Dalla vita degli oggetti. Poesie 1983-2005
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Zitiervorschau

Biblioteca Adelphi 590 Adam Zagajewski

DALLA VITA D EG LI O G G E T T I

I versi che Adam Zagajewski ha scelto per l’am pia antologia che qui presentiamo ri­ flettono la fase più alta e matura della sua produzione. M esso a confronto con in­ terrogativi e dilemmi, con il mondo della natura e della storia, il poeta coglie tutte le contraddizioni della nostra condizio­ ne: «La sua è una tessitura in cui fiori, al­ beri e uomini convivono in un’unica sce­ na. Ma questo m ondo ricreato dall’arte non è un luogo di fuga, al contrario è in relazione con la cruda realtà di questo se­ colo» ha scritto Czeslaw Milosz. E se nelle m etropoli occidentali u n ’um anità priva di passioni paga il benessere con la noia, l’indifferenza e la solitudine, egli può cat­ turare - grazie a u n ’illum inazione inte­ riore che si traduce nel «fervore» dei ver­ si - l’istante in cui l’esperienza del dolore si fonde con quella della bellezza e l’aura del divino si manifesta anche nella realtà più misera: «La pelle levigata degli ogget­ ti / è tesa come la tenda di un circo. / ... / Siamo come palpebre, dicono le cose, / sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità / e la luce, l’India e l’Europa. / E all’improv­ viso sono io a parlare: sapete, / cose, cos’è la sofferenza?...». Così, nella poesia di Za­ gajewski, l’invisibile si coniuga con il mon­ do concreto, e l’anima si fonde con le co­ se della terra, dando vita a quell’assoluto quotidiano che spiega il complesso intrec­ ciarsi di destino individuale e universale. Nato a Leopoli (ora L ’viv, in Ucraina) nel 1945 e considerato uno dei maggiori poeti vi­ venti, Adam Zagajewski ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, come il Cze­ slaw Milosz Prize (2008) e il Premio Europeo di Poesia (Treviso, 2010). Attualmente vive tra Cracovia e gli Stati Uniti, dove insegna all’Università di Chicago. I testi qui radunati coprono un arco cronologico che va dal 1983 al 2005. Di lui Adelphi ha pubblicato Tradimento (2007).

Sempre occupate in ciò che definivano il lato pratico della nostra vita (toccava a Fiatone la teoria), immerse fino al collo in mobili, lenzuola, in giardini di dispense e credenze, senza dimenticare il sacchetto di lavanda che tramutava l’armadio della biancheria in prato. Il lato pratico della vita, come la faccia oscura della Luna, non era privo di misteri; sotto Natale la vita diventava pura praxis, prendendo provvisoria dimora nei corridoi, rifugiandosi in valigie e nécessaire. E quando qualcuno moriva, il che purtroppo accadeva anche in famiglia, le mie zie tutte prese dal lato pratico della dipartita si scordavano del sacchetto di lavanda e del suo ebbro, altruistico profumo sotto un manto nevoso di lenzuola.

In copertina: Disegno a penna e pastello di Jósef Czapski, tratto dal quaderno datato 25 aprile-19 giugno 1968 (Londra). © 2012 M U Z E U M N A R O D O W E W K R A K O W IE

BIBLIOTECA ADELPHI 590

Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche

D ELLO ST ESSO A U TO RE

Tradimento

Adam Zagajewski

DALLA VITA DEGLI OGGETTI P O E SIE 1983-2005 A cura di Krystyna Jaworska

ADELPH I EDIZIONI

TITOLO

o r ig in a l e :

Questa scelta antologica si basa sul volume WithoutEnd. Le poesie Klgska, Chorqgiew, Rzym, miasto otwarte, Marze, Muzyka stuchana z tobq vengono qui pubblicate per gentile concessione dell’autore

Questa pubblicazione è stata sovvenzionata dal Book Institute - thè © p o l a n d Translatìon Program INSTTIUI (Sltfll

©POLAND

© 2002 A D A M

Z A G A JE W S K I

Published by arrangement with Farrar, Straus and Giroux, LLC, New York

© 2012 A D E L P H I

E D IZ IO N I S .P .A . M IL A N O

w w w .a d e l p h i . i t

IS B N 978-88-459-2682-2

INDICE

La sconfitta L a bandiera _ Il viandante Ode alla morbidezza Nell’enciclopedia di nuovo non c’è posto per Osip Mandel’stam Tardo Beethoven Schopenhauer piange L a febbre Kierkegaard su Hegel Negli alberi Il fiume Egli agisce Vitalizio Ode alla molteplicità Venerdì santo nei corridoi della metropolitana Il volto di Van Gogh A maggio Il fuoco Il fuoco, il fuoco Io

13 14 13 16 17 18 20 22 23 24 26 27 28 29 32 33 34 35 36 38

Andare a Leopoli I fulmini Veduta di Delft Si arresta Franz Schubert, conferenza stampa Scale mobili Senza fine L a generazione Tre voci Esprit d ’escalier Nella bellezza altrui II ferro Versi sulla Polonia f I miei maestri Triste, stanca Ciò che Veduta di Cracovia Ninnananna Lava R. dice Conversazione con Friedrich Nietzsche All’alba Morandi L ’alleanza Presenza Feste tardive Anton Bruckner Requiem per i viventi I prati della Borgogna Elegia elettrica Pomeriggio di settembre in una caserma abbandonata II gotico Il fiume nero Le falene Vacanze

39 42 44 45 46 49 51 53 55 56 59 60 62 63 64 65 66 69 71 73 75 77 78 79 81 83 84 86 87 88 90 91 94 95 96

Guardando la Shoah in una stanza d ’albergo, in America A mezzanotte Le scimmie Nelle città straniere Diciassettenne Senza forma Storia della solitudine Dalla vita degli oggetti Crudele Simone Weil guarda la vallata del Rodano La tela Poesia veloce Mistica per principianti I Re Magi Giardino d ’inverno Pittori d ’Olanda L a conchiglia Anni Trenta ' I profughi Lettera da un lettore PerM . Questa è la Sicilia Siete i miei fratelli silenziosi L a fanciulla di Vermeer L a terra del fuoco Autoritratto L ’attimo Elegia II violoncello Scriveva al buio L ’aeroporto di Amsterdam L an ette L a stanza L a città in cui vorrei abitare Persefone

97 99 100 101 102 103 105 106 107 109 110 111 113 115 117 119 121 123 124 126 128 130 131 132 133 135 137 138 140 141 142 144 146 148 150

151 154 156 157 159 161 162 164 165 167 168 170 171 173 175 177 178 180 181 183 184 186 187 188 180

Tre angeli Dalla memoria Sul nuoto Suore di carità Houston, sei del pomeriggio Senza flash How high thè moon La separazione lire Solo bambini Lunghi pomeriggi L a morte di un pianista Mattina a Vicenza f Piena estate O pera postuma La fiamma Vedere Foresteria per studiosi Addio a Zbigniew Herbert Le mie zie Square d ’Orléans Valzer I tigli Parla pacatamente Là, dove il respiro II Dizionario biografico polacco nella biblioteca a Houston Prova a cantare il m ondo mutilato Roma, città aperta lim are L ’Europa d ’inverno L a musica ascoltata con te

191 193 194 196 198 200

Note L a poesia tra incanto e ironia di Krystynajaworska Indice dei titoli dellepoesie

203 209 229

D A L L A V IT A D E G L I O G G E T T I

J—

1

LA SCONFITTA

Davvero sappiamo vivere solo dopo la sconfitta, le amicizie si fanno più profonde, l’amore solleva attento il capo. Perfino le cose diventano pure. I rondoni danzano nell’aria, a loro agio nell’abisso. Tremano le foglie dei pioppi, solo il vento è immoto. Le sagome cupe dei nemici si stagliano sullo sfondo chiaro della speranza. Cresce il coraggio. Loro, diciamo parlando di loro, noi, di noi, tu, di me. Il tè amaro ha il sapore di profezie bibliche. Purché non ci sorprenda la vittoria.

13

LA BANDIERA

L a mattina mi sveglio e cerco di appurare con l’aiuto di un binocolo da teatro quale bandiera sventoli sulla mia città nera, bianca o grigia come il terrore, se la mia città è già stata conquistata o ancora si difende, se implora la clemenza dei vincitori oppure porta il lutto per alcuni secondi di oblio, o forse io stesso sono la bandiera solo che non so vederla, così come non vediamo il nostro cuore.

IL VIANDANTE

Entro in sala d ’aspetto alla stazione, m anca l’aria. In tasca ho un libro, poesie altrui, tracce d ’ispirazione. Accanto, sulle panche, due vagabondi e un ubriaco (oppure due ubriachi e un vagabondo). Al lato opposto della sala, lo sguardo volto altrove, in alto, verso l’Italia e il cielo, siede un’elegante coppia anziana. Fummo sempre divisi. L ’umanità, i popoli, le sale d ’aspetto. Mi fermo un attimo, incerto a quale sofferenza unirmi. Infine mi siedo al centro, leggo. Sono solo, m a non mi sento tale. Un viandante che non viaggia. Svanisce la visione. Montagne di respiri, soffocanti pianure. L a divisione perdura.

15

ODE ALLA MORBIDEZZA

Le albe sono cieche come gattini. Fiduciose crescono le unghie, ancora ignare di ciò che toccheranno. Morbidi sono i sogni, la tenerezza incombe come nebbia su noi, come la campana di Sigismondo, prima che cessasse di battere.

16

¥

N ELL’ENCICLOPEDIA DI NUOVO NON C ’È POSTO PER OSIP MANDEL’STAM

Nell’enciclopedia di nuovo non c’è posto per Osip Mandel’stam di nuovo è senza un tetto è sempre così difficile trovare un alloggio registrarsi a Mosca è quasi impossibile lo chiama il Caucaso echeggia la bassa foresta dell’Asia quei giorni non sono ancora giunti altri raccolgono ciottoli sulle spiagge del Mar Nero continua sempre l’iniqua istruttoria sebbene l’unifomie mostri un taglio nuovo e un sarto sempre diverso senza volto s’inabissi in inchini profondi Chiudi il libro un fragore di sparo e la polvere bianca della carta solletica il naso è sera cade im a neve latina nessuno verrà più oggi è tempo di dormire quando busserà alla tua porta sottile aprigli.

17

TARDO BEETHOVEN

Non ho ancora visto nessuno che ami la virtù con la stessa intensità con cui si ama il bello C O N F U C IO

Nessuno sa chi fosse lTmmortale Amata. A parte questo tutto è chiaro. Note di piuma riposano tranquille sui fili del pentagramma come rondini appena tornate dall’altra sponda dell’Atlantico. Chi dovrei essere io per parlare di lui che cresce di continuo. O ra camminiamo soli, senza fantasmi e bandiere. Vìva il caos, dicono le nostre labbra solitarie. Sappiamo che si vestiva in modo trasandato, soffriva di attacchi di avarizia, non sempre era giusto con gli amici. Gli amici sono in ritardo di cent’anni con i loro irreprensibili sorrisi. Chi era lTmmortale Amata? Di certo più del bello amava la virtù. Ma in lui albergava il dio senza nome della bellezza esigendo obbedienza. Per ore improvvisava. Ogni volta soltanto una manciata di minuti è rimasta annotata. 18

Minuti estranei al diciannovesimo e al ventesimo secolo; come se l’acido muriatico avesse bruciato una finestra nel velluto, aprendo così un varco a un velluto ancora più morbido, sottile come una ragnatela. Danno ora il suo nome a navi e profumi. Non sanno chi fosse l’Immortale Amata, altrimenti il suo nome conquisterebbe nuove città e paté. Nessun profitto. Solo il velluto che cresce sotto il velluto, come foglia nascosta al sicuro in una foglia, luce nell’ombra. Adagi senza fine. Così respira la stanca libertà. I biografi discettano solo sui dettagli. Perché tormentasse così Karl, il nipote. Perché camminasse così in fretta. Perché non fosse andato a Londra. A parte questo tutto è chiaro. Non sappiamo cosa sia la musica. Chi parli in lei. E a chi si rivolga. Perché così ostinata taccia, perché si muova in cerchio e poi ritorni, invece di offrire una semplice risposta, come esige il Vangelo. Le profezie non si sono avverate. I cinesi non sono giunti al Reno. Ancora una volta si è visto che il mondo reale non esiste > per somma gioia degli antiquari. Altrove si celava il mistero, non era negli zaini militari, m a solo in un paio di quaderni. Grillparzer, lui, Chopin. I generali sono fusi in piombo e zinco per dare alle fiamme dell’inferno un attimo di tregua, dopo kilowatt di paglia. Adagi senza fine, m a soprattutto gioia, gioia selvaggia della forma, radiosa sorella della morte.

19

SCHOPENHAUER PIANGE

Sì, è proprio quello Schopenhauer (1788 -1860), l’autore del Mondo come volontà e rappresentazione, lo scopritore degli inganni della natura e della musica delle sfere. Qualcuno poi 10 definì un educatore. Nulla è successo, poiché nulla succede; solo un bambino, un moccioso, che un poco somiglia a quella donna conosciuta in gioventù la gioventù non esiste -, gli sorrise e non ce n ’era bisogno, certo era un agente della natura. Settembre, cosa indifferente, non apre più i cuori, solo la terra a poco a poco s’indurisce. Torna a casa, chiude la porta a chiave, per nascondersi al servente. Come gira bene la serratura, prende parte al complotto senza dubbio. Piange. Il corpo minuto del grande filosofo, il settimo continente, trema. 11 suo panciotto. Il colletto inamidato. Le guance gialle. L a redingote marrone. 20

Tremano queste cose superflue, come se già cadessero le bombe su Francoforte. Trem a la sua solitudine, spessa, sottile come una tela olandese.

21

LA FEBBRE

La Polonia, febbre riarsa sulle labbra dell’emigrato. L a Polonia, m appa stirata dai ferri pesanti di treni a lunga percorrenza. Non scordare il sapore della prima fragola, della pioggia, il profumo degli umidi tigli a sera, registra il suono metallico della bestemmia, annota l’odio, il pelo raso di ciò che è straniero, ricorda ciò che unisce, ciò che divide. Paese di gente così innocente da non poter essere salvata. Un agnello lodato dal leone per buona condotta, un poeta sempre sofferente. Paese senza aculei, confessione senza peccati mortali. Sii solo, ascolta il canto non battezzato del merlo. Giunge fluttuando il profumo acerbo della primavera, presagio crudele.

22

KIERKEGAARD SU HEGEL

Kierkegaard diceva di Hegel: ricorda qualcuno che erige un enorme castello, m a vive in una semplice capanna, lì nei pressi. Così l’intelligenza abita in una modesta stanza del cranio, e quegli stati meravigliosi che ci furono promessi sono ricoperti di ragnatele, per ora dobbiamo accontentarci di un’angusta cella, del canto del carcerato, del buonumore del doganiere, del pugno del poliziotto. Abitiamo nella nostalgia. Nei sogni si aprono serrature e chiavistelli. Chi non ha trovato rifugio in ciò che è vasto, cerca il piccolo. Dio è il seme di papavero più piccolo al mondo. Scoppia di grandezza.

23

NEGLI ALBERI

Negli alberi, nelle loro chiome, sotto sontuose vesti di foglie e sottane di luce, sotto i sensi, sotto le ali, sotto gli scettri, negli alberi si cela, respira, palpita una vita quieta, sonnolenta, un abbozzo d ’eterno. Prosperi reami crescono nell’ambone delle querce. Gli scoiattoli corrono, immobili come piccoli tramonti rossi nascosti sotto le palpebre. Ostaggi invisibili formicolano sotto i gusci delle ghiande, gli schiavi portano cesti con frutta e argento, i cammelli oscillano come studiosi arabi sopra i loro manoscritti, i pozzi bevono acqua e aceto, l’acerba Europa stilla come resina dal legno, Vermeer dipinge vesti e una luce che non va scemando. Sotto la cupola del circo danzano i tordi. Slowacki già abita a Parigi e gioca perseverante in borsa. Un ricco si infila nella cruna d ’un ago e geme, ah, che tortura, Socrate 24

spiega ai cercatori d ’oro che cos’è la menzogna, che cosa il bene e la virtù. I rematori remano lenti. E lente navigano le barche a vela. I fuggitivi dell’Insurrezione di Varsavia bevono un tè dolce, sui rami asciuga la biancheria, qualcuno nel sonno chiede « dov’è la mia patria ». Un veliero verde è fissato a un’ancora arrugginita. Un coro di anime immortali prova una cantata di Bach, in silenzio. Accanto, su un angusto divano, dorme, stanco, capitan Nemo. Un picchio trasmette un telegramma urgente con la notizia della conquista di Cartagine e del Boston T ea Party. L a donnola non si tramuta affatto in lady Macbeth, nelle chiome degli alberi non esistono rimorsi. Icaro serenamente affoga. Dio riavvolge il nastro. Le spedizioni punitive rientrano in caserma. Vivremo a lungo negli intrecci di un arabesco, nel balbettio dell’allocco, nel desiderio, nell’eco senza casa, sotto sontuose vesti di foglie, nelle chiome degli alberi, nell’altrui respiro.

25

IL FIUME

Dalle poesie poesie, dai canti canti, dai quadri quadri, continua sempre l’amichevole fecondazione. Sull’altra riva del fiume, nel raggio dell’esistenza, marciano i soldati. L ’armata nera, l’armata rossa, l’armata verde, arcobaleno di ferro. Nel mezzo l’acqua tranquilla, l’onda indifferente.

26

EGLI AGISCE

Egli agisce, nel fulgore e nelle tenebre, nel fragore delle cascate e nel silenzio del sonno, m a non come annunciano i vostri pastori, che restano ben protetti. Cerca la linea più distante, una strada così lontana che quasi non si vede. Si perde nel dolore. Solo i ciechi, solo i gufi talora ne percepiscono la tenue impronta sotto le palpebre.

27

VITALIZIO

Sono ormai cessate quelle sofferenze. Tace il pianto. In un vecchio album vedi il volto di un bambino ebreo a un quarto d ’ora dalla morte. Hai gli occhi asciutti. Scaldi l’acqua per il tè, mangi una mela. Vivrai.

28

ODE ALLA MOLTEPLICITÀ

Non capisco tutto e mi rallegro persino che il m ondo come un oceano inquieto superi la mia capacità di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia, dei bagni nello Stagno del Fornaio, vicino al confine boemo-tedesco, nel settembre del 1980; dettaglio questo senza particolare significato, un profondo stagno germanico. Che l’Ego in crisi di ossigeno respiri tranquillo, un nuotatore taglia la linea del meridiano, è sera, le civette si svegliano dal sonno diurno, in lontananza rombano pigramente le auto. Chi per una volta ha sfiorato la filosofia è perduto, non lo salverà la poesia, resterà sempre, rimanenza incalcolabile, la nostalgia. Chi per una volta ha conosciuto la folle corsa della poesia più non proverà la quiete petrosa della prosa familiare dove ogni capitolo è nido di una generazione. Chi per una volta è vissuto non 29

dimenticherà la delizia mutevole delle stagioni, persino le bardane gli appariranno in sogno e le ortiche e i ragni, solo un poco più brutti delle rondini. Chi per una volta ha incontrato l’ironia sbufferà ridendo durante la lezione del profeta, chi per una volta ha pregato non solo con le labbra asciutte ricorderà la presenza di una strana eco rimbalzata da una parete. Chi per una volta ha taciuto non vorrà parlare durante il dessert, chi è stato ustionato dallo shock dell’amore farà ritorno ai libri con volto mutato. Rimani dritta, anima singola, di fronte all’eccesso. Due occhi, due mani, dieci dita ingegnose e un solo Ego, un quarto d’arancia, la più giovane delle sorelle. Il piacere dell’udito non guasta il piacere della vista, m a l’ebbrezza della libertà distrugge la pace degli altri sensi quieti. L a pace, un nulla spesso, pieno di dolce succo come una pera a settembre. Brevi istanti di felicità svaniscono sotto una slavina di ossigeno, d ’inverno una cornacchia solitaria batte il becco sulla bianca distesa gelata del lago, una coppia di picchi impaurita dall’accetta cerca sotto la mia finestra un pioppo abbastanza malato. Una donna dall’aria assente scrive lunghe lettere e la nostalgia si gonfia come l ’oppio; in un museo egizio un papiro bruno è intriso della stessa nostalgia, più antica di alcuni millenni, incrollabile e intatta. Le lettere d ’amore vanno sempre a finire nei musei, i curiosi sono più ostinati degli innamorati. L ’Ego avido 30

trangugia l’aria, la ragione si risveglia dal sonno diurno, il nuotatore esce dall’acqua. Una donna avvenente posa per la felicità, gli uomini fingono di essere più coraggiosi di quanto non siano veramente, il museo egizio non cela le debolezze umane. Esistere, per esistere ancora, forse offrendosi in affitto a una delle gelide stelle. E talvolta beffarsi di lei che è fredda e viscida come una rana nello stagno. L a poesia cresce sulla contraddizione, m a non la ricopre.

31

VENERDÌ SANTO NEI CORRIDOI DELLA METROPOLITANA

Gli ebrei di varie religioni si incontrano nei corridoi della metropolitana, rosario sparpagliato da dita premurose. Su loro dormono i preti dopo la cena di magro, su loro piramidi di chiese e sinagoghe si ergono come rocce portate da ghiacciai. H o ascoltato la Passione secondo Matteo che tramuta in bellezza il dolore. H o letto Fuga di morte di Celan che tramuta in bellezza il dolore. Nei corridoi del metrò il dolore non si tramuta, solo perdura, senza tregua.

32

IL VOLTO DI VAN GOGH

AJózefCzapski

Pomeriggio, torrenti di folle che si squagliano, Parigi. Sul tabellone degli annunci, accanto ai bandi di arruolamento di una nuova leva strappata al registro delle nascite, accanto alla pubblicità di pellicce di volpe e del nuovo Beaujolais, appare il tuo volto spigoloso, il volto di un giusto, l’inquietudine rivestita di pelle. Ci separiamo, passiamo oltre, scorriamo via sotto la lama di uno sguardo lacerante. Continui a osservarci, uomo ricco, più vivo dei vivi e più pensoso.

33

A MAGGIO

Camminando nel bosco, in un ’alba di maggio, chiedevo, dove siete, anime dei morti. Dove siete, giovani scomparsi, dove siete, ormai del tutto mutati. Un grande silenzio regnava nel bosco e udivo le foglie verdi sognare, udivo i sogni della corteccia da cui nascono barche, navi e vele. Poi a poco a poco gli uccelli si fecero sentire, cardellini, tordi e merli nascosti nei balconi dei rami; ognuno parlava a suo modo, con voce diversa, senza chiedere nulla, senza amarezza o rimpianto. E capivo che voi siete nel canto, inafferrabili come la musica, indifferenti come le note, lontani da noi quanto noi da noi stessi.

IL FUOCO

Sono, suppongo, un comune borghese paladino dei diritti individuali, la parola libertà per me non ha confini di classe, politicamente ingenuo, mediamente istruito (brevi attimi di chiarezza sono il principale alim ento), ricordo l’appello ardente di quel fuoco che prosciuga le labbra assetate della folla, e poi brucia i libri e carbonizza la pelle delle città, ho anche cantato quei canti, so quanto sia stupendo correre assieme agli altri, poi, una volta solo, in bocca resta un sapore di cenere e odo l’ironica voce della menzogna, e il coro che grida, e sfiorando la testa, sotto le dita sento il cranio convesso, della mia patria la dura sponda.

35

IL FUOCO, IL FUOCO

Il fuoco di Cartesio, il fuoco di Pascal, cenere, scintilla. L a notte arde un bivacco invisibile, un fuoco che consumandosi non distrugge m a crea, come se in un attimo volesse restituire ciò che le fiamme hanno sottratto in vari continenti: la biblioteca di Alessandria, la fede dei Romani e la paura di una bimba della Nuova Zelanda. Il fuoco, come le armate dei Mongoli, svuota e brucia le città di legno e pietra, e poi innalza case lievi e palazzi invisibili, ordina a Cartesio di demolire la filosofia ed erigerne un ’altra, si trasforma nel roveto ardente, sveglia Pascal, suona le campane e le fonde per eccesso di zelo. Avete visto come legge i libri? Pagina dopo pagina, lentamente, 36

r come chi ha appena imparato a sillabare. Il fuoco, il fuoco eterno, il fuoco di Eraclito, l’avido messaggero, un ragazzo dalle labbra nere di bacche.

37

IO

È piccolo e invisibile come i grilli ad agosto. Come tutti i nani ama agghindarsi e cambiarsi. Abita tra blocchi di granito, in mezzo a verità utili. Riesce a stare persino sotto un cerotto, o una benda. Non lo troveranno i doganieri e neppure i loro superbi cani. L ’io si nasconde tra gli inni e i partiti. Pernotta sulle Montagne Rocciose del cranio. Eterno fuggiasco. E me, io sono in lui nell’inquieta speranza di aver trovato infine un amico. Ma egli è solitario, così diffidente da non ricevere nessuno, me compreso. Agli eventi storici aderisce come l’acqua a un bicchiere. Anche una brocca neolitica potrebbe contenerlo. E insaziabile, vuole nuotare negli acquedotti, ha fame di recipienti sempre nuovi, gradirebbe uno spazio senza pareti, vorrebbe dissolversi, dissolvere. Poi svanisce, come la sete, e nel silenzio di una notte di agosto si sentono solo i grilli che parlano pazienti con le stelle. 38

ANDARE A LEOPOLI

Andare a Leopoli. Da quale stazione andare a Leopoli, se non in sogno, all’alba, quando la rugiada ricopre le valigie e proprio allora nascono i rapidi e gli espressi. D ’un tratto partire per Leopoli, nel cuore della notte, di giorno, a settembre oppure a marzo. Se Leopoli esiste sotto la fodera delle frontiere e non solo nel mio nuovo passaporto, se gli stendardi degli alberi, pioppi e ontani, respirano ancora rumorosi come gli Indiani e i ruscelli balbettano nel loro oscuro esperanto e le bisce spariscono nell’erba come altrettanti segni molli dell’alfabeto russo. Fare i bagagli e partire, senza neppure salutare, a mezzogiorno, svanire così come venivano m eno le fanciulle. E le bardane, la verde armata delle bardane, là sotto, sotto gli ombrelloni di un caffè veneziano, le lumache conversano dell’eternità. Ma svetta la cattedrale, ricordi, così verticale, così verticale come la domenica e i tovaglioli bianchi e il secchio pieno di lamponi sul pavimento e il mio desiderio, che ancora non esisteva, solo i giardini e le erbacce e l’ambra delle ciliegie e il disdicevole Fredro. 39

C ’era sempre troppa Leopoli, nessuno sapeva capirne i quartieri, sentire il sussurro di ogni pietra bruciata dal sole, la chiesa uniate di notte taceva in modo del tutto diverso dalla cattedrale, i gesuiti battezzavano le piante, foglia dopo foglia, ma quelle crescevano, crescevano immemori, e la gioia si celava ovunque, nei corridoi e nei macinini da caffè che giravano da soli, nei bricchi celesti e nell’amido, che era il primo formalista, nelle gocce di pioggia e nelle spine delle rose. Sotto la finestra ingiallivano le forsizie velate di brina. Le campane suonavano e l’aria tremava, le cuffie delle monache veleggiavano come golette davanti al teatro, c’era così tanto del mondo da concedere infinite repliche, il pubblico impazziva e non voleva lasciare la sala. Le mie zie non sapevano ancora che un giorno le avrei resuscitate, e vivevano così fiduciose, nella loro unicità, le cameriere linde, con le vesti stirate, correvano per la panna fresca, dentro le case c’erano un p o ’ di collera e molta speranza. Brzozowski era venuto a fare conferenze, imo dei miei zii scriveva un poem a intitolato Perché? dedicato all’Onnipotente e c’era troppa Leopoli, traboccava dal vaso, crepava il vetro dei bicchieri, straripava dagli stagni, dai laghi, fumava dai comignoli, si mutava in fuoco e in tempesta, rideva con i fulmini, diventava umile, tornava a casa, leggeva il Nuovo Testamento, dormiva sul divano sotto il kilim carpatico, c’era troppa Leopoli e ora non ce n ’è affatto, cresceva irrefrenabile e le forbici tagliavano, i freddi giardinieri come sempre a maggio, senza pietà né amore, ah aspettate che giunga il caldo 40

giugno con le morbide felci, il campo sconfinato dell’estate, ossia la realtà. Ma le forbici tagliavano lungo la linea e attraverso l’ordito, sarti, giardinieri e censori tagliavano il corpo e le ghirlande, le cesoie indefesse lavoravano, come in un gioco da bambini dove ritagli il profilo di un cigno o di un cerbiatto. Forbici, coltellini e lamette grattavano, tagliavano e accorciavano le vesti ariose dei prelati e le piazze e i palazzi, gli alberi cadevano senza rumore, come in una giungla, e la cattedrale tremava e ci si congedava all’alba senza lacrime, senza fazzoletti, così asciutte le labbra, non ti vedrò mai più, tanta è la morte che ti attende, perché ogni città deve farsi Gerusalemme e ogni uomo un ebreo? e ora, ma in fretta, fare i bagagli, sempre, ogni giorno, e andare senza fiato, andare a Leopoli, eppure esiste, quieta e pura come una pesca. Leopoli è ovunque.

41

I FULMINI

Ad Adam Michnik

Vivevamo comprendendo poco e bramando conoscenza. Come piante che cercano la luce cercavamo giustizia, trovandola solo nelle piante, nelle foglie di castagno immense come l’oblio, nei cespugli di felce che ondeggiavano lenti, senza promettere nulla. Nel silenzio. Nella musica. Nei versi. Cercavamo la giustizia confondendola con la bellezza. Leggi severe governano la commozione. Voltavamo le spalle a crudeltà e noia. Non c’è soluzione, solo questo sapevamo, solo frammenti, parlavamo apertamente e questo già ci pareva uno scherzo strano. Com ’era facile odiare un poliziotto. Persino la sua faccia sembrava appartenere, alla divisa. Era facile riconoscere gli errori altrui. Nel fiume, in un giorno afoso, si riflettevano nuvole e montagne. La vita allora era rotonda come un palloncino che sale verso l’alto. Gli abeti si ergevano immobili, pieni d ’ombra 42

e frescura come gli abissi dell’oceano. Occhi verdi, la tua pelle umida, o lucertola. La sera fulmini muti brillavano nel cielo. Erano i pensieri altrui che bruciavano la quiete e le certezze. Bisognava fare in fretta i bagagli e andarsene ancora più lontano, a oriente o a occidente, disegnando la m appa di un percorso di fuga.

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VEDUTA DI DELFT

Case, onde, nuvole e ombre (tetti blu scuro, mattoni bruni) infine siete diventate solo sguardo. Quiete pupille degli oggetti, indomite, rilucenti di nero. Sopravviverete alla nostra meraviglia, al nostro pianto, alle nostre fragorose, infami guerre.

SI ARRESTA

Si arresta la città la vita si fa quadro è fragile come le piante di un erbario vai su una bicicletta che non si muove, solo le case ruotano lentamente, mostrando naso, fronte e labbra prominenti. L a sera si fa quadro, non ha voglia di esistere e per questo riluce come un lampione cinese in un giardino silente. Resta immobile il crepuscolo, è l’ultimo ormai. L ’ultima parola. Nella chioma degli alberi si nasconde la felicità. Dentro le foglie dormono i sovrani. Non c ’è vento, la vela gialla del sole resta immobile sui tetti come la tenda abbandonata di Cesare. Il dolore si fa quadro e la disperazione è solo un quadro, incorniciato nelle labbra di questo passante. Il mercato tace nello scuro fogliame d ’ali degli uccelli. C’è silenzio come a Jena, dopo la battaglia, quando donne innamorate guardano i volti dei caduti. 45

FRANZ SCHUBERT, CONFERENZA STAMPA

Sì, ho vissuto poco, sì, ho amato, sentivo crescere la luce, sotto le dita nascevano scintille. Sì, ho avuto poco tempo, non sapevo quanto, compativo Gretchen, chi muore giovane e chi am a infelice. Sì, la fiamma non era muta, sì correvo per i boschi ghiacciati, incalzato da neve, stelle gialle, dall’estraneità dello stile; no, non la polizia, chissà se era il diavolo. Non esisteva l’epoca, solo l’erba verde, i frassini, gli oggetti immobili, le libellule sugli stagni, non esisteva l’epoca, m a un pavimento di legno, sedie taciturne, sì, Vienna, lo stesso gusto del caffè, i colombi sui davanzali. No, non avevo previsto la Primavera dei Popoli, non so, non ricordo, è una dom anda troppo personale. No, non conosco la musica di Wagner. Se possiamo 46

capirci? Rammarico, e persino invidia, non so se il destino, un guanto, i fiocchi di neve così delicati se non diventano tormenta. Gli occhi verdi di quella ragazza. Il destino per me era troppo grande, come una tenda, il mio cuore palpitava maldestro nelle stanze enormi. Sì, il talento, piccolo amaro chicco di caffè sgranocchiato. No, avevo paura, tutto mi si rovesciava addosso, eserciti di mercenari mi assalivano, ah, signori, come potete paragonarmi all’ammiraglio Nelson, no, le ombre ingigantivano, i bisbigli rimbombavano come campane nelle cattedrali, le parvenze latravano, sì, lo riconosco, talvolta mi sbagliavo, non potevo sapere di essere Schubert, lo stavo diventando, cercavo una strada, un colore, perciò non potete conoscere me, m a solo l’eco. Sì, sono passato da quello stretto dove il dolore si muta in canzone, sì, i boschi verdi per l’eternità e l’amore mai corrisposto, la gioia dell’indifferenza, volevo dire la felicità di esprimersi, a metà strada tra la vita e la morte, proprio a metà strada, sì, qui giungono ancora le grida di coloro che danzano, m a condensate nella gelatina della memoria. Non voltare la testa, non sbagliare direzione, sì, certo, la vita non si racchiude nel canto, in una piccola arca di Noè, sapete signori, non persone solo generi, non fiori solo esemplari, non profumi solo nomi, e noi abbiamo vissuto selvaggi e rigogliosi come un prato, con le gramigne e il vento, con il tarassaco e l’anemone, 47

r nell’immenso plurale di colori e suoni, muti e appassionati, obbedienti alle richieste di messi trafelati, nelle nozze, nel peccato e nella preghiera, di sera e di mattina, nella noia e nel riso, perdurava la danza eterna, a maggio, a giugno, quante cose accadevano, angoscia e gioco, dita ferite, labbra aperte, baci veri o baci solo in sogno, trecce, spighe, il tuo sguardo, la veranda, il silenzio e il nulla, la porpora d ’autunno, sì, tutto ricordo, le allodole sui lunghi fili, i papaveri, i boschi di noccioli, in città i caldi mattoni, le voci smorzate nel crepuscolo, e la notte una scatola in cui i bambini nascondono i tesori, il sonno e la veglia, Venere nel cielo pallido, che trema per il freddo. Sì, ora è persino meglio, nel canto, solo due labbra che parlano fra sé, accanto il pianoforte nel suo smoking lucente, sì, ora sono stanco, no, questa non è una rimostranza.

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SCALE MOBILI

Quanto immobili stanno sulle scale mobili le statue dei miei cari sconosciuti. Quanto s’innalzano pian piano, senza sforzo o fatica. Giace sotto di loro la città che mai più sarà conquistata da qualcuno perché oggi non si assediano le mura. Il destino volentieri capitola, e i vincitori non sono peggio di chi c’era prima. Il sole tramonta come sempre, una crema rosata sfiora l’orizzonte. Le vie si aprono come lattine di birra vuote, e cantano la stessa spontanea canzone. Perché conquistare le città, lanciare pietre e bruciare i templi, se un sussurro, un sorriso e il disprezzo sono sufficienti. Le scale crescono come un bosco di pini. La notte di San Bartolomeo può durare un quarto d ’ora, senza sangue - solo il coraggio si consuma lento. Guardo la folla che sale. 49

Tanti volti, tante guance, speranze, attese, mani che s’intrecciano, nelle iridi di occhi gonfi la luce incrocia l’ombra. Tanti volti, tante mani e una sola illusione. Noi che torniamo lo sappiamo già: nessuno ci aspetta lassù in cima. Lottano i colombi per le briciole di pane, e le rondini con geroglifici fulminei scrivono lettere al presidente e il presidente ride come il vento.

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SENZA FINE

E nella morte vivremo, solo diversamente, con delicata dolcezza, dissolti nella musica; chiamati a uno a uno in corridoio, soli, seppure in schiere, come compagni di im a stessa classe che si estende sin oltre gli Urali e arriva fino al Quaternario. Affrancati dalle eterne discussioni politiche, aperti e sinceri, liberi, anche se proprio allora si chiuderanno sbattendo le persiane e la grandine suonerà sul davanzale la sua marcia turca, spavalda come sempre. Il mondo delle apparenze non svanirà d ’un tratto, a lungo farà ancora i capricci accartocciandosi come un foglio umido gettato dentro il fuoco. L a sete di perfezione si avvererà quasi contro voglia, eviterà tutti gli ostacoli, come i Teutoni impararono a eludere la linea Maginot. Cose 51

minime e dimenticate, aquiloni fatti con la cartavelina più sottile, fragili foglie degli autunni passati ritroveranno la loro dignità immortale, e i grandi sistemi vittoriosi si contrarranno come il sesso di un gigante. Non ci sarà più la nostalgia, perché raggiungerà se stessa, stupita per aver così a lungo cacciato la propria artica ombra. Neppure noi ci saremo, poiché ancora non sappiamo vivere a una simile altitudine.

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LA GENERAZIONE

A lla memoria di Helmut K ajzar

Camminavamo molto lentamente sulle lastre di pietra vicino allo Stadio Olimpico a Berlino, dove la stella nera di Jesse Owens arse in tempi preistorici, e urlava l’aria tedesca. Mi veniva da ridere, non credevo si potesse andare così piano là, dove lui aveva corso così forte, andare in una direzione, e guardare in un’altra, come i piatti profili degli egizi. Eppure proprio così camminavamo, legati dai fili lievi dell’amicizia. Due morti ci girano intorno. Una ci addormenta in gruppo, ci prende tutti, il gregge intero. Poi fa un lungo discorso e motiva il verdetto. L ’altra è selvaggia, analfabeta, ci rapisce isolati, spersi, noi animali, noi corpi, noi dolore, noi sbadati e incolti. 53

Le onoriamo entrambe in due religioni spezzate dallo scisma. Questa cicatrice ci divideva a volte se dimenticavo che abbiamo due morti, e una vita sola. Non ti voltare quando sentirai il mio sussurro. Nella gran folla di greci, egizi, ebrei, in questa fertile generazione incenerita vai avanti dritto, come allora, senza fretta, da solo. Le pareti non sono ermetiche, le finestre si aprono di notte alla pioggia, al canto delle stelle che la distanza smorza. Eppure ogni istante dura eterno, si fa punto, porto, involucro di commozione. Ogni pensiero è un lieve cerchio che ruota, celato nella sua timida esistenza, in un canto, in un quadro. Ogni gioia, pur se inesistente, lascia dietro di sé una traccia trasparente. Il gelo bacia il vetro perché non sa entrare nella stanza. In questo modo nasce un ’altra patria, che creiamo quasi involontariamente, è di riserva, costruita in basso, piena di corridoi, incompiuta, ombra luminosa della prima casa.

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TRE VOCI

L a nube del crepuscolo si addensa nella stanza, cresce l’om bra della sera, quieto desiderio. Per radio il Canto della terra di Mahler. Fuori dalla finestra i merli fischiano sonori e spensierati. E intanto sento il sommesso sussurro del mio sangue (come neve che scivola dai m onti). Queste tre voci, tre voci straniere, si rivolgono a me, ma nulla vogliono, nulla promettono. In lontananza, laggiù sul prato, a lungo si schiera, si prepara il corteo della notte percorso da sordi bisbigli.

ESPRIT D ’ESCALIER

Sulla rampa delle scale, triste come una camera oscura, in uno zoo affollato da lettere, mosche e topi esplode all’improvviso la scintilla azzurra del pensiero. Di sopra continuano la festa e il frastuono, il fragoroso festival al plurale. L a notte, m onaca dal copricapo ad ampie falde, corre lungo via San Giovanni. Giungono le parole non pronunciate prima, piene di vergogna, il sì, il no, la formula di sdegno, la ragion logica; appare infine, senza fiato come uno sprinter, la conversazione vittoriosa. Con lei vengono le ombre, le chimere, i sogni non ripagati, il primo bacio con un grande numero 1 che fende il cielo, il ballo della scuola, le buffe melodie, You are my destiny, e in effetti, quanto è successo ricorda il destino in apparenza, gli stessi occhi, lo stesso 56

naso, solo il senso è differente. Per le strade marciano cortei sotto bandiere sempre diverse, negli alloggi i mariti uccidono la giovinezza delle mogli; per le scale in penombra, tra finestre semiaperte, correnti d ’aria, mancorrenti incompleti, sui mezzanini si dispiega un’altra sfera. L ’oscurità è solo assenza di luce, un ’ombra scura, carta spiegazzata, un grigio grigiore, un biancore nero, un carminio esangue. L ’oscurità rende spavaldi lettere, mosche e topi, si odono dei passi leggeri, echi indistinti, sul davanzale dormono volantini stanchi, figli del pathos e del pettegolezzo. Invisibile, sotto la soglia un ragno, semidio di questa regione, tesse le sue viscide reti. Non sono persuase le mosche della sua esistenza, ridono solo, talvolta una lacrima scorre o una muta preghiera. Lettere non ritirate, orfane, leggono il loro oscuro messaggio, lentamente, come in un testo di geologia, si staccano dalle buste i francobolli. Sul muro, vicino alla cantina, im a scritta col gesso, un p o ’ storta: « Nulla di peggio dell’ego altrui », e una firma illeggibile. A Cet, può essere, o forse Acid oppure Zeta. Basta allungare la mano, subito c’è il cortile, ora deserto, come un piattino in attesa delle fragole, le tortore dormono da sveglie, nelle confetture si conserveranno i ricordi dei bimbi del quartiere. Le cose bisbigliano 57

tra loro, scricchiola il vecchio legno. Uno dei sorci più vecchi si chiama Voltaire e tace ostinato, disprezza l’epoca romantica, persino da morto evita di parlare della morte. Chi di notte loda la notte non vedrà l’alba. La tentazione dell’oscurità, dolce come cioccolato al latte, non ha senso, ghigna il vecchio topo in parrucca. Di sopra continuano la festa e il frastuono, tra un attimo qualcuno in un ’aura di allegria lascerà gli ospiti, salterà pesantemente sul marciapiede, se ne andrà all’inglese, nuoterà nell’ossigeno, veleggerà cercando nella memoria le parole non dette, che come piombo cucito nella tela lo tireranno giù in mezzo all’erba, tra canne, sabbia e fango. Ma nel mondo libero e grigio delle scale, dopo un sordo attimo di terrore risuoneranno ancora gemiti amorosi, accaniti alterchi e ironici sospiri.

NELLA BELLEZZA ALTRUI

Solo nella bellezza altrui vi è consolazione, nella musica altrui e in versi stranieri. Solo negli altri vi è salvezza, anche se la solitudine avesse sapore d ’oppio. Non sono un inferno gli altri, a guardarli il mattino, quando la fronte è pulita, lavata dai sogni. Per questo a lungo penso quale parola usare: se lui o tu. Ogni lui tradisce un tu, ma in cambio nella poesia di un altro è in fedele attesa un dialogo pacato.

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IL FERRO

Perché mai dev’essere dicembre volano le grevi, cupe colombe della neve cadendo sul selciato. Cos’è il talento rispetto al ferro, cos’è il pensiero rispetto alla divisa, cos’è la musica rispetto al manganello, cos’è la gioia rispetto alla paura, una neve cupa e greve incurva i germogli dei sogni, dal balcone vedi il giovane Norwid che mostra alla pattuglia i documenti e giura di non poter firmare la Volkslist, quelli ridono sprezzanti, con le narici dilatate e le guance arrossate, carnefici presi in prestito d a quadri della Passione, cos’è rispetto a loro la folla silente in un tram celeste, chi è quella ragazza triste, forse inizierà così una nuova epoca, quel carro armato dal lungo naso gogoliano è forse il suo padrino, questo ferro che stride, sotto 60

il quale si piega la delicata colomba della neve, suggellerà forse la Dichiarazione di Lealtà ferendo a morte il canto della libertà, intanto vedi che il giovane Norwid, rimesso in libertà da quelli con narici dilatate e guance arrossate, si nasconde in un portone, lui, al pari di te, è fragile come un disco di vinile, e tutti i passanti - ognuno tiene in mano un pugno di infinito - tutti sono stati fermati e restano immobili, oscilla il selciato sotto i cingoli dei decreti. L a sera mi chiedi, disperato, cosa fare, m a come, mi sorprendo, le tue idee si sono forse rivelate false, si è forse spezzato il cerchio della tua immaginazione, no, solo il ferro si è gonfiato.

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VERSI SULLA POLONIA

Leggo versi sulla Polonia scritti da poeti stranieri. Tedeschi e russi non hanno solo mitra, ma anche inchiostro, penne, un p o ’ di cuore e molta fantasia. Nei loro versi la Polonia ricorda un unicorno spavaldo che si ciba della lana degli arazzi, bella, debole e incauta. Non so in che cosa consista il meccanismo dell’illusione, m a incanta persino me, lettore smaliziato, quest’indifeso paese delle fiabe, di cui si cibano aquile nere, imperatori famelici, il Terzo Reich e la Terza Roma.

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I MIEI MAESTRI

I miei maestri non sono infallibili. Non sono Goethe che solo quando in lontananza piangono i vulcani non riesce a prender sonno, né Orazio che scrive nella lingua degli dèi e dei chierichetti. I miei maestri mi chiedono consiglio. Avvolti da morbidi cappotti gettati in fretta sopra i sogni, all’alba, mentre un vento freddo interroga gli uccelli, i miei maestri parlano sussurrando. Sento che la loro voce trema.

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TRISTE, STANCA

Triste, stanca, brutta e sola stai alla finestra, vicino alla tela chiamata via, m ondo o città, signora Arnolfini scissa dal marito. Dondola, dondola, l’insetto di Bergson catturato nella tela del ragno. T ra noi scorre l’oceano. Tra noi dormono i cicloni. T ra noi sonnecchiano le guerre. S ’annoia l’estranea indifferenza degli altri. Tra noi i generali contano le frecce nella faretra. Tra noi arde la nostalgia. Triste, stanca, brutta e sola, aspetta, spalanca il bianco ventaglio della finestra.

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CIO CHE

Ciò che pesa troppo e trascina in basso che fa male come il dolore e brucia come uno schiaffo, può essere pietra o àncora.

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VEDUTA DI CRACOVIA

Davanti a me Cracovia in una valle grigia. Le rondini la trasportano su lunghe trecce d ’aria. Cornacchie dalle nere mantelle la sorvegliano. Nel cespuglio di ciliegie selvatiche affamate ronzano le api. I gatti vegliano sui tetti delle auto. Ciò che era, ciò che è, separati con estrema cura. Sovrani nelle marmoree tombe, tombe nelle cantine, Dio nelle preghiere, dita inanellate. Davanti a me la chiesa di Santa Caterina, mai terminata (come una bozza spessa). Gli archi gotici si arrampicano in alto, spalle di monaci assonnati che hanno dimenticato quale parola possa risvegliare Dio. Davanti a me una bassa pianura. Una vecchia sola che abitava qui è morta da poco, di solitudine o vecchiaia. Chi mai ricorderà il dolce che faceva e i suoi occhi irati? Di quale Stato è ora 66

cittadina? Chi le ha dato asilo? (Un passaporto di cenere, occhi: spavaldi). Le stanno accanto neri pioppi, e un usignolo, imprigionato tra le foglie, si esercita con la solita perlacea profezia. A sera i pipistrelli con volo incerto costruiscono fragili alleanze. Davanti a me Cracovia in una valle grigia. Lungo il viale, sotto un fitto tunnel di foglie, una ragazza in ritardo corre a lezione. Nei suoi capelli crescono petali di peonia, nei suoi capelli la tenerezza del tempo ha intrecciato un nido. Corre in fretta, m a è come se non si muovesse, è sempre nello stesso punto, sotto gli ippocastani che si spogliano del solito verde per indossarne uno nuovo. Davanti a me erba rilucente, coltellini aperti, storni come esploratori, l’orizzonte, altre città, frontiere, balconi, pensieri, doppi significati. L a nebbia si alza, e la nebbia cala. I grandi corpi delle chiese come palloni legati dondolano lentamente, le loro campane, bronzei e temprati cuori, emettono sottili ragnatele sonore. I bambini corrono sui lastroni di pietra, facendo rotolare i cerchi, e il sole lì davanti, assetato di frescura, si nasconde nell’ombra dei platani. Dai camini sale un esile fumo, come per un conclave ininterrotto, come se persino i muri delle case volessero prender parte al gioco dell’esistere. E sento un canto via via più forte che cresce nelle strette gole dei cortili, il canto dei dimenticati, degli oltraggiati, dei muti, degli assenti, dei morti, le voci di coloro che vissero in silenzio, sento, sento la musica che cresce, 61

strepito, fragore, preghiera, ninnananna, canto di navi che affondano e urla di sopravvissuti. Al mattino gli orioli chiedono acqua, a sera piangono i gufi e nel teatro cittadino si lamentano le amanti abbandonate e vibra in chissà quante laringi un canto selvaggio e si addormentano il prigioniero e l’aguzzino e l’etem o m ondo preso in prestito dalla grande biblioteca.

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NINNANANNA

Oggi non dormirai. Tanto è il chiarore alla finestra. Sulla città s’innalzano i fuochi d ’artificio. Non dormirai, sono accadute troppe cose. Su te vegliano i libri, in file ordinate. A lungo penserai a ciò che è accaduto e a ciò che non è stato. Oggi non dormirai. Le tue palpebre rosa si ribelleranno, avrai gli occhi arrossati, bruceranno, e il cuore gonfio di ricordi. Non dormirai. Si aprirà l’enciclopedia e ne usciranno i vecchi poeti, vestiti con cura, al riparo dal freddo. Si aprirà la memoria, come un paracadute, con un sibilo improvviso. Si aprirà la memoria e tu non dormirai, ti cullerai tra le nuvole, bersaglio mobile e chiaro dei fuochi d ’artificio. Non dormirai mai più, troppo ti è stato detto, troppo è accaduto. Eppure ogni goccia di sangue potrebbe scrivere la sua Biade scarlatta. Ogni alba potrebbe essere autrice 69

di cupe memorie. Non ti addormenterai sotto la spessa coltre di tetti, solai, camini che gettano verso l’alto una manciata di cenere. Le notti in bianco fluttuano nel cielo silenziose e i remi frusciano, calze di seta. Uscirai nel parco e i rami ti batteranno amichevolmente sulle spalle, per cresimarti un ’altra volta, come se non fossero certi della tua promessa. Non dormirai. Correrai per il parco deserto, diventerai un ’ombra, incontrerai altre ombre. Penserai a qualcuno che non c’è più e a qualcuno che vive con tale intensità che questa vita ai margini si trasforma in amore. Sempre più luce si affolla nella stanza. Oggi non dormirai.

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LAVA

E se Eraclito e Parmenide avessero ragione contemporaneamente e due mondi esistessero affiancati uno tranquillo, l’altro folle; una freccia scocca immemore, e l’altra indulgente la osserva; lo stesso flutto si frange e non si frange, gli animali nascono e muoiono nello stesso istante, le foglie di betulla giocano con il vento e al contempo si struggono in una crudele fiamma rugginosa. La lava uccide e serba, il cuore batte e viene colpito, c’era la guerra, la guerra non c’era, gli ebrei sono morti, vivono gli ebrei, le città bruciarono, le città rimangono, l’amore avvizzisce, il bacio è eterno, le ali dello sparviero devono essere brune, tu sei sempre con me, anche se non ci siamo più, le navi affondano, la sabbia canta e le nuvole vagano come veli nuziali sfilacciati. Tutto è perduto. Tanto incanto. I colli reggono cauti lunghi stendardi boscosi, il muschio sale sul campanile di pietra della chiesa 71

FF

e con labbra minute timidamente loda il Settentrione. Al crepuscolo i gelsomini brillano come lampade folli stordite dalla propria luce. Nel museo davanti a una tela scura si stringono pupille feline. Tutto è finito. I cavalieri galoppano su cavalli neri, il tiranno scrive una sgrammaticata condanna a morte. La giovinezza si dissolve nell’arco di un giorno, i volti delle fanciulle si fanno medaglioni, la disperazione volge in estasi e i duri frutti delle stelle crescono nel cielo come grappoli d ’uva e la bellezza dura, tremula, immota e Dio c’è e muore, la notte torna a noi sul fare della sera, e l’alba è brizzolata di rugiada.

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R. DICE

Sorci letterari - dice R. - ecco chi siamo. Ci incontriamo in coda davanti alle casse dei cinema economici. Al tramonto, quando negli stagni verdi affondano pesanti soli di broccato, usciamo dalla biblioteca arricchiti dall’opera di Kafka - illuminati sorci in giubbotti militari, in cappotti del potenziale esercito di un despota colto; polizia segreta di un poeta che forse giungerà al potere in una provincia lontana. Sorci con borse di studio, domande confidenziali, osservazioni sarcastiche, topi dal pelo irto, dai baffi ispidi, pungenti. Ci conoscono le grandi città, l’asfalto rovente, le dame di carità, non ci hanno mai visto i deserti, l’oceano e la fitta giungla. Benedettini di un’epoca atea, missionari di una facile disperazione, siamo forse una forma transitoria in un lungo processo evolutivo, 73

r il cui fine, l’indirizzo e il senso ancora a nessuno furono svelati. E siamo ripagati con una monetina d ’oro, priva di valore: la voluttà di un attimo, quando la fiamma della metafora fonde due oggetti finora liberi, quando l’astore scende in picchiata l’esattore si fa il segno della croce.

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CONVERSAZIONE CON FRIEDRICH NIETZSCHE

Illustrissimo Signor Nietzsche, mi pare di vederla, sì, sulla terrazza del sanatorio, all’alba, quando cala la nebbia e il canto gonfia la gola degli uccelli. Non troppo alto, la testa a forma d ’obice, lei scrive un nuovo libro e una strana energia le scorre intorno: mi pare di vedere i suoi pensieri che danzano come eserciti possenti. Lei sa che Anna Frank dai neri capelli è morta e così i suoi compagni e le compagne, i coetanei, le amiche dei compagni e i suoi cugini. Vorrei chiederLe cosa sono le parole e cos’è la chiarezza, perché mai le parole ardono anche dopo cent’anni, nonostante il greve fardello della terra. 75

È ovvio che non c’è nesso tra l’incanto e il cupo dolore, la ferocia. Esistono almeno due regni, se non altri ancora. Ma se Dio non esiste e nessuna forza salda tra loro gli elementi, che cosa sono le parole, da dove viene quella luce interiore? E da dove la gioia? Dove va il nulla? Dove abita il perdono? Perché i piccoli sogni svaniscono al mattino, e quelli grandi crescono?

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A LL’ALBA

All’alba dai finestrini del treno vedevo città disabitate, spopolate dal sonno, aperte e indifese come grandi animali sdraiati sul dorso. Per le vaste piazze camminavano solo i miei pensieri e un vento freddo, sulle torri perdevano i sensi bandiere di lino, nelle chiome degli alberi si svegliavano gli uccelli, nelle folte pellicce dei parchi scintillavano occhi di gatti selvatici, nelle vetrine dei negozi si specchiava la timida luce del mattino, eterno debuttante, le giostre, finalmente assorte, pregavano il loro invisibile centro, i giardini fumavano come le rovine di Varsavia, e alle m ura brune del macello ancora non era arrivato il primo camion. All’alba le città non sono di nessuno, non hanno nomi e neppure io ho un nome, sul far del giorno, quando svaniscono le stelle e il treno corre sempre più veloce. 77

MORANDI

Gli oggetti vegliavano anche di notte, mentre lui dormiva sognando l’Africa; la brocca di porcellana, due annaffiatoi, le verdi bottiglie da vino, un coltello. Quando dormiva sodo, come può dormire solo un artista esausto, stremato, gli oggetti ridevano, prossimi alla rivolta. L ’annaffiatoio, ficcanaso dal lungo becco, sobillava gli altri, febbrile, e il sangue pulsava selvaggio nella porcellana ignara del tocco di labbra assetate, solo occhi, sguardo, percezione. Di giorno erano più docili e persino fieri: tutta la ruvida esistenza del mondo trovava rifugio in questi oggetti, abbandonando per un attimo il ciliegio in fiore e il cuore afflitto dei morenti.

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L ’ALLEANZA

Durò un attimo la tacita alleanza nelle sale del Museo egizio a Torino: le cose e le persone, le vetrine stipate, i bambini vocianti di un gruppo tedesco, le vigili mummie arse dal lungo fuoco della contemplazione, con labbra sottili e serrate come quelle dei condottieri prima della battaglia, il granito delle piramidi, le statuette a protezione dalla morte e dalla dannazione e ora, lontane dall’Egitto, diventate inutili, tagliaunghie di tremila anni addietro, il mio cuore paziente come un ragazzo che balbetta, e le famiglie italiane spensierate, felici della vita e della domenica. Stavamo l’uno accanto all’altro, timorosi, m a senza astio, con pari diritti e osservandoci l’un l’altro. Il tempo, come una spilla di rame per capelli, scivolò via dai riccioli di una principessa egizia. 19

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Impassibili, quasi con amicizia ci osservavamo, generazioni diverse di uno stesso mondo, muti oggetti imperfetti del desiderio e dell’oblio, strumenti del dolore e dell’amore. Persino i lisci coltelli, che pongono fine alla nostalgia, giacevano silenti sui ripiani e forse rimpiangevano le emozioni violente, i notturni colpi al cuore, il tradimento e il disonore. Alla finestra, sui muri giallo scuro dei palazzi, il sole scriveva rapido il manifesto di gennaio, giorno di festa.

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PRESENZA

Sono nato nella città dei ciliegi selvatici e dei girasoli dai duri semi (a metà strada fra l’Occidente e l’Oriente, come si soleva credere allora; globi verderame vigilavano sbadati sulle case). Solo l’assenza può essere perfetta? La presenza è infatti contagiata dal peccato originale dell’esistere - dall’eccesso, da un selvaggio orgoglio orientale, mentre il bello, come un coltellino da frutta, si accontenta di un ritaglio di pienezza. La vita si accumula nelle peschiere delle generazioni e non svanisce del tutto quando queste scompaiono, ma diventa secca e leggera, ricorda una preghiera distratta, le labbra screpolate di un ragazzo che si confessa per la prima volta e sente il legno del confessionale scricchiolare sotto le ginocchia. A sera giunge l’autunno e porta via le messi, gialle, mature per la fiamma. So che le realtà sono almeno quattro, 81

e non già una, e si compenetrano a vicenda, come i Vangeli. So di essere solo e al tempo stesso unito a te, per sempre, nel dolore e nella gioia. So che immortali sono solo i misteri.

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FESTE TARDIVE

L a sera, ai confini della città, dopo un giorno intero di vuoto, iniziano all’improvviso feste tardive e il sanscrito del crepuscolo parla nella lingua rovente della gioia. In alto neH’aria fluttuano fuochi fatui di sigarette che nessuno fuma. Arde la carta di fugaci segreti; le confidenze del cielo che si spegne sommesso non si lasciano annotare o ricordare. Che importa se t’insegue l’esercito del faraone, quando l’eternità è intrecciata ai giorni della settimana come il muschio tra le travi di im a casa di legno.

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ANTON BRUCKNER

All’alba sale dai prati bassi profumo di trifoglio. Le chiese barocche comprimono la terra. I carri contadini vanno nella nebbia, le oche gemono piano. II Danubio scorre sulle pietre piatte, esercitandosi nella dizione come un timido Demostene. I topi si rincorrono in gallerie di paglia. Oscillano le lampade in corridoi scuri e ombre spaventate corrono sulle pareti. I passeri cercano di parlare con il linguaggio umano. II manto arruffato dei cavalli, la paglia gialla nelle stalle, evaporano fiumi di respiri, gelano mani arrossate. Il m ondo è troppo materico, denso, identico a se stesso, e i suoi mutamenti non conducono a nulla; gli specchi oramai sono stanchi di riflettere sempre gli stessi oggetti, persino l’eco balbetta. Sulla soglia di una casa intonacata sta un ragazzo dal volto sgraziato e dal collo troppo possente E buono e pio, m a non piace alle ragazze. Sulle spalle un piccolo fagotto, scarpe pesanti ai piedi. Gocce d ’acqua cadono dal tetto in bizzarra successione, 84

scricchiola l’argano nel pozzo, sottovoce parlano le sedie. Dov’è il confine tra le sfere? Dove sono le guardie di frontiera? In cosa si somigliano due elementi diversi, l’ossigeno e il piombo, l’inerzia dei muri di pietra e la musica che corre senza fiato, come volesse liberarsi della compagnia degli oboi, dei com i e delle trombe, eppure a loro è legata per sempre e i tamburi di pelle animale correranno insieme ai leggeri archetti delle viole, fluiranno nel ritmo di una danza sonnolenta, attratti dall’altra parte, invisibile e muta, e in questa corsa affannata, che non è una fuga, spariranno il lucente Danubio, la cattedrale di Linz con i due campanili, persino la grande Vienna con il seme d ’oro dell’imperatore piantato nei fertili giardini resterà indietro, come fosse un punto insignificante sulla mappa. Anton Bruckner abbandona la casa natale.

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REQUIEM PER I VIVENTI

La gioia dell’attimo trascorso presto si trasforma in un nero cappuccio con fessure per occhi, bocca, lingua e rimpianto. Rimpianti. I viventi sono sempre occupati a dire addio ai giorni che passano simili a una pellicola impressionata e mai sviluppata. I viventi vivono così spensierati, noncuranti che i morti ne strabiliano. Ridono tristi ed esclamano, ah, ragazzi, anche noi eravamo così. Proprio uguali. Fiorivano le acacie. Gli usignoli fischiavano tra i rami, sopra di noi.

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I PRATI DELLA BORGOGNA

I prati della Borgogna s’inerpicano sui colli e lì stanno distesi immobili come abiti sugli attaccapanni. Nulla sappiamo, un nulla disperato. La memoria minimalista si limita a ciò che è accaduto, è impotente di fronte alle incompiute possibilità romaniche. Un corvo, geom etra metodico, misura il campo. I frassini, che nessuno accusa di estetismo, sanno costruirsi rigogliose tende di foglie. Le allodole con folle furia corrono tra le nuvole, come il cameriere in un bar affollato, la domenica. Entrammo in una chiesetta vicino a Vézelay; non c’era nessuno, solo un prete attempato che cantava messa. Era talmente solo che la lacrima - da trecento anni si stava formando sotto la palpebra della campana incrinata - era pronta a partire per l’ultimo viaggio. E tuttavia si fermò. Non ancora, ancora no. Finché chi è solo canta...

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ELEGIA ELETTRICA

Addio, radio tedesca dall’occhio verde, pesante scatola fatta - pressappoco di corpo e anima (le tue lampade ardevano di luce rosa salmone, come l’io profondo in Bergson). Attraverso lo spesso tessuto dell’altoparlante (il mio orecchio si incollava a te come alle grate del confessionale), un tempo bisbigliava Mussolini, urlava Hitler, Stalin calmo spiegava, sibilava Bierut, Gomulka teneva discorsi senza fine. Ma nessuno, radio, ti accuserà di tradimento, no, l’unica tua colpa era l’obbedienza assoluta, la tenera fedeltà ai megahertz: chi arrivava era ascoltato, chi trasmetteva ricevuto. Eppure so bene che soltanto con i LiederAi Schubert attingevi alla massima, smeraldina beatitudine. Per i valzer di Chopin il tuo cuore elettrico batteva con forza e dolcezza e il tessuto sull’altoparlante si sollevava come il petto di giovani innamorate nei romanzi di un tempo. 88

Altra cosa le notizie - soprattutto se trasmesse da Radio Europa Libera o dalla BBC; il tuo occhio diventava inquieto e la verde pupilla si restringeva e dilatava, come se fosse sotto l’effetto di dosi diverse di atropina. In te abitavano folli gabbiani, e Macbeth. Di notte si raccoglievano nelle tue stanze segnali persi. I naviganti chiedevano soccorso, piangeva una giovane cometa rimasta senza testa. Ho accompagnato la tua vecchiaia - l’annunciavano la voce rauca, frasi spezzate, e poi scoppiettìi (la tosse), la cecità infine (l’occhio marino si era spento), e un sordo, sordo silenzio. Dormi serena, radio ex tedesca, sogna Schumann e non ti risvegliare al canto del prossimo gallo dittatore.

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r POMERIGGIO DI SETTEMBRE IN UNA CASERMA ABBANDONATA

II sole, il sole sazio di settembre, il sole delle messi e delle stoppie si fermò su di me e sulla caserma abbandonata. Il silenzio bivaccava là dove un tempo risuonavano ordini tonanti, silenzio dove prima c’erano soldati, silenzio nell’infermeria dove un tempo si udivano i lamenti dei malati. L ’erba alta e superba, matura per la lama della falce, ha invaso il cortile. C ’era silenzio là dove un tempo piangevano le reclute dai lividi crani rasati. E in me c’era silenzio, là dove un tempo abitava la disperazione. Per il viottolo corre un gallo nero, vessillo gonfio di sangue ardente. Scolorisce l’autunno, si spegne la guerra.

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IL GOTICO

A Ed Cohen

Chi sono io nella fredda cattedrale, chi mi parla con parole oscure; chi sono, sottoposto d’un tratto a una pressione diversa, e a chi appartengono le voci che si affollano nella spazio di pietra, voci di carpentieri, divenuti polvere della polvere, o voci di pellegrini che già sono spariti, m a che non possono tacere? Chi sono, sepolto sotto una volta slanciata, dov’è il mio nome, chi vuole impadronirsene, chi farlo cadere, come un cappello che il vento fa volare via dal capo? Piccoli demoni rivestiti di pelle presa in prestito da animali amici guardano in basso come tuffatori dal trampolino; sotto si stende un oceano di terra verde. Demoni annoiati da torture provinciali, piccoli comunisti dai cuoricini rigidi; ah, anche loro furono creati, 91

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come le foglie, le lucertole e le ortiche; crescono fuori dalla chiesa, sporgono metà nell’aria, metà nella pietra, la pioggia sciacqua loro la gola con un discorso bagnato, scorre il balbettìo, il progresso, il partito e il tradimento, scorrono fiumi lungo le strette laringi. Non ascoltare le cascate artificiali, torna dentro, sotto le navate di granito, tom a là, dove la vita acuminata spumeggia, dove gli archi del gotico pettinano le ore oziose e perseverano in preghiere ardite come una teodicea eretta su di un prato. Torna là, dove ci sono altezza e ombra, dove vivono desiderio e dolore, la gioia e la fede nel buon Dio che crea e uccide, accende e distrugge ogni luce e ogni desiderio, e sui bei volti scrive lunghe lettere con il pennino degli anni, tenta Abramo, erige le cupole di Roma e le baracche di Auschwitz, canta ninnenanne sulle rive di fiumi silenti e si spegne nei lampi; tom a, tom a là, dove si è colmato il lago montano del raccoglimento, dove si raffredda il metallo delle illuminazioni e delle suppliche. Vaghi smarrito nella cattedrale vasta come le piazze di Babilonia, è sera, buio, sentì suoni estranei, sussurri, voci che chiamano, i fischi acuti delle rondini, qualcuno piange con la voce di un dolore più antico di Caino, in lontananza le imposte si chiudono per sempre e terra gialla cade rullando come tamburo su un feretro di quercia, qualcuno ride forte, sei solo, 92

senza oratori e guide, vai per il bosco, felci enormi si celano alla vista, erbe e fiori, bianchi convolvoli profumano, talvolta i morti trovano una parola serena, rilucono le foglie di frassino, le civette volano morbide come liane e gli alberi lievi, lievi, si schiudono per pronunciare un suono. Sento la tua presenza nei bagliori del crepuscolo, foglio strappato che si ricompone senza sosta senza un segno, senza cicatrice. Odo molte lingue diverse, voci, sospiri, il lamento e la speranza di chi ama e di chi sceglie l’odio, di chi ha tradito e di chi fu tradito, e tutti in viaggio, nel lungo labirinto; sopra di loro si leva il fuoco, un puro fuoco di benvenuto. Sento la tua presenza, odo il silenzio.

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IL FIUME NERO

Un fiume nero scorreva nel parco. Più in là si stendevano giardini indifferenti e le trecce folte delle siepi. Là, dove cantavano i merli, un tempo c’era una succursale di Auschwitz, e sotto l’erba furono sotterrate le bende dell’ospedale russo per questo il prato era gonfio, rigoglioso. Alianti innocenti senza un fremito si libravano nel cielo e cadeva la pioggia, leggera, spensierata come una lacrima di gioia

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LE FALENE

Le falene ci guardavano attraverso la finestra chiusa. Le falene ci guardavano, seduti al tavolo, con uno sguardo ardente più intenso delle loro fragili ali. Resterete per sempre fuori, dietro il vetro. E noi saremo qui, all’interno, sempre più all’interno. Le falene ci guardavano attraverso la finestra chiusa, in agosto.

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VACANZE

Sono scuri i capelli dell’estate. E le foglie dei faggi tese come corde di violini per bimbi. La pioggia si perde nelle lunghe grondaie della chiesa di campagna e piange. Il giovane Rembrandt, ancora altero, ci osserva da una cartolina. Il mare infuriato s’infrange sulle rocce e qualcuno sussurra: ci sarà la guerra. Il sole di ieri si raffredda nei mattoni. Nascosti da rigide mantelle due ciclisti attraversano il ponte. Nel giardino rilucono i lampi verdi delle cince. L ’asfalto caldo evapora umile, come se un barbiere vi avesse poggiato le ciotole per la rasatura. Respiri sollevato: sono solo stanchi pellegrini che ritornano a casa portando il dolce pane dell’oblio, la felicità, il silenzio.

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GUARDANDO LA « SHOAH » IN UNA STANZA D ’ALBERGO, IN AMERICA

La notte talvolta è delicata come il manto di un puledro, ma noi preferiamo le carte o gli scacchi: ecco, gli ospiti dell’albergo cantavano Happy Birthday toyou, e il televisore monocolo mischiava indifferente le figure. Gli alberi della mia infanzia avevano varcato l’oceano e mi salutavano freddamente dallo schermo. I contadini polacchi si avventuravano in dispute teologiche con gesuitica disinvoltura, solo gli ebrei tacevano, stanchi per il lungo morire. I ruscelli delle mie vacanze scorrevano cauti lungo un continente sconosciuto, straniero. I carri con le rastrelliere trasportavano capelli invece di fieno, scricchiolando sotto un peso di piuma. Siamo innocenti, dichiaravano gli abeti. Le SS si sono trasformate in fragili vecchi, i medici lottavano per salvarne cuore, vita, coscienza. Era già tardi, sentivo l’onda insidiosa del sonno. Volevo dormire, dormire, m a gli ospiti dell’albergo sempre più forte gridavano Happy Birthday to you (più forte ancora degli ebrei m orenti).

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Grandi camion trasportavano stelle del firmamento, i treni viaggiavano mesti nella pioggia. Sono innocente, si discolpava Mozart, solo il pioppo tremulo rabbrividiva come sempre, confessando ogni crimine. Dov’è la mia casa, cantavano gli ebrei della Boemia. Non c ’è casa, bruciano le case, nelle case sibila un gas freddo. Ero sempre più assonnato e innocente. Il televisore mi rassicurava: noi due siamo al di sopra di ogni sospetto. L a festa di compleanno diventava più chiassosa. I lillà fioriscono ogni anno come petardi viola. Le scarpe di Auschwitz, una piramide alta fino al cielo, si lamentavano sommesse: purtroppo siamo sopravvissute all’umanità. Dormiano, dormiamo, non abbiamo dove andare.

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A MEZZANOTTE

Parlammo a lungo nella notte, in cucina; alla morbida luce della lam pada a petrolio gli oggetti, incoraggiati dalla sua delicatezza, spuntavano dal buio, svelando i propri nomi: sedia, tavolo, saliera. A mezzanotte dicesti: andiamo fuori. D ’un tratto vedemmo il cielo ed esplosero le stelle, stelle d ’agosto. Il pallido fuoco della notte tremava sopra di noi, indomito, eterno. Il mondo ardeva, senza voce, avvolto . dal bianco incendio in cui dormivano i villaggi, le chiese e le biche di fieno profumate di menta e di trifoglio. Ardevano gli alberi e le torri, l’acqua e l’aria, il vento e le fiamme. Cos’è il silenzio di questa notte se i vulcani hanno gli occhi spalancati e il passato è presente, minaccioso, e spunta dalla tana come la luna o l’arbusto di ginepro? Sono fresche le tue labbra e sarà fresca l’aurora, telo gettato su una fronte che scotta.

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LE SCIMMIE

Un giorno le scimmie presero il potere. Si infilarono alle dita sigilli d ’oro, indossarono camicie bianche inamidate, fumando sigari avana profumati, costrinsero i piedi in nere scarpe di vernice. Non lo notammo, poiché eravamo intenti ad altre occupazioni: chi leggeva Aristotele, chi proprio allora viveva un grande amore. I discorsi dei potenti si fecero caotici, persino farfuglianti, comunque non li ascoltavamo mai attentamente, era meglio la musica. Le guerre divennero ancora più selvagge, le carceri ancora più fetide di un tempo. Le scimmie, a quanto pare, avevano preso il potere.

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NELLE CITTÀ STRANIERE

A Zbigniew Herbert

Nelle città straniere c’è una gioia sconosciuta, la fredda felicità di un nuovo sguardo. Gli intonaci gialli delle case, sui quali il sole si arrampica come un agile ragno, esistono m a non per me. Non per me furono costruiti il municipio, il porto, il tribunale, la prigione. Il mare scorre per la città con una marea salata e allaga le verande e le cantine. Al mercato i prismi delle mele, piramidi che svettano per l’eternità di un pomeriggio. E pure la sofferenza non è poi così mia: il matto locale farfuglia in una lingua straniera, e la disperazione di una ragazza sola in un caffè è come il frammento di una tela in un cupo museo. Le grandi bandiere degli alberi si agitano al vento così come nei luoghi a noi noti, e lo stesso piombo fu cucito negli orli di lenzuola, di sogni, dell’immaginazione folle e senza casa.

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DICIASSETTENNE

Franz Schubert, un adolescente di diciassette anni, scrive la musica per il lamento di Gretchen, sua coetanea. Meine Ruh ist hin, mein Hertz ist schwer. Il grande cacciatore di talenti, la morte, subito gli riserva una benevola attenzione. Manda inviti, uno dopo l’altro. Uno. Dopo. L ’altro. Schubert domanda comprensione, non vuole presentarsi a mani vuote. L ’invito non si può declinare. Quattordici anni dopo si tiene il suo primo concerto sull’altra sponda. Perché la limpidezza uccide? Perché la forza acceca? Meine Ruh ist hin, mein Hertz ist schwer.

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SENZA FORMA

Se solo questo esiste, l’albero sul quale sonnecchia una stella, la cattedrale vuota di Chartres e la guida che ha fretta, e donne che aspettano un treno e una musica fresca come la sete. Se solo questo esiste, governi che reclutano ministri e ministri che reclutano poliziotti e una piccola strega che a letto bacia le loro labbra di cera, e i dissidenti che protestano, e i manifestanti che marciano insieme a bambini ridenti e una musica fresca come la sete e una forza che non dorme mai. Se solo questo esiste e le maschere funebri dei poeti e le orme dei giganti a grandi altezze e i libri sull’orgasmo dell’organismo, e i Neri eleganti che non mi vedono

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e Keats che piange e gli assenti che non ci sono, e tracce leggere come l’arsenico nei capelli di Napoleone e maschere immobili su volti inerti, i musei dei sogni chiusi e la forza che non vuole addormentarsi e i simboli massonici che Mozart, ingannando Dio, inserì nel Requiem-, tante cose non dette, e le donne che devono vivere in questo tempo, senza averlo chiesto, e i paesi, un tempo liberi, ora senza pelle, sbucciati come mele, e il tempo così mutevole, e io, maturo senza forma.

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STORIA DELLA SOLITUDINE

Si smorzano le voci degli uccelli. L a luna si mette in posa per la foto. Luccicano le umide guance delle vie. Il vento porta il profumo di campi verdi. Lontano, in alto, un piccolo aeroplano gioca come un delfino.

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DALLA VITA DEGLI OGGETTI

L a pelle levigata degli oggetti è tesa come la tenda di un circo. Sopraggiunge la sera. Benvenuta, oscurità. Addio, luce del giorno. Siamo come palpebre, dicono le cose, sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità e la luce, l’India e l’Europa. E aH’improwiso sono io a parlare: sapete, cose, cos’è la sofferenza? Siete mai state affamate, sole, sperdute? Avete pianto? E conoscete la paura? La vergogna? Sapete cosa sono invidia e gelosia, i peccati veniali non inclusi nel perdono? Avete mai amato? Vi siete mai sentite morire quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra nel cuore raggelato? Avete conosciuto la vecchiaia, il lutto, il trascorrere del tempo? Cala il silenzio. Sulla parete danza l’ago del barometro.

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CRUDELE

AJózef Czapski

Nel parco di Saint-Cloud cantavano gli uccelli. Un vasto parco narcisista che guarda su Parigi. Ero da solo. Pensavo alle parole che avevi detto: il mondo è crudele, e divora se stesso, è crudele, crudele. Vagavo per il parco di Saint-Cloud, camminando in senso orario. Passavo sotto rami spogli di castagni, salutavo cedri cupi. Sentivo lo schiocco delle pigne spaccate da cinciallegre e passeri. Nel parco non c’erano rapaci, salvo il tempo che mutava da inverno in verde primavera e per un attimo era denudato come un attore che getta la tunica nel freddo camerino. È crudele, pensavo. È un assassino tollerato da polizia e preti,

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persino tu sei indulgente, ne hai fatto il protagonista dei tuoi quadri. Forse vi è altra scelta? Un m ondo migliore, più delicato, alberi più belli, cedri dagli aghi ancor più scuri, feste ancora più sfarzose, attimi di riflessione che ci portano dritti al cuore del sapere, un tempo mite, benigno, che ci ridà chi abbiamo per sempre perduto, e ci ridà noi stessi, giovani e innocenti? Il cielo, rosa, legato da fettucce di nuvole. Muri bruni di prigioni, ospedali, tribunali, corridoi del pianto senza fine, attimi di riflessione lacerati, minacciati dal timore, da ansia e tradimento. Vagavo per il parco di Saint-Cloud sempre più in fretta. L ’inverno era finito, la primavera era ancora lontana. Nel parco deserto, abbandonato dal sovrano, ripetevo più volte la parola « crudele », mi ascoltavano gli uccelli e le lucertole, un sole bianco emerse dalle nebbie, mi trapassò l’arpione acuminato dell’incanto.

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SIMONE WEIL GUARDA LA VALLATA DEL RODANO

... la ritrovai davanti alla casa, sedeva su un tronco d’albero, immersa nella contemplazione della valle del Rodano. G U ST A V E T H IB O N

All’improvviso smette di comprendere, guarda solamente: laggiù si apre la vallata del Rodano dominata dagli antichi borghi, e la vasta scrittura dei vigneti, i pioppi assetati. I platani si risvegliano dal sonno, i galli riprendono la loro lunga marcia, tornano gli sparvieri nel cielo e lei quasi vede i lievi respiri delle allodole, i monticelli eretti dalle talpe nere, i tetti dei casolari, gli alberi di noce, le chiese dai campanili arrotolati come foglie di tabacco, le macchie scure del grano maturo, e bagliori di falci; l’uva è adagiata in cesti di vimini, la morte si nasconde nell’ombra dei ginepri e la guerra è vicina. II mercurio dell’ampio Rodano scorre nella valle trasportando chiatte e barconi e un minuto di perdono, un istante di felicità, l’ulivo del nulla.

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LA TELA

Stavo in silenzio davanti a un quadro scuro, una tela che avrebbe potuto trasformarsi in cappotto, camicia, stendardo, e invece è diventata cosmo. In silenzio davanti alla tela scura, ero pieno d ’incanto e ribellione e pensavo all’arte della pittura e all’arte della vita, a tanti giorni freddi e vuoti, agli attimi di impotenza, alla mia fredda fantasia, cuore di una campana che vive solo quando oscilla, colpendo ciò che ama e amando ciò che va colpendo, e mi venne in mente che la tela avrebbe anche potuto essere un sudario.

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POESIA VELOCE

Ascoltavo un canto gregoriano nella macchina che sfrecciava su un ’autostrada della Francia. Gli alberi erano di fretta. Le voci dei monaci lodavano il Signore invisibile (all’alba, nella cappella che tremava di freddo). Domine, exaudi orationem meam, pregavano le voci maschili con tale calma come se la salvezza crescesse nel giardino. Dove andavo? Dove si nascondeva il sole? La mia vita giaceva lacerata ai lati della strada, fragile come la carta di una mappa. Insieme ai monaci soavi mi avvicinavo alle nuvole, plumbee, pesanti, impenetrabili come la benda sugli occhi del reo, verso il futuro, verso l’abisso che inghiotte le lacrime dure della grandine. Lontano dall’alba. Lontano da casa. Invece dei muri - una lamiera sottile. Una fuga invece della veglia.

I li

Un viaggio invece dell’oblio. Invece di un inno - una poesia veloce. Davanti a me correva una piccola stella stanca e l’asfalto della strada brillava indicando dov’era la terra, dove si celavano la lama dell’orizzonte e il nero ragno della sera e la notte, vedova di così tanti sogni.

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MISTICA PER PRINCIPIANTI

II giorno era mite, la luce amica. Quel tedesco sulla terrazza del caffè teneva sulle ginocchia un libriccino. Riuscii a leggere il tìtolo: Mistica per principianti. All’improvviso compresi che le rondini in ricognizione con striduli richiami sulle vie di Montepulciano, e i dialoghi sommessi degli intimiditi viaggiatori dell’Europa Orientale detta Centrale, e i bianchi aironi fermi - ieri, ier l’altro? nelle risaie come tante monache, e il crepuscolo, lento e sistematico, che cancellava i profili delle case medioevali, e gli olivi sulle basse colline esposti ai venti e agli incendi, e la testa della Principessa ignota, che vidi e ammirai al Louvre, e le vetrate delle chiese simili ad ali di farfalla cosparse del polline dei fiori,

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e il piccolo usignolo che si esercitava nella dizione proprio accanto all’autostrada, e i viaggi, tutti i viaggi, erano soltanto mistica per principianti, un corso introduttivo, prolegomeni di un esame rimandato a più tardi.

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IR E MAGI

Arriveremo troppo tardi... A N D R É f r é n a u d , IRe Magi

Se non fosse stato per il deserto, le risa, la musica saremmo giunti in tempo se la nostra nostalgia non si fosse fusa con la polvere delle strade. Vedemmo paesi poveri, resi ancora più poveri da un odio secolare; un treno pieno di soldati e fuggiaschi si fermò a lungo alla stazione in fiamme. Ci ricevettero con tali onori che pensammo: forse davvero uno di noi è un monarca? Ci trattennero prati primaverili, fiori di calendula, lo sguardo delle ragazze di campagna, assetato di amore straniero. Presentammo offerte agli dèi, m a non sappiamo se loro riconobbero i nostri volti attraverso l’ambrato velo del fuoco. Una volta ci addormentammo, dormimmo molti mesi, i sogni infuriavano in noi minacciosi, pesanti come le onde della m area sotto la luna piena. Ci risvegliò la paura, e di nuovo andammo maledicendo il destino e le locande luride;

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per quattro anni soffiò un vento freddo, la stella era gialla, cucita sul cappotto maldestramente come un distintivo di scuola. Il taxi sapeva di anice e Ventesimo secolo, il tassista parlava con accento russo. E la nave colò a picco, l’aereo d ’un tratto sobbalzò. Ci fu un violento alterco e ognuno di noi partì verso un’altra speranza. A m alapena ricordo quel che cercavamo, non sono certo se la notte di dicembre si aprirà mai come la pupilla di un apparecchio fotografico. Sarei forse felice, vivrei sereno, non fosse per la luce che esplode sulle mura della città ogni giorno all’alba e acceca il desiderio.

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GIARDINO D ’INVERNO

In questa piccola città nera, la tua città, dove anche i treni si fermano senza voltar la testa, senza distogliersi dai destini finali, nel parco, a dispetto di ombre e di caligini, c’è un grigio edificio dall’interno periato. Dimentica la neve, i duri attacchi del gelo, qui ti accoglie l’umida antologia dell’aria tropicale e il misterioso fruscio di foglie smisurate avviluppate come pigri serpenti neppure un egittologo saprebbe decifrarle. Dimentica la tristezza delle strade anonime e degli stadi, il peso delle domeniche riuscite male. Accogli il respiro caldo che soffia dalle piante. Un profumo lieve di lampi scoloriti ti avvolgerà, ti condurrà laggiù, lontano. Forse vedrai le vele rugginose di navi all’ancora, isole ricamate di nebbia rosa, torri di templi diroccati; vedrai ciò ch’è perduto, ciò che non c’era,

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ma pure quanti vivono la tua stessa vita. Vedrai d ’un tratto il mondo sotto una diversa luce, i cancelli di case estranee per un istante si apriranno, i pensieri nascosti diverranno visibili, le feste meno fastidiose, la gioia altrui sarà più comprensibile, più belli i volti. Dimentica te stesso, lasciati abbagliare dall’incanto, dimentica tutto e forse tornerà una memoria più profonda e una più profonda fratellanza, e dirai: non so, non so com’è successo le palme hanno aperto il mio avido cuore.

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PITTORI D ’OLANDA

Coppe di stagno gravide e grevi di metallo. Spesse finestre rigonfie di luce. L a matericità di nuvole di piombo. Vesti come trapunte. Ostriche stillanti. Gli oggetti sono immortali, m a non servono noi. Gli zoccoli di legno sanno camminare da soli. Le piastrelle del pavimento non si annoiano mai, giocano talvolta a scacchi con la luna. U na brutta ragazza studia una lettera scritta con inchiostro simpatico. Si tratterà d ’amore o di ricchezza? Le tovaglie profumano d ’amido e di moralità. La superficie non si congiunge alla profondità. Il segreto? Non ci sono segreti, vi è soltanto il blu, inquieto e ospitale come un grido di gabbiano. Una donna sbuccia in raccoglimento una mela vermiglia. I bambini sognano la vecchiezza. Qualcuno legge un libro (il libro è letto), qualcuno dorme e si muta in caldo oggetto che respira (come una fisarmonica). Amavano abitare. Abitavano ovunque,

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nello schienale ligneo della sedia e nel filo di latte sottile come lo Stretto di Bering. Le porte erano spalancate, il vento amico, le scope riposavano dopo un lavoro accurato. Le case svelate. La pittura di un paese in cui non c’era la polizia segreta. Solo sul volto del giovane Rembrandt era apparsa un ’ombra prematura. Perché? Dite, pittori d’Olanda, cos’accadrà quando la mela sarà sbucciata, quando si offuscherà il velluto, quando tutti i colori diventeranno freddi? Dite cos’è l’oscurità.

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LA CONCHIGLIA

La notte i monaci cantavano sommessi, e il vento impetuoso sollevava i rami degli abeti come ali. Non ho conosciuto le città antiche, meli sono stato a Tebe oppure a Delfi e non so che dicessero le sibille ai viandanti. L a neve ricopriva strade e forre e silenziosamente corvi dai manti cupi seguivano le orme delle volpi. Confidavo nei segnali effimeri, nell’ombra delle rovine, nei serpenti d ’acqua, nelle sorgenti alpine, negli uccelli profetici. I tigli fioriscono come giovani spose, m a i loro frutti sono modesti e aspri. Non nella musica, in quadri stupendi, nelle azioni grandiose, nel coraggio e neanche nell’amore dimora la saggezza, ma soltanto nel tutto, nella terra e nell’aria, nel dolore e nel silenzio. La poesia può trattenere l’eco della burrasca

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come la conchiglia sfiorata da Orfeo in fuga. Il tempo sottrae la vita e ridà la memoria, dorata dalla fiamma, annerita dalla vampa ardente.

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ANNI TRENTA

Anni Trenta Io ancora non ci sono Germoglia l’erba U na ragazza m angia un gelato alla fragola Qualcuno ascolta Schumann (il folle Schumann, smarrito) Che felicità Io ancora non ci sono Sento tutto.

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I PROFUGHI

Piegati da un peso che non sempre si vede avanzano nel fango o nella sabbia del deserto, chini, affamati, uomini di poche parole dai pesanti caffettani, adatti a tutte le stagioni, donne vecchie dai volti sciupati che portano qualcosa, un neonato, una lampada - un ricordo - oppure l’ultimo tozzo di pane. Può essere la Bosnia, oggi, la Polonia nel settembre ’39, la Francia otto mesi più tardi, la Turingia nel ’45, la Somalia, l’Afghanistan o l’Egitto. C ’è sempre un carro, o almeno un carretto, colmo di tesori (il piumino, la tazza d ’argento e il profumo di casa che presto svanisce), un ’auto senza benzina abbandonata nel fosso, un cavallo (che sarà tradito), la neve, molta neve, troppa neve, troppo sole, troppa pioggia,

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e quel caratteristico curvarsi, come verso un altro pianeta, migliore, con generali meno ambiziosi, meno cannoni, meno neve, meno vento, meno Storia (purtroppo un simile pianeta non esiste, resta solo il curvarsi). Trascinando i piedi, vanno lentamente, molto lentamente, verso il paese da nessuna parte, verso la città nessuno, sul fiume mai.

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LETTERA DA UN LETTORE

Troppo sulla morte, sulle ombre. Scrivi della vita, di una giornata normale, del desiderio di armonia. Il campanello della scuola può essere modello di moderazione, persino di erudizione. Troppo sulla morte, un eccesso di nero incanto. Guarda, popoli ammassati in stadi stretti cantano inni d ’odio. C ’è troppa musica, troppo poca concordia, pace, saggezza.

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Scrivi degli attimi in cui le passerelle dell’amicizia paiono più durature della disperazione. Scrivi dell’amore, delle lunghe serate, delle albe, degli alberi, dell’infinita pazienza della luce.

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PERM.

Sotto le stelle di un altro cielo ero sdraiato sull’erba nera a mezzanotte. La mezzanotte respirava lenta, pigramente, e io pensavo a te, a noi, agli attimi lucenti e affilati, estratti dall’immaginazione come una spina estratta dal piede magro di un atleta. Un giorno il mare divenne cupo, minaccioso, le orchidee della tempesta correvano sull’acqua increspata. Poteva anche essere l’infanzia, il paese dell’estasi lieve e dell’eterno desiderio, papaveri rossi tra le labbra del pomeriggio e i campanili delle chiese attenti come colibrì. Per la via camminavano i soldati, ma la guerra era già terminata e i fucili fiorivano. Certi giorni il silenzio era così ardente che avevamo paura di muoverci. La volpe correva per il campo. Gustavamo il sapore delle foglie, il sapore della luce che accecava gli innocenti.

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Ma nell’aria c’era un sapore amaro, l’amaro dei garofani, della cannella, della polvere e delle ghiande, dell’inverno e della prima settimana d ’autunno. L ’amaro del sangue non versato. Ci fermammo a lungo sul viadotto sopra i binari e forse sotto di noi passò un treno; nei suoi finestrini senza fine si rispecchiava un solo, asciutto sole. Questo è il riso, dicesti, questo è il ferro, il sale, la sabbia, il vetro. E il futuro, il tessuto del tuo abito, la vita che condividiamo come un pasto durante il viaggio.

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QUESTA È LA SICILIA

Navigavamo nella notte lungo le ombrose, misteriose coste - le grandi foglie dei promontori fluttuavano lontano, pigre come i sogni di un gigante. Le onde si frangevano sul legno della barca, baciava le vele un vento caldo, le stelle alla rinfusa cercavano di narrare la storia del mondo. Questa è la Sicilia, sussurrò qualcuno, la Trinacria, il respiro della civetta, il sudario dei morti.

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f SIETE I MIEI FRATELLI SILENZIOSI

Siete i miei fratelli silenziosi, 0 morti. Mai vi dimenticherò. In vecchie lettere trovo tracce della vostra scrittura che s’inerpica in cima al foglio come la chiocciola sul muro di un ospedale psichiatrico. 1 vostri indirizzi e i telefoni bivaccano ancora nella mia agenda, aspettano, sonnecchiano. Ieri ero a Parigi, ho visto centinaia di turisti stanchi e intirizziti. Sono simili a voi, ho pensato, non si danno pace, girano inquieti. Eppure vivere sembra talmente facile. Bastano un pugno di terra, una nave, un nido, una prigione, un po’ di respiro, qualche goccia di sangue, e la nostalgia. Siete i miei maestri, o morti. Non dimenticatemi.

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LA FANCIULLA DI VERMEER

La fanciulla di Vermeer, ora famosa, mi guarda. La perla mi guarda. La fanciulla di Vermeer ha labbra rosse, umide, lucenti. Fanciulla di Vermeer, perla, turbante azzurro: tu sei luce, e io sono fatto d ’ombra. L a luce guarda l’ombra dall’alto, con indulgenza, forse con rimpianto.

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LA TERRA DEL FUOCO

Tu, che di notte vedi le nostre case e le esili pareti delle nostre coscienze, tu, che senti come ronzano le macchine da cucire delle nostre conversazioni - salvami, strappami dal sonno, dall’amnesia. Perché l’infanzia - oh, tesori della carta stagnola, oh, fruscio del piombo, bello e nefasto, rimane l’unica sorgente, l’unica nostalgia? Perché l’età adulta, che sostituisce la maturità, è una strada senza fine, gialla come il Sahara? Eppure sai che capitano giorni in cui persino l’anelito inaridisce e si induriscono le labbra della preghiera. Talvolta si fa opaca la m oneta del sole e la vita rimpicciolisce tanto da potersi infilare

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nei guanti azzurri di una zingara che predice il passato fino alla settima generazione e allora anche nella piccola cittadina del Sud un certo impostore decide di annientare te e me e se stesso. Tu, che vedi il bianco dei nostri occhi, tu che ti celi tra i sorbi come un ciuffolotto e nelle calde calze delle nuvole come un falco - apri gli scrigni pieni di canto, apri il sangue che pulsa nell’aorta degli animali e delle pietre, accendi i lampioni nei giardini bui. Senza nome, invisibile, silente, salvami dall’analgesia, portami nella Terra del fuoco, portami là dove i fiumi scorrono in verticale, in verticale scorrono i fiumi orizzontali.

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AUTORITRATTO

Tra computer, matita e macchina da scrivere passa metà della mia giornata. Col tempo farà mezzo secolo. Abito in città straniere e talvolta parlo con sconosciuti di cose indifferenti. Ascolto molta musica: Bach, Mahler, Sostakovic, Chopin. Vi trovo tre elementi, forza, debolezza, dolore. Il quarto non ha nome. Leggo i poeti, i vivi e i morti, da loro apprendo costanza, fede e orgoglio. Cerco di capire i grandi filosofi - m a di solito riesco ad afferrare solo brandelli dei loro preziosi pensieri. Amo fare lunghe passeggiate per le strade di Parigi e guardare i miei simili, animati dalla gelosia, dalla brama o dall’ira, osservare la moneta d ’argento che passa di mano in mano e lentamente perde la sua forma rotonda (si usura il profilo dell’imperatore). Accanto crescono gli alberi, e nulla esprimono, a parte la verde, indifferente perfezione. Sui campi volteggiano uccelli neri che attendono pazienti come vedove spagnole. Non sono più giovane, m a c’è ancora chi è più vecchio dim e.

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Amo il sonno profondo, quando non ci sono, la corsa veloce in bicicletta per la campagna, quando i pioppi e le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno. Talvolta mi parlano i quadri nei musei e allora l’ironia svanisce all’improvviso. Adoro osservare il volto di mia moglie. Ogni domenica telefono a mio padre. Ogni due settimane incontro gli amici, in questo m odo restiamo fedeli gli uni agli altri. Il mio paese si è liberato da un male. Vorrei che a ciò seguisse ancora un’altra liberazione. Potrei in ciò essere d ’aiuto? Non so. Non sono un vero figlio del mare, come scrisse di sé Antonio Machado, m a figlio dell’aria, della menta e del violoncello e non tutte le strade del mondo alto incrociano i sentieri della vita che, per ora, mi appartiene. Giugno 1995

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L ’ATTIMO

Un attimo di chiarezza dura così poco L ’oscurità resta più a lungo. Vi sono più oceani che terraferma. Più ombra che forma.

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ELEGIA

Era un paesaggio grigio, case basse come cavallini tatari o edifìci di cemento, enormi, nate morte; molte uniformi, pioggia, fiumi lenti che non sapevano dove scorrere, polvere, divinità sovietiche dalle palpebre gonfie, l’odore acido della benzina, l’odore dolce della noia, treni sporchi, le rosse palpebre dell’alba. Era un paesaggio piccolo, inverni senza fine, nei quali, come nelle chiome dei vecchi tigli, abitavano i passeri e i coltelli, l’amicizia e i virgulti del tradimento; gli archi delle vie nei villaggi, i prati stretti, nel parco su una panchina c ’era chi suonava svogliato la fisarmonica e per un attimo si poteva respirare un ’aria più leggera della stanchezza. Era una sala d ’attesa dalle pareti marroni, un tribunale, una clinica; un locale dove i tavoli si incurvavano sotto il peso degli atti e i posacenere erano colmi. Era il silenzio o megafoni pieni di rabbia.

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Era una sala d ’attesa in cui dovevi aspettare tutta la vita per nascere. I nostri amori frettolosi, che duravano a lungo, le nostri grandi risate, le ironie, i trionfi forse vanno ancora svanendo in qualche commissariato ai confini della mappa, ai limiti dell’immaginazione. Sono le voci dei morti, sono i capelli dei morti. Erano i cronometri dei nostri desideri, era un tempo pieno di vuoto. Era un paesaggio nero, azzurri solo i monti e l’arcobaleno obliquo. Senza promesse o speranze, m a vivevamo lì e non eravamo stranieri. Era la vita a noi concessa. Era la pazienza pallida come un ghiacciaio. Era l’angoscia, piena di colpa. Era il coraggio pieno di inquietudine. Era l’inquietudine piena di forza.

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IL VIOLONCELLO

Dicono i detrattori: è solo un violino che, mutata la voce, è stato espulso dal coro. Non è così. Il violoncello ha molti segreti, ma non piange mai, canta solo a voce bassa. Non tutto però si muta in canto. Talvolta si può udire un sussurro o un fruscio: sono solo, non posso prender sonno.

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SCRIVEVA A L BUIO

A Ryszard Krynicki Quand’era a Stoccolma Nelly Sachs lavorava di notte a luce spenta per non svegliare la madre malata

Scriveva al buio. L a disperazione le dettava parole pesanti come la scia di una cometa. Scriveva al buio, in un silenzio rotto soltanto dai sospiri del pendolo. Persino le lettere erano assonnate, la loro testa ricadeva sul foglio. E il buio scriveva reggendo in mano quella donna attempata come una penna stilografica. La notte poi si impietosiva, sulla città cresceva la grigia prigione dell’alba, l’aurora dalle dita rosate. Quando si addormentava, si svegliavano i merli e non vi erano pause nella tristezza e nel canto.

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L ’AEROPORTO DI AMSTERDAM

AUa memoria di mia madre

La rosa di dicembre, desiderio angusto in un giardino buio e vuoto, ruggine sugli alberi e fumo spesso come se bruciasse un ’altrui solitudine. Ieri, passeggiando, pensavo un ’altra volta all’aeroporto di Amsterdam ai corridoi senza abitazioni, alle sale d ’attesa piene di sogni altrui che l’infelicità ha macchiato. Gli aerei urtavano il cemento quasi con rabbia, sparvieri famelici privati della preda. Forse il tuo funerale avrebbe potuto essere qui - molta disattenzione, folle in fuga, un buon luogo per l’assenza. I morti andrebbero vegliati sotto la grande tenda dell’aeroporto. Eravamo nomadi di nuovo,

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andavi verso occidente con un vestito estivo, sorpresa dalla guerra e dal tempo, dalla muffa delle rovine e dallo specchio in cui si rifletteva una piccola vita stanca. Rilucevano nell’oscurità le cose ultime, l’orizzonte, il coltello e ogni sorgere del sole. Ti dicevo addio all’aeroporto, nella valle febbrile, là, dove sono in vendita le lacrime. L a rosa di dicembre, la dolce arancia: senza di te non ci saranno feste di Natale. Foglie di menta per lenire l’emicrania... Eri sempre tu che al ristorante studiavi più a lungo la carta del menu... Nella nostra ascetica famiglia eri maestra di espressione, m a sei morta con tale discrezione... Un vecchio prete storpierà il tuo cognome. Il treno si fermerà nel bosco. All’alba la neve cadrà fìtta sull’aeroporto di Amsterdam. Dove sei? Là, dove è sepolta la memoria. Là, dove cresce la memoria. Là, dove sono sepolte la rosa, l’arancia e la neve. Là, dove cresce la cenere.

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LA NOTTE

Poiché sei solo morto, senza dubbio ci ritroveremo. Avrai sempre nove anni, come quando ti vidi 1’ultìma volta, su in montagna. Era agosto, un tardo pomeriggio maturo e così diafano che le foglie dei ciliegi erano immobili e i fili d ’erba silenziosi. Le more già nere si scioglievano in bocca. Nel loro dolce succo si celava il ricordo della primavera e dell’estate. Di tempeste, di albe e del volo dell’allodola. Correvi davanti a noi ridendo e sapevi che dietro ti seguiva la nostra tenerezza, leggera come il respiro dei dormienti. D ’un tratto sparisti tra le piante, nell’ombra degli abeti. Era già sera e freddo, all’ombra verde degli abeti. E noi ancora illuminati dai raggi del sole che calava chiedevamo

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dov’eri, senza angoscia. Così vicini, separati soltanto dai fischi degli uccelli assonnati e dalle tende dei rami intrecciati. La notte saliva, lentamente. Passando per tunnel e corridoi, la notte attraversava il giorno.

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LA STANZA

A Derek Walcott

La stanza in cui lavoro è un esaedro che assomiglia a un dado da gioco. Là dentro un tavolo di legno dal duro profilo contadino, una pigra poltrona e una teiera dal labbro absburgico sporgente. Alla finestra vedo qualche albero stentato, esili nuvole e bimbi dell’asilo, vocianti, sempre allegri. A volte in lontananza scintilla un parabrezza o, più in alto, la squama argentea di un aereo. E evidente, gli altri non perdono tempo mentre io lavoro, cercano avventure sulla terra o nell’aria. L a stanza in cui lavoro è una camera oscura. Ma cos’è il mio lavoro lunghe attese, immobile, pagine sfogliate, riflessione paziente, una passività poco gradita a un giudice dal cupido sguardo. Scrivo lentamente, come se potessi vivere duecent’anni.

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f

Cerco immagini che non ci sono, e se ci sono, sono ripiegate e riposte come gli abiti estivi durante l’inverno, quando il gelo screpola le labbra. Sogno la concentrazione totale; se la trovassi certamente smetterei di respirare. Forse è bene che non riesca a fare molto. Eppure sento il sibilare della prima neve, la delicata melodia della luce del giorno e il cupo brontolio della metropoli. Bevo da una piccola fonte, la mia sete è più grande dell’oceano.

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LA CITTA IN CUI VORREI ABITARE

È una città silenziosa al crepuscolo, quando pallide stelle riprendono i sensi, e a mezzogiorno sonora per le voci di ambiziosi filosofi e mercanti che hanno portato velluti dall’Oriente. Vi ardono i fuochi delle conversazioni non certo i roghi. Le vecchie chiese, le pietre muscose di antiche preghiere sono la sua zavorra e il suo razzo diretto verso il cosmo. E una città imparziale che non condanna gli stranieri, una città che rapida ricorda e lentamente scorda, che tollera i poeti e perdona ai profeti la mancanza di humour. E una città eretta in base ai preludi di Chopin, da cui ha preso solo la gioia e la tristezza. Un largo anello di colline la circonda; vi crescono

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i frassini campestri e il pioppo slanciato che è il giudice del popolo degli alberi. Un fiume vivace che vi scorre in mezzo notte e giorno sussurra saluti incomprensibili delle sorgenti, delle montagne, del cielo.

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PERSEFONE

Di nuovo Persefone scende sottoterra, con l’abito estivo e i grandi occhi di bambina ebrea. Volteggiano aquiloni, foglie gialle, pulviscolo autunnale, un bianco aeroplano, ali nere di cornacchia. Lungo il sentiero qualcuno corre con una lettera tardiva. Lei avrà freddo sottoterra con i sandali di sughero, e i capelli non la proteggeranno dal vento cieco, dall’oblio. Scampanellano allegri i tram azzurri, i passanti si affrettano al cinema, al lavoro, all’incontro di calcio, m a lei scompare già nell’ombra dei castagni e solo il nastro della sua treccia ancora splende del roseo riflesso della rassegnazione. Di nuovo Persefone scende sottoterra, di nuovo la stessa pellicola dell’indifferenza serra il mio minuscolo cuore d ’uccello.

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TRE ANGELI

D ’improvviso apparvero tre angeli alla gente proprio accanto al panifìcio di via San Giorgio; uffa, di nuovo un questionario sociologico, sbuffò un signore annoiato. No, spiegò paziente il primo angelo, vogliamo solo sapere che ne è stato della vostra vita, che sapore hanno i giorni e perché le notti sono segnate da inquietudine e angoscia. Oh sì, l’angoscia, rispose una bella donna dallo sguardo sognante; m a io lo so perché. Le imprese della mente umana oggi sono fragili, paiono aver bisogno di aiuto, di sostegno, senza trovarlo. L a prego, caro signore - disse « signore » a un angelo! -, guardi ad esempio Wittgenstein. I nostri saggi, le nostre guide sono tristi e folli e forse sanno anche meno di noi, persone usuali (ma lei non era usuale).

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E pure, disse un ragazzetto che studiava il violino, le sere sono solo una custodia vuota, una scatola priva di segreti, verso il mattino invece il cosmo sembra estraneo e arido come lo schermo del televisore. I treni vanno avanti senza vita, monotoni, e nel battito delle loro ruote non si ode l’esametro. E inoltre sono pochi quelli che amerebbero la musica in se stessa. Anche altri presero la parola, e le loro lagnanze crescenti composero una possente sonata dell’ira. Signori, se volete conoscere la verità - gridò uno studente alto che aveva perso da poco la madre - ne abbiamo abbastanza di morte e crudeltà, malattie, persecuzioni e lunghi periodi di una noia immobile come l’occhio di un serpente. Abbiamo troppo poca terra, e troppo fuoco. Non sappiamo chi siamo. Vaghiamo nel bosco e stelle nere trascorrono pigre su di noi, come se fossero solo un nostro sogno. Eppure, disse timidamente un altro angelo, c’è sempre un p o ’ di gioia e persino il bello si trova accanto a noi, sotto la corteccia di ogni ora, nel cuore silente del raccoglimento, e in ognuno di voi si cela l’uomo universale, forte, invincibile. I fiori della rosa selvatica trattengono il profumo dell’infanzia, nei giorni di festa le ragazze vanno a passeggio come un tempo, e nel modo in cui legano gli scialli colorati c’è un che di immortale.

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La memoria vive nel mare, nel pulsare del sangue, nelle scure pietre bruciate, nei versi e in ogni quieta conversazione. Il mondo è lo stesso di sempre, pieno di ombre e di attese. Avrebbe forse parlato ancora, m a la folla cresceva sempre più ed echeggiavano i mormorii di sorda rabbia, finché i messi lievi si alzarono in volo e allontanandosi ripetevano miti: pace a voi, pace ai vivi e ai morti e ai non nati. Solo il terzo angelo non profferì parola, poiché era l’angelo del lungo silenzio.

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DALLA MEMORIA

Dalla memoria sale una stretta via - sia la laringe di questa poesia e un plumbeo, denso fumo sulla fabbrica di coke, vulcano che eruttava in cielo le scintille, restituendo il debito alle stelle. La mia via: due zitelle orgogliose dalle labbra sottili - sopravvissute a Stalin e alla Siberia; un attor giovane, avido di fama, e il professor G. che aveva perso un braccio nell’Insurrezione, la manica vuota simile a una vela. Ancora nulla so, nulla è successo, eccetto la guerra e gli ebrei sterminati. D ’inverno la neve grigia se ne sta sui tetti come un vigile indiano e paventa la primavera. Ed ecco le vacanze, un ’arancia sbucciata. Un prete goloso trangugia il Vangelo in una chiesa neogotica vermiglia; oh cuore dei cuori, Cristo ha una ferita al petto.

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Per fortuna ci sono i bignè dopo la messa e sì dimentica la tortura latina. Nelle caserme si addestrano le reclute, uno dei miei amici suona la tromba come Miles Davis, se non meglio. Le ragazze escono sul corso in ampie gonne inamidate. Questa terra deforme, squarciata da piatti fiumi neri, piena di cicatrici come la guancia di uno studente tedesco, di giorno taceva, m a di notte intonava canzoni in entrambe le lingue. E noi pure vivevamo dentro due idiomi, nel gergo stretto delEordinario, dell’invidia, e nella lingua di un grandioso sogno. A mezzogiorno, mite si apriva l’occhio delle nuvole, occhio di lacrime e di luce.

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SU LN U O TO

I fiumi di questo paese sono dolci come il canto dei trovatori, un sole pesante si sposta a occidente sui carri gialli di un circo. Nelle piccole chiese di campagna si svela il tessuto di un silenzio così sottile e antico che può lacerarlo perfino il respiro. Amo nuotare nel mare che di continuo si narra qualche cosa con la voce m onotona del viandante che ormai non ricorda più da quanto tempo è in viaggio. Nuotare è come una preghiera: le mani si uniscono e si separano, si uniscono e si separano, quasi senza fine.

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SUORE DI CARITÀ

A miopadre

Era l’infanzia, che non torna più le more così nere da fare invidia alla notte; lungo l’esile fiume c’erano pioppi snelli come suore di carità e non temevano gli estranei. Dal balcone vedevo la breve via e due alberi, m a ero anche l’imperatore che ascolta estasiato come echeggiano le infinite divisioni dei suoi eserciti e frusciano al vento i vessilli conquistati ai turchi. Mi piaceva il sapore dell’erba sminuzzata fra i denti, le foglie amare dell’acero, e sulle labbra l’aspra dolcezza della prima fragola di giugno. L a domenica mattina mamma faceva il caffè vero e in chiesa il vecchio prete esortava all’umiltà. Alla vista dei poveri mi si stringeva il cuore. Paesi gialli e azzurri abitavano badante; i grandi Stati inghiottivano i piccoli, ma sui francobolli si vedevano solo aquile immobili, zebre, giraffe e piccole cince dalla grazia non detta. Sugli scaffali impolverati di un negozietto buio

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si accumulavano barattoli di caramelle appiccicose da cui poi spuntavano fuori farfalle scarlatte. Fui uno scout e conobbi la solitudine nel bosco, quando scende il crepuscolo, piange il gufo e crepitano inquietanti i rami delle querce. Ho letto romanzi cavallereschi, fiabe russe e la trilogia interminabile di Henryk Sienkiewicz. Mio padre mi aveva costruito un mulino in miniatura che girava veloce nel ruscello montano. La mia bicicletta superava la locomotiva ansimante, l’afa d ’agosto squagliava come gelato la città grigia. Le more così nere... Le foglie amare dell’acero... Era l’infanzia, sangue e giorni di festa.

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HOUSTON, SEI DEL POMERIGGIO

L ’Europa dorme già sotto la ruvida coltre dei confini e degli odi antichi: la Francia stretta alla Germania, la Bosnia tra le braccia della Serbia, la Sicilia solitaria nel mare turchino. È quasi sera qui, la lam pada è accesa e presto si spegnerà il sole oscuro. Sono solo, ora leggo, ora rifletto, ora ascolto un poco di musica. Sono là dov’è l’amicizia, m a non gli amici, dove cresce l’incanto, ma senza incantesimi, là dove ridono i morti. Sono solo perché l’Europa dorme. La mia amata dorme in una casa alta nei pressi di Parigi. A Cracovia e a Parigi i miei amici guadano lo stesso fiume dell’oblio. Leggo e rifletto; in una poesia ho trovato: Accadono disgrazie così terrìbili...

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-N on chiedere! Non chiedo. Nel silenzio della sera irrompe un elicottero della polizia.

L a poesia chiama a una vita più alta ma ciò che è basso ha la sua eloquenza —, più sonora della lingua indoeuropea, più forte dei miei libri e dei miei dischi. Non ci sono usignoli o merli dalla dolce, triste cantilena, solo il tordo beffeggiatore che imita e fa il verso a tutte le altre voci. La poesia chiama alla vita, al coraggio di fronte all’ombra che si espande. Sai guardare con calma la Terra - come un ideale cosmonauta? Dall’indolenza innocente, dalla Grecia dei libri e dalla Gerusalemme del ricordo d ’un tratto emerge l’isola della poesia, disabitata, che un novello Cook un giorno scoprirà. L ’Europa dorme già. Gli animali notturni, rapaci e malinconici, vanno a caccia, muovono alla morte. Tra poco anche l’America si addormenterà.

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SENZA FLASH

«Senzaflash!» (divieto udito spesso nei musei italiani)

Senza fiamma, senza notti insonni, senza ardore, senza lacrime, senza grande passione, senza convinzione, così vivremo; senzaflash. Calmi e misurati, docili e assonnati, le mani macchiate dall’inchiostro nero dei quotidiani, i volti unti di crema; senzaflash. Turisti sorridenti in camicie impeccabili Herr Lange e Miss Fee, Monsieur et Madame Rien entreranno nel museo; senzaflash. Indugeranno davanti a Piero della Francesca, al Cristo che, quasi folle, si leva dal sepolcro, libero, risorto; senza flash. E allora accadrà forse qualcosa d ’imprevisto: sussulterà il cuore, nascosto sotto il cotone ben stirato, calerà il silenzio, lam peggerà il flash.

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HOW HIGH THE MOON

Ovviamente c’erano gite familiari in estate, picnic lungo il canale nero (un tempo detto di Adolf H ider), in cui ancora vivevano i granchi; sulle rive esili pini nani. A volte - raramente - chiatte cariche di carbone, simili ai colori di un pittore dilettante, scivolavano verso occidente. Come una diva dell’opera, l’afa si cambiava d ’abito: era turchina, rosata, vermiglia, e infine bianca, trasparente. Ci guidava mio zio che tanto amava la vita (non corrisposto). Se qualcuno mi avesse detto allora che quella era l’infanzia non gli avrei creduto;

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erano solo ore e giorni, ore infinite, dolci giorni di giugno sulle rive del canale che mai aveva fretta, immerso in umidi sogni, e una giovane, timida luna che solitaria muoveva alla conquista della notte.

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LA SEPARAZIONE

Quasi con invidia leggo le opere dei miei contemporanei su divorzi, addii, il dolore delle separazioni; sofferenza, nuovi inizi, piccole morti; lettere lette e bruciate, bruciare e leggere, fuoco e cultura, ira e disperazione - magnifica m ateria per una poesia riuscita; un duro giudizio, a volte una risata sarcastica di superiorità morale, e insieme definitivo trionfo della continuità individuale. E noi? Non ci saranno elegie, né sonetti sulla separazione, non ci dividerà lo schermo dei versi, non si porrà fra noi una metafora riuscita, l’unica separazione che ora ci minaccia è il sonno, il profondo antro del sonno la cui soglia varchiamo separati, - e devo sempre ricordare che la tua mimo, stretta nella mia, è fatta di sogni.

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IL RE

In memoria diJó zef Czapski

Era già molto vecchio. Ma la mente era possente. Diceva di im a conoscente (come lui non più giovane) : E una famosa bellezza di Pietroburgo: osservane il volto. Dipingeva ancora. Viveva. Scriveva. E pensava. Aveva conosciuto l’Achmatova, conversato con De Gaulle, attirato anche l’attenzione di Malraux. Gide l’aveva deluso (troppo parigino). Aiutava i poveretti, nonostante fosse un conte povero. Era così alto (e buon o), come se la natura, fiera di sé - lo avesse messo in mostra. Mary McCarthy una volta lo aveva notato tra la folla di un museo, e scrisse: ecco un giusto. Lo appassionava il bello. Ma il brutto, il dolore, erano ancor più presenti nelle sue parole anche se, pare, ne avesse scarsa conoscenza (ma possiamo davvero esserne certi?).

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Cos’è l’istante in cui si manifesta l’essere divino? Come possiamo saperlo, parlandone al passato o al futuro? (con speranza! ). Ne parliamo, e siamo già in un altro regno, come se il treno selvaggio che ci porta non volesse fermarsi in una piccola stazione quieta, chiamata Bello, un luogo che gli pare troppo insignificante. Del brutto invece possiamo discettare a iosa, e sul dolore scriveremo ancora più di un tomo; il nostro treno rapido scorgendoli si muterà in un tram, umile tartaruga. Morì lentamente, e con pazienza; forse coloro che reggono la terra giocando a scacchi erano in dubbio se rovesciare quella meravigliosa figura verticale, un re, in una linea orizzontale, la scrittura.

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F SOLO BAMBINI

A Ew unia

Erano solo bambini che giocavano nella sabbia (teneva loro compagnia il profumo ipnotico dei tigli in fiore, non lo scordare), solo bambini, eppure il diavolo e le divinità minori e persino i politici dimenticati che avevano infranto tutte le promesse, erano lì anche loro e li guardavano con ammirazione infinita. Chi non vorrebbe essere un bambino - per l’ultima volta!

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LUNGHI POMERIGGI

Erano lunghi i pomeriggi quando la poesia mi abbandonava. Paziente scorreva il fiume, sospingendo pigre barche verso il mare. Erano lunghi i pomeriggi, una costa d ’avorio. Le ombre distese sulle strade, nelle vetrine orgogliosi manichini che mi guardavano con piglio risoluto, di sfida. I professori uscivano dai licei, i volti vuoti, come se Omero li avesse sconfitti, umiliati, uccisi. I giornali della sera portavano notizie inquietanti, ma non cambiava nulla, nessuno si affrettava. Nessuno alle finestre, tu non c’eri, anche le suore parevano vergognarsi deliavita. Erano lunghi i pomeriggi quando la poesia svaniva e restavo solo con l’opaco moloch della città come un povero viaggiatore davanti alla Gare du Nord con una valigia troppo pesante, legata con la corda, sotto una pioggia nera, la nera pioggia di settembre.

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Oh, dimmi, come guarire dall’ironia, dallo sguardo che vede senza penetrare; dimmi come guarire dal mio silenzio.

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LA MORTE DI UN PIANISTA

Mentre gli altri facevano guerre o negoziavano la pace, oppure giacevano in scomodi letti di ospedale o su qualche campo, lui per giorni interi eseguiva le sonate di Beethoven, e le sue magre dita, come quelle di un avaro, toccavano grandi ricchezze che non erano sue.

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MATTINA A VICENZA

In memoria di Io siftìrodskij e KrzysztofKieslowski

Il sole era così fragile, così giovane, che un p o ’ temevamo per lui; un gesto distratto poteva scalfirlo, persino un grido - se qualcuno avesse gridato - poteva minacciarlo; solo alle rondini in volo dalle ali temprate, come fuse in uno stampo di ghisa, era concesso stridere forte, poiché la loro infanzia era stata breve, colma d ’affanno, in nidi d ’argilla, insieme ai fratelli, minuscoli, folli pianeti, neri come more silvestri. Nel piccolo caffè un cameriere assonnato - sotto i suoi occhi confluivano le ultime ombre della notte - cercava spiccioli in una tasca fonda, e il caffè profumava solenne d ’inchiostro di stampa, di dolcezza, d ’Arabia. Nel cielo turchino la promessa di un lungo meriggio, di un giorno infinito. Ti guardavo come se fosse la prima volta. Persino le colonne del Palladio parevano sorte in quell’istante, emerse dalle onde dell’alba come Venere', la tua sorella maggiore.

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Iniziare di nuovo, contare le perdite, contare i caduti, iniziare un nuovo giorno, anche se non ci siete più, tu, che due volte abbiamo seppellito e pianto - hai vissuto due volte più degli altri, in due continenti, in due lingue, nella realtà e nella fantasia-, e tu, dal viso affilato, e dallo sguardo che ingrandiva oggetti e cuori (sempre troppo m inuscoli). Non ci siete e per questo noi ora condurremo una duplice vita, nella luce come nell’ombra, nell’abbagliante sole del giorno e nel freddo dei corridoi di pietra, nel lutto e nella gioia.

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PIENA ESTATE

In estate, su un fiume di montagna, dove profum a il salice delicato e farfalle purpuree, onuste di bellezza, la vanessa e il macaone, compiono il loro ultimo volo sull’acqua lucente, sull’ontano lucente e sul mondo lucente; quando l’aria è così colma di olio essenziale che puoi versarla nei bicchieri sentendo sotto le dita il suo convesso menisco, in agosto, quando arde la resina al di là dei ramoscelli dei pini e le pigne crepitano come se fossero già lambite dalle lingue del fuoco eterno, e il mare proprio azzurro si culla in basso dolcemente come un vincitore, come un sovrano che ha sconfitto i persiani e tutti i suoi yacht gli si inchinano lievi a ogni moto dell’onda, e i nuotatori immersi in un diafano lenzuolo con infinita lentezza si spostano lungo linee invisibili, lungo i bianchi fili che legano ogni sostanza, e s’ode il mormorio grandioso delle creature infine appagate,

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quando pare che persino gli insetti debbano avere il proprio Dioniso, in agosto, quando all’improvviso tace il fragore dell’Europa si fermano le fabbriche, e i turisti ridono rumorosi sulle spiagge del Mar Ligure, basta avanzare di pochi passi, andare dietro le quinte - e là, nella penombra di un fitto bosco, si celano forse le ombre di coloro che vissero poco, nell’angoscia e disperati, ombre dei nostri fratelli, delle nostre sorelle, le ombre di Kolyma e di Ravensbrùck, poveri angeli di una nera redenzione, e avidi ci guardano.

OPERA POSTUMA

Il treno si fermò tra i campi; il silenzio improvviso risvegliò persino gli indefessi fautori del sonno. Luci lontane di magazzini o fabbriche mandavano bagliori nella nebbia come occhi gialli di lupi. Uomini d ’affari in viaggio sudavano al computer calcolando profitti e perdite del giorno trascorso. L a hostess portava un caffè colmo di amarezza. Ewig, ewig, l’ultima parola del Canto della terra, così spesso ripetuta; ricordi, ascoltavamo insieme la musica e la promessa in cui allora volevamo credere tanto. Non so se fossimo ancora in Olanda, o forse già in Belgio. Che differenza fa. Era una sera di primo inverno e la terra si era nascosta sotto spessi nastri di crepuscolo; si poteva indovinare la presenza dell’acqua nera del canale, immobile, priva della gioia dei torrenti montani e del grande stupore dei nostri oceani. Gli occhi gialli dei lupi tremavano di una nervosa

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luce al neon, m a nessuno temeva un attacco d ’indiani. Il treno si era fermato nel momento in cui la ragione non dorme, ma dorme l’anima, la sua nobile sete. U n ’altra volta ascoltavamo il quintetto postumo di Schubert, in cui la disperazione si dichiara più volte, appassionata, quasi invadente, rinnovando il suo attacco all’indifferenza dell’elegante sala da concerti, delle signore impellicciate e dei recensori, piccoli inviati di grandi testate. Tempo fa, mentre passeggiavamo a mezzanotte, in campagna, d ’estate, ci ferm ò un suono inconsueto: lo sbuffare e il nitrire di cavalli invisibili al pascolo. Era come se la notte ridesse, per se stessa, felice. Cos’è la poesia, se così poco è quello che vediamo? Cosa può essere la salvezza, se nulla ci minaccia? Un quintetto postumo! Solo la musica cresce ancora dopo la morte, la musica e le chiome degli alberi, Se i fiumi ci dessero il miele e il latte dell’mcanto, se le danzatrici ricominciassero a danzare folli... Eppure non siamo soli. Una chitarra antiquata un giorno inizierà a cantare, solamente per sé. E il treno ripartirà infine, la terra ondeggerà sotto il suo peso maestoso e lentamente comincerà ad avvicinarsi Parigi, con la sua aura dorata, con il suo grigio dubitare.

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LA FIAMMA

Signore Iddio, dacci un lungo inverno, una musica sommessa, labbra pazienti, e un p o ’ d ’orgoglio - prima che finisca il nostro tempo. Dacci la meraviglia e una fiamma, alta, chiara.

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VEDERE

Mia città muta, città ambrata e d ’oro, sepolta in forre dove i lupi correvano in silenzio lungo un freddo meridiano; se ti dovessi raccontare, città assopita sotto un cumulo di foglie morte, se dovessi descrivere la pelle dell’oceano su cui le navi tracciano lunghe scie di versi luminosi e gli yacht come pavoni ostentano le loro alte vele, e il Mediterraneo, assorto in un rapimento salino, e le città dalle torri aguzze che brillano nel sole intenso del mattino, e la forza selvaggia degli aerei che forano le nubi, l’eterno disprezzo dei burocrati per noi, gente comune, le viuzze dell’Umbria, cisterna in cui è fermo il vecchio tempo che sa di vino dolce, e una certa collina dove cresce l’albero più quieto; Parigi grigia, attraversata dal fiume del perdono, Cracovia di domenica, quando persino le foglie dei castagni paiono stirate da un ferro invisibile,

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i vigneti in cui fanno incursioni l’avido autunno e le autostrade piene di sgomento; se dovessi descrivere la solennità della notte in cui ciò avvenne, e il fragore del treno che avanzava verso il nulla, e il barbaglio della lama d ’acciaio su una pista di ghiaccio improvvisata; scrivo viaggiando - perché volevo vedere, e non solo sapere - vedere chiaramente incendi e scorci di quell’unico mondo, e tu, città immobile, pietrificata, i miei fratelli nella piatta sabbia; su voi la terra continua a ruotare e avanzano le legioni romane, la volpe artica tende l’orecchio al vento nel deserto bianco dove i suoni svaniscono.

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FORESTERIA PER STUDIOSI

Nella foresteria per studiosi in visita - sullo scaffale qualche romanzo uggioso in una lingua che non è quella dei tuoi, un Buddha sonnolento, e un televisore muto, una padella graffiata in cui di sabato sera hanno colto più d ’una melanconica frittata, e un bollitore opaco che fischia in qualsiasi idioma - cerchi di sistemarti, persino di pensare. Leggi Meister Eckhart sulla distanza (Abgeschiedenhdt ), i versi di un inglese innamorato della Francia, la prosa di un francese che ammira l’Inghilterra; e solo dopo giorni di eroici tentativi per ambientarti in queste stanze asettiche per le quali passò l’élite umana acculturata, scopri quasi stupito che nessuno abita qui; non c’è vita sulla terra.

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ADDIO A ZBIGNIEW HERBERT

All’inizio c’erano solo i ciliegi e il buffo volo dei pipistrelli, il pom o della luna, la civetta sonnolenta, il sapore dell’acqua fresca durante le gite scolastiche. Le torri della città come parole d ’amore. Più tardi, molto più tardi, la polvere dorata di Provenza, i fichi nelle vigne, la lezione della bianca Grecia, i musei di provincia, Piero e la Madonna del parto - e in mezzo due occupazioni militari, eserciti disumani, tozzi veicoli di morte sulle tue strade. I lunghi giorni passati a tradurre Georg Trakl, il Canto del merlo catturato, la tua prima gioiosa Parigi dopo anni di brutture e miserie sovietiche; il tuo sorriso impertinente, gli scherzi da ragazzo, lo humour e l’aria solenne visitando la piccola cattedrale di Meaux (Bossuet ci guardava un p o ’ severamente), le serate berlinesi: HerrDoktor, Herr Privatdozent, il riso lanciato al matrimonio degli amici, come coriandoli - m a anche il silenzio e l’amarezza dei mesi cattivi.

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Mi piaceva immaginare le tue passeggiate in Umbria o in Liguria: le eleganti incursioni, alla ricerca del luogo in cui si scioglie il ghiacciaio del passato e disvela le forme. Mi piaceva immaginarti vagabondo tra le vette della poesia, in cerca del luogo dove airim prow iso dal silenzio erompe la parola. Ma ti ho sempre incontrato negli alloggi angusti di quei grigi moloch detti metropoli. Mi ricordavi talvolta il tragico della nostra vita. Di te la vita si ricordava quasi tutti i giorni. Penso ai tuoi coetanei schiacciati dal destino, a come ti ammalasti a Madrid, ad Amsterdam (Hotel Ambassade) e persino nella santa Gerusalemme, all’ospedale Saint-Luis, in estate, quando l’afa fondeva i muri delle case e i confini degli Stati, alle tue ultime settimane a Varsavia. Ammiro l’orgoglio regale dei tuoi versi.

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LE MIE ZIE

Sempre occupate in ciò che definivano il lato pratico della nostra vita (toccava a Platone la teoria), immerse fino al collo in mobili, lenzuola, in giardini di dispense e credenze, senza dimenticare il sacchetto di lavanda che tramutava l’armadio della biancheria in prato. Il lato pratico della vita, come la faccia oscura della Luna, non era privo di misteri; sotto Natale la vita diventava pura praxis, prendendo provvisoria dimora nei corridoi, rifugiandosi in valigie e nécessaire. E quando qualcuno moriva, il che purtroppo accadeva anche in famiglia, le mie zie tutte prese dal lato pratico della dipartita si scordavano del sacchetto di lavanda e del suo ebbro, altruistico profumo sotto un manto nevoso di lenzuola.

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SQUARE D’ORLÉANS

Luogo dove si mescolarono il dolore e l’incanto - due sostanze che si conoscono da tempo. Qui ora c’è la sede di una banca; andirivieni di uomini eleganti, ognuno snello come una banconota nuova. Qui un tempo abitava Chopin. Le sue dita colpivano appassionate la materica tastiera. Qui un tempo abitava una fervida poesia. Adesso invece regna il silenzio, nei dintorni agenzie di assicurazioni e un medico che riceve dietro appuntamento. Imbrunisce; i palazzi ritti come aironi affranti per le rovine del secolo presente. (si ode fischiare la città in lontananza). L a fontanella al centro della piazza innalza timida due treccioline d ’acqua, e così ci ricorda che cos’è la vita.

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Sediamo sui gradini; nulla accade. Nemmeno si può dire che proviamo tristezza. Al posto di febbre e inquietudine (le due giovani nazioni) c’è ora un classicismo discreto. La sera di settembre si spegne lentamente, un vento lieve attraversa Parigi come un vecchio attore del kabuki che recita nel ruolo di una giovane beltà. E se qualcosa ci disturba - m a nulla ci disturba - è solo il vuoto.

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VALZER

Sono così sgargianti i giorni, così chiari, che la polvere bianca della disattenzione copre persino le rare esili palme. Le serpi scivolano silenziose nelle vigne, m a alla sera il mare si fa cupo e i gabbiani sospesi neU’aria si muovono appena, punteggiatura di un più alto scritto. Sulle tue labbra una goccia di vino. Le montagne calcaree all’orizzonte si dissolvono lente mentre una stella appare. La notte, in piazza, un’orchestra di marinai in uniformi bianche immacolate suona un valzer di Sostakovic; piangono i bimbi, come se intuissero di cosa parla quella musica allegra. Siamo stati rinchiusi nella scatola del mondo. L ’amore ci renderà liberi, il tempo ci ucciderà.

ITIG LI

Quanta dolcezza la città è sotto anestesia; il ragazzo scarno che quasi non occupa spazio sulla terra, e il cane, e io, soldato in una guerra invisibile, e il fiume che amo. Fioriscono i tigli.

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PARLA PACATAMENTE

Parla pacatamente: sei più vecchio di quello che a lungo sei stato; sei più vecchio di te stesso - e ancora non sai cosa siano l’assenza, la poesia e l’oro. U n’acqua bruna ha inondato le vie; im a breve tempesta ha scosso questa piatta città sonnolenta. Ogni tempesta è un addio, come se centinaia di fotografi roteassero su noi, fissando con il flash attimi di panico e di angoscia. Sai cos’è il lutto, la disperazione tanto violenta da soffocare il ritmo del cuore e il futuro. Hai pianto fra estranei, in un negozio moderno dove svelto continuava a girare il denaro. Hai visto Venezia e Siena e, sulle tele come nelle vie, tristi giovani Madonne che sognavano di essere ragazze come tante e ballare a carnevale. Hai visto anche piccole città, non certo belle, gente vecchia, spossata dal tempo e dalla sofferenza.

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Nelle icone medioevali brillavano gli occhi di santi bruni, occhi ardenti di fiere. Raccoglievi sassolini sulla spiaggia, a la Galère, e di colpo avvertivi una così grande tenerezza - per loro e per il pino snello, per coloro che erano lì con te e per il mare che è davvero possente, m a molto solo così grande, come se tutti fossero orfani della stessa casa, separati per sempre e condannati solo a vedersi per brevi istanti nelle fredde prigioni del presente. Parla pacatamente: non sei più giovane, l’abbagliante incanto deve accordarsi con settimane di digiuno, devi scegliere, rinunciare, temporeggiare e parlare a lungo con gli emissari di paesi aridi e di labbra screpolate, devi aspettare, scrivere lettere, leggere libri di cinquecento pagine. Parla pacatamente. Non rinunciare alla poesia.

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r LÀ, DOVE IL RESPIRO

Sta sulla scena senza alcuno strumento. AP P °ggia le mani sul petto, là dove nasce il respiro e dove si spegne. Non sono le mani a cantare e nemmeno il petto. Canta ciò che tace.

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IL « DIZIONARIO BIOGRAFICO POLACCO » NELLA BIBLIOTECA A HOUSTON

Il principe Roman Sanguszko attraversa a piedi la Siberia (Joseph Conrad gli dedicherà un racconto). Al termine della sua lunga vita fonderà im a biblioteca; morirà come un cittadino da tutti stimato. Maria Kalergis (si veda: Muchanow, Maria) - rapporti non dimostrati con l’Ochrana; « metà del suo cuore è polacco », l’altra non sappiamo. Amica di Liszt e Wagner, allieva di Chopin. Patrona dei teatri di Varsavia, a turno patriota e rinnegata, rinnegata e patriota. S ’innamorò di lei il povero Norwid (si veda: Norwid). Con tutto il cuore l’amava. Julian Klaczko: « Era piccolo di statura, grassoccio ... incline all’esaltazione. Di notevole am or proprio» (StanislawTamowski). Forse figlio illegittimo del famigerato Pelikan. Brillante prosatore, vanto della « Revue des Deux M ondes».

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C o lla b o r a t o r e d i C z a rto r y sk i, q u in d i im p ie g a t o in u n m in iste r o a u str ia c o (q u e lli p o la c c h i n o n e s iste v a n o ). M o r ir à a C r a c o v ia , p a r a liz z a to , in e r te . E ta n ti a ltr i: A n t o n i C z a p s k i ( t 1 7 9 2 ) , s t u d iò p it t u r a in I n g h ilt e r r a e F r a n c ia , m a s s o n e d e l la lo g g i a II S a r m a t a v ir tu o s o ; la p r o b it à in p e r s o n a . J o a c h i m N a m y sl, p e d a g o g o - g i à s ia m o n e l s e c o l o V e n te s im o . E a ltr e o m b r e , d a ll a A a lla S ; q u e s t o d iz io n a r io n o n p u ò t e r m in a r e . E il t u o p a e s e e la t u a la c o n ic ità . L a t u a in d iff e r e n z a e la t u a c o m m o z io n e . T a n t a v ita p e r u n a s o l a p a t r ia . T a n t a m o r t e p e r u n s o lo d iz io n a r io .

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P R O V A A C A N T A R E IL M O N D O M U T IL A T O

P r o v a a c a n t a r e il m o n d o m u tila to . R ic o r d a le lu n g h e g io r n a t e d i g iu g n o e le f r a g o l e , le g o c c e d i v i n o r o s é . L e o r t ic h e c h e m e t o d ic h e r ic o p r iv a n o le c a s e a b b a n d o n a t e d a c h i n e f u c a c c ia t o . D e v i c a n t a r e il m o n d o m u tila to . H a i g u a r d a t o n a v i e b a r c h e e le g a n t i; a tt e s i d a u n lu n g o v ia g g io , o s o lt a n t o d a u n n u l la s a lm a s tr o . H a i v isto i p r o f u g h i a n d a r e v e r s o il n u lla , h a i s e n t it o i c a r n e f ic i c a n t a r e a lle g r a m e n t e . D o v r e s ti c e le b r a r e il m o n d o m u tila to . R ic o r d a q u e g li a ttim i, q u a n d o e r a v a te in s ie m e in u n a s t a n z a b i a n c a e la t e n d a si m o s s e . T o m a c o l p e n s ie r o a l c o n c e r to , q u a n d o la m u s ic a e sp lo se . D ’a u t u n n o r a c c o g lie v i g h ia n d e n e l p a r c o e le f o g l ie v o lte g g ia v a n o s u lle c ic a tr ic i d e l la te rr a . C a n t a il m o n d o m u tila to e l a p ic c o l a p e n n a g r ig ia p e r s a d a l t o r d o , e l a lu c e d e lic a t a c h e e r r a , sv a n isc e e r ito r n a .

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R O M A , C IT T À A P E R T A

G io r n o d i m a r z o , q u a n d o g li a lb e r i s o n o a n c o r a s p o g li; i p la ta n i a sp e tta n o p a z ie n t i la v e r d e f ia m m a d e lle f o g lie . L a p o lv e r e c o p r e i te m p li; c in a b r o e o c r a , a r a n c io e b o rd eau x , a m p ie m a c c h ie d i c a n n e lla .

Perché abbiamo smesso di parlare ? A P a la z z o B a r b e r in i il b e llis s im o N a r c is o f is s a il p r o p r i o v o lto , in a n im a t o . C ittà b r o n z e a , c h e r ip e t e s e m p r e : mi dispiace. C ittà b r o n z e a , c u i a p p r o d a n o s t a n c h e d iv in ità g r e c h e , c o m e im p ie g a t i d a ll a p r o v in c ia .

Oggi vorrei vedere i tuoi occhi senza collera. C it t à b r o n z e a , c h e c r e s c e s u i co lli. L e p o e s ie s o n o b r e v i t r a g e d ie , si t r a s p o r t a n o c o m e r a d io a tr a n s is to r . P a o l o g ia c e a t e r r a , è n o t t e , c ’è u n a f i a c c o l a e o d o r e d i c a tra m e . N e i c a ffè s g u a r d i f r e t t o lo s i, q u a lc u n o g r id a , s u l ta v o lo u n m u c c h ie t t o d i m o n e t e .

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Perché sì? Perché no ? N e l c h ia s s o d e l le a u t o e d e g l i s c o o t e r , n e l c h i a s s o d e g l i e v e n ti. L a p o e s ia s p e s s o s c o m p a r e e r e s ta n o i fia m m ife r i s o lta n to . L u n g o il T e v e r e c o r r o n o b a m b i n i d a l l e b u f f e m a n t e lle s c o la s t ic h e d i in iz io s e c o lo ; a c c a n t o u n a c in e p r e s a e r ifle tto r i. C o r r o n o p e r il film , n o n p e r s e ste ssi. D a v id e si v e r g o g n a p e r l ’ a s s a s s in io d i G o lia .

Perdonami il mio silenzio. Perdonami il tuo silenzio. C ittà p i e n a d i s ta tu e ; s o lo le f o n t a n e c a n t a n o . S i a v v ic in a n o le fe s te ; tr a b r e v e i p a g a n i e n t r e r a n n o n e lle c h ie s e . V ia G iu lia : i fio r i d i m a g n o lia c u s t o d is c o n o il p r o p r i o se g re to . P e r u n m in u t o d i lu c e p a g h i s o lo c in q u e c e n t o lir e d a g e tta re in u n a s c a t o la n e r a .

C'incontreremo in piazza Navona, forse, se vorrai. M a tte o c o n t in u a a d o m a n d a r s i: è v e r o c h e p r o p r i o io fili c h ia m a t o a d iv e n ta r e u n u o m o ?

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IL M ARE

R ilu c e n t e t r a le r o c c e , a m e z z o g io r n o b lu , m in a c c io s o q u a n d o lo c h ia m a il v e n to d ’o c c id e n t e , m a a s e r a q u ie t o , in c lin e a lla c o n c o r d ia . I n s t a n c a b ile n e lle p ic c o l e b a ie , p o s s ie d e in fin ite s c h ie r e d i g r a n c h i c h e a v a n z a n o d i la t o c o m e u m id i v e t e r a n i d e lle g u e r r e p u n ic h e . A m e z z a n o t t e d a l p o r t o p a r t o n o i p e s c h e r e c c i, la lu c e in t e n s a d e l l ’u n ic o r ifle t t o r e s q u a r c ia il b u io , f r e m o n o i m o t o r i. S u l la s p i a g g i a d i C e f a lù , in S ic ilia , a b b ia m o v isto in n u m e r e v o li r ifiu ti, c a s s e t t e , p r e se r v a tiv i, c a r to n i d e l la tte e u n ’a ss e su c u i sb ia d iv a il n o m e A n to n io . I n n a m o r a t o d e l la t e r r a , t e n d e s e m p r e a lla riva, in v ia o n d a su o n d a - e c ia s c u n a m u o r e e sa u sta , c o m e u n m e sso g re c o . A l c r e p u s c o lo si f a s e n t ir e f r u s c ia n d o ,

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c o n lo s p e s s o b is b ig lio d e lle p ie t r e g e t t a t e s u lla g h ia ia ( s ’o d o n o fin s u lla p ia z z e t ta d e i p e s c a t o r i ) . Il m a r e M e d it e r r a n e o , in c u i n u o t a v a n o g li d è i, e il f r e d d o B a lt ic o , d o v e m i im m e r g e v o t r e m a n d o d a l f r e d d o , m a g r a a n g u ill a d o d ic e n n e . I n n a m o r a t o d e l l a t e r r a , e n t r a n e lle c ittà , a S t o c c o lm a e a V e n e z ia , a s c o lt a le c o n v e r s a z io n i, le r i s a d e i tu risti, p o i t o m a a l s u o p r in c ip io im m o b ile e o s c u r o . I l t u o A tla n tic o , in d a f f a r a t o a in n a lz a r e fa n t a s m i b ia n c h i e il t im id o P a c ific o , c h e si n a s c o n d e n e g li a b issi. I g a b b ia n i d a lle a li liev i. G li u lt im i v e lie r i s u i q u a li si g o n f ia i m a b i a n c a t e la c r o c e fis s a . S u s tr e tte c a n o e n a v ig a n o v ig ili c a c c ia t o r i e n e l s ile n z io a s s o lu t o s i v a le v a n d o il s o le . II g r ig io B a lt ic o , il M a r G la c ia le A r tic o , m u t o , il m a r e J o n i o , l ’in iz io e l a f in e d e l m o n d o .

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L ’EUROPA D ’INVERNO

A Anders Bodegàrd

Q u a n d o u n a g r i g i a n e v e c o p r i r à i t u o i te s o r i, q u a n d o le tu e g ig a n t e s c h e c a t t e d r a li, d o v e o r a s ’in c o n t r a n o c in q u e v e c c h ie tte , s p a r ir a n n o n e lla n e b b ia e g li a e r o p l a n i in v o lo r a d e n t e s u g li a lb e r i si la m e n t e r a n n o c o m e r im o r c h ia t o r i c o n la v o c e d i b a s s o d i u n e m ig r a t o r u s s o , q u a n d o la f o ll a fe stiv a , d o m in a t a d a u n ’u n ic a p a s s io n e , q u e lla d e l l ’o r o g ia llo , si r iv e r s e r à s u g li a m p i u m id i v iali, e i m u s e i s a r a n n o c h iu s i p e r s c io p e r o , e il c ie lo b a s s o c o m e u n o s b ia d it o d r a p p e g g i o d a p it t o r e c o p r i r à q u e s t i lu o g h i in so liti, d o v e a b ita v a n o i t u o i s a n ti e i tu o i a r tisti is p ir a ti, i t u o i fo lli e i t u o i m o n a c i v e d r ò u n f iu m e s c o r r e r e c o n t r o c o r r e n te , a s e tte n tr io n e , e p i o p p i p r iv i d i a li; i v e n d it o r i d i c a s t a g n e g r i d e r a n n o m e n t r e i v e n d it o r i d i b ia n c h i g io r n a li in s ile n z io o f f r ir a n n o il l o r o p ia t t o p o e m a c e r c h e r ò d i e n t r a r e n e lle tu e v ie , c e r c h e r ò d i e n t r a r e n e i b a s s i c o r tili d e i t u o i v e c c h i e d ific i,

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f d i e n t r a r e n e l s o t t e r r a n e o d e l l a m e t r o p o lit a n a , là , d o v e è m o r t a d i n o s t a lg ia P e r s e fo n e , e n e i q u a r t ie r i p o v e r i, d o v e l a v ir tù e il c r im in e p a s s e g g i a n o p o m p o s i c o m e S ta n tio e O llio , c e r c h e r ò d i tr o v a r e g li in d iriz z i d e l s u p p liz io e d e l l’e sta si, g li u ltim i b r a n d e lli d e l l a t u a v o c a z io n e , c e r c h e r ò d i r itr o v a r e q u e l n o b ile c a n t o c h e f u g g e in a lto c o m e r a p i d o f i i g g e u n p a llo n c in o d a lle m a n i d e i b im b i, c e r c h e r ò d i tr o v a r e il t u o a m o r e , u n f r a m m e n t o d e l la t u a f e d e .

199

p

3.

L A M U SIC A A S C O L T A T A C O N T E

L a m u s ic a a s c o lt a t a c o n te r e s t e r à s e m p r e c o n n o i. Il g r a v e B r a h m s e l ’e le g ia c o S c h u b e r t , a lc u n i c a n ti, la t e r z a s o n a t a d i C h o p in , q u a rte tti d a l su o n o c h e l a c e r a il c u o r e ( B e e t h o v e n , g li a d a g i) e l a tr iste z z a d i S o s t a k o v ic , c h e n o n v o le v a m o r ir e . I g r a n d i c o r i n e lle p a s s io n i d i B a c h - c o m e s e q u a lc u n o c i c h ia m a s s e e d e s ig e s s e d a n o i la g io ia , p u r a e d is in t e r e s s a t a , la g i o i a in c u i l a f e d e è q u a l c o s a d i o v v io . C e r t i f r a m m e n t i d i L u to s la w s k i fu g g itiv i c o m e i n o s t r i p e n s ie r i.

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I blues d i u n a c a n t a n t e d i c o lo r e c i t r a f ig g e v a n o c o m e a c c ia io lu c e n t e a n c h e s e c i a v e v a n o r a g g iu n t o in s t r a d a , in u n a b r u t t a c it t à p o lv e r o s a . L e m a r c e d i M a h le r c h e n o n h a n n o fin e , l a v o c e d e l la t r o m b a c h e a p r e l a Q u in t a s in f o n ia e la p r im a p a r te d e lla N o n a (ta lv o lta t u l a c h ia m i « m a lh e u r » ! ) . L a d is p e r a z io n e d i M o z a r t n e l Requiem , i s u o i c o n c e r t i p e r p ia n o f o r t e s e r e n i, c h e m e g lio d i m e c a n ta r e lla v i - m a c iò lo s a p p i a m o b e n e . L a m u s ic a a s c o lt a t a c o n te t a c e r à in s ie m e a n o i.

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NOTE

p. 16 la cam pana di Sigismondo : c a m p a n a d e lla C a tte d ra le di C racovia, d o n a ta d al re S ig ism o n d o il V ecch io n e l 1521; a p a rtire d alle sp artizio n i d e l X V III se c o lo assu rse a sim b o lo d e lla sovran ità n azio n ale. S u o n a so lo n e lle p rin cip ali festivi­ tà relig io se e civili e in circo stan ze eccezion ali. p. 39 Fredro: A le k san d e r F re d ro (S u ro ch ó w 1793 - L e o p o li 1 8 7 6 ), il p iù im p o rtan te c o m m e d io g ra fo p o la c c o d e ll’O tto ­ ce n to , p o e ta e m e m o rialista, scrisse in gio v en tù u n c o m p o n i­ m e n to o sc en o . A L e o p o li, città a cu i è le g a ta la m a g g io r p a r­ te d e lla su a vita e d e lla su a attività letteraria, c ’e ra u n a su a statu a, e re tta n e l 1897, e trasp o rta ta n e l 1956 a Breslavia. p. 40 chiesa uniate: la c o n fe ssio n e g reco-cattolica o u n iate, p ro fe ssa ta d ag li u crain i, e ra co sì ch ia m a ta in q u a n to so rta n e l 1596 d a ll’u n io n e a lla C h iesa catto lica d i p a rte d e g li o rto ­ d o ssi d ei territo ri o rie n ta li d ello Stato P o lon o-litu an o , i q u a ­ li, g raz ie a lla m e d iaz io n e d e i gesu iti, r ic o n o b b e ro la sovrani­ tà d e l p o n te fic e ro m a n o e m a n te n n e ro il rito o rien tale.

Brzozowski-, Stan islaw B rzozo w ski (M aziarn ia 1 8 7 8 -F ire n z e 1 9 1 1 ), critico le tte ra rio e filo so fo , so ste n ito re d e l m ateriali­ sm o sto rico d i M arx, c o n il te m p o si avvicinò al cattolicesi­ m o ; la su a filo so fia d e l lavo ro è in p a rte b a sa ta su l p e n sie ro d i C y p rian N orw id. N e ll’a u tu n n o d e l 1905 e in q u e llo d e l 1906

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ten n e cicli d i co n fe re n z e a L e o p o li ch e e b b e ro g ra n d e in­ flu e n z a su lla gio ven tù stu d en tesca.

kilim carpatico: n e ll’o rig in ale kilim huculski, ovvero d eg li huculi, p o p o la z io n e d ei C arp azi O rien tali il cui a rtig ian ato e ra m o lto a p p re z zato n e lla P o lo n ia p reb ellica. p. 60 dicembre: il 13 d ice m b re 1981 il g o v ern o co m u n ista p o la c c o in tro d u sse la le g g e m arziale p e r so ffo c a re il sin d aca­ to lib e ro S o lid a m o sc .

Norwid: C yprìan R am il N orw id (Laskow o-Ghichy 1821 - Pa­ rigi 1883), u n o d ei p iù o rigin ali e p ro fo n d i p o e ti p o lacch i d e ll’O ttocen to, p re cu rso re d i corren ti n ovecen tesch e. R ap ­ p re sen ta q u i l ’artista e il p atrio ta p erseg u itato , e q u in d i l ’an e­ lito alla lib ertà e alla d em o crazia co n trap p o sto alle occu pazio ­ ni e alle d ittature susseguitesi n egli ultim i d u e secoli sul suolo p o lacco : zarista, pru ssian a, austriaca, nazista, sovietica. p. 61 Dichiarazione di Lealtà: d o p o la m e ssa al b a n d o d i Solid arn o sc, agli attivisti d e l sin d acato , n e l 1982, fu ch iesto di firm are u n a d ich ia ra z io n e di le a ltà n e i co n fro n ti d el reg im e. p. 68 aguzzino: n e ll’o rig in ale p o la c c o fig u ra il term in e ubék, u sa to p e r d efin ire i m e m b ri d e lla fa m ig e ra ta p o liz ia po litica (U B ) c h e p e rseg u itav a co n b ru talità g li o p p o sito ri d e lla dit­ ta tu ra co m u n ista. p . 89 radio ex tedesca: a se g u ito d e g li a c c o rd i d i Ja lta , n el 1945 i p ro fu g h i d a i territo ri e x p o la c c h i ce d u ti a ll’U rss ven­ n e r o trasferiti n e i territo ri e x te d e sch i c e d u ti a lla P o lon ia. G li o g g e tti lasciati d a i te d e sch i, trasferiti a lo ro volta o ltre la n u o v a lin e a d i co n fin e, v en ivan o d efin iti co m e e x ted esch i, a so tto lin e a rn e l ’estran eità. p . 107 Józef Czapski: (P ra g a 1896 - M aison s-L affitte 1993) p itto re e scrittore p o la c c o , p acifista, stu d iò a P ie tro b u rg o , V arsavia, C racov ia, d a l 1 9 2 4 a l 1931 visse a P arigi. A se g u ito d e ll’in vasion e nazi-sovietica d e l 1939 fu d e p o rta to d a i sovie­ tici a Staro b ielsk . S c a m p a to - u n o d e i p o c h i - a lla stra g e d el­ le fo sse d i Katyn, p o i lib e ra to n e l 1941, d ire sse il S e tto re cul­ tu ra e sta m p a d e lì’A rm ata p o la c c a d e l g e n e ra le A n d ers. D o ­ p o la g u e r r a visse in F ran c ia, a M aison s-L affitte, se d e d e lla p iù p re stig io sa ca sa e d itrice d e ll’e m ig raz io n e p o litica polac-

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r ca, l ’Instytut Literack i, e d ella rivista «K u ltu ra» con cui collab o ro . p . 1 54 Insurrezione, rife rim e n to a ll’in su rre z io n e d i V arsavia d e ll’agosto -settem b re 1944 in cu i p e r iro n o o ltre ce n to m ila p e r so n e . L ’e sercito sovietico, fe rm o a lle p o rte d e lla città, as­ sistette a ll’o p e ra z io n e se n za in terven ire. U n a volta rip re so il co n tro llo , i n azisti rase rò a l su o lo la città. p . 158 Sienkiewicz: H en ry k Sienkiew icz (W ola O k rzejsk a 1846 - Vevey 1 9 1 6 ), scrittore p o la c c o , p re m io N o b e l p e r la le tte ra tu ra n e l 1905. A u to re d i o p e r e d i g ra n d e successo: Quo vadis? (1 8 9 6 ), e la Trilogia (188 4 -1 8 8 8 ), ciclo d i tre ro ­ m an zi storici — Col ferro e colfuoco, Il diluvio e Donne ed eroi — am b ie n tati n egli an n i 1648-1674, p e r io d o d i g ra n d i tu rb o ­ len ze p o litich e ch e la P o lo n ia riu scì a su p e ra re n o n o sta n te la rivolta d e i co sacch i, l ’in vasion e sved ese e la g u e rra co n tro la T u rch ia. p . 175

« Canto della terra »: sin fo n ia d i G ustav M ah ler.

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sm

L A P O E S IA T R A IN C A N T O E IR O N IA

DI KRYSTYNA JAWORSKA

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■ wvm

L a m u sic a è stata c re a ta p e r ch i n o n h a u n a casa, d a to ch e d i tutte le arti è la m e n o le g a ta a u n lu o g o ... L a p ittu ra è l ’arte d e g li stan ziali ch e a m a n o c o n te m p la re i lu o g h i n atii ... D al ca n to su o la p o e sia si a d d ic e a g li em igran ti, a q u e g li sventurati su ll’o rlo d i u n p recip izio , so sp e si co n il lo ro m i­ se ro fag o tto tra le g e n e raz io n i, tra i co n tin e n ti.1 C osì A d am Zagajew ski in trod u cev a in Due città il ru o lo d ella p o e sia in u n a vita p e re n n e m e n te so sp e sa su u n altrove. L a p o e sia co m e spazio d e ll’esilio, se p p u re risp ecch ia m o lta esp e ­ rien za letteraria otto e n ovecen tesca (e v an ta an teced en ti illu­ stri sin d agli alb o ri d ella civiltà), ovviam ente è solo u n a d elle cifre della con tem p o ran eità (n on an d reb b e b e n e p e r im a p o e ­ tessa co m e W islawa Szym borska, il cu i esilio, am m esso sia leci­ to utilizzare q u e sto term in e n e l su o caso, e ra solo u n o stare in d isp arte p e r osservare co n o cch io sorn io n e, m a p artecip e, il g ran teatro d e l m o n d o ). Si deve subito sp ecificare p e rò ch e p e r il n o stro au to re lo stato d i « so sp en sio n e » d e ll’em igran te tra tem p i e lu o g h i diversi va b e n oltre il sign ificato fisico o m e­ taforico, e in d ica sop rattu tto u n o status menti. L ’e m ig raz io n e in se n so stretto h a se g n a to in d u b b ia m e n te

1. A. Zagajewski, Tradimento, a cura di L. Bernardini, trad. it. di V. Parisi, Adelphi, Milano, 2007, p. 16.

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la b io g ra fia d i Zagajew ski, si p u ò d ire sin d a lla p iù te n e ra età. L a su a fam ig lia dovette lasciare L e o p o li - città d ov e e ra n ato - n e l 1945, q u a n d ’egli aveva solo q u a ttro m esi, a se g u ito d e­ gli sp o stam e n ti d e i co n fin i p o la cch i san citi a Ja lta ; cresciu to in Slesia, in u n a G liw ice g r ig ia e a n o n im a, co m p ì gli studi u n iv ersitari a C racov ia, città di in d iscu sso fascin o , se b b e n e a ll’e p o c a svilita d a lla p o litica d el reg im e . In q u e l p e rio d o fu tra i p ro tag o n isti d e lla co rre n te « N ow a F a la », ch e racco g lie ­ va gio van i p o e ti, sp e sso d efin iti co n il te rm in e « g e n e ra z io n e d e l ’68 », u n iti d a u n se n so d i critica e d i rivolta n e i co n fro n ti d e lle ab erra z io n i d e l so cialism o reale: essi p u n tav an o al rin ­ n o v a m e n to d e lla p o e sia attraverso u n lin g u a g g io ch e a ffro n ­ tava le p ro b le m a tic h e so ciali e d escriveva in m o d o d ire tto la re a ltà q u o tid ia n a , b e n lo n ta n a d a ll’im m a g in e e d u lc o ra ta of­ fe r ta d a lla p r o p a g a n d a d i r e g im e .1 D al 1979 al 1981 a B erli­ n o O vest grazie a u n a b o rsa d i stu d io , scrisse, p rim a d i to rn a­ re a C racov ia, u n sag g io d i sto ria politico -cu ltu rale su lla Po­ lo n ia d e l se c o n d o d o p o g u e r r a .2 N e l 1982, d o p o l ’in tro d u z io ­ n e d e lla le g g e m arziale, lasciò il p a e se e si stabilì a Parigi, c o lla b o ra n d o a p e rio d ic i d e lla v ecch ia em ig raz io n e po litica, tra cu i la p re stig io sa rivista « K u ltu r a », e so p rattu tto alla rivi­ sta « Zeszyty L ite rack ie » (« Q u a d e rn i le tterari » ) , fo n d a ta n el 1983, ch e racco g liev a diversi in tellettu ali d e lla « g e n e raz io n e d e l ’68 ». L a sce lta d i vivere a ll’e stero r a p p re se n ta u n a c e su ra fo n d a m e n ta le ch e in flu isce a n c h e su lla p o e tica . N o n a caso assu m e a llo ra u n n u o v o sp e sso re la te m atica d el v iagg io e la m itizzazion e d e i lu o g h i le g ati a lla sto ria fam iliare (si p e n si a lla ra c c o lta Andare a Leopoli, d e l 1985). Si è soliti in d ivid u are d u e d istin ti p e rio d i n e lla p ro d u z io ­ n e d i Zagajew ski: u n a p r im a fa se c o n n e ssa alla «N o w a F a la » caratterizzata d a im a p o e sia so c ialm e n te im p e g n a ta ; p o i, a p a rtire d al sag g io Solidam osc i samotnosc (« S o lid a r ie tà e soli­ tu d in e », 1 9 8 6 ), u n a se c o n d a fa se « estetizzan te », in cu i, p u r p e r m a n e n d o le te n sio n i m o ra li d e l p e r io d o p re c e d e n te , a u ­ m e n ta la v alen za d elle istan ze m etafisich e, co sicch é la voce

1. «N ow a F a la » . N uovi poeti polacchi, a cura di G. Origlia, Guanda, Milano, 1981. 2. A. Zagajewski, Polen: Staat im Schatten der Sowjetunion, Rowohlt Taschen­ buchen Veri., Reinbek bei Hamburg, 1981; trad. it. di L. Portesio, Polonia: uno Stato a ll’ombra dell’Unione Sovietica, Marietti, Casale Monferrato, 1982.

d e l p o e ta n o n è p iù e sp re ssio n e d i u n sen tire c o m u n e , m a d e l so g g e tto sin g o lo : l ’io te n d e a sostitu ire il n o i.1 A p a rtire d a l 1988 Zagajew ski tien e o g n i a n n o u n c o rso se­ m estrale d i lezion i n e g li Stati U n iti; rien tra to a C racov ia n el 2002, divid e il su o te m p o tra E u r o p a e A m erica. Il m ig ra re di p a e se in p a e se si riflette fo rte m e n te n e i su o i versi e n e lla su a p ro sa , dove riaffio ra il ric o rd o d e lle città ch e h a visitato o in cu i h a vissuto; in d u b b ia m e n te vivere a co n tatto co n a m b ie n ­ ti cu ltu rali d iversi h a p o te n z iato le su e fa c o ltà d i o sserv atore sen sib ile e sottile ch e sp a z ia tra m o n d i diversi. P o e ta a p p re z za to n e l p a n o ra m a le tte ra rio c o n te m p o ra ­ n e o , A d am Zagajew ski h a ricevuto im p o rtan ti rico n o scim e n ­ ti in te m a z io n a li. N e l 2 0 0 4 g li è stato co n fe rito il p re stig io so N e u sta d t L ite ra tu re Prize e il su o n o m e si trova n e lla ro sa d e i c a n d id a ti al N o b e l p e r la letteratu ra. Q u e sto su cce sso è stato p o ssib ile a n c h e g raz ie alle e ccellen ti v ersio n i in g lesi e fra n ­ cesi. A facilitare la fa m a in te m a z io n a le co n trib u isce il fatto ch e n e lle su e p o e sie l ’a sp e tto d o m in an te e d ete rm in a n te è q u e llo sem an tico , ch e è q u in d i p iù facilm e n te co m u n ica b ile in trad u zio n e. A p r im a vista n o n risu ltan o n e p p u re eccessive lim itazion i fo rm ali: il v erso è lib e ro , se n z a p a rtico lari a sso ­ n an ze, c o n so n a n z e , rim e o rig id e m isu re m etrich e. Q u alcu ­ n o h a a n ch e asserito , n o n sen za u n a ce rta m alizia, ch e il n o ­ stro, m e n tre scrive, g ià p e n sa alle trad u zion i. M ira cio è a cre­ a re im m ag in i e m e ta fo re co m p re n sib ili e trad u cib ili a o g n i latitu d in e e lo n g itu d in e . In re a ltà n o n è co sì, la lim p id ezza d e i su o i versi d eriv a d a u n ’e sig e n z a in trin seca, d a u n a p o e ti­ ca ch e o p e r a p e r fo r m e visive e m a te rich e , a n c h e se rim a n d a a u n altrove, e tale co n crete zza favorisce d i fatto la trad u zio ­ n e. In Italia la su a o p e r a n o n è a n c o r a a b b astan z a n o ta, an ­ ch e p e rc h é , salvo e d izio n i d i d iffu sio n e lim itata,2 fin o ra su l

1. Cfr. C. Cavanagh, Lyric an d public. The case o f Adam Zagajewski, in «World Literature Review», maggio-agosto 2005, pp. 16-17. 2. In italiano, dopo le poesie dell’antologia di «Nowa Fala», singole liri­ che sono state tradotte da Giovanna Tomassucci neìY Antologia europea, a cura di F. Doplicher, Stilb, Avezzano, 1991; una scelta di nove poesie tratte dalla raccolta P tagn ien ieè apparsa nella traduzione di Andrea Ceccherelli, in «In forma di Parole», XXI, 2001, 1, pp. 241-69, scelta portata poi a undici nel volume Incontri di poeti polacchi e italian i. Liriche, con la parteci­ pazione di A. Anedda, F. Doplicher, J. Hartwig, M.B. Kielar, V. Magrelli, J. Mikolajewski, V. Rossella, A. Zagajewski, Istituto Polacco, Roma, 2003, pp. 120-45. Quindici poesie dedicate alla Liguria in A. Soueif, A, Zagajewski

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m e rc a to e r a d isp o n ib ile so lo u n su o v olu m e d i p ro sa , Tradi­ mento, e le g a n ti testi ch e si co llo can o tra sag gistica, n arrativa e d ia rio in tellettu ale. D i c h e c o sa ci p a r la la p o e sia d i Z agajew ski? A p p a re n te ­ m e n te d i lu o g h i b e n d efin iti, d i b ran i d i m u sica, e p o i di filo­ sofi, artisti, am ici, fam iliari: tram ite lo ro riflettiam o sul n o ­ stro esse re al m o n d o . L a vita, o i fram m e n ti di vita d ei su o i so g g e tti ci svelano q u a lc o sa d i n oi. In fatti solo attraverso il co n tatto co n l ’altro p o ssia m o co g lie re la n o stra p iù in tim a essen za. A llo stesso m o d o , o sserv an d o ciò ch e ci c irc o n d a p o ssia m o c o g lie re q u a n to sta so tto la su p e rfic ie tan gib ile. L a d iale ttica tra so g g e tto e o g g e tto è ce n trale in q u e sto p ro c e s­ so con oscitivo. L a p o e sia d i Zagajew ski, d ec isa m e n te in tellet­ tu ale, si rivo lge a u n a koiné id e a le d i letto ri ch e co n d iv id o n o co n lu i l ’a n elito m etafisico . I su o i versi, tram ite la d escrizio ­ n e d i u n a situ azio n e, d i u n fatto , v o g lio n o co m u n ic a re u n p a rtic o lare stato d ’an im o . In q u e sto sen so il su o è u n ten tati­ vo d i cristallizzare p e r u n attim o, e in u n attim o, u n fra m ­ m e n to d i ete rn ità e c o g lie re in m o d o c o n d e n sa to u n a p e rc e ­ zio n e p iù in te n sa d e ll’e siste n te .1 P er Zagajew ski è tale esp erien za a g e n e rare u n ’e p ifan ia ch e d isch iu d e prospettive trascen d en ti la n o stra e in d u ce a sp era­ re in u n a d im en sion e spirituale: il p o e ta la lascia in travedere n ei su o i versi so sp esa in u n eq u ilib rio p recario , co m e se fosse co stan tem en te in bilico. L e p a ro le e le im m agin i, a p p a ren te ­ m e n te sem plici, so n o scelte co n estrem a c u ra e cesellate, l ’in­ can tesim o è fragilissim o, b asta u n n u lla p e r v ed erlo svanire, e si tratta c o m u n q u e d i u n in can tesim o m o m en tan eo . A l p e rio d o trascorso a ll’estero si le g a strettam en te il tem a d el viaggio - e q u in d i la m e ta fo ra d ella vita co m e viaggio - , cruciale p e r chi, co m e Zagajew ski, h a vissuto tale con dizion e spin to d alla n ecessità p iù ch e d a lla lib e ra scelta. S p esso n ei co m p o n im en ti l ’au to re a cce n n a ai lu o gh i visitati, e il m o n d o

e J.M. Hall, Luci ed ombre di u n a città. Im m agini di Genova. City o f Light an d Shadow. Im ages o f Genoa, coordinamento editoriale: R. Testa, trad. dei testi di A. Soueif: L. Crepax, trad. delle poesie di A. Zagajewski: K. Jaworska (in italiano), C. Cavanagh (in inglese), The Bogliasco Foundation, Fonda­ zione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, De Ferrari e Devega Ed., Genova, 2003. A. Zagajewski, L a ragazzina d i Vermeer, trad. it. di P. Malavasi, Edizioni del Leone, Venezia, 2010. 1. Cfr. A. Zagajewski, W cudzym pifknie, Wydawnictwo a5, Kraków, 1998, p. 75.

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r estern o diventa sp u n to d i u n a ritlession e ch e o scilla tra tim ore e trem ore. L o spazio fisico è subito trasform ato in spazio m en ­ tale: d i fatto, H o u sto n , Vézelay, la L ig u ria, la Sicilia, d a lu o gh i b en definiti diven tan o p u n to d i p arten za, o ccasio n e p e r p e n e ­ trare « la fo d e ra d el m o n d o », co m e recita il titolo d i im a rac­ co lta d i p o e sie d i Czeslaw M ilosz (au to re m o lto a m ato d a Zagajew ski) n ella version e d i V aleria R ossella. A p artire d ag li an n i O ttan ta a b b ia m o a ch e fare co n u n a lirica ch e c o g lie n d o u n fra m m e n to d i re a ltà te n d e a esp ri­ m e rn e il m isterio so so strato e n o n vu ole lim itarsi a lla d escri­ zio n e d e l m o n d o sen sibile. S a re b b e p e r ò errato v ed e re in Z agajew ski sem p lic em en te u n esteta. L ’a n elito al b e llo n o n im p e d isc e d i sc o rg e re l’abis­ so d e lla ca d u cità u m a n a e d e lla c ru d e ltà d e l m o n d o . E tica ed estetica so n o p e r lu i co lle g a te in m o d o d iverso risp e tto alla co n ce z io n e d i M ilosz, d i u n a g e n e raz io n e p re c e d e n te , e te­ stim o n e, al p a ri d i m o lti p o e ti d e l N o vecen to , d e lla g u e rra e d ella violen za d e i reg im i totalitari. P er M ilosz il b e llo è u n ’an ­ c o ra d i salvezza p e r sfu g g ire al m a le d e l m o n d o . P e r Zagajew sk i invece r a p p re se n ta u n ’a ltra d im e n sio n e ch e trasp a re d ie tro la m ateria, e h a q u in d i u n v alo re con oscitivo, g n o se o ­ lo g ic o p iù ch e co n so la to rio , h a u n a fu n z io n e d i b ilan cia­ m e n to d el d o lo re . È stato Io sif B rodskij a rilevare u n a pecu liarità d ella lettera­ tu ra p o la c c a co n tem p o ran ea: la p re sen za in u n o stesso, ri­ stretto arco d i tem p o d i m olti p o e ti di altissim a levatura. B rodskij m en zio n a accan to a M ilosz (P rem io N o b e l n el 1980), Zbigniew H e rb e rt.1 M a a H e rb e rt si d ev on o a g g iu n g ere T a­ d eu sz Rózew icz e W islawa Szym borska (P rem io N o b e l n el 1996). A u n ire qu esti p o e ti d alla p erso n alità e d ella sensibilità m o lto diverse è u n a p o e sia ch e si fa p o rtatrice di significati, veicolo d i id e e e riflessioni. Zagajew ski n o n si sottrae a q u esta tradizione. In d u b b ia m e n te p o c h i p o e ti p o la c c h i co n te m p o ra n e i p o n ­ g o n o la q u e stio n e d e ll’e stran e ità, se p p u re p ie n a d i m eravi­ g lia e d i estasi, a l ce n tro d e lla lo ro o p e r a co m e fa Zagajew ski. E gli si sen te in ce rto q u a l m o d o stra n ie ro o vu n q u e, in tutte le su e città: la n a tia L e o p o li, la G liw ice d e ll’in fan zia, la C ra­

1. I. Brodskij, Lettera a l lettore italiano, in Z. Herbert, assediata, Adelphi, Milano, 1993, p. 16.

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Rapporto dalla città

covia d e g li an n i universitari e giovan ili, e i vari lu o g h i d e ll’e­ m ig ra zio n e : B erlin o , P arigi, H o u sto n . L ’artista co m e outsider d ella società è u n a fig u ra rico rren te n e lla le tte ra tu ra co n te m p o ra n e a , m a n e l ca so d e g li in tellet­ tuali p ro v en ien ti d a p a e si o p p re ssi d a d ittatu re assu m e co n ­ n o tati p ecu liari. Il p o e ta , e su le d a lla p r o p r ia p a tria o n e lla p ro p ria p a tria, p o tev a ce rcare u n rip a ro te m p o ra n e o , « u n a c a sa p ro v v iso ria», n e ll’arte, tra « l ’e re d ità d elle g ra n d i e p o ­ ch e d e ll’arte e u r o p e a » , co m e e b b e a scrivere lo stesso Zagajew sk i a p ro p o sito d i Z bigniew H e rb e rt.1 P e r Zagajew ski, p e ­ rò , il co n tatto co n l ’arte , co n il b e llo , in tesi co m e privilegi c h e n o n ci a p p a r te n g o n o , trasce n d e la situ azio n e storica: p iù ch e « u n a ca sa provvisoria » è u n o sp irag lio d a cui si in tra­ v ed e la d im e n sio n e m etafisica. N el su o c a so l ’esilio, l ’estran ia m e n to , è u n a c o n d izio n e esisten ziale, a n c o r p rim a ch e in tellettu ale, d estin a ta a sfo ciare in u n a p ro sp ettiv a o n to lo ­ gica , in u n p a rtico lare m o d o d i p o rsi d e l so g g e tto n e i co n ­ fro n ti d e l m o n d o p e r ce rcare d i co n o sce rlo . S p e sso Z agajew ski a m b ie n ta le su e o p e re in spazi u rb an i. Q u a lch e critico h a scritto ch e e g li h a d e d ic a to alle città g ran p a rte d e lla su a p r o sa e u n terzo d e lla su a p o e sia .2 E d è p ro ­ p rio n elle città ch e il so g g e tto si sen te m a g g io rm e n te stra­ n ie ro ,3 co m e lo stesso Zagajew ski h a p iù volte ric o rd a to sia n e i sag g i sia n e i testi p o e tici, a n c h e in q u elli p iù recen ti; em ­ b le m a tico a q u e sto p r o p o sito è Autoritratto: A bito in città stran iere e talvolta p a rlo co n sco n o sciu ti d i co se in d ifferen ti. In q u e sto c o m p o n im e n to rico rre rip etu tam en te l ’aggetti­ vo obcy, ch e p u ò sign ificare sia estran e o sia stran iero, a seco n ­ d a d e l co n testo, e in italian o p u ò esse re reso in diversi m o d i. Si n o ti in fin e ch e in p o la c c o il v erb o obcowac sign ifica en trare a co n tatto co n q u a lco sa, co n q u a lcu n o ; ciò vuol d ire ch e ogn i relazio n e p re su p p o n e l ’estran eità, l ’alterità, e in tal sen so è

1. A. Zagajewski et a l , Opinie o Labiryncie n ad mmzem Zbigniewa Herberta, in « Zeszyty Literackie », 2001,1, p. 128. 2. T. Nyczek, Kos. O Adamie Zagajewskim, Wydawnictwo Literackie, Kraków, 2002, p. 169. 3. La città come spazio alienante è ovviamente un argomento cruciale del­ la contemporaneità, oggetto di innumerevoli studi; rispetto a Zagajewski esso è stato approfondito da J. Klejnocki, B ei utopii? Rzecz o poeiji Adam a Zagajewskiego, Wydawnictwo Ruta, Walbrzych, 2002.

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u n a p o r ta p e r il d ialo g o : in fatti p e r Zagajew ski è so lo n e ll’in­ co n tro co n il diverso ch e ci è d ato d i a ssa p o ra re il b ello. C o sì in Nella bellezza altrui leggiam o : S o lo n e lla b e lle z z a altru i vi è co n so laz io n e, n e lla m u sica altru i e in versi stran ieri. S o lo n e g li altri vi è salvezza. Q u i a svo lgere il ru o lo d i p a r o la chiave, a c c an to a obcy, vi è u n altro term in e, se m an ticam e n te affin e: cudzy, a p p a rte n e n ­ te a d altri. L e m a g g io ri d iffico ltà trad u tto rie n o n so n o q u in ­ d i m e trich e o fo n ic h e, m a sem an tich e: m a n te n e re il sign ifi­ cato p r o fo n d o e la fo rza evocativa ch e il testo h a n e lla versio­ n e o rig in ale . O vviam en te trad u rre Zagajew ski n o n è sem p li­ ce co m e p a rre b b e , si d eve risp ettare il su o ritm o in terio re. I riferim en ti specifici, p o la cch i, so n o in g e n e re scarsi e p e r lo p iù facilm e n te intuibili. In Andare a Leopoli, p e r e se m p io , p iù d ei riferim en ti p re cisi alla re a ltà lo ca le è c o m p lesso re n d e re il p e n sie ro d e ll’a u to re su l sign ificato d i u n v iagg io im p o ssib i­ le, co n n e sso a u n a p e r d ita ch e si trasfig u ra in u n a n u o v a p re ­ sen za esp re ssa d a ll’in cip it e d ai versi finali. L o n ta n o d a lla p a tr ia si f a stra d a la n o sta lg ia ch e p e r ò si m a n ife sta n e ll’ev o cazio n e n o n tan to d e l g rig io S ta to so ciali­ sta so g g e tto a lla d itta tu ra in c u i il p o e ta è c re sciu to , m a d e lla città d e i g e n ito ri, ch e, c o n o sc iu ta so lo tram ite i lo ro rico rd i, si v olg e in m ito, d iv en ta sp azio fata to , è n o sta lg ia p o te n z iata d a lla m e d ia z io n e em otiva. L a c o n d izio n e d i e m ig ra to c re a u n a d o p p ia p e rce z io n e d e lla rea ltà , d o v u ta d a u n la to al r ic o rd o d i q u a n to si è p e r ­ d u to u n ito al se n so d i e stra n e ità p e r la situ a zio n e p re se n te , d a ll’altro a ll’a m m ira z io n e p e r la b e lle z z a d ei lu o g h i visitati. A n ch e lo c a lità m e n o a m e n e , c o m e G liw ice, c e la n o tuttavia a lcu n i lu o g h i eletti: il g ia rd in o d ’in v ern o , il fiu m e. U n a g e o g r a fia d e i lu o g h i in Z agajew ski - in c u i p e r altro a ll’Italia sa re b b e riservato u n o sp a z io ra g g u a rd e v o le - p e rm e tte re b ­ b e d i rilevare la m o lte p lic e v alen za ch e città e p a e sa g g i o c­ c u p a n o n e lla su a o p e ra . U n e le m e n to ch iave è a p p u n to q u e sto se n so d i a lte rità ch e sig n ifica sia e stra n e ità sia p o ssi­ b ilità co n oscitiv a. N o n so lo n e ll’e sp e rie n z a p o e tic a , m a an ­ ch e n e lla vita d i o g n i g io rn o , n e l q u o tid ia n o . A d d irittu ra q u a n d o il p o e ta visita p e r la se c o n d a v o lta la su a città n atale:

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a farg li d a g u id a è chi p e r lui è u n o stra n ie ro , ovvero u n ab i­ tan te d e lla L e o p o li o d ie rn a , u n gio v an e u c r a in o .’ In Zagajew ski vive u n ’altra sp e cie d i n o stalg ia: il d esid e rio d i ric o m p o rre l ’im m a g in e in u n m o n d o rid o tto in fra m m e n ­ ti a p p a re n te m e n te privi di sen so, r e c u p e ra n d o n e lla p e rc e ­ z io n e d e l p re se n te la m e m o ria d el p a ssato , fa c e n d o rivivere i m o rti, le o p e re d ’arte, le c o n o sce n z e ch e a b b ia m o ered itato . M a co n la co n sap ev o lezza d ella fu g a cità d e l p re sen te. N el p o e ta la d im en sio n e spaziale e q u e lla tem p o rale si dila­ tan o fin o a co n g iu n g e re attraverso u n in cessan te d ialo g o inte­ riore p assato , p resen te e fu tu ro, su p e ran d o o gn i b a rrie ra cro ­ n o lo g ica o g eo g rafica. T ale p ro ced im e n to di an n u llam en to d el tem p o si p u ò osservare, p e r esem p io , in L ’alleanza, p o e sia in cui lo sg u a rd o d ello stran iero in visita al M u seo E gizio di T o rin o p a re p e r u n istan te in con trarsi co n q u ello d egli altri visitatori e co n il p resu n to sg u a rd o d i u n a m u m m ia (l’inver­ sion e tra ch i osserva e ch i è osservato è u n altro artificio a cui l ’au tore ricorre sp e sso ), in u n a so sp en sio n e atem p o rale dove co esisto n o e si osservano a v icen d a p e rso n e e o ggetti di origi­ n e e d i ep o ch e diverse. A n alo gam en te in Piena estate, posterio­ re d i u n a d ec in a d ’anni, la p erm eab ilità tra il m o n d o d ei vivi e q u ello d ei m orti, o fo rse, m eglio, la p re sen za d e i m o rti n ella n o stra m en te, vien e evocata co n g ra n d e p re g n a n z a tram ite le « o m b re d i K olym a e d i R aven sbrùck / poveri an geli di im a c u p a re d e n z io n e » ch e p a io n o celarsi d ietro l ’im m agin e sola­ re di u n a sp iag g ia ligu re affollata d i turisti. Il m esco larsi d i sfere diverse rico rre p u re in Persefme, p o e ­ sia tu tt’a ltro ch e se m p lic e d a trad u rre p e r la su a p a rtico lare m u sicalità, ove il m ito g r e c o d iven ta p u n to d i rife rim e n to p e r u n a riflessio n e tra g ic a su llo sterm in io d eg li eb rei. Il m o ­ d o in cu i e p o c h e , lu o g h i e p ro sp ettiv e si in te rse ca n o è evi­ d e n te a n c h e in p o e sie c o m e Guardando la «Shoah» in una stanza d ’albergo, in America: il so g g e tto lirico g u a r d a il filtri su ll’O lo ca u sto , m a al te m p o stesso sen te i su o i vicini d i stan ­ za ch e fe ste g g ia n o u n c o m p le a n n o , n e l film ric o n o sc e p a e ­ sag g i d e lla su a terra, m a q u e i lu o g h i so n o lo n tan i m ig liaia di ch ilom etri. M oltep lici stati d ’a n im o si a sso m m a n o , se n za eli­ m in arsi. M en tre lo sch e rm o televisivo rip ro p o n e il rico rd o 1

1. Cfr. L. Bernardini, M emoria e nostalgia della città celeste, in A. Zagajewski, Tradimento, cit., p. 297.

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d e lla so ffe re n z a di m ilio n i d i esseri u m an i, altre p e rso n e si d iverton o sp e n sie ra te , in d iffe re n ti ai d ra m m i altrui. L a n a tu r a o c c u p a u n o sp a z io m in o re risp e tto a lle città e sp e sso è in se rita a ll’in te rn o d e l p a e s a g g io u rb a n o . T r a g li e le m e n ti ric o rre n ti vi so n o l ’a c q u a , ovvero fiu m i e m a ri co n il lo r o se n so d e l flu ire , d e l te m p o , d e l ritm o , e g li u cc elli, co m e in te rm e d ia ri tra la te rr a e il cie lo , tra il m a te ria le e lo sp iritu a le . Si p e n si a p o e sie co m e A maggio o Tre voci. T r a gli u c c e lli il p o e ta p a r e p r e d ilig e re i m e rli e le ro n d in i, e ciò p o tr e b b e trov are u n a sp ie g a z io n e n e lle se g u e n ti p a ro le : « l a r o n d in e , c o m e tutti gli iro n isti, a m a la c o m p a g n ia ... I m e rli in v ece, q u a n d o in to n a n o i lo r o can ti, c e rc a n o la soli­ t u d in e » .1 L e r o n d in i q u in d i c o m e voce c o ra le , c o m e e ­ sp re ssio n e d e ll’ir o n ia b e ffa rd a , il m e rlo co m e v o ce d e l sin ­ g o lo . Si tratta d i u n a n a tu r a talvolta a n tro p o m o rfiz z a ta su cu i si p r o ie tta n o sp e ra n z e e tim o ri d e l p o e ta e ch e co n il p o e ta in trattie n e u n d ia lo g o : il m a re p a r la , g li u c c e lli se m ­ b r a n o riv o lgere a n o i il lo ro can to . Q u e sta stra te g ia stilisti­ c a n o n è u n a p r o ie z io n e r o m a n tic a d e g li stati d ’a n im o d e l p o e ta , tu tt’altro . E u n m o d o p e r re n d e r e d ia le ttic a la n a rra ­ zio n e. In d iverse p o e sie si o d o n o le voci d i o g g e tti in a n im a ­ ti: in D alla memoria u n a viuzza stre tta si tr a m u ta in g o la , fa ­ rin g e attraverso c u i p a ssa n o i ra c c o n ti d e g li a b itan ti, e in q u e sto m o d o l ’a u to r e si c o n fr o n ta c o n la m e m o ria d i ch i h a e sp e rito la g u e r r a ; n e lla c a tte d ra le d e l Gotico, d ov e vive « la fe d e n e l b u o n D io ch e c r e a e u c c id e », so n o a n c o r a p e r ­ ce p ib ili le voci d i c a rp e n tie ri e a n tic h i p e lle g rin i, m e n tre fu o r i r isu o n a n o a ltre v oci, m a q u e sto trip u d io d i su ssu rri, fisch i, g r id a , risa , te rm in a c o n u n o ssim o ro c h e e sp rim e il p a r a d o sso : « S e n to la tu a v o ce , o d o il sile n z io ». S e d a u n la to i su o n i, i d ia lo g h i im m a g in a ti r e n d o n o d in a­ m ica la sce n a, d a ll’a ltro lo sg u a rd o , n e l fissare l ’im m a g in e , la im m obilizza. C o m e è stato p iù volte rilevato, Zagajew ski trasfo rm a il m o n d o in u n ’o p e r a d ’arte, p r a tic a u n a p o e sia visu ale ch e c re a im m a g in i sim u ltan ee. Il su o sg u a rd o è co m e q u e llo d el p itto re ch e c o g lie n d o la re a ltà in u n istan te p artico lare, la sottrae al flu sso d e l te m p o fe rm a n d o la , co m e fa l ’a m ato Ver- 1

1. A. Zagajewski,

W cudzympiqknie,

cit., p. 182.

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m e e r. C iò ch e è d in am ico d iviene statico. In Si arresta, si p u ò d ire ch e troviam o a d d irittu ra esp licitato tale p ro c e d im e n to : S i a rre sta la città la vita si fa q u a d ro . L a p ittu ra, d o p o la m u sica, è u n altro g ra n d e a m o re d el p o e ta e to rn a in diversi c o m p o n im e n ti, q u a li a d e se m p io il ritratto d e i co n iu g i A rn olfìn i d i ja n van Eyck riev o cato in Tri­ ste, stanca o la Veduta di Delfi. N o n si tratta p e r ò d i se m p lic e ékphrasis. Il p o e ta n o n se n te l ’e sig e n z a d i d escrivere i q u a d ri - ch e d iv en tan o se g n i cu ltu rali, o g g e tti id eali, sottratti al te m p o e la sto ria1 - e p a rte d a l p re su p p o sto ch e essi sian o n o ti al su o lettore. N e ll’im m o b ilità d e lla p ittu ra, il p o e ta in­ traved e il p a r a d o ssa le convivere d i esisten za e an n ie n ta m e n ­ to, in q u a n to c o n tra rre la vita in u n istan te ric h ia m a l ’id e a d e lla m o rte. I q u a d r i so n o in se n so stretto « n a tu re m o rte », p e r cu i a essi si asso cia l ’in q u ie tu d in e e il d o lo re , la co n sa p e ­ volezza ch e u n a d im e n sio n e d iversa p r e su p p o n e l ’a n n ie n ta ­ m e n to d e lla d im e n sio n e p re se n te . A llo stesso m o d o p e r ò ciò ch e è m o rto rivive, ciò ch e è statico d ivien e d in am ico . I q u a ­ d ri si a n im a n o . L a ragazza con il turbante d i V e rm e e r ci o sser­ va. In M orandi, la b ro cca , le b o ttiglie e gli altri o g g e tti d ello stu d io d el pitto re p u lsa n o d i e m o zio n i e sen tim en ti d i rivolta n e lla n o tte, e an im a re g li o g g e tti è, co m e a b b ia m o visto, u n o d e i tro p i rico rre n ti d i Zagajew ski.2 C o m e o sserva M a g d a le n a Su k ien n ik , i p ro c e ssi d e ll’im ­ m a g in a z io n e e la m e m o ria fa n n o sì ch e re a ltà diverse si co m ­ p e n e tr in o e a llo ra « il d e tta g lio divien e s im b o lo ... g raz ie alla vita in te rio re si e ste n d e a ll’in fin ito . C o sì p u re il te m p o ».3 S e il flu sso ch e sco rre in m o d o u n id irez io n a le n e lla storia p u ò esse re invertito, o p u ò d iven tare p lu rid irez io n a le n e l­ l ’im m a g in a z io n e, a llo ra a n a lo g a m e n te le m e ta fo re p o sso n o e sse re an ticip azio n i d i ciò ch e se g u e . S i p u ò in d iv id u are q u e ­ sto p r o c e d im e n to p o e tic o in diversi c o m p o n im e n ti: si p e n si

1. A questo proposito (vale a dire l’atteggiamento del poeta nei confronti della pittura intesa come opera non soggetta alla morte), A. Dziadek par­ la di apocastasi, Problem ékphrasis - dw a „ Widoki D elfi” (Adam Czemiawski i Adam Zagajew ski), in «Teksty Drugie », 2000, 4, p. 148. 2. Cfr. W. Browarny, Konkretyzaqe i antropomorfizacje w najnowszej poezji A da­ ma Zagajewskiego, in «Dykcja», 1996, 1, pp. 53-59. 3. M. Sukiennik, Czas zatrzymany w “bezczasie” (0 p oezji A dam a Zagajewskiego), in «Ruch Literacki», XXIV, 1993,1-2, p. 41.

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a lla se c o n d a stro fa d i Conversazione con Friedrich Nietzsche, d o ­ ve la d escrizio n e d e lla testa d e l filo so fo « a fo rm a d ’o b ic e » serve a p re p a ra re l’im m a g in e se g u e n te d e i su o i p e n sie ri si­ m ili a eserciti po ssen ti, o p p u re , in Andare a Leopoli, D a q u a le stazio n e a n d a re a L e o p o li S e L e o p o li esiste sotto la fo d e ra d elle fro n tie re e n o n so lo n e l m io n uovo p a ssap o rto . L a fo d e ra asso ciata a ll’im m a g in e d e lle fro n tie re p r e p a ra il q u a d r o successivo, q u e llo d e l n o m e d e lla città n a sco sto d e n ­ tro il p a ssa p o rto , n e i d ati an ag ra fici d e l d o c u m e n to di viag­ g io , e co sì L e o p o li si fa città m itica, p e r a lcu n i versi irra g ­ g iu n g ib ile , p u r c o n tin u a n d o a esiste re n e lla g e o g ra fia d e g li atlan ti. E c c o c i q u in d i a l c o sp e tto d i u n a lq u a n to sofisticato co stru tto sem an tico , b a sa to su u n a m e ta fo ra co n c e ttu a le ch e te n d e a e sp rim e re visivam en te le id ee. L e g g e n d o le p o e sie d i Z agajew ski si p u ò rilevare co m e il p ro c e sso d i « d istillazio n e » d i im m a g in i e p a ro le p o rti, p u r n e lla su a a p p a r e n te sem p licità, a u n g r a d o p iù alto d i astra­ zio n e: l ’a u to re p r e n d e l ’avvio d a u n p a rtico lare , d escritto n e i su o i e le m e n ti essen ziali, e g li c o n fe risce v alo re u n iversa­ le fissa n d o lo in u n o sp azio fu o ri d al tem p o . L a p o e sia p u ò e sp rim e re u n a trasfo rm az io n e in te rn a ch e trasce n d e il fe n o m e n o p e r lievitare in u n a p ro sp ettiv a noum e n ica . In izialm en te Z agajew ski sc o p re ch e q u e sta ca p a c ità d e lle co se d i trasfig u rarsi è u n d o m in io d e ll’im m ag in azio n e. Scrive in Due città: U n g io rn o ... fec i u n a sc o p e rta ch e ca m b iò o g n i co sa. S co ­ p rii (e vi p r e g o d i n o n rid e re ) ch e esiste u n m o n d o d ello spirito, d escritto d a i g r a n d i au to ri. O ltre a lla re a ltà e m p i­ rica e b a n a le c ’e r a l ’a m b ito d e ll’im m a g in a z io n e, costitui­ to d a q u e llo stesso m o n d o p e rc e p ib ile g raz ie a lla vista, al tatto e a ll’o d o ra to , m a co n in p iù le sch ie re in fin ite d e g li spiriti e d e lle o m b re ... E siste u n se n so ch e re sta n a sco sto n e lla q u o tid ia n ità , m a d iven ta accessib ile n e g li istan ti di m a g g io re co n ce n traz io n e , n e g li attim i in cu i la co scien z a a m a il m o n d o . C o g lie re q u e l se n so co m p le sso ti p o rta

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u n ’e sp e rie n z a di p a rtico lare felicità, p e rd e rlo ti c o n se g n a a lla m a lin c o n ia .1 T a le stato d ’a n im o è p e r ò m o m e n ta n e o : « n o n siam o m ai c a p a ci d i d im o ra re stab ilm en te n e lla trasce n d en za ... T o r ­ n ia m o se m p re a lla q u o tid ian ità: d o p o aver e sp e rito l ’e p ifa ­ n ia, d o p o aver scritto u n a p o e sia , e n triam o in cu c in a e ci m e ttiam o a p e n sa re a co sa m a n g ia re p e r ce n a » .2 N o n o sta n te la su a brevità, e b e n c h é a ll’estasi se g u a la m a lin co n ia e u n a n elito ch e n e am p lifica l’ eco , q u e ll’e p ifa n ia ra p p re se n ta u n ’e sp e rie n z a cru ciale, divien e p e r il p o e ta la su a terza p a­ tria.3 M en tre cercav o d u e p a trie p e rd u te , la città e il U bero ac­ cesso alla verità, m i im b attei in u n a terza a n co ra , d i cui n o n n e p p u r e sap evo d i essere m a i stato cittad in o. Q u esto terzo p a e se d isp o n e d i u n p ic co lo te rrito rio e n o n p o ssie ­ d e eserciti; in e sso vi è u n a p ic c o la fo n te , in cu i si riflette il cielo azzu rro e n u vole b ia n ch e , sfilacciate. M a q u e sto ter­ zo p a e se h a la p r o p rie tà d i sp a rire talvolta d a lla su p erficie d e lla terra, p e r lu n g h i p e r io d i.4 Il viaggio q u in d i n o n è solo m e ta fo ra d ella vita u m a n a co m e co n tin u o divenire e ricerca, m a è an ch e, e forse soprattutto, m o d ah tà ch e favorisce la p ercezio n e d i u n a d im en sio n e fu ori d al tem p o e d allo spazio, d i u n ’esp erien za ch e svela p e r un istante q u an to sareb b e altrim en ti im percettibile. In M istica per principianti il viaggio diven ta iniziazione. I diversi elem en ti ch e lo c o m p o n g o n o a ssu m o n o u n ru o lo p rep arato rio . e i viaggi, tutti i viaggi, e ra n o so ltan to m istica p e r p rin cip ian ti, u n c o rso in trod u ttiv o, p ro le g o m e n i

1. A. Zagajewski, Tradimento, cit., pp. 71-72 2. A. Zagajewski, Obrona iarliwo.ici, Wydawnictwo a5, Kraków, 2003, p. 15. 3. Secondo Klejnocki più che di epifania si dovrebbe parlare anche nel caso di Zagajewski (come aveva fatto Nycz a proposito di Milosz) di epicle­ si: non tanto deH’esperire un’illuminazione improvvisa e fugace, quanto deU’esperire un’anticipazione di tale visione, dell’aspirare a una trascen­ denza che pare attenderci. E quindi una prospettiva escatologica che dà senso all’esistenza e al suo vissuto. Cfr. R. Nycz, Prywatna k sifga róinosci. I. E pifanie - egzegezy - epihleiy, in «Teksty», 1981, 4-5 (58-59), p. 214. J. Klej­ nocki, Bez utopiiì, cit., p. 201. 4. A. Zagajewski, Wcudzym pifknie, cit., p. 42.

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a u n e sam e rim an d a to a p iù tardi. P er Zagajew ski l ’arte n a sce d a l se n so d i m erav iglia p e r il m o n d o , la a n im a q u in d i u n o sp irito ch e è p ro ssim o a q u e llo d e lla filoso fia: il d e sid e rio d i c o m p re n d e re le ra g io n i u ltim e d e l r e a le .1 A ll’u n iversità aveva scelto d i stu d iare p sic o lo g ia e filo so fia; co m e a n n o ta n e l sa g g io Wcudzyrn р ц к т е (« N e lla b ellezza altru i »), a ll’e p o c a a C racov ia e ra a n c o ra m o lto fo rte il ric o rd o d e ll’in se g n a m e n to d i R o m a n In g a rd e n , e la te o ria fe n o m e n o lo g ic a d e l v ecch io allievo di H u sserl, ch e, co m e ri­ feriv an o i su o i stu d en ti, c o n d u ce v a a u n a « p o e sia d e g li o g ­ getti », a lla ca p a c ità d i v ed erli in u n a lu c e n uova, lo affascin a­ va p r o fo n d a m e n te .2 Q u esto h a p o rtato Sh allcross a v ed ere in Zagajew ski stesso u n fen o m e n o lo g o : « è u n p o e ta ch e descrive gli o ggetti con p recisio n e fen o m e n o lo g ica e un fen o m e n o lo g o ch e vede l’es­ sen za d el m o n d o oggettivo ... U n isce il sap ere d el fen o m e n o ­ lo g o al m estiere d e ll’artista. S u q u e sta b ase costruisce u n ’e­ q u azion e d i id ee, o ggetti e p a ro le b a sa ta su ll’in ten zio n alità».3 E gli o tterreb b e in q u e sto m o d o u n a vision e e id etica ch e co n ­ g iu n g e l’essen za d e ll’o g g e tto alla su a m aterialità visibile. E fo rse si p o treb b e ch io sare, a q u e sto p u n to , ch e il su o p ro ced i­ m en to d i im m obilizzare la realtà, d i so sp en d e re il tem po , ri­ c o rd a la so sp en sio n e d e l giud izio, Vepochè husserlian a. L a filoso fia costituisce u n altro p o lo d ella p o e sia di Z aga­ jew ski, co m e si p u ò v ed ere in Kierkegaard su Hegel, e i filosofi so n o p resen ti co m e pen satori, m a an ch e co m e p e rso n e di cui l ’au to re im m a g in a p en sieri e p au re, tim ori, d u b b i, d eb olezze - si p e n si p e r e sem p io a Schopenhauer piange: i m aestri so n o fragili. L a p o e sia a su a volta a p p a re co m e so sp e sa tra d u e di­ verse ten d en ze: u n a è d a re fo rm a alla vita spirituale, interiore, in q u a n to « solo n e lla vita in teriore, co m e in u n o sp ecch io rot­ to, talvolta p u lsa la fiam m ella m o b ile d e ll’e te m ità , q u alu n q u e

1. « La difesa della poesia è la difesa di qualcosa che è radicato nell’uomo: la capacità fondamentale di esperire l’incanto del mondo, di scoprire la divinità nel cosmo e nel prossimo, nella lucertola e nelle foglie di casta­ gno, di meravigliarsi e fermarsi di colpo per un lungo attimo in questa meraviglia», iUd., p. 117. 2. Ibid., pp. 128-31. 3. B. Shallcross, Through thèPoet’sE ye: The Travels o f Zagajewski, Herbert, and Brodsky, Northwestern University Press, Evanston, Illinois, 2002, p. 36.

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c o sa il lettore sarcastico (o m e n o ) v orreb b e in te n d e re co n e s­ sa ». L ’altra è la sp in ta a co n o scere sia i cam b iam en ti d el m o n ­ d o esteriore sia a ricercare « la verità su n o i stessi » .1 In u n certo q u a l se n so , le d u e ali d e lla p o e sia lirica ch e si co n trastan o a v icen d a p o sso n o essere e q u ip a ra te ai sim b o ­ li classici d e lla ra g io n e e deU ’illu m in azio n e, a d A te n e e G e r u s a le m m e ... P u re i p o e ti, co m e u n a p a rte d e i p e n sa to ­ ri, so n o o b b lig ati av iv ere in u n a stretto ia tra A ten e e G eru ­ salem m e, tra la verità m a i p ie n a m e n te ra g g iu n g ib ile e il b ello ... tra il p e n sie r o e l ’isp iraz io n e .2 È facile in trav ed ere d ietro q u este p a ro le rich iam i p lato n i­ ci, p re se n ti in Z agajew ski n o n so lo p e r via d e g li stu d i univer­ sitari, m a a n c h e tram ite la le ttu ra d i E ric V o e g e lin p e r q u a n ­ to r ig u a rd a il co n cetto d i metaxy a p p lic a ta a ll’id e a d e lla vita co m e viaggio: T a le viaggio p u ò essere d escritto n e l m o d o m igliore co n un co n cetto p re so in prestito d a P laton e - metaxy: essere « tra », tra la n o stra terra, il n o stro am b ien te b e n n o to (tale alm en o lo riten iam o ), co n creto , m ateriale, e la trascen d en za, il m i­ stero. Metaxy d efin isce la situazion e d ell’u o m o q u ale essere ch e si trova irrim ed iab ilm en te « a m e tà s tra d a » .3

Metaxy, in q u a n to ciò ch e m ette in co n tatto il re a le co n il m e ­ tafisico, al fin e d i c re a re u n p a ssag g io , d eriva d al p lato n ico metéchein, ch e sign ifica « p r e n d e r p a rte », « m ezzo dove gli o p ­ p o sti trovan o m e d ia z io n e ». Zagajew ski ric o rd a il te m a d el «v ia g g io verticale d e ll’a m o r e » in tro d o tto d a D io tim a n e l Convita si tratta d el p a ssa g g io in cui esso è in d icato co m e me­ taxy, tram ite tra u m a n o e divino p e r m ezzo d e ll’am o re. E n o n è casu ale ch e D io tim a sia u n a fig u ra stran iera. L o « s ta r e t r a » è u n te m a ch e e n tra in effetti n e lla p o e tic a d i Zagajew ski g ià co n il sa g g io d e d ic a to al pitto re J ó z e f Czapski, Wyobrainia - siódmy kontynent,4 e co n il te m p o assu m e p e ­ so cre sce n te n e lla su a p o e tica . S e o ra si le g g e u n a p o e sia q u a le E viandante alla lu c e di

1. A. Zagajewski, Obrona, cit., pp. 131-33. 2. Ibid., p. 135. 3. Ibid,., pp. 14-15. 4. A. Zagajewski, W yobrainia - siódmy kontynent, in «Kultura», 1983, 10, p. 125; cfr. J. Klejnocki, Sez utopii?, cit., p. 39.

q u e sta citazion e si p u ò ca p ire c o m e « l ’esse re in m e z z o » sia le g a to al te m a d e l v iaggio: la c o n o sc e n z a è p o ssib ile so lo in p re se n z a d i u n so g g e tto a lla ric e rc a p e r e n n e d i q u a lc o sa , e q u e l so g g e tto p e r e cce lle n z a è il p o e ta , so sp e so tra e le m e n ti c o n tra d d itto ri, tra m a te ria e trasce n d en za , tra estasi e iro n ia. N e l m o n d o d e ll’arte l ’estasi e l ’ir o n ia ra ra m e n te si in co n ­ tran o , il p iù d elle volte si sab o tan o a v icen d a, c e rc an o di in d e b o lirsi l ’u n l ’altra; l ’estasi v o rre b b e d isfarsi u n a volta p e r tutte d el su o an tag o n ista, se p p e llirlo so tto il m a rm o d e lla so len n ità, m en tre l ’iro n ia c e rc a d i rid ico lizzare i so­ sten itori d e llo stile a lto .1 L ’iro n ia, q u e sto asse rire n e g a n d o , si sa, è u n o stru m e n to m o lto p o te n te e versatile, caratteristico d i p e r io d i tran sitori, e ssa p u ò r a p p re se n ta re il r u o lo d e lla co scien za, il m o m e n to riflesso ch e se g u e allo stu p o re, la sc o p e rta d e lla p lu ralità, m a a n ch e il g io c o im p e rso n a le d ella verità.2 L ’iro n ia è p e r altro b e n p re se n te n elle o p e re di Zagajew ski sia n e l p e rio d o d i «N o w a F a la » co m e m ezzo p e r sm a sch era re , ridico lizzare la m e n z o g n a , l’in au te n ticità d e l sistem a p o litico in cu i e g li e ra co stretto a vivere, sia in se g u ito c o m e caratteristica in trin se­ c a a lla n a tu ra d elle co se. N e lle o p e re d i Z agajew ski l ’iro n ia è sp e sso p o lifo n ica, è u n d ia lo g o a p iù voci (c o m e in Tre ange­ li) , svolge u n a fu n z io n e co m p le ssa in q u a n to n e lla su a am b i­ v alen za se p a ra e u n isce. P er Zagajew ski « l ’iro n ia ovviam ente è in d isp en sab ile, m a vien e d o p o , è “ l’e te rn a co rrettrice”, co m e la ch iam ava N orwid ». E gli ritien e, p e rò , ch e attu alm en te se n e faccia u n u so eccessivo, a d iscap ito d ella d im en sion e spirituale. S e c o n d o lui l ’iro n ia ch e caratterizza tan ta p arte d ella cu ltu ra co n tem p o ra­ n e a p o rta in co n clu sio n e alla n o ia e a lla d isp erazion e, in q u a n to p re clu d e l ’a p e rtu ra d i orizzon ti scon osciuti. « L ’iro­ n ia, se assu m e il p o sto cen trale n e l m o d o d i p e n sa re d i im a p e rso n a, è u n a varian te alq u an to perversa d ella ce rtez z a »,3 m en tre « la p o e sia co rre verso u n o sco p o ign o to ».4

1. A. Zagajewski, W cudzym pifknie, cit., p. 182. 2. Si pensi al magistrale saggio di V. Jankélévitch, L ’ironia, Il melangolo, Genova, 1987, pp. 39, 58. 3. A. Zagajewski, Obrona, cit., pp. 17-18. 4. Ibid., p. 146

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È o r a d i to rn a re all 'Autoritratto, p o e sia d el 1995 ch e co n tie ­ n e a n c h e u n a d ich ia ra z io n e d i q u a n to gli è p iù caro . A scolto m o lta m u sica: B ach , M ah ler, Sostakovic, C h o p in . T alv o lta m i p a r la n o i q u a d ri n ei m u sei e a llo ra l ’iro n ia svan isce a ll’im provviso. A d o r o osserv are il volto d i m ia m o glie. Il m io p a e se si è lib erato d a u n m ale. V orrei ch e a ciò seg u isse a n c o ra u n ’a ltra lib erazio n e. S o n o p a ssati q u a si v en t’an n i e n e l fra tte m p o il p o e ta h a scritto u lte rio ri au toritratti, in cu i c o m p a re il te m a d e lla vec­ ch iaia, m a n o n so n o m u tati i tratti essen ziali d e lla su a p o e ti­ c a e d elle su e p assio n i: la m u sica, il b e llo c h e sc o n fig g e l ’iro ­ n ia. D e g li affetti scrive co n p u d o re . In essi u n ru o lo rilevan te sp e tta agli am ici, alla fam ig lia, alla m o g lie , p e r ò la su a n o n è u n a p o e sia sen tim en tale, tu tt’altro. A n ch e le p a ssio n i so g ­ g ia c c io n o alle le g g i d el te m p o e a lla co n sap ev o lezza d ella p e r d ita e d e lla m o rte, co m e egli d ich ia ra in L a musica ascolta­

ta con te. G li au toritratti ch e e m e rg o n o d a lla p r o sa e d alle p o e sie p ro ie tta n o le im m a g in i d i u n u o m o ch e si osserva, co sì co m e o sserv a il m o n d o circo stan te, d a fu o ri, d a lla su p e rfic ie d elle c o se, ch e tuttavia la scian o trasp a rire q u a lc o sa d e lla lo ro inti­ m a essen za. Q u e sto p ro c e sso co n oscitivo p a ssa attraverso la co scien z a d e l so g g e tto , d a cu i la se m p re m a g g io re cen tralità a ssu n ta n e lla p o e tic a r e c e n te d i Zagajew ski d a ll’e sp e rie n z a a u to b io g ra fic a .1 L ’obiettivo d e lla p o e sia d i Zagajew ski è e sp rim e re au ten ti­ c a m e n te il vissuto re sta n d o fe d e li a lla realtà, a ll’etica e a ll’e­

1. A mo’ di postilla si potrebbe aggiungere ancora un brano di Zagajewski tratto da Tradimento, cit., pp. 189-90, che è una sorta di breve paradossale favola sul rischio insito in una poesia intesa come «vista e udito »: «Il mon­ do interiore, regno assoluto della poesia, ha la caratteristica di essere ine­ sprimibile ... La poesia cerca d’ingannare la realtà, finge di avere a cuore i suoi affanni... La poesia teme che scoprano il suo segreto. Un bel giorno la realtà si renderà conto che il cuore della poesia è freddo. La poesia non ce l’ha, un cuore, ha solo occhi ben aperti e un ottimo udito. La realtà capirà improvvisamente di essere stata soltanto un pozzo inesauribile di metafore e scomparirà. E la poesia resterà sola al mondo, muta, vuota, triste e incomunicabile».

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stetica. E g li m e d ia q u esti e le m e n ti attraverso u n a scrittu ra riflessiva, co n ce ttu ale ; a n ch e le su e m e ta fo re , in a p p a re n z a im m e d iate , so n o in re a ltà ce reb rali e le a sso ciazio n i m en tali, i fili n asco sti ch e co lle g a n o i versi d a n d o lo ro o rg a n icità , o p e r a n o n o n g ià p e r m ezzo d e lla m e lo d ia e d e i g io ch i d i p a ­ ro le , m a d i im m a g in i ch e si c o m p e n e tra n o in u n a co stru zio ­ n e sottile. Q u e sto fa sì ch e i su o i versi restin o im p ressi, p iù ch e c o m e su o n o , co m e visioni m en tali, e in cid a n o su l n o stro p e n sie ro n o n tan to em o tivam en te, q u a n to in tellettu alm en ­ te. E in fin e si sc o p re ch e a n ch e n o i in sie m e co n l’a u to re sia­ m o e n trati n e l d ia lo g o tra p a ssa to e p re se n te , tra d im e n sio n i diverse co lle g a te d a u n ’im m a g in e in cu i si fo n d o n o sen sazio ­ n i em otive e c o n o sc e n z a razio n ale. In q u e sto se n so si p u ò d ire ch e la su a p o e sia è p ro fo n d a ­ m e n te innovativa, a p r e u n n u o v o m o d o d i co stru ire i versi, p riv ileg ian d o c a m p i p r im a n o n arati. F o rse a n c h e p e r q u e ­ sto è tan to am m ira to d a i su o i co lleg h i, tra cu i D e re k W alcott, ch e n e i su o i versi c o lg o n o so tto l ’a p p a r e n te p a c a to classici­ sm o u n a rivolu zion e b ru cian te . E u n a p a ssio n e ch e a rd e sot­ to la lava o rm a i fr e d d a e co n so lid a ta. So tto la cro sta d e lla su p erficie. A p p re z z e rà il le tto re ita lian o q u e sto ra g g e la to a rd o re ? Q u e sta in trov ersio n e estro versa? Q u e sto m etafisico sp e cch io rovesciato? A vran n o i su o i versi in Italia la stessa p o p o la rità ch e h a n n o ra g g iu n to in a r e a an g lo fo n a ?

D e sid e ro rin g raziare d i cu o re V aleria R o ssella e A n n a Raffetto ch e h a n n o accettato d i rile g g e re f o n g ra n d e co m p e ­ ten za e sen sib ilità le m ie trad u zion i c o n sig lia n d o m i solu zio­ n i in terpretative. A lo ro si deve la m ig lio re riu scita d i q u e sta v ersion e, a m e le even tu ali m an can ze.

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INDICE DEI T IT O LI D ELLE PO ESIE

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A m a g g io , 34 A m ezzan o tte, 99 A d d io a Z bigniew H e rb e rt, 181 A ll’alb a, 77 A n d are a L e o p o li, 39 A n n i T re n ta , 123 A n to n B ru ck n e r, 8 4 A u to ritratto, 135 C iò ch e, 65 C o n v ersazio n e co n F ried rich N ietzsch e, 75 C ru d e le , 107 D alla m e m o ria , 154 D alla vita d e g li o ggetti, 106 D iciassetten n e, 102 E gli agisce, 27 E le g ia, 138 E le g ia elettrica, 88 E sp rit d ’escalier, 56 F este tardive, 83

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F o re ste ria p e r stu d iosi, 180 F ran z S ch u b ert, co n fe re n z a stam p a, 46 G iard in o d ’in vern o, 117 G u a r d a n d o la Shoah in u n a stan za d ’a lb e rg o , in A m erica, 97 H o u sto n , sei d e l p o m e rig g io , 159 H ow h ig h th è m o o n , 162 I fu lm in i, 42 I m iei m aestri, 63 I p ra ti d e lla B o rg o g n a , 87 I p ro fu g h i, 124 I R e M agi, 115 I tigli, 187 II Dizionario biografico polacco n e lla b ib lio te ca a H o u sto n , 191 Il fe rro , 60 Il fiu m e, 26 Il fiu m e n e ro , 94 Il fu o c o , 35 Il fu o c o , il fu o c o , 36 Il g o tico , 91 Il m a re , 196 Il re, 165 Il v ian d an te, 15 Il v iolo n cello, 140 Il volto d i V an G o gh , 33 Io, 38 K ie rk e g aa rd su H e g e l, 23 L ’a e r o p o r to di A m sterd am , 142 L ’allean za, 79 L ’attim o, 137 L ’E u r o p a d ’in vern o, 198 L a b a n d ie ra , 14 L a città in cu i v orrei ab itare, 148 L a co n ch iglia, 121 L à , dove il re sp iro , 180

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r L a fan ciu lla di V erm eer, 132 L a feb b re , 22 L a fiam m a, 177 L a g e n e ra z io n e , 53 L a m o rte d i u n p ian ista, 170 L a m u sica asco ltata co n te, 200 L a n o tte , 144 L a sco n fitta, 13 L a se p a ra z io n e , 164 L a stan za, 146 L a tela, 110 L a te rra d el fu o c o , 133 L av a, 71 L e fale n e , 95 L e m ie zie, 183 L e scim m ie, 100 L e tte ra d a u n letto re, 126 L u n g h i p o m e rig g i, 168 M attin a a V icen za, 171 M istica p e r p rin cip ian ti, 113 M o ran d i, 78 N e g li alb eri, 24 N e ll’e n c ic lo p e d ia d i n u o v o n o n c ’è p o sto p e r O sip M a n d e l’stam , 17 N e lla b ellezza altru i, 59 N e lle città stran iere, 101 N in n an a n n a , 69 O d e a lla m o ltep licità, 29 O d e a lla m o rb id ezza, 16 O p e r a p o stu m a , 175 P a rla p a c a ta m e n te , 188 P er M ., 128 P e rse fo n e , 150 P ie n a estate, 173 P ittori d ’O la n d a , 119 P o esia veloce, 111

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P o m e rig g io d i se ttem b re in u n a caserm a a b b a n d o n a ta , 90 P resen za, 81 P rova a ca n ta re il m o n d o m u tilato , 193 Q u e sta è la Sicilia, 130 R. d ice, 73 R e q u ie m p e r i viventi, 86 R o m a, città a p e rta , 194 S cale m o b ili, 49 S c h o p e n h a u e r p ia n g e , 20 Scriv ev a a l b u io , 141 S e n z a fin e, 51 S e n z a flash , 161 S e n z a fo rm a, 103 Si arresta, 45 Siete i m iei fratelli silen ziosi, 131 S im o n e W eil g u a r d a la vallata d el R o d a n o , 109 S o lo b am b in i, 167 S q u a re d ’O rlé an s, 184 S to ria d e lla so litu d in e, 105 Su l n u o to , 156 S u o re d i carità, 157 T a r d o B eeth o v en , 18 T re a n g e li, 151 T re voci, 55 T riste, stan ca, 6 4 V acan ze, 9 6 V alzer, 186 V e d e re , 178 V e d u ta d i C racov ia, 66 V e d u ta d i D elft, 4 4 V e n e rd ì san to n e i c o rrid o i d e lla m e tro p o lita n a , 32 V ersi su lla P o lo n ia, 62 V italizio, 28

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