Crisi della democrazia e neocontrattualismo [1a ed]
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Zitiervorschau

Norberto Bobbio

Giuliano Pontara

Salvatore Veca

Crisi della democrazia e neocontrattualismo

A cura del Centro Mario

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Rossi per gli studi

filosofici, Siena

Editori Riuniti

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Indice

Presentazione

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La crisi delIa democrazia e la lezione dei classici di N. Bobbio

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Ragione e rivoluzione

di S. Veca

Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale di G. Pontara Vi sono diritti fondamentali? N. Bobbio

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di G. Pontara e 105

I edizione: settembre 1984 Copyright by E

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originaria opterebbero per una costituzione democratic a che salvaguardi le liberta fondamentali, ma lascerebbero del tutto aperta la questione concernente la scelta tra sistema capitalista e sistema socialista, in quanta tale scelta va fatta in base al secondo principio dell a giustizia. Ma se Ie considerazioni che son venuto svolgendo sono corrette, allora Rawls sbaglia: dal momento che il sistema capitalista e incompatibile con il principio dell a liberta, Ie parti contraenti opteranno, oltre che per una costituzione democratica, anche per il modello socialista, visto che una societa in cui i mezzidi produzione sono collettivizzati aumenta la loro liberta politica, e di per se compatibile con la protezione costituzionale delle liberta civili elencate da Rawls e massimizza la possibilita di fruire di esse da parte del gruppo meno avvantaggiato. Vi e ragione di credere che una societa del genere sarebbe la realizzazione di un ideale di socialismo consiliare. 3. Uguaglianza di opportunita, capitalismo e socialismo. Supponiamo ora che - ferma restando la compatibilita logica della collettivizzazione dei mezzi di produzione con il principio della liberta - tutto quanto son sin qui venuto asserendo circa l'incompatibilita della proprieta privata di tali mezzi con questa principio sia errato. Supponiamo cioe che, come appunto sembra pensare Rawls, la scelta tra modelIo capitalista e modello socialista, in base alIa concezione speciale della giustizia, riguardi in tutto e per tutto il secondo dei due principi in cui tale concezione si articola. Orbene, intendo sostenere che anche in base a questa secondo principio, e contrariamente a quanta parrebbe 74

pensare Rawls, il modello socialista

e preferibile

a quel-

10 capitalista. Come si ricordera, il secondo principio della giustizia e composto in realta da due parti, ossia dal principio di differenza e dal principio di ugual opportunita. E importante ripetere che tra questi due principi sussiste, secondo Rawls, un ulteriore « ordine lessicale », onde l'esigenza posta dal primo diventa operante soltanto ove quell a posta dal secondo sia stata soddisfatta 22. La mia tesi, pili precisamente, che non si da alcun assetto capitalista compatibile con le esigenze poste dal principio di uguale opportunita, ragion per cui, anche se un tale assetto e sancito dal principio di differenza come preferibile ad un assetto socialista, esso risulta comunque ingiusto in forza dell'« ordine lessicale » sussistente tra i due principi. Cominciamo col vedere quali siano, pili precisamente, Ie esigenze poste dal principio di equa opportunita. Secondo quella che Rawls chiama 1'« interpretazione liberale », questa principio richiede non soltanto che qualsiasi carica e posizione sociale sia formalmente accessibile a tutti, bensi anche che ciascuno abbia una equa opportunita di accesso ad esse nel senso che « coloro che possiedono abilita e inclinazioni simili dovrebbero avere le medesime possibilita di vita. Pili precisamente, supponendo che esista una distribuzione delle doti naturali, quelli che hanno 10 stesso grado di abilita e talento e la medesima intenzione di servirsene, dovrebbero avere le stesse prospettive di riuscita, indipendentemente dal loro punto di partenza all'interno del sistema sociale, cioe indipendentemente dalla classe di reddito in cui sono nati.» 23

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Preso per se, come unico criterio di giustizia, questo principio non e, secondo Rawls, del tutto accettabile. Una ragione di cio e che esso sancisce una distribuzione delIa ricchezza e del reddito in base alIa distribuzione naturale delle capacita e dei talenti, cosa questa che da un punta di vista morale appare del tutto gratuita. Un'altra ragione delIa sua inaccettabilira, dice Rawls, che Ie differenze di abilita, attitudine, talento e motivazione sono, almeno in parte, il risultato del tipo di ambiente sociale - specie £amiliare - in cui si cresciuti, ragion per cui, almeno sintantoche esiste l'istituzione della famiglia, l'idea di uguale opportunita non puo essere pienamente realizzata 24. La via di uscita da queste difficolta costituita, per Rawls, da quella che egli chiama 1'« interpretazione democratica », la quale consiste nelI'abbinare il principio di equa opportunita, interpretato alla maniera sopra detta, col principio di differenza ed istituendo quindi tra di essi un « ordine lessicale », come appunto stabilito dal secondo principio delIa giustizia 25. Nell'ambito di siffatta interpretazione (e ricordando che la concezione delIa giustizia proposta da Rawls e una concezione puramente procedurale) il principio di equa opportunita presiede alIa costituzione di quell'assetto istituzionale che il presupposto necessario delIa realizzazione di tale uguaglianza. II principio di diHerenza entra in vigore soltanto sullo sfondo di una siffatta struttura istituzionale ed opera, secondo Rawls, in modo tale da ovviare appunto alle due difficolta su menzionate. Esso ovvierebbe alIa prima, in quanta appunto regola la distribuzione del reddito e della ricchezza in base ad un criterio che da un punto di vista 76

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morale e, secondo Rawls, piu accettabile che non quel-

1,1 della «lotteria

naturale»

connesso con il principio

(Ii uguaglianza di opportunita nella interpretazione lihcrale sopra accennata. Lo stesso principio di differen-

opererebbe ulteriormente in modo tale da ovviare .inche alIa seconda delle due difficolta sopra rilevate, in quanto, data una societa in cui esiste la struttura istituzionale richiesta dal principio di equa uguaglianza cli opportunita, la sua applicazione condurrebbe alla massimizzazione delle eHettive opportunita di vita del gruppo meno fortunato sotto questo aspetto, rendendo cOSI anche me no impellente la necessita di abolire I'istituzione della £amiglia 26. Rawls descrive a grandi linee la struttura istituzionale che caratterizza il suo modello capitalistico, ossia la «democrazia a proprieta privata» definita come «uno stato democratico adeguatamente organizzato, che consent a la proprieta privata' del capitale e delle risorse naturali » 27. In tale stato la eccessiva accumulazione di capitale nelle mani di pochi - cosa che Rawls giudica esiziale per le istituzioni necessarie a salvaguardare una equa eguaglianza di opportunita 28 viene prevenuta attraverso tutta una serie di leggi antimonopolio, imposte di successione e tasse sulle donazioni 29. Per gar antire ulteriormente una equa uguaglianza di opportunita il governo pone inoltre in atto una trip lice serie di misure. In primo luogo, « cerca di assicurare uguali opportunita di educazione e formazione a persone similmente dotate e motivate 0 tramite il finanziamento di scuole private, 0 con l'istituzione di un sistema scolastico pubblico ». In secondo luogo, ,c~ir:~,", di garantire una uguaglianza di opportunita in ,,~~1~--":::~

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ne alia scelta delle attivita economiche e dells professione « per mezzo delIa sorveglianza sulla condatta delle aziende e delle associazioni private e grazie alIa prevenzione deIl'instaurarsi di restrizioni e barriere monopoIistiche nei posti pili ambiti ». In terzo luogo, « garantisce un minimo sociale, a per mezzo di ~ssegni familiari e contribun speciali per malattia e dlSOCC~pazione, 0 in modo pili sistematico grazie a meccarusmi come indennira per i redditi pili bassi» 30. Quantunque, a parere di Rawls un siffatto modello di sociera capitaIista ottemperi sia al principio di Iiberta sia aUa esigenza di «apertura delIe posizioni » posta daI principio di equa opportunira tuttavia, co~e Rawls stesso precede a sottolineare, esso e carattenzzato da maggiori disuguagIianze economiche e sociali di quelle connesse con l'alternativo modelIo di « socialismo Iiberale ». Come si e gia rilevato, tali disuguaglianze saranno, secondo Rawls, giustificate _ e qui?d! il modeUo capitaIista sara da preferire a quello socialista - se, e soltanto se, vi sono buone ragioni di ritenere che esse sono sancite daI principio di differenza. Cia e comprovato daI seguente passo in cui Rawls iIlustra l'argomento che, in base al principio di differenza, ~ermette di giustificare Ie disuguagIianze nelIe prospettive di vita tra i membri delle varie classi sociali che compongono la societe democratica in cui vige Ia proprieta privata dei mezzi di produzione. « Supponiamo che i vari gruppi di reddito corrispondano agli individui rappresentativi in riferirnento alle cui aspettative possibile giudicare la distribuzione [del reddito]. Ora, coloro che iniziano come membri delIa classe imprenditoriale, in una democrazia basata sulla

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proprieta [privata] hanno probabilmente prospettive migliori di quelli che iniziano daIIa classe dei lavoratori non qualificati. E probabile che cia sara vero anche quando saranno superate tutte Ie attuali ingiustizie sociali. Dunque, che cosa sarebbe in grado di giustificare questa iniziale disuguaglianza dei prospetti di vita? Secondo il principio di differenza essa e giustificabile soltanto se la diHerenza tra Ie aspettative va a vantaggio delI'individuo rappresentativo che sta peggio, in questo caso il Iavoratore non qualificato rappresentativo. La disuguaglianza delle aspettative ammissibile solo se una sua diminuzione non peggiorerebbe la condizione delIa classe operaia. Probabilmente, data la clausola del secondo principio che riguarda l'accessibilita delle posizioni e il principio delIa liberta in generale, le maggiori aspettative concesse agli imprenditori li spingerebbero ad azioni in grado di migliorare le prospettive a lungo termine delIa classe lavoratrice. Le loro migliori prospettive agiscono come incentivi per una maggior eHicienza del sistema economico, per un pili rapido sviluppo delle innovazioni e COS1via. » 31 Rawls non dice che queste ultime aHermazioni siano vere. Dice soltanto che tali debbono essere affinche Ie disuguaglianze economiche e sociali connesse con Ia sua «democrazia a proprieta privata» possano venir giustificate dal principio di differenza. Ora, a parte il fatto che molto lascia credere che Rawls in eHetti sia propenso a ritenere valido l'argomento delineato in questo passo (altrimenti perche mai tutto il suo interesse sarebbe rivolto a descrivere il modello di « demccrazia a proprieta privata»?), cia su cui qui importa richiamare l'attenzione e un certo assunto su cui questa

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argomento si regge. Appare infatti dal passo teste citato che, come nel caso del principia della liberal Rawls assume che la capacita di fruire di essa vari in proporzione diretta ai mezzi economici di cui uno dispone, COS1 nel caso del principio di equa opportunita egli assume parimenti che, date certe istituzioni fondamentali ritenute necessarie alla realizzazione dell'esigenza di apertura delle posizioni, le effettive opportunita di accedere alle posizioni pili ambite della societa varina in proporzione diretta al benessere economico di cui uno gode. In effetti tutti e due questi assunti sono necessari al fine di rendere compatibile l'applicazione del principia di differenza (da cui dipende per Rawls la possibilita di giustificare la scelta del modello capitalista piuttosto che di quello socialista) can le esigenzeposte dai due principi di liberta e di equa uguaglianza di opportunita, vista l'ordine lessicale che sussiste tra questi due ultimi principi e il primo. Ma come nel precedente paragrafo ho argomentato che il primo di questi due assunti e invalido; COS1 intendo ora far valere, can argomenti simili, che tale e anche il secondo. Come Rawls stesso espressamente riconosce, anche nell'ambito del mod ella di societa democratica e capitalista da lui delineato, i figli della c1asse imprenditoriale sono sistematicamente avvantaggiati rispetto a quelli del ceto operaio non qualificato per quanta riguard a le possibilita di sviluppo delle proprie dati naturali. I maggiori mezzi economici di cui la c1asse imprenditoriale dispone da ad essa, infatti, notevole possibilita di curare in modo maggiore l'educazione dei propri figli, pagando costosi insegnanti privati, dando ad essi la possibilita di fare costosi viaggi all'estero, di fre80

quentare ivi costose scuole private, ecc. Tutto cia aumenta ovviamente Ie possibilita di castoro di accedere aIle posizioni pili ambite della societa rispetto aIle possibilita di cui godono i figli del ceto operaio pili povera. Ne si puo esc1udere che Ia c1asse imprenditoriale cerchi ulteriormente di aumentare le effettive possibilita di accesso per i propri membri a siffatte posizioni, usando parte delle ricchezze di cui dispone per indottrinare in vari modi (attraverso i mass-media, la scuola, ece.) i Iigli dei ceti pili poveri, ostacolando cosi, invece di favorire, Ie loro possibilita di sviluppo. Case, queste, che parrebbero assai pili difficilmente verificabili nell' ambito del modello socialista alternativo in cui non esistono, per ipotesi, Ie disuguaglianze economiche che caratterizzano il modello capitalista e tanto i massmedia quanta le scuole sono sotto il controllo democratico della comunita, e l'intero sistema educativo volta a favorire in modo sistematico una massima ed uguale possibilita di sviluppo per ciascuno. Occorre a questa punto notare, a scanso di equivoci, che anche se l'assetto socialista caratterizzato, come parrebbe pensare Rawls, da un'economia rneno efficiente dell'alternativo assetto capitalista, esso tuttavia si trova in uno stato di economia notevolmente sviluppata, quale e richiesta affinche si possa costituire una effettiva alternativa all'assetto capitalista. Cia significa, che nell'ambito del modello socialista vi saranno risorse sufficienti S1 da permettere di sviluppare notevolmente il settore dell'educazione collettiva. Ora, potra ben darsi che nell'ambito di siffatto assetto nessuno abbia Ie stesse possibilita di sviluppo di cui, nell'assetto capitalista alternativo, godono i figli delIa c1asse imprendito-

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riale; parrebbe pero che in esso ciascuno goda di maggiori possibilita di sviluppo di quelle che nell'assetto capitalista hanno i figli del ceto operaio non qualificato. Supponendo per il momento che ambedue i modelli posti a confronto otternperino all'esigenza di apertura delle posizioni, cia vuol dire che il modello socialista massimizza Ie possibilita di accesso aIle posizioni piu ambite per i1 gruppo meno avvantaggiato. Esso risulta pertanto preferibile al modello capitalista, anche se nell' ambito di quest'ultimo il ceto operaio non specializzatogode di una situazione economic a migliore di quella di cui non goda nell' ambito del modello socialista. Cia segue in forza dell'ordine lessicale, che sussiste tra il principio di uguale opportunita e quello di differenza. II modeIlo capitalista parrebbe pero anche incompatibile con l'esigenza di apertura delle posizioni. I figli della classe imprenditoriale parrebbero infatti essere sisternaticarnente avvantaggiati, rispetto a quelli del ceto operaio non qualificato, per quanta riguarda le possibilita di scelta delle attivita economiche: che, nonostante Ie leggi antimonopolio e il sistema di imposte che caratterizza 1a «democrazia a proprieta privata », la classe che detiene la proprieta dei mezzi di produzione potra pur sempre ammassare notevoli ricchezze e mettere COS! a disposizione dei propri figli quel capitale, che pur sempre necessario, in qualsiasi assetto capitalista, per darsi con prospettive di successo all'attivita imprenditoriale. Ne segue, che un figlio del ceto operaio non qualificato che sia ugualmente dotato e motivato quanta il figlio del ceto imprenditoriale, ha tuttavia assai minori opportunita di quest'ultimo di

accedere alIa attivita imprenditoriale, in quanta del tutto sfornito del capitale necessario per darsi a tale attivita. E cia viola appunto l'esigenza di apertura delle posizioni, secondo cui persone ugualmente dotate e motivate deb bono avere uguali opportunita di accedere a queUe posizioni, l'accesso alle quali sia ragionevole pensare debba essere condizionato dal posses so delle doti in questione. Per contro, nell'ambito del modello socialista alternativo, in cui i mezzi di produzione sono socializzati e quindi le attivita connesse ad essi non sono espletate da una classe di imprenditori privati forniti di capitale e tendenti al proprio profitto, bensi da cittadini eletti 0 nominati democraticamente dalla comunita, ciascuno ugualmente dotato e motivato parrebbe effettivamente avere una uguale opportunita di dedicarsi a siffatte attivita. 4. Dall'ideale al reale. La conclusione cui sono giunto nel corso della discussione svolta nei precedenti paragrafi dunque che non vi modello di assetto capitalista compatibile con la concezione speciale della giustizia elaborata da Rawls; ossia che vi sono buone ragioni di ritenere che, una volta che si siano accordate sui principi costitutivi di tale concezione, le parti contraenti, nella situazione contrattuale originaria immaginata da Rawls, opterebbero per una societa in cui i mezzi di produzione siano posti sotto il controllo democratico della comunita. Questa conclusione di per se abbastanza interessante, visto che essa avanzata sulla base di una concezione della giustizia che si ispira alla grande tradi-

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zione del pensiero liberale e ne stata addirlttura considerata la maggiore espressione ai nostri giorni. Come si ricordera, si tratta di una concezione ideaIe, in quanto fondata su due assunti che nella realta effettuale non sono affatto verificati: vale a dire, l'assunto che a ciascuno e garantito un minimo accettabile di benessere materiale, e l'assunto di stretta e totale, o quasi totale, osservanza dei princfpi in cui essa si articola. Infatti se ora, per chiudere, abbassiamo 10 sguardo dalla sfera dell'ideale e guardiamo al mondo in cui viviamo, constatiamo che quel poco di giustizia che c'e (anche se misurato col metro proposto da Rawls) fondato pili sulla forza che non su di un volontario e stretto rispetto di principi accettati da tutti, e che pili di mezzo miliardo di esserl umani vive in condizioni di poverta assoluta (ossia, come il termine e definito dalla Banca mondiale, al di sotto di un reddito annuo di 250 dollari!) Se, sollevando in parte il « velo di ignoranza» che caratterizza la situazione originaria immaginata da Rawls, si concede aIle parti contraenti Ia conoscenza di siffatta realta, vi ogni ragione di credere - come Rawls stesso del resto riconosce - che esse non opterebbero affatto per la concezione speciale delIa giustizia. Sapendo infatti di dover vivere in un mondo nel quale, se non vengono realizzati determinati cambiamenti radicali, il peggio che puo loro succedere di vivere nella miseria Wili abbietta, esse, da esseri razionali quali sono, cercheranno anzitutto di assicurarsi un minima di benessere materiale. A tal fine esse si accorderanno, eventualmente, sulla concezione generate della giustizia, la quale, come ho sopra rilevato, permette la limitazione 84

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o anche il sacrificio (temporaneo) di una 0 pili liberta fondamentali (apprezzate e godute in ogni caso soltanto da coloro che si trovano a vivere al di sopra di un livello minimo di sussistenza), se cio e necessario a prevenire che esseri umani continuino a vivere nella miseria pili nera. Come si vedra pili da vicino nella prossima sezione, vi sono anche buone ragioni di credere che, sapendo che il mondo attuale diviso in stati nazionali, alcuni dei quali sono poveri 0 comunque si trovano in una situazione di sottosviluppo, le parti contraenti concorderanno nell'accettare la concezione generale delIa giustizia in una interpretazione globale. Sulla base di essa si accorderanno quindi su tutta una serie di misure che sembra ragionevole ritenere necessario realizzare per far sf che al mezzo e pili miliardo di esseri umani che attualmente vivono in condizioni di poverta assoluta e alle 10tO generazioni future - possa essere almeno garantito quel minimo di benessere materiale senza il quale la liberta non e altro che liberta di morire di fame. Vi sono ragioni di credere ma richiederebbe troppo spazio entrare qui nel merito di esse che tra le misure che le parti si accorderebbero nell'adottare figurano la costituzione di una federazione mondiale retta da un solido governo centrale, e la realizzazione di un assetto caratterizzato dalla socializzazione (almeno) dei grandi mezzi di produzione nonche dalla pianificazioneglobale dello sfruttamento delle risorse naturali del pianeta. Cosi, tanto la concezione speciale quanta la concezione generale dell a giustizia avanzata da Rawls parrebbeto richiedere la costituzione di un assetto socialista.

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III.

Neocontrattualismo

e giustizia internazionale

II secondo problema di cui intendo occuparmi e quello del rapporto, nell'ambito della teoria rawlsiana, fra giustizia locale 0 a livello nazionale e giustizia globale 0 a livello internazionale. Tale problema puo essere introdotto nel modo seguente. Supponiamo che all'interno di una societa industriale opulenta, 0, coincidente con un certo stato nazionale (per esempio la Svezia) viga uno stato di cose che si avvicina alI'ideale rawlsiano: ciascun membra di essa gode in uguale e massimo grado di tutte le liberta fondamentali, ha uguali opportunita di accesso a qualsiasi posizione e carica e le prospettive economico-sociali del gruppo di cittadini meno avvantaggiati sono massimizzate (nel senso che ogni altro ordinamento alternativo politic amente possibile di quella societa comporterebbe che Ie prospettive economico-sociali di tale gruppo sarebbero peggiori). Supponiamo, ulteriormente, che sia possibiIe far passare la societa 0 ad una situazione di minore opulenza in cui ciascun gruppo, pur continuando a godere di un uguale grado di liberta e opportunita, tuttavia goda di esse in misura minore che non nella situazione precedente (in quanta esse sono ora meno estese), e similmente in cui le prospettive economicosociali del gruppo meno avvantaggiato siano peggiori di quanta non erano prima. Supponiamo, da ultimo, che il passaggio della societa 0 dalIa situazione di maggiore a quelIa di minore opulenza, comporti attraverso il trasferimento di risorse che qui si suppone avvenuto un notevole aumento di effettiva liberta e opportunita per i membri di un'altra societe 86

povera, P, essa pure coincidente con un certo stato nazionale (ad esempio uno dei tanti paesi poveri del Terzo mondo), nonche un significative incremento delle prospettive economico-sociali del suo gruppo meno avvantaggiato (prospettive che pero assumiamo non essere migliori di quelle del gruppo meno avvantaggiato dell a societa 0). Orbene, i problemi che mi interessa trattare si aggirano attorno aIle due seguenti domande: 1) Richiede, secondo Rawls, l'esigenza della giustizia che, nelle condizioni su accennate, la societa 0 trasferisca parte delle sue risorse alla societa Pecos! passi dalIa situazione di maggiore opulenza a quella di minore opulenza? Dal mom en to che la risposta che daro a questa domanda in senso negativo, la second a questione che si ponee la seguente: 2) Richiede la teoria contrattualista delta giustizia proposta da Rawls il trasferimento di parte delle risorse della societa 0 alIa societa P? Delle due questioni formulate, la prima di carattere esegetico, in quanta riguarda cia che sostiene un dato autore, le conclusioni cui egli, in base aIle premesse da cui parte, perviene. La seconda questione e, invece, una questione di carattere teorico, in quanta riguarda la natura di una certa concezione, quali siano Ie sue implicazioni in merito al problema in esame, e da ultimo, se essa sia una concezione accettabile. La tesi che sosterro che, mentre la risposta alla prima domanda come gia accennato, in senso negativo, 1:1 'risposta aHa seconda e invece in senso positivo. Sc ql H' sta tesi e corretta, cio vuol dire che nell'ambiro ,I.-ILt

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teoria contrattualista di Rawls si possono trarre conseguenze assai pin radicali di quelle che non tragga egli stesso. 1. Rawls e it primate delta giustizia a livello nazionale. Sin dall'inizio del suo lavoro, Rawls tende a precisare che non prendera «in considerazione, se non di sfuggita, la giustizia internazionale e i rapporti tra stati », in quanto « Ie condizioni del diritto internazionale possono richiedere principi diversi, ottenuti con procedure differenti », e che, comunque, cio che primariamente gli interessa «e di formulare una concezione ragionevole della giustizia per Ia struttura fondamentale della societa considerata, per il momento, come un sistema chiuso isola to dalle altre societa » 32. E nel paragrafo 22, ove tratta delle circostanze della giustizia, Rawls postula che «in primo Iuogo vi sono le circostanze obiettive che rendono possibile e necessaria la cooperazione umana », annoverando tra di esse la coesistenza di un certo numero di persone «in un territorio geografico definito» 33. Di nuovo, al paragrafo 25, ove vengono elencati riassuntivamente i tratti essenziali della posizione contrattuale originaria, sotto la voce « oggetto della giustizia » (che riguarda I' estensione dei prindpi di giustizia su cui Ie parti contraenti sono chiamate a decidere) Rawls ribadisce che si tratta della « struttura fondamentale dell a societa », in quanto distinta sia dalle « regole per Ie associazioni di diritto» (corporate associations), sia dal « diritto internazionale » (law of nations) 34. COS1 Rawls discute capitolo dopo capitolo quali siano i principi di una societa giusta, senza prendere in considerazione i modi 88

in cui una societa, per essere in tutto e per tutto giusta, deve rapportarsi ad altre societa, L'unica eccezione, in tutto il libro, e costituita dal paragrafo 58 in cui Rawls discute il problema della giustizia tra stati, condottovi pero indirettamente dalla sua discussione della giustificabilita dell'obiezione di coscienza di una societa « quasi giusta ». Scrive infatti: «Nell'esaminare la giustificazione delIa disobbedienza civile, ho assunto che Ie leggi e Ie politiche contestate riguardassero gli affari interni. E naturale chiedersi in che modo la teoria del dovere politico si applica alla politica estera, Per far cia, e necessario estendere la teoria della giustizia al diritto internazionale ... 11 nostro problema e quindi quello di mettere in relazione i principi politici giusti che regolano Ia condotta degli stati con la dottrina contrattualistica, e spiegare da questa punto di vista Ie basi morali del diritto internazionale » 35. La proposta di Rawls e quindi che si assuma «di aver gia derivato i principi di giustizia in quanta si applicano alle societe come unita singole e alla struttura fondamentale. Immaginiamo anche che siano stati adottati i vari principi di dovere e obbligo naturali che si applicano agli individui. In questa modo, le persone nella posizione origin aria hanno accettato i principi di diritto nella forma in cui essi si applicano alla loro societe e a loro stessi come membri di essa. A questa punta si puo estendere l'interpretazione della posizione originaria, e considerate le parti come rappresentanti di nazioni differenti che devono scegliere insieme i principi fondamentali per regolare le pretese conflittuali tra stati » 36. 89

Bisogna qui sottolineare l'importanza che questo paragrafo assume nel contesto della teoria rawlsiana della giustizia. Senza di esso questa teoria sarebbe infatti risultata di ben poca rilevanza in un mondo, come e appunto il nostro, in cui vi sono stati (pili 0 meno) indipendenti, tra i quali intercorrono tanto rapporti cooperativi quanta rapporti conflittuali; ragion per cui, se a meno una societa sia giusta dipendera, ovviamente, non soltanto da come essa e internamente strutturata, bensi anche da quale sia la sua politica nei confronti delle altre societa esistenti. Ora, cio che colpisce e il fatto che Rawls, sempre al paragrafo 58, daUe sue premesse contrattualistiche deduce, per quanta riguarda i rapporti tra stati, prindpi di giustizia in parte diversi da quelli che ha precedentemente dedotto per quanta riguarda la giustizia a livella nazionale. Rawls premette che, per quanto riguarda questa deduzione, non ci sono da aspettarsi sorprese. E infatti le poche case che dice su questo argomento sono tra le considerazioni pili trite di quante egli fa nella sua opera. II principia fondamentale della giustizia tra stati cui le parti contraenti ora immaginate come rappresentanti degli interessi particolari di altrettante nazioni - perverrebbero e, secondo Rawls, un principio di uguaglianza per cui «popoli indipendenti, organizzati in stati, possiedono certi uguali diritti fondamentali» 37. Da questa principia fondamentale, considerato da Rawls stesso come l'analogo di quello che sancisce uguali diritti fra tutti i cittadini in un regime costituzionale, vengono dedotti i tradizionali prindpi di autodeterminazione a non ingerenza, di legittima dife90

sa contra attacchi esterni (ivi compreso il diritto di form are alleanze a scopi difensivi), nonche il principia che pacta sunt servanda. Tali principi presiedono per Rawls alIa distinzione tra guerre giuste e guerre ingiuste (tra Ie seconde annovera le guerre fatte a scopo di ottenere vantaggi economici 0 di conquistare nuovi territori), mentre l'interesse nazionale porta i rappresentanti nella posizione origin aria a imporre dei limiti ai tipi di atti bellici permessi anche in una guerra giusta 38. Si noti che in nessun modo e qui .fatta menzione del principia di differenza (ne di queUo di equa opportunita ). Si e sopra notato, come uno degli assunti fondamentali su cui poggia la concezione speciale dell a giustizia sia quello di una stretta osservanza, da parte di tutti i cittadini, dei principi cui le parti contraenti pervengono neUa posizione originaria, e come Rawls proceda dando questa assunto per scontato. L'unico luogo in cui egli, a livello nazionale, si scosta da esso e quello in cui discute il problema della giustificabilita della disobbedienza civile (cioe, secondo la caratterizzazione dello stesso Rawls, della disobbedienza pubblica e non violenta, da parte di cittadini, di leggi o linee politiche ingiuste riguardanti gli aHari interni del proprio paese). Qui ci troviamo eHettivamente di fronte ad un caso in cui non si ha totale e stretta osservanza e in cui pertanto vi sana delle ingiustizie da rettificare. Va pero sottolineato che questa diversione dalla teoria ideale e minima, giacche egli presuppone pur sempre una societa « ben ordinata » e « quasi giusta », cioe una societa in cui la maggior parte dei cittadini dotata di un senso di giustizia assai svilup-

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pato, ha cioe un forte desiderio di applicare e seguire i prindpi di giustizia propri delIa concezione speciale. In una siffatta societa Ie ingiustizie che si verificano vengono quindi pur sempre combattute in modo nonviolento e il problema di altre forme di lotta, come il ricorso alIa contestazione armata 0 alIa rivoluzione violenta, non si pone nemmeno, ragion per cui una teoria delIa rivoluzione 0 del diritto di resistenza non fa parte delIa concezione speciale delIa giustizia e in nessun luogo della sua opera Rawls ne tenta un abbozzo. II quadro pero muta in modo notevole allorche Rawls sposta il suo interesse (anche se soltanto momentaneamente) dal piano intrastatale a quello interstatale e consider a il problema della giustizia fra statio Qui infatti l'assunto di uno sviluppato senso dell a giustizia viene abbandonato, in quanta egli contempla la possibilita del ricorso alIa guerra ed accenna ad una teoria della guerra giusta. Ma allora si pone il seguente problema: in base a quali ragioni si assume uno sviluppato senso di giustizia a livello nazionale ma 10 si nega a livello internazionale? Ora, l'assunto in questione puo essere fatto in quanto cio che ci interessa maggiormente di addivenire ad una teoria idea Ie 0 quasi ideale dell a giustizia, cioe ad un idea le di societa giusta 0 quasi giusta, indipendentemente da quello che e 10 stato di cose effettivo nel mondo in cui viviamo, nonche dalle possibilita che in esso vi sono di realizzare un tale idea1e. Ho gia rilevato sopra come Rawls non nasconda che appunto a cio e rivolto il suo maggiore interesse. Ma se COS!, allora non si vede perche mai egli dovrebbe abbandonare l'assunto in questione a livello internazionale. Giacche se cio cui si mira e una

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completa teoria ideale 0 quasi ideale dell a giustizia, non vi e ragione di fermarsi a livello nazionale, ma occorre procedere ad indicare quali sarebbero i prindpi su cui i contraenti nella posizione origin aria intesi ora come rapptesentanti di altrettanti stati giusti 0 pressoche giusti - si accorderebbero per quanta riguarda i rapporti fra i rispettivi stati, presupponendo, se non una stretta e totale osservanza, almeno un'alta osservanza da parte di ogni stato dei prindpi riconosciuti. (Ritornero in breve su questo problema alIa fine di questa scritto.) Ma forse e per ragioni di realismo che Rawls abbandon a l'assunto di uno sviluppato senso delIa giustizia a livello interstatale, in quanta cioe un siffatto assunto sarebbe troppo incompatibile con la realta della lotta fra stati, ciascuno mosso dal proprio interesse nazionale egoistico? Ma allora non avrebbe egli dovuto, per Ie stesse ragioni di realismo, abbandonare tale assunto anche a livello intrastatale in quanta del tutto incompatibilecon la realta delIa lotta di classe? Postulate uno sviluppato senso delIa giustizia a livelIo di societa nazionale comporta in£atti negare che all' interno di essa si possano verificare cosiddetti conflitti antagonistici. Ora, puo ben darsi che in certe societa in determinate condizioni conflitti di tal genere non si verifichino. Ma e realistico assumere che questa sia la norma? .E chiaro che per rispondere a questa domanda in modo soddisfacente occorre affrontare e discutere a fondo tutta una vasta serie di problemi di natura sia teorica sia empirica. Ma in nessun luogo dell a sua opera Rawls affronta seriamente tali problemi. Che egli abbia davvero una visione tanto idilliaca 93

delia societa nazionale da non fargli nemmeno contemplare la possibilita che si verifichino all'interno di essa conflitti antagonistici? La conclusione che segue dalle considerazioni sin qui fatte e che la concezione rawlsiana, in quanta comprendente sia una teoria della giustizia nazionale sia una teoria della giustizia internazionale, e viziata da un dualismo difficilmente giustificabile. Accanto a questa dualismo, e non necessariamente fonda to su di esso, parrebbe esservi nella concezione rawlsiana un ulteriore dualismo, di natura normativa: Rawls parrebbe infatti voler sostenere che le esigenze della giustizia a Iivello nazionale sono diverse dalIe esigenze della giustizia a livello internazionale, nel senso che, mentre a livello di societa nazionale varrebbe la concezione speciale della giustizia articolantesi nei suoi due princlpi di liberta e di differenza ordinati in modo lessicale (0 in certe situazioni la concezione generale), a livello internazionale varrebbe invece soltanto il principio di [iberta, nella forma di un principio che sancisce un uguale diritto di ogni popolo indipendente a forgiare il proprio destino senza ingerenze da parte di altri statio Supponiamo cioe che ad un certo momento il sistema internazionale pre senti le due seguenti caratteristiche: 1) i singoli stati che 10 compongono sono al [oro interno ordinati in base a principi di giustizia (speciale 0 generale che sia ); 2) i singoli stati nei loro rapporti reciproci rispettano il principio di autodeterminazione, astenendosi da ogni politica bellica volta ad aumentare i propri vantaggi economici 0 il proprio territorio. Un tale sistema parrebbe essere, secondo Rawls, un sistema in tutto e per . 94

tutto giusto 39, anche se, date' Ie grandi diversita di risorse naturali, certi paesi siano talmente poveri che le aspettative economico-sociali del gruppo pili povero all'interno di essi sono di gran lunga inferiori a quelle del gruppo meno favorito all'interno dei paesi ricchi, e potrebbero essere notevolmente migliorate facendo passare parte delle ricchezze dai secondi ai primi. Pare insomma che Rawls si faccia assertore di una specie di dualismo normativo, per cui i rapporti all'interno delIa societa nazionale vengono misurati con un nietro morale diverso da quello con cui vengono misurati i rapporti a livello internazionale. In base a tale interpretazione, i membri di una societa nazionale avrebbero doveri 1'un verso l'altro quelli implicati dal principio di differenza - che non hanno (0 che comunque sono meno stringenti) nei confronti di membri di altre societa nazionali (appunto perche il principio di differenza applicabile soltanto a livello nazionale). Questa interpretazione - che parrebbe quella pili consona con quanto Rawls scrive al par. 58 - conduce alla conclusione che la risposta ana prima delle due domande formulate all'inizio di questa articolo e in senso negativo. Mostrero ora come la risposta alla seconda di quelle domande sia invece in senso positivo.

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2. Il primato delta giustizia internazionale. Si assurna qui, per amore dell'argomento, l'interpretazione dell a dottrina contrattualista per cui i principi di giustizia internazionale accettabili sarebbero quelli scelti nella posizione originaria opportunamente modificata . 95

nazionale, e non puo quindi escludere che, anche assumendo soddisfatti i due principi della concezione speciale a livello nazionale, Ie aspettative economico-sociali del gruppo rneno avvantaggiato dell a societa meno fortunata siano peggiori di quelle del gruppo meno avvantaggiato nella societa pili £ortunata. Si noti ulteriormente che, in base agli assunti 3) e 4), ciascuno dovra con tempI are la possibilita, che il peggio che gli puo toccare appunto di appartenere al gruppo meno avvantaggiato della societa rneno £ortunata, cioe, in pratica, di vivere ad un livello di vita non molto superiore al minimo accettabile. In tale situazione di estrema incertezza il criterio di sceIta che razionale adottare e, secondo Rawls, il criterio del maximum e quindi, oltre che voler garantirsi al massimo da ogni ingerenza altrui nella stem delle proprie liberta Iondamentali, ciascuna parte vorra anche garantire un assetto internazionale tale da massimizzare le aspettative economico-sociali del gruppo meno avvantaggiato delIa societa meno £ortunata. Non si vede infatti come per Rawls un individuo razionale, che persegue al massimo il proprio tornaconto, contemplando la possibiIita di appartenere al gruppo meno avvantaggiato della societa in cui vive, si accontenterebbe di quell a posizione in quanto non ulteriormente migliorabile mediante alcun riassestamento delIa propria societe, se essa e migliorabile mediante un riassestamento del sistema internazionale. Insomma e difficile vedere come in base ai quattro assunti sopra fatti Ie parti contraenti possano giungere ad altra conclusione che a quell a di privilegiare una applicazione glob ale dell a concezione speciale della giustizia per cui i due prindpi di liberta

E si assumano, pure per amore delI'argomento,

Ie modi£icazioni introdotte da Rawls. Gli assunti sono cioe i seguenti: 1) Ie parti contraenti sanno di appartenere a societa nazionali diverse; 2) le parti sanno che ciascuna nazione si trova « nelle normali circostanze della vita umana»; 3) ciascuna delle parti ignora « Ie particolari circostanze dell a propria societa, la sua potenza e £orza paragonata a quella delle altre nazioni»; 4) ciascuna delle parti nulla sa circa la posizione che occupa all'interno della propria societa 40. Tra questi assunti, il secondo e di particolare imp ortanza e ritornero su di esso tra breve. E possibile che sia proprio in base ad esso che Rawls pervenga all'idea che il principio £ondamentale della giustizia internazionale un principio di [iberta che sancisce un uguale diritto di autodeterminazione per ogni popolo. Giacche, sapendo che la propria societa si trova in condizioni di vita «normali », si potrebbe pensare che ciascun contraente si accontenti di assicurarsi questo livello di vita ed assieme ad esso le liberta £ondamentali. A tal fine per l'appunto necessario garantirsi dalla ingerenza di altre nazioni, il che infatti avviene accordandosi sul principio di uguale liberta a livello internazionale. Questo ragionamento tuttavia non tiene. Si noti in£atti, per cominciare, che ciascuna parte, pur potendo contare, in forza dell'assunto 2) (interpretato in un certo modo) di vivere in una societa che assicura a tutti un tenore minimo di vita accettabile, non puo tuttavia escludere, in £orza dell'assunto 3) che vi siano grosse sperequazioni econorniche e sociali Era le varie societa che compongono il sistema inter-

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~ di differenza entrano in vigore a livello nazionale soltanto dopo che essi sono stati soddisfatti a livello globale. Supponiamo ora che Ie parti assumano ulteriorrnente I'esistenza di uno sviluppato senso della giustizia anche a livello interstatale, per cui esse possono contare su di una stretta 0 comunque alta osservanza degli accordi cui pervengono. Quali istituzioni basilari creerebbero in virtu della concezione glob ale cui sono pervenute? Posso qui fare soltanto un paio di cenni di natura del tutto speculativa. Anzitutto, contando su di un'alta osservanza degli accordi raggiunti, Ie parti non contempleranno il ricorso alla violenza e quindi non spenderanno tempo a discutere i principi di una guerra giusta (analogamente a quanta avviene, come si e visto sopra, riguardo alI'impiego deHa violenza a livello nazionale ). Esse piuttosto contempleranno, come minimo, un ordinamento internazionale che permetta la libera emigrazione dai paesi menu favoriti a quelli pili favoriti e garantisca il trattamento degli immigrati alIa stessa stregua degli altri cittadini. Esse potranno anche contemplare l'istituzione di un sistema di tassazione internazionale progressiva (per cui ogni statu paga una quota proporzionale al proprio prodotto nazionale lordo) alIo scopo di trasferire risorse dai paesi pili ricchi a quelli pili poveri (altro che 10 0,7 % del prodotto nazionale lordo proposto dalI'Onu!). 0 forse, i contraenti alIa fine perverrebbero all'accordo di costituire un'unica federazione a livelIo mondiale, retta a governo democratico, in cui i maggiori mezzi di produzione siano socializzati e ogni comunita nazionale goda di un alto e uguale grado di autonomia? 98

Non e affatto escluso. Solo che per poter stabilire cio bisognerebbe fare un lungo discorso. Fin qui ho ragionato dando per scontato sia I'assunto di uno sviluppato senso di giustizia a livello internazionale sia l'assunto che ciascuna nazione si trova « nelle normali circostanze delIa vita umana ». Ambedue sono assunti assai controversi. Vediamo quindi da ultimo quali conseguenze seguono se abbandoniamo il primo assunto e precisiamo il secondo. Esso e infatti passibile di due interpretazioni assai diverse. Nella prima interpretazione, assumere che ciascuna nazione si trovi « nelle normali circostanze delIa vita umana» equivale ad assumere che il sistema mondiale si trova in uno stato di moderata scarsita, per cui le risorse globali, indipendentemente dal modo in cui in effetti sono distribuite, di per se bastano (basterebbero) ad assicurare ad ogni popolo un minimo tenore di vita accettabile. Interpretato in questa senso, l'assunto in esame non sembra oggi irrealistico, anche se il forte tasso di incremento della popolazione mondiale e il costante diminuire di certe risorse puo gettare ombre assai sinistre sul mondo di domani. In una seconda interpretazione, l'assunto in questione equivale invece all'assunto che le risorse globali sono distribuite in modo tale che in nessuna nazione il gruppo pili povero si trova al di sotto di un minimo tenore di vita accettabile. In questa interpretazione, l'assunto e oggi patentemente falso e non vi sono purtroppo ragioni di credere che la situazione mondiale nel prossimo futuro cambi in modo tale da rendere tale assunto vero. Orbene, chiamare Ie parti contraenti a deliberare su principi di giustizia, in base all'assunto di circostanze nor99

mali in questa seconda interpretazione, significherebbe condizionarle ad accordarsi su principi e istituzioni destinati a rimanere lettera mort a nel mondo in cui esse poi devono vivere. D'altra parte, concedere loro soltanto la conoscenza di quanto stabilito dall'assunto in questione nella prima interpretazione non basta, giacche le parti contraenti non si accontenteranno di sapere che Ie risorse globali sono di per se sufficienti a garantire ad ogni nazione un tenore minimo di vita accettabile, ma vorranno anche sap ere almena come esse sono distribuite geograficamente. E una volta ottenuta questa informazione (che non si vede perche dovrebbe essere loro negata) esse, da esseri razionali e realisti che sono (si ricordi che ora esse non assumono un senso della giustizia £ra stati ), non potranno che giungere alla conclusione che il peggio che puo loro succedere di appartenere al gruppo pili povero di una societa estremamente povera, cioe in realta di vivere nella miseria pili nera. Ma in vista di tale prospettiva (che e poi quella che offre i1 mondo in cui viviamo ) non opteranno Ie parti per la concezione generale della giustizia, piuttosto che per quella speciale? Non abbandoneranno cioe l'idea di una precedenza del principio di liberta su quello di differenza e non si accorderanno COS1 che a livello globale, che e quello chee di primaria importanza, vale i1 principio per cui anche la sovranita di uno state e la liberta di cui godono i suoi cittadini possono essere limitate, ove cia sia necessario ad aIleviare la miseria di un gruppo che si trova al di sotto di un minimo tenore di vita accettabile? Se, come pare, le parti contraenti nella situazione accennata giungeranno a questa conclusione, assai di-

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versa da quella cui esse giungono secondo i1 parere di Rawls, c'e ulteriormente da chiedersi se esse di conseguenza non perverranno anche ad una concezione della guerra giusta assai divers a da quella cui accenna Rawls. Mi pare che si possa avanzare Ia seguente ipotesi come abbastanza ragionevole: cioe che, contempiando Ia possibilita che Ia sorte li faccia vivere in un paese estremamente povero, in cui Ia maggioranza della popolazione vive nella miseria pili nera, Ie parti si accorderanno su di una concezione assai pili lata di guerra giusta per cui il ricorso alla violenza militare da parte di uno state 0 di una lega di stati contra un altro e giustificato, non soltanto ove esso necessario a respingere una aggressione violenta £atta a scopi di rapina di risorse, ma anche ove questo il solo mezzo efficace con cui uno stato povero 0 una lega di stati poveri puo costringere uno state ricco a cedere quella parte delle sue risorse che e necessaria per permettere al gruppo meno avvantaggiato all'interno di essi di pervenire almeno ad un minimo tenore di vita accettabile. D'altra parte tutt'altro che escluso che i contraenti, 1) sapendo che Ie possibilita che un paese estremamente povero ha di imporsi con la forza ad uno ricco sono minime, e 2) ponendosi nella posizione del vinto (e, dopo una guerra modern a, anche del vincitore) non si accordino al fine di band ire totalmente ii ricorso alla violenza militare e di Iasciare aperta soltanto la strada del negoziato, della soIuzione di conflitti di interessi tra stati da parte di organi internazionali forniti di sufficienti poteri, delle varie forme di lotta non militare e non violenta. Che e, per I'appunto, la strada dettata dalla ragione nella realta e£fettiva in cui viviamo.

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Nota bibliografica: La letteratura sorta attorno al trattato di Rawls ormai estremamente vasta. Tra i lavori maggiormente rilevanti in relazione ai temi centrali trattati nel presente scritto vanno menzionati: N. Daniels, Equal Liberty and Unequal Worth of Liberty, in Reading Rawls, a cura di U. Daniels, Oxford 1975, pp. 253-81; R. W. Miller, Rawls and Marxism, in Reading Rawls cit., pp. 20630; C. R. Bietz, Justice in International Relations, in Philosophy & Public Affairs, 4, 1975, pp. 360-89. Per una presentazione eritica dell'intera dottrina rawlsiana si veda B. Barry, The Liberal Theory of Justice, Oxford 1973, e la serie di saggi di vari autori stampata in Le ragioni delta giustizia, n. 65-66, 1977 della rivista Biblioteca delta liberta interamente dedieata alia presentazione e diseussione del pensiero di Rawls. Si veda 'anehe G. Giadrossi, Giustificazione e realta nella teoria delta giustizia di Rawls, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, LVI, 1979, pp. 348-78.

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Uno, dal titolo Neocontrattualismo e socialismo, in Rivista di jilosofia, n. 19, febbraio 1981, pp. 138-158; l'altro, da! titolo Giustizia locale e giustizia globale, in Biblioteca delta liberta, n. 65-66, aprile-settembre 1977, pp. 254-67. 2 Oxford University Press, 1972, tr. it., Una teoria delta giustizia, Milano, 1982. 3 J. Rawls, op, cit., pp. 34-35 e pili in generale i §§ 3, 4, 43 e 87. 4 Ivi, p. 255. 5 Ivi, p. 137 e p. 142. 6 Ivi, pp. 61 sgg. 7 Ivi, pp. 234 sgg. 8 Ivi, p. 238. 9 lvi, pp. 231-232. 10 lvi, p. 231. 11 Ivi, p. 221. 12 lvi, p. 233. 13 Ivi, p. 66 14 Cfr. per esempio quanto Rawls dice sulla liberta di coseienza, ivi, pp. 179 e sgg. 15 Ivi, p. 66. 16 Ivi, p. 173. 17 lvi, pp. 176-177. 18 Ivi, p. 177. 19 lvi, p. 178. 20 lvi, pp. 178-179. 1

Ivi, p. 174. Ivi, p. 255. Ivi, p. 75. Ivi, p. 76. lvi, pp. 77 sgg. Ivi, pp. 47-48. Ivi, p. 234. Ivi, p. 236... Ibidem. Ivi, p. 234. Ivi, p. 79. lvi, p. 25. , lvi, p. 118. Ivi, p. 132. Ivi, p. 313. Ibidem, il corsivo Ivi, p. 314. Ibidem. lvi, pp. 314-315. lvi, p. 313.

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Giuliano Pontara e Norberto Vi sono diritti

Bobbio

fondamentali?

Nel saggio che porta come titolo SuI fondamento dei diritti dell'uomo, pubblicato insieme con altri saggi di analogo argomento nel volume Il problema delta guerra e le vie della pace (Bologna 1979), Bobbio denuncia ripetutamente «l'illusione », propria dei giusnaturalisti e pili in generale dei fautori del razionalismo etico, che vi sia un fondamento assoluto dei diritti dell'uomo, ossia «T'illusione » che vi sia un argomento « irresistibile », cui nessuna persona razionale potra rifiutare di dare la propria adesione in favore della tesi che fa valere certi diritti come fondamentali. Bobbio non chiarisce, nell' ambito del saggio accennato, quale sia la natura di un siffatto argomento « irresistibile » che sarebbe vano cercare, e nulla dice delia forza probante che un siffatto argo men to dovrebbe avere per poter essere considerate «irresistibile ». Tuttavia,all'inizio del saggio seguente, che porta il titolo Presente e avvenire dei diritti dell'uomo, egli fa alcuni accenni in merito. I vi infatti distingue fra « tre metodi di fondare i valori », e doe «il dedurli da un dato obiettivo costante, per esempio la natura umana; il considerarli come verita per se stesse evidenti; e in 105

fine 10 scoprire che in un dato periodo storieo essi sono generalmente acconsentiti »(p. 132). Ma come va intesa in modo pili preciso siffatta affermazione? E che cosa vuol dire « fondare i valori »? Per quanta mi e dato di capire quest'ultima espressione signifiea poter dare delle buone ragioni per accettare piuttosto che rifiutare certi giudizi di valore. I «tre modi di fondare i valori » accennati da Bobbio si identificano COS1 con tre diverse ragioni adducibili in favore delIa accettabilita di certi giudizi di valore. La prima ragione e quella per cui certi giudizi di valore sarebbero logicamente deducibili da certi giudizi descrittivi della natura umana, 0 meglio di certe caratteristiehe costanti della natura umana. Se siffatta deduzione fosse possibile avremmo qui l'argomento «irresistibile » per eccellenza, dato che chi affermasse i giudizi sulla natura umana ma negasse quelli di valore da essi deducibili si invo1gerebbe in una contraddizione. Ma siffatta deduzione non e possibile. E non 10 e, oltre che per 1a ragione accennata da Bobbio (p. 132), e cioe che non esiste qualcosa come una natura umana costante e immodificabile, anche perche siffatta deduzione contravviene al principio, largamente accettato, anche se non indiscusso, per cui non e possibile alcuna deduzione logiea di un giudizio di val ore da un giudizio di fatto. Il secondo modo di fondare i valori accennato da Bobbio si identifiea con la seconda ragione che si puo addurre in favore della accettabilita di un certo giudizio di valore, ossia con l'affermazione che esso resistc ad ogni nostro dubbio, ossia ci appare del tutto cviclcnre. E 1a strada comunemente battuta dai cosid-

detti intuizionisti, tra cui spicca in modo particolare Moore. Ma neanche per questa strada si giunge per Bobbio all'argomento « irresistibile », dato che 10 stesso giudizio di valore che appare indubitabile ad una certa persona 0 gruppo di persone appare tutt'altro che indubitabile ad altri. Rimane COS1 il terzo modo di fondare i valori ossia la terza ragione che si puo addurre in favore delIa accettabilita di certi giudizi di valore, la quale cons iste nel mostrare che siffatti giudizi di valore sono generalmente accettati in un certo periodo storieo. E quell a che Bobbio chiama la prova del consenso per cui un giudizio di val ore sarebbe tanto pili accettabile (in una certa epoca) quanta maggiore il numero di persone che effettivamente (in quella epoca) 10 accettano. Bobbio pare ritenere siffatto argomento in favore della accettabilita di certi giudizi di valore l'unieo che sia valido; ma proprio in forza delIa relativita ad esso connessa esso non e, appunto, « irresistibile ». A me sembra tuttavia che i tre modi di «fondare i valori » accennati da Bobbio e teste passati in rassegna non esauriscano tutte le possibilita. Ritengo vi sia una quarta possibilita che parrebbe appunto fornirci quell' argomento «irresistibile» di cui Bobbio sembra considerate illusoria ogni ricerca. Grosso modo si puo ragionare nella seguente maniera. Indipendentemente da quali siano i nostri desideri, Ie nostre preferenze, le nostre aspirazioni, i nostri scopi e i nostri valori particolari, vi sono alcune prejerenze fondamentali, nel senso che ciascuno deve ragionevolmente averle in quanto il loro soddisfacimento e condizione necessaria per poter perseguire il sod-

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disfacimento di qualsiasi altra preferenza 0 la realizzazione di qualsiasi aspirazione, scopo e valore che ci accade di avere. Queste preferenze fondamentali parrebbero essere tre e cioe: 1. la preferenza di essere in vita piuttosto che non essere in vita (tranne che in situazioni in cui la morte e chiaramente inevitabile, nelle quali preferire di non morire non razionale); 2. la preferenza di non essere sottoposto, piuttosto che essere sottoposto, a gravi sofferenze gratuite, ossia di trovarsi piuttosto che non trovarsi in uno stato di soddisfacimento di quelli che sono generalmente riconosciuti come i nostri bisogni basilari (ivi com pre so il bisogno di una certa liberta di movimento ); 3. la preferenza di poter formare le proprie particolari preferenze in modo autonomo e di perseguire il loro soddisfacimento senza essere sottoposti a minacce di frustrazione di queste tre preferenze fondamentali, vale a dire senza minacce alla propria vita, alla propria salute e alla propria autonomia. Queste tre preferenze fondamentali corrispondono bene ai tre tradizionali diritti fondamentali alla vita, alla salute e alIa propria autonomia. L'argomento «irresistibile » in favore di tali diritti fondamentali, ossia l'argomento cui nessuna persona razionale, in quanto razionale, potra rifiutare di dare il proprio assenso e il seguente: che non si vede come ogni persona razionale possa non avere queste tre preferenze e quindi, avendole, possa negare che esse siano fondamentali, ed essendo razionale voglia garantire il loro soddisfacimento soltanto a se stesso e non anche a ciascun altro in uguale misura. II che comporta appunto dover ri-

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conoscere ad esse 10 status di diritti fondamentali dell'uomo. L'argomento « irresistibile » in favore del giudizio che pone il diritto alIa vita, alIa salute e alIa propria autonomia come diritti fondamentali, consiste dunque in cio: che negare questa giudizio e contrario a ragione, ossia e irrazionale. (Noto per inciso che il diritto alla vita, alIa salute e alIa propria autonomia non esc1udono che in certe situazioni una persona possa liberamente rinunciare a ciascuno di questi beni ad esempio rinunciare alla propria vita 0 alla propria salute per salvare la vita di un altro. Ma affinche questa particolare preferenza sia libera e razionale occorre appunto che i tre diritti accennati vengano prima riconosciuti come tali.) Si tratta ora di vedere se l'argomento « irresistibile » sopra delineato sia immune dalIe quattro obiezioni che Bobbio nel su citato saggio muove contro l'illusione che esista «il fondamento assoluto » dei diritti dell'uomo. a) La prima obiezione mossa da Bobbio e quella delIa indeterminabilita (pp. 121-23): non e possibile fornire alcun fondamento assoluto dei diritti dell'uomo per la semplice ragione che non e possibile dare una nozione precisa di essi, ossia determinare in modo univoco quali essi siano. Ma in base alI'argomento sopra delineato essi risultano univocamente determinabili come diritto alla vita, alla salute e alIa propria autononua. b) La second a obiezione sollevata da Bobbio contro l'illusione del fondamento assoluto dei diritti umani e quell a relativistica (pp. 123-24): non e possibile dare un fondamento assoluto ai diritti dell'uomo per la sem109

III!

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plice ragione che essi sono storicamente relativi, come sta a dimostrare il fat to che l'elenco di essi varia da epoca a epoca, sie continuamente modificato e va continuamente modificandosi. Per Bobbio, la constatazione di un siffatto relativismo storico «prova che non vi sono diritti per loro natura fondamentali » (p. 123). Questo argomento mi pare si possa ritorcere in tre modi. In primo luogo, si puo iniziare notando che il giudizio che vi sono certi diritti fondamentali ovviamente, un giudizio di valore, mentre il giudizio che non vi un accordo generale su quali siano questi diritti un giudizio di fatto. In forza del principio sopra ricordato, da quest'ultimo giudizio non segue logicamente alcun giudizio di valore e quindi nemmeno quello che non vi sono diritti fondamentali, il quale, in quanta negazione di un giudizio di valore, e esso stesso presurnibilmente un giudizio di valore. Se dunque per « prova » si intende argomento logicamente cogente, l'affermazione che non vi e accordo generale nemmeno nel consider are i tre diritti alla vita, alla salute e alla propria autonomia come fondamentali diritti dell'uomo (ammesso poi che sia vera), non «prova » affatto che siffatti diritti non siano fondamentali (come il fat to che vi sia un accordo generale su di essi non «prova» che essi effettivamente siano fondamentali). Ma presurnibile che Bobbio usi il termine «prova» in senso piii deb ole di quello teste accennato. Ma allora, e in secondo luogo, mi pare si possa far valere che l'argomento che ho sopra delineato in favore dei tre diritti fondamentali «prova» che siffatti diritti sono fondamentali con maggior forza di quell a con cui l' argomento relativistico addotto da

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Bobbio contro l'esistenza di diritti fondamentali «prova» che non vi sono siffatti diritti. In terzo luogo, si puo controbattere che il variare dei diritti e dei valori che di epoca in epoca vengono considerati fondamentali puo essere visto in altro modo che non come espressione di un relativismo storico. Puo infatti essere interpretato come l'espressione di un difficile e complesso processo di « evoluzione etica » che procede, attraverso « scoperte morali », verso « verita morali » sernpre piu ben fondate. c) La terza obiezione mossa da Bobbio contro I'illusione di un fondamento assoluto dei diritti dell'uomo e quella dell a eterogeneita (pp. 124-26): i diritti generalmente riconosciuti come fondamentali sono talmente eterogenei, coinvolgono cioe pretese tra di loro talmente diverse, che non possibile trovare un Iondamento assoluto comune a tutti, ossia un argomento « irresistibile » che valga ugualmente per tutti. Ma I'argomento che ho sopra delineato si pone appunto come argomento « irresistibile » per tutti e tre i diritti fondamentali alla vita, alla salute e alla propria autonomia. d) La quart a e ultima obiezione sollevata da Bobbio contro l'illusione del fondamento assoluto quella delle antinomie (pp. 126-27): non appena i diritti postulati come fondamentali sono piii di uno, si possono verificare conflitti tra di essi, S1 che l'attuazione dell'uno risulta incompatibile con quell a dell 'altro , ragion per cui non vi puo essere un fondamento assoluto per tutti, un fondamento cioe che Ii rend a tutti « inconfutabili e irresistibili ». A dire il vero Bobbio avanza questa obiezione in relazione ai conflitti che si possono verificare tra quei diritti che egli chiama liberta

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(in quanta implicano obblighi negativi da parte di altri di non fare certe azioni) e quei diritti che egli chiama poteri (in quanta implicano degli obblighi positivi da parte di altri di fare certe azioni). Ma si puo pensare che oltre che tra siffatti diritti, conflitti si possano verificare anche fra i tre diritti sopra fatti valere come fondamentali, se pure interpretati soltanto come delle liberta (ad esempio la situazione in cui la sola scelta e quella tra uccidere una 0 pili persone). Per rispondere in modo soddisfacente aHa obiezione in esame bisogna mostrare che fra i tre diritti sopra fatti valere come fondamentali non si puo verificare, strettamente, alcun conflitto; oppure che, pur potendosi verificare dei conflitti, vi un principio plausibile in base al quale ogni conflitto tra di essi puo, almeno teoricamente, essere risolto. II primo modo di risolvere il problema consiste nel far notare che i diritti accennati, pur essendo fondamentali, non sono inalienabili, ossia possono essere perduti, ragion per cui nelle situazioni in cui parrebbe verificarsi un conflitto tra di essi in realta non si da alcun conflitto in quanto, a ben guardare, vi e sempre una parte - l'aggressore - che in forza della sua aggressione ha perdu to siffatti diritti. Per questa via si giunge al principio per cui deve essere riconosciuto a ciascuno un uguale diritto alIa vita, alIa salute e alIa propria autonomia - a rneno che nel perseguimento dei propri scopi, 0 del soddisfacimento delle proprie preferenze, qualcuno non violi, 0 minacci la violazione di siffatti diritti fondarnentali, ossia attend (intenzionalmente 0 no) alla vita, alIa salute 0 alla autonornia di terzi. II secondo modo di risolvere il problema accennato

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consiste nel far valere che i tre diritti in esame, ancorche fondamentali, non sono assoluti bensi relativi, ragion per cui, in situazioni in cui l'attuazione delI'uno si dimostra incompatibile con quella degli altri.: questa 0 quello puo essere legittimamente sacrificato in conformita al principio che prescrive la massima attuazione possibile di siffatti diritti. Personalmente sono incline a credere che questa sia la strada da battere in quanto il principio accennato ci permette di risolvere, almeno teoricamente, ogni tipo di antinomie fra quelle menzionate da Bobbio. La mia conclusione e pertanto che un argomento « irresistibile» in favore di certi diritti fondamentali dell'uomo potrebbe in effetti esserci e che dunque la ricerca di esso non e illusoria. [G. P.]

Sono grato a Giuliano Pontara delle sue obiezioni perche mi permettono di chiarire meglio il mio punto di vista. In due saggi scritti a qualche anno di distanza, SuI fondamento dei diritti dell'uomo (1965) e Presente e avvenire dei diritti dell'uomo (1968), avevo sostenuto principalmente due tesi: a) non e possibile troyare un fondamento assoluto, 0 irresistibile, all'affermazione di questo 0 quel diritto dell'uomo, e comunque l'importante non e gia fondarli ma proteggerli; b) una prova sufficiente dell a Ioro importanza nella societa di oggi riposa sul fatto che non pili soltanto questa 0 quello stato, com'era accaduto nel passato, ma tutti gli stati esistenti abbiano dichiarato di comune accordo, a cominciare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell 'uomo (1948) e via via in altre nume113

rose dichiarazioni che si sono susseguite e continuano a susseguirsi, che vi sono diritti fondamentali, e ne abbiamo propos to un lungo elenco. Premetto ancora che avevo sostenuto la prima tesi in un convegno filosofico dedicato al tema del « fondamento » dei diritti dell'uomo, la second a in un convegno dedicato al commento della Dichiarazione universale nel ventesimo anniversario della sua proc1amazione. Ora Pontara .trova insufficiente la second a tesi e insufficientemente motivata la prima. Sostiene in sostanza che sia possibile trovare un fondamento assoluto all'affermazione dei diritti dell'uomo, 0 per meglio dire sostiene che vi sono diritti dell'uomo che possono essere fondati su argomenti irresistibili. E trae l'argomento principale dalla constatazione che vi sono «preferenze fondamentali» in ogni uomo, fondamentali nel senso che « ciascuno deve ragionevolmente averle in quanta il loro soddisfacimento condizione necessaria per poter perseguire i1 soddisfacimento di qualsiasi altra preferenza, ecc. ». Mi riesce difficile comprendere in che cosa consista la maggior forza dell'argomento addotto da Pontara rispetto al mio (sub b). Si tratta pur sempre di un argomento come il mio tratto dalla constatazione di un fatto, del fatto cioe che tutti gli uomini hanno alcune preferenze. Ora che tutti gli uomini abbiano alcune preferenze si present a come l'affermazione di un fatto non meno dell'affermazione relativa alI'accordo di tutti gli stati, accordo che rivela le loro preferenze. Se c'e una differenza fra Ie due prove e, mi pare, a tutto vantaggio delIa credibilita delle preferenze di tutti gli stati espressi in un accordo, in una sort a di nuovo contratto sociale, in paragone aHa credibilita delle preferenze

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elencate da Pontara che sono dedotte da una pretesa natura razionale delI'uomo. E infatti per dar forza al suo elenco di preferenze fondamentaii egli sostiene trattarsi delle preferenze delI'uomo razionaie. A parte la considerazione che Ia razionalita del comportamento umano una pura ipotesi razionaie che non ha il conforto di alcuna prova storica, come invece ce I'ha l' accordo storicamente avvenuto con Ie dichiarazioni internazionali ricordate, osservo che se si parte dall'ipotesi dell'uomo razionale si presuppone cio che si voleva dimostrare, perche se l'uomo e dato come razionaie non c'e piu da dubitare delIa razionalita delle sue preferenze. Ma ammettiamo pure che queste preferenze siano universali. Resta pur sempre che non c'e alcun passaggio obbligato dalla constatazione dell'universalita di una preferenza al suo riconoscimento come diritto fondamentale. Ipotesi per ipotesi si puo concepire che siano universali preferenze che una societa regoiata non potrebbe mai acconsentire a riconoscere come diritti: si pensi, per fare unesempio, alIa emancipazione dai cosiddetti tabu sessuali. Ma sono poi davvero universali le preferenze additate da Pontara? E lecito dubitarne considerando per esempio Ia terza preferenza, quell a di poter formare le proprie particoiari preferenze in modo autonomo, giacche bisogna per 10 meno prendere atto dell a cosiddetta « paura delIa liberta » che c'induce in molte circostanze delIa nostra vita a preferire di essere esonerati dalla responsabilita di una scelta, il che spiega fra l'altro perche in ogni societa Ia liberta sia altrettanto giustificata quanta l'autorita. Dopo aver affermato che vi sono diritti fondamen-

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tali a prova di qualsiasi obiezione Pontara confuta gli argomenti da me addotti per sostenere il contrario, cioe gli argomenti della indeterminatezza dei pretesi diritti fondamentali, quello relativo all'evo1uzione storica, quelli riguardanti I'eterogeneita e 1a reciproca incompatibilita. SuI primo punto, I'indeterminatezza, il miglior esempio ce 10 oHre il primo dei diritti elencati, quasi un esempio di scuo1a, i1 diritto alla vita. Che cosa s'intenda per vita sembra chiaro ma non e. Basta porsi la domanda che cosa s'intenda per vita nell'espressione «diritto alIa vita» per trovarsi immediatamente nel groviglio delle discussioni intorno alla liceita dell'aborto. Subito dopo viene il problema se I'individuo abbia diritto alla vita in genera1e 0 a una certa vita, in altre parole 1a domanda « Quale vita? » Appena posta questa domanda ci vengono incontro il problema dell'eutanasia e problemi ancora pili delicati e tormentosi, come quello se si debbano salvare con operazioni d'incerto esito vite non destinate a godere di tutti gli attributi che di solito colleghiamo a un essere considerate vitale 01 caso delle operazioni dei nati con spina bifida). E poi e proprio vero che ogni individuo ha diritto alIa vita? I principali argomenti in favore dell' abolizione delIa pena di morte non sono fondati sul riconoscimento del diritto alIa vita, ma sulla sua inefficacia deterrente, sulla eventualita di un errore giudiziario che con la condanna a morte diventerebbe irreparabile, sulla possibilita di ravvedimento del colpevole. Quante alla relativita storica, e tanto evidente che 10 stesso Pontara e disposto ad ammetterla, salvo a IIG

sostenere che l' affermazione di alcuni diritti fondamen tali in epoche successive dipende dalla evoluzione delIa coscienza etica che procede alIa scoperta di nuove verita morali. Se vero che nuove verita morali oscurano 0 addirittura cancellano Ie vecchie, non vedo perche non si possa prevedere Ia scoperta di altre verita morali in futuro e concludere, come ho concluso io, che gli argomenti con cui vengono di volta in volta difesi i diritti fondamentali sono argomenti storicamente condizionati e quindi dipendenti da mutamenti storicamente rilevanti, tra cui non escludo aHatto quell a che si puo chiamare I'evoluzione etica dell'umanita (peraltro puramente ipotetica), Forse il problema pili interessante sollevato da Pontara quello che riguarda Ia eterogeneita e la incompatibilita dei diritti fondamentali (due argomenti che si possono trattare insierne). Pontara non ha alcuna obiezione da avanzare contro questa argomento ma sostiene che se conflitti ci sono fra diritti riconosciuti come fondamentali, questi conflitti sono risolubili. Non ho detto nulla in contrario. Ho semplicemente sostenuto che il fatto stesso del possibile conflitto dimostra 1a cornplessita del problema. Se mai posso aggiungere in risposta agli argomenti addotti da Pontara circa Ie possibili soluzioni di questi conflitti che Ia diHicolta e I'incertezza delle soluzioni conforta pili il mio assunto che il suo. Prescindo dalla considerazione che io avevo fatto una distinzione che nella risposta non trovo., avevo distinto due diversi casi di conflitto, que]10 fra diversi diritti riconosciuti come fondamentali da soggetti contrapposti, per esempio fra il diritto alIa liberta di stampa e i1 diritto alIa verita delIa inform a-

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zione, e quello fra diritti ritenuti fondamentali dallo stesso soggetto, per esempio fra il diritto alla istruzione gratuita e il diritto alla scelta delIa scuola. Non solo Pontara non sembra aver tenuto conto di questa di-· stinzione ma la dove propone il primo modo di risolvere i conflitti fra diritti fondamentali si riferisce non al conflitto fra diritti ma al conflitto che sorge quando si tratta di attuare 10 stesso diritto fra due persone diverse: problema che e qui assolutamente fuori questione e non tocca il tema che stiamo discutendo. Mi soffermo sul secondo modo che Pontara propone per risolvere il conflitto perche soltanto questa riguarda il problema delIa incornpatibilita fra diritti fondamentali. Si stabilisca una gerarchia di questi diritti, egli suggerisce, e in caso di conflitto prevalga quello che occupa nella gerarchia i1 primo posto. Niente da eccepire. Senonche a questa punto non ci sono pili tanti diritti fondamentali ma ce n'e uno solo, quello che viene ad occupare il primo posto nellagerarchia e che come tale sta a fonda men to di tutti gli altri. Domando: qual e questo diritto? Se la risposta, come pare, e la seguente: e il diritto che permette la massima attuazione degli altri diritti, bisogna concludere che e proprio vera essere 1a indeterminatezza una delle caratteristiche dei diritti fondamentali. E il circolo si chiude. [N.' B.]

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