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Italian Pages XI, 198 pagg. [198] Year 2012
Convergenze a cura di G. Anzellotti, L. Giacardi, B. Lazzari
Ferdinando Arzarello Cristiano Dane´ Laura Lovera Miranda Mosca Nicoletta Nolli Antonella Ronco
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera
Ferdinando Arzarello Dipartimento di Matematica Universit`a di Torino
Cristiano Dan´e Liceo Scientifico “A. Volta”, Torino
Miranda Mosca Associazione Subalpina MATHESIS, Torino
Nicoletta Nolli Liceo scientifico “G. Aselli”, Cremona
Laura Lovera Liceo psicopedagogico “Regina Margherita”, Torino Antonella Ronco Liceo psicopedagogico “Regina Margherita”, Torino
Contenuti integrativi al presente volume possono essere consultati su http://extras.springer.com
isbn 978-88-470-2573-8 doi 10.1007/978-88-470-2574-5
isbn 978-88-470-2574-5 H%RRN
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Prefazione
La collana “Convergenze”, curata per la parte scientifica dall’Unione Matematica Italiana ed edita da Springer Italia, e` giunta al suo nono volume, il libro di F. Arzarello, C. Dan´e, L. Lovera, M. Mosca, N. Nolli, A. Ronco, Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’universo. Tutti i volumi della collana sono editi con un contributo economico dell’UMI, e il presente ha avuto anche un aiuto economico dal Progetto Lauree Scientifiche. Ci`o in quanto, al di l`a del fatto che l’origine e il merito dell’opera sono puramente degli autori e si collocano nella tradizione della ricerca didattica italiana, e torinese in particolare, una parte significativa delle proposte didattiche sono state sperimentate nel laboratorio che si e` realizzato nell’ambito del Progetto locale Lauree Scientifiche di Torino nel 2005/06 e negli anni successivi. Come si pu`o infatti evincere dalle schede stesse del Progetto LS gli obiettivi principali della proposta elaborata nel libro sono: da una parte recuperare le rilevanti assenze della geometria dello spazio nella scuola “superiore”, dall’altra approfondire alcuni aspetti logico-teorici anche attraverso il confronto fra le geometrie che si possono elaborare su particolari superfici (sfera, cilindro, cono, pseudosfera) e il confronto di ciascuna di esse con la geometria euclidea del piano. Il tema ha offerto occasioni di ricchi sviluppi di carattere storico-applicativo, dalle carte geografiche e dalle rotte aeree a questioni tecnologiche (eliche dei motori, modelli per i sarti delle maniche degli abiti). Inoltre esso invita all’utilizzo di materiali concreti, nonch´e di modelli virtuali costruibili con i software Cabri G´eom`etre, Cabri3D e GeoGebra. I materiali sono un elemento che, per quanto ovvio nell’apprendimento della geometria, stentano a entrare nella pratica didattica corrente; viceversa, in questo progetto come del resto in molti altri, essi svolgono diverse funzioni, tra le quali: K incuriosire lo studente e pertanto sostenerne l’interesse; K favorire la formulazione di problemi e congetture di risposta; K migliorare la comprensione effettiva dei concetti; K sostenere la memorizzazione; senza dimenticare che migliorare le abilit`a manuali di studenti adolescenti e` di per s´e un obiettivo rispettabile. E` stata finalit`a prima degli autori fare in modo che gli studenti si orientino in ambienti geometrici vari riconoscendo analogie e differenze di questi con la geometria euclidea. Il percorso e` stato sperimentato in alcune classi quarte di diversi istituti superiori: il Liceo Psicopedagogico “Regina Margherita”, il Liceo Scientifico “Einstein”, l’Istituto Tecnico Industriale “Bodoni” di Torino, il Liceo Scientifico “Aselli” di Cremona, il Liceo Scientifico “Galilei” di Voghera. Anche a nome degli organi direttivi dell’UMI, desidero pertanto ringraziare gli autori per l’ottimo contributo dato alla didattica della Geometria, per aver coinvolto insegnanti motivati e desiderosi di suggerimenti che permettano loro di stare al passo con i tempi e, last
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo VI
but not least, il Progetto Lauree Scientifiche che ha permesso la realizzazione di incontri sinergici fra docenti della scuola superiore e docenti universitari al fine di portare a termine un piano didattico di interesse comune per tutti: quello di presentare allo studente l’insegnamento delle scienze matematiche non solo (pi`u) attraente ma, soprattutto come un investimento duraturo, sia come un momento di crescita del cittadino consapevole, sia come prerequisito necessario ad un futuro da professionista nel mondo di oggi. Bologna, aprile 2012
Giuseppe Anichini Segretario UMI
Premessa
Il volume propone vari percorsi didattici, progettati per le scuole secondarie di secondo grado, dove la Geometria e` affrontata secondo una metodologia laboratoriale, in conformit`a al modello suggerito nel curricolo dell’UMI, La Matematica per il Cittadino (http://umi.dm.unibo.it/old/italiano/Didattica/didattica.html), e presente nelle nuove Indicazioni per i Licei (DPR 15 marzo 2010). Gli studenti sono pertanto accompagnati a fare e pensare secondo l’adagio pedagogico di S. Papert: “Impariamo meglio facendo, impariamo ancora meglio se colleghiamo il nostro fare con il parlare ed il pensare su ci che abbiamo fatto”. L’insegnante trova nel volume svariati suggerimenti per l’utilizzo di opportuni materiali didattici e di modelli geometrici reali e virtuali. Per generare questi ultimi si sono utilizzati i software Cabri G´eom`etre, Cabri3D (marchi Cabrilog) e GeoGebra (open source). Le schede didattiche da utilizzare durante le attivit`a (in duplice versione, per lo studente e per il docente), corredate di indicazioni ed esempi di percorsi, si trovano sulla piattaforma on-line di Springer Extra Materials (http://extras.springer.com). L’idea principale e` di analizzare criticamente le idee della geometria euclidea alla luce di quanto accade in vari ambienti geometrici diversi dal piano (la sfera, il cilindro, il cono e la pseudosfera): ad esempio, chiedersi “che cosa e` una retta?” nei nuovi contesti. Si pu`o cos`ı partire dalle radici cognitive e culturali dei concetti matematici e considerarne successivamente sia lo sviluppo matematico rigoroso sia l’intreccio profondo con i concetti portanti di altre discipline, come la fisica (qual e` la geometria dell’universo?) e la geografia (come rappresentare la Terra in un piano?). Sar`a altres`ı possibile toccare con mano come tale intreccio abbia portato a importanti innovazioni tecnologiche (ad esempio il GPS). Gli itinerari didattici illustrati nel volume sono stati sperimentati in varie classi nell’ambito del Progetto Lauree Scientifiche. Gli autori sentono perci`o il bisogno di ringraziare tutti i docenti che hanno in vario modo sperimentato questo progetto nell’ambito di tali iniziative, concorrendo alla validazione della proposta. Particolari ringraziamenti rivolgono a Pierangela Accomazzo e a Patrizia Gianino per i loro preziosi apporti. Inoltre ringraziano Sara Fenoil e Sergio Mellina per i validi contributi all’elaborazione delle immagini. Gli Autori
Indice
1. Perche´ la geometria sulle superfici 1.1 Perche´ tante geometrie invece di una geometria? 1.2 Alla ricerca delle radici cognitive e culturali dei concetti matematici 1.3 Origine del libro 1.4 Perche´ il libro?
2 9 10
2. La geometria sulla sfera 2.1 La formica euclidea 2.2 La geodetica sulla sfera 2.3 La sfera e` curva 2.4 Circonferenze sulla sfera 2.5 Triangoli sferici 2.6 Approfondimento 2.7 Il trasporto parallelo: approfondiamo
13 13 14 17 19 20 22 24
3. Euclide, Hilbert e la geometria sulla sfera 3.1 Il sistema assiomatico di Euclide 3.2 I sistemi formali 3.3 Un sistema formale moderno per la geometria piana 3.4 Modelli di un sistema assiomatico 3.5 La geometria sulla sfera e` euclidea? 3.6 Figure geometriche sulla sfera: triangoli e quadrati
27 28 29 30 32 36 44
4. Geometria sul cilindro 4.1 Andare diritti sul cilindro 4.2 Sviluppo piano del cilindro 4.3 I ricoprimenti di un cilindro 4.4 Il cilindro come esempio di geometria localmente euclidea 4.5 Approfondimento
49 49 55 57 59 65
5. Geometria sul cono 5.1 Andare diritti sul cono 5.2 Le geodetiche sul cono 5.3 Approfondimenti
69 69 70 76
1 1
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo X
5.4 I ricoprimenti di un cono 5.5 La geometria sul cono 5.6 Per saperne di piu` . . .
79 82 82
6. La curvatura 6.1 La curvatura di una linea 6.2 La curvatura di una superficie 6.3 La curvatura del piano, della sfera, del cilindro e del cono 6.4 Che cosa sono le geodetiche 6.5 La curvatura nelle forme naturali e nelle mimesi degli artefatti umani
89 90 92 95 98 99
7. La pseudosfera e la geometria sulla pseudosfera 7.1 La catenaria e la trattrice 7.2 La pseudosfera e la sua curvatura 7.3 Le scoperte della formica euclidea sulla pseudosfera 7.4 ll teorema di Gauss Bonnet e il quinto postulato sulla pseudosfera
105 105 110 112 115
8. La sfera Terra: fare il punto 8.1 Il sistema di riferimento terrestre 8.2 I problemi del navigante - dialogo con le stelle 8.3 Calcolo della latitudine 8.4 Determinazione della longitudine 8.5 Gli strumenti di misura 8.6 La determinazione del punto - nave
117 117 121 125 128 130 134
9. La sfera Terra: le carte geografiche 9.1 Le proiezioni coniche e cilindriche 9.2 La carta del Mercatore 9.3 Proiezioni polari 9.4 La proiezione di Gauss e il sistema di coordinate UTM
139 140 143 147 149
10. Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 10.1 La mappa conforme del navigante iperbolico 10.2 Sperimentiamo la mappa conforme 10.3 Il semipiano di Poincar´e 10.4 L’inversione circolare 10.5 Il disco di Poincar´e
153 153 156 159 160 164
Indice XI
11. Il nostro spazio e` euclideo? 11.1 La geometria dello spazio - tempo: il modello di Minkowski 11.2 Lo spazio-tempo della relativit`a generale 11.3 Ipotesi sull’Universo 11.4 I possibili modelli di Universo in espansione che cosa prevedono in merito alla sua curvatura?
177
A. Confronto tra i sistemi assiomatici di Euclide e di Hilbert A.1 Dal sistema di Euclide A.2 Dal sistema di Hilbert A.3 Uguaglianza e congruenza
181 181 182 183
B. GPS: sistema di posizionamento globale B.1 Descrizione generale B.2 A cosa serve? B.3 Come e` costituito? B.4 Come funziona? B.5 Analisi della Costellazione Satellitare B.6 Sistemi di coordinate
185 185 185 185 186 188 190
Bibliografia
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167 168 172 175
Capitolo 1 Perche´ la geometria sulle superfici 1.1 Perche´ tante geometrie invece di una geometria? Nel curricolo UMI uno dei nuclei essenziali individuati per poter costruire solide competenze matematiche e` Spazio e Figure; nell’indicare le linee essenziali di questo nucleo tematico si fa esplicito riferimento a un curricolo di matematica che presenta uno svolgimento integrato degli argomenti che sono propri della geometria: geometria dello spazio e geometria del piano, geometria sintetica, geometria analitica e trigonometria. In questa proposta sono anche esplicitamente indicate alcune idee di base: K K K K
rafforzare e rivalutare la geometria dello spazio; favorire attivit`a di esplorazione e di scoperta di propriet`a geometriche; porre attenzione ai collegamenti tra lo studio della geometria e il mondo reale; ricercare spunti storici come occasione di riflessione filosofica.
La geometria cui si fa riferimento nel curricolo e` quella euclidea, da pi`u di venti secoli modello di riferimento per la cultura occidentale, anche se tra gli spunti storici consigliati appare l’indicazione Dalla geometria alle geometrie (una panoramica sugli sviluppi che dall’Ottocento portano al nostro secolo) come a voler sottolineare l’importanza di allargare gli orizzonti culturali per meglio comprendere il ruolo centrale giocato dalla geometria in un percorso formativo che vuole considerare sia la funzione strumentale sia quella culturale della matematica. Lo svolgimento di un coerente percorso di geometria, nella scuola italiana, sembra essere sempre pi`u difficile, in particolare sembra diventato quasi impossibile un rigoroso approccio assiomatico che produca un apprendimento significativo e sensato degli assiomi e dei teoremi euclidei. In parte gli studenti soffrono l’eccessivo rigore e l’astrattezza della geometria, in parte non capiscono la necessit`a di interrogarsi su nozioni intuitive o dimostrare propriet`a evidenti; ne risulta spesso uno studio mnemonico di definizioni e di dimostrazioni di teoremi delle quali spesso non si capisce nemmeno l’utilit`a. Un percorso come quello presentato, che costringe a interrogarsi su cosa voglia dire “andare diritto” o a sperimentare concretamente cosa significhi “tirare una linea diritta tra due punti”, in un contesto diverso dall’ordinario piano euclideo, pu`o mettere in crisi “verit`a” ritenute scontate, costringe a “fare i conti” con spazi che hanno propriet`a definite da diversi sistemi di assiomi e per i quali non valgono nemmeno i teoremi pi`u “famosi” e quindi, per contro, costringe a ridare importanza proprio a quei teoremi e assiomi validi sulla superficie piana che servono a definire la geometria euclidea tra le tante geometrie. Non si pu`o nemmeno dimenticare la necessit`a di delineare un itinerario didattico che sia in grado di collegare lo studio della geometria al mondo fisico reale, ecArzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 1, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 2
co quindi che lo studio della geometria sulla sfera diventa anche lo studio del modello della nostra realt`a terrestre e, pi`u in generale, l’analisi delle geometrie noneuclidee aiuta a comprendere le teorie che la fisica e la cosmologia propongono per descrivere le caratteristiche dello spazio e l’evoluzione dell’Universo. Si pu`o quindi capire come il percorso presentato possa anche essere utilizzato per comprendere e approfondire la nozione di sistema ipotetico-deduttivo e di modello matematico. Da ultimi, ma non per questo meno importanti, sono la metodologia e gli strumenti scelti per lo svolgimento delle attivit`a presentate, anche questi in linea con le modalit`a del Laboratorio come indicato nel curricolo UMI: La costruzione di significati, nel laboratorio di matematica, e` strettamente legata, da una parte all’uso degli strumenti utilizzati nelle varie attivit`a, dall’altra, alle interazioni tra le persone che si sviluppano durante l’esercizio di tali attivit`a. Si prevedono, infatti, esplorazioni guidate su vari materiali concreti, manipolando palloni, barattoli cilindrici, coni di cartone e altro. Questo permette di congetturare, provare e verificare anche in interazione con i compagni e consente di raggiungere una costruzione significativa dei concetti. Dopo il lavoro e il confronto effettuato in gruppo e` sempre prevista una fase nella quale si condividono i risultati e quindi si consolidano e si generalizzano le scoperte effettuate. Il ruolo dell’insegnante e` centrale nel sostenere la fase esplorativa di gruppo, nella quale egli pu`o fornire indicazioni operative o aiutare gli studenti a esplicitare le loro intuizioni, senza per`o mai fornire risposte dirette ai quesiti proposti ed e` altrettanto importante per coordinare la discussione fatta in presenza dell’intera classe e sistematizzare le conoscenze. Anche in questo caso in tutto il percorso e` suggerito un ruolo dell’insegnante in linea con quanto si pu`o leggere nelle Indicazioni metodologiche del curricolo UMI: L’insegnate eserciter`a il suo ruolo di mediazione sia in modo diretto, attraverso l’introduzione degli strumenti matematici necessari in relazione alle diverse situazioni didattiche, sia in modo indiretto, utilizzando le produzioni individuali degli alunni (da confrontare e discutere in classe) e attraverso la valorizzazione dei contributi degli alunni durante la discussione in classe e il lavoro di gruppo.
1.2 Alla ricerca delle radici cognitive e culturali dei concetti matematici La geometria dei Greci era essenzialmente una scienza delle figure; con Riemann e` diventata una “scienza dello spazio”. Poincar´e e` andato ancora pi`u in l`a: ha mostrato che e` il movimento a generare la nozione di spazio: “un eˆtre immobile n’aurait jamais pu acqu´erir la notion d’espace puisque, ne pouvant corriger par ses mouvements les effets des changements des objets ext´erieurs, il n’aurait eu
Capitolo 1
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Perche´ la geometria sulle superfici 3
aucune raison de les distinguer des changements d’´etat” [Poincar´e 1902, p. 78]; “localiser un objet en un point quelconque signifie se repr´esenter le mouvement (c’est-`a-dire les sensations musculaires qui les accompagnent et qui n’ont aucun caract`ere g´eom´etrique) qu’il faut faire pour l’atteindre” [Poincar´e 1905, p. 67]. Per Poincar´e e` la presenza dei corpi, del nostro corpo in particolare, e dei movimenti, dei nostri movimenti, a generare la nozione di spazio. Come e` noto, ci`o lo portava anche a posizioni estreme, come il cosiddetto convenzionalismo, in base al quale gli assiomi non sono altro che definizioni camuffate, che si scelgono in base alla loro comodit`a [Ibid., p. 75-76]. Quello che qui preme sottolineare e` che per Poincar´e, come per Riemann e a differenza di Kant, non esiste una teoria geometrica a priori del mondo. Essa e` invece costruita a partire dal mondo sensibile, anche se per il nostro “le sensazioni muscolari [. . . ] non hanno alcun carattere geometrico”. Oggi i progressi fatti dalla matematica e dalla logica da un lato, e dalle neuroscienze e dalle scienze cognitive dall’altro, permettono di affrontare il problema dei rapporti tra geometria e mondo sensibile in modo pi`u preciso e di capire perch´e certe scelte siano “comode”. Ne risulta che le intuizioni di Poincar´e, ma anche di altri come Enriques, Weyl, Piaget, hanno un fondamento scientifico quanto mai attuale. Ci`o risulta da vari studi, per esempio dalle ricerche sviluppate negli ultimi anni dal gruppo “G´eom´etrie et Cognition” alla Scuola Normale Superiore di Parigi coordinato da G. Longo, J.L. Petitot e B. Teissier1 . Essi illustrano ampiamente la possibilit`a e la natura di una rilettura “genetica” della geometria (e della matematica in generale). Ad esempio, gli studi di A. Berthoz (1997), illustre fisiologo del Coll`ege de France e collaboratore attivo del gruppo, mettono in luce che quando si afferra una palla lanciata verso di noi si ha un’integrazione multisensoriale di diversi sistemi di riferimento (p. 90), ciascuno dei quali permette di “simulare” lo spazio della percezione. Ci`o significa che lo spazio non ha bisogno di essere rappresentato in modo esplicito, con un sistema cartesiano o con una rappresentazione pixel per pixel dei suoi punti: per esempio, la soglia muscolare relativa a un certo angolo del braccio e` gi`a un sistema di riferimento nonch´e la codifica di una distanza. Nell’azione di afferrare la palla il sistema di riferimento e` costituito dallo spazio dell’articolazione e quantificato dalle soglie muscolari, comprese quelle dei muscoli oculari che seguono il movimento della palla. Esso e` ottenuto per trasferimenti successivi da un sistema di codifica all’altro a partire dalla ricostruzione analogica sulla retina. In tale trasferimento giocano un ruolo essenziale gli invarianti (cio`e l’appercezione della stabilit`a di certi fenomeni rispetto agli altri). Ci`o che chiamiamo posizione, velocit`a, accelerazione della palla e` rappresentato nei vari sistemi di rappresentazione propri del nostro corpo (ad esempio la retina, i muscoli del braccio, e cos`ı via). In ci`o consiste la nostra “intelligenza geometrica” come esseri umani. Essa si costruisce come una rete di codifiche e/o di rappresentazioni analogiche ed e` acquisita tramite le pratiche delle nostre azioni nel mondo. A partire dagli invarianti in queste rappresentazioni e codifiche, si genera l’invarianza delle nostre rappresentazioni coscienti, per
1 http://www.di.ens.fr/∼longo/geocogni.html
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 4
esempio quelle del linguaggio (Gallese e Lakoff 2005), dello spazio e infine delle pi`u invarianti di tutte: quelle della matematica. E` importante tenere presenti questi studi nell’impostare l’apprendimento della geometria. Infatti le sue basi epistemologiche rivelano le sue profonde radici cognitive (Tall 1989)2 : si tratta di quelle che H. Weyl chiamava condizioni sufficienti per l’emergere di una teoria, cio`e quelle che “esigono” quella teoria e la rendono possibile. Per questo la geometria va affrontata nel suo contesto operatorio, nel modo con cui si agisce nel mondo: infatti l’oggettivit`a delle concettualizzazioni geometriche deriva proprio dai processi costitutivi loro propri. Non si tratta di un espediente didattico: per dirla con A. Campanile non si tratta cio`e di un’operazione tipo “insegnare l’abaco alle formicole”. Ma si tratta di fondare il metodo didattico sulle basi epistemologiche della disciplina. Dal punto di vista dell’apprendimento, si tratta di usare tutta la multimodalit`a delle vie di cui i soggetti dispongono per apprendere. Traendo spunto da Antinucci (2001)3 , possiamo distinguere infatti due modalit`a per l’apprendimento: quella che l’autore chiama la via simbolico-ricostruttiva e la via percet-tivo-motoria. In estrema sintesi, la via simbolico-ricostruttiva: K e` basata essenzialmente sull’interpretazione e lo scambio di simboli (linguistici, matematici, logici); K ricostruisce nella mente ‘oggetti’, significati attraverso rappresentazioni mentali a partire dai simboli stessi; K e` il modo pi`u sofisticato ed evoluto con cui si apprende; K il lavoro avviene totalmente all’interno della mente senza alcuno scambio con l’esterno che non sia l’input di simboli linguistici; K e` un lavoro cosciente e quindi stanca. La via percettivo-motoria: K avviene in un continuo scambio di input percettivi e di output motori con l’esterno; K spesso avviene a un livello inconscio che stanca molto meno. La conoscenza che deriva dall’apprendimento simbolico-ricostruttivo e` sempre e solo manifestabile verbalmente ed e` prodotta forzatamente. Quella che de2 Per
D. Tall una radice cognitiva e` un concetto chiave (anchoring concept), che puo` collegare la conoscenza in possesso dello studente con conoscenze piu` sofisticate, che debbono essere ancora costruite. Una R.C. ha due propriet`a fondamentali: ● il suo significato e` posseduto dagli studenti all’inizio della sequenza di apprendimento; ● permette espansioni cognitive per successivi sviluppi teorici, definizioni formali, ecc. Esempio: ‘‘l’essere diritto localmente’’ e` una R.C. per il concetto di tangente a una curva liscia. Ad essa corrisponde lo ‘‘zoom’’ di vari software, che permette di manipolare esempi e non-esempi del concetto matematico. Noi aggiungiamo anche una componente culturale alla dimensione cognitiva di Tall, come spiegato piu` avanti nel paragrafo.
3 Si vedano anche Simone (2000), che analizza le culture non-proposizionali e la frattura tra linguaggio
referenziale, strutturato, gerarchico e linguaggio comune; e Catastini (2009), che pur critica verso Antinucci, assume una posizione che ha molti punti di contatto con la nostra, quale sar`a precisata nel seguito del paragrafo.
Capitolo 1
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Perche´ la geometria sulle superfici 5
riva dall’apprendimento percettivo-motorio tende a essere interiorizzata e contestualizzata ed e` prodotta spontaneamente. Perci`o l’essere umano, se pu`o, adotta quest’ultima. Non si tratta di contrapporre le due vie, come fa Antinucci, ma di integrarle: vygotskianamente, ma anche montessorianamente4 , si pu`o dire che la via percettivo-motoria e` quella a cui bisogna mirare con le situazioni didattiche di partenza, perch´e gli studenti, esposti alla situazione, possano produrre spontaneamente una qualche idea, darle un senso, in virt`u delle loro conoscenze pregresse. Occorre cio`e esporre gli allievi alle radici cognitive e culturali dei concetti (vedi nota 2), sviluppando quella che Enriques chiamava analisi critica dei concetti matematici. E` compito dell’insegnante fare evolvere questo senso personale prodotto dagli studenti verso il senso scientifico, supportandoli verso la via simbolico-ricostruttiva e utilizzando eventualmente per questo scopo opportuni strumenti e sussidi didattici. E` interessante osservare che l’insegnamento tradizionale in matematica e` tendenzialmente di tipo trasmissivo e basato quasi esclusivamente su un metodo simbolico-ricostruttivo. La presenza di strumenti tecnologici vari (non solo il computer), l’uso di internet ecc. tende a produrre apprendimento di tipo percettivo motorio a differenza di quanto succede utilizzando solo i libri. Come slogan pedagogico per questo metodo, che ispira il nostro lavoro, si pu`o adottare la seguente frase di S. Papert: Impariamo meglio facendo, impariamo ancora meglio se colleghiamo il nostro fare con il parlare e il pensare su ci`o che abbiamo fatto. Questo metodo non e` una vera novit`a. Per fare un esempio illustre che riguarda la geometria, ricordiamo le anticipazioni, di impronta positivista e non esenti da critiche, di F. Enriques, che affront`o nella sua opera Problemi della scienza (1906) quello che chiamava “il problema filosofico dello spazio”. Seguendo Klein, che aveva cercato nelle impressioni sensoriali studiate da Helmholtz, Hering, Mach e Wundt la spiegazione psicologica dei postulati della geometria, e anticipando Piaget, il matematico livornese afferm`o che i tre rami della geometria costituiti dalla “teoria del continuo” (= topologia), dalla “geometria metrica” e dalla “proiettiva” sono collegati con tre diversi ordini di sensazioni: rispettivamente, quelle generali tattilo-muscolari, quelle del tatto speciale (o meccaniche) e le visive. La “genesi psicologica” dei concetti geometrici e` un problema che non si pu`o eludere nella scuola. Una scelta accurata delle esperienze da cui partire per introdurli e` essenziale. Esse devono risultare consonanti con i concetti da insegnare sia cognitivamente sia culturalmente: la progettazione didattica presuppone quindi un’analisi critica (secondo la terminologia di Enriques) accurata dei concetti portanti della geometria.
4 Catastini
(2009) giustamente osserva che ‘‘nelle opere e nelle pratiche didattiche della Montessori troviamo [. . . ] una miniera di pensieri chiari e profondi sull’importanza dell’intervento del pensiero percettivo motorio nelle questioni fondamentali riguardanti l’apprendimento’’ in matematica, in particolare in geometria (Montessori 1934).
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 6
Ci spiegheremo con un esempio, che e` fondamentale per il nostro lavoro: quello di retta. Negli Elementi di Euclide (Def. 4) troviamo la seguente definizione di retta: (Una retta e` quella che giace parimenti [’ι´σoν] con i punti su se stessa5 ). Nei testi moderni di geometria elementare (ad es. Hilbert 1899) invece, come e` noto, non si d`a alcuna definizione esplicita di retta, in quanto il suo significato e` veicolato implicitamente dagli assiomi, i quali distillano il suo significato intuitivo all’interno di un sistema formale (si tratta di una tipica ricostruzione simbolica). Da quali esperienze partire, che inneschino anche un apprendimento percettivo-motorio, per giungere al concetto di retta e affrontare in un secondo momento una sistemazione assiomatica della geometria? Il significato di Euclide, come appare dall’interpretazione di Heath, sembrerebbe riferirsi all’idea di simmetria. Esperienze legate a questa idea possono essere quella di ripiegare la carta: comunque si pieghi un foglio di carta si genera sempre una (parte di) retta. Un ulteriore approfondimento si ottiene chiedendosi con quale strumento si pu`o tracciare una (parte di) retta; la riga va bene; ma allora si pone il problema di sapere se la riga e` “diritta”, altrimenti potrei sbagliarmi. Si pu`o certamente usare un controllo “visivo” (seguendo l’idea di Enriques che la geometria proiettiva e` collegata alle sensazioni visive). Oppure si pu`o usare un controllo “meccanico” (seguendo in questo Lobachevsky): si fanno due copie identiche del righello e se i tre righelli cos`ı ottenuti scorrono esattamente l’uno sull’altro a due a due si e` certi di avere un righello diritto (`e interessante discutere con gli allievi perch´e due soli righelli non bastano). Il metodo tra l’altro era usato dai “meccanici aggiustatori” dell’industria metalmeccanica, quando questa professione esisteva ancora. Lo stesso problema fu affrontato da altri meccanici fin da epoche remote, quando i tecnici dovettero affrontare il problema della conversione del moto circolare (prodotto per esempio da una ruota mossa dall’acqua) in un moto rettilineo (per esempio per azionare un maglio). La questione divenne cruciale con
Figura 1.1 Macchina a vapore con il meccanismo articolato di Watt: e` il parallelogramma con il braccio collegato allo stantuffo in alto a sinistra (da Henderson e Taimina 2004)
5 Abbiamo
seguito la traduzione di Heath’s (1926/1956): ‘‘a line that lies evenly with the points on itself’’ (p. 153). In una nota Heath spiega: ‘‘l’idea che Euclide intendeva esprimere era quella di una linea [. . . ] senza irregolarit`a o asimmetrie che ne potessero fare distinguere una parte o un lato da un altro’’ (p. 167).
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Figura 1.2 Il meccanismo di PeaucellierLipkin (da Bartolini Bussi e Maschietto 2006)
le macchine a vapore dove la conversione tra i due moti significava poter azionare una variet`a di stantuffi per gli usi pi`u disparati (per esempio nelle locomotrici dei treni). Fu J. Watt a risolvere (in parte) il problema nel 1784, progettando un meccanismo articolato per “il moto parallelo”, come diceva lui (Fig. 1.1). In realt`a il meccanismo di Watt non produce un moto rettilineo ma solo uno localmente e approssimativamente tale. Il problema fu risolto completamente nel secolo successivo indipendentemente da un ufficiale francese, C. N. Peaucellier, e da uno studente russo, L.L. Lipkin (Fig. 1.2). Per ulteriori informazioni su questo problema si pu`o consultare: Bartolini Bussi e Maschietto (2006), Giusti e Conti (2000) e Henderson e Taimina (2005). Questi meccanismi producono una linea “diritta” nello spazio. Se non sono un ingegnere che ha bisogno di progettare stantuffi, posso risolvere il problema di individuare concretamente la parte di retta che passa per due punti semplicemente tendendo un cordino: era il metodo usato gi`a dagli arpenodapti (= tenditori di corde), funzionari del faraone che misuravano i campi dopo le periodiche inondazioni del Nilo nell’antico Egitto (secondo alcuni, i primi tre postulati di Euclide sarebbero tratti dalle loro pratiche). Mentre i meccanismi di Watt, Peaucellier e Lipkin cercano di soddisfare alla richiesta di “andare diritto”, la costruzione col cordino corrisponde all’idea di “linea pi`u breve tra due punti”. Riassumendo, se si analizza criticamente il concetto di retta si trovano le seguenti radici cognitive: K la simmetria; K l’andare diritto; K la linea pi`u breve. I primi due sono concetti sia locali sia globali, mentre il terzo ha un carattere locale. Notiamo che tutti i tre aspetti sono utili quando ci pensiamo immersi in uno spazio non meglio identificato e cerchiamo di capire come si possa produrre una linea retta. Essi possono produrre apprendimento percettivo motorio. L’idea anche in questo caso non e` nuova: Enriques (1906, §11) ricorda che per introdurre la curvatura “Gauss ha addotto un argomento suggestivo, che e` stato poi ripreso
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da Helmholtz e da Clifford, e va generalmente sotto il nome del primo di questi due filosofi. Figuriamoci l’esistenza di animaletti superficiali, cio`e schiacciati sopra una superficie, i quali siano liberi di muoversi strisciando su questa. Dotiamo codesti esseri immaginarii di un’intuizione spaziale, che valga a coordinare la sensibilit`a e a dirigerne i movimenti, nel campo a due dimensioni (superficie) costituente il loro spazio. Due animaletti simili, uno dei quali si muova in un piano, l’altro sopra una superficie leggermente incurvata, potrebbero essere guidati ugualmente da una medesima intuizione geometrica, raffigurandosi il loro spazio come un piano.” Tradotto altrimenti, se mi immagino di essere l’animaletto superficiale, come posso immaginare di produrre una retta? Camminando diritto (idea b). Che cosa significa questo? Potrei infatti trovarmi in realt`a su di una superficie curva, ma non avere percezione di questo. Allora devo muovere i miei passi tracciando idealmente una linea in cui i miei piedi si dispongono simmetricamente rispetto a questa (idea a), e non devo assolutamente “deviare” (idea b) n´e allungare il mio cammino (idea c). Usando il citato linguaggio di D. Tall, si tratta della radice cognitiva del concetto di geodetica. Ma la radice non e` solo cognitiva. Abbiamo citato anche alcuni strumenti che storicamente sono stati usati per generare le rette: dal tendere i cordini, alle pratiche dei meccanici aggiustatori, al movimento dei meccanismi articolati, ai piegamenti dei fogli di carta. Non si tratta solo di un apprendimento percettivo-motorio, ma dell’intreccio con la componente simbolico-ricostruttiva che viene continuamente esperita e stimolata. N´e si tratta di un apprendimento cognitivamente consonante solo con il nostro essere biologico; esso e` anche culturalmente consonante con il nostro essere sociale: infatti le pratiche sopra accennate hanno un significato culturale, che l’analisi storico-critica mette in luce (Radford 2003). Il nostro lavoro vuole essere una introduzione al concetto di geodetica, come concetto base in geometria, su queste posizioni pedagogiche, in una variet`a di ambienti molto semplici, ma ricchissimi da vari punti di vista (cognitivo, epistemologico, didattico): la sfera, il cono, il cilindro, il piano e infine (un po’ meno semplice) la pseudosfera. Lo faremo esperendo le radici cognitive e culturali di questo concetto e supportando gli allievi con strumenti e oggetti vari (dai cordini, alle carte geografiche per naviganti in questi mondi, alle aste orientate per studiare la curvatura di una superficie, ai modelli virtuali costruiti con software di geometria dinamica). Vedremo come questo metodo permetta di giungere anche a una ricostruzione simbolica abbastanza avanzata. Le sperimentazioni fatte dagli autori insegnanti in vari tipi di scuola hanno dimostrato che tale ricostruzione e` stata sempre accompagnata dalla comprensione dei concetti matematici soggiacenti, cio`e il conseguimento dell’obiettivo primo dell’insegnamento della matematica, come recita un documento del curricolo dell’UMI: La formazione del curricolo scolastico non pu`o prescindere dal considerare sia la funzione strumentale, sia quella culturale della matematica: strumento essenziale per una comprensione quantitativa della realt`a da un lato, e dall’altro un sapere logicamente coerente e sistematico, caratterizzato da una forte unit`a culturale. Entrambi gli aspetti sono essenziali per una formazione equilibrata degli studenti: priva del suo carattere strumentale, la
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matematica sarebbe un puro gioco di segni senza significato; senza una visione globale, essa diventerebbe una serie di ricette prive di metodo e di giustificazione. I due aspetti si intrecciano ed e` necessario che l’insegnante li introduca entrambi in modo equilibrato lungo tutto il percorso di formazione (La Matematica per il Cittadino, 2003, Premessa).
1.3 Origine del libro La stesura di questo libro e` conseguenza e conclusione di sperimentazioni condotte in pi`u classi di svariati tipi di istituti di istruzione secondaria superiore di Torino (Licei Scientifici, Linguistici e Pedagogici, Istituti Tecnici) negli anni tra il 2004 e il 2006, da un gruppo di insegnanti, fra i quali gli estensori della presente trattazione, coordinati dal prof. Arzarello in un’attivit`a di ricerca in didattica della matematica, e in particolare della geometria, ispirata alle finalit`a, e in applicazione delle metodologie, che sono state esplicitate nei precedenti paragrafi. I materiali di supporto a tali sperimentazioni sono entrati inoltre a far parte del progetto “Lauree scientifiche”, attivato a partire dal 2003, essendo in sintonia con gli obiettivi, propri del progetto, di promozione e ampliamento dell’immagine della matematica e delle discipline scientifiche in genere, nonch´e dell’offerta di incontro con esse. Tali materiali, disponibili sulla piattaforma on-line di Springer ExtraMaterials, sono strutturati in sequenze di Attivit`a, raggruppate secondo filoni tematici legati alle differenti superfici sulle quali si conducono le esplorazioni, cui si aggiunge il tema trasversale relativo alla curvatura di linee e superfici. Per ciascuna delle Attivit`a si e` predisposta una Scheda di lavoro rivolta agli studenti e una pi`u ricca raccolta di informazioni per l’insegnante.
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La scheda per gli studenti pone quesiti, stimola la curiosit`a, guida gli studenti a compiere esplorazioni, misure, calcoli, a fare congetture, a trarre conclusioni, a “fare geometria” in prima persona, usando materiali poveri o strumenti tecnologici. Nel corredo per l’insegnante trovano posto un’introduzione alle finalit`a e ai contenuti dell’Attivit`a, qualche approfondimento disciplinare, indicazioni metodologiche, suggerimenti di tipo pratico sui materiali da utilizzare. Ricompare inoltre la scheda–studente compilata con possibili risposte, onde esemplificare gli esiti che ci si possono attendere. I materiali possono essere utilizzati in modo sufficientemente flessibile, nel senso che e` possibile tracciare tra di essi differenti percorsi, a seconda del grado di approfondimento cui ci si vuole spingere o della particolare tematica che si intenda sviluppare. Ne abbiamo ideati alcuni:
I dettagli relativi a ciascuno dei percorsi sono riportati, insieme all’indice dei materiali disponibili su Springer ExtraMaterials.
1.4 Perche´ il libro? Questo libro nasce, secondo i propositi iniziali, con l’intento di fornire un pi`u ampio e approfondito corredo informativo per l’insegnante che volesse avventurarsi lungo le strade indicate dalle sperimentazioni sopra descritte. Nel corso della stesura la ricerca si e` per`o ulteriormente sviluppata, diramandosi in direzioni inizialmente impensate, a riprova di quanto fecondo fosse l’apparentemente semplice spunto iniziale di ricercare le vie diritte sulle diverse superfici. L’impegno posto nell’immedesimarsi nella situazione prettamente intrinseca di un essere pensante bidimensionale ha indotto un’approfondita riflessione sui fondamenti stessi della geometria, intesa come sistema assiomatico, e sul suo rimodellarsi per adattarsi alle propriet`a delle diverse superfici. Altri approfondimenti teorici hanno fatto luce sul concetto di curvatura e sulla sua misura intrinseca mediante il trasporto parallelo, sulla conformazione e il dispiegarsi delle geodetiche proprie delle diverse superfici, in particolare con originali apporti nel caso di cilindro, cono e pseudosfera, sulle loro possibili proiezioni piane in mappe di differente tipologia, tra le quali in particolare le mappe conformi di sfera e pseudosfera, su differenti modelli di geometrie iperboliche. Tutto ci`o ha portato ad analizzare in modo
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pi`u fine il discrimine tra geometrie euclidee e non euclidee, aggiungendo una categoria intermedia di geometrie solo localmente euclidee. Accanto a queste trattazioni di stampo squisitamente matematico sono presenti nel libro espansioni in campi che potrebbero tradizionalmente essere giudicati alieni. In particolare lo studio condotto sulla sfera ha trovato una logica estensione nell’analisi di alcune delle problematiche che l’uomo, in quanto abitante di un pianeta a forma sferoidale, ha dovuto affrontare, il navigante in primis, con le sue necessit`a legate al conoscere la propria posizione e l’orientamento da imprimere alla propria imbarcazione. Ci si e` dunque in qualche misura riappropriati della tanta geometria incarnata, per esempio, nella pratica della navigazione astronomica. Cos`ı come, parallelamente, ci si e` avvicinati alle problematiche legate alle riproduzioni cartografiche della superficie terrestre. Ancora pi`u divergente un piccolo excursus nel campo della sartoria, a cogliere le ragioni geometriche nascoste nei metodi con i quali i sarti modellano una superficie piana per eccellenza, la pezza di stoffa, sulle rotondit`a proprie del corpo umano. Continui, in generale, i riferimenti alle situazioni della vita reale nelle quali le geodetiche sulle diverse superfici vengono utilizzate per la loro intrinseca propriet`a di vie diritte (ed anche, sovente, pi`u brevi). A chiusura della trattazione l’interrogativo euclideo s`ı/no viene esteso allo spazio fisico nel quale la Terra e` immersa, allo scopo di esaminare quali risposte le indagini fin qui condotte in campo scientifico forniscono a proposito della curvatura dell’Universo. Complessivamente dunque questo libro presenta una variet`a di spunti che interpretano il tema della geometria in senso ampio e libero da schemi precostituiti, azzardando contaminazioni tra una matematica “alta”, che si sviluppa in verticale verso la pura astrazione e la contemplazione di modelli, e una matematica “bassa” che si sviluppa in orizzontale facendosi trama razionale di pratiche della realt`a fisica e della vita reale. Cosa non e` questo libro? Non e` un testo scolastico da dare direttamente in mano agli studenti, anche se si rivolge principalmente al mondo della scuola; non e` un trattato sulle geometrie non euclidee, perch´e non ha n´e la sistematicit`a n´e la completezza che a una tale trattazione si richiederebbe; non e` di facile lettura e non e` nemmeno di difficile lettura, perch´e ci sono al suo interno parti estremamente discorsive, ma ad esse si alternano parti, assai curate nelle spiegazioni, ma comunque decisamente impegnative. Diciamo che questo libro si rivolge a chiunque voglia tornare a porsi in modo critico e curioso di fronte al problema Geometria.
Capitolo 2 La geometria sulla sfera 2.1 La formica euclidea
Proviamo a ipotizzare l’esistenza di una formica euclidea, ovvero di una formica pensante che, imprigionata su di un pallone isolato nel vuoto, senta l’esigenza di dare un ordine razionale al suo ambiente. Potrebbe essere la stessa famosa formica che, correndo sul nastro di Moebius disegnato da Escher, e` pervenuta alla conclusione che quel nastro ha una sola faccia. Se ci immedesimassimo in questa formica arriveremmo a una descrizione perfettamente intrinseca della geometria sulla sfera, ovvero alla descrizione che dispone delle sole due dimensioni nelle quali si estende la sua superficie e rinuncia alla stampella della terza dimensione che consente a noi di guardare la sfera dal di fuori. La formica ripercorrerebbe probabilmente i passi logici dei pensatori greci di cui Euclide sistematizz`o le speculazioni nei dintorni di quel lontano 300 a.C. In particolare, dopo aver idealmente scomposto la superficie su cui cammina in un’infinit`a di punti, li riaggregherebbe in sottoinsiemi, funzionali alla ricomposizione del suo spazio in forme ideali. Il primo insieme di punti che prenderebbe in considerazione sarebbe quello che lei stessa compone nel camminare, la linea, e poi, tra le linee, quella diritta, ovvero quella che traccia sul suolo effettuando, con le zampette di destra e di sinistra, passi simmetrici di uguale ampiezza, che le impediscano di sbandare lateralmente. A sorpresa potrebbe pervenire alla stessa definizione fornita da Euclide per il piano: una retta e` quella che giace parimenti con i punti su se stessa, definizione che, a dispetto del verbo “giacere”, conserva un che di dinamico nell’attenzione reciproca con la quale i punti vanno giustapponendosi. Se, come Euclide, la formica volesse interrogarsi sull’estensione della sua linea diritta scoprirebbe per`o ben presto che, camminando diritta davanti a s´e senza stancarsi, in una qualsiasi direzione, raggiungerebbe, prima o poi, il punto di partenza e dovrebbe concludere che la sua linea diritta ha un requisito fondamentale: e` chiusa. Anzi di pi`u: che tutte le infinite linee diritte che potrebbe percorrere partendo da un dato punto la riporterebbero a quello stesso punto richiudendosi proprio in esso. Il suo spazio e` limitato e ha caratteristiche intrinsecamente omogenee in tutti i punti. Non alle stesse identiche conclusioni giungerebbe infatti una formica che tracciasse linee diritte su di una patata, pur essendo questa un altro esempio di spazio limitato. Da questo fatto discendono molte delle considerazioni che potrebbe in seguito effettuare. Questa premessa ha lo scopo di porre in primo piano la necessit`a di affrontare le questioni relative alle geometrie sulle differenti superfici sapendo innanzitutArzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 2, © Springer-Verlag Italia 2012
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to distinguere tra visione intrinseca e visione estrinseca, cos`ı come e` importante saper parallelamente distinguere tra visione locale, che abbraccia una limitata porzione della superficie, e visione globale, che ne abbraccia l’intero sviluppo. Nei percorsi da noi proposti sar`a frequente la richiesta di passare da una visione all’altra, perch´e proprio il confronto tra i diversi punti di vista consentir`a di pervenire a delle conclusioni convincenti.
2.2 La geodetica sulla sfera Possiamo per il momento lasciare la formica alle sue esplorazioni e recuperare il pi`u comodo sguardo che la terza dimensione ci consente. L’“andare diritto” sembra essere una delle radici concettuali con le quali possiamo transitare da un ambiente a un altro conservando una modalit`a unitaria di costruzione delle differenti geometrie. Ma se abbiamo potuto in qualche modo immaginare come andare diritti stando sulla superficie, si tratta ora di mettere a punto una tecnica che consenta di tracciare su di essa linee diritte essendone al di fuori. In termini un po’ pi`u rigorosi si tratta di poter disporre di una definizione di geodetica, intesa come la generica linea diritta su di una data superficie, che utilizzi la presenza della terza dimensione. Tale definizione ci costringerebbe a mettere in campo i concetti di curvatura di linee e superfici: lo faremo pi`u avanti in un capitolo a essi dedicato. Ci soccorre per ora la possibilit`a di intervenire in modo diretto e concreto sulla superficie in esame: fili, nastri, elastici, striscioline di carta possono essere appoggiati su di essa alla ricerca di quale tra di essi ci consenta di meglio visualizzare sulla superficie una linea che traduca, in modo sensibile alla nostra vista e al nostro tatto, un andare diritto inteso come assenza di sbandamenti laterali. Ed e` proprio un “fare matematico” simile a un “fare” da scienza sperimentale che ci consente di verificare che una strisciolina (o un sottile nastro adesivo), appoggiata punto per punto in modo ben aderente alle locali variazioni della superficie, grazie alla flessibilit`a selettiva di cui dispone (pu`o incurvarsi solo longitudinalmente ma non lateralmente), traccia, lungo la sua mediana, la via diritta su di una qualsiasi superficie (Fig. 2.1). Questa diventa la definizione operativa di geodetica.
Figura 2.1 Geodetica su di una superficie non piana
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La geometria sulla sfera 15
Quale geodetica sulla sfera? Disponendo di palloni, di flessibili striscioline e delle possibilit`a offerte dalla terza dimensione, non e` difficile scoprire, utilizzando il metodo messo a punto, che le geodetiche sulla sfera sono le circonferenze massime, ovvero le circonferenze che si otterrebbero sezionandola con piani passanti per il suo centro (punto la cui esistenza la formica non pu`o nemmeno immaginare). Sono cos`ı geodetiche le circonferenze che sulla sfera Terra siamo abituati a chiamare equatore e meridiani, mentre non lo sono i paralleli.
Figura 2.2 Automobilina senza sterzo su una sfera
E se provassimo a correre su di una sfera con un’automobilina senza sterzo (Fig. 2.2)? Anche l’automobilina, o un qualsiasi altro dispositivo dotato di due ruote di ugual diametro e prive di sterzo, se accompagnata senza esercitare pressioni laterali, percorrerebbe una circonferenza massima, confermando la sua qualit`a di linea diritta.
Figura 2.3
Considerati poi due qualsiasi punti, che non siano agli antipodi rispetto al centro, si scopre che possono essere connessi da due distinti tratti di una stessa geodetica (Fig. 2.3) e che uno dei due e` il percorso di lunghezza minima possibile tra quei due punti: questa propriet`a pu`o essere verificata utilizzando un nastro graduato flessibile (per esempio del tipo usato dai sarti) per confrontare la sua
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lunghezza con quella di qualsiasi altro tratto di linea tracciabile tra i due punti (vedi Figg. 2.4 e 2.5). Si conquista cos`ı una fondamentale caratteristica della geodetica sulla sfera: la via diritta e`, localmente, anche il cammino pi`u breve.
Figura 2.4 tratto di curva
Misura su
Figura 2.5 Misura su segmento di geodetica
E se usassimo un elastico? L’elastico pu`o confermare le conclusioni cui si e` giunti a proposito delle geodetiche sulla sfera: K un tratto di elastico teso tra due punti (Fig. 2.6) si dispone lungo una certa linea che si rivela essere proprio un tratto di geodetica. L’elastico pizzicato e successivamente rilasciato riacquista la sua disposizione iniziale: ci`o prova che quello e` il cammino minimo tra quei due punti, dal momento che l’elastico per sua natura tende alla posizione di energia minima, ovvero alla posizione di minor allungamento; K un elastico chiuso ad anello intorno a una sfera trova una sua posizione di equilibrio (instabile!) lungo una circonferenza massima e dunque in una posizione di massimo allungamento. Ci`o pu`o apparire in contraddizione con quanto detto prima: in realt`a, dal momento che in un elastico circolare dilatato le forze di
Figura 2.6 Alzando il dito l’elastico tornerebbe a disporsi sulla geodetica per P e Q
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richiamo sono orientate verso il centro della sua circonferenza, solo se questa coincide con la circonferenza massima della sfera si potr`a avere quel bilanciamento tra le forze elastiche e la reazione della superficie (che si manifesta sempre perpendicolarmente in ogni punto, e dunque nella direzione del raggio della sfera) che porta all’equilibrio. Infatti, spostato anche solo di pochissimo, l’elastico schizza via dalla sfera richiudendosi lontano. Il fatto che tale condizione di equilibrio non si verifichi invece lungo un parallelo, il cui raggio non si sovrappone al raggio della sfera, pu`o aprire un primo spiraglio sulle caratteristiche che, vedremo pi`u in generale, dovranno far parte della definizione di geodetica per una qualsiasi superficie.
2.3 La sfera e` curva Chiunque, essendo immerso nello spazio euclideo tridimensionale, osservando un pallone, giudica curva la sua superficie e fa mostra, con ci`o, di utilizzare un concetto intuitivo di curvatura. E la formica che cammina sul pallone? Dopo aver scoperto che la sua superficie e` limitata, pu`o anche scoprire che e` curva? Ovvero, la curvatura di una superficie e` una sua propriet`a intrinseca? Il quesito e` stato al centro degli studi, tra gli altri, di Gauss e Riemann, anche in riferimento al pi`u importante interrogativo: lo spazio in cui viviamo e` lo spazio della geometria euclidea, che ha curvatura nulla, oppure e` uno spazio curvo? Sarebbe necessaria una quarta dimensione per valutare la sua curvatura oppure possiamo rilevarla essendo immersi in esso? Prescindendo dalle risposte fornite dalla geometria differenziale, frutto per l’appunto dei loro studi, riflettiamo su alcuni indizi semplici, alla portata della formica euclidea. Primo indizio: non e` possibile tracciare un quadrato (con le proprieta` che lo definiscono nel piano) Se partendo da un punto si traccia sulla superficie un segmento di geodetica di lunghezza d, poi si ruota di 90○ e si traccia un secondo segmento di lunghezza
Figura 2.7
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 18
d e nuovamente si svolta di 90○ nel medesimo verso precedente; e si ripete fino ad aver tracciato 4 segmenti di pari lunghezza, si scopre che il quadrato non si chiude. Nella foto in Fig. 2.7 si osserva una prova effettuata appoggiando su di una semisfera il profilo di un quadrato piano che e` stato svuotato della parte interna e ridotto a sottile contorno: aperto in un vertice, i suoi quattro lati si sono, come le striscioline, adagiati su tratti di geodetica conservando rigidamente gli angoli retti del quadrato originario ma i due estremi della spezzata non si incontrano. Secondo indizio: il trasporto parallelo Se si cammina lungo un percorso chiuso, per esempio lungo il perimetro di un triangolo, tracciato sulla sfera con archi di geodetica, tenendo in mano un’asta orientata in modo da mantenerne costante la direzione durante l’intero percorso, ovvero in modo che sia costante l’angolo che essa si trova a formare con ciascuno dei tratti di geodetica che lo compongono, quando si ritorna al punto di partenza ci si ritrova con l’asta orientata in una direzione diversa da quella di partenza, a differenza di quanto si verifica percorrendo il perimetro di un triangolo sul piano.
Figure 2.8 e 2.9 Trasporto parallelo su una sfera e su un piano a confronto: in entrambi i casi si parte dal punto A e si procede in senso antiorario, ritornando in A
Terzo indizio: il cerchio del giardiniere Se sulla superficie della sfera si tracciano circonferenze utilizzando come raggio una fune vincolata in un punto, e se ne misurano poi le lunghezze, si scopre che esse non sono proporzionali al raggio utilizzato secondo il costante rapporto 2π cui la geometria euclidea ci ha abituato. E` importante osservare che questi indizi della curvatura sono tali solo agli occhi di chi conosce, o ha potuto teoricamente concepire, una geometria del piano: chi avesse solo esperienza della superficie sferica non troverebbe in essi nulla di strano. Ecco perch´e la formica viene chiamata euclidea . . . Nei prossimi paragrafi approfondiamo dunque alcune delle “stranezze” che si presentano all’occhio di chi guarda la geometria sulla sfera avendo presente la geometria euclidea del piano.
Capitolo 2
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La geometria sulla sfera 19
Figura 2.10
2.4 Circonferenze sulla sfera Se immersi nella situazione intrinseca della formica si tracciano sulla sfera circonferenze concentriche di raggio via via crescente, si osservano alcuni fatti (Fig. 2.10): le loro lunghezze non crescono proporzionalmente al raggio ma crescono man mano sempre pi`u lentamente e la loro curvatura si riduce, fino al punto di diventare una linea diritta. Se ci si ostina a far crescere il raggio oltre questa situazione, si osserva un fatto davvero strano: le circonferenze che si generano, oltre ad avere lunghezze che prendono a decrescere, vanno man mano richiudendosi su un punto che non e` pi`u il centro cui e` ancorato il raggio che le disegna. E` necessario adottare una visione che usi la terza dimensione per rendersi conto che la circonferenza divenuta rettilinea e` una circonferenza massima (l’equatore) e che le circonferenze successive si vanno chiudendo sul punto antipodale rispetto al centro. Addirittura ci si accorge che una circonferenza sulla sfera ha due possibili centri, tra loro antipodali e due possibili raggi, in genere tra loro differenti. Anche per esplorare il rapporto circonferenza/diametro e` utile confrontare le due differenti visioni. Se infatti qualcuno, stando sulla sfera, dopo aver tracciato una circonferenza di raggio r, ne misurasse direttamente la lunghezza, scoprirebbe che il valore ottenuto e` minore del risultato 2πr indicato dalla teoria euclidea, ma non saprebbe spiegarne il motivo. Disponendo della terza dimensione si e` in grado di capire che la circonferenza di lunghezza calcolata 2πr non e` quella disegnata sulla sfera: e` invece la circonferenza del cerchio di raggio r giacente sul piano tangente alla sfera nel centro del cerchio. Le due circonferenze hanno lo stesso raggio ma non sono sovrapponibili, la seconda e` molto maggiore della prima (vedere Fig. 2.11). La circonferenza sulla sfera pu`o allora essere vista (Fig. 2.12) come l’intersezione tra la superficie sferica e un piano. Il suo raggio viene a dipendere dal valore dell’angolo α r ∗ = R sin α.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 20
Figura 2.11 il cerchio di carta ha lo stesso raggio della circonferenza disegnata sulla sfera, ma la sua circonferenza non puo` essere portata a coincidere con quella
E poich´e intanto (gli angoli saranno espressi in radianti) r =R⋅α il rapporto tra la circonferenza 2πr∗ e il diametro 2r sulla sfera viene a essere cos`ı espresso circonferenza 2πr ∗ 2πR sin α π sin α = = = . diametro 2r 2Rα α Tale rapporto dipende dunque dal valore di α, entit`a non valutabile da chi e` immerso in 2D, e, limitandosi a circonferenze su di una semisfera, pu`o variare tra il valore di π, per circonferenze di raggio tendente a zero e dunque su porzioni di sfera assimilabili al piano, e il valore 2 per la circonferenza massima coincidente con l’equatore.
Figura 2.12
2.5 Triangoli sferici Tre circonferenze massime che si incontrino due a due generano in totale 23 , ovvero 8 regioni triangolari sull’intera sfera. Per concentrarsi su una sola di esse senza
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La geometria sulla sfera 21
doverne complicare la definizione conviene porsi a lavorare su di una semisfera, dove e` sufficiente dire che un triangolo e` una regione delimitata dai tre archi di circonferenza massima tra di essi tracciabili: se ne avr`a uno solo compiutamente delimitato. Le novit`a pi`u rilevanti relative ai triangoli sferici possono essere cos`ı condensate: mentre possono esserci sulla sfera triangoli congruenti, la cui congruenza pu`o essere ricondotta a criteri del tutto analoghi ai tre criteri validi nel piano, non possono esserci sulla sfera triangoli simili. Anzi, due triangoli che abbiano i tre angoli congruenti sono essi stessi congruenti. E questo costituisce un quarto criterio di congruenza per i triangoli sferici. Proviamo a capire come ci`o sia possibile. Primo fatto: la somma degli angoli interni di un triangolo sferico e` maggiore di π radianti. Questa affermazione e` immediatamente verificata se si considera, per esempio, un triangolo ABC (Fig. 2.13) che abbia un vertice in un polo C e gli altri due sull’equatore.
Figura 2.13 ABC un triangolo sferico con due angoli retti
Poich´e i due lati CA e CB cadono perpendicolarmente sul lato AB, la somma degli angoli interni e` maggiore di π radianti. Si definisce perci`o come eccesso angolare ε la quantit`a di cui la somma degli angoli interni di un triangolo sferico sopravanza la somma degli angoli di un triangolo piano ε = (α + β + γ) − π. Il triangolo utilizzato come esempio e` particolare, ma la propriet`a si manifesta in qualsiasi triangolo. Secondo fatto: la somma degli angoli interni, e di conseguenza l’eccesso angolare, non e` costante. E` evidente che nello stesso triangolo prima considerato la somma degli angoli interni crescerebbe con il variare dell’apertura dell’angolo in C, la cui ampiezza, in questa particolare configurazione, viene a coincidere proprio con l’eccesso angolare. Terzo fatto: l’eccesso angolare dipende dall’area del triangolo, e` infatti proporzionale a essa.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 22
Si dimostra infatti il seguente Teorema (vedere dimostrazione nell’Approfondimento che segue): Area(ABC) = εR 2
ovvero
ε=
Area(ABC) R2
dal quale discende che a parit`a di raggio, e quindi per triangoli appartenenti alla stessa sfera, l’area dipende dal valore degli angoli. Ovvero triangoli aventi angoli congruenti non sono semplicemente simili (propriet`a che nel piano consente loro di avere diversa area e diverso perimetro), ma, avendo anche la stessa area, hanno rapporto di similitudine uguale a uno e sono dunque congruenti. La corrispondenza tra area e angoli e` proprio la caratteristica pi`u strabiliante dei triangoli sferici, soprattutto se aggiungiamo: Quarto fatto: mediante il trasporto parallelo possiamo valutare l’eccesso angolare. Si dimostra infatti che l’angolo per il quale si trovano a divergere il vettore in partenza con quello che e` stato portato lungo il perimetro del triangolo mantenendo costante la direzione con i diversi lati, e` proprio pari all’eccesso angolare (Fig. 2.14). Si apre dunque un’insperata possibilit`a per la formica che sa di geometria: valutare il raggio e dunque la curvatura della sfera su cui abita, provando con ci`o che la curvatura e` una propriet`a intrinseca. Deve invero procurarsi una misura dell’area da tutto ci`o indipendente, e, supponendo che vi riesca, potr`a ottenere il valore del raggio come area(ABC) . R2 = ε
Figura 2.14 Nelle figure si puo` osservare come il vettore partito dal punto A e trasportato parallelamente in senso antiorario ritorni in A divergendo nei due casi in modo differente, in conseguenza della diversit`a degli angoli e delle aree dei due triangoli
2.6 Approfondimento Dimostriamo la relazione tra l’area del triangolo sferico e il suo eccesso angolare (olonomia). La relazione tra l’area di un triangolo sferico e la sua olonomia e` dimostrabile in modo semplice se si considera l’insieme di lunule che su di esso si intrecciano.
Capitolo 2
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La geometria sulla sfera 23
Figura 2.15
Preliminarmente (Fig. 2.15) valutiamo l’area L di una generica lunula di angolo α mediante l’evidente proporzione con l’area dell’intera superficie sferica: L ∶ 4πR 2 = α ∶ 2π L = 2αR 2 Considerando dunque un triangolo sferico ottenuto dalle intersezioni, due a due, di tre geodetiche c 1 , c 2 e c 3 (Fig. 2.16), si osserva che l’area (2πR2 ) della semisfera delimitata dalla geodetica c1 cui il triangolo appartiene pu`o essere espressa (prestando attenzione a evitare sovrapposizioni) come somma dei contributi delle tre lunule aventi origine nei tre vertici del triangolo, la cui area indicheremo con A (Fig. 2.17).
Figura 2.16
Figura 2.17
I tre contributi 2αR 2 + 2βR 2 − A + 2γR 2 − A
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 24
Ovvero 2πR 2 = 2αR 2 + 2βR 2 + 2γR 2 − 2A da cui A = R 2 (α + β + γ − π) = R 2 ⋅ ε
2.7 Il trasporto parallelo: approfondiamo Il trasporto parallelo fu probabilmente introdotto per la prima volta da L.E.J. Brower nel 1906 e poi studiato in modo generale, con gli strumenti della geometria differenziale, da Tullio Levi Civita e da Gerherd Hessenberg nel 1917. Qui di seguito ne esaminiamo gli aspetti legati alla geometria sulla sfera. Se, stando in uno stesso punto, di un piano o di una sfera, si fa un giro su se stessi, si compie una rotazione di 2π radianti.
Figura 2.18
Nel piano, se anzich´e ruotare nello stesso punto si cammina lungo un percorso chiuso, per esempio un triangolo, la rotazione complessiva e` equivalente. Se, infatti, per verificarlo si cammina portando in mano un versore (in rosso nella Fig. 2.18, partendo da A) che conservi memoria della direzione di partenza, si constata che in ogni vertice si svolta rispetto a esso di un angolo pari all’angolo esterno e dunque complessivamente: (π − β) + (π − γ) + (π − α) = 3π − (α + β + γ) = 3π − π = 2π. Tornando nel punto A di partenza le due direzioni tornano a coincidere, la rotazione compiuta dal vettore verde, direzione di marcia, e` pari alla somma degli angoli esterni che, nel caso del piano, e` appunto 2π. Effettuiamo la stessa prova su di un triangolo sferico (Fig. 2.19), trasportando dunque come prima un versore che conservi la direzione di partenza e ci consenta di valutare di quanto complessivamente ruotiamo nel nostro percorso. Il versore dovr`a mantenere costante l’angolo che si trova a formare con ciascuno dei lati (che, ricordiamolo sono tratti di geodetica e, dunque linee diritte per chi cammina sulla
Capitolo 2
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La geometria sulla sfera 25
Figura 2.19 il versore trasportao da A in senso antiorario, tornato in A forma un angolo delta con la sua direzione di partenza
sfera). Sulla figura si parte da A e, percorrendo il triangolo in senso antiorario, si ritorna in A. Come prima, a ogni vertice l’angolo di rotazione tra il versore e la nostra direzione si incrementa di un angolo pari all’angolo esterno; quando raggiungiamo il punto di partenza constatiamo per`o che l’angolo di rotazione totalizzato non e` pari a 2π: tra la direzione assunta in partenza dal versore e quella riportata al termine del percorso c’`e una divaricazione, la rotazione compiuta e` inferiore a 2π di un certo angolo (δ in figura). Questa differenza viene chiamata olonomia del triangolo. Se come prima effettuiamo i calcoli possiamo scoprire perch´e e qual e` l’angolo mancante. La somma degli angoli esterni potr`a come prima essere valutata in 3π−(α + β+ γ) ma ora, sulla sfera, la somma e` α + β +γ = π +ε e dunque la somma degli angoli esterni 3π − π − ε = 2π − ε e` inferiore all’angolo giro proprio di un angolo pari all’eccesso angolare (cio`e δ = ε ). Come a dire che, nel camminare lungo un percorso chiuso su di una sfera noi sommiamo alla rotazione evidente e calcolabile dovuta alle svolte intorno ai vertici, anche una rotazione nascosta, intrinseca, che accumuliamo passo passo, dovuta alla curvatura della superficie, rotazione che e` proprio quella che abbiamo chiamato eccesso angolare e il cui valore dipende dall’area della figura.
Capitolo 3 Euclide, Hilbert e la geometria sulla sfera Nei capitoli precedenti abbiamo assistito alle esplorazioni della formica euclidea sulla sfera e abbiamo condiviso con lei osservazioni e scoperte che sottolineano profonde differenze con quanto succede conducendo analoghe esplorazioni sul piano. Ad esempio abbiamo verificato che la somma degli angoli interni di un triangolo e` maggiore di 180˚, che i quadrati si comportano in modo strano e sembrano addirittura non esistere: abbiamo poi vissuto le incredibili esperienze del trasporto parallelo, ecc. Viene naturale domandarsi se sia possibile ricondurre tutte queste esperienze e “stranezze” a una spiegazione matematica chiara, cio`e a una teoria matematica che vada al di l`a dei fenomeni, che dia conto dei perch´e. Per fare questo e` importante capire quali sono le ragioni matematiche profonde su cui si basa l’edificio della geometria del piano. E` pertanto necessario passare dalla geometria intesa quale descrizione del mondo fisico, costituita tipicamente dalle pratiche legate ai problemi della vita di tutti i giorni (calcolare quante mattonelle mi servono per piastrellare un pavimento o di quanta vernice ho bisogno per pitturare una stanza) a una teoria matematica che dia ragione di tali pratiche, riconducendole tutte a poche “leggi chiare”. Cos`ı facendo ci renderemo conto di quali leggi valgano ancora se le interpretiamo sulla superficie della sfera e come eventualmente debbano essere modificate per ottenere una geometria del nuovo ambiente, in cui la formica sferica si trovi a suo agio. Il lavoro di elaborazione teorica per la geometria piana fu fatto, come e` noto, in epoche diverse in una storia affascinante, che ha ai suoi estremi temporali i nomi di due grandissimi matematici: K Euclide, direttore della biblioteca di Alessandria, intorno al 300 a.C., che sintetizza e presenta in un sistema organico e di tipo ipotetico deduttivo (gli Elementi) i risultati e le ricerche del pensiero matematico del tempo; K D. Hilbert, che nel 1899 con il volume Fondamenti della Geometria distilla i risultati di una sottile analisi critica del sistema euclideo e lo presenta in una forma assiomatica moderna, ancora oggi insuperata per rigore e profondit`a. Il sistema hilbertiano non e` l’unico. Esistono anche altri sistemi basati su altre idee. Ricordiamo qui quelli elaborati da Peano e dalla sua scuola, in particolare da Pieri, da O. Veblen e da A. Tarski. Nei paragrafi successivi analizzeremo le linee essenziali dell’impostazione euclidea e hilbertiana della geometria del piano, scoprendo le leggi che la fondano: approfondiremo cos`ı quelle conoscenze che meglio potranno guidarci nell’esplorazione del “nuovo mondo” e dare senso teorico alle nuove esperienze fatte.
Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 3, © Springer-Verlag Italia 2012
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3.1 Il sistema assiomatico di Euclide La sua opera Elementi e` formata da 13 libri. Nel primo libro troviamo: K 23 termini: definizioni/descrizioni di enti geometrici; K 5 postulati: proposizioni non dimostrate riferite ai termini; K 8 assiomi: proposizioni logiche non dimostrate, che riguardano concetti di tipo generale (per es. l’ uguaglianza); K 48 teoremi: di cui e` fornita la dimostrazione. Termini (oρoι) punto e` ci`o che non ha parti; linea e` lunghezza senza larghezza; estremi di una linea sono punti; linea retta e` quella che giace parimenti con i punti su se stessa; superficie e` soltanto ci`o che ha lunghezza e larghezza; ................................................................. XXIII. parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate e illimitatamente dall’una e dall’altra parte, non si incontrano tra loro da nessuna delle due parti.
I. II. III. IV. V.
Postulati (αιτηματα) I. II. III. IV. V.
che da qualsiasi punto si possa condurre una retta a ogni altro punto; che ogni retta terminata si possa prolungare continuamente in linea retta; si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro e ogni distanza (raggio); che tutti gli angoli retti siano uguali tra loro; che se una retta, incontrandone altre due, forma gli angoli interni da una stessa parte (la cui somma e`) minori di due retti, le due rette, prolungate all’infinito, si incontrino dalla stessa parte in cui sono i due angoli (la cui somma e`) minori di due retti.
Nozioni comuni (assiomi) (χoιναι εννoιαι) I. II. III. IV. V. VI. VII. VIII.
cose uguali a una stessa sono uguali tra loro; se a cose uguali sono addizionate cose uguali, le totalit`a sono uguali; se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono uguali; se cose uguali sono addizionate a cose disuguali, le somme sono diseguali; i doppi di una stessa cosa sono uguali tra loro; le met`a di una stessa cosa sono uguali tra loro; cose che coincidono tra loro sono uguali; il tutto e` maggiore della parte.
Capitolo 3
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Euclide, Hilbert e la geometria sulla sfera 29
Come abbiamo detto Euclide fu il primo a proporre una organizzazione delle conoscenze geometriche in un sistema ipotetico-deduttivo: a partire da un ristretto numero di enti geometrici e di principi (postulati e assiomi), si possono ricavare, con dimostrazioni rigorose e corrette, tutte le altre proposizioni vere (teoremi). Ma nel corso dei secoli lo studio dell’opera di Euclide ha evidenziato la necessit`a di un maggiore rigore logico in alcune sue parti e una pi`u precisa esplicitazione degli assiomi e dei termini primitivi introdotti. Si e` cos`ı pervenuti a una forma pi`u generale del sistema assiomatico euclideo, detta sistema formale, estendibile anche a ambiti diversi da quello geometrico. In un sistema formale concettualmente la forma e` scissa dai contenuti: gli oggetti del discorso, i termini primitivi, sono entit`a astratte prive di significato, identificate mediante simboli. Le relazioni tra di essi sono espresse in enunciati, detti assiomi, che concettualmente non necessitano di giustificazioni ma che intuitivamente hanno un significato condiviso. Le regole della logica governano l’intero sistema e consentono di dedurre dagli assiomi altri enunciati, i teoremi, che approfondiscono sempre pi`u le propriet`a dei termini primitivi, nonch´e di quelli derivati definiti via via.
3.2 I sistemi formali I sistemi formali sono costituiti da: ● Un linguaggio. Esso consta di: a) alfabeto (= elenco di simboli) per: ● oggetti/enti variabili (a, A, α, . . . ); ● costanti; ● relazioni tra enti (es: congruenza, ordine, uguaglianza, . . . ); ● simboli logici (¬, ∀, ∧, ∨, ∃); b) sintassi, cio`e regole di formazione per generare le espressioni o enunciati tramite gli elementi dell’alfabeto. Di oggetti e relazioni non si fornisce alcuna definizione o significato: si chiamano perci`o termini primitivi. Il loro significato e` dato implicitamente dagli assiomi. K Assiomi (o postulati), cio`e enunciati nel linguaggio della teoria che esprimono propriet`a dei concetti primitivi che non sono dimostrate ma evidenti o accettate per vere (es. per due punti passa una sola retta), oppure schemi per leggi logiche (per es. A ∧ B → A). K Regole di deduzione, per ricavare enunciati da altri enunciati (per es. il Modus Ponens: da A e A → B si deduce B). K Termini definiti: enti di cui si fornisce definizione tramite i termini primitivi introdotti in precedenza; in tal modo il linguaggio della teoria viene via via esteso. Si noti per`o che in linea di principio, i termini definiti sono sempre eliminabili in quanto sostituibili con la loro definizione. Inoltre perch´e una definizione abbia senso occorre, a volte, avere gi`a sviluppato alquanto la teoria.
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K Teoremi, cio`e enunciati del linguaggio della teoria che sono dimostrati (per esempio in un rombo le diagonali sono perpendicolari). K Dimostrazioni: successioni finite di enunciati, in cui ciascuno e` un assioma o un teorema gi`a dimostrato o segue da enunciati che lo precedono nella successione in virt`u di regole logiche o di deduzione. L’ultimo enunciato della successione e` il teorema dimostrato. A volte il teorema assume la seguente struttura: se ipotesi allora tesi. In questo caso gli enunciati dell’ipotesi possono anch’essi comparire nella dimostrazione senza giustificazione. Utilizzando poi la regola del Modus Ponens sar`a possibile ottenere il teorema come ultimo enunciato della dimostrazione. In generale si richiede che: K il numero dei termini primitivi sia minimo; K gli assiomi siano: – i pi`u semplici possibili; – il loro numero sia ridotto al minimo; – complessivamente coerenti, cio`e da essi non si possano dedurre enunciati in contraddizione tra di loro (per es. A e non A); – indipendenti, cio`e nessuno sia dimostrabile dai rimanenti. Si spera anche che il sistema sia completo cio`e che per ogni enunciato E esprimibile con il linguaggio si possa dimostrare la validit`a di E o della sua negazione. Come si pu`o vedere un sistema formale e` dunque pura struttura logica, un contenitore “vuoto”, pronto a riempirsi di contenuto nel momento in cui si assegna un significato ai termini primitivi. La scelta degli assiomi e` cruciale: essi devono essere necessari e sufficienti allo scopo (non di pi`u e non di meno); garantita la loro indipendenza, questi devono permettere di dedurre, con le sole regole logiche, (tutti) i teoremi della teoria. Ed e` questo schema che ritroviamo nell’impostazione di Hilbert.
3.3 Un sistema formale moderno per la geometria piana Si tratta di un sistema di assiomi sostanzialmente equivalente a quello di Hilbert, che nei Fondamenti della Geometria in realt`a propose un sistema di assiomi per la geometria dello spazio. Con abuso di linguaggio indicheremo come assiomi di Hilbert quelli dell’elenco seguente. Linguaggio Si considerano due insiemi di oggetti: K i punti, che indichiamo con A, B, C, . . .; K le rette, che indichiamo con a, b, c, . . .; e quattro relazioni tra punti e rette: K incidenza (punto-retta);
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< ordine (tra tre punti allineati: scriveremo A-B-C per indicare che B e` compreso tra A e C); < congruenza tra segmenti; < congruenza tra angoli. Gli oggetti e le relazioni cos`ı introdotte sono i termini primitivi del sistema. Assiomi 1○ gruppo: assiomi di incidenza
K due punti distinti sono incidenti a una e una sola retta; < a ogni retta sono incidenti almeno due punti distinti; < esistono almeno tre punti che non sono incidenti alla stessa retta. Intuitivamente si parla di incidenza di una retta con un punto se la retta passa per il punto, di incidenza di un punto con una retta se il punto appartiene alla retta. Dopo aver dato definizione ai termini segmento, semiretta, angolo e triangolo e` possibile enunciare i seguenti assiomi. 2○ gruppo: assiomi di ordinamento
< se il punto B sta tra i punti A e C, allora A, B e C sono tre punti distinti di una stessa retta e B sta anche tra C e A; < se A e B sono due punti distinti di una retta, su questa retta vi e` almeno un punto C tale che B sta tra A e C; < dati tre punti distinti qualsiasi di una retta, ve ne e` uno solo che sta tra gli altri due; < se una retta interseca uno dei tre lati di un triangolo (in un punto diverso dal vertice), essa interseca anche un altro lato del triangolo. 3○ gruppo: assiomi di congruenza
< se A e B sono due punti, dato un qualunque punto A′ , si pu`o trovare un punto B′ tale che il segmento A′ B′ sia congruente al segmento AB; < la relazione di congruenza tra segmenti e` transitiva; < dati nell’ordine i punti A, B, C e i punti A′ , B′ , C ′ tali che AB e` congruente a A′ B′ e BC e` congruente a B′ C ′ allora AC e` congruente a A′ C ′ ; ̂ e una semiretta A′ B′ , di origine A′ , si pu`o sempre trovare un < dato l’angolo B AC ′ ̂′ C ′ e` congruente a B AC; ̂ punto C tale che B′ A
< se due triangoli ABC e A′ B′ C ′ hanno congruenti due lati e l’angolo compreso, essi hanno congruenti anche un secondo angolo. 4○ gruppo: assioma di continuita` (Assioma di Dedekind)
Si supponga che l’insieme dei punti di una retta l sia l’unione disgiunta A ∪ B di due suoi sottoinsiemi non vuoti, tali che nessun punto di uno dei due sottoinsiemi sia compreso tra due punti dell’altro sottoinsieme. Allora esiste un unico punto X di l tale che uno dei due sottoinsiemi e` una semiretta di l con origine X mentre l’altro ne e` il complemento.
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5○ gruppo: assioma della parallela
Data una retta r e un punto P esterno, esiste al pi`u una retta incidente a P e che non incontra r. Si noti che abbiamo enunciato gli assiomi usando parole prese dal linguaggio matematico (interseca) o di tutti i giorni (incontra) . In realt`a tutti gli enunciati sono rigorosamente esprimibili usando solo i termini ufficiali della geometria e della teoria degli insiemi, nonch´e i connettivi e i quantificatori. L’uso di un linguaggio informale rende pi`u comprensibili gli enunciati stessi. Un confronto dettagliato tra i sistemi assiomatici di Euclide e di Hilbert e` presente nell’Appendice A al fondo del volume. Qui ne mettiamo in evidenza solo alcuni aspetti. K Gli assiomi di Hilbert specificano meglio quelli di Euclide, esplicitando anche quelle proposizioni che Euclide utilizzava senza enunciarle, dandole per evidenti. Risulta che dagli assiomi di Hilbert si possono dedurre (e con pi`u precisione) tutti i teoremi dimostrati da Euclide, compresi i cinque postulati. K Hilbert nei concetti primitivi della sua geometria parla di punto e retta ma, secondo la teoria formale, senza un significato preciso; essi sono solo nomi, termini di cui non si d`a una definizione. Anzi sono gli assiomi a costituire una sorta di loro “definizione implicita”: noi non sappiamo definire una retta, ma la possiamo “conoscere” tramite i suoi assiomi, che ne specificano le caratteristiche. Ognuno ne pu`o pensare una concretizzazione materiale, un modello, purch´e questo modello soddisfi (renda veri) gli assiomi relativi. Vediamo allora di precisare il concetto di modello.
3.4 Modelli di un sistema assiomatico Un sistema formale, pura forma e struttura, si anima, diventa descrizione di una qualche realt`a, nel momento in cui lo si interpreta, ossia nel momento in cui si assegna un significato ai termini primitivi. A loro volta gli assiomi, che ne descrivono le propriet`a, acquistano un significato e possono risultare veri o falsi nell’interpretazione. Si dice modello di un sistema assiomatico ogni interpretazione dei termini primitivi tale che gli assiomi risultino veri. Per interpretazione intendiamo quanto segue: K si considerano due insiemi non vuoti di oggetti nei quali si interpretano i concetti primitivi “punto” e “retta”: ogni enunciato far`a riferimento a questi oggetti; K si considerano delle relazioni tra gli oggetti dei due insiemi: su di queste si interpretano le relazioni primitive del linguaggio della geometria (incidenza, ordine, congruenza). Sono possibili modelli diversi per la stessa teoria.
Capitolo 3
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Euclide, Hilbert e la geometria sulla sfera 33
Esempio Consideriamo la cosiddetta “geometria di incidenza”: e` un sistema formale i cui termini primitivi sono punti, rette e relazione di incidenza, mentre gli assiomi sono solo quelli del primo gruppo (assiomi di incidenza). Diamo una interpretazione ai termini primitivi e verifichiamo che gli assiomi risultano veri: abbiamo cos`ı creato un modello di tale geometria. Modello 1 “punto” → uno degli elementi dell’insieme di punti {A, B, C}; “retta” → uno degli elementi dell’insieme di coppie non ordinate di punti {(A; B), (B; C), (C; A)}. Rappresentiamo tali coppie con segmenti tratteggiati, anche se ne consideriamo solo gli estremi.
Figura 3.1
Assioma 1. Esiste ed e` unica la retta per due punti dati → per es. dati i punti A e B esiste un’unica “retta” (A; B). Assioma 2. Per ogni retta esistono almeno due punti su di essa → per es. per la “retta” (B; C) esistono due (e unici) suoi punti B e C. Assioma 3. Esistono almeno tre punti che non appartengono alla stessa retta → valido per A, B e C. Con le interpretazioni date abbiamo verificato che gli assiomi sono veri, quindi abbiamo un modello di tale teoria. Proviamo ora a verificare se in esso vale l’assioma della parallela (non essendo incluso negli assiomi ora e` un possibile teorema): data una retta e un punto esterno esiste ed e` unica la retta passante per il punto e parallela alla retta data → dati la “retta” (A; B) e il punto C non e` possibile tracciare una “retta” per C che non passi anche per A o B. In questo modello l’assioma della parallela non e` valido. Modello 2 “punto” → uno degli elementi dell’insieme di punti {A, B, C, D}; “retta” → uno degli elementi dell’insieme di coppie di punti {(A; B), (A; C), (A; D), (B; C), (B; D), (C; D)}. Assioma 1 → per es. dati i punti A e B esiste un’unica “retta” (A; B). Assioma 2 → per es. per la retta (B; C) esistono due (e unici) suoi punti: B e C. Assioma 3 → valido per qualunque terna di punti. Abbiamo un altro modello per la “geometria di incidenza” (Fig. 3.2).
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Figura 3.2
Vale l’assioma della parallela? S`ı: per esempio per la “retta” (D; C) e il punto A esiste la parallela (A; B) e analogamente per tutte le altre rette e punti. Modello 3 “punto” → uno degli elementi dell’insieme di punti {A, B, C, D, E}; “retta” → uno degli elementi dell’insieme di coppie di punti che si possono ottenere con i cinque punti dati.
Figura 3.3
Assioma 1 → per esempio dati i punti A e B esiste un’unica “retta” (A; B). Assioma 2 → per esempio per la retta (B; C) esistono due (e unici) suoi punti: B e C. Assioma 3 → valido per qualunque terna di punti. Abbiamo un altro modello per la “geometria di incidenza”. Vale l’assioma della parallela? No, per esempio per la “retta” (D; C) e il punto A esistono due parallele: le rette (A; B) e (A; E). Analogamente per tutte le altre rette e punti. I tre modelli precedenti sono stati creati scegliendo un diverso universo di oggetti (tre, quattro o cinque punti) a caratterizzare i termini primitivi. Avendo dato un significato ai termini indefiniti (punto, retta e relazione di incidenza), abbiamo potuto valutare (nei tre casi in modo sempre positivo) la veridicit`a degli assiomi. Tutti e tre sono modelli per la geometria di incidenza. In essi succedono cose strane secondo la nostra esperienza euclidea (per esempio, non esistono segmenti) e non in tutti vale l’assioma della parallela. Ma le stranezze riguardano solo il confronto tra il modello specifico e il nostro senso comune: l’importante e` che l’esistenza di un modello prova la coerenza del sistema assiomatico considerato (ovvero della teoria che esso costituisce), cio`e il fatto che dai suoi assiomi non sia possibile dedurre una contraddizione.
Capitolo 3
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Lo stesso Euclide non e` lontano da questo modo di vedere; infatti nelle sue dimostrazioni non usa le definizioni ontologiche dei suoi termini. Esse non hanno un ruolo nello sviluppo formale della geometria euclidea; aiutano solo a vederne un significato intuitivo. Le parti importanti della costruzione assiomatica sono la logica del sistema, le interrelazioni tra gli enti di cui essa parla, non l’interpretazione particolare che se ne pu`o dare. Quindi gli assiomi e i teoremi non diventano accettabili perch´e rispettano il significato dei concetti primitivi, ma al contrario sono i concetti primitivi che si adeguano nel loro possibile significato alle propriet`a richieste dai postulati. E` stato invece proprio il fatto di mettere in primo piano il significato dei termini primitivi suggeriti da Euclide che ha determinato nel tempo lo sviluppo di una geometria ritenuta l’unica vera, visto che i suoi assiomi erano verificati nell’unico modello, il piano, proposto e accettato. Le altre geometrie, con altri assiomi e con diversi teoremi derivanti da essi, risultavano strane, “sbagliate” rispetto all’usuale significato dato ai termini primitivi, ma erano comunque delle teorie coerenti. L’aspetto di coerenza o non contraddittoriet`a di una teoria e` quindi centrale e il concetto di modello permette di esplicitarne il significato. Il legame tra modelli e teoria si presenta molto interessante. Vediamone ancora alcuni aspetti. K Un teorema e` un enunciato dedotto logicamente dagli assiomi. Ma nel modello gli assiomi sono validi, e siccome la deduzione conserva la verit`a, ogni enunciato dedotto logicamente risulta vero. Cos`ı ogni teorema della teoria risulta vero in ogni suo modello. K Se di una teoria si e` trovato almeno un modello, si e` dimostrata anche la sua coerenza: infatti non potr`a mai succedere di derivare una contraddizione, cio`e un enunciato del tipo F e nonF. Tale enunciato dovrebbe infatti risultare vero nel modello; ma ci`o non e` possibile in quanto nel modello o vale F o vale nonF ma non entrambi. K Un enunciato vero in un modello non e` necessariamente un teorema. Infatti se un enunciato F di una teoria risulta vero in un modello ma falso in un altro modello della stessa teoria, allora n´e l’enunciato n´e la sua negazione sono teoremi dimostrabili nella teoria e la teoria e` detta non completa. K Una teoria e` detta invece completa se per ogni enunciato F esprimibile nel linguaggio della teoria, o F o nonF e` un teorema; cio`e ogni enunciato e` dimostrabile o confutabile. La teoria che contempla solo gli assiomi di incidenza non e` completa perch´e abbiamo visto che esiste un enunciato (quello della parallela) che non e` dimostrabile in essa (visto che risulta valido nel secondo modello ma non nel primo e nel terzo). K L’assioma della parallela non e` una conseguenza degli assiomi di incidenza, non e` da essi dimostrabile, cio`e e` da essi indipendente. In conclusione con la presenza di un unico modello si escluderebbero le conclusioni appena illustrate per la geometria di incidenza: la teoria risulterebbe completa e coerente.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 36
K Gli assiomi di Hilbert (e quindi la geometria euclidea) hanno un solo modello, il nostro usuale piano cartesiano R2 . La teoria e` cio`e categorica (una teoria assiomatica e` categorica se tutti i suoi modelli sono isomorfi, cio`e se ha un solo modello, a meno di isomorfismi). Questo risultato e` conseguenza dell’assioma di continuit`a di Dedekind: per formulare l’assioma di Dedekind occorre passare a un linguaggio in cui sia esprimibile la quantificazione su tutti gli insiemi di punti sulla retta (si dice che e` un linguaggio logico del secondo ordine), diversamente dal linguaggio necessario per esprimere tutti gli altri assiomi (che e` un linguaggio del primo ordine). Questo e` un risultato generale (teorema di L¨owenheim-Skolem), rimanendo al primo ordine, se una teoria ha un modello infinito questo non e` unico (cio`e la teoria non e` categorica). Riassumendo, la geometria euclidea nella formulazione data da Hilbert risulta essere completa, coerente, categorica e formata da assiomi indipendenti.
3.5 La geometria sulla sfera e` euclidea? Le riflessioni sui fondamenti di una teoria assiomatica, e in particolare sui fondamenti della Geometria del piano, che ci hanno impegnato nei paragrafi precedenti, avevano lo scopo di fornirci gli strumenti pi`u appropriati per rispondere in modo rigoroso alla domanda focale di tutto il nostro discorso: e` possibile costruire un modello del sistema assiomatico di Euclide/Hilbert, interpretando sulla superficie sferica S i termini primitivi, ovvero sostituendo a punti e rette del piano i loro corrispondenti sulla sfera? Le relazioni tra di essi, ovvero gli assiomi, conservano la loro validit`a? Limiteremo il discorso considerando solo alcuni dei termini e degli assiomi che abbiamo introdotto precedentemente. Pi`u precisamente vedremo come interpretare in S: K i punti e le rette; K le nozioni di angoli e di rette perpendicolari; K le propriet`a di ordinamento della retta; K le nozioni di segmento e di semiretta; e testeremo la validit`a, in particolare, dei postulati I, II e V. Di norma faremo prima il confronto tra il mondo di S e il sistema euclideo; se del caso faremo riferimento alla sistemazione hilbertiana per effettuare alcune puntualizzazioni pi`u fini. Poich´e sarebbe arduo per la formica, pur volenterosa e sapiente, rispondere in modo immediato ed esauriente disponendo della sola visione intrinseca, surrogheremo le sue osservazioni con quelle a noi consentite dalla pi`u globale visione che lo sguardo “dal di fuori” ci offre. 3.5.1 Termini o concetti primitivi Punti I punti sulla superficie sferica sono quelli che appaiono tali tanto agli occhi della formica quanto agli occhi dell’osservatore esterno: i punti su S hanno
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Euclide, Hilbert e la geometria sulla sfera 37
la stessa interpretazione data loro sul piano. L’osservatore esterno pu`o essere in pi`u consapevole del fatto che a ogni punto e` associabile un altro punto in posizione antipodale, simmetrico cio`e rispetto al centro della sfera. Le vie diritte, le geodetiche, tracciate dalla formica nel suo camminare, sono apparse ai suoi stessi occhi come linee chiuse, che percorse in qualsiasi direzione la riportano allo stesso punto di partenza. La strisciolina e l’elastico, applicati dall’esterno, hanno confermato tale osservazione e hanno consentito di precisare che tali linee diritte e chiuse sono le circonferenze massime. Dunque:
Rette
La visione globale dall’esterno consente inoltre di costituire un primo legame tra i punti e le rette: ogni circonferenza massima pu`o essere associata a una coppia di punti antipodali, i “poli”, di cui diviene la “retta polare” o “equatore”. 3.5.2 Postulati e concetti derivati Quando parliamo di postulati ci riferiamo alla formulazione di Euclide, quando parliamo di assiomi a quella di Hilbert. E` un punto cruciale: che si possa condurre una linea retta da un punto a ogni altro punto, oppure nella formulazione di Hilbert: due punti distinti sono incidenti (appartengono a) una e una sola retta. Ovvero: esistenza e unicit`a della retta per due punti.
I Postulato
E sulla sfera? Per l’esistenza non ci sono problemi, le due visioni concordano: per due punti sulla sfera si pu`o sempre tracciare una geodetica. L’osservatore in 3D pu`o consolidare la sua visione con la certezza che i due punti dati, se qualsiasi, assicurano, con il centro della sfera, l’esistenza di un solo piano che interseca la sfera lungo una ben precisa circonferenza massima che li include. Non e` cos`ı per l’unicit`a, la visione della formica e` necessariamente locale e, solo se pensasse di lasciare una qualche traccia del suo passaggio, potrebbe accorgersi che tutte le geodetiche che dipartono da un punto, oltre che ritornarvi, si incontrano in uno stesso altro punto non visibile dal primo. Come a dire che se i due punti sono antipodali l’unicit`a non sussiste. Con il soccorso della terza dimensione noi possiamo constatare che due punti antipodali determinano, con il centro, una retta, asse di un fascio di piani che intersecano la sfera in un’infinit`a di circonferenze massime.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 38
Figura 3.4 Per due punti antipodali passano infinite ‘‘rette’’ (cioe` circonferenze massime)
Quindi il Postulato non e` valido sulla sfera. Risultano d’altra parte verificati il secondo e terzo assioma di incidenza (a ogni retta appartengono almeno due punti ed esistono tre punti che non appartengono alla stessa retta). Concetti derivati
Angolo: Euclide distingue (termini VIII e IX) tra angolo piano e angolo rettilineo. Nel primo caso i lati sono linee piane, nel secondo sono linee rette. Inoltre (i lati) non giacciono in linea retta implica che non possono essere uno il prolungamento dell’altro e quindi non sono ammessi angoli piatti. Gli angoli, per Euclide, sono minori di un angolo piatto: nella sua trattazione non utilizza mai tale termine, bens`ı quello di “due angoli retti adiacenti”. Sulla sfera, localmente, l’angolo, delimitato da due tratti di geodetiche passanti per un punto, racchiude, come nel piano, una parte di superficie. E come nel piano e` possibile variarne l’ampiezza, con una rotazione tra i lati, fino al valore equivalente all’angolo giro. In una visione globale per`o ci si
Figura 3.5 Due ‘‘rette’’ determinano quattro lunule o biangoli
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accorge che sulla sfera un angolo determina sempre una parte di superficie limitata. Infatti, due “rette” che, intersecandosi in un punto, si intersecano necessariamente anche nel suo antipodale, ripartiscono la superficie sferica in quattro lunule, o biangoli: porzioni di superficie limitate, che hanno per confini due lati “rettilinei” di uguale lunghezza, che formano, nei due vertici, due angoli di uguale ampiezza (misurata, dall’osservatore esterno, come rotazione tra le proiezioni dei lati sul piano tangente nel vertice) (Fig. 3.5). Rette perpendicolari: (termine X) quando una retta innalzata su un’altra retta forma gli angoli adiacenti uguali tra di loro, ciascuno dei due angoli e` retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare a quella su cui e` innalzata. Si afferma con ci`o l’esistenza, mentre due teoremi (n. 11 e 12 del primo libro) assicurano poi l’unicit`a della perpendicolare a una retta data. E sulla sfera? Esistenza: e` possibile trasferire la definizione euclidea sulla sfera. La formica pu`o considerare due geodetiche che intersecandosi formino quattro angoli retti e l’osservatore esterno aggiunger`a che, globalmente, le due circonferenze tra loro perpendicolari ripartiscono l’intera superficie in quattro lunule di uguale ampiezza, caratterizzate da angoli retti. Se una delle due circonferenze pu`o essere vista come un equatore, la perpendicolare diventa un meridiano passante per un suo punto. Unicit`a: non e` trasferibile sulla sfera. La formica potrebbe sfruttare la collaborazione di una sua simile. Se partissero da due diversi punti dell’equatore camminando perpendicolarmente a esso, finirebbero prima o poi per incontrarsi in un punto che l’osservatore esterno giudicherebbe essere un polo. E proprio lo stesso osservatore constaterebbe che, poich´e da ogni punto dell’equatore e` possibile tracciare un meridiano, e tutti i meridiani convergono nei poli, si pu`o in generale dire che tutte le “rette” perpendicolari a una stessa “retta”, l’equatore, passano per due punti antipodali. Dunque l’unicit`a della perpendicolare per un punto a una “retta” e` assicurata solo se il punto non e` un punto speciale, non se si tratta cio`e di uno dei poli relativi alla “retta” considerata.
Figura 3.6 Per il punto P passa una sola perpendicolare all’equatore, nel punto Q convergono le due perpendicolari condotte da A e B
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II Postulato (che una retta terminata si possa prolungare continuamente in linea retta) attribuisce alla linea retta il carattere di linea aperta che, all’occorrenza, pu`o essere prolungata indefinitamente assumendo cos`ı la caratteristica di essere illimitata.
La linea retta non e` quindi concepita come attualmente infinita, ma solo potenzialmente (come lo sar`a anche per le rette parallele), perch´e in atto noi possiamo solo disegnare segmenti (visti come rette in divenire). La stessa propriet`a di linea aperta viene esplicitata da Hilbert nei primi due assiomi di ordinamento, dove per`o la retta e` concepita subito come illimitata. Anche sulla sfera la geodetica pu`o essere prolungata all’infinito, ma questo comporta anche ripercorrere infinite volte la stessa circonferenza massima. Se questo pu`o essere accettabile in una visione intrinseca, supponendo di non accorgersi di ripassare per gli stessi punti, la situazione diventa pi`u problematica in una visione 3D dove e` evidente che la geodetica e` una linea chiusa e di lunghezza finita. Concetti derivati
Segmento: la formica pu`o constatare che, come Cristoforo Colombo nell’inseguire le Indie, pu`o raggiungere, da un certo punto di partenza un altro punto prefissato, camminando sulla stessa via diritta, e dunque nella stessa direzione, in due differenti versi. Quella geodetica risulta in questo modo divisa in due diversi segmenti. L’osservatore esterno coglie analogamente il fatto che due punti su una circonferenza massima individuano due archi diversi, con gli stessi estremi, in particolare congruenti se i due punti sono antipodali. Serve quindi una nuova definizione di segmento: per individuare quale dei due tratti di “retta” si vuole considerare occorre fare riferimento a un terzo punto C che far`a parte o no del segmento scelto. Si parler`a cos`ı del segmento AB che non contiene C o del tratto di geodetica che non contiene alcuna coppia di punti antipodali (se si vuole evidenziare il segmento di minima distanza tra A e B). Assioma di ordinamento 3: dati tre punti qualsiasi di una retta allora uno e uno solo dei tre punti sta tra gli altri due. Su una circonferenza massima di una sfera presi tre punti qualsiasi, ognuno di essi sta tra gli altri due. Non si pu`o stabilire un ordinamento tra i punti della retta e cos`ı non e` pi`u possibile la definizione di semiretta nel senso euclideo. Sulla base dei soli primi quattro postulati Euclide dimostra i primi ventotto teoremi, in particolare i teoremi 27 e 28 che noi conosciamo come criterio di parallelismo: se due rette tagliate da una trasversale formano angoli alterni o corrispondenti congruenti (o coniugati supplementari) allora le rette sono parallele.
V Postulato (o della parallela)
Si trattava dunque, per Euclide, di invertire il teorema (se due rette sono parallele allora, tagliate da una trasversale, formano angoli alterni o corrispondenti
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Euclide, Hilbert e la geometria sulla sfera 41
congruenti oppure coniugati supplementari) e di dimostrarlo. Nella dimostrazione, fatta “per assurdo”, Euclide si trova in questa situazione: i due angoli α e β non sono entrambi retti.
Figura 3.7
Le due rette a e b si incontreranno? Guardando la Fig. 3.7, e immaginando di prolungare i segmenti disegnati, si e` indotti a dare una risposta affermativa, ma in realt`a per essere sicuri, per dimostrarlo anche solo mediante una costruzione “con riga e compasso”, si dovrebbe poter tracciare tutta la retta, in tutta la sua estensione. Ma non e` possibile fare praticamente tale verifica all’infinito. E cos`ı mentre nelle dimostrazioni di altri teoremi Euclide si affida anche alla possibilit`a di rendere direttamente osservabile un enunciato, in questo non pu`o farlo. Poich´e non riesce a dimostrare il fatto che le rette a e b si incontrano, pone l’enunciato tra i postulati. Si ha cos`ı la “strana” formulazione del V postulato: che se una retta, incontrandone altre due, forma gli angoli interni da una stessa parte minori di due retti, le due rette, prolungate all’infinito, si incontrino dalla parte in cui sono i due angoli minori di due retti. Oppure, con un linguaggio odierno: se due rette a e b tagliate da trasversale t formano due angoli coniugati interni la cui somma sia minore di due retti allora le rette si incontrano dalla parte ove si trovano i due angoli. Nei secoli sono stati fatti vari tentativi per cercare di escludere il V postulato dall’elenco degli assiomi indispensabili alla geometria euclidea, seguendo essenzialmente due vie: K dimostrare il V postulato a partire dagli altri, per esempio definendo con maggiore precisione il concetto di rette parallele; K sostituirlo con un altro postulato pi`u evidente. Sono stati proposti altri enunciati equivalenti al V postulato e anche molte sue “dimostrazioni”, che presentano tutte degli errori, anche se alcuni di questi hanno poi prodotto le riflessioni che portarono alla scoperta della geometria iperbolica.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 42
La formulazione attuale (Hilbert) “per un punto esterno a una retta data passa al pi`u una parallela alla retta data” esplicita e puntualizza che la retta parallela non solo esiste (gi`a dimostrato da Euclide nel teorema 31) ma e` anche unica. Sulla superficie sferica, abbiamo in pi`u occasioni gi`a affermato che se due geodetiche si incontrano in un punto, si incontrano anche nel suo antipodale. Ora qui aggiungiamo la constatazione che due “rette” qualsiasi, due geodetiche, si incontrano sempre in due punti antipodali. Infatti, una valutazione di tipo estrinseco ci porta a considerare che due circonferenze massime individuano due piani, che, avendo in comune un punto, il centro della sfera, hanno in comune un’intera retta passante per esso; tale retta interseca la sfera in due punti antipodali nei quali si intersecano anche le due circonferenze. Quindi sulla sfera non vale il V postulato, nel senso che non esistono rette tra loro parallele.1
Figura 3.8 Due geodetiche (in blu) si incontrano sempre in due punti antipodali, cioe` da entrambi i lati rispetto a una qualsiasi trasversale (in rosso)
Volendo riprendere l’enunciato di Euclide, ci si trova dunque ad affermare che due geodetiche sulla sfera, tagliate da una qualunque trasversale, si incontrano da entrambi i lati rispetto alla trasversale. In conclusione sulla sfera risultano non validi alcuni assiomi di incidenza, quelli di ordinamento e il V postulato. Occorre anche, con molta cautela e alcuni distinguo (per es., lavorando solo sulla semisfera), riformulare gli assiomi di congruenza per i segmenti e ridefinire alcuni oggetti matematici quali per esempio i triangoli. La geometria sulla sfera non e` un modello del sistema assiomatico di Euclide: si pu`o costruire una geometria sulla sfera con sue specifiche figure e propriet`a,
1 A rigor di termini il quinto postulato nella forma di Hilbert vale:
infatti non esiste alcuna parallela alla retta data. Il punto e` che la formulazione data da Hilbert ha senso in quanto si aggiunge al teorema dimostrato da Euclide che data una retta, esiste almeno una parallela a essa (proposizione 31 del primo libro). Tale teorema e` dimostrabile senza far uso del postulato della parallela, ma assume il primo postulato (per due punti distinti passa una e una sola retta), che non vale sulla sfera: si veda la discussione nel paragrafo 3.5.3.
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ma questa non rispetta tutti i postulati di Euclide: e` quindi una geometria non euclidea. La geometria sulla superficie sferica non e` l’unico e nemmeno il pi`u importante esempio di geometria non euclidea. Ne esiste un intero zoo. La pi`u famosa e` quella in cui valgono tutti gli assiomi della geometria euclidea tranne quello delle parallele, che viene negato chiedendo che per un punto passino almeno due rette parallele alla retta data (che non incide il punto). Questa geometria e` detta geometria iperbolica. Ne parleremo pi`u avanti. Un’altra geometria molto importante si ottiene dalla geometria sferica identificando le coppie di punti antipodali: e` la cosiddetta geometria ellittica, in cui vale di nuovo il primo assioma di incidenza ma continuano a non valere molti degli altri assiomi. Non ne parleremo in questo volume. 3.5.3 Teoremi Dal momento che il sistema di assiomi euclidei del piano non pu`o essere trasferito integralmente sulla sfera potrebbe sembrare superfluo indagare oltre e porsi delle domande sulla validit`a di teoremi che da essi discendono. E` invece interessante andare a verificare quali teoremi eventualmente sussistano e, nel caso in cui risultino invece non dimostrabili, alla deficienza di quale assioma ci`o debba essere attribuito. Accenniamo qui solo ad alcune delle osservazioni possibili. Nel I libro degli Elementi, Euclide dimostra quarantotto teoremi, di cui l’ultimo e` il teorema di Pitagora. Molti di questi costituiscono una specie di estensione dei postulati e riguardano la costruzione di figure geometriche; per esempio la prima proposizione descrive, all’interno della dimostrazione, i passaggi necessari per costruire, con riga e compasso, un triangolo equilatero di dato lato. Nelle proposizioni 9 e 10 si d`a la costruzione della bisettrice di un angolo e quella del punto medio di un segmento, nella 11 e 12 la costruzione della retta perpendicolare da un punto a una retta data. Altri risultati invece riguardano le propriet`a delle figure geometriche. In entrambi i casi nella dimostrazione dei teoremi dal n○ 1 al n○ 28 Euclide utilizza solo i primi quattro postulati e non il quinto. Come abbiamo gi`a evidenziato e` solo con il teorema n○ 29 che Euclide e` “costretto” a introdurre il nuovo postulato sulle parallele. Si potrebbe quindi pensare che almeno i primi ventotto teoremi siano validi sulla sfera, dove non e` contemplato il V postulato. Ma nelle dimostrazioni di tali enunciati Euclide usa il I postulato (o un teorema che a esso fa riferimento) che sappiamo essere anch’esso non valido sulla sfera. Cos`ı, a meno di escludere il caso particolare dei punti antipodali (che invalida il primo postulato), i teoremi elencati da Euclide non sono necessariamente validi sulla sfera. Vediamo per esempio il n○ 31: per un punto P dato (non giacente su una retta data n´e sul suo prolungamento, e` possibile) tracciare una linea retta parallela alla retta data.
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Si dimostra cio`e l’esistenza di una retta parallela per un punto esterno, mentre se ne postula l’unicit`a con il V postulato. Nella dimostrazione, dopo aver considerato un punto Q sulla retta, si deve tracciare la retta PQ, che e` unica per il primo postulato. Ma tale postulato non e` valido sulla sfera, quindi non si pu`o procedere con questa dimostrazione: il teorema non e` valido. Nel capitolo 2 si sono gi`a analizzate le tante anomalie dei triangoli sferici, in particolare la questione relativa alla somma degli angoli interni.
3.6 Figure geometriche sulla sfera: triangoli e quadrati Gli abitanti della sfera, privati della possibilit`a di anche solo concepire rette parallele e, con esse, di immaginare quelle figure che nel piano euclideo raggruppiamo sotto il nome di parallelogrammi, con quali figure popolano il loro immaginario geometrico? Proviamo a passare in rassegna le pi`u classiche figure del piano euclideo, i triangoli equilateri, i quadrati e i poligoni regolari in genere, e vediamo se hanno un corrispondente sulla sfera e quali propriet`a rimangono o no invariate.
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Triangoli equilateri sul piano Nel piano i triangoli equilateri sono caratterizzati dalle due propriet`a che si biimplicano tre lati tre angoli ⇐⇒ congruenti congruenti Per qualsiasi triangolo equilatero i tre angoli hanno ampiezza 60○ .
sulla sfera Sulla sfera i triangoli equilateri possono essere definiti allo stesso modo tre lati congruenti ⇐⇒ tre angoli congruenti ma le ampiezze degli angoli dipendono dalle dimensioni, dall’area del triangolo stesso. Costruzione intrinseca: preso un punto O, facciamo partire da esso tre segmenti di geodetica che formino tra loro angoli di 120○ . Se prendiamo su ciascuno un punto a una medesima distanza dal punto centrale O, e congiungiamo due a due i tre punti con tratti di geodetiche, otteniamo un triangolo equilatero (si sono infatti originati tre triangoli tra loro congruenti con vertice comune in O), la cui grandezza cresce al crescere della distanza dei tre punti dal centro. Contemporaneamente il valore di ciascun angolo cresce da poco pi`u di 60○ , quando il triangolo e` cos`ı piccolo da potersi considerare quasi piano, fino a 180○ , quando i lati del triangolo finiscono per distendersi su di una stessa “retta” (che, all’occhio di un osservatore 3D e` la circonferenza equatore di cui il punto O e` il polo).
Figura 3.9 Costruzione estrinseca: consideriamo un angoloide con il vertice nel centro della sfera. Se l’angoloide ha tre facce di uguale ampiezza, i tre spigoli andranno a intersecare la superficie in tre punti e i piani passanti per le tre facce andranno a intersecarla lungo tre archi di circonferenza massima congruenti, che insieme daranno origine a un triangolo equilatero.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 46 Quadrati sul piano Nel piano il quadrato e` sinteticamente definito come un rettangolo con i lati congruenti. In questa definizione confluiscono le propriet`a del rettangolo e quelle del rombo,
ovvero, un quadrato e` un quadrilatero che: ● ha i lati opposti paralleli; ● ha i quattro angoli congruenti retti; ● ha i quattro lati congruenti; ● ha le diagonali di uguale lunghezza e che si bisecano perpendicolarmente.
sulla sfera Sulla sfera solo alcune delle propriet`a permangono, ma, in particolare, vien meno l’essere i lati opposti paralleli, essendo il parallelismo tra rette impossibile. Un “quadrato” e` un quadrilatero che: ● ha i quattro lati congruenti; ● ha i quattro angoli di uguale ampiezza; ● ha le diagonali di uguale lunghezza e che si bisecano perpendicolarmente; ma l’ampiezza degli angoli varia al variare delle dimensioni del “quadrato”. Costruzione intrinseca: (ricalchiamo quanto fatto per i triangoli) preso un punto P facciamo passare per esso due geodetiche che si intersechino perpendicolarmente. Su ciascun lato dei quattro angoli originati prendiamo un punto a una stessa distanza da P. Congiungendo due a due in sequenza i quattro punti con tratti di geodetiche, otteniamo un “quadrato” (i quattro lati sono congruenti perch´e si sono originati quattro triangoli congruenti), la cui grandezza cresce al crescere della distanza dei quattro punti dal centro P. Il valore di ciascuno degli angoli cresce da poco pi`u di 90○ , quando il quadrato e` cos`ı piccolo da potersi considerare quasi piano, a 180○ , quando i lati del quadrato finiscono per allinearsi sulla stessa “retta” (che, all’occhio di un osservatore 3D, e` la circonferenza equatore di cui il centro P e` il polo).
Figura 3.10 Dunque: quattro lati e quattro diagonali che si bisecano ⇒ perpendicolarmente angoli congruenti Costruzione estrinseca: posizioniamo il vertice di un angoloide nel centro della sfera. Se l’angoloide ha quattro facce di uguale ampiezza e i quattro diedri congruenti i quattro spigoli andranno a intersecare la superficie in quattro punti e i piani passanti per le quattro facce andranno a intersecarla lungo quattro archi di circonferenza massima congruenti, che tra di loro formeranno angoli congruenti, originando un “quadrato”. Contemporaneamente le diagonali della sezione piana quadrata dell’angoloide, passante per i quattro vertici del “quadrato”, si proietteranno in due archi di circonferenza che andranno a costituire le diagonali perpendicolari e bisecantesi del “quadrato” sulla sfera.
Capitolo 3
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Euclide, Hilbert e la geometria sulla sfera 47
Poligoni regolari di n lati (diagonali congruenti che, intersecandosi, si bisecano) Le considerazioni e le costruzioni indicate per triangolo equilatero e quadrato sono evidentemente estendibili a poligoni regolari di qualsivoglia numero di lati. Le differenze che sempre ritroviamo tra le propriet`a di un poligono sulla sfera e quelle del corrispondente poligono sul piano sono relative al valore degli angoli, variabili sulla sfera in funzione delle dimensioni relative dei lati anzich´e costanti, unitamente alla limitazione che le dimensioni della sfera stessa (il valore del suo raggio) pongono alla possibilit`a del poligono di ingrandirsi. A questo proposito e` interessante osservare che, limitando il discorso a una semisfera, su di essa il massimo triangolo equilatero, il massimo quadrato e il massimo poligono regolare di qualsivoglia numero di lati finiscono tutti per avere il contorno appiattito sulla circonferenza di base, e dunque hanno tutti lo stesso perimetro, uguale alla lunghezza della circonferenza massima, e la stessa area, coincidente con l’area della semisfera stessa. Solo la somma degli angoli interni li differenzia, perch´e, se e` vero che in tale situazione limite tutti gli angoli finiscono per valere π, la loro somma sar`a rispettivamente di 3π per il triangolo, di 4π per il quadrato e di nπ per il poligono di n lati.
Capitolo 4 Geometria sul cilindro 4.1 Andare diritti sul cilindro Forse qualcuno ricorder`a di aver camminato, da bambino, su uno di quei grandi tubi che si possono trovare distesi a terra, in cantieri edili, in attesa di essere interrati. Occorreva porre i piedi accortamente l’un dietro l’altro, come su un asse di equilibrio: mantenere la medesima direzione era condizione indispensabile per non scivolare gi`u da quell’altezza su cui ci sentivamo importanti; andavamo diritti da una base all’altra del cilindro, seguendo la via pi`u breve; non lo sapevamo, ma stavamo percorrendo una particolare geodetica della superficie del cilindro. Altri esseri viventi si cimentano ogni giorno con percorsi su superfici cilindriche: le piante a fusto volubile cercano sostegno alla loro debolezza su fusti eretti; per vincere la gravit`a devono conciliare sicurezza e solidit`a di posizione con rapidit`a di salita, formano allora eleganti volute intorno al loro sostegno compiendo un movimento che e` contemporaneamente traslatorio, verso l’alto, e rotatorio (di solito nel verso che sale da sinistra a destra per un osservatore esterno). L’aggettivo volubile (dal latino volubilis, dal verbo volvere, volgere) indica che questi fusti si voltano continuamente mentre crescono. Essi sono presenti in diverse specie annuali, a rapida vegetazione, per esempio nella famiglia delle campanule. I loro giri si susseguono con regolarit`a; il germoglio sceglie una pendenza di salita rispetto al fusto di sostegno e la mantiene in tutto il percorso (ostacoli inattesi permettendo); a suo modo il germoglio va diritto sul fusto di appoggio (che possiamo considerare un cilindro). La traiettoria forma una curva che prende il nome di elica: curva sghemba che pu`o esistere solo nello spazio a tre dimensio-
Figura 4.1 Convolvolo
Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 4, © Springer-Verlag Italia 2012
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ni (il termine elica e` distinto dal termine spirale, il quale indica una famiglia di curve, per lo pi`u piane, che in vario modo si avvolgono su se stesse). Manufatti a elica cilindrica si incontrano spesso e con i pi`u vari utilizzi: dalle molle degli ammortizzatori per veicoli o delle penne a scatto a quelle degli oscillatori armonici, alla filettatura delle viti o al profilo delle scale a chiocciola o ai rivestimenti di tubi flessibili. Troviamo tracce di eliche anche sui cilindri di cartone impiegati come sostegno di tessuti o pellicole: i cilindri vengono costruiti mediante strisce rettangolari, aventi un lato di ridotte dimensioni rispetto a quelle dell’altro, avvolte appunto a elica; le medesime strisce possono dare luogo a cilindri differenti semplicemente cambiando il raggio dell’avvolgimento. Anche la pendenza delle eliche varier`a; in tecnologia essa e` valutata attraverso il cosiddetto “passo”, distanza tra due avvolgimenti successivi, misurata lungo la direzione della traslazione.
Figura 4.2 (a) Scala a chiocciola: l’asse centrale, mediante gli scalini, regge i profili a elica (Piramide Scale, Fabbrico (RE)); (b) contenitore per la colla liquida in un ufficio postale di Patrasso (Grecia)
Il termine elica fa pensare ad applicazioni tecnologiche di rilievo: in meccanica un’elica e` un organo che trasforma un movimento rotatorio in una spinta di direzione normale al piano di rotazione; il genio di Leonardo da Vinci port`o alle eliche degli elicotteri, delle navi e degli aerei. Ma gi`a in tempi pi`u antichi le peculiarit`a delle eliche cilindriche vennero sfruttate. Oltre al torchio di legno impiegato fin dal I secolo a.C. nel Mediterraneo per spremere uva e olive, ricordiamo la cosiddetta pompa (vite) di Archimede (Fig. 4.3), detta anche coclea (termine latino per chiocciola). Essa in genere e` formata da un tubo in cui scorre una vite cilindrica; posta in rotazione la vite, ogni avvolgimento conduce acqua o altro materiale incoerente all’avvolgimento successivo, finch´e l’acqua o il materiale raggiungono l’altro estremo del tubo, ove vengono raccolti o fatti espandere.
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Figura 4.3 Vite di Archimede ieri e oggi: (a) sollevamento manuale dell’acqua; (b) la coclea idraulica sfrutta la caduta dell’acqua per produrre energia elettrica
Alcuni ritengono che questa tecnologia fosse gi`a nota prima di Archimede e fosse per esempio utilizzata per sollevare l’acqua ai giardini pensili di Babilonia. Il suo impiego si e` conservato nei millenni, variando essenzialmente solo la macchina per produrre la rotazione, passata da leve manuali (o per animali) a mulini a vento o ad acqua e a motori. Frequenti ne sono gli impieghi, per esempio per prosciugare i polder in Olanda, oppure per sollevare granaglie nei silos. La medesima vite trova inoltre impiego per spostamenti lineari di precisione: il moto rotatorio della vite agevola il controllo e quindi la regolazione di spostamenti minimi. Cerchiamo ora di precisare ci`o che natura e tecnologia ci hanno presentato, mettendo in evidenza gli aspetti rilevanti della geometria sulla superficie di un cilindro. Anche questa volta ci occuperemo essenzialmente dei percorsi “diritti”, poich´e essi sono fondamentali per caratterizzare la superficie e per lo studio delle figure di base, non solo nel piano, ma su ogni superficie. Ricordiamo che una superficie cilindrica si genera facendo ruotare di un giro completo nello spazio una retta g intorno a una retta fissa a a essa parallela (asse del cilindro); la linea direttrice di g, ossia a cui la retta g si appoggia mentre ruota, e` una circonferenza situata in un piano ortogonale ad a (e a g); tale posizione conduce a cilindri circolari retti, i soli che esamineremo in questo lavoro (se la posizione reciproca tra g e la linea direttrice fosse generica avremmo cilindri obliqui). Nelle sue successive posizioni la retta g d`a luogo alle generatrici del cilindro. Il raggio del cilindro e` dato dalla distanza tra le due rette parallele a e g. Il cilindro risulta indefinito; sar`a limitato se ne consideriamo la parte compresa fra due piani ortogonali all’asse; la distanza tra i due piani determiner`a l’altezza del cilindro (nel seguito, per brevit`a, parleremo di cilindro, ma intenderemo sempre solo la sua superficie laterale). La precedente definizione ci ha posti in una posizione estrinseca rispetto alla superficie del cilindro; l’abbiamo infatti guardata restandone fuori, con l’utilizzo della terza dimensione. Ma potremmo anche porci da un punto di vista intrinseco su tale superficie, ricorrendo nuovamente, come gi`a per la sfera, alla formica euclidea, seguendo la bella idea di Henry Poincar´e. Quali traiettorie essa potr`a percorrere se vorr`a andare diritto?
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Figura 4.4 Generazione di una superficie cilindrica mediante la rotazione di una retta
Qualche volta la formica potr`a pensare di essere su una sfera, perch´e proseguendo diritta si trova a rifare il medesimo cammino; ma si accorger`a che, mutando di assai poco la direzione rispetto a quella di un percorso chiuso, a ogni passo vedr`a territori sempre nuovi e comincer`a a pensare che, per rivedere un luogo noto particolarmente piacevole, deve invertire il senso di marcia e ripercorrere l’intero cammino, come se fosse su un piano. Tuttavia verr`a smentita dai fatti e si accorger`a di poter tornare con molti percorsi diritti, diversi e di diversa lunghezza, maggiore o minore di quella del percorso di andata. Per aiutare la nostra formica a conoscere meglio la superficie su cui si sta muovendo, collochiamoci da un punto di vista esterno al cilindro e procuriamocene modelli concreti (ovviamente limitati), per esempio barattoli o contenitori per il trasporto di fogli da disegno. Su di essi facciamo aderire, come gi`a sulla sfera, nastri o sottili strisce di carta; anche automobiline giocattolo, senza sterzo, possono aiutarci a studiare i percorsi diritti. Il percorso diritto pi`u semplice che possiamo tracciare corrisponde al nostro gioco da bambini sui tubi e va da un bordo di base a quello della base opposta: ortogonale ai piani delle basi, esso e` un segmento rettilineo a tutti gli effetti, infatti segue una generatrice del cilindro, parte di una retta euclidea. Supponendo il cilindro “in piedi”, possiamo parlare di punti alla stessa quota; ogni percorso diritto che collega due di essi risulter`a un arco di circonferenza; per ogni coppia di punti e` possibile tracciare due archi (in generale di diversa lunghezza) a seconda del verso in cui ci muoviamo, ossia, fissato il verso, a seconda di quale scegliamo come punto iniziale; se i due punti risultano coincidenti possiamo considerare il percorso nullo, oppure l’intera circonferenza, percorso chiuso sul cilindro che lo accomuna alla sfera. Tralasciamo ora le posizioni reciproche speciali tra i due punti dette sopra e consideriamo due punti distinti in posizione generica: la nostra strisciolina di carta, fatta aderire alla superficie del cilindro, vi si avvolger`a intanto che cambia quota, esattamente come fanno i fusti volubili; il movimento traslatorio si combina con quello rotatorio, la traiettoria descritta e` un’elica che mantiene inalterata la pendenza rispetto alle basi. Un’automobilina senza sterzo, che pertanto pu`o andare solo diritta, conferma questo tipo di percorso; qualunque sia la direzione
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in cui la poniamo essa procede avvolgendosi al cilindro. E` possibile congiungere i due punti con un percorso abbastanza breve, oppure fare uno o pi`u giri intorno al cilindro: scelto il verso e il numero di giri, si regola opportunamente la pendenza della striscia di carta affinch´e essa raggiunga il secondo punto aderendo perfettamente alla superficie del cilindro. Ogni volta abbiamo pertanto la libert`a di scegliere in quale verso muoverci e con quale pendenza. E` da osservare che gli archi di circonferenza, percorsi diritti che uniscono due punti alla stessa quota, si possono considerare [sono] eliche in cui e` presente solo il moto rotatorio; analogamente le traiettorie lungo le generatrici sono eliche con la sola componente traslatoria. Da un punto di vista cinematico il rapporto tra le velocit`a con cui avvengono i due moti determina la pendenza della traiettoria. La manipolazione dei cilindri concreti ci suggerisce che su un cilindro teorico indefinito, su cui possiamo tracciare percorsi di qualsiasi lunghezza e non abbiamo la limitazione imposta dalla larghezza delle strisce di carta che segnano i percorsi, tra due punti a diversa quota si possono far passare infinite eliche: la loro lunghezza sar`a tanto maggiore quanto minore sar`a il passo. Ognuna sar`a un percorso diritto; fra tutte ci sar`a quella pi`u breve; essa andr`a scelta fra le due eliche che stanno nel primo giro, ottenute una dall’altra cambiando il verso di rotazione. Osserviamo che quanto precede vale anche per due punti sulla stessa generatrice: oltre che mediante il tratto di generatrice, che sar`a il percorso pi`u breve, essi possono essere collegati con eliche che compiono un numero qualsiasi di giri interi. Diversamente dal piano (e in parte dalla sfera), sulla superficie cilindrica non c’`e quindi coincidenza tra percorso diritto e percorso pi`u breve: il pi`u breve e` anche un percorso diritto, ma il solo andar diritto non assicura la minore distanza. In sintesi, tra due punti di una superficie cilindrica abbiamo sempre due o infiniti percorsi diritti, che possono essere tutti chiamati geodetiche. Tutte soddisfano alla descrizione che Euclide d`a delle rette (vedi Cap 1.2 Una retta e` quella che giace parimenti con i punti su se stessa). Dunque, tra due punti (distinti) della superficie cilindrica non passa una sola retta: viene meno il primo postulato di Euclide. Il venir meno del primo postulato ha per conseguenza che due “rette” distinte hanno in generale infiniti punti in comune (oppure non ne hanno nessuno). Per esempio una retta-elica incontra infinite volte una generatrice (Fig. 4.5). Lo stesso avviene se consideriamo due eliche di diversa pendenza.
Figura 4.5 Una retta-generatrice incontra piu` volte una retta-elica
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L’eccezione alle infinite intersezioni e` rappresentata dalle rette-circonferenze che hanno un unico punto in comune con una generatrice o con un’elica (generica). Sono invece prive di punti di intersezione due generatrici, oppure due circonferenze, oppure due eliche di uguale pendenza. La nostra formica euclidea si troverebbe certo un po’ sconcertata nel poter raggiungere la sua meta andando diritta in tanti modi diversi, ma sicuramente farebbe buon uso di questa ulteriore risorsa che le consente di scansare pericoli senza squilibrare l’andatura; ogni volta impiegher`a inoltre il suo nastro misuratore di lunghezze per operare la scelta migliore. Venuto meno il primo postulato, il secondo sembra invece valido, pur di considerare la prolungabilit`a delle rette-circonferenze come un ripassare indefinitamente per i medesimi punti. Anche il quinto postulato e` valido. Come visto sopra, esistono rette prive di intersezioni: fissatane una, scelto un punto qualsiasi (che non le appartiene), troviamo sempre un’altra retta, unica, a essa parallela passante per il punto. E` da notare che una parallela a una generatrice e` anch’essa una generatrice, analogamente le parallele a una circonferenza sono circonferenze e le parallele a una generica elica sono eliche: il loro parallelismo equivale all’avere la medesima pendenza. Pertanto sul cilindro e` possibile vedere due formiche procedere indefinitamente affiancate, a distanza costante l’una dall’altra, alla stessa velocit`a, qualunque sia la direzione iniziale scelta, senza rischio di scontro (come invece avveniva sulla superficie sferica). Se il parallelismo nel piano ci pare ovvio, non cos`ı e` per i percorsi a elica nello spazio a tre dimensioni. Difatti soltanto nel XVI secolo ne troviamo impieghi significativi. Per esempio nella costruzione di pozzi per l’acqua come il pozzo di san Patrizio a Orvieto (Fig. 4.6): sono presenti due percorsi a scalinata che si av-
Figura 4.6 Pozzo di S. Patrizio a Orvieto
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volgono a elica sul costrutto cilindrico, uno serviva a chi scendeva, l’altro a coloro che salivano carichi di botti piene d’acqua. I due percorsi avevano rigorosamente la stessa pendenza al fine di evitare ogni loro intersezione, che sarebbe stata assai inopportuna. Oggi lo stesso criterio guida la costruzione delle rampe di accesso ad alcuni garage multipiano, presenti in superficie oppure nei sotterranei di grandi edifici: la rampa di accesso inizia spesso in posizione diametralmente opposta a quella di uscita al medesimo livello stradale; esse si sviluppano con uguale pendenza intorno a una cavit`a cilindrica, assicurando che in ognuna vi sia traffico di veicoli in un unico senso di marcia; un osservatore sulla parete della cavit`a cilindrica vede di fronte a s´e alternarsi uno sopra l’altro tratti elicoidali di veicoli in salita con tratti di veicoli in discesa.
4.2 Sviluppo piano del cilindro Il cilindro, diversamente dalla sfera, e` sviluppabile su un piano, infatti per costruirlo possiamo impiegare un rettangolo di cartoncino e accostarne due lati paralleli; inversamente, tagliando un cilindro lungo una generatrice, otteniamo un rettangolo, che ne costituisce lo sviluppo piano. Vediamo se lo sviluppo piano e` utile ad approfondire lo studio della geometria di questa superficie. Dobbiamo essere fin da subito consapevoli che il taglio del cilindro ne altera la metrica, infatti due punti che erano “vicini”, dopo il taglio, possono venire a trovarsi “lontani”; pertanto superficie cilindrica e suo sviluppo piano non possono corrispondersi in modo completo. Tuttavia molte propriet`a si conservano, come gi`a sapevano gli antichi popoli della Mesopotamia, fin dal 3000 a.C., quando impiegavano i loro sigilli cilindrici per lasciarne l’impronta della superficie laterale su tavolette di argilla (Fig. 4.7). Ancora la sviluppabilit`a del cilindro e` alla base delle rotative con cui si stampano i quotidiani: esse sono cilindri sulla cui superficie laterale e` avvolta una matrice scritta inchiostrata (pellicola flessibile); la stampa avviene con il rotolamento su un foglio di carta; a ogni giro si produce una copia della matrice. Il taglio lungo una generatrice di un cilindro ci d`a un rettangolo con due lati lunghi quanto la circonferenza di base, 2πr, gli altri due sono lunghi quanto l’altezza del cilindro, infinita nel cilindro teorico. Collochiamoci in quest’ultima situazione: anzich´e un rettangolo lo sviluppo piano sar`a una striscia, cos`ı e` infatti chiamata la parte di piano compresa fra due rette parallele. Quella che ottenia-
Figura 4.7 Sigillo babilonese del VII o VIII secolo a.C. (riproduzione contemporanea): si vedono due delle tre incisioni presenti sulla sua superficie, la terza si intravede sulla destra, riflessa dal vetro di appoggio
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Figura 4.8 sviluppo piano
Geodetica-elica sul cilindro che compie quasi un giro intero e suo
mo risulta essere una striscia con un solo bordo: infatti con il taglio lungo una generatrice g, per avere una corrispondenza biunivoca tra i punti della superficie del cilindro e quelli della striscia, i punti di g devono avere un solo corrispondente sulla striscia e vanno a formarne uno dei due bordi, all’altro bordo ci si potr`a avvicinare indefinitamente senza raggiungerlo. Sulla striscia troveremo rette o segmenti in varie posizioni. Inversamente, un segmento tracciato sulla striscia dar`a sul cilindro un percorso geodetico. I segmenti (o rette) paralleli al bordo della striscia derivano dalle geodetiche che avevano seguito una generatrice. I segmenti perpendicolari al bordo sono invece le immagini degli archi di circonferenza. Una generica elica potr`a avere per immagine semplicemente un segmento obliquo rispetto al bordo; se per`o il taglio avr`a attraversato l’elica l’immagine si spezzer`a in segmenti disgiunti paralleli tra di loro; se l’elica ha fatto un unico giro completo e il nostro taglio sar`a avvenuto lungo la generatrice che contiene i punti estremi dell’elica, il segmento andr`a da un bordo all’altro della striscia (Fig. 4.9, segmento semiaperto, ossia incluso un estremo ed escluso l’altro). Un’elica che ha superato il primo giro dar`a sempre un’immagine ad almeno due tratti. Supponiamo di aver segnato sul cilindro due punti A e B generici (non alla stessa quota, n´e sulla stessa generatrice) e diverse geodetiche passanti per essi (fra le infinite esistenti): come saranno le loro immagini sulla striscia? Indichiamo con A′ e B′ le immagini di A e B. Scelto un taglio che non passa n´e per A n´e per B, una immagine sar`a costituita da un unico segmento completo, estremi inclusi (non e` detto che esso sia l’immagine della geodetica pi`u breve; pu`o essere quella della seconda in ordine di lunghezza), un’altra immagine sar`a spezzata in una coppia di segmenti tra di loro paralleli, uno uscente da A′ , l’altro da B′ ; essa deriva dalla geodetica che collega i due punti in senso opposto a quella che d`a luogo al segmento completo e si pu`o dire complementare alla precedente, nel senso che interseca le generatrici che l’altra non interseca; l’unione di queste due geodetiche d`a un percorso chiuso che abbraccia l’intero cilindro: sul piano l’unione delle due immagini interseca (una sola volta) ciascuna delle rette parallele ai bordi della striscia e consente di andare con una spezzata a tre tratti da un bordo all’altro. Altre immagini, derivanti da eliche che hanno superato almeno un intero giro, saranno spezzate in un numero crescente di tratti; si potr`a avere ad esempio una immagine formata da tre tratti: un segmento semiaperto che va da un bordo all’al-
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Figura 4.9 Sviluppo piano di un cilindro. In basso l’immagine piana di una geodetica che fa un giro completo e ha gli estremi sulla generatrice di taglio. Le immagini di alcune geodetiche tracciate fra A e B: la spezzata in nero deriva dall’unione delle due geodetiche del primo giro che si tracciano ruotando nei due versi opposti; i due tratti in blu sono lo sviluppo piano di un’elica che ha compiuto quasi due giri; i tre tratti in rosso l’immagine di un’elica che si e` avvolta in verso opposto a quello della precedente
tro della striscia, situato tra due segmenti a esso paralleli, di cui uno sar`a chiuso, l’altro semiaperto (segmenti in rosso di Fig. 4.9). Lo sviluppo piano del nostro cilindro si presenta quindi non semplice. Per`o in esso pu`o essere semplice definire la pendenza dell’immagine di un’elica: utilizziamo un riferimento cartesiano che abbia asse delle ordinate (y) coincidente con la generatrice di taglio; l’asse delle ascisse (x), ridotto a un segmento di lunghezza 2πr, deriver`a dallo sviluppo di una geodetica-circonferenza; la pendenza del segmento immagine dell’elica sar`a misurata da Δy/Δx = tan(α), essendo α l’angolo che il segmento forma con la direzione dell’asse delle ascisse; il medesimo valore potr`a essere impiegato per indicare la pendenza dell’elica sul cilindro. Lo sviluppo piano ci pu`o rendere agevole riportare sul cilindro qualche disegno piano di dimensioni ridotte (rispetto al raggio del cilindro); “in piccolo” possiamo sfruttare alcune propriet`a euclidee della striscia piana, difatti si dice che la geometria del cilindro e` “localmente euclidea”, come verr`a meglio precisato nel paragrafo 4. Tuttavia le differenze con la superficie cilindrica sono rilevanti: il fatto che “le rette” o semplici tratti di elica del cilindro diano immagini spezzate, fa s`ı che lo sviluppo non consenta gli approfondimenti che speravamo. Nel paragrafo seguente si vedr`a un altro “espediente” un po’ pi`u fortunato per studiare questa superficie.
4.3 I ricoprimenti di un cilindro Cerchiamo ora di rimuovere qualcuno degli ostacoli incontrati sulla striscia sviluppo piano del cilindro e di costruire una pi`u soddisfacente interpretazione della geometria di questa superficie. La nostra attenzione va alle geodetiche che com-
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piono pi`u giri intorno al cilindro e in generale a quelle che nello sviluppo piano danno immagini spezzate in pi`u segmenti. Come fare per non rinunciare ai vantaggi del piano? L’idea si potrebbe cos`ı sintetizzare: se il taglio genera ostacoli, aboliamolo. Ci e` familiare la tecnica di avvolgere su sostegni cilindrici tessuti o fogli di carta che abbiano una delle due dimensioni di notevole estensione, al fine di compattare l’ingombro. Modellizziamo allora la situazione avvolgendo intorno al cilindro, a partire da una generatrice g, di alcuni giri, non solo un nastro, ma un foglio di pellicola trasparente: a ogni giro avremo un ricoprimento del cilindro. I successivi giri di un nastro che descrive una geodetica avverranno su ricoprimenti successivi. Prima di fare gli avvolgimenti avremo segnato sul cilindro un punto A e un secondo punto B generico (non appartenente a g e a quota diversa da A). Da A facciamo partire alcuni nastri-geodetica che raggiungano B. In corrispondenza di B foriamo con uno spillo i vari ricoprimenti. Indichiamo con A 1 l’immagine di A sul primo ricoprimento. Svolgendo su un piano il foglio trasparente otteniamo tante strisce congruenti affiancate quanti sono stati i ricoprimenti; i loro confini sono le successive immagini di g. A ciascuno dei fori immagine di B diamo i nomi B 1 , B 2 , . . ., B n. , uno per ogni ricoprimento; vedremo uscire da A 1 tanti segmenti A 1 B 1 , A 1 B 2 , . . ., A 1 B n , tracce dei nastri-geodetiche (Fig. 4.10). I vari segmenti hanno diversa lunghezza, crescente al crescere del numero dell’avvolgimento su cui ognuno termina; ognuno di essi conserva la lunghezza della geodetica che rappresenta (lunghezza del nastro). La nuova rappresentazione ci permette di vedere contemporaneamente, con un solo colpo d’occhio, ci`o che sul cilindro era multiforme e pi`u sfuggente; ad esempio, per vedere in modo esauriente un’elica a pi`u giri dovevamo ricordare il movimento che l’aveva generata, oppure ruotare il cilindro. In astratto possiamo immaginare di avvolgere intorno al cilindro indefinito infiniti ricoprimenti, in modo da poter ottenere le immagini di geodetiche di lunghezza qualsiasi, ossia potervi tracciare semirette di origine A 1 senza pi`u spezzarle. Un ulteriore arricchimento si ha pensando di aggiungere gli infiniti avvolgimenti nel senso opposto, partendo sempre dalla precedente generatrice g. Le immagini del punto B ottenute sui nuovi ricoprimenti potranno essere indicate
Figura 4.10
Sviluppo di tre ricoprimenti
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con B−1 , B−2 , B−3 . Lo sviluppo dei ricoprimenti risulta cos`ı un intero piano su cui tracciare rette, e non solo pi`u semirette, in ogni direzione. Avere a disposizione un intero piano non deve indurci a pensare che esso sia dotato della consueta geometria euclidea: infatti l’artificio dei ricoprimenti che ha prodotto infinite immagini del punto B sul piano ha alterato la geometria del cilindro; esso e` utile perch´e sul piano vediamo meglio di quanto non avvenga sul cilindro il fascio di rette uscenti da A 1 e dirette alle copie di B, ma non dobbiamo dimenticare che sul cilindro B e` un unico punto (vedi anche Fig. 4.12). Altre peculiarit`a che caratterizzano il nuovo universo che ci siamo costruiti sono per esempio le immagini di ciascuna geodetica-circonferenza del cilindro: abbiamo l’unione di infiniti segmenti che vanno a formare una retta perpendicolare all’immagine di una generatrice. Ogni generatrice ha per immagine una infinit`a di rette tra di loro parallele. Solo le geodetiche-eliche conservano la loro individualit`a: ognuna di esse ha un’unica immagine, una retta che attraversa tutte le strisce. Nel paragrafo seguente gli aspetti teorici verranno approfonditi. Si pu`o precisare che aver aggiunto il secondo insieme, infinito, di ricoprimenti, quelli che si avvolgono nel senso opposto a quello dell’insieme dei primi, non ha cambiato la cardinalit`a dell’insieme dei ricoprimenti complessivi, che permane quella del numerabile. Osservazione 1
Osservazione 2 La materializzazione dei ricoprimenti non deve far dimenticare che il loro diametro resta costante con gli avvolgimenti successivi, i quali devono quindi essere pensati privi di spessore e aderire completamente al precedente.
4.4 Il cilindro come esempio di geometria localmente euclidea Se si esamina il nostro percorso per indagare la geometria del cilindro, una domanda sorge spontanea: perch´e introdurre i ricoprimenti? non basta considerare la striscia che si ottiene con lo sviluppo del cilindro stesso? Abbiamo visto che introducendo i ricoprimenti eliminiamo qualche ostacolo rispetto a prima, ma troviamo nuovamente che la geometria del cilindro non e` euclidea, anche se “in piccolo” sembra esserlo. La faccenda sembra complicarsi invece di semplificarsi. Per chiarire meglio questo punto approfondiamo il discorso rispondendo alla domanda: perch´e introdurre i ricoprimenti? La domanda e` importante: rispondendo a essa capiremo meglio che cosa significa che la geometria del cilindro e` “localmente euclidea” ed entreremo anche in vari concetti matematici, di cui il nostro viaggio sul cilindro rappresenta solo un caso, e il pi`u semplice. La risposta alla questione e`: “considerare i ricoprimenti (o qualcosa di equivalente) e` necessario per rappresentare sul piano in modo fedele le distanze misurate sul cilindro”. Spieghiamoci meglio. La Fig. 4.11 rappresenta lo sviluppo di una parte di un cilindro circolare retto: i punti A′ , B′ , C ′ , S ′ , S ′′ , R′ , R ′′ corrispondono ai punti A, B, C, S, R sul cilindro.
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Figura 4.11
Figura 4.12
Chiediamoci come sia possibile misurare le distanze d(AB), d(AC) dei punti sul cilindro lavorando esclusivamente sul piano. Osserviamo che se per esempio il segmento A′ B′ misura 5 cm (Fig. 4.11), la lunghezza della curva AB a esso corrispondente sul cilindro (lo chiameremo ancora segmento) misura anch’essa 5 cm. Significa questo che la distanza misurata tra due punti qualsiasi sulla striscia, per esempio A′ , C ′ e` anche la distanza dei punti corrispondenti sul cilindro (A, C)? Ovviamente no (ricordate i diversi cammini che pu`o fare la formica)! Per rappresentare opportunamente sul piano la lunghezza di AC misurata sul cilindro abbiamo due vie: a) introduciamo infinite strisce (Fig. 4.12): a un punto A sul cilindro corrispondono infiniti punti A′ , A′′ ,. . . ; b) consideriamo come “segmenti” ammissibili sulla striscia anche le linee a tratti, che corrispondono a segmenti sul cilindro (Fig. 4.13). Nel primo caso, si introduce una relazione di equivalenza tra i punti del piano (ad es. i punti A′ , A′′ , . . . C ′ , C ′ , . . . in Fig. 4.12): due punti, per esempio A′′ e A′′′ , sono equivalenti se esiste una traslazione T di vettore v perpendicolare alle rette che delimitano le varie strisce e di modulo pari a un multiplo opportuno della larghezza delle strisce, tale che T(A′′ ) = A′′′ . Nel secondo caso si amplia la nozione di segmento (ammettendo i “segmenti a tratti”). Nel primo caso si definisce la distanza tra due punti A′ C ′ considerando il minimo tra le lunghezze dei vari segmenti A′ C ′ , A′ C ′′ , A′ C ′′′ , . . . (nel caso della Fig. 4.12 si ottiene la lunghezza del segmento A′ C ′′ ). Nel secondo caso si considera la lunghezza del pi`u corto segmento, eventualmente a tratti, di estremi A′ C ′ (nel caso della Fig. 4.13 si ottiene la lunghezza di A′ T ′ + T ′′ C ′ ).
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Figura 4.13
Le due definizioni sono equivalenti: in entrambi i casi si ottiene la distanza della curva pi`u breve sul cilindro di estremi A, C. Cio`e si introduce una “distanza” sul piano che corrisponde alla distanza reale sul cilindro: essa permette di lavorare in un ambiente ben noto, il piano, e di ricondurre alle misure su questo quelle in un ambiente meno noto, il cilindro. Si noti che senza una soluzione come in a) o in b) tale risultato sarebbe impossibile. La sistemazione permette di capire meglio in qual senso la geometria del cilindro e` “equivalente”, ma non identica, a quella del piano. E` chiaro che globalmente le due geometrie sono ben diverse. Per esempio si e` visto che le rette sullo sviluppo piano corrispondono a curve diverse sul cilindro: circonferenze parallele alla direttrice, rette generatrici, eliche varie. Inoltre per due punti generici del cilindro passano infinite “rette” (eliche). Solo localmente le due geometrie sono indistinguibili: la nostra soluzione a) permette di capire che cosa ci`o significhi. Se indichiamo con d la larghezza della striscia (ricoprimento), e consideriamo un cerchio di raggio r < d/4, comunque posizioniamo il cerchio sul piano delle strisce (piano dei ricoprimenti) e comunque consideriamo due punti X ′ , Y ′ nel cerchio, la lunghezza del segmento X ′ Y ′ nel piano e` uguale alla distanza reale sul cilindro dei punti corrispondenti X, Y. E` cio`e possibile copiare fedelmente il cerchio sul cilindro mantenendo inalterate le distanze: si ha cio`e un’isometria tra i punti del cerchio sul piano e quelli corrispondenti sul cilindro. Se il raggio del cerchio fosse maggiore di d/4 ma minore di d/2, la distanza tra due punti interni al cerchio, misurata sul cilindro, potrebbe risultare inferiore a quella misurata sul piano dei ricoprimenti, perch´e valutata sulla geodetica che congiunge i due punti passando esternamente al cerchio. Aumentando ancora il raggio del cerchio C, (raggio ⩾ d/2), sul cilindro due suoi lembi si troverebbero almeno in parte sovrapposti; sul piano dei ricoprimenti potremmo avere per esempio la situazione di Fig. 4.14: r ′ ed r ′′ sono due successive immagini di una medesima geodetica, i punti di ABCD, A′ B′ C ′ D′ corrispondono a 2 a 2 a uno stesso punto del cilindro.
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Figura 4.14
Quindi non e` possibile avere una copia fedele di C sul cilindro (non esiste un’isometria come nel caso r < d/4). Il cilindro e` localmente euclideo proprio perch´e esiste un numero positivo (d/4 nel nostro caso), tale che se ci limitiamo a considerare figure comprese in cerchi di raggio minore di d/4, il mondo del cilindro e quello del piano sono indistinguibili (isometrici). In altre parole, se la nostra formica lavora con apparecchi di portata inferiore a d/4 non riesce a capire se e` sul piano o sul cilindro. Il metodo seguito per descrivere la geometria del cilindro e` importante perch´e ha un valore generale e permette di risolvere un problema matematicamente di rilievo, cio`e: “quali sono le geometrie a 2, 3, . . . , n dimensioni che sono localmente euclidee?”1 . Diamo un brevissimo cenno al procedimento risolutivo. L’isometria locale tra cilindro e piano e` basata sulla nostra definizione di distanza: considerando il metodo a), si vede che gioca un ruolo essenziale la relazione di equivalenza fra punti, che a sua volta e` basata sull’esistenza di una traslazione T come sopra descritto. Le traslazioni come T formano un gruppo: combinandone due di seguito si ottiene ancora una traslazione di quel tipo; esiste la traslazione nulla; per ogni traslazione S esiste la sua inversa Q tale che applicando S e Q una dopo l’altra si ottiene l’identit`a; vale inoltre la propriet`a associativa nella composizione di traslazioni. Indichiamo con G tale gruppo (esso e` rappresentabile come l’insieme delle traslazioni del tipo nU, dove n e` un intero e U e` una traslazione di vettore v perpendicolare alle rette che delimitano le varie strisce e di modulo pari alla larghezza delle strisce). Esso soddisfa un’ulteriore propriet`a: esiste un numero d > 0 (la solita larghezza della striscia), tale che, qualunque elemento T di G si consideri, tranne
1 La
definizione di localmente euclideo nel caso di dimensioni maggiori di 2 e` data in modo analogo a quello bidimensionale; per esempio, nel caso di n = 3, si dice che uno spazio ha una geometria localmente euclidea se esiste un numero positivo d tale che ogni sfera di raggio r < d nello spazio euclideo usuale e` isometrica a una ‘‘sfera’’ di raggio r nello spazio in questione.
Capitolo 4
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Geometria sul cilindro 63
l’identit`a, e qualunque sia il punto X del piano, la distanza tra X e T(X) risulta ⩾ d (in altre parole: due punti distinti ed equivalenti hanno distanza non inferiore a d). Un gruppo che, come G, soddisfa tale propriet`a si dice uniformemente discontinuo. Non tutti i gruppi di trasformazioni sono uniformemente discontinui: per esempio il gruppo delle rotazioni piane di centro O non lo e` (comunque si scelga d, se si considera un punto X sufficientemente vicino a O, esso e` mandato da una rotazione R qualsiasi in un punto R(X), la cui distanza da X e` minore di d). E` ora possibile considerare un qualunque gruppo di trasformazioni Γ del piano in s´e (o di R n in s´e) che sia uniformemente discontinuo per definire una particolare relazione di equivalenza tra i punti del piano (dello spazio): due punti A, B sono equivalenti se esiste una trasformazione F di Γ tale che F(A) = B (nel caso del cilindro Γ e` il nostro gruppo G). Ora, cos`ı come si pu`o pensare la geometria del cilindro definita a partire dalla distanza introdotta seguendo il metodo a), analogamente si pu`o definire una relazione di “distanza” a partire dalla relazione di equivalenza indotta da Γ e giungere alla geometria di un nuovo oggetto Σ Γ (nel nostro esempio il cilindro), che risulta localmente euclideo (la dimostrazione segue parola per parola quella accennata per il cilindro). Le sue propriet`a geometriche risultano conseguenza della “distanza” introdotta e quindi discendono da Γ. E` come se nel nostro esempio, ignorando l’esistenza dei cilindri, partissimo dal gruppo G, definissimo la distanza come in a) a partire della relazione di equivalenza indotta da G e “inventassimo” cos`ı la geometria del cilindro, scoprendo una nuova figura geometrica. In sintesi, il metodo pu`o essere cos`ı riassunto: a partire da un gruppo uniformemente discontinuo di trasformazioni del piano Γ si riesce a costruire una geometria localmente euclidea Σ Γ . Come passo successivo, si riescono a classificare i gruppi di trasformazioni del piano in cinque tipologie2 , a ciascuna delle quali corrisponde una geometria diversa. Si dimostra inoltre che non esistono altri tipi di geometrie localmente euclidee. Avremo quindi esattamente cinque tipi di geometrie localmente euclidee a due dimensioni, cio`e (Fig. 4.15): K K K K K
la geometria del piano; la geometria del cilindro; la geometria del toro; la geometria della bottiglia di Klein; la geometria del cilindro torto.
Seguendo il metodo qui accennato si possono classificare le geometrie localmente euclidee di dimensioni maggiori di 2. Per esempio, si trova che i grup-
2 Il risultato risale a H. Chasles (1793-1880): egli dimostro ` che ogni movimento rigido nel piano e` o una
traslazione o una rotazione o una glissoriflessione (= traslazione + riflessione rispetto a una retta che ha la stessa direzione del vettore della traslazione).
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 64
Figura 4.15 Le superfici dotate di geometria localmente euclidea. Per piano, cilindro e cilindro torto le figure rappresentano soltanto una parte delle superfici vere e proprie; queste ultime si ottengono estendendo all’infinito i loro bordi. In particolare cio` ¨ vale per il cilindro torto che e` generato in questo modo dal nastro di Mobius (rappresentato in figura). Il cilindro torto e la bottiglia di Klein non sono immergibili nello spazio ordinario a tre dimensioni senza avere autointersezioni (evidenti nel caso della bottiglia di Klein)
pi uniformemente discontinui di R3 sono classificabili in 18 categorie; esistono perci`o esattamente 18 tipi di geometrie 3D localmente euclidee3 . Osservazione 1 Il metodo accennato corrisponde a una strategia di ricerca molto diffusa in geometria, fin dai tempi di Descartes. Vale a dire: “tradurre nel linguaggio dell’algebra un problema geometrico, studiarlo algebricamente e tornare infine all’ambiente geometrico interpretando i risultati ottenuti algebricamente”. Nel nostro esempio, la nozione di geometria localmente euclidea e` stata ricondotta ai gruppi uniformemente discontinui di trasformazioni nel piano. L’algebra, combinata con la geometria, mette a disposizione tecniche operative molto potenti. Per esempio, e` stato possibile classificare i gruppi discontinui di trasformazioni piane e darne una rappresentazione operativa molto semplice, che ci ha permesso di elencare e descrivere tutte le geometrie piane localmente euclidee.
La nostra classificazione delle geometrie bidimensionali localmente euclidee, come si e` detto, pu`o essere estesa a dimensioni superiori: ne risultano esattamente 18 nel caso tridimensionale. Il risultato permette di rispondere a Osservazione 2
3 Il
lettore interessato potr`a approfondire l’argomento leggendo i primi capitoli del volume: Nikulin V.V., Shafarevich I.R. (1994). Geometries and Groups, Berlin: Springer.
Capitolo 4
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Geometria sul cilindro 65
una questione intuitiva molto interessante. La nostra esperienza dello spazio 3D ci induce a pensare che esso abbia una geometria euclidea. Per`o anche usando strumenti sofisticati noi avremo sempre e solo esperienza di una parte limitata dello spazio, diciamo di una sfera di raggio R, pari alla distanza cui possono spingersi i nostri strumenti di osservazione. La nostra esperienza ci fa ipotizzare che in tale sfera la geometria sia euclidea, perlomeno in prima approssimazione. E` anche ragionevole supporre che la Terra non occupi una posizione privilegiata nell’universo e che quindi per ogni punto dell’universo si possa ripetere il discorso sulla sfera di raggio R. E` allora naturale chiedersi: “sotto queste ipotesi, quale geometria globalmente e` possibile per l’universo?”. I nostri risultati tentano di rispondere a questa domanda.
4.5 Approfondimento Equazioni di cilindri e loro geodetiche
La semplicit`a delle superfici cilindriche si ritrova nelle equazioni che le descrivono. Ricordiamo che in un riferimento cartesiano ortogonale del piano (O; x, y) le circonferenze di raggio r e centro nell’origine degli assi hanno equazioni x 2 + y 2 = r 2 , x e y variabili reali di modulo non superiore a r, r parametro reale non negativo. Una superficie cilindrica pu`o essere vista come la pluralit`a delle circonferenze sovrapposte, tra loro congruenti, i cui centri si dispongono via via sui punti dell’asse del cilindro; ne avremo una su ogni piano ortogonale a tale asse. Se consideriamo il consueto riferimento cartesiano nello spazio (O; x, y, z) e scegliamo l’asse dei cilindri coincidente con l’asse z, le equazioni dei cilindri (indefiniti) di raggio r si presentano come x 2 + y2 = r2 , con le medesime limitazioni dette per le equazioni delle circonferenze; la terza coordinata z non compare perch´e essa varia liberamente, senza vincoli con le altre due, assumendo ogni valore reale. Un altro tipo di descrizione analitica si ha con l’impiego di equazioni parametriche, ove ogni coordinata del punto variabile sulla superficie e` espressa da una funzione continua di parametri opportuni, che con la loro variabilit`a determinano i punti della nostra superficie. Avendo una superficie rotonda, le funzioni utili saranno quelle circolari, seno e coseno di un angolo. L’angolo (in radianti) sar`a quindi uno dei parametri da impiegare, un altro sar`a la quota a cui disegnare la circonferenza. Avremo pertanto, per cilindri di raggio r e asse z, parametro angolare α e parametro-quota h, x = r cos(α);
y = r sin(α);
z = h.
La variabilit`a di α e` [0, 2π), quella di h(−∞, +∞). Se si desiderasse solo met`a cilindro basterebbe limitare la variabilit`a di α a [0, π]; analogamente per spicchi diversi di cilindro.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 66
Un cilindro con raggio di 3 unit`a, sar`a descritto da x = 3 cos(α);
y = 3 sin(α);
z = h.
Veniamo ora alle geodetiche-eliche: esse, abbiamo visto, sono originate dalla composizione di un moto rotatorio con uno traslatorio (che ora, con il sistema di riferimento scelto, avviene secondo la direzione dell’asse z). Sui cilindri precedenti, scegliendo come primo parametro l’angolo (che con la sua variabilit`a d`a la componente di rotazione) e facendo dipendere da esso il valore della quota (componente traslatoria), le eliche risulteranno da x = r cos(α);
y = r sin(α);
z = f (α).
Per esempio x = 3 cos(α);
y = 3 sin(α);
z = α/2
x = 3 cos(α);
y = 3 sin(α);
z = 2α
e danno due eliche; la seconda si riferisce all’elica con maggiore pendenza: per essa la terza coordinata, espressa da z = 2α, significa che l’elica sale di 2 unit`a intanto che ruota di 1 radiante. E` da precisare che, al fine di far avvolgere pi`u volte l’elica, la variabilit`a del parametro α non deve limitarsi al primo giro. Per l’elica completa occorre che α vari in (−∞, +∞). Se l’elica si appiattisce in una circonferenza, la terza coordinata avr`a un valore fisso, pari alla quota del piano su cui l’elica giace. Per esempio per il precedente cilindro la circonferenza a quota 4 sar`a descritta da x = 3 cos(α);
y = 3 sin(α);
z = 4.
Consideriamo infine le geodetiche che sono rette euclidee, le generatici; ora varier`a liberamente la terza coordinata mentre saranno fisse le prime due, determinate dal punto in cui la retta-generatrice incontra un piano a essa ortogonale, per esempio il piano (x, y). Le prime due coordinate di tale punto si individuano fissando il valore di α. Per esempio la generatrice che si trova sul semipiano ruotato di π/3 rispetto al semipiano di riferimento (x, z) delle ascisse positive ha equazione x = 3 cos(π/3); y = 3 sin(π/3); z = h, ossia x = 3/2;
√ y = 3( 3/2);
z = h.
Equazioni di geodetiche sul piano dello sviluppo
Passando allo sviluppo piano dei cilindri, limitatamente al primo ricoprimento, abbiamo a disposizione una striscia di larghezza 2πr.
Capitolo 4
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Geometria sul cilindro 67
Utilizziamo, come consuetudine, il piano (O; x, y) per rappresentare le equazioni delle immagini delle geodetiche del cilindro nello sviluppo piano, ricordando per`o che i nomi x e y indicano variabili diverse da quelle che intervenivano nell’equazione della superficie cilindrica. Eseguiamo il taglio lungo la generatrice che contiene l’intersezione fra le due eliche disegnate; facciamo coincidere la generatrice di taglio con l’asse delle ordinate e l’origine degli assi con la suddetta intersezione. Con queste scelte le due eliche avranno per immagine due segmenti uscenti dall’origine degli assi. Per scrivere le loro equazioni dobbiamo determinare le loro pendenze (coefficienti angolari) Δy/Δx. Allo scopo consideriamo l’incremento Δx relativo a un intero giro di un’elica. Poich´e la proiezione di ogni tratto di elica su un piano ortogonale all’asse del cilindro (per esempio sul piano x y) e` un arco di circonferenza, se proiettiamo un intero giro di elica otteniamo un’intera circonferenza; nel nostro esempio, ove il cilindro ha il raggio di 3 unit`a, la lunghezza della circonferenza proiezione dell’elica e` 6π. Δx = 6π. Per la prima elica, in cui la terza coordinata varia con la legge α/2, in corrispondenza di un incremento di 2π del parametro α (un giro intero), abbiamo una traslazione di (2π)/2 = π, pertanto la pendenza Δy/Δx del segmento corrispondente sar`a π/6π = 1/6. L’equazione e` y = 61 x. Per la seconda elica avremo invece una traslazione di 2 ∗ 2π = 4π; la pendenza del segmento relativo sar`a 4π/6π = 2/3. L’equazione e` y = 23 x. Le immagini delle generatrici sono rette parallele all’asse delle ordinate, quelle delle geodetiche-circonferenze segmenti paralleli all’asse delle ascisse, di lunghezza 2πr. Gli esempi sopra citati hanno rispettivamente equazioni x = π/3 e y = 4. I grafici sulla striscia saranno del tipo di quelli di Fig. 4.16.
Figura 4.16
Capitolo 5 Geometria sul cono 5.1 Andare diritti sul cono La nostra formica, che ha ormai dimestichezza con svariate superfici potrebbe trovarsi su una superficie ancora pi`u “strana”, quella di un cono, e nel suo peregrinare alla ricerca della linea diritta trovarsi in un punto ancor pi`u strano nel quale chiedersi: Aiuto! Dove vado ora?
Figura 5.1
Prima per`o di analizzare i movimenti della nostra formica e` forse necessario chiedersi che cosa sia un cono, o meglio quale tra le svariate definizioni di cono sia la pi`u opportuna per studiare la geometria sulla sua superficie.
Figura 5.2 due falde
Cono a
Iniziamo con questa prima definizione che generalizzeremo in seguito. Date due rette a e b, incidenti e non perpendicolari, si dice cono la superficie che si ottiene facendo ruotare b attorno ad a in modo che rimanga costante l’angolo fra le due rette; la retta a viene detta asse del cono, mentre le rette con cui viene a coincidere la retta b nel suo moto si dicono generatrici. Si chiama apertura del cono la misura ϕ dell’angolo fra a e b. Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 5, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 70
Se, anzich´e due rette, consideriamo due semirette, il cono si dice semplice, o a una falda. Se poi tagliamo il cono semplice con un piano perpendicolare al suo asse otteniamo un cono circolare retto. Salvo indicazioni contrarie ci riferiremo sempre al cono semplice. La formica, camminando come ha ormai imparato a fare per andare diritto, ovvero facendo con le sue zampette di destra e sinistra passi simmetrici di uguale ampiezza senza sbandare, probabilmente arriverebbe alla stessa definizione di linea retta dedotta stando sulla sfera o sul cilindro. Percorrendo in lungo e in largo la superficie senza stancarsi le potrebbe succedere, come nel caso della sfera, di ritrovarsi al punto di partenza ma anche di camminare all’infinito senza ritrovare il punto di partenza come se fosse su un piano; oppure ancora, come uno scalatore che arriva in cima a un’alta vetta, potrebbe trovarsi in un punto davvero “singolare”: il vertice del cono! (sarebbe in questo caso sulla superficie del cono semplice) oppure, dopo avere passato salendo uno “spigolo”, di perdersi continuando a camminare all’infinito! (e in questo caso il suo mondo sarebbe il cono a due falde). La formica a questo punto avrebbe un grosso dilemma: il suo spazio e` limitato oppure no? E inoltre, in alcuni parti esso le sembrerebbe intrinsecamente omogeneo, ma in prossimit`a di quello “strano punto” e` ancora cos`ı? E ancora, queste considerazioni dipendono dalle caratteristiche del cono, per esempio dalla sua apertura? (Questo ovviamente la formica non potrebbe pensarlo nel suo spazio bidimensionale!).
5.2 Le geodetiche sul cono Abbandoniamo ora la visione intrinseca e come abbiamo fatto per le altre superfici recuperiamo una terza dimensione che ci consenta, attraverso una visione estrinseca, di scoprire quali siano le geodetiche sul cono e quali caratteristiche esse abbiano. Lavoriamo ancora con nastri e striscioline flessibili, cercando di costruire coni di cartoncino con angoli di apertura diversi oppure utilizzando coni stradali (anche se in questo caso pi`u che un cono si ha un tronco di cono). Se cerchiamo di far aderire le striscioline al cono ci accorgiamo che una possibile geodetica e` sicuramente una delle infinite generatrici, ma, a differenza del cilindro, se cerchiamo di congiungere due punti A e B alla stessa quota con un
Figura 5.3 Cono stradale
Capitolo 5
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Geometria sul cono 71
Figura 5.4
arco di circonferenza la strisciolina non aderisce, lo fa solo se assume una posizione inclinata rispetto all’asse del cono, la stessa cosa si verifica se cerchiamo di congiungere due punti a quote diverse e non sulla stessa generatrice. Come per il cilindro, e` facile osservare che, se i due punti non stanno sulla medesima generatrice, ci sono due segmenti di geodetica che li uniscono: uno in senso orario, l’altro in senso antiorario; si sceglie l’uno o l’altro a seconda dell’ordine con cui si considerano i due punti. La curva che abbiamo trovato sembra non essere una curva “nota” come la circonferenza sulla sfera o l’elica sul cilindro!
Figura 5.5 Geodetiche e non sulla superficie di un cono
Se abbiamo costruito alcuni coni utilizzando cartoncini ci siamo accorti che, come il cilindro, il cono e` sviluppabile su un piano: un cono semplice di apertura ϕ si sviluppa in un angolo di ampiezza 2π⋅sin ϕ; un cono circolare retto (come quello che possiamo costruire con il cartoncino) di apertura ϕ e apotema R si sviluppa in un settore circolare di ampiezza 2π ⋅ sin ϕ e raggio R (per la dimostrazione si veda il paragrafo 5.3.1 La fabbrica dei coni). Quindi se tagliamo il nostro cono lungo una generatrice che non interseca il segmento di geodetica che congiunge il punto A e il punto B, il segmento di geodetica e` un segmento nel piano che congiunge A con B. Queste curve, che sembrano tratti di “cravatte” che si avvolgono intorno al cono, si dispongono in modo diverso a seconda dell’angolo di apertura del cono stesso, ossia dell’angolo del settore circolare. A volte troviamo “cravatte” annodate, altre volte non riusciamo a immaginarci un possibile nodo. In particolare si nota che se l’angolo del settore e` maggiore dell’angolo piatto il tratto di cravatta rimane pi`u aperto: e` come se i due rami divergessero.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 72
Figura 5.6
Figura 5.7
Potendo prolungare all’infinito la geodetica otterremo sempre una “cravatta” annodata?
Figura 5.8
Cio`e, esprimendosi in altro modo: sul cono posso sempre individuare geodetiche chiuse? O che e` la stessa cosa: se parto da un punto A posso sempre, andando diritto, ritornare in A? Se osserviamo gli sviluppi piani dei coni deduciamo che questo pu`o avvenire in due modi diversi nel caso in cui il settore circolare abbia ampiezza minore dell’angolo piatto: seguendo una “cravatta” che si annoda in A oppure seguendo la generatrice che passa per A fino al vertice del cono per poi tornare indietro per lo stesso tratto di generatrice fino ad A. Se invece l’angolo e` superiore all’angolo piatto la cravatta non si trova e l’unica strada e` quella lungo la generatrice (per la dimostrazione si veda il paragrafo 5.3.2).
Capitolo 5
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Geometria sul cono 73
Figura 5.9
Figura 5.11
Figura 5.10
Figura 5.12
5.2.1 Un problema di statica Consideriamo un cono perfettamente liscio e prendiamo un cordino liscio e inestensibile o una piccola catena: a un capo del cordino facciamo un occhiello e all’altro capo leghiamo un piccolo peso, oppure chiudiamo la catena dopo avervi infilato il piccolo peso. Se infiliamo l’occhiello sulla punta del cono o teniamo la catena appoggiata al cono e poi la lasciamo, il filo con il suo peso sta fermo o scivola via?
Figura 5.13
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 74
Trascurando gli attriti, il filo e` in equilibrio se si dispone lungo una geodetica del cono: in altre parole l’occhiello sta su una geodetica che parte dal punto A in cui si biforca l’occhiello e ritorna in A. Le leggi della meccanica ci dicono che il cordino, in tensione per la forza di gravit`a che agisce sul peso, si dispone secondo la linea pi`u breve. Ma questa situazione si verifica solo se il cono e` abbastanza appuntito (se la sua apertura non supera i 30○ ), altrimenti l’occhiello con il suo peso non trova alcuna posizione di equilibrio e scivola via sfilandosi dal vertice del cono, come si pu`o vedere nei tre fotogrammi di Fig. 5.14.
Figura 5.14
Il problema di statica (da un’idea di Bruno de Finetti ripresa nell’articolo di Giovanni Prodi “I solidi rotondi. Prima parte: cilindro e cono” in L’insegnamento della matematica e delle scienze integrate, 1997) ci permette di passare a un’altra domanda fondamentale: sul cono la via diritta e` anche il percorso di minima distanza? Essendoci pi`u geodetiche che congiungono due punti si pu`o dire che non tutte le geodetiche sono i camini pi`u brevi, ma tra le geodetiche c’e sicuramente quella che corrisponde al cammino pi`u breve. Questo argomento merita un approfondimento. 5.2.2 ‘‘Il piu` corto’’ e` sempre ‘‘diritto’’? E` possibile costruire un cono con un settore circolare di ampiezza maggiore dell’angolo giro? Per esempio un cono con un angolo di 450○ ? Potete vedere un cono come questo sul muro, sul pavimento o sul soffitto della vostra stanza!
Figura 5.15
Capitolo 5
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Geometria sul cono 75
Figura 5.16 di 450○
Costruzione di un cono utilizzando un settore circolare avente l’angolo
Potete facilmente costruirne uno facendo un taglio lungo un raggio di un disco di cartoncino e inserendovi un settore circolare con un angolo di apertura di 90○ , come si pu`o vedere in Fig. 5.16. Pu`o essere difficile credere che questo sia un cono, ma bisognerebbe pensare che quando si cambia la “forma” di un cono in questo modo, si modifica solo la sua apparenza estrinseca; la nostra formica non si accorgerebbe di camminare su questo strano cono invece di un cono gelato se non per il fatto che sul secondo potrebbe finire nel gelato! Questo cono “molto grande” necessita per`o di una definizione pi`u generale di quella data nel primo paragrafo di questo capitolo: Un cono e` l’insieme delle rette incidenti a una curva C (non necessariamente piana) e passanti per un punto V non appartenente a C. Le rette si chiamano generatrici, la curva direttrice, il punto V vertice. Nel caso del cono circolare retto, C e` una circonferenza e V appartiene alla retta passante per il centro di C e ortogonale al piano contenente C. Un cilindro pu`o essere visto come un cono col vertice all’infinito. Questo cono “molto grande” d`a un controesempio all’enunciato: la linea pi`u corta che unisce due punti e` quella diritta. Consideriamo i punti A e B della Fig. 5.17; la linea pi`u corta e` quella rossa che passa per il vertice O del cono e sicuramente non e` quella diritta perch´e non ha le simmetrie che competono a una retta. Per esempio i simmetrici di OC sono OC’ per OA, ma non per OB, dunque C non ha simmetrico rispetto a O. Questo dipende dal fatto che il vertice del cono e` un punto speciale (singolare) che differenzia il cono da sfera, cilindro, piano: esso e` infatti una superficie “non liscia” nel vertice, nel senso che ingrandendo ripetutamente porzioni di superficie intorno al vertice non si ottengono superfici indistinguibili dal piano. Quindi l’essere “diritto” e l’essere “pi`u corto” non si equivalgono in generale.
Figura 5.17
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 76
5.3 Approfondimenti Abbiamo visto che alcune caratteristiche del cono influenzano la geometria su di esso, e` quindi giunto il momento di indagare un po’ pi`u a fondo alcune questioni.
5.3.1 La fabbrica dei coni Costruendo vari coni ritagliando settori circolari di ampiezza diversa si ottengono coni pi`u o meno “appuntiti”; misuriamo con un goniometro l’angolo α del settore circolare e con un compasso di legno l’angolo 2ϕ che e` il doppio dell’angolo di apertura del cono; potremmo compilare una tabella con i dati ottenuti (come quella sotto riportata) e notare che, mentre il rapporto fra i due angoli rimane quasi costante solo per angoli “piccoli”, sembra esistere un rapporto costante tra α e sin(ϕ) per angoli qualsiasi. α (gradi) α (radianti) 2ϕ (gradi) 2ϕ (radianti) ϕ (radianti) α/ϕ sin(ϕ) α/ sin(ϕ) 60 1,047 19 0,332 0,166 6,316 0,165 6,345 90 1,571 28 0,489 0,244 6,429 0,242 6,493 120 2,094 39 0,681 0,340 6,154 0,334 6,274 135 2,356 44 0,768 0,384 6,136 0,375 6,290 150 2,618 49 0,855 0,428 6,122 0,415 6,313 180 3,142 59 1,030 0,515 6,102 0,492 6,380 240 4,189 84 1,466 0,733 5,714 0,669 6,260 270 4,712 97 1,693 0,846 5,567 0,749 6,292 330 5,760 133 2,321 1,161 4,962 0,917 6,280
Anche dai grafici delle funzioni f (ϕ) = ϕ e g(ϕ) = sin(ϕ) si pu`o rilevare che quando l’angolo e` compreso tra 0 radianti e 0,4 radianti il valore dell’angolo stesso non si discosta molto dal valore del suo seno quindi si pu`o ritenere costante il rapporto α/ϕ; mentre questo non avviene per qualsiasi valore dell’angolo.
Figura 5.18
Capitolo 5
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Geometria sul cono 77
Figura 5.19
Il rapporto costante tra α e sin(ϕ) pu`o essere dimostrato (Fig. 5.19) se: l = lunghezza della circonferenza di base del cono; R = raggio dello sviluppo del cono (ovvero l’apotema del cono); r = raggio di base del cono; vale la relazione l ∶ 2πR = α ∶ 2π essendo anche l = 2πr abbiamo che
e
da cui
l = Rα
r = sin ϕ R
α = 2π. sin ϕ
Quindi non solo il rapporto tra α e sin(ϕ) e` costante, ma questa costante e` 2π. La relazione precedente pu`o essere anche generalizzata; consideriamo la Fig. 5.20 nella quale abbiamo evidenziato una porzione di cono individuata da della circonfeun angolo sul cerchio di base che chiamiamo β e da un arco GB renza di base di lunghezza r ⋅ β. Quando sviluppiamo il cono, la parte individuata e` un settore circolare di raggio R e angolo θ.
Figura 5.20
Poich´e il cono e` una superficie sviluppabile si ha la seguente relazione e quindi ricordando che r = R ⋅ sin ϕ si ha θ = β ⋅ sin ϕ, R ⋅ θ = r ⋅ β = GB
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 78
con 0 < ϕ
2n.
d k cos(β/k)
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 88
Per esempio ecco il grafico nel caso di 5 ricoprimenti.
Figura 5.36
Capitolo 6 La curvatura La vera protagonista della storia fin qui raccontata ha fatto qualche fugace comparsa, restando per lo pi`u nascosta nelle pieghe del discorso. E` giunto per`o il momento di restituirle il posto di prim’attrice che le compete. E` la propriet`a che modellando linee e superfici rende cos`ı multiforme e affascinante tanto il mondo naturale quanto il mondo ideale degli oggetti matematici: la curvatura. Se finora ne abbiamo lasciato implicito il significato, appoggiandoci all’esperienza che ciascuno ne ha maturato, occorre ora trovarne una definizione un po’ pi`u rigorosa che consenta di quantificarla. Incominciamo dalla curvatura delle linee piane. Tra le linee la pi`u semplice e` la retta che mantiene costante la direzione in ogni suo punto, una spezzata invece cambia direzione bruscamente in alcuni punti, ma la mantiene costante negli intervalli tra essi, pi`u in generale per`o una linea curva pu`o cambiare direzione con continuit`a punto per punto. Una linea curva pu`o infatti essere ottenuta mediante un inviluppo di rette a essa tangenti: in tal modo la si approssima, per cos`ı dire, dall’esterno, ovvero dal lato in cui si presenta convessa, ed e` come se ciascuna delle rette evidenziasse di quanto la linea curva si discosta dall’andamento rettilineo. La curvatura di una linea in un suo punto P potrebbe in questo modo essere valutata come la variazione dell’angolo che si forma tra la tangente in P e quella in un altro punto Q al variare dell’arco di curva PQ quando Q si avvicina indefinitamente a P, ovvero come il limite del rapporto incrementale per Q →P lim
Δs→0
Δγ . Δs
Figura 6.1
Se questa definizione di curvatura ha il pregio di coglierne l’essenza stessa, il passaggio al limite non e`, dal punto di vista del calcolo, sempre cos`ı praticabile. Conviene dunque esplorare l’altro approccio possibile alla curva, dal lato in cui essa e` concava. E` la strada seguita da falegnami e artigiani in genere, e dai designer degli oggetti che ci circondano, quando devono descrivere o riprodurre un profilo variamente curvato: si tratta di approssimarlo, tratto per tratto, con l’arco Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 6, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 90
del cerchio che pi`u vi si adatta. Si vedano per esempio gli schemi costruttivi di alcuni fregi (Fig. 6.2-6.5), dove le indicazioni principali sono relative alle posizioni dei centri e alle dimensioni dei raggi degli archi che devono essere tra loro connessi per dar luogo alla linea voluta. E si osservi che l`a dove la curvatura della linea e` pi`u accentuata il raggio del cerchio utilizzato e` minore.
Figura 6.2
Figura 6.5
Figura 6.3
Ovolo ornato con ovoli
Figura 6.4
Figura 6.6 Gola rovescia ornata con foglie cuoriformi
6.1 La curvatura di una linea Dovendo dunque valutare la curvatura in un punto di una data curva bisogna cercare il cerchio che meglio la approssima in quel punto. Oltre che con i classici strumenti del disegno geometrico e` possibile effettuare tale ricerca con un software di geometria dinamica. Viene qui indicata la procedura per determinare questo cerchio in vari punti di un’ellisse: K Tracciamo un’ellisse come conica passante per cinque punti (che poi nascondiamo). K Disegniamo un punto P sull’ellisse. K Costruiamo un segmento h che, per guidare meglio il trascinamento, pu`o essere vincolato a una semiretta. K Disegniamo la circonferenza di centro P e raggio h e la tratteggiamo. K Individuiamo i punti P1 e P2 di intersezione tra questa circonferenza e l’ellisse. K Tracciamo gli assi di PP1 e di PP2 e il loro punto di intersezione O. K Costruiamo la circonferenza di centro O e passante per P.
Capitolo 6
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La curvatura 91
Figura 6.7
Per fare in modo che la circonferenza approssimi bene la curva nel punto P, trasciniamo l’estremo del segmento h in modo che diventi sempre pi`u piccolo e la sua lunghezza tenda a zero (Fig. 6.8). E` interessante osservare che quando la lunghezza h e` esattamente uguale a zero (Fig. 6.9) il software non disegna alcuna circonferenza perch´e i punti che la definirebbero sono sovrapposti; questo fatto rafforza l’idea intuitiva del passaggio al limite quando h tende a zero.
Figura 6.8
Figura 6.9
Il cerchio che approssima meglio la curva in P, ottenuto quando il segmento definito da h ha lunghezza tendente a zero, si chiama cerchio osculatore in P; sebbene questo cerchio fosse gi`a stato utilizzato da Newton nei Principia, fu Leibniz a utilizzare per primo il termine “circulum osculans”, ovvero “cerchio che bacia”. Muovendo il punto P possiamo osservare (Figg. 6.10 e 6.11) che il raggio del cerchio osculatore e` massimo nei punti in cui la linea ha una “curvatura minore” (in corrispondenza dei vertici appartenenti al diametro minore dell’ellisse), mentre il raggio e` minimo nei punti a “curvatura maggiore” (nei vertici appartenenti al diametro maggiore). In qualsiasi modo si sia giunti a ottenere il cerchio osculatore si perverr`a alla seguente definizione: La curvatura di una linea in un suo punto P e` il numero k = 1/r, dove con r indichiamo la misura del raggio del cerchio osculatore (se esiste) della curva in P.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 92
Figura 6.10
Figura 6.11
Osserviamo che la curva e il suo centro osculatore in un punto P hanno in questo punto la stessa retta tangente. Sfruttando il fatto che la tangente a una circonferenza e` perpendicolare al raggio, segue il seguente risultato: Il centro del cerchio osculatore in un punto P di una linea appartiene alla retta passante per P ed e` perpendicolare alla retta tangente alla linea nel punto P.
6.2 La curvatura di una superficie Anche la curvatura di una superficie pu`o essere, in un primo modo puramente intuitivo e visivo, valutata mediante un raffronto con una superficie piana: una superficie e` tanto pi`u incurvata in un suo punto, quanto pi`u rapidamente essa si discosta da un piano che e` in esso tangente. Ma, a differenza di una linea piana che, incurvandosi rispetto alla sua tangente, resta comunque confinata nel piano e dunque pu`o in ogni suo punto assumere una sola curvatura, quando una superficie si incurva pu`o distaccarsi dal piano per entrare nella terza dimensione con una infinit`a di valori differenti lungo le diverse direzioni che si dipartono da un suo punto. Basti pensare alle diverse curvature assunte dalle rette di un fascio uscente da un punto, disegnato su di un foglio che venga arrotolato lungo uno dei suoi lati: c’`e una retta, la parallela a quel lato, che resta diritta, c’`e quella a essa perpendicolare che s’incurva al massimo chiudendosi in una circonferenza, mentre tutte le altre si incurvano avvitandosi nella terza dimensione ciascuna con un proprio passo. Il caso del foglio arrotolato si ripropone per tutte le superfici curve che sono sviluppabili nel piano, e che sappiamo essere riconducibili a cilindro e cono. E ben pi`u complesso sarebbe il tentativo di immaginare la transizione (e il raffronto) tra il piano e una superficie curva quando questa non e` su di esso sviluppabile, come avviene in particolare per tutte le superfici generabili mediante la rotazione di una linea curva intorno a un asse. Ma, come nel caso della curvatura della linea, anche la curvatura delle superfici trova in se stessa, pi`u che nel raffronto con il piano, la sua unit`a di misura. Gli studi di Gauss, ci forniscono una modalit`a di valutazione della curvatura che accomuna tutte le superfici, sviluppabili e non, e sancisce nel contempo la loro differenza.
Capitolo 6
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La curvatura 93
Iniziamo da una situazione semplice: consideriamo un ellissoide e un punto P su di esso, coincidente con uno dei vertici dell’ellisse che l’ha generato. Tracciamo in P il vettore normale alla superficie, cio`e il vettore perpendicolare al piano tangente in P (Fig. 6.12). Prendiamo in esame la famiglia di piani contenenti il vettore normale, le intersezioni tra questi piani e la superficie sono delle curve piane (le sezioni normali), ognuna di esse ha una data curvatura in P (Fig. 6.13).
Figura 6.12
Figura 6.13
Tra le sezioni normali ne esiste una che ha curvatura massima in P e una che ha curvatura minima; i piani delle due sezioni sono tra loro ortogonali. Questa situazione sperimentata per l’ellissoide pu`o essere generalizzata a moltissime superfici1 . In generale per`o occorre stare attenti al segno della curvatura delle sezioni normali, esso e` positivo o negativo a seconda che il centro di cur-
1 Qui e nel seguito quando parleremo di superfici, intenderemo superfici regolari, cioe ` ‘‘liscie’’, o, meglio,
che ammettano in ogni loro punto un piango tangente.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 94
Figura 6.14
Figura 6.15
vatura si trovi dalla stessa parte del vettore normale o dalla parte opposta; possiamo comunque estendere la propriet`a vista per l’ellissoide: Tra le sezioni normali di una superficie in un suo punto ne esiste una che ha curvatura massima e una che ha curvatura minima. Queste due sezioni si chiamano sezioni principali e le loro curvature sono le curvature principali. La curvatura della superficie in P dipende da queste due curvature, adottiamo quindi la definizione dovuta a Karl Friedrich Gauss (1777-1855). La curvatura (gaussiana) k di una superficie in un suo punto P e` il prodotto delle sue due curvature principali in P: k = k min ⋅ k max . Prestiamo attenzione al segno della curvatura che e` positivo se i segni delle curvature principali sono concordi, ma e` negativo se essi sono discordi. Per esempio, la curvatura dell’ellissoide che abbiamo considerato inizialmente varia al variare del punto in cui la studiamo, ma e` sempre positiva; nel punto P dell’iperboloide nella Fig. 6.16 la curvatura e` invece negativa perch´e i due cerchi osculatori delle sezioni principali si trovano da parti opposte rispetto a P. Nella Fig. 6.16 possiamo osservare che i piani contenenti le sezioni principali dell’iperboloide sono tra loro ortogonali. Questo risultato che abbiamo gi`a visto per l’ellissoide (Fig. 6.17) e` del tutto generale e costituisce un teorema enunciato da Leonhard Euler (1707-1783) ben prima che Gauss definisse la curvatura e che ora riportiamo.
Figura 6.16
Capitolo 6
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La curvatura 95
Figura 6.17
I due piani che contengono le sezioni principali di una superficie in un suo punto sono tra loro ortogonali e sono perpendicolari al piano tangente in quel punto.
6.3 La curvatura del piano, della sfera, del cilindro e del cono Adesso sappiamo che cos’`e la curvatura gaussiana e possiamo calcolarla per le superfici che ci interessano. E` chiaro che se intersecando la superficie con piani ortogonali al piano tangente troviamo una retta, essendo la sua curvatura k min = 0, avremo che la curvatura della superficie e` zero. La curvatura del piano, del cilindro e del cono e` costante in ogni loro punto e vale zero. Per il piano l’affermazione e` evidente: infatti intersecandolo con ogni altro piano si trova una retta, che ha curvatura nulla. Vediamo quindi il cilindro e il cono. In entrambi i casi intersecando la superficie con un piano ortogonale al piano tangente e contenente la generatrice otteniamo come sezione principale una retta (la generatrice) e quindi la curvatura e` zero.
Figura 6.18
Figura 6.19
L’indagine precedente pu`o essere resa dinamica con il software Cabri3D: K Disegniamo, per esempio, un cilindro, e un punto P su di esso. K Tracciamo il piano tangente al cilindro e passante per P (`e un piano perpendicolare alla “base”).
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 96
K Costruiamo una circonferenza contenuta nel piano e con centro in P e un punto Q su di essa. K Disegniamo il piano passante per Q, per P e per la proiezione di P sull’asse del cilindro. K Disegniamo infine il piano ortogonale ai due piani gi`a in figura. K Tracciamo le linee di intersezione tra i piani e il cilindro; esse costituiscano le sezioni normali. Muovendo Q possiamo osservare che, prima o poi, otteniamo come sezione normale due rette parallele all’asse del cilindro e quindi la curvatura e` nulla. Muovendo P la situazione non cambia.
Figura 6.20
Figura 6.21
Si pu`o dunque concludere che le superfici sviluppabili sul piano sono caratterizzate dall’avere una curvatura intrinseca nulla, e ci`o giustifica il fatto che la geometria su di esse risulti essere, localmente, euclidea. Sulla sfera invece non otteniamo mai curvatura nulla, infatti le sezioni normali sono cerchi massimi (vedi Fig. 6.22), il cui raggio e` r. Pertanto 1 1 1 k = k min ⋅ k max = ⋅ = 2 . r r r
Figura 6.22
Capitolo 6
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La curvatura 97
Possiamo cos`ı concludere che la curvatura in ogni punto di una sfera di raggio r e` costante e vale 1/r 2 , e nel caso in cui la sfera abbia raggio 1, la sua curvatura e` costantemente uguale a 1. Ma c’`e un’altra importante propriet`a che riguarda tutte le superfici di rotazione. Scopriamola a partire dal cono. Possiamo realizzare un’esplorazione dinamica utilizzando Cabri3D. K Costruiamo un cono, da un punto P una sezione principale e` la generatrice, costruiamo l’altra sezione normale che e` un’ellisse (tratteggiata in Fig. 6.23 e 6.24). K Il piano contente l’ellisse interseca l’asse del cono in un punto O. K Disegniamo un punto H sull’ellisse e quindi la circonferenza passante per H, per P e H ′ (dove H ′ e` il simmetrico di H rispetto a PO). Indichiamo con C il centro della circonferenza. K Avvicinando H a P la circonferenza tende a diventare il cerchio osculatore.
Figura 6.23
Figura 6.24
Si pu`o osservare che il centro C del cerchio osculatore coincide con O. Muovendo P sul cono si vede che la propriet`a continua a valere. Possiamo cos`ı riassumere quanto abbiamo scoperto. Le due sezioni principali per un punto qualsiasi di un cono sono la generatrice del cono e un’ellisse il cui centro del cerchio osculatore appartiene all’asse del cono. La propriet`a precedente vale anche per il cilindro: una sezione principale e` la generatrice, l’altra e` un cerchio che ha il centro sull’asse del cilindro. Anche per la sfera la propriet`a e` ovviamente vera perch´e le sezioni principali sono cerchi massimi e possiamo pensare uno di questi come la generatrice e l’altro come il cerchio con centro appartenente all’asse di rotazione. In effetti il risultato precedente vale per tutte le superfici di rivoluzione. E` una propriet`a che ci servir`a nel seguito e quindi la enunciamo.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 98
Le due sezioni principali per ogni punto P (non singolare) di una superficie di rivoluzione sono: K la generatrice passante per P; K una curva in cui il centro del cerchio osculatore in P appartiene all’asse di rivoluzione della superficie.
6.4 Che cosa sono le geodetiche Nei capitoli precedenti abbiamo gi`a dato una definizione operativa di geodetica e abbiamo lavorato con striscioline appoggiate alle superfici per individuare le geodetiche prima sulla sfera e poi sul cilindro e sul cono. Adesso che abbiamo il concetto di curvatura, siamo in grado di darne una definizione un po’ pi`u formale. La geodetica e` la “via diritta”, e` la curva che non aggiunge un’ulteriore curvatura a quella della superficie in cui e` contenuta, in altre parole, in ogni punto della geodetica la curvatura della linea e` minore di quella di ogni altra curva contenuta nella superficie e passante per quel punto. Possiamo esplicitare meglio questa caratteristica sfruttando il cerchio osculatore e il piano in cui e` contenuto (il piano osculatore) arrivando alla seguente definizione: Una geodetica di una superficie e` una curva tale che, in ogni suo punto, il piano osculatore contiene la normale alla superficie in quel punto. Questa definizione permette di avere una conferma formale del fatto che le geodetiche sulla sfera sono i cerchi massimi: in ogni punto il cerchio osculatore e` il cerchio massimo stesso e il piano osculatore contiene anche la retta ortogonale al piano tangente alla sfera.
Figura 6.25 Nella sfera il cerchio osculatore e` un cerchio massimo
Nella sfera le sezioni principali sono anche geodetiche, ma questo e` un caso del tutto particolare che non vale per le altre superfici, per esempio nel cono le sezioni sono ellissi, ma le geodetiche sono le fantomatiche “cravatte”.
Capitolo 6
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La curvatura 99
Le eliche (e le “cravatte”) sono geodetiche sul cilindro (e il cono) perch´e si ottengono tracciando su un piano delle linee rette, che hanno curvatura nulla, prima di avvolgere il piano per creare il cilindro (o il cono), quindi queste linee non aggiungono una curvatura propria a quella delle superfici in cui sono contenute. La definizione appena data e` una definizione estrinseca, abbiamo bisogno di vedere la superficie dal di fuori per capire se una linea e` una geodetica; questa definizione non potrebbe essere data dalla formica euclidea che viaggia sulle superfici e che giunta a questo punto del percorso e` sempre pi`u curiosa e appassionata di Matematica. Una definizione intrinseca di geodetica, che non fa uso esplicito della Geometria Differenziale, la troviamo nel libro Geometria intuitiva di Hilbert e Cohn Vossen; in essa si sfrutta la caratteristica di essere una linea “frontale”: immaginiamo di muovere un piccolo arco AB sulla superficie in modo che le traiettorie di A e di B siano sempre uguali in lunghezza e entrambe le traiettorie siano ovunque perpendicolari ad AB, allora la curva descritta dal punto medio di AB approssima bene quanto vogliamo una geodetica della superficie purch´e prendiamo l’arco AB sufficientemente piccolo. E` questa la nozione di geodetica che pu`o aver sviluppato la formica euclidea ed e` anche la pi`u vicina alla definizione di retta data da Euclide. Operativamente utilizziamo questa definizione quando facciamo scorrere su una superficie una piccola automobilina senza sterzo costruita in modo che le ruote non possano girare a velocit`a diverse tra loro. Spesso viene data un’altra definizione, caratterizzando la geodetica come la “via pi`u breve”, ma su questa definizione occorre prestare particolare attenzione. E` vero che la linea pi`u breve tra due punti di una superficie e` contenuta in una geodetica, ma il viceversa e` vero solo se il tratto di geodetica “non e` troppo lungo”; un arco di geodetica tra due punti non e` detto che corrisponda alla via pi`u breve tra essi; pensiamo, per esempio, a un tratto di elica che congiunge due punti A e B che stanno su una generatrice di un cilindro, l’elica e` una geodetica, ma la via pi`u breve e` il tratto di generatrice.
6.5 La curvatura nelle forme naturali e nelle mimesi degli artefatti umani Limitandosi a osservare le forme della maggioranza dei frutti e` evidente una prevalenza di forme sferoidali pi`u o meno schiacciate o allungate, conseguenza di una simmetria centrale delle linee di crescita, nonch´e di forme caratterizzate da una simmetria rispetto a un asse centrale. L’uomo ha, nei suoi manufatti, imitato queste forme astraendone il principio generativo: si pensi ai vetri ottenuti soffiando dal centro di una goccia di pasta vetrosa o ai vasi ottenuti mediante il tornio, frutto della simmetria radiale che la rotazione rispetto all’asse produce. In particolare sintonia con le problematiche della transizione da superficie piana a superficie curva sono le tecniche messe a punto in sartoria. Qui e` evidente il fatto che si parte dal telo di stoffa, assolutamente piano, ancorch´e arrotolabile,
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 100
per giungere a forme a curvatura variabile. Proviamo ad analizzare alcune delle strategie. Pu`o essere utile “spogliare” qualche frutto della sua buccia per studiare in che modo la loro curvatura pu`o essere approssimata giustapponendo porzioni piane. Si pensi a uno dei modi di sbucciare un’arancia.
Figura 6.26
Figura 6.27
Figura 6.28
O a quelli di sbucciare una banana, la quale gi`a di per s´e suggerisce come pu`o essere agevolmente scomposta.
Figura 6.29
Il suggerimento che ne viene e` questo:
Figura 6.30
Figura 6.31
Capitolo 6
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La curvatura 101
Figura 6.32 Cartamodello presente in una rivista per lavori di sartoria
A esemplificare ci`o si osservi il disegno del cartamodello (Fig. 6.32) necessario a ottenere un classico abito modellato a robe-manteau. Si tagliano strisce longitudinali, nelle quali si alternano profili concavi e convessi necessari a ottenere l’alternanza di curvature necessarie ad adeguare la stoffa alle curve del corpo femminile. Si osservino in particolare come sono variamente ondulati i profili delle strisce recanti i numeri 20, 21, 22, 23: appoggiate per il taglio sul tessuto messo doppio, daranno luogo a ben 8 strisce mediante le quali risulter`a contornato il tronco del corpo, alternando curvature positive con sciancrature negative. Un’altra tecnica, complementare alla prima, con la quale in sartoria si modellano i teli di stoffa e` rappresentata dall’uso delle “pinces”. Sono pieghe ad angolo, che equivalgono ai tagli che, praticati sulla buccia di un mezzo mandarino, consentono di appiattirlo. Le pinces ricercano l’effetto contrario: rendere curva la stoffa nei punti necessari.
Figura 6.33
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 102
Figura 6.34
Figura 6.35
Figura 6.36
Si veda nelle Figg. 6.34-6.36 il modello in carta realizzato su di un piccolo manichino. Un discorso a parte riguarda le maniche: schematizzando, una manica e` infatti un cilindro, che deve essere obliquamente sezionato per essere innestato sul foro lasciato nel corpetto in corrispondenza delle braccia. Se e` noto che sezionando un cilindro obliquamente con un piano si ottiene una delle coniche, ovvero un’ellisse, e` forse meno noto che se si taglia poi il cilindro lungo una sua generatrice e lo si adagia sul piano, si scopre che il profilo dell’ellisse si apre in una sinusoide. E` quanto sanno e praticano i costruttori di tubi per stufe quando devono piegare i tubi a gomito.
Figura 6.37
Figura 6.38
Figura 6.39
Ed ecco il modello della manica:
Figura 6.40
Capitolo 6
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La curvatura 103
Per concludere questa digressione sul tema possiamo far rientrare in gioco la matematica e giustificare il precedente risultato che ai sarti viene dettato dall’esperienza. Quando srotoliamo la superficie laterale del cilindro, la circonferenza di ba che va se diventa l’asse delle ascisse, indichiamo con x la misura dell’arco AB dall’estremo A di un diametro sino a un punto B variabile sulla circonferenza di base. Sezionando il cilindro con un piano inclinato di un angolo α individuiamo ̂ = α (vedi Fig. 6.41). un triangolo rettangolo BHP in cui l’angolo BHP x ̂ L’angolo HOB misura r in radianti, quindi BH = OB sin xr = r sin xr , da cui ricaviamo che BP = HB tan α = r tan α ⋅ sin xr . Abbiamo cos`ı effettivamente dimostrato che la curva che si ottiene dall’ellisse srotolando il cilindro e` una sinusoide (Fig. 6.42) che ha espressione analitica x f (x) = h ⋅ sin , r in cui h = r tan α.
Figura 6.41
Figura 6.42
Capitolo 7 La pseudosfera e la geometria sulla pseudosfera Facciamo il punto della situazione: K Sappiamo che esistono superfici in cui la geometria e` euclidea, in cui vale cio`e il quinto postulato di Euclide, la somma degli angoli interni di un triangolo misura 180○ e cos`ı via. Una di queste superfici e` ovviamente il piano, ma ne esistono altre come il cilindro e il cono in cui la geometria e` euclidea, ma solo localmente. Tutte queste superfici hanno curvatura costante e uguale a zero. K Abbiamo visto che sulla sfera la geometria non e` euclidea: non vale il quinto postulato di Euclide perch´e da un punto esterno a una geodetica (cerchio massimo) non e` possibile tracciare alcuna geodetica che non incontri quella data, di conseguenza alcuni risultati che valgono nel piano non valgono sulla sfera, in particolare la somma degli angoli interni di un triangolo e` maggiore di un angolo piatto. La sfera ha curvatura costante e positiva. Viene quindi naturale supporre che il tipo di geometria dipenda dalla curvatura della superficie. Ci chiediamo allora se nello spazio euclideo esiste una superficie a curvatura costante e negativa e se su di essa la geometria non e` euclidea, ma nel senso che esiste pi`u di una parallela a una data geodetica e la somma degli angoli interni di un triangolo e` minore di un angolo piatto, in cui cio`e la geometria sia di tipo iperbolico. I matematici hanno cercato a lungo una tale superficie. Nel 1868, Eugenio Beltrami (1835-1900) studi`o una superficie, gi`a introdotta da Huyghens, evidenziando che la sua geometria e` iperbolica: la pseudosfera. Purtroppo la pseudosfera rappresenta isometricamente solo una parte del piano iperbolico, ma di meglio non si pu`o fare: e` stato mostrato da Hilbert che non e` possibile immergere isometricamente tutto il piano iperbolico come una superficie dello spazio tridimensionale. Vale quindi la pena definire la pseudosfera e sperimentarne la geometria, e` una storia affascinante e ricca di risultati sorprendenti.
7.1 La catenaria e la trattrice Se prendiamo una corda o una catenina che abbia la stessa densit`a in tutti i suoi punti e la teniamo appesa afferrandola agli estremi, quale curva si forma? La linea potrebbe sembrare una parabola, ma una semplice esplorazione con un software di geometria dinamica permette di mostrare che non e` cos`ı. Basta mettere come sfondo la foto di una catenina, tracciare una parabola di equazione y = kx 2 e far variare k con un cursore per far vedere che non si sovrappone mai alla catenina (Fig. 7.1). Riusciamo invece a ottenere la forma della catenina con la funzione coseno iperbolico y = cosh x, o pi`u in generale y = a cosh xa . La curva prende il nome di catenaria. Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 7, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 106
Figura 7.1 La parabola verde non si sovrappone alla catenaria a differenza del grafico blu del coseno iperbolico
Prima di procedere con l’esplorazione, riepiloghiamo i principali risultati sulle funzioni iperboliche: Definizioni
cosh x =
e x +e −x , 2
sinh x =
e x −e −x 2
e tanh x =
sinh x cosh x
=
e x −e −x . e x +e −x
In analogia con quanto accade per le funzioni trigonometriche, il coseno iperbolico e` una funzione pari il cui grafico passa per (0,1), mentre il seno iperbolico e la tangente iperbolica sono dispari e il loro grafico passa per l’origine. Formula fondamentale
cosh2 x − sinh2 x = 1.
Questa uguaglianza si verifica facilmente sostituendo le definizioni precedenti e mostrano che X = cosh x, Y = sinh x costituiscono una parametrizzazione dell’iperbole equilatera X 2 − Y 2 = 1. Derivate Utilizzando la derivata dell’esponenziale si trovano facilmente le derivate delle funzioni iperboliche, anche in questo caso simili a quelle delle funzioni trigonometriche: ′
′
(cosh x) = sinh x e (sinh x) = cosh x. Una semplice esperienza pratica ci permette di introdurre una nuova curva a partire dalla catenaria. Prendiamo un foglio di carta su cui e` disegnata una catenaria e appoggiamo un curvimetro al foglio in modo da sovrapporlo alla catenaria, fissiamo un filo all’estremit`a destra del curvimetro, lo facciamo aderire a esso e fissiamo una matita al filo nel punto di minimo della catenaria (con la punta rivolta verso il foglio). Muovendo la matita in modo che il filo rimanga aderente al curvimetro, tracciamo la parte “destra” di una nuova curva.
Capitolo 7
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La pseudosfera e la geometria sulla pseudosfera 107
Figura 7.2
Ripetendo questa esperienza dopo aver ribaltato il curvimetro disegniamo la parte “sinistra” della curva. Quella che abbiamo disegnato e` la trattrice. La pseudosfera, che rimane il nostro obiettivo, e` la superficie ottenuta ruotando la trattrice, ma su questo torneremo tra poco. Vale la pena simulare l’esperienza precedente con GeoGebra o un altro software di geometria dinamica, anche perch´e la figura dinamica ci permette di scoprire utili propriet`a della trattrice. K Scriviamo nel campo d’inserimento la funzione cosh(x) 1 , disegnando cos`ı la catenaria. K Da un punto Q su di essa tracciamo la retta tangente (GeoGebra possiede il comando Tangente). K Disegniamo il punto A di intersezione tra la catenaria e l’asse y e calcoliamo per farlo basta digitare lunghezza [f(x),A,Q] la lunghezza dell’arco AQ; nel campo di inserimento. K Tracciamo la circonferenza con centro in Q e raggio uguale a tale lunghezza. K Dopo aver tracciato la semiretta QS, con S intersezione tra la tangente e l’asse x, individuiamo il punto P di intersezione tra la semiretta e la circonferenza. K Si pu`o far lasciare la traccia al punto P al variare di Q e quindi utilizzare il comando Luogo per tracciare il grafico della curva.
Figura 7.3
semplicit`a, qui e nel seguito usiamo come equazione della catenaria y = cosh x, la forma piu` generale y = a cosh x/a si ottiene con una omotetia di centro l’origine e rapporto a e cio` non modifica i risultati che troviamo.
1 Per
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 108
Ricalcando i passaggi della costruzione precedente, trasformandoli in passaggi algebrici possiamo ottenere l’equazione parametrica della trattrice: Il punto Q ha coordinate Q(t, cosh t). Ricordando come si calcola la lun2 2 ghezza di un arco di curva e la relazione fondamentale(coshx) −(sinhx) =1, abbiamo: t√ 2 1 + ((cosh x)′ ) dx lungh. arco AQ =∫ 0 t√ t 2 1 + (sinh x) dx =∫ cosh xdx = sinh t, =∫ 0
0
limitandoci qui al tratto in cui t e conseguentemente x sono positive. Per trovare P mettiamo a sistema l’equazione della retta QP che ha pendenza ′ m = (cosh x)x=t = sinh t con l’equazione della circonferenza di centro Q e raggio QP, y − cosh t = sinh t ⋅ (x − t) { , (x − t)2 + (y − cosh t)2 = sinh2 t risolviamo il sistema e ricaviamo le coordinate di P ⎧ ⎪ ⎪ ⎪x = t − tanh t , P=⎨ 1 ⎪ y= ⎪ ⎪ cosh t ⎩ che costituiscono un’equazione parametrica della trattrice. Osserviamo che cambiando di segno a t si cambia di segno a x ma non a y, quindi queste equazioni descrivono tutto il grafico della trattrice. Continuiamo le esplorazioni della figura per scoprire nuove propriet`a: K Tracciamo la retta perpendicolare alla tangente alla catenaria e passante per P. K Osserviamo che questa retta e` la tangente alla trattrice in P. K Muovendo il punto Q questa caratteristica si mantiene. La catenaria e` quindi l’inviluppo delle normali della trattrice, ovvero la sua evoluta. Anche in questo caso passiamo all’algebra per dimostrarlo. K Derivando le coordinate di P, calcoliamo il vettore tangente: (x ′ (t), y ′ (t)) = (1 −
1 sinh t ). 2 ,− cosh t cosh2 t
K La retta tangente alla trattrice in P ha quindi pendenza sinh t − 2 y ′ (t) cosh2 t = − sinh t ⋅ cosh t = − 1 , = 1 x ′ (t) 1 − sinh t cosh2 t sinh2 t 2 cosh t che e` l’antireciproco di sinh t, cio`e l’antireciproco della pendenza della retta tangente alla catenaria.
Capitolo 7
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La pseudosfera e la geometria sulla pseudosfera 109
Notiamo poi che se Q coincide con A la tangente alla catenaria e` parallela all’asse x, conseguentemente la tangente alla trattrice e` parallela all’asse y; pertanto la trattrice ha un punto singolare in A, si tratta di una cuspide. Alle stesse considerazioni possiamo arrivare valutando le derivate calcolate in precedenza quando t = 0. Ritorniamo ancora all’esplorazione con il software: K Tracciamo il punto T di intersezione tra la retta tangente alla trattrice e l’asse x. K Tracciamo il segmento PT e ne misuriamo la lunghezza.
Figura 7.4
Muovendo il punto Q osserviamo che l’ascissa di T risulta sempre uguale a quella di Q e che la misura del segmento PT rimane invariata, vale sempre 1 (varrebbe a se fossimo partiti dalla catenaria y = a cosh x/a). Non ci resta che dimostrare questo fatto mettendo a sistema l’equazione della tangente alla trattrice in P con quella dell’asse delle ascisse ⎧ 1 1 ⎪ ⎪ =− (x − t + tanh t) ⎪y − T =⎨ cosh t sinh t ⎪ ⎪ ⎪ ⎩y = 0
.
Risolvendo il sistema abbiamo T ={
x=t y=0
.
Il punto T ha quindi la stessa ascissa di Q e ' 2 * sinh2 t + 1 1 , (t − t + tanh t) + ( ) =* =1 cosh t cosh2 t
√ PT =
2
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 110
avendo sfruttato la formula fondamentale per le funzioni iperboliche cosh2 t − sinh2 t = 1. Il fatto che il segmento di tangente PT abbia sempre la stessa lunghezza e` la caratteristica che d`a il nome alla trattrice e che ha fatto studiare questa curva per la prima volta. La storia e` piuttosto curiosa: nel 1670, a Parigi, Leibniz incontr`o il medico Claude Perrault, che gli propose una sfida: pos`o una catena con un’estremit`a sul bordo rettilineo di un tavolo, spost`o questa estremit`a lungo il bordo e chiese a Leibniz quale fosse la curva descritta dall’altra estremit`a della catena (Fig. 7.5). Il problema ha affascinato i matematici dell’epoca, oltre a Leibniz, anche Newton, Huygens, i fratelli Bernoulli, de L’Hˆopital e altri si dedicarono alla questione, in particolare Newton studi`o la curva, ma fu Leibniz a darle il nome trattrice.
Figura 7.5
La trattice ottenuta trascinando una catenina
7.2 La pseudosfera e la sua curvatura Abbiamo costruito tutti gli elementi che ci permettono ora di definire la nuova superficie che ha curvatura costante negativa. Un primo risultato lo si deve a Christiaan Huygens (Oevres completes, T. X, p. 418-21); egli dimostra che “il volume (e la superficie) del solido generato dalla rotazione della trattrice intorno al suo asintoto e` pari a met`a del volume (all’area della superficie) della sfera di raggio uguale alla lunghezza costante della tangente”. Fu poi Ferdinand Minding (1806-1885) a studiare ulteriormente questa superficie e a darle il nome di pseudosfera.
Figura 7.6
Sebbene l’opera di Minding sia stata pubblicata nella stessa rivista in cui Lobaˇcevski˘ı pubblic`o alcuni suoi lavori sulla geometria iperbolica, nessuno dei due si accorse dei legami tra la pseudosfera e tale geometria. Fu Eugenio Beltrami, nel
Capitolo 7
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La pseudosfera e la geometria sulla pseudosfera 111
suo Saggio di interpretazione della geometria non euclidea (Napoli, 1868) a mostrare che la geometria iperbolica e` localmente la geometria di superfici a curvatura costante negativa chiamate superfici pseudosferiche2 . Cerchiamo ora di capire perch´e la pseudosfera ha curvatura costante negativa. Il discorso e` pi`u semplice di quello che possa sembrare e non richiede una matematica particolarmente sofisticata. Abbiamo visto che la catenaria e` l’evoluta della trattrice perch´e ne e` l’inviluppo delle normali, ma questo in generale equivale a dire che e` il luogo dei suoi centri di curvatura3 . Con riferimento alla Fig. 7.6, il punto Q e` quindi il centro del cerchio osculatore alla trattrice nel suo punto P e il segmento PQ e` il raggio di curvatura della trattrice.
Figura 7.7
Quando P coincide con A il raggio e` nullo, quindi la curvatura e` infinita, mentre tende a zero man mano che il punto P si allontana da A. La pseudosfera si ottiene ruotando la trattrice attorno all’asse x; nel punto P i due piani principali sono quello contenente la trattrice (che poi e` il foglio di questa pagina) e il piano a esso perpendicolare e contenente la retta PQ. Un centro di curvatura principale e` Q, l’altro invece e` S: ricordiamo infatti (par. 6.3) che nei solidi di rotazione il centro del cerchio osculatore di una sezione principale appartiene all’asse di rotazione che nel nostro caso e` l’asintoto della trattrice.
2 Per
approfondimenti si puo` consultare Rosenfeld B.A. (1988). A history of non-euclidean Geometry, Heidelberg: Springer.
3 Coxeter H.S.M., pagg. 313-315.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 112
Non resta che calcolare il prodotto PQ ⋅ PS. Basta applicare il secondo teorema di Euclide al triangolo rettangolo STQ, di cui TP e` l’altezza relativa all’ipotenusa 2 e abbiamo subito che PQ ⋅ PS = TP = 12 = 1. La curvatura della pseudosfera in P (qualsiasi) e` negativa perch´e i due centri Q e S si trovano da parti opposte rispetto alla tangente PT. Pertanto la curvatura della pseudosfera e` 1 = −1. k=− PQ ⋅ PS Naturalmente se invece di iniziare dalla catenaria y = cosh x partissimo dalla catenaria y = a cosh xa , la rotazione della relativa trattrice attorno all’asse x fornirebbe una pseudosfera di raggio a, avente curvatura costante negativa k = − a12 . Attenzione per`o ai bordi della pseudosfera: quando P coincide con A non riusciamo a definire la curvatura; in ogni caso meglio di cos`ı non possiamo fare, ¨ infatti e` stato Hilbert a dimostrare nel 1901 in Uber Fl¨achen von konstanter Gausscher Kr¨umung che non esiste una superficie a curvatura costante e negativa priva di singolarit`a, che possa essere immersa isometricamente in R 3 .
7.3 Le scoperte della formica euclidea sulla pseudosfera Adesso abbiamo a disposizione una superficie a curvatura costante negativa. Se la nostra mitica formica euclidea capita sopra questa superficie, a quali grattacapi va incontro? Essendo una formica molto curiosa, quali scoperte pu`o fare? Come sempre la formica inizia a esplorare la via diritta, cercando di camminare simmetricamente con le zampette di destra e sinistra facendo passettini della stessa ampiezza. Quale traiettoria percorre? E se camminando lasciasse una scia, questa scia si pu`o auto intersecare come avviene sul cono, oppure no? Se da un punto A volesse raggiungere una briciolina che si trova in un punto B e volesse andare diritta, avrebbe una sola possibilit`a? Sarebbe sicura di fare la via pi`u breve? Non resta che prendere un modello di pseudosfera e fare delle prove. Usciamo dalla modalit`a intrinseca della formica, e facciamo qualche esperienza pratica. Ci dotiamo di alcune striscioline flessibili e di un modello di pseudosfera, anzi di un modello di “mezza pseudosfera” su cui e` pi`u semplice lavorare manualmente. Proviamo a far aderire le striscioline alla pseudosefera per vedere la forma delle geodetiche (vedi Fig. 7.8). Possiamo scoprire che le geodetiche sono curve piuttosto bizzarre che possono auto-intersecarsi anche pi`u volte; la situazione assomiglia a quella del cono. Per due punti della pseudosfera possono passare pi`u geodetiche, tra queste una definir`a il cammino pi`u breve tra i due punti. Possiamo anche toccare con mano il fatto che le trattrici, generatrici della pseudosfera (potremmo chiamarle “meridiani” della pseudosfera), sono geodetiche mentre i “paralleli” non lo sono. Facendo le sue passeggiate per le geodetiche sulla pseudosfera la formica si sar`a sicuramente accorta che non pu`o essere sul piano, le sar`a successo di ripassare per uno stesso punto incrociando la stessa geodetica su cui stava camminando. Avr`a
Capitolo 7
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La pseudosfera e la geometria sulla pseudosfera 113
Figura 7.8 Geodetiche sulla pseudosfera
cos`ı capito che non si trova nemmeno sulla sfera o sul cilindro, potrebbe ancora pensare di essere su un cono. Come gi`a sulle altre superfici e in particolare sulla sfera, la formica pu`o raccogliere alcuni indizi che le fanno capire che non si trova in nessuna delle superfici a lei note e pu`o anche capire qualcosa sulla sua curvatura.
Primo indizio: non e` possibile tracciare un quadrato Se partendo da un punto si percorre sulla superficie un segmento di geodetica di lunghezza d, poi si ruota di 90○ e si percorre un secondo segmento di lunghezza d e nuovamente si svolta di 90○ e si ripete fino ad aver percorso 4 segmenti di pari lunghezza, si scopre che il quadrato non si chiude.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 114
Figura 7.9
Secondo indizio: la somma degli angoli interni di un triangolo Se la formica e` in grado di compiere un percorso triangolare che la riporti al punto di partenza, andando diritta, e quando svolta riesce a misurare gli angoli tra le due geodetiche, si accorger`a di sicuro che la somma di questi angoli non misura 180○ , misura meno di 180○ . Accade quindi qualcosa di simile a quanto avviene per la sfera, ma in senso opposto. Questa volta non c’`e un eccesso angolare, ma un difetto e questo difetto varia da triangolo a triangolo. La formica sar`a ora sicura del fatto che non si trova su un cono, che la superficie che sta esplorando e` diversa da tutte le precedenti e se sa un po’ pi`u di Matematica . . . pu`o anche dedurre che si tratta di una superficie con curvatura negativa. Noi, che non viviamo sulla pseudosfera . . . , possiamo fare un’esperienza che confermi quanto ha scoperto la formica. Scegliamo tre punti A, B e C sulla pseudosfera e li congiungiamo con il nastrino flessibile, individuando cos`ı un triangolo i cui lati sono geodetiche. Misuriamo i lati e disegniamo su un foglio di carta un triangolo A′ B′ C ′ con queste misure dei lati. La somma degli angoli di A′ B′ C ′ e` sicuramente un angolo piatto, ma se ritagliamo A′ B′ C ′ e proviamo a sovrapporlo ad ABC sulla pseudosfera vedremo che non ci riusciremo, A′ B′ C ′ e` “pi`u grande di ABC e gli star`a al di sopra.
Figura 7.10
Figura 7.11
Capitolo 7
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La pseudosfera e la geometria sulla pseudosfera 115
Potremo cos`ı concludere che la somma degli angoli di ABC e` minore di un angolo piatto.
7.4 ll teorema di Gauss Bonnet e il quinto postulato sulla pseudosfera In effetti si pu`o estendere alla pseudosfera il risultato che abbiamo dimostrato per la sfera. Per la sfera vale la relazione: α+β+γ = π+
Area(ABC) , R2
in cui α, β, γ sono gli angoli interni del triangolo sferico e R e` il raggio della sfera. Sappiamo che la curvatura della sfera e` k = R12 , quindi la relazione precedente pu`o essere scritta cos`ı: α + β + γ − π = k ⋅ Area(ABC). Questo risultato vale per qualunque superficie di curvatura costante k, si tratta della formula di Gauss-Bonnet che e` stata enunciata da C.F. Gauss (1777-1855) in Disquisitiones generales circa superficies curvas (1827) ed estesa da P.O. Bonnet (1819-1892), essa si pu`o generalizzare non solo a triangoli, ma a poligoni su superfici non necessariamente a curvatura costante4 . Ritorniamo alla pseudosfera, se essa ha raggio unitario, la sua curvatura e` k = −1, applicando la formula di Gauss-Bonnet, abbiamo cos`ı che: α + β + γ − π = −Area(ABC). Quindi sulla pseudosfera la somma degli angoli interni di un triangolo e` minore di 180○ e il difetto e` pari all’area del triangolo. Da questo risultato segue un fatto sorprendente: l’area di un triangolo e` Area(ABC) = π − (α + β + γ), che e` minore o uguale a π. Quindi sulla pseudosfera non pu`o esistere un triangolo con un area maggiore di π, anche se esistono triangoli con perimetro infinito. Il fatto che la somma degli angoli interni del triangolo sia minore di un angolo piatto e` equivalente ad affermare che il quinto postulato non vale e che per un punto esterno a una geodetica passano pi`u geodetiche (infinite) che non intersecano quella data. Anche in questo caso e` utile una verifica sperimentale. Utilizzando il nastrino flessibile possiamo farlo aderire alla pseudosfera individuando cos`ı una geo-
4 Un’esposizione
completa di questo teorema e delle sue svariate applicazioni richiede gli strumenti della Geometria Differenziale, si puo` trovare, ad es., in Thorpe J.A. (1979). Elementary Topics in Differential Geometry, Heidelberg: Springer.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 116
detica; scegliendo un punto della superficie possiamo far aderire tanti nastrini che passano per quel punto e che non intersecano quello di partenza, individuando quindi pi`u geodetiche che sono “parallele” a quella data (Fig. 7.12).
Figura 7.12
Capitolo 8 La sfera Terra: fare il punto Questo capitolo si propone l’obiettivo di esplorare, prescindendo dalle tortuosit`a della storia, un possibile percorso attraverso il quale l’uomo, immerso nella difficile situazione geometrica di abitante di un pianeta sferico (non ci interessa qui considerare la reale forma di ellissoide, meglio ancora, di geoide), e` riuscito a crearsi sistemi di riferimento, rappresentazioni cartografiche, strumenti di orientamento e strategie per muoversi sicuro tra i punti del pianeta. La visione e` strettamente tolemaica, sia perch´e e` rivolta con curiosit`a agli antichi che non disponevano se non dei frutti delle loro osservazioni dirette e delle intuizioni matematiche, sia perch´e questa e` la situazione reale da noi tutti abitualmente vissuta.
8.1 Il sistema di riferimento terrestre La formica a passeggio sul pallone ci ha aiutato a dipanare le problematiche che una superficie tanto diversa dall’ideale piano euclideo comporta per chi voglia fondarvi una geometria coerente. E noi ci siamo volentieri immedesimati in lei perch´e la nostra condizione di abitanti sulla Terra e`, con le evidenti differenze di scala, assai simile. Volendo esplorare pi`u da vicino analogie e differenze, la prima cosa che balza agli occhi e` che la sfera-Terra e` cos`ı grande rispetto alle nostre dimensioni che localmente la sua curvatura diventa davvero trascurabile, per cui e` del tutto plausibile che storicamente la prima geometria elaborata sia stata una geometria del piano. La Terra stessa e` stata a lungo considerata come un disco piatto, ed e` tuttora considerata tale da popolazioni non toccate dalle nostre culture. Tanto pi`u che sia la formica che l’uomo vedono della sfera una porzione apparentemente piana, delimitata da un contorno circolare (l’orizzonte), il cui raggio r pu`o essere espresso in funzione dell’altezza cui riescono a portare i loro occhi.
Figura 8.1 Per l’osservatore, con gli occhi in O, ad altezza h dal suolo, il raggio R ` in radianti, α = Rr e cos α = R+h dell’orizzonte e` r, l’angolo al centro corrispondente e, , r R r R R dunque cos R = R+h . Pertanto R = arccos R+h , e, in definitiva, r = R arccos R+h il cui limite, per h → +∞, e` R ⋅ π2 , ovvero 1/4 della circonferenza terrestre, come a dire che ad altezza infinita si potrebbe spingere lo sguardo fino all’equatore Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 8, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 118
La formica che cammina sul pallone sospeso nel vuoto, portandosi appresso il suo limitato orizzonte, non ha nessun punto speciale su di esso e nessun riferimento esterno cui appigliarsi per costruirsi un sistema di riferimento che le consenta di localizzare la sua posizione. Potrebbe, in modo del tutto arbitrario, tracciare un qualche reticolo di linee di riferimento e procedere poi in modo simile a quanto si pu`o fare su un foglio bianco, ma non disponendo di uno sguardo d’insieme, avrebbe comunque grandi difficolt`a ad attribuire a un punto raggiunto nel suo cammino un insieme di coordinate che lo identifichino rispetto al sistema di riferimento predisposto. La storia per l’uomo sulla Terra e` stata differente: migliaia e migliaia di anni passati a osservare di giorno il ciclico moto apparente del Sole e il suo lento e regolare spostarsi tra i tropici da un solstizio all’altro e di notte quello assai pi`u costante degli astri (Fig. 8.2) gli hanno consentito, ben prima di poter osservare il pianeta dall’alto di un aereo e poi di un satellite, per non dire dalla Luna, di situarlo in un pi`u ampio riferimento “celeste”, acquisendo per cos`ı dire una visione di esso “dall’esterno”, che lo ha affrancato dalla mera situazione intrinseca. La visione elaborata nel corso di millenni di osservazioni astronomiche e` stata sintetizzata teoricamente da Tolomeo (intorno al 150 d.C.) in un modello che resistette fino alla rivoluzione copernicana. In esso la Terra e` una sfera fissa nel centro di un’altra sfera ben pi`u vasta, sulla quale gli astri tracciano, nel loro moto giornaliero, delle circonferenze concentriche a un punto che, unico, sembra fisso, un punto che diventa un riferimento privilegiato, un polo celeste: proiettato sulla Terra, l`a dove esso appare sulla verticale dell’osservatore, viene a costituire il polo geografico (Fig. 8.3). Equatore e tropici sono anch’essi proiezioni sulla Terra di linee che il Sole, la cui traiettoria apparente varia di giorno in giorno, traccia sulla sfera celeste rispettivamente agli equinozi e ai solstizi. Nel giorno degli equinozi, in cui cio`e le ore del d`ı sono equivalenti alle ore della notte, il Sole culmina perpendicolarmente al mezzod`ı sui punti di quella particolare circonferenza che cinge la terra essendo
Figura 8.2 ‘‘Artiglio’’)
Rotazione apparente degli astri (da: Dispense in rete - IT. Nautico
Capitolo 8
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La sfera Terra: fare il punto 119
Figura 8.3
equidistante dai poli, e che viene per l’appunto chiamata equatore. Un osservatore che si trovi in tale giorno all’equatore vede il Sole percorrere un arco di cerchio che divide la volta celeste in met`a, e in particolare al mezzod`ı lo vede passare esattamente per lo zenit, ovvero per il punto situato sulla verticale della posizione da lui occupata (Fig. 8.4). I tropici sono circonferenze parallele all’equatore, che marcano i limiti settentrionali e meridionali della fascia di superficie terrestre all’interno della quale, almeno per un giorno all’anno, a mezzogiorno, i raggi del sole cadono perpendicolari alla superficie; su di essi il Sole passa per la verticale nei giorni dei solstizi. Un osservatore che si allontani da tale fascia, avviandosi verso i poli, vede muoversi il Sole su di una traiettoria sempre pi`u bassa sull’orizzonte: l’altezza massima raggiunta dal Sole al mezzod`ı pu`o diventare un indice di quanto egli sia lontano dall’equatore, ovvero della sua latitudine (distanza sferica di un punto dall’equatore, espressa in gradi, da 0○ a 90○ ). Osservatori che si trovino in uno stesso giorno sulla superficie terrestre in punti situati a una stessa distanza dall’equatore osservano il Sole culminare, al mezzogiorno, alla stessa altezza: la linea passante per tali punti e` un parallelo (luogo dei punti di uguale latitudine). L’insieme dei paralleli consente appunto l’attribuzione a ogni punto della superficie terrestre di una delle due coordinate geografiche, la latitudine.
Figura 8.4 Il moto del Sole sulla volta celeste per un osservatore all’equatore nei giorni di equinozio
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 120
In modo simile a quanto visto per i paralleli, e` ancora sempre l’osservazione del moto apparente del Sole a suggerire di disporre sulla superficie terrestre un altro insieme di linee ideali: i meridiani. Ogni meridiano e` il luogo geometrico dei punti della superficie terrestre sui quali il Sole culmina in uno stesso istante, ovvero per i quali e` contemporaneo il mezzod`ı. I meridiani pertanto costituiscono nel loro insieme, la griglia geometrica sulla quale si registra il moto apparente del Sole. Il sistema dei meridiani, cerchi massimi passanti per i poli, dunque, oltre ad assegnare a ogni punto della superficie terrestre una seconda coordinata, la longitudine (distanza, misurata sull’equatore in gradi tra 0○ e 180○ in direzione Est o Ovest, tra il meridiano passante per il punto e un meridiano di riferimento) che, associata alla latitudine lo identifica univocamente, e` la struttura portante del nostro modo di valutare il tempo. La misura del tempo e forse la sua stessa concezione (o percezione?) e` scaturita proprio dalla periodicit`a del moto apparente del Sole. Ma adottata la durata di tale periodo, il giorno, come unit`a di misura, e` sorta la necessit`a di fissare, tra i tanti meridiani sui quali in modo assolutamente imparziale il Sole va in successione a culminare, un meridiano di riferimento rispetto al quale conteggiare il numero dei giorni (con il cambio di data) e la distanza angolare (la longitudine). Tale scelta e` assolutamente arbitraria ed e` stata mutata nel tempo, in funzione delle differenti convenienze. Resta immutabile il fatto che in un’ora, sottomultiplo del giorno, il Sole si sposta di 15○ di longitudine, e ogni 4 minuti culmina su un diverso meridiano, cio`e si sposta di 1○ . Il reticolo costituito da meridiani e paralleli ha consentito di tentare le prime mappature della superficie terrestre: esso compare nelle prime preziosissime carte geografiche che Eratostene e poi Tolomeo, con approccio finalmente scientifico, elaborarono nei loro storici trattati (Figg. 8.5-8.6). Fino ad allora la geografia era stata appannaggio dei filosofi, il cui proposito non era quello di riprodurre le reali forme delle terre emerse, quanto di raffigurare la loro concezione filosofica del mondo. A causa dei meandri tipici della storia, ancora nel 1400 vigevano le note rappresentazioni del mondo a T (Fig. 8.7), con le terre racchiuse entro un cerchio di acqua e divise in tre parti da corsi d’acqua o mari, disposti perpendicolarmente l’uno rispetto all’altro, che confluivano al centro ove era posizionata Gerusalemme.
Figura 8.5 Ricostruzione della carta di Eratostene
Figura 8.6 Ricostruzione della carta di Tolomeo
Capitolo 8
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La sfera Terra: fare il punto 121
Figura 8.7 Carta a T, conservata presso i Musei di Palazzo Poggi a Bologna
A riprova di quanto le concezioni che abbiamo fin qui sommariamente esposto fossero profondamente padroneggiate dagli studiosi dell’antichit`a e di quali importanti risultati si potessero ottenere applicando a esse un minimo di matematica e di atteggiamento sperimentale, ricordiamo qui il noto procedimento mediante il quale Eratostene, nel III secolo a.C. arriv`o a determinare il valore del raggio terrestre (Fig. 8.8). La convinzione che la Terra fosse sferica e che i raggi del Sole, data la distanza, potessero essere considerati paralleli, gli consent`ı di mettere in relazione la distanza reale, a lui nota (l), tra le due localit`a, con il corrispondente angolo al centro della Terra, pari all’angolo α determinato. E con una semplice proporzione α ∶ 2π = l ∶ 2πR ottenne con una buona approssimazione il valore di R. Eratostene e il calcolo del raggio della Terra
Figura 8.8 Proprio in relazione ai lavori di cartografo, di cui si e` gi`a detto, Eratostene si imbatte´ nella necessit`a di avere una stima delle reali dimensioni della Terra. Egli sapeva che Siene era all’incirca sul Tropico del Cancro, informazione confermata dal fatto che al mezzod`ı del giorno del solstizio, trovandosi il Sole allo zenit, lo si vedeva riflesso sul fondo di un pozzo profondo. Poich´e sapeva che Alessandria, dove egli lavorava, era dislocata sullo stesso meridiano, piantato un bastone perpendicolarmente al suolo, misuro` la lunghezza della sua ombra (s) e, dal rapporto tra questa e la lunghezza del bastone (h), ottenne la tangente dell’angolo con il quale, nello stesso mezzod`ı, cadevano in quel luogo i raggi del Sole (da: N. Scarpel - La rete di Eratostene - vialattea.net)
8.2 I problemi del navigante - dialogo con le stelle Abbandonata la formica al suo destino di errante senza meta, il nuovo mentore che adotteremo per addentrarci pi`u in profondit`a nel tema che ci siamo proposti
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 122
Figura 8.9 Il navigante e` al centro della semisfera, il cerchio di base e` il suo orizzonte, il punto Z e` lo zenit, ossia la proiezione della sua verticale sulla volta celeste. Il percorso giornaliero del Sole da lui osservato varia via via nel corso dell’anno mantenendosi tra le due traiettorie estreme dei solstizi (S E estivo ed S I invernale) . I punti Est e Ovest sulla linea dell’orizzonte sono quelli nei quali il Sole sorge e tramonta (esattamente solo agli equinozi), mentre il Sud e` l’intersezione sull’orizzonte del meridiano celeste sul quale ogni giorno il Sole culmina al mezzod`ı. Diametralmente opposto, il Nord e` l’intersezione con il meridiano passante per il Polo Nord celeste, cui e` approssimativamente associata la stella polare (da: Dispense in rete - IT. Nautico ‘‘Artiglio’’)
sar`a il navigante. Chi meglio di lui, immaginato in mezzo alla distesa del mare, pu`o esemplificare la situazione di chi, confinato sulla superficie sferica, deve comunque dare un indirizzo al suo andare? Riassumiamo nella Fig. 8.9 i riferimenti di cui pu`o disporre rispetto alla sua visuale, costituita dal cerchio dell’orizzonte e dalla volta celeste sovrastante. Immaginiamolo a una latitudine intermedia tra equatore e polo, diciamo nel Mediterraneo. Egli pu`o muoversi nel suo piano dell’orizzonte con l’aiuto dei quattro punti cardinali, ma ha bisogno di sapere: K dove si trova, ovvero quali sono le sue coordinate geografiche; K come sono disposti rispetto a lui i porti nei quali deve recarsi (necessita cio`e di una carta geografica); K quale rotta deve far seguire alla propria imbarcazione per raggiungere l’approdo desiderato. Egli si chieder`a inoltre se ci sono differenti rotte possibili e quale tra di esse e`, eventualmente, la pi`u breve. Non ci addentreremo in intricate trattazioni sulle coordinate astronomiche, ortogonali o polari, locali o uranografiche, e sui complicati calcoli che la navigazione astronomica richiede; ci limiteremo a introdurre gli elementi utili a cogliere il senso, e in particolare il nocciolo matematico, delle procedure con le quali i naviganti hanno cercato soluzione ai loro problemi, instaurando un dialogo tra sistemi di riferimento. Il sistema di coordinate geografiche terrestri e`, come si e` visto, specchio di un analogo sistema di coordinate sulla sfera celeste che la contiene: all’equatore terrestre corrisponde un equatore sulla sfera celeste, la linea percorsa dal So-
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La sfera Terra: fare il punto 123
Figura 8.10 Sistema celeste e sistema terrestre
le all’equinozio, i poli terrestri e celesti si proiettano l’uno nell’altro, e lo stesso avviene per i meridiani e i paralleli (Fig. 8.10). Il dialogo tra questi due sistemi e` per il navigante incessante, poich´e egli deve continuamente interrogare i corpi celesti, identificarli e stabilirne la posizione, per riuscire a determinare la propria posizione sulla superficie terrestre. Il sistema di coordinate sulla sfera celeste (Fig. 8.11), detto sistema orario, serve a localizzare la posizione degli astri: le coordinate sono rispettivamente la declinazione δ (distanza di un astro dall’equatore celeste), analoga della latitudine di un punto sulla Terra, e l’angolo orario t (distanza angolare tra il meridiano celeste che passa per lo zenit dell’osservatore, detto meridiano superiore, e il meridiano dell’astro, tra 0○ e 360○ ), analoga della longitudine.
Figura 8.11 In O c’`e il navigante, con il suo orizzonte, il suo zenit e i suoi punti cardinali. Egli vede l’astro, ma non puo` determinarne la declinazione, l’equatore celeste non e` una linea ‘‘visibile’’ (da: Dispense in rete - IT. Nautico ‘‘Artiglio’’)1
1 In
questa, come in altre delle figure seguenti, l’orizzonte e l’equatore compaiono sulla stessa sfera ´ data l’enorme distanza delle stelle si trascurano le dimensioni della Terra e si rappresenta perche, l’osservatore nel suo centro. La sfera e` pertanto la sfera celeste e non semplicemente la volta celeste locale.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 124
L’unico sistema di riferimento rispetto al quale il navigante pu`o effettuare delle misure e` costituto dalla linea, visibile in condizioni di luce favorevoli, del suo orizzonte, e dalla verticale a esso connessa, culminante nello Zenit, che la forza di gravit`a gli indica per mezzo di un filo a piombo. Ecco allora il sistema di coordinate (altazimutale) (Fig. 8.12), nel quale si chiamano verticali gli archi di circonferenza passanti per lo zenit.
Figura 8.12 Sistema altazimutale: Altezza: distanza angolare tra l’orizzonte e l’astro. Azimut: distanza angolare tra il verticale passante per il polo e il verticale passante per l’astro (da: Dispense in rete - IT. Nautico ‘‘Artiglio’’)
L’altezza di un astro pu`o essere determinata nel modo concettualmente pi`u semplice mediante lo strumento di nome quadrante. Consiste in un settore circolare pari a un quarto di cerchio, recante sul lato curvilineo una scala graduata tra 0○ e 90○ . Nel vertice dell’angolo retto e` inserito un filo a piombo. Traguardando la stella con due mirini posti lungo uno dei lati rettilinei, cio`e di fatto disponendo tale lato nella direzione nella quale si osserva la stella, si potr`a determinare quale angolo essa forma con la verticale del filo a piombo. L’altezza h e` il complementare di tale angolo (Fig. 8.13).
Figura 8.13 Altezza di un astro con il quadrante
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La sfera Terra: fare il punto 125
Figura 8.14 La latitudine ϕ e` uguale all’altezza h del polo
8.3 Calcolo della latitudine Ma come ricondurre la misura dell’altezza di un astro a quella della latitudine dell’osservatore? E` importante osservare che, essendo lo zenit la proiezione dell’osservatore sulla volta celeste, la distanza dell’osservatore dall’equatore terrestre, ovvero la sua latitudine φ, e` di fatto misurata dalla distanza dello zenit dall’equatore celeste. E la Fig. 8.14 mostra poi in modo evidente che la distanza angolare φ (la latitudine) e` uguale alla distanza angolare h, altezza del polo sull’orizzonte. Conclusione: potendo misurare quest’ultima si ottiene dunque la prima. Se ci fosse una stella in direzione del polo . . . La stella polare si chiama cos`ı proprio perch´e e` quasi allineata sul polo. Inoltre, essendo assai lontana, i suoi raggi giungono paralleli e dunque viene vista nella stessa direzione da qualsisi osservatore dell’emisfero Nord e costituisce dunque un fodamentale punto di riferimento.
Figura 8.15
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 126
La Fig. 8.15 mostra quanto detto in un’altra prospettiva: qui l’osservatore O e` in un punto della superficie terrestre. L’altezza h della polare sulla sua linea di orizzonte, tangente in O, e`, in modo facilmente riscontrabile, uguale alla latitudine ϕ. Purtroppo la semplicit`a concettuale di tale misurazione non corrisponde a una uguale qualit`a della misura di latitudine che si ottiene. La stella polare attualmente si discosta dalla direzione del polo nord di 44′ di grado e poich´e a ogni primo di grado corrisponde un arco di meridiano di 1 miglio marino (pari a circa 1852 metri) il range di valori entro il quale viene a trovarsi la misura si aggira sulle 88 miglia, davvero troppo. Esistono metodi con i quali compiere le necessarie correzioni, che non sono purtroppo le stesse nei diversi giorni e dai diversi punti, ma non ce ne occuperemo. Vediamo piuttosto altre strategie. Nei giorni degli equinozi, quando il Sole ha declinazione nulla rispetto all’equatore, la determinazione della sua altezza sull’orizzonte nell’attimo del mezzod`ı, quando passa sopra il meridiano dell’osservatore, consente un semplicissimo calcolo della latitudine. La situazione e` infatti cos`ı schematizzabile (Fig. 8.16):
Figura 8.16 La latitudine e` uguale all’angolo complementare dell’altezza h del Sole φ = 90○ − h
Il cerchio di Ipparco Ipparco di Nicea, uno dei pi`u grandi astronomi dell’antichit`a, vissuto intorno al 130 a.C., ha legato in particolare il suo nome agli studi sugli equinozi e al loro lentissimo variare nei secoli (la “precessione degli equinozi” si dir`a poi). Egli mise a punto uno strumento con il quale poteva registrare esattamente, anno dopo anno, la data degli equinozi (Fig. 8.17). Un semplice anello, disposto in un piano perfettamente parallelo al piano dell’equatore, proietta su di un piano orizzontale, nel solo giorno degli equinozi, in cui, come gi`a ricordato, i raggi del Sole cadono sulla verticale dell’equatore, un’ombra che si riduce a un semplice segmento, lungo quanto il suo diametro, mentre in tutti gli altri giorni tale ombra e` un’ellisse pi`u o meno schiacciata. Qual e` l’esatta inclinazione con la quale disporre l’anello? Per quanto gi`a detto in Fig. 8.16, l’angolo che il piano dell’anello, con l’asse orientato in direzione Nord-Sud, de-
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Figura 8.17 Il cerchio di Ipparco: (a) ombra proiettata nel giorno degli equinozi; (b) ombra proiettata in un giorno qualsiasi (da: Dispense in rete - IT. Nautico ‘‘Artiglio’’)
ve formare rispetto al piano orizzontale e` pari all’altezza del Sole, ovvero alla colatitudine (l’angolo complementare della latitudine) del luogo. E` evidente che l’anello di Ipparco pu`o diventare, al contrario, un modo molto semplice per determinare la latitudine di un luogo quando sia nota la data dell’equinozio. In tutti gli altri giorni il calcolo non e` pi`u complesso, a patto di conoscere la declinazione del Sole nel momento in cui si effettua la lettura dell’altezza. Schematizziamo la pi`u semplice delle configurazioni (Fig. 8.18).
Figura 8.18 La declinazione δ del Sole e` , nella situazione esemplificata, negativa. La latitudine ϕ = 90○ − h − δ
Questo procedimento si pu`o ripetere del tutto simile con qualsiasi stella, sempre a patto di conoscere la sua declinazione. Per esempio (Fig. 8.19), se si sa che la stella, vista ad altezza h sul meridiano dell’osservatore in O, ha declinazione δ rispetto all’equatore, e` facilmente calcolabile la latitudine ϕ di O: ϕ = 180○ − (90○ − h) − δ. L’apparente semplicit`a della determinazione della latitudine si poggia su due questioni che sono invece assai delicate: la precisione dello strumento con il quale si effettua la misura dell’altezza unita all’accuratezza della procedura, e la determinazione della declinazione dell’astro considerato. Quest’ultima si effettua mediante la consultazione delle tavole delle Effemeridi, tavole sulle quali da secoli viene annualmente pubblicata un’enorme messe di dati
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Figura 8.19 Calcolo della latitudine misurando l’altezza di una stella di cui si conosce la declinazione
relativi alle posizioni, ai passaggi sul meridiano ecc., nei vari giorni dell’anno di molti degli astri osservabili nel cielo, e alle posizioni nelle diverse ore del giorno nel caso di Sole, Luna e pianeti. Queste informazioni sono riferite al meridiano fondamentale e bisogna dunque adattarle, con opportuni calcoli, al meridiano locale mediante la determinazione dell’esatta ora locale alla quale si sta effettuando la misura. La determinazione della latitudine si intreccia dunque a questo punto con quella della longitudine, sempre connessa con tutto ci`o che ha a che fare con il tempo.
8.4 Determinazione della longitudine Concettualmente la longitudine, soprattutto per noi che abbiamo introiettato la visione newtoniana della Terra che ruota incontro al Sole spostando la linea del giorno da est verso ovest, appare assai semplice: ci sembra debbano bastare due orologi, uno che conservi l’ora di Greenwich e l’altro che sia tarato sul mezzogiorno locale per poter stabilire con precisione la distanza angolare tra i due corrispondenti meridiani. Gli orologi come noi li conosciamo sono per`o una conquista relativamente recente e prima, soprattutto in mare, era impossibile conservare memoria dell’ora del porto di partenza. Il solo sistema abbastanza preciso disponibile nell’antichit`a era quello di dedurre la differenza di longitudine dalla differenza tra i tempi locali in cui era osservata una stessa eclisse di Luna. Il metodo messo a punto da Ipparco era poi stato utilizzato da Tolomeo. E` evidente che tali eventi, pur essendo rari, erano comunque utili per i cartografi, che potevano per tempo predisporre le osservazioni nei luoghi di cui volevano determinare le differenze di longitudine, mentre non erano di alcuna utilit`a ai naviganti. I quali, peraltro, navigavano per lo pi`u lungo costa, in vista di riferimenti sperimentati, e, quando incominciarono a spin-
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gersi attraverso agli oceani, si specializzarono nella navigazione “per paralleli”, creando dei veri e propri corridoi marini lungo i quali andavano a concentrarsi le rotte. La storia della conquista di un metodo sicuro di determinazione della longitudine e` assai varia e affascinante e sono stati scritti in proposito saggi interessanti ed esaurienti. L’idea di ricercare sulla volta celeste qualche riferimento per il calcolo della longitudine port`o alla proposta (1514 Johan Werner, un traduttore delle opere di Tolomeo) del metodo delle distanze lunari: tale metodo si fondava sul fatto che la Luna ha un suo moto autonomo sullo sfondo delle stelle fisse: compilando delle tavole contenenti la distanza della Luna da certe stelle, o anche dal Sole, in un dato tempo assoluto riferito a un certo meridiano, per un osservatore lontano sarebbe stato possibile determinare la propria longitudine comparando quel tempo assoluto, ricavato dall’osservazione di una delle distanze lunari censite, con il suo tempo locale. Il metodo della distanza lunare era teoricamente corretto, ma il problema della longitudine non poteva essere effettivamente risolto in quanto n´e lo strumento di misura n´e le stesse posizioni delle stelle di riferimento avevano la precisione necessaria. La questione longitudine si fece via via pi`u urgente man mano che si svilupparono i commerci attraverso gli oceani: ingenti ricchezze grazie a essi si accumularono ma frequenti erano i naufragi causati dall’errata determinazione delle posizioni delle navi. I regnanti degli stati pi`u coinvolti nei traffici marini lanciarono la sfida ad astronomi e scienziati, promettendo premi e vitalizi a chi avesse risolto il problema. Nel 1616 anche Galileo Galilei present`o al re Filippo II di Spagna una sua proposta. Sulla falsariga dei metodi delle eclissi e delle distanze lunari anch’egli aveva cercato nel cielo una sorta di orologio naturale, rappresentato da un evento da pi`u punti osservabile. Grazie al suo cannocchiale egli aveva nel frattempo scoperto 4 satelliti di Giove (le lune medicee) e poich´e i fenomeni legati al loro moto di rivoluzione intorno al pianeta (sparizione nella sua ombra e ricomparsa, occultamento e riapparizione, tempo di attraversamento ecc.) erano ovviamente periodici e complessivamente in numero elevato e dunque piuttosto frequenti (circa 300 nel corso di un anno), sugger`ı che una loro attenta catalogazione rispetto a un tempo assoluto poteva costituire un riferimento temporale certo per chiunque li osservasse da un’altra posizione, ricavando dallo scarto di tempo l’informazione tanto cercata per la determinazione della longitudine. Non raccolse Galileo il successo della proposta, bens`ı Cassini che pi`u tardi, dopo aver per sedici anni raccolto dati sui movimenti delle lune di Giove, pubblic`o le Ephemerides Bononienses Mediceorum Syderum, che gli fruttarono la nomina a direttore dell’Osservatorio astronomico di Parigi. Il metodo suggerito da Galileo e perfezionato da Cassini risolse il problema della longitudine per i cartografi che ne fecero ampio uso migliorando di molto la precisione della geografia terrestre. Si narra che Luigi XIV di Francia, vedendo in seguito a ci`o aggiornati i contorni e l’estensione del suo regno, si sia lamentato di aver dovuto cedere pi`u territorio ai suoi astronomi di quanto ne avesse mai ceduto ai suoi nemici. Ma il problema della longitudine per i naviganti attendeva ancora la sua soluzione: il movimento ineliminabile della nave impediva di utilizzare un telescopio
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per osservare e registrare i tempi delle lune. Gli astronomi non desistettero. Il metodo delle distanze lunari riacquist`o credito: ci fu anche in questo caso chi (John Flamsteed, chiamato a dirigere il nuovo osservatorio appositamente creato proprio in quel Greenwich, che poi diventer`a il meridiano di riferimento) dedic`o pi`u di sedici anni a raccogliere dati per compilare tavole lunari il pi`u precise possibili. Tuttavia per i naviganti anche il metodo delle distanze lunari continuava a essere troppo complicato. Restava da percorrere la strada della costruzione di uno strumento di misura del tempo, anche questa gi`a indicata da Galilei con i suoi studi sul pendolo e i primi tentativi di orologi a pendolo. Nel 1707 un naufragio clamoroso al largo delle isole Schelly nel quale, per una errata determinazione del punto nave, andarono a infrangersi sugli scogli quattro navi militari con duemila uomini a bordo, indusse il Parlamento inglese a emanare (1714) il Longitude Act, con il quale si stabiliva una ricompensa di 20.000 sterline per chi avesse messo a punto un metodo per determinare la longitudine con un’approssimazione inferiore al mezzo grado. La soluzione arriv`o da un artigiano del legno, John Harrison, che riusc`ı nel 1759, al quarto tentativo, a costruire finalmente un orologio che, indifferente al movimento, all’umidit`a, agli sbalzi di temperatura, riusc`ı a conservare l’ora, accumulando un ritardo di soli 5 secondi al termine di un viaggio di 81 giorni di traversata atlantica da Londra alla Giamaica.
Figura 8.20 Orologi di Harrison: (a) orologio H1 (1730), alto 63 cm e pesante 34 kg; (b) orologio H4, diametro 13 cm e pesante 1,4 kg (National Maritime Museum, Greenwich, Ministry of Defence Art Collection)
8.5 Gli strumenti di misura 8.5.1 Gli strumenti a disposizione dei grandi navigatori Nell’elaborare le informazioni e le descrizioni degli strumenti di misura qui riportati si e` cercato di evidenziare il principio matematico/geometrico del funzionamento di ciascuno. Si e` gi`a detto del quadrante. La sua precisione dipende dalle dimensioni e dunque dalla finezza delle suddivisioni sulla scala. Purtroppo il suo uso in mare risulta comunque non molto agevole a causa delle oscillazioni che il moto del mare imprime all’imbarcazione e dunque al filo a piombo. Un altro inconveniente si
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Figura 8.21 Altezza di un astro misurata con il quadrante (da: Dispense - IT. Nautico ‘‘Artiglio’’)
presenta quando lo si usi per rilevare l’altezza del Sole: la luce abbaglia chi lo osserva e ne danneggia la vista. Cristoforo Colombo nel suo primo viaggio verso le Indie aveva con s´e un quadrante. Questo e` certo perch´e egli lo cita espressamente pi`u di una volta nel suo diario di bordo, anche se i risultati delle misure da lui puntualmente riportati hanno suscitato molte perplessit`a nei commentatori postumi. Egli lo usava soltanto per misurare l’altezza della stella Polare sull’orizzonte e tentare di dedurre da essa la latitudine della nave. Il livello di conoscenze di Astronomia Nautica del tempo non consentivano di fare di pi`u, ma era gi`a molto per chi, in pieno oceano, non poteva misurare altro. Durante il viaggio di ritorno, alla data del 3 febbraio 1493, Colombo cita anche, per l’unica volta, un astrolabio. L’astrolabio L’astrolabio nautico, versione alleggerita dell’astrolabio astronomico, si componeva essenzialmente di un cerchio con lembo graduato, vuoto al centro per opporre meno resistenza al vento e non esserne messo in oscillazione. Era sospeso per l’anello superiore e mantenuto verticale mediante un peso posto alla base (Fig. 8.22).
Figura 8.22 Astrolabio. L’originale antico, di cui questa e` una sommaria raffigurazione, e` conservato presso il Museo della Marina di Lisbona
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L’osservatore ruotava l’alidada (il regolo incernierato al centro, recante mirini e indici) finch´e non riusciva a traguardare l’astro attraverso i mirini, e leggeva il valore dell’angolo sul lembo graduato, con un errore che poteva raggiungere un grado, pari a 100-120 Km. Il suo uso impegnava per`o tre uomini: uno sosteneva lo strumento, il secondo lo puntava e il terzo effettuava la lettura. La balestriglia Lo strumento consiste di un’asta principale lungo la quale pu`o scorrere, perpendicolarmente nel suo punto medio, un braccio trasversale. La misura che si vuol effettuare con esso e` la distanza angolare tra due stelle o tra una stella e l’orizzonte. L’astronomo posiziona centralmente e fa scorrere il braccio mobile su e gi`u finch´e i mirini posti sulle sue estremit`a non traguardano contemporaneamente le due stelle.
Figura 8.23 Raffigurazione rinascimentale dell’astronomo Tolomeo. Lo strumento che reca in mano e` un’asta a croce, detta asta di Giacobbe o balestriglia
Figura 8.24 La balestriglia (da: ‘‘Strumenti a riflessione’’ B. Magnaghi - Biblioteca I. Idrografico della Marina)
La Fig. 8.25 mostra come, misurata la distanza AC, essendo fisso il valore di BC, si possa con un semplice calcolo di tangente ottenere il valore dell’angolo α. Per la simmetria della situazione l’angolo tra i due astri risulta poi essere 2α.
Figura 8.25
La balestriglia puntata tra due astri tan α = BC/AC
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Figure 8.26 e 8.27 Il quadrante di Davis (Fig. 8.27) si compone di due archi circolari graduati di diverso raggio e di diversa ampiezza: quello di raggio minore ha un’ampiezza di 60○ e quello con raggio maggiore un’ampiezza di 30○ . L’arco di 60○ serve per catturare la direzione del Sole, l’altro per confrontarla con quella dell’orizzonte. Per rilevare la direzione del Sole si dispone il mirino scorrevole sull’arco di raggio piu` corto in modo da far cadere la sua ombra sul traguardo posto nel vertice dello strumento. Su di esso e` praticata una larga fessura che lascia scorgere l’orizzonte se traguardata da un secondo mirino scorrevole sull’arco di raggio maggiore. Quando l’occhio di chi osserva attraverso di esso riesce a far coincidere la visione dell’orizzonte con l’ombra del primo mirino orientato verso il Sole, si puo` fare la lettura. Sommando i valori dei due angoli si ottiene la distanza zenitale, ovvero direttamente il complementare dell’altezza (90○ − h), giacche´ le graduazioni cominciano dall’alto sul settore da 60○ e dal basso sul settore da 30○ (i mirini sarebbero cioe` entrambi sullo zero quando il Sole fosse allo zenit, con altezza 90○ e distanza zenitale nulla) (da: ‘‘Strumenti a riflessione’’ B. Magnaghi- Biblioteca I. Idrografico della Marina)
Il quadrante di Davis La Fig. 8.26 mostra un primo tentativo di quanto il quadrante di Davis ha poi reso praticabile: rilevare la direzione del Sole voltandogli le spalle, ed evitando dunque di esserne abbagliati. 8.5.2 La navigazione astronomica negli ultimi due secoli: il sestante Mentre si andava risolvendo il problema della longitudine, anche per la determinazione dell’altezza si introdussero importanti novit`a: nel 1756 Campbell fece costruire il primo sestante (Fig. 8.28). Il sestante e` lo strumento tuttora utilizzato da chi vuol effettuare navigazione astronomica senza ricorrere all’aiuto delle tecnologie telematiche. La sua costruzione e` finalizzata al rilevamento dell’altezza di un qualsiasi astro sull’orizzonte.
Figura 8.28 Un moderno sestante
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E` costituito da un’armatura metallica a forma di settore circolare (inizialmente pari a esattamente un sesto di cerchio, donde il nome) sulla quale sono rigidamente fissati uno specchio fisso e un oculare a esso affrontato. Sul vertice del settore circolare e` incernierata una piastrina circolare che sorregge un secondo specchio. La piastrina pu`o ruotare, e con essa lo specchio, che perci`o viene detto mobile: la sua rotazione pu`o essere misurata mediante un braccio a essa solidale (alidada) che si prolunga fino a scorrere lungo il lembo del settore circolare, dotato di graduazione. Lo specchio mobile riflette i raggi che riceve verso lo specchio fisso, che a sua volta li riflette nell’oculare: l’osservatore ruota l’alidada finch´e l’immagine della stella a lui rinviata dagli specchi si allinea con l’orizzonte che lo specchio fisso gli consente di vedere, essendo solo per met`a riflettente e per l’altra met`a trasparente. Viene qui applicato un principio di ottica geometrica secondo il quale se un raggio di luce subisce in sequenza due riflessioni su di uno stesso piano, l’angolo del quale esso viene complessivamente deviato e` doppio dell’angolo tra le due superfici riflettenti. Pertanto la deviazione subita dal raggio della stella e` esattamente il doppio dell’angolo tra i due specchi, ovvero dell’angolo del quale e` stato ruotato lo specchio mobile, in definitiva dell’angolo che l’indice dell’alidada sta segnando sul lembo graduato del settore. Proprio per questa ragione la graduazione reca valori gi`a raddoppiati. Pu`o essere utile osservare che lo specchio mobile e` fissato sulla piastra girevole in modo tale che quando l’alidada indica lo zero della graduazione esso risulti parallelo allo specchio fisso, situazione che corrisponderebbe a una stella che sta sull’orizzonte, ad altezza zero.
Figura 8.29
Il sestante e il suo principio di funzionamento
8.6 La determinazione del punto - nave 8.6.1 Il punto nave con il metodo dei cerchi d’altezza Illustreremo qui un metodo di posizionamento molto interessante dal punto di vista concettuale perch´e e` per eccellenza l’esempio di quanto possa essere fruttuoso
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un approccio squisitamente geometrico applicato al dialogo tra i due sistemi di riferimento, quello terrestre e quello celeste. Siamo su di una nave e nel cielo stellato riconosciamo con certezza un certo numero di stelle. Se determiniamo con buona precisione l’altezza di almeno due, meglio tre, di esse, potremo definire con buona precisione le coordinate della nostra nave. Ecco come: a ogni stella sulla sfera celeste corrisponde un punto sulla superficie della Terra (detto punto subastrale), l`a dove la verticale che congiunge la stella con il centro della Terra interseca la superficie terrestre. Tutti i punti che dalla Terra, in un certo istante, rileverebbero uno stesso valore di altezza per la stella in questione costituiscono un luogo geometrico che e` evidentemente una circonferenza il cui centro e` il punto subastrale. Per convincersene basta pensare a un esempio pi`u terrestre: tutti quelli che vedrebbero la punta di un campanile sotto un certo angolo, si trovano alla stessa distanza dal campanile, cio`e su di una stessa circonferenza di cui il campanile e` il centro. E il raggio? Qui si pu`o davvero apprezzare il fatto che la geometria della sfera, la sua perfetta simmetria centrale, consenta di esprimere le distanze in forma angolare: la distanza angolare tra la nostra nave e il punto subastrale e` uguale alla distanza angolare tra lo zenit, che rappresenta l’osservatore sulla sfera celeste, e la stella stessa; il raggio della circonferenza, espresso come distanza angolare, e` pari alla distanza zenitale della stella, ovvero al complementare della sua altezza (Fig. 8.30). Si tratta ora di ottenere le coordinate del punto subastrale della stella e di tradurre in effettiva lunghezza sulla superficie terrestre il raggio del cerchio (basta ricordare che a ogni primo di distanza angolare corrisponde un miglio marino, 1852 metri). Le coordinate terrestri del punto subastrale possono essere ottenute dalle sue coordinate celesti riportate, per quel giorno, sulle tavole delle effemeridi. La latitudine e` uguale alla declinazione della stella, quanto alla longitudine e` anch’essa determinabile con opportuni calcoli, nei quali non ci addentriamo: si utilizzano la longitudine celeste assoluta (l’ascensione retta), attribuita alla stella rispetto al meridiano astronomico fondamentale, quello passante per il punto γ di intersezione tra l’eclittica e l’equatore celeste, e un’accurata valutazione del tempo nel quale e` stata fatta la misura.
Figura 8.30 Il cerchio d’altezza relativo a una stella
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Figura 8.31 Due cerchi d’altezza e i due possibili punti nave
Il cerchio d’altezza, di cui si sono cos`ı determinati centro e raggio pu`o essere riportato sul mappamondo (vedi ancora Fig. 8.30). E se, con identico procedimento si determina il cerchio d’altezza di una seconda stella non lontana dalla prima, i due cerchi d’altezza indicheranno, nei loro due punti di intersezione, due possibili posizioni della nave (vedere Fig. 8.31). Un terzo cerchio pu`o eventualmente assicurare quale dei due punti debba essere scelto. E` del tutto evidente che la rappresentazione sul mappamondo ha un valore puramente concettuale, dal momento che, per portare a una determinazione del punto nave di precisione minimamente accettabile, il mappamondo dovrebbe essere gigantesco. Pertanto nell’effettiva pratica della navigazione astronomica ci si limita a determinare rette di altezza, ottenute stimando possibili linee di distanza da un punto di coordinate note che si valuta essere abbastanza prossimo alla posizione reale della nave. Anche tali rette si ottengono confrontando le altezze con le quali da tale punto si dovrebbero vedere tre stelle, con le altezze effettivamente rilevate dalla posizione occupata. Tutto ci`o conferma l’assoluta importanza del sestante, strumento che attualmente pu`o raggiungere una precisione anche inferiore al primo di grado. E` stato detto che, col sestante, James Cook potrebbe di nuovo andare in tutta sicurezza da Londra alla Nuova Zelanda, mentre tanti naviganti attuali, che, senza i moderni sistemi di posizionamento satellitare, non sono nemmeno in grado di allontanarsi dalla costa, si perderebbero nel Mediterraneo se mai i segnali dei satelliti smettessero, per un qualche motivo, di raggiungerli. 8.6.2 Fare il punto con il G.P.S. E se anzich´e consultare effemeridi, puntare sestanti verso il cielo e sobbarcarsi lunghi calcoli per conoscere le esatte posizioni di una o pi`u stelle, solo modo per conoscere la propria posizione, il navigante disponesse di astri che “rispondono” alle sue interrogazioni? I satelliti che precisi e zelanti ci ruotano attorno secondo le ben calibrate orbite che i sistemi satellitari hanno loro affidato assolvono questo compito: diffondono incessantemente, istante per istante, le informazioni relative alle loro coordinate spaziali e temporali. E le nostre stazioni riceventi, elaborando questi dati con procedimenti non dissimili dal metodo dei cerchi d’altezza visto prima, riescono a determinare, con la grande precisione che abbiamo ormai tutti sperimentato, la propria posizione. Per un’approfondita trattazione sui sistemi di posizionamento satellitare si rinvia alle Appendici.
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Qui ci limitiamo ad aggiungere un raccordo tra la coppia di coordinate geografiche (latitudine e longitudine) delle quali si e` sin qui trattato, sufficienti nella dimensione 2D della superficie terrestre, e la terna di coordinate cartesiane alle quali in modo assai immediato fa riferimento un satellite che alla Terra guarda dalla terza dimensione. Continuando ad approssimare la Terra con una sfera, se si posiziona una terna di assi ortogonali nel suo centro (Fig. 8.32), ogni suo punto viene a essere identificato dalla terna (x, y, z) e, come si sa, l’equazione dell’intera superficie pu`o essere molto semplicemente espressa dall’equazione x 2 + y2 + z2 = R2 . Adottando le coordinate sferiche φ (latitudine), λ (longitudine), si pu`o esprimere la superficie sferica mediante le equazioni parametriche: ⎧ ⎪ x = R cos φ sin λ ⎪ ⎪ ⎪ ⎨ y = R cos φ cos λ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎩z = R sin φ.
− π/2 < φ ⩽ π/2
−π < λ⩽π
Tali equazioni consentono parimenti di convertire le coordinate geografiche in coordinate cartesiane, cos`ı come le inverse: x ⎧ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ λ = arctan y ⎨ ⎪φ = arcsin z ⎪ ⎪ ⎪ R ⎩ consentono l’opposta conversione. In questo modo, fissato un meridiano di riferimento per le longitudini, verso il quale orientare l’asse x, i due sistemi di coordinate possono perfettamente dialogare tra loro.
Figura 8.32
Capitolo 9 La sfera Terra: le carte geografiche La rappresentazione della superficie terrestre, e in particolare la rappresentazione di profili, conformazione e dislocazione delle terre emerse, e` una delle questioni dove la sfericit`a della Terra ha messo alla prova stuoli di intelletti. Solo il mappamondo, rappresentazione in scala ridotta dell’originale, riesce, infatti, a conservare tutte le propriet`a (salvo l’approssimazione dell’ellissoide, anzi del geoide, in sfera) che a una perfetta rappresentazione si richiede: fedelt`a delle forme e delle distanze, e dunque anche delle aree e delle direzioni. Ma il mappamondo, oltre all’ingombro, ha il grave difetto di non poter che utilizzare scale ridotte. Dunque ci si e` dovuti cimentare con le rappresentazioni piane, affrontando il non piccolo problema derivante dal fatto che la sfera non e` una superficie sviluppabile nel piano. Finch´e le esigenze pratiche legate al viaggiare lungo le strade del mondo antico o al navigare bordeggiando le coste hanno prevalso, sono state ampiamente sufficienti le rappresentazioni schematiche degli itinerari o dei portolani, descrizioni che si limitavano a riportare in successione centri abitati, crocevia, aspetti rilevanti di quanto il viandante avrebbe incontrato percorrendo una certa strada oppure porti, approdi, promontori o insenature che avrebbero consentito al navigante di riconoscere progressivamente la costa nel suo sviluppo. La pi`u famosa tra queste carte antiche e` la Tavola Peutingeriana (copia del XII secolo di carte di epoca augustea), 11 fogli di pergamena sui quali sono raffigurati i circa 200.000 km di sviluppo della rete viaria dell’Impero romano: la descrizione, di tipo simbolico (vi sono raffigurate, con icone di casette, pi`u di 500 citt`a e pi`u di 3000 altri dettagli geografici), consente di rilevare le distanze fra i diversi luoghi e l’intreccio delle strade che li connettono, ma non offre una rappresentazione complessiva del territorio rapportabile alla realt`a.
Figura 9.1 Vienna)
¨ Parte della tavola Peutingeriana (Osterreichische Nationalbibliothek,
Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 9, © Springer-Verlag Italia 2012
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9.1 Le proiezioni coniche e cilindriche Diversa e` l’esigenza ideale, teorica di Tolomeo, l’autore della grandiosa Geographia. Nel costruire la sua opera, volta a descrivere e rappresentare tutte le terre allora abitate, egli adotta e teorizza per primo il metodo delle proiezioni, procedimenti mediante i quali si possono riportare con regolarit`a su di un piano i punti della superficie sferica. Differenti sono le proiezioni utilizzabili, a seconda che i punti della sfera vengano proiettati su altri solidi sviluppabili, come cilindro e cono, oppure direttamente su di un piano, cos`ı come diverso pu`o essere il punto dal quale viene effettuata la proiezione. Ciascun tipo di proiezione, nell’attuare una trasformazione di coordinate geografiche (sferiche) in coordinate cartesiane (piane), attua una qualche deformazione e conserva invece qualche propriet`a (forma, area, distanza, direzioni). Accenneremo qui ad alcune di esse, utilizzando proprio, in primo luogo, le due superfici sviluppabili che sono, in altri capitoli, oggetto di indagine, il cilindro e il cono. 9.1.1 La proiezione conica Si ottiene avvolgendo idealmente la sfera terrestre con un cono e proiettando su di esso il reticolo delle coordinate geografiche e i profili dei continenti a partire dal centro della Terra (Fig. 9.2). Srotolando il cono si ottiene una mappa piana in forma di settore circolare. La Fig. 9.2 e` un puro suggerimento visivo. Una proiezione conica ha i meridiani rettilinei e convergenti nel vertice del settore, proiezione del polo. Tutti i paralleli sono costituiti da archi di circonferenze concentriche, la cui distanza, se non sottoposta a correzioni, va gradualmente dilatandosi. Il Nord e` nel vertice. L’Est e l’Ovest sono indicati in ogni punto dalla direzione dei paralleli e non dai lati della carta.
Figura 9.2
Proiezione conica
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Figura 9.3 Il parallelo di tangenza
L’elemento cardine della rappresentazione e` il parallelo lungo il quale si fa avvenire la tangenza tra sfera e cono (Fig. 9.3). Dalla sua latitudine φ dipendono il suo stesso raggio R 1 , l’ampiezza α del settore nel quale il cono si sviluppa, secondo la relazione α = 2π ⋅ sin φ, e la distanza Ro dal vertice del cono, che diviene il raggio dell’arco nel quale esso, il parallelo di tangenza, viene sviluppato sulla carta. Il rapporto α/2π determina inoltre il fattore di convergenza tra i meridiani (l’angolo, cio`e, di cui divergono fra loro sulla carta due meridiani che sulla sfera divergono di 1 grado). La proiezione conica, se non corretta, conserva solo le distanze lungo il parallelo di riferimento, ma fornisce comunque una discreta approssimazione per le altre propriet`a in una fascia di non pi`u di 20○ intorno a tale parallelo. E` utilizzata, infatti, per la rappresentazione di zone a latitudine intermedia tra polo ed equatore. Tolomeo aveva ideato una particolare proiezione conica che si avvaleva di un cono non tangente bens`ı secante lungo due paralleli di riferimento, in modo che su entrambi si mantenessero le distanze. Una carta a proiezione conica non risolve il terzo importante problema del navigante: determinare la rotta, ovvero determinare l’angolo da imporre alla propria bussola per raggiungere il porto voluto. Per soddisfare questa esigenza una carta deve essere conforme, ovvero deve conservare in una qualche misura le forme ma, soprattutto, deve trasformare perfettamente gli angoli (la si dice anche isogonica) da qualsiasi punto e in qualsiasi direzione. Condizione necessaria, anche se non sufficiente, e` che i paralleli e i meridiani si incontrino perpendicolarmente come sul globo. Quest’ultima propriet`a viene ottenuta se si proietta la sfera su di un cilindro a essa tangente lungo l’equatore. 9.1.2 Le proiezioni cilindriche I punti della sfera possono essere proiettati a partire dal centro della sfera stessa oppure dai punti dell’asse secondo piani paralleli all’equatore che, sezionando
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Figura 9.4
Proiezione cilindrica centrale
Figura 9.5
Proiezione cilindrica parallela
contemporaneamente sfera e cilindro associano ogni parallelo intercettato sulla sfera alla corrispondente circonferenza intercettata sul cilindro. In entrambi i casi i paralleli si proiettano in circonferenze parallele all’equatore di tangenza, mentre i meridiani si proiettano in generatrici del cilindro, in modo che una volta sviluppata la superficie si ottiene complessivamente un reticolo costituito da due fasci di rette tra loro perpendicolari. Nel caso della proiezione centrale (Fig. 9.4) i paralleli vanno progressivamente distanziandosi, secondo i valori della tangente della latitudine φ. Il polo finirebbe all’infinito. Nel caso invece della proiezione parallela (Fig. 9.5), i paralleli vanno infittendosi secondo i valori del seno della latitudine φ. E il polo si proietta in un’ultima circonferenza a distanza R dall’equatore. Quest’ultima proiezione cilindrica ha un’importante propriet`a. E` equivalente, ovvero conserva le aree racchiuse entro i profili che proietta, come si pu`o dedurre ricordando che la superficie di una sfera e` complessivamente equivalente alla superficie laterale di un cilindro tangente in un suo cerchio massimo e di altezza pari al suo diametro.
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Entrambe le proiezioni producono deformazioni sempre pi`u elevate al crescere della latitudine, l’una per stiramento e l’altra per schiacciamento. Nessuna delle due e` dunque n´e conforme n´e isogonica.
9.2 La carta del Mercatore Il geografo fiammingo (famiglia di origine tedesca) Gerard de Cremer (nome da egli stesso latinizzato in Gerardus Mercator) propose nel 1569 una sua soluzione al problema apportando una correzione alla proiezione cilindrica (centrale) mediante la quale l’inevitabile dilatazione lungo i paralleli, che aumenta con la distanza dall’equatore, e` accompagnata da una identica distorsione lungo i meridiani: il risultato e` che in ogni punto della mappa la scala delle distanze Est-Ovest e` la stessa della scala Nord-Sud. Nella proiezione cilindrica tutti i paralleli assumono la stessa lunghezza dell’equatore: in particolare gli archi di parallelo compresi tra due medesimi meridiani, assumendo tutti la stessa lunghezza dell’arco di equatore, subiscono allungamenti crescenti al crescere della latitudine a cui si trovano. Considerando per esempio, in Fig. 9.6, l’arco di parallelo A′ B′ alla latitudine φ, si pu`o facilmente calcolare di quanto la sua lunghezza sulla sfera sia ridotta rispetto a quella del corrispondente arco di equatore AB: A′ B′ r = AB R e
r = cos φ → A′ B′ = AB cos φ. R
Poich´e A′ B′ proiettato sul cilindro assume la stessa lunghezza di AB, il fattore di dilatazione cui e` sottoposto e` dunque 1/ cos φ = sec φ. La carta del Mercatore utilizza questo stesso fattore moltiplicativo nella proiezione degli archi di meridiani AA′ e BB′ : in tal modo, essendo il rapporto tra i due stiramenti ortogonali uguale a 1, si mantengono gli angoli, dunque le direzioni, e, in parte, anche le forme.
Figura 9.6 Elemento di superficie da proiettare
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Figura 9.7 Mappa del Mercatore
Immaginando di discretizzare la proiezione della superficie sferica in un insieme di quadratini, procedendo dall’equatore verso il polo si attuer`a in ciascuno di essi una crescente dilatazione, in funzione della latitudine. E volendo considerare tale variazione nel continuo si deve effettuare un’integrazione: a un punto di coordinate geografiche λ (longitudine) e φ (latitudine) corrisponder`a sulla carta un punto di coordinate ⎧ x = Rλ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ φ dφ . ⎨ ⎪ ⎪ y = R∫ ⎪ ⎪ 0 cos φ ⎩ E` evidente che la scala della mappa va crescendo mentre ci si allontana dai poli e dunque, pur conservandosi gli angoli e in particolare le direzioni, solo le piccole regioni non risultano deformate, mentre le aree geografiche risultano progressivamente sempre pi`u alterate (Fig. 9.7). La carta del Mercatore non viene perci`o utilizzata per rappresentare il planisferio (in esso per esempio la Groenlandia risulterebbe avere un’estensione all’incirca equivalente a quella dell’Africa, quando l’area di questa e` invece circa 14 volte maggiore dell’area di quella). La carta del Mercatore e` tuttora la carta per eccellenza del navigante. Gli angoli che interessano il navigante sono in particolare gli angoli che una rotta tracciata sulla carta forma con i meridiani, in quanto la bussola valuta gli angoli rispetto al Nord, cio`e rispetto a un invisibile meridiano: se gli angoli rilevabili sulla carta equivalgono a quelli che si riscontrano sulla superficie della Terra attraversando quegli stessi meridiani, il navigante pu`o, mediante la bussola, orientare con sicurezza la sua imbarcazione, essendo certo di raggiungere la meta desiderata anche quando essa e` fuori dalla sua vista. 9.2.1 Ortodromiche e lossodromiche Resta un quesito finale: il navigante, dopo aver fatto il punto nave con le modalit`a descritte e dopo aver consultato la carta del Mercatore per decidere la rotta da seguire, si muove, sul mare ricurvo della sfera Terra, lungo una geodetica? Ovvero, la traiettoria che infine disegna solcando le acque e` il percorso pi`u breve? La risposta e` negativa. La rotta tracciata come un segmento rettilineo sulla carta incontra i meridiani secondo un angolo costante: la barca che, mediante la bussola proceder`a mante-
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Figura 9.8
Lossodromia
Figura 9.9
Ortodromia
nendo quell’angolo di rotta costante rispetto al Nord, raggiunger`a il porto desiderato ma percorrer`a quella che si chiama una lossodromia (Fig. 9.8), ovvero una linea che si incurva e sale spiraleggiando (`e una spirale logaritmica) fino a raggiungere, se idealmente prolungata, il polo. La via diritta tra due punti sarebbe, come sappiamo, un arco di cerchio massimo e, a meno che esso non sia proprio su di un meridiano geografico o sull’equatore, incontra i meridiani secondo angoli sempre diversi. In navigazione la rotta lungo la geodetica si chiama ortodromia (Fig. 9.9), ed e` caratterizzata da un angolo di rotta continuamente variabile. Proviamo a costruire una carta di Mercatore, per poi metterla alla prova. Nella tabella che segue si sono riportati i calcoli relativi a una sfera di circa 10 cm di raggio, sulla quale il reticolo di meridiani e paralleli ha maglie di 10○ . Correzioni Mercatore Discretizzando la latitudine di 10○ in 10○ per una sfera di raggio 10,0 cm Intervallo di latitudine (○ )
0-10 10-20 20-30 30-40 40-50 50-60 60-70
Fattore moltiplicativo
Arco elementare di meridiano (cm)
1/ cos 10○ 1/ cos 20○ 1/ cos 30○ 1/ cos 40○ 1/ cos 50○ 1/ cos 60○ 1/ cos 70○
1,75 1,75 1,75 1,75 1,75 1,75 1,75
1,02 1,06 1,15 1,31 1,55 2,00 2,92
Arco elementare di merid. proiettato e corretto (cm) 1,79 1,86 2,01 2,29 2,71 3,50 5,11
Altezza complessiva i ogni parallelo sulla carta (cm) 1,79 3,64 5,65 7,95 10,66 14,16 19,27
Sulla carta ottenuta (Fig. 9.10) si e` provato come esempio (Fig. 9.11) a tracciare la rotta per andare dal punto di coordinate (φ = 20○ ; λ = 0○ ) al punto di coordinate (φ = 40○ ; λ = 90○ ); essa forma un angolo di 75○ rispetto al Nord. Come si vede in Fig. 9.12, tracciando sulla sfera una rotta che, partendo dallo stesso punto (20○ lat e 0○ long), tagli sotto lo stesso angolo di 75○ tutti i meridiani che incontra, si arriva effettivamente all’incirca al punto atteso di coordinate (40○
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Figura 9.10 La carta Mercatore originata dalla tabella
Figura 9.12
Figura 9.11
Una rotta
Ortodromia e lossodromia sulla sfera e sulla carta
lat; 90○ long). Me se tra gli stessi due punti noi tiriamo la strisciolina/geodetica possiamo osservare quanto le due rotte si discostino fra loro. Riportando poi per punti l’ortodromia sulla carta del Mercatore, si ottiene la linea rossa, che s’incurva verso le latitudini pi`u elevate. Per seguire la via pi`u breve (linea rossa) il navigante dovrebbe dunque cambiare continuamente l’orientamento della sua imbarcazione.Quando la distanza tra due punti e` relativamente breve, il vantaggio di seguire l’ortodromia invece che la lossodromia diventa trascurabile e pertanto si adotta senz’altro la navigazione lossodromica. Nelle lunghe navigazioni invece, tipo le traversate oceaniche, il vantaggio dell’ortodromia sulla lossodromia diventa notevole (Fig. 9.13) e pertanto si adotta la navigazione ortodromica. In taluni casi si pone rimedio al continuo cambiamento di rotta sostituendo all’arco di ortodromia un percorso misto (Fig. 9.14).
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Figura 9.13 Si possono confrontare le lunghezze in miglia marine fra le ortodromie denominate ‘‘percorsi per C.M’’ (cerchi massimi), e le rotte lossodromiche (Lega Navale di Milano)
Figura 9.14 Il percorso per C.M. comporterebbe una pericolosa discesa al di sotto del 70○ di latitudine. Nel percorso misto un primo tratto di geodetica consente di raggiungere il parallelo di latitudine limite 52○ , sul quale muoversi ad angolo fisso di 90○ e un secondo tratto di geodetica consente di risalire verso la meta, con un risparmio comunque consistente di piu` di 900 miglia, cio`e circa 1700 km (Lega Navale di Milano)
9.3 Proiezioni polari Pu`o essere utile accennare anche ad altri due tipi di proiezioni piane, che utilizzano in particolare come piano di proiezione un piano tangente in un polo. Nella proiezione centrografica polare (o gnomonica) (Fig. 9.15) il centro di proiezione e` nel centro della Terra.
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Figura 9.15
Proiezione centrografica polare
Figura 9.16 Le rotte sulla carta gnomonica
I meridiani sono rette che fuoriescono dal polo di tangenza e i paralleli sono circonferenze a esso concentriche, il cui raggio ρ dipende dalla latitudine φ: ρ = R/ tan φ per cui un punto di coordinate geografiche (λ, φ) si proietta in un punto del piano di coordinate polari (λ, ρ). E` utilizzata solo per rappresentare le zone circumpolari. L’equatore finirebbe all’infinito. Questa proiezione ha una particolare propriet`a: trasforma geodetiche in geodetiche. Infatti, qualsiasi piano che, passando per il centro della sfera, origina su di essa un cerchio massimo interseca poi il piano di proiezione lungo una retta. E viceversa: qualsiasi retta sul piano ha, tra i piani del suo fascio, un piano che, passando per il centro della sfera, la taglia lungo un cerchio massimo. Se per stabilire la rotta utilizzassimo una carta gnomonica il segmento rettilineo tra A e B (Fig. 9.16) rappresenterebbe l’ortodromia, mentre la linea curva, che va a tagliare i meridiani secondo un angolo costante, sarebbe la corrispondente lossodromia che, in questo caso, apparirebbe essere effettivamente il cammino pi`u lungo fra i due. Nella proiezione stereografica polare (Fig. 9.17) il centro di proiezione e` nel polo opposto a quello cui e` tangente il piano. Anche in questo caso i meridiani sono proiettati in rette che fuoriescono dal polo di tangenza e i paralleli sono circonferenze a esso concentriche, a distanza decrescente verso il centro. Anche l’equatore pu`o esservi rappresentato. Un parallelo di latitudine φ (Fig. 9.18) viene proiettato in una circonferenza di 90○ −φ raggio ρ = 2R tan ( 2 ) (vedere Fig. 9.18).
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Figura 9.17 Proiezione stereografica polare
E dunque il punto P di coordinate geografiche (λ, φ) viene proiettato nel punto P ′ del piano di coordinate polari (λ, ρ) (Fig. 9.18). In particolare l’equatore si trasforma in una circonferenza di raggio ρ = 2R. Si dimostra che questa carta, oltre a essere isogonica ha una speciale propriet`a: trasforma cerchi in cerchi.
Figura 9.18 Proiezione di P in P ′
9.4 La proiezione di Gauss e il sistema di coordinate UTM La diffusione dei sistemi di posizionamento satellitare ha reso di universale utilizzo il sistema di coordinate che si fonda su un tipo di proiezione dovuta a Gauss e viene denominata Universal Trasversal Mercator (UTM). La proiezione di Gauss e` detta appunto “cilindrica inversa o trasversa” perch´e la forma del reticolato geografico e` simile a quella che si otterrebbe proiettando la Terra dal suo centro su un cilindro tangente non lungo l’equatore, come del caso della carta Mercatore, bens`ı lungo un meridiano (Fig. 9.19).
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Figura 9.19 La proiezione UTM
Figura 9.20 Il risultato della proiezione UTM dell’intero globo terrestre
Sviluppando il cilindro, il meridiano di tangenza e l’equatore si trasformano in due rette tra loro perpendicolari, gli altri meridiani e i paralleli in linee curve (Fig. 9.20). Se lungo il meridiano la rappresentazione e` equidistante, allontanandosi da esso le deformazioni aumentano fortemente. Deformazioni accettabili si ottengono mantenendosi entro un’ampiezza di 6○ , ovvero entro 3○ a Est e 3○ a Ovest del meridiano centrale (si osservi, in Fig. 9.20, lo spicchio centrale, intorno al meridiano di Greenwich). Si e` pertanto convenuto di suddividere la superficie dell’ellissoide terrestre in 60 fusi, ampi 6○ di longitudine, per ciascuno dei quali effettuare la proiezione rispetto al suo meridiano centrale (Fig. 9.21). Essi sono contraddistinti da un numero, a partire dall’antimeridiano di Greenwich verso Est.
Capitolo 9
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Figura 9.21 Proiezione UTM di tre fusi consecutivi
Figura 9.22 La figura mostra una parte della proiezione ottenuta giustapponendo i fusi lungo l’equatore
Si e` creata inoltre una suddivisione in 20 fasce di 8○ di latitudine ciascuna, dalla latitudine di −80○ Sud alla latitudine di 80○ Nord (in realt`a l’ultima fascia si spinge fino a 84○ per contenere gli estremi lembi settentrionali dei continenti). Per contenere le deformazioni e rendere la carta conforme, si interviene come nel caso di Mercatore, con correzioni analitiche. Le coordinate geografiche (λ, φ) di un punto dell’ellissoide vengono convertite in coordinate (x, y) di un punto sulla carta mediante due funzioni che modulano opportunamente fattori di correzione (Fig. 9.22). All’interno di uno stesso fuso si applicano di fatto differenti fattori di scala: fattori di riduzione nella fascia pi`u interna, prossima al meridiano centrale, e fattori di ingrandimento nella parte pi`u esterna (Fig. 9.24). In tal modo, di fatto, e` come
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Figura 9.23 Proiezione UTM con cilindro secante. CM: meridiano centrale; PQ, RS: linee lungo le quali il cilindro interseca l’ellissoide
Figura 9.24 Le correzioni
se la proiezione fosse effettuata non su di un cilindro tangente al meridiano, bens`ı su di un cilindro secante l’ellissoide lungo due linee intermedie del fuso (Fig. 9.23), su entrambe le quali la rappresentazione risulta cos`ı conservare le distanze.
Capitolo 10 Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 10.1 La mappa conforme del navigante iperbolico Con un po’ di fantasia immaginiamo che la nostra Terra invece che “quasi sferica” abbia la forma di una pseudosfera e mettiamoci nei panni di un navigante che veleggia in un mare iperbolico. Abbiamo bisogno di una mappa che ci indichi la via, in modo che, scelta la rotta sulla mappa e impostato l’orientamento del timone, possiamo raggiungere la nostra meta. Dobbiamo costruire una mappa conforme per la pseudosfera, una mappa che conservi gli angoli. Per semplicit`a consideriamo una pseudosfera di raggio a = 1. Un primo tentativo potrebbe essere quello di considerare una proiezione cilindrica, scegliendo come ascissa del piano l’arco x sulla base della pseudosfera e come ordinata la lunghezza s del tratto di trattrice.
Figura 10.1
Cos`ı facendo ci si accorge ben presto che la mappa creata non e` conforme, un indizio e` dato dal fatto che: i paralleli sono tra di loro pi`u vicini in prossimit`a dell’asse x e poi progressivamente pi`u lontani. La situazione e` quindi ribaltata rispetto alla sfera in cui salendo verso il polo le proiezioni dei paralleli si avvicinano sempre pi`u. Occorre correggere le ordinate della mappa, un po’ come e` gi`a stato fatto per la sfera. Per fare questo e` necessario conoscere l’equazione della trattrice nelle variabili X e s, indicando con X la distanza dall’asintoto e con s il tratto di trattrice percorsa a partire dal punto A = (1, 0). Consideriamo un generico punto P = (x, s) sulla trattrice (Fig 10.2). Il segmento di tangente condotto da P all’asintoto misura 1 come il segmento OA (grazie alla propriet`a caratteristica della trattrice vista nel capitolo 7). Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 10, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 154
Se ci si muove sulla trattrice di un tratto infinitesimo −ds, la distanza dall’asintoto aumenta di dX e vale l’uguaglianza: −
dX X = . ds 1
Si tratta quindi di risolvere l’equazione differenziale X ′ (s) = −X con la condizione iniziale X(0) = 1, la soluzione e` un esponenziale: X = e−s . Questa e` l’equazione della trattrice che cercavamo.
Figura 10.2
L’equazione appena trovata ci permette di risolvere il problema della mappa conforme della pseudosfera ottenuta ruotando la trattrice attorno all’asintoto1 . Consideriamo il punto P = (x, s) sulla pseudosfera, indichiamo con X la sua distanza dall’asse di rotazione. Come ascissa sulla mappa manteniamo la lunghezza dell’arco x; supponiamo di spostarci “orizzontalmente” di un arco dx; alla quota s lo spostamento “orizzontale” misura Xdx (la misura dell’arco e` uguale al raggio per l’ampiezza dell’angolo). Se ci “alziamo” di un tratto ds dobbiamo trovare l’innalzamento dy sulla mappa in modo che si conservino gli angoli.
1 Per
una descrizione dettagliata della mappa conforme si veda Needham T. (1997). Visual Complex Analysis, Oxford University Press.
Capitolo 10
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Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 155
Figura 10.3
Affinch´e ci`o accada, e` necessario che i “triangoli” in figura siano simili, pertanto:
dy ds = , dx Xdx
quindi dy 1 = , ds X ma sappiamo che X = e−s , quindi dy = es , ds da cui y = es + C, scegliendo come costante C = 0, abbiamo infine: y = es . Possiamo quindi concludere che la mappa conforme associa a un punto della pseudosfera P = (x, s) un punto del piano R2 di coordinate (x, y) con y = es . L’insieme immagine della mappa non e` per`o tutto R2 , ma il suo sottoinsieme [0, 2π) × [1, +∞). Analizzando l’insieme immagine emergono due problematiche: 1 Il fatto che x ∈ [0, 2π) permette di associare a ogni punto della pseudosfera un unico punto in [0, 2π) × [1, +∞) e viceversa; questa limitazione, per`o, non consente di rappresentare in modo continuo sul piano le traiettorie che descrivono pi`u di un giro attorno all’asse della pseudosfera, come avviene per certe geodetiche.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 156
Si tratta della stessa problematica che abbiamo gi`a affrontato sul cilindro e sul cono. Per superarla occorre far ricorso ai ricoprimenti, estendendo l’immagine della mappa conforme a R × [1, +∞), in modo tale che un punto che si muove sul piano lungo una retta orizzontale sia il corrispondente di un punto sulla pseudosfera che si muove sulla circonferenza s = cost girando attorno all’asse, compiendo una rotazione completa ogni 2π. 2 La limitazione alle y dell’insieme immagine fa emergere un altro problema. Il bordo della pseudosfera e` s = 0 che, poich´e e0 = 1, diventa y = 1 e quindi le immagini dei punti sulla pseudosfera hanno le y maggiori o uguali a 1, non si ottiene quindi nemmeno il semipiano delle ordinate positive. D’altro canto, come ci ha insegnato Hilbert, non e` possibile estendere la pseudosfera al di sotto del suo bordo in modo regolare e senza farle cambiare curvatura e quindi a questa problematica non possiamo dare una risposta positiva in termini di geometria sulla pseudosfera. Vedremo per`o che estendendo la mappa sul piano al di sotto di y = 1, considerando tutto il semipiano y > 0, potremo costruire un modello piano di geometria non euclidea di tipo iperbolico. Le due problematiche appena esposte erano ben note a Eugenio Beltrami, fu il matematico italiano a studiarle dettagliatamente e a dedurre da esse i legami con le geometrie non euclidee, sviluppandone i modelli (anche quelli che oggi portano il nome di altri . . . ).
10.2 Sperimentiamo la mappa conforme Noi uomini siamo un po’ come la formichina euclidea, siamo curiosi e ci piace sperimentare. Quindi ci dotiamo di una pseudosfera e proviamo ad applicare la mappa. Qui descriviamo la nostra esperienza, ma se riuscite a procurarvi un modello di pseudosfera, potete provare anche voi, e` utile e divertente. Utilizziamo una pseudosfera di raggio a = 10 cm, per questo occorre modificare la legge y = es , che vale se il raggio e` unitario, effettuando uno stiramento di a in tutte le direzioni. L’applicazione che va dalla pseudosfera al semipiano diventa quindi: (x, s) ↦ (x, y) con y = a ⋅ es/a . Prendiamo due nastrini flessibili e li appoggiamo sulla pseudosfera in modo da individuare due geodetiche che fissiamo col nastro adesivo.
Figura 10.4
Capitolo 10
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Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 157
Muniti di un nastro graduato da sarto, prendiamo le misure di x e di s per le due geodetiche, quindi ricaviamo l’ordinata dei punti sulla mappa piana con la relazione y = 10 ⋅ es/10 . Nella tabella seguente raccogliamo i dati di x e di s e calcoliamo il corrispondente y: x (cm) 0,0 1,7 4,3 10,0 13,5 19,8 25,9 29,4 31,9 34,4 36,2
Prima geodetica s (cm) 0,0 2,0 4,0 6,0 6,5 6,5 6,0 5,0 4,0 2,0 0,0
y (cm) 10,00 12,21 14,92 18,22 19,16 19,16 18,22 16,49 14,92 12,21 10,00
x (cm) 19,5 21,0 23,3 27,0 31,4 34,3 43,0 45,7 48,5 50,9 54,0 55,4
Seconda geodetica s (cm) 0,0 2,0 4,0 5,5 6,5 7,0 6,5 6,0 5,0 4,0 2,0 0,0
y (cm) 10,00 12,21 14,92 17,33 19,16 20,14 19,16 18,22 16,49 14,92 12,21 10,00
Disegniamo i punti (x, y) della prima geodetica utilizzando un software di geometria dinamica e osserviamo che i punti sembrano disporsi lungo un arco di circonferenza. Tracciando alcuni assi dei segmenti che hanno per estremi i punti concludiamo, tenendo conto del fatto che i dati sono sicuramente soggetti a errori di misura, che i punti appartengono a un arco di circonferenza con centro sull’asse x.
Figura 10.5
Disegnando anche i punti della seconda geodetica abbiamo conferma di quanto ipotizzato.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 158
Abbiamo scoperto la caratteristica principale della mappa: La mappa trasforma le geodetiche sulla pseudosfera diverse dalle generatrici in archi di circonferenze il cui centro appartiene all’asse orizzontale. E` poi ovvio che la mappa trasforma le trattrici generatrici della pseudosfera in semirette verticali. Con un po’ di azzardo possiamo utilizzare la statistica per avere qualche informazione in pi`u. Supponiamo davvero che i punti appartengano a circonferenze con centro sull’asse x, esse hanno allora equazione del tipo x 2 + y 2 + ax + c = 0. Abbiamo i dati sperimentali per x e per y e dobbiamo valutare i valori di a e di c in modo che l’equazione sia quella della circonferenza che approssima meglio i dati teorici. Calcolando z = x 2 + y 2 , l’equazione della circonferenza diventa z + ax + c = 0 che e` l’equazione di una retta, possiamo quindi utilizzare la regressione lineare per valutare i valori di a e di c. Immettendo i dati in un foglio elettronico otteniamo i seguenti risultati: prima geodetica: seconda geodetica:
a = 31,136 e c = 79,123, con coefficiente di correlazione 0, 9987; a = 74,633 e c = 981,23, con coefficiente di correlazione 0, 9999.
I coefficienti di correlazione sono molto vicini a 1 e indicano quindi una correlazione molto buona. Adesso che ne conosciamo l’equazione possiamo disegnare le circonferenze che meglio approssimano i dati sperimentali, avendo una conferma visiva della bont`a dell’approssimazione.
Figura 10.6
Capitolo 10
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Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 159
Misuriamo quindi l’angolo tra le due circonferenze e confrontiamolo con quello tra le geodetiche sulla pseudosfera per confermare il fatto che la mappa e` conforme. A questo punto il navigante iperbolico ha risolto i suoi problemi, se vuole andare da un punto A a un punto B sulla pseudosfera, basta che determini le coordinate dei due punti sulla mappa e tracci la circonferenza passante per questi punti e con centro sulla retta y = 0, l’arco AB sulla mappa individua una rotta che il navigante pu`o seguire per andare diritto nel suo viaggio iperbolico sulla pseudosfera.
10.3 Il semipiano di Poincare´ Se estendiamo la mappa conforme al di sotto della retta corrispondente al bordo della pseudosfera e consideriamo pi`u ricoprimenti otteniamo un modello di geometria iperbolica. In esso: K il piano e` un semipiano determinato da una retta, l’orizzonte, che e` l’asse x della mappa; K i punti sono i punti del semipiano esclusi quelli dell’orizzonte; K le rette sono semirette euclidee perpendicolari a r con origine sull’orizzonte, oppure semicirconferenze euclidee con diametro contenuto nell’orizzonte. Questo modello e` usualmente noto come modello del semipiano di Poincar´e, perch´e fu studiato da Henri Poincar´e (1854-1912) nel 1892, ma in realt`a era gi`a stato introdotto da Beltrami nel 1868 e pubblicato nel suo Saggio di interpretazione della geometria non euclidea.
Figura 10.7
Nel semipiano di Poincar´e valgono i primi quattro postulati di Euclide, in particolare notiamo che dati due punti esiste un’unica retta iperbolica passante per essi, fatto che non vale per le geodetiche sulla pseudosfera. Il quinto postulato va per`o sostituito dal postulato della geometria iperbolica: Data una retta e un punto esterno a essa, esistono almeno due rette passanti per il punto che non intersecano la retta data. In realt`a, dato un punto P e una retta r, si dimostra facilmente che esistono infinite rette iperboliche passanti per P e parallele a r, esse sono delimitate da due rette
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 160
Figura 10.8
speciali, quelle che intersecano r nell’orizzonte. La Fig. 10.8 illustra un esempio di questa situazione. E` abbastanza agevole misurare gli angoli nel semipiano iperbolico, d’altronde l’abbiamo introdotto cercando una mappa conforme della pseudosfera. Gli angoli si misurano proprio come nel piano euclideo e se le rette iperboliche sono delle semicirconferenze euclidee gli angoli tra esse sono quelli formati dalle loro tangenti nel punto di intersezione. Possiamo quindi capire come il mondo dei quadrilateri nella geometria iperbolica sia profondamente diverso da quello nella geometria euclidea, per esempio esistono dei quadrilateri birettangoli isosceli, cio`e con due angoli retti e due lati uguali, ma non sono dei rettangoli (Fig. 10.9). Non e` nostra intenzione sviluppare oltre il modello del semipiano di Poincar´e, occorrerebbe introdurre una metrica diversa da quella euclidea2 , ma ci allontaneremmo dagli scopi di questo libro.
Figura 10.9 Quadrilatero isoscele con due angoli retti
10.4 L’inversione circolare Analizziamo ora una trasformazione del piano le cui interessanti caratteristiche ci consentiranno nel paragrafo seguente di introdurre una nuova mappa conforme sulla pseudosfera e quindi un nuovo modello per la sua geometria. Si tratta
2 Si veda per es.
Agazzi E., Palladino D. (1978). Le geometrie non euclidee e i fondamenti della geometria, Milano: Mondadori.
Capitolo 10
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Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 161
dell’inversione circolare; le prime idee su di essa possono essere fatte risalire ad Apollonio da Perga (250-175 a.C.) che ha studiato il luogo dei punti P tali che PA = kPB con A e B punti del piano. Se k = 1 il luogo e` una retta (l’asse di AB), altrimenti e` una circonferenza che prende il nome di circonferenza di Apollonio. Dobbiamo per`o aspettare il XIX secolo per uno studio sistematico dell’inversione circolare da parte di Jakob Steiner. L’inversione ha trovato applicazione in macchinari ingegneristici per la trasformazione di un moto circolare in moto rettilineo, ma per noi risulta uno strumento cruciale per evidenziare il legame tra diversi modelli di geometria iperbolica. L’inversione circolare rispetto a una circonferenza c di centro C e raggio r trasforma un punto P nel punto P ′ appartenente alla semiretta CP e tale che CP ⋅ CP ′ = r 2 .
Figura 10.10
La Fig. 10.10 mostra la costruzione geometrica per determinare l’immagine di P: si disegna la semiretta CP, la retta perpendicolare a CP e passante per P, i punti A e B di intersezione tra questa retta e c e le due rette tangenti a c passanti A e B; l’intersezione tra le due tangenti e` il punto P ′ cercato. La giustificazione della costruzione si basa sul primo teorema di Euclide applicato al triangolo rettangolo CAP ′ di cui AP e` un’altezza, abbiamo infatti che 2 AC = CP ⋅ CP ′ . La costruzione vale solo se il punto P e` interno alla circonferenza. Se il punto e` esterno basta invertire i ruoli di P e P ′ , si parte da P ′ e dopo aver tracciato le tangenti alla circonferenza e la perpendicolare a CP ′ passante per A e B si arriva a determinare P. E` chiaro che l’inversione trasforma punti interni alla circonferenza di inversione in punti esterni, mentre i punti della circonferenza sono punti uniti. E` sicuramente utile e istruttivo indagare le propriet`a dell’inversione circolare con un software di geometria dinamica, basta vincolare il punto P a vari oggetti, crearne l’immagine P ′ secondo l’inversione circolare, e studiare come varia P ′ al variare di P. In questo paragrafo vediamo solamente le propriet`a di geometria sintetica che sfrutteremo in seguito, ma le caratteristiche di questa trasformazione
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 162
sono numerose, anche quelle che coinvolgono le sue equazioni nel piano reale e nel piano complesso 3 . L’inversione circolare rispetto a una circonferenza c trasforma una circonferenza ortogonale a c in se stessa.
Figura 10.11 Circonferenze ortogonali
Vediamo di giustificarlo. Due circonferenze ortogonali (Fig. 10.11) hanno le tangenti ortogonali, quindi il raggio di c e` tangente alla circonferenza di partenza; sia P un punto su di essa, indicando con P ′ il punto di intersezione fra tale circonferenza e la semiretta CP si ha, per il teorema della tangente e della secante, che CP ⋅ CP ′ = r 2 e quindi P ′ e` l’immagine di P nell’inversione. ◻ Una circonferenza che passa per il centro dell’inversione si trasforma in una retta non passante per il centro e viceversa.
Figura 10.12
Infatti se indichiamo con P l’estremo di un diametro della circonferenza di partenza e con Q un qualsiasi punto di essa, i punti P ′ e Q ′ , loro trasformati, sono tali che r 2 = CP ⋅ CP ′ = CQ ⋅ CQ ′ , quindi i due triangoli CQP e CP ′ Q ′ sono simili, perch´e hanno una coppia di lati in proporzione e l’angolo in C in comune. ′ Q ′ ≅ CQP, ̂ ma CQP ̂ e` retto, quindi qualunque sia ̂ Concludiamo quindi che CP ′ Q, la sua immagine Q appartiene a una retta perpendicolare a CP e quindi parallela alla retta tangente in C. ◻
3 Per chi e ` interessato si trovano parecchi risultati sull’inversione in Henderson D.W., Taimina D. (2005).
Experiencing Geometry, New York: Pearson Ed.
Capitolo 10
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Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 163
Una circonferenza che non passa per il centro di inversione si trasforma in un’altra circonferenza non passante per il centro.
Figura 10.13
Siano P e Q punti del diametro della circonferenza da invertire e P ′ e Q ′ le loro immagini (vedi Fig. 10.13). Considerando un qualsiasi punto R sulla circonferenza iniziale e indicando con R ′ la sua immagine, non e` difficile dimostrare (analogamente a quanto abbiamo fatto per il risultato precedente) che CPR ∼ CR ′ P ′ ′ R ′ P ′ . Ne segue che l’angô ≅ Q̂ e CQR ∼ CR′ Q ′ , si dimostra quindi che PRQ ′ R′ P ′ e ` retto e che quindi al variare di R il punto R′ descrive anch’esso una lo Q̂ circonferenza. ◻ Siamo arrivati al risultato pi`u importante (Fig. 10.14): Due rette che si intersecano formando un angolo α, si trasformano in due circonferenze passanti per il centro d’inversione formando un angolo congruente ad α.
Figura 10.14
Abbiamo visto che una retta viene trasformata in una circonferenza passante per il centro di inversione e la cui tangente in tale punto e` parallela alla retta di partenza. E` immediato concludere che le due rette iniziali si trasformano in due circonferenze e che l’angolo tra le due rette iniziali e` uguale all’angolo tra le rette tangenti alle circonferenze nel centro d’inversione e quindi all’angolo tra le rette tangenti alle circonferenze nell’altro punto di intersezione. ◻ Un risultato analogo vale anche per le circonferenze e per ogni altra curva: L’inversione circolare e` conforme. Attenzione per`o che la trasformazione e` invertente e cambia l’orientamento dell’angolo. ◻
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 164
10.5 Il disco di Poincare´ All’inizio di questo capitolo abbiamo trovato una mappa conforme per la pseudosfera e abbiamo visto che, pur con qualche modifica, essa costituisce il modello del semipiano di Poincar´e per la geometria iperbolica. Abbiamo poi introdotto l’inversione circolare e mostrato che si tratta di una trasformazione conforme. A questo punto viene la curiosit`a di applicare l’inversione circolare al semipiano di Poincar´e per vedere quale situazione si crea, ma sicuramente otterremo un altro modello conforme per la geometria iperbolica. Non ci stanchiamo di dire anche questa volta che e` bene sperimentare in prima persona quanto stiamo facendo utilizzando un software di geometria dinamica e poi giustificare i risultati ottenuti utilizzando le propriet`a dell’inversione viste nel paragrafo precedente. Consideriamo una circonferenza c con centro C al di sotto del semipiano di Poincar´e (Fig. 10.15). Innanzitutto applichiamo all’orizzonte l’inversione circolare rispetto a c, otteniamo una circonferenza passante per C e la cui tangente in C e` parallela all’orizzonte: il semipiano di Poincar´e si trasforma in un cerchio.
Figura 10.15
Capitolo 10
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Le mappe conformi della pseudosfera e i modelli di geometria iperbolica 165
Figura 10.16
Le rette iperboliche contenute nel semipiano di Poincar´e sono dei semicerchi o delle semirette (euclidee) e quindi vengono trasformate dall’inversione in archi di circonferenza interni al cerchio (Fig. 10.16), o, come caso particolare, in diametri del cerchio. Questi archi intersecano ortogonalmente l’orizzonte perch´e l’inversione e` conforme e nel semipiano di Poincar´e le rette sono gi`a ortogonali all’orizzonte. Siamo passati dal modello del semipiano di Poincar´e a un nuovo modello conforme di geometria iperbolica in cui: K il piano e` un cerchio privato del contorno; K i punti sono i punti interni del cerchio; K le rette sono i diametri o archi di circonferenza ortogonali al cerchio. Questo viene ricordato come il disco di Poincar´e. Il matematico francese Henri Poincar´e (1854-1912) lo studi`o e utilizz`o per scoprire nuovi teoremi sulle funzioni di variabile complessa, ma, cos`ı come per il semipiano, anche questa volta il primo a introdurre il modello fu Beltrami. Il disco di Poincar´e non e` da meno del semipiano e anche in questo modello accadono situazioni a prima vista bizzarre. Nella Fig. 10.17 possiamo vedere un triangolo equilatero con tutti gli angoli nulli! Si pu`o osservare (Fig. 10.18) che al crescere della misura degli angoli interni, il triangolo diventa sempre pi`u piccolo, diminuisce la sua area; esso tende ad assu-
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 166
Figura 10.17 Triangolo equilatero con gli angoli nulli
Figura 10.18
mere una forma “pi`u euclidea” quando la sua area tende a zero e la somma degli angoli interni a π, tutto questo in accordo con il teorema di Gauss-Bonnet che abbiamo enunciato nel capitolo 7. Ci sarebbero tante cose da dire, ma ormai il nostro viaggio tra le superfici e le loro geometrie e` quasi al termine e sicuramente possiamo lasciare il navigante iperbolico senza il rischio che si perda, ha addirittura due mappe conformi tra cui poter scegliere! Ci chiediamo solo se porter`a con s´e la formica euclidea.
Capitolo 11 Il nostro spazio e` euclideo? Abbiamo partecipato alle esplorazioni della formica a passeggio su differenti superfici e abbiamo affinato la nostra capacit`a di raccogliere indizi dai quali dedurre la loro eventuale curvatura e persino di valutarne l’entit`a. Convinti inoltre che la curvatura di uno spazio e` una propriet`a intrinseca, definibile in ciascuno dei suoi punti, possiamo ora interrogarci sulle qualit`a dello spazio tridimensionale nel quale siamo immersi. Anche se fra tutti gli spazi tridimensionali quello piatto, euclideo, si presenta immediato alla nostra mente e siamo abituati ad adottarlo quando spingiamo lo studio della geometria verso gli oggetti che si estendono in tre dimensioni, non pu`o non venirci il dubbio che qualcuno, guardandoci da uno spazio con qualche dimensione in pi`u, rilevi invece la presenza di curvature nel nostro. Ci sono esperimenti che ci consentirebbero di rilevare curvature nel nostro spazio? Si racconta a tal proposito di un esperimento compiuto dallo stesso Gauss negli anni, intorno al 1827, nei quali si dedicava a misurazioni di geodesia nella zona dell’Hannover: avrebbe cercato di rilevare la curvatura dello spazio misurando la somma degli angoli interni di un grande triangolo i cui vertici erano costituiti da tre omini che, posti sulle cime di tre monti, si inviavano l’un l’altro dei raggi luminosi deviando la luce del sole mediante un sistema di specchi. La somma degli angoli cos`ı misurata parve deviare dal valore teorico di 180○ , ma la deviazione era troppo piccola rispetto alla precisione delle misure eseguite per dar seguito alla cosa. In via altrettanto teorica si potrebbe estendere alle tre dimensioni una prova, utilizzata nel caso bidimensionale del piano, per stabilire se, dato un piano passante per tre punti A, B, C, un quarto punto P stia o no su quel piano: si determinano le distanze AP, BP, CP del quarto punto dagli altri tre e le si usa come raggi di circonferenze di centro A, B, C; se P sta sul piano le tre circonferenze si intersecano proprio in P, diversamente P ne e` fuori. Nello spazio a tre dimensioni si dovrebbero misurare le distanze di un quinto punto da altri quattro e verificare poi se le quattro sfere con centro nei quattro punti si intersecano o no nel quinto: ci`o succede solo se lo spazio e` piatto. Si osservi che negli esperimenti ideali proposti e` centrale il concetto di distanza tra punti e che solo in uno spazio piatto la distanza tra due punti coincide con la lunghezza di un tratto di retta in senso proprio, mentre in uno spazio curvo la distanza tra due punti e` una lunghezza misurata su di un tratto di geodetica. Anche nell’esperimento di Gauss, nel quale i lati del triangolo tra le cime sono descritti da raggi di luce, l’eventuale curvatura dello spazio rilevata sarebbe conseguenza del fatto che la luce stessa percorrerebbe traiettorie che asseconderebbero la curvatura (ovvero delle geodetiche). A questo punto diventa necessario osservare che qualsiasi domanda sulle qualit`a dello spazio nel quale siamo immersi porta a sconfinare dalla geometria verso Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo. Geometria su sfera, cilindro, cono, pseudosfera DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 11, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 168
la fisica, come le misure proposte, con tutte le loro incertezze, indicano inequivocabilmente. E dalla fisica si transita facilmente verso la filosofia, dal momento che inevitabilmente emergono gli interrogativi di fondo: lo spazio esiste in s´e stesso, e` il fondale muto e imparziale rispetto al quale registriamo il moto dei corpi che lo abitano, infinito, eterno, statico, il riferimento assoluto necessario alla visione di Newton? E` questa la concezione dei “sostanzialisti”, che tuttora pensano allo spazio come a una realt`a che potrebbe avere una sua struttura geometrica anche se fosse completamente vuoto. A essi si contrappone la posizione dei “relazionalisti”, che pensano lo spazio come uno strumento utile a definire le posizioni reciproche tra i corpi (si riecheggiano qui le asserzioni di Leibniz sullo spazio inteso come propriet`a delle “cose” e come mezzo per definire la contiguit`a di oggetti fisici, o le definizioni di Kant, secondo il quale spazio e tempo sono categorie a priori della nostra mente). Una cosa e` certa: la fisica che non si limiti a contemplare fenomeni situati entro gli ordini di grandezza della realt`a quotidiana che ci circonda, per i quali la concezione di Newton dello spazio (e del tempo) e` perfettamente valida, ha dovuto adottare la geometria indicata dalla teoria della relativit`a. In essa il tempo e` venuto a costituire una quarta dimensione inscindibile dalle tre dimensioni spaziali.
11.1 La geometria dello spazio - tempo: il modello di Minkowski Nello spazio quadrimensionale di Minkowski, che costituisce la trama geometrica sulla quale si dispiega la teoria della relativit`a ristretta, fa irruzione il tempo. E con il tempo il movimento. Tanto la geometria euclidea e` statica quanto la geometria dello spazio-tempo e` dinamica. La geometria euclidea assume come invariante la distanza; di conseguenza risultano invarianti anche gli angoli. E le trasformazioni rispetto alle quali essi sono invarianti sono le isometrie. La distanza tra due punti (x, y, z) e (x ′ , y ′ , z ′ ) e` calcolabile applicando il teorema di Pitagora: d 2 = (x − x ′ )2 + (y − y ′ )2 + (z − z ′ )2 ; questa modalit`a di calcolo delle distanze e` la metrica dello spazio euclideo. In generale infatti la metrica di uno spazio definisce in che modo debba essere calcolata la distanza tra due punti per mezzo del sistema di coordinate in esso stabilito: e` di fatto una formula che converte le coordinate dei due punti in una distanza. Quanto al tempo, esso e` fuori dalla geometria euclidea e quando, nella fisica classica, entra in gioco accanto alle variabili spaziali, lo si considera grandezza assoluta, pertanto la distanza temporale t ′ − t fra due istanti o due avvenimenti e` la stessa rispetto a qualsiasi sistema di riferimento. Nello spazio-tempo le trasformazioni rispetto alle quali si definiscono la metrica e gli invarianti sono legate al moto relativo dei sistemi di riferimento: si tratta, anche se qui non le riportiamo, delle trasformazioni proposte da Lorentz e derivate indipendentemente da Einstein partendo dai postulati della relativit`a ristretta.
Capitolo 11
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Il nostro spazio e` euclideo? 169
Ci`o che le contraddistingue e` che in esse le variabili spaziali e la variabile tempo sono tra loro intrecciate: non si possono quindi pi`u definire separatamente distanze tra punti nello spazio e distanze tra istanti nel tempo. Quali grandezze conservano invariato il loro valore se misurate rispetto a sistemi di riferimento in moto reciproco con velocit`a costante? Uno dei postulati alla base della relativit`a ristretta e` che la velocit`a della luce nel vuoto (indicata tradizionalmente con c) sia costante: essa diviene unit`a di riferimento delle lunghezze, in quanto lo spazio c⋅Δt percorso dalla luce nel tempo Δt non pu`o essere uguagliato, n´e tanto meno superato da nessun altro segnale o corpo in movimento. E` da questa considerazione che discende la definizione dell’invariante relativistico: un raggio di luce che parta al tempo t da un punto, designato dalle coordinate x 1 , x 2 , x 3 in uno spazio a tre dimensioni, viaggia come un’onda sferica e raggiunge un punto vicino (x 1 +Δx 1 , x 2 +Δx 2 , x 3 +Δx 3 ) al tempo t + Δt. Sar`a vero per lui che: c 2 Δt 2 = Δx 12 + Δx 22 + Δx 32 , e anche che la differenza c 2 Δt 2 − Δx 12 − Δx 22 − Δx 32 e` nulla e ci`o vale indipendentemente dal sistema di riferimento. Una differenza analoga, calcolata a partire dalle coordinate di due eventi qualsiasi definiti nello spazio tempo per mezzo delle loro quattro coordinate (x, y, z, t) (x ′ , y ′ , z ′ , t ′ ), in cui si ponga Δt = t ′ −t, Δx = x ′ −x, ecc., potrebbe invece dare un qualsiasi risultato, positivo o negativo, a seconda che lo spazio percorribile dalla luce nell’intervallo t ′ − t disponibile risulti maggiore o minore della distanza euclidea (x ′ − x)2 + (y ′ − y)2 + (z ′ − z)2 . Si sta appunto misurando un intervallo tra due eventi dello spazio-tempo usando come termine di riferimento il percorso della luce. Si dimostra che proprio l’intervallo (Δs)2 = c 2 (t ′ − t)2 − (x ′ − x)2 − (y ′ − 2 y) − (z ′ − z)2 cos`ı calcolato e` invariante, rispetto alle trasformazioni di Lorentz, nello spazio-tempo di Minkowski, e ne costituisce la metrica, cio`e la misura della “distanza” tra due eventi dello spazio-tempo. Dal fatto che questo intervallo assuma lo stesso valore rispetto a qualsiasi sistema di riferimento, nonostante le variazioni subite invece dai singoli termini in funzione della velocit`a relativa tra gli osservatori posti nei diversi sistemi di riferimento (contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi nella direzione del loro moto relativo), discendono interessanti considerazioni. Se la differenza risulta positiva significa che i due eventi distano tra loro meno del percorso c 2 (t ′ − t)2 effettuabile dalla luce, ovvero un segnale che parta dall’uno pu`o raggiungere l’altro, il che viene interpretato come la possibilit`a che possano essere connessi da una relazione di causa ed effetto, nel senso che il secondo evento pu`o essere un possibile momento della stessa “storia” cui appartiene il primo. In caso contrario, quando la differenza e` negativa, due eventi sono estranei l’uno all’altro, non possono essere connessi da un segnale di alcun tipo, non possono far parte della stessa storia. Essendo Δs un invariante, la stessa conclusione vale per qualsiasi sistema di riferimento: non si stravolge dunque il senso comune, vale a dire che un calcio e il pallone che schizza via sono, da tutti i sistemi di riferimento in moto tra loro, valutati nella stessa sequenza causa-effetto.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 170
Nell’impossibilit`a di rappresentare uno spazio a quattro dimensioni si e` soliti eliminare una delle componenti spaziali e, limitandosi a considerare punti di uno stesso piano, si utilizza la terza dimensione per raffigurare il tempo, nella forma c ⋅ t dello spazio percorso dalla luce nel tempo t. In questo modo viene per esempio raffigurato il moto della Terra intorno al Sole. La linea cos`ı descritta non pu`o pi`u essere denominata traiettoria, le e` stato attribuito il nome di linea di universo (Fig. 11.1).
Figura 11.1 Linea di universo descritta dalla Terra nel suo moto di rivoluzione
Non si pu`o fare a meno di pensare a quei libricini che, anticipando i cartoni animati, consentivano di vedere una figurina in movimento: nei tanti foglietti sovrapposti la stessa figura era ripetuta con piccole variazioni cosicch´e sfogliandoli rapidamente su di un lato con un dito, si aveva la percezione della loro evoluzione nel tempo. Forando idealmente i foglietti in corrispondenza dello stesso dettaglio della figura e facendo passare tra di essi un filo, si avrebbe una simulazione della linea di universo. Utilizzando, in modo analogo, due sole coordinate spaziali x e y, e associando alla terza la coordinata temporale, viene raffigurata l’evoluzione di un qualsiasi evento all’interno dello spazio-tempo. I raggi di luce che si dipartono in ogni direzione dal punto-evento considerato nel suo attimo di presente, formano un cono (Fig. 11.2) sulla cui superficie vengono raccolti tutti i punti dello spazio-tempo rispetto ai quali Δs = 0: lo spazio all’interno del cono contiene tutti i punti dello spazio-tempo che sono raggiungibili con velocit`a inferiore alla velocit`a della luce e che quindi costituiscono il possibile futuro dell’evento, mentre lo spazio all’esterno del cono contiene tutti i punti che non sono raggiungibili. Il controcono che dal punto si diparte in verso opposto contiene, in base alle stesse considerazioni, il possibile passato dell’evento.
Capitolo 11
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Il nostro spazio e` euclideo? 171
Figura 11.2 Raffigurazione del cono-luce nello spazio-tempo
Complessivamente il moto di una particella nello spazio tempo viene quindi a essere descritto da una linea universo che punto per punto e` vincolata a dirigersi restando all’interno del cono-luce, con l’asse rigidamente orientato, momento per momento, nella direzione dell’asse ct (vedere Fig. 11.3). Pu`o essere interessante, anche se un po’ sconcertante, considerare che ci`o che noi in particolare percepiamo come nostro presente attraverso la vista e` il passato di oggetti luminosi i cui segnali-luce hanno viaggiato sulla superficie del cono partendo dalle distanze pi`u disparate e giungendo nello stesso istante a noi, con informazioni relative a istanti precedenti tra loro diversissimi. Se vediamo contemporaneamente nel cielo il Sole e una stella, stiamo vedendo il Sole di otto minuti prima e la stella di milioni di anni prima. Il presente e` dunque in realt`a uno sguardo sul passato ed e` soggettivo. Resta l’interrogativo pi`u importante per chi considera tutto ci`o da un punto di vista squisitamente geometrico: lo spazio-tempo della relativit`a ristretta e` piatto?
Figura 11.3 a) Storia possibile; b) storia impossibile (la linea esce dal cono); c) storia impossibile (il tempo va all’indietro)
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 172
Si tratta di uno spazio euclideo? O almeno localmente euclideo? Relativamente alle dimensioni puramente spaziali si tratta di uno spazio piatto. Non e` per`o definibile euclideo, in quanto uno spazio euclideo a quattro dimensioni (x 1 , x 2 , x 3 , x 4 ) sarebbe caratterizzato da una metrica nella quale la distanza non conterrebbe termini negativi e potrebbe dunque assumere solo valori positivi. Δs 2 = Δx 12 + Δx 22 + Δx 32 + Δx 42 . Si tratterebbe di una ipersfera. Lo spazio-tempo di Minkowski viene pertanto definito uno spazio pseudo euclideo.
11.2 Lo spazio-tempo della relativita` generale Il connubio tra geometria e fisica diviene assoluto all’interno della teoria della relativit`a generale, la quale, infatti, viene sinteticamente descritta come una teoria geometrica della gravit`a. L’influenza che ogni massa ha sulle altre masse, non pi`u descritta in termini di azione a distanza, secondo quanto avviene nella concezione newtoniana, n´e semplicemente mediata da un campo di forze che si associa come propriet`a a ogni punto dello spazio, viene direttamente inglobata nelle caratteristiche stesse dello spazio-tempo. L’inerzia (intesa come la propriet`a di un corpo di continuare a muoversi di moto uniforme se libero dall’azione di forze) manifestata da una massa qui e` l’effetto delle masse laggi`u. Il principio, enunciato da Mach, mettendo in dubbio che l’inerzia sia una propriet`a intrinseca di un corpo e prospettando invece la possibilit`a che essa sia determinata dalla sua interazione con le altre masse dell’Universo, apre la via alla ricerca di Einstein su quale possa essere la modalit`a attraverso la quale l’inerzia si esplica. La risposta della relativit`a generale e`, come sappiamo, sorprendente: il corpo, che, se libero, siamo abituati a descrivere, secondo il modello galileiano, in moto secondo una traiettoria ideale rettilinea nello spazio newtoniano/euclideo, pu`o essere pensato altrettanto libero anche quando, ben pi`u realisticamente “cade” e descrive una traiettoria parabolica sotto l’effetto della gravit`a terrestre. Si tratta di cambiare completamente la visuale globale della situazione: la gravitazione non e` una forza che agisce sul corpo e dunque esso e` libero, e la traiettoria che descrive e` curva solo in apparenza. Esso sta, infatti, liberamente scivolando lungo una linea che nello spazio-tempo e` per lui rettilinea, nel senso che e` una linea di universo, che si dispone lungo una geodetica di uno spazio-tempo che le masse hanno reso curvo, esplicando in ci`o il loro effetto. Una felice sintesi, che si e` soliti ripetere, riassume il tutto: Le masse dicono allo spazio-tempo come incurvarsi e lo spazio-tempo dice alle masse come muoversi. Il travaglio matematico che ha consentito a una tale teoria di venire alla luce e` stato assai impegnativo. Due le componenti della ricerca:
Capitolo 11
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K data una distribuzione di materia in un dominio spazio-temporale, individuare la geometria del dominio stesso; K data una geometria dello spazio-tempo, determinare le linee di universo dei corpi di prova. Le geometrie utili a descrivere gli effetti di curvatura dello spazio sono proprio le geometrie non euclidee di cui abbiamo fin qui trattato, e Einstein pot´e utilizzare i risultati degli studi effettuati su questo tema nel corso dell’Ottocento e adattare in particolare quanto elaborato da Riemann, per variet`a puramente spaziali, allo spazio-tempo di Minkowski. Il vero problema era per`o riuscire a connettere con le opportune equazioni la forma assunta dallo spazio con la distribuzione di materia. Lo strumento risolutivo fu il calcolo tensoriale, di cui aveva posto le basi Ricci Curbastro, applicando un campo tensoriale a una variet`a riemanniana. L’articolo che Ricci e l’allievo Levi Civita pubblicarono a chiusura dei loro studi sull’argomento, nel 1902, divenne oggetto di accanito studio da parte di Einstein, che riusc`ı a trarne quanto gli occorreva. La struttura complessiva della teoria e` costituita dalle “equazioni di campo” e dalle “equazioni del moto”. Le prime descrivono la curvatura dello spazio-tempo in un punto legandola alla distribuzione spaziale delle masse. Le soluzioni di tali equazioni forniscono la metrica in prossimit`a delle diverse configurazioni di masse ipotizzate: tra le soluzioni pi`u clamorose quelle che descrivono le propriet`a dello spazio intorno ai buchi neri. Le equazioni del moto consentono a loro volta di determinare le geodetiche percorribili, in quel certo dominio spazio-temporale, dalle masse di prova. Nel 1919 la prima prova sperimentale che incoron`o la teoria: durante l’eclisse di Sole del 29 maggio i raggi di luce emessi da una stella, che si trovavano nel loro cammino a lambire la sfera solare, giungevano agli osservatori terrestri deflessi di una quantit`a che dava ragione delle previsioni effettuate mediante la teoria. Pu`o essere utile riflettere sul fatto che la curvatura della traiettoria della luce potrebbe suscitare il dubbio che nel curvarsi la luce sia stata in qualche modo “accelerata”, contraddicendo con ci`o la costanza della sua velocit`a: in realt`a la traiettoria osservata e` per l’appunto una traiettoria frutto di una sezione puramente spaziale dello spazio-tempo, all’interno del quale la luce ha invece percorso una linea geodetica rettilinea, alla sua consueta velocit`a; a cambiare sono state soltanto le singole componenti del “quadrivettore energia-quantit`a di moto” ma non l’invariante relativistico a esse associato. Fra le tante altre prove sperimentali della teoria e` interessante citare le prove relative all’influenza della gravit`a anche sulla pura componente temporale: il tempo “scorre a velocit`a differenti” per orologi posti ad altezze diverse. Sulla superficie della Terra, la gravit`a “rallenta il tempo”, sia pure in maniera difficile da misurare. All’altitudine dei satelliti GPS la gravit`a e` pi`u debole, e il tempo scorre pi`u velocemente. Gli orologi atomici orbitanti infatti guadagnano rispetto a quelli al suolo 50 milionesimi di secondo al giorno (si noti che si tratta di una correzione che va ad aggiungersi a quella di dilatazione dei tempi dovuta alle velocit`a relative dei due orologi). Ovviamente i sistemi di posizionamento ne tengono conto, pena uno scadimento non indifferente delle loro prestazioni.
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 174
Dovrebbe essere sorta una curiosit`a: qual e` la curvatura dello spazio-tempo in prossimit`a della Terra? Per rispondere e` necessario fare riferimento a quello che viene denominato “effetto di marea”. Alla radice della teoria della relativit`a generale c’`e, come si e` detto, l’idea che, per un corpo in caduta libera, gli effetti gravitazionali siano annullati. Pertanto, se nel famoso ascensore degli esperimenti ideali, oltre all’osservatore ci sono altri oggetti, nessuno di loro mostra un moto relativo rispetto agli altri. Questo e` vero finch´e l’ascensore si estende per una parte molto limitata di spazio. Ma se si considera una porzione di spazio pi`u estesa, a causa della non uniformit`a del campo gravitazionale non e` possibile eliminare completamente gli effetti della gravit`a. In un ideale ascensore (sempre in caduta libera) di sufficiente estensione, ci siano due palline fissate a differente altezza: se a un certo istante le si lasciasse libere, si vedrebbe incrementare nel tempo la loro distanza reciproca: prendendo come riferimento il centro dell’ascensore e il valore di campo gravitazionale in esso presente, quella che si trova pi`u in basso, sottoposta a un campo gravitazionale di maggiore intensit`a, sentirebbe gli effetti di una accelerazione verso il basso, simmetricamente la pallina pi`u in alto, sottoposta a un campo gravitazionale meno intenso, manifesterebbe, rispetto al centro dell’ascensore, una accelerazione verso l’alto. Un diagramma spazio-tempo ritrarrebbe il loro moto con due parabole di concavit`a opposta (Fig. 11.4). Questo effetto di marea, cosiddetto perch´e e` con lo stesso tipo di considerazioni che si giustifica il fatto che le maree avvengano contemporaneamente in due regioni diametralmente opposte della Terra, e` frutto di ragionamenti squisitamente newtoniani, ma e` perfettamente in accordo con la visione relativistica che cos`ı interpreta i fatti: i due diagrammi spazio-temporali (due geodetiche nello spazio tempo) perdono il loro parallelismo, come lo perdono due meridiani che partendo dall’equatore vedono diminuire la loro distanza, a causa della curvatura dello spazio-tempo.
Figura 11.4 Effetto marea all’interno di un ascensore in caduta libera
Interpretando con le opportune equazioni questa divergenza (la quale in quanto tale, e` spia di curvatura negativa) si perviene a una valutazione della curvatura
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dello spazio-tempo in prossimit`a della Terra: k=
2GM 1 =− 2 3 2 RC c R
dove R c e` il raggio di curvatura e M ed R sono massa e raggio terrestri. Effettuando il calcolo si ottiene R c = 1, 7 ⋅ 1011 m (per un confronto si ricorda che la distanza Terra Sole e` intorno a 1, 5 ⋅ 1011 m). 8πG ρ M Introducendo la densit`a ρ = 4 πR u in generale, R12 = 3c 2 , che ci 3 si ottiene, pi` C 3 dice in che modo la curvatura dipende dalla materia.
11.3 Ipotesi sull’Universo L’estensione della teoria della relativit`a generale all’Universo nel suo complesso presuppone l’assunzione di un principio cosmologico, cos`ı riassumibile: K l’Universo, a grande scala, appare uguale in tutte le direzioni (cio`e e` isotropo) e ha all’incirca le stesse propriet`a in ogni punto (cio`e e` omogeneo); K l’aspetto generale dell’Universo non dipende dalla posizione dell’osservatore e implica di conseguenza che l’uomo non occupi una posizione privilegiata nel cosmo. Questo principio consente di rappresentare la materia dell’Universo come un fluido di densit`a pari alla densit`a media di materia rilevata, prescindendo dalla complessit`a della sua distribuzione. Importanti fatti sperimentali lo supportano: K la distribuzione sufficientemente uniforme delle galassie, direttamente osservabile in tutte le direzioni; K la legge di Hubble; K la radiazione di fondo. Le osservazioni compiute da Hubble negli anni Venti su galassie esterne alla nostra, rivelarono che in tutte le direzioni le galassie si stanno allontanando dalla nostra, e si allontanano tra loro, con una velocit`a proporzionale alla loro distanza: v = Ho ⋅ D (la costante H o ha un valore stimato in 72 ± 8 km/s per Megaparsec nel 2001, dal Telescopio spaziale Hubble). Il fatto sperimentale che port`o a questa conclusione fu l’osservazione che gli spettri dei segnali elettromagnetici che ci giungono dalle lontane galassie, pur emessi da elementi riconoscibili come uguali a quelli che compongono la materia della nostra galassia, appaiono tutti sistematicamente spostati verso il rosso: una diminuzione di frequenza spiegabile con l’effetto Doppler, e dunque frutto di una velocit`a di allontanamento. Nella Fig. 11.5 si vede come lo spostamento verso il rosso delle righe di emissione dipenda dalla distanza dei corpi celesti che li hanno emessi, evidenziando i valori crescenti delle loro velocit`a. La legge, enunciata nel 1929, oltre a escludere che l’osservatore terrestre sia privilegiato, in quanto il fenomeno si presenterebbe allo stesso modo da qualsiasi
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Figura 11.5 Spostamento verso il rosso degli spettri di emissione (NASA/JPL Caltech)
punto lo si osservasse, e` un’importante conferma della soluzione che si ottiene dalle equazioni della relativit`a per un universo non statico: e` proprio la legge necessaria perch´e un Universo in espansione si conservi omogeneo e isotropo. Come conseguenza tutti i modelli statici furono accantonati. I modelli dinamici che di l`ı in poi si confrontarono e tuttora si confrontano hanno in comune, per l’evoluzione verso il futuro, l’ipotesi che l’espansione sar`a soggetta a una decelerazione, e per l’interpretazione del passato, che l’espansione abbia avuto inizio da un punto di origine in cui i parametri spazio-temporali erano praticamente nulli e i parametri fisici, quali densit`a e temperatura, infinitamente elevati. E` la teoria del Big Bang, la quale ha ricevuto una notevole conferma sperimentale proprio dalla gi`a sopra citata scoperta della radiazione cosmica di fondo.
Figura 11.6 Mappa sferica della radiazione cosmica di fondo rilevata dal satellite WMAP. Le piccolissime variazioni di temperatura (e di colore) sono dell’ordine del milionesimo di grado rispetto al valor medio di 2,726 K (NASA Images)
La radiazione cosmica di fondo (Fig. 11.6) (abbreviata in CBR, da Cosmic background radiation) fu scoperta nel 1964 da Penzias e Wilson (che per questo motivo ricevettero il Premio Nobel per la Fisica). Nel corso di esperimenti per la rilevazione di emissioni localizzate nella regione delle microonde, registrarono un rumore di fondo che presentava la stessa intensit`a in qualsiasi direzione e in qualsiasi momento. Venne interpretato come il residuo termico del Big Bang, una radiazione che ancora si diffonde per l’universo, raffreddata ormai alla temperatura di circa 3 K, a causa dell’espansione, il cui massimo di intensit`a cade nella regione
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spettrale delle microonde: ulteriore prova di omogeneit`a e isotropia dell’universo, prova principe per la teoria del Big Bang, avvio dello sviluppo di modelli inflazionari (i modelli inflazionari ipotizzano che l’Universo, poco dopo essere “nato”, abbia attraversato una fase di espansione esponenziale, estremamente rapida e accelerante, differenziandosi in ci`o dal modello proposto dalla teoria del Big Bang, che invece prevede una espansione convenzionale, che va decelerando nel tempo).
11.4 I possibili modelli di Universo in espansione che cosa prevedono in merito alla sua curvatura? Modelli cosmologici che vogliano fondarsi sulla teoria della relativit`a non possono prescindere da questo principio: le propriet`a dello spazio-tempo dipendono esclusivamente dalla distribuzione della materia. Poich´e per il principio cosmologico si e` ammesso di considerare ovunque una stessa densit`a media, anche la curvatura dovr`a essere ovunque la stessa, ovvero i modelli dovranno essere caratterizzati da una curvatura costante. Gli spazi 3D a curvatura costante possono essere solo dei tre tipi che conosciamo: spazio euclideo a curvatura k = 0; spazio sferico a curvatura k=+1; spazio iperbolico a curvatura k = −1. Ciascuno di essi e` connesso con particolari valori della densit`a, ed e` altres`ı connesso con uno dei tre possibili modelli di espansione. Per quanto riguarda la densit`a, e` stata calcolata una densit`a critica che fa da discrimine fra le diverse tipologie di spazio densit`a critica = ρ c >
3H o2 8πG
(H o costante di Hubble: G = cost. di gravitazione universale).
Ecco dunque i modelli possibili, con le loro rispettive curvature: Densit`a ρ < ρc ρ = ρc
Curvatura k = −1, iperbolica k=1, euclidea
ρ > ρc
k = +1, sferica
Modello Universo aperto; l’Universo si espande all’infinito Universo piatto: la velocit`a di espansione diminuisce progressivamente, tende a zero, ma non si innesca contrazione Universo chiuso: dopo essersi espanso fino a un certo limite, inizia un processo di contrazione, che lo porta a un Big Crunch
I tre modelli possono essere cos`ı schematicamente raffigurati in Fig. 11.7 (R e` la separazione tra le galassie.) L’espansione dell’Universo e` dovuta a un’espansione metrica dello spazio-tempo, non a un movimento delle galassie tendente a occupare altro spazio preesistente. Si fa comunemente il paragone con la lievitazione di un pane con le uvette: le uvette si allontanano le une dalle altre perch´e si dilata, gonfia, il supporto sul quale sono inserite e non perch´e esse stesse si muovano. Importanti passi avanti nella teoria del Big Bang sono stati fatti dagli anni Novanta in poi a seguito di importanti progressi nella tecnologia dei telescopi,
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Figura 11.7 Modelli cosmologici a confronto
nonch´e dall’analisi di un gran numero di dati provenienti da satelliti, che hanno potuto compiere osservazioni libere dagli assorbimenti dell’atmosfera, su tutto lo spettro delle onde elettromagnetiche. Citiamo tra gli altri COBE (1992), il telescopio spaziale di Hubble (Fig. 11.8) (dal 1990 al 2007), il telescopio dell’esperimento Boomerang sull’Antartide e il WMAP (2001-2003). Quest’ultimo ha fornito ai cosmologi misure abbastanza precise di molti dei parametri riguardanti il modello del Big Bang. Particolarmente interessante un raffronto tra la composizione dell’Universo attuale rispetto alla sua composizione 380.000 anni dopo il Big Bang (Fig. 11.9), epoca in cui la radiazione di fondo che noi ora osserviamo pot´e liberarsi dalla materia. Come si vede il vero problema e` attualmente capire la natura e il ruolo della materia e dell’energia oscura: secondo alcune osservazioni potrebbero essere respon-
Figura 11.8 Il telescopio Hubble in orbita (NASA Images)
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Figura 11.9
Composizione dell’Universo a confronto
sabili di una forte accelerazione nell’espansione dell’Universo, in conseguenza della quale si e` persino ipotizzato un Big Rip finale. Questi ultimi anni sono stati caratterizzati da grande fermento per gli astrofisici, a causa della gran messe di dati che vanno sovrapponendosi e dei tanti interrogativi irrisolti. Si attendono risposte cruciali sulla natura stessa della massa anche dal grande acceleratore LHC di Ginevra. E` quindi azzardato fare previsioni su quale modello di Universo sar`a convalidato. Relativamente alle ipotesi sulla sua curvatura, stando alle ultime dichiarazioni di scienziati impegnati nel progetto Planck dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), (De Bernardis e Vitale, in un articolo pubblicato su Le Scienze nell’ottobre 2009), per una convergenza di fenomeni che essi non esitano a chiamare paradossi, l’Universo attuale sembra essere piatto. Il risultato di una curvatura nulla potrebbe essere l’effetto di una fase di inflazione cosmica talmente spinta da stirare qualsiasi curvatura preesistente. A conclusione di questi brevi cenni sulla teoria della relativit`a (e sulle sue applicazioni nella cosmologia), sui cui dirompenti contenuti ancora oggi si indaga, pu`o essere utile sottolineare che, come in tanti altri casi della storia della scienza, hanno giocato un ruolo essenziale teorie matematiche, quali le geometrie non euclidee, che al momento della loro apparizione erano sembrate avere un valore di pura speculazione, mentre si sono poi trovate a essere motore e supporto di ricerche che hanno fatto compiere passi giganteschi nella conoscenza del mondo fisico.
Appendice A Confronto tra i sistemi assiomatici di Euclide e di Hilbert Analizziamo alcuni aspetti caratterizzanti i due sistemi assiomatici, evidenziando in particolare i nodi concettuali e logici che hanno determinato alcune critiche alla strutturazione proposta da Euclide e la conseguente riformulazione di Hilbert.
A.1 Dal sistema di Euclide K In Euclide tutti i termini sono definiti direttamente, utilizzando a tale scopo nozioni di uso comune che aiutino ad afferrare bene il concetto. A Euclide interessa una definizione ontologica esplicita. E` da osservare che per`o Euclide non usa mai tali definizioni nelle dimostrazioni. Nei sistemi assiomatici moderni alcuni termini (primitivi) non sono definiti, mentre si definiscono a partire da questi i cosiddetti termini definiti. Si noti che spesso la definizione ha senso in quanto si sono dimostrati dei teoremi; per es. le definizioni di semirette, segmenti e angoli hanno senso in virt`u delle propriet`a dimostrate con gli assiomi di ordinamento. K Per Euclide il postulato e` una proposizione di contenuto geometrico mentre l’assioma e` una proposizione di contenuto aritmetico-logico: entrambe sono ammesse senza dimostrazione. Nei sistemi assiomatici moderni parliamo di assiomi geometrici e di assiomi logici. K Per Euclide come per Hilbert gli assiomi e i postulati sono e devono essere veri di per s´e, e la loro “evidenza” garantisce la veridicit`a di tutta la costruzione geometrica che ne deriva, cio`e di tutti i teoremi da essi dimostrabili. La relazione di conseguenza logica conserva la verit`a e quindi da assiomi veri o supposti tali si passa a teoremi ancora veri. K I postulati di Euclide (a esclusione del IV) sono di tipo costruttivo e rispondono all’uso di riga (non graduata) e di compasso (vedi commento successivo al compasso che collassa), anche se Euclide non nomina mai tali strumenti, estranei alla formulazione rigorosa della teoria (ma utilissimi per guidarne lo sviluppo). Cos`ı anche la retta e` il concetto ideale di linea che si costruisce prolungando un segmento, mentre per Hilbert la retta e` un qualsiasi oggetto che rispetta i relativi assiomi. K Inoltre, per la mentalit`a classica, la costruibilit`a e` garanzia di esistenza. Spesso in questi postulati e` sottointesa da Euclide anche l’unicit`a; sar`a solo nelle formulazioni successive (esiste una e una sola retta . . . ) che questa verr`a esplicitata. K Il quinto postulato e` detto postulato della parallela perch´e si pu`o sostituire con la proposizione equivalente: per un punto dato, e` unica la parallela a una retta data non incidente al punto. Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 12, © Springer-Verlag Italia 2012
Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo 182
A.2 Dal sistema di Hilbert K Con Hilbert si formulano gli assiomi e i postulati di Euclide in modo da separare le singole propriet`a elementari dei concetti primitivi ivi presenti e ripresentarle in gruppi di assiomi; alcuni gruppi (assiomi di ordinamento, di continuit`a) riguardano nozioni e propriet`a che Euclide usa senza averle esplicitate preventivamente con definizioni o assiomi appositi. K Il sistema assiomatico di Hilbert non e` solo pi`u preciso di quello di Euclide ma e` anche pi`u forte: i cinque postulati di Euclide sono riformulabili come assiomi nel sistema hilbertiano o dimostrabili in esso. Il viceversa non vale, anche perch´e il linguaggio della Geometria di Hilbert contiene termini estranei al linguaggio euclideo (per esempio la relazione di ordine). Il I postulato e` sostanzialmente coincidente con l’assioma 1.1 (1○ assioma di incidenza). Il II postulato e` precisato con l’assioma 2.2. Il III postulato, che asserisce l’esistenza della circonferenza, e` in realt`a conseguenza di principi definiti di carattere insiemistico (una circonferenza e` l’insieme dei punti equidistanti da un punto dato). Il IV postulato e` un teorema nella geometria hilbertiana. Il V postulato e` equivalente all’assioma della parallela di Hilbert. K Gli assiomi 1.2 e 2.2 di Hilbert caratterizzano l’infinit`a e la densit`a dei punti di una retta, mentre con l’assioma di continuit`a si assicura che sulla retta non esistono lacune. K In generale dagli assiomi del 2○ gruppo si deducono le propriet`a di retta ordinata, infinita, illimitata e densa. K Per l’assioma 2.3 la retta e` una linea aperta (e non, per esempio, un cerchio dove, dati tre punti distinti, ciascuno e` compreso tra gli altri due). K Gli assiomi di ordine permettono di definire segmenti e semirette. K L’assioma 4 e` detto assioma di Dedekind (1831-1916). Esso permette una definizione rigorosa del continuo geometrico (la retta) in modo che non vi siano lacune. Il continuo geometrico (la retta come insieme di punti) risulta cos`ı isomorfo ai numeri reali, definiti anch’essi tramite l’assioma di Dedekind. K L’assioma 2.4 e` anche detto assioma di Pasch. Il matematico tedesco Moritz Pasch (1843-1930) pubblic`o nel 1882 un importante trattato di geometria, cui Hilbert attinse nella sua sistemazione del 1899, dove propone un’analisi approfondita delle nozioni usate implicitamente da Euclide. K Esistono altre formulazioni per l’assioma 2.4, per esempio come assioma di separazione del piano: una retta divide un piano in due lati (semipiani) separati. Euclide utilizza tale propriet`a senza averla esplicitata, ritenendola ovvia. Per esempio nella dimostrazione del teorema I nel libro I, Euclide, nella costruzione di un triangolo equilatero a partire da un segmento quale lato, ammette come evidente che, costruendo due circonferenze agli estremi del segmento e con raggio uguale al segmento, le due circonferenze si intersecheranno in due punti. Ma questo fatto e` supportato solo da una “evidenza nel disegno” non da
Appendice A
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Confronto tra i sistemi assiomatici di Euclide e di Hilbert 183
una propriet`a precedentemente dimostrata o postulata. Con gli assiomi 2.4 e 4 tutte queste “lacune” di Euclide vengono colmate. K Se si considerano solo i primi quattro gruppi di assiomi si ottiene la cosiddetta “geometria neutrale”, in cui nulla si dice sull’unicit`a o meno delle parallele. In questa geometria si dimostra l’esistenza di almeno una parallela per un punto a una retta, ma non l’unicit`a. Per questo l’assioma della parallela e` enunciato in quel modo da Hilbert. Si noti che anche Euclide consider`o una geometria “neutrale”: infatti dimostr`o le prime ventotto proposizioni del I libro senza far uso del V postulato.
A.3 Uguaglianza e congruenza K Con l’assioma VII (cose che coincidono tra loro sono uguali) Euclide considera, accanto al concetto “quantitativo” di uguaglianza, un concetto prettamente geometrico come la coincidenza; in altre parole “figure che vengono portate a coincidere con un movimento che non modifica la loro forma sono uguali”. Egli consente cio`e una sovrapposizione delle figure anche se non ha mai definito o postulato il movimento rigido che la permette, fino a identificare l’uguaglianza con la sovrapponibilit`a. Egli utilizza tale principio di sovrapposizione nella dimostrazione dei teoremi 4 e 8 nel libro I che corrispondono agli odierni primo e terzo criterio di congruenza dei triangoli. Nell’assiomatica moderna di Hilbert non compare pi`u alcun riferimento al movimento rigido di sovrapposizione delle figure, ma vengono introdotte due relazioni “primitive” distinte: la relazione logica dell’uguaglianza e quella geometrica della congruenza, il cui significato e` specificato nel rispettivo gruppo di assiomi. K In particolare l’assioma 3.5 permette di dimostrare i criteri di congruenza dei triangoli e di definire le figure congruenti come quelle che hanno ordinatamente uguali i rispettivi elementi (lati e angoli). K Con gli assiomi 3.1 e 3.2 si caratterizza la relazione di congruenza come una relazione di equivalenza. K L’assioma 3.1 e` anche detto assioma del trasporto del segmento: dato un segmento AB e` possibile costruire, a partire da un altro punto, un segmento a esso congruente. In modo analogo per l’angolo con il 3.4. Per trasportare un segmento Euclide invece dimostra due teoremi (n○ 2 e 3) specificando i passaggi costruttivi con riga e compasso, ritenendo si dovesse evitare di introdurre un ulteriore assioma se la propriet`a si poteva dedurre con una dimostrazione, sia pure con maggiore fatica. K Altri sistemi assiomatici moderni utilizzano invece in forma assiomatica la nozione di “moto”, per esempio quelli di Peano (1894) e di Pieri (1899). K Il postulato III (si possa descrivere un cerchio dato centro e raggio) e` detto del compasso. Ma un compasso chiuso che si apre solo quando si trova davanti a un segmento che rappresenta il raggio e un estremo come centro. Allora punta nell’estremo detto centro e si apre fino all’altro estremo del raggio per poi
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costruire la circonferenza. Quando e` aperto non pu`o alzarsi e spostarsi in un altro punto del piano per disegnare un’altra circonferenza con lo stesso raggio o disegnare un segmento congruente al raggio (quest’ultimo uso del compasso si chiama “compasso che collassa”) . Come abbiamo gi`a detto, per “trasportare un segmento” Euclide dimostra un teorema esplicitandone la costruzione mentre Hilbert lo pone come uno degli assiomi della congruenza. K Nella definizione X Euclide introduce gli angoli retti: se due angoli adiacenti sono congruenti, sono definiti retti. Ma due angoli retti situati in modo qualsiasi nel piano possono essere congruenti senza essere adiacenti? Questo e` assicurato da Euclide con il quarto postulato: tutti gli angoli retti sono congruenti tra di loro, ovunque siano disegnati nel piano, senza bisogno di una verifica per sovrapposizione. Se invece gli angoli da confrontare non sono retti, Euclide usufruisce del movimento rigido, mentre Hilbert introduce un assioma (il 3.4) specifico per la congruenza degli angoli. K Non si fa riferimento a lunghezze o misure. E` possibile introdurre le misure utilizzando l’assioma di continuit`a, in quanto questo stabilisce una corrispondenza biunivoca tra i punti della retta e i numeri reali (e un risultato simile, ma non identico, vale per gli angoli e le loro misure). L’analisi critica del continuo geometrico port`o alla formulazione degli assiomi di Pasch e di Dedekind, le cui propriet`a o conseguenze Euclide utilizzava di fatto senza esplicitarle.
Appendice B GPS: sistema di posizionamento globale B.1 Descrizione generale Il sistema G.P.S. (Global Positioning System) e` un insieme di parti che, interagendo tra loro, permettono la localizzazione di un punto sulla superficie del globo terrestre, o vicino a essa.
Figura B.1
(Jean-Marie Zogg ‘‘GPS’’ da: www. u-blox.com)
Esso fornisce la posizione mediante tre coordinate (longitudine, latitudine, altezza dalla superficie terrestre), con un errore di pochi metri e l’istante di rilevazione UTC (Universal Time Coordinated) con una approssimazione di qualche decina di nanosecondi. Il G.P.S. e` stato progettato e sviluppato dal Dipartimento della Difesa statunitense a partire dagli anni Settanta del secolo scorso e in seguito e` stato esteso anche a un’utenza civile. Esistono altri sistemi, analoghi, ma non ne trattiamo.
B.2 A cosa serve? A seconda della metodologia di rilievo ed elaborazione dei dati, il GPS permette molteplici utilizzi civili in vari campi (agricoltura e foreste, comunicazioni tecnologiche, commercio e industria, scienze e ricerca, turismo e sport) fra i quali segnaliamo: posizionamento e navigazione in terra, mare e cielo, gestione di grandi reti di comunicazione e mercati finanziari, monitoraggio del territorio e delle deformazioni crostali, attivit`a all’aperto come orientamento e trekking, mappatura di siti archeologici o di interesse culturale.
B.3 Come e` costituito? Il sistema GPS e` costituito di 3 parti o segmenti: 1 segmento spaziale: la costellazione satellitare e` formata da almeno 24 satelliti attivi orbitanti intorno alla Terra; 2 segmento di controllo: stazioni a terra dotate di grandi antenne e di orologi atomici che comunicano tra loro e con i satelliti, con il compito di gestire e Arzarello F., Dan´e C., Lovera L., Mosca M., Nolli N., Ronco A.: Dalla geometria di Euclide alla geometria dell’Universo DOI 10.1007/978-88-470-2574-5 13, © Springer-Verlag Italia 2012
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monitorare tutto il sistema (sincronizzazione degli orologi a terra e sul satellite, calcolo e invio dei dati relativi alle traiettorie e posizione dei satelliti, controllo e correzione delle traiettorie orbitali); 3 segmento di utilizzo: l’apparecchio ricevitore con antenna GPS che capta le comunicazioni dai satelliti (ma non pu`o emettere segnali) e visualizza su un display 2D la propria posizione.
Figura B.2 I segmenti costitutivi del GPS
B.4 Come funziona? Il principio rispetto al quale e` stato concepito il sistema di rilevamento satellitare e` un’evidente evoluzione dei metodi utilizzati in navigazione astronomica. Come si e` descritto nel capitolo 8, per fare il punto nave si determina la propria posizione rispetto a tre stelle, delle quali occorre per`o stabilire, per altra via, le coordinate assolute sulla sfera celeste, e quest’ultimo e` l’aspetto pi`u laborioso dell’operazione. I satelliti orbitanti, a differenza delle stelle, mute nel loro algido
Figura B.3 Orbite di satelliti in rotazione intorno alla Terra (distanze non in scala)
Appendice B
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scintillare, sono stati dotati di “parola”, in quanto passano e ripassano lungo le orbite loro assegnate ripetendo incessantemente “’io sono qui, io sono qui”, ovvero comunicando in ogni istante le loro coordinate spaziali e temporali rispetto al sistema di riferimento adottato. Dotati ognuno di orologi atomici al cesio di grandissima precisione, che vengono sincronizzati dalla stazione americana di Colorado Springs ogni qual volta la sorvolano, trasmettono in continuazione dati numerici che comprendono le proprie coordinate X, Y, Z, e l’istante esatto t 1 di trasmissione. A terra l’apparecchio GPS ricevitore acquisisce il segnale emesso dal satellite e lo elabora: grazie al proprio orologio pu`o confrontare il tempo locale t 2 di ricezione a terra del segnale con il tempo t 1 della sua emissione dal satellite, determinando cos`ı il tempo impiegato dal segnale a percorrere la distanza dal satellite al ricevitore Δt = (t 2 − t 1 ). Per ottenere poi la distanza dal satellite basta moltiplicarlo per la velocit`a della luce c (∼ 300.000 km/s) Δt ⋅ c = distanza. Rilevando il Δt di trasmissione da quattro satelliti e calcolando le relative distanze e` possibile stabilire la posizione del nostro ricevitore sulla Terra (Fig. B.4): K conoscendo la distanza del ricevitore da un solo satellite, possiamo assegnargli come posizione un qualsiasi punto della superficie sferica con centro nel satellite considerato; K conoscendo la distanza da un secondo satellite si determina una seconda sfera che, intersecando la prima lungo una circonferenza, riduce ai suoi punti la possibile posizione del ricevitore; K la distanza da un terzo satellite individua una terza sfera che interseca la circonferenza precedente in due punti A e B. Ma uno solo di questi due punti appartiene alla Terra (quarta sfera in gioco), ed e` la posizione cercata: l’altro punto pu`o essere eliminato perch´e si trova nello spazio.
Figura B.4 L’intersezione fra le tre superfici sferiche individua la posizione del ricevitore sulla Terra (Jean-Marie Zogg ‘‘GPS’’ da: www. u-blox.com)
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In conclusione, con la determinazione di tre distanze da tre satelliti e` possibile stabilire la posizione (X, Y , Z) del ricevitore rispetto a un sistema di coordinate terrestri. Perch´e il quarto satellite? Abbiamo gi`a puntualizzato la necessit`a che gli orologi in azione siano sincronizzati tra loro: un errore di 1 milionesimo di secondo si traduce in un errore di 300 m sul suolo. In ogni satellite sono montati quattro orologi atomici che periodicamente vengono ulteriormente sincronizzati dal centro di controllo onde garantire la massima stabilit`a. Ma il ricevitore, per ragioni di costo, non pu`o disporre di un orologio atomico, quindi la sua precisione non e` assicurata. E` quindi ipotizzabile un errore Δt 0 del tempo proprio del ricevitore che assume il ruolo di un’ulteriore incognita da determinare oltre alle X, Y , Z (longitudine, latitudine, quota rispetto al livello del mare). Risulta cos`ı necessario un ulteriore dato in origine, ricavabile consultando un quarto satellite. I dati del quarto satellite, infatti, oltre a rendere univoca la soluzione al sistema di quattro equazioni in quattro incognite, consentono al ricevitore (attivando un opportuno software) di correggere il valore del tempo proprio per mezzo dei tempi di invio del segnale dei quattro satelliti. Questo e` quanto avviene a ogni rilevazione del ricevitore. Soltanto la conoscenza della distanza da quattro satelliti consente con certezza di determinare una posizione univoca nello spazio. Si spiega cos`ı anche perch´e e` necessario aspettare del tempo, anche se se tratta di minuti, affinch´e il ricevitore sia attivo; questo infatti deve attendere il “contatto” con almeno quattro satelliti e, ricevuto il segnale, elaborarlo effettuando numerosi calcoli e approssimazioni successive.
Figura B.5 Il ricevitore sull’auto riceve i segnali dai quattro satelliti e li rielabora per fornire le informazioni richieste dall’utente (JeanMarie Zogg ‘‘GPS’’ da: www. u-blox.com)
B.5 Analisi della Costellazione Satellitare Il sistema GPS presenta da 24 a 32 satelliti (alcuni sono di riserva), posizionati in orbite pseudo-circolari e suddivisi in sei piani orbitali inclinati di circa 55○ rispetto all’equatore terrestre; i satelliti ogni giorno compiono due rivoluzioni attorno alla Terra (le orbite sono percorse con un periodo T di 11 ore 58 minuti). A causa
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della rotazione terrestre ogni satellite ripassa nella stessa posizione ogni 24 ore, permettendo cos`ı alle stazioni di controllo un monitoraggio quotidiano. L’altezza dei satelliti dalla superficie terrestre e` pari a 20.180 km e la velocit`a orbitale e` di 3,87 km/s. Tali valori si possono ricavare ricordando che, affinch´e un satellite resti su una certa orbita di raggio r (rispetto al centro della Terra), e` necessario che la sua ac2 . Si ricava celerazione centripeta 4πT 2 r sia uguale all’accelerazione di gravit`a G Mr Terra 2 2
T cos`ı r 3 = G M Terra , da cui r, ovvero la distanza dal centro della Terra. Sottraendo 4π 2 a tale valore il raggio medio della Terra si ottiene l’altezza del satellite dal suolo terrestre. E` possibile anche calcolare la velocit`a del satellite 2πr/T.
Figura B.6 La maggior parte della superficie terrestre e` coperta in ogni istante da almeno quattro satelliti
La distribuzione dei satelliti nelle orbite e` stata progettata in modo tale da garantire dai vari punti della Terra la visibilit`a di almeno 4 satelliti (Fig B.6). Indicativamente in un dato punto della Terra ciascun satellite rimane in vista per 1-4 ore, e ogni satellite “vede” una porzione-range (rappresentabile con un cerchio) della superficie terrestre. In Fig. B.7 e` stata rappresentata l’orbita di un satellite sulla carta di Mercatore con il suo range d’azione quando si trova in corrispondenza del punto di intersezione tra il meridiano zero e l’equatore.
Figura B.7 La traiettoria nelle ventiquattro ore di un satellite GPS e il suo range d’ azione quando si trova sopra al punto di intersezione tra equatore e meridiano zero (JeanMarie Zogg ‘‘GPS’’ da: www. ublox.com
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B.6 Sistemi di coordinate La determinazione della posizione di un punto sulla Terra presuppone la presenza di un sistema di coordinate e di una mappa del suolo terrestre, ma ne esistono molti tra loro differenti. Vediamo a quali principi comuni essi si ispirano. La Terra non e` certamente una sfera perfetta come in genere la si rappresenta ma, considerando le profondit`a marine, le valli, i monti, ecc. essa assume una forma “irregolare”. Non essendo possibile tenere conto di tutte tali “irregolarit`a” si assume in linea generale come forma della Terra, chiamandola geoide, il solido la cui superficie meglio descrive la superficie media degli oceani e a questa si fa riferimento quando si deve determinare la coordinata Z. Definizione teorica: geoide e` il solido la cui superficie, in ogni suo punto, determina angoli retti con le linee del campo magnetico. Ma tale superficie e` difficile da trattare a livello matematico. La si approssima allora con un ellissoide ovvero il solido ottenuto dalla rotazione di un’ellisse (di semiassi a e b, a > b) intorno all’asse minore. Quanto valgono i due semiassi in modo che l’ellissoide sia la migliore approssimazione possibile della superficie terrestre? Non c’`e una risposta univoca ma dipende da zona a zona, da regione a regione. Comunemente per rendere tangente l’ellissoide al geoide in una determinata area e` necessario spostare il suo centro rispetto al centro della Terra, ruotarlo e variarne le dimensioni ottenendo cos`ı un ellissoide locale o regionale. I dati di questo aggiustamento sono registrati nel Datum (compendio delle differenze fra dati reali e dati del modello).
Figura B.8 Approssimazione del geoide con un ellissoide
Si ottengono cos`ı molti sistemi di riferimento locali (ne esistono pi`u di 120) basati ognuno su un particolare tipo di ellissoide (Fig. B.8). Il sistema GPS mondiale adotta il sistema di riferimento WGS-84, un sistema globale cui viene riferita tutta la Terra. Esso e` costituito da una terna di assi cartesiani ortogonali con origine nel centro di massa della Terra, l’asse X sul piano equatoriale in modo da intersecare il meridiano di Greenwich, l’asse Y sul piano equatoriale a est di 90○ rispetto asse x, l’asse Z orientato verso il polo Nord. A
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Figura B.9 Individuazione degli ellissoidi che regione per regione approssimano il geoide Terra (il cui profilo e` qui esagerato)
questi e` associato un ellissoide con centro nell’origine e semiassi a e b stabiliti. In tale sistema di riferimento si possono determinare le coordinate cartesiane X, Y, Z (o anche longitudine, latitudine e altezza) del punto P interessato rispetto l’ellissoide di riferimento (Fig. B.10). Le coordinate riferite a tale sistema devono essere poi, con opportune procedure, convertite nel sistema di riferimento locale, che e`, come detto in precedenza, traslato e ruotato rispetto a quello universale. Una volta ottenute le coordinate 3D del punto occorre proiettarle su di una mappa bidimensionale (l’equivalente di una carta geografica), che possa essere visualizzata sullo schermo del ricevitore. La proiezione cui si ricorre ormai universalmente e` la proiezione di Gauss, dalla quale si ottiene il sistema di coordinate UTM. Entrambi sono descritti nel capitolo 8 tra le proiezioni cartografiche.
Figura B.10
Coordinate cartesiane del punto P
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In conclusione, per ottenere la posizione di un punto su di una mappa 2D, e` necessaria la seguente sequenza di operazioni: K K K K K
dai segnali dei satelliti si ricavano gli intervalli di tempo; si calcolano le coordinate 3D in WGS-84; si convertono tali coordinate 3D nel sistema di riferimento locale; si proiettano sulla mappa 2D ottenendo le due coordinate X e Y; il punto (X, Y) viene visualizzato in un punto-pixel sullo schermo GPS.
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CONVERGENZE Collana promossa dall'UMI-CIlM
M.G. Bartolini Bussi, M. Maschietto Macchine Matematiche 2006, XVI+ 160 pp, 978-88-470-0402-3 G.C. Barozzi Aritmetica 2007,VI+124 pp, 978-88-470-0581-5 R.Zan Difficolta in matematica 2007, XIV+306 pp, 978-88-470-0583-9 G. Lolli Guida alla teoria degli insiemi 2008, X+148 pp, 978-88-470-0768-0 M. Donaldson Come ragionano i bambini 2009, XII+154 pp, 978-88-470-1447-3 F. Ghione, L. Catastini Matematica e Arte 2010, XVI+ 162 pp, 978-88-470-1728-3 L. Resta, S. Gaudenzi, S. Alberghi
Matebilandia 2011, XIII+336 pp, 978-88-470-2311-6 E. Delucchi, G. Gaiffi, L. Pemazza Giochi e percorsi matematici 2012, XII+ 198 pp, 978-88-470-2615-5 F. Arzarello, C. Dane, L. Lovera, M. Mosca, N. Nolli, A. Ronco Dalla geometria di Euclide alla geometria dell 'Universo 2012, XII+196 pp, 978-88-470-2573-8