Bergson, Corso su Plotino.pdf [PDF]

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Nella stessa collana

Henri Bergson Sul segno. Lezioni del 1902-1903 sulla Storia dell’idea di tempo Uwe Pörksen Parole di plastica. La neolingua di una dittatura internazionale Paul-Antoine Miquel Che cos’è la vita? Flavia Conte L’insegnamento impossibile. Sul sapere postmoderno Filosofia80 a cura di Daniele Poccia Attualità di Lacan a cura di Alex Pagliardini, Rocco Ronchi Rocco Ronchi Zombie Outbreak. La filosofia e i morti-viventi Francesco Giusti Canzonieri in morte. Per un’etica poetica del lutto Che Vuoi Katniss. La macchina delle emozioni William James Fantasmi. Scritti sulla ricerca psichica a cura di Giacomo Foglietta Filosofia dell’evento. L’evento della filosofia a cura di Rocco Ronchi L’Uno perverso. L’Uno senza l’Altro: una perversione? a cura di Alessandra Campo Raymond Ruyer La superficie assoluta a cura di Daniele Poccia L’esperienza della tecnica a cura di Rocco Ronchi

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Filosofia al presente

Q 15 collana diretta da Rocco Ronchi

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henri bergson

PLOTINO Corso del 1898-1899 all’École normale supérieure. traduzione e cura di Angela Longo

TEXTUS EDIZIONI

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Realizzazione editoriale Textus Edizioni Progetto grafico mindmade | Andrea Padovani Consulenza editoriale Stefania De Nardis Valeria Celiberti

© Copyright 2019 Textus Edizioni Casa editrice L’Aquila, via Cappadocia, 9 www.textusedizioni.it Prima edizione ottobre 2019

ISBN 978-88-99299-32-3

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Indice

Introduzione di Federico Leoni e Rocco Ronchi Psyché. Bergson lettore di Plotino

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Nota di traduzione della curatrice

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I Vita di Plotino II Opera e bibliografia di Plotino III La dottrina di Plotino. Il posto che vi occupa la teoria dell’anima IV Plotino interprete di Platone V L’anima del mondo VI La processione dell’anima e il principio dell’irradiazione VII L’anima universale considerata in se stessa VIII La caduta delle anime IX Teoria della coscienza

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Postfazione di Angela Longo Bergson lettore di Plotino. Il didatta, il filosofo, lo storico della filosofia

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Vita di Plotino Indice dei trattati plotiniani Indice dei passi plotiniani citati Bibliografia

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Plotino

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Introduzione Psyché. Bergson lettore di Plotino Federico Leoni e Rocco Ronchi

Punto Immaginiamo di dover presentare didatticamente la filosofia di Plotino. Cosa, meglio di un semplice punto tracciato sulla lavagna, potrebbe raffigurare l’Uno da cui procedono tutte le cose? L’Uno, nient’altro che un punto. Avendolo tracciato ci si renderà conto, tuttavia, di aver fatto anche altro e di aver tradito l’intuizione di Plotino. Con quel punto abbiamo compromesso la purezza dell’Uno. In quel grafo vengono meno molte delle ragioni che ci avevano indotto a sceglierlo come immagine mediatrice: l’inesteso si è esteso, l’indivisibile si è diviso, il semplice si è complicato, ciò che non aveva né spazio né tempo è divenuto un punto ‘ora’ e un punto ‘qui’. La sua sovraessenzialità – l’Uno è epekeina tes ousias, oltre tutto ciò che è – è andata perduta. Certo, in quell’esilissimo segno – nient’altro che una piccola macchia di gesso sulla lavagna – estensione, divisibilità, complicazione, spazio-tempo, sono ridotti al minimo. Ciononostante, per il solo fatto di essere stato tracciato, l’Uno ha cambiato natura. O, come

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meglio sarebbe dire, ne ha guadagnata una, sebbene tale guadagno di attualità si risolva di fatto in una diminuzione reale. L’Uno, tracciandosi, ha acquisito la magica capacità di racchiudere in se stesso la potenza di tutte le cose estese, divisibili, complicate, che sono state, che sono, e che saranno. La sua orgogliosa sovraessenzialità si è convertita improvvisamente in una ‘potenza di tutto’1 che non è aVatto, a ben vedere, un’astratta ‘capacità’ ma una concretissima causalità reale. È stato suYciente tracciarlo perché il suo essere in atto sia ora la necessità di tutti i possibili che si realizzeranno simultaneamente a lui.

Cono Nel tratto che lo ha sfigurato dandogli una figura si fa sensibile l’illimitata generatività consustanziale all’Uno ‘che è’ (la ‘potenza di tutto’). Essa è raYgurabile facendo del punto il vertice di un cono, il quale ora rappresenta tutto il reale nella sua dipendenza da quel punto sorgente. Con una metafora autorizzata da Plotino e suVragata dal commento bergsoniano, possiamo allora immaginare il reale come un immenso cono ‘dinamico’. Ciò significa che la sua base non è data, non lo racchiude entro confini definiti, ma si apre progressivamente. Le infinite sezioni del cono, ciascuna delle quali definisce un cono nel cono, sono le infinite ‘forme’ che popolano l’universo. Tutte sono dunque fatte della stessa ‘materia’, tutte sono coni dell’unico cono, ma tutte diVeriscono illimitatamente. Non ci sono al mondo due fili d’erba identici. Il principio 1

Plotino, Enneadi, V 4, 2, 38; V 1, 7, 9-10; III 8, 10, 1; V 3, 15, 33.

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di indiscernibilità formalizzato da Leibniz discende dalla continuità assoluta di quell’unico cono reale. Una delle più diYcili tesi plotiniane – che ogni cosa sia contemplazione2 – trova così il suo principio di intelligibilità. Alla luce di questa immagine, infatti, ogni cosa si rivela essere nient’altro che una ‘contemplazione’ del suo punto sorgente, lo stesso per tutte, senza eccezioni. Ogni cosa ‘qui e ora’ è un modo di ‘prendere’ il vertice del cono da un certo punto di vista. Ogni cosa è una prospettiva, ma non per questo è qualcosa di relativo, anche quando si tratti della più folle e ingiustificata delle immaginazioni. Sempre e necessariamente avremo a che fare con una prospettiva dell’assoluto su se stesso. Bergson ha quindi ragione ad assegnare a Plotino la paternità eVettiva della monadologia leibniziana.3 E ha ragione a porla in continuità con la metafisica spinoziana: perché che altro è la relazione tra sostanza assolutamente infinita, infiniti attributi infiniti nel loro genere, e infinità dei modi, se non questa genesi simultanea dell’Uno e dei Molti? È la stessa genesi simultanea che si ha, se stiamo al nostro umilissimo esempio, tra il punto e la molteplicità infinta delle rette che lo attraversano. Per spiegare questa simultaneità tra infiniti di natura diVerente, Bergson ha fatto spesso ricorso a un’immagine alchemico-economica. Il punto tracciato, ha detto, è una ‘moneta d’oro’. Se essa esiste, «bisogna che esista il suo equivalente in moneta».4 Si faccia attenzione all’espressione il faut. Indica 2

Plotino, Enneadi, III 8. H. Bergson, Histoire de l’idée de temps. Cours au Collège de France 1902-1903, PUF, Paris 2016, lezione del 6 maggio 1904, pp. 113-114. 4 H. Bergson, Introduction à la métaphysique, in Œuvres, PUF, Paris 1959, p. 1395. 3

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una potenza che non può non realizzarsi, una potenza che è data solo nel suo esercizio reale. «Se essa è possibile, essa deve esistere», aVerma altrove Bergson5 ripetendo la formula con cui Aristotele sintetizzava e stigmatizzava la posizione di certi filosofi socratici: otan energhe monon dynasthai, ‘c’è potenza solo dove c’è atto’.

Simultaneità La meravigliosa cosmogonia plotinica è sempre il risultato di un tradimento originario. Il punto generativo, ricordiamolo ancora una volta, è un eVetto dell’Uno in quanto tracciato. Il mondo è una caduta. L’Uno in sé resta infatti sovranamente indiVerente ai destini dell’Uno divenuto punto. L’ontologia non lo tocca. La sua implicazione nel regno sconfinato delle cose estese, divisibili, complicate le une nelle altre, gli è assolutamente estranea. Scende a patti con quel regno grazie al tratto che lo insedia nell’essere, essere in cui come tale l’Uno non dimora. Sulla base di questa immagine sono così date figurativamente (e cioè difettivamente) le tre ipostasi plotiniane: l’Uno (l’irraYgurabile), il Nous (il vertice del cono del reale) e l’anima universale, cioè la generatività illimitata (che ha come sua figura tutto il cono del reale, se si intende quel cono come un cono dinamico, un cono che progredisce incessantemente, come Bergson insegna a pensare). E sono date nel loro intreccio intemporale. Non c’è, insomma, alcun rap-

5 H. Bergson, Cours du Collège de France sur “Le traité de la réforme de l’entendement humain” de Spinoza, 1911, Fond Doucet, BGN 2998 (3) e (4), Cahier 1, p. 12.

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porto prima/dopo che le metta in successione. La proodos, la processione dall’uno ai molti, il movimento discendente dal punto alla sua complicazione, a dispetto del suo nome è simultanea. Certo, noi la dobbiamo raccontare disponendola nell’ordine del successivo, in altri termini facendone un mito (chiamato ‘emanazione’). Ma in sé, la proodos è estranea al tempo, che, insieme allo spazio, è un eVetto della sua inscrizione. Il grande mistero è la caduta, il passaggio dall’Uno al Due. Il grande enigma è l’inscrizione del fondamento, inscrizione che lo rende generativo e che ne fa, appunto, la ‘potenza di tutte le cose’. Perché mai, infatti, l’irraYgurabile dovrebbe prendere figura? E come è possibile che questo tracciarsi dell’Uno sia simultaneo all’Uno (che non è), così da dar vita all’incredibile ossimoro di un Uno che non è, e che tuttavia simultaneamente non può non essere? Bergson, facendo della terza ipostasi il cuore della filosofia di Plotino, si è misurato proprio con questo immenso problema, che è anche stato l’unico problema della filosofia di Bergson: il problema del cambiamento come assoluto.

Coscienza Plotino, per Bergson, è soprattutto ‘psicologo’. Ma la sua psicologia non è una ontologia regionale. La psicologia plotinica è piuttosto una cosmologia, o meglio una cosmogonia. Per questo Bergson elegge da subito Plotino a suo campione e non cessa di ritornare sul suo pensiero. Ai suoi occhi, il plotinismo riveste lo stesso ruolo arcontico che lo spinozismo rivestiva per Hegel. Filosofare, per Ber-

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gson, sarà sempre ‘plotinizzare’. Per inciso, andrebbe aggiunto che anche spinozieren, per Bergson, è plotinizzare. Una delle ragioni principali del fascino esercitato su Bergson dalla filosofia plotinica è la sua concezione psicologica della natura. L’anima è coestensiva al reale, l’anima è l’anima ‘del mondo’, un’immensa coscienza virtuale. È anche la tesi bergsoniana. Sappiamo infatti che la perfetta sinonimia di essere, durata, memoria, natura, Dio, coscienza, è la spina dorsale del bergsonismo. Il lemma ‘coscienza’ fa però problema, quando lo si retrodata a Plotino. Nel vocabolario filosofico greco, di fatto, non esiste. Plotino stesso deve impegnarsi in un gigantesco tour de force terminologico e concettuale per introdurre una simile innovazione. Del resto, non ha senso – scrive Bergson – assegnare all’anima universale i caratteri della coscienza nel senso moderno del termine. Per noi moderni, coscienza è riflessione, è coscienza posizionale di sé come oggetto per la coscienza. In altri termini, coscienza è coscienza ‘desta’, coscienza ‘vigile’, appercezione riflessiva, coscienza che si sa come tale mentre si rapporta all’oggetto. L’anima universale di cui parla Plotino è invece ‘inconscia’, a patto di escludere da un simile concetto ogni accezione negativa, ogni riferimento a una mancanza. Inconscio piuttosto significa qui presenza immediata a sé, presenza a sé al netto di ogni deviazione riflessiva, coscienza senza Io. È ciò di cui abbiamo esperienza nel sogno, che difatti in Plotino, secondo Bergson, da indice di una condizione di falso sapere (doxa), diviene paradigma del vero e del suo risplendere. Per indicare tale condizione di immediata presenza, propria dell’anima universale (nonché della nostra stessa anima nel momento in cui ci rivol-

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giamo al principio, ridestandoci dal cattivo sogno del sensibile e iniziando quindi a sognare il sogno buono), Plotino utilizza il termine synaisthesis. Si potrebbe tradurre il termine greco con la formula latina sensus sui. Rispetto a tale coscienza sognante e sempre in atto, la coscienza di sé, come coscienza posizionale, è allora qualcosa di difettivo, qualcosa che si produce per accidente, nel momento in cui il sogno si rifrange su di uno specchio che gli rinvia un’immagine fittizia (phantasia). Scrive Bergson: In altre parole non vi è coscienza [ovvero coscienza vigile, desta, intenzionale, nota nostra] che là dove ci sia una diminuzione del Nous, un andare avanti che testimonia una decadenza, dove c’è azione e indebolimento del contemplare [ovvero del sognare fondamentale, del sognare ‘buono’ di cui prima, nota nostra]. La coscienza si produce in seguito a una caduta: fintanto che essa è pensiero puro, l’anima non è cosciente.6

Passaggio Proviamo ora a chiarire la funzione che l’anima svolge nel sistema di Plotino. Bergson ritiene che essa sia ‘il centro di tale filosofia’7 e ad essa riserva nel Cours tutta la sua attenzione. La ragione di tale privilegio è presto detta. L’anima è la chiave di volta del sistema perché razionalizza l’arcano di Platone. Bergson chiama questo arcano il ‘passaggio’. Bergson si riferisce evidentemente alle aporie 6 7

Cfr. infra, pp. 114. Cfr. infra, Lezione III.

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della dottrina platonica della metessi e al carattere irrazionale che nella dottrina platonica continua ad aZiggere il processo che va dall’Uno ai Molti, dall’Idea alla cosa. Testimone di questa perdurante irrazionalità è il ricorso da parte di Platone, nell’ora topica in cui si tratta di rendere conto di quel processo, alle immagini del mito. È su questo punto che Plotino segna un progresso, come aVerma Bergson. «Ciò che appartiene a Plotino», scrive, «è il passaggio, lo sforzo per aVrancarsi dal dualismo latente dei suoi predecessori».8 Plotino è il filosofo che, introducendo la terza ipostasi, eleva il passaggio ad assoluto, trasformando con un colpo di bacchetta magica il problema degli antichi – come è possibile il passaggio? – nella soluzione – il passaggio è ora l’assoluto; a dover essere spiegati sono gli estremi del passaggio, non la sua sostanza sfuggente e intermedia. È questa mossa, agli occhi di Bergson, a fare di Plotino tanto il filosofo ‘greco’ per eccellenza, perché capace di rispondere al grande e unico problema irrisolto della metafisica, quanto il filosofo ‘contemporaneo’, il filosofo che mira a pensare il processo, come poteva esserlo il suo grande e rispettato contemporaneo, Alfred North Whitehead. Bisogna però intendersi su questo processo, su questo passaggio che accomuna e l’anima universale e le anime particolari. Molti sono infatti gli equivoci che a questo proposito si devono dissipare. Il più grave è la sua assimilazione a ciò che la metafisica ha sempre inteso con il termine ‘divenire’.

8

Ibidem.

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Anima L’anima è presentata da Plotino come ‘mescolanza’. È ‘idea al suo vertice, logos nel mezzo, forma e persino materia alla base’.9 L’anima, cioè, è coestensiva al processo. È il ‘veicolo’ delle idee. L’anima non è tuttavia la mediatrice, non occupa il posto del terzo, del ponte necessario tra i due estremi. Non spiega semplicemente il passaggio dall’Uno ai Molti, piuttosto è l’attuosità di quel passaggio, è il farsi cosa dell’idea. L’anima è, insomma, la continuità del processo (proodos), rispetto al quale i termini della relazione impossibile (Uno e Molti, per semplificare) si dispongono come gli estremi di una variazione continua (per eccesso: l’Uno del Nous; e per difetto: i Molti della materia). «Eccoci», aVerma Bergson, «fra l’infinito che è meno che essere e l’infinito più che essere. È tra questi due infiniti che è tesa la catena delle esistenze».10 Non abbiamo un intelligibile e un sensibile che si mediano faticosamente tra loro per produrre una determinazione. All’origine della percezione, direbbe lo ‘psicologo’ Bergson, non ci sono ricordi e sensazioni che entrano in rapporto per generare la percezione stessa. Il dato immediato è di altra natura. Solo quando viene guardato con gli occhi di un intelletto astratto, quando il dramma dell’individuazione si è interamente consumato, quel dato immediato apparirà come una mescolanza o una coalescenza fra ‘termini’ eterogenei. Se intuito simpateticamente, se accompagnato nel suo farsi, il dato imme-

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Ibidem. Ibidem.

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diato è un continuo, è un ‘passaggio dall’uno all’altro’.11 Strano processo che non avviene, come nel caso classico del ‘divenire’, all’interno di uno stesso genere, per diVerenze di grado che mantengono invariata l’unità del soggetto-sostrato facendolo tutt’al più oscillare da contrario a contrario (i contrari sono l’opposizione massima all’interno di un genere comune). Esso ha luogo invece per differenze di natura, varcando cioè continuamente la soglia dei generi: come se il trascendentale generasse l’empirico, che è toto genere diVerente da lui; come se l’intelligibile, invece di mediarsi con il sensibile, che si dovrebbe presupporre come dato, lo producesse a partire da sé come il suo altro; e come se ciò avvenisse proprio in forza della diVerenza di natura del trascendentale dall’empirico, dell’intelligibile dal sensibile, del ricordo dalla sensazione. È questa continuità nella diVerenza (di natura) e grazie alla diVerenza (di natura) la scoperta plotinica che abbaglia Bergson, il grande filosofo della durata. Ed è questa continuità nella diVerenza e grazie alla diVerenza a permettere a Bergson di enucleare in Plotino un modello di causalità originale, la causalità ‘unilaterale’, capace di spiegare tanto la metafisica degli antichi quanto quella dei moderni, nonché la stessa metafisica della durata creatrice, la cui caratteristica fondamentale, ricordiamolo, è la medesima della terza ipostasi plotinica, oggetto del Cours. Siamo cioè di fronte a un indivisibile che, restando indivisibile, non cessa di dividersi cambiando natura (eterogeneità), o se si preferisce, a un indivisibile che ‘cambia’ proprio in forza della sua semplicità. L’eterogeneità della durata (durare significa cambiare, significa 11

Ibidem.

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complicarsi) già nell’Essai veniva infatti presentata come ‘un atto semplice e indivisibile’.12 Dovendola raYgurare, è ancora all’immaginario plotinico che Bergson si rivolge. Il cono del reale che illustra la generatività dell’anima plotinica è infatti lo stesso cono che Bergson impiega per suggerire la struttura della durata-memoria-coscienza.13

Processo La parola ‘processo’ acquisisce così una più precisa connotazione. Il ‘passaggio dall’uno all’altro’ non è il transito di qualcosa di precostituito, ma la reale causazione, la creazione di qualcosa che non esisteva al di fuori di quel passaggio. Ricapitolando la prima parte del suo Cours, Bergson scrive: «Personalmente, suppongo che nella mente di Plotino vi sia una certa esperienza che gli permise di cogliere sul vivo, di concepire, da un lato il sensibile e, dall’altro, l’intelligibile, e il passaggio dall’uno all’altro, che gli mostrò allo stesso tempo ‘l’anima in stato di veglia’ e ‘l’anima che sogna’, e che gli provò che la veglia esiste per il sogno, ma non il sogno per la veglia».14 Facendo della veglia, normalmente considerata lo stato di default della coscienza, il generato dal sogno, normalmente considerato l’eccezione che deve essere spiegata, e assolvendo, al tempo stesso, la causa (il sogno) dall’onere di ogni rapporto con l’eVetto (la veglia, dice Ber12 H. Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience, in Œuvres, cit., p. 75. 13 Cfr. infra, Lezione III; cfr. H. Bergson, Matière et mémoire, in Œuvres, cit., p. 293. 14 Cfr. infra, Lezione IV.

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gson, esiste per il sogno, non il sogno per la veglia), ecco che Bergson enuncia il modo in cui si produce la realtà coestensiva all’anima. C’è un unico sogno che non cessa di sognarsi. Quel sogno è il grande cono dinamico del reale. E ci sono le infinite veglie, tutte diVerenti fra loro, come altrettanti coni nel cono, come altrettante realizzazioni del suo vertice. L’intelletto astratto si sforza di ricomporre il cono-sogno assommando questi stati, considerandoli come i soli elementi di cui è fatta la realtà. Esso spiega appunto il sogno a partire dalla veglia. Plotino formula l’ipotesi opposta. Reale è il sogno, astratti sono gli stati vigili, che si ottengono dal sogno per diminuzione, come parziali e prospettiche contemplazioni del sogno che non smette di sognare nient’altro che se stesso. Tutte le esistenze vigili, tutte le coscienze soggettive sono perciò fatte realmente della materia dei sogni, come recita il verso di Shakespeare. Ma quel verso non è una metafora, è una descrizione letterale del funzionamento di quella peculiarissima forma di causalità che Plotino riconosce all’opera nel processo. Il sogno causa quelle coscienze come la moneta d’oro implica immediatamente la grande massa circolante della moneta spicciola, la quale, nell’economia classica, aveva il suo fondamento nella riserva aurea detenuta dalle banche centrali dei vari Stati. Bergson chiama ‘unilaterale’ questa forma di causalità e, come si diceva, anticipa così le letture che i moderni interpreti di Plotino daranno della sua concezione dell’energheia: essa è simul atto e potenza di tutte le cose.15

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Cfr. E.K. Emilsson, Plotinus on Intellect, Clarendon Press, Oxford 2007; R. Chiaradonna, Sostanza movimento analogia. Plotino critico di Aristotele, Bibliopolis, Napoli 2002.

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Trascendentale Quanto detto funziona sulla base di una presupposizione che va esplicitata. Se l’Uno è, dicevamo, i Molti sono immediatamente. Se il sogno continua a sognarsi senza che vi sia mai risveglio (non ci può essere un fuori dal sogno, come non ci può essere un altro dall’Uno), tutte le coscienze deste sono date come contemplazioni immediatamente generate da esso. Sono, se si vuole giocare con le immagini, sogni del sogno, onde del suo mare eternamente agitato, pieghe del suo tessuto infinitamente ripiegatesi. Ma, appunto, tutto questo funziona se l’Uno è. Senza tale essere, la conversione immediata dell’Uno nei Molti non avrebbe luogo. Nessun passaggio avverrebbe mai dall’uno all’altro estremo del cono. È la stessa situazione ‘didattica’ da cui siamo partiti. Per illustrare il sistema di Plotino, vale a dire la processione delle ipostasi, non si era infatti stabilito di tracciare un punto sulla lavagna? Da lì si doveva partire per comprendere la coestensione dell’anima al reale. Senza passare per quel minimo tratto di scrittura, senza sperimentare gli eVetti della sua inevitabile alienazione grafica, l’intero edificio sarebbe crollato. Per i neoplatonici lo ‘stato’ dell’Uno è quello descritto per via apofatica nella prima tesi della prima ipotesi del Parmenide. Senza questa strana aggiunta/diminuzione dell’essere, il Nous se ne starebbe in perfetta solitudine, isolato in una condizione di neutralità assoluta. Abbiamo poi visto, seguendo Bergson, che l’anima universale è il cono stesso del reale colto nel suo aspetto dinamico – ovvero nella sua causalità unilaterale – e che l’anima, terza ipostasi del sistema, è in realtà il cuore della filosofia di Plotino.

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Possiamo ora comprendere perché proprio rivolgendosi all’anima, proprio facendo della ‘psicologia’ anziché della metafisica propriamente detta ‘il centro della sua filosofia’, Bergson all’inizio del Novecento intraprenda il suo ritorno a Plotino. Tale ritorno è orientato dal motivo specificatamente moderno del trascendentale, che da Kant in poi costituisce il principio stesso della soggettività. Per i moderni l’anima infatti non è solo il reale, ma è al tempo stesso il trascendentale del reale, la sua condizione di possibilità. L’anima è, insomma, il processo e la condizione del processo. Per questo la terza ipostasi è, sì, terza nell’ordine dell’esposizione (‘rispetto a noi’), ma occupa secondo Bergson il centro del sistema (è prima ‘per natura’). L’anima è coestesa al reale perché è l’accadere del reale, è il suo aver luogo, è la sua Wirklichkeit, la sua ‘eVettività’. Di quell’eVettività, è testimone il tracciarsi del punto sulla lavagna, molto più che il punto tracciato. L’anima è il gesto istituente. Una siVatta interpretazione psicologica del sistema di Plotino è in debito evidente con la moderna metafisica della soggettività. Dopotutto, Bergson, attraverso Plotino, sta aVermando che il reale si dà solo quando un’anima si intuisce come fondamento del reale. Ma allora, ci si potrebbe chiedere, una lettura di questo genere non produce un’indebita e anacronistica soggettivizzazione dell’Uno, non riveste appunto il Nous dei panni di quella coscienza e di quella trascendentalità che erano del tutto estranee allo spirito greco?

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Autocoscienza Proprio per questo la seconda grande questione che Bergson pone nel suo commento è la seguente: l’anima è cosciente?16 O in altri termini, che genere di coscienza è quella coscienza che sembra doversi porre a fondamento di tutto e dal quale tutto parrebbe generarsi simultaneamente? La risposta di Bergson è nettamente negativa. L’anima non è cosciente. Oppure, se vogliamo mantenere il termine di coscienza, dobbiamo dire che la coscienza di cui stiamo parlando non è però coscienza riflessiva, non è autocoscienza. Lo diviene, e lo diviene necessariamente, senza tuttavia cessare un solo istante di abitare quei suoi eVetti di riflessione come un nocciolo perfettamente irriflesso. È solo restando testardamente inconscia, che l’anima incontra se stessa e si produce come un’immagine di sé, come una riflessione o un’autocoscienza. Anzitutto, l’anima è qualcosa come un’immagine in sé, un’immagine che senza smettere di essere immagine è tuttavia immediata, immagine di nulla se non di se stessa. È ciò che Bergson mette in valore del testo di Plotino, mostrando che per Plotino l’autocoscienza è sempre un risultato e non un presupposto. Perché l’anima diventi cosciente bisogna che essa si veda in uno specchio. Bisogna che si incontri con se stessa dopo essersi depositata su di un supporto, si scriva su una superficie in cui soltanto arriverà infine a leggersi e a sapersi. Per questo per Plotino è tanto importante introdurre nel suo sistema un principio materiale, un principio negativo, che faccia da contraltare alla purezza e alla concentrazione del 16

Cfr. infra, Lezione VII.

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Nous in se stesso. È nello specchio della materia, che il Nous si individua, si singolarizza, e che individuandosi e singolarizzandosi si riflette su di sé, facendosi autocoscienza. E in Plotino la materia funziona sempre come specchio, intanto che lo specchio funziona sempre come un richiamo mortifero. Il mito di Narciso presiede a tutta l’interpretazione plotinica della nascita dell’autocoscienza e al movimento che porta una coscienza in linea di principio infinita e incosciente a divenire coscienza finita e perciò autocosciente. Per sapere di sé, pensa in sostanza Plotino, bisogna specchiarsi nelle acque che attrassero Narciso, e infine bisogna precipitarvi.17

Materia Tuttavia la soluzione plotinica va intesa a fondo, secondo Bergson. Essa sembra infatti supporre, all’origine, quel dualismo (il Nous versus la materia; l’Uno versus i molti) che invece si trattava di spiegare e di osservare nella sua genesi. La lettura bergsoniana di Plotino risolve questa diYcoltà insistendo sul carattere esteso dell’anima, sulla sua coestensione al reale. L’anima è ovunque, come una sorta di superficie infinita, che quando si muove incontra non qualcosa d’altro ma se stessa, e incontrandosi con se stessa si fa sia superficie su cui il suo movimento si scrive, sia scrittura che vi si deposita. Ovunque l’anima incontra se stessa, divenendo in quell’incontro propriamente autocosciente e 17 Cfr. Enneadi, IV 3, cap. 12; III 6, cap. 7 e cap. 14. Su questo concatenamento di immagini plotiniane, cfr. P. Hadot, Le mythe de Narcisse et son interprétation par Plotin, in Id., Plotin, Porphyre. Études néoplatoniciennes, Les Belles Lettres, Paris 1999, pp. 226-266.

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‘una’ e simultaneamente incosciente e ‘molteplice’. Ovunque il reale si fa supporto di sé e si fa immagine di sé, da un lato precipitando in se stesso come molteplice, e simultaneamente risalendo verso se stesso come Uno. È la soluzione, rigorosamente plotinica, che Bergson adotta in Materia e memoria, quando dà della materia la celebre definizione di ‘insieme delle immagini in sé’.18 Fiumi d’inchiostro sono stati versati su questa mezza riga di testo. Limitiamoci a sottolineare l’elemento più trascurato di questa mezza riga: ‘l’insieme’. La diYcoltà della definizione bergsoniana sta, molto più che nella nozione paradossale di un’immagine che non è immagine di nulla eppure continua a essere immagine, nel termine ‘insieme’ che suggerisce immediatamente l’impressione che le immagini in sé stiano l’una accanto all’altra, e che stando l’una accanto all’altra formino appunto un insieme. In eVetti le immagini in sé non stanno mai l’una accanto all’altra, pur essendo innumerevoli e anzi infinite. Le immagini in sé sono esseri risolutamente singolari, ciascuno dei quali comprende in sé tutti gli altri implicandone la folla nella stoVa ripiegata della propria perfetta solitudine. Ma se è così, l’insieme delle immagini in sé è un insieme paradossale, una monadologia di partes intra partes ciascuna delle quali cattura tutte le altre nella propria prospettiva, che è quanto dire che le ha tutte dentro di sé, – anche se non come sé ma come intima alterità. La dimensione di questa materia bergsoniana non è quella, insiemistica, dello spazio euclideo, che è il solo spazio in cui si possa concepire un

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H. Bergson, Matière et mémoire, in Œuvres, cit., p. 162 («une image, mais une image qui existe en soi»); p. 170 («cet ensemble d’images que j’appelle l’univers»).

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insieme tradizionale, al quale sembra somigliare l’insieme bergsoniano delle immagini in sé. Un insieme di questo genere è un perimetro dentro il quale troviamo raccolte cose di natura necessariamente diVerente dal tratto di cui è fatto il disegno di quel perimetro. Come se nel quaderno di un alunno, il segno grigio della matita racchiudesse nel suo campo dodici mele rosse. Non è questo genere di insieme, a poter supportare l’intuizione bergsoniana. La sua dimensione specifica è piuttosto quella di uno spazio di inviluppo, di una superficie che si avvolge in se stessa avvolgendo in se stessa infinite altre superfici che divengono quelle infinite altre superfici proprio in quanto vengono avvolte in essa. In quest’altro quaderno che dobbiamo immaginare, un quaderno che ha qualcosa di magico come del resto ha qualcosa di magico l’intuizione plotinico-bergsoniana, il tratto di matita è fatto di mele, e le mele sono fatte di matita. O meglio, ciò che accade nel tracciarsi di quell’insieme, che è evidentemente tutt’altra cosa dall’insieme già tracciato, è la diVrazione simmetrica e simultanea di un essere intermedio, mela e matita insieme, un essere ogni volta unico nell’infinità delle sue occorrenze, che proprio qui diverge nella doppia direzione di ciò che diventerà ‘un’ perimetro grigio (l’Uno, l’autocoscienza) e di ciò che diventerà ‘una molteplicità’ di mele rosse (i molti, le coscienze, o le cose di cui le coscienze sono coscienze).

Monade Questa singolare insiemistica, che non suppone superfici piane e delimitate da perimetri lineari, ma qualcosa come dei vortici di vortici, è ciò che Leibniz, nel solco di una tra-

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dizione rigorosamente plotinica, chiamerà ‘monadologia’. Ogni monade leibniziana esprime l’intero universo, cioè l’intero insieme delle monadi, nella propria prospettiva; non però come qualcosa di visto e fotografato a distanza, dato che Leibniz pone che l’universo sia nella prospettiva di ogni monade; piuttosto come qualcosa di sentito e generato intimamente, intanto che è sentito e generato intimamente da ogni altra monade: E così come una medesima città, se guardata da punti di vista diVerenti, appare sempre diversa ed è come moltiplicata prospetticamente, allo stesso modo per via della moltitudine infinita delle sostanze semplici ci sono come altrettanti universi diVerenti, i quali tuttavia sono soltanto le prospettive di un unico universo secondo il diVerente punto di vista di ciascuna monade.19

È ciò che nel suo gergo Leibniz chiama ‘espressione’. Ecco spiegato l’enigma delle ‘immagini in sé’, di cui la materia bergsoniana sarebbe l’insieme. Un’immagine in sé è semplicemente il momento della messa in immagine, da parte di una monade, dell’intero universo, o della messa in immagine, da parte di un qualsiasi evento, di ogni altro evento dell’universo. Qualcosa accade, e cattura nel vortice del proprio accadere ogni altro accadere, intanto che è catturato da ogni altro accadere nel suo vortice. Ogni monade è un’immagine in sé, ed è ogni volta l’unica immagine che ha tutte le altre dentro di sé. In questo senso, non tanto l’universo è l’insieme delle monadi, ma ogni monade è l’insieme delle immagini in sé: ovvero ha dentro di sé tutte le 19

G.W. Leibniz, Monadologia, tr. it. Bompiani, Milano 2001, § 57, p. 85.

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immagini in quanto immagini per lei, pur non smettendo quelle immagini per lei di essere simultaneamente ciascuna la sola immagine in sé che ha dentro di sé tutte le altre come immagini per lei, compresa l’immagine in sé da cui partivamo. Non è un caso, probabilmente, che la peculiare diYcoltà di questa insiemistica, impossibile a dirsi se non attraverso continue circonlocuzioni di linguaggio e impossibile a disegnarsi a meno di non tracciare immagini che valgono tutt’al più a suggerire il punto in cui esse si stanno facendo immagine, spinga Leibniz a evocare, al cuore della Monadologia, un’espressione ippocratica che sembra appartenere a tutt’altro ordine e scavalcare ogni diYcoltà di parola e di disegno: sympnoia panta, ‘tutto cospira’.20

Pneuma Possiamo, a questo punto, situare con esattezza il Cours di Bergson su Plotino nell’insieme della strategia bergsoniana e Bergson stesso nel percorso della filosofia moderna e contemporanea. La sentenza che dice ‘sympnoia panta’ dice plotinicamente che l’universo è l’insieme delle anime, cioè che l’universo si risolve nel suo emergere-sprofondare in ogni punto dal sonno verso la veglia e dalla veglia verso il sonno. La parola psyché, che etimologicamente non indica una coscienza ma un soYo, oVre perciò il modello più preciso per questa nuova ontologia che non è tale, che è più esattamente una pneumatologia, o come siamo abituati a dire in termini moderni, una psicologia. Questo soYo dice il momento in cui i contorni smettono di circoscrivere le 20

Ivi, § 61, p. 87.

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cose, le linee smettono di disegnare insiemi di cose che vi sarebbero racchiuse e che sarebbero quelle cose indipendentemente dal fatto di esservi racchiuse, e prendono ad attraversare le cose ripartendole in modi sempre nuovi, a serpeggiare tra le cose generando insiemi inediti di cose inedite. Se ‘lo spirito soYa dove vuole’, come recita il passo evangelico,21 è appunto perché l’insiemistica di cui è emblema questo genere di linea serpeggiante è l’insiemistica paradossale di una pneumatologia, di un plotinismo in cui la terza ipostasi è diventata l’ipostasi più importante, l’ipostasi sopra la quale e sotto la quale, anzi, non ce ne sono altre. Lo spirito non è mediazione tra estremi ma mediazione assoluta. Lo spirito è immagine, ma immagine in sé. È questo ‘spiritualismo’, lo spiritualismo che sempre viene ricordato essere la cornice dell’avventura speculativa bergsoniana. È nella cornice di questo spiritualismo assolutamente originale e insieme estremamente ‘antico’, che va collocato il suo sforzo di storico della filosofia antica come il suo impegno di pensatore contemporaneo.

Immagine Che, infatti, nel corso della modernità, la logica leibniziana dell’espressione declini rapidamente in una logica kantiana della rappresentazione, si deve al fatto che Kant sceglie di circoscrivere a un punto soltanto il ‘monadare’ che Leibniz concedeva a ogni essere e anzi in cui risolveva ogni essere. Nella visione di Kant, non ogni essere poteva ‘monadare’, cioè mettere in immagine altre immagini o tutte le 21

Gv 3,8.

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altre immagini, ma un essere soltanto, quella monade privilegiata perché umana, che in Kant prende il nome di ‘io penso’. Così, ciò che in Leibniz era eVettivamente una pneumatologia, cioè una psicologia intesa come scienza della messa in immagine di qualunque sostanza da parte di qualunque sostanza, diventa in Kant una psicologia in senso ridotto e propriamente moderno; diventa cioè analitica delle facoltà umane, trascendentalizzazione di un solo essere empirico, riduzione di tutto l’empirico a immagine di un solo trascendentale. È il programma della Critica della ragion pura. L’immagine stessa, da questione cosmologica, diviene in ultima analisi questione psicologica, unico dispositivo interiore attraverso cui mettere in prospettiva l’unico universo esteriore, anziché struttura dell’accadere del reale e struttura coestensiva all’insieme paradossale dei punti del reale. È quanto ci consente di comprendere con esattezza, di converso, le ragioni della costante polemica di Bergson contro Kant,22 così come le ragioni del suo altrettanto costante dialogo con Leibniz.23 In entrambi i casi si tratta per Bergson di difendere la prospettiva di un monismo fondamentale, un monismo il cui alfiere è esattamente il Plotino di questo corso, il pensatore dell’anima coestesa al reale. Attraverso Plotino, Bergson può fondare un suo peculiare monismo: monismo non della materia ma delle immagini, che in un certo senso valgono per Bergson come la ‘vera’ 22 Cfr. per esempio la dichiarazione quasi programmatica nell’Introduzione dell’Evoluzione creatrice, in Œuvres, cit., p. 492. 23 Dal corso giovanile che Bergson dedica all’opuscolo leibniziano De rerum originatione radicali (ora in Annales bergsoniennes, vol. III, PUF, Paris 2007) a un testo degli ultimi anni come Il possibile e il reale, tutto intessuto di rimandi a Leibniz (Le possible et le réel, in Œuvres, cit., pp. 1331-1345).

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materia contro la materia del materialismo che altri chiamavano ‘volgare’. Vera e propria materia dell’universo è solo questa diafana, ventosa sostanza immaginale, che fa sì che ogni cosa si muti in ogni cosa o che, più semplicemente, ‘è’ il fatto che ogni cosa è ogni altra cosa in una singolare prospettiva. Infinite eppure ogni volta uniche, infinitamente comunicanti le une con le altre eppure ogni volta assolutamente solitarie, queste immagini o per meglio dire questa immagine è la soglia sulla quale l’universo accade continuamente ed è continuamente già accaduto, si mette continuamente in immagine di sé e si scopre continuamente, a partire da lì, già immaginato.

Ragione Non è senza motivo, naturalmente, che Kant prende questa strada. Kant vuole fondare la ragione umana difendendola dall’ipotesi propriamente folle di un cosmo leibniziano che si interpreta da ogni luogo e che fa proliferare le ragioni di ogni cosa riconoscendo in ogni cosa una ragione esattamente equivalente a ogni altra ragione (è per questa via che si va, in Leibniz, dal principio degli indiscernibili al principio di ragione). I sogni deliranti di Swedenborg, il mistico svedese che Kant combatte in un celebre scritto che è un vero e proprio manifesto del suo criticismo,24 sono infatti una forma non di psicosi, non di delirio sregolato e insensato, ma di regolatissimo razionalismo, di iperrazionalismo letteralmente leibniziano. 24

I. Kant, I sogni di un visionario, chiariti con i sogni della metafisica, tr. it. Rizzoli, Milano 1982.

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Che ogni cosa abbia una ragione significa infatti che ogni cosa sia il principio di una messa in immagine integrale del cosmo a partire da sé, e che ogni cosa dia ragione di sé attraverso l’universo che essa stessa ha messo in immagine a partire da sé e come immagine di sé. L’umanismo di Kant deve per forza di cose ridurre il sogno di questo iperrazionalismo onnidirezionale, se vuole mettere l’uomo al centro dell’universo e fondare la ragione come autonoma ragione umana. L’anima, in altri termini, non deve essere coestensiva al reale, a meno di non esporsi al pericolo che – intanto che l’uomo giudica la natura facendone un proprio oggetto – anche il filo d’erba esprima l’uomo facendone un oggetto tutto suo, e altrettanto ‘vero’. Il criticismo kantiano richiede che la terza ipostasi di Plotino torni a essere la terza ipostasi, che l’Uno torni a essere saldamente al vertice della gerarchia, che la verità sia unica anche se infinitamente rinviata in avanti o all’indietro. Nei termini del Cours di Bergson, bisogna che Plotino regredisca verso Platone, che lo sforzo di razionalizzazione che il plotinismo svolge rispetto al perdurante dualismo platonico tra sensibile e soprasensibile retroceda di fronte alla necessità ‘ideologica’ del dualismo e di istituire un punto di vista privilegiato sull’universo, che dica una volta per tutte la verità dell’universo, genitivo esclusivamente oggettivo. Pensare invece una verità dell’universo, una ragione dell’universo, genitivo rigorosamente soggettivo, è il compito che Bergson riassegna alla filosofia attraverso Plotino e attraverso la specifica lettura di Plotino che aYda a questo corso di lezioni.

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Nota di traduzione della curatrice

La traduzione italiana che di seguito presentiamo è la prima in tale lingua e si basa sul testo originale francese pubblicato in: Henri Bergson, Cours IV. Cours sur la philosophie grecque, édité par Henri Hude. Contributions de Françoise Vinel, PUF (Epimethée), Paris 2000, pp. 17-75. Rispetto al testo pubblicato in francese e accompagnato da note a opera del curatore Hude sono state significativamente aumentate le note sui testi di Plotino menzionati o citati da Bergson e, seppure molto sobriamente, sono stati indicati i punti sia di convergenza sia di diVerenza dell’approccio bergsoniano rispetto agli odierni studi plotiniani. Inoltre, per facilitare il reperimento dei testi plotiniani, si è adottata sempre un’indicazione completa di essi, comprendente l’ordine del trattato all’interno delle Enneadi, la sua collocazione cronologica tra parentesi quadre, il titolo del trattato, l’indicazione del capitolo e anche delle linee (la lineazione è generalmente assente nelle note del curatore francese), per esempio: Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, 1-11.

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Tra parentesi uncinate è invece indicato il numero di pagina nel manoscritto francese, ad esempio p. . Con [N.d.C.] si intende una nota del curatore dell’edizione francese H. Hude. Tra pantesi quadre nella traduzione italiana sono indicati completamenti che rendono più chiara la lettura del testo. Si è voluto mantenere in italiano lo stile delle lezioni orali tenute da H. Bergson. Dopo la traduzione è fornita la lista dei

trattati secondo l’ordine tematico dell’edizione di Porfirio, mentre tra parentesi quadre è indicata la loro collocazione cronologica. Ivi inoltre è stato approntato un indice dei passi plotiniani menzionati o citati. Ci tengo a ringraziare il Dott. Davide Del Forno per aver riletto la mia traduzione dal francese all’italiano nonché il collega e amico Rocco Ronchi con cui abbiamo organizzato il Convegno internazionale Bergson e Plotino: Che cos’è il vivente e che cos’è l’essere umano?, tenutosi presso l’Università dell’Aquila il 29-30 aprile 2015 e che si è rivelato fonte d’ispirazione per il presente lavoro. Angela Longo

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Corso su Plotino1

I – Vita di Plotino Plotino è un Greco, ispirato solo dai Greci.2 Vale la pena verificare se lo studio della sua vita confermi questa impressione, che si ricava dalla lettura dei suoi scritti. 1 Per la possibile datazione di tale corso di H. Bergson si veda la nota 310 all’inizio della Postfazione. 2 Si tratta di un punto su cui Bergson ha avuto esitazioni. Il corso di Clermont-Ferrand, vol, IV, p. 147, opta per l’influenza del cristianesimo; il corso al Liceo Henri IV, p. 146, ms. pp. 192-117, opta piuttosto per l’influenza del giudaismo; questo corso all’École normale supérieure sostiene al contrario la tesi dell’autarchia ellenica; l’ultima posizione di Bergson su tale punto si trova ne Le due fonti della morale e della religione, p. 1161: «La filosofia di Plotino, alla quale questo sviluppo perviene, e che deve tanto ad Aristotele quanto a Platone, è incontestabilmente mistica. Se essa ha subito l’influenza della filosofia orientale, molto vivace nel mondo alessandrino, fu all’insaputa di Plotino stesso, che ha creduto di non fare altro che condensare tutta la filosofia greca, per opporla proprio alle dottrine straniere» [NdC]. Qui e altrove traduciamo, segnalandole, delle note del curatore riguardanti Bergson, poiché in esse sono messi in luce i punti in comune tra la dottrina personale del filosofo francese e i suoi corsi. H. Hude cita dalle Œuvres di Bergson in originale francese quali sono state pubblicate nell’Édition du Centenaire, PUF, Paris 1959. Di H. Hude si veda anche: Les cours de Bergson, in Bergson. Naissance d’une philosophie. Actes du colloque de Clermont-Ferrand 17 et 18 novembre 1989, PUF, Paris 1990, pp. 23-42.

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La fonte pressoché unica è la Vita di Plotino di Porfirio.3 Ad essa bisogna aggiungere alcune informazioni, molto succinte, di Eunapio: Vite dei sofisti (ed. Boissonade, 1824),4 qualche cenno in Eudosso.5 Le informazioni fornite da Porfirio devono essere prese per buone, tranne per la loro espressione esagerata. Infatti, in quel periodo, si esagerava nell’uso di epiteti che esprimevano ammirazione, e Plotino esercitava fascino su quanti lo circondavano. Il nome di Plotino è latino: egli appartiene senza dubbio a una famiglia romana stabilitasi in Egitto. Dovette nascere nel 209 d.C.6 Sprezzante degli aspetti materiali dell’esistenza, non volle parlare della sua nascita né della sua famiglia né della sua patria, e non permetteva nem3 Ricordiamo che la Vita di Plotino precede i suoi trattati nell’edizione curata da Porfirio, com’era uso nell’antichità di far precedere una biografia dell’autore al testo delle sue opere. 4 Eunapio è un autore che visse tra la metà del IV sec. d.C. e l’inizio del V. Egli menziona sei volte Plotino, soprattutto in relazione a Porfirio, cfr. Eunape De Sardes, Vies de philosophes et de sophistes, éd. par R. Goulet, tom. II, Les Belles Lettres, Paris 2014, p. 6, 4-10; p. 8, 2 e 17; p. 9, 11 e 13. 5 Contrariamente a quanto indicato dal curatore, non può trattarsi di Eudosso di Cnido, astronomo che visse molti secoli prima di Plotino (ovvero nel IV sec. a.C.). Non c’è, a mia conoscenza, un Eudosso a cui potrebbe riferirsi qui Bergson. 6 In realtà ora si colloca l’anno di nascita di Plotino al 205 d.C. in conformità agli studi più dettagliati e recenti circa la cronologia della vita e delle opere di Plotino, per cui si vedano R. Goulet, Le systhème chronologique de la “Vie de Plotin”, in Porphyre, La Vie de Plotin. Travaux préliminaires et index grec complet par L. Brisson, M.-O. Goulet-Cazé, R. Goulet, D. O’ Brien, tom. I, Vrin, Paris 1982, pp. 187-227, in particolare la tavola a p. 213; e L. Brisson, Plotin: Une biographie, in Porphyre, La Vie de Plotin. Études d’introduction, texte grec et traduction française, commentaire, notes complémentaires, bibliographie par L. Brisson et al., Vrin, Paris 1992, pp. 1-29, in particolare le tavole alle pp. 8, 13 e 26. I due volumi si segnalano inoltre per importanti articoli su vari aspetti dell’opera porfiriana in questione. Per una sintesi biografica si veda alla fine del presente volume la Vita di Plotino.

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meno che si facesse il suo ritratto. Secondo Eunapio, il luogo di nascita sarebbe Lico, e gli altri due [Porfirio ed Eudosso] lo chiamano «cittadino di Lico» senza che si possa sapere se si tratti di Licopoli in Tessaglia.7 Questo particolare non è di grande importanza. Giunse ad Alessandria per studiare; all’età di 28 anni si dedicò solo alla filosofia. È allora che fu presentato ad Ammonio Sacca; fino a quel momento aveva seguito, senza esserne soddisfatto, tutte le scuole [di filosofia]. A partire da quel giorno, seguì Ammonio con fervore. Quali erano tali scuole? Verso la metà del III secolo Alessandria era, da gran tempo, la sede di un ampio movimento scientifico. Vi si coltivavano le scienze esatte e, soprattutto, le scienze erudite. Un gran numero di commentatori vi era sorto, in particolare per Platone e Aristotele. Inoltre, durante tutto il periodo [di dominio] di Roma, dei filosofi vi rappresentavano pressappoco tutte le antiche scuole greche. Era un’epoca di erudizione e di eclettismo. Si insegnano persino le dottrine di Eraclito e di Pitagora. Il terreno era quindi favorevole allo sbocciare di un sistema che avrebbe riunito tutte le idee principali della filosofia greca.8 È certo che un tale insegnamento, squisitamente greco, ebbe un’influenza decisiva su Plotino. Ma bisogna 7

In realtà Plotino è nato a Licopoli in Egitto, oggi Asyu¯ t.. Questa tesi sintetica chiarisce la comprensione che Bergson ha della filosofia greca. Essa permette di precisare il senso della sua attenzione a Plotino: non soltanto attenzione a un autore particolare, bensì all’autore totale che condensa in sé e racchiude tutta la filosofia greca. Dopo aver così ridotto l’infinita varietà storica a qualcosa di determinato e finito, Bergson uscirà dalla semplice erudizione e formulerà un giudizio critico e netto non soltanto sulla filosofia greca ma su tutti coloro che, in tempi meno lontani, non hanno «fatto altro che ripetere Plotino» (Mélanges, p. 1076), [NdC]. 8

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menzionare ancora le altre fonti a cui egli ha potuto attingere. Anzitutto la filosofia giudaico-alessandrina rappresentata da Filone. Plotino ha letto Filone?9 Non si può provarlo. In ogni caso egli conosce uno dei discepoli di Filone, il neo-pitagorico Numenio.10 Porfirio protesta contro coloro che pretendono che Plotino abbia saccheggiato Numenio, il che prova che l’aveva letto. Filone ha potuto essere conosciuto da Plotino tramite la mediazione di Numenio. Filone aveva realizzato la fusione del platonismo e della tradizione giudaica. Per quanto ci riguarda, indicheremo alcune analogie tra Filone e Plotino. Filone ha parlato di un Dio superiore alla scienza, krei` tton th` " ej pisthv mh". Egli ha collocato immediatamente al di sotto [di esso] il mondo delle idee, che ha racchiuso – è vero – in un logos. Il problema sarà quello di sapere se tali idee hanno lo stesso senso [che in Plotino]. Forse la somiglianza è solo esteriore. Forse Plotino deve a Filone solo dei suggerimenti. In fin dei conti non c’è niente in Plotino di comune con Filone che non possa essere stato attinto da Platone. D’altro canto bisogna segnalare una dottrina importante proveniente dalla Siria, la gnosi, commistione di dogmatica cristiana, di mitologia orientale e di speculazione greca, tutta una teoria di emanazioni successive

9 Trattasi di un interrogativo ancora aperto tra gli studiosi plotiniani, che si dividono appunto tra quelli che sostengono una conoscenza diretta di Filone da parte di Plotino e quelli che ne sostengono solo una conoscenza indiretta. Per un sintetico quadro della questione e i dovuti rimandi bibliografici si veda F. Calabi, Filone di Alessandria, Carocci, Roma 2013, in particolare Filone e la tradizione platonica pagana, pp. 157-161. 10 Trattasi di Numenio di Apamea, della seconda metà del II sec. d.C.

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della divinità, che divenne ben presto un’eresia nell’ambito del cristianesimo. Il nono libro della II Enneade11 è una confutazione degli Gnostici, e una confutazione secca, che non lascia [spazio ad] alcun punto in comune. Resta la dottrina cristiana di Clemente12 e Origene.13 Non ce n’è pressoché traccia in Plotino. È verosimile che del cristianesimo non abbia conosciuto che lo gnosticismo. Così fu la filosofia greca, da un lato, e la filosofia religiosa giudaico-alessandrina e gnostica [dall’altro lato] che verosimilmente egli conobbe e studiò all’inizio. Nessuna di queste forme [di filosofia] – dice Porfirio – riuscì a trattenerlo, solo vi riuscì Ammonio. Chi era costui? Sappiamo poco sul suo conto. Plotino non lo ha menzionato né indicato neppure una volta. Ammonio non aveva messo niente per iscritto. Possediamo solo due testimonianze sulla sua dottrina: 1. Quella di Nemesio,14 vescovo del V secolo (Peri fuvsew" aj nqrwv pou) che ha trasmesso due serie di opinioni di Ammonio. 11 Trattasi di Enneade II 9 [33] Contro gli Gnostici. Qui e di seguito indichiamo tra parentesi quadre la collocazione cronologica del trattato plotiniano all’interno dei 54 trattati editi in ordine tematico da Porfirio. 12 Si tratta di Clemente Alessandrino (I e II sec. d.C.), che fu tra i primi Padri della Chiesa che iniziarono a conciliare cultura pagana e messaggio cristiano. 13 Bergson si riferisce al prolifico autore cristiano Origene Alessandrino (I e II sec. d.C.), detto Adamanzio; mentre sembra ignorare la querelle, sorta dal XVII sec., circa l’identità dell’Origene, discepolo di Ammonio Sacca. Se cioè si tratti del suddetto autore cristiano o di un oscuro personaggio. Per un succinto status quaestionis con rimandi bibliografici si veda la voce Origène le Platonicien (n. 41) in Dictionnaire des Philosophes Antiques, publié sous la direction de R. Goulet, vol. IV (de Labeo à Ovidius), CNRS Éditions, Paris 2005, pp. 804-807. 14 Trattasi di Nemesio di Emesa.

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2. Quella di un neo-platonico del V secolo, Ierocle,15 in un frammento del suo trattato sulla provvidenza. Ciò che Nemesio ci ha conservato sono gli «sviluppi» di Ammonio a proposito dell’immortalità e dei rapporti dell’anima con il corpo. In primo luogo egli [Ammonio] avrebbe insegnato che l’anima è indispensabile al corpo, dato che il corpo, essendo esposto a mille vicissitudini, composto com’è di elementi molteplici e pronti a dissolversi, ha bisogno di un principio che lo tenga unito, sunev con ti (p. 29).16 È l’espressione usata da Aristotele, in questo non vi è niente di nuovo. In secondo luogo (p. 56)17 viene detto che l’anima, quando smette di ragionare (logivzesqai), per volgersi all’intuizione, entra nel nou`". Aggiunge che essa è unita al corpo come la luce del sole è unita all’aria. Non è l’anima a essere nel corpo, bensì il corpo ad essere nell’anima. Si tratta di teorie che ritroveremo identiche in Plotino non solo nel contenuto, ma anche nella forma. Bisognerà dunque ammettere che Plotino abbia preso in prestito da lui non solo delle idee di primaria importanza, ma anche le stesse espressioni di cui Ammonio si serviva, e questo senza farne menzione, egli che ama tanto citare.18 15

Trattasi di Ierocle d’Alessandria. Non sappiamo dire alla paginazione di quale edizione dell’opera di Nemesio stia rimandando Bergson. Nell’edizione ora corrente del De natura hominis a opera di M. Morani, troviamo le due menzioni di Ammonio con le relative dottrine alle seguenti pagine: Nemesius, De natura hominis, ed. M. Morani, Teubner, Leipzig 1987, p. 17, 17; p. 39, 16. 17 Si veda la nota precedente. 18 A onor del vero, Plotino enuncia continuamente le tesi di filosofi precedenti, ma molto raramente menziona i nomi degli autori di dette tesi. La sua prospettiva vuole infatti essere di disamina critica delle varie tesi in sé e per sé e di riuso dialettico delle stesse più che di confronto con i singoli autori che hanno prodotto dette tesi. 16

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Ma tale trattato è stato scritto più di due secoli dopo Ammonio, che non aveva scritto nulla. Nemesio dunque non ha potuto conoscere con una tale precisione le idee di Ammonio se non nel caso in cui qualche discepolo immediato di Ammonio abbia preso nota delle sue parole. Bisognerebbe che a quest’epoca sia esistito un resoconto scritto delle idee di questo filosofo. Ora, però, si può essere certi che esso non sia mai esistito. Se ci fosse stata un’esposizione di tal fatta, avrebbe avuto una tale importanza, contenendo le idee fondamentali della filosofia alessandrina, che sarebbe stata citata soprattutto sia da Plotino sia da qualcuno dei filosofi di Alessandria. Ora, non è questo il caso. Porfirio non lo [Ammonio] menziona che una volta, di sfuggita, e proprio nella Vita di Plotino.19 Né Giamblico né Proclo20 l’hanno mai menzionato. Non si può quindi ammettere l’esistenza di una tale esposizione. Ma si può andare più lontano. Ci sono ragioni probanti per credere che Ammonio non abbia mai sostenuto alcuna delle idee che rivestono un ruolo importante in Plotino. Plotino non è stato il solo allievo di Ammonio, anche Longino21 lo è stato. Se Plotino avesse accolto immutate alcune idee importanti di Ammonio, a maggior ragione un pensatore mediocre come Longino ne avrebbe conservato traccia. Invece in una lettera dello stesso Longino a Porfirio, Longino dichiara che, nonostante la propria ammi19 Porfirio, Vita di Plotino (d’ora in poi VP), cap. 3, 11. Per la Vita di Plotino come per i passi dalle Enneadi plotiniane citiamo da o rimandiamo all’edizione: Plotinus, Opera, ed. P. Henry et H.-R. Schwyzer, t. I-III, O.C.T., Clarendon Press-Oxford University Press, Oxford 1964-1983 (nota come editio minor). 20 Noti filosofi platonici della tarda antichità rispettivamente del III-IV sec. d.C. e del V sec. d.C. 21 Trattasi del retore contemporaneo di Plotino, III sec. d.C.

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razione per Plotino, non ne condivide le teorie (Vita di Plotino, cap. 19).22 E, al cap. 21,23 Longino dice che Plotino ha un modo tutto suo di fare filosofia. La verità sembra essere che il testo di Nemesio non fornisca garanzie [di aYdabilità]. Le opinioni e le espressioni attribuite ad Ammonio sono state tratte da Plotino o da qualche alessandrino che citava Plotino. Nel momento in cui una tradizione fece di Ammonio il fondatore della Scuola, dato che era stato seguito da Plotino, fu naturale andare a cercare le idee di Ammonio presso coloro che avevano fama di essere suoi discepoli. In secondo luogo il testo di Ierocle è stato conservato da Fozio, patriarca di Costantinopoli nel IX secolo (ed. Bekker, p. 171 e 460, Trattato di Ierocle sulla Provvidenza). Questa testimonianza, per il suo carattere più indeterminato, suscita meno sospetti. «Ammonio ha fornito il principio che serve di criterio comune a tutte le opinioni condivise da Plotino, da Origene, da Porfirio, da Giamblico e da Plutarco,24 ovvero che la verità sulla natura delle cose è interamente contenuta nella dottrina, purificata, di Platone, ejn th/`Plavtwno" . Fino a lui [Ammonio] i Platonici e i Peripatetici esageravano i motivi di contrasto tra i due sistemi,25 e tali discussioni continuarono fino ad Ammonio il Teodidatta».26 22 Porph., VP, cap. 19, 36-37. Per il commento ad locum di questo e degli altri passi dello scritto porfiriano in questione l’opera di riferimento è L. Brisson et al., Porphyre. La Vie de Plotin, tom. II, cit., pp. 281-284. 23 Porph., VP, cap. 21, 3-4. 24 Trattasi di Plutarco di Atene (IV-V sec. d.C.), diadoco della Scuola platonica ad Atene e maestro di Siriano, a sua volta maestro di Proclo. 25 S’intendono i sistemi filosofici di Platone e di Aristotele. 26 ‘Teodidatta’ è un soprannome di Ammonio Sacca, maestro di Plotino.

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Sembra quindi che per la tradizione Ammonio sia restato il grande conciliatore dei sistemi di Platone e di Aristotele. Quanto alla purificazione [scil. della dottrina platonica] di cui si parla qui, non sappiamo cosa dire. Se Ammonio dimostrava l’accordo dei due filosofi, era certo interpretando Platone in un determinato modo. Osserviamo che tale fusione interna si trova in Plotino, e che anzi, da un punto di vista esteriore, la sua somiglianza con Aristotele colpisce molto di più di quella con Platone. Kirchner27 è arrivato a dire che Plotino è un neo-aristotelico e non un neo-platonico. Si tratta di un’esagerazione e di un errore, ma bisogna trarne l’idea che c’è in Plotino una fusione dei due filosofi [Platone ed Aristotele]. In tal caso ciò che Plotino avrebbe ripreso dal suo maestro [Ammonio] sarebbe stato unicamente tale metodo di fusione, l’idea che Aristotele e Platone in fondo erano in accordo, in una parola la fiducia in una filosofia che resta sostanzialmente sempre la stessa, insegnata inizialmente dai primi filosofi, poi da Platone in modo consapevole, poi – un po’ sfigurata – da Aristotele. Questa interpretazione è confermata dall’unica testimonianza di Porfirio: «Plotino portava nelle sue ricerche lo spirito di Ammonio» (Vita di Plotino, cap. 14),28 dopo aver detto: «Le dottrine degli Stoici e dei Peripatetici sono nascostamente mescolate negli scritti di Plotino; la metafisica di Aristotele vi è spesso utilizzata». Non abbiamo dunque alcun motivo di attribuire ad Ammonio le grandi idee della filosofia di Plotino. Sembra diYcile vedere in lui il creatore della filosofia alessan27 28

Vedi nota 78. Porph., VP, cap. 14, 4-6.

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drina. La verità sembra essere stata che è a tale scuola che si formò lo spirito di Plotino. Per dieci anni si accontentò d’impartire oralmente il puro e semplice insegnamento di Ammonio. Tale dottrina aveva un legame più intimo che un metodo esteriore con quella delle Enneadi? Il silenzio di Plotino, di Porfirio e degli altri ci induce a pensare che l’ideatore della dottrina nelle sue tesi generali sia Plotino. Ciò che ha potuto prendere altrove è una materia che egli ha lavorato. La sua originalità consiste nell’aver fatto un grande sforzo di concentrazione interiore, che non poteva essere preso in prestito da altri. Aveva trentanove anni quando seguì l’imperatore Gordiano contro i Persiani, al fine di studiare la filosofia della Persia e dell’India. Non poté farlo e [allontanatosi] da Gordiano, non senza diYcoltà, [riparò] ad Antiochia.29 Si pone il problema di sapere come egli abbia potuto conoscere le filosofie dell’Oriente propriamente detto, dalle quali – secondo alcuni – avrebbe tanto attinto. L’Oriente può intendersi della Persia, o dell’India, o infine dello stesso Egitto. Ora, circa l’India, non vi viene fatta alcun’allusione nelle Enneadi e niente autorizza a credere che egli abbia conosciuto alcunché di quelle dottrine. Circa la Persia, ebbe la curiosità di andarvi; ma non vi giunse; e niente ci permette di supporre che nella stessa Alessandria abbia preso conoscenza della filosofia persiana. Ora non si trova traccia presso di lui di emanazione: egli combatte persino tale teoria presso gli Gnostici.

29 Il curatore nota che il manoscritto qui è difettoso, da qui le nostre due integrazioni a senso. Ricordiamo che Gordiano era perito in un attentato in Mesopotamia.

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Restava l’Egitto. Niente prova che egli abbia approfondito i monumenti della sapienza egizia. Una volta si menziona l’Egitto, Enneadi V 8.6:30 in tale testo si fa allusione al sistema di simboli egizio e ai caratteri geroglifici. Egli si limita a dire che gli Egizi hanno trovato il modo di raYgurare le cose invece che designare soltanto i suoni. Quest’allusione non ha carattere filosofico, tranne [per] un termine sul quale bisogna tornare. Bisognerà dunque ammettere un influsso orientale su Plotino solo se si distingue presso di lui qualcosa che non si spieghi né tramite la filosofia greca né tramite le origini di Plotino. C’è un testo sull’Egitto, V 8.6: I saggi del popolo egizio, o per aver ricevuto la cosa da una scienza esatta o da qualche istinto innato, a proposito delle cose che volevano comunicare, appaiono saggi soprattutto per il fatto di non essersi accontentati di adottare le lettere che seguono da vicino i termini e i discorsi, né che imitano i suoni e gli enunciati delle opinioni, ma, avendo disegnato delle immagini e avendo inciso una singola immagine per ciascuna singola cosa nei loro templi, hanno mostrato in tal modo la composizione di ciascuna di dette immagini. Avviene così che ogni immagine sia anche una certa scienza e una certa sapienza, e una sapienza che si trova sottostante a tale incisione e che è raccolta e che non è né scienza discorsiva né riflessione.

30 Enneade V 8 [31] Sul bello intelligibile, cap. 6, 1-9; la citazione è riportata da Bergson poco dopo. Per tale trattato giova segnalare: Plotin, Traité 31 Sur la Beauté intelligible. Introduction, traduction, commentaires et notes par A.-L. Darras-Worms, Vrin, Paris 2018.

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Si tratta di geroglifici puramente ideografici. Plotino aVerma che in essi vi è una maniera profonda di esprimersi, indicando le idee. Si trattava d’intuizione, non di riflessione: la sapienza era raccolta immediatamente sotto le parole. Ma non si tratta qui di credenze egizie, bensì solo del loro sistema di simboli. Non sembra dunque verosimile che Plotino abbia subito un influsso di questo genere. Così, presso di lui, non si dà traccia alcuna di un’influenza esterna a quella greca. Se lo studio della sua filosofia ci induce a credere che tutto presso di lui si spieghi tramite la filosofia greca precedente o tramite la sua propria genialità, diremo che egli è un filosofo autenticamente greco. Al massimo avrà subito l’influsso dell’ambiente nel suo stile un po’ trascurato e prolisso. Al suo ritorno dall’Asia giunse a stabilirsi a Roma, a quarant’anni. Aprì una scuola e il suo insegnamento ebbe un successo considerevole. Sarebbe motivo di curiosità soVermarsi su questo periodo, studiare il contesto in cui la sua filosofia si sviluppò pienamente, vedere l’entusiasmo che egli suscitò e anche l’influsso che esercitò, in particolare su alcune donne, come le due Gemina di cui parla Porfirio.31 Secondo Porfirio32 l’imperatore Gallieno e sua moglie Salonina l’ammiravano talmente che avevano in animo di far ricostruire per lui una città in rovina della Campania, aYnché egli la governasse, sotto il nome di ‘Platonopolis’in conformità alle Leggi di Platone. La cosa non si realizzò, secondo Porfirio,33 a causa dell’invidia di membri 31 32

Cfr. Porph., VP, cap. 9, 2-3. Cfr. ivi, cap. 12, 1-8. L’imperatore Gallieno regnò dal 253 al 268 d.C.

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della corte [imperiale]. Hegel (Storia della filosofia, III sec.) al contrario li elogia per il loro buon senso. L’influenza di Plotino ha dovuto essere notevole. Porfirio riporta vari aneddoti. Rogaliano,34 un senatore, avendo seguito le sue lezioni, si distaccò talmente dalle cose della vita, che rinunciò ai suoi beni, servitori e cariche, e non mangiò che un giorno su due – cosa che lo fece guarire dalla gotta. Due personaggi risaltano nella cerchia di Plotino, Amelio e Porfirio. Amelio era originario dell’Etruria. Desiderava essere chiamato Amerio (un gioco di parole sul nome Ameriv j a consente di evocare il carattere indiviso della natura divina, mentre il nome ‘Amelio’ evoca la negligenza, ajmeliva).35 Giunto a Roma nel 246, si legò a Plotino e visse in stretto contatto con lui per ventitré anni. Scrisse quaranta libri contro lo gnostico Zostriano, dietro incitamento di Plotino. Fu lui anche a difendere Plotino contro quanti pretendevano che si fosse appropriato delle idee del neo-pitagorico Numenio (prova questa che Plotino conosceva Numenio e, tramite lui, Filone).36 Questo Amelio sembra essere stato uno spirito mediocre, un discepolo passivo e diligente. Porfirio è un filosofo. Nella sua biografia di Plotino ci dà dei particolari su se stesso. Si dichiara originario di Tiro.37 S. Gerolamo lo considera nativo di Balanea in Siria, 33

Cfr. ivi, cap. 12, 9-12. Cfr. ivi, cap. 7, 31-46. 35 Cfr. ivi, cap. 7, 2-5. 36 Si veda su Filone quanto Bergson aveva detto precedentemente (p. ). Tra uncini, qui e altrove, si indica la pagina del manoscritto secondo la numerazione riportata da H. Hude e qui riprodotta. 37 Porph., VP, cap. 7, 50. 34

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ma la sua [di Porfirio] testimonianza è preferibile. Egli dichiara di chiamarsi Malco, che in siriaco significa ‘re’. Fu Amelio 38 a tradurre questo termine in ‘Porfirio’.39 Giunse a Roma verso il 254 e si legò a Plotino. Nessuno sembra aver compreso altrettanto bene Plotino. Per sei anni visse con lui. Ci è giunto di lui, tra gli altri, un piccolo trattato che riunisce dei commenti ad alcuni passi delle Enneadi, ajformai;pro;" ta nohta.vSi troverà in esso un’esposizione concisa dei principali punti [dottrinali] di Plotino, che è di una penetrazione straordinaria. Porfirio era uno spirito poco originale, ma capace di penetrare molto profondamente nel pensiero altrui. Nella sua [di Plotino] scuola si leggevano delle opere di Platonici e di Peripatetici. Dopo tale lettura e una breve meditazione Plotino esponeva le proprie riflessioni. Si discuteva molto e Plotino si esprimeva con eloquenza, ma senza correttezza [rispetto alla lingua greca]. È a partire da tali incontri su argomenti molto vari che certamente venne fuori poco a poco la dottrina di Plotino. Durante dieci anni non fece che sviluppare le idee di Ammonio, ovvero molto probabilmente commentare Platone e Aristotele per conciliarli. Solo a cinquant’anni cominciò a scrivere. E scrisse come parlava, sulle prime questioni che si presentavano. Così egli compose, secondo Porfirio, cinquantaquattro trattati. Ci è pervenuto tutto ciò che egli provava.40 38

Per un refuso nel testo pubblicato c’è invece che . Cfr. Porph., VP, cap. 17, 6-10. 40 Benché la grafia non sia molto leggibile, il manoscritto sembra proprio avere: «Tout ce qu’il éprouvait». O c’è un lapsus per «tout ce qu’il écrivait» [«tutto ciò che scriveva»] oppure si tratta proprio di quello che pensava Bergson; oppure è un lapsus rivelatore [NdC]. 39

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Non soltanto Plotino suscitò ammirazione, ma apparve alla sua cerchia come un essere soprannaturale. Con molta probabilità egli portava nelle cose pratiche la stessa profondità che nei suoi scritti. Porfirio gli attribuisce ciò che noi chiamiamo ‘vista duplice’: lettura del pensiero. Avendo Porfirio pensato al suicidio, Plotino lo indovinò e gli ordinò [di compiere] un viaggio, cosa che lo fece guarire. Porfirio gli attribuisce perfino il potere di rompere gli incantesimi della magia. Un sacerdote egizio gli propose di evocare un demone, e fu un dio ad apparire; in eVetti era un dio a stargli vicino. Invitato ad andare a un sacrificio, disse: «Spetta agli dèi venire da me».41 Non fa oggetto di dubbio che Plotino si sia sentito a contatto con il divino. Ha sperimentato l’estasi. Nei sei anni in cui Porfirio era con lui Plotino non la sperimentò che quattro volte. Le ultime parole di Plotino furono: «Mi sforzo di riunire ciò che di divino c’è in me con ciò che di divino è nell’universo».42

II – Opera e bibliografia di Plotino

1. Opere di Plotino. Le Enneadi Porfirio informa che Plotino si accingeva a scrivere dopo aver lungamente meditato e scriveva senza interrompersi né rileggersi. Il suo stile ha le caratteristiche precipue di un grande scrittore. Porfirio e Longino gli hanno reso omag41 42

Porph., VP, cap. 10, 35-36. Ivi, cap. 2, 26-27.

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gio. Porfirio, Vita di Plotino, § 14:43 «Nel suo stile è stato conciso, ricco di idee, breve e più abbondante in pensieri che in parole, nella maggior parte dei casi ispirato e tale da esprimersi con passione». Longino, ibid., § 19, fine:44 Circa il suo stile di scrittura e circa la moltitudine compressa dei pensieri di quest’uomo e circa il carattere filosofico dell’attitudine delle sue ricerche, personalmente lo ammiro in modo straordinario e lo apprezzo, e penso che coloro che si danno alla ricerca debbano annoverare i suoi libri tra quelli più degni di attenzione.45

Questo nel complesso. Ma per quanto riguarda il dettaglio è sciatto. La sintassi è del tutto scorretta. Il filo del discorso manca di continuità. Ci sono delle frasi incastrate tra loro. È uno stile impressionistico. Eunapio, Vita dei sofisti, p. 9, dice che Plotino si distingue per il carattere enigmatico dei suoi discorsi, che è faticoso e diYcile.46 Si spiegano in tal modo le diYcoltà del testo. Porfirio ne fu l’editore, almeno principalmente. Il medico di Plotino, Eustochio, da parte sua, aveva raccolto i suoi scritti in un ordine un po’ diverso. In alcuni manoscritti di Plotino è menzionata in un punto una diversa distribuzione dei temi che si attribuiva ad Eustochio: la tradizione si era così conservata.47 Noi possediamo solo l’edizione di Porfirio. Se43

Ivi, cap. 14, 1-3. Ivi, cap. 19, 36-41. 45 Qui finisce la citazione, mancano nel testo pubblicato le virgolette di chiusura della citazione. 46 Si Tratta di Eun., Vitae, p. 9, 12-14 Goulet (si veda supra la nota 4). 47 Per Eustochio cfr. Porph., VP, cap. 7, 8-12. Per una diversa raccolta da lui realizzata degli scritti di Plotino si vedano in proposito gli studi di L. Brisson, Une 44

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condo lui, Plotino aveva lasciato cinquantaquattro trattati di cui trasmette l’ordine cronologico di redazione.48 Invece di conservarlo, seguì l’esempio fornito da Andronico per Aristotele e Teofrasto, raggruppò insieme i libri dagli argomenti simili.49 Costituì dei gruppi nei quali procedette dal più facile al più diYcile, nonché, in generale, dal più corto al più lungo. Costituì così sei gruppi di nove, e fu soddisfatto di ottenere così due numeri perfetti.50 In realtà, ci mise del suo, perché è verosimile che a tal fine egli isolò alcuni capitoli da alcuni trattati. Per esempio, il nono trattato del I volume, Sul suicidio,51 è molto corto ed è stato molto probabilmente staccato da un altro trattato; o ancora,52 VI, breve indice senza importanza.53 Ci sono talora due o tre libri consecutivi dallo stesso titolo e in continuità [tematica]. È verosimile che fu Porfirio ad operare queste divisioni. Esempio: IV Enneade, 3, 4 e 5.54 Infine è certo vero che la I Enneade è soprattutto di contenuto morale; le II e III soprattutto sulla natura; che la IV tratta dell’anima; la V del-

édition d’Eustochius, in L. Brisson et al., Porphyre. La Vie de Plotin, tom. II, cit., pp. 6569; e di M.-O- Goulet-Cazé, Remarques sur l’édition d’Eustochius, ibid., pp. 71-76. 48 Cfr. Porph., VP, capp. 4-6. 49 Cfr. ivi, cap. 24, 5-11. 50 Ovvero il sei e il nove. 51 Si tratta di Enneade I 9 [16] Sul suicidio, che in effetti conta solo 19 linee nell’edizione di Henry e Schwyzer. Bergson qui esprime un punto importante, riconosciuto ormai ampiamente, cioè la presenza di importanti interventi editoriali di Porfirio nella configurazione di singoli trattati o di gruppi di trattati plotiniani. 52 Il curatore avverte che i termini «altro» (di poco precedente) e «ancora» non si trovano nel manoscritto. 53 Se il testo pubblicato è corretto, è difficile pensare a quale dei nove trattati della VI Enneade faccia qui riferimento Bergson, visto che sono tutti alquanto corposi e importanti. 54 Si tratta di Enneade IV 3-5 [27-29] Sui problemi dell’anima. Libri I-III, ricordiamo anche il caso di Enneade VI 1-3 [42-44] Sui generi di ciò che è. Libri I-III.

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l’intelligenza e dell’intelligibile; la VI dell’Uno e delle categorie dell’essere. Ma questa distinzione è lungi dall’essere rigorosa. Non c’è pressoché nessun trattato importante in cui non si trovi più o meno tutto intero il suo sistema. In sintesi, il modo di classificare di Porfirio è arbitrario. E inoltre Porfirio ha lasciato una lista dei trattati in un ordine forse cronologico.55 Solo Kirchhof è tornato a questo presunto ordine cronologico.56 Müller57 e Volkmann58 sono tornati all’ordine [tematico] delle Enneadi. Ci sono delle ragioni [per questa scelta], probabilmente: 1. L’ordine cronologico è senza interesse. Non c’è traccia di uno sviluppo in Plotino.59 Il motivo di ciò è senz’altro il fatto che egli abbia scritto tardi. 2. Aggiungo che l’ordine forse non è cronologico. Por55

Cfr. Porph., VP, capp. 4-6. Si veda la nota 65. Ricordiamo invece che, ai nostri giorni, è in corso la pubblicazione di tutti i trattati plotiniani in ordine cronologico nella collana iniziata da Pierre Hadot nel 1987 con il trattato 38 (Plotin, Traité 38. Introduction, traduction, commentaire et notes par P. Hadot, Les Éditions du Cerf, Paris 1987). Nel frattempo è stata pubblicata per intero, sempre in Francia, una nuova traduzione con note di tutti i trattati plotiniani in ordine cronologico in: Plotin, Traités 1-54 et Porphyre, Vie de Plotin, tom. I-IX, sous la direction de L. Brisson et J.-F. Pradeau, GF-Flammarion, Paris 2002-2010. Si ritiene infatti che l’ordine cronologico, oltre che ripristinare lo stato delle cose prima dell’intervento editoriale tematico di Porfirio, permetta di cogliere legami tra trattati scritti nello stesso periodo che altrimenti sfuggirebbero. 57 Plotinus, Enneades, ed. H. F. Müller, vol. I-II, Weidmann, Berlin 1878-1880. 58 Plotinus, Enneades, ed. R. Volkmann, vol. I-II, Teubner, Leipzig 1883-1884. 59 Giudizio a lungo condiviso dagli studiosi, ma forse eccessivo. Si vedano recentemente i lavori di J.-M. Narbonne: Les écrits de Plotin, genre littéraire et développement de l’oeuvre, in «Laval philosophique et théologique», 64 (2008), pp. 627-640; J.-M. Narbonne, Introduction, in Plotin, Oeuvres complètes. Tome 1, volume 1. Introduction par J.-M. Narbonne avec la collaboration de M. Achard. Traité 1 (I 6), Sur le Beau. Texte établi par L. Ferroni, introduit, traduit et annoté par M. Achard et J.-M. Narbonne, Les Belles Lettres, Paris 2012, pp. XXXV-LX. 56

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firio dice semplicemente che ventuno trattati erano già scritti quando egli giunse da Plotino, e ne fornisce la lista. Aggiunse che compose ventiquattro libri quando egli era presso di lui e li menziona. Infine gli altri nove trattati furono composti dopo la partenza di Porfirio. È molto verosimile, ma non certo, che questa lista sia cronologica.

2. Bibliografia Il testo di Plotino ci è pervenuto in pessimo stato. I manoscritti sono abbastanza numerosi, ma coperti di errori. Nessuno risale a prima del XIII secolo e parecchi sono molto posteriori. Müller ha descritto trentanove manoscritti di Plotino e dichiara che appena un sesto merita una certa considerazione (cfr. Müller, Hermès, t. 14, 1879). Il migliore è il Mediceus A.60 La prima edizione è quella di Basilea, 1580.61 Un secolo prima aveva fatto la sua comparsa la traduzione latina di Marsilio Ficino,62 con un commento utilizzato da tutti gli editori successivi. Il commento consiste soprattutto in confronti con i successori di Plotino. L’edizione di Basilea è

60 È il manoscritto Laurentianus 87.3 del XIII sec. Per una succinta descrizione dei codici delle Enneadi e dei loro raggruppamenti in famiglie si veda la Praefatio nel I vol. dell’editio minor di Henry e Schwyzer, pp. V-X (si veda supra la nota 19). Ha dedicato ampi e dettagliati studi alla tradizione manoscritta plotiniana P. Henry in: Études plotiniennes I. Les États du texte de Plotin, Desclée de Brouwer – L’Édition universelle, Paris-Bruxelles 1938 (altera editio 1960); Études plotiniennes II. Les Manuscrits des Ennéades, Desclée de Brouwer – L’Édition universelle, Paris-Bruxelles 1941 (altera editio 1948). 61 Plotinus, Operum philosophicorum libri LIV nunc primum Graece editi, ad Perneam lecythum, Basilea 1580. 62 Ficinus Marsilius, Plotini opera. Latina interpretatio, Florentiae 1492.

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stata ristampata nel 1615. Il testo era molto difettoso e, per così dire, illeggibile. L’edizione seguente è quella di Oxford, 1835, Plotini Opera Omnia, di Kreuzer e Moser,63 dalla tipografia splendida. Il testo è molto difettoso. L’edizione è stata realizzata con la più grande superficialità ed è piena di errori di stampa. Vi è riprodotta la traduzione di Ficino, e il suo commento vi è adattato. In seguito Parigi 1855, con la traduzione latina di Ficino, editore Dubner nella collana «Didot».64 Essa riproduce a un dipresso la precedente, ma l’interpunzione è curata. L’editore seguente, KirchhoV, che è severo verso le precedenti [edizioni], realizzò la propria edizione del 1855 nella collana «Teubner».65 È il primo testo accettabile che sia stato dato di Plotino. Presenta un raggruppamento secondo l’ordine [cronologico] indicato da Porfirio nella Vita di Plotino. Nel 1876, apparve una serie di osservazioni importanti di Vitringa,66 che sono state utilizzate dalle edizioni seguenti. Hermann Friederich Müller, 1878, Werdman.67 Testo davvero buono, stabilito sulla base di una classificazione metodica di manoscritti.

63 Plotinus, Opera omnia, ed. G.H. Moser, F. Creuzer, tom. I-III, Typographeum Academicum, Oxford 1835. 64 Plotinus, Opera omnia, iterum ed. F. Creuzer, G.H. Moser, Didot, Paris 1855. 65 Plotinus, Opera (secundum ordinem chronologicum), ed. A. Kirchhoff, tom. I-II, Teubner, Leipzig 1856. 66 A.J. Vitringa, Annotationes criticae in Plotini Enneadum partem priorem (secundum ordinem chronologicum), Deventer 1876. 67 Si veda la nota 57; nel testo pubblicato «Werdman» deve essere un refuso per «Weidmann».

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Infine Volkmann, 1883, Teubner.68 Il testo è vicino a quello di Müller, ma mostra più prudenza nel rigettare le glosse supposte da Müller. È l’edizione migliore. Citiamo le edizioni separate dei libri peri tou kalou`, I 6; peri tou nohtou kavllou"; Contro gli Gnostici, II 9.69 Esiste una traduzione francese di Bouillet, 1857-1861, in tre volumi,70 con commenti e note – in gran parte di Marsilio Ficino. È meno una traduzione che non una parafrasi. In tedesco, Engelhardt, traduttore della seconda Enneade.71 Traduzione completa ad opera di Müller, 1878-1880, Berlino,72 il primo volume è migliore del secondo. In inglese, Taylor73 ha tradotto degli estratti da Plotino. Nel 1840, Steinhart, Melitèmata plotiniana.74 1845, Simon, Histoire de l’École d’Alexandrie.75 1837-1846, Ravaisson, La Métaphysique d’Aristote.76 1846, Vacherot, Histoire critique de l’École d’Alexandrie. Lavoro notevole, benché un po’ vago. Inoltre, idea pre68

Si veda la nota 58. Si tratta rispettivamente di Enneade I 6 [1] Sul bello; Enneade V 8 [31] Sul bello intelligibile; Enneade II 9 [33] Contro gli Gnostici. 70 Plotin, Ennéades, traduites pour la première fois en français par M.-N. Bouillet, tom. I-III, Hachette, Paris 1857-1861. 71 Plotinus, Die Enneaden, übers. von J.G.V. Engelhardt, Erlangen, 1820. 72 Si veda la nota 57. 73 T. Taylor, Select Works of Plotinus, and Extracts from the Treatise of Synesius on Providence. With an Introduction containing the substance of Porphyry’s Life of Plotinus, 1818. 74 D.C. Steinhart, Melitèmata plotiniana, Halle 1840. 75 J. Simon, Histoire de l’École d’Alexandrie, Paris, 1845. 76 F. Ravaisson, Essai sur la métaphysique d’Aristote, tom. I-II., Imprimerie Royale, Paris 1837-1846. 69

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concetta sulle origini orientali e filoniane delle idee di Plotino.77 1854, Kirchner, Die Philosophie des Plotin.78 Lavoro completo, ma che sembra realizzato parzialmente a priori e seguendo il metodo hegeliano di ricostruzione. 1858-1859 e 1895, articoli del Sig. Lévêque,79 nel Journal des Savants, a proposito di Bouillet, poi di Chaignet. Zeller, Philosophie des Grecs, III parte, 2a sezione, seconda metà.80 Mediocre. 1864-1867, Richter, Neoplatonische Studien, Halle.81 Lavoro coscienzioso d’analisi. 1875, Von Kleist, La critique du matérialisme par Plotin. Dello stesso autore, Plotinische Studien, Heidelberg, 1883.82 1893, Chaignet, Psychologie des Grecs, t. IV.83 Senza parlare dei lavori specialistici sui libri sul bello e contro gli Gnostici. .

77 É. Vacherot, Histoire critique de l’École d’Alexandrie, Librairie philosophique De Ladrange, Paris 1846. 78 C.H. Kirchner, Die Philosophie des Plotin, H. W. Schmidt, Halle 1854. 79 Trattasi di Eugène Lévêque. 80 E. Zeller, La Philosophie des Grecs considérée dans son développement historique, traduite de l’Allemand par É. Boutroux, tom. III, Hachette, Paris 1877. 81 A. Richter, Neu-Platonische Studien, Darstellung des Lebens und der Philosophie des Plotin, tom. I-V, Halle, 1864-1867. 82 H. Von Kleist, Plotinische Studien. Studien zur IV. Enneade, tom. I, G. Weiss, Heidelberg 1883. 83 A. Ed. Chaignet, Psychologie des Grecs, tom. IV, Hachette, Paris 1893.

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III – La dottrina di Plotino. Il posto che vi occupa la teoria dell’anima

Plotino, giunto ad Alessandria nel III secolo della nostra era, in un’epoca di eclettismo intellettuale e di moralismo vago, pagano di religione, greco di spirito, profondamente attaccato alla cultura classica e, in fondo, pieno di disprezzo per le importazioni dall’Oriente, fu naturalmente indotto ad opporre a una tale invasione straniera le forze riunite della filosofia greca nella sua interezza, non procedendo per giustapposizioni, ma scavando così profondamente al di sotto di queste idee che egli fece zampillare la fonte stessa da cui tali idee erano scaturite. Sarebbe interessante seguire questa filosofia nella lotta con il cristianesimo, soprattutto domandarsi perché questa filosofia e questa religione che avevano tanti punti in comune si ritrovarono sùbito nemiche in modo inconciliabile, e perché fu la filosofia a soccombere. Bisognerebbe anche ricercare come questa religione, dopo aver trionfato sulla filosofia, l’assorbì, e ne conservò il meglio (S. Basilio,84 Agostino85), e come tale pensiero, per tale via, sia diventato qualcosa di molto importante nel pensiero moderno. Personalmente mi limiterò a studiare la filosofia di Plotino in se stessa, nella sua parte centrale, la teoria dell’anima, ovvero al tempo stesso la teoria dell’anima individuale e di quella universale. Il corso mostrerà che si tratta davvero del centro di tale filosofia. Tuttavia, dato che non c’è una monografia consacrata a detta teoria, sarà utile 84 85

Trattasi di Basilio di Cesarea (329/330-379 d.C.). Agostino d’Ippona (354-430 d.C.).

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esporla e, secondo il metodo di Plotino, iniziare da una esposizione complessiva provvisoria e schematica della dottrina plotiniana. Il punto di partenza della dialettica di Platone era stato il vedere le contraddizioni di cui le cose materiali sono teatro, Repubblica, VII.86 Il filosofo di fronte alle contraddizioni presentate dalla materia è indotto a riflettere, e giunge a dire che le cose che noi percepiamo non sono che delle apparenze, che il reale deve essere cercato nelle idee immutabili. Plotino sembra essere stato impressionato soprattutto dalle contraddizioni delle cose umane (Enneadi, III).87

86 Com’è noto, nel VII libro della Repubblica, dopo l’immagine della caverna, il personaggio di Socrate passa a considerare quali discipline possano formare i filosofi-governanti. Egli introdurrà quindi le scienze matematiche – a partire dall’aritmetica – per poi giungere alla dialettica quale fastigio di tutti i saperi e compimento del percorso formativo in questione. Proprio nell’introdurre la necessità, per il filosofo, dello studio dell’aritmetica, Socrate esprime il criterio per cui si tratta di portare l’attenzione dell’anima umana su ciò che, tra i molti dati forniti dalla sensazione, presenta contraddizioni e richiede l’intervento di un ragionamento, il quale guidi verso la verità. Il fine è quello di distogliere le energie dell’anima dal mondo del divenire e dall’esercizio delle mere capacità sensoriali per indirizzarle al mondo intelligibile e all’esercizio del ragionamento in sé. In tale contesto Socrate, a partire dall’esempio delle tre dita (pollice, indice, medio), considera come il tatto possa indicare una stessa cosa come dura e molle, pesante e leggera; come – a sua volta – la vista possa percepire confusamente e insieme il grande e piccolo, l’uno e il molteplice. Gli oggetti sensibili appaiono pertanto come portatori di caratteristiche contrarie e solo l’indagine della ragione, interrogandosi su cosa sia in sé ciascuna di dette proprietà, potrà distinguere tra l’una e l’altra e far emergere la verità, non contraddittoria, dalla confusione dei dati sensoriali (cfr. Plat., Rep. VII, 523a10-525a3). 87 Qui Bergson appare riferirsi in particolare ai trattati plotiniani 47 e 48, ovvero Enneade III, 2-3 Sulla Provvidenza, in cui sono tematizzate le lotte intestine sia al genere umano sia all’universo intero, che appare come il grande teatro di destini particolari in opposizione tra loro. Al di là di tali lotte nondimeno si dà, per Plotino, un’unità profonda che altro non è se non la conformità del mondo sensibile all’unità armonica dell’Intelletto.

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Le cose che noi consideriamo serie o persino tragiche, guerre, ecc., tutto ciò è un gioco infantile, una celia. Non è l’uomo interiore, bensì l’ombra dell’uomo che si abbandona quaggiù ai lamenti e ai gemiti. Prova ne è la regolarità stessa del male fisico, ritmato in una danza pirrica. Non dovremmo lasciarci commuovere più che a teatro dalle urla degli attori. Noi siamo spettatori. Bisogna capire ciascun attore, seguire le linee del mondo in tutte le articolazioni. L’analisi, tramite la quale la dialettica platonica inizia, consiste nel risolvere il reale in qualità, la cui mescolanza genera proprio delle contraddizioni. Secondo Plotino tale analisi arriva a degli esseri viventi, VI Enneade.88 Una pietra deve essere rimessa nella terra, e vedremo che la terra è un essere animato, e parimenti ogni elemento. Che cos’è un essere vivente? Un microcosmo ordinato come il mondo. È diviso, ma è tutto in ogni parte. Attraversa delle fasi, in cui ciascuna è implicita nell’altra. C’è bisogno quindi di un principio che riunisca tale molteplicità: è il lovgo" ejn spevrmati, la ragione generante. Il logos è meno di un’idea, poiché lavora, più di una cosa, poiché una cosa [sensibile] è inerte. È una «funzione», un’idea che si muove, un pensiero in movimento. 88 Il curatore rimanda a Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul Bene, cap. 11. Ricordiamo che il curatore di solito non fornisce l’indicazione delle linee pertinenti, tale indicazione qui e altrove è costantemente nostra. Osserviamo che, in particolare alle ll. 17-36 di tale testo, Plotino indaga come la terra di quaggiù (cioè del nostro universo sensibile) possa avere vita e spiega che ciò dipende dalla ragione generatrice della terra, la quale le conferisce la vita lavorandola dall’interno. Il contesto è quello di un parallelo tra il mondo sensibile e quello intelligibile per cui alla terra sensibile corrisponde la sua ragione demiurgica nel mondo intelligibile. Per questo trattato plotiniano resta fondamentale l’opera di Hadot: Plotin, Traité 38, cit.

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Consideriamo allora tutti gli esseri viventi costituiti da questo lavoro delle ragioni generatrici. Ciascuno di essi manifesta un logos e, a causa di ciò, un certo amore della vita. Da qui l’egoismo e la lotta. Ma, nel mentre che tutti gli esseri viventi lottano tra loro, noi assistiamo anche ad un concerto. Un’armonia di fondo si rivela. AYanco ai logoi particolari, c’è un logos universale del corpo del mondo nella sua interezza. Prove: 1. – Se l’astrologia può predire gli eventi celesti, non è a causa dell’influsso degli astri sui singoli destini, ma perché esiste una tale complicità di tutte le cose per cui ogni congiuntura o assenza di congiuntura ha la sua ripercussione da un’altra parte. L’astrologia rivela l’armonia fondamentale di tutte le cose. 2. La magia, mezzo di azione a distanza, che produce alcune modificazioni della materia. 3. L’amore, che ha qualcosa di un mago. Le aYnità reali delle cose, che si rivelano nella magia, si rivelano anche nell’amore. E anche nella musica. Quindi c’è un’armonia di tutte le cose e un logos universale. Ma come spiegare l’accordo dei logoi particolari con la ragione del tutto? Questo punto è stato risolto male dalla maggior parte degli interpreti. Limitiamoci per il momento a constatare tale accordo. Inoltre bisogna considerare tali ragioni individuali come poste sullo stesso piano della ragione universale, coordinate ad essa, emanate da essa. È opportuno considerare il punto a cui tendono questi logoi. Queste ragioni finiscono per modellare dei corpi viventi, ovvero dei sistemi di forze o di qualità organizzate tra loro. Più il logos lavora, più si divide. Depone sempre

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più le forme che conservava unite in sé e si distende anche nello spazio e nel tempo. Ciò che in esso era indiviso si srotola e così costituisce dei corpi e degli esseri viventi. Qual è il suo punto di partenza? Il lavoro è [...].89 Conseguentemente il suo punto di partenza è un’idea che non lavora, un’idea platonica. Solo, per Plotino, l’idea rappresenta un oggetto individuale. Dunque sono le idee immobili che troviamo all’altra estremità del logos. In alto le idee, in basso i corpi; teso tra i due termini, il fascio dei fasci di idee direttrici. Tuttavia non ci troviamo ancora né alla base né in cima. Se ci si rappresenta la realtà come un cono, dice Plotino, le idee sono una sezione più vicina alla punta del cono, le forme una sezione più vicina alla base. Le forme esigono un sostegno, una materia, anzitutto per spiegare la loro azione reciproca, poi per spiegare il loro decadimento progressivo: infatti, dato che la forma agisce, essa decade. Non bisogna provare a definire la materia, sarebbe darle una forma; ed essa è, per ipotesi, ciò che non ha forma. È un fantasma che mente in tutto ciò che pretende di essere, è la privazione di ogni forma, di ogni legame, l’infinito, a[ peiron. Bisogna da ciò concludere davvero che c’è un principio realmente distinto dalla forma, che si mescola ad essa? No. Infatti tale espressione, la materia, è del tutto provvisoria. Possiamo immaginarla come l’esaurimento stesso delle ragioni via via che si allontanano dal loro punto di partenza. Un cono di luce divergente s’immerge nell’oscurità: è un modo per dire che i raggi divergenti non smettono di indebolirsi. La materia è un limite cui non si giunge mai.

89 Il curatore segnala la lacuna di una parola e propone di colmarla con il termine «decadimento» («déchéance»), che apparirà poco dopo nel testo.

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Risaliamo ora all’altro termine, alle Idee,90 essenze immobili. Le Idee sono molto più che non le ragioni stesse, poiché non si trovano né nello spazio né nel tempo: esse sono fuse le une nelle altre e si rappresentano le une le altre. Nondimeno esiste un’Idea che è più di ogni altra la rappresentazione dell’insieme, come un logos universale: è il nou`". Tale Idea non è nella sostanza distinta dalle altre, sotto di essa si coordinano le altre. Né è ancora la pura unità: contiene una molteplicità. Al di sopra vi era dunque l’unità pura. Come definirla? Non le si può assegnare alcun nome che ne sia degno. È superiore ad ogni determinazione. Messa a confronto con l’essere, essa è più che essere; è più che pensiero. Se le Idee sono cause degli oggetti, essa è causa di causa. Se bisogna nominarla, [la nominiamo] to e{n, to au[tarke", to; prw` ton, to uJ pev rtaton.91 Ma essa è ancora l’a[ peiron. Eccoci tra l’infinito che è meno che essere e l’infinito più che essere. È tra questi due infiniti che è tesa la catena delle esistenze. Al vertice, ciò che è più che luce; poi il punto luminoso, unità di un punto che brilla, ma che avvolge tutti i raggi luminosi che divergono; infine tutti questi raggi che divergono sempre più, vanno a perdersi nell’oscurità. Tali sono le tre ipostasi. L’Uno. Poniamolo e si pone tutto il nou` ". Non si può porre l’Uno senza porre una contemplazione dell’Uno, o{rasi". Le Idee sono altrettante visioni dell’Uno. Ma questa molteplicità delle Idee è eterna 90 Abbiamo fedelmente riprodotto l’uso delle maiuscole e delle minuscole quale si trova nel testo pubblicato per termini come «idea/Idea», «uno/Uno», «intelletto/Intelletto» e simili. 91 Rispettivamente: «l’uno», «ciò che basta a se stesso», «il primo», «il sommo».

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ed indivisibile. Sopraggiunge allora la rifrazione di tutto ciò nello spazio e nel tempo. Questa terza ipostasi è l’anima. L’anima è una mescolanza.92 Noi diremmo che c’è dapprima l’idea, poi la ragione, poi la forma, poi la materia.93 L’anima è Idea al suo vertice, è nell’Idea e può tornarvi; essa è logos nel mezzo, forma e persino materia alla base. Prendiamo in considerazione l’Idea per eccellenza, il nou` ". Se assumiamo l’intelligibile, con ciò assumiamo l’intelligibile ultimo, che lavora per distensione. Si tratterà dell’anima del mondo. È il pensiero stesso che ha sovrabbondato, che ha straripato esso stesso come per distrazione. Allora tale anima del mondo giunge a produrre il corpo del mondo, ovvero a tratteggiare i possibili corpi viventi. Ma allora ognuna delle Idee particolari, che contiene a sua volta virtualmente un’anima, va a prolungarsi tramite il suo logos verso il corpo, che la ragione universale le ha in tal modo preparato. Ognuna delle anime particolari contenuta in ciascuna idea particolare, accorgendosi del corpo che il logos universale ha soltanto abbozzato a sua immagine, è attratta da tale immagine. E, sedotta dall’idea di essere qualcosa di separato dal tutto nello spazio e nel tempo, si lascia cadere. Da qui la caduta. 92 Il termine rimanda a quello greco di mivxi". Quest’ultimo compare quasi una trentina di volte nei trattati plotiniani e indica il processo di mescolanza o anche il suo risultato in quanto entità mista a partire da componenti eterogenee. Qui Bergson parla dell’anima come mixis, potendo attualizzarsi in essa – secondo le varie situazioni – livelli diversi di realtà che vanno dall’Idea alla materia. 93 In modo estremamente schematico ricordiamo che la gerarchia discendente delle realtà è per Plotino costituita da: Uno, Intelletto (Idee), Anima, ragioni produttive (logoi), mondo sensibile, materia.

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L’anima è presa allora nel corpo, in questa grande fantasmagoria che è il mondo materiale. Essa prende sul serio tale fantasmagoria. Potrà sempre rivenire a Dio che è suo padre. Ma più spesso essa prende per reale ciò che non è che l’ombra del reale e diventa attrice nel dramma che si recita sotto i nostri occhi. Siamo quindi tornati al nostro punto di partenza. Sappiamo come si producono le ipostasi. Vorrei ora eliminare dalla dottrina di Plotino delle idee che propriamente non le appartengono. Anzitutto, alle due estremità, abbiamo l’Uno superiore all’essenza e al pensiero, e la materia inferiore all’una e all’altro. Si può rinvenire in ciò un’esasperazione dei due principi di Aristotele, forma e materia, quest’ultima essendo diventata meno che potenza. Allo stesso modo si è potuto avvicinare l’Uno di Plotino all’Uno di Platone, e la sua natura è analoga al principio indefinito di cui parla Platone. La somiglianza è evidente quando si considerino tali principi in stato di quiete; molto meno, quando si consideri il percorso che va dall’uno all’altro. Siamo qui in presenza di un’irradiazione davvero particolare. Eliminiamo tuttavia questi due termini. Restano i logoi e le Idee. I logoi assomigliano a quelli degli Stoici, gli eide– a quelli di Platone. Ma la diVerenza è grande, soprattutto nel passaggio dall’uno all’altro. I logoi degli Stoici sono immanenti alla materia, non derivano da un principio trascendente. Le Idee di Platone rappresentano i generi. Al contrario i logoi di Plotino non sono che i prolungamenti delle Idee, e le Idee stesse , essendo individuali, sono tutte pronte a rivivere nei logoi. Quindi ciò che propriamente appartiene a Plotino è il pas-

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saggio, lo sforzo per aVrancarsi dal dualismo latente presso i suoi predecessori. Se noi prendiamo le Idee e l’Uno, abbiamo il mondo intelligibile di Platone e di Aristotele; e al di sotto c’è il mondo sensibile. Plotino vuole derivare un mondo dall’altro, passare dall’eidos al logos, dal Noûs alla psyche–. In questo consiste la sua grande originalità. E com’è giunto a rappresentarsi tale passaggio? Il mondo materiale è il mondo dell’azione e della produzione, il mondo delle Idee è quello della contemplazione. Il punto allora è: come si passa dalla speculazione all’azione? Da ciò che è fuori dello spazio e del tempo a ciò che si distende e corrompe? Plotino ha risolto la questione in termini psicologici, cercando di rendere puramente analitico il passaggio dall’intelligibile al sensibile, riconducendolo a un semplice indebolimento. Considerate la III Enneade,94 in cui dichiara che l’azione e la produzione non sono altro che un indebolimento della speculazione. Agire, per colui che agisce, significa indebolire il proprio pensiero, essere disteso. Come il geometra disegna una figura per distrazione mentre pensa con intensità, così la pura contemplazione s’indebolisce in azione. Ecco quindi quel che è capitale nell’idea d’irradiazione, che egli ha in seguito provato ad applicare a tutte le transizioni tra le ipostasi. La sua idea è ancora più psicologica. Quest’idea non è una semplice tesi a cui se ne possano opporre altre: è un fatto, una constatazione.

94 Come segnalato dal curatore H. Hude, si tratta di Enneade III 8 [30] Sulla natura e visione e uno, cap. 4, 39-40: «In ogni caso appunto troveremo che la produzione e l’azione sono o un indebolimento di visione o qualcosa che si accompagna ad esso ». «Visione» sta per the¯oria in Bergson.

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Nella IV Enneade95 descrive lo stato in cui [egli] si trova allorché, risvegliandosi dal corpo, torna in sé, e allora ha visione di un mondo meravigliosamente bello, in confronto al quale il resto era un sogno. Il corpo è sonno. E l’azione, di cui il corpo è strumento, è proprio una diminuzione di contemplazione; è lo spirito che dorme. L’estasi non è che il prolungamento di un tale stato molto più scientifico che consiste nel passare dalla sfera dell’anima a quella dell’intelligibile. Il suo metodo metafisico è l’introspezione profonda, che consiste nell’andare oltre delle idee grazie a un richiamo profondo a una simpatia tra la nostra anima e la totalità del reale. L’estasi è una delle forme di tale simpatia, non la sola.96 Al di sotto vi è lo sforzo tramite il quale l’anima s’innalza al nou` " e, secondo VI 7,97 ben più al di sotto [vi è] 95 Come segnala il curatore, si tratta di Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, 1-11. Segnaliamo un’ampia spiegazione del passo, come di tutto il trattato, in Plotino, La discesa dell’anima nei corpi (Enn. IV 8 [6]). Plotiniana arabica (Pseudo-Teologia di Aristotele, capitoli 1 e 7; Detti del Sapiente greco), a cura di C. D’ancona, Il Poligrafo, Padova 2003, in particolare pp. 131-137 per il passo in questione. 96 Già in precedenza (p. ) Bergson aveva parlato della simpatia tra le cose colta dall’astrologia, sfruttata dalla magia, espressa nell’amore e nella musica. 97 Dovrebbe trattarsi di Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul Bene, in cui – nei capitoli 31-35 – si descrive l’ascesa dell’anima umana dalle cose sensibili all’Intelletto e infine al Bene. In particolare nel cap. 31 si parla dello sforzo che l’anima compie nel distaccarsi anche dalle bellezze di quaggiù, in quanto esse sono comunque immerse nella carne e nei corpi e, quindi, come contaminate da essi. Tuttavia, a onor del vero, ivi non si fa esplicitamente menzione né della materia né dello stato di anoia («assenza di pensiero») in cui l’anima deve trovarsi per concepire detta materia. Nemmeno il curatore del resto rimanda a un testo plotiniano. Da parte nostra suggeriamo che Bergson sia passato tacitamente a riferirsi a un altro luogo delle Enneadi dedicato appunto al modo in cui l’anima può, oscuramente, concepire la materia. Si tratta di Enneade II 4 [12] Sulla materia, cap. 10, ove si parla dell’anima che, quando si rappresenta la materia, non pensa ed è come in uno stato di anoia (l. 8), che è il termine greco menzionato qui da Bergson. È come se l’anima diventasse un tutt’uno con ciò che vede (l. 17), ovvero la materia assolutamente priva di ragione. Si tratta cioè di un pro-

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uno stato del tutto speciale al quale si deve arrivare se ci si vuole rappresentare la materia. Non si può pensarla, ma ci si può disporre in uno stato di a[noia, che consiste in una simpatia con ciò che nella realtà è davvero non-essere. Ci sono dunque molteplici attitudini dell’anima che cerca di coincidere con ciò che non è propriamente pensiero. Il metodo plotiniano è dunque psicologico. E a partire da qui è naturale che la sua attenzione sia stata captata, più ancora di quella di Aristotele, dalla psicologia, dalla vita dell’anima.98 Plotino considera la massima di Socrate come scientificamente [...].99 Ci dice, VI,100 che l’anima rappresenta il cesso inverso e speculare rispetto alla fusione dell’anima con il sommo Bene descritto in Enneade VI 7. Del resto il termine anoia ha una sola occorrenza in tutta la VI Enneade, in un contesto che non ha nulla a che vedere né con la materia né con il modo di concepirla da parte di un’anima (cfr. VI 7, cap. 29, 24). 98 È probabile che qui Bergson si riferisca al fatto che il trattato aristotelico Sull’anima, lungi dall’essere di argomento metafisico, è per la maggior parte una trattazione di taglio fisico-biologico con ristrette aperture alla dimensione pensante dell’anima (per tali aperture cfr. Arist., De an. III, 3-5). 99 Il curatore segnala qui la lacuna di una parola. Si può pensare d’integrarla con il termine «valida» o simili. Ci si riferisce alla massima «Conosci te stesso», che a rigore è un oracolo di Apollo di Delfi, ma che Socrate fa senz’altro propria come risulta da Platone, Alcibiade I, 130e8-9 («Dunque ordina che noi conosciamo l’anima colui che ordina [scil. Apollo Delfico] di conoscere se stessi»). 100 La massima «Conosci te stesso» è citata da Plotino una sola volta nei suoi trattati, all’interno di Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul Bene, cap. 41, 22. Nel passo si sostiene che il Bene (sommo principio) non ha bisogno di conoscere se stesso, in quanto perfetta semplicità, mentre l’autoconoscenza si applica alle ipostasi ad esso inferiori, ovvero all’Intelletto e all’Anima, in quanto albergano al proprio interno quella molteplicità che è condizione indispensabile per pensare se stessi: si dovrà infatti distinguere tra soggetto e oggetto, e aggiungere a questi la funzione di pensare. Tuttavia, a rigore, in tale passo enneadico non si parla del fatto che l’anima rappresenti tutte le cose né che conoscere l’anima implichi conoscere tutto. È possibile che Bergson, per questa specifica tesi, abbia in mente un altro passo della VI Enneade ovvero Enneade VI 5 [23], Sul fatto che ciò che è uno e identico si trovi contemporaneamente dappertutto. Libro II, cap. 7, 8-9, in cui si sostiene che la nostra anima umana sia tutti gli enti raccolti in unità.

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tutto, che, conoscendola, si conosce tutto. I suoi successori l’hanno capito bene. In un frammento di un trattato di Giamblico all’indirizzo di Porfirio sul gnw` q seautov n, si dice che chi conosce l’anima conosce l’essenza delle cose.101 Ugualmente Proclo, nel suo Commentario all’Alcibiade,102 e anche in quello al Timeo,103 Da ciò si potrebbe ricavare in modo implicito (visto che non si trova in modo esplicito nel testo) che chi conosce l’anima (se stesso) conosca tutti gli enti. 101 In proposito il curatore osserva che si tratta in realtà di un trattato di Porfirio all’indirizzo di Giamblico, ma non fornisce alcuna indicazione testuale. Il rimando è in effetti oscuro. 102 Il curatore non trova un passo preciso da citare, ma fa riferimento alla sezione iniziale del Commentario sull’Alcibiade I di Proclo (Proclus, Sur le premier Alcibiade de Platon. Texte établi et traduit par A. P. Segonds, tom. I-II, Les Belles Lettres, Paris 1985-1986, tom. I, pp. 3-7). In tali pagine Proclo argomenta che lo scopo del dialogo platonico in questione sia la conoscenza di sé a cui Socrate intende sollecitare Alcibiade. Si può forse indicare più precisamente, all’interno di tale sezione, un passo in cui Proclo sostiene che il dio Apollo, con l’ordine impartito di conoscere se stessi, intenda dire che chi conosce se stesso può risalire verso ciò che è divino e unirsi al dio [scil. Apollo], che rivela la verità nella sua interezza (Proclo, in Alcib., I, 4, 4-14). In un altro passo dello stesso commentario Proclo spiega che l’anima umana possiede in sé tutte le ragioni [scil. principi razionali delle cose] e le scienze, ma che le ignora in quanto presa nel flusso del divenire. Tuttavia, tramite apprendimento e scoperta, l’anima può vedersi qual è, ovvero pienezza di tutte le ragioni (Proclo, in Alcib., II, 187, 11-17). Questo secondo passo mostrerebbe un’anima che contiene le cause di tutte le cose e quindi potenzialmente onnisciente, a condizione però di affrancarsi dalla dimensione del divenire e di rivolgersi verso se stessa. 103 Il curatore osserva che tale tesi non sembra esserci nel commentario di Proclo al Timeo platonico. In effetti, nell’enunciazione che ne dà Bergson, non si trova – a mia conoscenza – un testo di stretta pertinenza nell’opera procliana in questione. Qualcosa che le si può avvicinare è l’affermazione di Proclo per cui l’anima contiene in sé tutte le cose in una modalità dianoetica (ovvero di pensiero discorsivo) così come il Vivente totale contiene tutte le cose in modo intellettivo e, a sua volta, l’universo le contiene in modo sensibile (Procli Diadochi in Platonis Timaeum commentaria, ed. E. Diehl, tom. I-III, Teubner, Leipzig 1903-1096, tom. I, 448, 22 ss.). In un altro passo del commentario si dice che l’anima dell’universo contiene tutte le cose in un modo ad essa appropriato e che ha abbracciato in precedenza la causa di ogni cosa (Procl., in Timaeum II, 231, 29). Trattasi qui della nota tesi procliana per cui tutte le cose esistono a

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dice che conoscere l’anima è conoscere il tutto ed elevarsi a Dio.

IV – Plotino interprete di Platone

Parleremo del rapporto della filosofia di Plotino con le filosofie anteriori. Che Plotino abbia tratto dalle filosofie precedenti delle idee essenziali si ricava da una rapida lettura delle Enneadi. Porfirio dice che le teorie degli Stoici e dei Peripatetici sono mescolate nei suoi scritti, e che alle lezioni di Plotino si leggevano tutti i filosofi, soprattutto i commentatori di Platone.104 In secondo luogo è allo stesso modo incontestabile che la filosofia anteriore da cui fa dipendere tutte le altre è la filosofia di Platone. Kirchner105 pretende che si sia ispirato ad Aristotele ancor più che a Platone; ma riconosce che egli utitutti i vari livelli di realtà (da quelli superiori a quelli inferiori), ma in una modalità unica e appropriata a ciascuno di tali livelli. Da ciò si può ricavare – in modo implicito (come sembra aver fatto appunto Bergson) – che chi conosce l’anima conoscerà tutte le cose, nella misura in cui l’anima le contiene tutte ed è propria dell’anima la funzione conoscitiva di tipo discorsivo-scientifico. 104 Si tratta di Porph., VP, cap. 14, 4-5 e 10-14. 105 Già menzionato a p. per aver dato eccessivo peso all’influsso di Aristotele su Plotino, quindi la sua opera era stata menzionata a p. , nella rassegna bibliografica: trattasi – lo ricordiamo – di C.H. Kirchner, Die Philosophie des Plotin, Schmidt, Halle 1854, cui Bergson rimprovera un’impostazione rigidamente ideologica di hegeliana maniera. Tale studioso sarà di nuovo menzionato e criticato da Bergson nel seguito del suo corso, quando si tratterà di confutare l’idea che l’anima del mondo svolga dei ragionamenti (pp. e ) o che da essa derivi in modo diretto l’anima umana (). In tutti questi casi Bergson rimprovera a Kirchner il fatto di aver attribuito all’anima del mondo funzioni che appaiono solo al di sotto di essa, ovvero nell’anima umana individuale.

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lizza Aristotele per interpretare Platone. Del resto Plotino cita molto i filosofi greci e li sottopone costantemente a critica.106 Per quanto riguarda i primi filosofi, egli vedrebbe facilmente in essi degli uomini ispirati.107 Tuttavia rimprovera a Eraclito il fatto di aver dimenticato di essere chiaro;108 a Empedocle di aver commesso un errore grossolano sulla natura degli elementi, rendendoli materiali, cioè distruttibili;109 ad Anassagora di non aver saputo, pur avendo introdotto il nou` ", trarne profitto, dato che nel mi` gma primordiale egli pone tutte le forme e rende il noûs inutile;110 ai Pitagorici di aver reso i numeri sostanze.111 Ha attaccato Aristotele su 106 Chi ha familiarità con i testi plotiniani sa che Plotino non menziona pressoché mai i suoi predecessori, ma li cita nel senso che prende in considerazione le loro tesi per sottoporle a disamina approfondita. Infatti una delle difficoltà nell’interpretare i testi plotiniani consiste proprio nell’identificare con precisione storica l’autore o gli autori delle tesi che il filosofo discute senza menzionarne la paternità. Cfr. la nota 18. 107 Il curatore rimanda a Enneade II 9 [33] Contro gli Gnostici, cap. 6. In effetti in tale capitolo Plotino difende tutta la tradizione filosofica greca, in cui Platone occupa un posto eminente, dalle critiche ingiuste degli Gnostici, colpevoli di introdurvi novità infondate, di dare cattive interpretazioni e di ritenersi superiori agli antichi filosofi. Tuttavia ci sembra che qui Bergson si riferisca all’attitudine di stima di Plotino verso i «primi filosofi», ovvero quelli che noi siamo abituati a chiamare Presocratici, e non a tutta la filosofia greca. Tant’è vero che subito dopo fa una lista sintetica di Presocratici, menzionando Eraclito, Empedocle, Anassagora e i Pitagorici. 108 Plotino parla dell’oscurità di Eraclito (luogo comune nell’antichità a proposito di tale pensatore) in Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, come nota il curatore. Trattasi delle ll. 15-16. 109 Il curatore rimanda a Plotino, Enneade II 4 [12] Sulla materia, cap. 7. Infatti alle ll. 1-2 Plotino ricorda che Empedocle poneva gli elementi nella materia, ma contro tale tesi testimoniava la loro stessa corruttibilità (ricordiamo che per Plotino i corpi periscono, mentre la materia è impassibile). Inoltre Plotino ricorda (senza emettere giudizi) che Empedocle pone gli elementi come materia in Enneade V 1 [10] Sulle ipostasi principiali, cap. 9, 6-7. 110 Cfr. Enneade II 4 [12] Sulla materia, cap. 7, 2 ss., come indica il curatore. 111 La critica che qui Bergson dice che Plotino avrebbe rivolto ai Pitagorici è strana e non è un caso che il curatore non rinvii ad alcun testo plotiniano. In-

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tutti i punti essenziali: la teoria dell’anima entelechia, IV,112 che assimila alla teoria materialistica – la teoria delle categorie, VI, 1 –,113 la teoria del Dio (è un errore grossolano aver posto al vertice il pensiero, dato che ogni pensiero è conversione verso qualcosa [d’altro]), V.114 Allo stesso modo nel caso degli Stoici critica la loro concezione delfatti negli scritti di Plotino i Pitagorici sono raramente citati e soprattutto Plotino non mostra interesse verso l’aritmologia e l’interpretazione simbolica dei numeri, a differenza di altri platonici prima e dopo di lui. Del resto non è nemmeno evidente che i Pitagorici sostenessero che i numeri sono sostanze, poiché – se è affidabile la testimonianza di Aristotele che pure li critica – essi non consideravano i numeri come sostanze separate dai sensibili (a differenza di Platone e dei suoi seguaci), bensì come componenti immanenti alle cose sensibili (cfr. Aristotele, Metaph. M 6, 1080b16-18; 8, 1083b10-11; e N 3, 1090a22-23). 112 Si tratta di Enneade IV 7 [2], Sull’immortalità dell’anima, cap. 85 (e non del cap. 8 come indicato dal curatore), in cui Plotino critica la concezione aristotelica, ripresa sistematicamente da Alessandro di Afrodisia, dell’anima come realizzazione (entelecheia) del corpo e sua forma inseparabile. Per un commento di tale capitolo plotiniano, come del resto del trattato, ci permettiamo di rinviare a Plotin, Traité 2 (IV 7). Introduction, traduction, commentaires et notes par A. Longo, Les Éditions du Cerf, Paris 2009, pp. 195-205. 113 Il rinvio è a Enneade VI 1[42], Sui generi dell’essere. Libro I, in cui Plotino sottopone a critica una per una le categorie di Aristotele (quantità, relativi, qualità, ecc.) e, soprattutto, considera che esse siano adatte al mondo sensibile, ma non a quello intellegibile. La critica continua anche nei due trattati successivi: Enneade VI 2-3[43-44], Sui generi dell’essere. Libri II-III. Per tali scritti plotiniani si rinvia a Plotino, Enneadi VI 1-3. Introduzione, testo greco, traduzione, commento di M. Isnardi Parente, Loffredo, Napoli 1994; per la critica plotiniana alle categorie aristoteliche si veda R. Chiaradonna, Sostanza movimento analogia, Bibliopolis, Napoli 2002, in particolare pp. 15-54. 114 La polemica di Plotino naturalmente si appunta su quei passi del libro Lambda della Metafisica di Aristotele in cui si identifica il principio divino, da cui dipende l’universo, con un intelletto che pensa se stesso (Arist., Metaph. L, 7, 1072b13-30 e 9). Il curatore rinvia ad Enneade V 4 [7] Come dal primo si dia ciò che è dopo il primo e sull’Uno, tuttavia tutta la quinta Enneade mostra l’intrinseca dualità e molteplicità della seconda ipostasi, l’Intelletto. Per Plotino invece il principio supremo deve essere qualcosa di assolutamente semplice, l’Uno appunto. Per uno studio approfondito di questa tematica e dell’Enneade in questione si veda: Plotino. Il pensiero come diverso dall’Uno. Quinta Enneade. Introduzione, traduzione e commento di M. Ninci, Rusconi, Milano 2000.

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l’anima,115 la loro teoria delle categorie,116 ecc. C’è solo un filosofo contro il quale non ha mai rivolto nemmeno un’obiezione di poco conto: Platone. Platone è il filosofo divino, il maestro, colui che non c’è bisogno di menzionare quando lo si cita. Plotino pone tutte le sue idee essenziali sotto il richiamo a Platone. Gli capita persino di non riconoscere le proprie divergenze rispetto a lui, di usare sottigliezze, di dire che Platone ha nascosto il suo pensiero dietro delle immagini. All’inizio della V Enneade117 dichiara di non essere altro che l’«interprete» della filosofia platonica. Interpretare Platone e, alla luce di tale interpretazione, raccogliere quanto vi è di meglio in tutta la filosofia greca, ecco quello che Plotino ha voluto fare. Ma tale interpretazione di Platone è molto nuova e diversa da quella di Aristotele e dei suoi successori. La novità 115 Cfr. Plotino, Enneade IV 7 [2], Sull’immortalità dell’anima, soprattutto i capitoli 8-83. Tali capitoli si situano all’interno della critica plotiniana in generale contro la tesi dell’anima intesa come corpo, critica che va a toccare diffusamente gli Stoici, ma anche gli atomisti. 116 Cfr. Enneade VI 1 [42], Sui generi dell’essere. Libro I, capp. 24-30, in cui si criticano le quattro categorie stoiche: «sostrati», «quali», «trovarsi in un certo modo» «relativi». Plotino critica aspramente il materialismo stoico e l’aver invertito l’ordine della realtà nella misura in cui l’immateriale appare ad essi derivare dalla materia e non viceversa, come invece sosteneva Plotino per cui dietro a ogni sensibile c’è una causa intelligibile e ad esso superiore. 117 Il curatore cita Enneade V 1 [10] Sulle ipostasi principiali cap. 8, ll. 10-14: «questi nostri ragionamenti non sono nuovi né di oggi, ma, da un lato, sono stati enunciati anticamente, benché in modo non dispiegato, dall’altro, i nostri ragionamenti attuali risultano interpreti di quelli avendo creduto agli scritti di Platone che testimoniano che si tratta di convincimenti antichi». Ricordiamo che Plotino svolge queste considerazioni a proposito delle sue tre ipostasi, Uno Intelletto Anima, di cui intende rintracciare i precedenti in Platone e nei filosofi a lui anteriori. Inoltre per Plotino, come in genere nell’antichità, l’introdurre novità dottrinali rispetto a un patrimonio dato risultava biasimevole e infatti, in tale prospettiva, egli accusava gli Gnostici di introdurre un gran numero di novità devianti rispetto alla sana dottrina platonica (cfr. Enneade II 9 [33] Contro gli Gnostici, cap. 6, in particolare ll. 1-12).

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di detta interpretazione caratterizza l’epoca di Plotino, gli influssi posteriori al platonismo di cui ha potuto subire l’eVetto, l’idea che si è fatta in generale della filosofia greca, soprattutto la propria personale originalità. Qual è questa interpretazione? Nei dialoghi di Platone bisogna distinguere due cose: 1. – L’aspetto che ci impressiona di più è quello dialettico,118 la teoria delle Idee. Essa viene costruita interamente tramite un doppio metodo di analisi e di sintesi, soprattutto di analisi, che è la dialettica. Il filosofo prende le mosse dalle contraddizioni che osserva nella sensazione, assembramento di qualità contrarie.119 Egli separa tali qualità e, cogliendo in ciascuna l’ombra di un essere immutabile, studia tali essenze a parte, ricerca le loro aYnità, la loro parentela, la loro filiazione, ne ristabilisce l’ordine autentico, dispone le Idee in serie gerarchiche fino alla sovraessenza alla quale tutte le essenze devono la loro chiarezza e la loro esistenza.120 2. – Un secondo aspetto di questa filosofia è il mito. Ci sono spesso dei miti in Platone. Hanno una natura e un’importanza molto varie. a) Alcuni sono all’evidenza solo immagini poetiche più o meno sviluppate – per esem-

118 Il curatore segnala che qui, nel manoscritto, il termine usato non è «dialettico», bensì «didattico» (didactique). Tuttavia – a nostro avviso – ha ragione a correggere, in quanto il seguito mostra che si tratta costantemente di dialettica in quanto diversa dai miti e tale da portare alla teoria delle Idee. 119 Bergson sembra avere in mente soprattutto il VII libro della Repubblica di Platone (per cui si veda la nota 86), unitamente alla teoria dei contrari nel Fedone, 102a10-107a1. 120 Qui il riferimento è all’analogia tra il sole e il Bene, ovvero al fatto che l’Idea del Bene è al vertice di tutte le Idee, essendo causa della loro esistenza e conoscibilità, così come il sole è causa di esistenza e visibilità per i sensibili, cfr. Plat., Rep. VI, 506d2-509b10.

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pio, nel Fedro,121 gli uomini incantati dalle Muse danno vita alle cicale; o nella Repubblica, III,122 i metalli che servono a formare le anime. b) Alcuni miti già più importanti: delle allegorie che hanno facile trasposizione. Per esempio, nel Fedro,123 il paragone dell’anima a un carro tirato da due cavalli. Si tratta ancora solo di giochi d’immaginazione. Ma aYanco a tali miti incidentali nella filosofia, ve ne sono di essenziali, poiché senza di essi la filosofia di Platone sarebbe completamente diversa da quella che è. Li si riconoscerà anzitutto dalla loro estensione (Repubblica, X;124 il grande mito del Fedro,125 il mito del Fedone126); in secondo luogo dal loro tono: è più serio, più solenne, sembra che Platone voglia iniziarci a un qualche mistero; in terzo luogo, indizio meno diVuso, Platone pone i suoi miti sulla bocca di uno straniero o di un Pitagorico, o almeno ci saranno dei Pitagorici nel dialogo (l’armeno Er, Diotima, Timeo...).127

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Plat., Phaedr. 259b6-c6 (come indica il curatore). Plat., Rep. III, 415a1-c7 (come indica il curatore). 123 Plat., Phaedr. 246a3-b4 (come indica il curatore). 124 Si tratta, come specificato in seguito da Bergson, del mito di Er: Plat., Rep. X, 614b2-621b7. 125 Plat., Phaedr. 246a3-250c6: si tratta del lungo mito sulla vita dell’anima prima di precipitare in un corpo e dopo esserne uscita con la morte di esso. Le anime vi sono descritte come alate e tali da far parte degli undici cortei degli dèi capeggiati da Zeus. 126 Plat., Phaed. 107d5-114c8: è il mito del destino delle anime dopo la morte del corpo e, in tale contesto, sono fornite indicazioni di geografia ultraterrena. 127 Er è colui che racconta, come si è detto, il mito della fine della Repubblica (cfr. nota 124); Diotima è la donna di Mantinea che nel Simposio espone la dottrina di eros come motore di risalita per l’anima umana dalle bellezze sensibili al Bello in sé (Symp. 201d1-212a7); Timeo è il pitagorico che racconta della produzione dell’universo a opera del Demiurgo nell’omonimo dialogo (Tim. 29d7 ss.). 122

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Eccone i segni esteriori. Ora i segni interni, essenziali. Se si mettono a confronto tutti questi miti, si vedrà che il soggetto che ne occupa il centro è sempre l’anima e, in particolare, l’anima umana. Vi sono spesso dei dettagli cosmogonici; della teologia, ma in relazione all’anima umana. Repubblica, X,128 Er resuscitato ha visto le anime dei malvagi punite e i buoni ricompensati. Ha visto il fuso della necessità e gli otto anelli con le otto Sirene. Fedone:129 le anime degli uomini dopo la morte sono scortate ai loro rispettivi luoghi di stanza e la terra è descritta in vista dell’anima. In questi due miti si tratta del destino dell’anima dopo la morte: in altri si tratta dell’anima prima della vita [sulla terra] (Fedro:130 anime umane che vanno al seguito delle anime divine; Protagora:131 gli dèi che formano le anime mortali). Per quanto riguarda la vita vera e propria delle anime, in quanto distinta dalla contemplazione delle Idee, in quanto ha come risorse la reminiscenza e l’amore, la reminiscenza e l’amore sono ancora presenti in forma mitica: l’amore (Fedro, Simposio), la reminiscenza (Menone,132 in cui si trovano delle espressioni mitiche). Infine, nel Timeo,133 si tratta della formazione dell’anima del mondo 128

Cfr. nota 124. Cfr. nota 126. 130 Cfr. nota 125. 131 Cfr. Plat., Prot. 320c8-322d5, in realtà il mito riguarda la produzione di tutti i viventi, animali ed esseri umani, e ha un taglio politico più che metafisico o cosmogonico. 132 I cenni mitici del Menone sono quelli in cui Socrate riferisce brevemente un racconto di sacerdoti e sacerdotesse, condiviso anche dai divini poeti (vi è una citazione da Pindaro) circa ciò che l’anima vede e conosce nell’aldilà, quando è senza un corpo (Plat., Men. 81a5-e2). Da notare che anche qui Socrate preferisce porre il racconto in bocca a personaggi diversi da sé. 129

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e, simmetricamente, delle anime umane e, attorno, dei dettagli cosmogonici. Così il divenire dell’anima e , in generale, il divenire nel suo complesso, ma orientato verso quello dell’anima – ecco i temi dei miti di Platone. Ma perché Platone ha trattato tali temi sotto forma di mito? Sembra che non avesse altre forme a sua disposizione. Poiché, fuori dal mito, non aveva che la forma dialettica. Ma l’essenza della dialettica consiste proprio nell’assumere il cambiamento e nel risolverlo in forme che non cambiano. Essa è un modo statico di spiegazione: si tratta in definitiva di un’analisi. Il divenire in quanto divenire resta per definizione134 al di fuori di una spiegazione dialettica. Quindi il divenire resta escluso – e tuttavia è qualcosa; Platone non è un Eleate.135 Egli ammette la realtà del cambiamento. Il cambiamento esiste, ma non è oggetto di idea. Bisogna dunque trovare un modo di spiegazione, o piuttosto di espressione, ricalcato sul divenire, tale da partecipare anche dell’essere e del non-essere, del vero e della menzogna. In sintesi, se partiamo dalle cose, possiamo tramite la dialettica risalire alle Idee, dalle Idee inferiori a quelle superiori, e da lì al Bene. Se partiamo dal Bene per scendere alle Idee, ma soprattutto alle cose sensibili, nessuna spiegazione scientifica, per definizione, renderà conto di tale 133

Cfr. Plat., Tim. 34b10 ss. Qui e altrove traduciamo «par hypothèse» del manoscritto francese con «per definizione», poiché ci sembra essere il miglior corrispettivo, a livello di significato, nella lingua italiana. 135 Qui Bergson naturalmente allude alle negazioni dell’esistenza del movimento e del divenire in generale a opera di Parmenide e Zenone di Elea, nonché di Melisso di Samo. 134

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processo ed è a questo punto che il mito interviene. Per usare dei termini già alessandrini, provodo" e ejpistrofh,136 nella filosofia platonica, tutto quanto è conversione si spiega in termini dialettici e tutto quanto è processione in termini mitici. Tali sono i due aspetti molto diversi del platonismo. Questi due aspetti non mostrano, dal punto di vista filosofico, la stessa forza di resistenza. L’elemento dialettico si rivolge alla facoltà generale ed impersonale di produrre concetti e ragionare. Il mito alla fantasia personale di ciascuno di noi: ognuno può interpretarlo a modo suo. Esso costituisce accanto alla scienza impersonale un modo di approssimazione che ha qualcosa di soggettivo. Questi due elementi sono l’uno assolutamente stabile, l’altro instabile a seconda delle persone. La teoria delle Idee, facilmente esprimibile a parole, doveva di necessità scalzare l’altro [il mito], dalle caratteristiche molto legate agli individui. Ed è ciò che è accaduto subito. Aristotele ha immediatamente messo da parte tale elemento mitico della filosofia platonica, ed è per questo che egli non colse transizione alcuna dall’intelligibile al sensibile:137 così fece 136 Questi due termini, assenti in Platone, compaiono a più riprese negli scritti di Plotino e saranno largamente usati dai platonici della tarda antichità (V-VI sec. d.C.), che operarono nelle due sedi principali di Atene e Alessandria d’Egitto. Infatti in Plotino il termine proodos è attestato 10 volte e quello di epistroph¯e 9 volte, mentre per esempio in Proclo (V sec. d.C.) il primo termine ha più di 750 attestazioni e il secondo più di 250. Con proodos si intendeva la «processione» di enti a partire dal loro principio e con epistroph¯e il loro «rivolgersi» o ritorno a detto principio. Sono, nel mondo intelligibile, fasi atemporali e simultanee. La prima è anzitutto costitutiva degli enti, la seconda li perfeziona e – ove possibile – li rende capaci di conoscenza. 137 Questa osservazione di Bergson ci sembra particolarmente interessante nella misura in cui, contrariamente a quanto solitamente si crede anche nelle ricostruzioni di storia della filosofia, il passaggio dal mito al logos non segna

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scendere le Idee nelle cose. E tale interpretazione è rimasta quella tradizionale: Platone è rimasto anzitutto il filosofo della teoria delle Idee. C’è nella sua teoria dell’anima qualcosa che sconcerta chi presenti una spiegazione sistematica delle idee di Platone. In alcuni studi si elimina risolutamente tutto ciò che non vi concordi. Couturat138 ha detto che tutto ciò che non è la teoria delle Idee non deve essere preso sul serio. Ci furono dei filosofi che presero sul serio questi miti e posero la filosofia mitica di Platone sullo stesso piano dell’altra.139 Era naturale che ciò accadesse in un ambiente religioso in cui tutte le religioni erano in conflitto tra loro. È comprensibile che Plotino sia stato colpito dalla presentazione che Platone faceva di certe idee tutto sommato mitologiche, che vi abbia cercato una giustificazione del paganesimo e che, proprio a tal fine, abbia attribuito a tale filosofia un’importanza capitale e interpretato tutte le filosofie greche alla luce di essa. A quell’epoca la vita interiore era diventata intensa. Delle sfumature di sentimenti del tutto nuove avevano visto la luce. Si era più pronti a ricercare un sentiero del vero accanto all’idea.140 Infine l’idea di cogliere il mito per una via che non fosse la ragione non aveva più niente di sconcertante. necessariamente o solo un progresso del pensiero. Infatti non cogliere o non conservare il mito può costituire una perdita in termini di concettualità filosofica. Nel caso di Aristotele tale perdita è – agli occhi di Bergson – la mancanza di una spiegazione della produzione di enti a partire da un principio primo. 138 Come indicato dal curatore si tratta di L. Couturat, De platonicis mythis, F. Alcan, Paris 1896. 139 Ovvero della filosofia dialettica riguardante la teoria delle Idee. 140 Si intende, accanto alla via dialettica analitica.

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Nella filosofia di Plotino io vedo soprattutto lo sforzo per recuperare il platonismo nella sua integralità. Plotino accetta l’intera dialettica platonica, e anzi pone al di là delle Idee qualcosa che è più che idea e che si può raggiungere. Ma egli accetta anche la teoria platonica dell’origine delle anime, della loro discesa nel corpo, dell’amore e della reminiscenza, del destino delle anime. Come ha realizzato una tale riconciliazione dei due aspetti? Tramite un compromesso che ha reso la mitologia più dialettica e la dialettica più mitologica. 1. – Consideriamo i miti. In un passo dell’Enneade, IV 2, fine,141 Plotino ci ricorda la teoria del rapporto della yuchval nou` ", e più specificamente dell’anima in quanto situata nello spazio e nel tempo e dell’anima in quanto situata nell’intelligibile. Ed egli conclude tale presentazione dando un’interpretazione del Timeo.142

141 Enneade IV 2 [4], Sull’essenza dell’anima. Libro I, cap. 2, ll. 39-55 (come indicato dal curatore). Ricordiamo che tale trattato apre in realtà la quarta Enneade nei manoscritti, la sua collocazione incipitaria è confermata anche dal Pinax e da Porph., Vita Plotini 25, 12-15. Fu Marsilio Ficino (autore di un’importante traduzione latina dell’opera plotiniana pubblicata nel 1492) a posporlo al secondo posto nell’Enneade in questione. Nell’edizione di Henry e Schwyzer il trattato è tornato ad aprire la quarta Enneade, ma ha conservato la numerazione ficiniana di IV 2 (e non IV 1). Inoltre qui appare visibile la mano di Porfirio in quanto editore degli scritti di Plotino, nella misura in cui, per ricavare due trattati da quello che era con ogni probabilità un unico scritto, ha separato tra loro IV 1 (IV 1 [21], Sull’essenza dell’anima. Libro II, di una sola pagina) da IV 2. Lo stesso Bergson aveva menzionato all’inizio del corso (cfr. p. ) tali interventi porfiriani volti al raggiungimento di un numero di trattati plotiniani (54) tali da formare 6 gruppi di 9 trattati, secondo l’aritmologia di ispirazione pitagorica che vedeva in questi numeri un carattere di perfezione. 142 Si tratta di Plat., Tim. 35a1-4: «Dalla sostanza non divisibile e che sta sempre allo stesso modo e da quella divisibile che diviene nell’ambito dei corpi [il Demiurgo] compose per mescolanza una terza specie di sostanza». Qui e altrove le traduzioni dal greco sono mie.

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Egli cita una frase dal Timeo,143 in cui si parla di una mescolanza operata da Dio, per formare l’anima, tra l’essenza indivisibile e quella divisibile. Platone ci presenta tale mescolanza come un fatto storico. Ora, a detta di Plotino, la propria personale dottrina non è diversa. E, tuttavia, il rapporto dell’anima all’intelligibile in Plotino è di natura metafisica: non si tratta del rapporto di un artista alla propria opera, ma di una derivazione metafisica.144 Poni il nou` " e l’anima segue. Così, nel Timeo, c’è un racconto che si svolge nel tempo con dei personaggi, tutto145 vi è contingente. In Plotino il processo è atemporale e metafisico. E, tuttavia, Plotino presenta tale teoria come quella del Timeo.146 Si tratta di un caso o di un metodo d’interpretazione? Plotino dà, III,147 un’interpretazione dei miti. Bisogna 143 Si tratta appunto di Plat., Tim. 35a1-4 (si veda nota precedente), e non di Tim. 69d, come stranamente indica il curatore, che di fatto riporta correttamente ad locum il testo di Tim. 35a1-4. 144 È questo un punto capitale che Bergson formula perfettamente circa l’interpretazione non letteralista della demiurgia del Timeo a opera di Plotino. 145 Il curatore informa che il termine «tutto» non si trova nel manoscritto. 146 Anche questo è un punto capitale, che Bergson aveva già formulato in precedenza (cfr. p. ): il fatto che Plotino non riconosca mai di distaccarsi da Platone, anche quando in realtà ne dà un’interpretazione personale che cambia il sistema filosofico nel suo complesso. 147 Enneade III 5 [50] Su Eros, cap. 9, 24-29: «Ma bisogna che i miti, se invero saranno tali, sia parcellizzino in tempi diversi le cose che dicono sia dividano tra loro molti tra gli enti che, da un lato, si danno insieme, e che, dall’altro, si distinguono per rango o poteri, allorché persino i logoi sia producono nascite di enti ingenerabili sia essi stessi dividono le cose che si danno insieme sia, dopo aver dato un insegnamento come possono, lasciano ormai, a chi ha capito, [il compito di] procedere a una riunificazione». Il curatore, che rinvia a questo passo plotiniano, ne dà tuttavia una citazione parziale che rischia di travisarne il senso, poiché taglia l’accostamento tra miti e logoi. Ricordiamo che questo trattato plotiniano è per lo più un’esegesi del Simposio di Platone, in particolare, in quanto immediatamente precede il testo da noi citato, Plotino ha proceduto a interpretare allegoricamente il mito del concepimento di Eros nel giardino di Zeus ad opera di Poros e Penia in occasione della nascita di Afrodite (cfr. Plat., Symp. 203b1-204a7).

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– aVerma – che i miti dividano nel tempo ciò che raccontano, che essi separino le une dalle altre molte cose che si danno invece l’una nell’altra, ma che hanno rango e potenze diverse. Quando i miti hanno impartito il loro insegnamento come possono, lasciano a chi se li è rappresentati il compito di operare una sintesi. Così il ruolo del mito è quello di presentare sotto forma di un racconto nel tempo ciò che in sé è una necessità stessa dell’essere. Esempio: l’origine delle anime, la loro discesa. Inizialmente le anime esistono per se stesse e sono immutabili. Ma questo significa che non è il corpo ciò che riceve l’anima, bensì che è il corpo a essere nell’anima come un’immagine che essa si rappresenta. E, per questo aspetto, il corpo vi è in qualche modo da tutta l’eternità. Circa le esistenze successive, ciascuna con ricompense e punizioni – tutte queste esistenze in successione sono complementari le une alle altre e tutte insieme formano qualcosa che altro non è se non l’idea dell’anima. Così Plotino considera alla stregua di un processo atemporale ciò che nel mito è presentato come una vicenda. Questo equivale a dire che una tale interpretazione implica una certa concezione del tempo e dei suoi rapporti con ciò che è eterno. Infatti, se la stessa realtà che è, da un lato, vista come una successione nel tempo è, dall’altra, anche vista come data tutta insieme nell’eternità, questo non può accadere se non perché il tempo è un dispiegamento in forma di successione di qualcosa che è in sé atemporale. Il trattato 7 della III Enneade (Peri aijwn`o" kai;crovnou)148 esprime tale teoria del 148 Enneade III 7 [45] Su eternità e tempo. Ricordiamo che per Plotino il tempo è un prodotto della terza ipostasi, l’Anima, che lo crea simultaneamente all’universo, essendone come il respiro e il ritmo interno.

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tempo. Il tempo sta all’eternità come l’anima sta al nou` ". Lo spirito, il nou` ", è l’eterno. Se l’anima è identica in se stessa e fuori dal nou` ", il tempo nell’anima è il movimento, la vita dell’anima in quanto passa da un atto all’altro, da uno stato a un altro. Posta tale teoria, se ne deduce l’interpretazione dei miti platonici, poiché questi miti si riferiscono all’anima, e ciò che è il divenire nell’anima coincide con l’eterno. Vediamo così come il mito coincida in una certa misura con la dialettica. 2. – Allo stesso modo la dialettica di Plotino ha qualcosa di più mitico.149 Non è più così astratta. Per Platone l’anima che s’innalza alla contemplazione delle Idee esce da se stessa, e l’idea è qualcosa di abbastanza distante dall’anima: essa rappresenta un genere,150 l’anima invece è individuale. Per Plotino molte idee sono individuali. C’è un’Idea di Socrate151 che, nell’eterno, è il medesimo So149

Rispetto alla dialettica platonica. Credo che Bergson voglia dire che l’Idea in Platone rappresenti un genere nel senso che è predicabile di molte cose, di cui indica la natura (ad es. le cose belle sono e si dicono belle in virtù della Bellezza). Non è invece scontato che in Platone l’Idea sia un genere e non una sostanza individuale. 151 A onor del vero nella filosofia plotiniana resta aperta la questione se esistano Idee degli individui (come invece qui Bergson sembra positivamente supporre parlando dell’Idea dell’individuo Socrate), benché l’attitudine di Plotino sia più aperta a tale possibilità rispetto ai suoi predecessori nell’ambito della tradizione platonica (cfr. Enneade V 7 [18], Se esistano Idee anche degli enti individuali). Del resto, sulla scia del Parmenide (Plat., Parm., 130c1-d2) ha sempre costituito un problema per i Platonici definire in modo chiaro e netto l’estensione del mondo intelligibile, se cioè vi fossero anche Idee di enti naturali (come essere umano, fuoco, acqua), di cose inanimate spregevoli (come capello, fango, sporco), di cose contro natura, di artefatti, ecc. Per studi di orientamento su questo tema rimandiamo a F. Ferrari, Esistono Forme di «kath’hekasta»? Il problema dell’individualità in Plotino e nella tradizione platonica antica, in «Accademia delle Scienze di Torino. Atti Scienze Morali», 131 (1997), pp. 23-63; P. Kalligas, Forms of Individuals in Plotinus: A Re-Examination, in «Phronesis», 42 (1997), pp. 206-227. 150

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crate che, sviluppato nel tempo, è l’anima. Così l’anima entra nella regione delle Idee. L’importanza attribuita da Plotino agli studi di psicologia deriva per lo più da questo legame stabilito tra l’anima e l’intelligibile, dato che l’anima, nella misura in cui la si fa risalire, è immersa nell’idea. L’idea di una scienza dell’individuo assume un’importanza capitale nella filosofia di Plotino. In tal modo, che si consideri la dottrina di Plotino in se stessa o come interpretazione di Platone, siamo ricondotti allo studio dell’anima come a un centro.

V – L’anima del mondo Dobbiamo anzitutto parlare dell’anima del mondo. La teoria dell’anima particolare e quella dell’anima universale in Plotino sono costantemente mescolate. L’idea di cominciare con uno studio dell’anima del mondo e di dare come preambolo alla psicologia dell’individuo una psicologia dell’universo è meno strana di quanto possa sembrare, se ci si riferisce al senso che gli Antichi, e soprattutto Plotino, hanno attribuito a questa espressione: yuchvtou`pantov ". Si tratta del principio dell’ordine e della natura, che crea la materia e le leggi della materia. Procedendo in questo modo, trattiamo semplicemente della natura in generale prima che dello spirito cosciente, ripristiniamo la coscienza nelle condizioni della vita prima di trattare la questione della coscienza: in fondo è il procedimento moderno.152 La 152 Il curatore informa che nel manoscritto si legge: «C’est au fond la marche moderne», ovvero si trova marche («camminata») invece che démarche («procedimento»), come ci si aspetterebbe. E rimanda a H. Bergson, L’evoluzione creatrice, pp. 489-490, per l’applicazione concreta di tale modo di procedere.

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questione dei rapporti di ciò che è fisico e di ciò che è morale è la stessa che quella dei rapporti dell’anima universale e dell’anima individuale.153 Da questo enunciato generale egli ha tirato delle conseguenze molto speciali, come la teoria dell’ereditarietà naturale indicata in Plotino. Egli la spiega determinando precisamente ciò che è la componente dell’anima universale e quella dell’anima individuale nella generazione del corpo. Ci mostrerà l’anima universale in atto di abbozzare154 il corpo e di conferirgli così delle caratteristiche generali, trasmissibili, dunque ereditarie. L’anima individuale interviene a tale stadio e completa l’opera. Essa del resto sceglie un certo corpo perché le è appropriato, e vi si adatta. Il problema, per essere posto in forma antica, è risolto in una forma alquanto moderna. La questione stessa di un’anima universale non è così strana come si potrebbe pensare. Si ammetterà che c’è una certa unità della natura; i teleologi vedono nello sviluppo delle cose lo sviluppo di una sola idea, i loro avversari ammettono il concatenamento di un grande teorema meccanico. L’unità vela, sotto questa duplice forma, ciò che l’anima del mondo spiegava in forma concreta.155 Ma qual è l’origine di questa terminologia che assimila l’unità del tutto a quella dell’anima? Probabilmente 153 Frase chiarificatrice per capire il collegamento tra Materia e memoria e L’evoluzione creatrice, come due aspetti del medesimo problema, dato che la coscienza personale è dapprima risituata nelle condizioni della vita dell’individuo (MM), in seguito nelle condizioni più generali di tutto il sistema dei viventi (EC) [NdC]. 154 Il termine francese è: esquissant, a indicare il primo disegno rudimentale di un corpo tracciato dall’anima universale e che, poi, un’anima individuale raffinerà e completerà. 155 Il curatore rimanda all’immagine dei due vestiti de L’evoluzione creatrice, p. 493, mettendo in guardia tuttavia da conclusioni troppo affrettate rispetto all’ultima lezione (IX) del presente corso.

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pitagorica, benché non ci siano testi precisi al riguardo. Il solo citato da Stobeo, di Filolao,156 non è autentico. Ma altri testi attribuiscono ai Pitagorici alcune idee che, sintetizzate in una mente, dovevano tradursi precisamente nella concezione di anima universale. Aristotele, Fisica, N, 2b:157 «Per i Pitagorici il cielo è circondato da uno spazio vuoto; il mondo respira». Per essi il mondo era un essere vivente. Ma vi è per essi un centro di vita? Stobeo, Eclogae philosophorum, 1.488:158 «Filolao ha situato al centro il fuoco. Tale fuoco egli lo chiamava focolare dell’universo e ancora la casa di Zeus e la madre degli dèi». Si tratta quindi proprio di un centro. Esso è un’anima?

156

Per i rimandi testuali si veda infra la nota 158. Così nel testo edito del manoscritto. Si tratta di un’indicazione erronea visto che nella Fisica non esiste un libro N. La quasi citazione aristotelica corrisponde invece ad Arist., Phys., IV (D) cap. 6, 213b22-24: «Anche i Pitagorici sostennero che il vuoto esiste e che sopraggiunga all’universo dall’illimitato soffio (pneuma) come se [l’universo] respirasse». La menzione della posizione dei Pitagorici si situa, com’è noto, nella sezione (capp. 6-9) in cui Aristotele confuta le tesi a favore dell’esistenza del vuoto e conclude che esso non esiste. 158 Il curatore rimanda a Ioannis Stobaei Anthologium, ed. C. Wachsmut, O. Hense, Weidmann, Berlin 19582., vol. IV, tom. I, p. 488. Il passo corrisponde nei frammenti dei Presocratici alla testimonianza su Filolao 44A 16 D-K ( = Aet. II 7, 7), e concorda con la testimonianza A 17 D-K ( = Aet. III 11, 3) in cui si parla, sempre in contesto cosmico, del «fuoco del focolare (to pyr hestias) al centro». Inoltre il frammento di Filolao B7 D-K ( = Stob., Anth., I 21, 8) recita: «la prima cosa armonizzata, l’uno, nel mezzo della sfera si chiama focolare (hestia)» (cfr. Die Fragmente der Vorsokratiker, ed. H. Diels, W. Kranz, Berlin 1951-1952). Sarebbe quindi questo fuoco cosmico centrale ad aver suggerito a Plotino l’idea di un’anima universale. La tesi attribuita da Bergson sembra dunque attendibile in sé. Ricordiamo però che, in generale, Plotino richiama eventuali tesi di origine o d’ispirazione pitagorica direttamente sotto l’autorità di Platone, e non sente il bisogno, come invece altri platonici prima e dopo di lui, di costituire la coppia di autorità Pitagora-Platone (cfr. la nota 111). 157

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Aristotele, Metafisica, 986a2:159 «Il mondo intero è armonia e numero». Ora tali termini160 costituiscono per i Pitagorici la definizione stessa dell’anima. I Pitagorici dovevano credere che il mondo fosse la manifestazione di un’anima. Da parte nostra pensiamo anche all’eYcacia che essi hanno attribuito al numero e, in particolare, alla decade. Grazie al numero tutto si tiene insieme ed è esso a rendere le cose conoscibili. Nel Timeo161 è tramite il numero che l’anima viene caratterizzata. Da questo si può concludere che i Pitagorici non abbiano designato il mondo tramite numero e armonia senza averne fatto qualcosa d’animato. Dunque i Pitagorici dovettero arrivare a porre il mondo come vivente. Vediamo, per mezzo di questa analisi, che l’anima era per Pitagora solamente un principio di ordine e di misura. L’anima è ancora ciò, ma anche qualcosa di più per Platone. Da parte mia non cercherò di spiegare la formazione dell’anima del mondo, Timeo, 39a162 – testo che da subito è stato considerato un modello di oscurità (Cicerone, Sesto) e che Proclo, Plutarco, Plotino hanno interpretato in modi diversi. Si tratta di una mescolanza realizzata tra l’essenza divisibile e quella indivisibile. Definiremo sol159

Arist., Metaph., A 5, 986a2-3. Ovvero armonia e numero. 161 Si tratta di Plat., Tim., 35a1-36d7: in questo brano, per la precisione, non c’è una definizione dell’anima, bensì la descrizione della sua produzione tramite analogie matematiche di mescolanza delle tre componenti che sono l’Identico, l’Altro e l’Essere. 162 Così nel testo edito del manoscritto, tuttavia si tratta di un refuso per Tim. 35a (non 39a), dove appunto si descrive la formazione dell’anima dell’universo (si veda nota 142), mentre in Tim. 39a è questione del tempo e della sua scansione tramite i movimenti dei corpi celesti sulle orbite dell’Identico e dell’Altro. 160

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tanto il ruolo e la funzione dell’anima secondo le indicazioni di Platone. L’anima del mondo è per quest’ultimo ciò che l’anima individuale è per il corpo, principio di movimento. Leggi, X, 896a:163 «Il movimento in grado di muoversi esso stesso»; Fedro, 249c:164 «Solo ciò che si muove da sé è fonte e principio di movimento». Così l’anima ha come primo ruolo quello di dare impulso alle cose. In secondo luogo essa è principio di misura e di armonia. Nel Timeo165 l’anima si compone in modo conforme ai numeri che esprimono l’armonia, i rapporti armonici musicali e anche i sistemi astronomici. Che cos’è allora l’anima in sé, che posto occupa tra Idee e cose sensibili? eij d~o" oppure aij sqhtov n? Né l’uno né l’altro. Essa non può essere una cosa sensibile, poiché gli aijsqhtav sono inerti, sono completamente fatti [da altro], non principi di divenire. Non può essere neppure un’Idea: l’idea è anzitutto eterna e atemporale, immutabile, inoltre non soggetta al divenire, e rappresenta il genere.166 Ora l’anima del mondo: 1. diviene, essendo principio stesso del divenire; 2. è un individuo. L’anima è qualcosa d’intermedio, cosa questa naturale dato il suo carattere matematico. Essa trova posto tra quelle entità di ordine matematico che Platone colloca subito al di sotto delle Idee (Metafisica, 987a14).167

163

Plat., Leg. X, 896a1-2. C’è un refuso nel testo pubblicato, dove si indica Plat., Phaedr., 249c e non 245c7-d1, com’è giusto che sia. 165 Cfr. le note 160-161. 166 Questo di per sé non è scontato in Platone, dove compaiono passi che sembrano suggerire che l’Idea sia una realtà individuale, cfr. la nota 151. 167 Arist., Metaph. A 6, 987b14-16; nel testo pubblicato c’è un refuso, infatti si legge 987a invece che 987b, come si dovrebbe. 164

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Perché c’è bisogno di una o più essenze intermedie tra l’Idea e il sensibile? Nella filosofia di Platone il passaggio dal sensibile all’intelligibile è chiaro in quanto dialettico, mentre il passaggio inverso è oscuro e non si può esprimere che in forma di mito. Nei miti platonici, che esprimono tutti questo movimento discendente per cui si passa dalle Idee alle cose, bisogna che ci siano in tale movimento dei punti di riferimento: le anime, gli dèi, soprattutto l’anima del mondo, ricoprono questo ruolo. Si tratta degli oggetti dei miti platonici. – È una definizione vaga, ma l’idea non è più determinata in Platone che, a causa della sua stessa concezione, non poteva chiarirla. Tale idea Plotino l’ha fatta uscire dall’ombra. Infatti è esclusivamente da Platone che egli l’ha presa. Talora si paragona tale anima di Plotino al fuoco stoico. L’analogia è del tutto di superficie, mentre le diVerenze [sono] profonde.168 Presso gli Stoici il fuoco basta a se stesso, non deriva da un’essenza superiore fuori dal tempo. In Plotino si tratta di una derivazione dal nou`". Non si può nemmeno vederla da vicino senza vederla contrarsi e, infine, essere riassorbita dale nou`". Inoltre l’anima degli Stoici diventa materiale e la materia [diventa] anima. In Plotino, se la materia proviene dall’anima, non è per trasformazione [di que168 Bergson ha detto il contrario nel suo corso di storia della filosofia greca presso il Liceo Henri IV, ms. pp. 192-117, vol. IV, p. 146: «nell’anima del mondo (in Plotino) si riconosce senza difficoltà la psuch¯e degli Stoici». Le due affermazioni comunque forse non sono così opposte come potrebbe sembrare. Senza dubbio, in quanto giudizi riguardanti la storia delle idee, c’è il passaggio da una tesi a quella opposta. Mentre, in quanto temi plotiniani, servono da supporto alla riflessione dello stesso Bergson. Questa evoluzione mostra, più che un progresso della sua erudizione e della sua esegesi, un approfondimento del proprio pensiero. Il primo punto di vista è, grosso modo, integrato in Materia e memoria, mentre il secondo si muove già nella prospettiva de L’evoluzione creatrice e prepara forse lo spazio di ricerca che sarà proprio delle Due fonti [NdC].

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st’ultima]; si tratta di una derivazione che non impedisce all’anima di restare in sé.169 L’origine della sua concezione è interamente in Platone. Plotino porta pienamente alla luce del sole la teoria di Platone. Ne fa derivare una teoria dei corpi, una teoria implicita dello spazio, una teoria esplicita del tempo, finanche una teoria della coscienza. Tale ipotesi, l’ultima dal punto di vista metafisico, è la prima in ordine d’importanza per la conoscenza: Plotino non ha parlato delle altre cose se non per estensione e astrazione di questa concezione dell’anima. Ricordiamo il modo in cui egli arriva progressivamente ad attribuire all’universo un’anima. Avviene tramite la presa in conto delle analogie tra l’universo e questo o quell’essere vivente. Un essere vivente manifesta un’anima, all’inizio sotto forma di ragione generante. Un corpo vivente è una molteplicità di parti tra cui c’è koinwniva; un animale è un tutt’uno e simpatetico con se stesso (oJmopavqeia, sunaivsqhsi" = accordo). Conseguentemente bisogna che ci sia un principio di questa armonia. Enneadi, III, 2.2:170 «Nel logos generatore, tutto è dato insieme e nello stesso punto». Ibid., VI, 7.14:171 «Il logos è un’unità molteplice, uno schema, un abbozzo che contiene degli abbozzi […] , un centro indiviso che contiene e riassume in esso tutta la circonferenza». Quindi un essere vivente è la manifestazione di un logos. 169 Plotino ripetutamente si oppone alla concezione materialistica dell’anima da parte degli Stoici, una confutazione abbastanza sistematica di essa si trova in Enneade IV 7 [2] Sull’immortalità dell’anima, capp. 3-83. 170 Enneade III 2 [47] Sulla Provvidenza. Libro I, cap. 2, 18-20. 171 Cfr. Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul Bene, cap. 14, 12-13. L’immagine del centro e della circonferenza, spesso usata da Plotino, non si trova invece nel capitolo 14 indicato da Bergson, che deve essere passato tacitamente ad altro.

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Il logos comunque non è assolutamente Idea. L’Idea è l’archetipo fuori dallo spazio e dal tempo. Il logos è ciò che esce da quest’Idea per lavorare scendendo nello spazio e nel tempo: è l’idea diventata forza. Proprio perché l’Idea diviene lavoro, si espone ad incontrare delle resistenze, all’imperfezione. Se in ogni corpo vivente c’è logos, vi è contemporaneamente qualcosa che oppone resistenza. Il logos di un essere umano non vuole che sia zoppo. Quindi qualcosa gli ha opposto resistenza (V, 9.18),172 che non era nel logos generante. Ma in questo difetto di produzione nel divenire, poiché il logos non ha prevalso, ciò che ha vinto è stato un deterioramento, a opera del caso, dell’idea che il logos portava con sé. La materia è là e apporta (I, 8.8)173 alla forma la propria mancanza di forma, a ciò che è la misura il proprio eccesso e il proprio difetto, finché essa abbia condotto l’essere in via di formazione ad appartenere non a sé ma a essa. Quindi la materia si oppone al conferimento della forma da parte del logos. Del resto vedremo che la materia non è altro che un indebolimento o esaurimento del logos via via che esso lavora. Diciamo quindi che un essere vivente è anima in quanto logos e, per eVetto stesso di tale lavoro, in atto di sminuirsi – aggiungiamo: distendendosi nello spazio. Il logos si diVonde nello spazio per il fatto stesso che lavora. Porfirio (ajformaiv, 37)174 ha messo bene in evidenza 172 L’indicazione del capitolo è errata, non si tratta del cap. 18, bensì del cap. 10: Enneade V 9 [5] Sull’Intelletto, le Idee e ciò che è, cap. 10, 4. 173 Enneade I 8 [51] Su quali e donde siano i mali, cap. 8, 21-24. 174 Bergson usa il titolo greco dell’opera porfiriana (Aphormai pros ta no¯eta), più nota con il titolo latino Sententiae ad intelligibilia ducentes, come ricorda il curatore. Osserviamo che Bergson utilizzava probabilmente l’edizione del testo di Creuzer (citato qui nella nota 64) in cui tale sentenza porta appunto il numero 37, mentre nell’edizione oggi corrente di E. Lamberz essa porta il numero 35:

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quest’idea: «Il volume è una diminuzione della potenza dell’essere incorporeo che è il solo ad essere reale». Per riassumere, in un essere vivente c’è il logos, quest’aspetto del logos che è la materialità, infine una distensione nello spazio che implica sempre un’armonia. Circa l’anima universale ci si chiede: l’universo possiede l’aspetto esteriore di un essere vivente definito in questi termini? C’è certo nell’universo simpatia tra tutte le sue parti. L’astrologia stabilisce questo punto.175 Essa sarebbe impossibile se non si supponesse che ciò che si mostra in un punto qualunque dell’universo simboleggia ciò che accade in un altro punto qualsiasi. Gli astri non esercitano un influsso, ma hanno un significato (IV, 4, 6).176 Ancora (IV, 4, 33),177 l’universo è paragonato a un ballerino, i cui movimenti sono talmente ben connessi tra loro che l’esperto che ne percepisca uno solo potrebbe ricostruire il movimento totale tramite l’interpretazione dei movimenti gli uni attraverso gli altri. L’astrologia procede così. Allo stesso modo la magia178 è la potenza d’agire su un punto determinato dell’universo agendo su un altro punto.

Porphyrius, Sententiae ad intelligibilia ducentes, ed. E. Lamberz, Teubner, Leipzig 1975, p. 39, 20-21. 175 Bergson aveva menzionato l’astrologia già a p. , come rivelatrice dell’armonia fondamentale che c’è tra gli enti. Plotino affronta la questione se gli astri esercitino un’influenza nell’Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, in cui sostiene che gli astri significano gli evidenti, ma senza produrli. 176 Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 6, 13-15, in cui si nega che le anime dei corpi celesti stiano a pensare come dirigere le vicende umane o quanto accade sulla terra. 177 Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 33, 17-25. 178 Già menzionata da Bergson, insieme all’astrologia, a p. a indicare la simpatia fra le parti dell’universo.

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Infine perché le preghiere vengono esaudite?179 Non è perché gli dèi le ascoltino. La causa è che c’è un mezzo, per un eVetto simpatetico, d’influenzare l’universo in quanto animato. L’universo è quindi un essere vivente e come tale è la manifestazione di una ragione generante. Bisogna ora determinare quest’anima delle cose. La determineremo anzitutto in rapporto a ciò che è al di sotto di essa, alla materia che essa informa, poi in rapporto al nou`" al di sopra di essa, infine cercheremo di determinarla in se stessa. La prima questione è la seguente. Se noi concediamo [l’esistenza del]l’anima, cioè di qualcosa che proviene dal nou`", ma che, per il suo aspetto superiore, è ancora qualcosa d’uno, come spiegare che da tale anima esca la molteplicità indefinita delle cose nello spazio e nel tempo? Platone ha dovuto parlare del non-essere180 aYanco alle Idee. Plotino vuole far derivare questo nonessere dalle Idee stesse. Come qualcosa che, per sua natura, sembra essere contrario all’intelligenza – la totalità delle cose – proviene dall’anima che, tramite l’alto, è ancora nello Spirito?181 L’anima è anzitutto riconoscibile come una forza che, come tale, ha il bisogno e il potere di produrre, trae da sé tutto ciò che contiene e che, in virtù del principio per cui 179 Cfr. Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 40, 27-28; cap. 42, 1-19. 180 Notoriamente nel Sofista, dove si compie una sorta di parricidio a opera di Platone verso Parmenide come verso colui che aveva negato l’esistenza e la pensabilità del non-essere, cfr. in particolare Plat., Soph., 258c6-259b7. 181 «Spirito» è traduzione di Bergson («Esprit») alternativa a «Intelletto» per Nous in greco.

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ciò che è generato è inferiore a ciò che genera, produce un corpo imperfetto al fondo del quale c’è la materia che sarebbe la feccia amara di un essere inferiore (II, 3.17).182 Ma perché l’anima che è forma produrrà qualcosa d’informe? «L’anima del tutto è una grande luce che irraggia fuori da sé, tende a divenire tenebre via via che essa si allontana dalla sua sorgente» (IV, 3.9). – «Ma tali tenebre, per il fatto stesso che l’anima le vede, essa le attraversa e dà loro una forma».183 Così, lasciandole sfuggire da sé, l’anima le lascia sfuggire sempre più sbiadite fino al limite, mai raggiunto, in cui sarebbero tenebre. Voler cogliere la materia allo stato puro equivarrebbe a voler cogliere l’ombra assoluta senza luce. Sotto tale forma la materia sarebbe ancora puramente negativa; tuttavia essa deve pur avere qualche eVetto, altrimenti perché l’anima resterebbe lontana184 dalla sua unità originaria? (cfr. III, 6 verso la fine).185 La materia è dapprima presentata come un non-essere platonico. Il suo ruolo è quello di porre fine alla processione delle cose che derivano dal nou`" ; egli la paragona alla 186 182

Cfr. Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 17, 23-24. Cfr. Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 9, 24-26. 184 Il termine éloignée «lontana» è stato aggiunto dal curatore. 185 Il curatore rimanda all’ultimo capitolo del trattato, ovvero Enneade III 6 [26] Sull’impassibilità degli enti incorporei, cap. 19, in cui si parla dell’assoluta sterilità della materia. Tuttavia, se si vuole individuare comunque una qualche efficacia della materia, stando all’indicazione di Bergson, si può pensare al cap. 14 in cui si mostra a tal punto la necessità della materia per l’esistenza degli enti sensibili che Plotino le assegna un ruolo causale nella loro generazione (in particolare ll. 34-35: «[la materia] così diventa dunque causa di generazione (aitia t¯es genese¯os)». 186 Il curatore informa che a questa altezza manca una parola nel manoscritto. Poiché, come mostra l’articolo che precede la lacuna, la parola doveva essere di genere femminile, forse si può pensare al termine Povertà (Penia, «Pauvreté») a cui Plotino paragona la materia dando un’interpretazione alle183

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che dimora senza interruzione. Ma soprattutto, III, 6.14,187 la materia è paragonata a uno specchio ingannatore che riflette un’immagine illusoria; e questo specchio è un’immagine esso stesso, un miraggio che è fonte di miraggi. E «se le immagini emanassero direttamente dagli esseri, esse sussisterebbero senza aver bisogno di esistere in un’altra cosa, ma dato che gli esseri autentici restano chiusi in sé, bisogna che ci sia qualcosa che fornisca loro un luogo in cui esse non sussistono». In altri termini, se le immagini, le cose sensibili, fossero un eVetto immediato dell’Idea, l’Idea si renderebbe immediatamente sensibile, non vi sarebbe bisogno di materia. Ma bisogna dire che ogni immagine ha bisogno di appoggiarsi su un’altra immagine. V, 9.5:188 ciò che è immagine è per sua stessa natura in qualcosa d’altro da sé. Solo l’Idea è in se stessa. IV, 8.6:189 il processo deve prolungarsi fino ai limiti del possibile. II, 3.18:190 il mondo è un’immagine in continua formazione. Ovvero, se l’anima restasse dov’è originariamente, non ci sarebbe nulla di sensibile. Supponiamo una causa che la faccia uscire dal nou` ", [allora] noi poniamo le cose nella loro totalità, poiché un’immagine non può prodursi senza collocarsi in un’altra immagine e così di seguito. Così si genera l’indefinito di spazio e di tempo, la materia. La materia non è altro che l’inde-

gorica del personaggio menzionato in Platone (Symp., 203b4), sostenendo che essa resta sempre tale e sempre in atto di mendicare, senza arricchirsi mai: cfr. Enneade III 6 [26] Sull’impassibilità degli enti incorporei, cap. 14, 9-12. 187 Per la citazione si veda Enneade III 6 [26] Sull’impassibilità degli enti incorporei, cap. 14, 4-7; lo specchio è menzionato alla l.2. 188 Enneade V 9 [5] Sull’Intelletto, le Idee e ciò che è, cap. 5, 46-47. 189 Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 6, 12-16. 190 Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 18, 16-17.

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finitezza delle cose, delle immagini che si creano senza sosta. Confrontiamo questa teoria con quella di Kant.191 Plotino pone, da un lato, l’Idea e, dall’altro, la realtà fenomenica e, come Kant, fa consistere la realtà fenomenica in un progresso indefinito. Per Kant l’esperienza è questo. E le due antinomie matematiche derivano dal fatto che noi ci sbagliamo sul carattere dell’esperienza che è un progresso e un movimento, e che noi [invece] vogliamo cogliere come infinito in atto. Ma anche la diVerenza è grande : per Kant né lo spazio né il tempo, che condizionano il flusso dei fenomeni, né la causalità che li lega possono generarsi: essi sono dati come delle forme pure e uno schema. Al contrario in Plotino abbiamo uno sforzo per dedurre lo spazio, il tempo e persino la causalità temporale. Lo spazio e il tempo si deducono dal fatto che ciò che è nello spazio e nel tempo costituisce la manifestazione incompleta dell’idea, l’immagine. E allora l’immagine cerca di completarsi. Ed è così che si generano lo spazio e il tempo. Allo stesso modo la causalità è per noi lo sforzo di una cosa per far uscire ciò che ha in sé. Per Plotino è lo sforzo di una cosa per cercare un’altra cosa su cui fissarsi, e tale sede non si è nemmeno presentata che subito si sottrae. Così anche la causalità si spiega tramite la corsa di un essere incompleto alla ricerca di se stesso. Tutto ciò si deduce da ciò che è fuori del tempo e fuori dello spazio. .

191 Per i rimandi alla filosofia moderna e contemporanea, qui e altrove, si rimanda all’Introduzione in questo stesso volume.

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VI – La processione dell’anima e il principio dell’irradiazione

Abbiamo visto come l’anima universale generi le immagini che si dispongono nello spazio e nel tempo, poiché le immagini, per il solo fatto di essere molteplici, generano il tempo e lo spazio. L’indefinito nel tempo e nello spazio è semplicemente la traduzione della povertà dell’immagine che cerca di appoggiarsi a un’altra immagine. L’anima universale è quella che chiama h ejn kovsmw/o ejn swv mati yuchv . Ma, al di sopra di quest’anima, talora egli ne colloca un’altra in opposizione: l’anima divina, yuch; qeiotav th. II, 3.9:192 Il mondo è costituito di un corpo e di un’anima, ma al di sopra [c’è] un’anima che illumina l’altra, l’anima pura, kaqarav, che, se la si unisce al mondo, fa sì che il mondo diventi un dio. Ma se la si ritira da esso, questo resta solo un demone. II, 3.18:193 L’anima universale rivolta a Dio contempla il meglio, e l’anima generale non è che l’immagine di quest’anima superiore e contemplativa. Ci sarebbero quindi, secondo Zeller,194 due anime universali in Plotino, di cui la seconda sarebbe l’immagine, la riduzione della prima. Che pensare di ciò? Anzitutto non si parla mai di altro se non di tre ipostasi: l’uno, l’intelligenza, l’anima. – D’altro canto, se si suppone un’anima superiore la cui funzione sarebbe unicamente la contemplazione, non si vede per quale aspetto 192

Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 9, 31-34. Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 18, 9-13. 194 Si veda la nota 80. 193

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tale anima sarebbe diversa dal nou`". Sembra quindi che ci sia l’uno al di sopra di ogni contemplazione, il nou`" che lo contempla e infine un essere che sia da meno della contemplazione, ovvero azione. Eppure Plotino sembra dire che ci sono due anime. Bisogna far riferimento alla funzione dell’anima universale. Bisogna porre anzitutto l’uno superiore all’essenza e alla conoscenza. Tutte le Idee che compongono il nou` " sono allora poste nell’eterno come altrettante visioni dell’uno. Tutto ciò è fuori del tempo, unità e molteplicità ugualmente atemporali. Al di sotto non può che esserci una molteplicità nello spazio e nel tempo: le immagini o cose. La funzione dell’anima universale sarà quella di andare a cercare le Idee nell’Intelligenza e di farle scendere nello spazio e nel tempo sotto forma di ragioni generatrici. L’anima sarà come il veicolo delle Idee nello spazio e nel tempo. Essa prende le Idee e le divide: III, 9.1:195 meristh;n ejnevrgeian e[cei ejn meristh`/fuvsei. A partire da qui l’anima universale, colta alla sua fonte, non si distingue dal nou`", dal mondo delle Idee. Concediamo questo mondo intelligibile, e ammettiamo che bisogna che da queste Idee escano fuori le cose sensibili. Come ne usciranno, se non sotto l’azione di tale forza speciale che ne esce poco a poco? L’anima dapprima coincide con l’intelligenza, ma si dà un momento logico in cui l’anima ne esce per materializzarsi. E, di conseguenza, potremo dire che, a un certo momento, essa è nell’intelligenza e ne è l’irraggiamento: V, 1.3:196 Non ci sono due anime del 195

Enneade III 9 [13], Ricerche varie, cap. 1, 36-37 (cfr. Plat., Tim., 35a3). Bergson menziona Enneade V 1 [10], Sulle tre ipostasi principiali, cap. 3, tuttavia ne dà una parafrasi che non permette di rintracciare nel testo delle linee in particolare come pertinenti. La tematica del capitolo è comunque quella del 196

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mondo, ma una sola, colta nel momento in cui essa sta per uscire dall’intelligenza, e nel momento in cui essa ne è uscita. Quando Plotino contrappone l’anima divina a quella inferiore dice che, se la prima è pura, è perché è colta alla sua uscita dal nou`". E, II, 3.18,197 l’anima superiore riceve la qualifica di ‘celeste’ e quella inferiore è detta scaturire dall’alto. Infine ci sono dei testi che dicono che queste due anime sono degli aspetti di una medesima anima universale. V, 1.10:198 Una parte dell’anima procede nel mondo sensibile, mentre un’altra resta in quello intelligibile. V, 2.5:199 L’anima deve essere una, senza esserlo in modo esclusivo, altrimenti non produrrebbe una pluralità così distante dall’unità. IV, 2.2:200 L’anima è insieme una e molteplice, divisa ed indivisa. IV, 1.1; IV, 3.19; VI, 4.4; IV, 7.9.201 rapporto dell’Anima con l’Intelletto, dello stare della prima nel secondo, ma anche del suo uscire da esso per far esistere altre realtà. 197 Nel capitolo indicato (18) non risulta esserci il termine «celeste», esso compare invece al cap. 14: Enneade II 3 [52] Se gli astri producano effetti, cap. 14, 7. 198 Cfr. Enneade V 1 [10], Sulle tre ipostasi principiali, cap. 10, 21-23 (Plat., Tim., 36e3). 199 Si menziona Enneade V 2 [11], Sulla genesi e l’ordine degli enti dopo il primo, tuttavia si tratta di un rimando impossibile, visto che il trattato in questione contiene solo due capitoli e non c’è dunque un cap. 5. Il curatore non dice nulla al riguardo. Tuttavia il rimando a tale trattato potrebbe essere implicito nella misura in cui nel cap. 1 di esso si dice come l’Uno, per sovrabbondanza, produca l’Intelletto; come l’Intelletto produca l’Anima e questa, a sua volta, produca gli esseri animati fino alle piante comprese. Poiché Plotino si interroga su: «Come allora [le cose deriverebbero] da un Uno semplice, non manifestandosi nessuna varietà né duplicità di qualsivoglia cosa?» (cap. 1, 35), in modo implicito si può ricavare l’idea di una progressiva molteplicità dall’Intelletto all’Anima, che può così generare il mondo sensibile. 200 Enneade IV 2 [4], Sull’essenza dell’anima. Libro I, cap. 2, 39-41; cfr. la nota 141. 201 Enneade IV 1 [21], Sull’essenza dell’anima. Libro II, cap. 1 (cfr. la nota 141); Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 19; Enneade VI 4 [22], Sul fatto che ciò che è uno e identico si trovi contemporaneamente dappertutto. Libro I, cap. 4, 2632. Si tratta nei testi indicati dell’esegesi plotiniana del passo del Timeo platonico

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Ma bisognerebbe chiarire tale idea. Plotino parla di un’unica anima: ma le due potenze dell’anima non sono per questo meno diverse tra loro, al punto da escludersi da un punto di vista logico. L’anima è infinitamente divisibile e assolutamente una – infinitamente mobile e dispersa nello spazio e nel tempo, e assolutamente immutabile al di fuori dello spazio e del tempo. Tali attributi contraddittori possono essere giustapposti: in tal caso, nonostante tutto, si tratta di due anime. Come Plotino ha conciliato nell’anima universale due serie di attributi che, da un punto di vista logico, sembrano escludersi tra loro? È qui il nocciolo dell’anima universale e, di conseguenza, dell’anima individuale. Si tratta di capire se Plotino ha superato il dualismo platonico. Il problema posto da Platone, secondo Plotino, è quello del passaggio dall’intelligibile al sensibile e dall’Idea alle cose; e l’anima universale ha per l’appunto la funzione di prendere le Idee per moltiplicarle e diluirle in cose. È dunque essa che è destinata a risolvere il problema platonico, a darci una traduzione metafisica dei miti di Platone, il quale si è limitato ad esprimere in forma mitica il processo della discesa, tramite dei racconti che si svolgono nel tempo. Se Plotino si è limitato a prendere questi due attributi contraddittori, unità atemporale e molteplicità nel tempo, e a giustapporli in un’anima che egli chiama una, ma che di fatto è due, allora il problema non è risolto. in cui si dice che il Demiurgo produsse l’anima da ciò che è indivisibile e identico, da ciò che è altro e divisibile nei corpi, nonché dall’essere (Plat., Tim., 35a1-6). Fa eccezione il rimando a Enneade IV 7 [2] Sull’immortalità dell’anima, cap. 9, dove non è questione dell’indivisibilità e divisibilità dell’anima, ma del suo essere immortale e principio di movimento/vita per gli altri enti. Del resto in quest’ultimo trattato plotiniano non si trova una citazione o esegesi del passo timaico sopra menzionato.

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Il problema è ancora più grande. Il processo per cui le Idee discendono è dello stesso genere dell’operazione per cui l’uno si rifrange esso stesso in Idee. V, 2.1:202 l’operazione è la stessa, il principio è lo stesso. Qual è questo principio? Nel caso che stiamo considerando, la derivazione dell’anima, questo principio deve farci capire come le cose sensibili procedano dalle Idee. Si tratta dunque di una forma di causalità. Ma la causalità può assumere due forme,203 a seconda che si tratti di una generazione nel tempo o di una causalità logica e atemporale, quando un essere genera un altro essere, o quando delle conseguenze derivano dal loro principio. Il primo processo implica successione, il secondo non implica tempo. Ora la causalità di cui è questione in Plotino non è né l’una né l’altra: la causa è fuori dal tempo, mentre l’eVetto è nel tempo. L’anima inferiore e generale è il tempo stesso, l’anima superiore che coincide con il nou`" è definita dalla sua stessa eternità. – ma si potrebbe generalizzare una tale definizione. Bisogna dire che la causa è una e indivisibile, mentre l’eVetto è la molteplicità stessa; e la causa non partecipa aVatto e a nessun livello della molteplicità a cui dà vita. Questo dipende dal fatto che la causalità da sostanza a sostanza, da ipostasi a ipostasi, è unilaterale. Il rapporto di causa a eVetto per noi [moderni] è, come ogni

202 Enneade V 2 [11], Sulla genesi e l’ordine degli enti dopo il primo, cap. 1: Plotino usa un’unica metafora di straripamento per indicare la derivazione dell’Intelletto e delle Idee dall’Uno, e dell’anima dall’essere dell’Intelletto. La derivazione degli esseri inferiori da quelli superiori segue quindi un medesimo processo sin dall’inizio. 203 Il curatore rinvia a H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, pp. 133-134; nonché alla lezione su Spinoza, in «Cours», vol. III, pp. 86-89.

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rapporto, una relazione tra due termini tale per cui se B è in rapporto ad A, anche A è in rapporto a B. In Plotino l’eVetto è in rapporto alla causa, ma non inversamente. L’Uno genera la molteplicità delle Idee, ma senza darsene pensiero, le Idee per esso non esistono. Allo stesso modo l’anima generata si volge verso l’intelligenza. Ma per l’intelligenza, l’anima non esiste. L’intelligenza è assolutamente chiusa in se stessa. Se ci si pone nell’eVetto, la causa esiste. Se ci si pone nella causa, almeno per essa, l’eVetto non esiste. La causa è talora una fonte che rimane in sé, pur alimentando dei fiumi, talaltra la vita di una pianta che resta nelle radici, ma alimentando i rami, talaltra ancora un focolare che irraggia (e[klamyi", ejpivlamyi", perivlamyi"). Ma Plotino non si è limitato a delle immagini. VI, 8.8:204 «Il principio primo è la causa, benché in un altro senso non sia la causa. Infatti parlare qui di causa equivarrebbe a parlare di un’azione [esercitata] su un’altra cosa; ora non bisogna mettere la causa in relazione a niente». VI, 9.3:205 «Quando parliamo della causalità del principio, non parliamo di qualcosa che si aggiunge a esso ma a noi, visto che noi traiamo qualcosa da lui, mentre esso resta in se medesimo». VI, 8.18:206 «Si svolge senza svolgersi». Plotino dunque definisce in termini metafisici la causalità tra le ipostasi. Prima di esaminare tale principio d’irradiazione, diciamo che è facile determinarne l’origine. Vacherot207 e 204

Enneade VI 8 [39], Su volontario e volere dell’Uno, cap. 8, 8-9; 11; 12-13. Enneade VI 9 [9], Sul Bene e l’Uno, cap. 3, 49-51. 206 Enneade VI 8 [39], Su volontario e volere dell’Uno, cap. 18, 18. 207 Il testo era stato menzionato da Bergson stesso nella sua bibliografia a p. , si veda nota 77. 205

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alcuni altri hanno sostenuto che questo principio non poteva che provenire da un qualche influsso orientale; ed è la sola prova di un influsso dell’Oriente su Plotino menzionato da Vacherot. È vero che questa idea non è greca? Eppure Plotino cerca di scrutare Platone e di sapere come l’Idea proceda. Ora, in Platone l’intelligibile è l’immutabile, il sensibile [è] ciò che cambia. Solo l’Idea ha una realtà assoluta. La realtà che possiede, il sensibile non può che riceverla dall’Idea. Quindi l’Idea l’ha prodotto. Ma l’Idea non può uscire da se stessa senza cessare di essere Idea. Quindi essa sarà una causa vista dal lato dell’eVetto, ma che vista da se stessa non sarà più causa. In questo modo il principio dell’irradiazione non è aVatto la soluzione di un problema, bensì ne è la formulazione. Si tratta della mera constatazione della necessità per le molteplici cose di uscire dalle Idee, senza che le Idee escano da se stesse. Inutile fare appello all’Oriente. Si tratta del problema stesso enunciato nella sua forma esatta. Non c’è qui nemmeno uno sforzo originale da parte di Plotino e, se Plotino si fosse limitato a ciò, non avrebbe fatto granché. È quello che gli rimprovera Zeller. Secondo lui le immagini non fanno che nascondere una contraddizione, l’aVermazione di una causa cui non appartiene la causalità, che non ha alcuna relazione con il proprio eVetto e basta perfettamente a se stessa. È questa la contraddizione che veicola le immagini che la ricoprono. Che pensare? Personalmente suppongo che nella mente di Plotino vi sia una certa esperienza che gli permise di cogliere sul vivo, di concepire da un lato il sensibile e, dall’altro, l’intelligibile, e il passaggio dall’uno all’altro, che gli mostrò allo stesso tempo ‘l’anima in stato di veglia’ e ‘l’anima che sogna’, e che gli provò che la veglia esiste per il sogno, ma

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non il sogno per la veglia. Come Plotino ce la [tale esperienza] farebbe comprendere se non per mezzo di immagini, destinate del resto a suggerirci uno stato d’animo analogo a quello che sperimentò il nostro filosofo? I concetti che Zeller oppone a Plotino sono delle immagini, per quanto familiari: bisogna che una causa sia in sé o fuori di sé, che il rapporto della causa con l’eVetto sia reciproco. Si tratta di cose vere solo nello spazio e nel tempo. Ogni fatto nuovo che vada al di là del concetto non può essere espresso che attraverso delle immagini. Plotino ha potuto fare uno sforzo per ampliare i confini dell’intelligenza.208 Si tratta proprio di questo. IV, 8, inizio,209 Plotino fa appello certamente alla [propria] esperienza in un testo notevole: «Spesso mi risveglio dal mio corpo, divenuto esterno a tutto il resto, interno a me stesso, in atto di vivere della vita superiore, coincidendo con il divino; quando io discendo allora dalla ragione che contempla alla ragione che ragiona, mi chiedo come possa aver luogo una tale discesa».210 Vi è quindi un momento, coglibile dall’esperienza nella discesa, durante il quale la questione non si pone; mentre essa si pone di nuovo quando noi siamo in basso.

208 Il curatore compara questa espressione all’ampliamento della percezione, di cui si parla in Bergson, Il pensiero e il movente, «La percezione del cambiamento», p. 1370. 209 Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, 1-9; cfr. nota 95. 210 Il curatore rimanda, come testo parallelo, a Enneade VI 9 [9], Sul Bene e l’Uno, cap. 9, del resto evocato poco dopo dallo stesso Bergson. In tale capitolo si descrive sia l’esperienza della fusione dell’anima con l’Uno sia l’esperienza della caduta da tale visione. Anche per tale trattato plotiniano resta fondamentale l’opera di Pierre Hadot: Plotin, Traité 9. Introduction, traduction, commentaire et notes par P. Hadot, Les Éditions du Cerf, Paris 1994.

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III, 8.10, fine:211 Plotino ci raccomanda l’intuizione per cogliere il principio. Infine, il concetto che Dio sia causa in rapporto a noi, non in rapporto a sé, si prova tramite l’esperienza, VI, 9.212 Questo non dimostra che Plotino abbia voluto rendere il passaggio [dalla causa all’eVetto] comprensibile. Ha almeno fatto lo sforzo di spiegare perché non possiamo capirlo? Zeller tratta con disprezzo la dottrina delle categorie, VI, 1.3.213 Invece è una parte molto importante.214 Porfirio ha collocato questi tre libri nell’Enneade 211

Enneade III 8 [30] Sulla natura e visione e uno, cap. 10, 31-35. Enneade VI 9 [9], Sul Bene e l’Uno, cap. 9, in particolare ll. 7-11: frase di sapore paolino in cui si dice che respiriamo e siamo conservati in vita per un incessante dono di essere da parte dell’Uno (cfr. «In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», Atti degli Apostoli 17, 28). 213 Probabilmente c’è un refuso nel testo, ovvero non si tratterebbe semplicemente del capitolo 3 di Enneade VI 1, bensì dei primi tre trattati della sesta Enneade, in quanto sono tutti e tre consacrati a una disamina critica delle categorie aristoteliche e stoiche da parte di Plotino: Enneade VI 1-3 [42-44], Sui generi dell’essere. Libri I-III; cfr. la nota 113. Si veda del resto, subito dopo, la menzione di “questi tre libri”. 214 Cfr. E. Zeller, La filosofia dei Greci, III 2, Plotino, § 14, Il Nous. Bergson critica abbastanza spesso Zeller in questo corso (manoscritto pp. 81, 91, 124, 148, 161, ecc.). Questo non gli impedisce di esserne largamente debitore... Si veda, del resto, un’osservazione elogiativa su Zeller a proposito delle idee su Socrate (cfr. infra nel Cahier, manoscritto p. 81). Bisogna ricordare che la base dell’insegnamento ricevuto da Bergson in filosofia greca è costituito dai corsi di Émile Boutroux all’École normale supérieure - di cui tre volumi (Lezioni su Socrate, Lezioni su Platone, Lezioni su Aristotele) sono stati pubblicati recentemente presso le Éditions Universitaires a cura di Jérôme de Gramont. Ora Boutroux era stato, subito dopo la guerra del 1870, allievo di Zeller, del quale aveva anche tradotto in francese il primo volume della Philosophie der Griechen. Sarebbe peraltro interessante confrontare con cura i due metodi di Bergson e di Boutroux nella storia della filosofia. Entrambi non separano l’erudizione dalla speculazione. Vogliono recuperare ogni pensiero storico sia come un pensiero vivente sia come una verità possibile, nel quadro di un dibattito in cui l’esegesi resta costantemente dispiegata all’interno di un interrogativo di fondo. Tuttavia, detto questo, Boutroux ha una personalità più discreta, un’attitudine più fede212

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finale. L’idea principale è che Aristotele ha avuto il torto di credere che le categorie del sensibile siano le stesse di quelle dell’intelligibile, visto che le determinazioni generali dell’essere sensibile non possono essere le stesse che le determinazioni generali dell’essere intelligibile. C’è qui l’indicazione di qualcosa che annuncia la filosofia critica. Del resto la diVerenza dal misticismo al criticismo non è così grande, dato che il misticismo riserva l’assoluto a una conoscenza sovraempirica. Non possiamo quindi applicare le categorie all’essere in sé. Nel primo libro egli studia il poiei`n e il pavscein e stabilisce che questa categoria appartiene solo al sensibile e non può riguardare l’intelligibile. D’altro canto, una specie di esperienza ci mostra il sensibile in atto di derivare dall’intelligibile.215 Quindi se ci poniamo nel sensibile, abbiamo il diritto d’applicare la categoria della causalità. Se ci poniamo nell’intelligibile, perdiamo un tale diritto. Perciò solo, Plotino ha capito come la sua dottrina dell’intuizione superiore esigesse una sorta di completamento logico che, senza rendere comprensibile un’idea che non lo è, ci permetta di capire almeno perché non comprendiamo. È tutto quello che si può chiedere a un filosofo in fondo mistico. Ma bisogna riconoscere in Plotino questo sforzo di avvicinare, in una certa misura, il misticismo al razionalismo.

rativa e un procedimento così sottilmente insinuante che spesso non si sa bene ciò che egli pensi. Al contrario, Bergson si espone di più in prima persona e mobilita i vari pensatori al servizio della sua riflessione personale [NdC]. 215 Il curatore rinvia a L’evoluzione creatrice, pp. 653 s., per una genesi dei corpi.

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VII. L’anima universale considerata in se stessa Abbiamo di volta in volta determinato l’anima universale rispetto a ciò che la segue e a ciò che la precede. Essa genera la natura creando lo spazio e il tempo, poiché l’immagine, una volta prodotta, esige di essere completata. D’altro canto, essa è tramite il suo vertice nel nou`", ma in più, anzi in meno, ha una tendenza a uscirne: essa ne esce grazie a una certa forma di causalità, una causalità unilaterale. Bisogna ora determinare l’anima universale rispetto a se stessa, considerata in sé. In che modo Plotino se l’è immaginata? Per analogia con la nostra anima, con la coscienza? È in tal modo un’anima cosciente? Se Plotino ha immaginato l’anima del mondo come una coscienza più alta, che creerebbe il mondo sensibile come noi creiamo i nostri sogni, allora una tale concezione sarà ancora semi-mitica. Plotino non avrà superato il punto di vista di Platone. Noi cercavamo in lui una spiegazione metafisica della processione. Saremmo ancora nella mitologia. Se, al contrario, Plotino, invece di immaginarsela come un’anima umana potenziata, ha costruito per sé il concetto di anima universale e, discendendo da essa per via d’impoverimento, è giunto all’idea della coscienza, noi troveremo in lui: dapprima una nuova teoria della coscienza, poiché non sarà più qualcosa di semplice, bensì di prodotto, qualcosa a cui si perviene per mezzo di deduzione o sintesi; in seguito non potrà più accadere che tramite la coscienza l’anima universale si definirà, ed è questo aspetto interno all’anima universale che bisognerà attingere. Quale di queste due soluzioni ha adottato?

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Se si esaminano i testi in modo superficiale, l’impressione che se ne ricava è che l’anima universale è un’anima cosciente; e a causa di ciò molti [interpreti] si sono sbagliati e hanno creduto che l’anima universale avesse coscienza come la nostra. Kirchner216 sostiene persino che essa ha come attributo essenziale il ragionamento, to;logivzesqai. Zeller, senza arrivare a tanto, si serve di un testo in cui Plotino parla di sunaivsqhsi", che egli traduce con ‘coscienza’, ma riconosce che ci sono dei testi e, soprattutto, delle teorie che vi si oppongono: egli ne conclude che Plotino si è contraddetto e ha assunto posizioni oscillanti. La verità è che Plotino è il solo tra i filosofi antichi ad aver cercato di spiegare questo concetto di coscienza e ad aver studiato il dato della coscienza indipendentemente dal pensiero, ed egli ha dovuto forgiarsi una terminologia: da qui una certa goVaggine e alcune esitazioni. Ma il suo pensiero è chiaro. Se si attribuisce al termine ‘coscienza’ il suo significato di qualcosa che tende verso la forma personale,217 il suo significato abituale, allora non c’è dubbio che l’anima universale sia incosciente. Vedremo in seguito nei dettagli ciò che è la coscienza per Plotino. Indichiamo soltanto le funzioni dell’ajntiv lhyi".218 Ci sono: 216

Si veda la nota 78. Si tratta del senso bergsoniano, si veda L’evoluzione creatrice, pp. 78 s., in particolare 722-723 [NdC]. 218 Il termine ajntivlhyi" compare una quarantina di volte nelle Enneadi, ed è estremamente complesso nel suo significato, in quanto difficile da tradurre allo stesso modo in tutti i contesti. Questo spiega perché Bergson lo articoli nelle cinque funzioni indicate nel testo. Alla lettera il termine significa «presa reciproca o a propria volta», e, se si volesse provare a darne una spiegazione sintetica, si potrebbe dire che indica l’atto di un soggetto che reagisce a un oggetto a vari livelli possibili, tale reazione potendo andare dal coinvolgimento emotivo alla conoscenza. 217

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1/ l’inquietudine del corpo, 2/ il piacere e il dolore, 3/ la percezione dei corpi esterni, 4/ la memoria, 5/ la diavnoia, l’intelligenza discorsiva. Ora nessuna di tali funzioni può appartenere all’anima universale. 1.- L’inquietudine del corpo. Noi, che siamo delle anime congiunte a dei corpi particolari, siamo esposti a dei pericoli. Il corpo umano subisce l’influsso degli altri corpi, è esposto alla decomposizione. La legge stessa della vita è l’inquietudine. Ma il corpo dell’anima universale è la totalità della materia. Nulla può minacciarlo. Esso scorre, ma all’interno di se stesso. E, in quanto racchiuso nell’anima del mondo, è eterno. 2.- Il dolore ha luogo quando il corpo è minacciato di perdere l’immagine dell’anima, ovvero quando diventa possibile una separazione tra corpo e anima. In altre parole, si tratta di un inizio di morte. Il piacere ha luogo quando (IV, 4.19)219 si ristabilisce l’equilibrio, quando l’anima si riadatta al corpo. «Il dolore è coscienza di una separazione dal corpo, il quale è privato dell’immagine dell’anima; il piacere è coscienza di un nuovo adattamento dell’anima al corpo». Ora il corpo del mondo è legato all’anima in modo indissolubile, essendo il suo svolgimento necessario sotto forma di spazio e di tempo. 3.- La percezione esterna è un fenomeno squisitamente interno all’anima: esso richiede l’incontro di due elementi opposti. A rigore noi abbiamo tutti la percezione

219 Cfr. Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 19, 1-4: il testo greco ha gn¯osis, che Bergson traduce con conscience («coscienza»).

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di tutte le cose sotto forma di novhsi", ovvero sotto forma latente. AYnché ciò che è in tal modo virtuale diventi reale, bisogna che si produca un’impressione nel corpo. Allora il pensiero va in avanti e nel punto d’incontro [con l’impressione] ha luogo la fantasiva. Ma non è altro che un fenomeno di simpatia con un fenomeno esterno. La percezione quindi presuppone, in primo luogo, molteplici corpi esterni; in secondo luogo, un organo di percezione nel corpo che percepisce. Ora non esiste corpo esterno al corpo del mondo. E (II, 8.2)220 l’anima del mondo non ha organi. 4. – La memoria. Plotino ha districato la relazione tra la coscienza e la memoria e ha visto che non c’è coscienza là dove non ci sia un prolungamento del passato nel presente, una memoria. Ma la memoria appartiene a un essere che è in cammino, che è decaduto e che ricerca se stesso (IV, 4).221 In questa stessa Enneade, in IV, 4.6,222 egli 220 Questo rimando nel testo pubblicato è strano perché in Enneade II 8 [35] Sulla visione o come gli oggetti lontani appaiano piccoli, si parla di effetti ottici rispetto all’occhio umano, e alla fine del secondo capitolo si menziona un esperimento mentale per cui un occhio umano vede un intero emisfero celeste (cosa di per sé data come impossibile), quindi non è questione dell’universo come soggetto senziente (ll. 12-18). Quello che dice Bergson si ritrova invece in un altro luogo delle Enneadi, dove è appunto tematizzata e negata la sensazione di oggetti esterni da parte dell’universo o con una parte di sé come organo sensore specializzato, trattasi di Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 24, 17-21. Inoltre, poco dopo tali linee, Plotino cita la frase platonica: «di occhi [l’universo] non aveva bisogno», che continua significativamente con «infatti nulla era rimasto da vedere fuori [dall’universo]» (Plat., Tim., 33c1-2). Il curatore non dice nulla al riguardo. 221 Cfr. Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 3, 1-6; cap. 4, 14-16. 222 Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 6, 2-3: «La memoria infatti riguarda cose avvenute e passate». Aggiungiamo quanto nota il curatore ad locum: «Questo testo, senz’altro il più antizenoniano (nel senso bergsoniano) di Plotino è tra quelli che possono accreditare la tesi di un’influenza di lunga data di Plotino su Bergson».

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spiega le condizioni della memoria: essa ha per condizione il tempo. Ora l’anima del mondo non occupa [porzioni di] tempo. Il tempo è in essa, proviene da essa, ma essa non è nel tempo, lo domina, l’esprime, ma in modo eminente, sotto forma di eternità. 5. – Resta il ragionamento. Kirchner pretende che l’anima universale ragioni e abbia come funzione essenziale il logismov". Egli cita V, 3.3:223 yuch;n ejn logismoi` " ei\ nai. Ma il contesto prova a suYcienza che non si tratta dell’anima universale, bensì dell’anima umana. È un errore materiale. Tramite questa disamina vediamo che l’anima del mondo non svolge nessuna delle funzioni proprie della coscienza. Bisogna concluderne che essa è incosciente? Un testo sembra indicare il contrario, IV, 4.24:224 sunaivsqhsin me; n auJ tou`w{ sper hJ mei` " hJ mw` n sunaisqanov meqa. Ma sunaivsqhsi" non significa ‘coscienza’. Analizziamo questo termine che ci informerà della natura dell’anima universale. Citiamo alcuni testi. IV, 5.5,225 w{sper ejlevgeto (si tratta dell’atto di udire, ovvero della percezione esterna): «Si può dire dell’aVezione uditiva ciò che abbiamo detto della vista, 223 Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, cap. 3, 14. Confermiamo che il contesto riguarda un’anima umana particolare e non l’anima dell’universo, infatti si tratta del ragionamento che uno fa vedendo un uomo a distanza e chiedendosi se si tratti di Socrate. 224 Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 24, 21-22, tutta la frase recita: «ma bisogna concedere un senso intimo di sé [da parte dell’universo], come anche noi abbiamo un senso intimo di noi stessi, mentre non bisogna concedere una sensazione [dell’universo] riguardante qualcosa di sempre altro da sé». Il contesto è quello della negazione di organi sensori all’universo, che quindi non ha una sua attività sensoriale su oggetti esterni, tra l’altro inesistenti, per cui si veda la nota 220. 225 Enneade IV 5 [29] Sui problemi dell’anima. Libro III, o sulla vista, cap. 5, 29-31.

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che si tratta di una certa sunaiv sqhsi", come in un animale». Il termine designa qui la simpatia di un organo con il corpo che esso percepisce, come in un animale in cui tutte le parti concordano. E, di fatto, l’anima è un vivente. IV, 4.45:226 «In ogni animale ogni sua parte concorre al tutto e c’è una sunaiv sqhsi" del tutto rispetto al tutto». Il significato del termine qui è certamente quello di ‘consenso’, ‘accordo reciproco’. È il significato fondamentale del termine. Torniamo al nostro testo:227 «Bisogna attribuire all’anima universale la sunaivsqhsi" di se stessa, nel modo in cui noi abbiamo la nostra sunaivsqhsi"; ma circa la sensazione, ai[ sqhsi", dato che essa è sempre sensazione di qualche oggetto estraneo, non bisogna attribuirgliela». Non possiamo attribuire la sensazione all’anima universale, ma dobbiamo concederle la sunaivsqhsi". La nostra propria sunaivsqhsi" è un accordo di ai[sqhsi", di conseguenza è una coscienza. Ma la sunaivsqhsi" del tutto non può essere coscienza, poiché non vi è ai[sqhsi". La sunaivsqhsi" potrà quindi significare coscienza [solo] per accidente, solo nel caso in cui gli elementi unificati siano degli elementi di coscienza. Noi traduciamo questo termine con ‘unità sintetica interna’. Se [la sunaivsqhsi"] non è coscienza, che cos’è? V, 3.13:228 «L’unità sintetica del tutto mi sembra proprio darsi quando un multiplo converge verso l’unità, il pen226 Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 45, 4-5 e 8; nel testo greco (l. 8) a rigore si legge: «e come una sunaivsqhsi"» del tutto rispetto al tutto», lì dove il «come» (hoion) suggerisce di non prendere alla lettera il concetto di sunaivsqhsi"» rispetto all’anima dell’universo, cosa che conferma l’interpretazione di Bergson. 227 Vedi nota 224. 228 Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, cap. 13, 12-13.

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siero, to; noei`n». Plotino lo ripete senza sosta: l’anima universale ha come funzione inferiore quella di produrre, la funzione superiore è quella di contemplare. La sua parte divina è nell’intelligenza. Ma qual è questo pensiero? Si tratta di una coscienza? Vedremo che la novhsi"229 è per Plotino una funzione superiore dell’anima umana, ma che non le appartiene propriamente. La funzione autenticamente umana è il logivzesqai. Per mezzo del noei`n, usciamo da noi stessi. Il novhma quindi non è cosciente, se conserviamo per il termine il suo significato umano. Esso si ritrae nel tempo: la coscienza si produce quando giunge a creare un’immaginazione, fantasiva, nella quale si riflette come in uno specchio. In altre parole non vi è coscienza che là dove ci sia una diminuzione del nou`", un andare avanti che testimonia una decadenza, dove c’è azione e un indebolimento del contemplare. La coscienza si produce in seguito a una caduta: fintanto che essa è pensiero puro, l’anima non è cosciente; ma quando essa cade nel corpo, sostituisce all’eternità del pensiero la continuità di un procedere nel tempo, ovvero la coscienza. Allora la sunaiv sqhsi" dell’anima universale è l’unità del tutto, questa convergenza di tutte le sue parti che è caratteristica dell’Idea pura. Ogni anima umana contiene la ragione [generante] del suo corpo. Tale ragione è inclusa in quella universale. Tutte le anime particolari sono racchiuse nell’anima universale. Ciascuna [di esse] è cosciente. Ma se noi le consideriamo tutte in modo sintetico nell’anima universale, non vi è più coscienza. Tale incoscienza è, se si vuole, un dato di arrivo, partendo dalla coscienza, ma per via di ar229 Qui si aprono delle virgolette di citazione nel testo pubblicato, che poi non si chiudono e che non hanno molto senso per cui non le riproduciamo.

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ricchimento, e assumendo nell’eterno ciò che la nostra coscienza sviluppa nel tempo. Data l’anima nel nou` ", non vi è niente da aggiungerle perché diventi coscienza, bensì qualcosa da perdere. Per immaginarsi questa forma d’essere c’è bisogno di un grande sforzo. Ma non è impossibile pervenirvi. Bisognerà certo rendersi conto che il pensiero si spiega grazie all’Intelligenza. Si è detto che le Idee platoniche erano dei pensieri di Dio, ma [non]230 basandosi su Plotino. Al contrario, per Plotino l’atto di pensare non può spiegarsi che se si fa riferimento all’intelligibile, al nou`". Come? Ho l’immagine cosciente di un triangolo. Essa è cosciente poiché me l’immagino per un certo tempo e in un certo spazio. Per passare all’idea di triangolo, farò astrazione dalle immagini particolari. Ma, nella misura in cui me la rappresento nel tempo, sottendo all’idea un’immagine generale. Se voglio rappresentarmi l’idea pura, io esco dalla coscienza, coincido con l’intelligibile, non sono più io.231 Ancora: consideriamo il caso di Socrate cosciente. Non è che lo svolgimento nello spazio e nel tempo dell’idea

230 Integriamo noi una negazione, altrimenti questa frase non si accorderebbe con quella immediatamente successiva e si attribuirebbero tesi contraddittorie a Plotino. Bergson spiega infatti che per Plotino l’intelligibile, come oggetto pensato, ha priorità logica, sull’intelletto, come soggetto pensante. Invece Dio è logicamente prioritario alle sue stesse idee. Ricordiamo che fu Filone Alessandrino (I sec. a.C- I sec. d.C.), a quel che se ne sa, che per primo propose di interpretare le Idee platoniche come pensieri del Dio creatore del libro della Genesi, attuando anche in questo caso una sintesi importante tra filosofia greca, da una parte, e tradizione giudaica , dall’altra; si veda PHILO, De opificio mundi, § 24 con le note e l’excursus di Runia in Philo of Alexandria, On the Creation of the Cosmos according to Moses. Introduction, Translation and Commentary by D. T. Runia, Brill, Cologne, Leiden - Boston 2001, pp. 51 e 147-152. 231 Sull’esposizione e la critica di queste concezioni si veda, a titolo d’esempio, Mélanges, pp. 1056 e 1059 [NdC].

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eterna di Socrate232 e, di conseguenza, se si vuole passare da Socrate alla sua Idea, bisognerà assumere una coincidenza con l’intelligibile puro, in cui ogni coscienza sarà abolita. Per passare all’idea di Socrate, del triangolo, bisogna intensificare infinitamente l’immagine del triangolo o di Socrate. E, inversamente, per scendere dall’Idea all’immagine, dal pensiero alla coscienza, non c’è niente da aggiungere, bensì si tratta d’impoverire. Aristotele ha detto che non si può pensare senza un’immagine.233 Sì. Ma non si tratta più del pensiero cosciente. È tale pensiero sovracosciente che Plotino ha attribuito all’anima universale. Tale concezione della coscienza è totalmente opposta alla concezione moderna. Per noi [moderni] la coscienza è una cosa semplice. Lo stato di coscienza è il tipo dell’individualità. Già Platone aveva fatto dell’anima una miv xi".234 Per Plotino essa è una mescolanza, qualcosa che si produce all’incrocio tra pensiero (limite superiore) e materialità (limite inferiore). Un triangolo si situa tra l’idea del triangolo e l’indefinito dello spazio e del tempo. Allo stesso modo un’anima può risolversi in materialità pura e nell’idea di quest’anima. C’è per finire il movimento di tale limite inferiore verso quello superiore, e tale movimento è la coscienza. E allora comprendiamo bene perché Plotino abbia chiamato ‘anima’ tale ipostasi che svolge le Idee nello spazio e nel tempo. Se la coscienza ne fosse stata la nuda essenza, ci si sarebbe potuti stupire che egli abbia dato il

232

Si veda la nota 151. Arist., De anima, III 7, 431a 16-17 (dio oudepote noei aneu phantasmatos h¯e psych¯e). 234 Si veda supra la nota 92. 233

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nome di anima a un essere che non è cosciente: ed è per questo che il termine di ‘anima universale’ ci stupisce. Ma la coscienza è qualcosa che accompagna [l’anima]. L’anima potrebbe, a rigore, farne a meno. L’essenza dell’anima è la sua funzione di veicolo delle ragioni generatrici. Dopo aver risolto tale problema, Plotino ne risolve altri [ad esso] collegati, necessari in vista del problema fondamentale dell’origine dell’anima individuale. In primo luogo il problema della vita. Qual è, nella formazione della nostra persona fisica, il contributo della natura e quello della nostra persona morale? Il corpo vivente è una collaborazione della natura e dell’anima. È la natura a produrre il corpo; in ogni caso l’anima universale, sotto forma di natura. E, d’altro canto, l’anima individuale si produce il proprio corpo. Il corpo vivente è al punto d’incrocio di queste due operazioni. Quali sono i contributi rispettivi di tali due cause? Testi essenziali: VI, 4.15.235 Il corpo umano esiste prima che l’anima sia giunta a prenderne possesso, ma esso era atto a riceverla, era nelle sue vicinanze, ne ha ricevuto un calore e un’illuminazione. Esso vi era preparato, perché era un corpo non senza partecipazione all’anima. Infatti la natura aveva già fatto uno schizzo del corpo. – VI, 7. 7:236 Che cosa impedisce che l’anima universale prepari un abbozzo, e ciò in quanto essa è il logos universale, prima che le anime particolari non vi s’inseriscano? Questo 235 Enneade VI 4 [22], Sul fatto che ciò che è uno e identico si trovi contemporaneamente dappertutto. Libro I, cap. 15, 1-16. 236 Enneade VI 7 [38] Come si costituì la molteplicità delle Idee e sul Bene, cap. 7, 8-16.

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abbozzo sarebbe come un’illuminazione preparatoria della materia e, allora, l’anima individuale, giungendo a riscrivere su tali tracce, le organizza parte per parte. E così ogni anima diventa il corpo a cui è venuta ad aggiungersi, avendo in tal modo portato a compimento la propria configurazione, come colui che fa parte di un coro di danza si conforma al ruolo assegnatogli.

Interpretiamo. Immaginiamo una persona che, guardando delle nuvole, vi veda delle figure, o un tappeto formato da linee geometriche che corrono in tutti i sensi. Per un verso esso non si fa senza partecipazione all’anima, poiché c’è stato bisogno di un geometra per tracciare tali linee. Se lo guardo, potrò identificarvi una figura determinata, un esagono, e allora non vedrò più che quella. Per un altro verso sono stato io a tracciarla, per il primo verso è colui che ha fabbricato il tessuto. Il disegno era là; ma accade che, proiettando qualcosa di me, vi ho prodotto tale disegno, e avrei persino potuto proiettare tramite l’immaginazione l’intero disegno; ma ho trovato il disegno già fatto, e ho scelto ciò che era più conforme alla mia immaginazione. In un senso analogo il corpo è prodotto contemporaneamente dalla natura e dall’anima individuale. Nel primo senso è semplicemente parte del tutto; nel secondo senso l’anima, inserendovisi, non vi aggiunge niente, ma lo distacca dal tutto. C’è, come dice Plotino, sovrapposizione dell’uomo sensibile a quello intelligibile. Cerchiamo di superare questi paragoni e di risalire ai principi teorici. Il principio è stato messo in risalto da Porfirio, Elevazioni, § 14:237 «Ci sono due specie di genera237

Cfr. Porph., Sententiae, n. 14, p. 6, 5-14 Lamberz.

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zione; l’una tramite causalità, l’altra tramite composizione. Le sostanze semplici sono generate per mezzo di causalità, così la yuchvdal nou`". Ma esiste anche la genesi tramite composizione. Ora i corpi viventi sono generati nello stesso tempo nei due modi, sia come tramite una causa sia come tramite composizione». La via di composizione è quella fisica: noi diremmo che un corpo è formato fisicamente tramite composizione. L’altro modo è quello per cui una causa superiore scende nella materia, si tratta della processione. Noi oggi, per spiegare la vita, distinguiamo due teorie.238 In primo luogo la spiegazione meccanicistica. Si assume che le forze fisico-chimiche portino a delle combinazioni di molecole tali per cui si compiono i fenomeni della vita. Plotino ha confutato il principio di tale teoria, sostenendo che l’organizzazione non può sorgere dall’inerzia. In secondo luogo la teoria secondo cui un principio di ordine psicologico scenderebbe verso la materia, giungerebbe a coinvolgere le sue [della materia] molecole nella propria orbita, a magnetizzarle nella sua direzione. La soluzione di Plotino consiste nel non accettare nessuna di queste due spiegazioni estreme. La sola materia non può costituire un vivente. Nemmeno l’anima individuale può produrre la vita, poiché essa si trova in presenza dell’opera dell’anima universale, di una materia costituita, essa non può dare a sé un organismo. Ci sarà cooperazione delle due forze. L’anima deve subire le leggi della natura: non potrà che volgersi verso la materia per cercare di darsi un corpo; ma, allo stesso tempo, il corpo 238

Il curatore rimanda a L’evoluzione creatrice, pp. 413-414.

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aspira alla vita poiché è l’opera dell’anima universale. È al punto d’incontro che si costituisce la vita. Soluzione molto profonda. Se si può considerare questo problema dal punto di vista teorico, si trova che le forze fisico-chimiche possono generare qualcosa che imiti la vita già da vicino; i corpi organizzati chimicamente riescono a rasentare la vita, manca un avvio. E sembra proprio che ci sia bisogno di qualcosa che venga dall’alto. Ma questo qualcosa non farebbe niente, se la materia non fosse già per se stessa pronta ad organizzarsi. Tutto avviene come se la vita non potesse aggiungersi se tali forze non vi fossero già completamente preparate, non avanzassero verso tale esito. Più in generale la causalità pensabile tra i diversi gradi della natura sembra proprio essere qualcosa del genere. Noi non concepiamo né come delle forze inferiori riuscirebbero di per sé a creare delle nuove proprietà né come delle forze superiori riuscirebbero a imporsi su una materia refrattaria. Tutto avviene come se le forze superiori fossero lì a spiare il momento in cui le forze inferiori avranno abbozzato la forma da ricevere. Allora le forze superiori, attirate dalla loro immagine, scendono nelle forze inferiori per continuare il movimento.239 La prima conseguenza da tirare da qui riguarda il problema della libertà. Abbiamo appena indagato come la vita possa conciliarsi con le forze naturali. Dobbiamo ricercare come la libertà, che egli attribuisce all’anima, si concili con la necessità della natura. La soluzione si trova nella teoria della formazione del corpo.

239 Le pagine che precedono sono – se ne converrà – un documento di prim’ordine e insostituibile per cogliere sul vivo la genesi delle tesi de L’evoluzione creatrice [NdC].

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IV, 3.13.240 La questione è posta in una forma stringente: in quale misura la scelta di un corpo è libera? Essa non è né necessaria né volontaria. «Le anime non scendono né volontariamente né inviate. Non si tratta della necessità, poiché la discesa avviene in virtù di un’inclinazione interna che porta l’anima a scendere così come ci si sente portati al matrimonio. Certo è la necessità, ma si direbbe altrettanto che il nou`" obbedisce alla necessità quando resta lì dov’è». In altre parole, se essere libero significa restare completamente ciò che si è, la discesa non è libertà pura. Ma se essere necessitato significa subire un influsso esterno, allora la discesa non è necessaria, poiché essa è conforme ad una inclinazione naturale dell’anima. Plotino generalizza il problema. In che misura, una volta scelto il corpo, siamo indipendenti dalla natura in cui siamo inseriti? III, 1.7:241 C’è una dottrina – quella degli Stoici – secondo cui non esiste che un solo principio, che legherebbe tutte le cose le une alle altre e che determinerebbe ciascuna di esse tramite delle ragioni generatrici. Vicina a questa dottrina è quella che dice che ogni stato e ogni movimento, o nostro o dell’insieme, derivi dall’anima universale – Eraclito.242 240 Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 13, 17-19 e 22-23. Per questa situazione delle anime, né volontaria né necessaria, che potrebbe sembrare strana a noi moderni, rimandiamo all’illuminante articolo di D. O’brien, Le volontaire et la nécessité: réflexions sur la descente de l’âme dans la philosophie de Plotin, in «Revue philosophique de la France et de l’étranger», 167 (1977), pp. 401-422. 241 Enneade III 1 [3] Sul destino, cap. 7, 1-6 e 15. 242 Come indica anche il curatore, né la menzione degli Stoici né quella di Eraclito si trovano nel testo di Plotino, è Bergson che identifica la paternità delle due dottrine sentite come simili per il fatto di togliere ogni iniziativa al-

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In questa dottrina, tutte le nostre rappresentazioni e tutte le nostre tendenze si producono tramite delle cause necessarie, di modo che la nostra libertà non sarebbe che una mera parola.

Così la formula della necessità è: una sola causa sviluppa tutti questi eVetti. «Si tratta di trovare la soluzione che, in primo luogo, non lasci fenomeno alcuno senza causa, conservi la successione e l’ordine delle cose e, in secondo luogo, permetta a noi [esseri umani] di essere qualcosa».243 Il problema è dunque posto: salvaguardare la causalità senza sacrificare la nostra libertà.

VIII – La caduta delle anime Passiamo dall’anima universale a quella individuale. Che cos’è? Che rapporti ha con l’anima del mondo, con l’intelligenza, con l’uno? Che rapporti abbiamo noi con la natura, l’intelligenza e Dio? La questione che si pone immediatamente è quella del rapporto dell’anima umana con l’anima del tutto. Si tratta di sapere se la soluzione la più naturale è quella vera: quella di Vacherot,244 di Kirchner.245 l’operato umano. Tuttavia mentre la prima dottrina è indubitabilmente stoica, non è scontato che la seconda sia da attribuire ad Eraclito – come fa Bergson – in quanto potrebbe essere a sua volta sostenuta da altri autori rispetto ai primi, ma sempre stoici. Cfr. per un commento ad locum dei passi plotiniani citati: Plotin, Traité 3, III 1. Introduction, traduction, commentaires et notes par M. Chappuis, Les Éditions du Cerf, Paris 2006, pp. 113-118. 243 Come il curatore indica, si tratta del capitolo successivo, Enneade III 1 [3] Sul destino, cap. 8, 1-3. 244 Si veda la nota 77.

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Secondo costoro l’anima umana deriverebbe puramente e semplicemente dall’anima del mondo come l’eVetto dalla causa e la parte dal tutto. Sappiamo che l’Uno genera l’intelligenza, e l’intelligenza l’anima del mondo. Sembra naturale dire che l’anima del mondo 246 le anime individuali. E questa soluzione è vicina a quella stoica. In fin dei conti Plotino ha parlato di tre ipostasi: Uno, intelligenza, anima universale. Sembra naturale – poiché non vi è più niente [come ipostasi] – far provenire le anime individuali, come la natura, dall’anima universale. Se si pretende che l’anima umana sia stata generata dall’anima del mondo, bisognerà dire qual è la natura di tale derivazione. Si tratta di una derivazione nel tempo, come una causa temporale genera il suo eVetto? No. Infatti la nostra anima è anteriore alla nascita [dell’individuo umano sensibile], anteriore al corpo così come gli sopravvive, essa è eterna come l’anima del mondo. Quindi non si dà derivazione nel tempo. Resterà l’ipotesi della derivazione fuori del tempo, essa [l’anima umana] proverrà dall’anima del tutto come dei teoremi dalla definizione. Anche questa soluzione è inaccettabile. Infatti in Plotino c’è un criterio per questo tipo di derivazione metafisica: in tal caso la cosa derivata è inferiore e, di conseguenza, possiede altre funzioni. Ora Plotino non ha detto da nessuna parte che ci sia un’inferiorità di questo tipo; le funzioni dell’anima umana

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Si veda la nota 78. Il curatore segnala una parola illeggibile e propone termini come «genera» o «produce». 246

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sono le stesse di quelle dell’anima universale.247 Egli dice persino che ogni anima individuale avrebbe potuto creare il mondo, e non l’ha fatto poiché è stata preceduta dall’anima universale. Se il sistema sembra esigere una derivazione panteistica, Plotino si esprime in termini che escludono tale derivazione. Richter248 dichiara insolubile questa diYcoltà. Secondo Zeller249 ci sono almeno due ipotesi tra cui egli [Plotino] oscilla: identificare l’anima universale e quella umana; distinzione delle anime umane e di quella universale. Ma la contraddizione è certo grossolana. Il rapporto delle anime con l’anima del tutto non è semplice. Sicuramente non c’è indipendenza; ma nemmeno derivazione. Quando la luce rossa esce da quella bianca attraverso il prisma, non si può dire che essa abbia come causa la luce bianca: non si tratta di un rapporto causale. Prima di presentare questa soluzione, bisogna risolvere un’altra questione: come e perché le anime individuali si staccano dall’anima universale, dato che prima esse sono in essa e con essa. L’abbandonano? Ci sono dapprima delle risposte mitiche. L’anima universale deriva dal nou`", e pertanto gli è inferiore. Ne risulta che nella natura, che è la manifestazione dell’anima nello spazio e nel tempo, non ci sia la stessa armonia che [c’è] nell’intelligenza: l’unità del mondo non è perfetta. 247 Si deve intendere che l’anima individuale ha, come quella universale, le funzioni di produrre e governare i corpi. Non si deve intendere invece che l’anima universale abbia tutte le funzioni di quella individuale, poiché appunto l’anima universale non avrebbe coscienza nella interpretazione di Bergson, che altrimenti non risulterebbe coerente. 248 Si veda la nota 81. 249 Si veda la nota 80.

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III, 2.16:250 «L’anima universale è un logos che oppone le une alle altre alcune delle sue parti, e così essa genera nella natura la lotta e la guerra. Essa è simile alla trama di un dramma che, nella sua unità, racchiude mille scontri». Quindi, se i corpi infinitamente numerosi che l’anima del mondo disegna e anima portano in sé delle tracce di discordia, è naturale che le anime individuali che verranno a inserirvisi seguano la discesa dell’inclinazione che i corpi disegnano. III, 2.17:251 «Ogni parte del tutto tira a sé tutto quanto può», e così sarebbe l’egoismo a dominare il mondo delle anime incarnate, poiché ciò che domina in ciascuna parte è il desiderio di vivere. L’egoismo è la legge della vita, dato che nello spazio e nel tempo ogni parte mira ad essere il tutto; l’armonia è scomparsa. È per ragioni morali infatti che Plotino spiega anzitutto la caduta delle anime nel corpo. V, inizio,252 egli si domanda: «Perché e come esse hanno potuto dimenticare Dio, loro padre, esse che sono divine, e disconoscere se stesse? Il principio di tutti i mali è l’audacia, ovvero il desiderio di non appartenere che a se stesse». Da qui un desiderio di esistenza per sé, origine di separazione. In che cosa consiste questa audacia? E da dove viene alle anime? È che per eVetto di un miraggio hanno esagerato ai propri occhi la loro importanza. IV, 3.12:253 «Le anime degli esseri umani, avendo contemplato la loro immagine nello specchio di Bacco, si sono slanciate quaggiù». Questo specchio è la 250

Enneade III 2 [47] Sulla Provvidenza. Libro I, cap. 16, 32-33 e 35-36. Enneade III 2 [47] Sulla Provvidenza. Libro I, cap. 17, 7-8. 252 Enneade V 1 [10], Sulle tre ipostasi principiali, cap. 1, 1-5. 253 Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 12, 1-2. 251

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materia in generale, rifrazione dell’anima universale, materia che oVre a ogni anima umana un corpo che le assomigli. Attirata da tale promessa d’indipendenza, l’anima si precipita: e allora essa è prigioniera, incatenata; è la punizione per aver voluto vivere. Plotino pretende che tale dottrina sia di tutti i tempi. IV, 8.1:254 egli l’attribuisce a Empedocle, «per il quale è una legge per le anime peccatrici il cadere quaggiù, ed egli stesso sa che, dopo essere fuggito da Dio, è venuto qui per diventare schiavo della furiosa discordia». Ugualmente Platone. Ha sostenuto che l’anima è incatenata e come sepolta nel corpo.255 Plotino aggiunge che non si tratta solo di teoria, ma di un dato d’esperienza. Conosciamo il passo di IV, 8,256 in cui parla del passaggio dell’anima all’intelligenza, poi all’uno. Uscendo da un tale stato, l’anima sente di scendere, katabaivnein. La caduta è quindi un fatto che l’esperienza può restituirci. Dunque l’anima, per un verso, è caduta nel corpo per una sua libera scelta e per un errore. Qual è per essa il risultato della propria caduta? Esso è doppio. In primo luogo, quando essa abita presso l’anima universale, par254 Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, 17-20; cfr. Empedocle, 31 B 115 D-K. 255 Cfr. Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, 30-31; si veda Plat., Phaed. 67d1 (catene) e Crat. 400c2 (tomba). 256 Qui il curatore dice che Bergson senza dubbio allude al cap. 6 del trattato IV 8, ma che il rinvio non è molto chiaro. Da parte nostra, invece, riteniamo che si tratti di un chiaro rinvio al cap. 1 di detto trattato, dove appunto si parla dell’esperienza di risalita dell’anima verso le ipostasi superiori e della sua ridiscesa con relative aporie. In detto testo è usato due volte il verbo katabain¯o («scendo giù», ll. 8-9), che Bergson menziona in tale contesto (p. ). Trattasi quindi di Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 1, 1-11. Del resto Bergson ne parla come di un passo noto (come di fatto è) e al quale aveva rimandato già in precedenza (pp. e ).

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tecipa al governo del mondo intero, e, come il mondo è eterno, l’anima individuale, in quanto riposa in quella universale, è libera da ogni preoccupazione. Ma quando essa cade in un corpo, posto tra gli altri e distrutto da essi, allora inizia la preoccupazione per il corpo e l’inquietudine della vita. In secondo luogo, nell’anima universale, che è essa stessa coinvolta, tramite la sua parte superiore, con la totalità dell’intelligenza, l’anima umana possiede tutte le Idee. Ma da quando essa assume un corpo, non ne possiede più che una parte. Essa possiede a rigore la totalità delle Idee, può sempre tramite uno sforzo ricollocarvisi; ma di fatto si concentra su una parte dell’intelligibile rifratto nello spazio e nel tempo. VI, 4.16:257 «Dal tutto dell’intelligibile, essa è saltata a una parte. È come se un sapiente che possiede la scienza completa non considerasse più che una sola proposizione». Del resto per Plotino ogni proposizione riflette l’intera scienza. «L’anima è così diventata un essere particolare, poiché ha concentrato la sua attività sul corpo». Nelle aj formaivdi Porfirio,258 stessa idea espressa con forza, § 39: «L’anima che inclina verso la materia è ridotta alla spoliazione e all’esaurimento della forza che le è propria. Al contrario, quando essa risale al nou`", ritrova la pienezza della sua forza. Si tratta degli stati di povertà e di abbondanza». Così è per un eVetto della loro audacia che le anime individuali sono saltate dal seno dell’anima universale 257 Enneade VI 4 [22], Sul fatto che ciò che è uno e identico si trovi contemporaneamente dappertutto. Libro I, cap. 16, 29-30 e 25-28. 258 Porph., Sententiae, n. 37, p. 45, 5-8 Lamberz.

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nel corpo. Tramite ciò esse hanno sperimentato una diminuzione di se stesse, poiché si concentrano sul corpo e non posseggono più che una parte del mondo intelligibile, che a rigore appartiene loro per intero. È il punto di vista morale. Ma già, IV, 3, vediamo spuntare una nuova spiegazione - § 6:259 «Forse è l’elemento molteplice delle anime che, tirato in basso, ha trascinato con sé le stesse anime, sia esse sia le loro rappresentazioni». In IV, 7,260 spiega che l’anima individuale ha prodotto il proprio corpo. Ci sarebbe quindi una prospettiva fisica: la caduta non sarebbe l’eVetto di una scelta e il castigo di un atto di audacia, bensì sarebbe un processo naturale, necessario, automatico.261 L’anima non cadrebbe più in un corpo che essa deve subire: ne sarebbe la facitrice. Audacia, caduta, castigo sarebbero l’aspetto morale di un processo che sarebbe naturale, essendo l’anima qualcosa che partecipa dell’idea, ma porta in sé una molteplicità che, come un peso troppo gravoso, l’attira nello spazio e nel tempo; di conseguenza essa diventa, tramite tale attività che divide, creatrice di un corpo. È necessario tornare un po’ sull’anima universale e il suo rapporto con l’insieme della natura. Essa è la ragione generatrice del mondo. Si schiude nello spazio e nel tempo, creando la natura che si trova così ad essere un grande organismo, le cui parti sono tutte legate da simpatia. 259 260

Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 6, 25-27. Cfr. Enneade IV 7 [2] Sull’immortalità dell’anima, cap. 2, 22-25 e cap. 13,

4-7. 261 Questo intreccio in Plotino di una prospettiva fisica e di una morale nel descrivere e spiegare la discesa delle anime nei corpi è un punto capitale che Bergson mette in evidenza con tutta chiarezza, tracciando un sentiero interpretativo che gli studiosi plotiniani contemporanei continuano a percorrere.

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D’altro canto ogni parte della natura è essa stessa un organismo, purché si sappiano distinguere le parti come si deve. E ci devono essere delle ragioni generatrici di tutte queste parti componenti. Ci sono quindi un logos universale che fabbrica il mondo e dei logoi particolari che creano le parti dell’universo. Tali logoi sono delle Idee, in qualche modo decadute, uscite dall’eternità, o piuttosto che si prolungano nello spazio e nel tempo. Dunque la radice dei logoi si trova nell’intelligibile. Quali sono le Idee che corrispondono rispettivamente alle anime fabbricatrici dei corpi e all’anima universale? Circa le anime individuali, a ognuna corrisponde nel mondo intelligibile una certa Idea che la rappresenta eternamente. – Circa l’anima universale, Plotino fornisce meno precisazioni. Ma è chiaro. L’anima universale – egli dice – è generata dal nou` ", che è la totalità degli intelligibili. Allora l’anima universale è rappresentata nell’intelligibile tramite la totalità delle Idee, considerata nella sua totalità, essa è il prolungamento dell’intelligibile. Ora, per Plotino, ogni Idea è, in un certo modo, rappresentativa del nou`" tutto intero, contiene tutte le altre, porta in sé, in forma virtuale, la totalità delle altre: come in geometria una proposizione è gravida dell’intera scienza. Tiriamone le conseguenze. Consideriamo un’anima umana rappresentata nel mondo intelligibile da una certa Idea. Quest’anima, prolungando un’Idea che è rappresentativa, in quanto idea, dell’intero intelligibile, potrebbe, a rigore, fare tutto ciò che ha fatto l’anima universale, prolungamento di tutto l’intelligibile. L’anima di Socrate, prolungando l’idea di Socrate che è, in un certo senso, il nou` ",

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potrebbe creare il mondo. IV, 3.6:262 «Perché l’anima universale, che è della stessa natura delle anime particolari, ha prodotto il mondo, e non [l’ha prodotto] ciascuna delle anime particolari, visto che anche ognuna racchiude tutto in sé?». Idea che non ha niente di paradossale: se non ci fosse che la mia anima, la mia anima sarebbe il mondo intero; se io non lo creo, è perché mi trovo in presenza di un sogno universale che sloggia il mio sogno. Postagli la domanda, Plotino risponde che ciò dipende dal fatto che essa è stata preceduta dall’anima universale. Non si tratta di tempo; bensì le anime individuali sono precedute di diritto dall’anima universale, che è loro superiore di grado.263 E se una sola anima può creare il mondo, sarà essa [l’anima universale a farlo]. Ogni anima esprime il tutto da un punto di vista particolare, mentre l’anima universale si colloca in tutti i punti di vista contemporaneamente. Ogni anima umana tende a fare il mondo, ma tende più particolarmente a crearsi il corpo particolare che esprime il suo punto di vista. Allora l’anima universale che fabbrica tutto fabbricherà anche il corpo di Socrate; ma, al tempo stesso, l’idea di Socrate264 tende a costituire per sé il proprio corpo. Tale corpo può quindi essere considerato come prodotto in modo meccanico dalla natura, e come creato dall’idea stessa 262

Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 6, 1-3. Cfr. Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 6, 20-25: il maggior potere creativo dell’anima universale le viene dal suo restare in se stessa, senza volgersi verso il basso, stando sempre con l’occhio rivolto verso l’alto, verso l’Intelletto. 264 Qui e in quanto segue Bergson identifica l’anima di Socrate con l’Idea di Socrate, tuttavia tale identificazione non è scontata nella misura in cui per Plotino non c’è dubbio che Socrate abbia un’anima e che questa dia vita al suo corpo, mentre è problematico dire che in Plotino esistano Idee di enti sensibili individuali come Socrate; cfr. in proposito la nota 151. 263

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di Socrate. La caduta dell’anima non è altro che il processo che fa in modo che l’anima, seguendo la sua inclinazione naturale, si trovi all’improvviso a incontrare un corpo già prodotto dal logos universale. Vi è un ingresso naturale [dell’anima nel corpo] e, in un certo senso, caduta. Immagino un raggio di luce bianca che cade su un prisma e si rifrange in mille raggi multicolori. Scelgo il raggio rosso. La luce bianca sarà l’anima universale, i raggi multicolori i corpi; il raggio rosso il corpo di Socrate. Per un verso esso è l’opera della luce bianca che ha prodotto tutto lo spettro; ma per un altro verso non è che il prolungamento di un raggio rosso che esisteva già nella luce bianca. In un senso prolunga la luce bianca, in un altro la luce rossa. Nello stesso modo ogni corpo vivente è, al tempo stesso, l’opera dell’anima universale che crea tutti i corpi, ma in quanto inscritti nella totalità della materia, e [è l’opera] dell’anima particolare che si porta in uno di questi corpi per emettere raggi su tutto il resto e creare in tal senso. Si comprende allora in che senso i corpi siano delle opere naturali delle anime umane che manifestano la loro potenza, e in che senso quest’inserzione [di un’anima in un corpo] sia una caduta, poiché l’anima rifugiandovisi diminuisce i propri poteri. L’inserzione è, al tempo stesso, un processo naturale e una specie di caduta. Abbiamo cominciato lo studio dell’operazione per cui l’anima assume un corpo, e abbiamo visto che Plotino si collocava di volta in volta da due punti di vista, il punto di vista morale della caduta, in cui l’assunzione di un corpo ha per causa l’audacia, come mezzo immediato l’egoismo, come risultato un decadere, e il punto di vista fisico, in cui l’assunzione di un corpo non appare più come un atto qualificabile moralmente, ma come un fatto fisico

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naturale e, per un verso, necessario, che rientra nella legge generale della processione, tramite cui ogni unità s’irradia. C’è nella mente di Plotino una transizione da un punto di vista all’altro? Tra l’assumere un corpo considerato come un atto morale, e l’assumere un corpo considerato fisicamente, esiste un passaggio? Certamente esso esiste nella mente di Plotino. IV, 3.12-13,265 la discesa è presentata anzitutto come una specie di operazione magica: «L’anima è attirata nel corpo come dalle forze e dall’attrazione potente della magia. È una specie di fascinazione, quindi si tratta ancora del punto di vista morale. Ma in più vi è una necessità che fa in modo che, al momento opportuno, ogni anima scenda come se fosse chiamata da un messaggero». E poi «L’anima scende nel suo corpo come automaticamente». Stessa diVerenza per ciò che riguarda la scelta di un corpo. «L’anima va verso il corpo che è l’immagine della sua preferenza e della sua disposizione originaria», – «al corpo che è stato preparato tramite la somiglianza della sua disposizione», – «al corpo adattato e analogo».266 È il punto di vista morale. Ma un’altra espressione: «L’anima va ad inserirsi nel corpo che è necessario».267 265 Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 13, 10-12 e 7-10. La citazione in realtà contiene le considerazioni di Bergson, ovvero: «È una specie di fascinazione, quindi si tratta ancora del punto di vista morale. Ma in più vi è una necessità che fa in modo che...». 266 Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 13, 23; cap. 12, 37-38. 267 Il curatore osserva: «Sic» nel manoscritto, tuttavia se – come crediamo – la frase si riferisce al testo plotiniano che è oggetto di analisi in queste pagine e, in particolare, è la parafrasi di Enneade IV 3 [27] Sui problemi dell’anima. Libro I, cap. 13, 8: eiseisin eis ho dei, «[l’anima] si inserisce nel [corpo] in cui deve

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Nell’ottavo trattato della IV Enneade268 Plotino parla costantemente del corpo come se fosse fabbricato dall’anima: è il logos che, aggiungendosi alla materia, produce il corpo. C’è così una transizione non percettibile nel suo pensiero da un punto di vista all’altro. Ma ne consegue che ci sia una parentela logica tra le due idee? È possibile una conciliazione tra l’idea che l’anima abbia scelto un corpo inclinandosi e l’idea che una necessità interna faccia sì che essa entri nello spazio e nel tempo? Tale conciliazione non la si trova in modo esplicito nelle Enneadi. Ma è facile da operarsi se si fa riferimento al senso di questi diversi termini in Plotino: idea, anima, tempo e spazio. Nel mondo intelligibile tutte le Idee sono date le une nelle altre. Ogni Idea è rappresentativa di tutte le altre. Nel mondo intelligibile tutto si dà insieme; tutto è lo stesso e tutto è diverso. Così tutte le Idee delle anime individuali sono date le une nelle altre. È che noi [scil. le nostre anime] siamo al di fuori dello spazio e del tempo. Nel tempo e nello spazio è diverso. Nel mondo intelligibile l’armonia deriva proprio dal fatto che ogni parte è il tutto: ma, come un luogo dello spazio non può contenere che un solo oggetto, e un momento del tempo un solo evento, così ogni anima, prendendo un corpo, escluderà tutte le altre anime da un certo luogo e da un certo tempo, e, dato che porta in sé la rappresentazione confusa del mondo tutto intero, aspirerà a prendere tutto il posto. Essa non può farlo, essendo limitata dalle

[inserirsi]», allora il testo bergsoniano dovrebbe essere: «L’anima va a inserirsi nel corpo in cui è necessario [inserirsi]». 268 Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi.

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altre anime, soprattutto dall’anima del mondo che la precede. L’anima individuale si trova quindi compressa. Ora tale compressione è precisamente la definizione stessa del peccato.269 Ciò che, considerato fisicamente, è discesa naturale dell’anima nello spazio e nel tempo, , ciò stesso, interpretato moralmente, si chiamerà peccato o caduta per definizione. I, 8.14:270 «Entrare nella materia costituisce in sé la caduta dell’anima. Essa s’indebolisce poiché tutte le sue potenze non possono più entrare in azione, e ciò che lo impedisce è la materia che la forza ad arrotolarsi su se stessa, a restringersi». In altre parole, si può dire che il peccato sia una causa, ma anche che sia un eVetto. In realtà è, allo stesso tempo, l’una e l’altro, è la stessa cosa della discesa necessaria, fisica, dell’anima nel corpo. Ci sono qui due aspetti di una medesima operazione: morale, se la si qualifica, fisica, se la si descrive semplicemente. La teoria della presa di un corpo271 è quindi molto complessa. Metteremo in relazione questa concezione con quella di Platone. L’oggetto della filosofia di Platone è stato la risoluzione del sensibile in intelligibile, delle cose in Idee. Si tratta del procedimento dialettico. Il processo inverso, la discesa dell’intelligibile nel sensibile, non era 269

Così nel testo, in cui si legge il termine péché, ripetuto anche in seguito. Enneade I 8 [51] Su quali e donde siano i mali, cap. 14, 44-48; per l’immagine del restringersi Plotino cita Plat., Symp., 206d6 (l’anima si contrae imbattendosi in ciò che è brutto). 271 Si tratta di ciò che H. Bergson indica con il termine «ensomatose», ovvero l’assunzione di (o l’entrata in) un corpo da parte dell’anima, secondo i dettami pitagorico-platonici ripresi e ulteriormente elaborati da Plotino. 270

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stato indicato da Platone che sotto forma di miti. Ciò che Plotino ha fatto è consistito nel prendere gli elementi della filosofia platonica e nel ristabilire tra di essi la continuità tramite un processo che parte dal Bene e scende alle Idee, sfociando nel mondo sensibile. La parte importante di tale processione, è la processione delle Idee fino al mondo sensibile; e ciò che eVettua il passaggio è l’anima. Da qui l’importanza della teoria dell’anima in Plotino. Ci sono l’anima del mondo e le anime individuali. Esse svolgono lo stesso ruolo: far scendere l’intelligibile nel sensibile. I punti principali di questa teoria Plotino credeva di trovarli in Platone. Vi sono indicati in eVetti, ma senza essere collegati tra loro; si tratta solo di stazioni lungo la processione. L’anima universale è una mescolanza dell’essenza divisibile e di quella indivisibile (Timeo).272 Platone, secondo Plotino, avrebbe voluto dire che l’anima è il veicolo delle Idee essendo Idea in alto, mondo sensibile in basso. In eVetti Platone non la [l’anima] presenta né come creatrice né come organizzatrice delle cose: è una potenza che conserva il movimento. Per Plotino l’anima universale crea il mondo sensibile, è vero: ma già Platone (Leggi, X)273 dice che l’anima del mondo è anteriore a tutti i corpi. Anche nel Timeo274 essa è matematicamente composta, di modo che saremmo in diritto di porla tra le essenze intermediarie tra intelligibile e sensibile. Da questo punto di vista Platone prepara Plotino. 272

Trattasi di Platone, Tim., 35a1-3. Plat., Leg. X, 892a5, b1; 896b10-c3. 274 Cfr. Plat., Tim., 35b4-36b6. 273

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Inoltre troviamo nel Timeo275 l’indicazione di una teoria del tempo, immagine mobile dell’eternità. Ora, per Platone, il tempo è prima di tutto il movimento del cielo, il quale è assicurato dall’anima del mondo: essa è già, se non creatrice, almeno il supporto della durata. In Plotino l’anima del mondo è ciò che sviluppa nella durata l’idea eterna. Circa l’anima umana ci sono meno relazioni [di Plotino con Platone]. In Platone essa è già qualcosa d’intermedio tra l’idea pura e la cosa sensibile, meno della prima e più della seconda. E troviamo già la teoria di una caduta dell’anima nel corpo, e l’idea che tale incarnazione si faccia tramite un processo naturale: solo che in Platone queste due teorie sono entrambe indicate senza che vi sia una conciliazione, l’una nel Fedro,276 l’altra nelle Leggi.277 Inoltre non vediamo il rapporto preciso dell’anima umana con l’idea: essa ne è apparentata; ma l’idea è un genere, l’anima è individuale. Ciò che manca è l’indicazione della processione. In questo caso ancora Plotino ha completato Platone: ma ha dovuto separarsi da lui. Dapprima, come far uscire 275

Ivi, 37d5-7. Cfr. Plat., Phaedr., 248ac5-8. Va notato che benché l’assunzione di un corpo particolare sia (metaforicamente parlando) frutto di caduta per appesantimento e perdita delle ali dell’anima, tuttavia vi è anche una necessità, detta «legge di Adrastea» (c2), per cui l’anima che vede (anche minimamente) una delle Idee nella piana della verità non si incarna, mentre l’anima che non abbia tale visione s’incarna, secondo gradazioni necessarie che vanno dall’essere umano saggio al tiranno. Questo per dire che anche in Platone le due prospettive, fisica e morale, sono costantemente intrecciate. 277 In realtà nelle Leggi non è questione di anime individuali quanto dell’anima dell’universo che precede e muove i corpi in quanto semovente, si veda l’intera sezione di Plat., Leg. X, 893b1-899d4. Tuttavia va notato che nelle Leggi non vi è solo una prospettiva fisico-naturale, ma anche morale, nella misura in cui si distinguono due anime, l’una dotata di ogni virtù, causa dell’ordine dell’universo, e l’altra malvagia, causa di quanto vi è di disordinato (benché minoritario) nello stesso universo. 276

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l’anima dall’Idea? Bisognerà che l’Idea sia già individuale; tale è la soluzione di Plotino. Allora il passaggio diventa facile. Il Bene genera per irradiazione le Idee: se si stima che contengano virtualmente le anime, allora le idee sono individuali.278 Sarà suYciente supporre una caduta nel tempo e nello spazio per passare dall’Idea all’anima. Inoltre ogni anima individuale va a finire in un corpo. D’altro canto l’anima universale sboccia in mondo materiale. Ora bisogna che tutto ciò che esce dall’anima individuale per schiudersi nello spazio e nel tempo sia perfettamente coordinato a ciò che esce dall’anima universale. Ora l’anima individuale prolunga un intelligibile, l’anima universale la totalità degli intelligibili: in altre parole, ogni intelligibile è rappresentativo di tutti gli intelligibili, ogni idea particolare di tutte le altre idee. Ora è un punto essenziale di Platone che tutto non partecipi di tutto.279

278 In realtà trasportare, come fa Bergson in questo caso, caratteristiche di enti inferiori, quali sono le anime individuali, a enti superiori, quali sono le Idee, è problematico, nella misura in cui tra modello e copia vige sempre una somiglianza dissimile, per cui non si può dire tout court che, se l’anima è individuale, allora lo sarà anche l’Idea da cui deriverebbe. Oltre al fatto che, come si è più volte detto, Plotino a volte afferma e a volte nega l’esistenza di Idee di enti sensibili individuali, per cui cfr. la nota 151. 279 Ad es. l’Idea di Movimento non parteciperà all’Idea di Quiete, cfr. Plat., Soph., 252d9-11. Ricordiamo che Platone nel Sofista discute tre tesi: (a) non c’è mescolanza alcuna tra i generi/Idee; (b) c’è mescolanza totale tra tutti i generi/Idee; alcuni generi/Idee si mescolano tra loro, mentre altri no. È la terza tesi, di una mescolanza parziale, che viene fatta propria dallo Straniero di Elea che conduce il dialogo.

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IX – Teoria della coscienza Ora considereremo l’anima umana incarnata in un corpo e studieremo le sue proprietà principali. Al primo posto vi è la coscienza. Plotino è l’unico filosofo antico che abbia presentato una teoria della coscienza, che abbia persino enucleato l’idea della coscienza. Per questo motivo egli non ha trovato una terminologia già stabilita: da qui delle grandi diYcoltà, e si capisce che gli storici della filosofia si siano ingannati al riguardo. Richter280 riconosce che il concetto di coscienza è alla base di molte delle teorie di Plotino, ma crede che egli non l’abbia chiarito. Zeller281 pretende anche qui che Plotino si sia contraddetto e abbia detto talora che l’Intelligenza pura pensa se stessa – V Enneade282 – e talaltra – I Enneade283 – che la coscienza non sia possibile che tramite l’immaginazione. Da parte nostra pensiamo esattamente il contrario. Il nou` " è il solo a pensare se stesso, e la coscienza suppone un gioco d’immagini: questo vuole semplicemente dire che pensare se stessi non è essere coscienti. Lo vedremo in dettaglio. Cerchiamo di capire bene i testi, tenendo conto del fatto che la terminologia di Plotino non è definita. Tra i termini che sono stati tradotti con ‘coscienza’, troviamo la parola sunaivsqhsi". Che significa questa parola? 280

Cfr. la nota 81. Cfr. la nota 80. 282 Com’è noto, nell’edizione porfiriana, l’intera V Enneade riguarda l’Intelligenza, tuttavia un capitolo particolarmente pregnante sull’Intelligenza che pensa se stessa è il cap. 5 di Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, nonché il cap. 1 di Enneade V 6 [24] Sul fatto che ciò che è al di là dell’ente non pensa e che cosa sia ciò che pensa in modo primario e che cosa ciò che pensa in modo secondario. 283 Cfr. Enneade I 4 [46] Sulla felicità, cap. 10. 281

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IV, 5.5:284 «Si può dire dell’udito quanto abbiamo detto della vista; la sua aVezione è una sunaivsqhsi" come quella delle parti di un animale». La parola qui ha un significato chiaro. Ora per Plotino la percezione è una simpatia dell’organo con l’oggetto con il quale vibra all’unisono. La parola significa ‘simpatia’. Allo stesso modo, I, 1.9:285 «L’intelligenza discorsiva, operando una scelta tra le impressioni venute dalla sensazione, contempla le Idee e le contempla come tramite una sunaivsqhsi", dato che la diavnoia autentica è una somiglianza e una comunicazione dell’interno con l’esterno». Anche qui il significato è chiaro. Plotino attribuisce alla diavnoia il ruolo di andare a cercare nel nou`" un’Idea che essa avvicina alla sensazione, essa ha questo ruolo nella percezione. La parola designa qui la comunicazione simpatetica tra la diav noia e l’oggetto materiale che va a dipingersi nella rappresentazione. ‘Simpatia’ è certo il significato fondamentale della parola. Gradatamente ci s’incammina verso il significato di ‘coscienza’. Se è una simpatia, essa può essere più in particolare la simpatia delle parti di un essere le une rispetto alle altre, il loro accordo. IV, 4.45: «In un animale c’è simpatia di ogni organo rispetto a tutti gli altri e del tutto rispetto al

284 Enneade IV 5 [29] Sui problemi dell’anima. Libro III, o sulla vista, cap. 5, 29-31; citazione già fatta da Bergson a p. . 285 Enneade I 1 [53] Su che cos’è l’essere vivente e chi è l’essere umano, cap. 9, 18-23. Su questo trattato si veda in lingua italiana l’ottimo lavoro: Plotino, Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo, Enneade I 1 [53]. Introduzione, testo greco, traduzione e commento di C. Marzolo. Prefazione di C. D’Ancona, Plus, Pisa 2006. Si veda inoltre: A. Longo, Il rapporto tra anima e corpo nel vivente. Alcuni spunti di riflessione su Plotino e H. Bergson, in Les amis et les disciples. Mélanges offerts à Francis Wolff, in «Journal of Ancient Philosophy», Supplementary Volume, 1 (2019), pp. 42-53.

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tutto».286 IV, 4.9:287 «L’anima universale non sarà più intera; ci saranno delle potenze diverse nelle diverse parti del mondo; non ci sarà più sunaivsqhsi"». È già il significato più particolare di ‘consenso’, di ‘armonia interna’. Da questo secondo significato passeremo a quello di ‘coscienza’. Supponiamo che per Plotino la coscienza sia, da un certo punto di vista, una simpatia, un’armonia delle diverse parti dell’anima tra loro; allora la parola potrà significare ‘coscienza’. III, 8.4.288 Plotino attribuisce alla natura uno spazio di coscienza addormentata: «La natura rimane nel suo equilibrio e in una specie di sunaiv sqhsi"». Questa coscienza è qui un consenso interno, un equilibrio. V, 3.13: «La sunaiv sqhsi" è l’ai[ sqhsi" di una pluralità». La parola può quindi significare ‘coscienza’, ma non è il suo significato fondamentale. Possiamo già intravedere una certa concezione della coscienza. Di primo acchito Plotino ha trovato una concezione tutta moderna della coscienza. La coscienza sarebbe prima di tutto sintesi, assimilazione, comunicazione simpatetica di tutte le parti dell’anima. La psicologia contemporanea ammette sempre più degli stati d’animo incoscienti. AYnché uno stato diventi cosciente, bisogna che ci sia assimilazione, che noi lo facciamo entrare nel flusso della nostra personalità. È qualcosa di questo tipo ciò che Plotino ha detto. La coscienza sarebbe una potenza di possesso da parte dell’anima. 286 Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 45, 4-5 e 8; citazione già fatta da Bergson a p. . 287 Non si tratta della quarta bensì della sesta Enneade: Enneade VI 4 [22], Sul fatto che ciò che è uno e identico si trovi contemporaneamente dappertutto. Libro I, cap. 9, 34. 288 Enneade III 8 [30] Sulla natura e visione e uno, cap. 4, 18-19.

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Plotino utilizza nella maggior parte dei casi il termine aj ntiv lhyi". V, 1.12,289 si domanda: «come avviene che noi possediamo certe Idee (giustizia e bellezza) senza prenderne coscienza?». Quando la parte dell’anima che agisce non comunica con la parte dell’anima che ha percezione, allora essa non attraversa l’anima tutta intera; noi non prendiamo coscienza di una parte dell’anima se non quando vi è trasmissione e, di conseguenza, ajntivlhyi". IV, 8.8:290 «Noi non sappiamo ciò che accade in una parte dell’anima: bisogna che ciò abbia penetrato l’anima nella sua interezza». Ecco il primo significato [del termine] in Plotino. Ma questo costituisce la parte meno importante della sua teoria. La coscienza è anzitutto una certa unificazione d’impressioni venute dal basso, ma essa è molto più una divisione di elementi che, invece di salire, scendono. L’anima è un’essenza intermediaria tra il nou`" e il corpo. Essa ha quindi una duplice funzione: in primo luogo, unire le impressioni che vengono dal corpo, e da qui la coscienza; in secondo luogo, fare scendere le Idee, e da qui ancora la coscienza. La coscienza si produce o tramite l’unificazione di ciò che viene dal basso, o tramite la divisione di ciò che viene dall’alto. In questo secondo caso essa è analisi delle Idee. IV, 3.30.291 Noi partecipiamo costantemente al pensiero puro, al nou`", ma non ne abbiamo coscienza, «poiché una cosa è il pensiero e un’altra la coscienza del 289

Cfr. Enneade V 1 [10], Sulle tre ipostasi principiali, cap. 12, 1-2. Enneade IV 8 [6] Sulla discesa dell’anima nei corpi, cap. 8, 7-9. 291 Enneade IV 3 [27] Sui problemi del l’anima. Libro I, cap. 30, 13-15. 290

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pensiero. Noi pensiamo sempre, ma non ne abbiamo sempre coscienza». Di che cosa c’è bisogno aYnché la coscienza si congiunga al pensiero? «L’atto puro del pensiero si nasconde all’interno, non avendo ancora proceduto all’ esterno. Ma il logos, avendolo sviluppato e indirizzato verso la potenza d’immaginazione, lo rivela come in uno specchio: allora si produce la percezione cosciente del pensiero».292 Così, aYnché l’Idea arrivi alla coscienza, bisogna che essa si duplichi di un’immagine, che si rifletta nell’immaginazione, che è la facoltà di formare immagini insieme alle sensazioni, e soprattutto di tenerle sotto lo sguardo della coscienza. Passo capitale: I, 4.10.293 La coscienza non è indispensabile né al pensiero né alla virtù né alla felicità. L’eroe non sa di agire con coraggio; la coscienza di un atto non fa che indebolirne l’energia. «La vita intensa è quella che non si dissolve in sentimenti». Come e quando si produce la coscienza? La coscienza del pensiero sembra nascere quando il pensiero si ripiega su se stesso e quando questo pensiero, che si situa nella direzione della vita dell’anima, è come respinto indietro, così come nello specchio l’immagine si stende lungo la superficie libera e brillante… Nell’anima, quando vi è tranquillità della superficie su cui si dispiegano le immagini del pensiero, noi le percepiamo e ne abbiamo, per così dire, una conoscenza sensibile.

292 293

Ivi, cap. 30, 8-11. Enneade I 4 [46] Sulla felicità, cap. 10, 32-33; quindi ll. 6-10 e ll. 12-15.

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La coscienza non si produce che quando il pensiero puro si divide, cade come su uno specchio. Abbiamo già trovato quest’immagine dello specchio nella teoria della discesa dell’anima in un corpo.294 L’anima percependo nella materia la propria immagine come in uno specchio è sedotta e si lascia cadere. Si tratta della medesima immagine e, in fondo, della medesima idea. La coscienza è per lui uno stato transitorio, lo stato dell’anima dopo la caduta. La coscienza è meno del pensiero, più della semplice materialità. La sfera della coscienza è coestensiva a quella dell’anima. Ed è per il fatto di essere cosciente che l’anima è superiore alla materialità e inferiore al pensiero puro. Da qui risulta che la coscienza è coestensiva alla vita dell’anima. L’anima siede nella sfera intermedia tra il sensibile e l’intelligibile; allo stesso modo la coscienza. Anch’essa risiede nel piano intermedio; è un divenire, un progresso. Essa è quindi per essenza qualcosa d’instabile. Non è essere, bensì cambiamento. È un movimento che può prendere due direzioni: talora aspirazione verso l’alto, talora discesa. Tale oscillazione perpetua nell’anima è la coscienza. I, 1.11:295 «Bisogna che la coscienza si produca, dato che non utilizziamo sempre ciò che possediamo. Non lo usiamo che quando dirigiamo le nostre potenze mediane o verso l’alto o verso il basso». La coscienza è essenzialmente instabilità. Ciò si risolve sempre nel dire che essa è un decadimento: è l’eVetto e anche il segno della caduta. «Prendere coscienza è restare al di fuori di ciò che si coglie», dice 294 295

Si trattava dello specchio di Bacco, già menzionato a p. . Enneade I 1 [53] Su che cos’è l’essere vivente e chi è l’essere umano, cap. 11, 5-7.

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Plotino. V, 8.11.296 Plotino ha spiegato che per comprendere la bellezza bisogna confondersi con il bello stesso; è un’unione intima e una simpatia. Le cose che ricadono più chiaramente sotto la coscienza sono precisamente quelle che ci sono le più estranee: così abbiamo più coscienza della malattia che non della salute. «Ma di noi stessi e delle cose che sono veramente nostre siamo incoscienti. Ma in questo stato d’incoscienza siamo in un possesso più completo di tutto ciò che ci appartiene, spinti a far coincidere il nostro essere e la scienza di noi stessi». IV, 4.4:297 «Si può possedere inconsciamente [qualcosa] meglio che se si sapesse; poiché se lo si sapesse, si possederebbe come una cosa estranea, mentre, ignorando, si tende a fare tutt’uno con ciò che si possiede». La coscienza implica sempre un’esteriorità del soggetto rispetto all’oggetto. Questa concezione è diametralmente opposta alla concezione moderna, secondo cui la conoscenza adeguata è la coscienza, in cui c’è coincidenza perfetta del soggetto conoscente e dell’oggetto conosciuto.298 Ora per Plotino la coscienza implica l’esteriorità. 296 Circa la prima citazione tra virgolette, essa non si trova in tale forma nel testo plotiniano, ma ha assonanza con Enneade V 8 [31] Sul bello intelligibile, cap. 11, 12-13 /20; mentre la seconda citazione traduce le ll. 31-33 del medesimo capitolo. 297 Enneade IV 4 [28] Sui problemi dell’anima. Libro II, cap. 4, 10-13. 298 In realtà anche per Plotino la conoscenza perfetta e infallibile è quella che fa coincidere pensante e pensato, solo che egli situa tale coincidenza al livello dell’Intelletto e non dell’ipostasi dell’anima, ad esso inferiore. Nell’anima umana infatti la conoscenza passa non per una coincidenza, bensì per una esteriorizzazione rispetto all’oggetto conosciuto. Su questo tema plotiniano e sulla sua radice aristotelica si veda l’importante articolo di P. Hadot, La conception plotinienne de l’identité entre l’intellect et son objet. Plotin et le “De anima” d’Aristote, in Corps et Âme. Sur le “De anima” d’Aristote, éd. par G. Romeyer-Dherbey, Vrin, Paris 1996, pp. 367-376 (ripubblicato in P. Hadot, Plotin, Porphyre. Études néoplatoniciennes, Les Belles Lettres, Paris 1999, pp. 267-278).

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Quali sono le conseguenze da trarne? L’essere che coglie tramite la coscienza non può cogliersi esso stesso. D’altra parte essa è l’attributo dell’anima e risiede come questa tra il sensibile e l’intelligibile. Quindi l’anima non conosce se stessa. In secondo luogo, se qualche essere conosce se stesso, ciò non deve avvenire tramite la coscienza. Queste conseguenze Plotino le ha tirate. In primo luogo l’anima non conosce se stessa. V, 3.9.299 Perché dobbiamo rifiutare all’anima il potere di pensare se stessa? «È perché noi le abbiamo riservato la funzione di guardare all’esterno e di abbandonarsi all’agitazione». L’anima è condannata a vivere al di fuori di se stessa, non essendo mai interamente se stessa, ciò che essa ha voluto essere. In secondo luogo, l’essere che conosce se stesso è l’Intelligenza pura. Essa pensa se stessa ed è la sola a pensarsi. Che cosa Plotino intende per nou`"? Non è una facoltà dell’anima. L’anima può innalzarsi fino all’Intelligenza, ma a condizione di elevarsi al di sopra di sé. L’Intelligenza non risiede nelle anime, ma è suYciente a se stessa, esiste in sé. Essa è qualcosa di cui le anime individuali possono partecipare, ma che non è nelle anime. L’Idea è indipendente dall’anima: l’anima può ritornare tramite uno sforzo verso l’Idea da cui è discesa. V, 3.3,300 Plotino dà una spiegazione chiara: «L’anima si abbassa verso la vita sensitiva, essa s’innalza all’Intelligenza, ma non è l’Intelligenza che viene in essa [nell’anima], siamo noi che saliamo all’Intelli299 La citazione fatta da Bergson non si trova nel cap. 9 di Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, bensì nel cap. 3, 16-17. Il curatore non dice nulla al riguardo. 300 Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, cap. 3, 36-37 e 43-44.

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genza». È in fin dei conti la concezione di Platone. È quindi sorprendente vedere l’opinione di Zeller (2a ed., p. 518).301 Secondo lui, non si può vedere come il nou`" possa essere nello stesso tempo la nostra ragione e un essere al di sopra di noi, né come l’anima se ne distingua radicalmente e si definisca nondimeno tramite essa [l’Intelligenza]. Le anime partecipano del mondo delle Idee nella misura in cui esse possono parteciparvi; ma se ne distinguono poiché esse ne sono uscite; e nondimeno si spiegano tramite esse [le Idee] perché ne sono l’immagine. La vera diYcoltà è piuttosto quella di capire come questa Intelligenza superiore ed esteriore all’anima, per ciò stesso estranea a qualsiasi coscienza, possa pensare se stessa – molto di più, essere la sola a pensare se stessa. Com’è possibile questo? Ricordiamo anzitutto il motivo per cui Plotino pone il nou` " al di sopra di ogni coscienza. I, 4.10:302 L’attività del nou`" ci resta nascosta, poiché essa non ha niente a che fare con i sensibili, dato che è attraverso l’intermediario della sensazione che essa deve lavorare alla coscienza. Ma il nou`" stesso e l’anima che lo circonda, perché non agirebbero prima della sensazione e, in generale, prima della coscienza? Poiché bisogna certo che ci sia un atto anteriore alla coscienza, perché pensare e essere non fanno che uno.

Così per il nou`" pensare e essere non fanno che uno, e il nou` " non ha coscienza perché non ha sensazione. Come comprendere ciò? 301 302

Per l’opera di Zeller si veda la nota 80. Enneade I 4 [46] Sulla felicità, cap. 10, 1-6.

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Il nou`" è il kovsmo" nohtov". Questo mondo [intelligibile] contiene tutte le Idee, che sono tutte in rapporto le une con le altre. Ogni Idea è un nohtovn, dunque un oggetto di pensiero. – Ma, d’altro canto, ogni Idea contiene come inviluppate in sé tutte le altre idee possibili. Quindi ogni intelligibile, da un lato, è un303 oggetto di pensiero e, d’altro canto, contiene tutti gli altri intelligibili. Ma, in quanto tale, non si può quindi dire che esso li pensi? Che cos’è pensare se non contenere in sé delle Idee? Plotino ci dice che nell’Intelligenza c’è movimento; ma questo movimento è ‘un movimento immobile e calmo’, un’evoluzione che consiste per ogni intelligibile a percorrere tutta la serie degli intelligibili; ma questo passaggio in rivista non occupa del tempo: tutto ciò occupa un solo istante che è l’eternità. C’è dunque una riflessione dell’Idea su se stessa, un pensiero che alla fine non ha niente in comune con la coscienza dai momenti distinti, eterogenei e successivi. È questo percorso del pensiero ad opera di se stesso ad essere il pensiero del nou`" che pensa se stesso. Testi. V, 3.13:304 «Il pensiero sembra darsi, quando una molteplicità di termini vengono a coincidere, una sunaivsqhsi" del tutto, mentre una determinata cosa pensa se stessa, ciò che è noei`n in senso stretto». Il termine sunaivsqhsi" significa qui ‘sintesi interna’. Quando tutti gli intelligibili si fondono gli uni con gli altri, allora c’è pensiero del pensiero. È la presenza di tutti gli intelligibili in ogni intelligibile a costituire il pensiero del pensiero tramite se stesso, il nou`" che pensa se stesso. Se 303

In corsivo nel testo pubblicato da H. Hude. Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, cap. 13, 12-14. 304

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Platone non ha dato il nome di nou`" al suo mondo intelligibile, è perché non ha ammesso la partecipazione di tutte le Idee le une alle altre.305 Se l’avesse ammessa, avrebbe potuto chiamare tale mondo il nou`", poiché presente ovunque a se stesso tutto intero, ci sarebbe ben stato pensiero del pensiero. È il motivo per cui Plotino ha parlato di un pensiero. Così pensiero significa compenetrazione degli intelligibili gli uni negli altri. Chiariamo ancora quest’idea, e nello stesso tempo la teoria della coscienza. V, 3.306 Plotino cerca la condizione richiesta per conoscere se stessi. Egli constata che non è possibile se non tramite una coincidenza di ciò che conosce con ciò che è conosciuto. Se c’è anche solo un’impronta,307 allora la conoscenza è imperfetta. Per conoscere se stessi, bisogna dunque essere un principio assolutamente semplice, c’è bisogno d’identità del soggetto e dell’oggetto. Nella sensazione c’è conoscenza di modificazioni esterne all’essere che ha sensazione. Nell’intelligenza discorsiva, o quest’ultima sintetizza delle sensazioni, e allora è più che sensazione, o essa materializza delle Idee; ma essa è sempre distinta da ciò che conosce. La conoscenza di sé non può apparire che all’essere che è, al tempo stesso, novhsi" e nohtovn, ovvero alnou`". Avevamo aVrontato le diYcoltà sollevate da questo problema della coscienza. Per comprendere l’Idea di Plo305

Cfr. supra la nota 279. Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, cap. 5, 21-23. Si veda la nota 298. 307 Nel testo bergsoniano troviamo empreinte, nel testo plotiniano che pensiamo abbia in mente troviamo typoi (Enneade V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, cap. 5, 19). 306

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tino, bisogna dapprima fare tabula rasa delle nostre concezioni attuali. Noi ci immaginiamo un’Idea come qualcosa di posteriore alla coscienza; immaginarsela come indipendente, è proiettarla al di fuori della coscienza. L’Idea è il centro intorno al quale gravita la coscienza, ciò che è dato dapprima. La coscienza non ne è che una diminuzione. Come potremmo noi [moderni] riuscire a ricollocarci in questo stato d’animo che è quello degli Antichi? Ecco l’idea, importante, di un’identità: A=A. Come ne ho coscienza ? Io cambio costantemente, faccio costantemente attenzione a me stesso allo stesso tempo che a quest’idea. Inoltre vedo quest’idea sotto forma d’immagine. Infine io sono esterno a essa [l’idea], essa mi è estranea. Dunque è per queste tre ragioni che ho coscienza nel mentre che penso. Faccio astrazione di ciò che, in qualsiasi momento, riporta la mia attenzione su me stesso, da quest’instabilità che mi riconduce a me, da queste immagini, da questa esteriorità rispetto all’Idea: avrò l’Idea pura, ma sarò giunto, per così dire, a coincidere con essa; parteciperò della sua eternità, per un verso incosciente, e tuttavia coincidente con i miei pensieri: essa pensa se stessa nell’incoscienza. I Greci hanno preso un’idea, l’hanno presa allo stato puro e non hanno visto nella coscienza altro che qualcosa che ne esce per via di diminuzione. Infatti se quest’Idea è il pensiero che si pensa al di fuori del tempo, per passare dall’eternità al tempo, non c’è niente da aggiungere, bisogna che l’Idea degeneri in immagine, l’eternità in tempo, l’interiorità in esteriorità. Questo equivale a dire che gli Antichi non hanno attribuito alla coscienza e alla persona la dignità eminente

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che noi attribuiamo loro.308 È un’idea tutta moderna quella di porre il pensiero personale al centro delle cose. Per gli Antichi la coscienza è intermedia tra l’intelligibile, che è sovracosciente, e il sensibile, che è incosciente. V, 9.7:309 «Non è perché l’Intelligenza pensa che l’Idea esiste, è perché l’Idea esiste che l’Intelligenza pensa». La coscienza è come un accessorio. Un termine la designa senza sosta: parakolouv qhma, ‘elemento concomitante’. Essa si unisce all’idea nella sua discesa, ma nella direzione contraria a quella che le imprimono i materialisti moderni, per i quali la coscienza si aggiunge ai movimenti più complessi della sostanza cerebrale, a qualcosa di conseguenza d’inferiore ad essa. Al contrario per Plotino essa è un’attenuazione di qualcosa di superiore ad essa. Non è una fosforescenza che illumina il movimento, è un’oscurità, un’ombra, che l’Idea proietta al di sotto di sé.

308 Non si saprebbe indicare la distanza tra Plotino e Bergson meglio di quanto quest’ultimo non l’abbia fatto egli stesso [NdC]. 309 Enneade V 9 [5] Sull’Intelletto, le Idee e ciò che è, cap. 7, 14-17.

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Postfazione Bergson lettore di Plotino. Il didatta, il filosofo, lo storico della filosofia310

La raccolta dei dati storici: la vita di Plotino e l’ambiente culturale di Alessandria d’Egitto nel III secolo d.C. H. Bergson tenne un corso su Plotino presso l’École normale supérieure di Parigi probabilmente verso il 1898310 Così si esprime il curatore francese: «Pubblichiamo dapprima un corso su Plotino, il cui manoscritto è conservato presso la biblioteca Victor Cousin della Sorbona. L’autenticità di tale corso è indubbia. […] Lo stile e l’autorità del maestro, la scrittura e la disinvoltura dell’uditore escludono che si tratti qui dell’opera di un professore ancora agli inizi che si rivolga a dei principianti. Il corso in questione non ha potuto che essere impartito all’École normale supérieure, dove Bergson fu maître de conférence da febbraio 1898 a novembre 1900, o presso il Collège de France, dove fu eletto (cattedra di filosofia greca e latina) nell’aprile del 1900. Ma il corso non ha potuto aver luogo al Collège de France, a causa del suo carattere comunque molto generale. Per fare un paragone, nel 1901-1902, Bergson tiene un corso al Collège de France sul nono libro della VI Enneade. Bisogna quindi che il presente corso su Plotino sia stato tenuto all’ École normale, e probabilmente lungo un anno scolastico intero, cosa che induce a datarlo verosimilmente al 1898-1899. A conferma, si può rilevare (p. 55 del corso) un riferimento chiaro alla tesi latina di Couturat sui miti platonici, la quale data del 1896. Il corso è dunque in ogni caso posteriore alla pubblicazione di Materia e memoria (1896) e contemporaneo alla preparazione de L’evoluzione creatrice (1906). Esso fornisce una magnifica testimonianza e un documento insostituibile tanto sulla genesi de L’evoluzione creatrice quanto sulla connessione così delicata tra l’L’evoluzione e Materia e memoria». Traduzione dall’Introduzione di H. Hude in H. Bergson, Cours IV. Cours sur la philosophie grecque, cit., pp. 5-7. Ricordiamo che l’uditore che ha preso gli appunti di detto corso di H. Bergson è, ad oggi, ignoto.

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1899. Tale corso, insieme ad altri corsi su altri autori e temi, mostra anzitutto l’interesse di Bergson per la storia della filosofia antica. Vi si scorge inoltre il metodo con cui egli insegnava. In primo luogo ha preso le mosse dall’esposizione della vita e delle opere di Plotino. Non ha ritenuto inutile, infatti, né inopportuno partire da questi dati concreti, che ha analizzato con attenzione fin nei dettagli. Ha mostrato di rifarsi non a mediazioni manualistiche già pronte,311 bensì è andato a consultare direttamente le fonti antiche, ovvero essenzialmente – come si continua a fare oggi – la Vita di Plotino redatta dal discepolo Porfirio nel 300-301 d.C., a circa 30 anni dalla morte del maestro.312 Ad essa Bergson aggiunge la menzione di alcune notizie concise tratte dalle Vite dei sofisti di Eunapio di Sardi (IV-V sec. d.C.). Inoltre Bergson ha cura di contestualizzare l’opera plotiniana storicamente, soVermandosi a lungo sull’ambiente culturale, religioso e filosofico di quella Alessandria d’Egitto in cui Plotino giunse all’età di 28 anni (232 d.C.) per restarvi per più di un decennio, frequentando la scuola del filosofo Ammonio Sacca. Bergson si soVerma a lungo su quelle testimonianze antiche che potevano gettare una qualche luce sul rapporto di Plotino con Ammonio, al fine di identificare eventualmente il debito di dottrina e di metodo oppure, all’inverso, il grado di originalità dell’illustre allievo rispetto al proprio maestro di 311 Le storie della filosofia che pure conosceva e che menziona nella sua Bibliografia, quali anzitutto quella di E. Zeller, La Philosophie des Grecs considérée dans son développement historique, traduite del’Allemand par É. Boutroux, tome 3, Hachette, Paris 1877. 312 Su tale fonte sono ora diventati dei punti di riferimento imprescindibili i due volumi: Porphyre, La Vie de Plotin. vol. I-II, cit.

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filosofia. Lo studioso conclude alla totale originalità dottrinale di Plotino e una continuità, semmai, nel metodo tra maestro e allievo, nella misura in cui Ammonio avrebbe introdotto una nuova lettura di Platone che non fosse in netta contrapposizione con le posizioni aristoteliche, ma ne mostrasse piuttosto i punti di convergenza. Circa la caratterizzazione dell’ambiente alessandrino Bergson mostra la sua ampia e sfaccettata erudizione sul mondo antico e, al tempo stesso, è mosso da un interrogativo di fondo: quali tracce significative il contesto storico-culturale ha lasciato sul sistema filosofico di Plotino? E, in particolare, la filosofia plotiniana si spiega alla luce di prestiti dalle culture orientali o solo all’interno della cultura greca? L’indagine porta lo studioso francese a concludere in modo netto che: «Plotino è un Greco, ispirato unicamente dai Greci» (p. ). Ed è questa la frase che fa da incipit al corso stesso e che lo studioso cercherà di argomentare ampiamente. Egli, infatti, considera dapprima la filosofia giudaica dell’importante comunità di Ebrei ellenizzati presente ad Alessandria e, in particolare, l’opera di Filone (I sec. a.C.-I sec. d.C.). Per Bergson Plotino conosceva la dottrina di Filone, ma non ritiene si possa dire con certezza se tale conoscenza fosse fondata su una lettura diretta degli scritti filoniani o se fosse mediata da Numenio di Apamea, filosofo pagano, d’ispirazione pitagorico-platonica (II sec. d.C.).313 Quindi Bergson prende in considerazione la dottrina gnostica, di provenienza siriaca, che descrive come una: 313 La conoscenza o meno di Filone da parte di Plotino è ancora una questione aperta, per cui si veda la nota 9 alla trad. it.

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«mescolanza di dogmatica cristiana, di mitologia orientale e di speculazione greca» (p. ) e la filosofia cristiana di Clemente Alessandrino (I-II sec. d.C.) e di Origene detto Adamanzio (II-III sec. d.C.), per concludere rispetto a tali correnti che: «nessuna di esse riuscì a catturarlo» (p. ).314 Anche presunti influssi dalla Persia, dall’India o dall’Egitto non sembrano essersi avverati. Bergson ricorda come Plotino, pur partito alla volta dell’oriente con l’imperatore Gordiano III, in realtà non vi arrivò mai, data l’interruzione precoce della spedizione romana per l’assassinio dell’imperatore. Circa l’Egitto, Bergson considera un passo delle Enneadi (V 8 [31] Sul bello intelligibile, cap. 6) in cui Plotino mostra di conoscere il fatto che gli Egizi avevano una scrittura geroglifica, ma nulla di più. Così il Bergson erudito, che disegna ai suoi studenti una panoramica culturale di Alessandria d’Egitto nel III sec. d.C., arriva alla conclusione, da storico della filosofia, che Plotino vada letto e spiegato come un autore tutto interno alla cultura e alla tradizione filosofica greche. È stato osservato dal curatore francese di questo corso su Plotino che Bergson non esitava ad esporre con chiarezza le proprie posizioni personali circa la storia della filosofia, i cui fenomeni appunto – come si è visto – egli non solo conosce e descrive, ma valuta ed interpreta.315 Infatti os314 Negli ultimi decenni un’attenzione sempre crescente è stata mostrata dagli studiosi di Plotino circa i rapporti tra questi e lo gnosticismo, analizzato minutamente nelle sue varie correnti; altrettanto non si può dire che sia stato fatto, tranne per rare eccezioni, circa il rapporto tra Plotino e i primi autori cristiani quali appunto Clemente e Origene. 315 Si tratta della nota 76 a p. 267 nel testo curato da H. Hude, tale nota si trova tradotta in italiano nella nostra nota 214 che accompagna la traduzione italiana.

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serviamo come questa attitudine lo porti, per esempio, a prendere posizione rispetto ad altri interpreti della filosofia plotiniana, come É. Vacherot,316 che invece vedevano nell’opera di Plotino ampi influssi orientaleggianti. Quindi analizza le testimonianze antiche, essenzialmente quella di Nemesio di Emesa (V sec. d.C.) e quella di Ierocle Alessandrino (V sec. d.C.), per capire il rapporto di dipendenza o di originalità di Plotino rispetto al suo maestro di filosofia Ammonio Sacca. Ancora una volta Bergson torna alle fonti antiche, che descrive e poi interpreta per concludere che le dottrine ascritte dai suddetti autori tardoantichi ad Ammonio, e riguardanti principalmente l’anima, furono invece elaborate da Plotino e, solo retrospettivamente, attribuite al suo maestro, quale fondatore di quella che sarà detta la scuola neoplatonica. Per arrivare a tale conclusione Bergson mette a confronto le testimonianze dette di Nemesio e di Ierocle con la Vita di Plotino scritta da Porfirio e, da un lato constatando motivi di contrasto tra le prime e questa, dall’altro considerando più degna di fede la Vita di Plotino, ritiene che le dottrine plotiniane siano originali rispetto ad Ammonio, benché da quest’ultimo Plotino avrebbe ripreso piuttosto il metodo consistente in una conciliazione della filosofia di Platone con quella di Aristotele.317 In altre parole, con Am316

Cfr. É. Vacherot, Histoire critique de l’École d’Alexandrie, cit. H. Bergson qui non menziona l’importante opera di mediazione di Alessandro di Afrodisia (II-III sec. d.C.), esegeta peripatetico di Aristotele che ebbe larghissimo influsso, al punto che le opere aristoteliche vennero lette da Plotino e dagli altri platonici della tarda antichità alla luce dell’interpretazione sistematizzante che ne aveva data appunto l’Afrodisiense. Rispetto a quanto dice Bergson vale inoltre la pena sottolineare come lo spirito di conciliazione di Plotino verso le filosofie di Platone e di Aristotele non sia stato tale da eliminare pesanti polemiche antiaristoteliche né come una conciliazione a tutto campo abbia avuto luogo solo in seguito, a opera di Porfirio e di altri esponenti del platonismo della tarda antichità, pur con significative eccezioni quale quella di Siriano di Atene (IV-V sec. d.C.). 317

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monio Sacca sarebbe terminata la contrapposizione frontale tra i due sistemi e si sarebbe inaugurata una loro interpenetrazione che caratterizzò tanto Plotino quanto tutta la filosofia detta ‘neoplatonica’ della tarda antichità. Su questo punto Bergson prende le distanze da un altro studioso di Plotino, C.H. Kirchner,318 che aveva talmente enfatizzato la presenza di dottrine aristoteliche nelle Enneadi da considerare Plotino un neoaristotelico piuttosto che un neoplatonico. Lo studioso francese non esita a definire la posizione di Kirchner come: «un’esagerazione e un errore» (p. ). E in vari punti mostrerà – con ampiezza di argomentazioni – i motivi di polemica dottrinale di Plotino nei confronti di Aristotele, come a proposito delle categorie e della concezione dell’anima quale entelechia del corpo. Ugualmente egli sottolineerà – di nuovo con ampie motivazioni – la totale assenza di critiche da parte di Plotino verso Platone, fino al punto da attribuire all’autorità di quest’ultimo sviluppi dottrinali che, nati dall’esegesi di passi platonici, sono in realtà propriamente plotiniani. Cosa questa che gli specialisti odierni di Plotino non esitano a riconoscere.

La ricognizione del testo e le sue successive edizioni Nel presentare le opere di Plotino, Bergson professore procede di nuovo in modo estremamente chiaro e sistematico. Non tace sull’esistenza di un’edizione antica degli scritti plotiniani ad opera del medico Eustochio, precedente e diversa da quella porfiriana che poi si impose, pur con318

Cfr. C.H. Kirchner, Die Philosophie des Plotin, cit.

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servando tracce dell’altra.319 Rifacendosi a quanto Porfirio dice nella Vita di Plotino circa la sua attività editoriale sugli scritti del maestro, Bergson illustra la scelta porfiriana di pubblicare gli scritti plotiniani secondo un ordine tematico e non cronologico di composizione. In questa occasione egli coglie le varie manipolazioni certamente operate da Porfirio per ottenere il numero di 54 trattati, ripartiti in 6 gruppi di 9, numeri questi cari all’aritmologia pitagorica cui Porfirio dava grande importanza. Inoltre Bergson riconosce l’arbitrarietà dell’attuale distribuzione e ordine degli scritti plotiniani nell’edizione tematica porfiriana, pur ritenendo che da essa non si possa ormai prescindere. Infatti Bergson non accorda particolare significato all’ordine cronologico di composizione ad opera di Plotino dei suoi scritti e anzi dubita che le liste dei tre gruppi di scritti redatti da Plotino in tre periodi diversi e fornita nella Vita di Plotino esprimano un ordine cronologico interno.320 Su quest’ultimo punto gli studi recenti hanno piuttosto valorizzato il dato della cronologia dell’attività letteraria plotiniana, in quanto tale prospettiva permette di cogliere significative continuità tematiche o stilistiche tra trattati dello stesso periodo che altrimenti sfuggirebbero.321

319 Per una diversa raccolta realizzata degli scritti di Plotino ad opera di Eustochio si vedano in proposito gli studi di L. Brisson, Une édition d’Eustochius, in Porphyre, La Vie de Plotin, tom. II, cit., pp. 65-69; e di M.-O. Goulet-Cazé, Remarques sur l’édition d’Eustochius, ibid., pp. 71-76. 320 Si tratta della lista dei titoli dei primi 21 trattati composti da Plotino prima dell’arrivo di Porfirio a Roma, 253-263 d.C., quindi dei 25 scritti durante il soggiorno di Porfirio alla scuola del maestro Plotino, 263-268, e infine dei 9 trattati scritti prima della morte, 268-270. Tali liste si trovano nei capitoli 4-6 della Vita di Plotino. 321 Per la pubblicazione di tutti i trattati plotiniani in ordine cronologico si veda supra la nota 56.

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È probabile che Bergson ritenesse anche che il pensiero di Plotino non abbia subito uno sviluppo o mutamenti significativi nel tempo, come del resto la maggioranza degli studiosi plotiniani ha sostenuto, pur con significative eccezioni.322

La panoramica degli studi Circa la bibliografia che il professor Bergson fornisce ai propri studenti, si notano rapidi cenni alla tradizione manoscritta delle Enneadi, mentre emerge un’ampia erudizione a proposito delle varie edizioni plotiniane in epoca moderna, a partire dall’editio princeps del 1580 uscita a Basilea fino alla più recente edizione pubblicata ad opera di Volkmann nel 1883,323 che Bergson considera la migliore e che probabilmente dovette usare.324 Quindi egli menziona le traduzioni in varie lingue (francese, inglese e tedesco) dei testi plotiniani, per poi passare alla letteratura secondaria che copre un ampio arco di tempo dal 1840 al 1893. Ancora una volta il suo modo di procedere ci appare impeccabile sia per l’estensione cronologica degli studi menzionati (non solo quelli per lui più recenti) sia per la varietà delle lingue in cui sono 322 Recenti eccezioni sono costituite dai lavori di J.-M. Narbonne, indicati nella nota 59. 323 Plotinus, Enneades, ed. R. Volkmann, cit. 324 Si vedano per una prima pubblicazione di note autografe di H. Bergson sull’edizione delle Enneadi di Volkmann i lavori di D.P. Taormina, Bergson lettore del misticismo plotiniano. Note autografe inedite, in «Elenchos», 36. 2 (2015), pp. 341-359; e Natura dell’Intelletto e risveglio dell’anima. Note autografe inedite di Bergson su Plotino,“Enneade” VI 9, capp. 2-3, in «Rivista di storia della filosofia», 71, 2 (2016), pp. 314-328.

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stati realizzati (senza attardarsi a una comoda prospettiva francofona). Abbiamo già menzionato l’attitudine critica di Bergson verso alcuni studi, quali quelli di Vacherot e di Kirchner. A quest’ultimo Bergson rimprovererà, nel seguito del corso, anche di aver attribuito all’anima dell’universo plotiniana la funzione di ragionare e la dimensione di una coscienza, che invece lo studioso francese, sulla base di un’attenta lettura dei passi enneadici pertinenti, considera essere caratteristiche esclusive dell’anima umana. Un altro autore con cui egli si confronta spesso e, di nuovo, in modo critico è E. Zeller,325 di cui conosce la monumentale Filosofia dei Greci in più volumi. Il filosofo francese ribatte all’attitudine negativa di Zeller verso Plotino (così come in generale verso il neoplatonismo), accusato a più riprese di cadere in contraddizione. Bergson infatti, pur riconoscendo con chiarezza i punti di tensione all’interno del sistema plotiniano o la presenza di un lessico ancora vago, argomenta a sostegno della coerenza dottrinale di Plotino e mostra con finezza come quelle che sembrano contraddizioni in realtà non siano tali. Per esempio a proposito dell’anima Zeller stima che Plotino abbia parlato di diverse ipostasi, mentre Bergson spiega come esse non siano altro che stadi o aspetti diversi di una medesima ipostasi o realtà, quella appunto dell’anima, che si configura come terza nel sistema plotiniano dopo l’Uno e l’Intelletto.

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Si veda supra la nota 80.

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La centralità della dottrina sull’anima e il rapporto con Platone Il filosofo Bergson trova un centro nella filosofia di Plotino ed esso è costituito dalla dottrina sull’anima.326 Cercando, per quanto possibile, di superare una prospettiva meramente antropica, Bergson coglie nel filosofo greco la natura e l’importanza dell’anima dell’universo, rispetto alla quale l’anima umana costituisce solo un riflesso individualizzato. Egli evoca delle prove dell’unità e della simpatia dell’universo, a conferma del fatto che l’universo possegga un’anima. Tali prove si rifanno all’astrologia, alla magia, all’amore e alla musica, quali indizi della presenza di un’anima cosmica. Tale anima è sempre rivolta alla contemplazione dell’ipostasi (o realtà autentica feconda) ad essa superiore che è l’Intelletto, il quale a sua volta è sempre rivolto verso l’ipostasi somma dell’Uno. L’anima cosmica tuttavia non è di una semplicità paragonabile all’Uno né possiede quell’unità molteplice, ma ben serrata, dell’Intelletto, essa è bensì piena di logoi, da intendersi come principi razionali o ragioni seminali che vanno a operare sulla materia per produrre il mondo sensibile. Quest’ultimo è costituito da enti in cui la materia ha assunto una determinata forma. Mentre l’anima cosmica è tutta presa dalla contemplazione verso l’alto, i logoi rappresentano invece come le sue propaggini operative rivolte verso il basso, in una prospettiva per cui l’azione è sempre 326 Per quanto riguarda il serrato confronto dottrinale tra la filosofia di Bergson e quella di Plotino si rimanda il lettore naturalmente al prezioso lavoro dell’allieva del filosofo francese: R.M. Mossé-Bastide, Bergson et Plotin, Presses Universitaires de France, Paris 1959. Inoltre, sulla centralità dell’anima nella lettura bergsoniana di Plotino, si veda P. Magnard, Bergson interprète de Plotin, in Bergson. Naissance d’une philosophie, cit., pp. 111-119.

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eVetto scaduto di una contemplazione. Nondimeno, proprio in questo aspetto operativo dell’anima, si mostra – agli occhi di Bergson – l’originalità di Plotino quale interprete di Platone. Platone, infatti, avrebbe elaborato in forma scientifica la riconduzione delle mutevoli caratteristiche degli enti sensibili alle Idee al fine di darne una spiegazione che andasse al di là della loro apparente contraddittorietà. Questa risalita epistemologica di Platone dal mondo sensibile a quello intelligibile sarebbe l’opera propria della dialettica, che si espleta in un processo di analisi. Volendo spiegare le proprietà dei sensibili Platone arriverebbe a porre la Teoria delle Idee. Al contrario – secondo Bergson – Platone non avrebbe concepito ed espresso in forma altrettanto scientifica il processo inverso e ontologico di derivazione dell’esistenza del mondo sensibile da quello intelligibile, ma si sarebbe espresso al riguardo solo utilizzando dei miti. I grandi miti platonici del libro X della Repubblica, del Fedro, del Fedone o del Timeo sarebbero tutti incentrati sull’anima, intorno alla quale si radunerebbero dei dati cosmogonici o cosmologici. Secondo Bergson, Plotino invece avrebbe colto la centralità dell’anima nei miti platonici e avrebbe spiegato in forma scientifica (ovvero metafisica) come l’anima sia quella realtà mediatrice che porta l’informazione delle Idee fino alla materia con la conseguente produzione del mondo sensibile. L’anima in altre parole trasferirebbe l’Idea, di per sé immobile ed eterna, all’interno del tempo e dello spazio, e la metterebbe in contatto, tramite i logoi, con la materia che ne viene così determinata. Ne risulta che le forme presenti nei sensibili, i quali sono composti di materia e di forma, altro non sarebbero che un riflesso depotenziato delle Idee. Tali forme informerebbero la materia tramite la mediazione

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dei logoi, a loro volta riflesso operativo, e quindi impoverito, dell’attività contemplativa dell’anima cosmica.327 Poiché è l’anima che opera come intermediario e fa, per così dire, scendere la forza delle Idee sulla materia, e poiché dunque è l’anima la chiave di volta di quel processo discendente per cui dal mondo intelligibile trae esistenza quello sensibile (processo che Platone aveva espresso solo in forma mitica), Bergson argomenta che la dottrina dell’anima (anzitutto cosmica) sia la parte originale e centrale del sistema plotiniano. Ci sembra che qui Bergson mostri molta sensibilità rispetto ai racconti mitici presenti nei dialoghi di Platone e che non li liquidi come belle favole, come fece invece all’epoca Aristotele. Al contrario Plotino, secondo lo studioso francese, avrebbe saputo cogliere la fecondità filosofica dei miti platonici e trasformarla in una metafisica dotata di ragionamenti e di un lessico propri.

L’anima cosmica: contro alcuni fraintendimenti Bergson, convinto che in Plotino – come si è detto – l’anima umana non sia altro che un riflesso impoverito e particolarizzato dell’anima cosmica, inizia a trattare dell’anima a partire da quella cosmica. Sarebbe questa, in327 In modo schematico la successione sarebbe: Idee, anima cosmica, logoi, forme immanenti nei sensibili, materia. Per una chiara introduzione ai vari livelli di realtà e alle forme di causalità esercitate da quelli superiori sugli inferiori si rimanda a R. Chiaradonna, Plotino, Carocci, Roma 2009. Per un’introduzione, più propriamente destinata agli specialisti, sulle questioni tematiche, storiche e bibliografiche plotiniane si rimanda a C. D’ancona, Plotin in Dictionnaire des Philosophes Antiques, publié sous la direction de R. Goulet, tom. V, CNRS Éditions, Paris 2012, pp. 885-1068.

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fatti, ad abbozzare in primis, tramite i suoi logoi, i singoli corpi dei viventi. Questi ultimi saranno poi scelti dalle singole anime, secondo un criterio di aYnità. Le singole anime andrebbero a completare e perfezionare gli schizzi di corpi disegnati dall’anima cosmica e porterebbero così gli enti alla nascita. È in questo snodo tra uno stato contemplativo e uno operativo dell’anima cosmica che Zeller vedeva invece due diverse anime universali, due diverse ipostasi (cfr. ). Bergson, da parte sua, preferisce – con dovizia di argomenti – parlare piuttosto di due diverse funzioni dell’anima dell’universo, colta in due diversi stati, senza bisogno di moltiplicare le ipostasi o di vedere delle contraddizioni nella dottrina plotiniana. L’anima cosmica contemplativa sarebbe infatti l’apice dell’ipostasi anima, ovvero la sua condizione più pura ed elevata, in quanto rivolta verso l’alto, cioè all’ipostasi superiore dell’Intelletto. L’anima cosmica operativa sarebbe, poi, la stessa anima, ma vista come l’insieme dei suoi logoi, i quali si costituiscono come la sua funzione volta verso il basso, nella misura in cui l’azione è sempre da meno della contemplazione. I logoi, infatti, non sono rivolti verso l’alto, ma agiscono verso il basso, cioè in direzione della materia, producendo un abbozzo degli enti sensibili. A questo punto interverrebbero le anime individuali, tra cui quelle umane, che procedendo e irradiandosi dall’anima cosmica andrebbero a particolarizzarsi dando vita ognuna a un singolo ente sensibile. Le anime individuali riprenderebbero gli abbozzi di corpi tracciati dall’anima cosmica per completarli, definirli ulteriormente e animarli. Ancora una volta Bergson polemizza con Zeller che accusa Plotino, a proposito dell’irradiazione delle anime in-

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dividuali da quella cosmica, di usare un’immagine (quella dell’irradiazione appunto) per nascondere una contraddizione che andrebbe a colpire proprio il nesso tra causa ed eVetto (cfr. pp. ). Secondo Zeller tale rapporto deve essere reciproco, mentre Bergson argomenterà che questo vale solo nello spazio e nel tempo (nel mondo sensibile), mentre fuori dallo spazio e dal tempo (nel mondo intelligibile, tra cui le anime) si dà una causalità unilaterale, per cui la causa esiste solo per e dal punto di vista dell’eVetto, mentre all’inverso per la causa l’eVetto non esiste, è un fenomeno che accompagna automaticamente la sovrabbondanza delle ipostasi sovrasensibili. E quello della causalità unilaterale di Plotino è un punto centrale, che gli interpreti odierni non cessano di sottolineare.

Differenze tra anima cosmica e anime umane Come si è detto, Bergson cerca di uscire dagli schemi antropici nel delineare la natura dell’anima cosmica. Alla polemica con Zeller si associa ora anche quella con Kirchner. Quest’ultimo, infatti, attribuisce all’anima cosmica come sua caratteristica essenziale il fare ragionamenti (to loghizesthai), mentre il primo vede di nuovo una contraddizione in Plotino, consistente questa volta ora nell’assegnare ora nel negare una coscienza (synaisthesis) all’anima cosmica. In particolare in questa parte del corso emerge non solo la grande familiarità di Bergson con i testi delle Enneadi, ma anche la sua competenza e sensibilità filologiche. Egli presenta, infatti, una ricca rassegna di testi plotiniani, in base alla quale confuta le interpretazioni proposte dai due studiosi sopra indicati.

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Rispetto a Kirchner, Bergson cita in particolare il testo di Enn. V 3 [49] Sulle ipostasi capaci di conoscere e su ciò che è al di là, cap. 3, e mostra che i logismoi («ragionamenti») di cui vi si parla non sono quelli dell’anima cosmica, bensì quelli dell’anima umana. E dichiara che si tratta, da parte di Kirchner, di un mero «errore materiale» (p. ), per aver frainteso il contesto del passo in questione. Rispetto poi a Zeller, Bergson mostra che la traduzione del termine greco sunaivsqhsi" con ‘coscienza’ non è quella prima e più appropriata del termine. Esso infatti andrebbe tradotto piuttosto con ‘accordo’, nel senso d’intesa di tutte le parti di un insieme tra loro. Solo derivativamente il termine greco può significare ‘coscienza’. Bergson, da buon filologo, passa in rassegna i vari passi plotiniani in cui il termine sunaivsqhsi" è utilizzato per argomentare che, in riferimento all’anima cosmica, esso indica: «l’unità del tutto, la convergenza di tutte le parti che è caratteristica dell’Idea pura» (pp. ). Quindi esclude per l’anima cosmica delle caratteristiche proprie dell’anima umana: non solo la coscienza, ma anche: (a) l’inquietudine per la possibile dissoluzione del corpo cui dà vita, (b) il piacere e il dolore, (c) la percezione di corpi esterni, (d) la memoria, (e) la dianoia o intelligenza discorsiva che compie ragionamenti. In particolare, l’assenza di memoria impedisce – agli occhi di Bergson – il sorgere di una coscienza nell’anima cosmica. Infatti per lo studioso francese l’essere umano, per esempio Socrate cosciente, non sarebbe che lo svi-

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luppo nello spazio e nel tempo dell’idea eterna di Socrate (pp.