assumeva modalita` nuove nei cabaret della 52ª Strada, in cui si sviluppava il gusto degli esercizi di velocita`, delle innovazioni armoniche e altre eccentricita` strumentali. Inoltre, numerosi musicisti cercavano di reagire contro le limitazioni e le costrizioni del lavoro nelle big band – troppo votato al ballo – e contro l’invasione della propria arte da parte dei motivetti commerciali e delle arie di successo: il bebop sara` il primo jazz creato al di fuori, se non addirittura contro, lo show business. Per la prima volta, dei musicisti di jazz partecipano di un certo elitismo artistico: gli iniziati del Minton’s utilizzavano tempi velocissimi e concatenazioni armoniche

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eterodosse come altrettante trappole che permettevano di eliminare i musicisti tecnicamente insufficienti. Altro fenomeno che si aggiunge ai precedenti, il Petrillo Ban, sciopero delle registrazioni decretato dal presidente del sindacato dei musicisti, che si rende responsabile di aver ritardato la fioritura discografica del bebop, doveva favorire, nei fatti, il moltiplicarsi delle piccole case discografiche specializzate in jazz, che diffonderanno i primi dischi-manifesto di questa nuova musica: Jerry Newman pubblichera` solo piu` tardi le registrazioni che aveva realizzato, come dilettante, nel 1941 al Minton’s. Il bebop non ebbe dunque come unica causa una implacabile necessita` di rinnovamento del linguaggio musicale. La comunita` nera, piu` inurbata di un tempo, avendo acquisito un livello sociale sensibilmente piu` elevato, una cultura musicale piu` scolastica e, al momento dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, la dignita` militare, poteva desiderare – piu` o meno consciamente – di dimenticare un passato legato al blues, al dixieland e, prima ancora, alla schiavitu`. Prima vera rivoluzione della musica afroamericana, il bebop differisce dai tipi di jazz che l’hanno preceduto essenzialmente per la discontinuita` della punteggiatura – che coesiste, paradossalmente, con un sentimento di continuita` ritmica – e per l’allargamento delle basi armoniche. La sezione ritmica, che tende a dissociare i suoi elementi costitutivi, non assicura piu` il battito dei quattro tempi in modo regolare. L’esecuzione del batterista si disarticola in punteggiature sul rullante e la grancassa, mentre i piatti avvolgono questa frammentazione con un fruscio costante e il piatto principale assicura il mantenimento del tempo. Rinunciando a doppiare la parte del contrabbasso, il pianista getta degli accordi, sincopati o meno e piuttosto dissonanti, per rilanciare l’ispirazione del solista. Solo il bassista continua ad assumere la metrica. Diventata armonicamente pleonastica, la chitarra sparisce spesso dalle sezioni ritmiche, che in compenso vengono a volte accresciute con strumenti a percussione

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BEBOP

(conga, bonghi...) di origine cubana. L’amplificazione elettrica permettera` ben presto ai chitarristi di rivaleggiare con ance o ottoni. Sul piano armonico, nascono delle scale per tono e degli accordi di passaggio. Le melodie, dal taglio spigoloso – spesso vicino alle figure eseguite dai batteristi – sono dei riff themes in cui appaiono dei salti bruschi, delle dissonanze, degli effetti cromatici. Riscritti e riarmonizzati, parafrasati armonicamente dai bopper, gli standard e i vecchi temi divengono irriconoscibili: How High The Moon si muta in Ornithology, All The Things You Are in Bird Of Paradise, Cherokee in Koko, Honeysuckle Rose in Marmaduke, Indiana in Donna Lee, Just You, Just Me in Evidence, Lady Be Good in Hackensack, What Is This Thing Called Love in Hot House. Indubbiamente perche´ essa annunciava e determinava un’irreversibile evoluzione del jazz, la nascita del bebop venne giudicata negativa e addirittura nefasta da alcuni critici, e in particolare da Hugues Panassie´, che basandosi su un frammento di intervista a Charlie Parker («il bebop non e` un figlio del jazz»), non hanno temuto di negare la ‘‘jazzita`’’ di questa nuova musica. La storia del jazz ha loro risposto: nulla di cio` che e` avvenuto da quel momento in poi nell’universo musicale nero americano ha potuto ignorare le scoperte e le acquisizioni del bebop. Accanto ai suoi capifila, Charlie Parker e Dizzy Gillespie, numerosi solisti di alto livello hanno contribuito a formare una scuola che porto` spesso il jazz alle sue piu` alte vette. Tra i trombettisti: Fats Navarro, Howard McGhee, Kenny Dorham, Miles Davis, Red Rodney, Sonny Berman; J.J. Johnson al trombone; i sassofonisti Sonny Stitt, Lou Donaldson, Sahib Shihab, Allen Eager, Leo Parker; i pianisti Monk, Bud Powell, Al Haig, George Wallington, Duke Jordan, Tadd Dameron, John Lewis; il pianista e vibrafonista Milt Jackson; i batteristi Kenny Clarke, Max Roach, Art Blakey; i bassisti Ray Brown, Charles Mingus, Al McKibbon, Nelson Boyd; gli arrangiatori Walter Fuller, Tadd Dameron, John Lewis, George Russell... Le

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BE BOP BOYS

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principali formazioni regolari del periodo bebop furono il quintetto di Charlie Parker, la grande orchestra di Dizzy Gillespie, e quella – sfortunatamente mal registrata – di Billy Eckstine. E` nei cabaret della 52ª Strada, a New York, nella meta` degli anni ’40, che il bebop conobbe il suo apogeo. Esso lancio` addirittura una moda: basco, occhiali dalla montatura spessa e barbetta... Al bebop prima maniera succedettero, nel corso degli anni ’50, il cool jazz e l’hard bop. Gli anni ’80 vedono un ritorno al bebop, sia come una sorta di nuovo accademismo che sulla scia di innumerevoli forme di revival. Da ricordare infine che sono stati anche chiamati ‘‘bebop’’ o ‘‘bop’’ alcuni balli alla moda, benche´ le musiche utilizzate non abbiano alcun rapporto con il jazz praticato dai bopper. [P.C.] Groovin’ High, Hot House (Gillespie-Parker, 1945); Things To Come (Gillespie, 1948); Salt Peanuts (Gillespie-Parker, 1953).

BE BOP BOYS (THE) Nome dato a diversi gruppi di studio che registrarono tra il 1945 e il 1946 per la casa Savoy. E` cosı` battezzato il quintetto di Charlie Parker che incise Thriving From A Riff nel corso della seduta del 26 novembre 1945. Altri Be Bop Boys furono: Sonny Stitt-Kenny Dorham (BeBop In Pastel, 1946), Fats Navarro (Webb City, 1946), Dizzy Gillespie (Smo[A.C.] key Hollow Jump) e Allen Eager. BECHET, Sidney Joseph Clarinettista, sassofonista, compositore e direttore d’orchestra statunitense (New Orleans, 14/5/1897 - Parigi, 14/5/1959). Adolescente, suona a New Orleans con George Baquet, Big Eye Louis Nelson, Lorenzo Tio e nell’orchestra di suo fratello Leonard (Silver Bells Band) dove incontra Freddie Keppard. E` ingaggiato da Buddy Petit (1909), John Robichaux (Olympia Band, 1910), l’Eagle Band (1911), e Bunk Johnson. Nel 1914 accompagna Clarence Williams in tourne´e e, due anni piu` tardi, raggiunge King Oliver

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a New Orleans (Big 25 e Pete Lala’s Cafe´). Dal 1917 al 1919 e` attore e musicista in The Bruce And Bruce Touring Company, ritrova King Oliver a Chicago, prima di sbarcare in Europa con la Will Marion Cook’s Southern Syncopated Orchestra. Il direttore d’orchestra-musicologo Ernest Ansermet scrive allora nella Revue Romande un articolo premonitore sul genio di Bechet. Con Bennie Payton, suona a Londra e a Parigi. Espulso dall’Inghilterra, e` comparsa e musicista a Washington in How Come (1922). L’anno seguente accompagna Mamie Smith, registra con Eva Taylor, Rosetta Crawford, Sara Martin, Sippie Wallace, Virginia Liston... prima di lavorare con Duke Ellington e James P. Johnson. Ritorna a Parigi, Bruxelles, Berlino nel 1925 con Claude Hopkins e Josephine Baker. Prosegue le sue tribolazioni dal 1926 al 1929 e visita l’URSS, la Turchia, l’Egitto, la Spagna, il Portogallo con Sam Wooding, poi si stabilisce a Parigi presso Arthur Briggs (Ambassadeurs, Chez Florence, Plantation). Implicato in una rissa a Pigalle, e` espulso dalla Francia dopo undici mesi di prigione per aver sparato sul chitarrista Mike McKendrick, malgrado la testimonianza di Louis Aragon. Suona a Berlino, in Italia, poi e` ingaggiato da Noble Sissle a New York prima di creare con Tommy Ladnier i New Orleans Feetwarmers (1932). Soppraggiunta la crisi, apre un negozio di abbigliamento, poi ritorna presso Noble Sissle (1934-38). Il New Orleans Revival che inizia nel 1938 (registrazioni per Panassie´ a New York con Tommy Ladnier e Mezz Mezzrow) gli permette di tornare sulla scena. Suona al Nick’s, in particolare con Eddie Condon. Registra con Trixie Smith (1938), Jelly Roll Morton (1939), con Louis Armstrong (1940) e crea nel 1945, associato a Mezz Mezzrow, la casa di registrazione King Jazz. Nel 1949 trionfa al festival del jazz di Parigi e, l’anno seguente, si stabilisce in Francia in cui si impone come un divo, accompagnato il piu` delle volte dalle orchestre di Claude Luter e di Andre´ Re´we´liotty, in cartellone al Vieux-Colombier di Parigi e a quello di Juan-les-

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Pins. Il suo matrimonio, nel 1951 sulla Costa Azzurra, fu un avvenimento, come la consegna di un disco d’oro (1955). Ritorna negli Stati Uniti nel 1953, in Gran Bretagna nel 1956, in Argentina e in Cile nel 1957, ma resta innanzitutto un ‘‘parigino’’. Lo si vede suonare e recitare in diversi film francesi, Symphonie sous le ciel (Fehr-Lutz, 1952), Jazz Jamboree (Edgar Roulleau, 1953), Piedalu de´pute´ (Jean Loubignac, 1953), L’Inspecteur connaıˆt la musique (Jean Josipovici, 1955), Se´ rie noire (Pierre Foucault, 1955), Ah! quelle e´quipe (Roland Quignon, 1956), La Nuit est une sorcie` re (Marcel Martin, 1960), La Route du bonheur (Maurice Labro, 1953). Ha scritto un’autobiografia: Treat It Gentle (1960). Esperto, ai suoi inizi, nella tradizione improvvisativa a tre voci (tromba, trombone, clarinetto), base dello stile di New Orleans degli anni ’20, esprime sin dagli anni ’30 il desiderio d’imporsi come conduttore e di dominare i suoi partner. E` per questo che abbandona il clarinetto per il sassofono soprano, strumento dal suono piu` potente, di cui fu d’altronde uno dei primi campioni, e a questo titolo ebbe influenza su Johnny Hodges negli anni ’30. Fino al 1950 e` ancora piuttosto fedele alla tradizione di New Orleans tinta di una colorazione creola. In Francia inventa un idioma molto piu` originale, mescolando il blues del Mississippi a passi di danza europei. Les Oignons (1949), Petite Fleur (1952), Dans les rues d’Antibes (1952) furono dei successi di jukebox accessibili a tutti i pubblici, ma che si allontanano un po’ dall’autenticita` della musica dei suoi inizi. Tuttavia un grande estro lirico anima tutti i suoi assolo, densi e caldi. Il suo largo vibrato andava dritto al cuore dell’uditorio, mentre sapeva condurre con uno swing infallibile i suoi accompagnatori francesi. [F.T.] Wild Cat Blues (C. Williams 1923); Maple Leaf Rag (1932), Characteristic Blues (1937), Blackstick, Really The Blues (1938), Summertime (1939), Blues In Thirds, One O’Clock jump (1940); Down In Honky Tonk Town (Armstrong, 1940);

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BECK

Vedi Disc Blues (1943), Perdido Street Blues (1945), Society Blues (1950), «Bechet a` l’Olympia» (1955), «Bechet a` Bruxelles» (1958).

BECK, Gordon James Pianista (elettrico, acustico, sintetizzatore) e organista britannico (Londra, 16/ 9/1938). Suo padre suona il violino e gli fa prendere, dai dodici ai quindici anni, lezioni di piano classico. La famiglia vuol fare di lui un ingegnere, ma egli scopre il jazz e studia George Shearing. Nel 1958, dopo un soggiorno in Canada, e` soggiogato da Charlie Parker, poi da Bud Powell, Horace Silver, Horace Parlan, Red Garland e Bill Evans. Debutta a Londra nel 1961. Dal 1962 al 1966 lo si ascolta in compagnia di Tony Kinsey e Tubby Hayes, poi di Annie Ross. Nel 1965 forma il proprio trio con Jeff Clyne (cb) e Tony Oxley (batt) e accompagna Helen Merrill, Joe Henderson, Lee Konitz al Ronnie Scott’s. Nel 1967-68 lavora molto in studio, per la televisione, la radio ecc. Suona con Phil Woods in seno all’European Rhythm Machine (1969-72). Nel 1973, dopo il ritorno di Woods negli Stati Uniti, Beck mette in piedi con i suoi vecchi partner Gyroscope (la formazione sopravvivera` fino al 1975), poi un trio in cui sostituisce Clyne con Ron Mathewson. Registra con John McLaughlin e crea una casa discografica, la Jaguar Cassettes, in associazione con Howard Riley, John Taylor, John Walters, Don Weller... Dopo una breve collaborazione con Charles Tolliver, partecipa al Piano Conclave, costituito da George Gruntz. Lavora e registra, a partire dal 1975, come leader (segnatamente in compagnia del chitarrista Alan Holdsworth) e accompagna tanto Gato Barbieri che Steve Grossman, Lena Horne, Mel Torme, Clark Terry, Daniel Humair o Henri Texier. Nel 1976 lo si ascolta nel Major Surgery di Weller. Si produce poi in assolo (1978). Va in tourne´e in Australia con Holdsworth (1985), suona e registra con Didier Lockwood, Bill Hart e Cecil McBee. E` in quest’epoca

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BECK

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che ha luogo la sua associazione con Helen Merrill. Si dedica poi all’insegnamento di jazz. Beck si colloca sotto il segno di una molteplicita` di influssi: Bud Powell, Bill Evans, Charlie Parker, Herbie Hancock, Delius e Ravel, ma anche Phil Woods... Tecnico brillante, dotato di grande lirismo, e` un pianista di atmosfere, spesso molto fluide (con l’evocazione di una lirica liquidita` o di note isolate al modo del Debussy della Cathe´drale engloutie), ma fa anche delle corse virtuosistiche che esplorano tutta la tastiera con un’articolazione molto ‘‘churchy’’: grandi volate ascendenti del tutto classiche con accelerando. Di questo artista energico fin nel piu` decadente debussysmo, aperto a tutte le miscele alla moda, si apprezzera` la delicatezza in seno al duo che forma con [P.B., C.G.] Helen Merrill. «The French Connection» (1978), «Reason» (1982), Piano Solo (1984); «No Tears No Goodbyes» (Merrill, 1984); «For Evans’ Sake» (1991).

BECK, Jeff Chitarrista britannico (Surrey, 24/6/ 1944). Dopo gli studi all’Art College di Wimbledon, accompagna Lord Sutch prima di diventare il sostituto di Eric Clapton in seno agli Yardbirds (1964-66). Il suo modo sorprendente di suonare – in particolare l’uso del feedback, di cui e` con Jimi Hendrix uno dei principali iniziatori – lo fa notare molto presto. Nel 1967 fonda il Jeff Beck Group in cui, con Ron Wood e Rod Stewart, tenta di radicare la sua musica nel blues: contribuisce alla riscoperta di B.B. King e della scuola di Chicago. Dopo lo scioglimento del gruppo (1969) e al momento di formarne uno nuovo, un incidente automobilistico e una frattura del cranio lo mettono fuori gioco. Riappare solo nel 1972, a capo di un nuovo gruppo, dall’orientamento nettamente piu` ‘‘nero’’, sapiente cocktail di rock e di soul. E` anche il periodo degli incontri con Stevie Wonder: partecipa all’album «Talking Book», nel 1971, e Wonder gli offre in cambio Superstition,

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che Beck registra nel 1973 con Tim Bogert e Carmine Appice. Scioltasi la formazione all’inizio del 1974, Beck riappare due anni piu` tardi in un contesto jazzrock. Nel 1975 e` nella Mahavishnu Orchestra e, nel 1976, inizia una collaborazione episodica con Jan Hammer, ex tastiera dell’orchestra. Suona con Stanley Clarke (1978-81) e registra quattro album, tutti jazz-rock. Ricompare improvvisamente nel 1985 con «Flash», fortemente impregnato di funk. Melodista brillante, dal bellissimo suono, Beck padroneggia totalmente gli effetti e la potenza: fa parlare e cantare la chitarra. Il suo gusto del rischio e delle improvvisazioni graffianti e sfrenate ha trovato modo di esprimersi soprattutto nel jazz[F.G.] rock. «Blow By Blow» (1975), Goodbye Pork Pie Hat (1976), The Final Peace (1980), Where Were You (1988).

BECK, Joe Chitarrista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 29/7/1945). E` nel 1964 che debutta nella formazione di Paul Winter. Qualche mese piu` tardi soggiorna presso Charles Lloyd prima di essere reclutato da Gary McFarland. Resta nella grande formazione di quest’ultimo fino al 1967, data in cui accetta un posto presso Chico Hamilton. Il periodo e` propizio agli incontri, e a Joe Beck non mancano: suona e registra con Miles Davis, poi raggiunge Gil Evans, che seguira` nelle diverse metamorfosi delle sue orchestre fino al 1970. Nel 1971, dopo aver collaborato con Gato Barbieri, abbandona la musica per un allevamento di mucche da latte... Nel 1973 ritorna in citta` (New York) e al lavoro in seno a grandi formazioni (Buddy Rich, Maynard Ferguson, Woody Herman). Lo si e` potuto ascoltare anche con Gene Ammons, Joe Farrell, Lena Horne, Peggy Lee, Jimmy Smith, David Sanborn... Spesso confinato a un ruolo di sideman, Beck e` un chitarrista dalla sonorita` a volte aspra, che sa abilmente lavorare i timbri e

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sfruttare le possibilita` di colorazione della chitarra elettrica, in particolare [P.B., C.G.] presso Miles Davis. Circle In The Round (Davis, 1967); «Gil Evans» (1967); Tupac Amaru (Barbieri, 1971).

BEIDERBECKE, Bix (Leon) Cornettista, pianista e compositore statunitense (Davenport, Iowa, 10/3/1903 New York, 7/8/1931). Gli viene dato come nome il diminutivo di suo padre Bismarck «Bix» Hermann Beiderbecke, commerciante a Davenport. Sua madre suona da dilettante il piano e l’organo; uno dei suoi nonni ha diretto l’orchestra filarmonica di Davenport. A tre anni, ricorda sua sorella, suona al piano il tema della seconda Rapsodia ungherese di Liszt. Nel 1913 si puo` leggere in un giornale locale, il Davenport Democrat, la storia di questo bambino capace di riprodurre, a orecchio, qualsiasi melodia. A quindici anni acquista una cornetta d’occasione e, autodidatta, si inventa una tecnica e delle diteggiature non ortodosse. Ascoltando Nick LaRocca e delle orchestre che suonano a bordo dei battelli che risalgono il Mississippi, si appassiona al jazz, citando come principale ispiratore Emmett Hardy, un cornettista bianco di New Orleans (morto nel 1925 a ventidue anni) ascoltato nell’orchestra di Carlisle Evans ma che non ebbe l’occasione di registrare. Nel 1921 i genitori lo mandano a studiare all’Accademia militare di Lake Forest, vicino a Chicago. Qui forma con il batterista Walter «Cy» Welge la Cy-Bix Orchestra e fa parte della Ten Foot Band con Jimmy Hartwell (cl, asax), George Johnson (tsax), Min Leibrook (tr) e Vic Moore (batt). Talvolta la sera fa puntate a Chicago dove ascolta, al Friar’s Inn, i New Orleans Rhythm Kings. Escluso dall’Accademia nel 1922, ritorna a Davenport e cerca, invano, un impiego da pianista. Dopo un passaggio in un’orchestra da ballo di Chicago, i Cascades, lavora per quasi tre mesi con Eddie Condon, all’Alhambra Ballroom di Syracuse. L’anno seguente ritorna a Chicago, suona per il

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BEIDERBECKE

ballo e sulle riverboats: nell’orchestra di uno di questi battelli incrocia un clarinettista di quattordici anni di nome Benny Goodman. Ottobre 1923: si unisce a un gruppo di studenti, i Wolverines, formato dal pianista Dick Voynow con Hartwell, Johnson e, ben presto, Moore e Leibrook. Bix diventa la vedette dell’orchestra. Suonano in casino` e dancing, nell’Ohio, a Indianapolis, Chicago... Febbraio 1924: prime registrazioni, a Richmond (Indiana), per l’etichetta Gennett. Si produce poi all’universita` dell’Indiana (dove Bix ritrova Hoagy Carmichael che, affascinato dal suo modo di suonare, pensa di abbandonare gli studi di diritto per consacrarsi alla musica) e a New York, dove il cornettista registra con i Sioux City Six (di cui Frankie Trumbauer e Miff Mole sono i principali solisti), lascia i Wolverines (sostituito da Jimmy McPartland) e, grazie al sassofonista Don Murray, entra nell’orchestra di Jean Goldkette. Suona poi con Charley Straight a Chicago. Non sapendo leggere la musica, deve imparare a memoria gli arrangiamenti. Ha nuovamente l’occasione di ascoltare Louis Armstrong, King Oliver, Jimmie Noone e, soprattutto, si appassiona per Bessie Smith. Nel 1925 incide i primi dischi come leader (Bix And His Rhythm Jugglers) con, in particolare, Tommy Dorsey e Murray. Parallelamente, il suo interesse per la ricerca armonica dei compositori impressionisti (Debussy, Ravel, Edward MacDowell...) lo porta ad approfondire lo studio del piano e a cercare di allargare le sue conoscenze teoriche, mentre accetta qualunque impiego, persino un duo comico, The Pepper Boys, con il trombettista-fisarmonicista Frank Quartel. Ma, a partire dal 1925, ritrova Trumbauer: comincia allora un sodalizio che resistera` ai rischi del mestiere. L’anno seguente i due si fanno ingaggiare insieme da Goldkette e, sotto il nome di Bix Beiderbecke’s Gang, riuniscono in studio alcuni musicisti dell’orchestra: Bill Rank (trb), Murray, Adrian Rollini, Frank Signorelli (pf), Howdy Quicksell (bjo) e Chauncey Morehouse (batt). Scioltasi nel settembre 1927 la formazione di Goldkette, Bix e Trumbauer

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BEIRACH

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passano con Paul Whiteman, dopo un breve soggiorno nella big band di Rollini. Precedendo alcuni ingaggi di breve durata nella Casa Loma Band (1930), nell’orchestra di Charles Previn (per la trasmissione radiofonica Camel Hour, 1931) o con Red Nichols, il lavoro di Bix presso Whiteman (fino al settembre 1929) sara` molte volte interrotto da problemi di salute: muore per le conseguenze di una polmonite. La sua vita, romanzata, e` stata raccontata da Dorothy Baker in Young Man With A Horn (1979) in cui Bix era interpretato da Kirk Douglas e doppiato per la musica da Harry James. Nel 1974, invece, Richard Sudhalter e Philip Evans pubblicano Bix, Man And Legend. Le sue registrazioni con Frankie Trumbauer (1926) definiscono nel modo migliore il suo apporto: un’esecuzione dolce per la sonorita`, vibrante per il calore, un’ispirazione e uno swing mai in difetto. Grazie alle sue qualita`, Bix appartiene a quella categoria di jazzisti bianchi che hanno saputo far evolvere il folklore nero per renderlo comprensibile al gran pubblico statunitense ed europeo. E` l’ispiratore dei trombettisti bianchi degli anni ’30: Jimmy McPartland, Bobby Hackett, Bunny Berigan, Wild Bill Davison, Max Kaminsky, Ruby Braff, come pure del nero Rex Stewart. Cosı` la sua maniera raffinata, purgata dalla rusticita` del blues originario, puo` ugualmente essere considerata come annunciatrice del cool jazz [F.T.] della West Coast. Jazz Me Blues (1924), Singin’ The Blues, Sorry, In A Mist (1927), Mississippi Mud (1928); Barnacle Bill The Sailor (H. Carmichael, 1930).

BEIRACH, Richard (Richie) Pianista e compositore statunitense (New York, 23/5/1947). Dopo dieci anni di piano classico (dai sei ai sedici anni), si interessa al jazz moderno, accompagna Freddie Hubbard, Lee Konitz, prima di entrare nel 1970 alla Berklee School di Boston, poi alla Manhattan School of Music, dove ottera` il diploma nel 1972. Dopo

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una tourne´e con Stan Getz, raggiunge Dave Liebman per una collaborazione regolare che li portera` da Lookout Farm (1973) a Quest (1981). Parallelamente, prosegue la sua carriera accanto a John Scofield, a John Abercrombie e sotto il proprio nome. Strumentista consumato, Richard Beirach coltiva la ricca tavola armonica e la delicatezza di fraseggio care a Bill Evans, manifestando allo stesso tempo, come Paul Bley, un gusto per gli intervalli distesi al servizio di melodie inquietanti, e praticando una liberta` tonale cara ai musicisti della sua generazione. Se propende, in assolo, per la musica europea del XX secolo, il suo lavoro di accompagnatore lo radica nel jazz, per il suo vigore ritmico e il suo senso, molto sviluppato, dell’ascolto e del rilancio. [X.P.] Softly As In A Morning Sunrise (Scofield, 1977); Bones (1974), Elm (1979); Gargoyles (1983); Pendulum (Quest, 1986); «Self Portraits» (solo, 1990), You Don’t Know What Love Is (solo, «Maybeck», 1992), «Snow Leopard» (1996), «Round About Monteverdi» (2003).

BELL, Aaron Samuel Contrabbassista, tubista, trombettista, pianista e compositore statunitense (Muskogee, Oklahoma, 24/4/1922 - 28/7/2003). Tra tutti questi strumenti – che ha studiato in particolare alla Xavier University – e` il contrabbasso che gli ha permesso di essere conosciuto (e apprezzato) sulla scena del jazz. Entra nel 1947 nell’orchestra di Andy Kirk. La sua competenza, la sua grande musicalita` e la sua attitudine a integrarsi nei piu` vari contesti lo fanno ingaggiare, nell’arco di qualche anno, nelle formazioni di Ed Wilcox, Lucky Millinder, Herman Chittison, Lester Young, Teddy Wilson, Eddie Heywood, Johnny Smith, Dorothy Donegan. Dal 1954 al 1956 si mette a capo del trio che ha costituito con il bassista Charlie Bateman e il batterista Charlie Smith. Nel 1960 e` ingaggiato da Duke Ellington per subentrare a Jimmy Woode: vi resta quasi tre anni. In seguito si consacra alla composizione (per spettacoli newyorkesi) e riprende il suo incarico di inse-

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gnante, senza abbandonare del tutto il contrabbasso, che riprende in occasione di festival, concerti o tourne´e, come quella che lo portera` in Europa (1978) con qualche altro compagno di Duke, sotto la direzione di Cat Anderson. Gli si devono composizioni classiche come la Watergate Sonata per piano e il Rondo Schizo per clarinetto e piano. Un suono ‘‘grosso’’ e un’esecuzione particolarmente elastica gli conferiscono presenza e (dolce) autorita`: e` spesso una sorta di conduttore implicito del gioco d’insieme (in particolare con Ellington), che rilancia con un’efficacia tranquilla, senza urgenza e senza orgia di note, ma in cui ciascuna e` ben scelta. [A.C.] If This Ain’t The Blues? (Jimmy Rushing, 1957); con Ellington: «The Nutcracker Suite», «Peer Gynt Suite», «Piano In The Background» Midriff (1960), Satin Doll, «Duke Ellington Meets Coleman Hawkins» (1962).

BELLSON, Louie (Luigi Paolino Alfredo Francesco Antonio BALASSONI) Batterista, compositore e direttore d’orchestra statunitense (Rock Falls, Illinois, 6/7/ 1924). Suo padre vende strumenti musicali, ed e` del tutto naturale che il ragazzo si cimenti alla batteria. Lavorando con impegno, progredisce rapidamente e ottiene in un concorso organizzato sotto l’egida di Gene Krupa il premio della categoria ‘‘Under 18’’. Cio` gli vale l’ingaggio, nel 1942, da parte di Ted Fiorito, direttore di un’orchestra da ballo molto popolare e compositore inoltre di alcuni standards (I Never Knew) e, alla fine dell’anno, per un breve periodo, da parte di Benny Goodman, presso il quale ritorna dopo aver compiuto il servizio militare. Dal 1947 al 1949 e` nell’orchestra di Tommy Dorsey, dove incontra Charlie Shavers con il quale si associa per costituire nel 1950 un sestetto la cui esistenza sara` di breve durata. Passa poi presso Harry James che lascia nel marzo 1951, ingaggiato da Duke Ellington insieme ad altri due membri del gruppo di Harry James, Willie Smith e Juan Tizol. Sostituendo Sonny Greer, apporta agli ellingtoniani una vitalita` nuova e un entusia-

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BELLSON

smo comunicativo. Duke Ellington non ha trascurato nella sua autobiografia, Music Is My Mistress, di sottolineare la stima che provava per lui: «Che accompagni o suoni in assolo, e` l’epitome della perfezione». Come esprimersi meglio? Ha cosı` anche l’occasione di rivelare i suoi talenti di arrangiatore con molte delle sue composizioni: The Hawk Talks, Ting-A-Ling e soprattutto Skin Deep, che diverra` uno dei cavalli di battaglia dell’orchestra per molti anni, una sorta di concerto per batteria e orchestra nel corso del quale, utilizzando simultaneamente due grancasse, fa prova di un eccezionale virtuosismo. Nel gennaio 1953 lascia Duke per divenire l’accompagnatore di Pearl Bailey, che ha sposato l’anno prima. Da questo momento in poi suona solo raramente in altri contesti, il JATP nel 1954, Tommy Dorsey nel 1956, Count Basie per una tourne´e in Svezia nel 1962, Duke Ellington dal luglio 1965 al gennaio 1966 (partecipando cosı` al primo Concerto per Musica Sacra), Harry James nel 1966, a capo di piccoli gruppi che dirige all’occasione o, come avvenne negli anni ’70 e ’80, guidando una grande orchestra (con Nat Pierce, Don Menza, Bobby Shew...) che presenta in Europa nel 1979 e nel 1982. Louie Bellson – che ha effettuato seri studi di composizione a Los Angeles – ha composto la musica di un balletto, una Symphony In Americana, messa in scena a Las Vegas, e una Composition For Piano And Orchestra che testimoniano alte ambizioni. Ha redatto diversi metodi per batteria e prodigato spesso il suo insegnamento. La sua eccezionale padronanza tecnica, la precisione e la varieta` dal suo accompagnamento, in particolare sui piatti, la potenza del suo suono di grancassa, ma anche la leggerezza e la scioltezza del suo tempo sono tra i piu` begli esempi della percussione ‘‘neo swing’’. [A.C.] Trombonology (T. Dorsey, 1947); con Ellington: Fancy Dan, The Hawk Talks (1951), A Tone Parallel To Harlem, Skin Deep (1952), «The First Concert Of Sacred Music» (1965); Drum Solo (JATP, 1954); «Basie In Sweden» (Basie, 1962); «Satch And Josh» (Oscar Peterson-Basie, 1977); «Live» (1979), «The London Gig» (1982).

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BENFORD

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BENFORD, Tommy (Thomas P.) Batterista statunitense (Charleston, Virginia, 19/4/1905 - Mount Vernon, Virginia, 24/3/1994). Con suo fratello Bill (1903 - 1970), suonatore di tuba che registra al suo fianco con i Red Hot Peppers di Jelly Roll Morton tra il 1928 e il 1930, riceve un inizio di educazione musicale in un orfanotrofio, il Jenkins’ Orphanage, in South Carolina. Con l’orchestra dell’istituto parte in tourne´e e si reca persino in Inghilterra. Avendo approfondito lo studio della batteria, debutta nel 1920 con il Green River Minstrel Show, passando poi in diverse orchestre newyorkesi: Elmer Snowden, Charlie Skeet, Jelly Roll Morton, Edgar Hayes. Gli anni ’30 lo vedono sbarcare in Europa dove accompagna per diverse stagioni Eddie South, Freddy Johnson, Garland Wilson, Freddy Taylor, partecipando a numerose sedute di registrazione per swing, in particolare con Bill Coleman, accanto a Django Reinhardt e Ste´ phane Grappelli (1938). Lo stesso anno entra nell’orchestra di Willie Lewis col quale resta in Europa, malgrado la guerra, fino al 1941. Di ritorno negli Stati Uniti, e` ingaggiato da Noble Sissle (1943), poi da Snub Mosley (1946-48), Bob Wilber (1948-49), James Archey (1950-52), Rex Stewart (1953), Muggsy Spanier, George Lewis (1955). Ritorna in Europa in seno alla rivista Jazz Train (1960) e riprende la sua attivita` a New York col trombettista Joe Thomas (1963), Ed Hall (1963), Danny Barker (1963), The Saints And Sinners. Benche´ abbia rallentato l’attivita` durante gli anni ’70, effettua varie tourne´e con l’orchestra di Clyde Bernhardt, la Harlem Blues Jazz Band (1981) e Bob Greene, che lo porta di nuovo in Europa (1982). La sua esecuzione, tipica di New Orleans, piuttosto logora al tempo dei Red Hot Peppers, e` andata affinandosi, guadagnando in scioltezza e varieta`. [A.C.] Shreveport Stomp (Morton, 1928); Honeysuckle Rose (Coleman Hawkins, 1937).

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BENJAMIN, Bea (Sathima) Cantante sudafricana (Johannesburg, 17/ 10/1936). Allevata da una nonna nata a Sant’Elena – in un clima di rigore molto britannico raddoppiato da una situazione di tipo coloniale – ascolta delle canzoni inglesi tradizionali e, alla radio, Doris Day, Frank Sinatra, Nat King Cole. Canta in chiesa degli inni religiosi prima di scoprire la musica popolare di Citta` del Capo e Duke Ellington. Debutta nel 1959 e incontra Dollar Brand, che sposera`: «Dollar, disse, mi ha ispirata e mi ha insegnato molto sul piano musicale.» E` Ellington che li fara` registrare insieme: il disco uscira` solo quarant’anni dopo. Canta al festival di Newport (1965), partecipa a dei ‘‘Jazz Vespers’’ a New York (1972), registra con Brand e altri musicisti sudafricani (1976), poi per Ekapa, casa discografica creata dal pianista, con Onaje Allan Gumbs, Carlos Ward. Dicitrice di testi, come Billie Holiday o Carmen McRae, fonde i suoni nelle parole servendosi di piccoli trucchi tecnici che le conferiscono un’intensa qualita` drammatica. ‘‘Scava’’ certe note utilizzando congiuntamente un’inflessione al massimo di mezzo tono con un abbassamento di potenza dell’emissione e una modificazione del timbro verso un leggerissimo arrochimento della voce. Il suo repertorio e` fatto di opere dall’atmosfera piuttosto modale, e cio` le consente di evidenziarne il carattere ripetitivo, d’introdurvi cambiamenti e progressioni: temi ellingtoniani o ballads angloamericane, dalle parole spesso piu` convenzionali, che ricostruisce per [D.M.] integrarle al testo musicale. «Sathima Sings Ellington» (1979), Africa (1982), «Southern Touch» (1989).

BENJAMIN, Joe (Joseph Rupert) Contrabbassista, compositore e arrangiatore statunitense (Atlantic City, New Jersey, 4/11/1919 - Livingstone, New Jersey, 26/1/1974). I seri studi di violino e violoncello, prima del contrabbasso, ne fanno un musicista completo. Tuttavia debutta come... copista: trascrive per gli strumentisti gli scores degli arrangiatori. Mercer

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Ellington gli fa compiere il passo nel 1946; suona presso Billy Taylor, Fletcher Henderson e Artie Shaw (1950), Duke Ellington nel 1951 (vi ritorna a piu` riprese, in particolare per una tourne´e europea nel 1973). Lo stesso anno e` il degno partner per fantasia e vivacita` di Slim Gaillard. Nel 1952 accompagna Lena Horne al Lido, a Parigi. L’anno seguente, e fino al giugno 1955, Sarah Vaughan lo ingaggia per costituire, con Jimmy Jones e Roy Haynes, una sezione ritmica di sogno. Suona nel quartetto di Gerry Mulligan (1957), con Ellis Larkins (1958) e, per due mesi, con Dave Brubeck (1958). A partire dal 1960, molto sollecitato dagli studios, partecipa a numerosi spettacoli musicali e show a Broadway. Lo si trova di nuovo da Ellington (al Rainbow Grill di New York, 1974). Vittima di un incidente automobilistico, muore un mese piu` tardi. Joe Benjamin non era chiuso in uno stile immutabile. La sua disponibilita`, la sua vasta cultura musicale, la sua eccezionale duttilita` gli hanno permesso di brillare in tutti i contesti: dalla piccola formazione alla grande orchestra, passando da quel rischioso esercizio che e` l’accompagnamento dei cantanti. Sarah Vaughan non si e` ingannata a questo proposito, esprimendo spesso l’ammirazione che provava per «Crazy» Joe Benjamin. [A.C.] Squeeze Me (Jimmy Jones, 1954); Shulie A Bop (S. Vaughan, 1954); The Duke (D. Brubeck, 1958); con Ellington: Portrait Of Wellman Braud (1970), Pitter Panther Patter (1973).

BENNETT, Lou (Jean-Louis BENOIˆT) Organista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 18/5/1926 - Le Chesney, Francia, 10/2/1997). Martinicano da parte di padre, e` allevato dal nonno, pastore battista nel Maryland, e dalla nonna, che gli insegna ad accompagnare al piano e all’armonium i canti in chiesa. Fino a dodici anni e` incaricato delle prove per le corali della parrocchia. A Baltimora impara il mestiere di calzolaio e suona, da dilettante, il piano. Durante il servizio militare (1943-46), suona la tuba in un’orchestra dell’esercito. La pratica di questo stru-

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BENNETT

mento spiega indubbiamente la sua predilezione per i bassi opulenti che trarra` dal suo organo un po’ piu` tardi. Congedatosi, ritorna alla calzoleria... e costituisce un trio tipo King Cole. Si interessa anche all’elettronica e, nel 1949, dopo aver ascoltato Wild Bill Davis, si compra un organo. Diventa professionista nel 1951 e percorre la East Coast con il suo trio, suona nei club newyorkesi (Minton’s, Small’s Paradise) e, grazie alla raccomandazione di Babs Gonzales, si fa ingaggiare a Parigi, al Blue Note (1960). Il suo primo disco («Amen») conosce una notevole riuscita commerciale. E` il punto di partenza di un’attivita` costante per diversi anni, tanto in Francia (al Blue Note in particolare, dove suona fino al 1968 con Kenny Clarke e Jimmy Gourley) che attraverso l’Europa. Nel 1962 e` in Spagna, al Jamboree, dove ritorna regolarmente con i chitarristi Philip Catherine, Andre´ Condouant o Rene´ Thomas. Nel 1975 apre un club. Nel 1978 concepisce e fabbrica un organo, la ‘‘Bennett Machine’’, che gli permette di moltiplicare le voci dello strumento: piani, corde, ottoni, vibrafono ecc., come in una sorta di orchestra in formato ridotto. Si produce (il piu` delle volte in trio) nei club delle grandi citta` europee. Classico agli inizi, sotto l’influsso di Wild Bill Davis e Jimmy Smith, il suo approccio con l’organo evolve di pari passo con le modifiche tecniche che apporta allo strumento. A un modo di suonare lineare e un po’ freddo, benche´ robusto e swingante, fanno seguito un’architettura piu` elaborata, armonie piu` ricercate, un clima piu` raffinato, che poggiano su un’esecuzione alla pedaliera prodiga di vibranti [A.C.] linee di bassi. «Enfin» (1962); «Meeting Mr. Thomas» (Rene´ Thomas, 1963); Pentacostal Feeling (Donald Byrd, 1964); «Live At The Club St Germain» (1980); «Quartet» (1992).

BENNETT, Max Contrabbassista, compositore e paroliere statunitense (Des Moines, Iowa, 24/5/ 1928). Dopo aver studiato il contrabbasso

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per due anni all’universita` dello Iowa, e` ingaggiato da Herbie Fields durante l’estate 1949. Raggiunge, l’anno seguente, Terry Gibbs, poi il quintetto di Georgie Auld. Arruolato nell’esercito nel febbraio 1951, firma, una volta congedato, con Charlie Ventura (1953), entra nell’orchestra Sauter-Finegan, poi parte in tourne´e con Stan Kenton (1954). Al ritorno, si stabilisce in California, esibendosi frequentemente. Accompagna Peggy Lee, poi Ella Fitzgerald (JATP, 1958), ritrovando in seguito Terry Gibbs, poi di nuovo Peggy Lee (1961-62), prima di suonare con Jimmy Rowles, Shorty Rogers e Pete Jolly. All’inizio degli anni ’70 adotta il basso elettrico, registrando con Quincy Jones e dividendosi tra gli studios e le grandi formazioni di Mike Barone, Bud Brisbois, Jack Daugherty. Alla fine del 1972 entra nel L.A. Express, gruppo del sassofonista Tom Scott, con il quale si produce fino al 1974. Cio` non gli impedisce di suonare e di registrare con i Crusaders. Un disco registrato nel 1986 conferma la sua adesione al jazz-rock, e il suo quintetto Freeway si ricollega senza ambiguita` a questa corrente. Max Bennett ha anche composto canzoni (parole e musica) per Peggy Lee. Essere stato il bassista di Stan Kenton conferisce sempre la certezza di una perfetta padronanza tecnica per colui che ha occupato questo posto: Max Bennett non e` venuto meno a questa regola, possedendo in piu` una magnifica sonorita`. Del gruppo californiano degli anni ’50, e` uno dei pochissimi a adattarsi con successo [A.T.] alla ‘‘rivoluzione elettrica’’. S’ Posin’, Nice Work If You Can Get It, 13 Toes (1955); Yardbird Suite (Stu Williamson, 1956); It Had To Be You (Frank Rosolino, 1957).

BENNETT, Tony (Anthony Dominick BENEDETTO) Cantante statunitense (Queens, New York, 3 o 13/8/1926). Ci si potrebbe stupire che si menzioni un cantante che appartiene piu` al mondo del varieta` che a quello del jazz. Vorrebbe dire dimenticare

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che questo crooner ha cantato con Count Basie alla fine degli anni ’50, con Duke Ellington, Ruby Braff, Bobby Hackett, Zoot Sims, Al Cohn, con la grande orchestra di Woody Herman e Bill Evans (1975). Manovrando con padronanza una voce dal timbro piacevole, Bennett e` pienamente capace di swingare un’interpretazione. [A.C.] Strike Up The Band (Basie, 1958); Isn’t It Romantic? (Braff/George Barnes, 1976); «Together Again» (Evans, 1976); «Unplugged» (1994).

BENNINK, Han Batterista olandese (Zaandam, 17/4/ 1942). I suoi primi influssi musicali sono stati Baby Dodds, Philly Joe Jones, Chano Pozo, Art Blakey, ai quali si aggiugeranno quelli di Ed Blackwell, Sunny Murray e Milford Graves. Stabilitosi ad Amsterdam, accompagna negli anni ’60 tutti gli artisti statunitensi di passaggio: Sonny Rollins, Don Cherry, Paul Bley, Don Byas, Cecil Taylor, Lee Konitz, Ben Webster, Gato Barbieri, Dexter Gordon. Nel 1964, in compagnia di Misha Mengelberg e del bassista Jacques Schols, partecipa alle ultime sedute di Eric Dolphy. Parallelamente, ascolta musica tibetana, africana, giapponese, cinese, come pure dei suonatori di tabla. La sua batteria si trasforma, si arricchisce di elementi sempre meno ortodossi; suona anche strumenti a fiato, trombe ecc. Alla fine degli anni ’60 comincia a suonare in duo con Mengelberg e incontra Peter Bro¨ tzmann, col quale si produce e registra abbondantemente, segnatamente in trio con Fred Van Hove, fino al 1976. Un altro dei suoi partner privilegiati e` Derek Bailey. Nel 1967, con Mengelberg e Willem Breuker, fonda l’Instant Composers Pool, insieme casa discografica indipendente, cooperativa e ‘‘organizzazione musico-politica’’, per la quale registra in assolo, in duo e con le diverse orchestre di Mengelberg (dal duo al ‘‘tentet’’). All’inizio degli anni ’90 forma un gruppo col sassofonista e clarinettista Michael Moore e il violoncellista

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Ernst Reijseger, in occasione del festival italiano di Clusone: il gruppo, chiamato appunto Trio Clusone, restera` unito per diversi anni registrando numerosi dischi. Suo fratello Peter (Zaandam, 1/2/1945), spesso associato alle sue imprese, suona il sax alto e la cornamusa. Qualunque sia la composizione della sua batteria – dalla multitudine di piccoli tamburi, piatti, metallofoni e accessori dei piu` inaspettati, fino alla sua piu` semplice espressione, con rullante, grancassa e high-hat fatto di due piatti cinesi – lo stile di Bennink si contraddistingue per un’inaudita potenza, un colpo esplosivo e preciso e l’alternanza di tempi di tipo middle jazz (Zutty Singleton, Big Sid Catlett), a base di violente rullate, di accentuazioni variate e infarcite di gag e d’interventi ‘‘brutali’’ e spettacolari che scatenano l’entusiasmo. Una concezione musicale al di fuori di ogni accademismo in cui prevalgono, nei piu` diversi contesti musicali, spontaneita` e senso del contrasto. E` capace di un drumming del tutto ortodosso ed efficace. Uno dei giganti della batteria moderna in Europa. [P.C.] Epistrophy (Dolphy, 1964); Samba Zombie (Mengelberg, 1966); «Solo» (1971-72); Ein Halber Hund Kann Nicht Pinkeln (Bro¨tzmann, duo, 1977); Epistrophy (Roswell Rudd, 1982); «Spots, Circles, and Fantasy» (con Cecil Taylor, 1988).

BENSON, George Chitarrista e cantante statunitense (Pittsburgh, Pennsylvania, 22/3/1943). Il suo patrigno chitarrista, Thomas Collier, gli insegna l’ukulele e gli fa ascoltare Charlie Christian. A otto anni suona per le strade, accompagna il patrigno nei club di Pittsburgh, canta e balla sotto il nome di «Little Georgie» Benson. Nel 1954 Collier gli regala una chitarra di sua fabbricazione. Benson la studia e la suona in gruppi di rhythm and blues locali, registrando un primo disco per l’etichetta X in qualita` di cantante. Dopo un passaggio nel gruppo di rock and roll di suo cugino, a diciassette anni ne mette in piedi uno proprio. Scopre il jazz ascoltando dischi di Wes Montgomery e di Charlie Parker. Dal 1962 al

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BENSON

1965 suona con Jack McDuff. Nella primavera 1965 fa il primo tentativo di gruppo sotto proprio nome: tre mesi d’esistenza, poi ritorna presso McDuff. In luglio, un nuovo gruppo, con Ronnie Cuber (brsax), Lonnie Smith (org) e Phil Turner (batt), con cui fa tourne´e e registrazioni per la Columbia. La seconda meta` degli anni ’60 rappresenta per lui l’occasione di suonare e registrare con Freddie Hubbard, Dexter Gordon, Jimmy Smith, Joe Farrell, Jaki Byard, Ron Carter, Hubert Laws, Herbie Hancock, Airto, poi Miles Davis, per il quale l’introduzione della chitarra nel suo gruppo (1967) e` un’innovazione e con il quale incide nel 1968. Questo stesso anno, dopo la morte di Wes Montgomery, Creed Taylor lo fa registrare per A & M, poi per CTI. Il suono di Benson non manca allora di evocare quello di Montgomery. Nel 1976, dopo il suo passaggio alla Warner, conosce un grande successo commerciale con This Masquerade. A partire dal 1977 – in occasione di un concerto con Bucky Pizzarelli al Metropolitan Museum di New York – accenna a un ritorno verso un jazz piu` autentico. Anche se sa ancora, all’occasione, mostrarsi un notevole jazzman, le sue registrazioni degli ultimi anni ’80 sono piuttosto sotto il segno della varieta`. Direttamente nella linea di Grant Green e di Art Tatum, che riconosce come maestri, Benson si contraddistingue per un suono molto chiaro – ma sempre sostenuto – e un’esecuzione tutta in attacco. E` un chitarrista ‘‘di mano sinistra’’, che unisce un tocco straordinario e una grande padronanza sonora. E` capace di trarre le armoniche piu` gravi dalle note piu` acute. Il suo modo di enunciare e` cosı` originale che conferisce una grande forza alle frasi piu` semplici. Suo altro apporto e` lo ‘‘scat strumentale’’, doppiaggio con la voce di cio` che fa la chitarra (The World Is A Ghetto, 1976). [P.B., C.G.] So What (1971), «The Electrifying George Benson» (1973), «Body Talk» (1973), Give Me The Night (1975), «Weekend in L.A.» (1977).

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BENTON, Walter Barney Sassofonista statunitense (Los Angeles, California, 9/9/1930 - 14/8/2000). Figlio di un sassofonista, studia su un sax in do prima di passare al tenore. Dal 1950 al 1953 fa parte di un’orchestra militare. Negli anni 1954-57 lavora nell’orchestra di Perez Prado e partecipa a diverse registrazioni, tra cui una seduta con Clifford Brown (1954) e un album di Quincy Jones (1957); poi, a New York nel 1960-61, a vari dischi della casa Candid (con Abbey Lincoln, Max Roach per la Freedom Now Suite) e alla Jazz Artists Guild formata da Charles Mingus e Max Roach per reagire alla commercializzazione del festival di Newport. Scompare dal 1966 dall’attualita` del jazz. I suoi rari dischi (uno solo a suo nome, nel 1960) rivelano un bopper energico e veloce, a quanto pare sensibile, alla sua epoca, ai lavori di Coltrane, Ornette Cole[P.C.] man ecc. Cliff Walk (Newport Rebels, 1960).

BERESFORD, Steve Pianista, tastierista, trombettista, compositore e produttore britannico (Wellington, Shropshire, 6/3/1950). Il nonno suona cornetta e violino, lo zio e` pianista e il padre, appassionato di musica swing, canta e suona la chitarra in orchestre da ballo. Il giovane Steve prende le prime lezioni di pianoforte a sette anni e di tromba a quindici, e suona in un gruppo locale di soul music. Nel 1974 conosce i giovani improvvisatori della Musicians’ Co-op (Nigel Coombes, violino, Dave Solomon, batteria, e Roger Smith, chitarra) che si esibiscono al Little Theatre Club sotto l’egida del batterista John Stevens, e con loro partecipa alla redazione del periodico Musics. Suona il basso elettrico nel gruppo Roogalator, appare in televisione nel programma Top of the Pops con i Flying Lizards, suona con gli Slits e la Company di Derek Bailey, produce i dischi dei Frank Chicken, lavora con Peter Cusak, David Toop e Terry Day in Alterations (1975-85), uno dei gruppi piu` leggendari della nuova musica im-

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provvisata. Nel 1979, a New York, incontra John Zorn, Eugene Chadbourne e Toshinori Kondo; in seguito, per l’etichetta francese Nato, partecipa nei primi anni ’80 a numerosi album del gruppo Melody Four (con un repertorio deliziosamente re´tro, assieme a Tony Coe e Lol Coxhill), scrive musiche sontuose per la stilista di moda Anne-Marie Beretta, omaggi a Brigitte Bardot, Charles Tre´net, suona alla Bimhuis di Amsterdam con Misha Mengelberg e Han Bennink e lascia una spazio nel suo cuore «per Doris Day, il doo-wop, la beguine, le tastierine Casio, Paul Bley e Spike Jones». Nato come multistrumentista attratto dal rumore e dal minimalismo (con una predilezione per gli strumenti giocattolo), Beresford riscopre col tempo la vocazione di pianista, utilizzando poi batterie elettroniche, bassi elettrici e campionatori all’interno dell’improvvisazione di gruppo, compone superbe melodie ‘‘pop’’ (Dancing the Line, 1985) e continua a cantare You’ve Become Habitual to Me nei Melody Four con la stessa insolente golosita` . Versatile ed espansivo (amante delle incursioni musicali, autentico seminatore di mine vaganti), Beresford – come un vero poeta – si trova sempre la` dove nessuno se lo aspetta. [G.R.] «Company 6» (Bailey, 1977); «Alterations» (1978); Budapest Subway (1983); Secret Love (Melody Four, 1984); Oh qu’il est vilain (1986); «Deadly Weapons» (Zorn, 1986).

BERG, Bob (Robert) Sassofonista tenore e soprano e compositore statunitense (New York, 7/4/1951 East Hampton, New York, 5/12/2002). Nato in una famiglia operaia di Brooklyn da madre italiana, debutta col piano classico a sei anni. Anche la madre suonava questo strumento e suo nonno era violinista classico. A tredici anni, nell’orchestra della sua scuola, gli viene imposto il sassofono alto, ma e` solo due anni piu` tardi che ascolta con passione Charlie Parker e Horace Silver. La scoperta di Booker Ervin, poi di Coltrane, lo fa optare per il tenore. A quindici anni entra alla Perfor-

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ming Arts della 47ª Strada. Dai diciassette ai diciotto anni segue le lezioni alla Juilliard School. Il suo primo ingaggio e` del 1969, con Jack McDuff, che lo porta per diversi mesi in tourne´e. Di ritorno a New York, non si reputa pronto a condurre una vita da musicista professionista e fa il tassista fino al 1971, poi autista di camion fino al 1973, pur continuando a esercitarsi al tenore e a frequentare i club. Poi, su raccomandazione di Michael Brecker e per sostituirlo, entra nell’orchestra di Horace Silver, dove resta fino al 1976. L’anno seguente prende il posto di George Coleman nel quartetto di Cedar Walton (fino al 1981) e, negli studios, partecipa a registrazioni di varieta`. Registra il primo disco sotto il suo nome nel 1978: «New Birth». Chiamato da Miles Davis, fa diverse tourne´e con lui, fino al 1987; lavora in seguito con Mike Stern («Short Stories»). Lo si e` ugualmente ascoltato, per breve tempo, presso Tito Puente. Gli anni ’90 lo hanno reso uno dei piu` popolari sassofonisti contemporanei, quasi al livello di Michael Brecker. E` scomparso in un assurdo incidente stradale. Dieci anni passati accanto a Horace Silver e Cedar Walton hanno forgiato il suo caratteristico fraseggio hard bop. Lo si riconosceva dalla sua grande loquacita` e dalla sua energia decisa piu` che da un suono – uso frequente del registro acuto – non sempre capace di distinguerlo dalla nuova generazione di sassofonisti post-coltraniani. [P.B., C.G.] «Silver ’n’ Wood» (Silver, 1976); «New Birth» (1977), «Steppin’» (1982); «You’re Under Arrest» (Davis, 1985); Fiesta Espan˜ola (Walton, 1985); Mood Swing’s (Stern, 1986); When I Fall in Love (1991).

BERGER, Karl (Karlhanns) Vibrafonista, pianista e percussionista tedesco (Heidelberg, Germania, 30/3/ 1935). A dieci anni studia il piano classico. Seguira` poi lezioni sia di sociologia sia di musicologia – in particolare con Theodor Adorno – nella sua citta` natale e a Berlino. A sedici anni scopre il jazz in seno a un’orchestra scolastica e suona in un cabaret di Heidelberg. Pianista esitante

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BERGER

tra dixieland e bebop, partecipa al primo festival di jazz di Antibes in un gruppo rappresentante l’Austria. Nel 1961 scopre il vibrafono in un club parigino, ed e` suonando, in Germania e in Francia, con il vibrafonista Michel Hausser che gli viene voglia di adottare lo strumento. Di ritorno a Heidelberg, dirige un’orchestra che accompagna i solisti statunitensi di passaggio. Appassionato del lavoro di Ornette Coleman, parte per Parigi (1964) e suona con Don Cherry, poi con Steve Lacy. Nel 1965 segue Cherry negli Stati Uniti, vi incontra Roswell Rudd, Marion Brown, Robin Kenyatta, Sam Rivers, col quale registra. Forma un quartetto con Carlos Ward, Henry Grimes, poi Ed Blackwell e Dave Holland, suona con il batterista Horacee Arnold, insegna alla New School For Social Research, prima di stabilirsi nel 1972 a Woodstock, dove, con Coleman, crea un luogo di insegnamento e di incontro: il Creative Music Studio. Fra gli insegnanti-animatori invitati: Rivers, George Russell, Roscoe Mitchell, John Cage, Richard Teitelbaum, Lee Konitz, Lacy, Dave Holland, Richard Abrams, Anthony Braxton. Ritorna in Europa, con sua moglie, la cantante Ing Rid, in occasione di tourne´e e festival. Dal piano dixieland all’armolodia di Ornette Coleman passando per diverse fasi del free, e` una specie di ‘‘ecologista musicale’’: non vuole ne´ amplificazione ne´ eliche per il vibrafono, al fine di rivalorizzare armoniche e risonanze ‘‘naturali’’, in una sorta di ritorno al metallofono della tradizione balinese. Cio` si traduce in una grande nettezza e precisione della battuta e in una qualita` di suono ‘‘scolpito’’, al posto degli effetti di virtuosismo ormai abituali per moltiplicazione dei martelletti. Questo atteggiamento di etnomusicologo – curiosita`, raccolta, ricerca di elementi comuni ad Africa e Asia – induce l’idea di una continuita` che, dal gamelan a Monk e Ornette, integra anche l’efficacia ritmica di Bach e ricollega le percussioni tradizionali alle tastiere (piano, armonium), con il vibrafono (marimba, balafon) quale strumento di rac[P.C.] cordo.

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BERGHOFER

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Symphony For Improvisers (Cherry, 1966); Fly (1969), Vibes First (1971), «Just Play» (con Blackwell, 1976), Dakar Dance (1986).

BERGHOFER, «Chuck» (Charles Curtis) Contrabbassista statunitense (Denver, Colorado, 19/6/1937). Stabilitosi a Los Angeles nel 1945, studia la tuba e la tromba, poi si consacra al contrabbasso a diciotto anni, studiando in particolare con Ralph Pen˜a. In compagnia di Herb Ellis, accompagna il cantante Bobby Troup, poi sostituisce per qualche tempo Monty Budwig presso Shelly Manne (1960-61). Tutto il decennio lo vedra` accanto a Pete Jolly e a Howard Roberts. Bisogna aspettare l’inizio degli anni ’80, in particolare, per ritrovarlo presso musicisti di primo piano. Partecipa alla musica del film Bird (1988). Contrabbassista molto classico, di bella sonorita` e di ritmo molto sicuro, suona il tempo e si avventura raramente fuori dalla struttura armonica. [X.P.] Pickley Wickly (Ellis, 1960); Checkmate (Manne, 1961); Devil’s Island (Stacy Rowles, 1984).

BERIGAN, «Bunny» (Rowland Bernard) Trombettista e cantante statunitense (Hilbert, Wisconsin, 2/11/1908 - New York, 2/ 6/1942). Studia il violino, poi la tromba, e dai tredici anni suona in un’orchestra locale, Merrill Owen And His Pennsy Jazz Band. All’inizio degli anni ’20 ha l’occasione di essere ingaggiato dai New Orleans Rhythm Kings e in varie formazioni universitarie del Wisconsin prima di entrare, a New York, nell’orchestra del violinista Frank Cornwell (1929), poi in quella di Hal Kemp (1930), che lo porta in Europa. Di ritorno negli Stati Uniti, raggiunge l’orchestra di Fred Rich, incide e lavora molto per la radio. Dopo uno stage presso Paul Whiteman, come solista (1932-33), effettua brevi soggiorni presso i fratelli Dorsey e Benny Goodman (1935), lavorando attivamente allo stesso tempo negli studi di registrazione. Si produce anche con Red McKenzie, Red

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Norvo, Ray Noble, Tommy Dorsey e mette su una grande orchestra costituita da eccellenti elementi (Georgie Auld, Joe Bushkin, Buddy Rich, Allan Reuss) che lascia un posto di primo piano allo swing e alla radiosa tromba del suo capo, registrando un centinaio di titoli per la RCA, tra cui I Can’t Get Started (1937) che conosce un immenso successo commerciale. Nata nella primavera del 1937, l’orchestra scompare nella primavera del 1940, a causa della mancanza di serieta` e di rigore – indispensabili alla buona gestione di una simile impresa – dell’intemperante Bunny Berigan. Ritorna allora presso Dorsey per sei mesi, ricostituisce un piccolo gruppo a New York, poi, nel 1941, una nuova grande formazione lo porta in tourne´e, in particolare a Hollywood (fine 1941) dove partecipa alla registrazione della colonna sonora del film Syncopation (Dieterle, 1942). Ma la sua salute va deteriorandosi e deve ricoverarsi in ospedale a New York nella primavera 1942. Riprendera` le sue attivita` solo per qualche giorno. Bunny Berigan (il cui destino non manca di evocare quello di Bix Beiderbecke) e` stato – lo si dimentica spesso – un musicista di reale valore tra le vedette dell’epoca swing. La sua esecuzione, ispirata a quella di Armstrong, e` di un’impressionante potenza. Lirico sulle ballads, improvvisatore inventivo, sostenuto da una tecnica di prim’ordine, dal vibrato molto particolare, egli sfrutta in modo ugualmente ispirato tutto il registro dello strumento, privilegiando tuttavia le note gravi in modo assai originale. E` stato eletto miglior trombettista per il 1939 dalla rivista Metronome. A dispetto della brevita` della sua carriera, Bunny Berigan ha registrato un numero impressionante di di[A.C.] schi. Troubled (Frank Trumbauer, 1934); Nothing But The Blues (Gene Gifford, 1935); Willow Tree (Mildred Bailey, 1935); Blue Skies (Benny Goodman, 1935); Solo Hop (Glenn Miller, 1935); Billie’s Blues (Billie Holiday, 1936); Blues In B Flat (Red Norvo, 1936); Song Of India (Tommy Dorsey,

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109 1937); Honeysuckle Rose (1937), The Prisoner’s Song (1937), Jelly Roll Blues (1938); Blue Lou (Metronome All Stars, 1939).

BERK, Dick (Richard Alan) Batterista statunitense (San Francisco, California, 22/5/1939). Questo figlio di batterista impara la musica ‘‘sul posto’’ al Bob City, un club di San Francisco, con Leo Wright e Pony Poindexter. Accompagna Billie Holiday e partecipa al festival di Monterey nel 1958. Dopo studi al Berklee College of Music con Alan Dawson, si stabilisce a New York dove suona con Charles Mingus (1959). Nel 1962 lavora con Benny Goodman e Lionel Hampton. Incontra Don Friedman e Herbie Mann nel 1964, poi partecipa a una tourne´e europea di Ted Curson. Dopo essersi stabilito a Los Angeles (1968), suona con numerosi musicisti di ogni tendenza: George Duke, Mose Allison, Jean-Luc Ponty, Milt Jackson, Ray Brown, Teddy Edwards, Herb Ellis... Nel 1970 integra il quintetto di Cal Tjader. «Il ruolo principale del batterista – scrive Berk – e` di dare un assetto all’orchestra, di farla swingare, di permetterle di raggiungere la pienezza». Questa pienezza egli la trova anche in un’altra forma d’arte: Berk si interessa di teatro, di cinema, e partecipa in quanto attore a diverse creazioni. Vive in California dove forma un gruppo con giovani musicisti. Notevole ‘‘tempista’’, uscito dalla tradizione bop della batteria, e` a proprio agio tanto nel jazz che nel rock. Il suono – potente e netto – prodotto dalla sua esecuzione, e le punteggiature riflesse con cui scandisce il discorso dei solisti testimoniano di questa [G.P.] doppia attitudine. Starlight, Starbright (Pointy, 1969); «The Inner Source» (G. Duke, 1971); «Jazz Adoption Agency» (1986).

Berklee College of Music Scuola di musica fondata nel 1945 da Lawrence Berck, allievo di Joseph Heinrick Schillinger, compositore classico interessato al jazz (suoi allievi furono pure

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BERMAN

Goodman, Gershwin, Miller) situata nei pressi di Boston. Per l’originalita` del suo insegnamento, ma anche per la qualita` dei suoi insegnanti e di qualcuno dei suoi allievi, la scuola e` stata per lungo tempo modello e leader nell’ambito dell’insegnamento del jazz. L’insegnamento del Berklee College, chiamato familiarmente Berklee School, e` basato su un ciclo di studi segmentato secondo sei categorie generali: lavoro d’insieme (piccoli gruppi o big band), improvvisazione, tecniche della prova, lavoro delle tastiere, composizione e arrangiamento, storia del jazz. [P.G.]

BERMAN, «Sonny» (Saul) Trombettista statunitense (New Haven, Connecticut, 21/4/1924 - New York, 16/ 1/1947). Debutta con Louis Prima a sedici anni, poi passa successivamente nelle orchestre di Sonny Dunham, Tommy Dorsey, Georgie Auld, Harry James, Boyd Raeburn, Benny Goodman, prima di essere ingaggiato nel 1945 da Woody Herman nella First Herd, accanto a Bill Harris, Neal Hefti, Flip Phillips, Ralph Burns, Chubby Jackson. E` cosı` che fa parte, con Conrad Gozzo, Shorty Rogers, Pete Candoli e Cappy Lewis, della splendida sezione di trombe che esegue nel marzo 1946, alla Carnegie Hall, l’Ebony Concerto di Igor Stravinskij e registra la Summer Sequence di Ralph Burns (settembre 1946). Woody Herman lo sceglie per far parte dei suoi Woodchoppers, piccola formazione composta dai migliori solisti presi in prestito alle grandi orchestre, ma nel 1946 la sua carriera si chiude: muore di un attacco cardiaco dovuto indubbiamente ad abuso di stupefacenti. Piu` ancora che Bix Beiderbecke, Clifford Brown o Fats Navarro, altri trombettisti prematuramente scomparsi, egli ha avuto poco tempo per dispiegare pienamemente le doti che gli riconoscevano i suoi pari all’inizio degli anni ’40. Velocita`, vivacita`, precisione, virtuosismo nell’acuto: tutte qualita` fondamentali per qualsiasi prima tromba di una grande orchestra,

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BERNE

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alle quali si aggiungono raffinatezze e acrobazie (fratture melodiche, effetti di [A.C.] zigzag...) degne di Gillespie. Sidewalks Of Cuba (W. Herman, 1946); Woodchopper’s Holiday (Bill Harris, 1946); Metronome All Out (Metronome All Stars, 1946); Curbstone Scuffle, Nocturne (1946).

BERNE, Tim (Bruce Timothy) Sassofonista statunitense (Syracuse, New York, 16/1/1954). Verso gli undici o dodici anni ascolta essenzialmente musica soul, Junior Walker, Otis Redding, Sam And Dave... Unico non-musicista in una famiglia di musicisti, rinuncia alla pallacanestro in seguito a un infortunio e si dedica al sassofono alto. Durante i suoi studi alla New York University ascolta McCoy Tyner e Sun Ra in alcuni club del Greenwich Village. Berne considera di aver cominciato a suonare ‘‘realmente’’ solo nel 1973, ascoltando dischi dell’Art Ensemble of Chicago e di Anthony Braxton. L’anno successivo studia con Braxton e, soprattutto, con Julius Hemphill, il cui disco «Dogon A.D.» l’aveva affascinato. Da allora ha suonato con John Carter, Vinny Golia, Glenn Ferris, Butch Morris, Olu Dara, John Zorz, Marty Ehrlich. Crea, con l’aiuto del batterista Alex Cline, la casa discografica Empire Productions e, pur lavorando come commesso in un negozio di dischi, registra diversi album come leader e, come sideman, con Herb Robertson e Mark Helias. Nel corso degli anni ’80 si produce in duo con il bassista Ed Schuller, poi in trio con Paul Motian e in quartetto con Bill Frisell (chit), Hank Roberts (vlo) e Cline (batt). Prosegue la sua attivita` gestendo contemporaneamente diverse formazioni e dedicandosi all’autoproduzione discografica con la propria etichetta Screwgun. E` uno dei personaggi fondamentali nel jazz degli anni ’90 e anche oltre. Il suo strumento, la sua sonorita` dalla forte connotazione vocale e i suoi finali di frase lamentosi o stridenti, la sua musica dalle polifonie apparentemente molto strutturate (si e` parlato di ‘‘free bop’’, o di ‘‘avanguardia dixieland’’) lo

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hanno fatto a volte paragonare a Ornette Coleman. In effetti, Berne si considera, piu` che un compositore, un «organizzatore di feeling e di atmosfere», che cerca un suono di gruppo a base di improvvisazioni collettive e tende cosı` a riprodurre, a suo modo, cio` che l’aveva entusiasmato nello stile di Hemphill: «come un prolungamento astratto della funk music». [P.C.] «The Five-Year Plan» (1979), Hot And Cold (1981); Quiescence (Helias, 1984); «Fulton Street Maul» (1986); «Miniature» (1988); «Pace Yourself» (1991); «Diminutive Mysteries» (1992); «Unwound» (1997); «Discretion» (1997) «Open, Coma» (2001); «Science Friction» (2002); «Seconds» (2007).

BERNHARDT, Clyde Edric Barren Trombonista, cantante e direttore d’orchestra statunitense (Goldhill, North Carolina, 11/7/1905 - Newark, New Jersey, 20/5/1986). Inizia a studiare il trombone nel 1922, quando la sua famiglia risiede in Pennsylvania. Dopo diversi ingaggi in orchestre locali, si reca a New York (1928), lavora presso Ray Parker e Honey Brown (1929-30), poi presso King Oliver (1931). Suona con gli Alabamians di Marion Hardy (1931-32), gli Walkathons di Ira Coffey (1933) e, soprattutto, nel gruppo di Vernon Andrade (1934-37). E`, dal 1937 al 1941, nell’orchestra di Edgar Hayes che accompagna nella sua tourne´e europea (1938). Suona con Horace Henderson (1941), Fats Waller (1942), Jay McShann (1942-43), Cecil Scott (1943-44), Luis Russell (1944); Claude Hopkins (194547) e Dud Bascomb (1947-51). Negli anni ’50 Bernhardt dirige piccoli gruppi propri, registrando sia sotto proprio nome, sia sotto lo pseudonimo di Ed Barron, dischi di rhythm and blues che conoscono un buon successo presso il pubblico. Negli anni ’60 lavora in compagnia di Joe Garland, prima di abbandonare la musica per un impiego amministrativo in una scuola di Newark. Nel 1972, tuttavia, realizza un ultimo disco riunendo alcuni veterani (Happy Caldwell, Charlie Holmes, Jack Butler, Jimmy Shirley...).

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Trombonista dall’esecuzione mobilissima, e` capace di praticare in modo altrettanto felice sia la maniera solida e diretta richiesta dalle orchestre della tradizione della Louisiana (King Oliver) sia lo stile piu` agile in auge nelle grandi formazioni dell’epoca swing. Ha stupendamente can[D.N.] tato il blues. Con Hayes: Stompin’ At The Renny (1937), Meet The Band, Without You (1938); Good Rolling Blues, After You’ve Gone, Nobody’s Sweetheart (1972).

BERNHART, Milt Trombonista statunitense (Valparaiso, Indiana, 25/5/1926 - Glendale, California, 22/01/2004). Comincia con lo studiare la tuba, prima del trombone che gli viene insegnato da Forrest Nicola a Chicago. A sedici anni debutta presso Boyd Raeburn, poi suona con Buddy Franklin (1943), Jimmy James e Teddy Powell fino alla sua chiamata alle armi (1944). Smobilitato, entra presso Stan Kenton (1946-47) prima di essere ingaggiato da Benny Goodman (1949). Si impone gradualmente (il 1951 lo vede quarto classificato nel referendum di Down Beat) e moltiplica le esperienze in compagnia di Shelly Manne, Shorty Rogers e Jimmy Giuffre. Con quest’ultimo, Frank Patchen e Howard Rumsey, partecipa al primo Lighthouse All Stars. Nel 1955, costituisce il Milt Bernhart Brass Ensemble, nonetto dalla strumentazione molto particolare; due trombe, un trombone, un euphonium, un corno, una chitarra, un contrabbasso e una batteria. Sempre piu` assorbito dal lavoro in studio, registra nei contesti piu` diversi. Dagli anni ’70 in poi ha gestito un’agenzia di viaggi. Dotato di una tecnica perfetta, spesso veemente e di grande velocita`, sa anche sedurre con frasi di grande dolcezza, chiare e ben articolate. La sua esecuzione si fonde a meraviglia negli ‘‘ensembles’’. [J.P.R.]

Peanut Vendor (Kenton, 1947); Solitaire (Rumsey, 1953); con S. Rogers: Down For Double, Claudia (1954); Ballade, Lover Man (1954), The Horns (1955).

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BERRY

BERNSTEIN, Artie (Arthur) Contrabbassista statunitense (Brooklyn, New York, 3/2/1909 - Los Angeles, California, 4/1/1964). Il violoncello e` il suo primo strumento, ma e` al contrabbasso che lega il proprio destino a partire dal 1929. Laureato in diritto a New York, non resta a lungo avvocato, preferendo la musica. Suona dunque con Ben Pollack (e registra con lui i suoi primi dischi nel 1931), Red Nichols e negli studi newyorkesi, in particolare con i fratelli Dorsey e Lennie Hayton (1933). Benny Goodman lo ingaggia nel 1939 per la sua grande orchestra. Nel 1941 lascia Goodman per recarsi in California dove lavora, prima e dopo la guerra, negli studi musicali cinematografici, fino a pochi giorni prima della sua morte. Senza cercare di brillare, si e` accontentato di assicurare un accompagnamento diligente nel corso di numerose sessioni alle quali ha contribuito con Red Norvo, Eddie Condon, Benny Goodman, Lionel Hampton, Billie Holiday, Cootie Wil[A.C.] liams ecc. I’d Love To Take Orders From You (Mildred Bailey, 1935); Blues In E Flat (Norvo, 1935); Haven’t Named It Yet (Hampton, 1939); A Smooth One (Goodman, 1941); One O’Clock Jump (Metronome All Stars, 1941).

BERRY, Bill (William R.) Trombettista, compositore e direttore d’orchestra statunitense (Benton Harbor, Michigan, 14/9/1930 - Los Angeles, California, 13/11/2002). Nato da una famiglia di musicisti, padre bassista e madre organista, abbandona a undici anni il piano, affascinato dai grandi trombettisti di jazz. A quattordici anni prende le prime lezioni di tromba, poi debutta in diverse formazioni locali. Espletati gli obblighi militari nel 1955, si iscrive alla Berklee School of Music e raggiunge l’orchestra di Herb Pomeroy. Partito in tourne´e con Woody Herman, raggiunge poi Dee Felice a Cincinnati per un anno. Ingaggiato di nuovo da Herman (1957) e da Maynard Ferguson, si ritrova nel 1961 nella sezione di

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BERRY

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trombe di Duke Ellington prima di entrare a New York nell’orchestra della NBC, poi in quella del Merv Graffin Show (per dodici anni). Dopo il trasferimento dello spettacolo in California nel corso del 1970, Bill Berry crea, l’anno seguente, la L.A. Big Band, un po’ l’equivalente a ovest della Thad Jones-Mel Lewis Orchestra. Alla fine del decennio sceglie una carriera di solista, producendosi in piccole formazioni. L’esecuzione di Bill Berry lascia trasparire il suo gusto per il jazz classico nel quale si adopera con grande talento. Contrariamente a molti dei suoi concorrenti, la sua L.A. Band non fa riferimento a Count Basie ma a Duke Ellington. Una scelta coraggiosa, spesso ricompensata [A.T.] dal successo estetico. The Bink/And How (1976), Moon Song, I’m Getting Sentimental Over You, Avalon (1978).

BERRY, «Chu» Leon (o «Chew») Sassofonista statunitense (Wheeling, West Virginia, 13/9/1910 - Conneaut, Ohio, 30/10/1941). Nasce in una famiglia di musicisti, e l’ascolto di Coleman Hawkins con Fletcher Henderson nel corso di una tourne´e determina la sua scelta per il sassofono. Suona il sax alto e il tenore durante i tre anni che passa al West Virginia College. Dopo aver preso in considerazione l’idea di impegnarsi in una carriera sportiva (football), accetta l’offerta di Sammy Stewart che lo fa debuttare a Columbus (Ohio) nel 1929 e col quale va a New York nel febbraio 1930 per suonare al Savoy Ballroom. Nei mesi successivi Chu Berry e` membro di diverse formazioni: Cecil Scott, Otto Hardwick, Kaiser Marshall, Fats Pichon, Earl Jackson. Nel 1932-33 effettua una serie di scambi tra l’orchestra di Benny Carter e quella di Charlie Johnson, poi si stabilisce presso Teddy Hill (fino al 1935) che lascia per entrare da Fletcher Henderson (1935-37), abbandonato a sua volta per Cab Calloway, presso il quale va a sostituire Ben Webster. Qui, dal 1937 al 1941, passa accanto a Dizzy Gillespie, Jonah Jones,

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Milt Hinton, Cozy Cole, e diventa una delle vedette dell’orchestra – in particolare nel quartetto che Calloway presenta come attrazione, The Cab Jivers – fino alla sua morte, in seguito a un incidente automobilistico. Chu Berry e` dopo Coleman Hawkins e Lester Young, il terzo ‘‘grande’’ del sassofono dell’anteguerra. Il suo stile si e` forgiato a partire da quello di Hawkins ma, meno rapsodiante e piu` loquace, se ne differenzia anche per un suono meno opulento e un vibrato piu` serrato. La sua ispirazione incandescente, la sua fretta a rilasciare senza fioriture ne´ circonlocuzioni un discorso nervoso che esprime solo l’essenziale – con quale veemenza e con quale swing! – gli hanno valso l’ammirazione di tutti i musicisti della sua generazione. Non e` un caso se la sua discografia e` impressionante a dispetto di una carriera veramente breve. Gli si riconosce una certa modernita` nel fatto che la sua frase, non privilegiando piu` i tempi forti, porta spesso a una sorta di livellamento dei valori, come faranno Roy Eldridge, Teddy Wilson, Charlie Christian e Cozy Cole. Si e` discordi sull’origine del suo soprannome. Per alcuni gli venne dato questo nomignolo a causa del suo appetito, che lo faceva masticare (chew) in continuazione. Per altri, invece, Leon Berry sfoggiava nel 1929 dei baffi e un pizzetto sottili che gli davano un’aria orientale, tanto che gli valse il soprannome di «Chu-Chin-Chow», presto abbreviato in [A.C.] «Chu». Con B. Carter: Swing It, Six Bell Stampede (1933); con Spike Hughes: Fanfare, Firebird (1933); con Henry Allen: I’ll Never Say Never Again (1935); con Teddy Wilson: Warmin’ Up, Blues In C Sharp Minor (1936); con F. Henderson: Christopher Columbus, Blue Lou, Stealing Apples (1936); Too Marvelous For Words, Limehouse Blues, Indiana Maelstrom, Ebb Tide (1937), Star Dust, Sittin’ In, Body And Soul (1938); con C. Basie: Ghost Of A Chance, Lady Be Good (1939); con L. Hampton: It Don’t Mean A Thing, Sweet-

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113 hearts On Parade, Shufflin’ At The Hollywood (1939); con C. Calloway: Ghost Of A Chance, Lonesome Nights (1940); On The Sunny Side Of The Street (1941).

BERRY, «Chuck» (Charles Edward) Cantante e chitarrista statunitense (San Jose, California, 18/10/1926). Cresce a St Louis, dove debutta in seno a una formazione di compagni di college. Nel 1955, a Chicago, impressiona il suo idolo Muddy Waters che lo raccomanda ai fratelli Chess. Maybellene, la sua prima registrazione, sara` anche il primo di una lunga serie di successi destinati a divenire dei classici della musica popolare. I suoi accompagnatori, pilastri degli studios Chess, contano tra i migliori musicisti del blues di Chicago: i pianisti Otis Spann, Lafayette Thomas o Johnny Johnson; il bassista Willie Dixon; i batteristi Fred Below o Odie Payne. Chuck Berry, The Autobiography appare nel 1987, e nel 1988 ne viene tratto un film. Il blues e` sempre molto presente nell’opera di Chuck Berry – riconosciuto come uno dei grandi creatori del rock and roll (allo stesso titolo di Little Richard o Buddy Holly) – sia nella sua esecuzione chitarristica, esuberante, dalle introduzioni molto personali, sia nello humour delle sue composizioni. [J.P.] Roll Over Beethoven (1956), Rock ’n’ Roll Music (1956), Johnny B. Goode, Sweet Little Sixteen (1957), Carol (1958).

BERRY, Emmett Trombettista statunitense (Macon, Georgia, 23/7/1915 - 22/6/1993). Trascorre l’infanzia a Cleveland dove suona in orchestre locali prima di recarsi con quella di Frank Terry a New York nel 1933. Fletcher Henderson lo ingaggia per sostituire Roy Eldridge nel 1936. Resta nell’orchestra fino al suo scioglimento (1939). E` ingaggiato da Horace Henderson (1940), Earl Hines, Teddy Wilson (1941-42), Raymond Scott (1942), Lionel Hampton, Don Redman, Benny Carter (1943), John Kirby (1944-45), Eddie Heywood (1945), prima di entrare da

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BERT

Count Basie (1945-50). Lo si trova poi con Jimmy Rushing (1951), nella piccola formazione che Johnny Hodges costituisce dopo aver lasciato Ellington (195154), con Earl Hines, in seno alla grande orchestra di Cootie Williams (1955), che abbandona per una tourne´e in Europa con i Bluesicians di Sammy Price (dicembre 1955-maggio 1956). Dopo aver suonato con Illinois Jacquet, ritorna in Europa con Buck Clayton nel 1959 e nel 1961, in seno al Newport Jazz Festival. Si stabilisce in California per tre anni e ritorna a New York nel 1965, per brevi periodi in diverse orchestre: Peanuts Hucko (1966), Wilbur DeParis (1967). Alla fine degli anni ’60, si stabilisce in Canada dove si produce con Big Chief Russell Moore (1968), Buddy Tate (1969), prima di ritornare a Cleveland (1970) e abbandonare un po’ alla volta ogni attivita` musicale. Eccellente trombettista di sezione, e` anche un solista interessante. Sotto gli influssi congiunti di Louis Armstrong e Roy Eldridge, si e` forgiato uno stile tutto di potenza che non esclude ne´ agilita` ne´ sensibilita`, favorito da una sonorita` ampia particolarmente piacevole quando utilizza la sordina. [A.C.] Fiesta In Brass (Eldridge 1944); con C. Cole: Stompin’ At The Savoy, Jump Awhile (1944); con Basie: Bill’s Mill, Seventh Avenue Express (1947); con J. Hodges: Globe Trotter, Wham (1951); Berry Well (Al Sears, 1951); Sweet And Lovely (1944), Berry Blues (1946), Swingin’ The Berry’s (1956).

BERT, Eddie Trombonista statunitense (Yonkers, New York, 16/5/1922). Compare nel 1940 nella formazione di Sam Donahue. Nel 1943, lascia l’orchestra di Red Norvo per raggiungere quella di Woody Herman e, nel 1948, di Benny Goodman. Piu` tardi lo si vede occasionalmente con Charles Mingus e, dal 1967 al 1972, permanentemente nella Thad Jones-Mel Lewis Orchestra. Nominato musicista dell’anno nel 1955 dal Metronome Yearbook, Bert, che sembra essere destinato a un ruolo di accompagnatore, registra allora sotto proprio

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BERTON

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nome con Hank Jones, Wendell Marshall e Kenny Clarke. Ha partecipato di recente alla grande orchestra di Illinois Jacquet. Ancora in attivita`. La sua capacita` d’adattamento, il suo rifiuto dell’eccentricita`, a rischio di non emergere nei numerosi complessi ai quali partecipa, non impediscono la grande coerenza delle sue improvvisazioni. [J.Y.L.B.]

Wishbone (1955); Long Ago And Far Away (Gil Melle´, 1956).

BERTON, Vic (Victor COHEN) Batterista e percussionista statunitense (Chicago, Illinois, 5/7/1896 - Hollywood, California, 26/12/1951). Bambino prodigio, fratello del batterista e cronista di jazz Ralph Berton, inizia la carriera suonando violino e pianoforte, assieme a suo padre, anch’egli violinista, nelle orchestre di fossa. A sette anni, a Milwaukee, diventa il batterista fisso dell’orchestra dell’Alhambra, continuando a studiare percussione classica: a sedici anni e` tra i percussionisti dell’orchestra sinfonica di Milwaukee e della Chicago Symphony. Durante la guerra entra nell’orchestra della marina. Nel 1919, a Chicago, continua lo studio dei timpani con Josef Zettleman, della Chicago Symphony. Durante gli anni ’20 lo si ascolta con orchestre da ballo (Vincent Lopez, Sam Lanin, Roger Wolfe Kahn, Don Voorhees, Paul Whiteman) e in gruppi di dixieland (Miff Mole, Bix Beiderbecke, Red Nichols). Manager dei Wolverines per qualche tempo, sara` a propria volta leader di svariati gruppi. Lascia New York per la California e lavora con Abe Lyman. Negli anni ’30 e` musicista di studio alla Paramount. Poi e` solista di percussioni con la Los Angeles Philharmonic e suona regolarmente con la New York Philharmonic: e` a lui che Igor Stravinskij affidera` la parte delle percussioni nell’Histoire du Soldat per una serie di concerti sulla West Coast. Direttore musicale della Paramount a meta` degli anni ’30, nel decennio successivo e` di nuovo musicista di studio per la 20th Century Fox.

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Appassionato di occultismo e abile uomo d’affari, Berton e` stato un significativo strumentista (a lui si devono i cymbal breaks e lo hot cymbal chorus) e un geniale ricercatore e inventore. Unico batterista che, all’epoca, montasse sul palco un set di timpani a pedali per ragioni musicali e non spettacolari, Berton era capace di improvvisarvi sopra con abilita`. Ha aperto la strada a Gene Krupa e, considerato uno dei migliori batteristi bianchi degli anni ’20, e` anche stato uno dei primi a separare il piatto dalla grancassa, allo scopo di farne uno strumento indipendente. Ma la sua gloria risiede soprattutto nel charleston: con Kaiser Marshall, George Stafford e Sonny Greer, ha contribuito all’invenzione di questo strumento rivoluzionario, che avrebbe permesso ai batteristi di utilizzare il piede sinistro. Fu cosı` che nacque, nel 1926, la batteria jazz come strumento completo, che offriva finalmente al batterista la possibilita` di impiegare i quattro arti: il principio fondamentale su cui si basa l’intera tecnica del drumming, cosı` come ancora la conce[G.P.] piamo nel XXI secolo. Con Nichols: That’s No Bargain, Boneyard Shuffle (1926), Davenport Blues (1927), Oh! Peter (1931).

BERTRAND, Jimmy (James) Batterista, xilofonista, suonatore di washboard statunitense (Biloxi, Mississippi, 24/2/1900 - Chicago, Illinois, 8/1960). Imparentato con il batterista Andrew Hilaire (che registra con i Red Hot Peppers di Jelly Roll Morton nel 1926) e col trombonista George Filhe, e` a Chicago che riceve le prime lezioni e debutta, prima di far parte (dal 1918 al 1928) dell’orchestra di Erskine Tate che comprendera` Freddie Keppard, Buster Bailey e Louis Armstrong. Alla fine degli anni ’20 consacra molto tempo all’insegnamento, avendo per allievi, tra gli altri, Lionel Hampton e Sidney Catlett. Nel 1928 suona presso Dave Peyton, poi con Tiny Parham, Doc Cooke, Junie Cobb, Roy Palmer, Eddie South (1932), Reuben Reeves (1934), e occasionalmente alla testa di

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un gruppo. Verso la meta` degli anni ’40 abbandona ogni attivita` musicale continuativa. Jimmy Bertrand e` anche uno dei migliori specialisti del washboard che il jazz abbia conosciuto. Su questo strumento ha saputo apportare un sostegno swingante, efficace e stimolante ai musicisti che ac[A.C.] compagnava. Con E. Tate: Static Strut, Stomp Off Let’s Go (1926); The Blues Stampede (1927).

BEST, Denzil (DE COSTA) Batterista e compositore statunitense (New York, 27/4/1917 - 24/5/1965). Figlio di un tubista, suona il piano dall’eta` di sei anni e, piu` tardi, la tromba, sulla quale si esercita sotto la direzione di Joe Gordon nel 1940. Partecipa, come pianista e trombettista, alle jam session del Minton’s; pratica anche il contrabbasso e, in seguito a un’affezione polmonare, opta per la batteria nel 1943. Si produce con Ben Webster (1943-44), Coleman Hawkins (1944-45), Illinois Jacquet (1946), poi Chubby Jackson con il quale effettua una tourne´e scandinava (1947). La sua collaborazione ai gruppi di George Shearing sara` interrotta nel 1952 da un grave incidente automobilistico. Lo si ritrova nell’orchestra di Artie Shaw (1954) poi con Erroll Garner (1956-57), Lee Evans, Cecil Young (1958-59), Tyree Glenn, Nina Simone (1959). Eccellente batterista di piccole formazioni, Denzil Best e` un grande specialista delle spazzole, sulla linea di Nick Fatool. Con un’infinita discrezione (che non lo fa mai pero` scomparire nel background) il suo sostegno ritmico, di una grande regolarita`, spinge l’orchestra e i solisti in un’agile armonia. Raramente solista, svolge tuttavia un ruolo importante nella transizione tra l’utilizzo swing e l’impiego bebop dello strumento: per convincersene basta ascoltare le due versioni di Dee Dee’s Dance (nel 1944 con Clyde Hart, nel 1947 con Chubby Jackson), che esemplificano i due approcci alla batteria, o ancora il passaggio dall’una all’altra, con Coleman Hawkins, in Beyond The Blue

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BEST

Horizon (1944). Al Levitt puo` essere considerato come un continuatore di questa discreta musicalita`, alla quale le tecniche di registrazione utilizzate all’epoca degli inizi di Denzil Best non sempre resero giustizia. Musicista completo, e` anche compositore di un certo numero di temi importanti del jazz moderno: Move, Dee Dee’s Dance, Wee (anche conosciuto come Allen’s Alley), Bemsha Swing (in collaborazione con Monk, suo collega nell’orchestra di [X.P.] Hawkins), 45º Angle. Con C. Hawkins: Beyond The Blue Horizon (1944), Hollywood Stampede (1945); Twelve Minutes To Go (Jacquet, 1946); con G. Shearing: Cherokee (1949), 45º Angle (1958).

BEST, Skeeter Clifton Chitarrista e arrangiatore statunitense (Kinston, North Carolina, 20/11/1914 New York, 29/5/1985). Sua madre, insegnante di pianoforte, gli impartisce le prime lezioni di musica. Impara la chitarra e debutta nella sua citta` natale con l’orchestra di Abe Dunn agli inizi degli anni ’30. A Filadelfia suona con Slim Marshall poi, a New York, con Erskine Hawkins, Earl Hines (1942) e il sassofonista Bill Johnson. Effettua una tourne´e in Estremo Oriente accanto a Oscar Pettiford (1951-52). Al suo ritorno forma un trio che si esibisce nei club di New York. Suona con Charles Thompson, nel quintetto di Mel Powell (1955) e nel Modern Jazz Sextet (Dizzy Gillespie, Sonny Stitt, John Lewis, 1956). Ritrova Charles Thompson agli inizi degli anni ’60 e continua la sua carriera come solista, passando da un gruppo all’altro. La musica di Skeeter Best richiama quella di Charlie Christian e di Jimmy Raney. E` chiara, precisa, non cerca l’exploit, ma piuttosto l’emozione, che Best riproduce meravigliosamente quando suona il blues. [A.C.] Humpty Dumpty (Paul Quinichette, 1954); con Milt Jackson: Bright Blues (1956), How Long Blues (1957).

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BETSCH

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BETSCH, John Batterista e compositore statunitense (Jacksonville, Florida, 8/10/1945). Madre pianista e organista di chiesa, sorella maggiore che affronta una carriera di soprano lirico, John inizia a suonare la batteria a nove anni nell’orchestra della scuola. Debutta come professionista con l’organista Bob Holmes e il trombettista Louis Smith. Tra il 1965 e il 1967 studia alla Berklee School di Boston e, in seguito, all’universita` di Amherst con Max Roach e Archie Shepp. Insegnera` a sua volta presso questa universita` e, all’interno di programmi educativi per detenuti, partecipera` a concerti e festival con Roach, Shepp, Marion Brown, Roland Alexander. Nel 1975 si trasferisce a New York e gira l’Europa, gli Stati Uniti e l’Africa, assieme a Shepp, Kalaparusha, Dollar Brand, Mal Waldron, Dewey Redman, Henry Threadgill. Vive in Francia dal 1985, e da allora ha lavorato e inciso con Waldron, Steve Lacy, Klaus Ko¨nig, Jim Pepper e la pianista Claudine Franc¸ois. Uno stile secco e preciso, unito a un profondo senso delle sonorita` e del colore, la sobrieta` dei mezzi espressivi al servizio di un’impressionante abilita` poliritmica fanno di Betsch uno dei diretti eredi del[T.Q.] l’arte di Max Roach. «Mal, Dance and Soul» (Waldron, 1987); «Marchant le chemin» (Pepper, 1988); Shuffle Boil (Lacy, 1992).

BETTS, Keter William Thomas Contrabbassista e violoncellista statunitense (Port Chester, New York, 22/7/1928 - Silver Spring, Maryland, 6/8/2005). Il suo primo strumento e` la batteria che suona in alcuni gruppi locali. Adotta il contrabbasso di cui intraprende lo studio con un maestro privato. Nel 1949 e` nell’orchestra di Earl Bostic per due anni e partecipa ai numerosi dischi che questa formazione, campione nel ritmo e nel blues, firma per King. Fa parte del gruppo che accompagna la cantante Dinah Washington (1951-56), e` ingaggiato da Cannonball Adderley (1956-57), quindi si

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sceglie come partner il chitarrista Charlie Byrd di cui sara` fedele accompagnatore fino agli inizi degli anni ’60, registrando con lui molti album. Con Byrd partecipa a una tourne´e in Europa e in Medio Oriente dell’orchestra di Woody Herman. In seguito entra a far parte di numerose sezioni ritmiche, accompagnando soprattutto Ella Fitzgerald con la quale e` venuto piu` volte in Europa per lunghe tourne´e e diversi festival (1965, 1977, 1979), spesso nel trio di Tommy Flanagan. Formatosi alla scuola di Oscar Pettiford, Keter Betts assicura ai solisti che accompagna un sostegno svelto e swingante. I suoi rari assolo sono caratterizzati da una sobrieta` che tende a sopprimere gli effetti [A.C.] come il virtuosismo. Con Byrd: Conversation Piece, Ring Them Harmonies (1958); «The Late Late Show» (W. Herman, 1959); con E. Fitzgerald: «Ella In Hamburg» (1965), «Jazz At The Santa Monica» (1972), «Montreux» (1977); con Tommy Flanagan: Barbados, Blue Bossa (1977).

BICKERT, Ed (Edward Isaac) Chitarrista canadese (Hochfield, Manitoba, 29/11/1932). Si interessa alla chitarra all’eta` di otto anni, poi debutta a Vernon nell’orchestra di famiglia, specializzata nella musica country. Negli anni ’50 si stabilisce a Toronto dove lavora in un’emittente radiofonica locale e comincia a farsi conoscere con le orchestre di Phil Nimmons, Moe Koffman, Ron Collier e, soprattutto, con il Rob McConnell’s Boss Brass. Riesce ad avere un contratto al Bourbon Street di Toronto e vi accompagna Red Norvo, Chet Baker, Paul Desmond, Frank Rosolino, Charles McPherson, Milt Jackson e altri ancora. Vi si esibisce anche a capo di un trio, pur continuando alla televisione e negli studi di registrazione. Partecipa al festival di Monterey (1976) insieme con Paul Desmond e, nel 1987, si associa a Rick Emmett, Liona Boyd e Alex Lifeson per formare un quartetto di chitarristi. Ed Bickert ha suonato e registrato soprattutto con Dave Brubeck, Jim Hall, Ruby Braff, Paul Desmond, Dave McKenna, Jake Hanna,

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Don Thompson, Terry Clarke, Scott Hamilton, Warren Vache´, Dave Young, Ron Carter, Connie Kay e Rosemary Clooney. Strumentista prestigioso, la cui musica raffinata ed elegante, il senso profondamente armonico, la grande musicalita` e il caldo lirismo sono pienamente valorizzati nelle sue improvvisazioni, segnate da una logica ammirevole e il cui suono e` di una eccezionale purezza. E` uno dei melodisti piu` fini della chitarra. Da notare che e` uno dei rari jazzisti a utilizzare non una chitarra acustica, ma una Solid Body Fender, strumento prediletto dai rocker, dai coun[C.O.] trymen e da qualche bluesman. Nuages (Desmond, 1975); ’Round Midnight (Rosolino, 1976); Alone Together (1978); The World’s Waiting For The Sunrise (Braff, 1979); Blue Monk (D. Thompson, 1980); Limehouse Blues (1983), Bye Bye Baby (1984).

BIGARD, «Barney» (Albany Leon) Clarinettista, sax tenore e compositore statunitense (New Orleans, Louisiana, 3/ 3/1906 - Culver City, California, 27/6/ 1980). Suo fratello Alex (1898 - 1978) suona la batteria, suo zio Emilio (1890 1935) il violino, suo cugino Natty Dominique la tromba. Barney prova con il clarinetto con il famoso Lorenzo Tio Jr. come guida, iniziando anche a suonare il sax tenore. Dopo aver lavorato presso un fotoincisore, debutta nel 1922 con l’orchestra di Albert Nicholas in uno dei club piu` rinomati di New Orleans: il Tom Anderson’s Cabaret. Suona presso Oke Gaspard, Amos White e Luis Russell prima di lasciare la Louisiana per Chicago nel 1924, ingaggiato da King Oliver al Plantation Club; qui si specializza al clarinetto dopo la partenza di Darnell Howard. Con Oliver, va a St Louis poi a New York. Entra nell’orchestra di Charlie Elgar (1927) a Milwaukee. Dopo un breve soggiorno a New York da Luis Russell, nel dicembre del 1927 entra nell’orchestra di Duke Ellington che ha bisogno di arricchire il suo organico per suonare al Cotton Club. Ripartira` solo nel giugno del 1942, dopo quattordici anni durante i quali diventera` una delle pietre miliari dell’or-

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BIGARD

chestra di Ellington. Duke scrive d’altronde molti temi con la sua collaborazione (Mood Indigo, Ducky Wucky, Solitude, Stompy Jones, Clarinet Lament, Mardi Gras Madness), spesso dei piccoli concerti per clarinetto e orchestra dove Bigard eccelle. Stanco per le continue tourne´e, si stabilisce in California e costituisce un suo gruppo (1942) che lascia per qualche mese per esibirsi con il pianista Freddie Slack. A capo di un nuovo complesso, suona all’Onyx di New York (1944-45) ma ritorna in California dove, quando non dirige il gruppo, lavora negli studi cinematografici. Nel 1946 e` nell’orchestra di Kid Ory (con il quale gira, accanto ad Armstrong e Billie Holiday, il film New Orleans). Nel 1947 Armstrong – che ha appena abbandonato definitivamente la sua grande orchestra – l’ingaggia nel suo All Stars. Bigard riprende quindi il ritmo stressante delle tourne´e (festival di Nizza, 1948) fino all’agosto del 1955, a eccezione di una nuova parentesi di qualche mese in California alla fine del 1952. Forma di nuovo un piccolo gruppo, suona con Ben Pollack, gira il film St. Louis Blues (1958), parte in tourne´e (dal novembre 1958 al marzo 1959) con Cozy Cole e ritrova le All Stars di Armstrong rimanendo dall’aprile 1960 fino a settembre 1961. Lo si puo` ascoltare a Disneyland accanto a Johnny St Cyr, con Muggsy Spanier a San Francisco (1962), con Rex Stewart (1966-67) e con Art Hodes (1968), ma rallenta considerevolmente le sue attivita`. Lo si ritrova ancora, in qualche tourne´e, con Art Hodes, Eddie Condon, Wild Bill Davison (1971) e in Europa (dal 1974 al 1978, al festival di Nizza nel 1979). Nel 1985 esce la sua autobiografia: With Louis And The Duke. Barney Bigard riconosce l’influenza – oltre quella del suo maestro Lorenzo Tio – di Jimmie Noone e di Buster Bailey. Molto presto, pero`, si libera da tutto cio`, se non addirittura dall’influenza della scuola di New Orleans. Vellutata nei registri bassi senza tremori intempestivi, tagliente negli acuti senza essere troppo dura, la sua sonorita` e` ampia e cangiante. E` soprattutto l’estrema fluidita` del suo

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BIG BAND

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fraseggio che impressiona, generando tra sinuosi meandri un espandersi di note espresse con allegria in voli folgoranti. E` il solo, forse insieme a Sidney Bechet, ad aver suonato il clarinetto con un tale swing, armonia suggerita piu` che affermata e pertanto irresistibile (Tiger Rag del 1929 con Ellington). E` il clarinettista preferito di molti critici. E` meno convincente al sax tenore (Hot Feet con Ellington, 1929; Aunt Hagar’s Blues con King Oliver, 1928). [A.C.] Con Ellington: Black Beauty, Take It Easy, The Mooche (1928), Tiger Rag, Saratoga Swing, Beggar’s Blues (1929), Mood Indigo (1930), Creole Rhapsody (1931), Rose Room, Ducky Wucky (1932), Bundle Of Blues (1933), Clarinet Lament (1933), A Portrait Of Bert Williams, Across The Track Blues (1940); Smilin’ The Blue Away (Jelly Roll Morton, 1929); Stompy Jones (1936), Demi-tasse (1937), Barney Goin’ Easy (1939); con Rex Stewart: Finesse, I Know That You Know (1939); Pelican Drag, Charlie The Chulo, A Lull At Dawn (1940); con Zutty Singleton: Barney’s Bounce, Lulu’s Mood (1944); con Armstrong: «Satchmo At Symphony Hall» (1947), «At Pasadena» (1951), «Plays Handy» (1954), «Satch Plays Fats» (1955); «Swinging Clarinets» (Claude Luter, 1960).

Big band (letter. ‘‘grande orchestra’’) Malgrado l’apparente semplicita` dell’espressione, la nozione di big band pone il problema della definizione di una ‘‘grande orchestra’’. Nell’accezione comune del termine tre criteri sembrano dover essere considerati insieme: l’effettivo, l’organizzazione e la natura della formazione. L’effettivo della big band e`, come indica il suo nome, allargato, e in questo si distingue dai piccoli complessi e dai combo. Ma al di la` di cio`, sarebbe azzardato fissare un numero che condizioni l’esistenza di una big band. In effetti, la formazione piu` tradizionale usa tre sezioni strumentali (ance, tromboni, trombe) e un quartetto ritmico (piano, contrabbasso, batteria e a volte chitarra), portando il numero degli interpreti da 17 a 20. Pertanto non si

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possono escludere dalla famiglia delle big band certi complessi da 9 a 12 musicisti che, malgrado un effettivo piu` ridotto, hanno con questa dei legami evidenti: storicamente e` dall’evoluzione di tali formazioni che emerge la big band (Fletcher Henderson); viceversa, queste formazioni medie, numerose negli anni ’50, derivano nella loro concezione generale dalla big band propriamente detta (Shorty Rogers rispetto a Count Basie). La big band e` il luogo dove si sviluppa quell’estetica particolare che e` la scrittura di arrangiamenti per alcuni interpreti riuniti in sezioni strumentali (intese come riunione di strumenti affini: cosı` la sezione dei sassofoni comprende due alti, due tenori e un baritono nella formazione classica). La storia della big band non puo` prescindere, quindi, dalla personalita` dei grandi arrangiatori: Duke Ellington, Don Redman, Benny Carter, Jimmy Mundy, Sy Oliver, Ernie Wilkins, Bill Holman, Quincy Jones, Gil Evans, Thad Jones ecc. Tuttavia il criterio non ha niente di assoluto poiche´, per esempio, alcune orchestre del periodo free hanno riservato larghi spazi all’improvvisazione collettiva. L’espressione big band sottintende che si ha a che fare con una grande orchestra di jazz. La natura delle orchestre e` stata spesso messa in dubbio di fronte alle formazioni che usavano arrangiamenti atipici o particolarmente elaborati (Stan Kenton, Claude Thornhill). Bisogna dire, d’altro canto, che una frontiera a volte piccola separa le big band di jazz dalle formazioni orchestrali di varieta`, di rivista o di spettacolo televisivo, tanto piu` che i repertori possono essere composti dagli stessi standard e che gli stessi jazzisti a volte superano tale frontiera (Bix Beiderbecke, Paul Whiteman). Cio` premesso, si riconosce che la storia della big band inizia con Fletcher Henderson. In effetti, tra la meta` degli anni ’20 e la fine degli anni ’30, l’evoluzione della big band testimonia il passaggio dalla polifonia di New Orleans alla struttura classica della grande formazione con le sue sezioni strumentali. Naturalmente questa evoluzione ha avuto numerosi sviluppi sia

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nelle orchestre di vecchi arrangiatori come Henderson, Redman e Carter che in quella di Benny Goodman o ancora in quelle di Artie Shaw e dei fratelli Dorsey. Per contro, l’orchestra di Duke Ellington, in qualche modo eccezionale nella sua singolarita`, esercitera` poche influenze dirette sulle big band, a eccezione forse di quelle sulla formazione di Charlie Barnet. Considerando infine l’esistenza di formazioni piu` vicine allo stile New Orleans di origine, come quella di Bob Crosby, o di stile Chicago, come quelle di Luis Russell, o ancora dixieland, come quella di Jean Goldkette (sempre che alcuni suonatori di Chicago come Bunny Berigan possano essere assimilati all’asse Henderson-Dorsey), si ha un panorama generale della situazione delle grandi orchestre per un buon decennio. L’evoluzione delle big band dalla meta` degli anni ’30 sino alla fine degli anni ’40 e` segnata da due apporti. Da un lato, la tendenza newyorkese con i pilastri del Cotton Club (Cab Calloway, Ellington), le star del Savoy Ballroom (Al Cooper, Chick Webb) e soprattutto l’orchestra di Jimmie Lunceford degnamente servito dagli arrangiamenti di Sy Oliver e dalla sua ritmica, cui piace rivoluzionare l’interpretazione della metrica a quattro tempi. Dall’altro la tendenza Kansas City, segnata dalla doppia caratteristica di privilegiare la struttura armonica del blues e la frase in forma di riff: Andy Kirk, Jay McShann, Harlan Leonard, Bennie Moten e Count Basie ne sono i principali rappresentanti. Con il successo di Basie o Lunceford si impone la formazione di stile classico e questo schema tradizionale (un’ossatura con prima tromba, primo trombone, primo sax alto raddoppiato dal baritono come asse dell’arrangiamento) lo si ritrova in modo continuato da Lionel Hampton a Erskine Hawkins. Alla fine degli anni ’40 si hanno sviluppi significativi nell’ambito delle grandi orchestre. Da un lato alcuni gruppi, al seguito di Billy Eckstine, lui stesso erede dell’eccellente big band di Earl Hines, si imposero come specialisti del bebop in grande formazione, soprattutto quello di

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BIG BAND

Dizzy Gillespie. L’orchestra di Stan Kenton, d’altra parte, merita di essere citata per le sue ‘‘innovazioni’’, secondo il termine dell’epoca, di cui si troverebbe traccia nella Casa Loma Orchestra: allargamento a legni e corde, tentativi armonici vicini a Stravinskij o Milhaud, stile concertante ecc. Infine, l’orchestra di Woody Herman definiva nel 1947 una nuova sonorita` che avrebbe fatto scuola con i suoi Four Brothers, espressione che, dando il suo titolo a una composizione e riguardando i sassofonisti della formazione, diveniva una parola d’ordine. Tra queste tre tendenze gravitano numerose formazioni: Les Brown, Boyd Raeburn, Elliot Lawrence sono i rappresentanti di quest’epoca di transizione, di cui Gil Evans, George Russell o Don Ellis sarebbero i discendenti diretti. Ma le influenze di queste formazioni si fanno sentire ugualmente sui complessi di medio effettivo, a cominciare da quello che riunisce Miles Davis nel 1948 e che fa epoca nella storia del jazz. Questi piccoli complessi, molto numerosi negli anni ’50, hanno la fortuna di lavorare con arrangiatori che sanno dar loro quel certo non so che di particolare: Marty Paich, Shorty Rogers, Jimmy Giuffre, Gerry Mulligan, Pete Rugolo. Agli inizi degli anni ’60 le enormi spese necessarie al funzionamento delle grandi orchestre aggiungono un’ulteriore difficolta`, insieme alla disaffezione di un pubblico che considera questi complessi come i rappresentanti di uno stile antiquato. Le big band divengono spesso occasionali, riunite per registrazioni o tourne´e. Le orchestre aperte al free jazz non fanno eccezione: Charles Mingus, Antony Braxton, Alex von Schlippenbach, Roscoe Mitchell, John Tchicai, Lester Bowie (a capo di Sho’ Nuff Orchestra – una cinquantina di musicisti – nel 1979), Alan Silva possono guidare grandi formazioni solo sporadicamente, al contrario di Sun Ra che ha un’attivita` incredibilmente ampia. Tra questi due estremi, qualche orchestra (Jazz Composers’ Orchestra, Globe Unity Orchestra) riesce ad avere un’esistenza meno precaria. Caratteriz-

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BIG MAYBELLE

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zare il periodo e` difficile per la diversita` dei punti di rottura con la concezione musicale tradizionale delle big band. L’unico elemento costante e` che gli arrangiamenti vengono smantellati nella loro struttura armonica tradizionale; privilegiati sono i blocchi sonori piu` densi, l’improvvisazione diviene meno rigida, la ritmica e` piu` percussiva e le ance si ritrovano a svolgere un ruolo determinante. Gli anni ’70 e ’80 non sono segnati dalla comparsa di uno stile orchestrale nuovo, ma piuttosto da due fenomeni: la nostalgia di un’epoca ricordata da personaggi di grosso calibro (Basie, Buddy Rich, Herman, Louie Bellson, Gerald Wilson, Kenny Clarke, Francy Boland) e la finezza di una scrittura che, lungi dall’essere nuova, attira l’attenzione per la sua eleganza raffinata (Thad Jones-Mel Lewis), i suoi colori strumentali inediti (Gil Evans), le sue sofisticazioni (Toshiko Akiyoshi). E` evidente che l’arte della big band e` in regresso. Quali che possano essere le soddisfazioni procurate dalle formazioni contemporanee, il discorso dell’orchestra e` oggi meno pregnante e, soprattutto, sorpassato da certe evoluzioni del jazz in piccola formazione. Per contro, l’alta tecnicita` strumentale necessaria al musicista degli anni ’80 fa della big band un importante luogo di apprendimento nella formazione dell’interprete, e il numero di orchestre universitarie o di scuole attive negli Stati Uniti e` indicativo. Se ne puo` rimanere commossi, senza pero` perdere di vista il fatto che l’evoluzione del jazz e` stata da sempre condizionata dall’individualita` dell’improvvisatore, da Armstrong a Parker, da Hawkins a Coltrane o da Lester Young a Ornette Coleman.[X.D.] BIG MAYBELLE (Mabel Louise SMITH) Cantante statunitense (Jackson, Tennessee, 1/5/1924 - Cleveland, Ohio, 23/1/ 1972). Dave Clark la scopre quando canta nella Church of God in Christ di Jackson. Lei ha solo quindici anni e lui deve chiedere alla madre l’autorizzazione per ingaggiarla. Nel 1938 entra nella forma-

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zione del sassofonista Wild Bill Moore la cui pianista e` Christine Chatman. E` per conto di questa musicista che Maybelle realizza la sua prima registrazione nel 1944 (Decca). Nel 1947 registra sei facciate per l’etichetta King con il suo vero nome, Maybelle Smith. Nel 1952 il produttore Fred Mendelssohn la ritrova in un club di Covington (Kentucky) e le procura un contratto con Okeh. Dal 1952 al 1955 registra una serie di dischi con alcuni dei migliori musicisti del momento: Sam The Man Taylor, Buddy Johnson (tsax), Brownie McGhee, Mickey Baker (chit), Ernie Hayes (pf), Grachan Moncur, Lloyd Trotman (cb), Panama Francis, Herbie Lovelle (batt), Leroy Kirkland, Quincy Jones (arr). Le sue incisioni per la Savoy (1956-59) mostrano le sue qualita` vocali: voce ampia, generosa e potente sui tempi rapidi, sfumata e drammatica nei blues lenti. La droga avra` la meglio sulla sua carriera, declinata di pari passo con la sua salute. [J.P.]

Grabbin’ Blues (1953), Maybelle’s Blues (1953), Whole Lotta Shakin’ Goin’ On (1955), Candy (1956), Don’t Pass Me By (1966), 96 Tears (1967).

Binario Nel jazz il termine si applica alla scomposizione di ogni tempo in due parti uguali. Il jazz binario (spesso sinonimo di jazzrock) ha per base questa scomposizione. Nel suo significato piu` classico, infatti, il jazz si basa sulla scomposizione ternaria (in tre parti uguali) di ogni tempo: una terzina di crome. Per comodita`, una partitura jazz ‘‘classica’’ viene scritta in due tempi e letta in tre: cio` significa che l’esecutore, quando legge due crome, suona generalmente la prima come semiminima di una terzina e la seconda come ultima croma della stessa terzina. Nel jazz-rock o nella musica afrocubana, invece, il musicista legge le due crome come sono scritte, cioe` dando loro un uguale valore. [Ph.B.]

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Bird (letter. ‘‘uccello’’) Contrazione di Yardbird (in gergo militare statunitense ‘‘coscritto’’) soprannome – di origine incerta – di Charlie Parker, da cui il nome del club newyorkese Birdland e i temi intitolati Ornithology o Bird Love, Yardbird Suite (1946), Bird’s Nest, Carvin’ The Bird, Chasing The Bird (1947), Ladybird, Bird of Paradise (1949). Bird e` anche il titolo di un film, realizzato da Clint Eastwood, dedicato alla vita di Parker (1988). Birdland Club di jazz newyorkese situato a Broadway, tra la 52ª e la 53ª Strada. Creato da Morris e Irving Levy, apre i battenti il 15 aprile 1949. Chiamato dapprima The Ebony, poi The Clique, e` ribattezzato Birdland in onore di Charlie «Bird» Parker che vi suono` per l’inaugurazione e ne divenne uno degli habitue´ con i bopper del momento. Il locale e` diventato cosı` il simbolo di tutta l’epopea bebop. Ricostruito sul set di ’Round Midnight, il film di Bertrand Tavernier, fu riaperto per una serata eccezionale, nel 1985, in occasione della rinascita dell’etichetta Blue Note. BISHOP, Wallace Henry Batterista statunitense (Chicago, Illinois, 17/2/1906 - Hilversum, Paesi Bassi, 1/5/ 1986). Studia la batteria con Jimmy Bertrand e debutta nel 1926. E` ingaggiato per una tourne´e da Jelly Roll Morton, poi da Erskine Tate dal 1928 al 1930. L’anno seguente entra nell’orchestra di Earl Hines con il quale suona fino al 1937. In seguito lo troviamo con Jimmie Noone (1941), Coleman Hawkins (1943), Don Redman, Walter Foots Thomas (1944), Phil Moore (1944-45), John Kirby (1946), Sy Oliver (1946-47), Billy Kyle (1947). Arrivato in Europa con Buck Clayton nel 1949 per una lunga tourne´e, si stabilisce a Parigi, poi in Svizzera e infine, a partire dagli anni ’60, nei Paesi Bassi, suonando con gruppi locali e con i suoi compatrioti: Bill Coleman, Don Byas, Ben Webster, Kid Ory, Earl Hines, Milt Buckner (1967-68), T-Bone Walker

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BISHOP

(1968), ma senza tornare piu` negli Stati Uniti. Le sue attivita` si riducono a partire dagli anni ’70. Molto impregnata dello stile di New Orleans, la sua musica non brilla per esuberanza. Un libro, The Wallace Bishop Story, pubblicato nel 1981, traccia l’itinerario di questo batterista che, seppur modesto, non va comunque dimenticato. [A.C.]

Sensational Mood (1932), Cavernism (1933), Flany Doodle Swing, Pianology (1937, di grande orchestra); Snappy Rhythm (Hines, 1949); Night Life (Clayton, 1949); Them Their Eyes (1967); Crazy Rhythm (M. Buckner-Buddy Tate, 1968).

BISHOP, Walter Jr. Pianista e compositore statunitense (New York, 4/10/1927 - 24/1/1998). Proveniente da una famiglia di musicisti (suo padre ha composto dei temi che ebbero un certo successo) a vent’anni comincia una carriera di pianista nei Jazz Messengers di Art Blakey, sotto la cui influenza si converte all’islam, anche se non si fara` mai conoscere sotto il suo nome musulmano (Ibrahim Ibn Ismail). E` presente in tutte le orchestre bebop: da quelle di Charlie Parker (e` il pianista che lavora di piu` con lui agli inizi degli anni ’50) a Miles Davis, Oscar Pettiford, Terry Gibbs, Kai Winding. La sua carriera continua poi in altre formazioni: lo ritroviamo con Allen Eager, Philly Joe Jones, Jackie McLean (1959), Curtis Fuller (1960). Nel 1961 fa delle tourne´e con il suo trio formato da G.T. Hogan (batt) e Jimmy Garrison. Nel 1963 inaugura il nuovo Five Spot Cafe` con Les Spann e Sam Jones. Nel 1964 fa una tourne´e con Terry Gibbs. Alla fine degli anni ’60 intraprende degli studi musicali con Ida Elkan, Rudolph Schramm e Hall Overton e si stabilisce in California nel 1970. Registra con gruppi californiani come i Supersax e con il gruppo di Blue Mitchell. Dal 1972 si dedica alla composizione e all’insegnamento, il che non gli impedisce di suonare spesso come sideman, di formare un nuovo gruppo e di registrare.

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BLACK

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A differenza di altri bopper della prima generazione, alle frasi corte e incisive preferisce lunghi fraseggi. La sua tecnica gli permette, cosı`, di cimentarsi – e di inventare – sui tempi piu` difficili. A lui si deve un nuovo modo di accompagnare, quando era nella sezione ritmica di Parker, con il suo stile composito, quasi monkiano: puntualizza, finge di contraddire, rilancia ritmicamente invece di sostituire, di seguire o di limitarsi a essere l’ombra armonica del solista. [P.B., C.G.] K.C. Blues (Parker, 1951); Round About Midnight (Davis, 1953); «Swing, Swang, Swingin» (McLean, 1959); Au Privave («I Remember Bebop», 1977); Wefe´ (Max Roach, 1981).

BLACK, Dave (David John) Batterista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 23/1/1928 - Alameda, California, 4/12/2006). Entrato nell’orchestra di Duke Ellington per sostituire Butch Ballard, partecipa dall’agosto 1953 al luglio 1955 a tutte le attivita` dell’orchestra. In precedenza era stato il batterista stabile del club Blue Note, nella sua citta` natale. Gonna Tan Your Hide (inciso per la Capitol) e` una sorta di concerto per batteria con cui Ellington e Strayhorn volevano mettere in luce il virtuosismo di Black. Un brano all’epoca sbeffeggiato, ma considerato oggi da alcuni celebri batteristi (come Steve Smith) anticipatore di soluzioni ritmiche che da lı` a poco sarebbero entrate nel linguaggio comune. Black e` rimasto in attivita` fino a poco prima della morte. Privo della levatura di un Sonny Greer, ma anche di quella di alcuni dei suoi successori, Black si inserisce comunque nella tradizione percussionistica ellingtoniana, un mondo a se´ stante. [A.C., G.P., L.C.] Con Ellington: Gonna Tan Your Hide, «Ellington 55» (1954).

BLACKMAN, Cindy (Cinthia) Batterista e compositrice statunitense (Yellow Springs, Ohio, 18/11/1958). Neanche lei e` in grado di spiegare perche´ da giovanissima abbia scelto di suonare la batteria. L’unica cosa che si ricorda e` di

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essere sempre stata circondata dalla musica: una madre e una nonna che si cimentavano nella classica, un padre cantante e vibrafonista nell’ambito delle musiche di scena. L’ascolto dei dischi di Max Roach, Art Blakey, Philly Joe Jones, Elvin Jones, Pete LaRoca, Roy Haynes le suscita grande impressione. Per diventare musicista, Cindy affianca ai corsi universitari lunghe ore di pratica strumentale. Dopo gli studi ad Hartford completa il suo apprendistato con lezioni specifiche di percussione classica. In seguito si trasferisce a Boston e, durante nove mesi passati alla Berklee, frequenta le classi di Lennie Nelson e Alan Dawson. A New York (dove arriva nel 1982) suona di tanto in tanto con Freddie Hubbard e Jackie McLean, e piu` regolarmente con Sam Rivers. Ma e` nella formazione allestita dal sassofonista George Braith per suonare all’aperto, in estate, tra la 42a Strada e la Sesta Avenue, che Cindy trova la sua vera educazione. Nel 1984 suona con Ted Curson e inizia a scrivere musiche proprie, fornendo poi svariati brani agli album del trombettista Wallace Roney, cui partecipa anche come strumentista. Il suo secondo album, «Code Red», presenta tutte composizioni scritte da lei stessa, a parte ’Round Midnight. Se la bella Cindy si e` nutrita al seno di Blakey, Elvin e compagnia bella, e` nello stile di Tony Williams che bisogna cercare la sua principale influenza. L’uso rallentato e scalato dei piatti, l’elevata frequenza della sua ampia punteggiatura sui tom-tom, il gusto di sostenere con forza il solista di turno, che significa allo stesso tempo rilanciare e invitare al dialogo, servono ad aggiornare una tradizione molto ‘‘nera’’ della batteria, in cui forza e finezza si muovono nella stessa direzione. I sostenitori delle differenze di sesso in campo musicale cercheranno invano, nel suo stile batteristico, i tratti di una qualche femminilita`. Sul versante compositivo Cindy si inserisce nella linea preponderante del post-hard bop: forse poco originale, ma comunque piena di [F.R.S.] talento.

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123 Incindyari (1987), Next For Ever (1990); Scenario One (W. Roney, 1990); Domo Crocodile (Ravi Coltrane, 1992); «In the Now» (1997).

BLACKWELL, Ed (Edward Joseph) Batterista statunitense (New Orleans, Louisiana, 10/10/1929 - Hartford, Connecticut, 7/10/1992). Le sue prime influenze sono state i percussionisti di New Orleans che suonavano nelle fanfare e nelle sfilate e Paul Barbarin. Impara i rudimenti del mestiere da alcuni vecchi musicisti della strada, codirige dal 1956 al 1959 l’American Jazz Quintet con Ellis Marsalis, suona con Ray Charles nel 1957, sostituisce Billy Higgins nel quartetto di Ornette Coleman che raggiunge nel 1960 e con cui resta fino al 1962 (non senza allontanarsi, nel 1961, per suonare con Eric Dolphy e Booker Little); registra 4 dischi a fianco di Coleman tra cui, il 21 dicembre 1960, il fondamentale «Free Jazz». Ritornera` in seguito con Coleman nel 1969 e l’accompagnera` fino al 1973. Nel frattempo, Blackwell lavora con Don Cherry («Complete Communion», 1965; «Symphony For Improvisers», «Where Is Brooklyn?», 1966) che l’aveva gia` favorito, nel 1960, presso Coltrane («The Avant-Garde»). Si mette con Randy Weston con il quale effettua tre tourne´e in Africa (1965-67) e, per poco tempo, con Thelonious Monk e con Alice Coltrane. Il 1969 lo vede collaborare con Cherry: un disco in due parti, «Mu», nasce in quell’anno dal duo che si prolunga fino al 1982 («El Corazon»). Dopo gravi problemi di salute che lo mettono in pericolo di vita obbligandolo a interrompere la sua attivita` professionale e l’insegnamento di musica afroamericana iniziato nel 1972 alla Wesleyan University, lo si ritrova nel 1976 come batterista del quartetto Old And New Dreams (Cherry, Dewey Redman, Charlie Haden), di cui Ornette Coleman e` l’angelo custode. Nel 1980 e` di nuovo in gran forma a Willisau con Dewey Redman: il mondo ornettiano non si scioglie cosı` facilmente... Dopo una seduta in quartetto con Braxton nel 1981,

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BLAKE

nel 1983 fa parte del quartetto di David Murray, con il quale fa tourne´e in Europa e registra «Morning Song». Come Max Roach, Ed Blackwell considera la batteria come uno strumento fondamentalmente melodico. Il suo stile si organizza a partire da una tecnica di cassa rigorosa e chiara che gli deriva dall’esperienza fatta a New Orleans. Approccio iperfrazionato del tempo, robustezza implacabile (articolazione del 4/4 nella massima parita`), in cui fa vibrare lo swing in una chiarezza totale di pronuncia, sovrana indipendenza degli arti: la poliritmia di Ed Blackwell, mescolata all’esperienza piu` trasgressiva del jazz contemporaneo, si allea intimamente a un classicismo che, lungi dal contraddire questi irruenti slanci musicali, rilancia il canto dei tamburi al loro ultimo grado di sovversione. [C.T.] Con Coleman: Free Jazz, Blues Connotation (1960), T And T, Cross Breeding (1961); The Blessing (Coltrane, 1960); con Cherry: Complete Communion (1965), Omejelo (1969); Willisee (duo con Redman, 1980); Ettenro (Lovano, 1991); Crystal Fire Suite (Berger, 1991); Prayin’ Out Loud (Jay Hoggard, 1992).

BLAKE, «Eubie» (James Hubert) Pianista e compositore statunitense (Baltimora, Maryland, 7/2/1883 - New York, 12/2/1983). All’eta` di cinque anni prova l’organo comprato a credito da sua madre. Impara a leggere la musica e comincia presto la sua carriera di pianista nei locali malfamati della sua citta` natale. Nel 1907 e` ingaggiato al Goldfield Hotel di Baltimora. Ci resta per vari anni, durante i quali segue dei corsi di composizione. Nel 1915 conosce Noble Sissle con il quale suona: compongono insieme, mettono su un duo piano-voce e codirigono un’orchestra. Conoscono il successo nel 1921 scrivendo per Broadway Shuffle Along (con Florence Mills e Josephine Baker) che segna il primo grande successo di riviste fatte interamente con artisti di colore. Nel 1926 vengono in Europa per qualche mese. Eubie Blake scrive ancora per la scena (Blackbirds Of 1930 con Ethel Waters e Buck And Bubbles, Swing

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BLAKE

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It, 1937) e ritrova Sissle con il quale si esibisce durante la seconda guerra mondiale per le truppe. A partire dagli anni ’50 rallenta le sue attivita`, ma appare regolarmente in concerto e nei festival: New Orleans (1969), California del sud (1971), Newport (1971), Montreux (1974), Nizza (1974, 1978). Fino alla fine – muore centenario – ha mantenuto la tradizione del ragtime che non ha mai smesso di suonare dall’inizio del secolo, infiorando le sue interpretazioni di confidenze musicali deliziose sulla sua carriera e i suoi confratelli. E` il compositore di I’m Just Wild About Harry (1921), Memories Of You, You’re Lucky [A.C.] To Me (1930). Charleston Rag (1917), The Good Fellow Blues (1921), «The Wizard Of The Ragtime Piano» (1958), «The 86 Years Of Eubie Blake» (1969).

BLAKE, John Violinista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 3/7/1947). Studente alla Settlement Music School, alla West Virginia State University, poi all’Institut d’e´tudes musicales di Montreux (Svizzera), ottiene una borsa di studio per andare a studiare il violino nel sud dell’India e un’altra per lavorare sotto la guida di Zino Francescatti. A Filadelfia, dove ha ricevuto consigli e incoraggiamenti del vibrafonista Bill Lewis, fa parte del New Liberation Unit e, con suo fratello Elliot, del gruppo ‘‘indianeggiante elettronico’’ Lotus. Nel 1972 partecipa a due registrazioni di Archie Shepp: «Attica Blues» e «The Cry Of My People». Avendo scritto un arrangiamento per Grover Washington Jr., e` ingaggiato dal sassofonista. Agli inizi degli anni ’80, lo ritroviamo con altri ex partner di Washington nel gruppo Locksmith. I suoi impegni si moltiplicano: con McCoy Tyner (1979-83), James Newton (1982-85), Cecil McBee, Jay Hoggard, Bobby McFerrin, John Purcell, Wynton Marsalis. Al di fuori di una carriera di solista molto sollecito e di leader,

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nel 1986 partecipa a un trio di violini insieme a Didier Lockwood e Michal Urbaniak. L’eccezionale diversita` del suo background riflette fedelmente la situazione culturale dei musicisti afroamericani della sua generazione: dalle moderne vicissitudini del rhythm and blues ai tentativi e alle tentazioni contemporanee. Il suo completo virtuosismo gli permette di integrarsi in tutti i contesti, virtuosismo peraltro arricchito da un grosso suono dal [P.C.] lirismo piu` romantico che funky. Woman Of Tomorrow (Tyner, 1979); The Crips (Newton, 1982); «Maiden Dance» (1983); Fiddle Funk (con Lockwood e Urbaniak, 1986).

BLAKE, Ran Pianista e compositore statunitense (Springfield, Massachusetts, 20/4/1935). Da bambino a Springfield, poi a Suffield dove la sua famiglia si trasferisce, ascolta i gospel, Barto´k e Stravinskij piu` che il jazz. Studia pianoforte per un anno. Nel 1956 a Hartford studia il jazz al Bard College e conosce Jeanne Lee. Continua i suoi studi per quattro anni alla scuola di Lenox, pur lavorando con Ralph Ellison, LeRoi Jones e Susan Sontag. Collaboratore di Bay State Banner, un giornale per la gente di colore di Roxbury, ha vari impieghi per sopravvivere, mentre studia composizione e improvvisazione con Ray Cassarino, Willis Lawrence James, Oscar Peterson, Bill Russo, Mal Waldron e Mary Lou Williams, e d’estate anche con Gunther Schuller e John Lewis. A partire dal 1957 forma un duo con Jeanne Lee che dura vari anni. Compie una tourne´e europea nel 1963, ma il successo si interrompe negli Stati Uniti. Il duo si scioglie; Blake parte nel 1964 per New York dove lo si ascolta con Edythe Dimond, Barbara Belgrave e alla Town Hall. Dopo un viaggio in Grecia (1967), si stabilisce a Boston dove, aiutato da Gunther Schuller che e` il direttore del New England Conservatory, occupa varie funzioni: insegnante, direttore musicale, direttore di produzione ecc. Nel 1973 prende la direzione del di-

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partimento ‘‘Third Stream’’ di questa istituzione. Lavora contemporaneamente con il suo gruppo, composto dalla cantante Eleni Odoni, da Ricky Ford, dal violoncellista Leon Maleson e dal flautista Stan Strickland. Nel 1975 e` invitato dal pianista Michael Smith a partecipare a una tourne´e europea in compagnia di Paul Bley e Andrew Hill. Da allora si dedica soprattutto all’insegnamento e a qualche tourne´e europea, essenzialmente solo al piano. E` in Europa che ha ricevuto il miglior sostegno discografico, in particolare dalla Owl. Ha suonato anche in duo con Patty Waters, Franc¸ ois Jeanneau, Anthony Braxton, Chris Connor, Jaki Byard. Rivendicando l’influenza di Thelonious Monk e George Russell, ma anche quella di Barto´k, Stravinskij e Charles Ives, si presenta spesso come un interprete della Third Stream. Nel suo approccio musicale contano il suo gusto per le voci (gospellizzanti e non) e per il cinema, specialmente i film con gente di colore, pretesti per improvvisazioni delicate, vere scritture musicali della sceneggiatura. Presta una grande attenzione ai timbri del pianoforte, ai silenzi e contrasti (di registro e di volume) e al tocco dello strumento. [P.B., C.G.] «The Newest Sound Around» (1961), «Wende» (1977), «Portfolio Of Doktor Mabuse» (1984), «Vertigo» (1985), «You Stepped Out Of A Cloud» (con Jeanne Lee, 1989), «That Certain Feeling» (1990), «Duo en noir» (con Enrico Rava, 1999); «Horace Is Blue» (2001), «All That Is Tied» (2006).

BLAKEY, Art (Abdullah Ibn BUHAINA) Batterista statunitense (Pittsburgh, Pennsylvania, 11/10/1919 - New York, 16/10/ 1990). Nel 1939 lascia la miniera e l’acciaieria per entrare nell’orchestra di Fletcher Henderson poi, nel 1940, per accompagnare Mary Lou Williams. Animatore del movimento bebop, Blakey suona con Thelonious Monk sin dagli anni ’40. Ai due musicisti piacera` di tanto in tanto e fino agli inizi degli anni ’70 mescolare le percussioni del piano e quelle della batteria in una poliritmia che presuppone una

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BLAKEY

rara intesa per essere fatta cosı` bene. Nel 1949 suona con Lucky Millinder e, nel 1951-53, nel quartetto di Buddy DeFranco. Dopo i Seventeen Messengers del 1947 (con Miles Davis e Fats Navarro) forma un primo gruppo dei Jazz Messengers nel 1954, al Birdland, per un leggendario concerto che vedeva riuniti Clifford Brown, Lou Donaldson, Horace Silver e Curly Russell. Nel 1955 Silver riprende il nome per un quintetto – con Kenny Dorham, Hank Mobley e Doug Watkins – di cui chiede a Blakey di essere il leader. Questi Jazz Messengers nascono come quintetto, piu` tardi sestetto e divengono uno dei gruppi piu` importanti della storia del jazz, a volte per i talenti che vi erano nascosti, ma soprattutto perche´ e` in seno a questo gruppo che la batteria ha cominciato a farsi conoscere come strumento solista e conduttore. Lo stesso Blakey ha sviluppato una concezione nuova e singolare riguardante la direzione di un complesso. Ha scoperto e incoraggiato Clifford Brown (1954), Lee Morgan (195861, 1964-65), Johnny Griffin (1957), Wayne Shorter (1959-64), Cedar Walton (1961-64), Freddie Hubbard (1961-65), Keith Jarrett (1965), Chuck Mangione (1965-67), Woody Shaw (1973) e, negli ultimi anni, Branford e Wynton Marsalis, poi Terence Blanchard, Wallace Roney. Sempre piu` rare sono le apparizioni di Blakey come sideman o al di fuori dai Messengers. Nel 1987 partecipa con Ray Brown al Magical Trio di James Williams. Alcuni temi dei Jazz Messengers sono divenuti dei classici: Blues March (scritta da Benny Golson), Moanin’ (Bobby Timmons) o Ugetsu (Cedar Walton). Suonando ritmi incrociati o raddoppiati – ha studiato a lungo le percussioni africane – Blakey si guarda bene dal restare troppo in primo piano: «non suonare all’eccesso [overplay] – dice – da` ai solisti una base che permette loro di costruire la linea melodica senza doversi preoccupare di condurvi il resto del gruppo dal punto di vista musicale». Con le sue rullate di ripresa in crescendo, oppure secche e brevi per ridare vigore a un chorus, con i suoi

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BLANCHARD

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bruschi silenzi che sono altrettanti silenzi di concentrazione e di suspence per degli inizi improvvisi, fa in modo che il soffio non si esaurisca anche nelle lunghe frasi, che ogni intervento solista sia condotto a termine e che allo stesso tempo il gruppo ne venga rilanciato e riparta nel modo migliore senza discontinuita` . Riesce, cosı`, a legare tra di loro gli slanci dei solisti alla dinamica del gruppo. [J.Y.L.B.] Bye-Ya (Monk, 1952); Nothing But Soul (1953); «A Night At Birdland» (1954); «Moanin’» (1958); «Au Club Saint-Germain» (1958); Thermo (1962), Recuerdo (1966), «Straight Ahead» (1981); J’s Jam Song (J. Williams, 1987).

BLANCHARD, Terence Trombettista statunitense (New Orleans, Lousiana, 13/3/1962). Suo padre dirigeva una compagnia di assicurazioni ma, di tanto in tanto, cantava l’opera; sua zia era pianista classica e aveva studiato con Ellis Marsalis. A cinque anni prende le sue prime lezioni di piano classico (le continuera` fino a diciotto anni) e a otto anni riceve la sua prima tromba, che considerera` seriamente solo all’eta` di quattordici anni, quando si iscrive al New Orleans Center For The Creative Arts. Con Ellis Marsalis studia teoria e storia del jazz e scopre Miles Davis e Clifford Brown. Suona nella New Orleans Civic Orchestra, prima di andare a New York nel 1980 per studiare la tromba classica alla Rutgers University (New Brunswick). Alloggia presso il direttore del dipartimento di jazz, Paul Jeffrey, l’ultimo sassofonista tenore di Monk che, in quel momento, lavora nell’orchestra di Lionel Hampton e lo fa ingaggiare; negli anni 1980-82 si dividera` tra la Rutgers e la big band di Hampton. Il suo amico d’infanzia Wynton Marsalis lo raccomanda ad Art Blakey nel 1982, quando lascia i Messengers. Supera brillantemente l’audizione e parte subito dopo una serie di tourne´e con i nuovi Jazz Messengers tra cui Jean Toussaint e Donald Harrison. Assume molto presto la direzione musicale dell’orchestra fino al 1986. Sull’esempio dei fratelli Marsalis, nel 1983 forma un quintetto con Harrison.

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Suona nel quartetto di Larry Willis, pur mantenendo il suo posto nei Messengers. Lo lascia nel 1986 per dedicarsi di piu` all’orchestra di cui e` codirettore insieme a Harrison. Miles Davis ha detto di lui che e` il piu` brillante dei nuovi trombettisti, e il suo stile e` vicino a quello di Wynton Marsalis, dove l’articolazione e` meno facile e l’esecuzione legata: tutto cio` lo pone sullo stesso piano di Kenny Dorham e Woody Shaw. Il suo fraseggio e` sicuro e tranquillo: nessuna urgenza squillante. Piuttosto, un sentimento costante di riserva del suono che da` luogo a un’esecuzione distesa, che prende il suo tempo, in cui ogni nota e` scolpita e modulata con qualcosa di spirituale fino all’estinzione. Cio` produce una sonorita` (sulla linea di Marsalis e di altri giovani virtuosi degli anni ’80) molto chiara, ben calibrata e controllata, con solennita` degne del conservatorio. La sua recente produzione mostra un ritorno alle strutture di musica africana («Nascence»), come sottolineano i titoli a risonanza politica (Sudafrica, Alabama). E` uno stimato autore di colonne sonore, in particolare per Spike Lee. [P.B., C.G.]

Oliver’s Twist (1983), When I Fall in Love (1984); con Blakey: Tenderly (1984), «Blue Night» (1985); «Crystal Stair» (1987); «Simply Stated» (1992); «Jazz in Film» (1999), «Bounce» (2003).

BLANK, Roger Batterista e percussionista statunitense (New York, 19/12/1938). Proveniente da una famiglia di musicisti (Willie, suo padre, fu trombettista nell’orchestra di Cootie Williams), studia con Charlie Persip. Arrivato a New York, abita con John Hicks e Charles Tolliver nel Lower East Side. Gli capita di accompagnare Ornette Coleman, John Coltrane, Don Cherry, Charles Greenlee. In seguito alla raccomandazione di Ronnie Boykins, nel 1964 entra nell’Arkestra di Sun Ra. Ed Blackwell diventa uno dei suoi amici e subisce un’influenza che non rinneghera` mai. Dal 1965 fa parte del quartetto di Walt Dickerson, collabora con Archie Shepp – ac-

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canto al sassofonista partecipa a un concerto organizzato da LeRoy Jones a beneficio della Black Arts Repertory Theatre School – poi con Pharoah Sanders, LeRoy Jenkins e Jimmy Lyons. Con Ahmed Abdullah e Boykins forma il Melodic Art-tet. Ha registrato con Andrew Hill, Bill Barron, Roland Alexander, John Hicks, il trombettista Earl Cross. Percussionista eclettico (polivalenza comune a molti fedeli di Sun Ra), dal bebop agli effetti ‘‘contemporanei’’, si distingue per un buon suono di piatti, vivo e vario, e [P.C.] un’estrema diversita` di timbri. Con Sun Ra: The Magic City (1960), Cosmic Chaos (1965); Hambone (Shepp, 1965).

BLANTON, Jimmy (James) Contrabbassista statunitense (Chattanooga, Tennessee, 5/10/1918 - Los Angeles, California, 30/7/1942). E` il musicista senza il quale il contrabbasso non sarebbe quello che e`. Sua madre, pianista, dirigeva la propria orchestra nel Tennessee. Molto presto gli fa imparare il violino, poi la teoria musicale con uno dei suoi zii. Tuttavia e` durante i suoi anni scolastici nel Tennessee State College che studia il contrabbasso e che suona nelle orchestre locali, oltre che in quella del college. Entra nell’orchestra di Fate Marable che suona sui battelli, abbandona gli studi e va a St Louis dove e` ingaggiato nella formazione Jeter-Pillars alla fine del 1937. Nell’autunno del 1939 Duke Ellington, di passaggio a St Louis, lo scopre al Coronado Hotel Ballroom e lo ingaggia immediatamente. Divide l’incarico di contrabbassista dell’orchestra con Billy Taylor. Colpito dalla tubercolosi, e` ricoverato a Los Angeles alla fine del 1941. Trascorre gli ultimi mesi della sua vita al Duarte Sanatorium, vicino a Los Angeles. Jimmy Blanton sta al contrabbasso come Coleman Hawkins sta al sassofono tenore: e` colui che valorizzo` lo strumento facendolo entrare nell’eta` adulta. Prima di lui, anche se John Kirby sembra aver mostrato il cammino, il contrabbasso assicurava solo un ruolo ritmico e armonico.

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BLEY

Blanton ne seppe fare uno strumento d’improvvisazione melodica. Da Oscar Pettiford a Scott LaFaro, passando da Charles Mingus, tutti i grandi bassisti sono gli eredi di questo nuovo linguaggio. Accompagnatore nell’orchestra di Ellington, Blanton era onnipresente, si fondeva con il gruppo per meglio emergervi quando sentiva il bisogno di stimolare un solista o una sezione. La pienezza della sua sonorita`, la potenza del suo attacco, la ricchezza melodica dei suoi assolo, lo swing che genera la sua esecuzione soffice e virile ne fanno un musicista di alta [A.C.] qualita`. Con Ellington: Blues, Plucked Again (1939), Jack The Bear, Conga Brava, Bojangles, Harlem Air Shaft, Pitter Panther Patter, Sophisticated Lady, Mr. J.B. Blues, Jumpin’ Pumpkin (1940), John Hardy’s Wife (1941); Charlie The Chulo (Barney Bigard, 1940); Squatty Roo (Johnny Hodges, 1941); Subtle Slough (Rex Stewart, 1941).

BLEY, Carla (Carla BORG) Compositrice, cantante, sassofonista, tastierista e arrangiatrice statunitense (Oakland, California, 11/5/1938). Suo padre, insegnante di pianoforte, organista e maestro del coro alla chiesa locale, la spinge a suonare il pianoforte e a cantare. Interrotti gli studi secondari a quindici anni, lascia la famiglia e sopravvive vendendo partiture. Poi suona e fa arrangiamenti per conto di un cantante folk e lavora nei piano-bar. Incontra un ragazzo con il quale va a New York dove trova un impiego come venditrice di sigarette in un club di jazz. Lı` incontra Paul Bley che sposa nel 1957. Dal 1959 le sue composizioni piacciono a molti musicisti – Bley, ma anche Jimmy Giuffre, George Russell, Art Farmer – mentre lavora come costumista in un teatro. Si dedichera` totalmente alla musica dal 1964. In quell’anno lavora con Charles Moffet, Alan Shorter e Pharoah Sanders al Porpoise Club di New York e aderisce al Jazz Composer’s Guild creato da Bill Dixon. Insieme a Michael Mantler diventa codirettrice di fila della Jazz Composer’s Orchestra Association.

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BLEY

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Nel 1965 va nei Paesi Bassi, da` vari concerti con la JCOA poi, verso la fine dell’anno, ritorna in Europa per concerti, film, radio e televisione in Germania e in Italia. Incontra Peter Bro¨tzmann e forma un quintetto con Mantler, Steve Lacy, Kent Carter e Aldo Romano: Jazz Realities. Nel 1966 suona con Bro¨tzmann e Peter Kowald. L’anno seguente si dedica a scrivere A Genuine Tong Funeral, pezzo ordinato e registrato da Gary Burton. Dopo aver lasciato Paul Bley, sposa Mantler e, tra il 1968 e il 1972, prepara Escalator Over The Hill su un libretto di Paul Haines, pur collaborando con Charlie Haden e la Liberation Music Orchestra, di cui firma vari arrangiamenti. Nel 1973 crea con Mantler la casa discografica Watt, che servira` alla loro produzione prima di aprirsi ad altri musicisti. Una nuova opera, 3/4, e` interpretata in pubblico nel marzo 1974 all’Alice Tully Hall di New York da Keith Jarrett. Nel 1974-75 e` in Europa nel gruppo di Jack Bruce, in cui suona le tastiere. Poi si esibisce regolarmente a capo di medie formazioni che, oltre ad avere tromba e ance, hanno quasi sempre un corno e una tuba. Nel 1985 e` in Europa a capo dell’Europamerican Big Band, composta essenzialmente da musicisti della Vienna Art Orchestra ai quali si sono aggiunti i membri della sua formazione abituale: Hiram Bullock, Larry Willis (pf), Steve Swallow, Victor Lewis (batt) e Tom Nicolaus (perc). Dietro richiesta di Jack Bruce compone una mini opera, Under The Volcano, dal romanzo di Malcolm Lowry, rappresentata in occasione del New Music American Festival del 1985 a Los Angeles. Da allora ha fatto varie tourne´e in Europa con il suo gruppo, dove ritroviamo Steve Swallow. La musica di Carla Bley, compositrice e arrangiatrice, non e` immutabile. Dopo la scissione – la tabula rasa del periodo free – arriva la svolta di A Genuine Tong Funeral che rappresenta un periodo di ricostruzione: mosaico abile di musica latinoamericana, di blues, di rock e di una certa musica europea, in particolare Kurt Weill, citato frequentemente quando si parla di lei... Dopo la liquidazione/assimilazione

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del blues di «Dinner Music» e l’integrazione della latinita` con «Social Studies», la sua collaborazione con Steve Swallow coincide con il declino dell’influenza weilliana e l’accresciuta elettrificazione del gruppo (scomparsa degli ottoni, spazio per il chitarrista Hiram Bullock, sintetizzatori) permette una manipolazione piu` semplice delle masse sonore. La canzonatura e l’ironia un tempo integrate alla sua musica sono relegate ai titoli. Le linee non sono quasi piu` spezzate, gli unisoni che puntualizzavano frequentemente uno sviluppo contraddittorio lasciano posto alla spianatura degli interventi. Alla maniera di un Gil Evans o di un Duke Ellington, Carla Bley dirige la sua orchestra dalle sue tastiere, utilizzando spesso delle note lunghe e limitando i suoi interventi a esposizioni relativamente brevi. Bisogna sottolineare anche il suo ruolo di leader: ha saputo catalizzare e condurre a maturazione un gran numero di talenti. [P.B., C.G.]

Closer (1966); The Interlude (Drinking Music) (Haden, 1970); «Escalator Over The Hill» (1968-71), Funnybird Song (1974), And Now The Queen (1977), Jesus Maria (1978), Floater (1981); India Song (Kip Hanrahan, 1981); Wildlife (1985), The Girl Who Cried Champagne (1987); «Songs with Legs» (1994), «...Goes to Church» (1996), «Fancy Chamber Music» (1996), «Are We There Yet?» (duo con Steve Swallow, 1999), «4x4» (2000), «Looking for America» (2003), «The Lost Chords» (2004), «The Lost Chords Find Paolo Fresu» (2007).

BLEY, Paul Pianista e compositore canadese (Montreal, 10/11/1932). Dopo gli studi di violino iniziati a cinque anni, a otto anni si interessa al pianoforte e ottiene a undici il suo diploma al McGill Conservatory. Dirige poi l’orchestra del suo liceo, forma un quartetto (1945), suona regolarmente a Montreal. Fervente ammiratore di Oscar Peterson, gli succede nei club dopo la sua partenza per gli Stati Uniti, sostituendolo con la sua ritmica (1949). Nel 1950 va a New York, si iscrive alla Juilliard School

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(composizione e direzione d’orchestra). Il primo disco nel 1953 e` sostenuto da Charles Mingus e Art Blakey. Nel 195558 sta principalmente in California, suona con Chet Baker, forma un trio (con Charlie Haden e Billy Higgins) che nel 1958 includera` anche Ornette Coleman e Don Cherry; anche Scott LaFaro sara` contattato. A New York, nel 1959, Bley diventa membro dell’orchestra di Mingus e sotto la sua direzione nel 1960 registra per la Candid con Eric Dolphy; partecipa allo spettacolo Jazz In The Space Age di George Russell, dialogandovi con Bill Evans; raggiunge poi Steve Swallow e Jimmy Giuffre per un’esperienza decisiva in trio (1961-62). Incrocia Gary Peacock in un altro trio d’avanguardia, quello di Don Ellis (1962), poi lavora con Sonny Rollins (1963-64) che assiste nello storico faccia a faccia con Coleman Hawkins (Sonny Meets Hawk). Il 1964 vede la separazione da Carla Bley, sposata nel 1957 (per lungo tempo lei restera` la sua compositrice prediletta) ma anche la sua collaborazione alla fondazione del Jazz Composer’s Guild di Bill Dixon (e` uno dei rari bianchi di questa cooperativa di giovani musicisti libertari, e si trova implicato, accanto a Cecil Taylor, Dixon, Archie Shepp ecc., nella ‘‘rivoluzione d’ottobre’’ del 1964, movimento del free jazz). Nel 1968 Bley comincia a interessarsi ai sintetizzatori, dedicandovisi essenzialmente dal 1969 al 1972 (epoca del Synthetiser Show concepito con la pianista cantante Annette Peacock) e trascurando per un po’ la formula del trio acustico piano-basso-batteria cui e` stato sempre affezionato e che aveva portato ad alti livelli di originalita` fin dal 1962 (con i bassisti Steve Swallow, Gary Peacock, Mark Levinson, Kent Carter, Dave Holland, Jesper Lundgaard, i batteristi Pete LaRoca, Paul Motian, Barry Altschul, Billy Elgart, Billy Hart). La sua attivita` si organizzera`, dopo l’abbandono degli strumenti elettronici, principalmente intorno all’assolo di piano, di cui diventa uno dei primi specialisti. Nel 1974 fonda la casa discografica IAI (Improvising Artists In-

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BLINDFOLD TEST

corporated). Nella seconda meta` degli anni ’80 lavora anche in quartetto con John Surman, Bill Frisell e Paul Motian. Nella musica di Paul Bley non esistono tempeste: e` il culmine dell’interiorita`, allusiva e sempre dubbiosa, avida di rimesse in causa e di aperture al silenzio dove riprende a seguire la legge dell’implosione. Ma la sua musica e` anche canto, senza contraddizioni, con il suo riserbo, glissando da spiagge solitarie di un piano molto vocalizzato e calamitato dalla linea melodica, cellule ritmate dalla fisica del respiro, a degli scambi in cui contrabbasso e batteria sono invitati a tenere nei loro interventi lo stesso livello di intensita` di parola, come in contatto con una circolazione lirica che si elettrizza col dissolvimento posto come principio, la collocazione delle diverse voci nella sospensione e nella concentrazione, lo svuotamento di ciascuno. Paul Bley puo` essere considerato, a pari merito di Bill Evans, come l’inventore del trio del piano moderno: privilegiando, in questa struttura, il dialogo a tre e l’intreccio degli affetti, piuttosto che l’idea dell’accompagnamento. Ma la sua inclinazione a superare il quadro armonico autorizza i suoi gruppi a una scioltezza maggiore, a un’inafferrabilita` vera delle linee e dei passaggi di cui i suoi assolo sono, letteralmente, la quintes[C.T.] senza. «Introducing Paul Bley» (1953); Chromatic Universe (Russell, 1960); con Giuffre: Trudgin’ (1961), Ictus (1961); Angel Eyes (Ellis, 1962); Syndrome (1963), Ida Lupino (1965), Butterflies (1967), Open, To Love (1972), Tears (1983), Triste (1987), «Not Two Not One» (1992), «Solo in Mondsee» (2007).

Blindfold test (letter. ‘‘prova a occhi bendati’’) Un gioco, o piuttosto un rito, che consiste nell’identificare dei musicisti alla sola audizione di una registrazione. Divertimento molto apprezzato dagli amatori di jazz, il blindfold test e` un modo di far commentare – ed eventualmente riconoscere da un musicista, senza pregiudizi o idee preconcette («un modo di provocare

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BLOCK CHORDS

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una reazione onesta alla musica» precisa Leonard Feather) – le opere registrate dai colleghi, o addirittura le proprie. Feather fu il primo – nella rivista Metronome nel 1946, poi in Down Beat a partire dal 1951 – a pubblicare i discorsi dei musicisti riuniti nei blindfold test. [P.C.] Block chords, block chord style (letter. ‘‘blocco di accordi’’, ‘‘accordi raggruppati’’) Modo di suonare il piano e l’organo chiamato anche locked hands style, inventato dal pianista Milt Buckner agli inizi degli anni ’40. Questa tecnica permette di migliorare la potenza e la chiarezza dello strumento e di ottenere l’efficacia di una sezione di sassofoni o di trombe poiche´ si traspone in qualche modo al piano il sistema di scrittura a 4 voci di queste sezioni. Il concetto di base, semplice, consiste nell’armonizzare una melodia a 4 voci (in accordi chiusi) con la mano destra, e a raddoppiare la melodia un’ottava sotto con la mano sinistra; le due mani si spostano come se fossero prese nelle manette (locked hands). Ci sono naturalmente altre varianti possibili e questa tecnica e` diventata parte integrante di tutti gli stili del piano e dell’organo moderni. Se Milt Buckner e Andre´ Persiani sono i due specialisti di questo stile, senza dimenticare lo stupefacente Herman Foster, pianisti come Nat King Cole, Erroll Garner, George Shearing, Oscar Peterson, Lennie Tristano, Jimmy Jones, Red Garland, Bobby Timmons, Phineas Newborn ne fanno un uso frequente. f anche Piano. [Ph.B.] BLOOM, Jane Ira Sassofonista (soprano e alto) e flautista statunitense (Boston, Massachusetts, 12/ 1/1955). Scopre il jazz grazie a sua madre che colleziona i dischi di Ella Fitzgerald e di Duke Ellington. A quattro anni riceve le sue prime lezioni di piano. Il suo gusto per la musica la conduce alla Berklee School, dove studia il sax alto, poi il soprano e il tenore con Joe Viola. Scopre Charlie Parker, Sonny Rollins, Miles Da-

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vis, Booker Little, poi Sidney Bechet, John Coltrane, Steve Lacy, Phil Woods, pur amando alcuni cantanti, da Frank Sinatra a Sheila Jordan ad Abbey Lincoln. Prepara poi una specializzazione a Yale dove incontra il bassista Kent McLagan. Entrambi elaborano una musica per duo, il cui risultato, registrato nel 1978, sara` riportato nel primo disco prodotto dalla Bloom col proprio nome (Outline Records). A New York, dove vive dal 1977, ha come maestro George Coleman. Parallelamente si esibisce con gli Aerial, complesso esclusivamente femminile. Lavora con la cantante Jay Clayton e, in occasione del secondo New York Salute To Women In Jazz nel 1979, compone per un’orchestra di tredici musicisti un’opera rappresentata al Village Gate. In seguito incontra Sheila Jordan nel suo quartetto (Harvie Swartz, Steve Kuhn e Bob Moses), quindi il debutto di una collaborazione (fondamentale e non ancora interrotta) con David Friedman, con il quale registra nel 1980 «Second Wind», il suo secondo disco. Nel 1981 suona in Europa con Daniel Humair; e` in duo anche con il bassista Ratzo Harris. Dal 1983 la sua musica si indirizza verso l’elettronica utilizzando i sintetizzatori. Nel 1985 firma un contratto con la CBS, poi ritorna in Europa con Billy Hart. Su uno strumento, quale il sax soprano, ritenuto difficile, da` prova di grande precisione: un suono molto chiaro, molta spigliatezza, una grande finezza di fraseggio caratterizzano il suo stile, che si e` allontanato dalle prime influenze, Sonny Rollins e Ornette Coleman. [P.B., C.G.] «We Are» (1978); I’ve Got Rhythm But No Melody (Humair, 1981); «Mighty Lights» (1983), «Modern Drama» (1987), «Like Silver, Like Song» (2004), «Mental Weather» (2008).

Blow (letter. ‘‘soffiare’’) Originariamente, suonare uno strumento a fiato; il termine si e` poi esteso a tutti gli strumenti; blow your piano: ‘‘suona il tuo pianoforte’’. Significa anche improvvisare. Una ‘‘blowing session’’ e` uno spettacolo nel quale i mu-

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sicisti suonano un jazz piu` improvvisato che scritto. To blow someone down (oppure blow off o blow out) significa schiacciare qualcuno musicalmente; He blows anyone down: ‘‘sotterra chiunque’’ (sottinteso, con il suo strumento). Qualche titolo celebre: Blow Mr Dexter, Blow Gabriel Blow. [Ph.B.] Blowing changes f Griglia. BLUE, Bill (William) Clarinettista e sassofonista statunitense (Cape Girardeau, Missouri, 31/1/1902 New York, 1948). Suo padre insegnava musica a St Louis. Suona nell’orchestra di Charlie Creath nel 1924-25. Alla fine del 1925 accompagna Dewey Jackson a New Orleans. Nel 1927 e` a New York con la Andy Preer’s Cotton Club Orchestra. Gira in Europa con Noble Sissle (1928) e soggiorna a Parigi nell’autunno 1928. Raggiunge i Missourians a New York e nel 1930 passa nell’orchestra di Luis Russell. I Missourians diventano l’orchestra di Cab Calloway nella quale resta fino al 1931, ritornandoci nel 1935. Era di salute delicata e passo` il resto della sua vita in un sanatorio di New York. Questo musicista poco conosciuto e` tuttavia – come testimoniato dai suoi dischi e dalle dichiarazioni di altri musicisti dell’epoca, Gene Sedric o Benny Waters – uno dei solisti piu` brillanti della fine degli anni ’20. Al clarinetto come al sax alto, il suo stile molto originale combina swing, virtuosismo, allegria e fraseggio esuberante. [M.R.]

Con i Missourians: I’ve Got Someone, Vine Street Drag (1929), 400 Hop, Swingin’ Dem Cats (1930); Capitol Blues (D. Jackson, 1926); Everybody Shout (Henry Red Allen, 1930); Happy Feet (Calloway, 1930).

Blue note L’abbassamento di mezzo tono della terza, della settima ed eventualmente della quinta di una scala maggiore diato-

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BLUE NOTE

nica forma le tre blue notes caratteristiche del blues. Se le tre note sono in bemolle per comodita` di scrittura, questa riesce solo a rendere un’approssimazione delle note; l’interprete allora (cantante o strumentista) ‘‘spreme’’ queste blue notes instabili con l’aiuto di inflessioni e di glissando diversi. Molti autori non segnalano la terza blue note (quinta diminuita), almeno nel periodo classico. Tuttavia grandi specialisti di blues vecchio stile come Bubber Miley la usano frequentemente (Black And Tan Fantasy, Ellington, 1927). La teoria piu` tradizionale per spiegare le prime due blue notes afferma che, poiche´ le scale pentatoniche africane non avevano i semitoni, gli schiavi deportati in America, disturbati dalla scala maggiore diatonica che ha due semitoni (uno tra il terzo e il quarto grado, l’altro tra il settimo e l’ottavo grado), hanno abbassato il terzo e il settimo grado per ritrovare gli intervalli ai quali erano abituati. Originariamente parti integranti del canto nero (work songs, spirituals, blues), le blue notes saranno trascritte sui vari strumenti. Tutti gli osservatori del XIX secolo che si sono interessati ai canti dei neri li hanno percepiti in minore, a causa della trama melodica che voleva la blue note resa minore dal terzo grado, anche in un brano in maggiore. Questo schema musicale, sconosciuto nella musica occidentale, sfidava un’analisi spesso troppo sommaria del canto nero americano. Il confronto esplosivo tra l’armonia europea e le blue notes melodiche di origine africana dara` luogo a un compromesso stupefacente, generando il famoso colore bluesy, apporto importante nella musica del XX secolo, che incuriosira` Ravel, Milhaud, Stravinskij senza tuttavia permettere a questi autori di integrarlo in maniera soddisfacente nelle loro opere. Nel blues, l’accordo maggiore del primo grado puo` prendere una settima minore a causa della blue note del settimo grado integrata all’armonia; quest’accordo e` detto pseudodominante o di settima naturale. In modo analogo, la blue note del terzo grado, integrata a un accordo di quarto grado, lo trasforma in accordo di

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pseudodominante. Esempio in do: i 3 primi accordi del blues sono do (I grado), fa (IV grado), e sol7 (V grado o dominante); con l’aggiunta di una settima minore agli accordi I e IV avremo do7, fa7 e sol7. Questi accordi, come le blue notes, tipici del blues, possono naturalmente essere usati all’interno di qualsiasi standard al quale si voglia dare un colore bluesy. E` interessante constatare che le blue notes si usano anche sugli accordi minori, con un’importanza maggiore della prima blue note (3ª minore) sulla terza (5ª diminuita). f anche Blues (2) – Scala del blues. [Ph.B.] Blue Note Nome di molti jazz club negli Stati Uniti (Chicago, New York) e in Europa. Tra i piu` celebri, quello di Filadelfia che vide Charlie Parker nel 1954, e quello di Parigi (27, rue d’Artois) che dal 1958 al 1968 presento` sotto l’egida di Ben Benjamin i migliori musicisti e cantanti moderni (Sarah Vaughan, Bud Powell, Kenny Clarke, Stan Getz, Dexter Gordon, Chet Baker...). Ricostruito, servı` come scenario principale per ’Round Midnight, il film di Bertrand Tavernier. A New York (131 West e 3ª Strada) esiste un nuovo Blue Note degli [P.C.] anni ’80. Blue Note Casa discografica statunitense, il cui ruolo e` fondamentale nella storia del jazz. Fu fondata il 6 gennaio 1939 a New York da un giovane immigrato berlinese, Alfred Lion. Dopo il celebre concerto Spirituals To Swing del 23 dicembre 1938 alla Carnegie Hall, Lion decide di registrare Albert Ammons e Meade Lux Lewis. Nel suo entusiasmo lascia loro tanta di quella liberta` e di tempo nell’improvvisazione che deve ricorrere a un disco da 30 cm (fino allora riservato alla musica classica). L’accoglienza favorevole della critica gli porta qualche ordinazione. Per la sua seconda seduta, il 7 aprile 1939, nell’idea di conservare tutto il carattere della musica del gruppo riu-

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nito sotto il nome di Port Of Harlem Six, Lion organizza una registrazione alle 4:30 di mattina, cosa mai fatta prima. Due mesi dopo fa registrare Sidney Bechet, il cui ruolo sara` determinante nel successo commerciale della casa discografica. Nell’autunno 1939, Francis Wolff, amico d’infanzia di Lion, arriva negli Stati Uniti e si associa con lui per sviluppare la casa discografica Blue Note. Pubblicano Earl Hines al piano solo e il Celeste Quartet di Edmond Hall, con Charlie Christian, Meade Lux Lewis alla celesta e Israel Crosby. Pur aprendo il loro catalogo alle varie correnti del jazz, Lion e Wolff hanno la reputazione di registrare solo cio` che e` di loro gusto. Nel 1941 Lion e` sotto le armi e i due soci sospendono le attivita` della Blue Note. Due anni piu` tardi la casa discografica riprende il lavoro. Con il declino delle big band, i solisti delle grandi formazioni costituiscono degli swingtets (molto spesso tre fiati e quattro membri della sezione ritmica). La Blue Note si interessa al fenomeno: verso la meta` del 1944 appare il primo disco con Ike Quebec; seguono Tiny Grimes, John Hardee, Jimmy Hamilton, Benny Morton. L’attivita` della casa discografica rallenta un po’ (eccetto due incisioni con Babs Gonzales). Il jazz si trasforma e si impone il bebop. Quebec, divenuto amico e consigliere di Lion e Wolff, fa scoprire loro Bud Powell, Tadd Dameron e Fats Navarro, ma anche Art Blakey, James Moody, Horace Silver, Lou Donaldson, Clifford Brown, Wynton Kelly, Elmo Hope, Kenny Drew, Tal Farlow, Kenny Burrell... ai quali da` la possibilita` di registrare i loro primi dischi. Accordano il loro sostegno a Thelonious Monk e si ostinano a registrarlo malgrado la critica sfavorevole e le cattive vendite... fino al 1952. Altri grandi nomi registrano per la casa discografica: Kenny Dorham, George Wallington, Milt Jackson, Miles Davis, Thad Jones, Sonny Rollins, Herbie Nichols. Nell’ottobre 1953 alla squadra si unisce anche Rudy Van Gelder, che ha aperto uno studio di registrazione nel salotto di casa. Diventera` l’artefice del ‘‘suono Blue Note’’, anche e soprattutto

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quando si trasferira` in uno studio vero e proprio, a Englewood Cliffs. Dal 1954 la casa discografica ha registrato e riunito tanti musicisti da poter incrociare i gruppi, mescolarli, disimpegnarne i leader, addirittura creare dei gruppi ex novo: i Jazz Messengers sono nati, per esempio, da un gruppo organizzato attorno a Horace Silver. Nel 1956 e` la scoperta di Jimmy Smith. Nello stesso tempo il grafico Reid Miles entra nella casa discografica. Dal 1959 fino alla sua morte, avvenuta nel 1963, Ike Quebec e` direttore musicale e A&R man. E` sostituito da Duke Pearson (fino al 1971, data della morte di Wolff). Entrano nel catalogo Herbie Hancock, Wayne Shorter, Bobby Hutcherson, Joe Henderson. La Blue Note apre le porte all’avanguardia del momento: dopo Grachan Moncur III e Tony Williams, arrivano Sam Rivers, Larry Young, Andrew Hill, Cecil Taylor, Eric Dolphy, Ornette Coleman. Nel 1966 la Liberty Records acquista la Blue Note, ma Lion ne resta a capo fino al 1967, quando problemi di salute lo obbligano a ritirarsi. Wolff e Pearson dirigono la produzione, ma la magia sembra essere scomparsa. Contribuisce senza dubbio la nuova concezione grafica imposta dalla Liberty. Wolff muore nel 1971, Lion il 2 febbraio 1987 (a Rancho Bernardo, California). La Blue Note si indirizza verso la fusion e la casa discografica, a partire dal 1975, sopravvive grazie a un programma di riedizioni curato da Charlie Lourie e Michael Cuscuna. Nel 1981 etichette giapponesi come King e Toshiba pubblicano di nuovo una buona parte del catalogo, mentre in Francia ci si adopera nella stessa direzione. Il 22 febbraio 1985 l’etichetta Blue Note e` rilanciata in occasione di una grande serata alla Town Hall di New York, con la partecipazione di una trentina di grandi del jazz. Fra i nuovi autori della Blue Note ci sono James Newton, Bennie Wallace, Michel Petrucciani o Stanley Jordan, ma anche Kenny Burrell, Grover Washington, Stanley Turrentine. Oggi la Blue Note, nelle mani della multinazionale EMI, continua a ristampare in CD il suo ricchissimo catalogo, ed e` rimasta tra le

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poche majors a investire sui giovani e meno giovani talenti del jazz (Joe Lovano, Greg Osby, Jason Moran, Robert Glasper ecc.), grazie anche all’enorme successo commerciale di una cantante [P.B., C.G.] non jazz come Norah Jones. Blues 1. Definizioni Alle origini, le radici del blues affondano nei canti, nelle musiche e nelle danze delle terre africane razziate dai mercanti di schiavi. Allontanati dal loro contesto e dalla loro funzione socio-culturale, svuotati dai loro rituali, in genere proibiti, sono rimasti solo nella memoria degli schiavi e nel loro inconscio. A contatto col nuovo continente, si sono mescolati e trasmessi ai suoni, ai canti, alle danze e alle musiche delle terre americane: inglese, francese, tedesco, ninnananne, filastrocche, inni, canzoni e ballads, gavotte, valzer, quadriglie o polke, opere classiche e popolari del repertorio orchestrale europeo. Il blues emerge da questo insieme eterogeneo in una composizione di cui non e` possibile rintracciare la genesi, ma la cui cristallizzazione segna l’iscrizione del nero nella sua nuova societa`. Essere trattati come un ‘‘capitale’’ da sfruttare a livello operaio o agricolo e non come esseri umani non impedisce ai neri di appartenere a questo secolo, alla sua cultura e ai suoi valori, la cui cornice definisce lo spazio entro cui possono sperare di cambiare posizione sociale: e la musica ne e` un mezzo. Questa inizia a prendere forma: con i canti del lavoro, le grida e i richiami che ritmano il lavoro nei campi o nei cantieri, con le melopee, coi gorgheggi delle piccole arie citate da Thomas Jefferson nelle sue Note sulla Virginia e che descrivono la vita dei neri; con il violino che distrae e fa danzare i padroni e che, unito al banjo e ai pezzi di legno o di osso che sostituiscono i tamburi proibiti dal ‘‘codice nero’’, incanta anche gli schiavi. Appaiono cosı` i Minstrel Shows, dapprima bianchi con il viso scurito (6 febbraio 1843), poi neri (Georgia Minstrel, 1865) e infine, grazie alla chiesa e

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all’evangelizzazione, gli spiritual, la cui prima manifestazione organizzata sara` la tourne´e dei Fisk University Jubilee Singers il 6 ottobre 1871; infine il jazz e poi il blues, nato senza dubbio tra il 1865 e il 1870, cioe` dopo la guerra di Secessione, dopo l’abolizione della schiavitu`. Discendendo dall’arte del griot (poetamusicista), del narratore africano, ed evocando la figura del trovatore provenzale del XII e XIII secolo, il blues e` la` non appena il nero parla a se stesso, ma non poteva trovare la sua identita` e il suo spazio se non partendo dall’identita` dei suoi inventori. Da schiavo, il nero e` senza nome, non appartiene a se stesso; da uomo libero, anche se la sua condizione non e` delle migliori, puo` cantare dicendo ‘‘io’’ che non obbliga il ‘‘noi’’ anche se lo invoca, cantante che esprime un gruppo di cui e` al tempo stesso l’espressione. Cosı` puo` raccontare la sua storia e la storia del suo popolo, creare miti e poemi, dire cio` che vive, pene e gioie, ed esaltare l’amore – per una donna come per la sua lingua – amore avido da cui dipende lo humour; perche´ il blues, partorito nel dolore, non puo` esistere che nella liberta` dell’individuo. L’origine della parola in se´ e` incerta (to be blue, ‘‘vedere tutto nero’’, o blue devils, folletti venuti da una ballad irlandese) e lontana (inizio XIX secolo) mentre le sue accezioni sono varie e intrecciate: ne citiamo otto. 1. Il blues e` una sensazione, un sentimento intimo in genere tradotto con malinconia alla quale corrisponde lo spleen dei poeti (Vigny, Baudelaire). 2. Il blues e` un termine generico che caratterizza e comprende una forma fondamentale della musica nera americana, definita da certi criteri musicali, melodici, storici, sociologici, tematici... che la contengono, ma che essa non cessa di superare. Quindi la sua data di nascita ufficiale corrisponde alla registrazione – da parte di Mamie Smith a New York per Okeh, il 14 febbraio 1920, – di un disco intitolato Crazy Blues, le cui correlazioni con la musica del delta del Mississippi non sono che struttura.

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3. Il blues e` una struttura musicale di 12 misure composta da 3 frasi di 4 misure che si organizzano intorno a 3 accordi (tonica, sottodominante e dominante) alternando la voce e lo strumento secondo uno schema AAB segnato dall’alterazione del terzo e settimo grado della scala diatonica (blue note) la cui origine e` spesso riportata alle scale pentatoniche africane. Ma questo modo rigido, oltre al fatto che il suo rigore genera una grande tensione, ha eccezioni: blues di 8 o 16 misure, con musicisti che seguono la propria metrica o scelgono altrimenti la loro progressione di accordi, ma soprattutto trovano la loro maniera di interpretarla, imponendo il proprio ritmo, la propria inventiva, i propri sentimenti e il proprio affetto a una melodia che conta meno delle parole cui fa da sfondo. 4. Il blues e` un testo impregnato della storia di un popolo, delle sue leggende (John Henry, Stack-o-lee) e della sua vita quotidiana, delle sue memorie e dei suoi oblii, dei suoi piaceri e delle sue malinconie e che contiene tutto di questo popolo, dallo spirituale al triviale, dall’osceno al sublime, insieme di uomini semplici e buoni, furfanti matricolati, pastori, cantanti, narratori, danzatori, musicisti che hanno formato una tradizione orale di cui hanno assicurato la trasmissione con un’improvvisazione costante. 5. Il blues e` una domanda infinita con la quale l’uomo interroga se stesso in uno stato d’animo, di spirito e di humour che creano il dubbio di se´ e la vicinanza saputa, conosciuta, addirittura provata della morte. Il blues e` il risultato di questo stato, proiettando una visione del mondo, una filosofia che lo rende provvisoriamente possibile e che pone la solitudine nell’universale. 6. Il blues e` una lingua che parla dell’opacita` e invisibilita` del corpo nero, ne esibisce e ne nasconde la sessualita`, la cui creazione fu una forma di sopravvivenza, sublimazione con la quale il nero americano si e` imposto nella cultura del nostro mondo, dando il suo contributo alla musica popolare di oggi.

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7. Il blues e` una sensibilita`, un’emozione espressiva (feeling) presente nella musica e nel canto, senza cui non succede niente. E` l’impalpabile densita` che da` corpo alla musica e trascende gli stili e le razze. 8. Il blues e` una pulsazione che sottintende quella dialettica del ritmo che e` lo swing, associazione dei contrari nella musica come nelle parole, blues come poesia, come arte, come passione, forza, corrente vitale che percorre il jazz e lo sostiene, anche se molti pezzi che hanno per titolo la parola ‘‘blues’’ di fatto non lo sono. Ma i musicisti di jazz sanno suonare il blues e sanno suonare anche tali pezzi come blues. Perche´ il blues ha i suoi interpreti da cui tutto dipende. Entrato sul mercato discografico con la corrente detta ‘‘delle cantanti di blues classico’’ illustrata da Ma Rainey, Bessie Smith, la regina, Ida Cox, Clara Smith... e` tuttavia negli stati del sud, poveri e contadini, che trova il suo terreno piu` fertile e i suoi musicisti piu` importanti. L’espressione musicale e tematica di questi cantanti di blues e` infatti legata al luogo, dipende dal territorio e dall’ambiente, ha un accento, un’accentazione del clima economico e sociale relativo alla contea o allo stato; appaiono cosı` identita` locali di cui noi ci siamo serviti per il censimento sommario e incompleto di questo volume, effettuato di stato in stato, di citta` in citta`. Il Delta del Mississippi: culla del blues, un blues puro, potente, lancinante e incantatorio il cui rappresentante principale e` Charley Patton (A Spoonful Blues, 1929). Non meno importanti sono Son House (Preachin’ The Blues, 1930) specialista del bottleneck, Skip James (Devil Got My Woman, 1931), Bukka White (Fixin’ To Die, 1940), Big Joe Williams (Break ’Em On Down, 1941), Robert Johnson (Hellhound On My Trail, 1937) divenuto una leggenda del blues, Mississippi John Hurt (Avalon Blues, 1928), Tommy Johnson (Big Road Blues, 1928)... La East Coast: patria di strumentisti spesso brillanti, situati tra il jazz, la mu-

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sica popolare bianca, il ragtime e il blues. Abbiamo Blind Blake (Righteous Blues, 1930), Blind Willies McTell (Three Women Blues, 1928), Reverend Gary Davis (Harlem Street Singer, 1960), Blind Boy Fuller (Catman Blues, 1936), Sonny Terry (Whoopin’ The Blues, 1947)... Il Texas: qui il blues e` vario e originale. Citiamo Blind Lemon Jefferson (Long Lonesome Blues, 1926) il piu` celebre e senza dubbio il piu` rappresentativo, Leadbelly (Irene, 1934) piu` un songster, Texas Alexander (Cornbread Blues, 1927), il rigoroso Henry Thomas (Texas Worried Blues, 1928) e Funny Papa Smith (Howling Wolf Blues, 1930). Memphis (Tennessee): e` la prima citta` a dare il suo nome al blues, anche se riunisce musiche diverse da quelle di Frank Stokes (Tain’t Nobody’s Business If I Do, 1928) di Memphis Jug Band (Newport News Blues, 1927), di Memphis Minnie (Man You Won’t Give Me No Money, 1936), a Chicago Furry Lewis (John Henry, 1929) e Sleepy John Estes (Divin Duck Blues, 1929). St Louis (Missouri): qui sono i pianisti che predominano. Roosevelt Sykes (The Honeydripper, 1936), Peetie Wheatstraw (The Devil’s Son In Law, 1931), Walter Davis (Ashes In My Whiskey, 1935) ai quali si associa Leroy Carr, pianista di Indianapolis il cui duo (Blues Before Sunrise, 1934) con il chitarrista Scrapper Blackwell creera` uno stile. Chicago (Illinois): e` questa la citta` ad avere un posto centrale nella storia del blues, in due periodi, prima e dopo la seconda guerra mondiale. Citta` industriale, con grandi possibilita` di occupazione, attira ben presto i neri del sud alla ricerca di un lavoro e della liberta`, cosı` come i suonatori di blues che arrivano a partire dal 1928. Georgia Tom Dorsey (Maybe It’s The Blues, 1930), uno dei fondatori del gospel, Tampa Red (It’s Tight Like That, 1929) approfittano del loro soggiorno per esibirsi e spesso vi si stabiliscono provvisoriamente o definitivamente. E il blues cambia, con solisti che si affiancano a una sezione ritmica, temi che traducono l’urbanizzazione e

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rispondono alle nuove condizioni di vita dei musicisti e del loro pubblico, dischi che appaiono con l’etichetta Bluebird che illustrano principalmente Big Bill Broonzy, il magnifico (Big Bill Blues, 1932, Black, Brown And White, 1952), Sonny Boy Williamson (Polly Put Your Kettle On, 1947), Washboard Sam (Diggin’ My Potatoes, 1939), Jazz Gillum (Key To The Highway, 1940), Memphis Slim (At The Gate Of Horn, 1959), Arthur Big Boy Crudup (Mean Old Frisco Blues, 1942), Big Maceo (Chicago Breakdown, 1945), Lil Green (Why Don’t You Do right, 1941). Vari elementi concorrono a modificare radicalmente la scena del blues. Dapprima la guerra, che porta con se´ una nuova emigrazione nera verso i centri industriali (Chicago, ma anche i cantieri navali della California) provocando la presa di coscienza in numerosi soldati neri arruolati nelle truppe di spedizione statunitensi nel mondo che scoprono altri rapporti e altri paesi; poi la chiusura per due anni (1943-45) degli studi di registrazione; infine lo sviluppo dell’elettricita`, della radio, delle comunicazioni e la nuova realta` commerciale. Chicago con il suo ghetto, i suoi studi di registrazione e la sua tradizione, non solamente conserva il suo status – che nei confronti del blues e` pari a quello di New York nei confronti del jazz – ma lo rinforza, proteggendo una schiera di musicisti residenti o di passaggio che creeranno quella forma superba, violenta e disperata che si chiama Chicago blues. Al centro, con la sua piccola orchestra in cui passeranno i piu` grandi, servendo da esempio a neri e bianchi, c’e` Muddy Waters, nato sul Mississippi (Rollin’ Stone, 1950, Honey Bee, 1951, Hoochie Coochie, 1952). Intorno a lui, Jimmy Reed (You Don’t Have To Go, 1953), gli armonicisti Little Walter (Blues With A Feeling, 1954), Big Walter Horton, il contrabbassista e compositore Willie Dixon (Nervous, 1959), i pianisti Otis Spann (Otis In The Dark, 1960), Little Brother Montgomery (Vicksburg 44, 1960), Jimmy Yancey (Death Letter Blues, 1940), Sunnyland Slim (Sad And

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Lonesome Blues, 1964) il batterista Fred Below, cui seguiranno Otis Rush (Right Place Wrong Time, 1971), Magic Sam (West Side Soul, 1967), Buddy Guy (A Man And The Blues, 1965) fino a che non arrivano da Memphis il torrentizio Howlin’ Wolf (Moanin’ At Midnight, 1951) e Helena Arkansas, lo stupefacente Sonny Boy Williamson (Don’t Start Me To Talkin’, 1955). Il blues e` dappertutto, nelle citta` e nelle campagne, stimolato dalla domanda, polarizzato e registrato da piccole societa` indipendenti e in una grande diversita` formale. Coesistono in effetti tutti gli stili, segnati dalle particolarita` locali, musicisti il cui idioma comune non dimentica il modo proprio di tradurre il loro ambiente, somiglianze e differenze prese in un rapporto dal collettivo all’individuale (e viceversa) che il blues crea e confonde senza fine, comunita` di musicisti dove gli scambi sono permanenti, ma anche individualita` marcate, la cui lingua genera uno stile o una corrente, spesso opprimente (gli epigoni di B.B. King), a volte fruttuoso (la polinfluenza di Lonnie Johnson), introducendo, pero`, sempre nel tessuto musicale generale saturazione e rottura. Sta a B.B. King, nato nel 1925 sul Mississippi che forgia il suo stile incisivo, efficace ed elaborato a Memphis, prima di stabilirsi in California, di dominare largamente il mondo del blues (Sweet Little Angel, 1956, Live At The Regal, 1964). Il produttore e polistrumentista Ike Turner (Live In Paris, 1971) l’accompagna a Memphis dove incontra Junior Parker (Next Time You See Me, 1956), Bobby Blue Bland (Call On Me, 1962), Little Milton (We’re Gonna Make It, 1965) ed Elmore James (The Sky Is Crying, 1959). Traiettoria parallela per T-Bone Walker (Call It Stormy Monday, 1947), altro personaggio dominante, chitarrista meraviglioso venuto dal Texas in California, dove si mescolano jazz, blues, boogiewoogie e nascono chitarristi come Lowell Fulson (River Blues, 1948) o Pee Wee Crayton (Blues After Hours, 1948) e i

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pianisti Lloyd Glenn (Blue Ivories, 1956) e, soprattutto, Charles Brown (Drifting Blues, 1945), cantante di blues. Poi si impongono John Lee Hooker a Detroit (Dimples, 1956, It Serves You Right To Suffer, 1965) senza posterita`, e Lightnin’ Hopkins a Houston (Texas Bluesman, 1967), opera vasta quanto la sua influenza, mentre a New Orleans da dove viene il suonatore di banjo Papa Charlie Jackson (Salt Lake City Blues, 1924) il blues sembra rappresentato dal solo e polivalente Lonnie Johnson (Bull Frog Moan, 1928). Sotto l’influenza dello straordinario Professor Longhair (Mardi Gras In New Orleans, 1949) la citta` contribuira` all’espansione del rhythm and blues, mentre dall’entroterra della Louisiana saliranno i suoni del blues del bayou – Slim Harpo (Rainin’ In My Heart, 1961), Lightnin’ Slim (Rooster Blues, 1959) – e quelli della musica cajun o zydeco il cui rappresentante piu` celebre e` il fisarmonicista Clifton Chenier (Bon Ton Roulet, 1966). Nel 1960, mentre si affermano i movimenti per i diritti civili, i dischi dei neri escono dal loro isolamento ed entrano nel mondo bianco. L’Europa scopre veramente il blues. Attraverso il rock, il rhythm and blues, ma soprattutto attraverso le tourne´e dell’American Folk Blues Festival, la cui prima serata avra` luogo nell’ottobre 1962, inaugurando l’arrivo nel nostro continente dei grandi bluesmen, alcuni dei quali, come Memphis Slim (Blue Slim, 1961) o Champion Jack Dupree (Blues From The Gutter, 1958) vi si fermeranno. L’America bianca, allora, andra` a cercare le proprie origini e riscoprira` i fondatori come Bukka White (Sky Songs, 1963), Son House (Father Of Folk Blues, 1965), Big Joe Williams (Tough Times, 1960) o ancora Sleepy John Estes (Rats In My Kitchen, 1962) e il Reverendo Robert Wilkins (The Prodigal Son, 1964) mentre il blues diventa un genere composito e misto. Non rappresenta piu` una musica eterogenea interna, ma diversifica e ricompone i generi, le forme stilistiche che si costeggiano o si mescolano, correnti

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che divergono, a volte si spengono mentre i suoi 50 anni di esistenza, mescolate le generazioni, si presentano contemporaneamente sulla scena. Mance Lipscomb nel Texas (Texas Songster, 1960), Fred McDowell nel Mississippi (Mississippi Delta Blues, 1964), Robert Pete Williams in Louisiana (Those Prison Blues, 1960), Jesse Fuller in California (Leavin’ Memphis, Frisco Bound, 1955) sorgono dal passato seguiti da musicisti come R.L. Burnside (Sound Machine Groove, 1980) o Jessie Mae Hemphill (She-wolf, 1980) nel Delta. Chicago e` la citta` del blues, citta` che i gruppi inglesi come i Rolling Stones riveriscono e dove raggiungono i ‘‘vecchi’’ chitarristi Penton Robinson (Somebody Loan Me A-Dime, 1974), Freddy King (Hide Away, 1960), Magic Slim (In The Heart Of The Blues, 1980), Son Seals (Live And Burning, 1978), Jimmy Johnson (Heap See, 1983). Lo stesso accade a Memphis dove Albert King registra da Stax (Blues Power, 1968), marchio della musica soul, e in California, dove in una comunita` musicale attiva – Philip Walker (Someday You’ll Have This Blues, 1977), Dave Alexander (The Rattler, 1972) – si rivela il texano Albert Collins (Ice Pickin’, 1978). Il blues continua a cambiare ancora, aperto alle influenze, tematica che si restringe poiche´ le parole cedono davanti alle note. E diventa esso stesso un’idea, un concetto, addirittura una forma che i musicisti ricoprono al limite della perdita dell’identita`. Il movimento e` doppio: da un lato, iniziato in Europa e condotto quasi esclusivamente dai bianchi, c’e` un enorme lavoro di ricerca e di archiviazione, nuove edizioni discografiche, centri di documentazione universitaria, moltiplicazione di riviste specializzate, sondaggi di mercato; dall’altro, diffusione, circolazione del blues verso tutti i settori della musica incisa sottomessa sempre piu` alle esigenze finanziarie della produzione di massa che non accetta l’originalita` a meno che non sia commerciale. Senza rinnegarsi, B.B. King continua a esibirsi,

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sempre impeccabile cosı` come si esibiscono Albert Collins, Lonnie Brooks (Bayou Lightnin’ 1979), Albert King o James Cotton (Cut You Loose, 1968). In America continuano a esserci festival di blues che presentano glorie locali e nazionali, musicisti sconosciuti e giovani bianchi, attirando un vasto pubblico. Il blues quindi continua a vivere, e` impossibile predire il suo futuro, malgrado la comparsa nel suo firmamento di un personaggio come Robert Cray (Strong Persuader, 1986). [F.H.] 2. Aspetti tecnici Struttura arcaica. Essendo il blues essenzialmente vocale, i primi cantanti di blues si accompagnavano generalmente da soli con la chitarra e si curavano poco del tempo. Il loro scopo, come sottolinea Jacques B. Hess, era di «cantare una storia, di riprendere questa storia con le stesse parole, ma con accordi o inflessioni differenti e di terminare la strofa con una conclusione». Dopo ogni frase cantata che si puo` denominare ‘‘chiamata’’ (call), c’e` una sorta di commento dello strumento accompagnatore chiamato ‘‘risposta’’ (response) secondo la procedura dei call and response (africana, ma anche liturgica) che si ritrova nello spiritual e piu` tardi nel jazz di tutte le epoche. La maggior parte dei blues arcaici hanno un ritmo regolare che permette di constatare un numero irregolare di misure (piu` o meno 12 misure). E` evidente che la struttura delle 12 misure strette e` apparsa quando i musicisti hanno cominciato a suonare il blues nell’orchestra, affinche´ tutti potessero suonare degli accordi nello stesso momento. Alcuni bluesmen attuali continuano a non tenere il tempo quando suonano o cantano in assolo: rimembranze di una lontana Africa? Struttura dei testi. I testi nei blues di 12 misure sono spesso composti da tre frasi: la seconda frase e` la ripetizione della prima; la terza frase, diversa, porta alla conclusione o alla spiegazione della doppia frase precedente. Generalmente ab-

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bassa la tensione provocata dalla ripetizione precedente. Esempio: il primo tema del famoso St Louis Blues (AAB): A: I hate to see de ev’nin’ sun go down A: hate to see de ev’nin’ sun go down B: ’cause ma baby he done left dis town Ogni frase cantata occupa generalmente due misure, seguita da due misure di risposta strumentale. A volte una risposta parlata improvvisata e` data dal cantante stesso o da una terza persona, come commento. In certi blues pubblicati, le risposte parlate o cantate sono anche scritte tra parentesi (per esempio Dallas Blues). Ascoltando le diverse versioni di uno stesso blues, si puo` constatare che ogni interprete cambia leggermente le parole di origine in funzione della parafrasi melodico-ritmica che egli improvvisa all’istante. Molto spesso ci aggiunge qualcosa di suo, una strofa, che sara` ripresa piu` avanti da un altro interprete. Un caso meno frequente: esistono anche dei testi di blues in cui le tre frasi sono diverse (ABC), come nel terzo tema di St Louis Blues. I talkin’ blues non sono cantati, ma parlati su un sottofondo strumentale. Altri blues non hanno una melodia definita, e l’interesse risiede solamente nelle parole: ogni cantante improvvisa allora la sua propria melodia. Struttura armonica. Il blues ha 12 misure. La sua sequenza armonica utilizza alla base i tre accordi tonali del I, IVe V grado, e cioe` (in do) gli accordi di do maggiore, fa maggiore e sol7. Ecco lo schema del blues in do maggiore: do | – | – | – | fa | – | do | – | sol7 | – | do | – |. A causa delle blue notes, gli accordi del I e IV grado prendono una settima minore (do7 e fa7) e diventano degli accordi pseudodominanti. Il blues si suona anche in minore, ma meno frequentemente. Le note fondamentali dei tre accordi di base sono le stesse, ma gli accordi del I e IV grado sono minori: | dom | – | – | – | fam | – | – | dom | – | sol7 | – | dom | – |. Il blues in minore sembra che sia apparso a partire dal 1926 ed Ellington ne ha fatto largo uso, specialmente nei suoi pezzi in stile jungle: Black And Tan Fantasy, The Moo-

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che, Koko. Altri blues in minore: Birk’s Works (Dizzy Gillespie), Senor Blues (Horace Silver), Mr. P.C. (John Coltrane), Haitian Fight Song (Charles Mingus). Mr Syms (Coltrane, 1960) fa alternare delle improvvisazioni sul blues maggiore e minore. Le strutture semplici del blues, con l’evoluzione del jazz, si sono arricchite di tutte le sostituzioni armoniche proprie a ogni periodo o a ogni stile. Struttura melodica. Si distinguono due strutture melodiche principali: la forma del blues-riff, la piu` conosciuta nel jazz (Tin Roof Blue, Blue Monk, Cool Blues, Sonny Moon For Two) e la forma melodica libera in cui ogni frase e` diversa dalla precedente (Jelly Roll Blues, Billie’s Bounce, Blues For Alice, Dance Of The Infidels). E` molto frequente che i musicisti improvvisino senza esporre dei temi precisi. Durante le registrazioni, quando manca qualche minuto al termine dell’incisione del disco, i jazzisti ricorrono spesso a questa procedura o compongono presto un blues-riff semplice che tutti possono suonare dopo una breve prova. Alcuni capolavori del jazz sono stati registrati cosı` (f Blue note; per le scale speciali che derivano dall’uso delle blue notes, f Scala del blues). Altre strutture metriche. Il blues, nella sua grande diversita`, non si lascia racchiudere cosı` facilmente in 12 misure: puo` avere altre forme metriche. a) I blues di 8 misure, che sono spesso dei blues di 12 misure ‘‘accorciate’’ (l’ordine degli accordi resta invariato, ma la loro durata diminuisce). E` il caso di How Long Blues, Trouble In Mind, Cherry Red. Ray Charles e` uno specialista del blues di 8 misure con The Sun’s Gonna Shine Again (1952), Feelin’ Sad (1953), A Fool For You (1955). b) I blues di 16 misure: come nei blues di 8 misure, l’ordine degli accordi resta spesso invariato, ma la loro durata si estende su un numero piu` grande di misure: The Dirty Dozens (Speckled Red, 1929), Soft Winds (Benny Goodman, 1939), The Midgets (Count Basie, 1956), Watermelon Man (Herbie Hancock, 1962), Stolen Moments (Oliver Nelson, 1961). c) I blues di 24 misure: sono dei blues di 12 misure di

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BLUES

cui si raddoppia ogni misura e che generalmente si suonano su un ritmo rapido. Esempi: il secondo tema di Cushion Foot Stomp (Clarence Williams, 1927), 7 th Avenue Express (Count Basie, 1947), Side Winder (Lee Morgan, 1963). d) I blues di 32 misure (del tipo ABA’C), meno conosciuti, esistono nel jazz degli anni ’20. Le prime 12 misure sono quelle del blues normale, seguite da una coda di 4 misure. Poi si ritorna al blues normale con una fine diversa ed estesa. Lazy Daddy suonato dalla ODJB nel 1918 ne e` l’esempio piu` evidente. Altri esempi: Tishomingo Blues, Santa Claus Blues, Achin’ Hearted Blues, Beale Street Mamma. e) I blues con ponte: sono l’adattamento del blues alla forma tipo AABA; si suonano due blues di 12 misure AA seguiti da un ponte di 8 misure, generalmente simili ai ponti abituali B di un AABA in 32 misure. Si ritorna poi al primo blues A. Si ha, dunque, 12 + 12 + 8 + 12 = 44 misure. Esempi: D.B. Blues (Lester Young, 1945), Bikini Blues (Dexter Gordon, 1947), Way Back Blues (Erroll Garner 1956), Traneing In e Locomotion (Coltrane, 1957), e lo standard composto da Johnny Burke nel 1947: Black Coffee. Per estensione, la parola blues significa anche un pezzo di jazz lento, funky, low down e molto ritmato, che usa molto le [Ph.B.] blue notes. 3. Il blues nel jazz Dal primo disco di jazz del 1917 (ODJB: Livery Stable Blues) il blues e` la struttura musicale piu` suonata e quindi piu` registrata del XX secolo. Si e` adattato a tutti gli stili di jazz e al rock and roll, e il suo colore particolare ha invaso tutta la musica popolare. Le grandi trasformazioni che ha potuto subire nel jazz testimoniano il genio creatore del popolo nero americano. Non si contano piu` i capolavori costruiti sulle sue 12 misure: su questa formula falsamente banale, l’immaginazione e l’emoluzione dei musicisti sembrano raddoppiare di intensita`. La tradizione del blues e` molto viva a New Orleans. Buddy Bolden (in-

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ventore, dicono, dell’hot blues) sembra che suonasse gia` dei blues strumentali in pubblico nel 1894. E` da notare che tutti i grandi musicisti di New Orleans suonano particolarmente bene il blues che e` interpretato in modo straordinariamente sofisticato nella forma e nelle armonie a partire dagli anni ’20 (Cannonball Blues o Jelly Roll Blues di Jelly Roll Morton, 1926). Dal 1912, le 12 misure del blues sono state codificate sulla carta e gli editori come W.C. Handy, poi Clarence Williams, hanno contribuito alla sua propaganda. Nel 1915 Jelly Roll Morton depone il suo Jelly Roll Blues (che ha composto, dice, nel 1905) e lo stesso anno la sua orchestrazione di questo blues e` il primo arrangiamento di jazz a essere pubblicato. Negli anni ’20 le composizioni di blues cantate dai classic blues singers o suonate dai musicisti di jazz comprendono molti temi: uno o vari blues differenti molto spesso inquadrati da uno o piu` temi (che non sono dei blues) in 16 misure; esempio: Working Man Blues, St Louis Blues, Black And Tan Fantasy. A partire dagli anni ’30 le composizioni di blues, eccetto Good Morning Blues di Count Basie (1937) e In The Mood di Glenn Miller (1939), comprendono solo un blues sul quale si improvvisa ed e` raro che siano molti, come in Night Train (tre blues). Durante l’era dello swing, il blues perde un po’ del suo colore e della sua forza, con l’eccezione dell’orchestra di Count Basie che arriva da Kansas City, la citta` bluesy, e Duke Ellington che da` in tutte le epoche dei capolavori nel quadro di questa struttura. Partendo dalla piu` grande semplicita` (Beggar’s Blues, 1929) e arrivando alla piu` grande sofisticazione (Transbluecency, 1946), Duke si circonda dei migliori suonatori di blues (Bubber Miley, Tricky Sam, Cootie Williams, Johnny Hodges ecc.). Parallelamente, gli anni ’30 e ’40 vedono apparire una generazione di blue shouters che vengono principalmente da Kansas City: Jimmy Rushing, Big Joe Turner, Eddie Cleanhead Vinson, Hot Lips Page, Wynonie Harris, Sonny Parker, che sono sia i discendenti delle cantanti di blues clas-

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sico degli anni ’20 che gli omologhi profani dei preachers battisti. Il loro stile potente e` legato al fatto che devono cantare spesso senza microfono, accompagnati da alcune big bands. Negli anni ’50 e ’60 abbiamo Ray Charles, Jimmy Whiterspoon e Joe Williams. Tra le donne, il declino delle cantanti di blues e` molto netto negli anni ’30 e ’40 e solo Billie Holiday e Helen Humes cantano blues. Gli anni ’50 e ’60 vedono riapparire cantanti donne come Dinah Washington, ma la maggior parte delle cantanti dotate per il blues scelgono il rhythm and blues (Ruth Brown, LaVern Baker, Aretha Franklin). Malgrado gli apporti rivoluzionari del bebop, la tradizione del blues e` vivace in Parker, Thelonious Monk o anche Dizzy Gillespie (Cripple Crapple Crutch, 1952). Ma i boopers ‘‘debluesificheranno’’ gli accordi di blues con gli accordi di settima maggiore, o delle successioni di accordi di passaggio (7e minori). Il blues e` praticamente assente dai movimenti cool e Third Stream, con l’eccezione del MJO (grazie al blues lover Milt Jackson) e di Miles Davis. Ritorna durante il periodo hard bop/funky, sotto l’impulso di Horace Silver, Cannonball Adderley, Jimmy Smith, Ray Bryant ecc. (la lista di coloro che si offrono per ritornare alle origini e` lunga). Parallelamente, l’esplosione del rhythm and blues contribuisce, negli anni 1955-60, all’apparire del blues (Fats Domino, Ray Charles, Bill Dogget ecc.) che e` preso dai rock and rollers bianchi. Il colore del blues cambia con John Coltrane e McCoy Tyner, ma il blues resta. Anche grossi personaggi del free non lo rinnegano: Cecil Taylor, Ornette Coleman, Eric Dolphy, Archie Shepp. A partire dagli anni ’60 si trovano meno specialisti del blues. Herbie Hancock e` uno di questi, Chick Corea crea nel 1967 Matrix, un blues che e` al culmine della modernita`, e Carla Bley manifesta qualche affinita` con questa forma di musica: ingaggia Hiram Bullock, un chitarrista che e` anche un eccellente suonatore di blues. Il jazz-rock ritrova talvolta il feeling del blues attraverso certi chitarristi rock che hanno

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ascoltato dei bluesmen (B.B. King, Muddy Waters) o il loro ‘‘dio’’ elettrico [Ph.B.] Jimi Hendrix. Principali blues del repertorio jazz: 1) jazz tradizionale: Black And Tan fantasy, Bugle Call Rag, Canal Street Blues, Corrine Corrina, Dallas Blues, Dippermouth Blues, Frankie And Johnny, Jelly Roll Blues, Royal Garden Blues, St Louis Blues, See See Rider, Tin Roof Blues; 2) jazz classico: C Jam Blues, Huckle Buck, In the Mood, Jumpin’ With Symphony Sid, Mahogany Hall Stomp, Night Train, One O’Clock Jump, Route 66, Things Ain’t What They Used To Be; 3) jazz moderno e contemporaneo: All Blues, Bags’ Groove, Bille’s Bounce, Blue Monk, Blues For Alice, Blues In The Closet, Blues March, Blue Train, The Champ, Cool Blues, Doodlin’, Israel, Now’s The Time, Opus De Funk, Red Top, Sonny Moon For Two, Straight, No Chaser, Walkin’. Esempi di blues o di album di blues registrati da jazzisti. Ollie Powers: Play That Thing (1923); Ma Rainey: Bad Luck Blues (1923), See See Rider (1924), Slave To The Blues (1925); Bessie Smith: Down Hearted Blues (1923), St Louis Blues, Reckless Blues (1924), The Yellow Dog Blues (1925), Black Water Blues (1927); King Oliver: Dippermouth Blues, Canal Street Blues (1923), Snag It (1926), Aunt Hagar’s Blues (1928); Jelly Roll Morton: New Orleans Joys (1923); The Chant, Original Jelly Roll Blues, Cannonball Blues (1926), Shoe Shiner’s Drag (1928), Mamie’s Blues, Michigan Water (1939); Charlie Creath: I Woke Up Cold In Hand (1925); Fletcher Henderson: Jackass Blues, The Chant (1926), Snag it (1927); Duke Ellington: Immigration Blues (1926), Black And Tan Fantasy (1927), Harlem Flat Blues, Beggar’s Blues (1929), Merry Go Round (1933), Blue Feeling (1934), Diminuendo And Crescendo In Blue, Prologue e New Black And Tan Fantasy (1937), Blue Light (1938), Transbluecency, Royal Garden Blues (1946), Things Ain’t What They Used To Be (1953), Diminuendo And Crescendo In Blue, Jeep’s Blues (1956); Louis Armstrong: Gully Low Blues, Savoy Blues (1927), West End Blues (1928), St Louis Blues (1929), Back O’ Town Blues (1946); Jimmie Noone: Apex Blues (1928); Clarence Williams: Close Fit Blues (1928); Ike Rodgers: Screenin’ The Blues (1929); Dic-

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kie Wells: Dickie Wells Blues (1937); Helen Humes: Blues With Helen (1937), Million Dollar Secret (1950); Count Basie: Good Morning Blues (1937), Sent For You Yesterdays, The Blues I Like To Hear (1938), Goin’ To Chicago Blues, Harvard Blues (1941), St Louis Blues (1942), Splanky (1957); Johnny Hodges: Jeep’s Blues (1938), «Back To Back» (1959); Big Joe Turner: It’s All Right Baby (1938), Piney Brown Blues (1940); Kansas City Six: Pagin’ The Devil, Good Morning Blues (1939); Hot Lips Page: Blues With Lips (1938), Big D Blues, Frantic Blues (1944); Billie Holiday: Fine And Mellow (1939), I Love My Man (1944); Erskine Hawkins: After Hours (1940); Sidney Bechet: Blues In Thirds (1940), Blue Horizon (1944); Art Tatum: Toledo Blues (1941), Aunt Hagar’s Blues (1949), Trio Blues (1956); Richard M. Jones: Canal Street Blues (1944); Ike Quebec: Blue Harlem (1944); Dinah Washington: Evil Gal Blues (Lionel Hampton, 1945); Wynonie Harris: Here Comes The Blues (1945); Louis Jordan: Caldonia Boogie, Buzz Me, Someone Done Changed The Lock Of My Door (1945); Lester Young: Back To the Land (1945), Undercover Girl Blues, Slow Motion Blues (1951); Charlie Parker: Billie’s Bounce, Now’s The Time (1945), Cheryl, Buzzy (1947), Cool Blues, Relaxin’ At Camarillo (1947), Parker’s Mood, Perhaps (1948), K.C. Blues, Blues For Alice (1951); Sonny Stitt: Bud’s Blues (1949); Jam Session (Norman Granz): Funky Blues (1952); Ray Charles: Heartbreaker (1953), Lonely Avenue, Rockhouse, «The Genius After Hours» (1956), The Right Time (1958), In The Evening (1963); Bill Doggett: Honky Tonk (1956), Hold It (1958); Erroll Garner: Way Back Blues (1956); Miles Davis: Blues By Five (1956), All Blues (1959), Star People (1983); Horace Silver: Silver’s Blue (1956); John Coltrane: Blue Train (1957); Red Garland: Soul Junction (1957); Thelonious Monk: Functional (1957); Blue Monk (1959), Blue Sphere (1971); Cannonball Adderley: Blue Funk (1958); Ornette Coleman: Turnaround (1959); Jimmy Smith: Midnight Special (1960), Night Train (1966); Roland Kirk: Three For The Festival (1961); Oliver Nelson: «The Blues And The Abstract Truth» (1961); Don Wilkerson: Camp Meeting (1962); Jack McDuff: Rock Candy, A Real Goodun’,

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Rock-A-Bye (1964); Buddy Tate: When I’m Blue (1967); Carla Bley: Misterioso («A Tribute To Thelonious Monk, That’s The Way I Feel Now», 1984).

Duke Ellington» (1986); «Dances and Ballads» (1987), «Metamorphosis» (1990), «You Don’t Need to Know... If You Have to Ask» (1991), «Political Blues» (2006).

Bluesy Che ha un carattere, uno spirito o una forma vicina al blues.

BLYTHE, Arthur Murray («Black Arthur») Sassofonista alto e soprano e compositore statunitense (Los Angeles, California, 5/ 7/1940). Al posto del trombone sua madre gli offre un sax alto (le piacciono Johnny Hodges, Earl Bostic e Tab Smith): a nove anni debutta con lo strumento. Studia a San Diego con l’altista Kirkland Bradford (ex Jimmie Lunceford) e David Jackson; ascolta Harold Land, suona nell’orchestra del suo liceo e prende gusto alla musica popolare (rock and roll, country, gospel), pur restando fedele ai sassofonisti della sua infanzia: Bostic, ma anche Benny Carter e Tab Smith. A ventitre´ anni suona accanto a Horace Tapscott sia in piccola formazione, sia nella grande orchestra (dove prova il sassofono soprano). Parallelamente si esibisce con Owen Marshall nella Spiritual Services Orchestra del trombettista Kylo Kylo oppure con il New Jazz Quintet di Lattus McNeely, altista come lui. Dal 1967 al 1973 partecipa al Black Music Infinity del batterista-scrittore Stanley Crouch. L’incontro con un altro sassofonista, Azar Lawrence, e` determinante: con lui registra «Bridge Into The New Age». Dal 1974, a New York, suona con Leon Thomas, poi nella Energy Band del trombettista Ted Daniel in compagnia di Julius Hemphill. Chico Hamilton lo porta al jazz-rock. Nel 1976 collabora con Steve Reid, poi entra nel gruppo di Lester Bowie (con il quale viene piu` volte in Europa). Suona quindi nella formazione di Gil Evans, nel 1979, e fonda il suo gruppo In The Tradition (con Steve McCall, Fred Hopkins e Stanley Cowell) e lavora con tutta l’avanguardia newyorkese. Da allora, le sue preoccupazioni estetiche e razziali lo hanno denominato «Black Arthur». Ha suonato con i piu` grandi nomi del jazz contemporaneo (Bowie, Evans, Jack DeJohnette, Sunny Murray, Bob Stewart), ha suonato piu` spesso in quartetto, specialmente con John Hicks, Hopkins, Bobby Battle, Kel-

BLUIETT, Hamiet Sassofonista e compositore statunitense (Lovejoy, Illinois, 16/9/1940). Inizia molto presto con la musica grazie a sua zia, direttrice di una corale religiosa. Legge a quattro anni e comincia con il clarinetto. E` perfezionando i suoi studi alla Southern Illinois University che impara a suonare il flauto e il sax baritono. Dopo il servizio militare nella marina, si reca a St Louis ed entra nel Black Artist Group (organizzazione simile all’AACM di Chicago). Nel 1969 si stabilisce a New York e frequenta Pharoah Sanders, Elvin Jones, McCoy Tyner e allo stesso tempo suona con Tito Puente, Howard McGhee o nell’orchestra di Thad Jones-Mel Lewis. Entra nel gruppo di Charles Mingus. Nel 1972 registra per la prima volta con Hemphill. Nel 1975, habitue´ dello studio di Sam Rivers (Studio Rivbea), diventa uno dei fari del movimento detto dei ‘‘lofts’’ e l’anno seguente registra il suo primo disco da leader, pur lavorando alla composizione. Con Hemphill, Lake e David Murray fonda il World Saxophone Quartet (1977) che trionfa, tra gli altri, al festival di Camden (1980). Dal 1985 dirige un gruppo di sette clarinetti con sezione ritmica: The Hamiet Bluiett Clarinet Family. Di lui si e` detto che era il «nuovo Messia del sax baritono». La sua conoscenza dello stile mainstream, la sua pratica del bebop e il suo costante interscambio con il blues lo pongono tra i grandi continuatori libertari del jazz. [J.P.M.] Between The Rain Drops (1976), Sobre Una Nube (1977), «Birthright» (1977); «The World Saxophone Quartet Plays

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vyn Bell, Stewart e Battle, con il piano e il basso sostituiti da chitarra e tuba, ai quali si aggiunge Abdul Wadud al violoncello. Ha partecipato all’esperienza originale dei Leaders. Arthur Blythe effettua un ritorno alle origini. La sua sonorita` e` potente e calorosa, piena e sinuosa, di una grande ricchezza melodica. Il suo fraseggio, moderno, ispirato a quello di Coltrane e Dolphy, ha le sue radici nella tradizione, da Johnny Hodges a Benny Carter. Al suo temperamento lirico ereditato dal blues e dal gospel mescola il virtuosismo strumentale e le ricerche acustiche della sua generazione senza mai allontanarsi da uno swing elaborato, vicino a quello di Jackie McLean. Rivendicando l’eredita` delle correnti molteplici della musica nera, sembra volerle riunire nella sua esecuzione. [P.B., C.G.] The Grip (1977); «The Iron Men» (Woody Shaw, 1977); Duet For Two, Lenox Avenue Breakdown (1979); Zoot Suite (DeJohnette, 1979); «Live At The Public Theater» (Evans, 1980); «Blythe Spirit» (1981) Light Blue, «Elaborations» (1982), Ruby, My Dear (1988); «Metamorphosis» (WSQ, 1990); «44th Street Suite» (McCoy Tyner, 1991); «Hipmotism» (1991).

BLYTHE, Jimmy (James Louis) Pianista statunitense (Louisville, Kentucky, 1900 - Chicago, Illinois, 21/6/ 1931). Trasferitosi a Chicago nel 1916, riceve l’insegnamento di Clarence Jones. A partire dagli anni ’20, fino alla sua scomparsa, anima vari gruppi di jazz tradizionale, accompagna sulla scena e in studio cantanti di blues (Monette Moore, Priscilla Stewart, Ma Rainey, Bertha Chippie Hill) e dirige numerose sedi di registrazione. E` stato uno dei primi pianisti di boogiewoogie e, di fatto, i suoi dischi lo dimostrano specialmente quando suona il blues. [A.C.] Chicago Stomp, Mr. Freddie Blues (1924), Messin’ Around (1926), Oriental Man (1928).

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BOCCHINO

BOB CATS Ottetto d’ispirazione dixieland che Bob Crosby volle estrarre dalla sua big band nel 1936 per fornire un’attrazione supplementare durante i concerti e le serate. Era composto da Yank Lawson, Warren Smith, Matty Matlock, Eddie Miller, Bob Zurke, Nappy Lamare, Bob Haggart e Ray Bauduc. Successivamente Lawson fu rimpiazzato, a turno, da Billy Butterfield e Muggsy Spanier. Questa formula fu abbandonata nel 1942, quando Crosby [A.C.] fu chiamato alle armi. Fidgety Feet (1937), March Of The Bob Cats, Five Point Blues (1938), Mournin’ Blues (1939), Jazz Me Blues (1940).

Bocchino E` il pezzo di metallo che si trova all’estremita` di strumenti quali il flauto, la tromba, il trombone, la tuba e il corno (in inglese mouthpiece); la posizione delle labbra sul bocchino e` invece detta imboccatura. Il bocchino e` composto da tre parti: il bordo, la parte concava e la coda.

Bocchini per tuba (1), trombone (2), tromba (3) e cornetta (4). Miles Davis avrebbe conservato lo stesso dal 1938.

La dimensione di questi elementi condiziona la capacita` di esecuzione dinamica (dal pianissimo al fortissimo), il timbro dello strumento (chiaro, cupo, brioso, sordo) e la tessitura (il bocchino influisce sul limite superiore delle note acute che possono essere suonate). Nella storia del jazz non si ravvisa l’evoluzione nella scelta di un tipo particolare di bocchino. Esiste soprattutto una differenza fra i musicisti d’accompagnamento, che ricercano la facilita` di esecuzione e una grande precisione su tutta l’estensione del registro acuto (che utilizzano un bocchino

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BOLAND

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‘‘piccolo’’), e i musicisti solisti o di piccole formazioni, attenti alla sonorita` e a mostrare tutte le nuance (che ricorrono a un bocchino ‘‘grande’’). Solitamente gli strumentisti restano fedeli a uno stesso modello di bocchino. Esemplare il caso di Miles Davis che, si dice, abbia conservato lo stesso dal 1938.

grati nel vecchio continente: Jimmy Woode, Nat Peck, Idrees Sulieman... L’orchestra si scioglie nel 1973 e Boland si esibisce in sestetto l’anno seguente (festival di Middelheim), suona in Svizzera nel 1975 nell’orchestra di un’emittente radiofonica e ritrova Kenny Clarke nel [A.C.] 1980 per qualche ingaggio.

[P.B., C.G.]

«The Golden Eight» (1961), «Jazz Is Universal» (1963), «At Her Majesty’s Pleasure» (1969-72); solista: Poor Butterfly (1961), Volutes (1963), Pentonville (1969).

BOLAND, Francy (Franc¸ois) Pianista, trombettista, arrangiatore e direttore d’orchestra belga (Namur, 6/11/ 1929 - Ginevra, 12/8/2005). Appartiene alla generazione di musicisti del dopoguerra (Bobby Jaspar, Rene´ Thomas, Jacques Pelzer, Benoıˆt Quersin, Sadi...) i quali, dopo i pionieri degli anni ’20 e ’30, hanno assicurato la perennita` del jazz in Belgio, dove fu peraltro pubblicata, nel 1924, la prima rivista del mondo che trattava di jazz: Musique Magazine. Francy Boland, agli inizi degli anni ’50, fornisce degli arrangiamenti a orchestre francesi (Henri Renaud, Tony Proteau). Nel 1956 suona con Chet Baker e va per due anni negli Stati Uniti dove Benny Goodman e Mary Lou Williams utilizzano i suoi servizi. Nel 1962, insieme a Kenny Clarke, fonda la Clarke-Boland Big Band, una torre di Babele dove per undici anni musicisti di origini molto diverse suonano una musica paradossalmente molto omogenea, a volte al livello delle migliori formazioni degli USA. Gli arrangiamenti di Boland, eseguiti con grande professionismo, non mancano di carattere pugnace e mettono in risalto gli interventi di solisti notevoli come Billy Mitchell, Sahib Shihab, Benny Bailey, Dusˇko Gojkovic´, Phil Woods, Johnny Griffin, Zoot Sims, stimolati da K. Clarke. Molti tra i migliori musicisti hanno suonato nell’orchestra: Jimmy Deuchar, Derek Humble, Ronnie Scott, Kenny Wheeler, Kenny Clare, Tony Coe (britannici); Roger Gue´ rin (francese), Karl Drevo (austriaco), Raymond Droz (svizzero), Dusˇko Gojkovic´ (iugoslavo), Christian Kellens, Sadi, Jean Warland (belgi), Aake Persson (svedese), oltre ad alcuni dei migliori statunitensi emi-

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BOLDEN, «Buddy» (Charles Joseph) Cornettista e direttore d’orchestra statunitense (New Orleans, Louisiana, 6/9/ 1877 - Jackson, Louisiana, 4/11/1931). Per molto tempo e` stato una figura leggendaria, alla quale, in base a testimonianze fantasiose come quella di Bunk Johnson, si attribuivano attivita` stravaganti: barbiere, responsabile della rivista scandalistica The Cricket ecc. C’e` voluta la pubblicazione di In Search Of Buddy Bolden di Donald M. Marquis per far luce sulla vita di Charles Bolden: avendo consultato numerosi archivi e intervistato molti testimoni, Marquis ha disegnato il ritratto di colui che chiama «il primo uomo del jazz». Buddy Bolden ha cominciato a suonare la cornetta nella formazione di Charley Galloway regolarmente, divenendo semiprofessionista verso il 1895. A capo del suo proprio gruppo, si esibisce per dieci anni nelle principali sale da ballo di Storyville: Odd Fellows, Masonic Hall, Globe Hall, Funky Butt Hall ecc. Molto richiesto per animare le feste, le parate e le sfilate che si moltiplicavano all’inizio del secolo a New Orleans, Buddy Bolden fu soprannominato «The King». Esiste una sola sua fotografia, scattata nel 1905 e che lo vede con la sua orchestra: Jimmy Johnson (batt), Willie Cornish (trb a pistoni) William Warner (cl), Jefferson Mumford (chit), Frank Lewis (cl). Gli eccessi di ogni tipo, ma soprattutto l’abuso di alcol, mineranno la salute di Bolden. Nel marzo 1906 manifesta i primi disturbi mentali. Entrato il 5 giugno 1907 in un istituto psichiatrico,

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l’Insane Asylum of Louisiana a Jackson, vi morira` senza aver mai riacquistato la ragione. Non esiste alcuna registrazione di Buddy Bolden, ne´ alcun elemento che permette di giudicarlo. La sua musica era situata tra il ragtime e il primo jazz di New Orleans. Quanto allo strumentista entrato nella leggenda, forse era tanto potente, tanto ispirato, tanto sovrano che sono stati dei testimoni nostalgici a fargli gran propa[A.C.] ganda. Gli e` stato reso omaggio in una composizione di Jelly Roll Morton, I Thought I Heard Buddy Bolden Say (Buddy Bolden’s Blues, 1939), poi ripresa dagli Air (1979). Sidney Bechet ha scritto Buddy Bolden’s Story (1949).

BOLDEN, Walter Lee Batterista statunitense (Hartford, Connecticut, 17/12/1925 - New York, 7/12/ 2002). Studia alla Julius Hartt’s School of Music di Hartford dal 1945 al 1947, poi suona con Stan Getz nel 1950-51, con Howard McGhee e Horace Silver nel 1952, con Mat Matthews nel 1953 e Teddy Charles nel 1954. La sua vita musicale si concentra a New York dove si esibisce in varie formazioni. Accompagnando Tony Scott, sostiene con efficacia il trio Lambert-Hendrick-Ross nel 1959. Fa parte del quintetto Zoot Sims-Al Cohn. Piu` tardi sara` con Billy Mitchell, Barry Harris e Sam Jones. Batterista preciso, fonda la sua esecuzione sui piatti, presenta in assolo uno strano miscuglio dei suoi batteristi preferiti che sono Art Blakey, Max Roach e [G.P.] Kenny Clarke. Con S. Getz: Penny, Split Kick (1951); Be My Guest (B. Mitchell, 1978); Birk’s Works (Junior Mance, 1983).

BOLLANI, Stefano Pianista, compositore e cantante italiano (Milano, 5/12/1972). Cresciuto ad Alba, Bollani si e` poi trasferito a Firenze per studiare classica al conservatorio (nel 1993 si e` diplomato in pianoforte) e jazz con Luca Flores. Ha iniziato la sua attivita`

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BOLLING

professionale nell’ambito del pop-rock italiano (Raf, Irene Grandi, Laura Pausini, Jovanotti, Elio e le Storie Tese, Marco Parente, Cristina Dona`). In seguito e` stato notato da Enrico Rava, che l’ha voluto nel suo gruppo contribuendo cosı` alla sua affermazione in campo internazionale. Ha collaborato con moltissimi musicisti, tra cui Roberto Gatto, Richard Galliano, Lee Konitz, Gato Barbieri, Phil Woods, Jimmy Cobb, Han Bennink, Paolo Fresu, Aldo Romano, Roswell Rudd, Kenny Wheeler, Greg Osby. Guida svariati gruppi, tra cui un notevole quintetto (I Visionari) con i sassofonisti Nico Gori e Mirko Guerrini, il contrabbassista Ferruccio Spinetti e il batterista Cristian Calcagnile, che ha inciso per l’etichetta francese Label Bleu. A suo nome segnaliamo inoltre «L’orchestra del Titanic» e, in particolare, il progetto «La gnosi delle fa`nfole», in cui il pianista ha musicato, assieme al cantante Massimo Altomare, le surreali e giocose poesie di Fosco Maraini. Tra i suoi lavori piu` recenti (e premiati) figurano «Tati» (ECM), in trio con Rava e Paul Motian, e il duo (sempre con Rava, sempre ECM) «The Third Man». Uno dei piu` dotati musicisti europei emersi negli ultimi decenni, Bollani ha grandi qualita` pianistiche che sa contemperare con un brillante e scanzonato uso dell’ironia, a volte fin troppo spiazzante per un certo, serioso pubblico jazzistico. La sua popolarita` ha tratto notevole vantaggio da alcune riuscite apparizioni televisive in programmi di varieta` e dalla sua sorprendente, disinvolta capacita` di imitatore di molti popolari cantanti italiani [L.C.] (Paolo Conte, Johnny Dorelli). BOLLING, Claude Pianista, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra francese (Cannes, 10/ 4/1930). Musicista precoce, nutrito di musica classica, nel 1944 vince un torneo per dilettanti e partecipa ai concerti organizzati dall’Hot Club de France alla Scuola Normale di Musica. Nel 1945 forma una piccola orchestra che suona in uno stile che sta tra il New Orleans e le

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BONAFEDE

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piccole formazioni di Ellington, e che rivaleggera` con quelle di Claude Abadie e Claude Luter. In occasione della grande settimana del jazz del 1948, accompagna la cantante Bertha «Chippie» Hill e, in seguito, suona con i piu` grandi musicisti statunitensi di stile classico: Roy Eldridge, Lionel Hampton, Rex Stewart, Albert Nicholas, Cat Anderson, Paul Gonsalves, Carmen McRae, Thad Jones. Nel 1955 forma la sua prima grande orchestra. Da allora, malgrado ogni difficolta` che rende praticamente impossibile l’esistenza di una grande formazione di jazz in Francia, Claude Bolling riunisce periodicamente qualcuno dei migliori musicisti francesi nel suo Show Bizz Band. Questa orchestra si esibisce in concerto, alla radio, alla televisione e produce dischi di qualita`. Claude Bolling lavora spesso con musicisti classici: Pinchas Zuckerman, The English Chamber Orchestra, Yo-Yo Ma; la sua Sonate pour deux pianos (con Jean-Bernard Pommier), il Concerto pour guitare (con Alessandro Lagoya), la Toot Suite (con Maurice Andre´, 1981) e soprattutto la sua Suite pour fluˆte et piano jazz (con JeanPierre Rampal, 1975) hanno suscitato un grande interesse nel mondo della musica. Ha composto molte colonne sonore di film (Borsalino) e ha collaborato ai programmi televisivi realizzati da Jean-Christophe Averty. Claude Bolling ha registrato molto: con Rex Stewart, Mezz Mezzrow, Lionel Hampton, Roy Eldridge, Cat Anderson, Paul Gonsalves. Il suo stile si e` formato sotto le influenze di Earl Hines, Teddy Wilson, Fats Waller, Art Tatum, e soprattutto Duke Ellington di cui era amico. Inoltre, e` il migliore specialista francese del ragtime. Arrangiatore di Show Bizz Band, Bolling scrive in maniera diretta, facendo suonare con pienezza le diverse sezioni strumentali, senza sovraccarichi ne´ effetti gratuiti, valorizzando al massimo eccellenti solisti (Claude Tissendier, Andre´ Ville´ger, Mi[A.C.] chel Delakian). Monday Date (Mezz Mezzrow, 1952); «Plays Ellington» (grande orchestra, 1956; trio, 1959); «Plays Django Rein-

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146 hardt» (grande orchestra, 1956); «Original Ragtime» (piano solo, 1966); «Jazz Gala» (grande orchestra con Carmen McRae, Joe Williams, Thad Jones, Cat Anderson, 1979), «Live At The Meridien» (grande orchestra, 1984); «Black, Brown and Beige» (1989); «First Class» (con Ste´phane Grappelli, 1992); «A Drum Is a Woman» (1996).

BONAFEDE, Salvatore Pianista e compositore italiano (Palermo, 4/8/1962). Inizia lo studio del pianoforte a otto anni e nel 1989 si diploma presso il Berklee College of Music di Boston. Tra il 1974 e il 1978 partecipa a varie trasmissioni televisive italiane, dove suona con il proprio gruppo e con l’orchestra della RAI di Milano. Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1986, comincia a collaborare stabilmente con il sassofonista Jerry Bergonzi con il quale compie due tourne´e in Australia e un seminario di jazz presso la Harvard University (Cambridge, Mass.); contemporaneamente fa parte dell’orchestra della Brandeis University, esibendosi nel circuito universitario del New England. Nel 1989 si sposta a New York, dove inizia a lavorare nei vari jazz club della citta`; suona anche con la Vanguard Jazz Orchestra, Lew Tabackin, Dewey Redman e si esibisce alla Town Hall. Nel 1990 incide per l’etichetta giapponese Ken Music il suo primo lavoro da leader, «Actor-Actress», a capo di un quartetto con Joe Lovano, Cameron Brown e Adam Nussbaum. L’anno successivo, sempre per la stessa etichetta, una seconda registrazione lo vede impegnato con Marc Johnson e Paul Motian. Rientrato in Italia, compie una lunga tourne´e europea (1997) e una italiana (2003) a fianco di Joe Lovano. Scrive moltissima musica per il teatro e il cinema, collaborando spesso con i registi Daniele Ciprı` e Franco Maresco. Nel 1991 e` votato miglior nuovo talento nell’ambito del referendum Top Jazz indetto annualmente dalla rivista specializzata Musica Jazz, e premiato in seguito per il migliore disco dell’anno («Ortodoxa», Red Records).

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Bonafede ha continuato a incidere con regolarita`, sempre per la Red Records («Paradoxa»), ma anche per la Cam Jazz («Journey to Donnafugata», 2004, dedi[L.C.] cato alle musiche di Nino Rota). BONANO, «Sharkey» (Joseph) Trombettista, cantante e direttore di orchestra statunitense (New Orleans, 9/4/ 1904 - 27/3/1972). Impara a suonare la cornetta e suona nella regione di New Orleans prima di esibirsi in un dancing sul lago Pontchartrain (1921). Dirige poi la propria orchestra su un battello, soggiorna per un po’ da Jean Goldkette (1927), codirige una grande orchestra con il trombettista Leon Prima (1928). Alla fine degli anni ’20 e` in California con l’orchestra di Larry Shields. Nel 1936 entra nell’orchestra di Ben Pollack e forma a New York un’orchestra che mantiene in attivita` fino al 1939, unendosi a volte all’Original Dixieland Jazz Band ricostituita. Dopo la seconda guerra mondiale si esibisce di nuovo, piu` o meno regolarmente, a New Orleans e nel 1949 riforma un’orchestra: Sharkey And His Kings of Dixieland, che porta in tourne´e in tutto il paese e soprattutto a Chicago (1951) e a New York (1955, 1959). E` molto attivo fino alla fine. Come altri trombettisti del suo tempo, e` influenzato da King Oliver e Louis Armstrong. C’e` in lui un evidente piacere di suonare che non guasta, ma, al contrario, determina una bella sonorita` e un buon [J.P.D.] modo di proporsi. Sizzlin’ The Blues (Monk Hazel, 1928); Swing In, Swing Out (1936), «Midnight On Bourbon Street» (1952), Second Line, Panama (1956).

BOND, Jimmy (James E. Jr.) Contrabbassista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 27/1/1933). Studia il contrabbasso alla New School of Music della sua citta`, poi entra alla Juilliard School di New York seguendo i corsi di composizione e di direzione d’orchestra. Ingaggiato da Chet Baker nel suo quartetto nel 1955, viene in Europa per una tourne´e, ma

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BONI

ritorna negli Stati Uniti prima che il suo leader si stabilisca a Parigi. Lo ritrova a Los Angeles per qualche mese, prima di accompagnare Ella Fitzgerald (1956-57), Buddy DeFranco (1957), George Shearing (1958), e di stabilirsi nella costa occidentale. Nel 1959 suona nel quintetto del sassofonista Paul Horn, poi accompagna Lena Horne. In seguito si dedica soprattutto al lavoro in studio per il cinema e la televisione. Partecipa nel 1961 alla creazione dei Jazz Crusaders che abbandona l’anno dopo per riprendere un’intensa attivita` negli studios. Eccellente accompagnatore (ma anche solista molto fantasioso), assicura un sostegno potente ai suoi partner. [A.C.] Con Baker: I’ll Remember April (1955), Vline (1956); Mr Bond (Horn, 1960); You Better Believe It (Gerald Wilson, 1961); Till All Ends (Jazz Crusaders, 1961).

BONI, Raymond Chitarrista e compositore francese (Tolone, 15/3/1947). Lascia il piano il giorno in cui riesce a suonare al suo insegnante di musica l’accompagnamento di brani di Bill Haley. Ripiega sull’armonica e, a undici anni, grazie a un disco di Mingus, scopre l’improvvisazione. A quindici anni ha la sua prima chitarra, ma questo strumento suscitera` il suo interesse solo dopo aver ascoltato chitarristi gitani e Django Reinhardt. Dai sedici ai diciannove anni continua gli studi a Londra ma, in realta`, si dedica soprattutto allo strumento, passando le serate nei club. Tornato in Francia, segue corsi di piano e di solfeggio al conservatorio. Nel 1969 incontra il batterista Bertrand Gauthier e con lui forma Association Vivante. Nel 1973 costituisce un duo con Ge´rard Marais, che funziona ancora oggi; nel 1976 e` in duo con i sassofonisti Claude Bernard e Herve´ Bourde e in trio con Andre´ Jaume e Ge´rard Siracusa. Stabilitosi a Marsiglia nel 1981, rafforza il sodalizio con Jaume e Siracusa. E` in un altro duo importantissimo con Joe McPhee nel 1978, con cui realizza, nel 1984, concerti a New York poi, nel 1985, una tourne´e negli Stati

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BOOGIE-WOOGIE

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Uniti e in Canada. Dal 1982 partecipa contemporaneamente come musicista, compositore e attore a spettacoli di danza con Genevie`ve Sorin. L’infatuazione per la musica gitana segna in qualche modo il suo stile: Boni ha grande gioco di mano destra, assai poco in linea rispetto a una tecnica piu` tradizionale, e la sua frase sa piu` di flamenco che di jazz. Il suo lavoro di polso gli permette di eseguire passaggi rapidissimi, sfiorando appena le corde, passaggi che, combinati a lunghe movenze in accordi, danno un’impressione d’orchestrazione dietro la parte principale. Queste caratteristiche fanno di Boni un solista personalissimo e [P.B., C.G.] appassionante. «Re´ves en couleurs» (1976), «Pot-pourri pour parce que» (1977), «Concert au Totem» (1979); «Big Band de Guitares» (Marais, 1983); con Jaume: L’Homme e´toile´ (1985), «Songs and Dances» (1987); Little Piece 4 (McPhee, 1990); «Le gouˆt du jour» (1991).

Boogie-woogie Voce onomatopeica di origine incerta che indica anche una danza. Le forme arcaiche di questo stile erano conosciute sotto una quindicina di nomi diversi tra cui fast western, the crawl, the rocks, the fives, the dozens ecc. In origine, il boogie-woogie e` una maniera speciale di interpretare il blues al piano e sembra sia nato nelle barrelhouse all’inizio del XX secolo, specialmente in Texas. Questo stile, che e` stato chiamato ‘‘barrelhouse piano’’ o ‘‘honky tonk piano’’, era uno stile a base di blues, molto potente, semplice e diretto. Con l’emigrazione dei neri verso i centri urbani, il barrelhouse piano cede il posto agli ‘‘house rent parties’’ dove si suona il piano boogie. Il primo boogie registrato sembra essere Chicago Stomp di Jimmy Blythe nel 1924. Nel 1927 Meade Lux Lewis incide il celebre Honky Tonk Train Blues. Clarence Pinetop Smith registra nel 1928 un pezzo nel quale la parola ‘‘boogie-woogie’’ figura per la prima volta in un titolo: Pinetop’s Boogie-Woogie, pezzo di riferimento, ripreso da tutti i pianisti. Nel 1938

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grazie ai primi concerti di jazz alla Carnegie Hall di New York, ai quali partecipano in particolare Pete Johnson, Albert Ammons e Meade Lux Lewis, il boogiewoogie craze si diffondera` di colpo negli Stati Uniti. Pianisti bianchi come Freddie Slack o Bob Zurke scopriranno e praticheranno questo stile, alcuni compositori l’addolciranno, dei parolieri vi aggiungeranno delle parole, degli arrangiatori l’orchestreranno per delle big band come quelle di Tommy Dorsey, Count Basie, Woody Herman, Lionel Hampton. Si arrivera` a suonare anche delle arie classiche in boogie (dal Volo del calabrone alle Polacche di Chopin) e a trasformarlo in brillanti esercizi di virtuosismo su ritmi sempre piu` rapidi, a scapito dello swing e del feeling dei grandi interpreti neri. In seguito, numerosi piccoli gruppi come quelli di Louis Jordan, Amos Milburn, Bill Doggett e Louis Prima suoneranno il ritmo shuffle del boogie-woogie all’accompagnamento. Il boogie-woogie e` certo il piu` africano di tutti gli stili di piano-jazz per il suo carattere essenzialmente ritmico e ossessionante dovuto alla parte della mano sinistra che usa figure ripetitive (ostinato). La mano destra e` totalmente indipendente e ricama dei riff e delle frasi melodiche utilizzando tutti i processi del blues al piano. Essa crea spesso dei ritmi che contrastano la mano sinistra. Questa poliritmia contribuira` all’interesse e alla riuscita dell’insieme. Le figure della mano sinistra sono infinite e le famose otto crome per ogni misura (eight to the bar) – archetipo di questo stile – sono spesso enunciate come unico processo di bassi esistenti; pertanto la formula puo` estendersi da tre bassi (Yancey’s Bugle Call di Jimmy Yancey) a dodici bassi per ogni misura (Dooji Wooji di Ellington). Il boogie-woogie si suona anche con ritmo binario (numerosi gli esempi dalla fine degli anni ’20) ed essenzialmente sugli accordi semplici del blues. Non bisogna sottovalutare il ruolo importante del boogie-woogie nel jazz e non bisogna dimenticare che i pianisti boogie

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e il loro walking bass sono stati imitati da molti musicisti del rock and roll (Jerry Lee Lewis, per esempio). Tra i grandi pianisti di questo stile si possono citare i precursori Jimmy Blythe, Pinetop Smith, Cripple Clarence Lofton, Jimmy Yancey, Montana Taylor, Cow Cow Davenport, Henry Brown, poi i classici Pete Johnson, Albert Ammons, Meade Lux Lewis, Sammy Price, Jay McShann, Memphis Slim, Lloyd Glenn ecc. Altri pianisti che hanno usato il boogiewoogie occasionalmente con successo sono Big Maceo, Count Basie, Mary Lou Williams, Art Tatum, Milt Buckner, Ray Charles, Ray Bryant. In Francia, JeanPaul Amouroux, Jean Peron Garvanoff (allievo di Pete Johnson) e Philippe Lejeune perpetuano la tradizione con fervore. [Ph.B.] Meade Lux Lewis: Honky Tonk Train Blues (1927), Yancey Special (1936); Pinetop Smith: Pinetop’s Boogie-Woogie (1928); Pete Johnson: Death Ray Boogie (1941); Albert Ammons: Boogie-Woogie Stomp (1939), Bass Goin’ Crazy (1942); Albert Ammons-Pete Johnson: Sixth Avenue Express (1941); Big Maceo: Chicago Breakdown (1944); Earl Hines: Boogie-Woogie On St Louis Blues (1949).

Book f Repertorio.

BOOKER, Walter Contrabbassista statunitense (Prairie View, Texas, 17/12/1933 - New York, 24/ 12/2006). Nella sua infanzia i primi strumenti che studia sono il piano e il clarinetto. Al termine dei suoi studi (si diploma in psicologia), comincia a suonare in alcuni gruppi locali. Durante il servizio militare (1956-58) studia il contrabbasso che adotta definitivamente. Nel 1964 e` a New York nelle sezioni ritmiche che circondano Donald Byrd, Sonny Rollins, Ray Bryant (1965), Art Farmer (196667). Poi e` con Thelonious Monk e Stan Getz. Nel 1968 e` nel quintetto di Cannonball Adderley dove sostituisce Sam Jones.

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BOONE

Dopo la morte del sassofonista nel 1975 e` ingaggiato da Sam Rivers, Wayne Shorter, poi Charles Tolliver con il quale e` stato apprezzato da numerose cantanti come Nancy Wilson, Betty Carter o Sarah Vaughan, con cui e` venuto in Europa nel 1977. A partire dal 1980 e` molto attivo negli studi di registrazione e in varie formazioni suonando per la radio e la televisione. [A.C.] Everything Happens To Me (1965); Alfie’s Theme (Rollins, 1966); Book’s Bossa (Byrd, 1967); «Beggars And Stealers» (Robin Kenyatta, 1969); Everything Must Change (S. Vaughan, 1977); Almost Spring (Rahn Burton, 1992).

BOONE, Richard Trombonista e cantante statunitense (Little Rock, Arkansas, 23/2/1930 - Copenhagen, 8/2/1999). A cinque anni canta nella chiesa battista. Nel 1946 e` vincitore di un concorso per giovani musicisti. Sta un mese nell’orchestra di Lucky Millinder e nel 1948-53 fa parte di diverse orchestre militari. Di ritorno a Little Rock, riprende i suoi studi. Poi a Los Angeles lavora in studio e nei club come accompagnatore. Dopo aver fatto parte dell’orchestra della cantante Della Reese (1961-66), e` ingaggiato da Count Basie (1966-69) e acquisisce una certa notorieta` come cantante umoristico. Dal 1970 vive in Europa principalmente a Copenhagen, fa parte dell’orchestra della radio danese, lavora con Thad Jones, Ernie Wilkins e altri statunitensi emigrati. Anche al trombone il suo stile e` segnato dal blues e dalle inflessioni vocali. Cantante, ha inventato un idioletto a mezza strada tra i valori ritmici dello scat e le narrazioni senza parole dei mumbles di Clark Terry, sfumando la sua voce con [P.C.] degli effetti di sordina. Boone’s Blues (Basie, 1967); «I’ve Got A Right To Sing» (1969); B.P. Blues (Wilkins, 1986).

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BOOTH

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BOOTH, «Juney» Arthur (o «Junie», «Juni») Contrabbassista statunitense (Buffalo, New York, 12/2/1948). A New York, all’eta` di diciassette anni, e` gia` riconosciuto come contrabbassista di primo piano e lavora con Eddie Harris, Art Blakey, Freddie Hubbard. Raggiunge nel 1969 il gruppo di Shelly Manne a Hollywood, si esibisce allo Shelly’s Manne Hole e registra con lui. Di ritorno a New York, accompagna Erroll Garner (aprile 1970), ma si fa conoscere soprattutto accanto a McCoy Tyner, specialmente in occasione del festival di Montreux nel 1973. In occasioni di spettacoli dal vivo al Keystone Korner di San Francisco (agosto e settembre 1974) registra, con il quintetto di McCoy Tyner, temi molto interessanti. Poi bruscamente lascia la scena per ritornare nella sua citta` natale dove suona di tanto in tanto. Nel 1984 registra a Milano con Steve Grossman e Joe Chambers (Red Records). Per meglio sottolineare la sua funzione ritmica, Juney Booth utilizza volentieri il basso in maniera percussiva, insistendo su motivi ripetitivi che varia in maniera quasi impercettibile. Una sonorita` consistente, un’esecuzione volontariamente spoglia costituiscono gli elementi dominanti del suo stile. Allo stesso tempo ieratico e vivace, riattiva in modo originale un approccio ispirato alle tradizioni afri[C.B., J.L.A.] cane. Con Tyner: Walk Spirit Talk Spirit, Atlantis (1973-74), Star Eyes (Grossman, 1984).

Bop f Bebop.

BOSE, Sterling Belmont Trombettista e cantante statunitense (Florence, Alabama, 23/2/1906 - St Petersburg, Florida, 6/1958). Adolescente, figura gia` nelle orchestre locali e va a St Louis nel 1923, dove suona con i Crescent City Jazzers e gli Arcadian Serenaders (sostituisce Wingy Manone nel 1925). Nel 1927 entra nell’orchestra di

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Jean Goldkette a Detroit. L’anno dopo suona nell’orchestra di un’emittente radio a Chicago prima di essere ingaggiato da Ben Pollack (1930-33), che lascera` per dedicarsi al lavoro di registrazione. Nel 1934 suona nell’orchestra di Joe Haynes cui succede, l’anno dopo, Tommy Dorsey. Nel 1936 e` nell’orchestra di Ray Noble, poi Benny Goodman, Glenn Miller nel 1937, Bob Crosby nel 1938-39, Bobby Hackett (1939), Bob Zurke (1940), Jack Teagarden (1940). A Chicago forma un trio (1940) ed entra nella grande orchestra di Bud Freeman (1942). A New York lavora con Georg Brunis (Famous Door, 1943), Bobby Sherwood (1943), Miff Mole (Nick’s, 1944), Art Hodes, Horace Heidt (1944). A partire dal 1945 effettua numerosi ma brevi soggiorni in varie orchestre di New York e Chicago prima di partire per la Florida (St Petersburg) dove si stabilisce, dirigendo un’orchestra dal 1948 al 1957 (Municipal Ballroom, Soreno Lounge). Colpito da una grave malattia, si suicida. Sterling Bose e` stato influenzato da Louis Armstrong. E` un buon tecnico, provvisto di una bella sonorita` e puo` improvvisare con destrezza. [A.C.] Angry (Arcadian Serenaders, 1925); Sweet And Hot (Pollack, 1931); con Dorsey: The Music Goes Round And Round, The Day I Let You Get Away (1935); St Louis Blues (Goodman, 1936); Loopin’ The Loop (Crosby, 1938); I Know That You Know (Rod Cless, 1946).

Bossa nova Corrente artistica e musicale nata in Brasile alla fine degli anni ’50 e attiva su tutto il continente statunitense durante gli anni ’60. Nata, dice Jobim, dall’incontro della samba brasiliana e del jazz moderno, la bossa nova conosce un precursore nel compositore Jose´ Alfredo da Silva (detto Johnny Alf) il quale, a partire dal 1949, porta alla samba brasiliana gli elementi costitutivi del jazz moderno. Ma bisogna attendere l’entrata in scena di Jobim (Sinfonia de Rio de Janeiro, 1955) per intravvedere le primizie del movimento bossanovista. Il disco «Foi a noite» della can-

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tante Silva Telles, la prima registrazione di Joa˜ o Gilberto (Chega da saudade, 1959) e l’incontro di Jobim con Vinicius de Moraes in occasione della colonna musicale di Orfeo Negro (il film di Marcel Camus, Palma d’oro a Cannes in quello stesso anno) precipiteranno le cose. In Antonio Carlos «Tom» Jobim (Rio de Janeiro 1927 - New York 1994), le grandi arcate melodiche, articolate principalmente sulla parte debole dell’unita` metrica, hanno uno sviluppo armonico modulato fondato su ricchi accordi di sostituzione e un’armonia ritmica sincopata. L’emissione vocale, vicina alla parola, in sottile divario con il proprio accompagnamento chitarristico, rifiuta, in Joa˜o Gilberto (Bahia 1931), ogni effusione sentimentale e ogni utilizzazione espressiva del vibrato. La coincidenza estetica con i testi, ispirati alla vita quotidiana, del poeta e diplomatico Vinicius De Moraes (Rio de Janeiro 1913 - 1980) e` perfetta: la parola diventa suono, la poesia, musica. La bossa nova conosce, allora, un successo enorme in Brasile, e presto appaiono nuovi personaggi e altri vi si convertono: le cantanti Astrud Gilberto, Nana Caymmi, Elis Regina, il Sambalanc¸o Trio di Cesar Camargo Mariano, il Sexteto Bossa Rio di Sergio Mendes, il quartetto vocale Os Cariocas, i compositori Eumir Deodato e Edu Lobo, i chitarristi Baden Powell e Luis Bonfa. Il 13 febbraio 1962 Stan Getz, con il trio di Charlie Byrd, registra Desafinado, una delle piu` celebri composizioni di Jobim. Ne segue una moda formidabile di questa corrente musicale che supera ben presto i limiti del continente americano. Qualche mese piu` tardi, Getz incide un album leggendario in compagnia di Jobim e della coppia Gilberto. In seguito, Jobim lavora molto negli Stati Uniti e registra anche con Frank Sinatra. Questa evoluzione provoca un certo imbarazzo nella nuova generazione dei musicisti brasiliani che non accettano sempre questa associazione con i nordamericani. La musica popolare brasiliana conosce in seguito nuovi sviluppi che si intrecceranno a volte con quelli del jazz, ma la bossa nova sembra

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BOSSO

aver conosciuto il suo apogeo verso la meta` degli anni ’60. Piu` che una reale impronta stilistica, il suo apporto essenziale al jazz sarebbe dunque l’attrazione di una pulsazione ritmica nuova e soprattutto un rinnovamento di fondo incontestabile degli standard ai quali vanno ad attingere alcuni dei migliori solisti dell’epoca: Dizzie Gillespie, Zoot Sims, Coleman Hawkins, Sonny Rollins, Dexter Gordon, il Modern Jazz Quartet, Ella [A.M.] Fitzgerald, McCoy Tyner. Collezione «A Arte de...» (Fontana): album dedicati a Vinicius de Moraes, Edu Lobo, Baden Powell, Toni Jobim ecc. Joa˜o Gilberto: Chega da saudade (1959); Stan Getz-Charlie Byrd: «Jazz Samba» (1962); Coleman Hawkins: «Desafinado» (1962); Stan Getz-Joa˜o Gilberto: The Girl From Ipanema (1963); Elis Regina-Antonio Carlos Jobim: «Elis & Tom» (1974); McCoy Tyner: Wave (1977).

BOSSO, Fabrizio Trombettista italiano (Torino, 5/11/ 1973). Inizia lo studio della tromba all’eta` di 5 anni sotto la guida del padre, anch’egli trombettista, e si diploma al conservatorio di Torino a soli 15 anni. Durante gli studi classici si avvicina al jazz. Nel 1990 vince una borsa di studio e frequenta i seminari estivi del Saint Mary’s College di Washington. Nel 1993 vince l’audizione per l’orchestra del Paese degli Specchi di Bologna, con la quale ha poi svolto attivita` concertistica sotto la direzione di George Russell, Mike Gibbs, Kenny Wheeler, Dave Liebman, Carla Bley, Steve Coleman. Ha suonato e inciso con Stefano Di Battista, Flavio Boltro, Marcello Rosa, Tullio De Piscopo, Pietro Condorelli, Sandro Gibellini, Mauro Negri, Gabriele Mirabassi, Roberto Gatto, Gege` Telesforo, Slide Hampton, Randy Brecker, Bob Mintzer, Irio De Paula, Gianni Basso, Renato Sellani, Steve Lacy. Nel dicembre 1997 e` stato chiamato dalla Carnegie Hall Big Band diretta da Jon Faddis a sostituire dapprima Randy Brecker e poi Lew Soloff, per quattro concerti del tour italiano dell’orchestra. In seguito ha fatto parte del tour europeo

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BOSTIC

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della Liberation Music Orchestra di Carla Bley e Charlie Haden. Nel 1999 costituisce un quintetto formato da Rosario Giuliani al sax alto, Salvatore Bonafede al piano, Giuseppe Bassi al contrabbasso e Marcello Di Leonardo alla batteria, gruppo che ha inciso per la Red Records. Di recente ha formato la Trumpet Legacy con il trombettista Flavio Boltro, gruppo che ha registrato un bell’album per l’etichetta giapponese Sound Hills. Uno dei piu` dotati trombettisti in circolazione, Bosso si e` imposto negli ultimi anni come presenza costante sulla scena jazzistica italiana, collaborando spesso (col quintetto High Five) anche ad album a base jazzistica ma con venature piu` pop, come testimonia l’enorme successo di «Handful of Soul» del cantante siciliano [L.C.] Mario Biondi. BOSTIC, Earl Eugene Sassofonista, direttore d’orchestra e arrangiatore statunitense (Tulsa, Oklahoma, 25/4/1913 - Rochester, New York, 28/10/1965). Interscambiando il sax alto e il clarinetto, effettua i suoi primi passi con delle formazioni locali e debutta nel 1931 nell’orchestra di Terence Holder. Nel 1933 passa con Bennie Moten prima di frequentare i corsi della Xavier University a New Orleans, dove amplia le sue conoscenze musicali, familiarizzandosi con la pratica di altri strumenti. In Louisiana suona con Joe Robichaux (verso il 1934) poi e` ingaggiato da Ernie Fields, Clarence Olden e nell’orchestra diretta congiuntamente da Charlie Creath e Fate Marable (1935-36). E` a New York nel 1938 e suona con Don Redman, Cab Calloway, Edgar Hayes, Hot Lips Page (al quale da` i suoi primi arrangiamenti), poi e` a capo di una piccola formazione (allo Small’s Paradise di Harlem). Nel 1943 e` con Lionel Hampton, poi mette su una piccola formazione e scrive degli arrangiamenti per Artie Shaw, Louis Prima, Jack Teagarden, Paul Whiteman, Lionel Hampton ecc. A partire dal 1945 Bostic si dedica al suo gruppo che guida, negli anni ’50, attraverso tutti gli Stati Uniti, con un

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grande successo, concretizzato da vendite enormi di dischi dove reinterpreta melodie popolari come Flamingo, Moonglow, Cherokee, You Go To My Head. A partire dal 1956 afflitto da disturbi cardiaci, interrompe le sue attivita` per tre anni, suonando solo sporadicamente. La sera stessa del suo rientro e` colpito in scena da un nuovo attacco e muore due giorni dopo. Ha composto Let Me Off Uptown per Gene Krupa e registrato per la King. Come strumentista e arrangiatore non va tanto per le lunghe. Anzi, senza tergiversare, entra nel vivo della materia, imprimendo negli assolo un dinamismo, un calore, una vivacita` attraverso i quali esprime il piacere di suonare. E` uno dei grandi tecnici dello strumento, controllando le note basse con destrezza da clarinettista. La sua sonorita` aspra, mordente, piena di effetti di growl particolarmente espressivi aggiunge, al tono, interpretazioni piene di swing, spesso prese con un ritmo medio. Di lui si e` detto che sta al sax alto come Illinois Jacquet sta al tenore. Molti sassofonisti (Big Jay McNeely, Red Prysock, Syl Austin e Arnett Cobb) hanno seguito la sua concezione di musica sacrificando tutto alla frenesia e all’esuberanza. Logicamente i piccoli gruppi che ha diretto privilegiano l’aspetto ritmico del rhythm and blues e del rock and roll. Molti musicisti di rilievo hanno debuttato con lui: John Coltrane (1952-53), Blue Mitchell (1953), Stanley Turrentine, Benny Golson (1954-56). [A.C.]

Haven’t Named It Yet (L. Hampton, 1939); You Need Coaching (Page, 1944); Seven Steps (1950), Flamingo (1951), Linger Awhile, Lover Come Back To Me, Moonglow (1952), Bugle Call Rag (1956).

BOSWELL SISTERS Gruppo vocale statunitense costituito dalle tre sorelle Boswell: Martha (Kansas City, Missouri, 9/6/1905 - Peekskill, New York, 2/7/1958), Connie «Connee» (New Orleans, Louisiana, 3/12/1907 - New York, 11/10/1976) e Helvetia «Vet» (Birmingham, Alabama, 20/5/1909 - Peekskill, New York, 12/11/1988). Di forma-

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zione classica, suonano musica da camera, Connie al violoncello, Martha al piano e Vet al violino, ma ben presto sono attirate dal jazz, presente dappertutto nella loro citta` natale. Formano un gruppo vocale a meta` degli anni ’20, appaiono dapprima in spettacoli di vaudeville, poi sempre piu` frequentemente in programmi radiofonici. Dal 1931 al 1935 registrano un gran numero di dischi. Cercano, per essere accompagnate, musicisti di primo piano: Joe Venuti, Eddie Lang, Benny Goodman, i fratelli Dorsey, Bunny Berigan ecc. Hollywood le accoglie e girano The Big Broadcast of 1932, Moulin Rouge, Transatlantic Merry Go Round (1934). Nel 1935 due di loro si sposano e il gruppo si scioglie. Connie Boswell, che ne era l’animatrice, intraprende una carriera di solista, anche se la poliomielite la costringe ad apparire in scena su una sedia a rotelle. Partecipa a film musicali: Artists And Models (1937), Syncopation (1942), Swing Parade (1946). Come le Andrew Sisters, che furono un po’ il loro ‘‘prolungamento’’, le Boswell Sisters si pongono nel varieta` ritmato. Hanno saputo tuttavia dare interpretazioni gradevoli profumate di jazz. [A.C.] Night When I’m Lonely (1925), Everybody Loves My Baby (1932).

Bounce (letter. ‘‘balzo’’, ‘‘rimbalzo’’) Per analogia con il rimbalzo della palla, si dice soprattutto di un ritmo moderatamente rapido, ritmato, saltellante e, quindi, favorevole alla danza. L’orchestra di Jimmie Lunceford e` specialista in ‘‘bounce tempo’’ (Tain’t What You Do, 1939). Qualche titolo famoso: Bouncin’ Around, Bouncing With [Ph.B.] Bud, Jersey Bounce. BOWIE, Joe (Joseph) Trombonista e cantante statunitense (St Louis, Missouri, 17/10/1953). Membro dell’AACM come il fratello maggiore Lester, fa parte del BAG a partire dal 1970, dopo alcuni debutti in vari gruppi di rhythm and blues. Suona con Oliver Lake, Julius Hemphill ecc. Con Lake,

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BOWIE

Baikida Carroll, Floyd LeFlore e Charles Bobo Shaw, va a Parigi nel 1972. Di ritorno negli Stati Uniti, lavora con suo fratello (1974 e 1975) e con Frank Lowe (1975-77), si esibisce con il sassofonista Luther Thomas a capo del St Louis Missouri Creative Ensemble (1978), e con Charles Bobo Shaw e l’Human Arts Ensemble (1978); suona anche con Kelvyn Bell (chit), Melvin Gibbs (cb), Ted Daniel (tr), Charles Bobo Shaw (batt), i fratelli Byron (sax, fl) e, a volte, Lester. Nel 1980 forma il gruppo Defunkt che abbandona nel 1986 per l’Ethnic Heritage Ensemble di Kahil El’Zabar (perc) e Edward Wilkerson (ance). Suono grosso, sonorita` piena, acuti al limite della rottura, dall’arrochimento vivamente contrastato, espressionismo: una maniera efficace di passare strumentalmente e vocalmente dal rhythm and blues al free, per arrivare a una mescolanza aperta. [P.C.] Sun Voyage (Lowe, 1975); Orange Butterflies (duo con Lake, 1976); Funky Donkey (Thomas, 1977); «The Human Arts Ensemble Live Vol. II» (Shaw, 1978); Defunkt (1983); Loose Pocket (Ethnic Heritage, 1987); Bobo (1990).

BOWIE, Lester Trombettista, suonatore di flicorno e compositore statunitense (Frederick, Maryland, 11/10/1941 - New York, 8/11/1999). Dopo l’infanzia e l’adolescenza a St Louis (Missouri), intraprende a cinque anni lo studio della tromba con suo padre, professionista dello strumento: si esibisce nelle feste religiose e scolastiche a partire dai dieci anni. La prima esecuzione in orchestra e` nel 1957. Durante i mesi del servizio militare in Texas lavora con diversi gruppi di blues. Passa un anno alla Lincoln University, ritorna in Texas e collabora con i sassofonisti James Clay, David Fathead Newman, Billy Harper, poi a St Louis dove forma il New Jazz Quintet, di cui fa parte il batterista Phillip Wilson, che ritrovera` nell’AACM di Chicago. Nel 1965 diventa direttore musicale di Fontella Bass e accompagna alcune vedette di blues (i chitarristi cantanti Little Milton e Albert

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BOWLES

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King) e del rhythm and blues (Salomon Burke, Joe Tex, Rufus Thomas). Nel 1966 si stabilisce a Chicago, lavora negli studi di registrazione per vivere (rock, rhythm and blues), incontra Muhal Richard Abrams e Roscoe Mitchell, diventa membro dell’AACM, vede la nascita dell’Art Ensemble of Chicago con Mitchell, Joseph Jarman e Malachi Favors (1968). Non lascia mai il gruppo, con il quale registra molte volte in Francia (1968-71) e nel resto d’Europa. Parallelamente partecipa alla registrazione di dischi con Sunny Murray, Jimmy Lyons, Archie Shepp (1969), del contrabbassista italiano Marcello Melis, di Leo Smith (1978) ed e` membro del quartetto di Jack DeJohnette (1978-79). Dal 1967 si esibisce come solista. Pezzi forti sono il quintetto che ha presentato nel 1977-78 (Arthur Blythe, Amina Claudine Myers, Malachi Favors, Phillip Wilson) e la sua Brass Fantasy (formato nel 1984), nonetto di ottoni (4 trombe, due tromboni, corno, tuba, batteria) di una vena piu` popolare. Partecipa anche al sestetto The Leaders. Lester Bowie cura molto il timbro, e` un colorista che beneficia di una tecnica infallibile, di un senso plastico acuto. E` a lui che si deve uno dei suoni piu` caratteristici della tromba jazz, chiarezza e decisione, ma che spesso (particolarmente in seno all’Art Ensemble of Chicago) si fa fragile con effetti aggiuntivi: accenno di canto o borbottio intricati alle linee strumentali, growls, variazioni della pressione delle labbra, soffiato, tutto un carosello eterogeneo favorito dal suo controllo del bocchino. La sua esecuzione procede con corte sequenze, con fermi attacchi, articolate su un rimodellamento costante e virtuoso della dinamica. Musicista sismico, incisivo, nemico del pettegolezzo – quello che Wynton Marsalis definisce come il suo «trombettista preferito per le sue idee» – e` a suo agio tanto nella crudita` del rhythm and blues che nella celebrazione barocca dell’improvvisazione, [C.T.] senza alcuna segnalazione. Jazz Death? (R. Mitchell, 1968); con l’Art Ensemble of Chicago: People In Sorrow, Dexterity (1969), Charlie M. (1980); Three In One (1978); con Jack DeJohnette:

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154 Dream Stalker (1978), Salsa For Eddie G. (1979); Down Home (1982), I Only Have Eyes On You (1985), Angel Eyes (1991); «The Fire This Time» (1992); «The Odyssey of Funk and Popular Music, vol. 1» (1999).

BOWLES, Russell Trombonista statunitense (Glasgow, Kentucky, 17/4/1909 - Lancaster, Pennsylvania, 5/7/1991). Suona nella Booker T. Washington Community Centre Band e contemporaneamente prosegue gli studi a Louisville; entra poi nei Melody Lads di Ferman Tap (1926-28), che lascia per l’orchestra di Horace Henderson. Dopo un soggiorno a Buffalo nell’orchestra di un teatro, nel 1931 viene scritturato da Jimmie Lunceford. Rimane fedele a Lunceford fino alla sua morte (1947) e anche oltre, poiche´ in seguito ritrova l’atmosfera luncefordiana sotto la direzione di Eddie Wilcox a fianco dei vecchi musicisti dell’orchestra. All’inizio degli anni ’50 suona ancora con Cab Calloway, ma limita e poi abbandona le attivita` di musicista. Russell Bowles e` il cognato del trombettista Jonah Jones. Esordisce come timido solista per brevi interventi nei primi dischi di Lunceford, ma l’arrivo di Elmer Crumbley, poi di Trummy Young, lo confinano al ruolo di [A.C.] musicista di sezione. Con Lunceford: Mood Indigo, Dream Of You (1934), My Blues Heaven, Oh Boy, Avalon (1935).

BOWN, Patti (Patricia Anne) Pianista statunitense (Seattle, Washington, 26/7/1931). Come la sorella, diventata pianista classica, studia musica classica. Vince un concorso e fa parte di orchestre locali alla fine degli anni ’40. Diplomata all’universita` di Seattle nel 1955, sbarca a New York l’anno seguente e lavora come solista in club, bar e altri luoghi di ritrovo. Nel 1959 forma un trio con Joe Benjamin e Ed Shaughnessy. Nello stesso anno viene scritturata da Quincy Jones, un amico d’infanzia, nella grande orchestra che accompagna la rivista Free And Easy.

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Durante il soggiorno parigino dell’orchestra partecipa a qualche incisione. Ritornata a New York, si divide fra un’attivita` free lance e il lavoro da solista nei club (Neddle’s Eye, Half Note). Dal 1972 al 1974 fa parte dell’orchestra di Purlie, uno spettacolo di Broadway. Ha inciso, fra l’altro, con Sonny Stitt, Oliver Nelson (1961), Gene Ammons (1962), Illinois Jacquet (1965), Aretha Franklin, James Brown e, a piu` riprese, in particolare per musiche da film, con Quincy Jones. Senso acuto del blues, fraseggio fluido, tocco delle sfumature quasi ‘‘classiche’’ e swing sottile: una partner da sogno, capace anche di effetti dinamici e – come in un boogie attualizzato – di seducenti in[P.C.] cursioni nel registro piu` grave. Nothin’ But The Truth (1959); con B. Coleman: Have Blues, We’ll Play ’Em (1960); Father And Son (Cal Massey, 1961); You’d Be So Nice To Come Home (Ammons, 1962).

BOYD, Nelson Contrabbassista statunitense (Camden, New Jersey, 6/2/1928 - 10/2005). Dopo aver suonato nel 1945 in orchestre di secondo piano a Filadelfia, ha il suo grande debutto a New York, nel 1947, con Coleman Hawkins. Successivamente lavora con Tadd Dameron, Dexter Gordon, Charlie Parker, Sarah Vaughan, Charlie Barnet. Poi, sulla costa occidentale, con Erroll Garner e nella grande orchestra di Dizzy Gillespie dove, nel 1948, sostituisce Al McKibbon. L’anno seguente partecipa a uno dei famosi dischi di Miles Davis per la Capitol. Si eclissa contemporaneamente alla scomparsa della big band di Gillespie. Fa ritorno nel 1956 nella grande formazione costituita dal trombettista per una tourne´e in Medio Oriente patrocinata dal dipartimento di stato statunitense. Nel 1958 suona e incide con Max Roach, poi scompare a poco a poco dalla scena musicale. Si apprezza la fermezza del suo accompagnamento nella grande orchestra ma anche – come dimostrano i suoi dischi con Dexter Gordon, Fats Navarro, James

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BOYKINS

Moody, Coleman Hawkins ecc. – la sua duttilita`, sebbene le registrazioni audio dell’epoca rendano male l’intensita` e il [A.C.] colore sonoro. Half Nelson (Parker, 1947); One Bass Hit (Gillespie, 1948); Boplicity (Davis, 1949); Let’s Cool One (Thelonious Monk, 1952); Billie’s Bounce (Roach, 1958).

BOYKINS, Ronnie Contrabbassista statunitense (Chicago, Illinois, 7/12/1932 - New York, 20/4/ 1980). Seguendo l’esempio di Sun Ra, ha sempre cercato di occultare la sua vera data di nascita. Avendo cominciato a studiare musica a dodici anni, segue i corsi della Du Sable High School, come molti jazzisti neri di Chicago e, al contrabbasso con archetto o alla tuba, fa parte di orchestre classiche dilettanti. Respinto per un posto di contrabbassista nell’orchestra del Metropolitan di New York per motivi razziali (come egli afferma, ed e` certamente credibile), si dedica alla musica nera. Rimane a Chicago e, tramite gli amici Charles Davis, Julian Preiester, Pat Patrick e John Gilmore, scopre l’universo di Sun Ra. Nel frattempo un ex bassista di Duke Ellington, Ernie Shepard, gli fa ascoltare e studiare registrazioni di Jimmy Blanton. Parallelamente accompagna il pianista e cantante Freddie Cole (fratello di Nat King Cole), i pianisti Willie Jones e James Williams, i sassofonisti Johnny Griffin e Von Freeman, i bluesmen Jimmy Witherspoon, Muddy Waters e Guitar Red. Nel 1958 viene scritturato da Sun Ra e sara` membro abituale dell’Arkestra fino al 1966, apparendo in piu` di 30 incisioni di Sun Ra tra il 1955 e il 1974. Da allora moltiplica le attivita`: lavoro in studio di registrazione (accanto a Sarah Vaughan, Roland Kirk nel 1967, Mary Lou Williams), scrittura al Playboy Club, tourne´e con Archie Shepp e il New York Contemporary Five (1964), formazione del gruppo Free Jazz Society, con Floyd Le Flore (tr), Frank Haines (tsax) e John Hicks (pf). Nel 1971 partecipa con Roger Blank, Charles Brackeen e Ahmed Abdullah, al Melodic Art-tet. Ha inciso

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BRACKEEN

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anche con Elmo Hope (1963), Marion Brown (1965), Charles Tyler, Joe Lee Wilson (1975), David Eyges e Steve Lacy. Della sua formazione classica Boykins conserva una predilezione per l’archetto e una certa solennita` del fraseggio; il lungo soggiorno in seno alle masse orchestrali organizzate da Sun Ra lo ha portato a sviluppare un grande suono e un’esecuzione sobria e piu` efficace, addirittura [P.C.] brutale: poche note, ma potenti. The Sun Myth (Sun Ra, 1965); «The Will Come, Is Now» (1975); Inner Voices (Eyges, 1977); We Don’t II (Lacy, 1979).

BRACKEEN, Charles Sassofonista (tenore, soprano, alto) statunitense (Oklahoma City, Oklahoma, 13/3/ 1940). Studia il pianoforte dall’eta` di sei anni, poi il violino e il sassofono. Si stabilisce a Los Angeles alla fine degli anni ’50 e suona con Dave Pike e Joe Gordon. Qui incontra la pianista Joanne Grogan, che diventa sua moglie (si trasferiscono a New York nel 1964). Molto impegnato nell’avanguardia, Charles Brackeen fa parte della Jazz Composer’s Orchestra e suona con Paul e Carla Bley e Leroy Jenkins. Per il suo primo disco da leader (1973) si avvale di Don Cherry, Charlie Haden e Ed Blackwell: i partner di Ornette Coleman. Lo ritroviamo anche a fianco di Frank Lowe e in seno al Melodic Art-tet. Fa parte del trio di Paul Motian (1977-80), poi della Decoding Society di Ronald Shannon Jackson. Influenzato da Ornette Coleman quando compone o suona l’alto, Charles Brackeen, al tenore e al soprano, e` un musicista assai lirico, attento allo svolgimento melodico e all’espressivita`, ma radicale assertore della liberta` delle forme, elaborate al di fuori delle costrizioni tonali. [X.P.]

Charles’ Concept (1974); con Motian: Preluce (1977), Le Voyage (1979); «Bannar» (1987); Mystery of Two (Ahmed Abdullah, 1987); The Desert Wind (Dennis Gonzalez, 1989).

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BRACKEEN, Joanne (GROGAN) Pianista e compositrice statunitense (Ventura, California, 26/7/1938). Studia lo strumento da autodidatta e comincia a suonare alla fine degli anni ’50, in California, con Teddy Edwards, Dexter Gordon, Charles Lloyd e Charles Brackeen (che diverra` suo marito). A New York, nel 1964, suona il pianoforte e l’organo con il vibrafonista Freddie McCoy, poi con Woody Shaw (1969), Dave Liebman (1969 e 1974), Art Blakey (1970-72), Joe Henderson (1972-75), Joe Farrell, Sonny Stitt, Stan Getz (1976-77). Dalla fine degli anni ’70 si esibisce col proprio nome, in duo (con Clint Houston, Red Mitchell) e in trio. Pianista dall’esecuzione potente e percussiva, Joanne Brackeen compone, e improvvisa, una musica talvolta complessa ma sempre lirica. Una mano destra volubile (ma con una schietta articolazione), una mano sinistra precisa (nella fermezza delle linee dei bassi come nelle sfumature degli accordi) e un buon controllo della sonorita` su tutta l’estensione della tastiera le garantiscono i mezzi di un’espressione originale, soprattutto in trio e, fra le sue composizioni, in quelle che manifestano [X.P.] la piu` grande liberta` tonale. Haiti B (1977), Off Glimpse (1979), Einstein (1981), Heidi-B (Freddie Hubbard, 1983), «Live at Maybeck Recital Hall» (1989), Estilo Magnifico (trio, 1991).

BRADFORD, Bobby Lee Trombettista statunitense (Cleveland, Mississippi, 19/7/1934). Figlio di un pastore musicista dilettante che lo incoraggia a suonare il pianoforte all’eta` di dieci anni, segue la sua famiglia a Dallas (Texas) nel 1946. Nel Natale 1948 scambia l’orologio che gli e` stato regalato con una tromba. L’anno seguente, scopre Fats Navarro e comincia a studiare la cornetta. Alla Lincoln High School (1949-52) ha come compagni James Clay, Cedar Walton, David Newman. Segue i corsi del Sam Houston College di Austin (195253) e fa parte di un’orchestra da ballo con Leo Wright. Incontra Charles Moffett e,

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quando questo si sposa, il suo testimone, Ornette Coleman. Suona anche con Buster Smith e John Hardee. A Los Angeles nel 1953, diviene partner abituale di Ornette e, nel frattempo, incontra il successo con Wardell Gray, Gerald Wilson, Eric Dolphy, Walter Benton e Joe Maini. Nel 1954-58, durante il servizio militare, fa parte di orchestre dell’aviazione. Nel 1959 si iscrive all’universita` del Texas e suona nella regione di Austin. Nel 1961 puo` infine rispondere positivamente agli inviti di Ornette Coleman e raggiungerlo a New York. E` per l’appunto il periodo in cui il quartetto non ha quasi mai proposte di incisioni. Bradford ritorna nel Texas, poi a Los Angeles dove, con John Carter (al quale Ornette l’ha raccomandato), forma il New Art Jazz Ensemble, la cui produzione sara` incisa dalle case discografiche Revelation e Flying Dutchman. In occasione di vacanze in Europa, incide col batterista John Stevens e lo Spontaneous Music Ensemble. Di ritorno negli Stati Uniti, partecipa infine a un disco di Ornette (1971). Di nuovo in Europa nel 1973 (vi tornera` regolarmente fino al 1986), forma un quartetto con Stevens, Trevor Watts (asax) e Kent Carter (cb). Ma la maggior parte del suo tempo e` dedicata all’insegnamento a Los Angeles. Un suono largo e tenero, un tono sempre romantico, mai a corto di idee melodiche, e soprattutto, con qualunque tempo, un rifiuto di ogni urgenza: facendo parte della prima generazione del free, Bradford offre, a furia di serenita` e seduzioni orecchiabili, la piu` evidente dimostrazione che il free jazz non e` soltanto ‘‘violenza e disordine’’. [P.C.] Song For The Unsung (New Art Jazz Ensemble, 1969); The Jungle Is A Skyscraper (Coleman, 1971); «Love’s Dream» (1973), «Lost In L.A.» (1983); Ornate (Frank Sullivan, 1986); «Comin’ On» (1988); Have You Seen Sideman? (Murray, 1991); «Lineage» (Vinny Golia, 1998).

BRADFORD, Perry John Henry Pianista, cantante, compositore e direttore d’orchestra statunitense (Montgomery, Alabama, 14/2/1894 - New York,

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BRADLEY

20/4/1970). La sua famiglia si stabilisce ad Atlanta quando ha sei anni. Giovanissimo, si esibisce con un gruppo di minstrel che lascia per andare a Chicago, dove suona il pianoforte da solista (1909), poi a New York (1910) dove lavora anche come compositore. Diventa direttore musicale di Mamie Smith e scrive per lei Crazy Blues (1920), che riscuote successo. Fa parecchie tourne´e con la cantante all’inizio degli anni ’20 e partecipa a numerosi dischi con cantanti di blues dal 1923 al 1925 (Lena Wilson, Ethel Ridley, Julia Jones, Sippie Wallace, Laura Smith, Alberta Hunter) oppure a capo del suo gruppo, i Perry Bradford’s Jazz Phools, che comprendeva Louis Armstrong, Buster Bailey, James P. Johnson. Compositore di numerose canzoni (Evil Blues, It’s Right Here For You, That Thing Called Love), fonda una casa editrice a cui si dedica esclusivamente. Nel 1965 pubblica la sua autobiografia: Born With The Blues. [A.C.] Lucy Long, I Ain’t Gonna Play No Second Fiddle (1925).

BRADLEY, Will (Wilbur SCHWICHTENBERG) Trombonista, compositore e arrangiatore statunitense (Newton, New Jersey, 12/7/ 1912 - Flemington, New Jersey, 15/7/ 1989). Suona in orchestre universitarie prima di arrivare a New York nel 1928 e di esibirsi con Red Nichols. Dal 1931 al 1939 prende parte a formazioni radiofoniche, se si eccettua una permanenza di due anni (1935-36) da Ray Noble. Costituisce allora una propria orchestra che, fino al 1942, dirige congiuntamente al batterista Ray McKinley e che, nello stile delle grandi formazioni swing bianche, seguendo la moda del boogie-woogie, riscuote un vero successo popolare, in particolare nel 1940 con Beat Me Daddy (Eight To The Bar). Suona ancora in Sauter-Finegan (1953) ma la sua attivita` – oltre alla composizione di opere classiche – si limita al lavoro in studio di registrazione.

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BRADSHAW

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Tecnico di buon livello e solista che poteva rivaleggiare con i migliori virtuosi dell’epoca, Will Bradley ha lasciato purtroppo solo pochi dischi che gli rendono [A.C.] giustizia. Basin Street Blues (1941), Celebrity (1943); Lady Be Good (Billy Butterfield, 1945).

BRADSHAW, Tiny Myron Batterista, pianista, cantante e direttore d’orchestra statunitense (Youngstown, Ohio, 23/9/1905 - Cincinnati, Ohio, 26/ 11/1958). Studa psicologia alla Wilberforce University, poi passa alle percussioni. Suona la batteria in varie orchestre locali, quindi inizia una carriera di cantante, in particolare con i Collegians di Horace Henderson. Alla fine degli anni ’20 si reca a New York dove, qualche anno dopo, lo troviamo al Savoy fra i Savoy Bearcats di Duncan Myers, con gli Alabamians di Marion Hardy, la Mills Blue Rhythm Band (1932) e l’orchestra di Luis Russell. Nel 1934 organizza il proprio gruppo che si esibira` per vent’anni con grande successo accanto a ballerini attraverso gli Stati Uniti, incidendo a partire dal 1944 un imponente numero di dischi, molti dei quali con eccezionale esito commerciale. Nel 1945 l’orchestra effettua una tourne´e in Giappone. La moda del rhythm and blues negli anni ’50 accresce la notorieta` di Tiny Bradshaw, che vi trova il terreno ideale per esprimere swing e vitalita`, spesso con ironia, grazie a una sezione di ottoni violenti, a sassofonisti dalle caratteristiche esasperate – Red Prysock (The Train Kept A Rollin’, 1951), Rufus Gore (I’m Going To Have Myself A Ball, 1950), Noble Watts (Cat Fruit, 1954) – e a una ritmica senza debolezza. La sua orchestra fu un trampolino per molti giovani musicisti: Nelson Williams, Little Belly Harris, Sonny Stitt, Bill Hardman che erano alle prime armi. [A.C.]

Shout, Sister, Shout (1934), Bradshaw Bounce (1944), Gravy Train (1949), Walk That Mess (1950), Bradshaw Boogie (1951), Free For All (1953).

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BRAFF, Ruby (Reuben) Cornettista statunitense (Boston, Massachusetts, 16/3/1927 - Chatham, Massachusetts, 9/2/2003). Puro autodidatta, suona in formazioni locali a fianco di Pee Wee Russell, Bud Freeman e Edmond Hall, prima che l’impresario George Wein gli dia l’occasione giusta e lo introduca nei club e nei festival che gestisce e organizza. Appare quindi sulla scena del jazz nel periodo in cui i giovani musicisti si lasciano sedurre piu` facilmente dalle turbolenze del bebop che non dal conforto del jazz classico. Della stessa generazione di Miles Davis e di Art Farmer, Braff sceglie di esprimersi nella linea melodica di Louis Armstrong, Buck Clayton e Roy Eldridge. Messo in risalto dal festival di Newport 1954, eletto l’anno seguente ‘‘new star’’ dai lettori di Down Beat, viene scritturato da Benny Goodman (1955). Fa numerose apparizioni nei club degli Stati Uniti e nei festival europei: al suo primo soggiorno in Europa (1961) seguono molte scritture, in particolare alla Grande Parade del jazz di Nizza. Nel 1973 e per due anni, si unisce al chitarrista George Barnes per suonare in quartetto una musica dallo swing raffinato. Ruby Braff si esprime sempre con molta eleganza e ispirazione, dimostrando un senso innegabile dello swing. Possiede una stupenda sonorita`, in particolar modo nel tono grave dello strumento e quando [A.C.] utilizza la sordina. Old Fashioned Love (Vic Dickenson, 1953); «Buck Meets Ruby» (con Buck Clayton, 1955); «Dancing In The Dark» (1956), «Ruby Braff Plays Louis Armstrong» (1969); «The Best I’ve Heard» (con Barnes, 1973-74); «And His New England Songhounds» (1991).

BRAITH, George (George BRAITHWAITE) Sassofonista (contralto, tenore, stritch, braith-horn) statunitense (New York, 27/ 6/1939). Figlio di un pastore pentecostale e di una madre musicista (oltre che fratello di altri cinque musicisti), nato nel Bronx e di ascendenze caraibiche (Saint

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Thomas, come l’amico di sempre, Sonny Rollins), dirige propri gruppi dall’eta` di dieci anni, lavora con Garvin Bushell e compie nel 1957 una tourne´e nei Paesi Bassi, dove incontra Lucky Thompson. Da un rigattiere di Pasadena acquista un C melody sax, che aggiungera` al suo gia` folto arsenale strumentistico. Incide per la Blue Note e la Prestige, poi forma svariati gruppi con organo (Billy Gardner, John Patton). Nel 1967 incide per la Savoy con John Hicks, Herbie Lewis e Roy Haynes alcuni brani per un disco rimasto poi inedito. All’inizio degli anni ’70 apre un negozio nel Greenwich Village, che chiudera` ben presto. Perfeziona uno strumento di propria invenzione, il braithhorn, che gli consente di realizzare il sogno di suonare piu` sassofoni contemporaneamente; negli anni ’80 si esibisce soprattutto nelle strade di Manhattan e di altri quartieri newyorkesi. All’inizio degli anni ’90, dopo aver registrato con Ronnie Mathews, Tarik Shah e Jimmy Lovelace alla University of the Streets, si trasferisce ad Atlanta, dove sembra aver trovato un finanziatore. Ha scritto un testo didattico sull’uso simultaneo di piu` strumenti ad ancia. Al di la` delle sue ispirazioni (Parker, Coltrane, Rollins, Tatum, Alban Berg, Barto´k, Ellington) e dell’aneddoto spettacolare del multistrumentismo simultaneo, Braith ha inventato o riscoperto il gusto della frase spezzata e sempre staccata, a qualunque tempo, punteggiata da note che si allungano in maniera esagerata e il cui robusto sapore ‘‘metallico’’ fa venire in mente il circo, la strada e ogni sorta di [G.R., T.L.] sirena... Mary Had A Little Lamb (1962), Hot Sauce (1966), Musart (1967), «Double Your Pleasure» (1992).

BRAND, «Dollar» (Adolph Johannes) f IBRAHIM, Abdullah. Brano (anche ‘‘aria’’, ‘‘titolo’’, ‘‘pezzo’’; in inglese tune, piece, number) Un brano puo` essere strumentale o vocale e constare di

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BRANO

uno o piu` temi. Come tutte le canzoni (ingl. songs), i brani utilizzati dai jazzisti comprendono varie parti distinte. 1. Una strofa (ingl. verse o couplet) che conta generalmente meno battute del ritornello (8 o 16). Le strofe sono eseguite soprattutto nelle versioni vocali. Trascurate dal jazz strumentale, nonostante alcune siano molto graziose e armonicamente ricche, a volte sono presentate ad libitum, fuori tempo, generalmente a mo’ d’introduzione. Alcune belle strofe sono quelle di Stardust, Tea For Two, Ain’t Misbehavin’, When Your Lover Has Gone, Lush Life. 2. Un tema principale o ritornello (chorus o refrain) che e` il tema sul quale i jazzisti improvvisano. Nel jazz tradizionale si trovano il piu` delle volte brani costruiti su uno schema differente da quello strofa/tema principale. Si tratta di pezzi abbastanza lunghi come quadriglia, ragtime, fanfara e che comprendono piu` parti. 1. Un’introduzione. 2. Uno o spesso piu` temi, collegati o no da interludi modulanti (intervalli). 3. Una coda (per esempio: High Society, King Porter Stomp). Alcuni brani, presi in prestito dalla musica popolare americana, all’origine erano dei valzer, trasformati in 4/4 per le necessita` dello swing, per esempio Tenderly, When I Grow Too Old To Dream, Lover. Negli Stati Uniti la legislazione relativa ai copyright permette agli autori-compositori di dare il titolo che preferiscono ai propri brani anche se esiste gia` lo stesso titolo per una o piu` opere di altri. Si puo` immaginare facilmente il numero di I Love You sul mercato della canzone popolare. I due brani piu` noti, con questo titolo, sono quelli di Cole Porter e Harry Archer. Altri titoli identici relativi a brani differenti sono: Once In A While, l’uno suonato dagli Hot Five di Louis Armstrong nel 1927 e l’altro composto da Michael Edwards nel 1937; Watermelon

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BRASS

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Man, uno eseguito da Duke Ellington (1938) e l’altro da Herbie Hancock (1962). f anche Chorus – Coda – Interludio – Introduzione – Partitura – Repertorio – Standard – Tema. [Ph.B.]

Brass (letter. ‘‘ottone’’) La sezione degli ottoni (brass section in inglese) include le trombe e i tromboni ed esclude i sassofoni, i quali fanno parte della sezione delle ance (reed section), mentre la brass band (fanfara) li include entrambi. [Ph.B.] Brass band (o marching band, street band) Orchestra di fanfara, di parata, chiamata anche ‘‘d’armonia’’, composta unicamente da strumenti a fiato e da tamburi, grancassa e piatti. Le fanfare militari hanno cominciato a fiorire nella meta` del XIX secolo, avvalendosi dello sviluppo tecnologico degli strumenti a fiato e nel 1878 il celebre Patrick S. Gilmore gia` intraprendeva una tourne´e europea con i 66 musicisti della sua 2nd Regiment Band. Ma l’archetipo della brass band e` indiscutibilmente quello di John Philip Sousa, venuto varie volte in Europa a partire dal 1900. Sousa e` anche il piu` celebre compositore di questo stile di musica. Accanto a estratti di famose opere come Parsifal, la sua orchestra suonava cakewalk o ragtime (At Georgia Camp Meeting, 1898). Arthur Pryor e Henry Fillmore hanno diretto altre due famose brass band di tipo militare. Tra gli altri, i neri James Reese Europe, James Tym Brymn, Will Vodery portarono in Francia durante la prima guerra mondiale le loro fanfare militari composte dai migliori musicisti neri degli Stati Uniti e furono probabilmente i primi a far scoprire agli europei una musica sincopata che assomigliava moltissimo al jazz nascente; nelle fila di queste fanfare suonavano infatti Russell Smith, Willie The Lion Smith, Jasper Taylor, Herb Flemming, Bill Bojangles Robinson, Noble Sissle e molti altri jazzisti. Non bisogna neanche trascurare l’importanza delle

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brass band nelle quali i musicisti di jazz suonavano durante il servizio militare, e che ben presto utilizzarono percussioni assemblate in kit per essere suonate da un singolo musicista. Le brass band fanno ovviamente parte integrante della vita musicale di New Orleans. Eredi delle fanfare militari, le brass band di questa citta` suonavano (e suonano ancora) per ogni sorta di occasione e ogni tipo di musica che non si limitava al solo jazz. Le occasioni erano incontri sportivi, carnevali, raduni politici, feste organizzate con ogni sorta di pretesto e, chiaramente, i famosi funerali. La musica era composta da marce militari, ragtime, motivi ballabili e folkloristici, inni, spiritual, marce funebri, brani di jazz. La strumentazione delle orchestre di jazz riflette in parte quella delle brass band, compresa la configurazione per ‘‘sezioni’’. Una delle primissime brass band di New Orleans fu l’Excelsior Brass Band fondata verso il 1880. In ordine cronologico seguiranno, fra le piu` famose, l’Onward, la Reliance, la Tuxedo, l’Eureka, la Young Tuxedo, l’Olympia. Oggi, grazie alla vivificante Dirty Dozen Brass Band, l’antica ma allegra – e sempre rinnovata – tradizione della fanfara di New Orleans e` ringiova[Ph.B.] nita di colpo. BRAUD, Wellman Contrabbassista statunitense (Saint James Parish, Louisiana, 25/1/1891 - Los Angeles, California, 29/10/1966). Impara a suonare il violino in tenera eta` prima di adottare il contrabbasso con cui suona, in particolar modo nell’orchestra di un famoso locale di New Orleans: il Tom Anderson’s Cabaret. Arriva a Chicago nel 1917, effettua varie tourne´e prima di entrare nel 1922 nell’orchestra di Charlie Elgar. Dopo un breve soggiorno a Londra nel 1923, e` scritturato da Wilbur Sweatman, poi in orchestre che accompagnano riviste (1926-27) prima di essere inserito nell’orchestra di Duke Ellington (192735), partecipando alla tourne´e europea del 1933. Successivamente si unisce a Jimmie Noone, quindi suona nell’orchestra di

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Kaiser Marshall prima di diventare uno degli Spirits Of Rhythm. Nel 1937 costituisce un proprio trio che si esibisce in seno ad altre formazioni: Hot Lips Page (1938), Edgar Hayes (1939), Sidney Bechet (1940-41), Al Sears (1943), Garvin Bushell (1944). Impegnato in attivita` extramusicali, ormai appare solo sporadicamente fino al 1956: riprende l’attivita` a tempo pieno con Kid Ory che lo porta in Europa per una tourne´e. Stabilitosi in California, suona in compagnia di Joe Darensbourg (1960). Vittima nel 1961 di disturbi cardiaci, deve rallentare la sua attivita`. Assieme a Pops Foster, Wellman Braud e` il piu` rappresentativo contrabbassista dello stile di New Orleans. La base potente e tuttavia duttile, l’esecuzione di grande sobrieta` che sottolinea energicamente i quattro tempi della battuta costituiscono un esempio stimolante per i musicisti che egli accompagna in piccola formazione cosı` come nella grande orchestra di Duke Ellington. Il suo slapping era particolarmente spettacolare. [A.C.] Con Ellington: Blues I Love To Sing (1927), Freeze And Melt, Wall Street Wail (1929), Double Check Stomp (1930), Creole Love Call (1932); Perdido Street Blues (Armstrong-Bechet, 1940); Careless Love (Baby Dodds, 1945).

BRAXTON, Anthony Compositore statunitense che suona senza eccezione tutti i sassofoni e clarinetti (sebbene abbia una predilezione per i sax alto, soprano e sopranino, i clarinetti in b e basso), il flauto e il pianoforte (Chicago, Illinois, 4/6/1945). Dal 1959 al 1963 studia alla Chicago High School of Music. Successivamente studia armonia e composizione al Chicago Musical College e filosofia alla Roosevelt University. Nel 1966 giunge all’AACM e insegna armonia alla scuola dell’associazione. Nel 1968 registra il primo disco da leader («Three Compositions Of New Jazz», con Muhal Richard Abrams, Leroy Jenkins, Leo Smith), poi un album doppio («For Alto»). Nel 1969 suona in Europa con Leroy Jenkins, Leo Smith, Steve

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BRAXTON

McCall e si stabilisce per un po’ a Parigi. Cominciano cosı` per lui frequenti soggiorni europei (e principalmente parigini) che occupano gran parte dei suoi anni fino all’autunno 1974 (si trasferisce allora a Woodstock), offrendogli la possibilita` di incidere a fianco di Gunter Hampel e Jeanne Lee nel 1969, 1972, 1975 (Birth), con Jacques Coursil (tr), Willem Breuker, Alan Silva nel 1969, con Derek Bailey nel 1974, oltre a numerosi album col proprio nome e col suo primo quartetto con pianoforte (Michael Smith, pf; Peter Warren, cb; Oliver Johnson, batt: «Donna Lee», 1972), in assolo («Saxophone Improvisations Series F», America, 1972) e nella grande orchestra (la sua Creative Music Orchestra, creata nel marzo 1972 e ricostituita nel 1976 con componenti diversi). Durante questo periodo fa parte del Circle di Chick Corea in compagnia di Dave Holland e Barry Altschul (1970-71); chiamera` questi ultimi (membri con lui, nel 1972, di un quartetto di circostanza comprendente Sam Rivers e Dave Holland: Conference Of The Birds) per il proprio quartetto nel 1974, affiancando loro Kenny Wheeler (sostituito da George Lewis nel 1976), dopo avere inciso quello stesso anno (all’alto e al clarinetto contrabbasso) due volumi dedicati all’idioma bop in compagnia di Tete Montoliu, Niels-Henning Ørsted Pedersen e Albert Tootie Heath («In The Tradition», vol. 1 e 2). Il 1974 e` ancora l’anno della sua partecipazione (a fianco di Lee Konitz) a uno spettacolo di Dave Brubeck («All The Things You Are»). Da quel momento le sue differenti esperienze musicali si organizzeranno attorno alla formula pivot del quartetto: «Five Pieces 1975» (con l’Arista) fissa brillantemente la posta di quel particolare lavoro dell’interazione (che negli anni ’80 tendera` a divenire piu` complessa, ad accogliere sempre di piu` la scrittura) a cui prenderanno principalmente parte, nel corso degli anni, i trombonisti George Lewis e Ray Anderson, i pianisti Marilyn Crispell, Anthony Davis, David Rosenboom, su una base contrabbasso-batteria in cui si ritrovano, a partire dal 1976 (anno che vede la fine della sua

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BRAXTON

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collaborazione con Holland e Altschul), John Lindberg, Mark Helias, Mark Dresser alternati a Thurman Barker, Ed Blackwell, Gerry Hemingway. Nel frattempo, Braxton moltiplica i dialoghi decisivi: con Lewis (1976), Abrams (1976), Max Roach (1978, 1979, 1982), Lindberg, poi col musicista contemporaneo esperto di sintetizzatori Richard Teitelbaum (1982), e prosegue il suo lavoro in assolo («Alto Saxophone Improvisations», 1979; «Composition 113», al sopranino, 1983). Il 1976 e 1977 lo vedono partecipare al Globe Unity Orchestra, come anche a Company, e lavorare con Roscoe Mitchell. Il pianista e compositore contemporaneo Frederic Rzewski e Ursula Oppens (pf) suonano sue composizioni interamente trascritte (Composition 95, 1980) e proprio lui succede a uno dei capifila della musica contemporanea negli USA, Bob Ashley, al Mills College, dove assume la direzione di una classe di composizione (1985). Come Cecil Taylor, Anthony Braxton fa riferimento tanto ad Arnold Scho¨nberg, Iannis Xenakis, John Cage, Karlheinz Stockhausen quanto a Charlie Parker, Ornette Coleman o Eric Dolphy, Paul Desmond o Lee Konitz. Ma mentre il pianista-compositore fa venire a lui – cioe` alla musica nera – la base classica della sua cultura, la lacera, riscrive, la digerisce totalmente, Braxton l’erudito intende porsi (e farsi riconoscere) sul terreno della musica improvvisata e insieme su quello della scrittura musicale ‘‘dotta’’ occidentale. Della sua doppia eredita`, questo autentico intellettuale (la vastita` della sua cultura generale, l’inclinazione per la riflessione filosofica lo avvicinerebbero a Taylor) vuole mantenere la contraddizione-tensione, il cui indice di ‘‘superamento’’, piu` che ascoltarlo, si legge: nel lavoro di autoanalisi che egli conduce rigorosamente abbinato al suo percorso di compositore e improvvisatore (materia di cinque volumi di scritti tecnici, riflessivi e critici ancora inediti) e nelle sue dichiarazioni. Vi si sviluppa un discorso universalista sulla musica (ripreso da una titolatura delle composizioni con formule pseudomatematiche-geroglifiche che si

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possono interpretare come un desiderio di eludere i particolarismi linguistici) in cui l’idea combinatoria e` dominante: declinazioni della forma fondamentale, il quartetto (nelle sue due forme principali: ance-pianoforte-contrabbasso-batteria e ance-trombone, originariamente trombacontrabbasso-batteria), attraverso vari scambi operati nella popolazione ristretta, virtuosa e fedele dei musicisti braxtoniani (nella frequente variazione dell’organico, una scelta di nuovi strumentisti non annulla i precedenti); tessitura di numerose composizioni (dinamizzazione di una composizione prima con composizioni ‘‘additive’’) in una stessa esecuzione; molteplici punteggiature della cellula-quartetto con molte altre formule che ne amplificheranno le frasi o ne lavoreranno il particolare, l’assolo e i duetti scrivendo ancora pagine di una forza mai smentita. Braxton e` un musicista che vuole cogliere tutto, attratto da un tutto ricco di fantasticherie dell’esperienza musicale, ma dove la ricerca della totalita` e` perfettamente ragionata: opera notevolmente prolifica certo, ma senza scorie ne´ sviste. Dai primi debutti discografici, non una delle sue incisioni si caratterizza per la rapidita`, e la sovrabbondanza per lui e` piu` di una necessita`: e` la prima istanza di verifica della sua teoria, esprime la volonta` di realizzare senza tempi morti un programma compositivo complesso, di equilibrarne tutti gli aspetti, le ramificazioni. Questo si presenta sotto una luce che si puo` definire, a giusto titolo, generativa: procedure generative, di inserimenti, economia di espansioni, addirittura di superposizioni di strutture iniziali le cui caratteristiche e schemi di evoluzione sono strettamente repertoriati (ve ne sarebbero, nell’estate 1986, 230). Musica austera, probabilmente, quella di Braxton; ma non formalista. La sua combinatoria e il suo generativismo non sono puri giochi di scrittura, semplici vettori della prodezza tecnica. Sono la messa in atto di un sistema filosofico per il quale il legame del musicista con l’orchestra metonimizza, in qualche modo, le relazioni dell’individuo con la societa`, condizio-

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nando il suo risveglio sociopolitico, il suo sviluppo spirituale. Essi si trovano costantemente pervasi da un lirismo sotto pressione che puntualmente riesce a darsi attraverso magnifici passaggi improvvisati, nei suoi partner e altrettanto bene in lui stesso: il sassofonista-clarinettista Braxton, musicista del grande ambito, dei registri percorsi ex abrupto, dell’irritazione dei limiti strumentali, e` agli antipodi dell’introversione (egli si e` affermato, persino in questa tendenza espressionista, come il vero successore di Ornette Coleman e, piu` ancora, di Eric Dolphy). [C.T.] To Composer John Cage (1968), «Saxophone Improvisations Series F» (1972), Marshmallow, Good Bye Pork Pie Hat (1974), 489 M 70-2–(TH-B) M (1975), Ornithology (con G. Lewis, 1976), For Four Orchestras (1978), Composition 98 (versione studio e ‘‘live’’, 1981), Composition 113 (1983), Composition nº 124 (+ 108D + 66) (1986); Dance For Clarinet And Piano nº 1 (Corea, 1970); «A11 The Things You Are» (Brubeck, 1974); One In Two, Two In One (Roach, 1979); «Six Compositions: Quartet» (1981); «Six Monk’s Compositions» (1987); «Eugene» (1989); «Eight (+3) Tristano Compositions» (1989); «Willisau (Quartet)» (1991); «Charlie Parker Project» (1993); «Sextet (Istanbul)» (1996); «Trillium R» (1999); «Ninetet (Yoshi’s)» (2002); «Sextet (Victoriaville) 2005» (2006).

Break (letter. ‘‘interruzione’’, ‘‘pausa’’) In passato, il termine veniva impiegato col significato di ‘‘break di accompagnamento’’, per definire il riempimento, in genere improvvisato, che un musicista poteva fornire durante una pausa della melodia, di solito a fine frase, per analogia con le risposte di due battute fornite alle frasi dei cantanti di blues (call and response). Nel suo significato piu` corrente, e` una frase eseguita senza alcun accompagnamento della sezione ritmica. Ma il termine puo` ugualmente designare il vuoto lasciato dalla sezione ritmica e il riempimento di quel lasso di tempo (da uno o piu`

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BREAK

musicisti). I break di due battute sono i piu` frequenti, ma se ne incontrano anche 4, 8 o perfino una sola battuta. Il break si situa generalmente a meta` (alla fine di un ponte per esempio) o alla fine di un tema, ma nelle 12 battute del blues e` frequente incontrarlo all’inizio, durante le prime 4 battute (Bugle Call Rag). Si possono considerare tre tipi di break. – Il break bianco, silenzioso, che consiste in un arresto della sezione ritmica durante il quale nessuno suona (Posin’ di Tommy Dorsey, 1937; Les Oignons di Sidney Bechet, 1949). – Il break assolo, fornito da un solo strumentista. Questo riempimento puo` essere scritto o improvvisato e quest’ultimo e` il tipo di break piu` frequente nel jazz. Vari break in assolo che si succedono gli uni dopo gli altri formano uno stop chorus. Spesso un break precede e serve a lanciare l’inizio di un assolo, quello che potrebbe chiamarsi un break tremplin (per esempio, il break di 4 battute che proietta il solista alla fine dell’interludio di Night In Tunisia). – Il break orchestrale, eseguito da vari strumenti. Puo` essere arrangiato, scritto oppure improvvisato collettivamente (Butter Finger Blues di Charlie Creath, 1927). Agli esordi del jazz e fino all’inizio degli anni ’30, i pezzi sono infarciti di break. Basta ascoltare King Oliver, Louis Armstrong, Fletcher Henderson (Whiteman Stomp, 1927) e Jelly Roll Morton (Wild Man Blues, 1927). I break possono anche servire a presentare uno dei musicisti dell’orchestra, come in When The Blues Were Born In New Orleans (Armstrong, 1946). Armstrong e` il musicista che ha inciso usando il maggior numero di break, sintetizzando il suo genio e mettendo in luce lo stupefacente rinnovamento della sua invenzione. Nel 1927, incise 125 break in assolo che furono trascritti su fogli da musica e pubblicati in raccolta. Fra i piu` famosi break in assolo: King Oliver (Snag It, 1926), Armstrong (Wild Man Blues, 1927), Jimmy Harrison in

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BRECKER

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Fidgety Feet (Fletcher Henderson, 1927), Sidney Bechet (Maple Leaf Rag, 1932), Johnny Hodges in Whoa Babe (Lionel Hampton, 1937), Harry Edison in Sent For You Yesterday (Count Basie, 1938), Charlie Parker in Night In Tunisia (1946), Lee Konitz in Yardbird Suite (Claude [Ph.B.] Thornhill, 1947). BRECKER, Michael Sassofonista (tenore e soprano), flautista, pianista, batterista e suonatore di EWI statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 29/3/1949 - New York, 13/1/2007). Il padre, avvocato e bravo pianista di jazz dilettante, lo inizia alle jam session. La sorella, pianista classica, e il fratello Randy, trombettista, completano il quadro di questa famiglia di musicisti. A sette anni Brecker studia il clarinetto con Leon Lester, dell’orchestra di Filadelfia, e si appassiona agli assolo di Jimmy Giuffre. «Live At The Workshop», di Cannonball Adderley, lo sconvolge. Dal clarinetto passa al sax alto poi al tenore, che egli studia a quattordici anni, al liceo, mentre prende lezioni private da Vince Trombetta e Joe Allard. Lo ritroviamo prestissimo in piccole formazioni di Filadelfia, in compagnia di Eric Gravatt, futuro batterista dei Weather Report, e del fratello Randy. Il passaggio di Brecker all’universita` dell’Indiana, seppur breve, e` decisivo: si familiarizza con la musica classica e si accosta al flauto. Parallelamente ascolta rock, rhythm and blues, Jimi Hendrix, Eric Clapton, i Cream... Trascrive alcuni assolo dei suoi musicisti preferiti, Coltrane, poi Charlie Parker. E` ben presto il periodo newyorkese, a diciott’anni, in cui il fratello Randy, gia` musicista in studio di registrazione, gli apre numerose porte. Ottiene la prima scrittura professionale con Edwin Birdsong (rhythm and blues). Si unisce alla fine degli anni ’60 a Billy Cobham e John Abercrombie per formare i Dreams (1970-73). Il gruppo annuncia la fusione jazz-rock. Lo troviamo anche a fianco di James Taylor nel 1973, Horace Silver nel 1973-74 (dove suona gia` Randy), poi Billy Cobham (1974-75). Si

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dedica allora intensamente al lavoro in studio. Con Randy, forma i Brecker Brothers (1975-81). Nel 1977 i due fratelli aprono il club Seventh Avenue South, che chiude nel 1985. Un produttore giapponese li invita a suonare in Giappone; nasce cosı` Steps (poi Steps Ahead), codiretto dal vibrafonista Mike Mainieri, che conta in origine Steve Gadd e Eddie Gomez. Alla partenza di Gadd, gli da` il cambio Peter Erskine. Il gruppo evolve verso una musica molto elettronica, soprattutto dopo l’adozione da parte di Brecker, nel 1985, dell’EWI inventato da Nyle Steiner (f Strumenti elettronici). Nel 1987 e` l’uscita di «Michael Brecker», suo primo disco da leader (mentre ha piu` di 400 dischi come sideman), che segna anche – nonostante l’EWI – un ritorno a formazioni piu` acustiche (Pat Metheny, Kenny Kirkland, Charlie Haden e Jack DeJohnette). Si puo` anche ascoltare, nella sua discografia da sideman, con Mike Stern, David Sanborn, Roberto Gatto (1987), Richard Beirach, Victor Bailey (1989), Dave Weckl, John Patitucci, il pianista Joey Calderazzo (1990), Gary Burton (1991), con i ricostituiti Brecker Brothers (1992), con Herbie Hancock (in molteplici occasioni, dal 2001 in avanti). C’e` in Mike Brecker una fluidita`, una precisione e un’agilita` poco comuni. La sua perfetta padronanza dello strumento gli permette di adattarsi a tutti i contesti. Il suono di Brecker e` il piu` delle volte levigato, incisivo, notevole per il suo attacco, caldo e decisamente seducente. [P.B., C.G.] Con Steps: Trio (An Improvisation) (1982), Self Portrait (1984), In A Sentimental Mood (1986); Syzygy (1987); «Now You See It... Now You Don’t» (1991); «Pilgrimage» (2007).

BRECKER, Randy Trombettista, flicornista, pianista e batterista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 27/11/1945), fratello di Michael. All’universita` dell’Indiana (1963-65) studia musica con David Baker. La big band dell’universita` vince un concorso, occasione per lui di fare una tourne´e in Europa e in Medio Oriente. Al suo ritorno, nel

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1966, si stabilisce a New York, fa parte del gruppo Blood, Sweet And Tears, poi suona nel quintetto di Horace Silver (1967, 1969 e 1973), con Janis Joplin e nelle big band di Clark Terry e Duke Pearson, con Lew Tabackin (1968), Stevie Wonder, Art Blakey (1970). L’arrivo del fratello a New York segna l’inizio del loro sodalizio. Incide il suo primo disco col proprio nome, «Score», con Larry Coryell col quale lavora in seno all’Eleventh House. Per il secondo, bisognera` attendere il 1987 («In The Idiom», accompagnato da Eliane Elias, sua moglie, tastierista e cantante brasiliana). Fra questi due dischi vive l’epoca dei loft di Manhattan e conosce tutti gli stili: free, fusion, musica latina, forma il gruppo dei Dreams con il fratello, Billy Cobham e John Abercrombie (1971), e sotto il nome di Brecker Brothers, sempre con il fratello, partecipa a gran parte della vita degli studi di registrazione newyorkesi (1975-981) e collabora a centinaia di dischi. Lo ascoltiamo poi all’interno del proprio gruppo, composto da Eliane Elias (pf), Mark Egan (cb), Dan Gottlieb (batt) e Nana´ Vasconcelos (perc). Un suono che evoca Lee Morgan (a Filadelfia hanno avuto lo stesso insegnante di tromba), una tecnica perfetta e un gusto per la ricerca di sonorita` particolari (ha utilizzato la tromba elettrica molto prima di Miles Davis) fanno di Randy Brecker un trombettista prezioso e singolare, che sfugge all’uniformita` generale. [P.B., C.G.] «Score» (1969), Inside Out (1978), «Detente» (1980), Strap Hanging (1981); Okoule´ Y Trompa (Jaco Pastorius, 1982); «In The Idiom» (1987).

BREUKER, Willem Sassofonista, clarinettista, arrangiatore, leader e compositore olandese (Amsterdam, 4/11/1944). Autodidatta, scopre il jazz ascoltando vecchi 78 giri, ma si interessa anche agli organetti di Amsterdam, alle orchestre popolari e ai carillon. Il suo primo strumento e` il clarinetto, ma a esso si aggiunge rapidamente l’intera famiglia dei sassofoni. Nel 1966 un oratorio di sua composizione (che ha per argomento le

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BRIDGEWATER

lotte operaie) ottiene il secondo premio di un concorso per dilettanti a Loosdrecht. Nel 1967 fonda con Misha Mengelberg e Han Bennink l’Instant Composers Pool. Nel 1973 rompe con l’ICP, fonda la Bvhaast, la propria casa discografica, e organizza il Willem Breuker Kollektief, una decina di musicisti con i quali produrra` ormai l’insieme della sua musica, sia in concerto sia in disco. In questo periodo comincia a comporre musiche per il teatro e colonne sonore di film, in particolare per il cineasta Johann Van der Keuken. Molto rapidamente il Kollektief, che pratica con molta ironia una forma di teatro musicale in cui il pastiche gioca un grande ruolo, diventa popolarissimo in tutta l’Europa. Strumentista virtuoso, puo` sia adottare il suono piatto e spento dei classici sia lasciar straripare pulsioni violentemente espressioniste ereditate dal free jazz. Arrangiatore efficacissimo, maneggia con altrettanta pertinenza sia i ricordi delle fanfare popolari sia l’eredita` piu` sapiente di un Kurt Weill, senza dimenticare per questo la grande tradizione delle big band. Il suo talento di compositore, che talora sfiora il puro e semplice collage, e` favorito da una verve e una facilita` melodica rare. [D.S.] «New Acoustic Swing Duo» (1967), «Lunchconcert For Three Barrelorgans» (1969), «The Message» (1971), «Baal Brecht Breuker» (1973), «Willem Breuker Kollektief On Tour» (1977).

Bridge f Ponte.

BRIDGEWATER, Cecil Vernon Trombettista e flicornista statunitense (Urbana, Illinois, 10/10/1942). Ha suonato in Europa fin dal 1968 e nel 1969 in URSS, come membro dell’University of Illinois Jazz Band. Scritturato da Horace Silver nel 1970, successivamente fa parte per cinque anni dell’orchestra di Thad Jones e Mel Lewis e gira tutto il mondo. A partire dal 1971 suona nel quartetto di Max Roach (e i suoi derivati). Oltre alle

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BRIDGEWATER

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sue attivita` pedagogiche e sociali – ha insegnato e suonato in istituti penitenziari, college e licei, ha partecipato al Jazzmobile nelle strade di New York – ha lavorato anche con Art Blakey, Dollar Brand, Anthony Braxton, McCoy Tyner, Frank Foster, Dizzy Gillespie (nella grande orchestra), Joe Henderson, Sam Rivers e ha costituito assieme al fratello, il sassofonista (tenore e soprano) Ronald (Urbana, 30/12/1946), il gruppo Bridgewater Generations. Sonorita` piuttosto sottile, precisione del fraseggio, gusto delle sequenze brevi sulle quali egli ritorna varie volte per affinarle: un improvvisatore poco esibizionista, stringato e, al tempo stesso, capace di distillare le sue trovate melodiche durante [P.C.] tutti gli assolo. «Generations Suite» (1978); con Roach: A Place Of Truth (1979), Wefe´ (1981), «Scott Free» (1984).

BRIDGEWATER, «Dee Dee» (Denise GARRETT) Cantante statunitense (Memphis, Tennessee, 27/5/1950). Ancora liceale fonda un primo trio e canta con il padre, il trombettista Matthew Garrett. Da studentessa, partecipa al festival dell’universita` dell’Illinois nel 1969. Da qui raggiunge a New York l’orchestra da camera di Thad Jones e Mel Lewis (con Cecil Bridgewater, allora suo marito), formazione nella quale rimarra` dal 1970 al 1974. Tuttavia, nello stesso periodo molti altri chiameranno questa ‘‘cantante per musicisti’’: Max Roach (con il quale partecipa nel 1973 a una ricostituzione della Freedom Now Suite), Dizzy Gillespie, Sonny Rollins, Dexter Gordon, Pharoah Sanders, Cecil McBee ecc. Appare in seguito nelle formazioni di Norman Connors e di Stanley Clarke e la vediamo in una prima commedia musicale, The Wiz, nel periodo in cui incide il suo primo disco. Un’altra rivista, Sophisticated Ladies, la fara` notare nel 1984 a Parigi, dove decide di soggiornare. Nel 1986-87 interpreta Billie Holiday, questa volta nella commedia Lady Day, a Parigi e poi a Londra. Ad

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Amburgo, nel 1988, partecipa alla creazione di Cosmopolitan Greetings, opera di George Gruntz e Allen Ginsberg. ‘‘Musicista-cantante’’, come lei stessa si definisce, dirige con disinvoltura tanto una grande orchestra quanto un trio, con una voce che oscilla senza contrasti dalla piu` leggera delle sonorita` addolcite all’esclamazione potente, riuscendo a convincere senza altre difficolta` quando improvvisa con uno scat particolarmente inventivo e ritmicamente potente o diventa urlatrice di blues, rinnovando cosı` i classici fra due canzoni originali (a volte di sua [J.Y.L.B.] composizione). «Dee Dee Bridgewater» (1976), «Live in Paris» (1987); All of Me (1990), «Keeping Tradition» (1992), «Love and Peace» (1994), «Dear Ella» (1997).

BRIGGS, Arthur Trombettista statunitense (Charleston, South Carolina, 9/4/1899 - Chantilly, Francia, 15/7/1991). Arriva in Europa insieme a Sidney Bechet nel giugno 1919 con la Southern Syncopated Orchestra di Will Marion Cook che si esibisce in Francia e in Inghilterra. Ritorna a New York nel 1921 presso il violinista Leslie Howard ma l’anno seguente si reca di nuovo in Europa dove fonda a Bruxelles la Savoy Syncopated Orchestra, che dirige in Austria e in Germania (1926-28). Dal 1928 al 1931 e` nell’orchestra di Noble Sissle. Dopo essere ritornato negli Stati Uniti, ritrova Noble Sissle per una tourne´e nel sud. Nel 1931 ritorna in Europa dove forma un’orchestra con Freddy Johnson, suona ancora con la Cuban Orchestra di Don Barretto (1934) prima di costituire un proprio gruppo e di diventare uno dei musicisti piu` attivi sulla scena del jazz parigino dell’anteguerra, dove viene a contatto con Coleman Hawkins, Benny Carter, Django Reinhardt, Ste´ phane Grappelli ecc. Prigioniero in un campo di concentramento durante l’Occupazione tedesca, dal 1945 torna a capo dell’orchestra che dirige fino agli inizi degli anni ’60. In seguito, si dedica all’insegnamento.

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Arthur Briggs si collega alla scuola di Armstrong a cui si e` ispirato. Nei suoi momenti migliori da` prova di una vera potenza espressiva, sostenuta da una sonorita` chiara e vibrante e una tecnica strumentale rara a quell’epoca. [A.C.] Grabbin’ Blues, Japanese Sandman (1933); Blue Moon (Hawkins, 1935); My Melancholy Baby, Braggin’ The Briggs (1940).

BRIGGS, Pete Contrabbassista e tubista statunitense (Charleston, South Carolina, 1904 - ?). Lontano cugino di Arthur Briggs, appartiene fin dagli inizi degli anni ’20 ai Jim Jam Jazzers e ai Lucky Boys Minstrels. Nel 1926 suona a Chicago con Carroll Dickerson poi, l’anno seguente, al Sunset Cafe´ con gli Stompers di Louis Armstrong e contemporaneamente all’Apex Club con Jimmie Noone (1927). Lo ritroviamo a New York con Dickerson, Armstrong (1929), Edgar Hayes (1930) poi per molti anni nell’orchestra di Vernon Andrade. Nel 1943-44 lavora nella formazione di Herman Autrey e poi cessa ogni attivita` musicale per dedicarsi all’agricoltura. Pete Briggs ha lasciato traccia nella storia del jazz soprattutto per la sua partecipazione alle famose incisioni dell’Hot Seven di Louis Armstrong. Lo si puo` ascoltare anche con Carroll Dickerson (1928), di nuovo con Armstrong (1929) e Jelly Roll Morton (1930). [A.C.] Con Armstrong: Willie The Weeper, Potato Head Blues (1927).

BRIGHT, Ronnell Lovelace Pianista statunitense (Chicago, Illinois, 3/ 7/1930). Dopo studi classici cominciati a sei anni (sognava di diventare concertista, una delle sue sorelle cantava con l’orchestra di Fletcher Henderson, un’altra ballava con i Mills Brothers, l’orchestra di Lunceford), vince un concorso nazionale per giovani pianisti (1939) e soggiorna, grazie a una borsa di studio, alla Juilliard School of Music (Cab Calloway gli fara` suonare sulla scena una Polacca di Chopin). Comincia a suonare jazz soltanto

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BRIGNOLA

durante il servizio militare in marina. Completa gli studi alla scuola di musica della marina, dove incontra Eric Dolphy e i fratelli Adderley. Congedato, suona con Johnny Griffin prima di far parte a Chicago del gruppo del bassista Johnny Pate, che al Blue Note accompagna le cantanti Lurlean Hunter e Carmen McRae (195455). Incontra anche i pianisti Oscar Peterson, Horace Silver e Billy Taylor, che gli consiglia di recarsi a New York, dove incide con Kenny Burrell, il clarinettista Rolf Kuhn (1956) e in trio con Joe Benjamin e il batterista Bill Clark (1957). Scritturato da Sarah Vaughan in sostituzione di Jimmy Jones, la segue in Europa, dove incide di nuovo in trio (1958). Successivamente accompagna Lena Horne (1961) prima di intraprendere una carriera di cantante (1963); diventa direttore musicale e arrangiatore per la cantante Nancy Wilson e comincia a lavorare come attore per il cinema e la televisione (Non si uccidono cosı` anche i cavalli?, Mannix), poi come pianista per una trasmissione televisiva, attivita` alle quali si aggiungono quelle di insegnante di musica nei licei, di compositore e arrangiatore. A meta` degli anni ’70 si unisce al gruppo Supersax. Sicuramente virtuoso nell’eseguire di tutto, e` capace di adattarsi a qualsiasi voce, stile e ambiente. Tuttavia e` riconoscibile dal tocco energico e preciso, dall’eccezionale inventiva armonica e, talora, dalle sequenze in single notes, nel registro grave, che fanno certamente evo[P.C.] care Lennie Tristano. «Bright’s Spot» (1956); M.C. (Frank Foster, 1957); Be-bop (Supersax, 1973).

BRIGNOLA, Nick (Nicholas Thomas) Sassofonista (baritono, tenore, soprano, basso, saxello), clarinettista e flautista statunitense (Troy, New York, 17/7/1936 - Albany, New York, 8/2/2002). Sebbene nato in una famiglia di musicisti (il nonno suonava la tuba nell’orchestra di John Philip Sousa), si accosta da autodidatta ai numerosi strumenti che pratica. Si esibisce con Reese Markewich a partire dal

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BROADBENT

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1957, mentre segue il corso della Berklee School di Boston, poi si reca in California, dove lo ascoltiamo con i Mastersounds (dei fratelli Buddy e Monk Montgomery) e Cal Tjader. Ritorna ad Albany, dove costituisce un proprio gruppo. Nel 1963, dopo un passaggio nell’orchestra di Woody Herman, suona con Sal Salvador, prima di ristabilirsi nella sua citta` natale, dove suona con i gruppi locali e anima una trasmissione di jazz all’emittente locale. Si dedica all’insegnamento e si orienta, in seno a vari gruppi, verso il jazz-rock. Costituisce, agli inizi degli anni ’70, un gruppo effimero, Friends, con in particolare Dave Holland e Jack DeJohnette e, nel 1975, raggiunge il trio Petrus di Phil Markowitz. In seguito collabora con Ted Curson, con il quale effettua una tourne´e europea. Regolarmente ‘‘riscoperto’’ dalla critica statunitense, Nick Brignola e` anzitutto un bravissimo sassofonista baritono, dalla sonorita` penetrante, e pratica con disivoltura un linguaggio bebop molto fluido. Esprime il meglio di se´ quando e` messo a confronto con altri sassofonisti baritoni [X.P.] (Pepper Adams per esempio). Donna Lee (Adams, 1977); Nick Who’s Blues (con Ronnie Cuber e Cecil Payne, 1979); Lush Life (1984); Mahjong (soprano, 1992).

BROADBENT, Alan Pianista, compositore e arrangiatore neozelandese (Auckland, 23/4/1947). Dopo gli studi musicali al Royal Trinity College della sua citta` natale, si iscrive alla Berklee di Boston (1966), dove resta tre anni; studia anche, privatamente, con Lennie Tristano, e suona in trio con George Mraz e Mick Goodrick. Nel 1969 e` pianista dell’orchestra di Woody Herman, per la quale inizia anche a scrivere (Blues in the Night Suite). Dal 1973 accompagna la cantante Irene Kral, dal vivo e su disco, e suona nel 1975 con John Klemmer. Registra come leader, per la prima volta, nel 1981, inaugurando cosı` una serie di album con formazioni diverse. Nel 1986 forma un trio con Charlie Haden e Paul Motian,

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per poi restare come pianista stabile nel Quartet West dello stesso Haden, continuando comunque ad accettare ingaggi di diverso genere (per esempio, Lee Ritenour). Come arrangiatore dimostra grande adattabilita` e professionalita`, riuscendo ad arricchire album di Natalie Cole e Diane Schuur con una patina orchestrale di un certo interesse, o impegnandosi in operazioni piu` commerciali come l’arrangiamento per archi di un disco di Scott Hamilton. Grande architetto sonoro dal tratto puro e sofisticato, Broadbent sviluppa uno stile solido e deciso. Il suo gioco pianistico lo inserisce nella tradizione di Bill Evans, ma la ricchezza del discorso musicale evidenzia l’ascolto dei grandi strumentisti a fiato. Anche se e` difficile assimilarlo a una specifica ‘‘scuola’’ del piano jazz, il lato atipico del suo stile, che si ancora in maniera discreta alla griglia armonica, ne fa un partner prediletto per Haden, che puo` cosı` sviluppare l’aspetto melodico del suo approccio al contrabbasso all’interno dei larghi spazi che si trova davanti. [X.D.]

«Continuity» (1981), «Everything I Loved» (1986); con Haden: Bay City (1986), «Haunted Hearts» (1992); «Over The Fence» (1990), «Live at Maybeck Recital Hall» (1991).

BRODIE, Hugh Sassofonista statunitense (Warrentown, North Carolina, 7/2/1933). Nato in una famiglia di contadini (la madre, egli ricorda, suonava al pianoforte pezzi di blues e musica country) che, quando lui aveva sei anni, si trasferisce a Brooklyn e al tempo stesso passa dalle frenesie della chiesa Santificata ai riti relativamente piu` savi di quella Battista. La prima cantante che egli ascolta e` Billie Holiday. Incontra Lester Young e a diciassette anni decide di dedicarsi alla musica e al sassofono tenore. Si paga qualche lezione di tecnica strumentale e di teoria e dal 1952 lavora in piccole orchestre, in particolare in trii con organo, accompagnando Sonny Stitt e Babs Gonzales. Poi l’incontro decisivo: suona con Cal Massey. Quando il trom-

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bettista si ammala al punto di non poter piu` lavorare, Brodie si esibisce nei club di Brooklyn – il pianista Gil Coggins fara` parte del suo gruppo – e studia il contrappunto al conservatorio comunale. Alla fine degli anni ’60 lo ritroviamo a fianco della vibrafonista tedesca Vera Auer, poi in club newyorkesi come lo Slug’s, mentre partecipa al movimento free. Nel 1970, un lavoro da comparsa nel film Cotton Comes To Harlem diviene punto di partenza di una breve carriera d’attore. Solamente nel 1976 incide il suo primo disco da leader. Nel 1981 suona con J.R. Monterose. Brusche spirali in acuto, cambiamenti di registro e accelerazioni, su una distribuzione gia` incantatoria, indicano, al suo debutto, un coltraniano ortodosso: il flusso tendera` a divenire sempre piu` serrato, volubile. Rimangono costanti la so[P.C.] norita` dolcissima e la fluidita`. Father And Son (Massey, 1961); «Live And Cooking At The Wild Oat» (1981).

BROOKMEYER, Bob (Robert) Trombonista (a pistoni), compositore, arrangiatore e pianista statunitense (Kansas City, Missouri, 19/12/1929). Studia il trombone, il clarinetto e il pianoforte al conservatorio della sua citta` natale e, dopo il servizio militare, debutta come pianista di Tex Beneke (1951), fa parte poi delle orchestre di Ray McKinley, Louis Prima, Claude Thornhill, Terry Gibbs, Woody Herman, prima di collaborare regolarmente con Stan Getz (195354) – periodo in cui opta definitivamente per il trombone a pistoni – poi con Gerry Mulligan (1954-57), con il quale viene per la prima volta in Europa. Si esibisce con Jimmy Giuffre (1957-58), lavora come free lance e raggiunge Mulligan nel 1960 all’epoca della fondazione del Concert Jazz Band, per il quale scrive alcuni arrangiamenti. Collabora con Clark Terry per dirigere un quintetto che si esibisce saltuariamente (1961-66) e partecipa alla fondazione della grande orchestra di Thad Jones-Mel Lewis (1965), dove e` anche arrangiatore. Nel 1968 la-

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BROOKS

scia New York per Los Angeles, dove lavora per la televisione. Fa qualche apparizione a fianco di Thad Jones-Mel Lewis (1971-75) e Mulligan (1973), forma un proprio quintetto (1978), suona poi in duo con Jim Hall (1979). Scrive quindi per la grande orchestra di Mel Lewis. E` compositore della prima opera realizzata dall’American Jazz Orchestra (ottobre 1986). Se si compiace nel citare le influenze di Bill Harris, Earl Swope, Dicky Wells e Vic Dickenson, Bob Brookmeyer e` un trombonista immediatamente identificabile, non soltanto per la sua sonorita` e la particolare dinamica del trombone a pistoni, ma anche perche´ ha un modo del tutto singolare di sviluppare improvvisazioni molto strutturate, spesso vicine alla linea melodica del tema, e tuttavia trattate con grande liberta` tonale. Eccelle nell’arte di improvvisare sottili controcanti (in particolare con Getz), ma e` anche legato al linguaggio del jazz classico («Traditionalism Revisited», 1957). Riesce a passare da una sonorita` levigata a un timbro rugoso, da un fraseggio morbido ad accenti un po’ rudi, secondo le necessita` di espressione. Discreto pianista, sa utilizzare sottigliezze armoniche suggerite dalla sua cultura e sensibilita` musicali («The Ivory Hunters», con Bill Evans, 1959). Il suo lavoro di arrangiatore, che ricorda il Gil Evans degli anni ’50 e Gerry Mulligan, colpisce per il modo di trattare [X.P.] la raffinatezza con ironia. Pony Express (Giuffre, 1958); Jumpin’ At The Woodside (1958), Languid Blues (1960); Who Could Care (Getz, 1961); Night Lights (Mulligan 1963); Who Cares (1964), Oslo (1986); Begin the Beguine (Jim Hall, 1990); «Old Friends» (1994); «Waltzing with Zoe» (2001).

BROOKS, «Tina» (Harold Floyd) Sassofonista statunitense (Fayetteville, North Carolina, 7/6/1932 - New York, 13/ 8/1974). Come il gemello Harry, s’interessa ben presto alla musica, incoraggiato dal padre pianista. Nel 1944 si trasferisce con la famiglia nel Bronx. Il suo soprannome risale a questa epoca, e si riferisce

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BROTHERHOOD OF BREATH

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alla sua piccola statura. Dello stesso periodo e` l’inizio degli studi di sassofono (quello in Do). Prende lezioni dal fratello maggiore David junior, e sperimenta il contralto prima di optare definitivamente per il tenore. Circondato da un ambiente violento, una volta viene aggredito, e il suo strumento danneggiato, mentre si reca a scuola, decide di tornare a Fayetteville per seguire dei corsi musicali di livello superiore. Tornato a New York, sostituisce il fratello nel gruppo del pianista Sonny Thompson (1950) e con lui entra per la prima volta in studio per la King (1951). Si esibisce poi con diversi gruppi di musica latina e rhythm and blues, come quelli del pianista e cantante Charles Brown e del trombettista Joe Morris. Nel 1953 parte in tourne´e col pianista Amos Milburn. L’anno seguente si stacca dal giro del rhythm and blues, prende lezioni da Sy Oliver, studia armonia con Herbert Bourne e, nella primavera del 1955, entra nell’orchestra di Lionel Hampton. Nel 1956 incontra il trombettista Benny Harris, che lo inizia al jazz moderno. Poi stringe amicizia con Elmo Hope, e mette in pratica le sue nuove conoscenze suonando in svariati locali del Bronx assieme ad Harris e Hope, ai sassofonisti Jimmy Lyons, Herman Riley e Junior Cook, ai trombettisti Oliver Beener e Bill Hardman, al contrabbassista Larry Gales e al batterista Bill English. Questo gruppo informale di giovani musicisti, avidi di suonare, moltiplica le occasioni di jam session. Su consiglio di Harris, Alfred Lion va ad ascoltare Brooks in un club e, impressionato, decide di farlo incidere per la Blue Note. Da febbraio a maggio 1958 Brooks partecipa a diverse sedute d’incisione con Jimmy Smith e Kenny Burrell e registra un album (con Lee Morgan, Sonny Clark, Doug Watkins e Art Blakey) che, per ragioni misteriose, sara` pubblicato solo nel 1980 in Giappone. Nel 1959 forma un quintetto con Beener, Larry Gales e il pianista Al Walker, ma il gruppo ha poche opportunita` di lavorare fuori dal Bronx. Ike Quebec lo presenta a Freddie Hubbard, che lo invita a suonare nel suo primo album (1960). Dal 1959 al 1960 e` il

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sostituto di Jackie McLean nel lavoro teatrale di Jack Gelber The Connection, dove conosce Freddie Redd. Segue poi una serie di incisioni con Redd, McLean e Howard McGhee, mentre altre due sedute come leader restano inedite (saranno pubblicate molti anni dopo). L’unico disco di Brooks uscito durante la vita del sassofonista e` «True Blue» (Blue Note, 1960). Poi, altri occasionali dischi all’interno di gruppi di musica latina e rhythm and blues, una breve tourne´e con l’orchestra di Ray Charles (della quale e` stato di recente pubblicato un DVD) e delle esibizioni in club, che si alternano a numerosi ricoveri in ospedale e soggiorni in carcere per problemi di droga. La precoce assimilazione delle influnze piu` disparate (Lester Young, Dexter Gordon, Wardell Gray, Charlie Parker), e di qualche modello contemporaneo come Sonny Rollins e Hank Mobley, ha permesso a Tina Brooks di forgiarsi uno stile allo stesso tempo lirico e profondo, fatto di lunghe frasi legato punteggiate da energiche discese nel registro grave, o di brusche strozzature in quello acuto. Il tutto da` al suo stile una grande carica emotiva. Trascurato in vita, si e` a poco a poco imposto come uno dei grandi stilisti della [J.P.R.] generazione hard bop. The Sermon (Jimmy Smith, 1958); «Open Sesame» (Hubbard, 1960); True Blue (1960); «Shades of Redd» (F. Redd, 1960); Back to the Tracks (1960), Stranger in Paradise (1961).

BROTHERHOOD OF BREATH Grande orchestra costituita alla fine degli anni ’60, in Inghilterra dal pianista Chris McGregor, intorno a un nucleo di suoi vecchi partner del gruppo sudafricano (e multirazziale) Blue Notes: il sassofonista Dudu Pukwana, il trombettista Mongezi Feza e il batterista Louis Moholo. Di strumentazione classica (la formazione iniziale comprendeva tre trombe, due tromboni, quattro sassofoni, pianoforte, contrabbasso e batteria), questa orchestra produce una musica singolare, erede al tempo stesso di Duke Ellington, del free jazz e del kwella (musica popolare sud-

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africana). Dopo aver girato tutta l’Europa e inciso quattro dischi («Chris McGregor’s Brotherhood Of Breath», 1970; «Brotherhood», 1971; «Live At Willisau», 1973; «Procession», 1977), questa big band si scioglie, per riformarsi nel 1981 in occasione del festival jazz di Angouleˆme: vi troviamo allora un secondo bassista, un secondo batterista e un violoncellista. Ai musicisti sudafricani e inglesi della prima formazione si aggiungono musicisti francesi (Didier Levallet, Franc¸ois Jeanneau, Louis Sclavis, JeanClaude Montredon), oltre ad Andre´ Goudbeek, John Tchicai e Bruce Grant. Viene inciso un disco («Yes Please», 1981), poi l’orchestra si scioglie nel 1983 e rinasce nel 1988. Originariamente molto libere, le forme musicali messe in atto da questa orchestra si sono a poco a poco organizzate, per instaurare – nell’ultima formazione – una predominanza di strutture improntate alle musiche caraibiche e africane, con ancora sporadici riferimenti al suono ellingtoniano. [X.P.] Joyful Noises (1971), Kwbalo (1977), Maxim (1981), Maxine (1988), «Country Cooking» (1988).

Brothers f Four Brothers.

¨ TZMANN, Peter BRO Sassofonista e clarinettista tedesco (Remscheid, Germania, 6/3/1941). Comincia a suonare il clarinetto alla fine degli anni ’50 in gruppi dilettanti di dixieland e middle jazz prima di stabilirsi a Wuppertal dove, influenzato da Eric Dolphy, John Coltrane e Charles Mingus, forma vari trii come sax tenore assieme al bassista Peter Kowald. Nel 1965-66 prende parte ad alcune performance del movimento Fluxus, lavora con il compositore Mauricio Kagel ed effettua una tourne´e europea con il gruppo di Carla Bley e Michael Mantler. Partecipa nel 1966 all’album «Globe Unity», diretto da Alexander von Schlippenbach, incide a Brema nel maggio 1968 «Machine Gun» in ottetto e diventa uno dei cofondatori di Free Music

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BROWN

Production (FMP) per la quale incide la maggior parte dei suoi album. Costituisce nel 1970 un trio con il pianista belga Fred Van Hove e Han Bennink che presto diviene il gruppo piu` celebre del free jazz europeo e si esibisce nei maggiori festival. Dopo lo scioglimento del trio continua a lavorare con Bennink e partecipa a formazioni diverse della ICP Tentet di Misha Mengelberg. Forma un nuovo trio nel 1979-80, con Harry Miller (cb) e Louis Moholo, lavora poi con Phil Minton, Albert Mangelsdorff, Andrew Cyrille, Johannes Bauer, Fred Frith, Milford Graves, Bill Laswell, Willi Kellers, Sonny Sharrock. Artefice principale dell’unificazione degli improvvisatori europei (tedeschi, inglesi e olandesi) alla fine degli anni ’60 e vero pioniere dell’esplosione del free jazz (o free music) veemente, senza concessioni e realizzato benissimo fonograficamente (grazie alla creazione, in vari paesi, di case discografiche indipendenti direttamente controllate dai musicisti: ICP, Incus, Birth, Bvhaast, Po Torch, Claxon ecc.), Bro¨tzmann sviluppa un’esecuzione col sassofono iperespressionista e antiaccademica (frasi lacerate, strappate, urlate con un’energia fuori del comune). Nel corso degli anni moltiplica gli strumenti (cl, cbcl e tutta la gamma di sax, dal soprano al basso). Anche se e` diventato piu` ‘‘melodico’’, ciascuna sua performance rimane di rara violenza, e la sua esecuzione sempre ai limiti della resistenza fi[G.R.] sica. For Adolphe Sax (1967), «Machine Gun» (1968); «The Living Music» (Schlippenbach, 1969); Florence Nightingale (1971), Einheitsfrontlied (1973), «Outspan» (1974), Bierhaus Wendel (1975); Alexanders Marschbefehl (Mengelberg, 1977); «Alarm» (1981); Help Me Mo’ I’m Blind (Herbie Hancock-Laswell, 1986); «No Nothing» (1990), «Dare-Devil» (1991); «Never Too Late But Always Too Early» (2001), «Full Blast» (2006).

BROWN, Cameron Contrabbassista statunitense (Detroit, Michigan, 21/12/1945). Da bambino rimane affascinato da Oscar Pettiford.

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BROWN

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Dopo studi tradizionali negli Stati Uniti, parte per la Scandinavia dove, nel 1964, compra il suo primo contrabbasso. Suona con varie formazioni locali, poi riparte per New York, dove studia alla Columbia University. Vi incontra il trombonista Brian Trentham e George Russell, di cui il giovane contrabbassista seguira` il sestetto in Svezia nel 1965-66. Nel 1965, a Stoccarda, partecipa cosı` alla storica incisione «George Russell Sextet At Beethoven Hall», in compagnia di Don Cherry. Con quest’ultimo si costituisce in un trio che gira un po’ in Europa. Suona con Bill Barron, Lars Werner. Nel 1967-68, lo ritroviamo con Lew Tabackin, Dave Liebman e Randy Brecker, Ted Curson, Booker Ervin, Barry Miles. Poi si allontana per qualche anno dalla scena e prosegue gli studi con Frank Sinco, Ron Carter e Dave Holland. Per evitare di andare in Vietnam, diventa insegnante nel Bronx per tre anni. Lavora con Sheila Jordan. Roswell Rudd lo scrittura nel suo gruppo dove incontra Beaver Harris. Archie Shepp lo scrittura nel 1975. E` l’occasione per lui di riallacciare legami con l’Europa durante molti festival. Quello stesso anno suona per due mesi nel quartetto di Chet Baker. Riparte per l’Europa l’anno seguente in seno ai Jazz Messengers, mentre prosegue la collaborazione con Shepp, in modo discontinuo, fino al 1980. Nel 1978, incide con Mal Waldron e Steve Lacy. L’anno seguente entra nella 360 th Music Experience di Beaver Harris. Ha in seguito il grande compito di succedere a Charlie Haden in seno alla Mingus Dynasty. E` inserito poi nel quartetto di Don PullenGeorge Adams con Dannie Richmond. Ha saputo integrare nella sua esecuzione figure ritmiche originali, per esempio l’interruzione delle linee di basso con terzine di semiminime. E` anzitutto un valido accompagnatore, evocando a tratti lo stile di Eddie Gomez, senza il particolare vibrato di quest’ultimo. E` un contrabbassista mancino. [P.B., C.G.] Confirmation (S. Jordan, 1975); A Sea Of Faces (Shepp, 1975); «City Gates» (Adams-Pullen, 1983).

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BROWN, Charles Cantante e pianista statunitense (Texas City, Texas, 13/9/1922 - Oakland, California, 21/1/1999). Allevato dai nonni, impara il pianoforte a dieci anni. Esercita vari mestieri prima di dedicarsi alla musica a Los Angeles. Con il chitarrista Johnny Moore (fratello di Oscar Moore) e il contrabbassista Eddie Williams, forma The Three Blazers: influenzati da Nat King Cole, contribuiscono a creare lo stile ‘‘West Coast Blues’’, col quale dopo di essi diverranno celebri Amos Milburn, Floyd Dixon e Ray Charles. Charles Brown incide a partire dal 1944 per Exclusive prima di realizzare i suoi grandi successi per Aladdin (1945-56), poi per King negli anni ’60. E` stato sposato dal 1949 al 1951 con la cantante Mabel Scott. La sua immensa popolarita` gli ha permesso di incidere e di esibirsi per lungo tempo. ‘‘Soft blues’’ o ‘‘cocktail blues’’: cosı` si definisce lo stile di Charles Brown. Agli antipodi del blues rurale o dei blues shouter, il suo stile vocale sofisticato e carezzevole, associato al sottile connubio della chitarra e del pianoforte, denota un’evidente emozione, spesso vicina alla dispe[J.P.] razione. Trouble Blues, Driftin’ Blues (1949), Black Night (1951), Please Come Home For Christmas (1961); «These Blues» (1994).

BROWN, Clifford Trombettista e compositore statunitense (Wilmington, Delaware, 30/10/1930 Pennsylvania, 26/6/1956). Tutto comincia per lui a quindici anni, quando il padre gli regala la sua prima tromba. Il giovane Clifford si mette a studiare lo strumento, ma anche armonia e teoria musicale (senza dimenticare il pianoforte, il vibrafono e persino il contrabbasso) con Robert Lowery. Tre anni dopo, a Filadelfia, incontra Miles Davis e Fats Navarro. Nel 1949 sostituisce per un po’ Benny Harris nella big band di Dizzy Gillespie e ottiene una borsa di studio dallo stato del Maryland. Conosce Jay Jay Johnson, Kenny Dorham ed Ernie Henry. Nel 1950-51 un

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incidente lo immobilizza per un anno e mezzo. Dal suo ritorno, la sua carriera prende una svolta folgorante. Diventa pianista e trombettista del combo di rhythm and blues del percussionista e cantante Chris Powell. Nel 1952, con quest’ultimo, incide per la prima volta. Nel 1953, dopo un breve periodo nell’orchestra di Jimmy Heath, lo nota Tadd Dameron e con lui incide per Prestige. Realizza poi la sua prima incisione col proprio nome per Blue Note, in compagnia di Gigi Gryce, Charlie Rouse, Percy Heath, Art Blakey. Lavora per un po’ con Dinah Washington, poi Lionel Hampton lo chiama nella sua grande orchestra che intraprende una tourne´e europea. A Stoccolma, e soprattutto a Parigi, partecipa con alcuni membri dell’orchestra (Quincy Jones, Gryce, Jimmy Cleveland, Anthony Ortega, Art Farmer) e con jazzisti locali (Arne Domnerus, Lars Gullin, Bengt Hallberg in Svezia; Henri Renaud, Jimmy Gourley, Pierre Michelot, JeanLouis Viale in Francia) a una serie di incisioni clandestine. Al loro ritorno negli Stati Uniti, il trombettista e i suoi ‘‘complici’’ sono espulsi dall’orchestra da Lionel e Gladys Hampton. Brown lavora nei Jazz Messengers di Art Blakey: nel 1954 Blue Note incide un concerto del gruppo al Birdland. Si verifica allora un incontro decisivo con Max Roach, con il quale (insieme a Sonny Stitt) costituisce, assieme a Teddy Edwards, Carl Perkins e George Bledsoe, un gruppo il cui battesimo ha luogo al Tiffany Club di Hollywood. Parallelamente, incide accompagnato da Zoot Sims, Bob Gordon, Russ Freeman, Joe Mondragon, Curtis Counce, Shelly Manne, Joe Maini, Herb Geller, Kenny Drew, Walter Benton. Il gruppo evolve: George Morrow sostituisce Bledsoe, Richie Powell, Perkins e Harold Land, Edwards. Continua a incidere secondo le circostanze: Sarah Vaughan («S.V. Sings», 1954), Helen Merrill («Helen Merrill With Quincy Jones»). Nel 1955 incide con Roach, Morrow, Barry Galbraith e orchestra a corda su arrangiamenti di Neal Hefti. Nel gennaio 1956 Sonny Rollins sostituisce Land e il

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gruppo si esibisce a Basin Street; in febbraio, con Roach e Tadd Dameron («The Scene Is Clean»). La sua ultima incisione sara` col nome di Rollins: «Sonny Rollins Plus Four» (22 marzo 1956). Il 26 giugno, mentre si reca a Elkhart, nell’Indiana, per acquistare una nuova tromba, muore in un incidente stradale. La sonorita` potente, la precisione, il costante rigore, anche per note vibrate e sostenute, caratterizzano il tecnico Clifford Brown. Ecco un trombettista nel vero senso della parola, che non ha mai smesso di operare nella realta` del suo strumento. Le note staccate, il gusto del raddoppiamento del tempo lo situano sulla scia di Fats Navarro, ma la freschezza della sua ispirazione, l’arte di generare lunghe frasi melodiche creano una musica al tempo stesso generosa, orecchiabile e rigorosa. La caratteristica della sua esecuzione risiede in un’articolazione varia e complessa (bisognera` attendere Wynton Marsalis per avere qualche innovazione in questo campo) e un senso melodico eccezionale. Ha esercitato una notevole influenza sulla maggior parte dei trombettisti che l’hanno seguito: Lee Morgan, Booker Little, Freddie Hubbard. E` il compositore, tra l’altro, [F.R.S.] di Joy Spring e Daahoud. «Memorial Album» (1953), Jordu, Joy Spring (1954), «Study In Brown» (1955), I’ll Remember April, Junior’s Arrival (1956), «At Basin Street» (1956).

BROWN, Garnett Jr. Trombonista statunitense (Memphis, Tennessee, 31/1/1936). Prima di optare per il trombone (che gia` la sorella suona), studia il pianoforte. Viene scritturato poi come A&R man in una casa discografica di rhythm and blues. Suona con Chico Hamilton (1962), partecipa a una tourne´e europea di George Russell (1964) e comincia a insegnare in scuole newyorkesi. Fino al 1975, sia nel jazz che nei varieta`, lavora da free lance come arrangiatore, compositore, musicista di sezione e a volte come solista, a fianco di Roland Kirk, Michel Legrand, Benny Carter, Billy Taylor, Diana Ross, la New York Jazz Repertory Company, ma

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anche di Thad Jones-Mel Lewis, Herbie Hancock, Oliver Nelson, Frank Foster, Lionel Hampton, Billy Cobham, Gil Evans ecc. Si stabilisce allora a Los Angeles, dove viene attratto da cinema, televisione, canzone... A proprio agio e preciso sui tempi piu` rapidi (e` uno dei virtuosi del ‘‘triplo colpo di lingua’’), capace di ‘‘raccontare’’ suonando(si) tutta la storia del suo strumento, il suo eclettismo sfrenato e la sua modestia («Mi reputo un discreto trombone, non una star») non gli hanno permesso di condurre un’intera carriera da solista. [P.C.]

Au Privave (Russell, 1962); The Fugue (Heiner Stadler, 1966); «Crosswinds» (Cobham, 1975).

BROWN, Lawrence Trombonista statunitense (Lawrence, Kansas, 3/8/1907 - 5/9/1988). Cresce a Pasadena, dove impara il pianoforte, il violino e la tuba prima di adottare il trombone. Debutta nel 1926 nell’orchestra di Charlie Echols, poi suona con Paul Howard, Curtis Mosby e in varie formazioni (Les Hite in particolare, che accompagna allora Louis Armstrong). Viene scritturato nel 1932 da Duke Ellington. Per circa vent’anni – partecipando alle tourne´e europee del 1933, 1939, 1950 – suona a fianco di Duke, che lascia nel 1951 per seguire Johnny Hodges fino al 1955. Dopo parecchi anni di lavoro negli studi di registrazione, nel 1960 ritorna con Ellington per un nuovo contratto di dieci anni. Nel 1970 e` nominato a incarichi ufficiali al Kennedy Center. Ritorna in California nel 1972. Smette quindi la sua attivita` di strumentista e lavora in seno alla federazione dei musicisti. Su Lawrence Brown la critica si e` divisa. Hugues Panassie´ deplorava «il suo stile sentimentale», Andre´ Hodeir «la sua decadenza», Joachim Ernst Berendt «il suo senso del jazz non troppo forte», Andre´ Francis «il suo enfatico assolo» (in Time’s Wastin’), mentre per Claude Carrie`re e` «piu` maschio e piu` ardente di quanto lo si e` voluto spesso considerare» (Come To

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Baby, Do, 1945), per Alain Gerber «e` capace di una grande agilita` melodica ma non e` uno swingman eccezionale»; per Stanley Dance «testimonia irrefutabilmente la sua classe, il suo controllo e il suo senso della dinamica» e per Philippe Carles e Frank Tenot «e` uno dei migliori stilisti nella tradizione middle jazz». E` pur vero che si puo` trovare eccessivamente languida la sua sonorita`, lezioso il suo romanticismo, pieni di smancerie alcuni suoi interventi, ma rimane il fatto che Lawrence Brown ha dato prova in cento occasioni delle sue capacita` di swingman e delle sue doti di colorista, di un innegabile senso melodico, e ha dimostrato in numerosi assolo una sensualita` che continuava quella del suo partner ellingto[A.C.] niano, Johnny Hodges. Con Paul Howard: Charlie’s Idea (1929), Cuttin’ Up (1930); I’m A Ding Dong Daddy (Armstrong, 1930); con Ellington: The Sheik Of Araby, Ducky Wucky, Jazz Cocktail (1932), Stompy Jones (1934), Yearning For Love (1936), Prelude To A Kiss, Rose Of The Rio Grande (1938), Accross The Track Blues (1940), John Hardy’s Wife (1941), Blue Cellophane (1945), Transblucency, Golden Cress (1946); «Boss Of The Blues» (Joe Turner, 1956); «Inspired Abandon» (1965).

BROWN, Les (Lester Raymond) Clarinettista, sassofonista (soprano, alto, tenore), arrangiatore, compositore e direttore d’orchestra statunitense (Reinertown, Pennsylvania, 14/3/1912 - Los Angeles, California, 4/1/2001). Prima di raggiungere l’eta` di otto anni, prende lezioni di pianoforte, senza successo. Esercitandosi al sassofono soprano del padre, musicista dilettante, se ne interessa e al college studia gli strumenti ad ancia. Nel 1926 Les Brown entra al conservatorio di Ithaca e poi alla New York Military Academy, dove si afferma il suo interesse per l’arrangiamento e la composizione. Dirige l’orchestra da ballo della Duke University, i Duke Blue Devils (1936-fine ’37) prima di tentare una carriera di arrangiatore indipendente a New York, scrivendo fra l’altro per Jimmy Dorsey, Red

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Nichols e Isham Jones. Durante l’estate del 1938 riceve la proposta di dirigere una grande formazione all’hotel Edison. Il successo arrivera` soltanto agli inizi del 1940 quando Charlie Barnet gli chiede di sostituirlo al Lincoln Hotel e l’orchestra suona al Glen Island Casino e al Mike Todd’s Theatre Cafe´ di Chicago. Il 6 agosto 1941 Les Brown incide Joltin’ Joe Di Maggio che vende 50 000 copie, viene poi scritturato nei programmi radiofonici patrocinati dalla Coca-Cola, riuscendo a tenere la sua orchestra durante tutto il periodo della guerra. Conosce un nuovo successo con Sentimental Journey cantato da Doris Day (1947), il cui debutto lo aveva visto come padrino. L’orchestra si scioglie nel dicembre 1946, poiche´ il direttore, stanco, si trasferisce a Hollywood. Qui, per rispettare un contratto, ricostituisce una formazione che, selezionata per accompagnare lo show di Bob Hope, si esibisce principalmente in California. Nel giugno 1951 Les Brown effettua una tourne´e in Europa nelle basi dell’aviazione statunitense. Ritiratosi nel 1962, ricostituisce occasionalmente un’orchestra per incisioni o concerti. Originariamente orchestra da ballo con leggere tinte di swing, la formazione di Les Brown flirtera` maggiormente col jazz a partire dagli anni della guerra. L’inizio del suo periodo californiano, con solisti come Don Fagerquist, Dave Pell, Bill Usselton, Ray Sims, Ronnie Lang e, per un po’, Buddy Rich, e` di gran lunga piu` interessante, poiche´ fonda un vero e proprio piccolo conservatorio della West Coast. [A.T.]

Sentimental Journey (1944), Invitation, Happy Hooligan (1953), «Jazz Song Book» (1959).

BROWN, Marion Sassofonista alto statunitense (Atlanta, Georgia, 8/9/1935). La madre canta in chiesa e Marion studia il sassofono, il clarinetto e l’oboe (sotto la direzione, tra gli altri, di Wayman Carver), formazione alla quale aggiunge, al Clark College e alla Howard University, scienze politiche,

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storia e insegnamento della musica. Durante il servizio militare fa parte di un’orchestra dell’esercito. Congedato, suona nel 1957 con Johnny Hodges. Nel 1962 lascia Washington per New York, trova un impiego in una libreria e, membro della Jazz Composer’s Guild, partecipa alle manifestazioni organizzate al Judson Hall e ad altri avvenimenti del free jazz. L’anno seguente dirige un’orchestra a Newark, la citta` di LeRoi Jones, incide a fianco di Bill Dixon, John Coltrane («Ascension»), Archie Shepp («Fire Music»), suona con Sun Ra, prima di partire per il Canada e poi per l’Europa, dove lavora e viaggia per parecchi mesi – suona e incide con Gunter Hampel e Jeanne Lee, Han Bennink, Steve McCall. Di ritorno negli Stati Uniti, ottiene un posto di consigliere musicale della citta` di New Haven (1970) e insegna il sassofono, la chitarra e il ritmo ai bambini della comunita` nera. Diventa anche membro della facolta` di studi afroamericani in qualita` di esperto della musica nera contemporanea. Forma poi un duo con Leo Smith: The Creative Improvisation Ensemble. A meta` degli anni ’70 lo ritroviamo alla Wesleyan University, dove si dedica a lavori di etnomusicologia, studia la liuteria africana, lo shakuhachi giapponese e altri flauti di bambu`, contemporaneamente ad alcune tradizioni strumentali afroamericane. Parallelamente, comincia a fare concerti da solo, si esibisce poi in duo, trio, suona il clarinetto, le percussioni, il pianoforte, la chitarra, si dedica alla pittura e, nella seconda meta` degli anni ’80, fonda The Group con Ahmed Abdullah, Billy Bang, Sirone e Andrew Cyrille. Dopo una collaborazione con Mal Waldron (segnata da due dischi in duo), incide in Germania col quartetto Jazz Cussion, soggiorna a New Orleans, incide di nuovo a New York, ma, afflitto da gravi problemi di salute, sembra infine aver abbandonato l’attivita` musicale. Dolcezza, fragilita`, levita`, sono i termini che ritornano piu` frequentemente a proposito della sua musica, sebbene Marion Brown dia prova di un’energia e di un volume sonoro abbastanza rari in un sax

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alto e, in particolare in assolo, non disdegna i registri gravi. Ma soprattutto, un po’ alla maniera del suo amico Shepp, ha sempre manifestato un’insaziabile curiosita` per tutte le fasi della musica nera, da cui il sodalizio con autentici bopper e le ‘‘riletture’’ di opere dei grandi compositori-improvvisatori della storia del jazz. Anche in questo si afferma come uno dei piu` convincenti rappresentanti del movimento free. [P.C.] Capricorn Moon (1965), «Three For Shepp» (1966), Afternoon Of A Georgia Faun (1970), «Sweet Earth Flying» (1974), La Placita (1977), Body And Soul (1978), Sunshine Road (1980), A Flower Is A Lovesome Thing (duo con Mal Waldron, 1985), «Mirante do Vale» (1992).

BROWN, Oscar Jr. Cantante e compositore statunitense (Chicago, Illinois, 10/10/1926 - 29/5/ 2005). Contro il desiderio della famiglia, rinuncia agli studi di diritto per scrivere canzoni. Ancora studente, collabora con un’emittente radiofonica come attore di romanzi a puntate. A partire dal 1943 passa da un college all’altro, scrive per un quotidiano, lavora per la pubblicita`, milita in occasione di una campagna elettorale (1948) e reca il suo aiuto al sindacato dei musicisti. Gli capita persino di lavorare nello studio legale del padre. Dopo il servizio militare (1954-56) si dedica sempre di piu` alla musica. Brown Baby e` la sua prima opera registrata... da Mahalia Jackson. Ma collabora, soprattutto, alla Freedom Now Suite di Max Roach. In seguito diventa celebre come paroliere, scrivendo testi su temi di jazz, come Work Song di Nat Adderley, All Blues di Miles Davis, So Help Me di Les McCann oppure One Foot In The Gutter di Clark Terry. Partecipe di tutti i momenti di lotta della comunita` afroamericana e, allo stesso tempo, abile autore di canzoni, appare come un moderno bluesman-trovatore, seducente specchio delle metamorfosi della musica nera (dal jazz funky e dal soul alla disco music passando per un prefree dagli accenti africani) e ironico com-

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mentatore della realta` socioeconomica nera, favorito da una voce in cui, dai gemiti e stridii del blues a una sorta di ‘‘bel canto nero’’, si ritrovano le fasi piu` importanti della vocalita` afroamericana. [P.C.]

Dat Dere, But I Was Cool (1973).

BROWN, «Pete» (James Ostend) Sassofonista (alto, tenore), trombettista e violinista statunitense (Baltimora, Maryland, 9/11/1906 - New York, 20/9/1963). Impara prima il pianoforte, poi il violino, e suona nei teatri della sua citta` natale. Nel 1924 adotta il sassofono che pratica in varie orchestre locali prima di recarsi ad Atlantic City e poi a New York (1927). Durante gli anni ’30 lo troviamo nell’orchestra di Charlie Skeets, nel trio di Fred Moore, nell’orchestra di John Kirby (1937-38), che si esibisce nei club newyorkesi. Agli inizi degli anni ’40, insieme a Frank Newton, suona al Kelly’s Stables poi e` di nuovo a capo di un piccolo gruppo e per un breve periodo con Jimmy Ryan’s, prima di ritrovare Newton nel 1943 a Boston. L’anno seguente dirige nuovamente il proprio gruppo, quasi senza interruzioni fino agli inizi degli anni ’60, esibendosi al festival di Newport 1957, al club Arlington e al Village Gate di New York. Negli anni ’30 aveva prodigato i suoi consigli a giovani sassofonisti, in particolare a Flip Phillips. Pete Brown – l’alto ansimante – e` stato molto discusso. Non gli e` stata mai contestata una grande capacita` nel suonare lo swing, usando abilmente effetti di growl e rivelando una grande veemenza che annuncia il rhythm and blues. Ma e` stato anche sottolineato l’aspetto comico (involontario?) generato dal suo eloquio frammentario in frasi liberate sotto la spinta di una voracita` incontenibile. Il suo intervento in Low Flame (1946) con Coleman Hawkins e` un bell’esempio della sua grande musicalita`. [A.C.] Con Buster Bailey: Afternoon In Africa, Dizzy Debutante (1937); Bump It (Jimmie Noone, 1937); con F. Newton: Britwood

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177 Stomp (1937); Rosetta Rompin’ (1939); Twelve Bar Stampede (Joe Marsala, 1939); Gonna Buy Me A Telephone (1942); «Boss Of The Blues» (Joe Turner, 1956).

BROWN, Ray (Raymond Matthews) Contrabbassista statunitense (Pittsburgh, Pennsylvania, 13/10/1926 - Indianapolis, Indiana, 2/7/2002). A otto anni studia il pianoforte. Non potendo il padre comprargli il trombone dei suoi sogni, decide di farlo passare al contrabbasso, che gli puo` essere prestato dalla scuola. Nel 1943, per il suo primo concerto in un club, sceglie questo strumento. Alla fine del liceo, nel 1944, rimane per sei mesi nel sestetto di Jimmy Hinsley poi, nel 1945, entra nella formazione di Snookum Russell, con il quale gira tutto il paese per otto mesi. Ha appena vent’anni quando lascia Russell. Arriva a New York e corre verso la 52ª Strada e Times Square. Sono tutti lı`: Enroll Garner, Art Tatum, Billie Holiday, Coleman Hawkins, Hank Jones. Quest’ultimo lo presenta a Dizzy Gillespie che lo invita a suonare con lui fin dalla prova dell’indomani, in compagnia di Bud Powell, Max Roach e Charlie Parker. Brown rimarra` per piu` di due anni con Gillespie: dapprima in piccole formazioni, poi nella prima big band (1946). Nel 1948 costituisce un trio con Hank Jones e Charlie Smith e sposa Ella Fitzgerald che accompagnera` in tutti i suoi concerti. Una sera, mentre assiste, fra le quinte della Carnegie Hall, a un concerto del JATP, gli chiedono di sostituire il contrabbassista assente e Norman Granz lo scrittura. Verra` ascoltato suonare in seno al JATP per diciott’anni, mentre e`, dal 1951, membro del trio di Oscar Peterson. Nel 1952 incontra un giovane trombettista dell’orchestra di Lionel Hampton, Quincy Jones. Suoneranno insieme soltanto dopo una decina d’anni, ma nasce gia` la loro amicizia. Nel 1957-58 incide con Barney Kessel e Shelly Manne numerosi dischi in trio, i Poll Winners (‘‘vincitori del referendum’’). Nel gennaio 1966 Brown lascia il suo posto nel trio Peterson a Sam Jones e si stabilisce a Los Angeles. Lavora per la televisione e il cinema,

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suona con Michel Legrand, Oliver Nelson ecc., pubblica un metodo per il contrabbasso, incide da free lance con centinaia di musicisti; diventa per un po’ il manager di Quincy Jones. All’inizio del 1974 fonda il gruppo L.A. Four, con Laurindo Almeida, Shelly Manne – poi Jeff Hamilton – e Bud Shank. Effettua concerti per l’Hollywood Bowl e diventa direttore musicale del festival di Monterey nel 1976 e 1977. Gli L.A. Four girano tutto il mondo. Costituisce un quintetto con Milt Jackson (1979-80), poi con Gene Harris, Al Grey, il chitarrista della Louisiana Ron Eschete e Grady Tate, e si esibisce occasionalmente in trio, spesso con Monty Alexander. Suona anche il violoncello e il basso Fender in studio. Esecuzione precisa, suono molto grave, grande padronanza del basso elettrico, perfetta sincronizzazione delle mani – eccezionale utilizzazione della mano sinistra – unite a un’uguale intensita` nel grave e nell’acuto, a uno swing irreprensibile con qualunque tempo, a linee di basso ferme e chiare: si puo` tentare cosı` di mettere in equazione l’esecuzione di uno dei piu` grandi contrabbassisti di sezione ritmica del jazz; i cliche´ che talora puntano alla svolta dei suoi chorus (in particolare con Oscar Peterson) si inseriscono sempre in frasi di una grande ricchezza armonica. Brown si situa abilmente fra due tradizioni dello strumento: quella del suono grave e delle sonorita` dure (Blanton) e quella della rapidita` (Scott LaFaro). [P.B., C.G.]

Con Gillespie: Dodo’s Blues, Two Bass Hit (1947); «Way Out West» (Rollins, 1957); «The Poll Winners» (con Kessel e Manne, 1957); «As Good As It Gets» (1978), «Tasty» (1980), «Dont’ Forget The Blues» (1985), «Moore Makes 4» (1991); «Some of My Best Friends Are...» (serie di incisioni per la Telarc, anni ’90).

BROWN, Roy Cantante statunitense (New Orleans, Louisiana, 10/9/1925 - Los Angeles, California, 25/5/1981). Divo del cabaret Drew Drop Inn a New Orleans, Roy Brown firma nel 1945 un contratto con la

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casa discografica DeLuxe con la quale otterra` numerosi successi. Ma la sua composizione piu` celebre, Good Rockin’ Tonight, diverra` popolare con Wynonie Harris ed Elvis Presley. Influenzato in origine da Bing Crosby, abbandona ben presto lo stile da crooner per una forma di blues gridato e sofisticato, fortemente tinto di gospel. Fu uno dei blues shouter piu` celebri degli anni ’40 e ’50, con Big Joe Turner, Wynonie [J.P.] Harris e Jimmy Witherspoon. Boogie At Midnight (1949), Hard Luck Blues (1950), Love Don’t Love Nobody (1950), Big Town (1951), Party Doll (1957).

BROWN, Ruth Cantante statunitense (Portsmouth, Virginia, 30/1/1928 - Las Vegas, Nevada, 17/ 11/2006). A sedici anni e` una delle cantanti dell’orchestra di Lucky Millinder. In occasione di un breve soggiorno a Washington, Blanche Calloway, sorella di Cab, la scrittura al Crystal Cavern. Nel 1969, Herb Abramson le fa firmare un contratto con la casa discografica Atlantic. In dieci anni, diventa una delle piu` popolari cantanti di rhythm and blues. Arriva a Parigi nel 1986, con la rivista Black And Blue. Suo nipote Rakim e` un importante rapper. La sua voce spigliata e vivace, unita al sostegno dei migliori esperti del rhythm and blues (Willis Jackson, con cui fu sposata, Arnett Cobb, Sam The Man Taylor, King Curtis, Mickey Baker), determinano il successo della maggior parte dei suoi [J.P.] dischi Atlantic. Teardrops From My Eyes (1950), Mama He Treats Your Daughter Mean (1952), Mambo Baby (1954), Lucky Lips (1956), «The Songs of My Life» (1993).

BROWN, Ted (Theodor G.) Sassofonista statunitense (Rochester, New York, 1/12/1927). A sei anni studia il banjo con suo padre, poi il violino col nonno, il clarinetto e il sax tenore con lo zio. Sceglie quest’ultimo strumento nel 1941, anno in cui la famiglia si stabilisce in California, a Hermosa Beach, e conti-

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nua a suonare nell’orchestra del college. Durante il servizio militare (1946-47) suona nelle bande dell’esercito, scopre il jazz (Lester Young, Charlie Parker, Bud Powell) e fa la conoscenza di Warne Marsh. Congedato, trova svariati ingaggi a Hollywood e, nel 1948, raggiunge Marsh a New York. I due conoscono Lennie Tristano e la sua cerchia di allievi e collaboratori: Billy Bauer, Sal Mosca, Ronnie Ball, Lee Konitz, oltre a Don Ferrara e Willie Dennis. Fino al 1957 suona in diversi locali (Confucius, Cork ’n’ Bib), guida un gruppo assieme a Dennis e infine torna in California con Marsh. In questo periodo incide i suoi primi dischi: «Jazz of the Two Cities», con Marsh, e «Free Wheeling», con Marsh e Pepper. Di nuovo a New York, partecipa al disco «Lee Konitz Meets Jimmy Giuffre». Tra gli anni ’60 e ’70, dopo aver smesso di suonare pur di non adattarsi agli stili allora imperanti, torna ogni tanto al jazz tra un lavoro extramusicale e l’altro. Nel 1976 dirige, assieme a Konitz, un quintetto (che entra in studio d’incisione). Nel 1985 incide per l’etichetta olandese Criss Cross, con Jimmy Raney e il pianista Hod O’Brien. Il successo di questo disco gli consente di esibirsi in Europa e nel 1987, per la stessa etichetta, incide dal vivo. Negli anni ’90 ha poi inciso per la SteepleChase, anche in compagnia del vecchio amico Konitz. Autentico improvvisatore («Ted, secondo me, e` uno dei pochi veri improvvisatori in circolazione», dice Konitz), e` capace di improvvisare su un tema dalla prima all’ultima nota, grazie a una vivacita` d’immaginazione creativa che organizza in maniera spontanea una logica armonica appresa da Tristano; sa poi unire alle sottigliezze melodiche la forza penetrante di un discorso depurato da qualunque enfasi, attraverso una sonorita` quasi priva di vibrato e dal timbro argenteo. Tutto cio` lo apparenta ai migliori sassofonisti ‘‘tristaniani’’ come Marsh e Konitz. Preoccupato di preservare l’integrita` di un’arte senza concessioni alcune, questo note-

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vole musicista ha dovuto combattere per oltre trent’anni pur di sopravvivere nel [J.P.M.] mondo del jazz. Loverman (Marsh, 1956); «Free Wheeling» (1956); Cork ’n’ Bib (Konitz, 1959); Instant Blue (1985), «Free Spirit» (1987).

BRUBECK, Dave (David Warren) Pianista e compositore statunitense (Concord, California, 6/12/1920). Studia il pianoforte e il violoncello e segue, per poco tempo, l’insegnamento di Scho¨nberg, poi i corsi di composizione di Darius Milhaud al Mills College di Oakland. Nel 1946 forma un ottetto sperimentale con Dave Van Kriedt (tsax, arr), Dick Collins (tr), Bob Collins (trb), Bill Smith (brcl), Bob Cummings e Paul Desmond (asax), Ron Crotty (cb) e Cal Tjader (batt). Nel 1949 suona in trio e incide per la Fantasy. Nel 1951, con Desmond, fonda un quartetto, formula alla quale rimarra` a lungo fedele. Un album Columbia testimonia del suo viaggio a Newport nel 1958. La composizione in 5/4 di Desmond Take Five spinge il gruppo ai vertici (1959). Negli Stati Uniti, poi in tutto il mondo, la popolarita` del gruppo – indissociabile dalla sonorita` di Desmond – va largamente oltre il pubblico degli appassionati di jazz (che sono piu` reticenti e severi riguardo ai limiti tecnici del pianista). La formazione (che comprende inoltre Gene Wright e Joe Morello) si scioglie nel 1967. Nel 1968 Brubeck forma un nuovo quartetto con Gerry Mulligan. A partire dal 1972 il pianista si esibisce con i suoi due figli: Two Generations Of Brubeck. Nel 1974 incide con Lee Konitz e Anthony Braxton. Vi saranno anche incontri con Mulligan e Desmond con il quale incide in duo (1975). Negli anni ’80 all’energico sax tenore di Jerry Bergonzi (che suona anche il soprano e il basso) succede il clarinetto del vecchio collega Bill Smith e la ritmica e` spesso affidata al figlio Chris (cb), a Butch Miles o Randy Jones (batt). Gli studi classici hanno sollecitato Brubeck a sperimentare nel campo della composizione e della forma (ricerca sui ritmi,

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uso del contrappunto, polifonia, fuga, rondo`...) talvolta con una certa ingenuita`, ma spesso con innegabile abilita`. Nonostante le decisioni discutibili delle sue concezioni e ambizioni musicali, composizioni come The Duke o In Your Own Sweet Way dimostrano la sua originalita`. [C.B., J.L.A.]

How High The Moon (1948), Perdido, Blue Rondo A La Turk (1959), These Foolish Things (duo con Desmond, 1975), Mr Fats (1980), Koto Song (1982).

BRUN, Philippe Trombettista e direttore d’orchestra francese (Parigi, 29/4/1908 - 15/1/1994). Passando dal conservatorio, compie un percorso classico: studia il violino, il flicorno e la tromba per poi ritrovarsi, nel 1926, nell’orchestra dell’Abbaye de The´le`me, club di Pigalle frequentato da tutti i musicisti parigini di jazz. Gregor, nel 1928, lo recluta nei suoi Gre´goriens, ma per poco tempo poiche´ il direttore d’orchestra britannico Jack Hylton ottiene il trasferimento del trombettista, che arriva a Londra nel 1930. Per sei anni morde il freno (un po’ alla maniera di Bix Beiderbecke con Paul Whiteman) in quest’orchestra piu` orientata verso un amore sdolcinato per il ballo che verso gli accenti sguaiati del jazz. Nel 1936, infine, rompe il suo contratto, ritorna a Parigi e Ray Ventura lo ingaggia fra i suoi Colle´giens che condurra` in Svizzera nel periodo dell’Occupazione tedesca prima di imbarcarsi per l’America meridionale. Il trombettista non vorra` partecipare al viaggio e rimarra` in Svizzera fino alla Liberazione. Al suo ritorno in Francia cambia rotta e, sebbene rimanga nell’ambiente musicale fino agli anni ’60, si occupera` soltanto di musica da ballo. Resta il fatto che Philippe Brun e` stato fino al 1940 il migliore trombettista europeo. Emulo inizialmente di Bix Beiderbecke, poi di Louis Armstrong, le sue esecuzioni con la tromba associano una grande sensibilita` a una reale potenza d’e-

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spressione. Un fraseggio purissimo e una sonorita` chiara ne sono le principali ca[A.C.] ratteristiche. Limehouse Blues (Jack Hylton, 1930); PB Flat Blues I’m Comin’ Virginia, College Stomp (1937); accompagnando sul blues il poeta Pierre Reverdy che legge uno dei suoi testi: Fonds Secrets (1937); Melody In Brown (Ray Ventura, 1938).

BRUNIS, Georg (George Clarence) Trombonista statunitense (New Orleans, Louisiana, 6/2/1902 - Chicago, Illinois, 19/11/1974). Nato in una famiglia di musicisti (i fratelli Abbie, Henry, Merritt e Richard faranno anch’essi carriera), suona giovanissimo nell’orchestra di Jack Papa Laine poi, adolescente, con Leon Roppolo. Verso il 1920 si reca a Chicago dove si esibisce con varie formazioni prima di entrare nella Friar’s Society Orchestra, che da` origine ai New Orleans Rhythm Kings. Nel 1924 e` scritturato da Ted Lewis nella sua orchestra burlesca dove la sua presenza (poi quella di Muggsy Spanier e di Jimmy Dorsey) prova che, in fin dei conti, Lewis amava anche il jazz. Vi resta una decina d’anni – effettuando una tourne´ e in Europa – prima di suonare con Eddie Condon, Sharkey Bonano, Louis Prima, Bobby Hackett, passando spesso al Nick’s a New York. Nel 1938 raggiunge i Ragtimers di Muggsy Spanier per due anni, ritorna al Nick’s (1960), suona con Art Hodes (1940 e 1941), ritrova Ted Lewis dal 1943 al 1946, che lascia poi per tornare ancora una volta al Nick’s, suo punto di riferimento. Scritturato da Eddie Condon (1947-49), riprende in seguito la direzione di un gruppo a Chicago, si unisce un’altra volta con Art Hodes (1950), ricostituisce un gruppo di musicisti che dirige dal 1951 al 1960 e ritorna nell’orchestra di Spanier (1961). Dopo una grave malattia alla fine degli anni ’60, riprende le sue attivita` che proseguiranno (festival di New Orleans, 1968) fino agli inizi degli anni ’70. Georg Brunis non e` un brillante solista e nel campo del jazz delle origini gli si possono preferire, fra i trombonisti bian-

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chi, Eddie Edwards o Floyd O’Brien. Ma la sua esecuzione ‘‘vamp’’ e` perfettamente adattata alle improvvisazioni collettive in cui la sua robustezza e la sua efficacia hanno fatto meraviglia per piu` di mezzo secolo. [A.C.] Con i New Orleans Rhythm Kings: Eccentric, Bugle Call Blues (1922), Tin Roof Blues, Maple Leaf Rag (1923); Sensation (The Wolverines, 1924); con Ted Lewis: Clarinet Marmelade (1928), Aunt Haggar’s Blues (1930), Dallas Blues (1931); Ostrich Walk (Wingy Manone, 1934); Farewell Blues (Sidney Bechet, 1947).

BRYANT, Ray (Raphael Homer) Pianista statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 24/12/1931). La madre e la sorella suonano il pianoforte; il fratello, il contrabbasso. A scuola comincia anch’egli su questo strumento, approdando al pianoforte solo alla fine dei suoi studi secondari. Debutta a quindici anni con l’orchestra di Mickey Collins, suona un anno con Tiny Grimes, poi nell’orchestra dixieland di Billy Kretchmer (1951-53). Diventato il pianista abituale del Blue Note di Filadelfia, accompagna tutti i musicisti di passaggio: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Sonny Stitt, Sonny Rollins, il quale lo invita a suonare in sala d’incisione a New York. Il primo disco col proprio nome e` nel 1955. Nel 1956 sostituisce Richie Powell nel quintetto di Max Roach; nel 1956-57 fa parte del trio che accompagna Carmen McRae, di una formazione di Art Blakey e del trio di Jo Jones (1957-58). Nel 1959, a New York, suona con Charlie Shavers, Sonny Rollins, Curtis Fuller, Dizzy Gillespie, Max Roach, e costituisce un trio. Nel 1960 ottiene un certo successo commerciale con Little Susie. Verso la meta` degli anni ’60 incide con Sonny Rollins poi, a dispetto di qualche apparizione in trio o in assolo (festival di Montreux nel 1972 e 1975) le sue attivita` si rallentano. Norman Granz lo inserisce nella Pablo, la sua casa discografica, e lo fa incidere sia come sideman sia come leader di un trio con Sam Jones e Grady Tate.

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Sebbene faccia riferimento ad Art Tatum e Teddy Wilson, o addirittura a Earl Hines e Bud Powell, Bryant ha messo a punto uno stile lineare in cui emergono spesso elementi gospel. E` un efficace pianista mancino, con una grande scioltezza, dal tocco allo stesso tempo persuasivo e rotondo, strenuamente attaccato allo spirito [P.B., C.G.] del blues. Reminiscing (Gillespie, 1957); Cubano Chant (Blakey, 1957); «Alone With The Blues» (1958); Little Susie (1960), «Ray Bryant, Alone in Montreux» (1972), «Here’s Ray Bryant» (1976), «At Montreux ’77» (1977), «All Blues» (1978), Tonk (1987), Walrus Walk (1989), St. Thomas (1992).

BRYANT, Willie (William Steven) Direttore d’orchestra e cantante statunitense (New Orleans, Louisiana, 30/8/ 1908 - Los Angeles, California, 9/2/ 1964). Nel 1912 la sua famiglia si stabilisce a Chicago. Qui apprende a suonare la tromba, ma e` come ballerino che, nel 1926, si esibisce sul palcoscenico in riviste e vaudeville. Appare quindi nella Chocolate Revue (1934), e` il partner di Bessie Smith, dei Buck And Bubbles, prima di fondare la propria orchestra che dirige in particolare al Savoy, dal 1934 al 1938, poi dal 1946 al 1948. Nell’intervallo, si esibisce come attore, animatore e presentatore alla radio e alla televisione. Negli anni ’50 si stabilisce in California dove muore per una crisi cardiaca. L’orchestra che dirige prima della guerra – un po’ sullo stile di Cab Calloway, sebbene meno sfrenato – comprende musicisti di primissimo piano, quali Teddy Wilson, Benny Carter, Ben Webster, Taft Jordan, Cozy Cole, per eseguire arrangiamenti di Edgard Battle o Benny Carter. Cantante dal timbro gradevole nelle ballads, riesce a stimolare i suoi partner nelle esecuzioni piu` rilevanti e piu` di un solista si mostra degno d’interesse in incisioni quali Rigamarole (Ben Webster, 1935), The Sheik Of Araby (Teddy Wilson, Glyn Paque, 1935), Mary Had A Little Lamb [A.C.] (Taft Jordan, 1936).

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BUCKNER

BUCK AND BUBBLES Duo composto dal pianista Buck Washington e dal batterista John W. Sublett (Louisville, Kentucky, 19/2/1902 - Baldwin Hills, California, 18/5/1986). Quest’ultimo, soprannominato «Bubbles», fu (a parte la batteria e il canto) per vari decenni uno dei migliori top dancers sulla scena americana. Costituito all’inizio degli anni ’20, il tandem trionfa nelle riviste di Broadway (Blackbirds of 1930), si reca in Europa nel 1931 e 1936 e incide per la Columbia. Nel 1953, per ragioni di salute, Buck si ritira. E` possibile vedere i Buck And Bubbles nei film Varsity Show (William Keighley, 1937), Cabin In The Sky (Vincente Minnelli, 1943) e A Song Is Born (Howard Hawks, 1948). [A.C.] Rhythm For Sale (1937), Breakfast In Harlem (1936), Atlanta Blues (Bubbles solo con l’orchestra di Eddie Condon, 1946).

BUCKNER, Milt (Milton) Pianista, organista e compositore statunitense (St Louis, Missouri, 10/7/1915 Chicago, Illinois, 27/7/1977), fratello di Ted, sassofonista, e di George, trombettista (morto nel 1969). Orfano all’eta` di nove anni, cresce a Detroit ed e` iniziato alla musica da uno zio trombonista, John Tobias. Dal 1930 scrive arrangiamenti per l’orchestra di Earl Walton. Durante i suoi due anni di studi all’Institute Of Arts di Detroit suona con gli Harlem Aristocrats, Mose Burke, i Dixie Whangdoodles e collabora poi, come pianista e arrangiatore, con i McKinney’s Cotton Pickers. Durante gli anni ’30 lavora con parecchi musicisti locali e accompagna il cantante Jimmy Raschell. Dal novembre 1941, scritturato da Lionel Hampton come assistente e principale arrangiatore, rimane sette anni a fianco del vibrafonista. Forma un sestetto, poi una big band (1948), e torna con Hampton (1950-52). In seguito diventa uno specialista dell’organo Hammond e, in trio, fa numerose tourne´e in Europa. Nel 1969 si esibisce in duo con Jo Jones e poi, durante gli ultimi anni della sua vita, in trio con Illinois Jacquet.

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BUCKNER

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Nell’orchestra di Hampton si fa notare, per un modo fino ad allora inedito di suonare il pianoforte (ma anche l’organo): lo stile block chords che, aderendo alla tradizione dei riff destinati a far salire la tensione fino a parossismi ritmici caratteristica degli spettacoli hamptoniani, permette di creare un denso background armonico e di trattare il pianoforte in modo orchestrale. Buckner avrebbe ideato questa tecnica (in cui sono le mani, piuttosto che le dita, che si spostano simultaneamente sulla tastiera) per rimediare in parte alle mani piccole che gli impedivano una sufficiente apertura fra le dita. Virtuoso completo, e` anche un elegante interprete del blues piu` classico, in particolare sui tempi di boogie-woogie nei quali il suo possente swing fa meraviglie. [P.C.]

Chord A Rebop (Hampton, 1946); Count’s Basement (1956), Mighty High (1959), «Play Chords» (1966), Almost Like Being In Love (duo con J. Jones, 1971).

BUCKNER, Ted (Theodore Guy) Sassofonista alto e baritono statunitense (St Louis, Missouri, 14/12/1913 - Detroit, Michigan, 12/4/1976), fratello di Milton e di George, trombettista. Dopo aver suonato negli anni ’30 a Detroit, in particolare con il fratello Milton nell’orchestra di Jimmy Raschell, viene scritturato da Jimmie Lunceford dal 1937 al 1943. Cosı`, a fianco di Willie Smith, Joe Thomas, Dan Grissom, Earl Carruthers, appartenne a quella sezione di sassofoni che fece epoca nella storia delle grandi orchestre. Dopo aver lasciato Lunceford, forma un piccolo gruppo che si esibisce a Detroit e nei dintorni per numerosi anni. All’inizio degli anni ’50, insieme con il pianista Todd Rhodes, realizza varie tourne´ e – suonando anche il sassofono baritono – attraverso gli Stati Uniti, poi e` di nuovo a capo della sua orchestra a Detroit, accompagna il cantante Johnny Ray e organizza negli anni ’60 una grande formazione con il fratello di Ernie Wilkins e il trombonista Jimmy Wilkins. Nel 1975 si reca in Francia con l’orchestra di Sammy Price.

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Molta scioltezza, una grande fluidita`, la ricerca di seducenti linee melodiche favorite da una gradevole sonorita` sono le caratteristiche dello stile di Ted Buckner il cui assolo di Margie (con Lunceford, nel 1938) e` del tutto rappresentativo. [A.C.]

Con Lunceford: Down By the Old Mill Stream, By The River Sainte Marie (1938), Ain’t She Sweet?, I’m In An Awful Mood (1939), Chopin’s Prelude Nº 7, Okay For Baby (1940); Hi Spook (1941); Whodat Blues (Price, 1975).

BUCKNER, «Teddy» (John Edward) Trombettista statunitense (Sherman, Texas, 16/7/1909 - Los Angeles, California, 22/9/1994). Dopo aver studiato la batteria con uno dei suoi zii, impara a suonare la tromba e debutta nel 1924 a Los Angeles nell’orchestra di Buddy Garcia. Suona con Big Six Reeves, Speed Webb, le orchestre di Sylvester Scott, Sonny Clay, Curtis Mosby. Parte nel 1934 per Shanghai con un’orchestra diretta per circa un anno da Buck Clayton. Al suo ritorno suona con Lorenzo Flennoy, Cee Pee Johnson e, nel 1936, con Lionel Hampton al Paradise Club di Los Angeles, dirigendo per un po’ di tempo l’orchestra dopo che Hampton la abbandona per suonare con Goodman. In seguito suona con Benny Carter, Cee Pee Johnson (194445), Johnny Otis (1947), di nuovo con Hampton e Carter prima di essere scritturato, nel 1949, su suggerimento di Louis Armstrong, da Kid Ory, con il quale rimane fino al 1954. Costituisce allora una propria orchestra che si esibisce soprattutto in California, inizialmente durante famosi Dixieland Jubilees poi in club come l’Hangover a San Francisco, il 400 Club o la Beverly Cavern a Los Angeles. Nel 1958 viene in Europa, ai festival di Knokke-le-Zoute e Cannes, dando una serie di concerti in Svizzera, Paesi Bassi e Germania a fianco di una All Stars. Teddy Buckner e` apparso in parecchi film: con Fats Waller (King of Burlesque di Sydney Lanfield, 1935), Louis Armstrong (Pennies From Heaven di Norman McLeod, 1936), Ella Fitzgerald (Pete

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Kelly’s Blues di Jack Webb, 1955), King Cole (St. Louis Blues di Allen Reisner, 1958) e anche in Panic In The Streets (Elia Kazan, 1950), The Wild Party (Harry Horner, 1956), Hush Hush, Sweet Charlotte (Robert Aldrich, 1964), Lady Sings The Blues (Sidney J. Furie, 1972). Molto ispirata a quella di Louis Armstrong, il suo suono seduce per il suo irradiamento, la sua potenza, la precisione del suo fraseggio e il calore del suo timbro. La sua interpretazione di Martinique (creata da Sidney DeParis) e` stato un vero successo popolare. [A.C.] 12 th Street Rag (1949); Mahogany All Stomp (Ory, 1950); «In Concert At The Dixieland Jubilee» (1955); Weary Blues, I Can’t Get Started (Sidney Bechet, 1958); «A Salute To Louis Armstrong» (1958).

Buckshot La Funke Pseudonimo di Cannoball Adderley per il disco di Louis Smith (1958) «Here Comes Louis Smith» (da buckshot, ‘‘pallettone’’). BUDIMIR, Dennis Matthew Chitarrista statunitense (Los Angeles, California, 20/6/1938). Studia dapprima il pianoforte, poi la chitarra all’eta` di quattordici anni. Suona con Ken Hanna (1955), Keith William (1957), poi entra nell’orchestra di Harry James (1958), cosa che gli permette di acquisire una solida fama e di incidere per Capitol. Raggiunge il gruppo di Chico Hamilton poi, dopo aver suonato con numerosi musicisti della West Coast, realizza un fruttuoso sodalizio con Eric Dolphy. Nel 1960 diventa l’accompagnatore della cantante Peggy Lee e sostituisce Billy Bean nel quartetto di Bud Shank. Dopo il servizio militare (1961-63) lavora come turnista, in particolare con Quincy Jones, Lalo Schifrin, Don Ellis, Marty Paich e il pianista-cantante Bobby Troup, con il quale fa una tourne´e in Giappone (1963). Nel 1971 Budimir vince il referendum delle critiche di Down Beat. Uno dei migliori tecnici della chitarra, Dennis Budimir ha arricchito il suo stile

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BUDWIG

con l’ascolto non dei suoi pari, ma dei maestri del sassofono Rollins, Coltrane, Dolphy. Le sue improvvisazioni, rigorosamente costruite, ignorano la magniloquenza e possiedono un alto grado d’inventiva. [C.O.] The Blues Sprung Free (1961), Woody’n You (1963), Blues For Ray (1964), «The Creeper» (1965).

BUDWIG, Monty (Monte Rex) Contrabbassista statunitense (Pender, Nebraska, 26/12/1929 - Los Angeles, California, 9/3/1992). Figlio di un sassofonista alto e di una pianista, si cimenta con il pianoforte, il clarinetto e la tuba prima di optare per il contrabbasso che studia a Los Angeles. Debutta nell’orchestra di Anson Week, continua con qualche breve ingaggio con Vido Musso (1951), Oscar Pettiford e Stan Getz, poi fa il servizio militare in aeronautica. Seguono due anni col trio di Red Norvo e Tal Farlow (1954-55) e altri due con Woody Herman (1955-57). Nel 1958 instaura una collaborazione con Shelly Manne e si reca con lui in Europa (1960). La complicita` e l’efficacia del binomio durano fino alla morte del batterista (1984). Nel frattempo, Budwig lavora con Vince Guaraldi (1961), Benny Goodman (1964), Terry Gibbs (1965), e partecipa a numerose sedute d’incisione, ma soltanto nel 1978 incide il solo album uscito col proprio nome. Nel 1985 partecipa alla Grande Parade del jazz di Nizza in seno ai West Coast Giants riuniti da Shorty Rogers. Contrabbassista di grande precisione, dalla bella sonorita` piena e calda, esemplare per la scelta di ogni nota suonata, offre ai suoi partner una qualita` di sostegno del tutto eccezionale e rivela nei suoi interventi solisti un rigoroso senso della costruzione, combinato a una grande spigliatezza melodica. [J.P.R.] Speak Low (Barney Kessel, 1954); Bass Face (Herman, 1955); Cross Walk (Lennie Niehaus, 1955); Our Delight (Manne, 1959); The Washngton Twist (Bill Evans, 1962); When Day Is Done (Richie Kamuca,

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BULLOCK

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1976); Au Privave (Frank Butler, 1977); With Every Breath I Take, Handful Of Stars (1978); Echoes Of Harlem (Shank-Rogers, 1985).

BULLOCK, Hiram Chitarrista e bassista statunitense (Osaka, Giappone, 1955). Nato in Giappone, cresce a Baltimora e studia il pianoforte (a tre anni), poi il sax alto (a undici). Si ritrova a Panama, dove suona il basso in orchestre di scuola e da` qualche concerto. Nel 1970, ritornato a Baltimora, si mette a studiare la chitarra e ascolta musicisti di rock: Duane Allman, Steve Miller, Eric Clapton, Jimi Hendrix. A diciott’anni, all’universita` di Miami, studia la chitarra elettrica. Qui incontra Will Lee (cb) e Clifford Carter (tastiere), studia il basso con Jaco Pastorius e la chitarra con Pat Metheny, poi con Joe Diorio. Suona in un gruppo, con la cantante Phyllis Hyman, che riesce a ottenere una scrittura a New York, al Cellar, vicino al Mikell’s dove abitualmente vanno i fratelli Brecker e David Sanborn. E` qui che li incontra ed e` il vero debutto della sua carriera. Lavora molto in studio (con Al Jarreau, Paul Simon, Joan Armatrading, Billy Joel, Steely Dan...). Nel 1977 fonda la 24 th Street Band con Cliff Carter, Will Lee e Steve Jordan (batt). Il gruppo incide tre dischi e va in Giappone, tenendo l’ultimo concerto nel 1981 a Kyoto. Seguono incontri e tourne´ e, con Bob James negli Stati Uniti, Gil Evans in Europa, prima di Los Angeles dove diventa direttore musicale da Chaka Khan. Nel 1982 incide il suo primo disco col proprio nome («First Class Vagabond»). Quello stesso anno entra nella World’s Most Dangerous Band, orchestra stabile della trasmissione Late Night With David Letterman alla NBC. Qui si ritrova in compagnia di Lee e Jordan, sotto la direzione di Paul Schaffer; fino al 1985 vi incontra e accompagna James Brown, B.B. King, Toots Thielemans, Doctor John, Allen Ginsberg ecc. Parallelamente, lavora di giorno in sala d’incisione e di notte nei club di Mahattan con Mike Stern, Pastorius, Sanborn, Bob Moses... Nel 1983 fa una tourne´e in Giap-

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pone con l’orchestra di Evans in compagnia del gruppo di Miles Davis. Nel 198586 incide con Pastorius e la Band Of Doom (Charlie Drayton, batteria, Will Lee e Delamar Brown, tastiere), ritrova Sanborn e si unisce a Carla Bley e al suo nuovo sestetto. Chitarrista dal fraseggio sinuoso ma chiaro, molto prolisso, ma brillante, grande tecnico, ricorda a volte, per la velocita`, il senso acuto dello spettacolo e l’esecuzione allo stesso tempo melodica e scintillante, un certo... Jimi Hendrix. Molto feeling dovuto al suo gusto e alla sua pratica del rhythm and blues. Cresciuto alla scuola delle sale d’incisione, [P.B., C.G.] sa suonare in tutti gli stili. Voodoo Chile (Evans, 1985); «From All Sides» (1986); con C. Bley: Houses And People, Healing Power (1986-87); «Give It What U Got» (1987); For Susan (duo con Wayne Krantz, 1990).

BUNINK, Nico (Floris) Pianista olandese (Amsterdam, 22/4/1936 - Amsterdam, 21/12/2001). Il 26 luglio 1958 a Parigi Zoot Sims inaugura il Blue Note di Ben Benjamin; al suo fianco il giovanissimo pianista stabilitosi a Parigi da due anni. Lo si rincontrera` qualche mese dopo, al seguito di Billie Holiday per una tourne´e in Francia. Prima di recarsi negli Stati Uniti (1959), Bunink ha modo di suonare anche con Barney Wilen, Lucky Thompson, Lester Young, Kenny Clarke, Sonny Stitt. A New York lavora sia con Mingus sia con Sims e Dinah Washington (1960). Nel 1961 lascia New York per la California, dove suona con i fratelli Montgomery, con John Handy, Chet Baker, Milt Jackson, Ga´bor Szabo´, Bobby Hutcherson e Harold Land. A margine delle sue attivita` jazzistiche diviene direttore musicale dell’Anti-War Show di Jane Fonda. Dopo un nuovo soggiorno a New York (1968-72), durante il quale lavora e incide con Charles McPherson, torna con la sua famiglia in Europa, e si esibisce in Spagna e in Francia prima di ritornare ad Amsterdam (1974). Ha partecipato poi a varie sedute d’incisione, spe-

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cialmente con un altro ex mingusiano, Jimmy Knepper (1979). Nel 1988 riappare nei club parigini. Bopper impregnato di blues, accompagnatore polivalente, e` anche capace di produrre cascate di note cristalline degne del Garner piu` decadente, pezzi in single notes alla Tristano e perfino brusche rot[P.C.] ture melodiche quasi monkiane. Crystal Ball (Wilen, 1958); MDM (Mingus, 1960).

BUNKER, Larry (Lawrence Benjamin) Batterista e vibrafonista statunitense (Long Beach, California, 4/11/1928 - Los Angeles, California, 8/3/2005). Compagno, durante i suoi studi, di Eric Dolphy e di Hampton Hawes, ha con loro le sue prime esperienze musicali. Terminato il servizio militare, e` scritturato su una riverboat (1948). Si fa conoscere per la sua partecipazione alle serate di Howard Rumsey al Lighthouse di Hermosa Beach (1951) e suona in seguito con Art Pepper al Surf Club di Hollywood (1952). Nel 1953 sostituisce Chico Hamilton nel quartetto di Gerry Mulligan, trascorre un anno con l’orchestra di Bob Crosby (1954), suona per poco tempo con Barney Kessel e Stan Getz, accompagna la cantante Peggy Lee, fa parte della grande orchestra di Maynard Ferguson (1957) e partecipa a numerose sedute di registrazione. Nel 1962 suona al Shelly’s Manne Hole con il pianista Clare Fischer che lo raccomanda a Bill Evans. Dal 1963 al 1965 fa parte del trio del pianista, con il quale si reca in Europa (1964). Vi ritorna nel 1985, per partecipare alla Grande Parade del jazz di Nizza, con i West Coast Giants di Shorty Rogers. Accompagnatore ricercato, la sua pulsazione precisa e leggera assicura in tutti i contesti uno swing incomparabile. E` un batterista dall’esecuzione elegante e sottile, che riesce a variare gli effetti e a adattare il suo modo all’atmosfera musicale. Maestro nell’arte di utilizzare le spazzole, con un senso del drive irresistibile, impone con scioltezza il suo tocco originale. Al vibrafono dimostra una

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BUNN

grande vitalita` e predilige i tempi rapidi. Si distingue per la precisione del suo attacco e per la ricchezza dei timbri solleci[J.P.R.] tati. Surf Ride (Pepper, 1952); Fanfare (vib, Hawes, 1952); Simbah (Mulligan, 1953); Blue Haze (John Graas, 1956); Jump For Me (vib, Marty Paich, 1956); Wail Street (vib, Lou Levy, 1956); Panther Pause (1963); Israel (Evans, 1965).

BUNN, Teddy (Theodore Leroy) Chitarrista e cantante statunitense (Freeport, New York, 1909 - Lancaster, California, 20/7/1978). Padre, madre, fratello, nella sua famiglia sono tutti musicisti: lo sara` anche lui, e nel 1929 incide Haunted Nights con Duke Ellington. Agli inizi degli anni ’30, lavora con gli Washboard Serenaders poi col gruppo che diventera` Five Spirits Of Rhythm, nei club newyorkesi (Onix, Nick’s) e in tourne´e nelle grandi citta` degli Stati Uniti. Nel 1937, con John Kirby suona in trio e in duo. Ritrova nel 1939 gli Spirits Of Rhythm che lasciano New York per la costa occidentale. Teddy Bunn – suonando ormai la chitarra elettrica – entra ed esce piu` volte dal gruppo, dirigendo piccoli complessi come i Waves Of Rhythm (1944) o suonando nel trio di Edgar Hayes, nell’orchestra di Jack McVea a Honolulu (1954), nel gruppo di Louis Jordan (1959). Riduce, per motivi di salute, le sue attivita` a partire dagli anni ’60. In uno stile ispirato ai chitarristi tradizionali (Lonnie Johnson), Teddy Bunn suona senza effetti spettacolari ne´ virtuosismi, facendo cantare la chitarra, in particolare sul blues, con molta sensibilita`. Sotto le apparenze della semplicita` , egli libera una musica spesso immaginativa: il suo assolo di If You See Me Comin’ (con Tommy Ladnier, 1938) e` una delle grandi pagine della storia del jazz inciso. [A.C.] Kazoo Moan (Washboard Serenaders, 1930); I Got Rhythm (Five Spirits Of Rhythm, 1934); Four Or Five Times (Jimmie Noone, 1937); Wild Man Blues (Johnny Dodds, 1938); Summertime (Sidney Bechet, 1939); Mighty Blues (Port Of Harlem Six, 1939); Blues For Tommy (Frank New-

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BUNNETT

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ton, 1939); King Porter Stomp, Guitar In High, Blues Without Words, Blues For Tommy (1939); Evil Man’s Blues (Hot Lips Page, 1940).

BUNNETT, Jane Sassofonista soprano, flautista e compositrice canadese (Toronto, 22/10/1956). Dopo gli studi di clarinetto e l’orchestra del liceo, passa al pianoforte classico. Una grave tendinite le toglie ogni speranza di diventare concertista. Nel 1977, convalescente in California, ascolta il quintetto di Charles Mingus (con Don Pullen e George Adams) al Keystone Korner di San Francisco. Impressionata da questo primo contatto col jazz dal vivo, decide di approfondire questa musica e si dedica al flauto; poi, dopo l’ascolto di Steve Lacy, al soprano. Studia alla New School of Music di Toronto, si interessa al bebop e prende anche lezioni con la sassofonista Jane Fair e col pianista Barry Harris, appassionandosi anche alla musica di Ornette Coleman. Nel 1986 forma il suo primo gruppo, un quintetto col marito, il trombettista Larry Cramer, il pianista Brian Dickinson, il bassista Scott Alexander e il batterista Claude Ranger. Nel 1988 incide «In Dew Time», e aggiunge al proprio gruppo Don Pullen, Dewey Redman e il cornista Vincent Chancey. «New York Duets», due anni piu` tardi, la vede esibirsi assieme al solo Pullen. Nel 1991 il disco «Spirits of Havana» dimostra il suo grande amore per la musica cubana, in compagnia del gruppo yoruba Andabo. Lo stesso anno suona con Charlie Haden (assieme a Pullen, Redman, Cramer e al batterista Barry Elmes) e ottiene una sovvenzione dal Canada Arts Council che le consente di recarsi a Parigi a studiare con Steve Lacy. Vince la sezione per ‘‘talenti meritevoli di maggior riconoscimento’’ nel referendum di Down Beat nel 1992. Alla fine del 1993, dopo un anno assai fruttuoso, che vede anche un concerto canadese con Jeanne Lee e Sheila Jordan, e` messa sotto contratto dalla Blue Note. Sonorita` ampia, leggermente nasale ma non troppo, fraseggio ficcante e sempre

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teso, Jane Bunnett si e` modellata sui piu` grandi strumentisti, senza pero` imitarli pedissequamente. Ha saputo rendere omaggio a Coleman, Lacy e Monk evitando di offrirne un’immagine sfocata. Lo stesso e` successo con la sua prediletta musica cubana, della quale ha accettato la ricchezza e la diversita`, tenendosi alla larga dagli effettismi alla moda. Un cam[C.G.] mino profondamente onesto. In Dew Time (1988), Little Rootie Tootie (1989), «Live At Sweet Basil» (1991), La Luna Arriba, Epistrophy (1991).

BURBANK, Albert Clarinettista e cantante statunitense (New Orleans, Louisiana, 25/3/1902 - 15/8/ 1976). Lorenzo Tio Jr. e` suo maestro a New Orleans, dove comincia a suonare all’inizio degli anni ’20 senza mai far parte di formazioni di primo piano. Dopo la guerra (milita in marina) suona con il trombettista Dede Pierce (al Happy Landing, 1947), successivamente con il trombettista Herb Morand (al Mama Lou’s) e in numerosi gruppi che animano i club del quartiere francese a New Orleans. Nel 1950 viene scritturato da Paul Barbarin con il quale incide i suoi primi dischi. Dal 1953 al 1954 si esibisce a Los Angeles ove suona, per qualche mese, con Kid Ory. Ritornato a New Orleans fa parte di varie formazioni: quella di Octave Crosby, di Ernie Cagnolatti, della Young Tuxedo Brass Band, della formazione di Papa French, e della Preservation Hall Band con la quale compie una tourne´e in Australia (1971). Nel 1975 e` costretto a interrompere la sua attivita` per ragioni di salute e si esibisce come cantante nell’orchestra della Preservation Hall. Piu` a suo agio come solista che nelle improvvisazioni collettive Albert Burbank, che appartiene alla seconda generazione di clarinettisti di New Orleans ne perpetua lo spirito: praticamente, Burbank si esprime senza vibrato, la sonorita` e` limpida, l’esecuzione vivace, secondo la tra[A.C.] dizione creola.

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187 Clarinet Marmalade (Paul Barbarin, 1951); Milneburg Joys (Percy Humphrey, 1961); High Society (Kid Clayton, 1962); Old Fashioned Love (Jim Robinson, 1961).

BURKE, Raymond N. (BARROIS) Clarinettista e sassofonista statunitense (New Orleans, Louisiana, 6/6/1904 - 21/ 3/1986). Puo` essere considerato un autodidatta, dato che ben tre dei suoi zii sono musicisti professionisti: Harold Peterson (batt), Jules (cb, trb) e Leo Cassard (bjo, cl). Ottiene le prime scritture con il suonatore ambulante di cornetta e chitarra Blind Gilbert verso la meta` degli anni ’20; successivamente, per un lungo periodo, soggiorna al Plantation Club con i Melon Pickers del chitarrisa Henry Walde. Alla fine degli anni ’30 lascia New Orleans per un breve periodo di lavoro a Kansas City. Durante gli anni ’40 si avvale della moda del New Orleans Revival e dirige numerose orchestre; si esibisce al Vanity Club, allo Stork Club, alla Louisiane, suona con i trombettisti Sharkey Bonano, Johnny Wiggs, George Hartman. Dall’inizio degli anni ’60 al 1969 si esibisce al New Orleans All Stars e partecipa al New Orleans Jazz Festival (1969); contemporaneamente gestisce per qualche tempo un negozio di rigattiere in Bourbon Street. Nel 1973 suona in Europa e dopo gli anni ’70 fa parte della Preservation Hall Band. Il suo virtuosismo, cosı` insolito fra i veterani del dixieland, gli impedisce di diventare una vedette del New Orleans Revival. La sua sonorita` rotonda e` di una soavita` eccezionale, la fluidita` del fraseggio e la predilezione per i registri bassi evidenziano la migliore tradizione clarinetti[P.C.] stica della Louisiana. «At The Dixieland Jubilee» (New Orleans All Stars, 1954); Sweet Substitute (Wiggs, 1956).

BURKE, Vinnie (Vincent BUCCI) Contrabbassista statunitense (Newark, New Jersey, 15/3/1921 - New York, 1/2/ 2002). Studia violino e chitarra. Durante il periodo militare (1942-45) perde un

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BURNS

dito in un incidente. Abbandona la chitarra e si dedica al contrabbasso. Lavora con Joe Mooney (cantante, organista, accordatore, pianista), Tony Scott, il trio del pianista Cy Coleman (per tre anni), l’orchestra Sauter-Finegan, Marian McPartland (un anno), Gil Melle´ (sassofonista, arrangiatore, e soprattutto compositore di musiche per film) e con Don Elliott (1956). Nel 1958 Vinnie Burke appare regolarmente nello spettacolo televisivo Jazz Party. Lo si ritrova al seguito di Eddie Costa, in trio con Tal Farlow, Vic Dickenson, Chris Connor e in diversi gruppi newyorkesi. La sua velocita`, la sua energia, la sua precisione ritmica (e` infatti uno dei piu` efficaci specialisti del walking bass) – e il suono profondo, forte al limite della brutalita` dello slap – gli hanno permesso di emergere in diversi terzetti ove il basso [P.C.] gioca un ruolo fondamentale. Opus De Funk (Farlow, 1956).

BURNS, Dave (David) Trombettista statunitense (Perth Amboy, New Jersey, 5/3/1924). Dopo un lungo periodo di studi con professori privati (1933-41), completati con alcune lezioni di Carmine Caruso, fa parte dei Savoy Sultans (1941-43), dirige un’orchestra militare (1943-45), entra nella big band di Dizzy Gillespie (1946-49), e` scritturato da Duke Ellington (1950-52) e James Moody (1952-57). Successivamente prende parte a diverse piccole formazioni di New York. Lo si ritrova nel sestetto di Billy Mitchell e Al Grey (1961-64, periodo durante il quale registra due dischi come leader), nel gruppo del percussionista Willie Bobo (1964-66), ma anche al Minton’s e di nuovo con Moody all’Half Note e nelle trasmissioni televisive. Nel 1967 partecipa, a fianco di Mal Waldron, alla colonna sonora per il film Sweet Love, Bitter. Dal 1970 si dedica particolarmente all’insegnamento musicale, alle animazioni scolastiche e alle conferenze, ma soprattutto a corsi d’improvvisazione e tecnica strumentale nel suo studio di Freeport (Long Island).

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BURNS

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Per l’influenza di Armstrong, di Eldridge (che egli rivendica) e l’opprimente vicinanza di Gillespie (del quale spesso viene considerato un rigoroso discepolo), Burns si afferma come un melodico sottile e un notevole scultore di suoni, grazie alla sua utilizzazione delle varie sordine e per la serenita` con cui si esprime, rara presso i [P.C.] primi bopper. Sugar Ray (Babs Gonzales, 1952); «Warming Up» (1964); Candy’s Ride (Waldron, 1966); Oh Gee (Eddie Jefferson, 1968).

BURNS, Ralph Pianista, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra statunitense (Newton, Massachusetts, 29/6/1922 - Los Angeles, California, 28/11/2001). Inizia lo studio del pianoforte a sette anni, poi frequenta il New England Conservatory (1938-39) prima di entrare nell’orchestra di Nick Jerrett (1940-41) e in quella di Charlie Barnet (per il quale arrangia delle composizioni di Duke Ellington, e la sua prima composizione registrata: The Moose, 1943). Dopo un breve periodo con Red Norvo, entra a far parte della formazione di Woody Herman (1944) come pianista e successivamente come arrangiatore. E` a questo titolo che Ralph Burns offre il meglio di se´ alla musica jazzistica. Non tralascia pero` di lavorare a fianco di altri musicisti. A partire dal 1955 si dedica quasi esclusivamente alla composizione e agli arrangiamenti per la radio, la televisione e il cinema, registrando qualche cosa sotto il suo nome (soprattutto con l’accompagnamento di strumenti a corda, 1958-59), ancora in collaborazione, seppur per breve tempo, con Herman (1965). Uno dei suoi piu` recenti lavori, che lascia una profonda traccia nel jazz, e` la musica di New York, New York nel film di Martin Scorsese (1977). Agli inizi della sua carriera di arrangiatore, influenzato da Fletcher Henderson (per Benny Goodman), Ralph Burns elabora il suo stile orchestrando le proprie composizioni per Woody Herman: Lady McGowan’s Dream segna l’inizio di un lavoro fondato sulla stretta dipendenza

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della melodia rispetto allo sviluppo armonico dell’orchestrazione. La sua tecnica di pianista di grande orchestra mostra l’influenza di Count Basie (Caldonia), anche se si avvale di mezzi piu` cromatici. [X.P.]

Con Herman: Caldonia, Bijou (1945), Lady McGowan’s Dream, Summer Sequence (1946); Early Autumn (1948); Rhapsody In Wood (1949); Introspection (1946).

BURRAGE, Ronnie (James Renaldo) Batterista statunitense (St Louis, Missouri, 19/10/1959). Proviene da una famiglia di musicisti (sua madre e` pianista classica e anche gli zii sono musicisti), studia a lungo (Washington University, North Texas State, Howard University ecc.) mostrando qualita` precoci (si esibisce a nove anni con Duke Ellington, canta nel coro della cattedrale di St Louis, suona nei complessi di rhythm and blues). Dal 1980 e per tre anni fa parte del St Louis Jazz Quintet, che accompagna tutti i grandi solisti di passaggio nella citta`: Arthur Blythe, Jackie McLean, Andrew Hill, Jaco Pastorius, McCoy Tyner. Successivamente lavora a New York con Chico Freeman (1983), Woody Shaw (1983-85); e` sempre piu` sollecitato da musicisti di stile diverso quali Bobby McFerrin, Sonny Rollins, James Newton, Wynton Marsalis, Joseph Bowie (e il suo complesso Defunkt), Paquito D’Rivera, Pat Metheny, Lester Bowie ecc. Dirige anche propri complessi: Burrage Ensemle (1984) e Third Kind Of Blue (1985-86), di cui fanno parte John Purcell (ance) e Anthony Cox (cb), nei quali Burrage canta le proprie composizioni; suona sia strumenti a percussione sia le tastiere. Eccezionalmente dotato, va tentando tutte le mode e le novita` musicali: per lui la batteria ‘‘acustica’’ tradizionale non e` che una delle possibilita` d’espressione. [J.P.A.]

Opening (Third Kind Of Blue, 1985); «Close To You Alone» (Stanley Cowell, 1990); «Ghost Stories» (Robin Kenyatta, 1991).

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BURRELL, Dave (Herman Davis II) Pianista e compositore statunitense (Middletown, Ohio, 10/9/1940). Da sua madre pianista, organista e cantante in una chiesa battista riceve la prima educazione musicale. Suo padre, sindacalista militante, si trasferisce alle Hawaii (1947) con la famiglia: Dave frequenta qui gli studi superiori (1958-60) prima di partire per Boston per completare la sua formazione alla Berklee School, ove studia arrangiamento e composizione (1961-65). Successivamente e` a New York, dove ottiene le sue prime scritture con Marion Brown, quindi con Grachan Moncur III. Molto legato a Stanley Cowell partecipa con lui alla ricerca di una direzione musicale nuova. A questo scopo fonda l’Untraditional Jazz Improvisational Team (1965); nello stesso anno registra, in trio, la sua versione della West Side Story di Leonard Bernstein. In questo periodo suona molto con Byard Lancaster e Pharoah Sanders. Nel 1969 diviene il pianista fisso di Archie Shepp, con il quale si esibisce, nello stesso anno, al festival panafricano di Algeri, riportandone l’ispirazione per una suite, Echo, che registra a Parigi; quattro mesi piu` tardi, nella stessa Parigi registra un’altra suite, ispirata da Puccini: La Vie de bohe` me (dicembre 1969). Burrell prolunga il soggiorno parigino e registra un terzo disco a suo nome (con Roscoe Mitchell) e qualche altro disco con i musicisti di free jazz allora residenti a Parigi. Suona nel gruppo di Archie Shepp fino al 1976, collaborando anche con Sonny Sharrock, con la 360th Music Experience di Beaver Harris e con Grachan Moncur. Si esibisce sempre piu` frequentemente da solista rivisitando la tradizione afroamericana di Jelly Roll Morton da Cecil Taylor con riguardo a Monk ed Ellington. Compone un’opera, Windward Passages, di cui da` in Europa una versione per pianoforte (1979). Nel 1993 si esibisce in duo con David Murray alla Bimhuis di Amsterdam. All’inizio del nuovo millennio inizia una collaborazione col contrabbassista William Parker e con la cantante Leena Conquest, con la quale si esibisce spesso in duo.

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BURRELL

Anche se non e` un grande tecnico dello strumento, ne ha comunque utilizzato tutte le risorse. Energico e sfrenato, usa e abusa del pedale forte per mischiare gli armonici fino al raggiungimento di un unico suono come ai tempi del free jazz; ma e` capace, allo stesso tempo, di una rigorosa economia e di un senso della costruzione che evocano John Lewis (New Africa, con Moncur, 1969). Gli anni ’70 consacrano il ritorno alla melodia, alla scelta accurata degli accordi, alle figure del jazz classico. Ma e` nei temi di Monk che Dave Burrell da` la piena misura del suo senso della percussione, dell’impercettibile esitazione e del discontinuo. [X.P.]

Peace (1969); A.M. Rag (Harris, 1974); Straight No Chaser (1978); Punaluu Peter (1979); con David Murray: Ming (1988), Punaluu Peter (1991).

BURRELL, Kenny (Kenneth Earl) Chitarrista statunitense (Detroit, Michigan, 31/7/1931). Sebbene sia nato in una famiglia di musicisti, apprende la chitarra da autodidatta. Suona nel sestetto di Candy Johnson, quindi con Count Belcher (1949), Tommy Barnett (1950) e Dizzy Gillespie (1951). Frequenta la Wayne University per studiare la chitarra classica prima di formare un proprio gruppo ed essere ingaggiato da Oscar Peterson per il suo trio (1955). Dal 1956 risiede a New York, suona con Hampton Hawes e inizia a frequentare assiduamente gli studi di registrazione, dove viene molto apprezzato da diversi musicisti (Kenny Dorham, Gene Ammons, Jimmy Smith, Buck Clayton). Incide il primo album che inaugura un’impressionante discografia personale. Nel 1958 e` ingaggiato da Benny Goodman, partecipa a degli show a Broadway e l’anno successivo effettua una tourne´e in Europa dove si esibisce al festival di Montreux. Da questo momento ritornera` spesso sul vecchio continente sia da solo sia inserito in piccole formazioni. Dal 1978 insegna storia del jazz all’universita` della California (Los Angeles).

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BURROUGHS

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Formatosi alla scuola di Charlie Christian, di Oscar Moore e quindi di Django Reinhardt, dispone di un’eccellente tecnica strumentale che gli permette di suonare con sobrieta` seducenti linee melodiche, nette e precise, proposte con una sonorita` inebriante. Eccelle nei blues di cui possiede lo spirito, e li interpreta meglio di qualsiasi altro chitarrista della sua [A.C.] generazione. Birk’s Works (Gillespie, 1951); «Blue Moods» (1957); «Blue Bash» (con Jimmy Smith, 1963); Alfie’s Theme (Sonny Rollins, 1966); «Guitar Forms» (1964-’65), «The Tender Gender» (1966), «Ellington Is For Ever» (1976), «Live At The Village Vanguard» (1978).

BURROUGHS, Alvin Batterista statunitense (Mobile, Alabama, 21/11/1911 - Chicago, Illinois, 1/ 8/1950). Educato a Pittsburgh, e` presente ancora adolescente in un’orchestra a fianco di Roy Eldridge. Nel 1928 e` uno dei Blue Devils di Walter Page. Nel 1930 suona con Alphonso Trent e in seguito si esibisce a Chicago in diverse formazioni fino al 1937. E` ingaggiato nell’orchestra di Horace Henderson, che lascia per far parte dell’orchestra di Earl Hines ove rimane dal 1938 al 1940, partecipando a numerose registrazioni. In seguito suona con Milton Larkin (1941) e con Benny Carter (1942). In questo periodo e` alla testa di un gruppo, prima di passare alle dipendenze di Henry Allen (dal 1945 all’aprile del 1946); quindi e` con George Dixon – trombettista e sassofonista alto che aveva gia` affiancato quando suonava con Earl Hines – con il quale sta ancora lavorando quando e` vittima di una malattia cardiaca che lo conduce alla morte. La carriera troppo breve di Alvin Burroughs non ha permesso che i suoi meriti – veramente eccezionali – siano riconociuti nel loro giusto valore. E` in effetti uno dei percussionisti con piu` talento degli anni ’30; il suo modo di suonare la batteria evoca quello di Chick Webb: solidita` dei tempi, ricchezza di timbri, utilizzazione netta e precisa dei piatti, morbi-

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dezza di tocco che risulta chiaramente nelle registrazioni con la grande orchestra [A.C.] di Earl Hines. Down Home Jump (Lionel Hampton, 1938); con Hines: GT Stomp, Riff Medley (1939), Tantalizing A Cuban, Number 19 (1940); Get The Mop (Allen, 1946).

BURTON, Gary Vibrafonista e compositore statunitense (Anderson, Indiana, 23/1/1943). Dall’eta` di sei anni strimpella il pianoforte, al liceo studia composizione e piano, quindi sceglie il vibrafono dopo essersi esercitato alla marimba. Debutta professionalmente con il chitarrista Hank Garland, a Nashville, nel 1960. Agli inizi dgli anni ’60 segue i corsi di Herb Pomeroy al Berklee College of Music dove incontra il compositore arrangiatore Michael Gibbs, con il quale collaborera` a lungo. Grazie al chitarrista Chet Atkins firma un contratto con la casa discografica RCA, per la quale registra il suo primo album da leader nel 1961, ancora studente a Boston. Nel 1963 si stabilisce a New York e accompagna George Shearing in tourne´e negli Stati Uniti e in Giappone. L’anno successivo il pianista dedica un disco, «Out Of The Woods», alle composizioni del giovane vibrafonista. Quando Shearing scioglie il suo gruppo, Gary Burton dirige per due mesi a Los Angeles un quartetto con Larry Bunker. Di ritorno a New York, suona con Stan Getz (1964-66), con il quale partecipa a una prima tourne´e europea, a un concerto alla Casa Bianca e alla composizione della colonna sonora per due film: The Hanged Man (Don Siegel, 1964) e Get Yourself A College Girl (Sidney Miller, 1964). Nel 1967 Burton forma il proprio gruppo con Larry Coryell, Steve Swallow, Roy Haynes ai quali si aggiunge poi Bob Moses; interpella Carla Bley, compositrice-arrangiatrice e direttore d’orchestra per la registrazione di A Genuine Tong Funeral, un’‘‘opera senza parole’’ interpretata dal suo quartetto che si e` arricchito di alcuni elementi: Steve Lacy, Michael Mantler, Gato Barbieri, Jimmy Knepper e Howard Johnson (successivamente Burton registra molte altre

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composizioni della pianista). Dal 1970 si esibisce sia da solo sia in duo – con Keith Jarrett e soprattutto con Chick Corea – e inizia a registrare per la ECM. A meta` degli anni ’70 il suo quartetto spesso diventa quintetto con il bassista Eberhard Weber. Durante gli anni ’80, le tourne´e (in Giappone e URSS) si alternano con periodi d’insegnamento (principalmente alla Berklee); nei suoi diversi gruppi sfilano il trombettista Tiger Okoshi, Makoto Ozone, i chitarristi Jerry Hahn, Pat Metheny, Mick Goodrick, John Scofield, Ralph Towner, il percussionista Danny Gottlieb... Apparso alla ribalta quando Milt Jackson era in pieno fulgore, Burton ha rivoluzionato il mondo del vibrafono imponendo virtuosismo e complessita` melodica e armonica, caratteristiche ritenute fino allora riservate ai pianisti, grazie soprattutto all’utilizzazione simultanea di quattro martelletti. In tal modo egli puo` ottenere delle ‘‘linee semplici’’, accompagnandosi da solo, ossia con motivi su accordi di quattro note, e produrre altri effetti polifonici letteralmente inauditi. Circa la sonorita`, anche se non sfrutta quasi mai al massimo la potenza dello strumento, ottiene a volte delle inflessioni leggere strusciando, dopo averla percossa, la lamina con i martelletti. Da questo gioco deriva l’impressione di un flusso ininterrotto di suoni cristallini. [J.P.A.] «New Vibe Man In Town» (1961), One, Two, 1-2-3-4 (1967), «A Genuine Tong Funeral» (1967), «Hotel Hello» (duo con Swallow, 1974), «Duet» (con Corea, 1978), La Divetta (1986); «Benny Rides Again» (Eddie Daniels, 1992); «The New Crystal Silence» (con Corea, 2008).

BURTON, Ron (William Ronald, anche «Rahn») Pianista e organista statunitense (Louisville, Kentucky, 10/2/1934). Dopo alcuni corsi di pianoforte e ingaggi in gruppi locali, nel 1953 incontra Roland Kirk che lo porta con se´ in tourne´e. Rimane per sei anni con l’orchestra del sassofonista (con il quale suonera` poi di nuovo dal 1967 al 1972); in seguito lavora a New York come

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BUSHELL

free lance. Dopo un ritorno a Louisville lo si ritrova con George Adams (1964-65), Norris Jones (1965-66), Stanley Cowell e il suo Piano Choir (1972), Michael Carvin (1974), Carlos Garnett (1975), Beaver Harris (1978-79). Ha anche accompagnato Stanley Turrentine, Leon Thomas e fatto delle registrazioni con Dick Griffin, Charlie Rouse e i fratelli Grubbs. Oltre al gusto personale per la tastiera picchiettata – e perfino percossa – che gli permette di ottenere degli effetti di steel drum o di vibrafono, sottolinea un’efficacia ritmica tutta impregnata di atmosfera gospel. Burton ha ereditato da McCoy Tyner la tendenza verso i grandi abban[P.C.] doni lirici e brillanti. Kwebena’s Blues (Carvin, 1975); «The Poem» (1992).

BUSHELL, Garvin Payne Clarinettista, sassofonista, flautista e bassista statunitense (Springfield, Ohio, 25/ 9/1902 - Las Vegas, Nevada, 3/12/1991). Inizia a soli sei anni lo studio del pianoforte. Durante la sua permanenza come allievo alla Wilberforce University prende familiarita` con altri strumenti. A New York nel 1919, accompagna diversi artisti prima di partire in tourne´e con Mamie Smith e quindi con Ethel Waters agli inizi degli anni ’20. Scritturato da Sam Wooding nel 1925, va in Europa con lui. Lascia l’orchestra nel 1928 per suonare nella rivista Keep Shufflin’. Lavora in seguito con Johnny Dunn, Otto Hardwick (1931), Fess Williams (1933), Fletcher Henderson (1935), Cab Calloway (193637) e Chick Webb. Alla morte di quest’ultimo, per un certo periodo, suona con quei musicisti che hanno fatto di Ella Fitzgerald il loro nuovo leader. Successivamente lavora con Eddie Mallory e Edgar Hayes. A Filadelfia prende la direzione di un sestetto. Dal 1933 al 1944 dirige una sua orchestra, prima a New York e successivamente in California. Ritorna a Chicago e a New York negli anni ’50. E` scritturato da Wilbur DeParis nel 1955 e partecipa nel 1960 al festival di Antibes. Garvin Bushell lascia Parigi nel 1964. Suona

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BUSHKIN

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nuovamente con Cab Calloway (1966), dopo di che si stabilisce a Portorico nel 1967 e si dedica all’insegnamento. Clarinettista della tradizione New Orleans, durante le sue esibizioni Garvin Bushell suona con grande agilita` e mordente. Lo si preferira` a questo strumento piuttosto che al sax alto oppure al fagotto, anche se e` stato il primo, a partire dal 1928 a tentare di fare del jazz con il fagotto. [A.C.]

Con F. Waller: Willow Tre, Sippi (1928); New Orleans Hop Scop Blues (Bessie Smith, 1930); con C. Webb: Wacky Dust, Azure (1938); ’Till We Meet Again (Bunk Johnson, 1947); «Ragtime King» (Lucky Roberts, 1958); «The Wild Jazz Age» (DeParis, 1959).

BUSHKIN, Joe (Joseph) Pianista, trombettista e cantautore statunitense (New York, 7/11/1916 - 3/11/ 2004). La sua famiglia, emigrata dalla Russia, si stabilisce a New York nel 1909. Studia privatamente il pianoforte e la tromba e suona nell’orchestra della sua scuola che Irving Goodman, fratello di Benny, dirige. A sedici anni lavora al Roseland Ballroom e diviene, nel 1935, il pianista ufficiale del Famous Door, figurando cosı` nell’orchestra di Bunny Berigan. Suona con Eddie Condon (1936), Joe Marsala (1937), ritrova Berigan (193839), Muggsy Spanier (1939), Marsala e Tommy Dorsey, con il quale rimane fino al suo richiamo sotto le armi (1942). Inizialmente trombettista in un’orchestra militare, prende poi la direzione di una formazione che si esibisce nel Pacifico. Ritornato alla vita civile nel 1946, lavora con Benny Goodman e Bud Freeman (1947), suona a Broadway nello show Rat Race (1949-50), dirige il suo quartetto all’Embers (1951), fa parte, per un breve periodo, dell’All Stars di Louis Armstrong (1953) e forma diversi gruppi a New York (all’Embers), Las Vegas (al Sands), San Francisco, alle Hawaii e in California. Nel 1977 accompagna Bing Crosby a Londra ma da allora riduce la sua attivita`. Lo si puo` vedere nel film Rat

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Race (Robert Mulligan, 1960). Ha composto numerosi temi dei quali il piu` suonato e` Oh, Look At Me Now (1941). Joe Bushkin si ricollega alla scuola swing, allo stile di Teddy Wilson e qualche volta a quello di Art Tatum. Notevole per il suo tocco cristallino, la sensibilita` e la pura fantasia. Alla tromba improvvisa con calore e delicatezza, abile nell’utilizzazione della sordina (I Can’t Get Star[A.C.] ted). High Society (B. Berigan, 1938); The Lion And The Lamb (duo con Willie The Lion Smith, 1939); Relaxin’ At The Touro (M. Spanier, 1939); Serenade in Thirds (1940), Lady Be Good (1944), «In Concert, Town Hall» (1964).

BUSHLER, Herb Bassista e arrangiatore statunitense (New York, 7/3/1939). Suona sia il pianoforte, sia la tuba (alla quale aveva rinunciato in gioventu` perche´ «troppo triste»), sia il contrabbasso e dal 1965 il basso elettrico. Fa parte di quel gruppo di virtuosi eclettici polistrumentisti che nel periodo musicale effervescente degli anni ’60 sono stati particolarmente sollecitati dal rock al jazz piu` diverso, passando attraverso varie orchestre sinfoniche. Ha suonato del jazz di prima qualita` con il Composer’s Workshop Ensemble del percussionista Warren Smith (gruppo di cui Herb Bushler fa parte dopo il servizio militare in marina), nel quartetto di Ted Curson e Bill Barron (1965), Gill Evans (1967-74), George Russell e Bill Evans (1972), Tony Williams (1973), Blossom Dearie (197173), David Amram, Billy Harper, Joe Chambers, il complesso di tube Substructure di Howard Johnson, Joe Farrell. Non soltanto la sua maestria tecnica ma anche la sua intelligenza nell’usare i rapporti musicali (che spiegano la sua curiosita` polistrumentale e le sue composizioni) mostrano l’estrema diversita` dei contesti nei quali Herb Bushler dimostra [J.P.A.] con brio la sua abilita`. Hello Julius (W. Smith & Composer’s Workshop Ensemble, 1972); Quotation Marks (Enrico Rava, 1976).

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BUTLER, Frank Batterista e percussionista statunitense (Wichita, Kansas, 18/2/1928 - Los Angeles, California, 24/7/1984). Conosce il jazz a Kansas City dove vive con la famiglia. Studia la batteria nel periodo scolastico a Omaha (Nebraska). Debutta a tredici anni esibendosi con dei musicisti di Kansas City. Nel 1949 e` a San Francisco dove accompagna Billie Holiday e poi Dave Brubek, che lo scrittura l’anno seguente. Dopo un lungo periodo (1951-53) nei Stardusters di Edgar Hayes in compagnia di Curtis Counce, costituisce il proprio gruppo. E` per breve tempo con Duke Ellington (1954), poi viene ingaggiato da Perez Prado (1955). Di ritorno da Los Angeles, collabora al gruppo di Curtis Counce (1956-58) e come free lance accompagna sia Ben Webster, Big Miller, Jimmy Witherspoon sia Helen Humes o Art Pepper. Codirige un gruppo con Curtis Amy (1961), nel 1962 forma un quintetto, lavora brevemente con Miles Davis (1963) e ricopre il ruolo di secondo batteristapercussionista nel gruppo di John Coltrane (1965) prima di essere sostituito da Rashied Ali. La sua carriera subisce una serie di alti e bassi, causati dalla tossicomania. Ritorna alla ribalta negli anni ’70. Grande tecnico, Frank Butler non deve la sua fama soltanto all’abilita`. Suona con estrema musicalita`, il suo tocco e` preciso, ha un grande controllo dei timbri e della dinamica, le punteggiature sono sfumate, le composizioni ritmiche (dai ritmi composti) sono organizzate, ha il senso della costruzione. Suona con intensita` diversa, modificando impercettibilmente il tempo per permettere ai solisti di sviluppare le loro improvvisazioni (Summer Nights, per il solo di piano di Victor Feldman, 1963). In quanto ai suoi assolo, che esegue alternativamente con le bacchette o con le mani, sono soprattutto un’elaborazione e costruzione di forma. Senza dubbio Frank Butler ha valorizzato l’impiego della batteria nel jazz moderno. [X.P.]

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BUTTERFIELD

Con Counce: A Fifth For Frank (1956), Nica’s Dream (1957), The Butler Did It (1958); Numbers Game (Hampton Hawes, 1958); Something For Kenny (Elmo Hope, 1959); Night In Tunisia (Red Mitchell, 1960).

BUTLER, Henry Pianista e cantante statunitense (New Orleans, Louisiana, 21/9/1949). Perduta la vista a causa di un glaucoma, a cinque anni entra in una scuola per ciechi di Baton Rouge. Qui studia il pianoforte e il canto, prestissimo comincia a suonare in pubblico da professionista. Diventa amico di Alvin Batiste, su consiglio del clarinettista domanda e ottiene una borsa di studio che gli permette di lavorare all’inizio degli anni ’70 sotto la direzione di Cannonball Adderley, il cui pianista e` allora George Duke, che lo consiglia e lo lascia suonare in vece sua nei club. Butler, in seguito, completa gli studi alla Michigan State University. Di ritorno a New Orleans riprende a viaggiare e grazie a un’altra borsa di studio, sotto la guida di Roland Hanna, ottiene un diploma in musicoterapia; organizza una tourne´e di concerti in Europa per la cantante Lady B.J., della quale e` accompagnatore. Alla fine degli anni ’80, dopo essersi diviso fra la sua citta` natale e la California, si stabilisce a New York dove comincia a registrare per la casa discografica Impulse, in particolare con Ron Carter, Jack DeJohnette, John Purcell e Bob Stewart. A immagine della sua citta` natale e dei suoi gumbos, la musica di Butler e` un’insieme di virtuosismo quasi magico, di blues, di effetti e di arpeggi classici, di melodie quasi adescatrici e di tempi dalla [P.C.] vivacita` del bebop. «The Village» (1987), «Blues & More» (1992).

BUTTERFIELD, Billy (Charles William) Trombettista statunitense (Middleton, Ohio, 14/4/1917 - North Palm Beach, Florida, 18/3/1988). Si cimenta al violino, al contrabbasso e al trombone, quindi adotta la tromba, che suona in orchestre compo-

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ste da studenti. Fa pratica in diverse formazioni prima di essere ingaggiato da Bob Crosby (1937-40) e poi da Artie Show nel Gramercy five dove si mette in luce (1940-41). E` poi con Benny Goodman e Les Brown; suona anche come musicista di studio. Tornato dal servizio militare (1945) forma una grande orchestra con il clarinettista Bill Stegmeyer. Suona con un gruppo meno numeroso nei principali club di New York (Nick’s, Eddie Condon’s); lavora molto per la radio e la televisione. Dal 1968 al 1973 figura nella World’s Greatest Jazzband con la quale va in tourne´ e, specialmente in Europa. Muore di cancro alla gola. Appare nel film Second Chorus (H.C. Potter, 1940) con l’orchestra di Artie Shaw. Trombettista eclettico, e` capace sia di lanciarsi in un’improvvisazione tradizionale collettiva che di interpretare una ballad classica di stile lirico, grazie a una chiara musicalita` e sonorita`, a un discorso diretto, a un approccio facile; qualita` queste che rievocano quelle di Bix Beiderbecke. [A.C.]

Nel 1956 incide il suo unico disco da leader con Phil Woods, Macero, Hall Overton, Teddy Kotick e Joe Harris. Negli anni ’60 partecipa alle opere ambiziose di Mingus: Pre-Bird, The Black Saint And The Sinner Lady. Nel 1962 e` in Europa con la grande orchestra di Gillespie, quindi accompagna Dakota Staton, incide con Oliver Nelson, lavora a musiche di film, scrive per la rivista Down Beat e, nel 1979, fa parte dell’orchestra diretta da Macero in omaggio a Mingus. Utilizza anche il trombone basso. Capace di passare da tonalita` gravi ed emblematiche a tonalita` sfumate e leggere con infinita dolcezza, modulando l’intensita` e la sonorita` con maestria senza distaccarsi da un perfetto equilibrio, apre la via ai virtuosi della tuba jazz [P.C.] della statura di Howard Johnson.

Con B. Crosby: What’s New? (1930), I’m Free, Mournin’ Blues (1938); con A. Shaw: Concerto For Clarinet Part I, Star Dust (1940); La Rosita (Goodman, 1941); These Foolish Things (Johnny Guarnieri, 1944); Lady Be Good (1945), «New York Land Dixie» (1955).

BYARD, «Jaki» (John A. Jr.) Pianista, sassofonista, bassista, violinista, trombettista, chitarrista, batterista, compositore, arrangiatore e insegnante statunitense (Worcester, Massachusetts, 15/6/ 1922 - New York, 11/2/1999). Nella famiglia materna sono tutti pianisti, il padre e` trombettista di una fanfara. Da otto a dieci anni studia pianoforte classico. Alla radio ascolta Benny Carter, Duke Ellington, Count Basie e l’orchestra di Earl Hines. Nel 1934 scopre Freddie Bates And His Nighthawks, un’orchestra locale con la quale suona dal 1938 al 1941; scritturato come trombettista si esibisce in seguito come pianista. Chiamato alle armi dal 1941 al 1946 suona con Ernie Washington e Kenny Clarke in Alabama, apprende il trombone e compone i suoi primi arrangiamenti. Lasciato l’esercito, suona come sideman in vari gruppi di Boston. Nel 1947 e` per un breve periodo con Earl Bostic; incide il suo primo disco con il trio di Ray Perry (come violino), quindi parte per il Canada dove studia il sax alto e basso. Lavora per diciotto mesi a Quebec

BUTTERFIELD, Don Tubista statunitense (Centralia, Washington, 1/4/1923 - Clifton, New Jersey, 27/ 11/2006). Dopo aver compiuto il servizio militare e gli studi alla Juilliard School, comincia a lavorare a New York negli studi di registrazione e nelle orchestre sinfoniche. Lo si puo` ascoltare con Jackie Gleason e per un breve periodo con l’orchestra di Claude Thornhill. Piu` tardi e` scritturato dall’orchestra della Radio City Music Hall; contemporaneamente, verso la meta` degli anni ’50, e` attratto dal Jazz Composer’s Workshop di Teddy Charles, John LaPorta, Teo Macero, Wally Cirillo e, soprattutto, da Charles Mingus. Dal 1956 al 1958 dirige un sestetto con il quale si esibisce al festival di Newport.

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Sweet Sue (1956); Love Is A Simple Thing (Sonny Rollins, 1958); Solo Dancer (Mingus, 1963); Night Train (Maynard Ferguson, 1965).

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con l’orchestra del trombonista Joe Gordon e in questa occasione incontra Sam Rivers. A Boston lo ritroviamo con Bostic (1949-50) poi con Jimmy Tyler (195052). Lavora in una fabbrica di tende, suonando nel frattempo nel trio di Wally’s Paradise. Suona il pianoforte in assolo alla Stable di Boston (1952-55), ma anche con Charlie Mariano (1954) e da Herb Pomeroy (da sassofono tenore, 1952-55). Incontra Serge Chaloff e comincia a insegnare. Viene ingaggiato da Maynard Ferguson (1959-62) presso il quale sostituisce Joe Zawinul. Nel 1959, grazie a Don Ellis e Nat Hentoff, incide il primo disco a suo nome, un assolo per la casa discografica Candid (che restera` inedito fino alla sua uscita in Giappone nel 1979). Si stabilisce a New York ove suona in assolo, poi in trio, prima di inserirsi nel sestetto diretto da Charles Mingus – con il quale va in Europa nel 1964, ’68 e ’70 – e per un breve periodo di tempo ai Jazz Messengers (1965). Lo si ascolta con Eric Dolphy, Booker Ervin, Sam Rivers, Rahsaan Roland Kirk (un unico disco), mentre suona in solo al Top Of The Gate verso la fine degli anni ’60. Quindi si converte all’islamismo. Dal 1969 riprende a insegnare con intensita`, prima al conservatorio del New England e poi all’universita` del Massachusetts (1971) e alla Julius Hartt School of Music. Interrompe saltuariamente l’attivita` didattica per recarsi in tourne´e: in Australia (1971), in Giappone (1971, 1972), in Cina (1972)... Nel 197475 dirige il Music Complex di Sinclair Acey al Five Spot, ogni domenica. Alla fine degli anni ’70 dirige, contemporaneamente, due big band, battezzate entrambe The Apollo Stompers: una si esibisce a Boston (al Michael’s Pub) e l’altra a New York (Ali’s Alley). Soltanto la formazione di New York sopravvive e supera l’inizio degli anni ’80, esibendosi regolarmente al Jazz Cultural Theater a partire dal 1984. Nell’ultimo periodo della sua vita e` in tourne´e regolarmente con The Apollo Stompers e dirige dei seminari un po’ dappertutto. Viene assassinato misteriosamente nella propria casa con un colpo di pistola.

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BYAS

Jaki Byard, malgrado la versatilita` di pluristrumentista, e` soprattutto pianista. Musicista originale, la sua tecnica e` classica, il tocco della sua mano sinistra e` potente e percussivo, rievocando qualche volta Thelonius Monk. E` l’uomo delle sintesi e delle riletture da Earl Hines (con il quale ha inciso in duo) a Erroll Garner, Bud Powell, o dell’avanguardia; e` il padre della tradizione a contatto con i piu` re[P.B., C.G.] centi valori del jazz. Con Mingus: So Long Eric (1962), «The Black Saint And The Sinner Lady» (1963), ATFW (1964); Evidence (Kirk, 1968); New Orleans Strut (1969), «Hot Turkey» (1975), «Pot Pourri» (1980), Amarcord, La Strada (1981), «Phantasies» (1984), «Ebony Rhapsody» (Ricky Ford, 1990).

BYAS, «Don» (Carlos Wesley) Sassofonista tenore statunitense (Muskogee, Oklahoma, 21/10/1912 - Amsterdam, 24/8/1972). Sua madre, indiana cherokee, suona il piano e suo padre, di origine spagnola, il clarinetto: inizia con il violino, passa poi al sax alto, che suona alla fine degli anni ’20, nelle orchestre di Bennie Moten, Terrence Holder e con i Blue Devils di Walter Page che vanno in tourne´e nel Middle West. All’inizio degli anni ’30 fonda il suo Don Carlos And His Collegians Ramblers; nel 1933 adotta il sassofono tenore e si reca in California. Nel 1935 lo scrittura Lionel Hampton e successivamente l’ingaggiano Eddie Barefield, Buck Clayton (1936), Lorenzo Flennoy e Charlie Echols. Nel 1937 suona a New York nell’orchestra di Eddie Mallory (1937) che accompagna Ethel Waters. Nel 1938 e` per breve tempo con Don Redman e quindi con Lucky Millinder, ma nel 1938 e` scritturato da Andy Kirk con il quale suona per piu` di un anno, per passare poi a lavorare con Edgar Hayes e quindi con Benny Carter. Count Basie lo chiama a occupare il leggio lasciato da Lester Young. Rimane con Count Basie fino al 1943 e fa della 52ª Strada, in piena ebollizione, il suo quartier generale. Dapprima suona con Coleman Hawkins (allo Yacht Club) poi con il gruppo che per primo storicamente puo` rivendicare l’ap-

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BYERS

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pellativo ‘‘bebop’’ (la definizione di bebop non era ancora apparsa): Dizzy Gillespie, George Wallington, Oscar Pettiford e Max Roach all’Onyx Club, nei primi giorni del 1944. Questi musicisti, eccezion fatta per il pianista, si ritroveranno alla fine di febbraio per registrare sotto la direzione di Coleman Hawkins (anche lui molto interessato al nuovo movimento musicale e ai nuovi musicisti) dei dischi che si possono ben considerare le prime esecuzioni registrate di bebop (Woody’n You, 16 e 22 febbraio). Partecipa a queste due sedute anche Don Byas. La sua formazione musicale, fatta alla scuola di Benny Carter e di Coleman Hawkins, non si accordera` mai veramente con le concezioni del nuovo jazz; comunque, anche se suona di buon grado con questi innovatori, Don Byas rimane fondamentalmente un musicista swing. Prende parte a un’altra registrazione sotto la direzione di Gillespie (Good Bait, Salt Peanuts, gennaio 1945), ma chiaramente Byas non parla la stessa lingua di Gillespie, come d’altra parte Trummy Young, anche lui nel gruppo. La formazione dell’Onyx si scioglie nella primavera del 1944; Byas suona con diversi gruppi a New York, soprattutto con Hawkins, poi costituisce una formazione che presenta al Three Deuces (1945). Durante questo periodo incide per delle piccole case discografiche (Savoy, Jamboree, National, Dic, Arista, Super, American, Hub, Gotham) moltissimi dischi, spesso di grande qualita` . In questo periodo compone la prima versione della ballad Laura per il film omonimo di Otto Preminger. Nel settembre 1946 si imbarca per l’Europa con Don Redman e la sua orchestra, prima formazione del dopoguerra a sbarcare sul vecchio continente. Non ripartira` piu`: risiede all’inizio a Parigi, ove presto diviene il punto di riferimento per i musicisti francesi, suona nei club della capitale e realizza numerose tourne´e in tutta Europa. Dopo un soggiorno in Spagna si stabilisce nei Paesi Bassi. Nei club, nelle sale da concerto e nei festival ritrova alcuni compagni, emigrati o di passaggio; suona con Duke Ellington (1950), Quincy

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Jones, nel JATP (1961). Si esibisce ancora in Gran Bretagna (1965) e ritorna temporaneamente negli Stati Uniti per il festival di Newport nel 1970. L’anno successivo effettua una tourne´e in Giappone con Art Blakey. Muore a sessant’anni per un cancro al polmone. Della generazione di Coleman Hawkins, Don Byas e` il piu` impressionante sassofonista di tutta la storia del jazz. Sono stati ammirati il virtuosismo della sua tecnica, il suo fraseggio impeccabile, il lirismo, la carica emotiva, il senso armonico, la sonorita` inebriante. Sebbene contenuto e meditativo, ha dimostrato un supremo abbandono nell’interpretazione delle ballads, per poi meglio esprimere la volubilita`, l’audacia e la foga sui tempi vivaci. Molti fra i sax tenori della generazione di John Coltrane, Lucky Thompson, Sonny Rollins, Benny Golson e Johnny Griffin [A.C.] hanno sentito la sua influenza. Lafayette (Hot Lips Page, 1940); con Basie: Harvard Blues, Royal Garden Blues, Sugar Blues, Bugle Blues (1941); con C. Hawkins: Three Little Words, Louise (1944); con Gillespie: Good Bait, Salt Peanuts (1945), Night In Tunisia, Anthropology (1946); Candy, I Got Rhythm, Indiana (1945); Diga Diga Doo (Benny Carter, 1946); I Want To Be Happy (Teddy Wilson, 1946); «A Tribute To Cannonball» (1961), I Remember Clifford (1963); «Ben Webster Meets Don Byas» (1965).

BYERS, Billy (William Mitchell) Trombonista, arrangiatore, compositore e direttore d’orchestra statunitense (Los Angeles, California, 1/5/1927 - Malibu, California, 1/5/1996). Debutta nel 1942 con gli Hollywood Canteen Kids, successivamente lavora negli studi di registrazione a favore del cinema, studia per un anno a Harvard, poi presta servizio militare. Finita la ferma militare nel 1945 prende la strada degli studios prima di votarsi al jazz con Georgie Auld (1949) e successivamente con Buddy Rich. Si stabilisce a New York e collabora con le orchestre di Woody Herman e Charlie Ventura. Sostituisce Johnny Mandel come arrangiatore, quindi come direttore

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musicale alla MGM di New York. Soggiorna circa due anni a Parigi (1956-57), ove incide con Martial Solal, Christian Chevallier, Sacha Distel, Andre´ Hodeir, Kenny Clarke e Henri Renaud. Ritornera` a Parigi nel 1959 con Quincy Jones per lo spettacolo Free And Easy, dirigendo altre partiture per il cinema e cofirmando quella di Portrait Robot di Paul Paviot. Di ritorno a New York (1961) riprende a lavorare intensamente come musicista, direttore e arrangiatore; ritorna in California agli inizi degli anni ’70 e dirige molto per il cinema (soprattutto alle partiture di Philippe Sarde all’inizio degli anni ’80). Raramente solista, Billy Byers e` tuttavia espressivo, costruendo le sue improvvisazioni con un savoir-faire un po’ accademico. Efficace arrangiatore, combina ottimamente voci diverse ma non perviene a produrre gli effetti timbrici necessari per certe orchestrazioni (Mood Indigo, 1962); l’arrangiamento di Take The A Train (1962), se pure brillante, eccede in effetti [A.C.] appariscenti sin troppo enfatici. Chinese Water Torture (1955); Byers’ Blues (Martial Solal, 1956); The Grand Wazoo (Frank Zappa, 1972).

BYRD, Charlie (Charles L.) Chitarrista e compositore statunitense (Suffolk, Virginia, 16/9/1925 - Annapolis, Maryland, 2/12/1999). Ha appena dieci anni quando inizia lo studio della chitarra sotto la guida del padre che suona diversi strumenti a corda. Debutta adolescente durante le feste da ballo liceali. In Europa durante la guerra, fa parte di una orchestra militare e conosce Django Reinhardt. Nel 1947, terminato il servizio militare, si stabilisce a New York e lavora con il clarinettista Sol Yaged, piu` tardi con Joe Marsala. Nel 1948 suona con la pianista Barbara Carroll e nel 1949 con il pianista Freddie Slack. Il chitarrista Bill Harris gli parla di Sophocles Papas che insegna nelle vicinanze di Washington. Byrd abbandona la chitarra elettrica per seguire i suoi corsi e studia armonia con il musicologo Thomas Simmons. Nel 1954

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BYRD

parte per Sienne per studiare con Andres Segovia con l’intenzione di abbandonare il jazz. Dal 1957 al 1959 appare regolarmente in spettacoli televisivi e suona allo Showboat Lounge di Washington con Keter Betts (cb) e Berstell Knox (batt): il suo repertorio e` un abile compromesso di jazz e di classico. I successi gli valgono la composizione e l’interpretazione di The Purification di Tennessee Williams. Nella primavera del 1959 suona al Roundtable di New York con Woody Herman, che poi segue in tourne´e in Gran Bretagna e in Arabia Saudita. Nel 1961 e` in America meridionale col suo trio, in occasione di una tourne´e sovvenzionata dal dipartimento di stato americano. In seguito a questo viaggio registra «Jazz/ Samba» in una chiesa di Washington con Stan Getz, leader della seduta (1962). Malgrado in questo campo siano stati antesignani Laurindo Almeida e Bud Shank, questa formula avvia la moda della bossa nova negli Stati Uniti. Charlie Byrd successivamente si esibisce in Europa con Les McCann e Zoot Sims, registra musica classica, jazz e bossa nova. Nel 1965 suona alla Casa Bianca. Nel corso degli anni ’70, fedele alla sua ricetta e sostenuto dalla sua fama, forma con Barney Kessel e Herb Ellis il trio dei Great Guitars. Nel 1985 si ritrova per la terza volta nella sua carriera con Laurindo Almeida per un disco... sul tango. Eclettico per scelta, dotato di eccellente tecnica, Charlie Byrd ha un tocco delicato che tende qualche volta al manierismo. Byrd e` il primo ad aver introdotto nel jazz una tecnica poco usata: l’uso delle quattro dita della mano destra. Malgrado l’interessante gioco di accordi su una chitarra classica con corde di nylon, produce una musica intimista, certo interessante da ascoltare, ma spesso lontanissima dallo spirito del jazz. Alcuni lo considerano come un antenato lontano di Ralph [P.B., C.G.] Towner. Blues Sonata (1961), «Bossa Nova Pelos Passoros», Desafinado (1962); You Took Advantage Of Me (Great Guitars, 1980).

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BYRD

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BYRD, Donald (Donaldson Toussaint L’Ouverture II) Trombettista, flicornista e compositore statunitense (Detroit, Michigan, 9/12/ 1932). Dal padre, pastore metodista, prende il gusto per la musica e gli studi classici: riceve un’educazione musicale solida alla Cass Tech High School, alla Wayne University e alla Manhattan School of Music. All’inizio ambisce a divenire batterista come suo zio Calvin Taylor, malgrado la proibizione dei suoi genitori, ma in seguito decide di suonare uno strumento ‘‘con delle note’’: suo zio gli propone il sassofono tenore o la tromba e Byrd sceglie quest’ultimo ritenendolo piu` facile. Da adolescente suona con musicisti piu` anziani, quali Kenny Johnson, poi si fa scritturare per oltre sei mesi nel trio di Robert Barnes, un sassofonista tenore di rhythm and blues. La sua prima scrittura in una grande orchestra la trova sotto le armi dal 1951 al 1953. Due anni dopo suona, ormai congedato, prima con Jackie McLean e Doug Watkins, poi nel combo di George Wallington, con il quale si esibisce al Cafe´ Bohemia di New York. Art Blakey lo scrittura nel dicembre 1955 nei Jazz Messengers ove succede a Kenny Dorham. I musicisti newyorkesi riconoscono in Donald Byrd un trombettista di grande avvenire. Nel corso dell’estate del 1956 e` accanto a Max Roach e succede a Clifford Brown. L’anno seguente intraprende la carriera free lance, moltiplicando gli impegni nei club e negli studi di New York. Incide con Red Garland, Art Taylor, Lou Donaldson, Sonny Rollins, Lionel Hampton, John Coltrane (al quale si associa per un lungo periodo), Horace Silver, Pepper Adams o Gigi Gryce, con il quale codirige il Jazz Lab Quintet. Appare frequentemente nei festival europei a Parigi, ad Antibes, in Svezia, Norvegia e nella Germania Federale; negli anni ’60 la vita del musicista prende un altro corso, pur continuando a suonare in piccole orchestre, lavora e studia teoria e armonia (frequenta il corso di Nadia Bou-

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langer a Parigi nel 1963). Dedica ormai molto tempo all’insegnamento. Dottore in musica nel 1966, quindi presidente del dipartimento di musica nera all’universita` di Howard (Washington) e` considerato uno dei piu` grandi etnomusicologi della cultura afroamericana. Nel 1973 alla sua discografia si aggiunge l’album «Black Byrd». L’album e` stato fra le migliori vendite della casa discografica Blue Note, grazie ai suoi contenuti pop e soul. Crea allora con alcuni studenti dell’universita` di Howard un gruppo, i Black Byrds (nel quale non suona). Sara` molto criticato per avere imboccato questa strada commerciale; cio` spiega forse la difficolta` di reperire registrazioni recenti di Donald Byrd, che dal 1975 insegnera` nella North Carolina e dirigera` il dipartimento studi di jazz afroamericano all’Oberlin Conservatory of Music. Nel 1987 ritorna in studio circondato da Kenny Garrett, Mulgrew Miller, Rufus Reid e Marvin Smitty Smith. ‘‘Fluidita`’’: con questa parola si potrebbe caratterizzare lo stile di questo trombettista dalle note leggermente instabili, dagli appoggi frequenti e dall’ispirazione semplice ma efficace. Le sue improvvisazioni si riconoscono per la brevita` relativa delle frasi che nascono secondo una necessita` armonica sempre chiara. In lui non vi e` nulla di sorprendente, nessuna aggressivita`, ma una fantasia che pare appagarsi delle liberta` dell’hard bob del quale e` stato uno dei rappresentanti piu` caratteristici. In questo musicista vi e` anche molta eleganza e un rifiuto deciso del virtuosismo, compensato da una fedelta` permanente allo swing e al suono ‘‘naturale’’. [F.R.S.]

Senor Blues (Silver, 1956); He Long Two/ Four (Adams, 1958); ’Round Midnight (con Art Farmer, 1958); «Byrd’s Eye View» (1955), «Byrd in Paris» (1958), «I’m Tryin’ To Get Home» (1965), «Free Form» (1968), Harlem Blues (1987), «A City Called Heaven» (1991).

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C CABLES, George Andrew Pianista e compositore statunitense (Brooklyn, New York, 14/11/1944). La madre e` insegnante e appassionata di pianoforte. Durante gli anni della scuola materna studia il pianoforte; dall’eta` di quattordici anni fino al 1962 frequenta la High School of Performing Arts: e` durante questo periodo che scopre il jazz. Una borsa di studio gli permette di soggiornare al Mannes College (1963-65), ove studia teoria musicale e armonia. Ma il giovane pianista, dalla mezzanotte alle sei del mattino, lavora nella sua ‘‘cantina’’ oppure va al Five Spot ad ascoltare Thelonious Monk, Mal Waldron, Mose Allison. Nel 1964 forma il Jazz Samaritans con Steve Grossman, Clint Houston e Billy Cobham. Assunto con Art Blankey (con il quale registra «Child’s Dance»), lo lascia per Max Roach e Bobby Hutherson. Nel 1979 suona con Sonny Rollins e registra con lui «Next Album», successivamente e` con Joe Henderson (1969-71). Contemporaneamente i suoi impegni come sideman si moltiplicano: lo si ascolta con Woody Shaw e Billy Harper. Los Angeles, 1971: e` nuovamente con Freddie Hubbard, con il quale rimane fino al 1976. Resta comunque indipendente (scrive anche per delle corali religiose). Nel 1977 e` nuovamente con i Jazz Messengers – ma lo si ascolta anche da Art Pepper –, entra quindi a far parte del gruppo di Dexter Gordon, che segue fino al 1979. Si associa allora a Pepper, con il quale lavora fino al 1982 – data della morte del sassofonista – nel suo quartetto o nel duo («Goin’ Home», «Teˆte-a`-teˆte»). Contemporaneamente dirige il proprio gruppo Clabes’ Car. Entrano a far parte del gruppo vecchi compagni di lavoro (come Hutcherson) e nuovi musicisti (Bruce Forman, Frank Morgan). Ha anche inciso con il batterista Eddie Mar-

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shall (1977), i sassofonisti Harold Land (1981), Spike Robinson (1982), Archie Shepp (1985), Bud Shank (1986), Chico Freeman (1987), Charlie Rouse (1988), il trombonista Jiggs Whigham, il tenorista Greg Marvin (1989), il vibrafonista Joe Locke (1990), Max Roach, Dizzy Gillespie, Joe Chambers (1991). Cables e` un compositore onesto, ma e` conosciuto soprattutto per il suo lavoro di sideman. Spiccano le sue frasi musicali ed eleganti, il suo raffinato senso ritmico, il tocco secco e fermo. La fluidita`, il modo di suonare naturale e preciso di questo artista, evocano Tete Montoliu e Herbie [P.B., C.G.] Hancock. «Manhattan Symphony» (Gordon, 1978); «Some Of My Favorite Things» (1980); con Hutcherson: «Un Poco Loco» (1981), «Four Seasons» (1983); Samba Mom Mom (Pepper, 1983); Doxy, Mimi’s Song (1985); «Double Image» (Morgan, 1986); Blackfoot (1993); «Looking for the Light» (2003); «Live in Bollate» (2005).

CACERES, Ernie (Ernesto) Clarinettista e sassofonista (alto, tenore e baritono) statunitense (Rockport, Texas, 22/11/1911 - San Antonio, Texas, 10/1/ 1971). Studia dapprima il clarinetto, poi la chitarra e il sassofono. Nel 1928 inizia a suonare in orchestre locali; all’inizio degli anni ’30 costituisce un duo con i suoi fratelli, Emilio (violinista, allievo di Joe Venuti) e Pinero (trombettista e pianista). Suona successivamente, e per un lungo periodo, a Detroit e a New York, nell’orchestra che ha formato il fratello Emilio, prima di entrare a far parte delle formazioni di Bobby Hackett (1938), Jack Teagarden (1939), Bob Zurke, Glenn Miller (1940-42) con il quale suona nei film Orchestra Wives (Archie Mayo, 1942) e Sun Valley Serenade (Bruce Hamberstone,

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CAFISO

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1941), Johnny Long, Benny Goodman (1943), Tommy Dorsey, Woody Herman (come primo sassofonista alto, 1944). Dopo una breve permanenza nell’esercito si esibisce a New York (Nick’s, 1964) con diverse formazioni di jazz tradizionale, suona con Billy Butterfield (1947), dirige un quartetto ed entra a far parte dell’orchestra di Gary Moore. Lavora attivamente per la televisione (1950-56). Suonera` ancora con Hackett (1956-57), Bob Crosby, Butterfield, poi si stabilira` dal 1962 nel Texas, ove continuera` a lavorare sporadicamente nelle orchestre locali. Pilastro delle orchestre dixieland, ha tentato con impegno ma senza grazia ne´ vivacita`, di farsi ascoltare e capire come solista. Al clarinetto il suo modo di suonare sui tempi frenetici dei Chicagoans, e` al limite dell’esasperazione, tagliente e quasi urlante. Sui tempi lenti ritrova un vibrato e un lirismo che lo caratterizzano sassofonista baritono. E` con questo strumento che nel 1949 ha vinto il referendum della rivista Metronome (davanti a Harry Carney e Gerry Mulligan!). [A.C.] Al clarinetto: I Got Rhythm (Emilio Caceres, 1937); If I Could Be With You (Teagarden, 1944); al sax alto: My, My (Miller, 1940); al sassofono baritono: Chant In the Night (Sidney Bechet, 1938); Impromptu nº 1 (Eddie Condon, 1944); Lucky To Me (Muggsy Spanier, 1945).

CAFISO, Francesco Sassofonista italiano (Vittoria, 24/5/ 1989). E` uno dei talenti piu` precoci nella storia del jazz. Gia` a nove anni muove i primi passi facendo esperienze con musicisti di fama internazionale. Decisivo per la sua carriera e` l’incontro, nel luglio del 2002, con Wynton Marsalis che, stupito dalle sue qualita` musicali, lo porta con se´ nel tour europeo del 2003. Ha vinto diversi premi importanti: il Premio Nazionale Massimo Urbani a Urbisaglia, il premio EuroJazz a Lecco, l’International Jazz Festivals Organization Award a New York, la World Saxophone Competition a Londra, il Django d’Or a Roma e molti altri prestigiosi riconoscimenti. Ha soggiornato a New Orleans, dove ha suonato

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con Ellis Marsalis, Jason Marsalis, Bob French, Maurice Brown e molti altri importanti musicisti locali, ricevendo anche lezioni da Alvin Batiste. Nel 2005 la rivista giapponese Swing Journal gli ha conferito il premio riservato ai talenti stranieri emergenti; subito dopo, si e` affermato nel Top Jazz, referendum della rivista italiana Musica Jazz, che lo ha riconosciuto miglior nuovo talento dell’anno. Ha suonato con Hank Jones, Cedar Walton, Mulgrew Miller, Ronnie Matthews, Jimmy Cobb, Ben Riley, Ray Drummond, Reggie Johnson, Doug Sides, Lewis Nash, James Williams, Joe Lovano, George Mraz, Joe Locke, Enrico Rava, Gianni Basso, Dado Moroni, Franco D’Andrea e moltissimi altri, italiani e statunitensi. Lo smisurato talento dell’ancora giovane Cafiso lascia intravedere enormi prospettive, destinate a sbocciare con la sua prossima maturita` e la piena consapevolezza dell’intera storia del jazz. Gia` cosı`, comunque, ci troviamo davanti a un solista di gran classe, al quale non si puo` che profetizzare una brillantissima carriera. [L.C.]

Cajun Deformazione di acadien: i cajun sono in Louisiana i discendenti degli abitanti dell’antica Acadia. I francesi si stabiliscono nell’Acadia – in quella parte del Canada che corrisponde pressappoco agli attuali confini della Nuova Scozia – all’inizio del XVII secolo e qui fondano Port Royal. Gli inglesi rivendicano la colonia e intraprendono una vittoriosa guerra di conquista. Gli acadien rifiutano nel 1755 di giurare fedelta` alla corona britannica e di rinnegare la fede cattolica e vengono dispersi nelle altre colonie dell’America del Nord; una parte di essi discende il Mississippi e si riunisce ai ‘‘cugini’’ della Louisiana. L’area cajun in Louisiana, incentrata su Lafayette, a ovest di Baton Rouge, comprende ventidue contee (o parishes), fra le quali St Martinville, New Iberia e Loreauville. I cajun parlano francese e la loro musica, molto vicina alla musica popo-

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lare creola, fu resa popolare dal compositore Virgil Thompson con la sua colonna sonora del documentario Louisiana Story di Robert Flaherty. Fra i musicisti cajun – tutti cantanti e spesso anche violinisti – i piu` noti sono Cleveland Crochet, Leo Soileau, J.B. Fusilier, Nathan Abshire, i fratelli Balfa, Little Yvonne Le Blanc, Amadie Breaux, suo fratello Ophy e sua sorella Cleoma, Blind Uncle Gaspard, Amade Ardoin, Walter Coquille, Angela Lejune. f anche Blues (1) – Zydeco. [J.P.A.] CALDERAZZO, Joey Pianista statunitense (New Rochelle, Connecticut, 27/2/1965). Di formazione classica, prende lezioni da un professore della Juilliard School (1973). A quattordici anni s’interessa al jazz e studia con Jim McNeely e Richie Beirach. Frequenta in maniera saltuaria la Berklee, preferendo le jam session con Branford Marsalis e Wallace Roney, e si iscrive alla Manhattan School of Music, poi alla Long Island University. Professionista dal 1983, conosce Michael Brecker in occasione di un seminario strumentale. Brecker lo assume per una tourne´e in sostituzione di Kenny Kirkland, passato a suonare con Sting. Accompagna poi Bobby Watson, Bob Mintzer, John Blake, Andy Middleton, Bruce Gertz, Rick Margitza. Per il suo debutto discografico da leader chiama Marsalis, Jerry Bergonzi, Dave Holland, Jack DeJohnette, Peter Erskine. Nel 1993 incide il suo primo album in trio, con John Patitucci ed Erskine, che si alternano a Jay Anderson e Jeff Hirschfield. Negli ultimi anni e` entrato a far parte del quartetto di Branford Marsalis, figurando spesso anche su disco, e ha inciso anche in completa solitudine. Influenzato da Hancock e Tyner, Calderazzo ha una notevole facilita` di ricomposizione strutturale, piegando le linee tematiche a interpretazioni a volte fin troppo rigogliose, spesso singolari nella loro ossessione melodico-ritmica: la limpidezza del fraseggio e la chiarezza del disegno complessivo fanno poi il resto. Piu` significativo, forse, come sideman

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CALDWELL

che come leader, anche per il suo comprensibile desiderio di circondarsi di grandi personalita` strumentali che, a volte, finiscono per metterlo in ombra. [X.D., L.C.]

Con Rick Margitza: Change Up (1989), On Green Dolphin Street (1991); «In The Door» (1991); New Light (John Blake, 1992); «The Traveler» (1993).

CALDWELL, «Happy» Albert W. (o CAULDWELL) Sassofonista tenore e clarinettista statunitense (Chicago, Illinois, 25/7/1903 - New York, 29/12/1978). Segue i corsi della Wendell Phillips High School di Chicago ove studia farmaceutica. Nel 1919 comincia a suonare il clarinetto e si perfeziona nel gruppo di suo cugino Buster Bailey. Nel 1922 suona con Bernie Young alla Columbia Tavern di Chicago, dove passa al sassofono tenore. Segue Mamie Smith in tourne´e, quindi si stabilisce a New York fino al 1924. Successivamente suona nelle orchestre di Bobby Brown (1924), Elmer Snowden (1925), Bernie Fowler, Thomas Morris, Willie Gant (1926), lavora con Cliff Jackson nella rivista Keep Shufflin’ (1927), con Arthur Gibbs (192728), incide con Louis Armstrong (1929), suona ancora con Snowden, Charlie Johnson, Fletcher Henderson, ma con piu` frequenza suona nell’orchestra di Vernon Andrade (1929-33). Si esibisce con Tiny Bradshaw (1934), Louis Metcalf (1935) e dirige la propria orchestra principalmente al Minton’s di New York nel 1941. Per tre anni risiede a Filadelfia. Dal 1945 si esibisce regolarmente a New York sino alla fine degli anni ’60, allo Small’s (1950-53) e al Rockland Palace (1957). Ha subito certamente l’influenza di Coleman Hawkins; e` uno dei primi sassofonisti tenori profondamente dixieland, notevole nelle improvvisazioni collettive. [J.P.D.]

Ham Gravy (Thomas Morris, 1926); The Sheik Of Araby (Bradshaw, 1934); con Mezzrow: Blues In Disguise, Hot Club Stomp (1937); Winin’ Boy (Jelly Roll Morton, 1938).

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CALIFORNIA RAMBLERS

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CALIFORNIA RAMBLERS Questa formazione di musicisti bianchi, non originari della California ma dell’Ohio, una delle piu` attive sulla scena newyorkese all’inizio degli anni ’20, fu costituita da Ed Kirkeby (1891 - 1978), direttore artistico, editore musicale e impresario, principalmente, di Fats Waller. Piu` formazione di ballo che vera orchestra jazz, i Ramblers comprenderanno nelle loro file alcuni dei migliori musicisti newyorkesi: i fratelli Dorsey, Red Nichols, Adrian Rollini, Miff Mole. Contemporanei dei New Orleans Rhythm Kings e dei Wolverines, i Ramblers non possono essere loro paragonati: se i solisti mostrano sovente dell’inventiva, l’arcaismo degli arrangiamenti e la rigidita` dell’esecuzione non conferiscono loro che un interesse storico. La discografia dei California Ramblers e` smisurata; dalle centinaia di dischi si puo` estrarre: Sweet Man (con Frank Cush, tr; Jimmy Dorsey, cl; Adrian Rollini, brsax), Manhattan (1925, con Cush), Stockholm Stomp (1926, con Rollini, brsax), Miss Annabelle Lee (1927, con Chelsea Quealey, tr). I solisti dei Ramblers si ritrovano in piccole formazioni costituite, sotto nomi diversi, per eseguire registrazioni: The Goofus Five, The University Six, The Little Ramblers. Nel 1927 i migliori elementi dell’orchestra vengono scritturati da Fred Elizalde, in Inghilterra: l’orchestra e` decimata; il nome dei Ramblers scompare poco a poco dalla scena musicale. Charlie Barnet, nel 1937, riutilizzera` il loro nome per un disco e, negli anni ’70 e ’80, il cornettista Dick Sudhalter riesu[A.C.] mera` a sua volta il nominativo. Call and response f Blues (2). CALLENDER, «Red» (George Sylvester) Contrabbassista e tubista statunitense (Richmond, Virginia, 6/3/1918 - Saugus, California, 8/3/1992). Mentre studia all’Industrial School di Bordentown (New Jersey), prende familiarita` con piu` strumenti: tromba, corno, tuba, contrabbasso.

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Sceglie definitivamente il contrabbasso, e nel contempo studia anche armonia. Debutta nel 1933 con l’orchestra di Banjo Bernie ad Atlantic City, ma presto si trasferisce in California e suona con l’orchestra di Louis Armstrong, in sostituzione di Pops Foster, con George «Happy Trombone» Johnson (1938); in seguito lavora con altre formazioni, principalmente con Nat King Cole e Lester Young (1942), con il quale incide Norman Granz per la Philo. Per qualche tempo dirige il proprio trio (al Susy Q Club di Hollywood) e lavora anche negli studi di registrazione. Nel 1944 partecipa al film di Gjon Mili, Jammin’ The Blues e nel 1946 e` in tourne´e con la New Orleans, a fianco di Armstrong. Nel 1947 si unisce al trio di Erroll Garner, suona ancora nell’orchestra di Johnny Otis, poi costituisce la propria formazione (con Charles Mingus, nel 1949), con la quale lavora sino al 1950 alle Hawaii. Ritornato a Hollywood, per due anni e` impegnato con l’orchestra di Jerry Fielding, ma soprattutto dedica la maggior parte dell’attivita` musicale alla televisione, al cinema e all’accompagnamento di artisti di varieta` (Dany Kaje, Sammy Davis ecc.). Esce tuttavia dall’anonimato in qualche circostanza, suonando la tuba: al festival di Monterey (1962, 1964) ove affianca Mingus – al quale ha prodigato i suoi consigli all’inizio della carriera – oppure nei concerti della Neophonic Orchestra di Stan Kenton (1965, 1966), e, ancora, con James Newton con il quale e` in Europa nel 1981. Ha partecipato, alla fine degli anni ’70, ai lavori della PanAfrikan Peoples Arkestra di Horace Tapscott. In collaborazione con Elaine Cohen pubblica un’opera autobiografica: Unfinished Dream, The Musical World Of Red Callender (1985). La sua carriera californiana gli ha permesso di partecipare a diversi film, sia sullo schermo sia con la colonna sonora: Blazing Saddes (1974, Mel Brooks, con Count Basie), I Dood It (1943, Vincente Minnelli, con Barney Bigard), Lady Sings The Blues (1972, Sid-

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ney Furie), The Life Of Riley (1949, Irving Brecher), Saint Louis Blues (1958, Allen Reisner). Red Callender ha percorso la via aperta da Jimmy Blanton, affermandosi brillante solista (Pastel con Erroll Garner, 1947; Trio Blues con Art Tatum, 1956) e come accompagnatore apprezzato, sia in un contesto tradizionale (Armstrong), sia in un contesto con musicisti piu` moderni (Parker); tutti hanno lodato la sonorita` piena dell’artista, il suo fraseggio logico [A.C.] e il suo ritmo agile. Once in A While (1937); con King Cole: Indiana, Body And Soul (1942); con il JATP: How High The Moon, Lady Be Good (1944), The Foolish Things, Jumpin’ At Messner’s, Lester Leaps In (1946); con L. Armstrong: Sugar, Blues In The South (1946); Trio (Garner, 1947); Blue Lou (Wardell Gray, 1947); con Parker: Cool Blues, Relaxin’ At Camarilla (1947); These Foolish Things (1945), Perdido (1951), «Swingin’ Suite» (1955).

CALLOWAY, Blanche Cantante e caporchestra statunitense (Baltimora, Maryland, 9/2/1902 - 16/12/ 1978). Sorella maggiore di Cab Calloway, si esibisce all’inizio degli anni ’20 come cantante nei club della sua citta` natale. Va a New York (Ciro Club), poi a Chicago, ove nel 1925 registra con Louis Armstrong. Scritturata nel 1930 al Pearl Theater di Filadelfia, canta accompagnata dall’orchestra di Andy Kirk; con quasi tutti quei musicisti componenti l’orchestra e con lo stesso Andy Kirk, fara` la sua prima registrazione il 2 marzo 1931. Negli anni successivi cantera` accompagnata da un gruppo regolare: Blanche Calloway And Her Joy Boys, fra i quali troviamo Ben Webster, Clyde Hart, Vic Dickenson, Cozy Cole, che faranno delle brevi apparizioni. Molte sue incisioni, con l’arrangiamento di Edgard Battle, evidenziano interessanti solisti, fra i quali: Clyde Hart (It’s Right Here For You), il clarinettista e sassofonista Booker Pittman (It Looks Like Suzie). Dal 1938 in poi si esibisce come solista. Agli inizi degli anni ’60 dirige un’emittente radio in Florida.

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CALLOWAY

Blanche Calloway evoca all’inizio della carriera Bessie Smith, della quale ha la voce profonda e l’autorevolezza. [A.C.] Con Armstrong: Lazy Woman’s Blues, Lonesome Lovesick (1925); Misery (1931).

CALLOWAY, Cab (Cabell) Cantante, attore e direttore d’orchestra statunitense (Rochester, New York, 25/ 12/1907 - Hockessin, Delaware, 18/11/ 1994). Trascorre l’adolescenza a Baltimora e a Chicago, ove sviluppa le sue doti di cantante, ballerino, batterista e ‘‘maestro di cerimonie’’, qualche volta in compagnia della sorella Blanche. Nel 1928, prima a Chicago poi a New York, fa parte dei Missourians e degli Alabamians; partecipa alla rivista Hot Chocolate di Irving Mills; il suo nome figura sul cartellone del Savoy di Harlem (1929). Nel 1930 e` scritturato al Cotton Club di New York ove la sua orchestra sostituisce quella di Duke Ellington. Da allora si impone come vedette internazionale e crea un ‘‘hit’’: Minnie The Moocher (1931). Nel 1934 percorre tutta l’Europa e mantiene sino alla fine degli anni ’40 una grande orchestra formata da brillanti solisti che si succedono negli anni, quali: Doc Cheatham, Lamar Wright, Dizzy Gillespie, Jonah Jones, Shad Collins (tr), Claude Jones, Tyree Glenn, Quentin Jackson, Keg Johnson, Fred Robinson (trb), Ben Webster, Chu Berry, Hilton Jefferson, Jerry Blake, Ike Quebec, Sam Taylor (ance) Benny Payne (pf), Danny Barker (chit), Milt Hinton (cb), Cozy Cole, J.C. Heard, Panama Francis (batt). In seguito suona in un sestetto, The Cabaliers, prima di recitare nel ruolo di Sportin’ Life in Porgy And Bess (1952-54). Rimane vedette di commedie musicali, fra le quali Hello Dolly, fa parte dello show degli Harlem Globe Trotters, oltre a cantare nei club e nei festival. Nel 1977, 1987 e 1988 trionfa in Francia. Appare in diversi film, fra i quali The Big Broadcast (1932, Frank Tuttle), International House (1933, Edward Sutherland), The Singing Kid (1936, William Keghley), Stormy Weather (1943, Andrew Stone), Sensation Of

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CAMERON

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1945 (1944, Andrew Stone), The Blues Brothers (1980, John Landis), e nello spettacolo Of Minnie The Moocher And Me, di Cab Calloway e Bryant Rollins (Crowell, 1976). In Cab Calloway si scoprono, oltre al ruolo di intrattenitore brillante, audacie verbali e musicali che hanno contribuito a far progredire il jazz degli anni ’30 fino alle esplosioni del bebop. Utilizzando il linguaggio derivato dal jive, frangendo la melodia fino al delirio, egli ha superato i limiti del middle jazz, pur rimanendo all’interno dei termini ritmici della sua epoca. Il gusto per l’onomatopea e per la ridondanza sillabica ne fa l’inventore dello Hi-De-Hi-De-Ho e dello Zah zuh zah, mentre la sua eccentricita` lo ha reso un idolo delle folle. L’orchestra affermatasi agli inizi degli anni ’30 e ’40 valorizzava con solido appoggio ritmico il lavoro delle varie sezioni, con suoni folgoranti, esplosioni di ottoni e abbondanza di sassofoni. La qualita` del gruppo lo colloca al livello dei rivali del momento (Ellington, Basie, Goodman...) ma la personalita` esuberante di Cab Calloway oscura un po’ sia i pregi del gruppo sia quelli dei suoi soli[F.T.] sti. Is That Religion (1930), Reefer Man (1932), Jumpin’ Jive (1939), Crescendo in Drum (1939), Jonah Joins The Cab (1941), Ducktrot (1950).

CAMERON, Jay Sassofonista baritono statunitense (New York, 14/9/1928 - 15/4/2001). Studia sax alto a Hollywood (1943-47), debutta con il pianista Ike Carpenter (1946-47), va in Europa con Rex Stewart (1949) e si stabilisce sul continente. Dal 1950 al 1955 lavora in Germania, Belgio, Italia e Parigi, principalmente al Rose Rouge, con il vibrafonista Sadi e nell’orchestra di Henri Renaud dirigendo un gruppo composto da sette elementi, fra cui quattro sassofonisti (oltre al suo baritono, i tenori di Bobby Jasper, Barney Wilen e Jean-Louis Chautemps). Di ritorno negli Stati Uniti fa parte dell’orchestra di Woody Herman (1956) e di Maynard Ferguson (1957-

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58), lavora brevemente con Chet Baker e Dizzy Gillespie, dirige il proprio gruppo, nel 1960 e` scritturato da Slide Hampton (con il quale suona in Francia nel 1962) e dal sassofonista Paul Winter nel 1963. Forma allora un gruppo con Jimmy Owens e Dusˇko Gojkovic´. Nel 1965 diviene un sindacalista molto attivo e nel 1966 apre in Pennsylvania un negozio di prodotti musicali. Fraseggio insinuante, sonorita` come ‘‘alleggerita’’ e swing stuzzicante; puo` essere ricordato come uno dei baritoni piu` dolci del cool jazz della fine degli anni ’60. [P.C.]

«International Jazzmen» (1985); On A Blues (Andre´ Hodeir, 1957).

Camp meetings Raduni all’aria aperta, religiosi e multirazziali che durano piu` giorni. I primi camp meetings si tennero nel Kentucky all’inizio dell’Ottocento, nei boschi, sotto le tende. Vi prendevano parte migliaia di protestanti di tutte le denominazioni, la principale delle quali era la metodista. Nei servizi religiosi, molto frequenti, i canti erano assai importanti e i neri cantavano per tutta la notte inventando nuovi testi e nuove melodie, molto ritmiche; senza dubbio essi rappresentano la nascita degli spirituals. Veniva praticato anche il cosiddetto ring shout. Il titolo di alcuni brani ricorda queste riunioni: At a Georgia Camp Meeting (Kerry Mills, 1897), Camp Meeting Blues (King Oliver, 1923), Camp Meetin’ (Don Wilkerson, 1962). f anche Shout – Spiritual. [Ph.B.] Candid Casa discografica statunitense fondata nel 1960 per l’azione congiunta del critico, romanziere e produttore Nat Hentoff, e del proprietario della casa discografica Cadence, Archie Bleyer. In poco piu` di sei mesi, dall’agosto 1960 all’aprile 1961, registra e poi pubblica una trentina di album allo scopo di fornire ai musicisti le condizioni ottimali (durata della se-

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duta, liberta` di scelta dei partner e del repertorio) per l’esercizio della loro arte. Il risultato sara` una delle piu` belle pagine del jazz moderno: «Charles Mingus Presents Charles Mingus», «We Insist!» (Max Roach), «Out Front» (Booker Little), «Rights Of Swing» (Phil Woods), «Straight Ahead» (Abbey Lincoln); oltre a tre album di Cecil Taylor e dei dischi di Steve Lacy, Don Ellis, Clark Terry, Pee Wee Russell e Coleman Hawkins, l’incontro degli oppositori della politica di programmazione del festival di Newport (i ‘‘Newport Rebels’’) e qualche registrazione di blues (Memphis Slim, Otis Spann). Non soltanto la Candid ha sancito il diritto di chiamare in giudizio delle opere che rappresentano l’espressione politico-estetica che prefigura il free jazz (la versione non censurata delle Original Fables Of Faubus, rifiutata l’anno precedente dalla Columbia, la Freedom Now Suite di Max Roach), ma ha provato, a dispetto di un’esistenza effimera, che era possibile diffondere opere ambiziose e insolite. Il catalogo, divenuto proprieta` del cantante Andy Williams (con la mediazione della Cadence, che e` stata la sua prima casa discografica) e` stato parzialmente ripubblicato negli anni ’70 con marchio Barnaby dalla CBS e, dal 1977, dalla Black Lion Records, per essere poi nuovamente disponibile su CD dai primi [X.P.] anni ’90. CANDIDO (Candido CAMERO) Percussionista cubano (Regal, 22/4/ 1921). E` un perfetto autodidatta, suona il basso e la chitarra, poi e` sedotto dai bonghi e dalle congas. Per sei anni lavora in un’orchestra radiofonica dell’Avana e per altri sei anni con l’orchestra di Armando Romeu, al Tropicana Club, ritrovo elegante delle notti della capitale cubana (1947-52). Nell’ottobre del 1952 emigra negli Stati Uniti. Suona per settimane in uno show al Clover Club di Miami, poi parte per New York; incontra Dizzy Gillespie (e incide con lui), che lo presenta al Downbeat Club ove suona con Billy Taylor. Nell’autunno del 1954, scritturato da

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CANDOLI

Stan Kenton, l’accompagna in tourne´e. Nel 1956-57, lo ritroviamo free lance a New York, mentre suona e registra con Duke Ellington e nell’orchestra di Gillespie (1958). Molto attivo nei club e con varie stazioni radio, sia negli Stati Uniti sia in Venezuela, a Portorico o nella Repubblica Dominicana, e` a fianco di quasi tutti i grandi del jazz, del varieta` o della musica latino-americana del momento: George Shearing, Kenton, Gillespie, Dinah Washington, Tito Puente, Machito... Nel 1960 e` con Gillespie e Stan Getz nel JATP. Nel 1962 trionfa al Carnegie Hall, unitamente a Tony Bennett, con il quale viaggia per tutto il mondo. Dopo alcune apparizioni in televisione parte con il suo gruppo per le isole Vergini e Portorico (1965). Nella seconda meta` degli anni ’60 e durante gli anni ’70 suona a fianco di Sonny Rollins, Elvin Jones, Lionel Jampton e, nel 1975, ancora con Kenton. La diminuzione della parte concessa alle percussioni latino-americane nelle formazioni jazzistiche lo portano a rallentare la sua attivita`, che ben presto riprende con la nuova voga della salsa. A quasi novant’anni, risulta ancora attivo. Perfettamente a suo agio nella forma del jazz – 4/4, chorus ecc. – Candido sa adattare la sua tecnica a figure di stile tipicamente cubano, accoppiate a ritmi binari afrocubani (per esempio il mambo) e alla pulsazione jazzistica, e sa egualmente scomporre il tempo metronomico offrendo un drive eccezionale, pregi che generalmente appartengono ai batteristi; egli crea, infine, bellissimi motivi di con[P.B., C.G.] gas e di bonghi. «Billy Taylor With Candido» (1945); «A Drum Is A Woman» (Ellington, 1956); Wheatleigh Hall (JATP, 1960).

CANDOLI, «Conte» (Secondo) Trombettista statunitense (Mishawaka, Indiana, 12/7/1927 - 14/12/2001). Di origine italiana, e` il fratello piu` giovane di Pete Candoli, che gli insegna i primi rudimenti di musica. Si perfeziona molto presto, malgrado la sua giovane eta`, tanto che a quindici anni puo` debuttare ed essere

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CANDOLI

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scritturato nel 1943 da Woody Herman, che lascia nel 1945 per andare a compiere il servizio militare. Nel 1947 fa parte della piccola formazione di Chubby Jackson, che effettua una tourne´e in Scandinavia. Nel 1948 viene scritturato da Stan Kenton e nel 1949 da Charlie Ventura. Nel 1950 e` nuovamente con Herman e poi con Charlie Barnet (1951) e Kenton (1952-53) che lascia per costituire un proprio gruppo a Chicago. Alla fine del 1954 si stabilisce in California, e diviene membro del Lighthouse All Stars di Howard Rumsey. Fa tourne´e insieme alla Concert Jazz Band di Gerry Mulligan (Europa, 1960); ricostituisce poi un complesso con suo fratello e suona con Shelly Manne piu` o meno regolarmente fino al 1966. Lavora negli studi hollywoodiani suonando per un breve periodo nell’orchestra di Kenton nel 1970; in seguito (1972) si unisce al complesso Supersax. Nel 1975 e` in Europa. Ha partecipato a diversi film: Bell, Book And Candles (Richard Quine, 1958) e Blues For A Junkman/The Murder Men (Robert Gist, John Peyser, 1962). Conte Candoli e` certamente influenzato da Dizzy Gillespie; infatti nel suo modo di suonare dai contorni precisi, dall’attacco deciso, dalla sonorita` generosa, si ritrovano tutte le caratteristiche di colui che fu il primo trombettista bop (e` il momento di dire che a volte e` stato classificato fra i rappresentanti del supposto stile West Coast). Questo virtuoso dell’acuto, abile nell’usare le sordine, e` soprattutto un orchestrale, un trombettista ligio al dovere, che sa annullarsi e fondersi in un complesso. E` dotato di grande professionalita` che esprime con la costante presenza negli studi di registrazione. [A.C.]

CANDOLI, «Pete» (Walter Joseph Primo) Trombettista e arrangiatore statunitense (Mishawaka, Indiana, 26/6/1923 - Studio City, California, 11/1/2008). Dopo lo studio del contrabbasso e del corno adotta la tromba; suona con questo strumento nell’orchestra di Sonny Dunham, con Willy Bradley (1941), Benny Goodman e Ray McKinley (1942), Tommy Dorsey (194344), Freddie Slak, Alvino Rey, Charlie Barnet, Teddy Powell e Woody Herman fra il 1944 e 1946. Nel 1947 passa a lavorare con Boyd Raeburn, e` con Tex Beneke (1948) e con Jerry Gray (1950-51). Si reca in California ove suona con Les Brown, Stan Kenton, Peggy Lee. Dirige il proprio gruppo (1954-55), vi associa il fratello nel 1959, quindi concentra tutta la sua attenzione sul lavoro di registrazione. Negli anni ’70 fa parte dell’orchestra di Merv Griffin, specializzata in show televisivi. Nel 1973 e` in tourne´e, ove appare a fianco di sua moglie Edie Adams, attrice molto conosciuta negli Stati Uniti. Ha collaborato a molti film, sia per la colonna sonora sia apparendo sullo schermo: Earl Carroll Vanities (Joseph Santley, 1945); Private Hell 36 (Don Siegel, 1954); The Man With The Golden Arm (Otto Preminger, 1955); Kings Go Forth (Delmer Daves, 1958); The Prisoner Of Second Avenue (Melvin Frank, 1975). Il soprannome di «Superman» gli viene dalla sua grande capacita` di esprimersi negli acuti con forza e su tempi molto [A.C.] rapidi.

Here’s That Manne (S. Manne, 1951); Portrait Of A Count (S. Kenton, 1952); Shine (Stan Getz, 1955); Bewitched (Jack Montrose, 1955); Whippet (Frank Morgan, 1955); If I Should Lose You (H. Rumsey, 1955); «The Drum Suite» (Manny Albam, 1956); «The Brothers Candoli» (con Pete, 1957).

Cannonball «Palla di cannone» e` il soprannome attribuito fin da giovane al sassofonista Julian Adderley e con tutta evidenza dovuto alla sua prorompente e tondeggiante corporatura, anche se c’e` chi sostiene trattarsi di una deformazione di «cannibal», termine dovuto alla voracita` del suo appetito.

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Con W. Herman: Apple Honey, Goosey Gander (1945); «Tentette» (Gerry Mulligan, 1953); Hey Bellboy (1953); Can’t We Take It Over? (Pete Rugolo, 1953); Minor Riff (S. Kenton, 1956).

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Canto 1. In un primo tempo nera americana, poi progressivamente universalizzata, l’arte vocale del jazz proviene da un complesso insieme di influenze eterogenee. Dal lato religioso, troviamo diversi elementi tipici della pratica tradizionale dei neri: dalla predica di chiesa, ritmata da domande e risposte fra predicatori e fedeli, ai cantici propriamente detti, agli spiritual, e in seguito alle gospel songs. Dal lato profano, la trama appare ancora piu` densa. Il blues vocale, nato negli stati schiavisti del sud e perpetuato attraverso stili diversi secondo le regioni (Mississippi, Alabama, Louisiana, Texas, Georgia, Carolina, territorio cajun ecc.), ha costituito in un primo momento una specie di folklore rurale – che usava trasposizioni di field hollers o grida di richiamo attraverso i campi, prima di urbanizzarsi poco a poco (Chicago), per giungere, in certi casi, a forme popolari nelle comunita` o nei ghetti neri, come il rhythm and blues, o piu` commerciali, come il rock and roll (da Memphis a Nashville o New York). D’altra parte, vengono raggruppati sotto il termine generico di work songs i canti collettivi in uso nei diversi cantieri di lavoro: levee camps (manutenzione delle dighe), sawmill camps (disboscamento) e road camps (riparazione delle strade), essenzialmente; cosı` come quelli dei prigionieri nelle fattorie o nei penitenziari. Interviene molto largamente anche la canzone del varieta`, che va dal ritornello popolare ai numerosi temi o standards tratti da operette di successo di Broadway, ossia il materiale di Tin Pan Alley, secondo il gergo dello show business. Infine, come tutti i settori del jazz, il campo vocale ha saputo accogliere – e nutrirsi – di molti contributi esterni che costituiscono le sue evoluzioni esotiche: bossa nova, calipso, salsa, ma anche ritmi e ‘‘melismi’’ dell’Africa contemporanea. A partire quindi da questa genealogia ramificata possiamo, cosı` come facciamo la distinzione fra bluesmen e jazz singer, differenziare questi ultimi dai crooners o cantanti confidenziali, senza erigere troppe barriere fra gli uni e gli altri. L’arte

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CANTO

di questi ultimi consiste, precisamente, nella purezza della dizione, nella grande varieta` degli attacchi, nel moltiplicarsi delle fioriture (‘‘abbellimenti’’, o ondulazioni della voce, ‘‘staccati’’, ‘‘portamenti di voce’’ ecc.), nell’esatto controllo del vibrato in sveltezza e larghezza, lo sfioramento frequente dei suoni, il passaggio intermittente dal cantare al parlare o al mormorare, tutto cio` a vantaggio di un’interpretazione struggente della melodia. A una parte piu` o meno grande di queste caratteristiche, l’arte dei jazz singer oppone o sovrappone lo swing di ritmo e di enunciazione, i numerosi dislivelli di intensita` e di ‘‘tempo’’, gli svariati toni di rauco ed effetti di growl, i cambiamenti di colorazione del timbro e di inflessioni secondo i diversi ‘‘climats’’ (bluesy, mainstream, bop, cool ecc.), le eventuali variazioni scat, o addirittura di urla piu` o meno modulate nell’estetica free. 2. Fra i cantanti jazz, si e` d’accordo nel citare Louis Armstrong come uno dei piu` completi: interprete di blues puri o di standard di successo cosı` come degli hits piu` commerciali della pop music, giungeva – straordinario giullare dei tempi moderni – a vivacizzare questo vasto repertorio con un humour swingante, ravvivandolo con la dizione ingorgata del suo fraseggio unico. A questo altissimo livello troviamo anche il pianista, organista, sassofonista, compositore, direttore d’orchestra e cantante Ray Charles, altro grande riunificatore del territorio vocale. Capace di mettere insieme in uno stesso concerto – se non addirittura in una sola lunga interpretazione – blues, gospel, soul, canzone romantica e ritmo di boogie o di twist, il suo genio sincretico ha dimostrato ben presto di essere una delle forze espressioniste piu` vive della storia del jazz cantato. Essa attinge la sua intensita` nella combinazione di un senso intimo della pulsazione ritmica con una acuta sensibilita` della vibrazione dell’uditorio, e nell’unione paradossale di una scienza vera e propria delle messe in scena della transe con l’autenticita` di un’ispirazione

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CANTO

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dove, in tale brusca lacerazione, la grana arrochita della voce sembra svelare le poche originarie incrinature. In realta`, molti jazzisti si rivelano dei cantanti eccellenti; di essi alcuni insistono sullo swing, altri sull’umorismo, altri ancora sulla finezza delle inflessioni ecc. Tali Jack Teagarden, Lionel Hampton, Roy Eldridge, Ray Nance, Jonah Jones, Hot Lips Page, Bill Coleman, Woody Herman, Louis Jordan, Mose Allison, Dizzy Gillespie, Grady Tate, Chet Baker, Jack Sheldon, Joe Albany, Jimmy Rowles, Eddie Harris e, piu` recentemente, Dollar Brand, importatore di melopee dell’Africa meridionale, o, a partire degli anni ’80, Archie Sheep, che traduce per la nostra epoca lo spirito e la formula dei vecchissimi blues. Alcuni strumentisti hanno raddoppiato la loro celebrita` come vocalist: Fats Waller, Slim Gaillard, Nat King Cole, George Benson. Fra i jazzisti che sono principalmente o unicamente dei cantanti, annoveriamo, fra gli altri: Cab Calloway, Leo Watson, Babs Gonzales, Hoagy Carmichael, Dave Lambert, Jon Hendricks, Eddie Jefferson, King Pleasure, Oscar Brown Jr., Roy Kral, Bobby Troup, Mark Murphy, Leon Thomas, Gil Scott-Heron, Bobby McFerrin, Ben Sidran. Fra i cantanti nati dal blues, come Joe Turner o, in seguito, Jimi Hendrix e James Brown, certi hanno lavorato regolarmente con alcune orchestre: Eddie Vinson (Cootie Williams), Jimmy Witherspoon (Jay McShann), Jimmy Rushing, Joe Williams (Count Basie). In compenso, Bing Crosby, Billy Eckstine, Al Hibbler, Mel Torme´, Johnny Hartman, Sammy Davis Jr., Donny Hathaway e Al Jarreau si situano al limite fra il jazz e la musica commerciale; il piu` celebre per la sua professionalita` impeccabile, Frank Sinatra, che fu soprannominato «The Voice», non ha avuto difficolta` a dimostrare le sue qualita` di swingman nelle fila dell’orchestra di Basie. 3. Piu` numerosa della precedente, la popolazione delle cantanti si divide, anch’essa, nei tre grandi distretti del jazz,

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del rhythm and blues e della musica commerciale, anche se le demarcazioni appaiono qui ancora meno rigide. Il primo e` incontestabilmente dominato dalla triade: Ella Fitzgerald, Billie Holiday e Sarah Vaughan, ormai universalmente ammirate. In realta` – salvo a voler privilegiare il fantasma individuale – chi, davanti a queste tre Grazie, saprebbe scegliere con obiettivita` fra lo swing letteralmente incorporato di Ella, la musicalita` carnale eppure perfetta di Sarah o il lamento fra le note che erotizzava il discorso di Billie? Ma molte altre furono e sono delle autentiche artiste: Ethel Waters, Mildred Bailey, Pearl Bailey, Maxine Sullivan, Helen Humes, Betty Carter, Lee Wiley, Betty Roche´, Dinah Washington, Etta Jones, Kitty White, Dakota Staton, Ernestine Anderson, Sheila Jordan, Annie Ross, Yolande Bavan, Anita O’Day, Marilyn Moore, Chris Connor, June Christy, Jackie Cain, Irene Krai, Peggy Lee, Blossom Dearie, Helen Merrill, Lucille Ann Polk, Carmen McRae, Joya Sherrill, Toni Harper, Freda Payne, Teri Thornton, Stella Marrs, Abbey Lincoln, Nina Simone, Nancy Wilson, Bev Kelly, Aretha Franklin, Bobbi Humphrey, Dodo Greene, Amina Claudine Myers, Stella Levitt, Dee Dee Bridgewater, Meredith d’Ambrosio, Michele Hendricks, Pam Purvis, Cassandra Wilson. Preoccupato di ‘‘vocalizzare’’ gli strumenti, non c’e` da stupirsi che il movimento free abbia fatto nascere delle vocalist di valore, ma e` da notare che la maggior parte siano donne: Jeanne Lee, Patty Waters, Linda Sharrock, Urszula Dudziak, Maria Joa˜o; in modo discontinuo, Carla Bley, Annette Peacock e Jay Clayton. Piu` vicine al rhythm and blues o al rock incontriamo (fra le piu` conosciute): LaVern Baker, Etta James, Ruth Brown, Della Reese, Tina Turner, Marlena Shaw, Esther Phillips, Dionne Warwick, Donna Summer, Roberta Flack, Randy Crawford; senza contare le numerosissime piccole formazioni vocali femminili raggruppate intorno a etichette specializzate (Tamla Motown, Buddah Gordy ecc.), come The Marvellettes, The Vandellas,

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The Supremes, di cui alcune soliste hanno fatto carriera individualmente: Martha Reeves, Diana Ross. Mentre da ieri a oggi, hanno oscillato fra il jazz e la musica commerciale alcune cantanti di grande talento: Sophie Tucker, Lena Horne, Eartha Kitt, Diahann Carroll, Gloria Lynn, Lorez Alexandria, Donna Hightower. Inoltre, fra le interpreti piu` (o meno) legate all’ambiente della musica leggera o del grande music-hall, alcune hanno effettuato delle incursioni nel jazz, piu` o meno frequenti e piu` o meno apprezzate dagli amatori: Rosemary Clooney, Cleo Laine, Jaye P. Morgan, Gogi Grant, Nancy Holloway, Julie Kelly, fino a Barbra Streisand e Liza Minnelli; da queste ultime si distaccano due vedette la cui intelligenza musicale ha giustificato la loro celebrita`: Judy Garland e Julie London. Restano da citare, fra le vocalist di orchestra che, a differenza di Billie Holiday con Teddy Wilson, Ella Fitzgerald con Chik Webb o June Christy con Stan Kenton, sono rimaste nell’ombra della loro formazione, tre artiste collaudate: Ivie Anderson e Kay Davis con Ellington, Mary Ann McCall con Herman. Benche´ le cantanti di gospel e di blues siano raggruppate nelle voci dedicate a questi settori (come per gli interpreti maschili), e` d’obbligo qui fare il nome, poiche´ la loro arte trascende ogni genere, innanzitutto di Mahalia Jackson e poi di Bessie Smith, forse una delle voci piu` sconvolgenti di tutta la storia vocale nera americana. Infine, tra le cantanti straniere la cui fama ha oltrepassato le frontiere del loro paese, incontriamo le brasiliane Astrud Gilberto e Flora Purim, che hanno introdotto la bossa nova sotto l’egida di Stan Getz, cosı` come Tania Maria; la norvegese Karin Krog che ha registrato con Dexter Gordon, Warne Marsh, Archie Sheep; la francese Mimi Perrin fondatrice del gruppo dei f Double Six; la giapponese Kimiko Kasai, irriducibile ammiratrice di Billie Holiday, anche lei accompagnata da Mal Waldron. 4. Prima di chiudere questo panorama necessariamente schematico, dobbiamo sottolineare quanto il canto, profonda-

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CANTO

mente radicato fin dalle origini della musica jazz, le sia consustanziale. Lo spiega cosı` Archie Sheep, che e` anche insegnante, in una intervista del 1987: «A volte le parole sono necessarie per farsi sentire; la voce offre il vantaggio di essere simultaneamente musica e senso piu` esplicito. D’altra parte, la musica che ascoltiamo oggi e` sempre piu` vocale, sempre meno strumentale». Da cui tre osservazioni: – Se e` ormai acquisito che il blues sudista del XIX secolo abbia giocato un ruolo pregnante nell’elaborazione progressiva del jazz strumentale come esso appare all’inizio del XX secolo, c’e` da notare inoltre che, durante l’evoluzione di quest’ultimo, diversi stili o movimenti hanno rivendicato la loro discendenza dal blues, ritrovando il suo spirito e reinventando la sua forma, per riaffermare l’‘‘alterita`’’ fondamentale del jazz di fronte alla musica europea, ogni volta che le produzioni piu` sfumate di quest’ultima sembravano, anche negli Stati Uniti, dover obliterare o dissolvere la sua particolarita`. Ad esempio: lo stile Kansas City dal 1935 al 1940, da cui e` venuto fuori Charlie Parker; l’hard bop dell’ambiente degli anni ’50, da cui emergono, fra gli altri, Charles Mingus, Sonny Rollins e John Coltrane; e infine il free jazz degli anni ’60, iniziato da Ornette Coleman, Eric Dolphy, Sheep e altri. – Allegheremo, inoltre, al dossier del missaggio jazzistico della voce e dello strumento l’apparizione, verso gli anni ’50, di gruppi vocali che affidano al canto collettivo la strumentalizzazione della voce, fino a proporre l’orchestrazione corale di temi emblematici delle big band celebri, mentre sull’altro versante, il free spingera` all’estremo le diverse vocalizzazioni dello strumento. Cosı` il trio LHR (Lambert, Hendricks, Ross) che canta delle parole adattate ai grandi assolo dei musicisti di Basie; il gruppo francese dei Double Six (animato da Mimi Perrin), che procede alla stessa maniera della grande orchestra di Dizzy Gillespie e di illustri tempi bop e hard bop; il quartetto Manhattan Transfer (Cheryl Bentyne, Tim

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CAPITOL

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Hauser, Alan Paul, Janis Siegel), che riprende, con grande successo, questa tradizione negli anni ’80. – Questa l’ultima parte dello stesso dossier: la pratica jazzistica che attraversa le epoche e gli stili al punto di riprendervi il valore effettivo di rito, che consiste nello sposare, in seno a una piccola formazione, sotto forma di accompagnamento o scambi misurati, uno strumento a fiato, perlopiu` il sassofono, con la voce umana, quasi sempre quella di una donna. Come per restaurare, attraverso questa combinazione di metallo e di carne, la pienezza amorosa di qualche ‘‘canto profondo’’. Da una lunghissima lista di questi ‘‘accoppiamenti’’, per la maggior parte gia` leggendari, possiamo evocare, tra quelli la cui traccia e` attestata dalla fotografia: Bessie Smith poi Ella Fitzgerald con Louis Armstrong, Billie Holiday e Lester Young, Sarah Vaughan e Charlie Parker, Anita O’Day e Bud Shank, Anita Ross e Zoot Sims poi Gerry Mulligan, Dinah Washington e Eddie Chamblee, Astrud Gilberto e Stan Getz, Jeanne Lee e Archie Sheep, Patty Waters e Giuseppe Logan; infine, negli anni ’80, Helen Merrill e Steve Lacy (e, molto prima Clifford Brown), Meredith d’Ambrosio e Phil [J.P.M.] Woods poi Lee Konitz. Capitol Casa discografica statunitense fondata in California nel 1942 da un venditore di dischi, Glenn Wallichs, dal paroliere e interprete Johnny Mercer e dal produttore Buddy DeSylva. La Capitol ha un successo quasi immediato con il disco Straighten Up And Fly Right inciso da Nat King Cole e il suo trio, il 30 novembre 1943. Stimata per la qualita` delle sale di registrazione, per l’abilita` dei suoi tecnici del suono, la casa discografica assume rapidamente importanza sul mercato statunitense, fenomeno assai raro per una societa` non newyorkese. Nel 1953 Frank Sinatra firma un contratto con la casa discografica, e per la societa` e` la tappa decisiva. Dopo la registrazione con il complesso di Miles Davis, costituito da

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nove strumenti, e i contratti esclusivi con Stan Kenton e King Cole, la compagnia registra Benny Goodman, Dizzy Gillespie, Woody Herman, Benny Carter, Art Tatum, Duke Ellington ecc. Con la serie Kenton presents... Capitol contribuisce negli anni ’50 alla popolarizzazione del jazz californiano, pubblicando inoltre album firmati da George Shearing, Shelly Manne, Bobby Hackett, Jack Teagarden e altri. Oggi e` una controllata della multi[A.T.] nazionale EMI. CAPP, Frankie (Frank CAPPUCCIO) Batterista e direttore d’orchestra statunitense d’origine italiana (Worcester, Massachusetts, 20/8/1931). La sua infanzia e` stata segnata dalla musica di Duke Ellington. A tredici anni si dedica allo studio della batteria. Dopo gli studi all’universita` di Boston, lavora in questa citta` , quando, per raccomandazione di Boots Mussulli, Stan Kenton lo chiama nella sua orchestra ove rimane per un breve periodo. Per dieci mesi suona da Neal Hefti, ma dopo ritorna a Boston. Nel 1959 soggiorna a Los Angeles, lavora con Peggy Lee, fa parte del trio di Marty Paich, suona con Harry James, Billy May, Charlie Barnet e accompagna Dorothy Dandrige e Betty Hutton. Nel 1957 sostituisce Shelly Manne a fianco di Andre´ Previn che gli apre le porte di vari studi di registrazione. Scritturato dalla Warner Bros, dal cinema passa successivamente agli show televisivi, fra i quali quelli di Red Skelton con cui lavorera` dodici anni (passera` anche quattordici anni con David Rose). Nel 1975 si unisce al pianista Nat Pierce che organizza una grande orchestra per un concerto, in omaggio a Neal Hefti, al King Arthur’s di Los Angeles. Ottenuto un notevole successo, i due musicisti decidono di ripetere l’esperienza con Juggernaut. Contemporaneamente Capp riduce l’attivita` di registrazione e suona con numerosi solisti. Juggernaut si inserisce nell’orchestra di Basie. Frankie Capp puo` mostrare tutta la sua ammirazione per Jo Jones ed essere a fianco dei suoi batteristi favoriti Mel

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Lewis, Elvin Jones e Tony Williams. Frank Capp non soltanto e` un batterista eclettico, ma suona in maniera notevole e ha perfetta conoscenza della batteria. Per un solista in un’orchestra avere alle spalle i tamburi e` comunque un’esperienza molto rischiosa. Da notare la potenza, la versatilita` e l’efficacia con cui usa le spazzole, con qualsiasi tempo musicale, sia in un trio (ad esempio con Marty Paich) sia [A.T.] in una grande formazione. Con Juggernaut: Basie’s Back In Town, Dickie’s Dream (1976), I Remember Clifford (1981); Tricycle (A. Previn, 1960); «Live At The Lord» (Terry Gibbs, 1978).

CAREY, «Papa Mutt» (Thomas) Trombettista statunitense (Hahnville, Louisiana, 1891 - Elsinore, California, 3/ 9/1948). Nasce da una famiglia di musicisti; il fratello maggiore Jack (1889 - 1934) fara` carriera come bandleader a New Orleans. Suona la batteria per un certo tempo, poi passa alla tromba consigliato dal fratello trombonista; nel 1913 entra a far parte della formazione del fratello, la Crescent Orchestra, dopo aver fatto esperienza con l’Eagle Band e la Tuxedo Brass Band. Nel 1954 e` scritturato da Kid Ory che avra` molta influenza sulla sua vita. Nel 1917 e` in tourne´e con i fratelli Dodds. Arriveranno fino a Chicago; in questa occasione Carey suona con il clarinettista Lawrence Duhe, ma ben presto ritorna a New Orleans; qui lavora con il trombettista Chris Kelly (al Bull’s Club) e con il clarinettista Wade Whaley. Nel 1919 raggiunge e si unisce in California all’orchestra di Kid Ory della quale assumera` la direzione quando Kid Ory partira` per Chicago; e` cosı` che Mutt Carey dirigera` alla fine degli anni ’20 e all’inizio degli anni ’30 una formazione, The Jeffersonians, che si esibisce anche negli studi hollywoodiani. A causa della crisi economica e` meno impegnato, ma nel 1944 Ory lo riprende al suo fianco fino al 1947; sempre nel 1947, unitamente a Louis Armstrong (e Ory) partecipa al film New Orleans. Ricostituisce, dopo, una formazione che dirigera` fino alla morte.

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CARISI

Trombettista tipico di New Orleans, il cui merito piu` grande e` quello di dirigere con estrema abilita` un’improvvisazione collettiva (He´ -La` -Bas, con Ory, 1946), manca di potenza e il suo registro e` limitato come solista: e` carente d’ispirazione, e` poco brillante, il vibrato e` incerto... e` difficile trarre un giudizio completo dalle [A.C.] poche testimonianze registrate. Ory’s Creole Trombone (1921), Blues For Jimmy, South, Creole Song (1944); Bucket’s Got A Hole In It (Ory, 1946); Fidgety Feet, Slow Drivin’ (1947).

CARISI, Johnny (John E.) Trombettista, arrangiatore e compositore statunitense (Hasbrouck Heights, New Jersey, 23/2/1922 - New York, 3/10/ 1992). Finiti gli studi musicali e secondari debutta nelle orchestre da ballo locali. In seguito collabora con i gruppi di Babe Russin, George Handy, Herbie Fields (1938-43), prima di suonare nella US Air Force Band di Glenn Miller, poi nella Swing Shift di Ray McKinley, nell’orchestra di Lou Stein e infine con l’orchestra di Claude Thornhill. Compone per Brew Moore; nello stesso periodo si lega a quei musicisti che saranno all’origine del cool jazz, piu` precisamente alle celebri session del 1949-50, registrate per la Capitol, e pubblicate sotto il titolo Birth Of The Cool e che riuniscono intorno a Miles Davis, gli strumentisti, compositori e arrangiatori che caratterizzeranno il dopoguerra (Lee Konitz, Gerry Mulligan, John Lewis, Gil Evans, George Russell... e John Carisi). Nel loro repertorio: Israel, tema composto e arrangiato da Carisi che in quegli anni segue l’insegnamento del compositore Stephan Wolpe. Durante gli anni ’50 Carisi perfeziona la sua tecnica strumentale con Carmine Caruso e suona in diverse orchestre. Dopo una tourne´ e in Estremo Oriente organizzata dal dipartimento di stato (1960), compone tre pezzi che saranno registrati sotto il nome e la direzione di Gil Evans («Into The Hot»). In seguito divide la sua attivita` di compositore fra la musica ‘‘colta’’, la televisione, il cinema e il teatro, ma rimane anche nel jazz, facendo arrangiamenti e

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CARLISLE

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dirigendo per il trombettista Marvin Stamm (1968) o esibendosi nei club con Brew Moore (1969). Nel 1970 compone per il National Jazz Ensemble di Chuck Israels. Da questo momento smette gradualmente di suonare e si dedica sempre piu` all’insegnamento: alla Manhattan School of Music e poi al Queens College. Per qualificare il suo lavoro Carisi rivendica l’appellativo di ‘‘musica americana’’. Il suo acuto senso della struttura musicale lo fa suonare entro un’atmosfera piena di cromatismo che porta sino al limite dell’atonalita`: la sua musica ne acquisisce un carattere drammatico evidente (Moon Taj, 1961). In Israel (1949) il confronto degli elementi eterogenei (la struttura musicale del blues in do minore e la sofisticazione dell’arrangiamento) avevano prodotto una tensione analoga. Il suo posto nella storia del jazz moderno e`, per le poche opere scritte e per i pochi arrangiamenti, piuttosto modesto ma incide sull’evoluzione di questa musica allo stesso livello di Gil Evans, John Lewis o [X.P.] George Russell. Israel (Davis, 1949); con Evans: Moon Taj, Angkor Vat (1961); Saxophone Quartet 1 (New York Saxophone Quartet, 1981).

CARLISLE, Una Mae Cantante, pianista e compositrice statunitense (Zanesville, Ohio, 26/12/1915 New York, 7/11/1956). E` stata l’allieva di Fats Waller, che incontra a Cincinnati nel 1932. Dopo aver lavorato con lui, si esibisce in un club come solista e cantante. Dal 1937 al 1939 suona e incide dischi (principalmente con il clarinettista Danny Polo) in Inghilterra e in Francia (a Parigi si esibisce al Bœuf sur le Toit). Tornata negli Stati Uniti nel 1940, viene scritturata come solista al Village Vanguard e registra per la RCA insieme con Waller, Benny Carter, Lester Young e soprattutto con il famoso sestetto di Johnny Kirby. Durante la guerra si puo` ascoltarla al Kelly’s Stables, al Plantation Club, all’Hotel Dixie ecc. Due sue composizioni, Walkin’ By The River e I See A Million People, le hanno valso la notorieta`. Alla fine degli

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anni ’40 e nella prima meta` degli anni ’50 ha fatto delle trasmissioni radiofoniche e ha partecipato a spettacoli televisivi, ma la salute cagionevole la costringe a ritirarsi quasi del tutto nel 1954. Pianista, Una Mae Carlisle appartiene alla tradizione stride di cui il suo maestro Fats Waller fu uno dei piu` illustri rappresentanti. Meno sciolta, piu` delicata, il suo tocco molto femminile puo`, a volte, accusare una certa mancanza di potenza, fortunatamente compensata da una deliziosa finezza d’interpretazione. Vocalmente puo` essere inserita tra Billie Holiday (di cui non possiede la forza emotiva) e alcune cantanti di jazz degli anni ’30, per esempio Midge Williams e Maxine Sullivan. Ha influenzato fortemente cantanti [D.N.] come Eartha Kitt. Crazy ’bout My Baby (1938), Walkin’ By The River, Blitzkrieg Baby (1940), I See A Million People, Can’t Help Lovin’ Dat Man, My Wish (1941), Sweet Talk (1942).

CARMICHAEL, Hoagy (Hoagland Howard) Compositore, pianista e cantante statunitense (Bloomington, Indiana, 11/11/1899 - Palm Springs, California, 26/12/1981). Le prime lezioni di piano gli vengono impartite dalla madre; completera` lo studio di questo strumento a Indianapolis, dove suona con un’orchestra di studenti. Si lega d’amicizia a Bix Beiderbecke per il quale scrive Riverboat Shuffle, registrato nel 1924 dai Wolverines. Frequenta i migliori jazzisti (King Oliver, Louis Armstrong, Benny Goodman) e scrive canzoni rinunciando alla carriera forense verso la quale gli studi di giurisprudenza lo avrebbero indirizzato. Ha inciso con Armstrong (Rockin’ Chair, 1929), King Oliver (Blue Blood Blues, 1929); Bix Beiderbeke e Bubber Miley (Rockin’ Chair, 1930), Paul Whiteman (Washboard Blues, 1927). Carmichael non e` soltanto un jazzman ma e` l’unico compositore di canzoni che ha scelto il jazz per dare vita alle sue opere: Star Dust (1929), Georgia On My Mind (1930), Lazy River (1931), Lazy Bones, Judy (1934), Two Sleepy Peo-

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ple (1938), Hong Kong Blues (1939), The Nearness Of You (1940), Memphis In June (1945). Per il cinema i principali film ove appare sono: To Have And Have Not (Howard Hawks, 1944), The Best Years Of Our Lives (William Wyler, 1946), Canyon Passage (Jacques Tourner, 1946), Young Man With A Horn (Michael Curtiz, 1949), The Las Vegas Story (Robert Stevenson, 1952), Timberjack (Joe Kane, 1954). Ha pubblicato due opere autobiografiche: The Stardust Road e Sometimes I Wonder. Cantante-raconteur, fonde insieme il temperamento (principalmente per una tendenza a parlare lentamente, fraseggiato, ritmato... sudista) e il fascino di una voce che sembra incerta; talora abbellisce, fischiettandole, le sue melodie. Carmichael e` un pianista dall’abilita` straordinaria contrapposta a una solida tecnica (non ignora i compositori impressionisti francesi, allora molto di moda fra i giovani jazzisti bianchi di Chicago, come Bix Beiderbecke, Bud Freeman...) ma ha una vivacita` ritmica indiscutibilmente ‘‘jazz’’; costituisce uno dei piu` felici esempi di fusione tra il linguaggio nero e [A.C.] le tradizioni musicali europee. Carnegie Hall Sala da concerti newyorkese, situata all’incrocio tra la 57ª Strada e la 7ª Avenue. Prende il nome dal magnate dell’acciaio Dale Carnegie (1835 - 1919) che ne finanzio` la costruzione. Definitivamente consacrata, dopo la sua costruzione nel 1891, alla musica classica, apre le porte per la prima volta alla musica nera l’11 marzo 1914 (James Reese Europe) e una seconda volta il 27 aprile 1928 (W.C. Handy). Dieci anni piu` tardi questo ‘‘tempio della musica classica’’ riceve, come in una sorte d’apoteosi, la ‘‘Swing Craze’’, con l’orchestra di Benny Goodman e qualche invitato illustre. Cinque anni dopo, esattamente il 24 gennaio 1943, Duke Ellington vi presenta la seconda esecuzione della sua suite Black, Brown And Beige. Fino alla fine degli anni ’40 Ellington vi dara` annualmente un concerto. Successi-

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CARNEY

vamente la Carnegie Hall e` resa disponibile a chiunque abbia i mezzi finanziari per potervisi esibire. Vi si danno i concerti del festival di Newport quando la manifestazione organizzata da George Wein lascia Rhode Island per l’isola di Manhattan. Nel 1924 Paul Whiteman vi presenta [A.C.] Rhapsody In Blue di Gershwin. CARNEY, Harry Howell Sassofonista baritono e alto e clarinettista statunitense (Boston, Massachusetts, 1/4/ 1910 - New York, 8/10/1974). Apprende il piano privatamente ma lo abbandona per il clarinetto, poi passa al sax alto. Frequenta ancora il college quando suona con i Knights Of Pythias, quindi con Boby Sawyer e il pianista Walter Johnson. Agli inizi del 1927 suona al Savoy con il clarinettista Fess Williams e al Bamboo Inn con il suonatore di banjo Henry Saparo. Nel giugno 1927 entra a far parte dell’orchestra di Duke Ellington con il quale ha gia` registrato dal novembre del 1926. La carriera di Harry Carney, iniziata con i Washingtonians, si svolgera` al fianco del suo amico per circa un mezzo secolo. Sara` l’unico dei vecchi amici di Duke Ellington a restargli vicino fino all’ultimo; gli sopravvivera` di pochi mesi. Hary Carney e` il baritono per eccellenza; adottato lo strumento per necessita` orchestrali se ne impadronisce prestissimo marciando – lo dichiara egli stesso – sulle tracce di Adrian Rollini e impadronendosi di questo ingombrante sassofono che predispone piu` alla goffaggine che all’eleganza. Egli fu in effetti il primo, ispirandosi anche a Coleman Hawkins quando suonava con Fletcher Henderson, a ottenere dei suoni non sgradevoli. Carney ha dato allo strumento finezza, sfumature, espressivita`, qualita` che la sua precedente pratica del clarinetto e del sax alto hanno senza alcun dubbio favorito. La sua dizione e` limpida, le frasi musicali si dipanano serenamente, la sonorita` e` meravigliosamente profonda e, paradossalmente, leggera e viva. Sono gli aspetti determinanti dell’inimitabile coloritura sonora che ha sezione delle ance nelle

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CARRINGTON

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formazioni di Ellington. Tutti i sassofonisti baritono nei quali Carney ha suscitato la vocazione, pur senza considerarli suoi discepoli, gli debbono molto: Gerry Mulligan, Serge Chaloff, Pepper Adams, Ronnie Cuber, Bob Gordon, Haywood Henry, Leo Parker, Cecil Payne, Sahib Shihab ecc. Con Duke Ellington ha composto Rockin’ In Rhythm (1931), DemiTasse (1937), Cotton Club Stomp (1943). [A.C.]

Con Ellington (al baritono): East Saint Louis Toodle-Do (versione Victor, 1927), Doin’ The Voom Voom (1929), Double Check Stomp (1930), It’s A Glory (1931), Stompy Jones (1934), Cotton Tail (1940), Prelude To A Kiss (1945), Golden Feather (1946), Solitude (1950), Sophisticated Lady (1950); al clarinetto: Saddest Tale (1934), Black Beauty (1945), Sophisticated Lady (1950); Blue Reverie (Cootie Williams, 1937); Stompy Jones (Barney Bigard, 1937); Back Room Stomp (Rex Stewart, 1937); Jeep’s Blues (Johnny Hodges, 1938); The Jumpin’ Jive (Lionel Hampton, 1939); Three Little Words (Coleman Hawkins, 1944); «Harry Carney With Strings» (1954).

CARRINGTON, Terri Lyne Batterista statunitense (Medford, Massachusetts, 4/8/1965). Suo padre, sassofonista, la porta con se´ durante le jam session, fin dall’eta` di cinque anni. Incontra Roland Kirk e Illinois Jacquet; il suo primo strumento sara` il sassofono. La perdita dei denti di latte l’obbliga a cambiare: impara a suonare la batteria di suo nonno (che non aveva conosciuto ma che aveva suonato con Fats Waller, Duke Ellington, Chu Berry). A dieci anni, lavora intensamente a fianco di Sonny Stitt, Betty Carter ecc.; successivamente prende lezioni da Keith Copeland. Al termine di un concerto nel quale ha suonato con Oscar Peterson, il direttore della Berklee School le offre una borsa di studio. A dodici anni studia il piano, batteria e vibrafono; studia anche armonia, arrangiamento e composizione con Tony Tedesco e Alan Dawson. Parallelamente tiene concerti in college e universita`. Nel 1986, collabora con il New York Jazz Quartet di Roland Hanna e

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Frank Wess, ma anche con Woody Shaw, James Moody, Lester Bowie, Pharoah Sanders e il trio di Rufus Reid. Successivamente partecipa a una tourne´e in Europa con Clark Terry e accompagna Wayne Shorter in Estremo Oriente. Nel 1987 si esibisce alla testa di un gruppo composto da Kevin Eubanks (chit), Ralph Moore (tsax), Jim Bear (tastiere) e Victor Bailet (batt). Con Gery Allen forma il collettivo Ninth Eye, comprendente i sassofonisti Steve Coleman e Greg Osby, il trombonista Robin Eubanks, Clem Haynes (figlio di Roy), Kevin Harris (b-el) e Vernon Reid. Nel 1988 suona con Shorter e successivamente con Stan Getz. Registra anche con Mulgrew Miller, la cantante Nancy Harrow, Michele Rosewoman, Niels Lan Doky (1987), Cassandra Wilson, John Scofield, il sassofonista Chris Hunter, la cantante Dianne Reeves (1988), John Patitucci (1990) e, come leader, con George Coleman, Kenny Barron e Buster Williams, poi, per «Real Life Story» (1989), con, tra gli altri, Osby, Grover Washington Jr., Wayne Shorter, Scofield e Carlos Santana. Passata la sorpresa (una donna batterista!), rimangono l’efficacia gioiosa, la furia e la potenza con cui usa i tamburi. Questa vivacita`, questa frenesia poliritmica, che sottolineano una rara varieta` di timbri, che ella dice di aver avuto in eredita` da Elvin Jones e da Jack DeJohnette, fanno di Terri Lyne Carrington una partner poco discreta ma eccezionalmente sti[P.C.] molante. Powell’s Prances (M. Miller, 1986); You Big (G. Osby, 1987); Love And Passion (Niels Lan Doky, 1987); Obstacle Illusion (1989).

CARROLL, Baikida E.J. (Baakida YASEEN) Trombettista, flicornista, compositore e arrangiatore statunitense (St Louis, Missouri, 15/1/1947). Studia alla scuola di musica delle forze armate di Norfolk (Virginia), all’universita` del Maryland, al conservatorio di Wu¨rzburg (Germania), alla Berklee School of Music (Boston),

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alla Washington University di St Louis (Missouri) e alla Southern Illinois University. Ha diretto orchestre militari e la Black Artists Big Band, suonato con numerosi artisti, dai suonatori di blues (i chitarristi cantanti Little Milton, Albert King), profeti del soul (Sam And Dave), con i modernisti (Oliver Nelson, Ron Carter) e ai loro successori (Julius Hemphill). Agli esordi degli anni ’70 e` fra i piu` attivi artisti della free music americana: inizialmente con il Black Artists Group Of St Louis (Carrol, Floyd LeFlore, Joseph Bowie, Oliver Lake, Charles Bobo Shaw Jr.), formazione che Carroll ha fondato e con la quale soggiorna in Francia dal 1972 al 1974. A Parigi fa alcune registrazioni e contemporaneamente realizza un primo album come leader («Orange Fish Tears», 1974: Oliver Lake, Nana´ Vasconcelos, Manuel Villaroel, pf, pf-el, perc); successivamente suona con l’Human Arts Ensemble, in cui dialoga di nuovo con Shaw e Bowie. Piu` tardi si esibisce in ‘‘solo’’ per un doppio album ‘‘live’’, registrato nel 1977 e 1978, ricco di determinazione e di vigore («The Spoken Word»). Nel decennio successivo lavora come partner dei musicisti piu` fecondi, soprattutto con Muhal Richard Abrams (lo assiste nella big band e nel quartetto, rispettivamente al festival di Nıˆmes nel 1981 e ai Cinq Jours de Grenoble nel 1982, e partecipa ai lavori di registrazione della sua grande formazione: «Mama And Daddy», «Blues Forever», «Rejoicing With The Light», 1980, 1981, 1983). Nel 1982 Jack DeJohnette si rivolge a lui per la Special Edition («Inflation Blues») e David Murray lo sollecita a suonare per la sua grande orchestra («Live At Sweet Basil», vol. 1 e 2, 1984) e nel suo ottetto («New Life», 1986). Lo troviamo nella nuova Liberation Music Orchestra di Charlie Haden (1985), nel quartetto di Michele Rosewoman («The Source», 1984) e in un disco, in quintetto, sotto il suo nome («Shadow And Reflections», 1982, Hemphill, Anthony Davis, Dave Holland, Pheeroan AkLaff). «The Spoken Word» trasmette allo strumento, con il fraseggio e la musicalita`,

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CARROLL

tutta la drammaticita` insita nel titolo stesso del brano; tutto preso da visioni lacerate e frammentarie lottando corpo a corpo con il silenzio, Carroll suona come se la tromba dovesse riparare a tutte le manchevolezze e a tutti i suoi difetti. Nasce da questo suono l’essenza veritiera del suo canto e della sua abilita`, ma da questo suo disco traspare inoltre un altro Carroll: un musicista dalle linee lunghe e precipitose, dalla sonorita` ben definita, tagliente (della generazione di Booker Little) e che emerge per il suo lavoro di sideman e per le sue ultime produzioni da leader. Un trombettista che, se esiste un ‘‘dopo Don Cherry’’, si rivela il solo delle nuove generazioni, unitamente a Lester Bowie e Joe McPhee, che puo` stare sullo stesso piano, per spirito d’avventura e impeto, del compagno di Ornette Coleman. [C.T.] The Spoken Word, Third Image (1977, 1978), Kaki (1982); Blues Forever (Abrams, 1981); To Be Cont... (Rosewoman, 1984).

CARROLL, Joe (Joseph Paul) Cantante statunitense (Filadelfia, Pennsylvania, 25/11/1919 - New York, 1/2/ 1981). Gli inizi sono oscuri: figura nella tramp band che appare nel film Stormy Weather (1943) e canta nell’orchestra di Paul Bascomb. La notorieta` arriva nel 1949 con la scrittura di Dizzy Gillespie. Rimane con Gillespie, che segue in tourne´e in Europa fino al 1953; dopo si produce come solista. Dopo due anni presso Woody Herman (1964-65), riprendera` la sua carriera di cantante solista. Erede diretto di Leo Watson, Carroll e` stato un irresistibile entertainer, agilissimo scat. I suoi duo con Gillespie, sia sulla scena sia su disco, sono partecipi di una vocalita` comica senza parole, di un virtuosismo del nonsense, che si riscontreranno soltanto in Clark Terry e Richard Boone. [A.C.] Con Gillespie: Jump-Did-Le-Ba, In The Land Of Oo-Bla-Dee (1949), Lady Be Good (per Dee Gee, 1951; per Vogue, 1953), Ooh-Shoo-Be-Doo-Be (per Dee Gee, 1952; per Vogue, 1953); Wa Wa Blues (W. Herman, 1964).

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CARTER, Benny (Bennett Lester) Sassofonista, clarinettista, trombettista, arrangiatore e direttore d’orchestra statunitense (New York, 8/8/1907 - Los Angeles, California, 12/7/2003). Nasce da una famiglia di musicisti, cugino del trombettista Cuban Bennett (1902-65) e di Darnell Howard, sceglie il sax alto per poter far parte dell’orchestra di June Clark (1924). In seguito suonera` con Billy Paige, Lois Deppe ed Earl Hines, poi con Horace Henderson (1925). Prima di costituire la propria orchestra a New York (1928), partecipa al lavoro di James P. Johnson, Duke Ellington e Fletcher Henderson. Ritorna con Fletcher nel 1931, soggiorna fra i ranghi di Chick Webb, diviene direttore musicale dei McKinney’s Cotton Pickers e dei Chocolate Dandies. Nel 1933 dirige una grande orchestra collaborando anche con Don Redman, ed e` arrangiatore di Charlie Johnson, Ellington, Teddy Hill e Benny Goodman. Nel 1935 e` il trombettista dell’orchestra di Willie Bryant, quindi emigra in Europa. Lavora instancabilmente in Francia, in Gran Bretagna, nei Paesi Bassi e in Scandinavia, arrangiatore di Henri Hall alla BBC, solista con Willie Lewis e Freddie Johnson, direttore d’orchestra al Bœuf sur le toit a Parigi (1937). Tiene buoni rapporti con i musicisti del vecchio continente e registra con Django Reinhardt, Alix Combelle, Coleman Hawkins, Nat Gonella. Di ritorno negli Stati Uniti (1938) dirige l’orchestra del Savoy Ballroom e riunisce, per i club e per l’incisione di dischi, diversi gruppi con musicisti di successo: Vic Dickenson, Eddie Heywood, Jonah Jones, Bill Coleman, Dizzy Gillespie, Max Roach, Tyree Glenn, J.J. Johnson, Shorty Rogers, Dexter Gordon, Don Byas, Roy Eldridge. Nel 1943 si stabilisce sulla West Coast e si esibisce nei club di Billy Berg a Los Angeles, alla Casa Man˜ana di Hollywood; lavora per il cinema e la televisione, partecipando di tanto in tanto alle tourne´e del JATP; occasionalmente va in Europa e in Giappone. E` solista in alcuni club (Me´ridien a Parigi) o in concerti. Partecipa ai film Un americano a Parigi (Vincente

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Minnelli, 1951), Clash By Night (Fritz Lang, 1952), The Snow Of Kilimanjaro (Henry King, 1952), Too Late Blues (John Cassavetes, 1961), e a Benny Carter, A Life In American Music (Morroe Berger, Edward Berger, James Patrik, 1982). Benny Carter e` innanzitutto un grande innovatore degli anni ’30. Alla maniera di Louis Armstrong, Coleman Hawkins o Johnny Hodges, sviluppa il linguaggio dell’improvvisazione, secondo lo schema del middle jazz: liberazione dagli antichi schemi, arricchimento delle melodie di base, sfruttamento degli accordi per nuove creazioni tonali, agilita` della trama ritmica. L’esperienza, la cultura e la tecnica sono gli elementi vincenti di questo artista, elementi che gli permettono di essere presente nella rivoluzione bebop degli anni ’40 e seguire l’evoluzione del jazz cool degli anni ’50 in California. Il gioco di Benny Carter al sax alto, uno dei piu` esemplari che ci sia, puo` essere cosı` definito: sonorita` ferma, cantabile, vellutata, misurata. Eseguito con rigore, lo swing e` sempre presente, sempre controllato. Le stesse qualita` si trovano nel modo di improvvisare dell’artista alla tromba e al clarinetto, ma senza la stessa abilita` tecnica. Il suo stile di solista emerge, nella composizione e negli arrangiamenti, ove egli privilegia la sezione dei sassofoni. Eclettico e competente, ha contribuito ad arricchire il repertorio delle grandi orchestre, particolarmente dell’orchestra di Count Basie con la Kansas City Suite (1960) e The Legend (1961). [F.T.]

Six Or Seven Times (Chocolate Dandies, 1929); Gee Baby Ain’t I Good To You (McKinney’s, 1929); Keep A Song In Your Soul (Henderson, 1930); Sweet Sue (Spike Hughes, 1933); Crazy Rhythm (con Hawkins, 1938); I’m In The Mood For Swing (Hampton, 1938); Cocktail For Two (1940); Alone Together (1952); Bernie’s Tune (JATP, 1950); Additions To Further Definition (1966); The King (1976), Time For The Blues (1988), The Legend (duo con Hank Jones, 1992).

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CARTER, Betty (Lillie Mae JONES) Cantante statunitense (Flint, Michigan, 16/5/1930 - New York, 26/9/1998). Studia pianoforte al conservatorio di Detroit, canta a scuola e in chiesa. Divenuta professionista entra a far parte dell’orchestra di Lionel Hampton, che lascia poi nel 1951, per prodursi in teatro e nei club. All’Apollo presenta lo stesso programma di Ray Charles (1961) con il quale incidera` in seguito un album che diverra` un grosso successo. Effettua una tourne´e in Giappone con Sonny Rollins nel 1963, canta a Londra (1964), ritorna in Europa al festival d’Antibes (1968) e ancora con la troupe del festival di Newport (1976). Nel corso degli anni ’80 si esibisce soprattutto in un trio e con pianisti quali John Hicks e Mulgrew Miller. In diverse circostanze ha cantato con Charlie Parker, John Coltrane, Dizzy Gillespie, J.J. Johnson. All’inizio degli anni ’70 produce lei stessa i suoi dischi, su etichetta Bet-Car. Nel 1988 firma con la Verve. Nel 1993 compie una tourne´ e europea con un gruppo costituito da Geri Allen, Dave Holland e Jack DeJohnette. Bettie Carter e` una cantante discussa; alcuni le rimproverano le sue maniere affettate, altri sottolineano la sua grande musicalita`, le audacie che osa prendere col ritmo o modulando la propria voce come un sassofonista. Bettie Carter, una delle ultime cantanti di bebop, mostra una bella aggressivita` quando si esprime in scat e sottolinea con intelligenza i testi delle sue canzoni, che a volte scrive lei stessa. [A.C.]

Social Call (1956); «Out There» (1958); «The Modern Sound Of Betty Carter» (1961); «Betty Carter at the Village Vanguard» (1975), «Look What I Got» (1988), «Droppin’ Things» (1990); «I’m Yours» (1996).

CARTER, James Sassofonista statunitense (Detroit, 3/1/ 1969). Famiglia di musicisti, e un inquilino (Charles Green) sassofonista: e` lui, l’8 maggio 1980, a scegliere per il giovane James il primo sassofono. Notato da

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Wynton Marsalis (1985), registra l’anno seguente con Donald Washington; e` assunto da Lester Bowie nel 1988, fa parte della Lincoln Center Jazz Orchestra, della Mingus Big Band, dei gruppi di sassofoni di Frank Lowe e Julius Hemphill e si impone, negli anni ’90, come una delle grandi promesse del jazz. Il decennio successivo, in realta`, sembra aver attenuato, e non di poco, questo giudizio, dal momento che Carter si e` spesso perduto nella contemplazione di una maestria strumentale di livello superiore, per non dire assoluto, producendo una musica tanto vigorosa quanto, a volte, puramente superficiale. La curiosita` estetica e strumentale del sassofonista e` comunque impressionante: tutti gli stili del jazz, tutte le epoche e tutta la gamma dei sassofoni sono da lui esplorati in maniera enciclopedica, nel tentativo di darne un’immagine il piu` possibile aggiornata e virtuosistica. Carter, in un certo senso, e` figura emblematica degli aspetti positivi e negativi del jazz di fine [J.P.A.] millennio. «Jurassic Classics» (1994); «Conversin’ With The Elders» (1996).

CARTER, John Wallace Clarinettista, sassofonista e compositore statunitense (Fort Worth, Texas, 24/9/ 1929 - 31/3/1991). Studia il clarinetto, poi il sax alto che pratica con i suoi condiscepoli, Ornette Coleman e Charles Moffett. Dopo i primi ingaggi in orchestre ritmiche e di blues nella sua citta` natale e a Dallas, studia alla Lincoln University del Missouri poi all’universita` del Colorado e in quella del North Texas. Nel 1960 si stabilisce a Los Angeles dove suona con Carmell Jones, Hampton Hawes, Harold Land, Phineas Newborne ecc. e insegna alla California State University. Nel 1965 conosce Bobby Bradford: e` l’inizio di una societa` duratura, dapprima sotto il nome di New Art Jazz Ensemble poi J.C.-B.B. Ensemble. Incidono dischi per Flying Dutchman e per la Revelation Records. A Los Angeles Carter incontra di nuovo Ornette Coleman di cui dirige, nel 1965,

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un’opera sinfonica. Dopo aver suonato il sax alto, tenore e soprano, e anche il flauto, all’inizio degli anni ’70 si dedica al clarinetto. Nel 1975 fonda la casa discografica Ibedon e, senza abbandonare la sua attivita` d’insegnante, continua a produrre nella sfera della musica creativa. Vicino allo spirito di Ornette Coleman come sassofonista alto e come compositore, Carter si e` affermato sviluppando al clarinetto delle tecniche specifiche (polifonia, controllo degli armonici, impiego del suraigu), impostando il suo discorso musicale su grandi intervalli, ereditati dalla musica contemporanea, senza peraltro disdegnare gli apporti del free jazz e della musica africana. [X.P.] Con Bradford: Call To The Festival (1969), Sweet Sunset (1982), Castles Of Ghana (1985); Solo And Ballad For Four Clarinets (Clarinet Summit, 1981); The Captain’s Dilemma (1986); The Dark Tree (Horace Tapscott, 1989).

CARTER, Kent Contrabbassista, violoncellista e compositore statunitense (Hanover, New Hampshire, 12/6/1939). Figlio di un violinista direttore d’orchestra, studia il pianoforte e il violoncello; suona il violino, il banjo e la chitarra nei gruppi locali; si dedica alla musica folk. Nel 1959 opta per il contrabbasso, l’anno successivo si stabilisce a Boston ove lavora con il pianista Lowell Davidson e segue i corsi della Berklee School of Music. Membro della sezione ritmica di un club bostoniano, At Lennie’s, ha l’opportunita` di suonare con Booker Ervin, Phil Woods, Jimmy Cleveland, Sonny Stitt, Zoot Sims, Charlie Mariano, Lucky Thompson e fa parte dei gruppi di Sam Rivers e Hal Galper. Nel 1964 risiede a New York e lavora con la Jazz Composers Orchestra prima di partire con il trio di Paul Bley per l’Europa, ove rimarra` (1965), suonando con Steve Lacy, Don Cherry, Karl Berger, Jacques Thollot, Jacques Pelzer; nel 1970 si stabilisce in Francia e diviene il bassista ufficiale del quintetto di Steve Lacy per circa dieci anni. Contemporaneamente compone e registra dei pezzi per strumenti a

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corda, in cui suona parti differenti grazie alle tecniche di registrazione. Da una sezione ritmica che l’associa nel 1974 al pianista Takashi Kako e al batterista Oliver Johnson nasce, nel 1976, il trio TOK. Modello di equilibrio e di interattivita` nel campo dell’improvvisazione contemporanea, il trio si esibisce e registra in Europa e in Giappone alla fine degli anni ’70 e nel corso degli anni ’80. Suona anche in trio con i violinisti Carlos Zingaro e Franc¸ois Drevo. Contrabbassista dallo stile sicuro, dotato di sonorita` potente, dagli attacchi decisi, Kent Carter sembra cosı` a suo agio sia nelle linee melodiche classiche per basso, sia nell’improvvisazione, investito del ruolo di sostegno ritmico e armonico. Disinvolto nell’usare l’archetto, sa sfruttare tutte le posizioni d’attacco e controlla perfettamente l’emissione degli armonici. Il suo ottimo orecchio ne fa un partner pronto a reagire agli elementi del discorso musicale che viene elaborato all’interno di un gruppo. [X.P.] Interplay nº 2 (1976); con Lacy: The Mooche (1978), The Whammies! (1979); Drips (TOK, 1978); Bass Fanfare (1979); Blue Chopsticks (Roswell Rudd, 1982); «The Willisau Suites» (1984); D’instant (Tchangodei, 1990); Le Vivre (Nelly Pouget, 1993).

CARTER, Ron (Roland Levin) Contrabbassista, violoncellista, violinista, clarinettista, trombonista, chitarrista e tubista statunitense (Ferndale, Michigan, 4/5/1937). Nato in una famiglia numerosa, otto figli, studia, come i suoi fratelli e sorelle, diversi strumenti dall’eta` di dieci anni. Poco dopo comincia a dare concerti di musica da camera. Alla Cass Tech High di Detroit sceglie il basso. Nel 1955 e` bassista in un gruppo locale. Dirige i propri gruppi a Rochester (New York) e si prepara per diplomarsi all’Eastman School of Music nel 1956-59. Suona e incide con l’orchestra filarmonica della scuola poi, nel settembre del 1959, entra a far parte dell’orchestra di Chico Hamilton. A partire dal 1960 suona con Bill Evans, Cannonball Adderley (1961),

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quindi con Eric Dolphy (con il quale registra parecchie volte al violoncello), Jaki Byard, Randy Weston, Bobby Timmons, Mal Waldron. Nel 1963 entra nel quintetto di Miles Davis ove, con Herbie Hancock e Tony Williams, forma una sezione ritmica che rimarra` leggendaria. Le tourne´e che fara` con questa formazione lo renderanno famoso in tutto il mondo (Europa, 1963, 1964, 1967; Giappone, 1964). Nel 1965 lo si ascolta in Europa a fianco di Friedrich Gulda. Nel 1968 abbandona Davis e compare nel New York Bass Choir, che egli lascia nel 1970 per accompagnare Lena Horne in tourne´e. A partire dal 1971 le sue esperienze saranno numerosissime: registra con Michel Legrand (1971), il New York Jazz Quintet (1972), Stanley Turrentine, Hubert Laws, Lionel Hampton, Joe Henderson, McCoy Tyner, George Benson, Freddie Hubbard, Grover Washington, Areta Franklin ecc. Nel 1975 organizza un quartetto con Buster Williams (un altro bassista), Kenny Barron, Ben Riley, ove egli stesso suona il basso piccolo. Successivamente partecipa al VSOP (Hancock, Wayne Shorter, Hubbard, Williams) nel 1977 e al Great Jazz Trio (con Hank Jones e Williams). Nel 1978 lavora nel quartetto diretto da Sonny Rollins, con McCoy Tyner e Al Foster. Nel 1981 entra in societa`, ancora una volta, con Hancock e Williams. Fa una tourne´e mondiale con Wynton Marsalis, lavorando anche con il proprio quartetto. Diplomatosi all’Eastman College of Music di Rochester e alla Manhattan School of Music, Carter insegna improvvisazione alla John Lewis School di New York. Dirige un complesso di sette elementi per il quale scrive ed e` arrangiatore. Le sue collaborazioni sono sempre piu` numerose. Lavora soprattutto nel cinema. Lo stile di accompagnamento, solido, quadrato e swingato, ha segnato il successo di Carter: con piu` di 500 dischi incisi come sideman egli e` , probabilmente, il bassista che ha registrato di piu` nel jazz. Di grande elasticita` in contesti molto diversi fra di loro, tutto lo rende degno erede della tradizione Blanton-Pettiford-Brown. Carter evidenzia una tec-

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nica straordinaria e una sonorita` superba, ma ha anche una maniera di tenere la nota in equilibrio, abbozzando un movimento a bilanciere, o altalenante, che alleggerisce, meravigliosamente, il passaggio verso la fase successiva (Dolores in «Miles Smiles»). La sua concezione ritmica si evidenzia soprattutto quando suona con Miles Davis; egli ha influenzato tutta una [P.B., C.G.] generazione di bassisti. Bilbao Song (Gil Evans, 1960); con Davis: Dolores, Gingerbread Boy (1966); Little Waltz (1977), «A Song For You» (1978), «Etudes» (1983); «Telephone» (Jim Hall, 1984); «Now’s The Time» (Person, 1990); «Brandenburg Concerto» (1996); «The Golden Striker» (2003).

CARVER, Wayman Alexander Flautista, clarinettista, sassofonista e arrangiatore statunitense (Portsmouth, Virginia, 25/12/1905 - Atlanta, Georgia, 6/5/ 1967). Proviene da una famiglia di musicisti e inizia a suonare il flauto molto presto; debutta a Portsmouth, nel 1931 va a New York e suona con Elmer Snowden (1932). Dirige, piu` tardi, la propria orchestra. Nel 1933 si unisce a Benny Carter, nel 1934 entra a far parte dell’orchestra di Chick Webb, per il quale fa numerosi arrangiamenti. Rimane nell’orchestra, rilevata alla morte di Webb da Ella Fitzgerald, fino al 1940. Si dedica allora all’arrangiamento e all’insegnamento, principalmente presso il Clark College di Atlanta, ove lavora fino alla sua morte. Carver e` uno dei primi flautisti di jazz ad [M.R.] aver registrato in solo. Sweet Sue, How Come You Do Me Like You Do (Spike Huges, 1933); Down Home Rag (Webb, 1935).

CARY, Dick (Richard Durant) Pianista, trombettista e arrangiatore statunitense (Hartford, Connecticut, 10/7/ 1916 - Los Angeles, California, 6/4/ 1994). Anche se il suo primo strumento e` stato il violino, che egli suona, ancora studente, nella Hartford Symphony Orchestra, la sua carriera ha inizio con il pianoforte. Nel 1942 suona al Nick’s a

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CASA LOMA ORCHESTRA

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New York, poi e` scritturato da Benny Goodman – per il quale ha scritto degli arrangiamenti (1943) – e dal polistrumentista (trb, cl, cnta, sax) Brad Gowans, prima di essere mobilitato (1944-46). Successivamente entra nell’orchestra di Billy Butterfield, dirige per qualche tempo il suo gruppo, suona con Jean Goldkette e diviene il pianista di All Stars di Louis Armstrong, dal gennaio 1947 al gennaio 1948, partecipando anche al famoso concerto «Armstrong At Town Hall». Dopo un nuovo ingaggio al Nick’s, suona con Tonny Dorsey (1949), Jimmy Dorsey (1950), Muggsy Spanier (1952), Eddie Condon (1954), Bobby Hackett (1956), Max Kaminsky (1958), poi si stabilisce in California (1959) ove ingrandisce la sua attivita` quale arrangiatore e compositore, pur continuando a suonare la tromba, il saxhorn alto e il piano con Bob Crosby, Red Nichols e diversi complessi dixieland, dirigendo, qualche volta, la propria formazione. Effettua con Eddie Condon una tourne´e in Giappone e in Inghilterra (1964), partecipando a numerosi festival, e si reca a piu` riprese in Europa (1975-77). Il suo modo di suonare la tromba (Save It Pretty Mama, 1975) si ispira molto a quello di Louis Armstrong; al pianoforte lo stile di Cary evoca la maniera di Earl Hines (Battle Of The Blues, 1952). Tuttavia l’eclettismo dei suoi gusti musicali, la sua curiosita` polistrumentale e le stesure qualche volta sofisticate, lo fanno esulare dal quadro dei musicisti dixieland. [A.C.] Al piano, con Armstrong: Dear Old Southland, Muskrat Ramble (1947); alla tromba: Davenport Blues (J. Teagarden, 1954); al saxhorn alto: What’s New, Sleighride In July (1975).

CASA LOMA ORCHESTRA Grande orchestra statunitense (tre trombe, da due a tre tromboni, quattro o cinque sassofoni, un violino e una sezione ritmica). Una delle numerose formazioni costituite a Detroit da Jean Goldkette, l’Orange Blossom Band diviene, nel 1926, in seguito a una struttura al Casa Loma Hotel di Toronto (Canada), la Casa

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Loma Orchestra. Dapprima diretta da Henri Biagini e dal violinista Mel Jensen, si organizza in maniera originale sotto forma di cooperativa. Glen Gray ne e` eletto presidente. Numerosi dischi di Okeh e soprattutto di Brunswich, le tourne´e, le trasmissioni radio, la rendono presto celebre durante gli anni ’40. La Casa Loma Orchestra e` divenuta il simbolo di un certo stile di arrangiamento fondato sui riff e scambi (domanda-risposta) fra le sezioni di ottoni e di ance. Sotto l’impulso dinamico del chitarrista e arrangiatore Gene Giford, Goldkette mette insieme un nucleo stabile di buoni solisti (Clarence Hutchinrider, cl, Pee Wee Hunt, tb, Pat Davis, tsax, Sonny Dunham, tr). Pioniere dell’epoca swing, imitato in tutto il mondo, non e` stato sempre apprezzato dai critici che gli rimproverano una [I.D.] tecnica che genera la monotonia. Casa Loma Stomp (1930), White Jazz (1931); Rocking Chair (Armstrong, 1939).

CASEY, Al (Albert Aloysius) Chitarrista statunitense (Louisville, Kentucky, 15/9/1915 - New York, 11/9/2005). Debutta al violino insegnatogli dalla madre negli anni ’20; si reca poi a New York (1930) ove studia la chitarra alla Martin Smith Music School. Verso il 1933 ha l’opportunita` di partecipare a uno show radiotrasmesso al quale prende parte The Southemaires, gruppo familiare diretto da suo padre, batterista professionista; conosce Fats Waller che lo assume come chitarrista nella sua orchestra, posto che occupa dal 1934 al 1943, con intervalli per brevi scritture con Teddy Wilson (193940) e Buster Harding. Alla morte di Waller (1943) opta per la chitarra elettrica e forma un trio, lavorando (e qualche volta registrando) con altri musicisti, fra i quali Coleman Hawkins (1943), Edmond Hall (1943), Earl Hines (1944), Benny Carter (1946) e Louis Armstrong (1947). Nel 1943 ritorna al rhythm and blues, e si unisce alla combo di King Curtis, poi a quella del batterista-ballerino Curley

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CATHERINE

Hamner. Ritorna al jazz e intraprende la carriera free lance accanto a Bob Wilber, Milt Buckner, Jay McShann... Con Fats Waller, sino agli inizi degli anni ’50, Al Casey utilizza la chitarra acustica con la quale e` uno swingman eccezionale, garantendo accompagnamento, controcanto e solo, in mezzo a un gioco di accordi di una pienezza ineguagliabile. Quando passa alla chitarra elettrica, usa meno gli accordi, a beneficio di un fraseggio a nota singola (nota per nota) dalle virtu` ritmiche innegabili. Con Teddy Bunn e Django Reinhardt, Al Casey e` stato uno dei rari chitarristi degli anni ’30 [C.O.] ad avere inventato uno stile.

Abile nel creare un’atmosfera, con una costruzione ingegnosa che alterna un fraseggio bop di grande eleganza, a un gioco di accordi piu` tradizionale, Joe Castro si rivela in ogni occasione un avvincente solista swing, verso il quale e` difficile rimanere insensibili. La sua utilizzazione di tutti i registri della tastiera, con un tocco che a volte sa essere delicato (evoluzione delle linee melodiche sottili e raffinate) e duro (passaggi in block-chords), lo pongono fra i pianisti soul; una sottile linea marginale lo divide da Ahmad Jamal e da Eddie Costa per la sua peculiarita` alla quale non e` mai stata resa sufficiente giustizia. [J.P.R.]

Con Waller: Dream Man, Mandy (1934), Whose Honey Are You? Baby Brown (1935); Esquire Bounce (Hawkins, 1940); Blues (Esquire All Stars, 1944); Rosetta (1960).

J.C. Bluest (1957), Groove Funk Soul, That’s All (1959); con T. Edwards: A Foggy Day (1959), The Sermon (1960).

CASTRO, Joe (Joseph) Pianista statunitense (Miami, Arizona, 15/8/1927). Passa l’infanzia a Pittsburgh (California) ove ottiene numerosi ingaggi, di leader e accompagnatore, dall’eta` di quindici anni. Molto impegnato sulla scena del jazz a San Francisco, interrompe due volte gli studi alla scuola di San Jose´: la prima volta per effettuare il servizio militare (suona nell’orchestra del reggimento), la seconda volta, definitivamente, per consacrarsi alla musica. Nel 1952 si reca in Europa e si esibisce al Palladium di Londra. Forma poi (1953) il proprio gruppo (ne fanno parte Ralph Pen˜a, Chico Halmiton, Red Mitchell e Harry Babasin), con il quale lavora lungo la West Coast da Seattle a San Diego e spesso alle Hawaii, fino al 1956. Prende quindi residenza a New York ove il suo trio raggiunge il successo. Nel 1958 ritorna a Los Angeles e si associa a Teddy Edwards, Leroy Vinnegar e Billy Higgins: suonano e registrano sotto il nome dell’uno o dell’altro per la Pacific Jazz, Atlantic e Contemporary. Eccellente accompagnatore, Joe Castro lavora con June Christy (1959) e Anita O’Day. Nel 1961 soggiorna a Parigi, suona al Mars Club con Leroy Vinnegar e Charles Bellonzi.

CATHERINE, Philip Chitarrista belga (Londra, 27/10/1942). Nel 1959 suona con Lou Bennet, piu` tardi con Jack Sels e Fats Sadi; lavora nei primi anni ’70 con Jean-Luc Ponty, poi con Charlie Mariano (1973). Entra nel gruppo Pork Pie e si esibisce in duo con Larry Coryell (1977). Suona a volte jazz-rock al sintetizzatore; di recente si e` distinto come partner fisso di Chet Baker. Dalla meta` degli anni ’70 collabora spesso con Niels-Henning Ørsted Pedersen e con Kenny Drew. Registra anche con Dexter Gordon (1975), partecipa al «Three Or Four Shades Of Blues» di Charles Mingus (1977) e alla grande formazione riunita dal clarinettista Rolf Ku¨hn (1980). Nel 1989 fa parte dell’European Jazz Ensemble. Ha inoltre registrato, come leader, con Hein Van De Geyn, Aldo Romano (1988), Tom Harrell (1990), e al fianco di Barney Wilen (1991), col quale, al festival di Mans, partecipa al Grand cirque (1992). Dirige piccole formazioni ove mischia alle composizioni originali le composizioni correnti reinterpretate. Catherine continua la tradizione di Django Reinhardt e di Rene´ Thomas, ma ascolta molto anche il pianista Wynton Kelly. Sviluppando una rara tecnica ar-

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CATLETT

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monica integra melodia, accordi e linee di basso, dove il rigore non cede mai all’im[J.Y.L.B.] maginazione. «September Man» (1975), «Twin House» (1977); «The Viking» (con N.H. Ørsted Pedersen, 1983); Coˆte´ jardin (con Escoude´ e Lockwood, 1983); «September Sky» (1988), «I Remember You» (1990); «Moods» (1992).

CATLETT, «Big Sid» (Sidney) Batterista statunitense (Evansville, Indiana, 17/1/1910 - Chicago, Illinois, 25/ 3/1951). Apprende il piano e suona la batteria nel complesso della sua scuola. Debutta con Darnell Haward nel 1928, suona con la Sammy Stewart a Chicago (1929), quindi si stabilisce a New York dove e` scritturato da Elmer Snowden (1931), Benny Carter (1933), Rex Stewart, Eddie Condon e dal McKinney’s Cotton Pickers (1934). Ritorna a Chicago con Eddie King e William Lyles (1934), poi lavora con la Jeter-Pillars Orchestra a St Louis prima di far parte delle grandi orchestre di Fletcher Henderson (1936), Don Redman (1936-38), Louis Armstrong (1938-41), Roy Eldridge e Benny Goodman (1941). Collabora dal 1942 al 1944 al gruppo di Teddy Wilson, e fino al 1947 lavora free lance partecipando a numerose sedute di registrazione. Incontra di nuovo Louis Armstrong, con il quale suona al festival di Nizza nel 1948. Successivamente accompagna a New York e a Chicago Muggsy Spanier, Sidney Bechet e Eddie Condon. Morira` per una crisi cardiaca dietro le quinte dell’Opera House di Chicago. Appare e/o suona nei film: Smash Your Bagage (1933, Vitaphone), Jammin’ The Blues (1944, Gjon Mili e Norman Granz – vi e` Catlett che suona quando Jo Jones e` sullo schermo), Boy, What A Girl (1947, Arthur Leonard). Garantendo lo swing quando siede in una sezione ritmica, Big Sid Catlett, e` stato, con Cozy Cole e Jo Jones, uno dei tre grandi percussionisti degli anni ’30-’40, senza dubbio il piu` completo. Nel 1945 e` convocato a delle sedute di registrazione sia da Mezz Mezzrow sia da Charlie Parker, prova del suo eclettismo. La sua bat-

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tuta secca e precisa con le bacchette o con le spazzole, stabilisce tempi di una solidita` a tutta prova. Questo rigore metronomicamente impeccabile non e` mai brusco, perche´ tutto il modo di suonare di Catlett si basa sulla morbidezza che avvolge con un fruscio ritmico molto ben strutturato il suono del solista, ovvero delle sezioni strumentali, il tutto sostenuto, guidato, esaltato. La forza delle interpunzioni arricchisce la base ritmica. E` uno dei primi percussionisti a improvvisare degli assolo di lunga durata ove, traendo differenti sonorita` dai tamburi, puo` ottenere una linea melodica. Big Sid Catlett e` il maestro dei batteristi della sua generazione; influenza inoltre quelli del bebop e soprattutto Max Roach. Occasionalmente si e` rivelato un cantante piacevole. [F.T.] Stealin’ Apples (F. Henderson, 1936); Haven’t Named It Yet (Hampton, 1939); con Armstrong: Wolverine Blues (1940), Boff Boff, Steak Face (1947); Take It (Goodman, 1941); Afternoon On A Basie Ite (Lester Young, 1943); Rose Room, Mop Mop (Esquire Concert, 1944); Just A Riff, Linger Awhile (1944).

CBS f Columbia.

Celesta Dalla sonorita` pura e argentina questo metallofono a tastiera deriva dal gender giavanese ed e` utilizzato, eccezionalmente, da qualche pianista di jazz e di blues per ottenere un ‘‘colore’’ supplementare per alcuni arrangiamenti. [J.P.A.] Con Louis Armstrong: Basin Street Bloues (Earl Hines, 1928), Some Day (Johnny Guarnieri, 1947); Celeste Blues (Meade Lux Lewis, 1936); Sugar Rose (Fats Waller, 1936); A Stranger In Town (Linton Garner, con Fats Navarro, 1948); Celeste Boogie (Memphis Slim, 1961).

CELESTIN, «Papa» (Oscar Phillip) Trombettista e cantante statunitense (Napoleonville, Louisiana, 1/1/1894 - New Orleans, Louisiana, 15/12/1954). S’interessa dapprima alla chitarra e al mando-

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lino, poi alla tromba e al trombone, con i quali suona in diverse brass band. Arriva a New Orleans nel 1906 ed entra, come cornettista, nell’Indiana Brass Band. Lavora in seguito con l’Allen’s Brass Band e successivamente con Jack Carey. Dirige una sua orchestra alla Tuxedo Hall dal 1910 alla chiusura del club nel 1913. Fa parte di diverse altre orchestre: verso il 1925 prende la direzione della sua Tuxedo Jazz Orchestra che incide tre dischi e ottiene un successo clamoroso, sia nei club della citta` sia in tourne´e negli stati del sud. Nel 1926, 1927 e 1928 registra alcuni dischi che sono documenti interessanti sulla musica dei creoli della Louisiana. All’inizio degli anni ’30 abbandona in parte la musica, pur dirigendo qualche volta la sua orchestra. Ricomincia a suonare regolarmente nel 1946, registra qualche titolo nel 1947 e s’installa al Paddock, ove riscuote un successo considerevole fino alla sua morte. Figura leggendaria del jazz di New Orleans, piu` che aver diretto un’orchestra, Celestin Papa ha diretto cio` che si dice una ‘‘Society Orchestra’’, producendo una musica elegante e raffinata, con poche improvvisazioni. Trombettista senza virtuosismo, utilizza spesso la sordina; gli assolo sono semplici, proposti con molto [J.P.D.] lirismo. Original Tuxedo Rag, Black Rag (1925), My Josephine (1926), It’s Jam Up (1927), Panama (1953).

CERRI, Franco Chitarrista italiano (Milano, 29/1/1926). Un linguaggio espressivo, immediatamente riconoscibile, l’entusiasmo rimasto intatto negli anni, la voglia di inseguire sempre nuovi progetti caratterizzano la personalita` di Franco Cerri, non soltanto il chitarrista italiano piu` popolare (e autorevole), ma anche uno degli stilisti piu` importanti del mondo jazzistico europeo, nel quale i grandi chitarristi non sono certo mancati. Di formazione totalmente autodidatta, Cerri e` il classico esempio di artista che si costruisce una tecnica strumentale non in senso astratto ma sulla

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CHABADA

base delle proprie necessita` espressive. Cerri ha iniziato la sua lunga carriera nel 1945, al fianco di Gorni Kramer, e nel 1949 ha lavorato con Django Reinhardt, la sua prima, vera influenza chitarristica e alla quale seguirono quelle di Jimmy Raney e di Barney Kessel (fondamentale) e poi quelle di Wes Montgomery e Jim Hall, che sono forse all’origine della scoperta di sonorita` piu` morbide e pastose. Negli anni ‘50 ha collaborato con i grandi maestri del jazz di passaggio in Italia: da Chet Baker a Gerry Mulligan, da Billie Holiday a Lee Konitz. I decenni successivi saranno caratterizzati da una intensa attivita` concertistica e dall’inizio della collaborazione con la televisione, che lo rendera` artista popolare anche presso il grande pubblico, grazie a programmi divulgativi ai quali hanno preso parte famosi jazzmen nazionali e internazionali. Alla testa di quartetti e quintetti propri, nei quali figuravano anche nuovi talenti quali Gianluigi Trovesi e Tullio De Piscopo, negli anni ’70 Cerri ha cominciato a segnalarsi anche come raffinato arrangiatore. Nel 1980 inaugura un sodalizio con il pianista e compositore Enrico Intra, formando un quartetto tuttora attivo. Negli ultimi anni si e` proposto come organizzatore e ha intensificato l’attivita` didattica in seno all’associazione culturale Musica Oggi (di cui, con Intra, e` uno dei fondatori), che dirige i Civici Corsi di Jazz di Milano e ha al suo attivo molteplici rassegne concertistiche. Costituita da album pressoche´ irreperibili, la discografia di Franco Cerri non e` cosı` ben rappresentata come meriterebbe. Solo di recente sono apparse (poche) ristampe di [L.C.] alcuni suoi importanti lavori. Chabada Termine onomatopeico che descrive la figura ritmica ternaria di base usata regolarmente dai batteristi per segnare il tempo con la mano destra (per i destrimani) a partire dagli anni ’30. Questo archetipo della pulsazione jazzistica viene suonato sui tamburi con le bacchette e sui tamburi o sul rullante con le

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CHADBOURNE

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spazzole. Ogni cha casca sui tempi deboli (2º e 4º) e ogni da sui tempi forti (1º e 3º), mentre il ba tra i due e` piu` vicino al da che non al cha.

CHADBOURNE, Eugene Chitarrista, cantante e critico musicale statunitense (New York, 8/4/1954). Cresciuto in Colorado, si rifugia poi in Canada per evitare il servizio militare in Vietnam. Appassionato di Sonny Rollins ma anche di Johnny Cash, lavora come giornalista e fa la conoscenza di molti musicisti, tra cui Roland Kirk, che sara` prodigo di consigli e incoraggiamenti. Debutta professionalmente a New York nella seconda meta` degli anni ’70, moltiplicando poi le sue esperienze con David Moss, Bill Laswell, Wayne Horvitz, Toshinori Kondo, George Lewis, Bob Ostertag, Tom Cora. Fonda nel 1980 l’etichetta Parachute, e poco dopo la Fundamental/ Save. Si muove tra il country and western, il rock alternativo (con gli Shockabilly e i Camper Van Beethoven), il jazz e la new music, e registra anche con Carla Bley («Musique Me´ canique», 1979). Dopo due album per l’etichetta zurighese Intakt, si esibisce in Francia nel 1993 in compagnia dell’ex batterista zappiano Jimmy Carl Black, di Noe¨l Akchote´ e del batterista Eric Borelva. Alla chirarra, al dobro, al banjo e ad altri strumenti di propria concezione (ma e` anche cantante), Chadbourne si dichiara influenzato da Charlie Christian, Chuck Berry, Jimi Hendrix, Derek Bailey e Willie Nelson (i suoi eroi: Coltrane, Cage, Bailey). Affronta qualunque contesto con buonumore, come dimostrano le sue esilaranti teorie del «free improvised/country» e del «western/bebop», sviluppando uno stile allegro ed energico, assai personale e comunque legatissimo alla tradizione, farcito di inflessioni metalliche e reperti di varia provenienza. Virtuoso e intrattenitore di talento, ha anche dimostrato, in numerosissimi saggi e articoli critici (molti dei quali reperibili su inter-

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net) di essere un profondo conoscitore del jazz anteguerra, in particolare di quello [G.R.] degli anni ’20. «School» (1978), «The English Channel» (1979); Drag me (Zorn, 1980); «Torture Time» (Bradfield, 1981); Screw KKK (1992).

CHALLIS, Bill (William H.) Arrangiatore e compositore statunitense (Wilkes Barre, Pennsylvania, 8/7/1904 Luzerne, Pennsylvania, 4/10/1994). Da autodidatta impara il pianoforte e il sassofono, compiendo allo stesso tempo approfonditi studi di economia e filosofia. Nel 1925 entra nell’orchestra di Dave Harmon e, l’anno seguente, sottopone qualche suo arrangiamento a Jean Goldkette, che lo assume e lo incarica di sovrintendere a tutta la musica interpretata dalle formazioni che si avvicendano al Graystone Ballroom di Detroit (quartier generale dello stesso Goldkette). Tra il 1926 e il 1927 la piu` importante di queste formazioni comprende Bix Beiderbecke, Frankie Trumbauer, Don Murray, Danny Polo, Joe Venuti, Eddie Lang. Il lavoro con Goldkette gli consente di seguire alcuni dei succitati musicisti nel momento in cui sono ingaggiati da Paul Whiteman. Lavora poi per Fletcher Henderson, Trumbauer, Lennie Hayton, i fratelli Dorsey, Nat Shilkret, la Casa Loma Orchestra, dirigendo a volte proprie formazioni in studi radiofonici (1935-41). Ha anche scritto arrangiamenti per colonne sonore. Abilissimo a mettere in evidenza i solisti delle grandi orchestre (soprattutto Bix e Trumbauer) ed esperto di scrittura per sezioni, per quartetti di trombe e trii di tromboni, Challis e` stato col passare degli anni considerato come uno dei piu` moderni e innovativi arrangiatori degli anni ’20. La sua scrittura ficcante, cantabile e colorita ha saputo suscitare l’ammirazione di Whiteman (che gli aveva offerto liberta` totale), ma anche di Ellington, Henderson e Don Redman. Benny Carter lo considerava come una delle sue principali influenze. [D.N.]

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225 Arrangiamenti: Sunday, Proud Of A Baby Like You, I’m Gonna Meet my Sweetie Now, Slow River (Goldkette, 1926-27); Ostrich Walk, Riverboat Shuffle, Borneo (Trumbauer, 1927-28); Washboard Blues, Changes, Lonely Melody, Dardanelle, Coquette, Louisiana (Whiteman, 1927-28); Great Day, Riverboat Shuffle, Diga-Diga-Doo (1936).

CHALOFF, Serge Sassofonista baritono statunitense (Boston, Massachusetts, 24/11/1923 - 16/7/ 1957). Suo padre e` pianista della Boston Symphony Orchestra, sua madre (la celebre didatta Marguerite Chaloff) insegna musica al conservatorio della citta`. Inizia a studiare il piano e il clarinetto, poi sceglie il sassofono su suggerimento di Jack Washington e Harry Carney. A diciassette anni debutta all’orchestra di Tommy Reynolds (1939). Suona in seguito con Stinky Rodgers (1941-43), Shep Fieds (1943) e accompagna la cantante Ina Ray Hutton (1944). Al momento del suo passaggio nel complesso di Boyd Raeburn e Georgie Auld (1945), emerge per il suo stile originale. Quando si unisce a Jimmy Dorsey (alla fine del 1945) consigliato da Charlie Parker, si fa notare come il primo baritono che suona il bop. Nell’autunno del 1946, e` scritturato da Woody Herman e partecipa, con altri musicisti dell’orchestra, a una registrazione per la Dial, la casa discografica di Ross Russell. Nella Second Herd, al fianco di Stan Getz, Zoot Sims e Herbie Steward, e` uno dei Four Brothers e ottiene un successo che lo porta a detronizzare Harry Carney dal primo posto nei referendum indetti dalle riviste Down Beat e Metronome. Problemi personali, l’uso di stupefacenti e la salute cagionevole, l’obbligano a ridurre le sue attivita` musicali. Lascia Woody Herman nel 1949 e si trasferisce nuovamente a Boston. Nel 1950 partecipa a due spettacoli dell’ottetto diretto da Count Basie. Nel 1954 forma un piccolo complesso che appare in un programma televisivo, prima di divenire l’orchestra abituale di Jazzorama, un club di Boston. Nel 1956 il suo stato di salute si aggrava e una paralisi spinale l’obbliga

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CHAMBERS

all’uso delle stampelle. Con l’aiuto del suo amico, il disc jockey Bob Martin, stila la sua autobiografia, inedita, ove descrive principalmente le conseguenze della droga. Appare ancora nei grandi festival estivi, registra per la Metronome All Stars, fino a quando sara` completamente paralizzato. La complessita` di una sonorita` ampia e tremula, come se venisse soffocata, unica sullo strumento, fanno di Serge Chaloff uno dei piu` grandi innovatori sassofonisti baritoni della storia del jazz. Ogni suo intervento sorprende per foga e vivacita`, testimonia un’urgenza dolorosa, per liberarsi dei demoni minacciosi; impressione ancor piu` viva quando egli si esprime con le ballads. L’intensita` del suo discorso, la sorprendente e profonda presenza degli effetti del fiato, l’estensione dei registri sollecitati (dall’acuto piu` tagliente al basso piu` cupo), conferiscono alle sue interpretazioni grande forza e una bellezza sconvolgente. A questo titolo la sua versione di Body And Soul costituisce un capolavoro indiscusso e di alto livello. [J.P.R.]

Mad Monk (1946); Hoggimous, Higgamous (Sonny Bergman, 1946); Pumpernickel (1947); The Goof And I (Red Rodney, 1947); con Herman: Keen And Peachy, Four Brothers (1947), That’s Right, Lemon Drop (1948), Lollypop, Chickasaw (1949); Neal’s Deal (Basie, 1950); The Fable of Mabel (1954); Easy Street (Boots Mussulli, 1954); Body And Soul, What’s New (1955), I’ve Got The World On A String (1956); Aged In Wood (Elliot Lawrence & The Four Brothers, 1957).

CHAMBERS, Joe (Joseph Arthur) Percussionista, compositore e arrangiatore statunitense (Stoneacre, Virginia, 25/6/1942). Dopo aver studiato a Filadelfia e Washington ove ha cominciato a suonare (1960-63), debutta a New York con Eric Dolphy (1963), registra il suo primo album per Blue Note nel 1964 e diviene uno dei batteristi della casa discografica. Nel 1965 registra con Wayne Shorter, Sam Rivers, Bobby Hutcherson; suona con Lou Donaldson, Jimmy Giuf-

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CHAMBERS

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fre, Andrew Hill, Charles Lloyd e con Archie Shepp a Newport. In Europa e` accanto a Harold Land e Hutcherson (1969). Negli anni ’70 diviene membro del M’Boom Re: Percussion di Max Roach. Da questo momento in poi raramente persegue una carriera brillante con i piu` grandi: Shepp (1969-77), Mingus (1972 alla Town Hall), Woody Shaw (1977), M’Boom (1978-84), Chet Baker (1982), Steve Grossman (1984). La New York Jazz Repertory interpreta la sua composizione The Almoravid (1974). Rivela il suo talento di pianista in duo con Larry Young, quindi registra al piano in solo (1978). In Europa con la Mingus Dynasty (1982) e con l’orchestra di M’Boom (1987). Partecipa alla colonna sonora del film di Spike Lee She’s Gotta Have It (1987), incide con i pianisti Uli Lenz (1988), Stanley Cowell (1989) e Kevin Hays, il flautista Jeremy Steig, il sassofonista Ricky Woodard (1992) e, svariate volte, da leader. Nel 1991 dirige un quintetto al (nuovo) Birdland di New York. Escluso l’aspetto spettacolare ed energico della percussione, Chambers tende alla concisione. Il suo modo di suonare rimane rigoroso, attento all’aspetto melodico e ai contrasti dinamici, da cui il gusto per la forma che si puo` ritrovare nel compositore. [C.B.]

Windind, Benny Green e fa l’incontro decisivo con Miles Davis, con il quale restera` in societa` fino al 1963. Alla fine degli anni ’50 registra in compagnia di Red Garland e Art Taylor, di Wynton Kelly e Philly Joe Jones e con i piu` grandi jazzisti del momento: Miles, ma anche Sonny Rollins e John Coltrane, che gli dedica un tema, Mr P.C. Dal 1963 forma un trio con Kelly e Jimmy Cobb, dopo di che gestisce la propria carriera come free lance, riservandosi il tempo per suonare con Wes Montgomery, Tony Scott o Barry Harris. Muore di tubercolosi. Fra i piu` dotati, possiede regolarita` e precisione di metronomo. Erede di Jimmy Blanton e rivale di Oscar Pettiford, e` estremamente efficace quando accompagna un solista: tempo e soprattutto musicalita` perfetta al punto da ottenere, qualche volta, di sostituire il pianoforte con il basso. I suoi solo all’archetto hanno un registro piuttosto basso, che, paradossalmente, lo avvicinano a un sassofonista come Rollins: vigore nell’attacco, ricchezza melodica e swing costante. [F.R.S.]

Etcetera (Shorter, 1965); Le Matin des Noirs (Sheep, 1965); Dialogue (Hutcherson, 1965); The Almoravid (1973), Mind Rain (1977), Joe’s Blues (1978), Epistrophy (1979); The Song Is You (Baker, 1982); El Gaucho (1991).

CHAMBLEE, Eddie (Edward Leon) Sassofonista tenore statunitense (Atlanta, Georgia, 24/2/1920 - 1/5/1999). Ha dodici anni quando il padre gli regala un sassofono, che suonera` in un gruppo universitario di Chicago dove studia legge e poi in un’orchestra militare (1941-46). Smobilitato, forma un gruppo che dirige a Chicago fino al 1955, data in cui si trasferisce in California, ingaggiato nell’orchestra di Lionel Hampton dove ritrova Dinah Washington, che aveva cantato con lui quindici anni prima quando erano tutti e due studenti. La sposa nel 1956, l’accompagna sul palco a partire dal 1957 e diventa il suo direttore musicale. Forma dei complessi con i quali partecipa a numerose registrazioni per accompagnare gruppi vocali (The Drifters, The Diamonds...) e suona in alcuni club intorno a

CHAMBERS, Paul Contrabbassista e compositore statunitense (Pittsburgh, Pennsylvania, 22/4/ 1935 - New York, 4/1/1969). Battezzato Paul Lawrence Dunbar Jr., in onore del padre e del celebre poeta statunitense del XIX secolo, comincia a suonare con il sassofono baritono e la tuba. A Detroit e` compagno di classe di Donald Byrd e Doug Watkins. Debutta nel 1949 nel combo di Kenny Burrel prima di unirsi a Paul Quinichette nel 1954. L’anno successivo accompagna J.J. Johnson, Kai

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High Step (1955), Whim Of Chambers (1956); Anatomy (Coltrane, 1957); Four Strings (1957); You Stepped Out Of A Dream (Rollins, 1957); Sid’s Ahend (David, 1958); Bass Region (1960).

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New York, accettando a volte ingaggi di breve durata, per esempio con Cozy Cole (1960) o Machito. E` stato una prima volta in Europa con Hampton nel 1956 e venti anni dopo, nel 1976, in tourne´e con dei vecchi hamptoniani. Da allora continua a prodursi in piccoli gruppi, sia come solista, sia come leader animando come e` noto le ‘‘Jazz Brunches’’ di Sweet Basil (1986-87). Uno dei migliori specialisti del blues strumentale, Eddie Chamblee si fa avanti con sicurezza e determinazione. I suoi assolo, strutturati semplicemente, sono caratterizzati da un vigore e da un dinamismo che si inseriscono nell’ambito dell’eredita` di Coleman Hawkins, Chu Berry e altri, Arnett Cobb o Illinois Jacquet. Favorito da una sonorita` mordente, usa spesso gli effetti di growl, dando cosı` al suo modo di suonare – allo swing costante – molta espressivita`, sia nell’interpretazione di una ballad sia nei voli convulsi in [A.C.] ‘‘tempo’’ vivace. Con L. Hampton: The Rice, Flyin’ At The Olympia (1956); «Fats Walker Album» (D. Washington, 1957); «The Rockin’ Tenor of Eddie Chamblee» (1964), «Twenty Years After» (1976).

CHARIG, Mark Cornettista e trombettista britannico (Londra, 22/2/1944). Trombettista autodidatta, dopo aver collaborato a diversi gruppi di blues e di soul (ha accompagnato Stevie Wonder nel 1966), e`, fin dagli anni ’60, particolarmente coinvolto nelle correnti del progressive rock, del jazz-rock e soprattutto della musica improvvisata. Sara` per questo membro dei diversi gruppi di Keith Tippett, della Brotherhood Of Breath di Chris McGregor (1970-77, 1981), di svariati gruppi riuniti da Elton Dean e Hugh Hopper, e della London Jazz Composer’s Orchestra. Presente spesso sul continente, specialmente in Germania, si produce con Fred Van Hove presso la MLA (con Radu Malfatti e Paul Rutherford) e la ML DD 4 (con Gunter Sommer e Phil Wachsmann), cosı` come il Globe Unity di Alexander von Schlippenbach, e partecipa a Scoop, un

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CHARLES

ottetto di Didier Levallet al festival di Angouleˆme nel 1983. Collabora regolarmente con Maarten Altena. Piu` che tratti chiari e brillanti, Mark Charig usa volentieri timbri e intervalli inusuali per costruire un discorso teso ed espressivo, trattenendo la colonna d’aria alla soglia dell’emissione sonora (alla maniera di un ‘‘rumorista’’, come Lester Bowie), o spingendola al contrario con violenza fino ai limiti della saturazione acustica. [X.P.] Septober Energy (Centipede, 1971); Bellaphon (1977); Was macht Ihr denn? (ML DD 4, 1982); Azimuts, 2 e partie (Levallet, 1983); The Marre (Altena, 1987).

CHARLES, Dennis Batterista statunitense (St. Croix, Isole Vergini, 4/12/1933 - New York, 25/3/ 1998). Suo nonno e suo padre suonano le congas, mentre suo fratello, Frank, e` batterista. Nel 1945 la madre divorzia dal padre e lascia le Antille con i figli. Harlem, 1950: Dennis, dopo aver provato con le congas, comincia a suonare la batteria alla New York Vocational School. Lo stesso anno, viene implicato in una rissa fra bande di adolescenti e condannato a due anni di prigione. Liberato, riprende lo studio della batteria, con Art Blakey come modello. Ottiene i suoi primi ingaggi insieme al fratello in alcune orchestre di calipso e, nel 1956, conosce Cecil Taylor. Non trovando un batterista adatto, suona in duo con un bassista. Nel settembre dello stesso anno, a Detroit, il pianista registra il suo primo disco per la casa Transition, con Charles, Buell Neidlinger e Steve Lacy. L’anno dopo, partecipano al festival di Newport, e il batterista accompagna Lacy per il suo primo album da leader, «Soprano Today». Poi, sempre al fianco di Taylor, partecipa alla composizione di Jack Gelber «The Connection» e suona al Five Spot. Nel 1959 lavora e registra («Great Jazz Standards») nell’orchestra di Gil Evans, ritorna al Five Spot, ma come partner di Jimmy Giuffre, e suona al Birdland con Wilbur Ware. 1960: ritrova Taylor per un disco Candid.

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CHARLES

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Dal 1961 al 1964 completa il gruppo formato da Lacy, Roswell Rudde e Henry Grimes per suonare le composizioni di Thelonious Monk. Lavora poi con Archie Sheep («The Magic Of Ju-Ju»), Don Cherry, Sonny Rollins («What’s new?», 1962) e si ritira dalla scena del jazz dopo la morte dei due figli nel 1963 e, due anni dopo, della moglie. Quindi suona solo occasionalmente in alcuni gruppi di calipso e per la danza. Ritorna alla musica improvvisata nel 1978; con il clarinettista Peter Kuhn, fa parte all’inizio degli anni ’80 dei Jazz Doctors (Frank Lowe, Billy Bang...); suona a piu` riprese in Europa, con Lacy, Bang, Bobby Few, e partecipa a varie registrazioni pubblicate dalla compagnia italiana Soul Note, specie con Jemeel Moondoc. Registra anche con il bassista Wilber Morris (con David Murray, 1983) e il contraltista Rob Brown (con William Parker, 1989). Nel 1993 compie una tourne´e (Outlaws In Jazz) in Europa con Jac Berrocal, Daunik Lazro e Didier Levallet. Tamburi dalle sonorita` secche o soffocate – ‘‘primitive’’ – e dalle infinite sfumature e variazioni di tensione (da percussionista a mani nude), fruscio in crescendo di piatti: forse uno dei drumming piu` ‘‘africani’’ e uno dei meno convenzionali del jazz contemporaneo, come in stato di assolo – o piuttosto di dialogo – permanente. Lontano da ogni routine metrono[P.C.] mica, o spettacolare. Bemsha Swing (Taylor, 1956); The Kill (P. Kuhn, 1981); The Flame (Lacy, 1982); Firewalk (R. Brown, 1989).

CHARLES, Ray (ROBINSON) Cantante, pianista, organista, sassofonista, compositore e direttore di orchestra statunitense (Albany, Georgia, 23/9/1932 - Beverly Hills, 10/6/2004). Cieco dall’eta` di sette anni, studia musica in un istituto a San Augustine (Florida), e suona in questa regione, quasi come un mendicante. Fonda a Seattle, il McSon Trio (o Maxim Trio) a imitazione di King Cole (1948). Incontra a Los Angeles il cantante e chitarrista di blues Lowell Fulson e si associa

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alle sue tourne´e in cui accompagna TBone Walker e Joe Turner (1950). Poi lascia Jack Lauderdale, suo primo impresario, per Ahmet Ertegun, che lo ingaggia presso Atlantic – l’editore che contribuı` a imporre il rhythm and blues a partire dal 1953. Soggiorna a New Orleans, poi parte per il Texas per associarsi con Ruth Brown e forma un gruppo di sette musicisti, con David Newmann (sax) e Joe Bridgewater (tr). Impone allora una concezione originale in cui combina blues e gospel, cantando parole profane, se non addirittura salaci, sul ritmo e le armonie degli spiritual. Molti hit, fra cui I Got A Woman (1954), gli conferiscono il primo posto nel mondo vocale nero americano. Sempre al piano elettrico nella sua orchestra in cui suonano Marcus Belgrave, Joe Hunt, Phil Guilbeau (tr), David Newmann, Hank Crawford, Don Wilkerson, Leroy Cooper (ance), Edgar Willis (cb), ai quali si aggiunge il coro femminile delle Raelets di cui faranno parte Marjorie Hendrix e Mary Ann Fisher. Hallelujah, I Love Her So (1955) fanno apprezzare Ray Charles al pubblico bianco. Partecipa ad alcune registrazioni strumentali in compagnia di Oscar Pettiford, Billy Mitchell, Kenny Burrel e Milt Jackson, trionfa al festival di Newport (1958), alla Carnegie Hall (1959) e viene presentato in Europa (1960). A partire da questo momento si fa accompagnare da una grande orchestra. Dopo aver rotto con la droga, si impone come una delle grandi voci degli anni del dopo ’60, forse piu` famoso in Europa che negli Stati Uniti a partire dal 1980. Ha partecipato ai film Swingin Along (Charles Barton, 1960) e Ballad In Blue (Paul Henried, 1964) e ha pubblicato la sua autobiografia: Brother Ray – Ray Charles’s Own Story. King Cole, Louis Jordan e Charles Brown furono i suoi primi ispiratori. Il successo conquistato a partire dal 1955 nel genere del rhythm and blues, amplificato dalla moda del rock and roll, sfocio` sulla sua volonta` di riuscire a sfruttare tutte le risorse della sua voce. Tragica, sofferente, dolce o graffiata, e` al servizio di un repertorio molto eclettico (country music, ope-

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rette e standard). Il trattamento del ‘‘tempo’’, soprattutto quando e` lentissimo, gli permette di tenere il pubblico con il fiato sospeso, di creare una suspence vocale che lo situa sullo stesso piano dei piu` grandi cantanti neri del secolo: Bessie Smith, Louis Armstrong, King Cole e, di fatto, al livello delle glorie dello show business come Sinatra, Stevie Wonder o Ella Fitzgerald. Ma e` quando ritorna al blues che diventa insuperabile. Strumentista, ha suonato episodicamente il sassofono, ma e` soprattutto un eccel[F.T.] lente pianista. I Found My Baby There (1950), Feelin’ Sad (1953), Drown In My Own Tears (1955), Lonely Avenue (1956); Soul Brothers (con Milt Jackson, strumentale, 1957); Yes Indeed (1958), «At Newport» (1958), What’d I Say (1959), Come Rain Or Come Shine (1959), Georgia On My Mind, Outskirts of Town (1960), Hit The Road Jack (1961), Careless Love (1962), I Can’t Stop Lovin’ You (1962), Ol’ Man River (1963), The Cincinnati Kid (1964), Drifting Blues (1965), What Have They Done To My Song (1972), La Mamma (1975), Porgy And Bess (1976), 3/4 Time (1983).

CHARLES, Teddy (Theodore Charles COHEN) Vibrafonista, pianista, arrangiatore e compositore statunitense (Chicopee Falls, Massachusetts, 13/4/1928). Dopo aver imparato a suonare il piano sotto la direzione della madre, nel 1946, studia le percussioni alla Juilliard School. Debutta al vibrafono e alla batteria nel gruppo di Bob Astor, suona successivamente con Randy Brooks, Benny Goodman (1948), Chubby Jackson, Buddy De Franco (1949), prima di formare un quintetto con il cantante Jackie Paris (1950). Sciolto il gruppo si esibisce nel 1951-52 con Anita O’Day, Oscar Pettiford, Roy Eldridge, Slim Gaillard e di nuovo con De Franco. Alla fine del 1952, avendo formato il suo complesso, adotta allora lo pseudonimo di Teddy Charles, prende lezioni di composizione con Hal Overton, fa parte dello Jazz Composer’s Workshop con Teo Macero (1953-55) e presenta nel

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CHARLESTON

1956, al festival di Newport, una formazione sperimentale di dieci musicisti. Assolve anche le funzioni di direttore artistico per diverse case discografiche (Prestige, Jubilee, Bethlem, Warwick, Motown). A partire dal 1964, leader del suo New Directions Quintet, si esibisce nelle universita` poi, progressivamente, abbandona la musica per attivita` legate alla navigazione da diporto. Il 1981 segna il suo ritorno al vibrafono dopo tredici anni di interruzione. A capo di un suo quartetto, giunge in Europa durante l’estate del 1988, e si esibisce al Verona Jazz Festival. Divenuto vibrafonista dopo aver ascoltato Lionel Hampton nel quartetto di Benny Goodmann, Teddy Charles fu soprattutto un arrangiatore sempre in anticipo sulla sua epoca. E` uno dei primi a preoccuparsi di inserire gli assolo nella continuita` della scrittura. Opponendosi alla quadratura classica delle trentadue misure, usa modi, metriche e armonie inusuali, sempre evitando le trappole dell’accademismo. La sua influenza fu molto piu` importante della sua fama presso il pubblico. [A.T.]

Paul’s Cause (1953); con Shorty Rogers: Etudiez le cahier, Variations On A Motive By Bud (1953), Struttin’ With Some Barbecue (1960), «Live At The Verona Jazz Festival» (1988).

Charleston 1. Danza la cui origine e` da situarsi nel sud degli Stati Uniti. Resa commerciale e popolare a partire dal 1923, grazie soprattutto alla composizione Charleston di James P. Johnson, estratta dalla rivista nera Runnin’ Wild, fu praticata in tutto il mondo e contribuı` alla diffusione del jazz, dato che il suo ritmo fortemente sincopato conveniva particolarmente alle orchestre dixieland. 2. Uno degli elementi della batteria. Assemblaggio di due piatti di rame montati uno sull’altro su un’asta verticale che passa nel centro. I piatti si scontrano quando il batterista aziona il pedale corrispondente. Inventato verso il 1926 dai percussionisti Vic Berton (1896 - 1951) e

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CHASE

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Kaiser Marshall, questo dispositivo fece in modo di liberare le mani del batterista e fu un elemento determinante dell’evoluzione delle sezioni ritmiche, soprattutto quelle delle big band, contribuendo a uguagliare il valore del tempo debole con quello del tempo forte. Particolarmente evidente nel modo di suonare di Chick Webb, Jo Jones, Cozy Cole, Gene Krupa e Sidney Catlett, il charleston fa ormai parte dell’armamentario di tutti i batteristi. Sinonimo: high hat (o hi-hat), sock cymbal. f anche Batteria. [P.C.] Chase (letter. ‘‘caccia’’, ‘‘inseguimento’’) Con questo termine si e` soliti designare una gara che oppone/riunisce due o piu` strumentisti, spesso della stessa natura, che, uno alla volta, improvvisano su un dato numero di misure, generalmente quattro ciascuno (fours in inglese, 4/4 in italiano). Poiche´ favoriscono l’emulazione, questi scambi vengono praticati molto nelle jam session, dando spesso luogo a delle battaglie omeriche come quelle a cui si abbandonavano Wardell Gray e Dexter Gordon nei club di Los Angeles nel 1947. Ne hanno lasciato una eco in The Chase (1947-52). I due sassofonisti usano il processo di diminuzione che consiste nell’alternare 32 misure ciascuno, poi a diminuire della meta` con delle serie di 16/16, 8/8 e 4/4. The Chase e` il punto di partenza di una lunga serie di duelli di sassofonisti tenori, molto in voga negli anni ’50 (Gene Ammons/Sonny Stitt, Eddie Davis/ Johnny Griffin ecc.). In The Blues Walk (Clifford Brown/Max Roach, 1955), Harold Land e Clifford Brown vanno piu` avanti nella diminuzione degli scambi: 4/4, 2/2, 1/1 e anche 1/2, 1/2. Altre chase famose: Louis Armstrong/ Earl Hines in Weather Bird (Armstrong, 1928), Rex Stewart/Cootie Williams in Tootin’ Through The Roof (Duke Ellington, 1939), Sonny Rollins/Elvin Jones in Sonny Moon For Two (Rollins, 1957). [A.C., Ph.B.]

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CHAUTEMPS, Jean-Louis Sassofonista, flautista e compositore francese (Parigi, 6/8/1931). Figlio di un medico, frequenta l’E´cole Alsacienne e il liceo Buffon prima di studiare legge e medicina. Lavora al sassofono da autodidatta, nel 1949, poi studia armonia (1951). Debutta con Claude Bolling (1952-54). Lo si ascolta anche con Sidney Bechet, Django Reinhardt, Zoot Sims, Lester Young (1953), Bobby Jaspar, Albert Ayler, Roy Eldridge, Don Byas; in seguito con Chet Baker (con il quale gira in Europa nel 1955-56) e Henri Renaud (1956). Dal 1957 al 1959 e` in Germania nell’orchestra di Kurt Edelhagen (radio di Colonia) come sassofonista e arrangiatore. Nel 1960, a Parigi suona con Kenny Clarke, Martial Solal, Slide Hampton, Eddy Louiss, Rene´ Urtreger, Johnny Griffin, Dexter Gordon, Daniel Humair, Raymond Fol, Roger Gue´rin, Jef Gilson ecc. Nel 1965 partecipa alle prime manifestazioni del free jazz in Francia. Collabora in seguito a l’Ensemble Inter-Contemporain e gira negli Stati Uniti con Musique vivante (1972). Nel 1976 crea Rhizome, gruppo di incontro di musicisti classici e jazzisti sulla musica improvvisata (la formazione rinascera` quattro anni dopo con il nome di Rhizome encore). Dal 1978 insegna al conservatorio di Bagneux; membro della Compagnie Lubat dal 1976 al 1980, crea poi con Philippe Mate´, Franc¸ois Jeanneau e Jacques Di Donato, il Quatuor de saxophones (1979), che fa la sua prima apparizione al festival di Moers. Nel 1980 suona nell’ambito di Pandemonium di Franc¸ois Jeanneau con Dizzy Gillespie, e fa un’apparizione al festival di Avignone ne Les Myste`res de l’Amour di Roger Vitrac. Nel 1981 l’Ircam gli affida la programmazione di una serata: il Quatuor de Saxophones suona opere di Globokar, Paul Me´fano e Chautemps – From a Saxophonogical Point Of View. Dal 1982, per due anni, dirige con Albert Mangelsdorff l’Orchestre franco-allemand, dove interviene come solista. Membro della big band di Martial Solal si esibisce spesso in duetto con quest’ultimo. Nel 1986 fa

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parte della prima Orchestre National de Jazz, scrive musiche per balletti e Interface a` facettes, su Macintosh, composizione per orchestra di armonia – commissione dello stato. Nel 1987 suona al museo Guggenheim di New York nell’ambito del Quatuor de saxophones. E` su tutti i fronti della musica di oggi: musicista di sala, di jazz, di musica contemporanea, insegnante. Nel suo modo di suonare troviamo in ugual misura i sedimenti dei periodi musicali che ha attraversato: fraseggi bebop, una potenza tellurica tutta rollinsiana, un gusto del collage e del patchwork e un’attrazione particolare per i ritmi binari contemporanei. Si distingue per una sonorita` ben piazzata, posata, lavorata, un vibrato largo, eredita` del suo passaggio attraverso il free jazz, e un fraseggio spezzato, in cui troviamo non pochi salti di note. Di grande precisione ritmica, con una perfetta padronanza del suono (la sua prima preoccupazione) e dell’agilita`, e` un compositore sempre alla ricerca della perfezione formale, abituato alle pratiche di tutto l’insieme del campo musicale. [P.B., C.G.] Le Grand Bidou (Gilson, 1963); Sconsolato (Nathan Davis, 1965); Belgian Smoke (Quatuor de saxophones, 1982); Sur And Sue Helen (1988); «Ninga» (Cesarius Alvim, 1993).

CHEATHAM, «Doc» (Adolphus Anthony) Trombettista statunitense (Nashville, Tennessee, 13/6/1905 - Washington, D.C., 2/6/1997). Ottiene il suo primo impiego nell’orchestra di Marion Hardy. Verso il 1924 e` in tourne´e con i Synco Jazzers di John Bearcat Williams, quindi si trasferisce a Chicago dove entra nell’orchestra di Albert Wynn, in cui suona la cornetta, il sax soprano e il tenore. Nel 1926 monta un’orchestra e incide (soprano) con Ma Rainey, quindi raggiunge Bobby Lee a Filadelfia; poi lavora con Wilbur DeParis (1927-28) e a New York con Sam Wooding, e giunge in Europa nel 1928. Lo ritroviamo nei Maryon Hardy’s Alabamians (1930-32) e nei McKinney’s Cotton Pickers (1931-32). Entra nel gruppo di Cab Calloway e vi resta fino al

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CHERRY

1939, partecipando alla tourne´e europea del 1934. Dopo suona nella grande orchestra di Teddy Wilson (1939), con Benny Carter (1940), Teddy Hill, Fletcher Henderson (1941). Lavora con il sestetto di Eddi Heywood (1943-45), da` lezioni di tromba, suona con Claude Hopkins (1946) e, dal 1948, sempre piu` di frequente con l’orchestra di Marcelino Guerra e alcune orchestre da ballo latinoamericane: Perez Prado (1951-52), Machito. Ritrova Calloway nel 1951 e suona con Vic Dickenson a Boston dal 1952 al 1955. Nel 1957 registra e fa una tourne´e con l’orchestra di Wilbur DeParis, quindi ritorna in Europa con Sammy Price (1958) e Herbie Mann (1960). Dirige la sua orchestra all’International di New York (1960-65), poi suona con Benny Goodmann (1966-67), che accompagna in Europa, dove si esibisce (1967) anche con il Top Brass Package. A partire da questo momento continua a suonare da solo (partecipa anche al 360 Degree Music Experience di Beaver Harris), dando prova di un’incredibile vitalita`: a piu` di ottant’anni, suona regolarmente e professionalmente lo strumento piu` esigente che ci sia, per il quale ha scritto un metodo di improvvisazione. E` considerato l’erede di Armstrong per il suo fraseggio, e di Joe Smith per la dolcezza e la delicatezza di un’esecuzione estremamente melodica. [J.P.D.] I’ve Got The World On A String (Calloway, 1932); My Favourite Blues (Carter, 1941); Carry Me Back To Old Virginia (Heywood, 1944); Doc And Sam’s Blues (con Sammy Price, 1976); «Black Beauty» (1982).

CHERRY, Don (Donald E.) Trombettista, flautista, percussionista, pianista e compositore statunitense (Oklahoma City, Oklahoma, 18/11/1936 Malaga, 19/10/1995). Meticcio, si ricordera` sempre delle sue origini nere e indiane (sua madre e` choctaw). La sua famiglia si stabilisce a Los Angeles nel 1940 (suo padre diventa il barman del famoso Plantation Club dove si e` esibita la crema delle big band). Studia danza e pianoforte prima di cominciare a dodici

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CHERRY

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anni la tromba; quindi partecipa a delle orchestre di rhythm and blues, crea il suo primo gruppo a quattordici anni, suona, nel 1951, con Red Mitchell, Wardell Gray, Dexter Gordon, e forma nel 1957, con James Clay, un quartetto che gli permette di effettuare la sua prima tourne´e. Il 1957 e` per lui anche l’anno di un incontro decisivo: quello con Ornette Coleman; assieme formano un gruppo (inizialmente diretto da Cherry, con Don Payne al contrabbasso, Walter Norris e Billy Higgins), si fiancheggiano l’anno seguente nel quintetto di Paul Bley (con Charlie Haden e Higgins) e incidono entrambi (con il nome di Ornette e in altre formazioni) i loro primi dischi per la Contemporary («Something Else!!!», 1958, «Tomorrow Is The Question», 1959). Percy Heath, bassista del secondo album, il factotum del Modern Jazz Quartet, presenta Coleman al presidente dell’Atlantic, Nesuhi Ertegun, che stipula un contratto con il sassofonista nello stesso 1959 e offre, sia a lui sia a Cherry, una borsa di studio per la Lenox School of Jazz (Massachusetts) diretta da John Lewis, gia` loro accanito sostenitore. Lı` fanno sensazione durante i concerti, entusiasmano Gunther Schuller e il critico Martin Williams che, in novembre, favorisce il primo ingaggio newyorkese del quartetto di Ornette al Five Spot; il batterista e` ancora Higgins, cosı` come nei suoi primi due dischi Atlantic: «The Shape Of Jazz To Come», «Change Of The Century» (Ornette incide per la casa fino al 1962: nove album di cui otto come leader con Don). A partire dal terzo, «This Is Our Music» (1960), c’e` Ed Blackwell a dialogare con Coleman, Cherry e Haden. A questo quartetto si associeranno poi, il 21 dicembre 1960, Freddie Hubbard, Eric Dolphy, Scott LaFaro e Higgins per registrare ‘‘Free jazz’’: la seduta in doppio quartetto afferma la New Thing di cui le registrazioni precedenti erano le primizie, una svolta radicale del pensiero jazzistico. In giugnoluglio, Cherry ha partecipato alla registrazione di un disco con Coltrane: «The Avant-Garde»; su una composizione di Coleman, The Blessing, il sassofonista

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incide per la prima volta con il soprano. Nel 1961 Cherry prende parte a un disco di Steve Lacy («Evidence»); nel 1962 lascia Coleman e fa una tourne´e con Sonny Rollins: «Our Man In Jazz» testimonia la loro collaborazione. Nel 1963, crea con Archie Sheep, John Tchicai, Don Moore e J.C. Moses, il New York Contemporary Five; il gruppo parte per l’Europa (Scandinavia), si scioglie al ritorno, e Don raggiunge Albert Ayler («New York Eye And Ear Control»), con il quale ritorna in Danimarca («Vibrations», 1964): si tratta dei suoi primi soggiorni europei che diventeranno sempre piu` lunghi e frequenti fino al suo definitivo trasferimento in Svezia dove sposera` Moki, artista di origine lappone (1970). In seguito forma un quintetto a Parigi dove rimarra` fino al 1965 (Gato Barbieri, Karl Berger, Jean-Franc¸ois Jenny-Clark, Aldo Romano); in quell’anno lavora con il pianista-compositore italiano Giorgio Gaslini per un’opera per dieci musicisti che associa la scrittura seriale e l’improvvisazione free («Nuovi Sentimenti»), si unisce a George Russell («Live At Beethoven Hall») e ritorna a New York per pubblicare i suoi primi album importanti su Blue Note: «Complete Communion» (1965), «Symphony For Improvisers», «Where Is Brooklin?» (1965). Durante queste registrazioni, in cui i sassofonisti sono successivamente Barbieri e Pharoah Sanders, ritrova Ed Blackwell, con cui incide in duo a Parigi, e poi in Germania («Mu», 1969; «El Corazon», 1982): una stessa parentela spirituale li lega, come Dewey Redman e Charlie Haden, al richiamo di Old And New Dreams e ai suoi slanci colemaniani dal 1976 al 1982. Nel 1968 e` uno dei solisti di Communications (Jazz Composers Orchestra), e suona in studio con Carla Bley per «Escalator Over The Hill» (1968-71). Nel 1969, nuova associazione con Ornette in occasione di un ritorno a New York («Crisis», «Science Fiction»), collaborazione al Liberation Music Orchestra di Charlie Haden (Impulse) e borsa di artist in residence al Darmouth College (New Hampshire) dove registra con Jon Appleton, compositore speciali-

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sta dei sintetizzatori («Human Music»). Poco dopo abbandona gli Stati Uniti con clamore per protestare contro il governo di Nixon e i bombardamenti in Cambogia. Inizia allora quel nomadismo di cui la Svezia rappresenta l’unico punto di riferimento, che lo conduce a provare tutte le culture e a imparare e praticare tutti i tipi di musica: canto Dhrupad dell’India del Nord con i fratelli Dagar, musica turca con il percussionista Okay Termiz, note del Sudafrica con Johnny Mbizo Dyani e Abdullah Ibrahim (Dollar Brand), musica ‘‘contemporanea’’ con Krzysztof Penderecki («Actions», 1971) ecc. L’Organic Music Theatre che fonda insieme a Moki e la scuola di musica, comunita` di cui e` l’animatore, traducono la sua curiosita`, i suoi sentimenti universalisti e mistici; un ecumenismo gia` abbozzato da «Eternal Rhythm» (1968), ritrovabile anche nei suoi concerti di ‘‘musica organica’’ degli anni ’70, circondati dalle opere di Moki e ai quali partecipano bambini della comunita` e del pubblico. Questo sincretismo sara` alla base del trio Codona (tre album per la ECM), che forma nel 1980 con Nana´ Vasconcelos e Colin Walcott (specialista statunitense del sitar e delle tablas) fino alla morte accidentale di quest’ultimo nel 1984; ma anche dei suoi dialoghi con il suonatore di tablas Latif Khan (1978), il sassofonista camerunese Manu Dibango (1982-83), Jimi Hendrix due settimane prima della sua morte (1970), e anche con il cantante-poeta Lou Reed, araldo di un punk letterario (1978). Nel 1982, offre il suo studio a Charli Haden (che lo aveva invitato nel 1976 a uno dei quattro duetti che componevano «The Golden Number») per un rifacimento del Liberation Music Orchestra (tourne´e europea). Si unisce al new wavejazz funk di Rip, Rig And Panic, la cui cantante e` sua figlia Neneh (1982), incide con Haden in big band («The Ballad Of The Fallen», 1983), forma un gruppo con quattro dei suoi cinque figli, acconsente al desiderio di Coleman di risuonare nel suo quartetto di origine, quello del Five Spot («In All Languages», 1987). Il gruppo gira in Europa, nell’autunno del 1987. Alcuni mesi

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CHERRY

prima, nei festival estivi, Don e Ornette si erano gia` ritrovati, per ravvivare l’affermazione armolodica di «Prince Time». Nel 1987-88 collabora con Trilok Gurtu (con cui aveva gia` lavorato nel 1988) alle sedute di «Usfret», mentre nel 1988 torna a lavorare con James Clay (col quale non aveva piu` suonato da oltre trent’anni), Haden e Higgins per un nuovo album per la A&M, «Art Deco», seguito due anni piu` tardi, sempre per la stessa etichetta, dall’ormai celebre «Multikulti» (con, tra gli altri, Blackwell, Carlos Ward, Karl Berger, Vasconcelos, Bob Stewart). Una biografia delle piu` movimentate esteticamente, una vera smania artistica e fisica, che coreografa la sua vita, un percorso incredibilmente fecondo: dagli orientamenti fondamentali assunti precocemente al fianco di Coleman («Per me Ornette e` una specie di guru musicale, ho sempre da imparare da lui»), allo scambio con il massimo di gesti musicali, Cherry e` guidato dallo spirito di apertura, dalla diffidenza verso lo ‘‘stile’’ o piu` esattamente dalla volonta` di non essere assegnato a un genere musicale determinato. Musicista restio al sistema (benche´ si riconosca nell’armolodia colemaniana), dinamizza con profonda logica del dono tutte le sue musiche, in un mosaico di incontri, di esperienze (Coleman, Coltrane, Rollins, Ayler: egli ha preso parte da privilegiato alle instaurazioni della nostra modernita`), decisamente difficile da sintetizzare di cui pero` una espressione unica, che vale per tutti, profondamente ancorata al valore comunitario (alla sua politica) e` l’orizzonte. In questo desiderio totalizzante e umanista, questo desiderio di una musica del ‘‘prima di Babele’’, che porti la generosita`, il messaggio di fraternita`, non potremmo dire che Don Cherry raggiunga assolutamente l’intenzione di uguaglianza, la pretesa verso l’universale dei concetti armolodici. Musicista della disponibilita`, della porosita`, girato verso l’Altro. Musicista piu` che strumentista, preferisce definirsi fondamentalmente un cantante, su qualsiasi tipo di strumento («Il canto e` sempre stato l’essenza del mio approccio alla tromba. Non ho mai

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CHEVILLON

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voluto essere davvero un trombettista, ma piuttosto cantare»), trombettista checche´ ne dica lui, con un approccio che fara` epoca, benche´ non sia un ‘‘tecnico’’, nel senso accademico. Suono di grande delicatezza, mai squillante – tradisce il suo amore per Bix Beiderbecke – sovracuti superbamente impostati (non dimenticheremo che non ha mai suonato la tromba ne´ il flicorno: i suoi amori vanno esclusivamente verso il trombino ‘‘pocket trumpet’’ e la cornetta), fraseggio che si sviluppa in moduli molto serrati, rosari di unita` brevi slegati gli uni dagli altri, che si rompono su giri interrogativi e ritmati di pagine piu` lente in cui, nel portamento, il timbro vive in tutta la sua singolarita`. Nessuno dubita che Don sia un cantante, ma e` anche, oltre a questo, un eccezionale melodista spontaneo, nella totale confu[C.T.] sione degli strumenti. Con Coleman: Ramblin’ (1959), Blues connotation, Free Jazz (1960); Dearly Beloved (Rollins, 1962); Ghosts (versione lunga) (Ayler, 1964); Complete Communion (1965), Infant Happiness (1966), «Mu, Parts 1 & 2» (1969); con Old And New Dreams: Next To The Quiet Stream (1976), Broken Shadows (1980); La Santa Espina (Haden, 1982); Art Deco, Bemsha Swing (1988).

CHEVILLON, Bruno Contrabbassista francese di origine italiana (Valre´as, 23/8/1959). Friulano da parte di madre, si iscrive al conservatorio di Avignone e al locale istituto di Belle Arti per studiare arti figurative, fotografia e contrabbasso classico. Nel 1982 partecipa al corso di jazz tenuto da Andre´ Jaume, col quale da` i suoi primi concerti in duo e in ottetto. Nel 1984 entra nel Groupe de Recherche et d’Improvisation Musicale de Marseille (GRIM). Nel 1985 incontra Louis Sclavis e ne diventa il contrabbassista di fiducia: primi concerti del quartetto con Sclavis, Franc¸ois Raulin e Christian Ville, formazione del settetto ‘‘da camera’’ al festival Banlieues Bleues e, nel 1992, dell’Acoustic Quartet, assieme a Marc Ducret e Dominique Pifare´ ly. Collabora anche con Jean-Marc

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Montera e Ge´rard Siracusa al quartetto di Thierry Maucci; al gruppo Incontru, che unisce il quartetto di Jaume e il gruppo vocale Tavagna, al quintetto di Montera e moltissime altre formazioni. Sensibile agli incontri interdisciplinari, partecipa anche a prime esecuzioni di musica contemporanea tenute ad Avignone dall’associazione MC2. Oltre alla grande maestria tecnica del contrabbasso, in particolare all’archetto, e` evidente in Chevillon un’autentica ‘‘comprensione’’ dello strumento. Perno fondamentale delle formazioni di Sclavis, questo formidabile musicista dall’intensa spinta ritmica e` allo stesso tempo capace di alimentare le linee proposte dal suo contrabbasso e di far cantare lo strumento con delicatezza. Utilizzandone quindi tutte le potenzialita`, elabora le sue improvvisazioni con grande senso architettonico, riempiendole di effetti vocali e di umorismo ‘‘patafisico’’ senza mai perdere di vista l’essenza delle cose. Un’eleganza e una musicalita` fuori dalla norma. [S.O.]

Con Sclavis: Petra (1989), Indigofera («Ellington on the Air», 1991).

Chicago Capitale dell’Illinois, situata sulle rive del lago Michigan, soprannominata la Citta` dei Venti (Windy City), terza citta` degli Stati Uniti, primo porto interno, nodo ferroviario, stradale e aereo. Citta` incrocio, Chicago fu il rifugio dei neri che emigravano verso il Nord per trovare lavoro, soprattutto dei musicisti di New Orleans, cacciati nel 1917 da Storyville. Cosı` Louis Armstrong, Johnny Dodds, Richard M. Jones, Freddie Keppard, Jelly Roll Morton, Jimmie Noone, King Oliver, Omer Simeon, Zutty Singleton divulgarono con successo i segreti dell’improvvisazione collettiva a tre voci (tromba, clarinetto, trombone), vera fioritura dello stile detto New Orleans o dixieland, a volte in compagnia di musicisti locali: Lovie Austin, Doc Cooke, Carroll Dickerson, Charlie Elgar, Earl Hines, e anche Kid Ory, della Louisiana di ritorno dalla

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IL JAZZ A CHICAGO

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CHICAGO

1. Apex Club 2. Black Hawk 3. Bridewell Prison 4. Dreamland 5. Dusty Bottom Café 6. The Grand Terrace 7. De Luxe Café 8. Kelly’s Stables 9. Liberty Inn 10. Lincoln Gardens 11. Panama Café 12. Plantation Café 13. Royal Gardens 14. Savoy Ballroom 15. Sunset Café 16. Vendome Theatre

Tratto da The Guinness Jazz A-Z di Peter Clayton e Peter Gammond, Londra 1986.

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CHICAGO

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California. Molti club, music-hall e dancing ospitano le loro attivita` durante gli anni ’20: Dreamland Cafe´, Elite, Friar’s Inn, Lincoln Gardens, Monogram, Panama, Plantation, Apex Club, Royal Garden, Sunset Cafe´, Vendome Theatre. I capolavori del jazz detto New Orleans furono infatti registrati a Chicago: i pezzi degli Hot Five e degli Hot Seven di Louis Armstrong (1925-27), quelli del Creole Jazz Band di King Oliver (1923-27), dei Red Hot Peppers di Jelly Roll Morton (1927-29), di Jimmie Noone (1928). Nello stesso tempo, viene affermandosi a Chicago una scuola di musicisti bianchi, appassionati di queste novita` e che, riuniti nell’Austin High School Gang, i Chicago Rhythm Kings, la Cascade’s Band, l’orchestra di Sid Meyers, i Condon’s Chicagoans, i New Orleans Rhythm Kings, devono essere accreditati di un modo di procedere parallelo ma nondimeno diverso: intorno all’improvvisazione collettiva si cristallizzano ricerche armoniche piu` raffinate, una sensibilita` piu` ‘‘bianca’’, ravvivata da aggiunte provenienti da formule europee e del folklore hillbilly e skiffle. Questa scuola dei Chicagoans, in cui il sassofono tenore ha il posto d’onore, annuncia il jazz degli anni ’30. Fra questi inventori: Bix Beiderbecke, Boyce Brown, Georg Brunis, Eddie Condon, Bud Freeman, Red McKenzie, Paul Mares, Mezz Mezzrow, Jimmy McPartland, Ben Pollack, Pee Wee Russell, Muggsy Spanier, Joe Sullivan, Frank Teschemacher, Dave Tough, Art Hodes, George Wettling. All’inizio degli anni ’30, gli stili nati da New Orleans passano di moda e la depressione frena le attivita` musicali. Cio` nondimeno, numerosi locali continuano a offrire lavoro alle orchestre: Alabama Club, Capitol Lounge Inn, Cicero, College Inn, Circle Inn, Dave’s Cafe´, Dreamland Ballroom, Golden Lily, Three Deuces, Zeppelin Inn e soprattutto il Grand Terrace Ballroom dove un ingaggio equivale alla consacrazione. Prima di essere confusi in altri modelli, un certo numero di personalita` e di orchestre continuarono a distinguersi, a Chicago innanzitutto, per le loro crea-

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zioni: Red Allen, Roy Eldridge, Gene Ammons, Earl Hines, Gene Krupa, Benny Green, Wingy Manone, Lil Green, Frank Melrose, Ray Miller, Jabbo Smith, Eddie South, Johnny Griffin, Von Freeman ecc. All’inizio degli anni ’60, dei giovani musicisti neri dell’avanguardia cominciano a organizzarsi e formano l’AACM, in cui vengono a cristallizzarsi le tendenze musicalmente e politicamente piu` radicali della musica nera a Chicago, associazione di cui l’Art Ensemble of Chicago diventera` il gruppo emblematico. D’altra parte, nella Citta` dei Venti sono nati importanti sviluppi del blues, risultato di una dinamica simile agli stili strumentali venuti fuori da New Orleans, cioe` della scelta di formule piu` d’avanguardia. Dall’arte rurale di Tampa Red, Big Bill Broonzy, Blind Lemon Jefferson, Blind John Davis, Lonnie Johnson, Tom Dorsey, Ma Rainey emergono, da un lato, un genere pianistico, il boogie-woogie, illustrato da Pientop Smith, sfruttato da Big Maceo, Jimmy Yancey, Albert Ammons, Meade Lux Lewis, sviluppato in seguito da orchestrazioni per gruppi grandi e piccoli, e, dall’altro, il blues vocale urbano. Quest’ultimo fiorisce durante gli anni ’50 con la moda della chitarra elettrica e dell’armonica amplificata. Nei night club del South Side e del West Side (quartieri neri), allo Smitty’s Corner, Pepper’s Longe, Tic Toc Lounge, Zanzibar, Lincoln Village, Trocadero Lounge e alla Theresa’s Tavern si impone un nuovo modo di espressione del blues, violento, drammatico, che trae spesso il suo ritmo dalle formule del boogie-woogie (lo shuffle). Due sono le etichette specializzate; i dischi Chess e Vee Jay aiutano la diffusione di questo genere e fanno conoscere Muddy Waters, Washboard Sam, Sonny Boy Williamson, Big Maceo, Jimmy Reed, Memphis Slim, Buddy Guy, Little Walter, Freddie King, Elmore James, Howlin’ Wolf, Bo Diddley, Luther Allison, Koko Taylor, Willie Dixon, Otis Spann, B.B. King, Chuck Berry... Traduzione, con l’aiuto di tecniche moderne, di un folklore contadino e proletario che doveva avere un’influenza preponderante

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sul rock and roll negli Stati Uniti come in Europa, in cui gruppi inglesi quali gli Animals, i Kinks, quelli di John Mayall o i Rolling Stones, nuovi ‘‘Chicagoans del blues’’, attinsero l’essenziale della loro ispirazione. Si puo`, quindi, affermare che Chicago a piu` riprese segno` profondamente l’evoluzione del jazz e della musica popolare. [F.T.]

CHILDERS, «Buddy» (Marion) Trombettista statunitense (St Louis, Missouri, 12/2/1928 - Los Angeles, California, 24/5/2007). Autodidatta, comincia a suonare nell’orchestra della scuola; si fa poi conoscere con il gruppo di Stan Kenton dove entra nel 1943. Accompagna Kenton fino al 1954, non senza suonare anche nelle orchestre di Benny Carter (1944), Les Brown (1947), Tommy Dorsey (1951-52), Georgie Auld e Charlie Barnet (1954), e registra con il suo nome per la Liberty (1955-56). Alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 suona nella grande orchestra di Toshiko Akiyoshi-Lew Tabackin, accompagnandolo nella sua tourne´e in Europa. Poco incline alla nostalgia segue con interesse gli ultimi sviluppi del jazz e si dice pronto a cominciare una nuova carriera... Ha acquisito ben presto una fama di lead trumpet, e se e` vero che e` uno dei quattro o cinque musicisti che hanno dato un’impronta a questa specialita` a partire dagli anni ’80, non bisogna dimenticare che e` anche un solista piacevole, dal suono estremamente singolare, fatto di potenza controllata e di equilibrio. Come Don Fagerquist, illustra l’enigma di questi musicisti da podio che grazie (o malgrado) al loro posto in una sezione, si sono inventati un modo di suonare molto personale. [F.Bi.]

Solo For Buddy (Kenton, 1954); Honeysuckle Sam, Ding Dong Sam Is Dead, Canned Sam (1955).

Chimes f Batteria – Percussioni.

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CHITARRA

Chitarra Americanizzata nel XIX secolo grazie all’adozione di corde metalliche montate su un manico piu` stretto rispetto al modello europeo, la chitarra diviene ben presto e di gran lunga lo strumento piu` popolare tra i musicisti e i cantanti di blues degli inizi del secolo (Big Bill Broonzy, Leadbelly, Blind Willy McTell ecc.). Le prime orchestre di jazz le preferiranno nondimeno il banjo, discendente della kora africana che, grazie all’intensita` sonora e al timbro, possiede una forza di penetrazione e un’efficacia superiori. Prende piede allora un movimento di conversione alla chitarra che vede come accesi sostenitori, tra gli altri, Bud Scott (del gruppo di Kid Ory) e Johnny St Cyr (nella formazione di Louis Armstrong). Componenti della sezione ritmica, questi suonano gli accordi, sui quattro tempi. Una nutrita stirpe di chitarristi ritmici va nascendo: citiamo Danny Barker, Eddie Condon, Allan Reuss e Freddie Green (che sara` per mezzo secolo e fino alla morte, nel 1987, uno dei pilastri dell’orchestra di Count Basie). In via d’estinzione al giorno d’oggi, questo stile d’esecuzione fa ormai parte integrante del patrimonio di un buon numero di chitarristi di jazz. Dagli anni ’20 si delinea una corrente tendente a fare della chitarra uno strumento solista a parte intera: Lonnie Johnson (un nero), poi Eddie Lang (il suo nome di nascita Salvatore Massaro) vi arrivano separatamente, quindi insieme, con un’esecuzione che fonde i tratti melodici, le frasi tipiche del blues e una splendida padronanza di arpeggi e di accordi. Si utilizza ora un plettro (piccola lamina di avorio o di tartaruga, oggi in plastica, legno, metallo, tenuta tra il pollice e le altre dita della mano destra) che consente una maggiore energia e precisione nell’esecuzione delle note. Django Reinhardt, dal 1934, risulta il piu` brillante nell’utilizzazione di questa tecnica che gli permette di esprimere le sue concezioni musicali con potenza e con lirismo. Cio` nonostante, non e` semplice per un chitarrista farsi ascoltare quando suona

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CHITARRA

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in formazione, dato che i suoi interventi sono limitati a qualche breaks d’accordi in assolo assai brevi. Eppure, gli anni ’30 vedono nascere una concezione polifonica d’esecuzione di chitarra, accordi e melodia simultanei (chord melody o chord solos): Dick McDonough, George Van Eps, inventore della chitarra a sette corde. L’amplificazione dello strumento, realizzata nel 1937 (Eddie Durham), permettera` ai chitarristi di suonare come i sassofonisti. Il sistema impiegato comporta dei sensori elettromagnetici sistemati sotto le corde che vengono collegate a un amplificatore e a un altorparlante. Charlie Christian esplorera` a fondo questo potenziale dal 1939, consentendo alla chitarra di prendere la strada del bebop. Django stesso si convertira`, piu` tardi. Di fatto, l’influenza di Christian continuera` fino agli anni ’80 e a George Benson. Ormai adulta sul piano ritmico, melodico e armonico, la chitarra fornisce al jazz musicisti di talento, spesso, anche se in misura differente, discepoli di Christian (Barney Kessel, Jimmy Raney, Tal Farlow, Kenny Burrell, Grant Green, Johnny Smith, Rene´ Thomas, Jimmy Gourley ecc.). Wess Montgomery, col suo lirismo e la sua tecnica particolare (impiego del pollice della mano destra al posto del medio, ed esecuzione per ottave) e Jim Hall, con la sua perfetta conoscenza dell’armonia e la sua purezza melodica, renderanno attuale il ruolo di primo piano della chitarra nel bop a partire dagli anni ’60, seguiti, tra gli altri, da George Benson, Joe Pass, Pat Martino, Christian Escoude´, Stanley Jordan (iniziatore negli anni ’80 di una tecnica pianistica dove le due mani toccano simultaneamente la tastiera). Il ritorno della chitarra alle corde di nylon ha luogo negli anni ’60 grazie a Laurindo Almeida e Charlie Byrd, che si fanno interpreti della musica brasiliana e della bossa nova. Grazie soprattutto ai progressi dell’amplificazione (sensori piezoelettrici), gli strumenti acustici hanno rinfoltito la schiera dei chitarristi contemporanei (Ralph Towner, virtuoso della chitarra a 12 corde, Bill Harris, Earl

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Klugh). I musicisti del rock avevano gia` da tempo spinto la sperimentazione sul suono (effetti elettronici come: distorsione, wa wa, phaser, flanger, chorus, harmonizer, octaver, delay, reverb, effetto larsen ecc.): Jimi Hendrix, Jeff Beck. Negli anni ’70, con musicisti come John McLaughlin, Larry Coryell, Philip Catherine, questo potenziale espressivo andava ad arricchire il linguaggio del jazz. Parallelamente venivano condotte sperimentazioni vicine alla corrente free e alla musica contemporanea: utilizzo non convenzionale delle possibilita` dello strumento (armoniche, slapping, preparazione, percussione, accordi speciali ecc.): Sonny Sharrock, Eugene Chadbourne, Derek Bailey, Raymond Boni, Fred Frith, Hans Reichel, Henry Kaiser. Gli anni ’80 vedono la comparsa della chitarra sintetizzatore, la cui tecnologia e` in costante evoluzione. Il chitarrista potra` controllare con i sistemi Midi la totalita` di tutto cio` che una tastiera puo` gestire: sintesi numerica, campionatura dei suoni, informatica musicale, conservando insieme la specificita` dello strumento. Pat Metheny, John Abercrombrie, John Scofield, Larry Carlton, Al Di Meola, Mike Stern, Bill Frisell, Mick Goodrick cosı` come in Europa Harry Pepl, Ge´rard Marais, Claude Barthe´le´my e Philippe Deschepper sono musicisti perfettamente rappresentativi di questa evoluzione. [J.Pa.]

John St Cyr: My Blue Heave (Lillie Delk Christian, 1927); Lonnie Johnson: Misty Morning (Duke Ellington, 1928); Eddie Lang: Eddie’s Twister (1927), Teddy Bunn: I’ll Be Ready When The Great Day Comes (The Spirit Of Rhythm, 1933); Al Casey: Buck Jumpin’ (Fats Waller, 1941); George Van Eps: Once In A While (1949); Django Reinhardt: Minor Swing (1937), Nuages (1940 e 1953); Oscar Aleman: Just A Little Swing (1939); Charlie Christian: Swing To Bop (1941); Billy Bauer: Palo Alto (Lee Konitz, 1944); Johnny Smith: Moonlight In Vermont (1952); Jimmy Raney: ’Round About Midnight (1953); Body And Soul (1954); Tal Farlow: Zing Went The strings Of My Heart (Red Norvo, 1950); Herb Ellis: «At The Stratford Sha-

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239 kespearian Festival» (Oscar Peterson, 1956); Rene´ Thomas: «Modern Group» (1956); Barney Kessel: «The Poll Winners» (1957); Kenny Burrell: «A Night At The Vanguard» (1959); Wes Montgomery: «The W.M. Trio» (1959); John McLaughlin: «Extrapolations» (1969); Jimi Hendrix: «Band Of Gypsies» (1970); Derek Bailey: «Solo Guitar» (1971); Al Di Meola: «No Mystery» (Chick Corea, 1975); Jim Hall: «Live In Tokyo» (1976); Pat Metheny: «Travels» (1982); Raymond Boni: «Pour Django» (1985); Marc Ducret: Elephanta (1990).

CHITTISON, Herman Pianista statunitense (Flemingsburg, Kentucky, 15/10/1908 - Cleveland, Ohio, 8/3/1967). Studia il piano fin dall’eta` di otto anni. Nel 1927 ascolta l’orchestra di Fletcher Henderson in diretta: lo shock e` tale che abbandona la scuola per suonare con i Kentucky Derbies a Lexington. Dal 1928 al 1931 diventa membro del Chocolate Beau Brummels di Zack Whyte, poi accompagna l’attore Stepin Fletchit nella sua troupe di vaudeville. Nel maggio 1930 incide due facciate con Clarence Williams. A New York, nel 1932, lavora con Adelaide Hall ed Ethel Waters. Nel 1933, registra in duetto con Ickey Robinson, quindi con l’orchestra di Willie Lewis (di cui Willie The Lion Smith e` il secondo pianista), che accompagna in Europa (1934) e con cui lavora in modo discontinuo fino al 1938. Negli intervalli, si esibisce e registra con Louis Armstrong (al quale ruba a volte il nome scritto a caratteri cubitali...). Nel 1940, a New York, suona in assolo e in trio. Poi per sette anni, partecipa allo spettacolo radiofonico della CBS Casey, Crime Photographer. Negli anni ’60 suona regolarmente a Boston e a New York, e registra con il suo nome nel 1962 e 1964. E` soprattutto a Cleveland che suona negli ultimi anni della sua vita. Muore di un cancro al polmone. Grazie al suo stile fluido e brillante (influenza di Fats Waller) da cui emergono istanti fiammeggianti, Chittison riesce a stupire e persino ad affascinare. Al suo passivo: una mancanza di varieta` nella

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CHORUS

scelta dei tempi che genera a volte una certa monotonia, e dei fraseggi veloci che non amministrano bene i silenzi. Bisogna, pero`, riconoscere che all’inizio degli anni ’30 e` uno dei rari pianisti a poter rivaleggiare con l’intoccabile Art Tatum, la cui esecuzione, secondo Charles Delaunay, lo ossessionava completamente. [Ph.B.] Stormy Weather (1934), My Melancholy Baby (1938); Doin’ The New Lowdown (Willie Lewis, 1937).

CHOCOLATE DANDIES Pseudonimo adottato fin dal 1928-29 dai McKinney’s Cotton Pickers, allora sotto la direzione musicale di Don Redman, per incidere presso un concorrente (Okeh) della casa discografica con cui avevano un contratto in esclusiva (Victor). Il nome fu ripreso nel 1930 da una parte dell’orchestra di Fletcher Henderson, che si era distaccata, comprendente Bobby Stark, Jimmy Harrison, Benny Carter e Coleman Hawkins. Benny Carter lo riprende ancora nel 1933 per registrare quattro titoli come leader di un gruppo di turnisti. Nel 1940, infine, lo stesso Carter recupera un’ultima volta il nome per una registrazione con Commodore, Hawkins, John Kirby, Roy Eldridge e Sidney Catlett. Don Redman e Benny Carter avevano usato, nel 1929, la variante Little Choco[D.N.] late Dandies. Star Dust, Four Or Five Times (1928), Six Or Seven Times (1929), Cloudy Skies, Dee Blues (1930), Blue Interlude, Once Upon A Time (1933), I Surrender Dear (1940).

Chorus Parola inglese che significa coro, ma anche refrain (ritornello). Il chorus o refrain e` la parte principale di una canzone; la strofa (o verse in inglese) e` molto poco usata nel jazz orchestrale. Il refrain (chorus) e` la parte che serve generalmente di base all’improvvisazione. Prendere un chorus significa quindi improvvisare sulla struttura metrica e armonica del ritornello. Un improvvisatore puo` prendere uno o piu` chorus (se non un mezzo chorus, o meno ancora), ma l’unita` di lunghezza

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CHRISTIAN

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sara` il numero di misure del tema scelto per l’improvvisazione. Quando si parla dei famosi 27 chorus di Paul Gonsalves su Diminuendo And Crescendo In Blue (Duke Ellington, Newport, 1956), significa che il sassofonista ha improvvisato 27 volte di seguito sulla struttura di base che in questo caso era un blues di 12 misure. Occorre sapere poi che il numero dei chorus non viene stabilito in anticipo. Infatti, in concerto o nei club, quando i musicisti non sono costretti dal minutaggio limitato di un disco, i solisti sono spesso liberi di prendere quanti chorus desiderano, a seconda dell’ispirazione del momento. Alcuni pezzi non sono basati sul sistema strofa-ritornello, ma comprendono uno o piu` temi (strain in inglese), come nei ragtimes, per esempio. In questo caso, uno dei temi viene scelto dai musicisti per servire come base agli assolo improvvisati e la parola chorus verra` sempre mantenuta malgrado l’assenza del refrain. Per confondere ancora di piu` le cose, si parla talvolta del chorus (al singolare) di un musicista, anche se questi ne ha sviluppati parecchi o soltanto una parte. Cosı`, viene designata la totalita` del suo assolo improvvisato. f anche Improvvisazione – Solo. [Ph.B.]

CHRISTIAN, «Buddy» (Narcisse J.) Banjoista, chitarrista e pianista statunitense (New Orleans, Louisiana, 1895 circa - 1958 circa). Comincia a suonare a New Orleans, nell’orchestra del bar Tuxedo con il trombettista Peter Bocage e il batterista Louis Cottrell Sr. Verso il 1915 entra nell’orchestra di King Oliver al Pete Lala’s Cafe´. Durante il 1919 diventa, a New York, membro del gruppo di Willie The Lion Smith, accompagna la cantante Lucille Hegamin e parte in tourne´e nel Canada. Suona a Chicago con King Oliver e Louis Armstrong, quindi entra, a New York, nell’orchestra di June Clark. Parallelamente partecipa alle registrazioni dei Blue Five di Clarence Williams. Nel 1927 suona nell’orchestra di Charles

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Matson e nel 1929 forma un duetto di banjo con Fred Jennings. Da quel momento si perdono le sue tracce... Perfetto suonatore di banjo nello stile New Orleans. Panassie´ disse: «Notevole chitarrista di orchestra, suona con uno stile simile a quello di John St Cyr, con grande padronanza armonica e un intenso swing che proviene dalla finezza delle sue [J.P.D.] accentazioni». Con Clarence Williams: Everybody Loves My Baby (1924), Cake Walkin’ Babies (1925); Sugar House Stomp, The Skunk (1926), My Baby Doesn’t Squawk (1926).

CHRISTIAN, Charlie (Charles) Chitarrista statunitense (Bonham, Texas, 29/7/1916 - New York, 2/3/1942). Nato da una famiglia in cui la musica detiene un posto importantissimo (suo padre e` chitarrista, trombettista, cantante, e i suoi fratelli anch’essi musicisti), viene iniziato molto giovane alla tromba, al sassofono, al piano e al contrabbasso, strumento con cui debutta a Bismark (Dakota del Nord) nell’orchestra del pianista Alphonso Trent (1934). Sceglie in seguito la chitarra (suo padre gli insegna i rudimenti) e suona per tutto il Middle West in diverse orchestre, fra cui a St Louis la Jeter-Pillars Band. Nel 1937, impressionato dalla chitarra amplificata di cui si serve da pioniere, con Floyd Smith, Eddie Durham, lo incontra e gli chiede consiglio. Ritorna con Trent l’anno successivo, ma questa volta come chitarrista. Diventato una gloria locale, viene ‘‘scoperto’’ da John Hammond, venuto ad ascoltarlo al Ritz Cafe´, che lo raccomanda a Benny Goodman. Entra nell’orchestra del ‘‘King of Swing’’ nel 1939 a Los Angeles e vi resta fino alla sua morte, partecipando a moltissime registrazioni della big band, del sestetto o del quintetto... Prende parte quindi al secondo dei leggendari concerti «From Spiritual To Swing» organizzati da Hammond alla Carnegie Hall di New York: il sestetto di Goodman vi si integro` con la big band di Count Basie (con Lester Young) per una jam session straordinaria sul tema di Lady Be Good. Durante la sua

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collaborazione con Goodman si esibisce e registra con molte star dell’epoca swing (Lionel Hampton tra gli altri). Partecipa soprattutto con Thelonious Monk, Dizzy Gillespie, Joe Guy, Don Byas, Kenny Clarke, alle jam session sperimentali che nel 1941 a Harlem, al Monroe’s Uptown House e al Minton’s Playhouse, danno luogo al bebop. Famoso, non gode a lungo del suo successo: nel luglio 1941, entra in un ospedale newyorkese per curare una tubercolosi. All’inizio dell’anno seguente muore al sanatorio municipale di Seaview (Staten Island). A dispetto di questa carriera fulminante, domina la storia della chitarra jazz e si impone come un creatore della stessa importanza di un Louis Armstrong, Coleman Hawkins, Lester Young o Charlie Parker. Vince a piu` riprese i referendum di Down Beat (1939-41) e di Metronome (1941-42). L’amplificazione elettrica di cui e` il primo a sfruttare pienamente le possibilita` e a dominare la tecnica, gli permette di suonare allo stesso volume sonoro delle ance e degli ottoni: favorisce cosı` in maniera decisiva l’emancipazione della chitarra. Al di la` del tecnico, l’artista: straordinaria musicalita`, superba sonorita` rotonda, articolazione precisa, perfetto equilibrio fra le innovazioni armoniche – uso degli accordi diminuiti e aumentati – e audacie melodiche che esaltano le sue improvvisazioni, swing intenso... Come accompagnatore ha un senso rigoroso del tempo, e la sua maniera di battere gli accordi con fermezza e agilita` nello stesso tempo, sa stimolare tutti i solisti. L’impronta di Lester Young che si percepisce nel suo modo di suonare ha potuto farlo considerare il creatore del reed style, lo ‘‘stile sassofono’’ trasportato per la chitarra. E` in ogni caso uno dei grandi innovatori dello strumento e la sua influenza e` [C.O.] valida ancora oggi. Con Goodmann: Lady Be Good, Honeysuckle Rose, Seven Come Eleven (1939), Till Tom Special (1940), Air Mail Special, Solo Flight (1941); Good Morning Blues

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CHRISTIAN

(Kansas City Six, 1939); Haven’t Named It Yet (Hampton, 1939); Profoundly Blue (Edmond Hall, 1941); Swing To Bop, Stompin’ At The Savoy (1941).

CHRISTIAN, Emile Joseph Trombonista e contrabbassista statunitense (New Orleans, Louisiana, 20/4/ 1895 - 3/12/1973). Emile Christian appartiene a una famiglia di musicisti: i due fratelli, Frank e Charles, suonano la cornetta e il trombone. Anch’egli suona questi due strumenti, oltre alla tuba e al contrabbasso. Nel 1912, suona la cornetta con Ernst Giardina (vl, voce) e partecipa alle parate nelle strade della sua citta` natale. Contattato dal batterista Johnny Stein, preferisce lasciare il posto a Nick LaRocca e raggiunge a Chicago la formazione di Bert Kelly (1916). Nel 1918 sostituisce Eddie Edwards nell’Original Dixieland Jazz Band a New York. Partecipa alla tourne´e dell’orchestra in Inghilterra (1919-20). Resta a Londra dove si produce con alcuni musicisti statunitensi e con il pianista britannico Tom Waltham (1920-22), che segue a Parigi nel 1923. In Francia e in Germania, Christian suona durante gli anni ’20 con Eric Borchard, Waltham, Monty H. Lyle, Ray Ventura e alcuni altri statunitensi di passaggio: Albert Wynn (1928), Leslie Sterling (1928 e 1930), Lud Gluskin (1928-29). Durante gli anni ’30 lo troviamo di nuovo con Gluskin, Billy Arnold, Bennie Peyton (in Svizzera, 1935), Jo Bouillon (1936), Bennie French (1936) e Leon Abbey (in India, in Francia e in Danimarca, 1936-39). Rientra all’ovile solo nell’autunno 1939 e suona un periodo a New York. Dopo la guerra ritrova New Orleans dove, come trombonista e bassista, si esibisce negli anni ’50 e ’60 con Armand Hug, George Girard, Leon Prima, Sharkey Bonano... Partecipa a una tourne´e con Louis Prima nel 1957, suona al festival di Disneyland dieci anni dopo, cosı` come a quello di New Orleans nel 1968 e 1969. Emile Christian appartiene alla generazione dei trombonisti bianchi del sud che fece elevare lo strumento a livello solistico. Meno agile dei musicisti del Nord

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CHRISTLIEB

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(come Miff Mole), sa regalare pero` degli assolo piu` focosi e caldi, costruiti semplicemente e impostati in maniera esemplare per l’epoca. Come bassista ama dare una maggiore mobilita` ritmica e per questo usa a volte il sassofono basso. [D.N.] Con L’ODJB: Barnyard Blues, Tiger Rag, Satanic Blues (1919); Ou`, Quand, Comment? (T. Waltham, 1925); con L. Gluskin: Ten Little Miles From Town, Milenberg Joys (1928).

CHRISTLIEB, Pete (Peter) Sassofonista, flautista e clarinettista statunitense (Los Angeles, California, 16/2/ 1945). Figlio di un soprano lirico e di un fagottista di studio, Don Christlieb, un’autorita` nel campo degli strumenti ad ancia doppia (fra gli ospiti dei genitori Stravinskij, Boulez, Stockhausen...), studia il violino (1951-57), poi, dopo aver ascoltato Gerry Mulligan, si appassiona al sassofono baritono, ma il padre gli regala un tenore. Lo suona in un’orchestra di collegiali a Venezia, prende lezioni di improvvisazione e partecipa all’orchestra di Jerry Gray (1963-64), lavora con Chet Baker (1964), il trombonista Si Zentner (1965), accompagna la cantante Della Reese a Las Vegas, Woody Herman (1966), Louie Bellson (1967-78). A partire dalla fine degli anni ’60, divide il suo tempo fra il jazz e il lavoro in studio, soprattutto per il cinema. Si fa vedere spesso in televisione nell’orchestra diretta da Doc Severinsen (Tonight Show). All’inizio degli anni ’80 fa parte della big band di Frank Capp e Nat Pierce. Ha suonato al fianco di Quincy Jones, Shelly Manne, Jack Sheldon, Sarah Vaughan, Frank Rosolino, Carl Fontana, Freddie Hubbard e Warne Marsh (con cui ha registrato «Apogee» e «Conversations With Warne»). Con la sua etichetta, Bosco, ha inciso tre album. Nel 1991 ha fatto parte del gruppo di Bob Cooper (Capri Records) e l’anno successivo ha registrato con Lou Levy. Tenore di eccezionale fluidita`, e` capace di vertiginosi e potenti assolo sui tempi ve-

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loci e nelle ballads languide e sofisticate: cio` lo rende un musicista fuori dal comune. [P.C.] Tenors Of The Time, I’m Old Fashioned (con Warne Marsh, 1978); Pathetique (Lou Levy, 1992).

CHRISTMANN, Gu¨nter Trombonista, contrabbassista e violoncellista tedesco (Srem, Polonia, 4/1942). Appare sulla scena della free music nel 1969 con il sassofonista Ru¨diger Carl e il percussionista Detlef Scho¨nenberg, con il quale suonera` in duo fino al 1981. Nel 1973 entra nella Globe Unity Orchestra. Registra il suo primo album da solo (trombone e contrabbasso) nel 1976 e, parallelamente, suona per alcune danzatrici (Pina Bausch, Elisabeth Clarke), mimi, attori e pittori. Nel 1979, forma il gruppo ‘‘dalla geometria variabile’’ Vario (Maggie Nichols, John Russell, Paul Lovens, Maarten Altena...), e dal 1980 suona in trio con Altena (cb) e Lovens (perc). Nello stesso periodo produce lo spettacolo multimediale De´ ja` vu, combinazione di teatro musicale, film (autoprodotti) e performance di attori: Christmann vi suona in diretta il trombone, il basso e il violoncello. Si e` esibito in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in America latina, in Giappone e altri paesi ancora. La sua bella sonorita` lavora su tutta l’estensione dello strumento. Ha sviluppato delle tecniche particolari di imboccatura unitamente all’uso di varie sordine (bicchieri di plastica, palloni ecc.). Produce un suono nervoso, contrastato e impaziente, riesce a dare una grande varieta` di timbri e di ritmi, di frasi rapide e di cambiamenti bruschi (per questo si distingue molto da Paul Rutherford o Albert Mangelsdorff) resi possibili da un controllo costante del volume sonoro. [G.R.] We Play (duo con D. Scho¨nenberg, 1974); con la Globe Unity: Local Affair (1976), Po-Sau-ne (1978), Trom-bone-it (1979); «Weavers» (1980); «Vario» (1986).

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CHRISTY, June (Shirley LUSTER) Cantante statunitense (Springfield, Illinois, 20/11/1925 - Los Angeles, California, 21/6/1990). Con il suo primo nome d’arte, Sharon Leslie, si esibisce durante l’adolescenza con dei gruppi locali. A Chicago canta poi nell’orchestra di Boyd Raeburn, ma e` il 1945 a segnare l’inizio vero e proprio della sua carriera con l’ingresso nella band di Stan Kenton, favorita da colei che l’aveva preceduta: Anita O’Day. Vi resta fino al 1949. Sposa il sassofonista Bob Cooper che l’accompagna (1949-50) durante le sue apparizioni nei club della California. Lavora con Kenton, che nel frattempo ha ricostituito la sua band, piu` o meno regolarmente dal 1951 fino alla fine degli anni ’50. Partecipa anche, nel 1953, a una tourne´e europea, da cui ritornera` nel 1958 accompagnata da Bob Cooper e Bud Shank. A poco a poco, durante gli anni ’60, abbandona il palcoscenico per ritornarci solo in circostanze eccezionali (concerto di Keaton nel 1972 o l’incisione, nel 1977, di un album in cui non e` che l’ombra della brillante vocalist che per anni fu la numero uno delle cantanti di grandi orchestre al referendum di Down Beat). Nel 1985 fa parte dei West Coast Giants riuniti da Shorty Rogers per una nostalgica tourne´e nei festival europei. La fosca voce di June Christy – nel suo periodo kentoniano – racchiude un reale potere di suggestione e di sensualita`. Influenzata ai suoi inizi da Anita O’Day e Sarah Vaughan, ha impostato uno stile meticoloso in cui si combinano fascino, [A.C.] ritmo e umorismo. Con S. Kenton: Tampico (1945), Lonely Woman, Soothe Me (1947), June Christy (1950), How Long Has This Been Going On (1955), «This Is June Christy» (1952).

Churchy (letter. ‘‘religioso’’) f Funk. CINELU, Mino Percussionista, batterista, bassista, chitarrista, tastierista, flautista e cantante francese (Saint-Cloud, 10/3/1957). Nella

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CINELU

sua famiglia (della Martinica) la musica e` molto presente: suo padre canta, il fratello Patrice suona la chitarra e l’altro fratello Jean-Jacques il basso. Fa il suo debutto professionale a quattordici anni. Negli anni ’70, fa un po’ tutte le esperienze musicali: si aggiunge al quartetto Perception (Yochk’o Seffer, Siegfried Kessler, Jean-My Truong e Didier Levallet), forma un gruppo con i suoi fratelli, fa parte di Chute Libre, complesso di jazzrock, di Moravagine, sestetto di Jacques Thollot, partecipa ai gruppi di Michel Porta, Bernard Lubat, Franc¸ois Jeanneau. Accompagna i cantanti Colette Magny, Toto Bissainthe e Bernard Lavilliers. Nel 1979 si stabilisce a New York dove forma un gruppo con Ricky Ford e suona il basso in chiesa la domenica per irrobustirsi le dita. Una sera mentre suona in un locale di Manhattan, il Mikell’s, insieme al gruppo Frank And Cindy Jordan, attira l’attenzione di Miles Davis che lo ingaggia (1981). Notato da Joe Zawinul al fianco di Miles nel 1984, entra nei Weather Report. Parallelamente, suona in trio con Darryl Jones (b) e Omar Hakim (batt), forma un trio di batterie, Drummer’s Music, con Fabiano e Victor Jones, registra con Dizzy Gillespie, Gato Barbieri, Sting, Michel Porta, Pino Daniele, John Stubblefield e David Sanborn. Lo si puo` sentire in seguito sui dischi di Harvie Swartz, Sadao Watanabe (1986); Eric Le Lann, Glenda Powrie (sintetizzatore, voc), Victor Bailey (1989), Robin Eubanks (1990). Polistrumentista ma percussionista prima di tutto, attinge dalla tradizione africana e dei Caraibi e il suo modo di suonare molto aperto oltrepassa ogni stile tradizionale. La sua foga percussiva lo fa ritmare e suonare tutto cio` che tocca, dal triangolo al woodblock passando per i fischietti e i richiami per uccelli. Adora esplorare l’infinito dei suoni e dei timbri, traendo ogni tipo di deflagrazione sonora da strumenti come l’udu (brocca dei Ghana), i timpani, i campanacci da mucca, i piattini (cups, splashes o cinesi che colpisce con la mano), le chimes (percussioni di metallo)... Tutte queste fonti di suoni grezzi sono unite felicemente a un’attrezzatura

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CINEMA

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elettronica molto sofisticata: un campionatore, un codificatore di voci, una grancassa elettronica, un microfono attaccato a un pedale di ottava per alcuni effetti vocali. Se eccelle in questo delicato matrimonio fra tradizione e tecnologia moderna, e` soprattutto nel suonare le congas e le pelli che riesce a rendere tutta l’ampiezza della sua ispirazione e della sua fantasia. Sul palco, il numero decisamente piu` spettacolare lo fa servendosi di una conga come di un bel-air (grosso tamburo quadrato dei Caraibi): mette la conga per terra, la suona con le mani facendo variare il suono con l’aiuto dei piedi. [P.B., C.G.]

Con M. Davis: «We Want Miles» (1981), «Decoy» (1984); Confians (Weather Report, 1985); «Smart Moves» (Harvie Swartz, 1986); Mwe Malad O (Stubblefield, 1986); Mozambique (M. Portal, 1987).

Cinema Il jazz e il cinema convivono molto di piu` di quanto sembri. E non sempre per delle buone ragioni. La parola stessa viene associata a una fase storica della settima musa. The Jazz Singer di Alan Crosland, considerato come il primo film sonoro, non e` che una caricatura dello schema jazzistico. Mentre si puo` dire che tutte le musiche si sono logorate in un inutile ibrido nel combinarsi con le immagini, il jazz lascia invece solo delle tracce (a volte persistenti) e rivela di conseguenza il suo potenziale. Sulle immagini del cinematografo, quello che si e` fissato e` piu` un desiderio di jazz che una realta` tangibile. 1. Il jazz filmato. Chilometri di pellicola strappati alla verita` effimera di molti concerti. Documenti che si contano a migliaia, che faranno la felicita` dei collezionisti. I grandi studios, quanto a loro, si disinteresseranno del jazz, stimando i due universi troppo contrastanti. Ci sara` sempre la cinepresa di un dilettante o di un appassionato per fissare sulla pellicola istanti che la semplice conseguenza storica giustifica.

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2. Il mondo dei jazz. Molto piu` legata allo sfruttamento, la visione romanzesca che hanno gli sceneggiatori della societa` jazzistica. The Subterraneans di Ronald McDougall nel 1960, con le composizioni e la direzione musicale di Andre´ Previn (un adattamento di Jack Kerouac), Young Man With A Horn di Michael Curtiz (1949), Paris Blues di Martin Ritt (1961), con Louis Armstrong e Duke Ellington, sono le principali pietre miliari di questa saga tanto descrittiva quanto pittoresca. A questa serie e` necessario aggiungere alcuni ritratti o celebrazioni, visioni non meno edulcorate delle precedenti. Glenn Miller Story di Anthony Mann (1953), Lady Sings The Blues di Sidney J. Fury (1973: la vita di Billie Holiday) o ancora Bird di Clint Eastwood (1988) e Bix di Pupi Avati (1990-91) costituiscono delle pietre miliari fondamentali nella ricerca dello spirito dei jazz. Ricerca amorfa e stilizzata all’eccesso (se si vuole mettere da parte l’oltranzismo di Eastwood). In fin dei conti, se e` facile verificare che il jazz affascina i cineasti, questi ultimi sono sempre imbarazzati dall’immagine che ne devono restituire, il che e` davvero il colmo. Resta un tentativo lussuoso e un tantino iconoclasta come Cotton Club di Francis Coppola (1985). L’arte come maniera di superare un’epoca per dare una memoria al jazz. Cio` detto, e` al livello di caricatura che bisognera` quasi sempre intravedere l’universo di questa musica. Il cinema ha esaltato gli a priori e, alcuni musicisti (i migliori), reclusi nell’ombra confortevole degli studios, diventeranno complici di questa rottura schizofrenica. Quasi tutti i solisti daranno l’impronta della loro musica alle colonne sonore, e spesso in modo anonimo. Sulla West Coast si creeranno delle abitudini, si celebreranno dei culti, ma e` proprio in questo crogiolo della produzione super rapida che si riveleranno gli orchestratori piu` abili. Quindi, quando non si sovrappone troppo all’immagine, il jazz passato dall’altra parte dello specchio e` ritornato alla sonorita` pura. Il jazz, fenomeno di societa`, diviene comparsa. I suoi ritmi, la sua ge-

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stualita` permetteranno di visualizzare delle idee drammatiche: corse, inseguimenti, suspence, stile di vita. Il ‘‘mondo del jazz’’ sfugge alla propria storicita` per diventare simbolo, effigie della sua realta` gia` trasposta. La sua musica lo abbandona ed esso si erge a media dell’idea che ce ne facciamo. Il cinema pullula di scene in cui il jazz stilizza un luogo: un locale notturno, una grande zona urbana. E, nello svolgimento dell’azione, una variazione ritmica puo` facilmente dare lo stacco. Il mondo del jazz e` quindi una convenzione facile da porgere tanto la sua forza di seduzione e` preminente sulla sua essenza. 3. Le composizioni originali. In questo paesaggio, bisogna tuttavia distinguere alcuni successi. Tanto piu` rari, quanto provenienti in gran parte da tentativi isolati. Anatomy of a Murder di Otto Preminger (1959) permette a Duke Ellington di apparire come ‘‘musicista per l’immagine’’. Ascenseur pour l’e´ chafaud di Louis Malle (1957) inventa una leggenda. Una musica non scritta, improvvisata sull’immagine (Miles Davis). Una musica che si ascolta senza aver bisogno dello schermo. Uno schermo che si guarda dimenticando la musica. L’esempio perfetto di una dicotomia creatrice. Altri esempi: Des femmes disparaissent di Edouard Molinaro (1959) con Art Blakey; The French Connection di William Friedkin (1971), musica di Don Ellis; Les Valseuses (Bertrand Blier, 1974) di Ste´phane Grappelli; Blow Up (Michelangelo Antonioni, 1967), colonna sonora di Herbie Hancock il quale, allora nel gruppo di Miles Davis, perpetuera` in seguito la sua apparizione per il cinema. Di suo, occorre citare: Death Wish di Michael Winner, nel 1974, e ’Round Midnight di Bertrand Tavernier, nel 1986. Lo stesso anno di Ascenseur pour l’e´chafaud, John Lewis e il Modern Jazz Quartet diventavano celebri grazie a un film in tono minore (ma riuscito, per le circostanze): Sait-on jamais? di Roger Vadim. L’intransigente Charles Mingus firma la musica di Shadows di John Cassavetes (1961), un vero cult movie. Sonny Rollins

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CINEMA

si rovina nel 1966 per Alfie di Lewis Gilbert; Eddie Sauter, poco incline al cinema, firma pero` una partitura d’eccezione, realizzata da Stan Getz, per il piu` sconosciuto dei film di Arthur Penn, Mickey One (1965); nel 1965, un Jimmy Smith, ‘‘francese’’, firma in trio una partitura per La Me´tamorphose des cloportes di Pierre Granier-Defferre. Quanto a Barney Wilen, compagno di strada di Miles Davis e di Art Blakey, alla fine degli anni ’50, per un cinema francese appassionato di jazz, scrive la musica di Un te´moin dans la ville di Edouard Molinaro. Una sintesi e un esempio contrario: The Cool World di Shirley Clarke nel 1963 e` il prototipo di una collaborazione ideale. Il ghetto di Harlem e il ritratto di una certa adolescenza trovano un’eco rigorosa e struggente nella colonna sonora elaborata dal pianista Mal Waldron. La regista ha lasciato grande autonomia ai diversi solisti (fra i quali Dizzy Gillespie, James Moody, Yusef Lateef, Art Taylor); Chappaqua di Conrad Rooks e` un esempio da cancellare, l’ufficializzazione di una truffa. In origine il cineasta chiede una musica a Ornette Coleman, ma prima del missaggio decide di sintonizzarsi con l’universo piu` alla moda di Ravi Shankar. Fra questi due estremi l’opera riuscita e il trucco, si sono riversati un gran numero di veri musicisti: Gato Barbieri (Ultimo Tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, 1972), Chico Hamilton per Alexander Mackendrick e Roman Polanski (Repulsion, 1965), J.J. Johnson (vari film gialli e Shaft), Gerry Mulligan (da Clive Donner ad Alain Corneau: La Menace, 1977). Durante questo periodo, Michel Portal e alcuni altri (Hubert Rostaing, Andre´ Hodeir, Henri Crolla, Jean-Pierre Mas) tentano una filmografia spesso importante, testimonianza di una tecnica e di una disponibilita`. 4. Arrangiatori e specchio dei tempi. Dove i musicisti di jazz si trovano forse meglio: in questa terra di nessuno dove regnano gli orchestratori. Quelli che fanno le sonorita` e, appunto per questo, rafforzano la mancanza di codificazione dei generi. Il territorio e` riserva di caccia

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CINEMA

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di questi virtuosi dell’insieme orchestrale superati da perfetti melodisti. Quincy Jones, Lalo Schifrin, Neal Hefti, Johnny Mandel, Billy May, Johnny Dankworth, Marty Paich, Ralph Burns, Leith Stevens, Lennie Niehaus, e poi Gil Evans, saranno i paladini di questa disciplina molto anglosassone. L’importanza continuamente crescente della televisione e il suo bisogno di lunghi minutaggi di musica favoriranno gli arrangiatori negli studios. Un alto tecnicismo e la facolta` di tradurla negli effetti piu` modulati permetteranno loro di diventare gli artigiani del suono degli anni ’50 e ’60. Non bisogna vedere qui nessuna innocenza, nella misura in cui questi arrangiatori permetteranno ad alcune vedette della canzone di salire alla ribalta: da Sinatra a Dean Martin, da Sammy Davis a Doris Day. Il jazz diventa allora un segno di ritrovata unione. Con delle orchestre ‘‘metronomiche’’, un suono squillante, un’arte innata per introdurre le corde, laddove meno ce lo si aspetta, questi artigiani proporranno un’estetica che, senza rinnovarsi davvero, trovera` i mezzi per imporre il prezzo della sfumatura, del timbro e del colore. I film passano e l’immagine sonora assicura senza problemi la sua perennita`. Da qui i limiti di una pratica che, malgrado tutto, impone una certa forma di serenita`. «Credo che il jazz sia stato usato troppo, e spesso in maniera poco appropriata. Secondo me, il jazz e` una forma pura, come la fuga, che ha una sua propria struttura, una sua propria dinamica. Non si puo` utilizzare una fuga per una colonna sonora», diceva Lalo Schifrin nel 1978. Una condanna dell’arte ripetitiva. Eppure, non potremmo disprezzare le capacita` jazzistiche di compositori conosciuti per altri esperimenti. Michel Legrand certamente, ma anche Elmer Bernstein per The Man With The Golden Arm (di Otto Preminger, 1955), John Barry, John Williams. A conti fatti, il cinema ha affidato solo raramente una continuita` musicale a un jazzman. Per i registi, quest’ultimo non e`

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un vero compositore, ma solo il creatore di spazi sonori impregnati di un atteggiamento jazzistico. Questa musica sopravvive all’immagine. Alcune figure filmate, alla rinfusa: Scott Joplin considerato dal pubblico come il migliore (The Sting di George Roy Hill e` d’obbligo), Louis Armstrong al fianco di Barbra Streisand in Hello Dolly, Dexter Gordon nella Parigi jazzistica di Bertrand Tavernier (’Round Midnight), Belmondo con Godard, nervoso su una musica di Martial Solal (A bout de souffle), Woody Allen, che con l’aiuto di Dyck Hyman propende per gli standard, l’Art Ensemble of Chicago che declama Les Stances a` Sophie di Moshe Misrahi, Clifton Chenier che disegna per Alain Corneau una France Socie´te´ Anonyme... echi di un incontro abortito, di una presa di potere sempre piu` fragile. [A.L., J.P.A.] Tra i film in cui il jazz (o la musica nera) gioca un ruolo, o rappresenta un elemento importante dello scenario, possiamo citare: The King of Jazz (1930), Hallelujah (King Vidor, 1930), The green Pastures (Connelly e Keighley, 1936), Pennies From Heaven (McLeod, 1936, con Louis Armstrong), Artists And Models (Raoul Walsh, 1937, con Armstrong), Hollywood Hotel (Busby Berkeley, 1937, con Benny Goodman), Cabin In The Sky (Vincente Minnelli, 1942, con Armstrong e Duke Ellington), Stormy Weather (Andrew Stone, 1943, con Fats Waller, Cab Calloway e il ballerino Bill Robinson), Phantom Lady (Robert Siodmak, 1944), New Orleans (Arthur Lubin, 1947, con Armstrong, Billie Holiday, Woody Herman), Rendez-vous de juillet (Jacques Becker, 1949, con Rex Stewart, Claude Luter), Pete Kelly’ Blues (Jack Webb, 1955, con Ella Fitzgerald), The Wild Party (Harry Horner, 1956, con Buddy DeFranco), The Sweet Smell of Success (Alexander Mackendrick, 1957, con il quintetto di Chico Hamilton), I Want To Live (Robert Wise, 1958, con Gerry Mulligan), Staccato (serie televisiva 1959-60), The Connection (Shirley Clarke, 1960 con Jackie McLean), Sven Klangs Kvintett (Stellan Olsson, 1976), She’s Gotta Have It (Spike Lee, 1986), Saxo (Ariel Zeitoun, 1987, con Archie Shepp per la colonna sonora), Dingo (Rolf De Heer, 1991, con Miles Davis); fra i film in cui il jazz e` utilizzato come musica di

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247 accompagnamento senza che la sceneggiatura ne richieda l’uso: Music Land (Walt Disney, 1935, Paul Whiteman), Le Vampire (Jean Painleve´ , 1945) e Les Assassins d’eau douce (id, 1947, Duke Ellington), Autour d’un re´cif (Jacques-Yves Cousteau, 1949, Andre´ Hodeir), The Wild One (La´szlo´ Benedek, 1952, Shorty Rogers), Se´rie noire (Pierre Foucaud, 1955, Sidney Bechet), Les Tricheurs (Marcel Carne´, 1958), Les Liaisons dangereuses (Roger Vadim, 1959, Thelonious Monk, Duke Jordan), Odds Against Tomorrow (Wise, 1959, John Lewis), New York Eye And Ear Control (Michael Snow, 1964, Albert Ayler, Don Cherry); tra i film documentari o reportage consacrati a musicisti e/o avvenimenti di jazz (o che mettono in scena questi e quelli): Saint Louis Blues (Dudley Murphy, 1929, Bessie Smith), Yamekraw (1930, James P. Johnson), Bundle Of Blues, Symphony In Black (1935, Duke Ellington), Jammin’ The Blues (Gjon Mili, 1944), Lionel Hampton And Herb Jeffries (1956), Cool And Groovy (1957) e Swingin’ And Singin’ (1958) di Will Cowan, Jazz On Summer’s Day (Bert Stern, 1958), Noi insistiamo e Appunti per un film sul jazz (Gianni Amico, 1965), Last of The Blue Devils (Bruce Ricker, 1979, Count Basie, Jay McShann, Jo Jones...), Archie Shepp: Je suis jazz... c’est ma vie (Frank Cassenti, 1984), Ornette: Made In America (Shirley Clarke, 1984), Bird Now (Marc Huraux, 1988), Let’s Get Lost (Bruce Weber, 1989), Check the Changes (Huraux, 1990), Texas Tenor: The Illinois Jacquet Story (Arthur Elgort, 1991), Last date: Eric Dolphy (Hans Hylkema, 1991).

Cinquantaduesima Strada Situata fra la 5ª e la 6ª Avenue a New York (ma comprendente anche una porzione a ovest della 6ª), questa arteria occupa un posto a se´ nella storia e nell’immaginario del jazz. A causa dell’agitazione che regnava a tutte le ore nei suoi club (‘‘La strada che non s’addormenta mai’’), il quartiere fu al centro della vita e delle discordie del jazz dal 1935 al 1955. La fine del proibizionismo segno` il debutto del fermento della strada (‘‘The Street’’). L’Onyx, primo club del quartiere, era uno speakeasy (locale clandestino per spaccio di liquori) riconvertito in fretta in locale

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CIRCLE

legale. E fu l’esplosione: Three Deuces, Jimmy Ryan’s, The Famous Door, Hickory House, Downbeat, Spotlite ecc. aprirono le loro porte, e i piu` grandi nomi del jazz vi passarono: da Art Tatum a Red Norvo, da Coleman Hawkins a Sarah Vaughan, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Erroll Garner, Count Basie e la sua band, Billie Holiday, Fats Waller, Lester Young ecc. Da semplice luogo di produzione, la Strada divenne il simbolo di questa musica, della vita notturna che le si associava, dei suoi conflitti e delle sue evoluzioni caotiche: il passaggio dallo stile New Orleans allo swing, dallo swing al bop e al cool ecc. A poco a poco, anche sotto la spinta della speculazione edilizia, il jazz si disperse in diversi punti di Manhattan, insediandosi principalmente nel Village. Dal 1977, la 52ª Strada e` un luogo archiviato, ribattezzato Swing Street, e uno dei suoi marciapiedi e` decorato da targhe commemorative; la 52ª Strada e` per il jazz cio` che Sunset Boulevard e` per il cinema. Thelonious Monk ha composto un tema che Leonard Feather ha battezzato 52nd Street Theme e che, un tempo, e` servito da sigla per alcuni club della strada. Dizzy Gillespie ne ha registrato una versione nel 1946. Da leggere: 52nd Street: The Street [P.B., C.G.] Of Jazz, di Arnold Shaw. CIRCLE Gruppo musicale composto da Chick Corea (pf), Anthony Braxton (fiati, perc), Dave Holland (cb, vlo), Barry Altschul (batt, perc). Organizzato a New York verso la fine del 1970 (le prime incisioni, realizzate sotto il nome del pianista, risalgono al 13 e al 19 ottobre di quell’anno), il gruppo comprendeva quattro forti e brillanti personalita` musicali legate alle forme contemporanee e avanzate dell’improvvisazione di estrazione afroamericana. Il nucleo di Circle era costituito da Corea, Holland e Altschul, i quali avevano gia` collaborato e inciso assieme, lavorando sulle forme improvvisative secondo moduli che lasciavano intravedere una pur vaga somiglianza con la poetica

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CIRILLO

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di Paul Bley. Con l’ingresso nel gruppo di Anthony Braxton un certo approccio quasi romantico (e nella sonorita`, e nella temperie espressiva) doveva cedere il posto a una organizzazione sonora assai piu` strutturata e meno casuale, affidata a una disposizione geometrica e ben delineata, piu` controllata e meno estroversa, di timbri, colori, dinamiche e spazio. Il lavoro del gruppo era in grado di raggiungere un livello di altissima omogeneita` proprio nei momenti in cui Corea, piu` attento allo sviluppo melodico, sapeva recuperare Braxton a una dimensione piu` spiccatamente tradizionale, dove il pianista si rivelava decisamente piu` a suo agio: ecco cosı` l’esecuzione di un lavoro di Ishan Jones quale There’s No Greater Love, dove l’intero quartetto esibisce le proprie capacita` di incidere brillantemente sul materiale musicale anche attraverso un approccio meno sperimentale e secondo le formule piu` rodate della tradizione jazzistica (esposizione del tema – assolo – riesposizione tematica e conclusione). Nonostante le contraddizioni interne, un ensemble come Circle ha messo in evidenza una tendenza all’analisi razionale, espressa a uno stadio che si potrebbe definire semi-compositivo, che e` divenuta assai comune sul finire degli anni ’70 e che proprio in Braxton ha avuto un fautore di non indifferenti possibilita`. Merito di Circle (scioltosi nel 1971, dopo una fortunata tourne´e in Europa e in Giappone), dunque, e` stato quello di avere illustrato con ampio anticipo lo svilupparsi di una nuova fase dell’improvvisazione. CIRILLO, Wally (Wallace Joseph) Pianista e compositore statunitense (Huntington, New York, 4/2/1927 - Boca Raton, Florida, 5/5/1977). Musicista di formazione classica, si fa conoscere agli inizi degli anni ’50 negli ambienti del jazz sperimentale e piu` precisamente nella corrente che, vicino a Charles Mingus o a Thad Jones, raggruppa musicisti (per la maggior parte di origine italiana o ebrei) come Teo Macero, John LaPorta e Lee Konitz. Partecipa (1954) alla regi-

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strazione di «Jay & Kai» (J.J. Johnson e Kai Winding) e, qualche mese dopo (1955), dirige insieme a Mingus un quartetto (completato da Macero e Kenny Clarke) che incide quattro pezzi per la Savoy. Nel 1956 partecipa, per la direzione di LaPorta, a una seduta esemplare dello spirito di ricerca proprio di questa corrente. Si insedia in Florida nel 1960, insegna in licei di Palm Beach e lavora alla composizione. Dirige svariate orchestre nella regione di Miami e di Fort Lauderdale, invitando solisti come Flip Phillips e Phil Napoleon, e si associa con Joe Diorio. Muore per un tumore al cervello. La sua musica partecipa sia all’avanguardia cosiddetta ‘‘bianca’’ (la corrente influenzata da Lennie Tristano) sia alla musica europea di inizio secolo, Barto´k in particolare. Le sue prime composizioni derivano da Tristano (Transeasons deriva direttamente da All The Things You Are), ma le sue opere piu` recenti mostrano il suo interesse per le esperienze modali e la sua passione per la matematica; la loro architettura infatti gioca come per diletto su una combinazione di approcci armo[F.Bi.] nici diversi. Smog L.A., Transeasons (o Transocean) (1955); Perdido (LaPorta, 1956); Lonely Afternoon (1973).

Citazione Prestito piu` o meno adattato da un materiale musicale preesistente, inserito in una composizione, un arrangiamento o un’improvvisazione di jazz. Il prestito tematico e` una cosa frequente nella musica occidentale: Beethoven si vede citato nella Fantasia di Schumann, Liszt riprende Mozart nelle sue Re´minescences de Don Juan, molteplici prestiti parodistici infiorano il Carnaval des Animaux di Saint-Sae¨ns. La lista e` lungi dall’essere completa. Lungo la sua breve storia, anche il jazz si e` costruito una cultura propria, che include temi popolari, ricordi di musica classica e riferimenti ai suoi temi di fondo. Ci sono infatti vari tipi di citazione: puo` essere di ordine analogico (Duke Ellington che riprende la Marcia

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funebre della sonata di Chopin nella sua Black And Tan Fantasy, o Julius Watkins che evoca il tema principale della Sagra della Primavera di Stravinskij alla fine di Rights of Swing, la suite di Phil Woods); improvvisato, allusivo e quasi comico (Carmen, il dramma di Bizet, tante volte citato dai bopper in particolare da Charlie Parker); elaborato e deferente (quel trombettista che riprende nota dopo nota l’introduzione spontanea del suo geniale fratello maggiore Louis Armstrong su West End Blues). Alcuni jazzisti arrivano fino a farne un’impronta essenziale del loro stile, come Martial Solal, i cui temi e improvvisazioni inframezzano sapientemente omaggi riconosciuti, frammenti presi in prestito e versi umoristici alla tradizione pianistica. Generalmente, la citazione necessita, per essere felice, di solide facolta` di adattamento da parte del musicista, in mancanza di cui essa puo` apparire a ragion veduta come il palliativo di un’ispirazione inconsistente. Il jazz contemporaneo, che si riferisce spesso alla vasta eredita` afroamericana, non riesce sempre a evitare questo difetto e mostra cosı` limiti dell’estetica del collage che discende direttamente dall’arte della [A.M.] citazione. CLAMBAKE SEVEN Nome di un piccolo complesso formato da Tommy Dorsey con i solisti della sua grande orchestra. Il debutto discografico dei Clambake Seven avvenne il 9 dicembre 1935. Fra i solisti che si sono avvicendati dal 1935 al 1952, si possono citare i trombettisti Andy Secrest, Pee Wee Erwin, Yank Lawson, Jimmy Blake, Ziggy Elman, Charlie Shavers e Billy Butterfield, i clarinettisti Sid Stoneburn, Tom Mace, Johnny Mince, Buddy De Franco e Peanuts Hucko, i sassofonisti tenori Johnny Van Eps, Sid Block, Skeets Herfurt, Babe Russin, Boome Richmond e Sam Donahue, i pianisti Dick Jones, Howard Smith, Johnny Potoker e Teddy Wilson e i batteristi Sam Weiss, Graham Stevenson, Maurice Purtill, Cliff Leeman e Alvin Stoller. Fra i contrabbassisti e i

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CLARINETTO

chitarristi sono da ricordare Gene Traxler, Carmen Mastren e Billy Bauer. Lo stile dei Clambake Seven si riallacciava alla [A.C.] tradizione dixieland. The Music Goes Round And Round (con Bose, 1935), Rhytm Saved The World (con Kaminsky, 1936), At The Codfish Ball (con Dixon e Freeman, 1936), Panama (1938), Nothin’ From Nothin’ Leaves Nothin’ (1947).

Clarinetto Strumento a fiato ad ancia semplice. Nella famiglia dei clarinetti quello usato piu` frequentemente e` il clarinetto in si b, registro soprano; il clarinetto basso viene suonato soprattutto a partire dagli anni ’60; il piccolo clarinetto in mi b era usato principalmente nelle fanfare di New Orleans. Tutti questi strumenti hanno un’estensione notevole per dei fiati: tre ottave e un quarto – anche di piu` per certi virtuosi – con una omogeneita` di timbro e di intensita` incomparabile in ogni registro. I primi clarinettisti jazz suonavano spesso con strumenti a sistema Albert, il cui suono e` piu` largo di quelli dei sistema Boehm-Klose´ (che invece permette piu` virtuosismi). Nel jazz New Orleans, il clarinetto apporta un controcanto – sostenuto dalla base fondamentale del trombone – agli assolo della cornetta o della tromba. Appare quindi non solo utile all’equilibrio della strumentazione, ma capace di inventare dei chorus che si allontanano piu` o meno dalla melodia di base, di prendere parte, quindi, alle improvvisazioni collettive. E`, al primo approccio, uno strumento solista che richiede dei virtuosi. Uno dei primi di cui la memoria musicale abbia conservato traccia e` il creolo Lorenzo Tio (nato nel 1884), che insegno` lo strumento ai tre principali solisti degli anni ’20: Sidney Bechet, Jimmie Noone e Johnny Dodds. Tutti e tre illustrano abbastanza bene gli sviluppi futuri che questo strumento conoscera` nell’ambito del jazz: Bechet per il timbro fiammante e il lirismo del vibrato, Noone per la finezza del timbro e Dodds per il fraseggio veemente, il gusto del registro grave e delle tonalita`

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CLARINETTO

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bluesy. Probabilmente meno importanti sul piano storico, tre grandi stilisti che appartengono a questa era: Albert Nicholas, Omer Simeon e soprattutto Barney Bigard, divenuto celebre nella big band di Ellington: lo stile fluido e il suo virtuosismo preparano l’evoluzione verso lo swing. A New Orleans c’erano anche dei clarinettisti bianchi: Larry Shields (Original Dixieland Jazz Band) o Leon Roppolo (New Orleans Rhythm Kings), i cui chorus risultano piu` originali e lo stile meno ‘‘corny’’.

Il clarinetto: uno strumento solista che richiede dei virtuosi. E` composto dal bocchino (1) che contiene l’ancia (2), dal barilotto (3) che fa risuonare le vibrazioni, dai corpi superiore (4) e inferiore (5) che contengono i fori, le chiavi e gli anelli, e dalla campana.

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Parallelamente si sviluppa il jazz bianco dei Chicagoans, in cui il clarinetto riveste un ruolo altrettanto importante: Frank Teschemacher, Don Murray, Pee Wee Russell e Jimmy Dorsey, ciascuno a suo modo, riflettono abbastanza fedelmente la concezione bianca del jazz hot dell’epoca. Il clarinetto si inserisce allora negli organici piu` importanti, ma molto spesso viene subordinato al sassofono, che risulta essere piu` facile da dirigere. Con Ellington, Barney Bigard e Jimmy Hamilton conservano ancora il ruolo di protagonista. Ma perlopiu` il clarinetto interviene nelle big band dell’epoca swing solo come complemento. Fatta eccezione, ovviamente, per Benny Goodman, il cui virtuosismo si mette in evidenza sia nei pezzi classici (Brahms o Barto´k) sia nella sua big band; e di Buster Bailey, che sognava a sua volta di diventare un concertista ma che rimase, visto che la carriera classica era all’epoca preclusa ai musicisti di colore, uno dei pilastri della grande orchestra di Fletcher Henderson. Soppiantato dunque dal sassofono durante l’epoca swing (e suonato spesso da sassofonisti per i quali era lo strumento secondario: Benny Carter, Johnny Hodges, Russell Procope, Herschel Evans, ma soprattutto Lester Young che gli adatta il suo stile di tenore, la cui singolare bellezza del timbro soffiato ispirera` i clarinettisti cool), il clarinetto annovera nel corso degli anni ’30 alcuni solisti importanti: Artie Shaw, Cecil Scott, Edmond Hall. La relativa disaffezione dei musicisti per lo strumento si accentua con l’esplosione del bebop, che consacra il sassofono e la tromba come strumenti leader. Unica eccezione, di notevole livello: Buddy DeFranco, non soltanto strumentista ma innovatore di uno stile di clarinetto e di arrangiamenti che integrano gli apporti del bebop. Durante gli anni ’40 agiscono anche Tony Scott, Stan Hasselgard, Maurice Meunier e Hubert Rostaing, eccellente stilista, che sostituisce Ste´phane Grappelli nel Quintette du Hot Club de France. Il dopoguerra vede svilupparsi l’importante fenomeno del New Orleans Revival che, evidentemente, colloca il

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clarinetto nella sua antica posizione: i francesi Claude Luter e Maxim Saury, l’olandese Peter Schilperoort (del Dutch Swing College) e lo statunitense Bob Wilber. Bisogna attendere la rivelazione di un musicista estremamente dotato, compositore e arrangiatore, ovvero Jimmy Giuffre, perche´ il clarinetto torni a essere parte integrante dell’attualita` e dell’evoluzione del jazz. Nello stesso periodo altri sassofonisti, vicini all’estetica cool, suonano di tanto in tanto il clarinetto: Al Cohn, Zoot Sims, Art Pepper, Buddy Collette. Ma Giuffre, per la qualita` della sua scrittura, la bellezza plastica del suo registro grave, il timbro estremamente soffiato e la liberta` di concezione di cui da` prova, apporta al jazz dell’epoca una dimensione nuova che annuncia a modo suo il jazz libertario e ‘‘cameristico’’ degli anni ’60. In quegli anni, a poco a poco, il clarinetto ritorna alla ribalta con Roland Kirk, Rolf Ku¨hn, Phil Woods (in modo discontinuo) e soprattutto Eric Dolphy, che riabilita e in una certa maniera reinventa uno strumento fino ad allora poco ascoltato nel jazz, il clarinetto basso. In gran parte anche sassofonisti, i continuatori del movimento free usano regolarmente i clarinetti (tra cui quello basso): Antony Braxton, John Carter, David Murray, Hamiet Bluiett e Perry Robinson e, in Europa, Michel Portal (su ogni tipo di clarinetto ma soprattutto quello basso, dal classico al free), Willem Breuker, Gianluigi Trovesi, Gunter Hampel, John Surman, Tony Coe (brillante sia negli standard sia nel jazz piu` contemporaneo), Eddie Daniels. Se queste sono figure importanti dell’epoca contemporanea, nessuno di essi possiede la statura di un Bechet o di un Bigard. L’epoca d’oro dello strumento e` forse tramontata? L’opera in corso di Louis Sclavis e Don Byron mostra forse la strada da seguire per questo strumento oggi marginale e per il quale, contrariamente al sassofono, non c’e` alcun modello capace di imporre la sua schiera di seguaci epigoni di scarsa fantasia. Uno strumento decisamente singolare. [A.M., M.R.]

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CLARK

Lorenzo Tio: Bouncing Around (Armand Piron, 1923); Johnny Dodds: Gully Low Blues (Louis Armstrong, 1927); Sidney Bechet: Achin’ Hearted Blues (Clarence Williams, 1923), Characteristic Blues (1937); Frank Teschemacher: I’ve Found A New Baby (Chicago Rhythm Kings, 1928); Jimmie Noone: Apex Blues (1928); Omer Simeon: Beau Koo Jack (1929); Buster Bailey: Fidgety Feet (Fletcher Henderson, 1927), Memphis Blues (1959); Barney Bigard: Clarinet Lament (1936), I Know That You Know (con Django Reinhardt, 1937); Lester Young: Countless Blues (1938); Benny Goodman: After You’ve Gone (1945); Jimmy Hamilton: Flippant Flurry (Ellington, 1946); Buddy DeFranco: Left Field (1953), Now’s The Time (JATP, 1954); Jimmy Giuffre: «Tangents In Jazz» (1955), «Thesis» (1961), «7 Pieces» (1964); Al Cohn e Zoot Sims: Two Funky People (1957); Art Pepper: Anthropology (1959); Eric Dolphy: «Out To Lunch» (1964); Tony Scott: «Music For Yoga Meditation» (1964); Tony Coe: Villa radieuse (Clarke-Boland Big Band, 1968); Michel Portal: En el campo (1979); John Surman: «Upon Reflection» (1979); Anthony Braxton: «Six compositions: Quartet» (1981); Louis Sclavis: «Clarinettes» (1985); Eddie Daniels: She Rote (1987); The Clarinet Summit (Alvin Batiste, John Carter, Jimmy Hamilton, David Murray); Fluffy’s Blues (1987); Hamiet Bluiett & The Clarinet Family (Dwight Andrews, Don Byron, Buddy Collette, John Purcell, Gene Ghee, J.D. Parran, Kidd Jordan): To Be There (1984); Trio de Clarinettes (Di Donato, Sclavis, Armand Angster): Berliner suite (1990).

CLARK, Aaron Warren Suonatore di corno baritono statunitense (Louisville, Kentucky, 1858 - New Orleans, Louisiana, 4/9/1894). Padre del trombonista e tubista Red Clark, Aaron Warren Clark e` uno dei piu` antichi musicisti, in qualche modo imparentati col jazz, di cui si abbia traccia in Louisiana. Suono` con la Excelsior Brass Band dal 1882 al 1890, una delle piu` prestigiose formazioni in attivita` a New Orleans dal 1880, e della quale fecero parte un po’ tutti i padri del jazz. Dal 1890 al 1894 fece parte dell’organico della Onward Brass

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CLARK

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Band che vide, tra i suoi musicisti, Manuel Perez, Peter Bocage, Joseph Oliver, Buddy Johnson, George Baquet. CLARK, Big Sam Pianista e cantante statunitense (Glover, Mississippi, 1/7/1916 - ?). Brillante esecutore di barrelbouse (un jazz molto aggressivo e ritmato, miscuglio di blues, ragtime e stomp) Sam Clark passa la sua infanzia a Proctor nell’Arkansas e a tredici anni inizia a suonare il piano al fianco di John Williams (Memphis Piano Red). Dai primi anni ’30 si esibisce localmente con artisti come Memphis Slim, Roosevelt Sykes, Son House e sul finire del decennio con Memphis Minnie, Howlin’ Wolf e il pianista Eight-Rock. Dalla seconda meta` degli anni ’40 alterna l’attivita` musicale con quella di domestico presso famiglie ricche della zona del Mississippi. Dopo un lungo periodo di silenzio, si ritornera` a parlare di lui durante gli anni ’60. Nel 1969 registra per l’Adelphi e quindi partecipa al River City Blues Festival di Memphis (1971 e 1972) e al festival di Molde in Norvegia (1974). CLARK, Bill (Wiliam) Batterista statunitense (Jonesboro, Arkansas, 31/7/1925 - Atlanta, Georgia, 30/ 7/1986). I suoi primi compagni d’avventura sono Lester Young (1950) e Mary Lou Williams. Nel 1951 entra per brevissimo tempo nell’orchestra di Ellington, e nell’anno successivo nel gruppo di Dizzy Gillespie. Si specializza nell’accompagnamento di jazz women: la cantante Lena Horne (Parigi, 1952), la pianista Hazel Scott e altre. Lo troviamo successivamente con George Shearing (1953-55), Toots Thielemans (1955), Rolf Ku¨ hn (1956-57) e di nuovo con la Williams alla fine degli anni ’60. Accompagnatore assai discreto, mostra una predilezione per le spazzole, che ado[A.C., G.P.] pera con finezza. Three Little Words (L. Young, 1950); Lullaby In Rhythm (D. Gillespie, 1952); Mood For Milt (G. Shearing, 1953).

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CLARK, Buddy Walter Jr. Contrabbassista e arrangiatore statunitense (Kenosha, Wisconsin, 10/7/1929). Studia il piano, il trombone poi, a Chicago (1948-49), il contrabbasso. Suona con Bud Freeman, Bill Russo e parte in tourne´e con Tex Beneke (1951-54). 1954: si stabilisce a Los Angeles e fa parte dei gruppi di Bob Brookmeyer e Kenny Drew. Riparte in tourne´e con Les Brown (1955-56); di ritorno in California, accompagna Peggy Lee, lavora con Red Norvo (1956), Dave Pell (1957), Med Flory (1958), Jimmy Giuffre (con il quale va in Europa, 1959) e il Concert Jazz Band di Gerry Mulligan (1961). Suona poi da free lance, dividendo il suo tempo fra le sale di registrazione e i club in compagnia di musicisti che come lui vivono a Los Angeles (Pell, Brookmeyer). 1972: con Med Flory partecipa alla creazione di Supersax, gruppo per il quale scrivera` alcuni arrangiamenti. Parallelamente lavora per la televisione (Mery Griffin Show, dove sostituisce Ray Brown). Nel 1975 abbandona Supersax per dedicarsi all’arrangiamento e alla composizione. L’anno seguente un incidente lo priva dell’uso di una mano e lo obbliga a rinunciare al contrabbasso. Da Don Fagerquist a Lennie Niehaus, ha registrato con la maggior parte dei grandi della West Coast. Bassista dal tempo possente, dall’agilita` particolarmente evidente ne