Aurora Consurgens PDF [PDF]

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Zitiervorschau

Chiara Crisciani – Michela Pereira * ‘AURORA CONSURGENS’: UN DOSSIER APERTO **

1. Due testi, due parti, due libri

Nel ricco catalogo 1 dell’«officina» di Pietro Perna (e poi del genero Konrad von Waldkirch) di Basilea vengono offerte, oltre alle numerose edizioni di attualissimi testi paracelsiani, non poche edizioni e riedizioni di testi e di raccolte di opere alchemiche della tradizione latina medievale. Il Perna non manca di precisare più volte la propria opinione sulla ars seu scientia dell’alchimia in varie «avvertenze al lettore»; così, anche nella prefazione alla raccolta Auriferae artis...sive Turba philosophorum (1572) 2 prende atto della disputa ancora viva sulla * Desideriamo ringraziare vivamente quanti ci hanno aiutato in vario modo in questa ricerca: F. Bacchelli, I. Costa, F. Di Pietro, R. Guglielmetti, I. Marchesin, E. A. Matter, G. Zuccolin; e inoltre A. Th. Bouwman (Bibliotheek der Universiteit, Leiden), S. Cernocˇka (Rhe Roudnice Lobkowitz Library, Nelahozeves Castle, CZ), P. Invernizzi (Biblioteca Universitaria di Pavia), M. Svobodova (Dipartimento di manoscritti e stampe rare, Biblioteca Nazionale della Repubblica Ceca). ** Ad Agostino, con molti auguri e affetto da due amiche. 1. L. Perini, La vita e i tempi di Pietro Perna, Roma 2002, specie 320-21, 324-26, 428, 430, 449, 455-56, 459,476, 484 (per prefazioni e frontespizi di edizioni alchemiche della ditta). 2. Ibid., 324-25; di Auriferae artis… authores… sive Turba philosophorum, Basilea 1572, 2 voll. Il testo dell’Aurora consurgens – Pars II è stampato nel primo volume alle pp. 199-266. La raccolta venne ristampata due volte, sempre a Basilea: ancora in due volumi, nel 1593 per la cura di C. Wadlkirch, a spese di Claude de Marne e Jean Aubry; nel 1610, sempre a cura del Waldkirch, venne aggiunto un terzo volume, contenente le opere di Raimondo Lullo. Al f. )(1v, sotto l’indice dei testi pubblicati, si legge: «Ex his primi decem et postremus, ex manu scriptis exemplaribus impressimus»: Aurora Consurgens è il terzo dei titoli riportati nell’indice, dunque rientra fra questi. Nella prefazione alla raccolta il Perna afferma di aver lui stesso curato l’edizione, iuvantibus amicis viris doctis: Non è chiaro se fra questi amici vi fosse anche in questa occasione Guglielmo Gratarolo, per la cui cura lo stesso Perna aveva pubblicato nel 1561 la raccolta Verae alchemiae artisque metallicae, citra aenigmata, doctrina, certusque modus. Per quanto siano stati sollevati dubbi sulla paternità degli interventi editoriali nei volumi stampati dal Perna (C. Gilly, «Zwischen Erfahrung und Spekulation.Theodor Zwinger und die religiöse und kultu-

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validità di questa ricerca; ammette la disdicevole, anzi criminale presenza di impostori e ciarlatani, venditori di parole grandiose e usurpatori di nomi e fama altrui, ma riconosce parimenti il valore della testimonianza a favore che esplicitamente viene all’arte dai tanti studiosi – antichi o più vicini a noi – illustri, profondi e onesti, che vi si sono dedicati e che non possono, tutti, essersi grossolanamente ingannati. Per parte sua, e contro istanze ermetizzanti e settarie, l’editore rivendica il ruolo pubblico e aperto della sua iniziativa editoriale, che non ha il compito di dirimere la questione quanto piuttosto l’impegno, neutro, di fornire i testi – i più accurati possibile – a tutti coloro che si appassionano a questi studi: potranno così essere meglio informati e attrezzati nelle loro ricerche e saranno in grado, eventualmente, di prendere più consapevolmente posizione: la verità scaturirà come una scintilla, dai testi, naturalmente 3. Da attento e colto editore, gli basta essere certo che «plura collegimus, et ex eis collectis meliora, ut puto, selegimus». Per la verità, le scelte del Perna non sono affatto neutre, ovviamente, e la sezione alchimistica del suo catalogo potrebbe essere oggetto di una ricerca interessante su linee di politica di editoria scientifica. Tra le selezioni operate dal Perna proprio in questa raccolta spicca una drastica esclusione, così drastica che l’editore stesso avverte l’onere – non nella prefazione, ma nel corso del volume – di spiegarla e giustificarla. Si tratta dell’Aurora consurgens, (che l’erudizione alchemica Sei e Settecentesca ha attribuito a Tommaso d’Aquino ma che – come vedremo dettagliatamente più avanti – è tradita in forma anonima), articolata in due parti, di cui nella presentazione della praefatio si era detto che «philosophorum loquendi modos, ambages aenigmata et similitudines aperit»: un’opera dunque quanto mai utile a orientare nella lettura, comunque difficile, dei testi alchemici. A svolgere questa encomiabile funzione, però, pare destinata solo la seconda parte, definita qui dal Perna Tractatus secundus e come tale pubblicata: la prima parte viene cassata, con sicura decisione e con relle Krise seiner Zeit», Basler Zeitschrift für Geschichte und Altertumskunde, 77 (1977), 57-137: 64), appaiono convincenti le conclusioni su questo argomento esposte da Perini, La vita, 6-7. Per il nostro lavoro abbiamo utilizzato la ristampa a cura di Konrad von Waldkirch, Artis auriferae, Basilea 1593, dove l’Aurora consurgens... et in eius secundus tractatus si trova nel vol. I, 185-246. 3. Perini, La vita, 325: «... cum praesertim meum non sit docere, aut partes defendere: sed bonarum literarum et artium doctores in publicum ad communem utilitatem edere, et inter se eos committere, ut veritas tamquam ex silicum collisione excutatur».

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circostanziate motivazioni, a dispetto delle dichiarate intenzioni di «offerta obiettiva» espresse dal Perna stesso nella praefatio. Il fatto è – rileva l’editore – che la prima parte gli appare scandalosa 4. Non che l’autore –chiunque egli sia – sia stato guidato da infame malanimo, tutt’altro: si rivela anzi estremamente pius, ma fuorviato dalle tenebre dei secoli bui in cui visse. Così obnubilato, questo author costringe («quod nefandum est«) e piega le parole (e i misteri delle Scritture, perfino quelli dell’Incarnazione e della morte di Cristo), tanto che pare che esse siano state scritte solo per servire a onore e lode dell’alchimia. A ragion veduta dunque il Perna non pubblica queste che definisce «allegorie tratte dalla Scrittura»: non sono di utilità alcuna e offendono pie e dotte orecchie; chi proprio vorrà leggerle, le cerchi in altre edizioni (se mai qualcuno avrà sprecato le sue risorse in tale impresa); a lui piace e basta pubblicare il tractatulus de Allegoriis ex philosophorum inventis 5: dizione che, se richiama nel titolo il testo che precede nella raccolta, cioè le Allegoriae in Turbam philosophorum, si riferisce chiaramente al trattatello che segue, cioè al Tractatus secundus dell’Aurora consurgens. Anche a prescindere per ora dall’esame dei manoscritti 6, che il Perna comunque avesse di fronte all’epoca un testo unico articolato in due parti è mostrato dalla sua stessa disamina, palesemente relativa a un testo composito ma unitario (se composto unitariamente o assemblato in seguito costituisce un diverso problema), strutturato, a suo dire, attorno ad «allegorie scritturali», da un lato, e «allegorie filosofiche» dall’altro; inoltre, il prologo con cui nell’edizione si apre il Tractatus secundus rende conto di questa (così tradizionale, del resto) bipartizione e fa esplicito riferimento, già nelle prime righe, alla connessione con qualcosa che precederebbe: lì si era mostrato, ex sacrae paginae actoritatibus, come l’alchimia «non esse aliud, nisi donum Dei et sacramentum, diversis typicis sermonibus ac parabolicis locutionibus»; qui, si tratta di intellectum valde subtiliter et ingeniose acuere per comprendere oltre il suono della lettera, per defi4. Ed. Waldkirch, 183: «Amice Lector, scias nos ... consulto praeteriisse integrum tractatum Parabolarum, sive allegoriarum ... quibus allegoriis, antiquo more tenebrionum ... totam fere sacrosanctam Scripturam, Salomonis praesertim, et Psaltes ipsius scripta, maxime vero Cantica canticorum, allegorice, ad Alchimiam etiam invita detraxit auctor, ita ut nulla alia de causa, illa omnia scripta esse videantur (si huic credimus) quam in honorem et laudem Alchimiae». 5. Ibid., 184: «Nobis satis esse volumus tractatulus de Allegoriis ex philosophorum inventis et ipsius artis penetralibus erutus, quem superius post Turbam expressimus.Vale». 6. Infra, par. 2.

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nire proprietà e non similitudini 7. Per non dire che proprio nel prologo sono usati termini e locuzioni che indicano come l’estensore del Tractatus secundus sia lo stesso della prima parte, o almeno che avesse anch’egli, nello scrivere, quelle pagine sott’occhio.

2. Uno sguardo ai manoscritti

La tradizione manoscritta dell’Aurora consurgens mostra che il Perna è intervenuto di propria iniziativa su una tradizione compatta: non esistono infatti manoscritti precedenti l’edizione 1572 che riportino isolatamente la prima o la seconda parte del testo. I manoscritti che tramandano il testo latino dell’Aurora consurgens, attualmente noti, sono dodici, cui si aggiungono due traduzioni in tedesco e una in cèco 8; la suddivisione del testo in capitoli è uniforme in tutti i mano7. Ed. Waldkirch, 186-87. I riferimenti a: Alexander/nives, imprudentes, sapiant, parvuli rinviano ad ACI (cui possono riferirsi certo anche altre parti più consistenti del testo; qui si nota proprio la ripresa di vocaboli-spia). 8. I manoscritti latini noti a M. L. von Franz e utilizzati per la sua edizione critica della prima parte del testo (v. infra, nota 22) sono sei (Aurora Consurgens. A Document Attributed to Thomas Aquinas on the Problem of Opposites in Alchemy, ed. with a commentary by M. L. von Franz, «A Companion Work to C. G. Jung’s Mysterium Coniunctionis», 1957, tr. ingl., New York 1966). Per essi utilizziamo le sigle da lei stabilite: P – Paris, BnF, lat. 14006, ff. 1r-30v; V – Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs 5230, ff. 239r-49v (mutilo, il testo termina bruscamente in corrispondenza del cap. 15 ovvero II.3, ed. Waldkirch, 194, HI p. 205); M – Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana,VI.215, ff. 65r-101r; Rh – Zürich, Zentralbibliothek, Codex Rhenoviensis 172, ff. 3r-36r (acefalo, il testo comincia in corrispondenza del cap. 10); L – Leiden, Bibliotheek der Universiteit, Cod. Voss. Chym. F. 29 (520), ff. 39r-71v; B – Bologna, Biblioteca Universitaria, ms 747, ff. 98v-119r. A questi si aggiungono, segnalati da B. Obrist, Les débuts de l’imagerie alchimique, Paris 1982, 275-84 (le sigle sono nostre): C – Copenhagen, Kongelige Bibliotheek, Gl. Kgl. Saml. 237, ff. 44r-75r; H – Hannover, Niedersächsische Landesbibliothek, Hs IV 339, ff. 62r-98v; P1 – Praha, (Capitolo metropolitano, ms. 1663), Archivio del Castello di Praga, O.LXXIX, ff. 27r-71r (acefalo e lacunoso nella prima parte); R – Roudnice, Biblioteca Lobkowicz, VI Fd 26, 6-73; W – Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs 11374, ff. 1r-69r. Altri due manoscritti sono stati identificati a partire dalle indicazioni offerte nel sito curato da A. McLean, www.alchemywebsite.com; si tratta di: E – Edinburgh, Royal College of Physicians ms AB4/18 (descriptus dall’ed. 1572); M1 – Modena, Biblioteca Estense, ms lat. 362 (_lpha. P. 4. 14), ff. 65r (1v) – 38r. Tutti i manoscritti fin qui segnalati sono stati esaminati direttamente e integralmente (de visu o in riproduzione fotografica), ad eccezione di E (che secondo le indicazioni di A. McLean è un apografo dell’ed. Perna). Dei manoscritti in lingue diverse dal latino è stato esaminato B1 – Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Hs Germ. Qu. 848, che contiene il ciclo di immagini (v. infra); mentre non sono stati presi in considerazione L1 – Leiden, Bibliotheek der Universiteit, Cod.Voss. Chym. F. 3 (testo cèco)

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scritti e conferma sia l’intenzione compositiva unitaria del trattato nella forma in cui lo conosciamo, sia la sua originaria articolazione in due parti; nella maggior parte dei manoscritti i capitoli sono numerati e, per quanto la numerazione presenti delle disparità, talora dei vuoti e altre irregolarità, esse non sono tali da contraddire quanto asserito rispetto alla struttura dell’opera 9. L’intenzione compositiva unitaria, anche se non l’articolazione in parti e capitoli, è confermata inoltre da due elementi: il ciclo di immagini, che accompagna il testo già in due dei testimoni più antichi (risalenti al secondo/terzo decennio del XV secolo), scorre – come vedremo dettagliatamente più avanti – parallelamente al testo intero; e la seconda edizione a stampa del testo, edita da Johannes Grasshof nel 1625, restituisce il testo integralmente, eliminandone però ogni partizione interna e mettendo in evidenza nel titolo, dato in una forma non attestata dai manoscritti, l’attribuzione a Tommaso d’Aquino 10. I manoscritti presentano due varianti del titolo: Aurora que dicitur mora (R, W; B ha un titolo simile: Aurea mora que dicitur Aurora), e Aurora consurgens (M,V, M1, P); senza titolo sono, ovviamente, i manoscritti acefali (Zh, P1) e i rimanenti integri (L, C. H). Osserviamo infine che fra i manoscritti latini solo B (a. 1492) riporta l’attribuzione a Tommaso d’Aquino nelle vicinanze del testo, ma in una annotazione chiaramente aggiunta al titolo da una delle mani che hanno ampiamente annotato il codice (f. 97v, Incipit Aurea mora que dicitur Aurora e L2 – Leiden, Bibliotheek der Universiteit, Cod.Voss. Chym. F. 20 (testo tedesco. Ancora dal sito di McLean si segnala infine G – Glasgow, University Library, Ferguson 6, che contiene esclusivamente le immagini (infra, par. 6.1). M1 e P sono stati esaminati de visu per noi rispettivamente da F. Bacchelli e I. Costa, ai quali va il nostro più vivo ringraziamento. 9. I manoscritti M ed M1 (verosimilmente descriptus dal precedente; ringraziamo vivamente F. Bacchelli per avercene fornito la descrizione e aver controllato per noi i titoli dei capitoli) denominano Particula quello che gli altri chiamano Parabola, non numerano i capitoli della seconda parte e contentono una grossa lacuna al f. 85r, in corrispondenza dei capp. 18-20, solo in parte corrispondente alla lacuna riscontrata in R. Insieme ad H, riportano un titolo per il cap. 21, che è senza titolo nella maggior parte dei manoscritti: «Sequitur de homine salvatico» (H: silvatico). Il manoscritto B numera in maniera ancor più irregolare i capitoli della seconda parte, il cui prologo (non numerato) è intitolato Prologus secundi tractatus Salomonis. 10. Harmoniae Imperscrutabilis Chymico-philosophicae Decas I, Collectae ab H.C.D. (Condeesyanus), Francofurti apud Conradus Elfridum Anno MDCXXV, 175-242, Beati Thomae de Aquino Aurora sive Aurea Hora. Sul Grasshof v. J. Ferguson, Bibliotheca Chemica. A Bibliography of Books on Alchemy Chemistry and Pharmaceutics (1906), 2 voll., reprint D. Vershoyle Academic and Bibliographical Publications Ltd., London 1954, I, 338-41.

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add. in marg. vel Liber Trinitatis compositus a Sancto Thoma de Aquino / Aurora consurgens); mentre in L, scritto a Erfurt nel 1526, troviamo il nome del santo aggiunto sul margine superiore del f. 1r, ma l’Aurora consurgens in questo manoscritto inizia al f. 39r; l’attribuzione è fatta con una nota in tedesco che recita: «Nota etzliche wollen darfür haltt das der hier volgende Tractat von Doctor Thoma Aquino zum Rom geschryven worden sey» 11. Le testimonianze manoscritte risalenti ai secoli XV e XVI confermano dunque che l’Aurora consurgens ha circolato generalmente in forma anonima e, fino allo smembramento operato dal Perna, nella forma di un trattato suddiviso in due parti per complessivamente trentaquattro capitoli: la prima parte ne comprende dodici 12, la seconda parte i rimanenti ventitre 13. Il tredicesimo capitolo è con11. Il manoscritto è stato copiato nel 1526 a Erfurt da Valentin Hernworst; l’annotazione con l’attribuzione a Tommaso, posta all’inizio del codice e non in corrispondeza dell’Aurora consurgens, è scritta tuttavia dalla stessa mano e con lo stesso inchiostro con cui è stato copiato proprio questo testo, come abbiamo potuto osservare analizzando direttamente il codice. Per una descrizione completa P. C. Boeren, Codices Vossiani Chymici, Universitaire Pers, Leiden 1975, 83-90. Oltre che in B e L, l’attribuzione a Tommaso è contenuta soltanto nell’edizione di Johannes Grasshof (nota precedente). Il nome di Tommaso come alchimista compare nell’anonima Conversatio philosophorum contenuta ai ff. 155r-58r di V (dove tuttavia l’Aurora consurgens non riporta l’attribuzione); dopo una breve storia delle origini dell’alchimia leggiamo: «Procedant iam moderni. Sanctus Tomas de Aquino, sanctus Augustinus, Sanctus Ambrosius, non tantum avaritie, sed magis secreta nature velle perscrutari, in hac parte phylosophie desiderabant erudiri». La presenza dell’Aquinate in questo elenco di estimatori dell’alchimia (peraltro assai sospetto!) potrebbe essere legata al fatto che la silloge si apre con la Expositio Thome de Aquino super librum turbe. Questo manoscritto è stato copiato nel 1475 dal Magister Theodoricus Ghysiberti de Lunenborgho de Saxonia ad instantiam et petitionem artium medicine eximii ax famosissimi viri Magistri Butii Genuvini de Ferrantis de Perusio in civitate Fulginii (f. 297v). 12. Si tratta del testo edito criticamente da M. L. von Franz; i titoli da lei utilizzati sono confermati dal resto della tradizione manoscritta. 13. I titoli, dal manoscritto più antico, Rh (per lo più concordanti in tutta la tradizione) sono i seguenti: Incipit prologus secundi tractatus C. 13 (f. 10r); C. 14 Sequitur de astronomia C. 2 tractatus 2i (f. 11r); C. 15 De stilo parabolico per arismetricam (f. 12v); De processu naturali C. 16 (f. 13v); De matre alchimia stilus parabolicus C. 17 (f. 14v); De stilo probleumatico C. 18 (f. 16v); De stilo typico C. 19 (f. 18r); De rebus naturalibus C. 20 (ibid.); C. 21 (f. 19v, senza titolo, cfr. supra nota 9); Item de interioribus hominis C. 22 (ibid.); De ovo C. 23 (f. 20r); De basilisco et vermibus venenosis C. 24 (f. 20v); De rebus mineralibus C. 25 (f. 21r); De multiplici argento vivo C. 26 (f. 22v); De arsenico et auripigmento C. 27 (f. 23v); C. 28 De markasita magnesia et tuthia (f. 24r); De qualitatibus singulis omnium metallorum C. 29 (f. 24v); De quatuor corporibus metallicis imperfectis C. 30 (f. 26r); C. 31 De arboribus herbis floribus radicibus et aliis vegetabilibus (f. 27r); De pluralitate vocabulorum artis C. 32 (f. 27v); De multiplici operatione philosophantium C. 33 (f. 28v); Item de aliis modis operacionum C. 34 (f. 33v); Capitulum ultimum De effectibus huius medicine (f. 36r). Il manoscritto B1, che contiene il testo in tedesco, riporta anch’esso i titoli secondo questa numerazione.

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cordemente definito prologus secundi tractatus, ma nella maggior parte dei manoscritti, in particolare nei più antichi, la numerazione è in continuità con i capitoli della prima parte 14. Oltre che dalla presenza di un prologo, la distinzione fra la prima e la seconda parte è confermata dal titolo che Rh, R e C attribuiscono al secondo capitolo della seconda parte 15, e viene sottolineata in L e P1 mediante l’indicazione di una doppia numerazione dal tredicesimo capitolo fino all’ultimo 16. La scelta di Pietro Perna di stampare soltanto la seconda parte sembra radicarsi in questo ramo della tradizione, anche se non è stato possibile identificare l’esemplare manoscritto utilizzato per la stampa: ne è conferma il fatto che solo nei mss L e P1 il titolo del capitolo 15 (Geometrica dicta stilo parabolice. Capitulum decimum quintum vel tercium huius 2i tractatus), che corrisponde al cap. II nelle edizioni di Perna e Waldkirch (Geometrica dicta parabolico stylo) 17, nomina i Geometrica dicta invece che – come tutti gli altri manoscritti – l’Arismetica; si deve notare, a questo proposito, che la geometria non è richiamata nel testo nemmeno in L e P1 (mentre lo è nelle edizioni Perna e Waldkirch, ma non in quella del Grasshof) e che l’autore non ha affatto utilizzato argomenti geometrici, trattando piuttosto di aritmetica e scienza dei pesi 18.

14. Solo W presenta un colophon di mano del copista al termine della prima parte (Finis primi tractatus theologici, f. 23r); in R troviamo un’annotazione di mano diversa che segnala: Finis primus tractatus thelesmi: il termine thelesmi richiama naturalmente la Tabula smaragdina, che in effetti è oggetto di un parziale commento nella seconda parte dell’Aurora consurgens, ai capitoli 33-34. 15. De astronomia C. 2 tractatus 2i, R p. 35, C f. 55v; C. 2 tractatus 2i, Rh. I tre manoscritti risultano strettamente collegati sotto molti aspetti. 16. Riportiamo come esempio solo i primi due: Incipit prologus secundi tractatus huius libri Capitulum tredecimum vel primum (L f. 51r, P1 f. 39v), Astronomica dicta Capitulum decimum quartum vel secundum huius 2i tractatus (L f. 51v, P1 f. 41r, con l’erronea indicazione Capitulum decimum tertium huius secundi tractatus). 17. Rispettivamente alle pp. 209 e 192: L’incipit del capitolo è stato modificato di conseguenza nelle due edizioni: «Dehinc nota quod geometrica et arithmetica hanc nobilissimam scientiam», rispetto a quello che tutti i manoscritti (nonché l’edizione del Condeesyanus) riportano, «Dehinc nota arismetica hanc nobilissimam scientiam». 18. Cfr. anche il commento all’immagine n° 15 del ciclo standard, infra, par. 6.1. Un’incertezza nell’attribuire a questo capitolo un titolo preciso si rileva peraltro anche negli altri manoscritti. Rh ha: C. 15 De stilo parabolico per arismetricam; R non riporta alcun titolo né il numero del capitolo, per quanto indichi come C. 16 il successivo, e tuttavia la «d» iniziale del testo (De hinc nota arismetica), è rubricata; lo stesso in C; W indica semplicemente Capitulum XV; V e H hanno Capitulum secundum de arismetrica; B Capitulum secundum doctrine prime de arismetrica; M e M1 De arismetrica.

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3. Il montaggio di ACI 3.1. – L’atto selettivo e censorio del Perna – esplicito e chiaramente giustificato – non è privo di validi fondamenti: anzi, come si vedrà, forse l’acuto giudizio del primo editore – che valuta e confronta nel loro insieme le due parti di una opera – è tra i più pertinenti; la sua scelta editoriale non è rimasta comunque priva di conseguenze storiografiche ed esegetiche. Finora infatti le due parti sono state considerate dagli storici 19 come due testi autonomi e diversissimi, da considerare separatamente 20: come tali hanno anche conosciuto una diversa diffusione e fortuna interpretativa. La prima parte (cui quasi per antonomasia ci si riferisce di solito col titolo di Aurora consurgens 21) è, com’è noto, un testo abbastanza breve, strutturato in dodici capitoli (una sezione introduttiva e sette «parabole»). Prescrizioni operative piuttosto generiche 22 si intrecciano a (e si esprimono con) passi scritturali, molti dei quali tratti dai Salmi, dall’Apocalisse e dalle opere salomoniche (a partire dal titolo stesso), affiancati e quasi intessuti con passi tratti da testi alchemici. Da questo doppio registro, in cui i due codici (alchemico e biblico) si rafforzano a vicenda, emergono – in modo non argomentato né sistematico, ma non irrazionale e non spontaneo o automatico, bensì molto «lavorato» – un nuovo testo e una immagine alta di alchimia, collegata a tonalità profetiche e all’indicazione di un percorso di per19. Non molti, in verità. L’Aurora consurgens è solo menzionata da R. Halleux, Les textes alchimiques,Turnhout 1979, a proposito dei rapporti tra letteratura alchemica e storia dell’arte (su cui cfr. i due volumi citati qui in seguito) e del corpus ps. tommasiano (su cui cfr. anche L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, 6° ed., New York-London 1964, III, 42-43, 136-39; e, più approfonditamente, Der alchemistische Traktat ‘Von der Multiplikation’ von Pseudo-Thomas von Aquin, ed. D. Goltz et al., Wiesbaden 1977; A. Calvet, «Recherches sur le platonisme médiéval dans les œuvres alchimiques attribuées à Roger Bacon,Thomas d’Aquin et Arnaud de Villeneuve», Revue des sciences philosophique et théologiques, 87.3 (2003), specie § 3; Ch. Crisciani, «Tommaso, pseudo-Tommaso e l’alchimia: per un’indagine su un corpus alchemico», in Letture e interpretazioni di Tommaso d’Aquino oggi: cantieri aperti, ed. A. Ghisalberti et al., Torino 2007, 103-19. 20. Fa eccezione Thorndike, A History, IV, 335, n. 25: segnalando due mss. (Vienna e Venezia) dell’Aurora consurgens, rileva che «The latter part of the work was printed in Artis auriferae, I, 185». 21. D’ora in avanti sarà citata come ACI (dall’ed. von Franz, v. supra, nota 8); per il Tractatus secundus useremo la sigla ACII, citando dall’ed. Waldkirch segnalata supra, nota 2. 22. Ma non sono affatto assenti, come invece dichiara von Franz, Commentary, 153.

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fezionamento come elevazione unitiva e «amorosa» che conduce alla Sapienza, e con ciò a Dio (benché questa sommaria indicazione sia inappropriata e incapace di descrivere un percorso che palesemente il testo non accetta di definire e, se mai, fa intraprendere – proprio tramite le sue volute espressive e le spinte linguistiche). Per il suo contenuto e la cifra stilistica, ACI è stata collocata tra i testi di «alchimia visionaria» che, già presenti nell’alchimia greca e araba, compaiono in Occidente tra i secoli XIV e XV. Con tale definizione non ci si riferisce tanto a opere che riportano o descrivono visioni alchemiche 23, quanto a scritti – l’ACI, il Tractatus parabolicus dello ps.Arnaldo, il Libro della Santa Trinità 24, certe pagine di Giovanni di Rupescissa – che, con linguaggio allegorico-analogico 25, spesso molto fitto, quasi intessuto di rinvii scritturali, ricco appunto di immagini verbali fervide e fluenti, propongono l’opus alchemico in contesti esegetico-profetici ed escatologici. Se si aggiunge al coinvolgente e bell’intreccio di codici linguistici diversi 26 e alla presenza di immagini il fatto che (benché solo in due manoscritti e in una tarda stampa 27) l’ACI è stata attribuita a Tommaso d’Aquino, si spiega il notevole interesse che l’opera ha suscitato nella discepola e collaboratrice di Jung, Marie Luise von Franz, che del testo ha prodotto un’edizione corredata da un ampio e appassionato studio teso a confortare con ragioni di ordine biografico e psicologico l’attribuzione «tradizionale» – ma che tale era davvero ben poco, come 23. Nella letteratura alchemica latina esistono testi di questo tipo (fra tutti, si segnalano la Visio Arislei e la Visio Dastin); sono per vari aspetti avvicinabili a questi in quanto introducono (senz’altro l’opera di Dastin) «battute» scritturali e si orientano a presentare gli aspetti anche religioso-salvifici dell’arte e ad allegorizzare (spesso però in modi facilmente decifrabili) fasi del processo operativo. Ch. Crisciani, «Il corpo nella tradizione alchemica: teorie, similitudini, immagini», Micrologus, 1 (1993), spec. 189-205, 230-33; M. Pereira, «Sogni e visioni alchemiche», in I sogni nella letteratura e nella cultura medievale (in corso di stampa). 24. Cfr. gli studi e l’edizione di A. Calvet, «Le Tractatus parabolicus du pseudoArnaud de Villenuve», Chrysopoeya, 5 (1992-1996), 145-71; U. Junker, Das ‘Buch der Heiligen Dreifaltigkeit’ in seiner zweiten, alchimistischen Fassung (Kadolzburg 1433), (Arbeiten der Forschungstelle des Institut für Geschichte der Medizin der Universität), Köln 1986. 25. Cfr. oltre al suo volume già citato (supra, nota 8), B. Obrist, «Les rapports d’analogie entre philosophie et alchimie médiévales», in Alchimie et philosophie à la Renaissance, ed. J. C. Margolin-S. Matton, Paris 1993, 43-64. 26. M. Pereira, «Principio femminile e rinnovamento del mondo nell’Aurora consurgens», in Rinnovamento e mistero, ed. C. A. Cicali et al., Napoli-Roma-Milano 1999, 96-113. V. anche la traduzione italiana di ACI in Alchimia. I testi della tradizione occidentale, a c. di M. Pereira, Milano 2006, 527-51. 27. Supra, note 7 e 11.

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abbiamo appena visto. Il fatto che all’Aurora consurgens sia legato uno dei primi e più ricchi cicli iconografici alchemici spiega anche l’attenzione che le hanno dedicato gli studiosi d’iconologia, in special modo Barbara Obrist e Mino Gabriele, dai quali però – contro il fatto evidente che il ciclo d’immagini percorre tutto il testo (prima e seconda parte), – l’ACI è stata considerata quasi come un’opera autonoma, e comunque poca o nulla attenzione ha raccolto anche presso di loro il testo di ACII 28. La prima dunque, dopo il Perna ma in prospettiva opposta, a legittimare la separazione delle due parti, considerandole praticamente due opere diverse, è stata proprio Marie Luise von Franz. Essa propone, sulla base dell’attribuzione a Tommaso, una interpretazione di ACI in chiave di psicologia dinamica e vede l’efflorescenza della scrittura come espressione dell’«irrompere dell’inconscio», del fluire di un flusso di immagini, che erompe – durante l’ultima malattia e nella debolezza di Tommaso morente 29 – dalla fatica provocata dall’eccesso di lavoro intellettuale e dalla pressione generata dal lavorio intellettualistico continuo; per von Franz essa andrebbe interpretata, e tecnicamente, come «un sogno» 30. Pur tenendone conto nell’apparato critico e nelle note di commento dell’edizione, von Franz considera l’ACII un testo completamente diverso, compilativo, ben poco suggestivo ed espressivo e, al più, da tener presente come una sorta di commento al primo, a esso posteriore. Se von Franz ha comunque il merito di aver considerato più da vicino il rapporto possibile tra i due testi, la definizione di «commento» per ACII non convince: innanzitutto perché il testo non rispetta le regole del genere (neppure quelle anomale del commento alchemico 31); né, inoltre, l’opera si presenta come tale. Infine, lo 28. Vistosa fra tutte quella per cui il ciclo, dovunque appare, è sempre dispiegato, per contenuto e collocazione, sull’insieme dei due testi. Chi lo esamina sotto questo profilo riconosce ovviamente il fatto, ma non pare chiedersi perché: Obrist, Les débuts, 188-89, parla più volte di due parti, ma prende in considerazione solo il testo di ACI, affrontandolo con la sua griglia interpretativa dell’occultamento voluto, su cui v. infra, § 3.4, 6 e 6.1. 29. La tarda e sicuramente non originaria attribuzione a Tommaso dell’opera compromette definitivamente questa interpretazione, giudicata con molte riserve nella recensione dedicatale in Revue Tomiste, 10 (1957), fasc. 1, 39ss. Il titolo non compare ormai più nemmeno nella sezione di spuria nei cataloghi di opere dell’Aquinate (J. Weisheipl, Tommaso d’Aquino.Vita, pensiero, opere, 1974, tr. it., Milano 1987, 3989-99; J. Torrell, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, tr. it., Casale Monferrato 1994, 402-3). 30. Ed. von Franz, Commentary, 154. 31. Ch. Crisciani, «Commenti in alchimia: problemi, confronti, anomalie», in Il

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scarso interesse dedicato dagli storici a ACII, mentre invera, ma all’inverso, l’attenzione che a suo tempo ha indotto Perna a privilegiarlo rispetto a ACI, non tiene in conto e non sfrutta appieno i motivi dell’apprezzamento di Perna stesso per questo testo. A nostra conoscenza, anzi, nessuno ha esaminato con qualche attenzione il Tractatus secundus che è andato incontro, finora, al relativo silenzio che circonda la letteratura alchemica «normale» del Quattrocento 32. In effetti, l’epistolario tra Tommaso da Bologna e Bernardo di Treviri, gli scritti di vari alchimisti inglesi, il Lucidarius e gli altri testi di Cristoforo da Perugia, il Liber di Guglielmo Fabri, il Phoenix di Jacme Lustrac, la produzione di Ludovico Lazzarelli e di Mercurio da Correggio – tutte opere abbastanza brevi, di autori minori, prodotte in una fase che certo non brilla per la fertile innovazione teorica – non sono molto studiate, benché proprio il passaggio tra medioevo e prima età moderna sia un periodo molto dinamico appunto nel riassetto delle discipline e dei rispettivi ambiti, e presenti quindi un sicuro interesse nel suo complesso; e in questo quadro proprio anche ACII offre non pochi spunti significativi, in primo luogo nel delineare i rapporti tra alchimia e medicina 33, nonché con altri saperi che la circondano, e nell’esaminare abbastanza accuratamente le tipologie della comunicazione e del linguaggio alchemici 34. L’ACII – che si definisce un libellus – si configura in effetti come un testo formalmente compilativo, abbondante di temi, ampie citacommento filosofico nell’Occidente latino (secoli XIII-XIV), ed. G. Fioravanti et. al., Turnhout 2002, 61-97; e i contributi sul commento alchemico in M. O. GouletCazé, Le commentaire entre tradition et innovation, CNRS, Paris 2000. 32. Cfr. però vari saggi in Alchimie et Philosophie à la Renaissance, ed. MargolinMatton; in part. J.-M. Mandosio, L’Alchimie dans la classification des sciences et des arts à la Renaissance, 11-41. Inoltre Ch. Cristiani, M. Pereira, «L’alchimia tra medioevo e Rinascimento», in Storia della scienza Treccani, Roma 2001, IV, 907-20. 33. Cfr. i vari studi in Alchimia e medicina nel medioevo, ed. Ch. Crisciani, A. Paravicini Bagliani, Firenze 2004; Ch. Crisciani, «Experientia e opus in medicina ed alchimia: forme e problemi di esperienza nel tardo Medioevo», Quaestio, 4 (2004), 149-73. 34. Sull’argomento, così come sui nessi con la medicina, si spinge molto più a fondo e più sistematicamente Pietro Bono da Ferrara, Pretiosa Margarita Novella, in J. J. Manget, Bibliotheca Chemica Curiosa, Genevae 1702, II, 1-80, in diversi capitoli del suo lungo trattato; per queste e altre somiglianze nella trattazione non è affatto escluso che tra le fonti implicite di ACII (quelle non dichiarate forse perché troppo pervasive) ci sia appunto la Pretiosa margarita. Cfr. anche Ch. Crisciani, «Esperienza e linguaggio nella tradizione alchemica», in Atti del XXIV Congresso Nazionale di Filosofia, Roma 1974, 357-64 (specificamente su Bono); Ead., «Esperienza, comunicazione e scrittura in alchimia (secoli XIII-XIV)», in Le forme della comunicazione scientifica, ed. M. Galuzzi et al., Milano 1998, 85-110.

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zioni (a volte commentate) e di compiaciute digressioni, di raccontini arguti; in ambito alchemico, potrebbe sembrare una raccolta di dicta 35 – diffuse sempre, e in particolare dal Quattrocento: non lo è proprio in virtù di una struttura compositiva esplicitata e seguita nella sua organizzazione, e per la buona consistenza di prospettive dottrinali personali dell’autore, che ha e propone una sua linea, non molto originale ma autonoma rispetto alle fonti che usa abbondantemente. Certo non è un commento di ACI 36, anche se si intende – ma in genere – segnalare le difficoltà dell’intellectus occultus verborum, delle similitudini nella letteratura alchemica, e di come parabolice sempre procede la Sacra pagina: alla fine del prologo, allora, risuona l’invito: «Notate ergo diligenter verba Philosophorum, et signate mysteria ... Sapientum vero vincula solvite, et erum dicta revolvite, donec vobis in mente sapiant» 37. Ciò, a quanto pare, non significa per l’autore sciogliere puntualmente le «allegorie bibliche» di ACI (e, anzi, egli ne costruisce anche di nuove in ambito filosofico), ma affrontare da diverse angolature dottrinali ed esegetiche gli scopi dell’alchimia, il suo linguaggio speciale, i legami che intrattiene con altre scienze, le operazioni in cui si realizza, i suoi scopi e risultati mirabili. Di qui la quintuplex doctrina, ovvero una sorta di indice di un testo che vuole innazitutto offrire aliquid utilitatis ... ingeniose perscrutantibus 38. Ordinatamente, poi, il testo esamina ciò che l’indice segnala, e che tocca temi abbastanza diffusi appunto tra gli «esperti di alchimia» del Quattrocento; l’autore mostra non poca competenza e dispone di una conoscenza tesuale di tutto rispetto, anche a prescindere da scritti che probabilmente usa senza citarli. Anche solo da questo rapido resoconto, è evidente, certo, che ACI e ACII sono diverse. Ci pare però che – se si analizza la struttura e la scrittura di entrambi i testi fuori da schemi troppo rigidi – il rapporto che li lega sia più stretto dell’omonimia dei titoli o del nesso testo35. La più famosa (che tra l’altro riprende da ACI vari passi) è il Rosarium philosophorm. Ein alchemisches Florilegium des Spätmittelaters, ed. J. Telle, 2 voll., Weinheim 1992. 36. La convinzione di von Franz che sia un più tardo commento si basa, tra l’altro, su una notazione alquanto singolare: ACII sarebbe un commento poiché contiene «repetition of quotations from Part I» (ed. cit., 5); ora, perché questo fatto non potrebbe invece indicare che uno stesso autore sta usando qui e lì le stesse fonti? 37. Ed. Waldkirch, 186-87. 38. Ibid.: «Primo quidem quibus alienis scientiis haec scientia circundatur. Secundo quibus stylis loquendi fruatur. Tertio, quibus rebus naturalibus assimilatur. Quarto quibus operationum modis peragatur, et de perfectionis eius virtute. Quinto, quomodo quisque illa ad medicinam humani corporis utatur».

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commento, e vincolante più a fondo di quanto non sarebbe un inopportuno assemblaggio successivo, che – stando all’uniformità della tradizione manoscritta – dovrebbe essere avvenuto entro i primi anni del XV secolo e che, a ragione, Perna avrebbe sciolto, vuoi per scandalo di contenuti, vuoi per acribia di lettura. Si tratta, a nostro avviso, di due parti (correttamente i manoscritti identificano due tractatus), ovvero delle due componenti di un progetto unitario, benché stratificato e complesso, probabilmente il risultato di successivi passaggi. Vediamo se e come si può ricostruire il progetto, o almeno il processo possibile di composizione, e le sue fasi. 3.2. Consideriamo quello che d’ora in avanti meglio si definirà «primo libro» dell’Aurora consurgens. Si è detto che è l’intreccio di: a. passi scritturali; b. passi da testi alchemici; c. indicazioni, talvolta genericamente operative, dell’autore. Se si scorpora ciò che indubbiamente l’autore ha voluto inestricabilmente intrecciare, si ottengono tre serie di sentenze, che definiamo serie biblica, serie alchemica, serie «soggettiva». Confrontandole, si ricavano alcune considerazioni di rilievo. La serie biblica ha un senso anche autonomamente, che conserva seppure ne scorporiamo i passi alchemici; così elaborato, il testo scorre fluido, delineando una specie di itinerario antologico di passi veterotestamentari (Ecclesiate, Qoelet, Salmi), con alcune inserzioni neotestamentarie e liturgiche, così schematizzabile 39. Si presenta la Sapienza nel suo splendore, ne vengono elencate le bellezze, le prerogative, i poteri che conferisce, le tenebre e i pericoli che fuga, la protezione e accoglienza che essa dona, la salvezza che procura; la Sapienza potrà anche essere oppressa e perseguitata, ma comunque sua sarà la vittoria, e di chi la segue. Si delinea il rapporto tra Sapienza e Trinità, e il ruolo dello Spirito; Sapienza (e Spirito) porgono sette doni, mentre la casa della Sapienza – splendida e preziosa di gemme – ha quattordici pietre angolari corrispondenti ad altrettante virtù e prerogative. Dall’intrinseco articolarsi di una dimensione divina si passa a delineare la sua estrinsecazione nell’opera della Creazione; nella sua continua vitalità, e nelle vicende del primo e secondo Adamo, la Morte è vinta e Cristo trionfa, e con lui tutti risorgeremo. Nell’ultima parabola (quasi tutta scritta tramite il Cantico) la Sapienza si unisce all’amato, anzi con lui (cioè con Dio, «che uccide e vivifica»)

39. I riferimenti biblici, nonché quelli liturgici, teologici, religioso-spirituali, sono identificati nell’apparato dell’ed. von Franz.

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si identifica («ego et ipse unus sumus»), in un produttivo slancio d’amore, preludio di nuove generazioni, trasformazioni, spinte verso l’alto 40. Va notato che – anche isolata in quanto tale, senza gli inserti alchemici – la serie biblica risulta pienamente identificabile nelle sue fonti, ma è «lavorata», nel senso che vengono spesso uniti versetti da libri diversi o spezzoni, anche minimi e non contigui, di versetti diversi, legati per associazione tematica o assonanza 41. La serie alchemica, presa in sé, non ha invece senso autonomo: è una somma di segmenti testuali priva di coerenza, vuoi teorica, vuoi operativa (di indicazioni tecniche). Se ne ricava l’elenco delle fonti 42 su cui l’autore si fonda, lo spessore e qualità della sua «biblioteca», non una linea dottrinaria compatta. I passi (e talora solo brevi sintagmi o termini) sono comunque selezionati con cura, onde si accordino o confermino o rafforzino la serie (a). L’incastro tra (a) e (b) non è meccanico. Innanzitutto, la serie (c) spesso funziona da raccordo; inoltre la serie (b) si inserisce in (a) non semplicemente per accostamento di sentenze, ma duttilmente, in modo che ne risulti una sorta di «alchemizzazione» di (a); l’autore, cioè, non si limita ad accostare a un versetto scritturale una sentenza di auctor alchemico che – per assonanza linguistica o per tema – gli si avvicina. Egli invece lavora, e con molta finezza, anche alla sutura dei due codici linguistici e delle sue due fonti, sia preoccupandosi della congruità specificamente grammaticale di ciò che accorpa 43, sia introducendo varianti opportune nei testi biblici che usa, e con ciò modificandoli; sono varianti apparentemente minime, ma costanti e necessarie per rendere coordinato e coerente l’insieme alchemizzato che ne risulta 44. 3.3. Quest’ultima operazione merita un’analisi più ravvicinata. Gli interventi sui testi sacri sono di due tipi: da un lato, un uso pervasivo di termini o sintagmi scritturali, che non si lascia analiticamente descrivere, per illustrare situazioni parzialmente nuove con una riscrit40. Ed. von Franz, 146, 148, dove si allude ai figli che nasceranno dall’incontro dell’amato con l’amata, al seme che darà un triplice frutto. 41. Per due esempi di simili crasi, ibid. vedi 60 (crasi tra Proverbi e Salmi) e 140 (crasi tra Isaia e Apocalisse, cosicché virga Jesse diventa clavis Jesse). 42. V. Appendice I. 43. Cfr. ad esempio, tra i tanti, ed. von Franz, 46, (ab eo è trasformato correttamente in ab eis), e 50 (meis è trasformato correttamente in suis). 44. Più volte, comunque, anche nel caso delle auctoritates alchemiche l’autore interviene con varianti, non però – ci pare – così decise.

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tura: si richiede qui propriamente la lettura del testo 45; dall’altro, un uso più puntualmente circoscritto e meglio identificabile e decifrabile, che consiste o in sostituzioni di termini, o in aggiunte. Il più significativo tra gli interventi di quest’ultimo tipo riguarda i termini sapientia/scientia. In più casi, e soprattutto nei primi capitoli, laddove il versetto usato ha «sapientia» l’autore sostituisce con «scientia» 46. Tale scienza poi (qui tramite opportune aggiunte al versetto scelto) è mater omnium scientiarum 47, è gloriosa scientia Dei et doctrina sanctorum et secretum philosophorum et medicina medicorum 48: quindi una scienza che spazia o comprende livelli che vanno dall’ambito teologico alla presa in cura del corpo umano, ovvero anche la scienza dei vari possibili nessi tra uomo e Dio. Questa scienza ha il suo fondamento (initium) oggettivo e un suo ambito non nella soggettiva brama di controllo, cioè nella verissima disciplinae concupiscientia (Sap. 6, 1718), ma nella «verissima natura, cui non fit fraus» 49. Possono a essa dedicarsi e l’acquisiscono coloro che sono literis naturie insigniti 50, che sanno coglierla anche in hoc libro 51 e in libris sapientum 52 (a loro volta composti in varie lingue – litteris aureis grecis, barbaris, latinis 53); costoro devono ricercarla subtiliter, ingegnose, constanter 54. Saranno necessari nell’indagine funzioni percettive e cognitive in sinergia: lumen, sensus naturalis et subtilis, intellectus, e soprattutto intelligentia/intelligere 55. È evidente che con questi interventi l’autore sta promuovendo l’identificazione della Sapienza con l’alchimia e, col sottolineare il carattere scientifico di quest’ultima, raggiunge il suo intento più chiaramente e incisivamente di quanto non succeda quando le varianti intervengono in relazione ai contenuti dell’arte alchemica: come quando l’autore aggiunge i gigli alle rose di Sap. 2, 5 56 (facendo così 45. 46. 47. 48.

Cfr. ad esempio ed. von Franz, 100-31. Ibid., 32, 42 (tre volte), 46, 48. Ibid., 42. Ibid., 46. Si noti che qui Dei può essere inteso come genitivo oggettivo (la scienza di Dio) e soggettivo (la scienza che, come dono, viene da Dio): nei due casi comunque risulta pertinente, e si addatta a segnalare l’eccellenza dell’alchimia. 49. Ibid., 40. 50. Ibid., 42. 51. Ibid., 76. 52. Ibid., 52. 53. Ibid., 54; il vestito trapuntato di lettere di cui qui dice il testo rinvia sia ad Apoc., 19.16, sia all’apparire della Filosofia nel De consolatione di Boezio. 54. Ibid., 54. 55. Ibid., 34, 38, 52, 56, 62, 78, 110, 116, 124. Significative inoltre al riguardo le espressioni homo philosophicus (128), e fides philosophica (80). 56. Ibid., 146.

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un ulteriore riferimento alle due fasi dell’opus – ad album e ad rubeum 57); o quando introduce come propria in die resurrections la virtus penetrationis et liquefactionis 58; o quando muta il termine scritturale generationes con divitiae 59, e altresì rafforzate come infinitae 60; o quando infine trasforma (sovrappone) a mundus il termine operatio 61 (rendendo così anche più evidente il rapporto, su cui egli si sofferma, tra creazione e opus). Si tratta certo di un’immagine di alchimia enfatizzata nella sua eccellenza dalla fraseologia biblica, aureolata di sacralità, ma di cui si vuole comunque sottolineare bene il carattere di scienza, che di strumenti razionali e dottrinali si serve, in cui ci si basa sulla natura e si usano libri. Significativo nella stessa direzione è anche il fatto che, se il Testo enuncia il timor Dei, questo scompare, sostituito da scientia o comunque da un rinvio alle viae della ricerca, cosicché in almeno tre versetti che presentano termini riferiti a un «pauroso rispetto» questi vengono tolti, o sono sostituiti con termini cognitivi 62: vero è che l’eco del termine originario resta, e aleggia (specie per chi conosce la Bibbia bene), ma di fatto è stato soppiantato. Di qui, l’efficace effetto retorico di raddoppiamento, eco, o meglio di crasi di sensi che questa operazione produce nel lettore. La trasformazione della sapientia in alchimia, la scomparsa di timor, la connotazione in termini anche scientifici non esclude affatto che venga mantenuto per l’alchimia un alto impegno etico. L’autore sviluppa approfonditamente (e servendosi allora anche di sentenze alchemiche) questo tema in sezioni apposite – quando elenca le doti e prerogative di Sapienza, della sua luminosa dimora e di chi la cerca; basta però ad evocare questa tonalità morale alta la qualifica di mater omnium scientiarum presente già nella serie puramente biblica (nel versetto usato manca appunto scientiarum 63). In quest’appellativo si condensa infatti il carattere fondativo, egemonico e totalizzante di questa ricerca rispetto ad altre scienze, sia sotto il profilo scientifico sia anche circa gli imperativi etici che ne conseguono (che sono infatti plurali e complessivi: nei confronti della natura, del mondo della materia da perfezionare, dell’organismo umano cui garantire salute, dei poveri 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63.

Ibid., 126. Ibid., 74. Ibid., 32. Ibid., 34. Ibid., 128. Ibid., 32, 60, 68, 102. Ibid., 42.

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destinatari dei frutti dell’arte); sapere totale e totalizzante e conseguente eticità della ricerca alchemica erano state del resto, e su queste stesse basi, sottolineate con forza in testi precedenti: fra tutti, la Pretiosa margarita di Pietro Bono e il Testamentum dello ps. Lullo 64. A perfezionare la trasformazione di Sapienza in alchimia – ripetiamo: non con appositi inserti, ma già nella silloge biblica – provvedono poi più inequivocabili aggiustamenti nelle sentenze scritturali: come quando, ad esempio, viene introdotto il lignum vitae 65 o la fonte dissetante 66 di ogni sete (oggetti scritturali e alchemici insieme 67), e però anche i loro effetti sul ringiovanimento e sul prolungamento della vita 68, obiettivo primario dell’alchimia medicale specie dal sec. XIV. O quando si insiste più volte e variamente sul rapporto tra corpo, spirito e anima 69 (triade essenziale nella Trinità non meno che nell’uomo, ma anche nei metalli come nel lapis 70). È così che già la silloge manipolata assume un tono decisamente alchemico. Infine va segnalata l’inserzione di un invito – dare a tutti, ai parvuli, o ai poveri prediletti da Dio 71 i frutti di questo sapere – non nuovo in opere alchemiche, specie nel sec. XIV: è propriamente sviluppato dallo pseudo-Arnaldo e da Giovanni di Rupescissa, ma è anche un topos: ci pare dunque un indizio nell’ACI da sottolineare, ma troppo vago per poter ricavarne l’adesione dell’autore alla linea degli Spirituali, alchimisti o no che siano. 3.4. In questa silloge già alchemizzata si innesta la serie (b), cioè l’insieme di sentenze propriamente alchimistiche (di minor peso ma

64. Cfr. al riguardo le considerazioni di M. Pereira, L’oro dei filosofi, Saggio sulle idee di un alchimista del Trecento, Spoleto 1992, 144-48; Ch. Crisciani, Il papa e l’alchimia, Roma 2002, 20-21. 65. Ed. von Franz, 56. 66. Ibid., 118. 67. Ch. Crisciani, «Aspetti del dibattito sull’umido radicale nella cultura del tardo medioevo (secoli XIII-XIV)», Arxiu de Textos Catalans Antics, 23/24 (20042005), spec. 336-45; Ead., «Il lignum vitae e i suoi frutti», Micrologus (di prossima pubblicazione). 68. Ed. von Franz, 102. 69. Ibid., 82 e passim. 70. Ibid., 80ss. Pietro Bono aveva già approfonditamente sviluppato questi parallelismi, tanto da dichiarare che la trinità di corpo, spirito e anima nel Lapis e nell’uomo gli sembra molto più perspicua per tentare di afferrare il mistero trinitario di Dio di quanto non siano le analogie proposte da Agostino; e che dunque anche per questo i veri alchimisti antichi non hanno potuto che essere convinti, tramite la pratice dell’arte, della verità della fede cristiana. 71. Ibid., 42, 104, 148.

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non insignificante, perché rappresentano il 40% del testo): per lo più queste non sono modificate e, a differenza che le citazioni scritturali, sono corredate da indicazioni precise delle fonti. Ciò che risulta da questi accorpamenti, tagli, intarsi, inserti, aggiustamenti, amplificazioni va ovviamente oltre la loro somma, ed è un nuovo testo, cioè ACI. L’andamento e il senso, non sistematici ma chiari, che la silloge – a questo punto biblico-alchemica – assume sono dunque, alla fine, articolati in tre blocchi tematici, tra loro connessi dalla presenza e dalle vicende della Sapienza. In una prima sezione protagonista è Sapienza, colta non solo in tutte le sue sfaccettature scritturali, ma anche nelle sue valenze epistemologiche; Sapienza è in realtà – si è detto – l’alchimia: identificazione resa possibile ed esplicitata precisamente dalle varianti che abbiamo segnalato. Le lodi dell’alchimia sono fervide e amplificate in quanto celebrate con le parole della Scrittura, ma non perdono l’aggancio con gli stereotipi retorici alchemici: ad esempio, il cap. III («De ignorantibus et negantibus hanc scientiam») 72 nel titolo e nella struttura riprende un topos presente nel De Anima dello pseudo-Avicenna, codificato da Geber Latino 73, e riproposto da altri (ps. Alberto, Pietro Bono 74). Nella sezione centrale di ACI (corrispondente ai capitoli IX-XI) 75 è più chiaramente evidente la dominanza alchemica, concentrata sulle doti del seguace di Sapienza/alchimia e sul rapporto tra creazione e opus, e le loro rispettive fasi. La migliore evidenza è garantita qui – oltre che dall’abbondanza delle sentenze alchemiche – dalla struttura ad elenchi (elenchi di doti/virtù e di fasi di processo) introdotti dall’autore sulla base di «oggetti» scritturali adatti (lo Spirito e i suoi doni; la casa della Sapienza e le sue pietre angolari). Qui è più nitida anche l’operazione di assemblaggio delle due fonti: vengono infatti sistematicamente accostati, per ogni punto dell’elenco, le sentenze di

72. Ibid., 46. 73. Ps. Avicenna, Liber de Anima in arte alchimiae, ed. in Artis chemicae principes, Basileae per Petrum Pernam 1572; e l’edizione della Summa di ‘Geber’ in W. New-

man, The Summa perfectionis of Pseudo-Geber. A Critical Edition, Translation, and Study, Leiden 1991. 74. Ps. Alberto Magno, Libellus de alchimia, in Alberti Magni Opera Omnia, ed. P. Jammy, Lugduni 1651, vol. XXI; Pietro Bono da Ferrara, Pretiosa Margarita Novella, in Manget, Bibliotheca. Sono autori che l’autore negli inserti alchemici non usa, ma che poteva ben conoscere; per quanto riguarda il possibile rapporto tra ACI e soprattutto ACII con la Pretiosa Margarita di Bono, cfr. i parallelismi riscontrati da von Franz nel suo apparato (per ACI) e qui, più oltre, per ACII. 75. Ed. von Franz, 80-130.

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propheta e philosophus 76, della Scrittura e di testi alchemici. Si delinea infine nella terza sezione, cioè nei due capitoli finali e in particolare nel cap. XII 77 una relazione d’amore unitiva, quasi identificativa, tra l’alchimia (o l’alchimista) e Dio, culminante nell’ultimo capitolo, scritto tramite il Cantico dei Cantici. Quest’ultimo slancio è però stato preparato dall’autore con la corrispondenza-rapporto fra i tre Adami 78 (il progenitore, Cristo, il lapis); e soprattutto tramite lo sviluppo dell’intreccio, in un nesso collaborativo e amicale, tra opus e mondo, trasformazione e creazione, ovvero tra l’opera di Dio e quella dell’uomo, che si integrano così come i loro artefici si aiutano 79, in un vincolo allora di amicizia, propiziato appunto da alchimia 80. Di particolare rilievo sono, si è detto, le parabole Quarta (capitolo IX, De fide philosophica 81), Quinta (capitolo X, De domo thesauraria 82) e Sesta (cap. XI, De coelo et mundo 83), il nucleo propriamente e più esplicitamente alchimistico dell’ACI, caratterizzato, come si è visto, dall’accostamento del propheta all’alchimista philosophus. È qui che si tratta di fuoco, di calore, di separazione tra puro e impuro, di elementi tra loro in temperantia, di fermentum auri e di coagulum, del parallelismo tra lapis-uomo-Cristo 84 (dove le vicende degli ultimi due spiegano il processo da cui emerge il primo 85). Sono tutti temi decisamente 76. 77. 78. 79. 80.

Cfr. l’immagine n° 2 del «ciclo standard», infra, § 6.1. Ed. von Franz, 132-48. Ibid., 126-30. Ibid., 128. Questo vincolo viene particolarmente sottolineato nel Commento alla Turba attribuito assai precocemente a Tommaso, dove, tra l’altro, ha un ruolo centrale l’uso proprio del Libro della Sapienza. Cfr. al riguardo Crisciani, Tommaso, 113-16. 81. Ed. von Franz, 80-98. 82. Ibid., 100-19. Molte sono le altre «case» allegoriche costruite su «pietre angolari» della Scrittura, nonché le città inespugnabili, splendide e gemmate: oltre alla Gerusalemme dell’Apocalisse, si può richiamare la città «ermetica» di Picatrix (ed. J. Pingree, London 1986, 189): cfr. M. Idle, «Magic Temples and Cities in the Middle Ages and the Renaissance», Jerusalem Studies in Arabic and Islam, III (19811982), 186-89. Sulle chiavi di questo castello (e sulle chiavi qui ricorrenti – del sapere, dell’anima etc.) Cfr. la figura di ms Modena, Biblioteca Estense, Fondo Campori Ap. 186: alpha.P.4.14 (su cui F. Baccelli, Ch. Crisciani, «Note su Campori», in Atti della Giornata internazionale di Studi ‘I manoscritti e la filosofia’, Siena 18 aprile 2007, in corso di stampa) . 83. Ed. von Franz, 120-31. 84. Ibid., 126-30. 85. Questo rapporto esegetico invertito (Cristo «spiega» il processo del lapis) si trova chiaramente sviluppato nel Tractatus parabolicus dello pseudo-Arnaldo da Villanova. Questo testo è andato incontro, negli studi di B. Obrist e A. Calvet, agli stessi fraintendimenti con cui è stata interpretata ACI; del resto, anche quel testo pseudo-arnaldiano, che certamente – con i suoi tre livelli di senso – può rientrare

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alchemici, sostenuti da opportune fonti: per i quali però non è davvero difficile trovare, nella Sacra Scrittura, appropriate parole corrispondenti, o meglio, amplificanti. 3.5. In base a questa analisi ci sembra proponibile, almeno come ipotesi, un processo di formazione dell’ACI così configurato. Uno studioso con forti interessi alchemici e buone conoscenze testuali, non forse particolarmente ansioso di metterli alla prova nel laboratorio, ma consapevole dell’istanza comunque sapienziale e soteriologica che a ogni livello il progetto alchemico implica in quanto tale, «si imbatte» in un floriegio biblico (o se lo costruisce), centrato su versetti sapienziali e salomonici: si sa che tali strumenti sono assai diffusi 86, e non è certo escluso che il nostro autore sia un chierico o un religioso: anch’essi abbondano tra i cultori di alchimia. La prima possibilità – rinvenimento innanzitutto di una silloge, priorità della scrittura biblica rispetto agli inserti alchemici – va sottolineata: ci pare forse più plausibile della «costruzione ad hoc», proprio in quanto la coerenza della serie biblica nell’ACI è particolarmente serrata e relativamente autonoma. Tra i moltissimi manoscritti che riportano sillogi, antologie, distinctiones, florilegi scritturali, non sarà facile individuare quello di cui l’autore potrebbe essersi servito, né abbiamo intrapreso in questa sede tale ricerca; tuttavia segnaliamo, solo come esempio, un caso di distinctio che ha appunto il fulcro nella «Sapientia», e mostra l’ampio ventaglio di rinvii e accostamenti che, da qui, si possono effettuare87. nella categoria di «alchimia visionaria» o profetica e che forse non è ignoto all’autore di ACI, avebbe ben potuto essere la base di un ciclo di immagini. 86. Fondamentali sono gli studi di R. H. Rouse, M. A. Rouse, Preachers, Florilegia and Sermons. Studies on the Manipulus florum of Thomas of Ireland, Toronto 1979 (specie la prima parte); J.-L. Bataillon, Intermédiaires entre les traités de morale pratique et les sermons: les distinctiones bibliques alphabétiques, e numerosi altri suoi saggi raccolti ora in Id., La prédication au XIIIe siècle en France et Italie, Aldershot 1993. 87. Parigi, BnF, ms lat. 3271, fol. 210rb-va: «Circa sapientiam nota qualiter sumitur et que faciat. Circa primum nota quod sapientia quandoque large sumitur pro sapida sapientia uel scientia, secundum illud Eccli.VI [23]: sapientia doctrine secundum nomen eius. Sapidam scientiam habet cui sapiunt res prout sunt, Bernardus: inuenisti plene sapientiam si prioris uite defleas peccata, si huius seculi desideria [fol. 210va] concupiscas. Inuenisti sapientiam si tibi horum singula sapiunt prout sunt. Item, stricte pro cogitatione eternorum, Augustinus in libro De Trinitate: hec est, dixit, sapientie et scientie recta distinctio, ut ad sapientiam pertineat eternarum rerum cognitio rationalis. Strictius sumitur pro cognitione suauitatis diuine per experientiam habita, Ysidorus in libro Differentiarum: sapientia non tantummodo capimus superiora, sed etiam incognitis delectamur. Circa secundum nota quod sapientia a carnalitate eruit, Prou. II [10]: si

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Il rinvenimento di una distinctio particolarmente ricca o di una silloge non escluderebbe peraltro che l’ipotetico chierico-alchimista avesse già in mente una sua immagine «sapienziale» dell’alchimia (i testi alchemici che usa lo dimostrano), che lo avrebbe portato a scegliere quello e non un altro possibile prontuario biblico; inducendolo anche ad arricchirlo e integrarlo, dopo averlo giudicato evidentemente un testo congruo, particolarmente adatto, provvisto delle parole più idonee a veicolare e a meglio accompagnare ed esprimere le sue prospettive alchemiche, che egli ci indica quando inserisce accuratamente – e a maggior chiarezza – i segmenti alchemici, di cui per lo più segnala con precisione le fonti. Perna dunque ha ragione: l’autore usa la Scrittura per «lodare» l’alchimia. Ed è fuorviante, invece, la linea di chi sostiene la tesi dell’«occultamento allegorico-religioso» (per l’ACI e per altri testi alchemici tardo medievali). Occultamento di cosa, infatti? Ci sembra, al contrario, che, almeno qui, nessuno intenda occultare nulla, tutt’altro: le parole della Scrittura sono tra le più note, forse, a disposizione; e l’intento di usarle per dire cose alchemiche (proposito non nuovo, del resto 88) non è celato, non è un espediente ermetico (si vedano, per questo, le varianti portate ai testi biblici): è anzi un intento esplicito, dichiarato e forte, proprio fino ad arrivare alla trasformazione della sentenza scritturale (fatto, questo, di cui certo un lettore medievale si accorge). Che poi, da questo non banale montaggio, si ottengano effetti anche retorici (e anche questi non celati, e talvolta sfuggiti forse di mano 89), atti a magnificare l’alchimia (l’honor di cui parla intrauerit sapientia cor tuum, et post [16]: ut eruaris a muliere aliena. Item, a uanitate arguit, Prou. I [20]: sapientia foris predicat etc. Item, prouidentiam imprimit, Prou.VI [6]: vade ad formicam o piger etc. Item, correctionem tribuit, Prou. XXIX [15]: virga atque correptio tribuit sapientiam. Et propter hoc dicitur Prou. XVIII [4]: aqua profunda uerba ex ore uiri et torrens redundans fons sapientiae. Item, edificat, Prou. XIV [re uera XXIV, 3]: sapientia edificabitur domus. Item, beatificat, Prou. III [13]: beatus qui inuenit sapientiam et qui affluit prudentia. Item, omnia ordinat, Sap. VIII [1], et disponit omnia suauiter. Saturitas». Ringraziamo vivamente Iacopo Costa, cui si deve questa trascrizione, che egli ci ha procurato assai cortesemente e con molta sollecitudine. 88. Si veda, come chiaro esempio, il Prologo al Testamentum di Morieno attribuito a Roberto di Chester (Prafetatio Castrensis), in Manget, Bibliotheca Chemica Curiosa, I, 509. Pietro Bono, poi, argomenta a fondo e persuasivamente la teoria secondo cui gli antichi alchimisti – per i fatti miracolosi che sperimentarono nell’arte – furono anche profeti della vera fede, così come i profeti e Giovanni Evangelista conobbero l’alchimia (cfr. Ch. Crisciani, «The Conception of Alchemy as Expressed in the Pretiosa Margarita Novella of Petrus Bonus of Ferrara», Ambix, 20 (1973), 165-81. 89. Penso in particolare agli ultimi due capitoli di ACI, centrati sulle analogie fra Adamo, Cristo e la Pietra e fra l’Alchimia, la Sapienza e Dio.

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Perna), connotandola dell’aura sacrale che le parole bibliche di per sé implicano: è precisamente quello che, con tutta franchezza, si voleva ottenere, e anche questo fine non è nuovo (basta pensare al tipo di testi della tradizione alchemica che il Nostro conosce e usa, tra i più allegorici e linguisticamente polivoci). Va ammesso, certo, che ACI si spinge molto a fondo in questi riusi; e va naturalmente riconosciuto che non è un testo che serva primariamente o faccia da guida in laboratorio; quello che si contesta qui non è il carattere «religioso» con cui l’alchimia ci viene presentata nell’ACI (come altrove, tra Trecento e Quattrocento: il che può segnalare forse anche il consolidarsi di certi orientamenti nella letteratura alchemica quattrocentesca). Si obietta invece nei confronti dell’approccio storiografico di fondo che sta alla base dell’interpretazione secondo cui saremmo di fronte a un’operazione voluta di occultamento allegorico 90, un’interpretazione che ci sembra non rispettosa delle intenzioni esplicite di chi ha prodotto l’ACI e anche poco perspicua circa il suo stesso risultato. Con l’«allegoria biblica», o meglio, con le parole della Bibbia l’autore vuole invece dire il più chiaramente possibile, nelle forme più luminose in ogni senso, ciò che intende comunicare e non vuole celare.

4. Un po’ d’attenzione per ACII 4.1. L’ipotesi interpretativa avanzata pare consistente anche e soprattutto se si tiene in conto ACII, e comunque se – rispettando le indicazioni unanimi della tradizione manoscritta – si considera l’insieme dei due testi come, infine, unitario. Dopo le parole della Bibbia ACII intende, e lo dichiara, usare quelle della filosofia e dei saperi scientifici 91: non tanto per commentare o chiarire ACII, ma per affiancarsi a esso ed esporre in altro modo e con diverso linguaggio gli stessi temi. Comunque ACI è ben presente all’autore di ACII: oltre alle indicazioni-spia del prologo 92,

90. La questione, storiograficamente, e indipendentemente dal destino di ACI, non è irrilevante, visto che ha prodotto interpretazioni così orientate di vasti settori della letteratura alchemica. 91. Non per questo però in ACII i rinvii a testi religiosi sono banditi: vedi infatti, ad es., i riferimenti a Gregorio (ed. Waldkirch, 186) e al biblico monte Mambre (ibid., 195-96, 199). 92. Supra, nota 7.

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va notato, ad esempio, che il Libro dei Settanta è ricordato nei due libri dell’Aurora consurgens con la stessa inusuale titolazione, cioè come Liber 70 alternationum 93, e che numerosi altri passaggi o termini ricordano direttamente il primo libro: per lo più, non come oggetti di commento, ma nella forma del riuso. Nonostante la coerenza e l’effettiva cogenza dell’«indice» degli argomenti da trattare 94 – anzi, diremmo, proprio per le molte piste e possibili sviluppi che l’indice propone 95 –, ACII è un’opera non enciclopedica ma certo assai ricca di temi; è un testo apparentemente sistematico, ma in realtà composito, diseguale quanto agli approfondimenti, e anche retoricamente plurale per la molteplicità di «generi» o registri stilistici che l’autore mette in atto con perizia. Infatti sono individuabili abbozzi di argomentazioni di stile scolastico; si riconoscono spezzoni di commenti interni, di cui almeno due relativamente ampi (rispettivamente a parti della Tabula smaragdina e a una versione della Visio Arislei) 96; sono usati – e ne viene sottolineata l’efficacia sia didattica che di ricerca – numerosi exempla 97; qua e là cadono a proposito proverbi, almeno uno definito per tale 98; non mancano analisi lessicali; si discerne la struttura di un consilium medico 99; non si può parlare di dicta (come abbiamo visto), ma certo di lunghe sequenze di sentenze autorevoli; infine, l’abilità espositiva dell’autore si concreta in due ampi racconti-aneddoti, narrazioni funzionali alla trattazione ma anche letterariamente eleganti ed efficaci 100. Il risultato ci pare il frutto di una padronanza di parole e di testi non diversa – per incisività e accuratezza – da quella che ha consentito il montaggio di ACI. 93. Ed. von Franz, 78 nota 27; ed. Waldkirch, 192. 94. Supra, nota 39. 95. Non li potremo qui seguire tutti nel dettaglio delle loro fonti e implica-

zioni: questa disamina dovrà essere oggetto di un altro lavoro, attento in particolare a definire meglio, da un lato, le molte affinità tra temi trattati nell’ACII e nella Pretiosa margarita o in testi di Alberto; e a chiarire, dall’altro, la linea operativa (la sequenza di operazioni) che l’autore propone. 96. Ibid., 226, 240, 191. 97. Ibid., 138, 207: «… multa exempla suo operi posuerunt, ut doctrinae filij inde intellectum caperent, et naturam investigarent». 98. Ibid., 213. 99. Ibid., 198. 100. Cfr. qui più oltre. Si tratta del racconto che occupa il cap. IV e di quello collocato alla fine del libro: mentre il primo è presente in tutta la tradizione manoscritta, il secondo manca in tre manoscritti (P, M, M1) in cui il testo si chiude subito prima del racconto tratto dalla Chronica antiqua Imperatorum (ed. Waldkirch, 244), nonché in V, mutilo di gran parte del secondo trattato; e in H, dove il testo s’interrompe bruscamente poche righe prima.

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Ben salda, e ripetuta come motivo unificante quale nucleo del testo, sta la definizione di alchimia. Già riconosciuta nel prologo, in base a quanto è illustrato in ACI, come donum Dei e sacramentum, l’alchimia trova ora – come del resto era stato annunciato – configurazioni un po’ meglio circoscritte filosoficamente ed epistemologicamente più definite, che però non lasciano cadere l’aggancio con l’immagine di alchimia presentato in ACI. Così essa è – come in molti hanno già affermato – scientia e ars. Consolatrix thesauraria scientia, gloriosa thesauraria consolatrix et adiutrix scientia, l’alchimia si rivela altresì, oltre che ricca di promesse, di tesori e di compassionevoli sollievi, anche nobilis thesaurizaria mater, e mulier nobilis pauperum consolatrix 101. Per quanto poi riguarda la collocazione dell’alchimia nel vasto campo del sapere, delle varie scientiae che l’autore evoca nei prima capitoli, è vero che la sua attenzione è volta soprattutto all’uso che questa nobile scienza fa dei vocaboli propri di altre discipline (scienza dei numeri, astronomia: capitoli I e II). Nel caso però della scienza che segue – la scientia naturalis, quella che è propria di medici e naturales (che sono dall’autore quasi identificati) – è forse possibile, oltre a questo interesse, intravedere anche l’ombra di un rapporto epistemologico anch’esso ormai tradizionale, per cui l’alchimia, pur così eccezionale, trova utilità nel rifarsi alle considerazioni generali della scienza naturalis: quest’ultima infatti – che si occupa di vari processi naturali (formazione dell’embrione, sviluppo dell’uovo, per esempio) quasi la circonda tutt’intorno («circumcinxit suis processibus») 102, in modo tale che questi e simili processi possano servire non solo a designare ma a prepare il lapis. Scienza tra scienze, l’alchimia, in quanto ars, ha anche un preciso ma privilegiato rapporto con la natura, suo oggetto di indagine e anche di manipolazione e trasformazione 103. Mentre le altre arti infatti imitano la natura solo similitudinarie, l’alchimia interagisce con essa mera veri101. Per queste definizioni e appellativi cfr. ed. Waldkirch, 239, 194, 241, 196, 202: sono evidenti i nessi con la Sapientia- alchimia di ACI (in part. per le quali-

fiche di nobiltà, maternità – si ricordi la mater omnium scientiarum – e attenzione ai poveri). 102. Ibid., 194-95. 103. Ibid., 235. Il tema dei rapporti tra arte e natura è centrale nell’alchimia medievale, ed è sviluppato con particolare incisività e in varie direzioni da Ruggero Bacone, ps. Geber, Bono, ps. Lullo; cf. B. Obrist, «Art et nature dans l’alchimie médiévale», Revue d’histoire des sciences, 49 (1995), 1-42; M. Pereira, «L’elixir alchemico fra artificium e natura», in Artificialia. La dimensione artificiale della natura umana, ed. M. Negrotti, Bologna 1995, 255-67; W. Newman, Promethean Ambitions. Alchemy and the Quest to Perfect Nature, Chicago-London 2004.

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tate, realizza cioè risultati naturali (in quanto induce la natura stessa a compierli): per questo l’arte alchemica non è più debole della natura (secondo la vulgata scolastico-aristotelica), ma realizza con lei scambi e rapporti che vanno dal ministrare al perficere, in una stretta e continua collaborazione. La specificità propriamente tecnico-artificiale dell’alchimia è anzi sottolineata 104. In verità, sembra dire l’autore mentre analizza l’uso di dizioni naturalistiche e di processi naturali in alchimia, questi vengono introdotti (nel linguaggio) proprio affinché appaia evidente la naturalità, gli esiti naturali di un intervento che di fatto è dell’uomo. 4.2. Le «allegorie filosofiche» di cui ha parlato il Perna presentando ACII occupano ovviamente larga parte del testo, dal cap. VI al XIII: attraverso l’analisi di varie classi di comparazioni (sia quelle che i testi della tradizione hanno usato, anche se spesso di esse resta traccia solo nei vocaboli del lessico così singolare dell’alchimia; sia nuove, che l’autore propone, e comunque classifica con ordine) si mette in luce la varietà di ambiti – biologia, medicina, il corpo dell’uomo e le sue viscere, i processi di natura, il regno delle erbe e dei vegetali, l’ambito dei minerali e metalli – con cui l’alchimia ha stretti contatti, da cui trae il suo gergo e le sue concettualizzazioni (le parole trascinano con sé i pensieri e le cose). L’autore qui non solo analizza e chiarisce il linguaggio – o meglio, il gergo specialistico – dell’alchimia, ma viene esponendo le proprie vedute alchemiche, dottrine sui metalli, le operazioni, a volte anche succinte ricette. Senza ora entrare nei dettagli della sua posizione, egli effettua un’analisi molto più ampia e articolata dell’alchimia metallurgica, benché – come a quest’epoca è d’obbligo – non ignori e ammetta (ma in modo meno approfondito e dettagliato) gli scopi e gli effetti più complessivi dell’alchimia anche medicale: sa che il lapis ha effetti anche rinvigorenti e soprattutto curativi 105. Particolare rilievo assume nella trattazione la nozione di spiritus e quella di umido radicale106. Si tratta, come è noto, di concetti complessi sia in ambito naturalistico che medico, di composita e articolata formazione, la cui funzione è, o sta per essere, incisiva in svolte anche consistenti del pensiero quattrocentesco 107. In ACII sono 104. Ibid., 195: «Et sic diversos naturae processus superadduxerunt, ut per hoc construerent scientiam eorum fore naturalem, et in omnibus naturam imitari». 105. Ibid., 219, 227, 240-43. 106. Ibid., spec. cap. XX. 107. Crisciani, «Aspetti».

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introdotti con molta disinvoltura, quasi fossero non solo ben noti ma ovvi 108: l’autore li maneggia con informata familiarità, ma senza problemi o approfondimenti, o forse senza coglierne tutte le implicazioni. Se l’uso di queste nozioni, vulgate nel Quattrocento, non basta a farci riconoscere in lui un medico (tra l’altro, nessun autore medico viene usato e i nomi dei medici più famosi compiano solo in una lista 109), è invece indubbio l’interesse dell’autore – anch’esso condiviso con molti contemporanei – per i rapporti vari tra alchimia e medicina. È infatti dall’oggetto della medicina, il corpo umano, i suoi processi e le sue funzioni, che derivano le più significative e dettagliate «allegorie» esaminate, con puntuale interesse per il processo embriologico; usati nella loro accezione medica sono spiritus e umido radicale; attenzione particolare è dedicata alle nozioni-termini di tiriaca e veleno 110. Ma soprattutto a illustrare il rapporto tra alchimia e medicina è destinato il primo racconto, introdotto come esempio di stylus parabolicus 111.Vi si narra di come mater Alchimia giaccia malata, il suo corpo dorato appare di colori diversi in diverse parti, e risulta idropico, paralitico: non le permette di sollevarsi. Adagiata e sofferente nel suo giaciglio, invoca, promettendo molte ricchezze in ricompensa, l’aiuto del medico magister Macer, esperto di erbe (pater herbarum omnium), che subito, solerte, si adopera. Tra i due si intreccia un deferente rapporto ed un curiale dialogo. Macer visita l’inferma, emette diagnosi, individua la cura e segnala le erbe appropriate: non senza però che la stessa inferma collabori alla scelta accurata della pianta più adatta. Che si rivela sì eccezionale (infatti «magnae virtutis est, quoniam indifferenter membra tua paralitica et hydropica penetrando curabit» 112), ma risulta di assai difficile reperimento. Finalmente, superate le difficoltà, non solo viene presentata l’erba efficacissima 108. Come quando, ad esempio, incurante del vivace dibattito di un secolo prima circa la restaurabilità dell’humidum radicale (e dunque del possibile prolungamento della vita), con tutta semplicità afferma che la medicina alchemica humidum radicalem augmentat (ed. Waldkirch, 243). 109. Ibid. 110. Anche a questi due concetti e termini, usati in senso traslato in alchimia, già Pietro Bono aveva dedicato un ben più analitico capitolo del suo trattato. 111. Cf. il cap. IV, ed. Waldkirch, 195-99. 112. Ibid., 198. Qui è evidente l’eco del rimedio universale, indifferente a questioni di complexio, sia del rimedio che nella malattia, così ricercato negli scritti medici sulla peste e realizzato nella quinta essenza di Giovanni da Rupescissa. Cfr. Ch. Crisciani, M. Pereira, «Black Death and Golden Remedies», in The Regulation of Evil. Social and Cultural Attitudes to Epidemics in the Late Middle Ages, ed. A. Paravicini Bagliani, F. Santi, Firenze 1998, 7-39; e Ch. Crisciani, «Il farmaco d’oro: alcuni testi tra i secoli XIV e XV», in Alchimia e medicina, 217-45.

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ma, su invito dell’ammalata, anche un’altra erba di uso continuo (permanens consolatrix, adatta meglio al corpo dell’inferma e non solo alle crisi acute), che possa sempre servire come sostegno senza dover ricorrere ogni volta al medico Macer, magister largae experientiae. L’interpretazione – specialmente dei dettagli così accurati – del lungo racconto-dialogo non è semplice. Se può allettare una complessiva rappresentazione che veda qui l’alchimia come una ricerca debole, bisognosa dunque del sostegno della medicina, scienza più istituzionalmente solida ed epistemologicamente agguerrita, questa non regge pienamente, vista la caratterizzazione nobilissima che l’inferma riceve, le ricchezze di cui dispone ed elargisce, e soprattutto se si tengono in conto gli scambi che intercorrono tra costei e il medico 113. Più appropriata – e più aderente del resto alla realtà dei rapporti tra le due ricerche nel Quattrocento – è invece l’immagine di una collaborazione oramai indispensabile, amichevole, paritaria e rispettosa delle reciproche prerogative. Non stupisce allora che, quando l’autore deve elencare i principali, mirabili effetti che l’alchimia è in grado di conseguire, il primo, il più articolato e ricco sia quello per cui può corpus humanum a multis infirmitatibus sanare 114. Questa scienza dispone infatti di una medicina philosophica che cura facillime omnia: segue un elenco, caotico ma ingente, di malanni: dai calcoli ai problemi del parto, dal mal di cuore alle cicatrici, dalla calvizie ai vermi, dall’alito cattivo alla lebbra, dalla paralisi alle rughe e macchie, dall’epilessia alla febbre, dalla scarsa memoria all’impotenza, e molto altro: a ogni male o disagio, insomma, pone rimedio questa che è senz’altro super omnes medicinas che i vari illustri medici antichi – da Ippocrate ad Avicenna – hanno potuto inventare. Avverte però l’autore che tale mirabile farmaco è efficace solo se viene usato come additivo, cioè se viene mescolato, e così rafforza, le medicinae apotheticae ad morbum deputate 115. Se già questo è un risultato esaltante, l’alchimia non si ferma qui: può (più tradizionalmente) corpora imperfecta metallica restaurare trasmutandoli; può inoltre trasformare lapides in gemmas preciosas, che risul-

113. Crisciani, «Introduzione», in Alchimia e medicina, XI-XVI. 114. Ed. Waldkirch, 241-43. 115. Non è difficile qui riconoscere il tipo d’uso della quinta essenza (di cui

infatti, anche se in modo a noi non chiaramente decifrabile, parlano sia ACI che ACII) previsto da Giovanni di Rupescissa e da altri, anche medici, che lo seguono sotto il profilo farmacologico. Cfr. Cristiani, Pereira, «Black Death».

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tano, per colore e sostanza, anche migliori delle pietre naturali 116, e parimenti può scioglierle; infine – obiettivo forse più modesto, ma di non poca utilità –, è in grado di produrre il vetro malleabile, e dunque meglio lavorabile e infrangibile 117. Con questo elenco – è chiaro – le possibilità operative dell’alchimia risultano spaziare dall’ambito terapeutico – quasi miracoloso 118 e comunque meraviglioso, e immenso, anzi, indefinito – all’altrettanto vasto campo dei segreti artigianali e dei mirabilia tecnici 119. E appunto qui l’autore conclude riportando un racconto (analogo per stile struttura a quello della illustre inferma e del celebre medico) che traccia la storia e i percorsi di queste «invenzioni» così utili e magnifiche 120. Riferiscono le «Cronache antiche dell’Imperatore» che un protonotario dell’imperatore, uomo dottissimo, dopo un’infausta battaglia fu dato come prigioniero a un Saraceno, a sua volta maximus philosophus in terra sua. Dopo molti anni di cattività, costui convoca il prigioniero, e per misericordia gli concede la libertà e il ritorno tra i cristiani, ma a una condizione: l’ex prigioniero dovrà dirigersi al Papa (terrestris vester Deus), portargli i saluti deferenti del saraceno, ed effettuare alla sua presenza varie operazioni sui metalli, sul vetro e su pietre preziose tramite una polvere (che appunto sapiente infedele gli consegna). Eseguiti i mirabili procedimenti (che riusciranno bene senz’altro), egli dirà che tutto ciò è frutto della maiestas domini mei dilecti; non solo: esporrà anche il magisterium, cioè il potere che questa polvere (resa potabile) ha, di guarire istantaneamente e del tutto i

116. Analogo risultato è previsto nella linea pseudolulliana; cfr. M. Pereira, «Un lapidario alchemico: il Liber de investigatione secreti occulti attribuito a Raimondo Lullo. Studio introduttivo ed edizione», Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale, 1 (1990), 549-603: 557-60. 117. Mentre Bono considera questo risultato impossibile e lo confuta in due colonne del suo testo, esso diventa di grande appetibilità fra Tre e Quattrocento e anche successivamente: del vetro parlano anche Guglielmo Sedacer, Cristoforo da Perugia e Giovanni Mercurio da Correggio, e nel Seicento Antonio Neri. Utili informazioni in When Glass Matters, ed. M. Beretta, Firenze 2004, spec. i saggi di M. Beretta e F. Tolaini. 118. Un effetto miracoloso per la pietra ematite è ricordato in ed.Waldkirch, 241. 119. Sboccano in questa direzione anche altri elenchi dei meravigliosi prodotti dell’alchimia, come quelli di Cristoforo da Perugia e di Guglielmo Fabri: cfr. Cristiani, Pereira, «L’alchimia tra Medioevo». Più in generale sul tema dei segreti W. Eamon, Science and the Secrets of Nature. Books of Secrets in Medieval and Early Modern Culture, Princeton 1994. 120. Sul volersi costruire una storia della disciplina, cfr. Cristiani, Pereira, «L’alchimia tra Medioevo», 908. Uno dei primi esempi di questa tendenza è l’anonima Conversatio philosophorum, su cui v. supra, nota 11.

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lebbrosi. Il protonotario esultante accetta, parte e, fedele e leale, realizza al meglio il suo mandato, non solo presso il pontefice ma anche presso l’imperatore: «et sic probata est medicina Philosophorum». È arduo arginare – e a prescindere da questioni di fonti – le molte sollecitazioni e suggestioni che questo racconto provoca. A chi si allude con l’imperatore e il suo dotto protonotario? A Federico stupor mundi e al suo sapiente segretario Michele Scoto, così interessato anche di alchimia? E chi potrebbe essere il saraceno, dotto filosofo, così misercorde, peraltro, e tanto benevolo nei confronti dei nemici cristiani da donare loro segreti meravigliosi? Quali intenti diplomatici, o disegni divini, stanno forse alle spalle di questa stravagante, improvvisa benevolenza, in un’epoca in cui i testi alchemici riportano preoccupazioni e offrono rimedi nei confronti della minaccia turca? E perché il cristiano liberato offre i doni del saraceno al papa e all’imperatore, come a entrambi si rivolge l’autore del Libro della santa Trinità? E come mai, infine, questo edificante esempio di generoso «incontro di civiltà» si chiude senza chiudersi, quasi a senso unico: che cosa fanno i cristiani con i meravigliosi ritrovati? Ringraziano, finalmente ammansiti e commossi? O armano nuovi eserciti? Ma quello che l’autore di ACII ci consegna è comunque già una ricostruzione «storica» di un percorso, la chiusura di un itinerario e il senso di una movimentata translatio. A suo tempo, abbandonando parenti e patria, venendo dalle terre dell’Impero, Morieno Romano aveva appreso in luoghi remoti la scienza dell’alchimia; poi, non senza scrupolose perplessità e cautele, aveva portato a Kalid, re pagano e colmo di desideri terreni, il suo affettuoso ma fermo magisterio, un’educazione della personalità, e gli aveva lasciato la comprensione dei testi e l’opera alchemica stessa con i suoi molti risultati, frutto della collaborazione e amicizia infine instauratasi tra maestro e discepolo. Ora sembra che il lascito ricevuto percorra la via inversa e ritorni gratuitamente, come dono di pace nell’Impero cristiano; e se l’autore del racconto certo vuole ricordare le radici arabe dell’alchimia latina, dice anche qualcosa di più: l’alchimia propone dei progetti e dei risultati che riguardano tutti gli uomini, e ne impegnano nella storia la responsabilità scientifica ma soprattutto etica. 4.3. Queste virtuose considerazioni, affidate al racconto, che chiudono ACII, non assomigliano alle fervide visioni e associazioni che vibrano in un luminoso crescendo in ACI. Nel fondo però non c’è contrasto, né per quanto riguarda l’impegno morale, né circa le dot29

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trine propriamente tecniche, abbastanza generiche, possedute. Soprattutto – e questo qui interessa – non c’è contrasto ma continuità nel modo con cui i due testi sono stati costruiti. E dunque ci pare di poter avanzare un’ipotesi conclusiva. L’Aurora consurgens, nel suo insieme, può essere l’opera di un solo autore, un «alchimista di biblioteca»: un chierico erudito, studioso e informato e certamente anche pio (come Perna aveva notato), che si muove con molta destrezza 121 non nelle dure fatiche e viglie del lavoro in laboratorio e neppure nelle ansiose vertigini del percorso mistico, ma tra le pagine di molti libri e negli spazi di una biblioteca. Non è l’unico, nel Quattrocento: la via erudita dell’alchimia, nello stesso periodo, è percorsa da altri, sempre più numerosi 122. A questa ambientazione sembra anche possibile ricondurre il contesto d’origine del ciclo di illustrazioni, che ha giocato un ruolo rilevante nel suscitare l’interesse per l’Aurora consurgens nel secolo scorso, facendone sicuramente uno dei testi d’alchimia più presenti all’immaginario del nostro tempo.

5. I manoscritti illustrati

Il ciclo di immagini che accompagna l’Aurora Consurgens in sette manoscritti, sui diciassette oggi noti, è uno fra i primi nella tradizione alchemica occidentale 123. Nella sua forma completa tale ciclo com121. Si è analizzata l’abilità e l’attenzione necessarie a costruire ACI. In ACII questa abilità, nell’elaborare e comprendere associazioni, viene in un certo senso tematizzata: nota infatti l’autore, dichiarando unica la verità che viene espressa con la molteplicità del linguaggio alchemico, che «omnia sunt unum et idem intelligenti, et condependentia, ac sibi concathenata, quemadmodum cathena: ita cum unum terminatur, aliud incipitur» (ed. Waldkirch, 224). Ci pare così descritto proprio quel fluire ordinatamente indirizzato di temi, immagini, parole, che caratterizza, con diversa intensità, sia ACI che ACII. 122. A cominciare da Bono, alchimista di biblioteca suo malgrado e con vivo rammarico (cfr. Ch. Crisciani, «Aristotele, Avicenna e ‘Meteore’ nella Pretiosa Margarita di Pietro Bono», in ‘Aristoteles chemicus’. I libri dei ‘Meteorologia’ nella tradizione antica e medievale, ed. C. Viano, Sankt Augustin 2002, 165-82); per arrivare a Guglielmo Fabri, a Cristoforo da Perugia, a Ludovico Lazzarelli; e le indagini dovranno continuare sul filo di questa ipotesi. Cfr. Ch. Crisciani, «From the Laboratory to the Library. Alchemy According to Guglielmo Fabri», in Natural Particulars. Nature and the Disciplines in Renaissance Europe, ed. A. Grafton, N. Siraisi, Cambridge (MA), 295-319. 123. Per l’elenco e le sigle dei manoscritti cfr. supra, nota 8. L’intero ciclo di immagini è stato analizzato da B. Obrist, Les débuts, 183-245; J. van Lennep, Art et alchimie, Bruxelles 1984, 54-70; M. Gabriele, Alchimia e Iconologia, Udine 1997, 49-

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prende quattro immagini a tutta pagina, che precedono l’inizio del trattato, e trentatre immagini distribuite lungo il testo, a intervalli irregolari ma sempre nello stesso ordine (quelle che chiameremo per brevità «ciclo standard»), come mostra il quadro sinottico nell’Appendice III. I due testimoni più antichi che contengono il testo illustrato, Rh e R, sono stati prodotti entrambi nei primi decenni del XV secolo 124; le miniature in essi contenute seguono strettamente lo stesso modello e hanno le medesime modalità esecutive, pur presentando in alcuni casi variazioni nei colori e nei dettagli; la caduta di un fascicolo ha determinato la perdita di diverse immagini in Rh, mentre R riporta il ciclo quasi integralmente (manca solo un’immagine, per la caduta di un foglio). Gli altri codici illustrati sono decisamente più tardi: L, datato 1526, è il più antico fra i manoscritti che conservano il ciclo integrale delle immagini 125; queste, pur presentando gli stessi motivi 96 (tutti gli studi sono corredati da riproduzioni da Rh e, in misura ridotta, da R e B). I manoscritti illustrati sono: Rh datato ca. 1420-1430 (cfr. L. C. Mohlberg,

Katalog der Handschriften der Zentrabibliothek Zürich. I. Mittelalterliche Handschriften: Handschriften der Abtei Rheinau, Zürich 1936, 246-48; Obrist, Les débuts, 278-82); R, XV sec. (v. descrizione in appendice); L, a. 1526 (cfr. P. C. Boeren, Codices Vossiani Chymici, Leiden 1975, 83-90); P1, ca. 1566-1569 (cfr. A. Podlaha, Catalogus codicum manu scriptorum, qui in archivo capituli metropolitani pragensis asservantur, Sumptibus s. f. metropolitani capituli Pragensis, Pragae 1923, II, 557-59, n° 1663; Obrist, Les débuts, 284); W, XVII sec. (cfr. F. Unterkircher, Inventar der illustrierten Handschriften und Frühdrucke der Oesterreichisce Nationalbibliothek. 1: Die abendländischen Handschriften, Wien 1957; Obrist, ibid.); B, XVI sec. (cfr. H. Degering, Kurzes Verzeichnis der germanischen Handschriften der preussischen Staatsbibliothek, Mitteilungen aus der preussischen Staatsbibliothek VII, Leipzig 1925; Zimelien: Abendländische Handschriften des Mittelalters aus den Sammlungen der Stiftung Preussischer Kulturbesitz, Catalogo della mostra, Staatliche Museen Berlin-Dahlem, Berlin 1975-1976, n° 120; Obrist, Les débuts, 283); G (cfr. A. McLean, www.alchemywebsite.com). I primi cinque riportano il testo latino, B ha il testo in traduzione tedesca; il manoscritto della collezione Ferguson contiene solo le immagini. 124. I manoscritti non illustrati sembrano per lo più posteriori, con la possibile eccezione di P, la cui datazione precisa è tuttavia ignota. C avrebbe dovuto essere illustrato, perché riserva gli spazi per le immagini (ff. 44v, 45v [2 spazi], 46r, 47r, 48v, 49r-v, 51r, 52v, 54r, 56r-v, 58v, 60r-v, 61r, 62r [2 spazi], 62v, 63v, 64r, 65v, 66r, 67r-v, 68v, 72r, 73v). 125. Cfr. il colophon al f. 71v: «Anno Domini MDXXII die sabati vicesima mensis septembris que fuit dies sabati post Mauricy complevit et scripsit hunc tractatum Valentinus Hernworst civis Erfurdensis et est circa horam secundam post meridiem in domo (zum der gulden leden?) vulgariter nuncupata apud sanctam Gothardem sita quod manu propria scriptum et probatum. Si quis hanc artem perficeret et mille millies annos semper viveret numquam sibi diebus vite suis deficeret. In anno eodem […] die prima novembris». Sia il colophon che la successiva aggiunta non sono segnalati nel catalogo di Boeren, le cui dettagliate indicazioni risultano purtroppo in alcuni casi poco precise. L’illustratore ha aggiunto al ciclo due piccole immagini, eseguite sui margini del foglio e non riquadrate: una si trova al f. 50v e raffigura un’ampolla verde da cui escono due fiori rossi, sui quali

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iconografici e compositivi dei due manoscritti quattrocenteschi, non sono miniature ma disegni a penna acquerellati e presentano rilevanti variazioni soprattutto nei colori. Al primo quarto del XVI secolo risale anche B1, che contiene una traduzione tedesca del trattato 126; il ciclo è lacunoso per la caduta di alcuni fogli nella prima parte del testo; le miniature richiamano da vicino quelle dei due manoscritti quattrocenteschi, seppure con diverso tratto esecutivo. Lo stesso vale per le figure di W, che è il più tardo fra i manoscritti illustrati che conosciamo (XVII secolo); le immagini sono eseguite molto rozzamente, ma il ciclo è completo 127. P1 (descriptus da L, di cui riproduce anche il colophon), come manoscritto «illustrato» è decisamente deludente: infatti il copista ha riservato gli spazi per le immagini, ma solo pochissime sono state effettivamente eseguite 128. Un caso a sé è infine rappresentato da G (XVI sec.), che riporta la serie completa delle immagini, ma senza il testo e in un ordine diverso da quello in cui compaiono negli altri manoscritti 129. posa le due zampe un uccello verde: l’immagine si ritrova nel manoscritto Zoroaster (Roma, Biblioteca dell’Accademia dei Lincei, ms Verginelli Rota 16, f. 11r), riprodotta in Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 86 e da lui commentata insieme all’immagine 12 dell’AC, come raffigurazione della coniunctio (61-62); un’altra al f. 64r, in corrispondenza dell’immagine 29, raffigura un piccolo fiore rosso e giallo che verosimilmente si riferisce alle tematiche dell’alchimia vegetale affrontate in quella parte del testo. 126. Una traduzione tedesca dell’Aurora consurgens è conservata anche nel ms Leiden, Bibliotheek der Universiteit,Voss. Chym F. 20 (L2); una traduzione cèca in Leiden,Voss. Chym. F3 (L1): quest’ultimo manoscritto, appartenuto all’imperatore Ferdinando III (1647) e poi alla regina Cristina di Svezia, è una vera e propria antologia dell’alchimia medievale redatta in ambito paracelsiano (riporta fra l’altro due trattati di Alexander von Suchten e un Secretum Theophrasti Paracelsi); tutti i testi sono tradotti in boemo. Riporta alcune immagini di apparecchi e due figure, non però in corrispondenza dell’Aurora consurgens. Cfr. Boeren, Codices Vossiani Chymici, 7-13; V. Karpenko, «Bohemiam nobility and alchemy in the second half of the sixteenth century: Wilhelm of Rosenberg and two alchemists», Cauda Pavonis, 15/2 (1996), 14-18. Ringraziamo la Dott.ssa M. Svobodova, del Dipartimento di manoscritti e stampe rare Biblioteca Nazionale della Repubblica Ceca, per le informazioni gentilmente forniteci su questo manoscritto. 127. Poiché nel testo e nei titoli W segue da vicino R, la lacuna segnalata in quest’ultimo manoscritto (v. appendice) parrebbe essere conseguenza di un accidente successivo alla redazione del manoscritto viennese, ma precedente rispetto alla più antica numerazione. 128. Sul f. 1r, in apertura del manoscritto (ma il testo dell’Aurora consurgens inizia al f. 27r ed è acefalo) riporta quella che nel ciclo standard è l’immagine n° 1; ai ff. 26r-v contiene due delle immagini a tutta pagina, quella dell’ermafrodito e quella della scimmia musicante; al f. 29v l’immagine n° 8 del ciclo standard. 129. Nell’impossibilità di ottenere una riproduzione del manoscritto, ci atteniamo alla descrizione delle immagini fornita da A. McLean (cfr. supra, nota 8). Si deve osservare che quanto McLean afferma in apertura della pagina («The order,

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6. Le immagini e il testo 6.1. Negli studi fin qui dedicati al ciclo iconografico dell’Aurora

consurgens non è stata prestata una sistematica attenzione al rapporto fra le immagini e il testo, trascurando un fattore rilevante sia in relazione alla struttura del trattato che alla comprensione delle immagini stesse. In primo luogo, nessuno degli interpreti dà conto della diversa relazione che col testo intrattengono le immagini a tutta pagina: queste sembrano costituire una sorta di «prologo iconico» di introduzione alla sapienza alchemica – sul cui contenuto iconologico e significato alchemico gettano luce i versi che li accompagnano (come mostreremo più dettagliatamente in seguito) –, e quelle del ciclo standard, che sono invece integrate nel corpo del trattato. Nello studio di Barbara Obrist le immagini sono raggruppate sulla base di una griglia interpretativa arbitraria, cui si aggiunge una distribuzione delle tavole che rende estremamente disagevole seguire ordinatamente il ciclo figurativo, per quanto tutte le miniature siano riprodotte – ma distribuite in diversi inserti iconografici – e una lista sintetica ne sia data in appendice 130. Nonostante l’abbondanza di riferimenti iconografici ed eruditi, non emerge una linea interpretativa di fatto diversa da quella junghiana che l’autrice intendeva criticare nel suo lavoro; si potrebbe anzi dire che non emerge alcuna linea interpretativa, dal momento che la conclusione (riferita non solo all’Aurora consurgens ma all’insieme dei cicli iconografici esaminati) è number of illustrations and precise details of each figure varies in the different manuscripts») non è del tutto vero, perché la variazione del numero delle illustrazioni dipende, come già abbiamo visto, da eventi accidentali, e l’ordine in cui le immagini accompagnano il testo è, come mostra la tavola sinottica, rigorosamente lo stesso in tutti i manoscritti (ad eccezione appunto di G). Le variazioni riguardano in primo luogo i colori delle immagini (come abbiamo potuto riscontrare dall’analisi autoptica di R e L, che sono stati confrontati con la riproduzione integrale a colori di Rh offerta nel lavoro di M. Gabriele, figure 57-82, riscontrate anche su microfilm b/n); si osservano inoltre variazioni in taluni dettagli, che verranno segnalati in relazione alle singole illustrazioni. Le immagini G1, G2, G28 e G29 corrispondono alle figure a piena pagina che precedono il testo negli altri manoscritti, su cui v. par. 4.3. La G25 (vaso con corona posto sul fuoco, contenente un uccello bianco, uno blu e uno rosso) non trova corrispondenza nei mss dell’Aurora consurgens ed è anche diversa rispetto al vaso raffigurato in L, f. 50v (cfr. supra, nota 4); McLean ne segnala l’affinità con una delle figure dello Splendor Solis. 130. Obrist, Les débuts, 276-78. Nell’apparato iconografico le immagini mancanti da Rh sono integrate con riproduzioni da R, che all’epoca in cui B. Obrist ha condotto le sue ricerche era depositato presso la Biblioteca Universitaria di Praga.

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che «il n’est pas possible de définir une iconographie propriement alchimique. Les emprunts et les élaborations iconographiques continuels correspondent au travail constant de réallégorisation qui fait précisément de l’alchimie une science occulte» 131. Un analogo atteggiamento si riscontra nell’analisi molto più stringata e generica di Jacques van Lennep, mentre la ricerca sistematica e approfondita delle fonti dei motivi iconografici operata da Mino Gabriele ha prodotto alcuni risultati significativi, che possiamo così sintetizzare 132: alle origini dell’illustrazione del testo alchemico si riconosce un «vocabolario di immagini eterogeneo», riconducibile a fonti iconografiche scritturali e scientifico-enciclopediche, nonché ad allegorie tradizionali; l’utilizzazione di motivi iconografici provenienti da ambiti diversi trasforma – per così dire «alchemizzandolo» – il significato delle immagini utilizzate, in un processo che può allargarsi indefinitamente e assimilare linguaggi diversi, all’unica condizione di mantenere un «legame significante» con le nozioni alchemiche in senso stretto. Tale legame è accuratamente indagato dall’autore per ciascuna delle immagini dell’Aurora consurgens e, in alcuni casi, collegato al testo: questo collegamento non è però sistematico e incontra un limite non trascurabile nel fatto che il ciclo analizzato e riprodotto è quello, largamente incompleto, del manoscritto più antico, Rh. Ci troviamo peraltro in parziale disaccordo con l’idea espressa da Gabriele, che gli alchimisti abbiano lavorato a partire da fonti e linguaggi eterogenei «per essere consoni e ben riconoscibili dai Latini, dovendo assolvere il compito di spiegare loro la ‘nuova’ arte della crisopea» 133. Infatti i primi cicli iconografici sono di quasi tre secoli successivi all’introduzione dell’alchimia nel mondo latino, quando effettivamente era stata recepita come novitas, e pertanto appare più verosimile considerare il ricorso a questo tipo di visualizzazione come una conseguenza della diffusione dell’alchimia al di fuori del contesto della pratica operativa: le immagini sembrano cioè in qualche modo rispondere all’effettiva difficoltà di comprensione dei testi alchemici, che tale diffusione comportava per quanti non avessero mai effettuato o veduto di persona i processi di laboratorio (gli «alchimisti di biblio131. Ibid., 256. Cfr. M. Pereira, «Alchimia medievale. Alcuni studi recenti», Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, 9 (1984), 89-98: 93-94; G. Bonerba, Alchimia e semiosi ermetica, tesi di dottorato, coord. U. Eco, Università di Bologna, a.a. 1991-1992, 305-6. 132. Gabriele, Alchimia e Iconologia, 94-96. 133. Ibid., 95.

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teca») – difficoltà che in altri testi della stessa epoca si manifesta con preoccupazioni riguardanti la terminologia 134. Quello che un ulteriore esame delle immagini condotto su tutti i manoscritti accessibili permette di puntualizzare, e che cercheremo di mostrare analiticamente nelle pagine seguenti, è che, almeno nel caso dell’Aurora consurgens, il «legame significante» non si dà genericamente «con nozioni alchemiche», ma con determinati contenuti del testo, che toccano diversi e specifici aspetti della teoria e della prassi alchemica. Spesso tale legame può essere identificato con precisione, in particolare quando l’immagine trova nel testo un univoco punto di ancoraggio 135: un’espressione verbale, anche breve, tale da presentare essa stessa un motivo raffigurabile o da rinviarvi in maniera diretta. 6.2. Esaminiamo dunque ogni immagine sotto questo aspetto. • Un maestro in cattedra fa lezione a quattro studenti. L’immagine si trova alla fine del primo capitolo della prima parte, in alcuni manoscritti dopo le parole «initium namque ipsius verissima est natura, cui non fit fraus», in altri dopo le parole «diligite lumen scientiae omnes et perquirite, qui literis nature estis insigniti»: quest’ultimo sembra essere il vero e proprio testo di riferimento 136. • Mosè tiene sul braccio sinistro una civetta e in mano un cartiglio con la scritta «ecce fatui nolunt beari», retto all’altra estremità da un bambino nudo; fra loro, in alto, il sole; sul lato destro della vignetta due giovani bendati parlano fra loro, mentre sopraggiungono due, senza benda sugli occhi, anch’essi conversando. La civetta, simbolo della visione notturna (in questo senso è utilizzata spesso come esempio nei testi scolastici), sembra alludere alla capacità dell’alchimistaprofeta di vedere quello che gli altri non vedono 137. Questa immagine 134. Crisciani, «From the laboratory». Particolarmente significativo, oltre al trattato del Fabri che risale al secondo decennio del ’400, è il coevo Opus di Pietro da Silento: su Fabri v. anche Ch. Crisciani, Il papa e l’alchimia. Felice V, Guglielmo Fabri e l’elixir, Roma 2002 (con ed. e trad. del testo); sul trattato di Pietro da Silento, o Zalento, pubblicato nella raccolta seicentesca dello Zetzner, Theatrum Chemicum, Strasburgo 1659, IV, 985-97 (tr. parz. in Alchimia, 751-63), v. L.Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, New York-London 1923-43, III, 639-42. 135. Per la nozione di «ancoraggio» v. R. Barthes, «Rhetorique de l’image», Communication, 4 (1964); cfr. Bonerba, Alchimia e semiosi ermetica, 302. 136. Obrist, Les débuts, Ill. 40 e p. 241, la considera un richiamo generico al sapere alchemico, raggruppandola con le tre seguenti, «quatre premières images plus petites qui décrivent le savoir alchimique». 137. Gli alchimisti, bendati e abbigliati come pazzi, compaiono anche nel ms Campori della Biblioteca di Reggio Emilia, su cui v. Bacchelli, Crisciani, «Note

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è collocata alla fine del terzo capitolo; il testo di riferimento potrebbe essere, più che la frase di chiusura del capitolo, quanto è scritto poco sopra: «non sunt sapientes locuti insipientibus». • Un alchimista indica il sole, mentre da un vaso posto sul fuoco emana del vapore; va sottolineato che l’alchimista richiama, nelle fattezze e nell’abbigliamento, il Mosè dell’immagine precedente, più che il magister della prima vignetta; il cartiglio che l’alchimista tiene in mano recita: Hora sive aurora (in W: Letare ecce aurora). L’immagine, chiaramente bilaterale come la maggior parte delle immagini del ciclo standard 138, è posta in riferimento al cap. IV, al cui titolo allude 139; il particolare del vaso che fumiga sul fuoco chiarisce a prima vista, anche senza bisogno di leggere il testo, che quello che abbiamo davanti è un trattato alchemico. Secondo Obrist, il vaso è il motivo centrale di tutte le immagini dell’Aurora consurgens 140: se presa letteralmente, questa affermazione non è vera e può derivare da un errore prospettico, poiché il motivo del vaso è uno di quelli che verranno ripresi nella tradizione successiva (in particolare nel Donum Dei di George Aurach e nello Splendor Solis di Salomon Trismosin); la centralità del vaso è tuttavia riscontrabile in questa figura come nelle due successive e nella figura 10 che, in quanto raffigurazione di una delle fonti testuali e iconografiche più importanti del trattato, la Tabula chemica, ha una particolare pregnanza di significato, anche se – come vedremo – è collegata al testo secondo le stesse modalità di tutte le altre immagini del ciclo standard 141. su Campori». Obrist, Les débuts, Ill. 41 e p. 185, interpreta la civetta come simbolo della cecitudine degli ebrei e di conseguenza ritiene che le altre figure siano «quatre Juifs», vestiti come i pazzi, motivo che richiama lo stolto dei Salmi; ma non vi sono nel testo riferimenti agli ebrei. Sul rapporto fra alchimia e profezia cfr. Ch. Crisciani, «Opus and sermo. The relationship between alchemy and prophecy (XIIth-XIVth centuries)», Early Science and Medicine, (2008) (in corso di stampa). 138. Sulla bilateralità e altri aspetti compositivi delle immagini si possono richiamare le osservazioni, relative a fonti iconografiche medievali anche se non alchemiche, di M. Schapiro, «Alcuni problemi di semiotica delle arti figurative», in Per una semiotica del linguaggio visivo, ed. G. Perini, Roma 2002, 92-120. 139. Obrist, Les débuts, Ill. 42 e p. 241, avendo associato in precedenza gli stolti agli ebrei, qui interpreta il sole nascente secondo la tradizione pittorica che contrappone la notte dell’Antico Testamento all’aurora del Nuovo, rilevando però che «dans le texte, il n’est cependant pas question de l’Ancienne Alliance, mais du nombre infini de sots s’occupant d’alchimie». 140. B. Obrist, «Visualization in Medieval Alchemy», Hyle. International Journal for Philosophy of Chemistry, 9 (2003), 131-70 (consultabile anche on-line, www.hyle. org/journal). 141. Contra Obrist, Les débuts, 189-208; «Par rapport au texte de l’Aurora consurgens cette illustration est par ailleurs autonome», 190; per il vaso, paragonato dal-

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• Il re Salomone è seduto sul trono, un bambino gli tende un vaso; dietro il bambino sono raffigurate due donne, una delle quali è la regina di Saba, come risulta dal cartiglio con la scritta «O rex Salomon, veni videre sapientiam». L’immagine è collocata alla fine del cap. V, dopo le parole subtiliter ingeniose et constanter, o all’inizio del cap.VI: la prima collocazione corrisponde al testo del quinto capitolo dove si trova il riferimento alla «sapientia, regina scilicet austri, quae ab Oriente dicitur venisse, ut aurora consurgens, audire intelligere nec non videre (volens) sapientiam Salomonis» 142. La Sapienza di Salomone si era affacciata come motivo rilevante nel poema alchemico di Gratheus, composto nel XIV secolo, dove si trovano anche due immagini che raffigurano Salomone: nella prima di esse, in cui il re biblico è raffigurato seduto sul trono, ha particolare rilevanza un vaso (vat) denominato Philla che «proveniva dalla scuola dell’alchimia» (vte alkimie scole) e che Salomone tiene nelle mani quando, secondo il poeta, si accinge all’opera; la seconda immagine segnala l’inizio della seconda parte del poema, intitolata alla Sapienza di Salomone, ed è intitolata Prudentia Salomonis 143. l’autrice a un «idolo pagano», cfr. 200. Il vaso, che in questo caso è un elemento aggiuntivo rispetto alle raffigurazioni del testo di Ibn Umayl (cfr. anche Bonerba, Alchimia e semiosi ermetica, 307-14 e in part. 308), è presente complessivamente in dodici immagini del ciclo standard (3, 4, 5, 8, 9, 10, 11, 18, 19, 24, 30, 32). 142. Obrist, Les débuts, Ill. 43 e p. 240, pur cogliendo il motivo di Salomone, offre un’interpretazione ermetica di questa immagine: il bambino è identificato con Ermete, filius philosophorum; il vaso è pieno dell’oro dei filosofi. 143. H. Birkhan, Die alchemistische Lehrdichtung des Gratheus filius philosophi in Cod. Vind. 2372, 2 voll., Wien 1992, II, 258-60 (daer Salomon de wise man/scone werken met began/in dene hant haddi dat vat); 248 (Hier beghint de wijsheit / daer men dicken of heet gheseit / daer Salomon wrachte mede; sulla denominazione Prudentia per wijsheit cfr. le osservazioni dell’editore). Il poema del misterioso Gratheus, conservato in un unico manoscritto edito e studiato da H. Birkhan, dovrebbe essere maggiormente integrato negli studi sulla storia dell’alchimia, dove – forse per la difficoltà linguistica – è stato finora scarsamente recepito; l’edizione ha messo fra l’altro in evidenza la precoce presenza in quest’opera di alcuni motivi iconografici importanti, che si ritrovano nei cicli posteriori: fra questi i vasi alchemici (II, 10, 26, 34, 38, 98, 102, 124, 242, 276); la resurrezione di Cristo (II, 54; questa immagine torna nel ciclo del Libro della Santa Trinità e nel Rosarium philosophorum edito da Cyriacus Jakob nel 1550); le due immagini di Salomone già ricordate; alcune coppie di princìpi, talora contrapposte frontalmente (sole e luna, II, 64; fides e fallacia, II, 266; due leoni in lotta, II, 270). Secondo Birkhan (I, 342), non vi sono rilevanti coincidenze fra il poema di Gratheus e l’Aurora consurgens, ma la presenza centrale della Sapienza di Salomone in entrambi i testi non va sottovalutata. Obrist, «Visualization», 150, rileva la particolare attenzione al tema della Sapienza nelle opere mediche autentiche di Arnaldo da Villanova, cui venne attribuito un consistente corpus di scritti alchemici fin dalla prima metà del XIV secolo. Con una citazione dal Siracide si apriva anche il prologo del De consideratione quintae

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• Un vaso circondato da cerchi con il sole, la luna, e figure allegoriche antropomorfe degli altri cinque pianeti/metalli. L’immagine è collocata fra il titolo e l’inizio del cap.VII o all’interno del cap.VI: il legame col sesto capitolo sembra comunque indubitabile, dal momento che questo tratta «de terra nigra in quam septem planetae radicaverunt» 144. • A sinistra un uomo nudo, seduto nel sepolcro, tende le mani verso un altro uomo che con la destra tiene per i piedi un bambino nudo, volto in basso verso le mani dell’uomo nel sepolcro, aperte a riceverlo. Sul lato destro della vignetta c’è un uomo con la corazza ma senza elmo, inginocchiato, con la spada al fianco, dalla cui bocca sta uscendo un bambino nudo (raffigurazione tradizionale della morte, in cui l’anima esce dal corpo con l’ultimo respiro). L’immagine è posta alternativamente all’inizio, all’interno o alla fine del VII capitolo, ma sempre chiaramente in rapporto con esso, dove si trova la frase «aufer ei animam et redde ei animam» 145. Ciò indirettamente conferma che l’immagine precedente, anche quando è inserita dopo il titolo del settimo capitolo, va riferita al sesto. • Anche qui è raffigurata una scena in due parti: sulla sinistra un uomo in piedi intinge la mano sinistra nel sangue contenuto in una bacinella che l’altro tiene in mano, e con la destra tocca la fronte dell’uomo seduto, che regge con la destra un pastorale e con la sinistra la bacinella col sangue; a destra un uomo viene condotto verso il fuoco da un altro che ha una spada in mano. L’immagine sta subito prima o essentiae di Giovanni da Rupescissa (1351 ca.), che costituisce il punto d’approdo dell’alchimia distillatoria: «Dixit Salomon Sapientiae cap. 7, Deus dedit mihi horum scientiam veram, quae sunt, ut sciam dispositionem orbis terrarum, et virtutes elementorum … et quaecuqmeu sunt absconsa et improvisa didici omnium enim artifex docuit me sapientiam hanc solummodo» (Johannes de Rupescissa, de consideratione quintae essentiae rerum omnium, Basilea 1597; ed. anastatica a c. di D. Khan, Paris 2003, 8-9). 144. Obrist, Les débuts, Ill. 44 e p. 210 nota 105, rileva la corrispondenza fra i pianeti e i colori, seguita da Gabriele, fig. 93 e 52, 84 (l’immagine, ripresa da B1, è riportata sulla copertina del libro di Gabriele); né l’una né l’altro segnalano che, mentre il sole e la luna sono raffigurati in maniera diretta ed esplicita, gli altri pianeti/metalli sono rappresentati da immagini allegoriche antropomorfe, per le quali sarebbe forse auspicabile un confronto con la tradizione figurativa dei decani planetari. 145. Obrist, Les débuts, Ill. 45 e 229. L’immagine non è riportata né commentata da Gabriele. L’idea, avanzata da alcuni interpreti, che questa immagine raffiguri una resurrezione miracolosa, indica come una suggestione visuale distaccata dal testo possa essere interpretata molto liberamente: cfr. M. Dvorˇák, B. Mate˘jka, Der Politische Bezirk Raudnitz.Teil II. Raudnitzer Schloss (Topographie der Historische und Kunst Denkmale), Prag 1910 (traduzione tedesca ampliata di Politicky okres Roudnicky´. Díl II. Zámek Roudnicky´, Praha 1907), 2° parte 312-14.

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subito dopo il titolo dell’VIII capitolo, in cui tuttavia non si trova alcun riferimento testuale che aiuti a spiegarla. I due gesti raffigurati potrebbero riferirsi al battesimo di sangue e di fuoco, esplicitamente nominati però solo nel capitolo successivo (baptizando flumine sanguine et flammis) 146. • Schema che raffigura insieme la Trinità e l’Incarnazione: tre cerchi, disposti a triangolo, rappresentano il Padre (sul vertice al centro in alto, con la scritta: «Pater non est Spiritus Sanctus, Pater non est filius»), il Figlio (a destra in basso, con la scritta: «Filius non est Spiritus Sanctus, Filius non est Pater»), lo Spirito Santo (a sinistra in basso, con la scritta «Spiritus Sanctus non est Pater, Spiritus Sanctus non est Filius»). In mezzo al virtuale triangolo un cerchio che raffigura l’Annunciazione sormontata da una corona, con la scritta «unum esse tamen sunt» 147. A destra dello schema alcuni manoscritti raffigurano un fuoco libero o un vaso sul fuoco. L’immagine si trova in vari luoghi all’interno del lungo cap. IX, che tratta della «perfezione del numero tre», del triplice battesimo (con l’acqua, col sangue e col fuoco) e del septiforme munus dello Spirito Santo. • Un vaso sopra il fuoco, con una rete sopra 148; un uomo con un soffietto ravviva il fuoco; tre uccelli volano dall’alto verso il vaso, due volano verso l’alto ai due lati opposti della vignetta. La figura è inserita nel corpo del cap. IX, fra due citazioni (da Calet Minor: «Calefacite frigiditatem unius caliditate alterius» e da Senior: «Facite masculum super foeminam»). Il riferimento testuale di fondo è al rapporto 146. Questa miniatura non è commentata né da Gabriele, che non la riporta, né da Obrist, dove invece è presente (Ill. 46); è l’unico caso in cui sia la collocazione che il significato sono incerti, ma non sembra di poter dubitare che faccia parte del ciclo. A parte l’eventuale mancato riferimento al battesimo con l’acqua (flumine), avremmo in questo caso ben tre immagini in relazione al cap. IX, caso unico in tutto il ciclo; per le immagini la cui corrispondenza col testo appare anomala cfr. infra, nota 193. 147. Cfr. la didascalia all’immagine dell’incoronazione della Vergine da parte della Trinità nel Libro della Santissima Trinità: Omnia sunt unum esse (Obrist, Les débuts, 168). L’immagine dell’Aurora consurgens non è riprodotta né analizzata da Gabriele, mentre in Obrist, Les débuts, è presente come Ill. 47 ed è commentata alle pp. 220 e 241: la scena dell’annunciazione viene interpretata come raffigurante il sole e la luna che tengono nelle mani un piccolo personaggio bianco. Cfr. sotto, nota 35. È questa l’unica immagine dell’Aurora consurgens che richiami in qualche misura i diagrammi che accompagnano il testo di Costantino Pisano, ovvero la più antica testimonianza di illustrazione di un trattato d’alchimia nel Medioevo (cfr. Obrist, Les débuts, 67-116), e le innumerevoli figurine circolari del poema di Gratheus. 148. In L non c’è il vaso ma soltanto la rete, raffigurata come strumento da uccellatore.

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fra ignis e spiritus (il soffietto); gli uccelli che volano via, sfuggendo alla rete, forse sono da riferire all’ultima delle virtù operative dello spirito («Septimo et ultimo inspirat, quando suo flatu corpus terrenum spirituale facit»), la cui enumerazione inizia proprio in corrispondenza del punto d’inserimento dell’immagine 149. • La casa della sapienza («Sapientia aedificavit sibi domum»), chiamata domus thesauraria, è raffigurata subito prima o subito dopo l’inizio del cap. X, seguendo per molti aspetti la descrizione del tempio che apre la Tabula chemica di Ibn Umayl – Senior per gli alchimisti latini –, una delle fonti principali dell’Aurora consurgens. L’immagine, cui Barbara Obrist assegna un ruolo centrale 150, è commentata in maniera molto puntuale da Mino Gabriele; anch’egli fa peraltro riferimento esclusivamente al testo di Senior perché, afferma, «la composizione iconografica […] non ha alcun riscontro nel testo dell’Aurora» 151. In effetti nel trattato non si trovano descrizioni corrispondenti 149. In Obrist, Les débuts, Ill. 48 e p. 213, l’immagine è considerata una variazione delle aquile-Mercurio che rubano l’oro, poiché la studiosa estende a questa figura l’interpretazione di due immagini successive (17 e 23) quale risulta dal carteggio scambiato fra due alchimisti verso l’anno 1500, pubblicato in Azoth philosophorum, nella raccolta Cabala chymica ed. da Franz Kieser a Mulhouse nel 1606 (J. Ferguson, Bibliotheca Chemica, London 1954, I, 464-65). Il carteggio è segnalato da W. Ganzenmüller e da H. Buntz, i cui lavori sono citati dalla stessa Obrist, Les débuts, 245. La Cabala chymica ed. in Theatrum Chemicum, VI, 294ss e in Bibliotheca Chemica Curiosa, II, 605-19, nonostante il titolo (cfr. Ferguson, Bibliotheca Chemica, I, 135), è cosa diversa dalla raccolta di Kieser, che ci è stato impossibile consultare; questa seconda (?) Cabala Chymica, che si apre con una immagine confrontabile con la figura 5 dell’Aurora consurgens, è opera di Johann Grasshof, cui si deve la seconda edizione a stampa dell’Aurora, che ne riporta il testo integralmente (senza figure e senza partizione in capitoli, cfr. supra nota 10): cfr. Ferguson, I, 340 . 150. Obrist, Les débuts, 189: «L’illustration du vieillard à la tablette occupe une place importante dans le système allegorique de l’Aurora consurgens par la richesse de son contenu et parce qu’elle constitute le centre de toute une série d’illustrations»; tuttavia l’autrice, che si diffonde nella spiegazione dei dettagli a partire dalla Tabula chemica, non vede il nesso fra immagine e testo dell’Aurora consurgens (cfr. supra, nota 20). Nel più recente Visualization, 149-50, l’autrice torna su questa immagine, accostandola al recupero degli Hyeroglyphica di Horapollo nel 1419 e affermando che «the Aurora consurgens gives a first forceful visual expression of a myth that should become a major theme in the Renaissance period, i.e. the myth of the recovery of original knowledge and its methods of deciphering and interpretation». 151. Gabriele, Alchimia e Iconologia, 59 e 54-59; i passi citati sono a p. 55. A partire da questa immagine, il resto del ciclo è riprodotto a colori in Gabriele, figg. 59-82, e commentato con ampiezza alle pp. 55-96. Coi nn° 57-58 sono riprodotte le due figure dell’ermafrodito e della scimmia musicante – ovvero tutte le immagini di Rh, che però non formano, come si è ben visto finora, il ciclo completo. Tre delle immagini sono stampate in posizione speculare rispetto a come compaiono nel manoscritto: si tratta della 57, della 68 e della 81.

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né a questa né a nessun’altra delle illustrazioni; queste ultime tuttavia prendono sempre spunto dal testo, di cui costituiscono un’amplificazione, come lo stesso Gabriele indica proprio a proposito della domus thesauraria, considerata una «alternativa citazione figurale dell’importante ma assente brano» 152; ed egli rileva che questa operazione «è del tutto coerente alla funzione metaforica che nell’Aurora svolgono in concordia simbolica sia il linguaggio scritturale che quello alchemico». La figura è, come la maggior parte delle immagini dell’Aurora consurgens, bilaterale, e solo la parte destra (il vecchio seduto con la tavola dipinta) corrisponde alla descrizione e alle raffigurazioni della Tabula chemica 153. Come ha segnalato Giuseppina Bonerba, l’insieme della composizione adotta lo schema iconografico tipico dell’Annunciazione, segno della «cristianizzazione delle teorie alchemiche» 154: di fatto, come abbiamo visto, proprio l’Annunciazione (condizione di possibilità e momento iniziale dell’Incarnazione) è raffigurata nel cerchio centrale dello schema trinitario della Fig. 8. Ritroviamo perciò anche nell’Aurora consurgens il tema cristologico, per quanto esso sia solo accennato e in termini essenzialmente mariologici, molto diversamente da come era stato sviluppato, focalizzandolo sulla Passione, nelle Parabole pseudoarnaldiane e, anche in forma figurativa, nel coevo Libro della Santa Trinità 155. Questa figura – insieme alla 8 – ripropone dunque sul piano delle immagini il lavoro di «tessitura» di testi biblici che regge tutta la prima parte del testo, rafforzandolo con l’accostamento del motivo cristologico a quello sapienziale attraverso il tema mariologico dell’Annunciazione. 152. In effetti, fra le citazioni dal testo di Senior che costellano la prima e la seconda parte dell’Aurora consurgens, non si incontra mai la descrizione della statua con la tavola raffigurante i simboli dell’opera alchemica nelle mani (cfr. Bibliotheca chemica curiosa, II, 216 fig. 12; la xilografia originale accompagna l’edizione De chemia Senioris, s.l.d. (Strasburgo 1566; cfr. Ferguson, Bibliotheca Chemica, 563). Sulle immagini come «citazione visuale» cfr. oltre, par. 4.2.2. 153. Obrist, Les débuts, Ill. 49 e p. 242 (alla nota 249 segnala le più antiche testimonianze dell’illustrazione della Tabula).V. anche I. Ronca, «Religious symbolism in Medieval Islamic and Christian Alchemy», in Western Esotericism and the Science of Religion, ed. A. Faivre, W. Hanegraaf, Leuven 1998, 102. 154. Bonerba, Alchimia e semiosi ermetica, 315; cfr. 313: «Qui il contenuto iconografico (l’immagine della Tabula chemica, dall’autrice identificata tout-court con la Tabula smaragdina) è stato infatti ‘risituato’ … mediante l’adozione dello schema iconografico tipico dell’Annunciazione: il saggio è infatti seduto nella domuncula della Vergine, in un leggero tre quarti, i personaggi entrano da sinistra, e anche il fantomatico vaso trova la sua ragion d’essere» in quanto simbolizza «l’immanenza del Cristo». 155. Supra, nota 22.

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• Un seminatore sulla sinistra, sulla destra un vaso con una testa femminile incoronata. Si trova in corrispondenza dell’inizio del cap. XI e già Gabriele ha notato che questa immagine «rappresenta alcuni concetti operativi espressi nella parabola stessa», senza però identificare l’aggancio testuale preciso, che si riscontra nella frase «a terra elementa moriendo separantur et ad eam vivificando revertuntur»: ricordiamo che in diversi testi alchemici trecenteschi si trova il riferimento al passo paolino, «Ciò che tu semini non prende vita se prima non muore»156. • Una coppia di amanti coricata. Si trova nei manoscritti in corrispondenza di diversi passi del cap. XII, che «ritesse», alchemizzandolo, il testo del Cantico dei Cantici: a questo, ma anche al motivo alchemico della coniunctio nella Tabula chemica che col Cantico poteva apparire facilmente raccordabile, fanno riferimento gli interpreti 157; tuttavia il motivo iconografico utilizzato non ha alcuna relazione con l’iconografia del Cantico dei Cantici 158. Il luogo di aggancio testuale, come in altri casi già visti, varia di poco, segnalando una precisa zona del testo ove è sviluppato il motivo dell’unione del principio maschile con quello femminile 159. • Il duplice principio dell’opera alchemica è anche il protagonista dell’immagine successiva, che raffigura il torneo della luna e del sole personificati, a cavallo rispettivamente di un grifone e di un leone. È una delle immagini più note del ciclo ed è la prima che si trova in corrispondenza della seconda parte, nel cap. XIII, a metà della frase «et si aliquam naturam vertis ad eius oppositum» o poco oltre 160. 156. I Cor. 37. Cfr. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 60 e pp. 59-60. Obrist, Les débuts, Ill. 50, non analizza questa immagine. 157. Obrist, Les débuts, Ill. 51 e p. 223; Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 61 e pp. 62-63. 158. Il confronto fra le immagini dell’Aurora consurgens e quelle che accompagnano il Cantico dei Cantici e i suoi commenti medievali è stato possibile grazie alla disponibilità con cui E. A. Matter e I. Marchesin ci hanno messo a disposizione i rispettivi contributi al volume Il Cantico dei Cantici nel Medioevo, di prossima uscita, che riporta gli atti del convegno tenutosi nel maggio 2006 a Gargnano sul Garda: E. A. Matter, Il Cantico materiale. Il testo latino dalla Glosa ordinaria alla Biblia Pauperum; I. Marchesin, Le corps et la salut: quelques aspects de l’illustration du Cantique des cantiques au Moyen Age. Ringraziamo vivamente le autrici e la curatrice del volume, R. Guglielmetti, che ci hanno messo a disposizione i materiali per poter effettuare questa verifica. 159. Soltanto L aggiunge poco oltre, f. 50v, una figura che non sembra appartenere al ciclo (cfr. supra, nota 4), mentre P1 presenta nello stesso punto del testo uno spazio bianco. 160. A partire da questa immagine B1 colloca tutte le successive alla fine dei capitoli di riferimento. La tendenza di questo illustratore a inserire le immagini in

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Gabriele segnala che «l’immagine visualizza il concetto contenuto nel prologo della seconda parte dell’Aurora, tra le cui righe è inserita la miniatura, per il quale ogni ‘natura’ va trasformata nel suo ‘opposto’», e sviluppa il motivo della dissoluzione e della reciproca trasformazione degli elementi 161; Obrist rileva che il sole e la luna corrispondono ai simboli della tavola che sta nelle mani del vecchio, nell’immagine della casa della sapienza 162. Nessuno dei due studiosi collega la raffigurazione antropomorfa di sole e luna all’immagine precedente, quella dei due amanti: tale collegamento viene tuttavia esplicitamente compiuto nell’iconografia alchemica posteriore, in particolare nelle immagini del Rosarius philosophorum del 1550 e nel poema Sol und Luna, nei quali appare evidente l’utilizzazione di motivi iconografici risalenti all’Aurora consurgens (oltre che al Libro della Santa Trinità). In effetti il vaso con figure simboliche, l’unione coniugale, il sepolcro, l’ermafrodito, la resurrezione, il drago, vengono lentamente a costituire un vero e proprio «vocabolario iconografico» alchemico, che tuttavia solo a partire dal XVI secolo risulta chiaramente connotato e codificato 163. • Una donna, dalla cui vagina esce qualcosa d’imprecisato, siede al centro dello zodiaco 164; questa immagine precede l’incipit del cap. contiguità coi capitoli e non all’interno di essi era già evidente nella prima parte, dove però le immagini (3, 6, 7, 8, 10, 11, 12) erano per lo più inserite prima dell’inizio del capitolo di riferimento. 161. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 62 e pp. 63-66. 162. Obrist, Les débuts, Ill. 52 (che è anche stata scelta per la copertina del suo saggio) e pp. 214-16. 163. J. Telle, Sol und Luna. Literar und alchemiegeschichtliche Studien zu einem altdeutschen Bildgedicht, Hürtgenwald 1980, 45-80; Rosarium Philosophorum. Cfr. Obrist, «Visualization», 149: «Subsequently, the principal pictorial forma of the Aurora consurgens were divided into many branches, but the chronology of this evolution is yet to be established». Il tema e le immagini della coniunctio sono al cuore dell’interpretazione psicologica dell’alchimia elaborata da C. G. Jung in diversi studi degli anni ’40 e ’50: Psychologie und Alchemie (1944), Psychologie der Übertragung (1946), Mysterium Coniunctionis (1955-1956). Ricordiamo che l’edizione della prima parte di Aurora consurgens curata da M. L. von Franz fu concepita in stretto contatto con il lavoro junghiano sull’alchimia, andando a formare il terzo volume del Mysterium coniunctionis (non tradotto nella collezione delle Opere complete di Jung uscita per l’editore Bollati Boringhieri). Cfr. M. Pereira, «L’alchimia e la psicologia di Jung», in Trattato di psicologia analitica, ed. A. Carotenuto, Torino 1991, I, 415-45. Come in precedenza, anche qui L (f. 51v), seguito dal copista di P1, che lascia un piccolo spazio bianco al centro del f. 40v, inserisce una piccola immagine che non ha riscontro nel resto del ciclo, nella quale si vede il sole spuntare da sotto una nube blu (questo motivo è tuttavia presente come dettaglio sul margine sinistro dell’immagine successiva in Rh, R, B1 e W). 164. Per quanto in genere interpretata come partoriente, secondo M. E. Warlick la donna è invece mestruata: «Fluctuating identities. Gender reversal in alche-

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XIV, «Sciendum est primo quod haec scientia divina astronomiae vocabulo utitur» ma non ha un aggancio testuale preciso, offrendosi piuttosto come una sintesi visuale del capitolo nel suo insieme, ove sono incorporate vaste citazioni dal Liber trium verborum di Calid, che applica all’opera alchemica la corrispondenza fra ciclo planetario e sviluppo embriologico 165. • Una donna seduta a un tavolo conta su un abaco mentre una seconda donna tiene in mano una bilancia e un’aquila. La raffigurazione si trova all’inizio del terzo capitolo della seconda parte, De stylo parabolico per arismeticam, o poco oltre 166. Il capitolo XV è tutto dedicato a questioni di calcolo riguardanti l’opera alchemica: quantità e proporzione delle sostanze, numero dei giorni etc. Un preciso aggancio testuale si trova nell’affermazione «philosophi in huius scientiae termino addiderunt et diminuerunt summam radicis»; va sottolineato che questi «filosofi» sono raffigurati come donne: questo naturalmente richiama l’allegoria tradizionale delle arti liberali – di cui l’artimetica fa parte e che sono nel loro complesso parte o strumento del sapere filosofico –, ma l’accostamento fra filosofia e sesso femminile implicitamente connota la filosofia come Sapienza. • Una donna incoronata, col volto splendente, ai cui seni si abbeverano due uomini anziani, rafforza esplicitamente l’identificazione della filosofia naturale con la Sapienza alchemica. L’immagine è collocata prima dell’inizio del cap. XVI, De processu naturali; la fonte icomical imagery», in Art and Alchemy, ed. J. Wamberg, Copenhagen 2006, 101-25: 114 e Pl. 3. L’ipotesi di Warlick sembra più credibile in relazione alla posizione della donna (seduta, non accoccolata) e richiama il tema del menstruum, come in molti testi a partire dal Trecento viene denominato uno dei principi materiali della trasmutazione (cfr. M. Pereira, «L’alchimista come medico perfetto», in Alchimia e medicina nel Medioevo, 103-8). Si aggiunga che questa immagine precede quella del concepimento del filius (20). 165. Obrist, Les débuts, Ill. 53 e p. 224. Anche Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 63 e pp. 66-67, ricorda l’influsso degli astri sulla «gestazione» minerale come su quella del feto. 166. Il titolo del capitolo aggiunge la geometria in L (ove al f. 52v risulta spostata un’ampia sezione del testo, contenente la fine di questo capitolo e l’inizio del successivo), in quelli da esso descripti, e nelle ed. di Perna e Waldkirch: Geometrica dicta parabolico stilo. Ma, come si è già visto, tale aggiunta non trova riscontro nel testo e, come vediamo qui, nemmeno nella figura. Ritenendo che la seconda figura rappresenti la Geometria, Gabriele afferma che la sostituzione degli strumenti tipici della Geometria (squadra e compasso) con la bilancia e l’aquila segnala chiaramente «le valenze proprie della Geometria alchemica» (Alchimia e Iconologia, 67-68); cfr. Obrist, Les débuts, Ill. 54 e pp. 196 e 212, richiama la geometria, e tuttavia rinvia alla citazione del libro della Sapienza 11.21 nella prima parte dell’Aurora consurgens (ed. von Franz, 82): mensura, numero et pondere.

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nografica è stata identificata con la imago Sapientiae dal Fulgentius Metaforalis e accostata alla sapienza regina Austri 167, l’aggancio testuale sembra essere una concrezione dell’affermazione che «est medicorum et naturalium considerare hanc consolatricem 168 thesaurariam scientiam» col richiamo all’allattamento in una citazione embriologica da Senior, «et ascendit ad pectus mulieris, et fit ibi sicut corona, et fit nutrimentum eius». • Alla mater Alchimia, ammalata, un medico porge un mazzo di erbe. Questa figura è inserita nel cap. XVII, De matre alchimia stilus parabolicus, laddove viene descritta l’alchimia come un’ammalata dalla testa d’oro, torace d’argento e il cui corpo «usque ad genua … apparet ydropicum». Gli studi che interpretano come Mater Alchimia la figura in piedi apparentemente ignorano che l’apologo narrato nel testo, secondo cui «mater Alchymia corpus aegrotum habere dicitur … et nuntios ad peritissimum physicum omnium herbarum magistrum Macrum, qui viribus herbarum corpora languida curat et sanat, mittit quod veniat ad eam»; in Rh e R l’abito e la cuffia indossati dalla figura in piedi sono chiaramente riconoscibili come l’abbigliamento tipico del medico, mentre la figura sdraiata ha genitali femminili 169. L’offerta di erbe medicinali sembra alludere a una rivitalizzazione della tradizione alchemica mediante il collegamento con la farmacologia, effettivamente avvenuto nel XIV secolo con l’alchimia dell’elixir prima e della quinta essenza poi, portando a una diffusione e valorizzazione delle ricerche alchemiche anche negli ambienti medici 170. • Un pavone a sinistra, un vaso sul fuoco a destra. L’immagine è collegata al cap. XVIII, De stilo problematico, dove segue immediatamente (o in alcuni manoscritti a breve distanza), la frase et multos in ea percipies colores. Gabriele richiama un testo di Senior dove si parla del fenomeno che compare alla fine dello sbianchimento come fiori con167. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 65 e p. 69; Obrist, Les débuts, Ill. 55 e p. 185. 168. L’alchimia è definita varie volte consolatrix nella seconda parte dell’Aurora: oltre al passo citato (ed. Waldkirch, 194), si vedano ibid., 199 (illa medicina permanens consolatrix); 202 (mulier haec nobilis, pauperum consolatrix alchimia); 241 (in hac gloriosa thesauraria consolatrice et adiutrice scientia). Cfr. supra, par. 4.1. 169. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 66 e pp. 69-70 e Obrist, Les débuts, Ill. 56 e p. 49. Per la corretta interpretazione dell’immagine v. Crisciani, Introduzione

a Alchimia e medicina, p. xv. Nell’immagine di L non si capisce bene se la figura nel letto è maschile o femminile, ma quella in piedi sembra decisamente una donna (cfr. l’abito stretto alla vita e la tipologia del copricato, che si ritrova in ritratti di donne della scuola fiamminga). 170. Oltre ai saggi raccolti nel volume Alchimia e medicina, ed. Crisciani, Paravicini Bagliani, v. Crisciani, Pereira, «Black Death».

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versi in similitudinem pavonis 171. La cauda pavonis è una delle metafore alchemiche più diffuse, tuttavia non è nominata esplicitamente nell’Aurora consurgens: questo rende particolarmente evidente un tratto che riguarda la maggior parte delle immagini, il cui programma si aggancia al testo ma va oltre la lettera di esso, richiamando metafore presenti nelle fonti di cui l’autore si serve, in una sorta di contrappunto o commento visuale 172. • Un re con due uomini è raffigurato sul lato sinistro della vignetta, mentre sul lato opposto c’è un vaso che contiene una coppia nuda. Si trova prima dell’inizio del cap. XIX, dedicato all’uso del Sermo typicus nell’alchimia; il capitolo inizia: «Tradite puellam bonam … fratri suo pro uxore», rinviando alla visio Arislei che è la fonte principale in esso tacitamente utilizzata 173. Peraltro nel testo, oltre al motivo della coniunctio, viene richiamato quello dei filosofi che «sunt a rege incarcerati», cui si riferisce la metà sinistra dell’immagine. • Alla coniunctio nel vaso alchemico segue il concepimento del filius: il letto in cui giace la coppia di sposi (raffigurati in maniera molto simile all’immagine 12) ha al suo fianco una culla; un uomo a lato o ai piedi del letto porge agli sposi una piccola cosa bianca rotonda. L’immagine è collocata poco oltre l’inizio del cap. XX, il primo che riguarda la comparazione dell’opera alchemica con le res naturales a partire dalla generazione umana. Mentre è chiaro a tutti gli interpreti il riferimento alla pietra filius philosophorum, non è stata fin qui spiegata la figura in piedi, che richiama l’inizio del capitolo, dove si dice che l’opera alchemica «semini enim humano virili assimilatur», a ulteriore conferma dello stretto legame fra testo e programma del ciclo di immagini 174. • Sulla sinistra una figura maschile accoccolata sta orinando, defecando, vomitando e strappandosi i capelli; a destra una figura femminile mostra esteriormente le viscere: cervello, cuore, fegato, mentre 171. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 67 e pp. 70-71 (ma questo passo non compare fra le citazioni di Senior nel testo). Obrist, Les débuts, Ill. 57, non analizza l’immagine. 172. Cfr. quanto già osservava Gabriele a proposito dell’immagine 10; cfr. anche Obrist, «Visualization», 134: «In connexion with alchemical texts, pictorial representation relates either to observable or to unobservable objects and processes, and to conceptual schemes […] observable characteristics and their alterations are visualized either diagrammatically or by way of similes previously developed on the discursive level». 173. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 68 e pp. 71-72; Obrist, Les débuts, Ill. 58 e 59. 174. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 69 e p. 72; Obrist, Les débuts, Ill. 60, p. 222.

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dalla vagina esce sangue mestruale. L’immagine è collocata dopo l’inizio del cap. XXI, «Hinc vero quatuor rebus essentia hominum assimilatur» o, in alcuni manoscritti, dopo l’inizio del capitolo successivo, «Comparatur etiam quatuor rebus principalibus». L’immagine è stata messa in relazione con i quattro elementi e, meno felicemente (perché non viene spiegato il complesso dell’immagine ma un solo dettaglio di essa), con l’idea che la pietra si trovi in stercore 175. In realtà il personaggio a sinistra richiama il testo del cap. XXI, in cui sterco, urina, sangue e capelli sono metafore dell’essentia hominum, mentre l’immagine del personaggio di destra va riferita piuttosto al contenuto del cap. XXII, che riporta una sintesi della fisiologia umana: ma i testicoli, nominati nel capitolo come quarta delle res principales, nell’immagine vengono scambiati con la materia mestruale, segnalando significativamente il carattere «femminile» del principio alchemico 176. • Sul margine del foglio, in corrispondenza del cap. XXIII, è raffigurato un gallo che monta una gallina e, sotto, una gallina che cova cinque uova. La metafora dell’uovo è presente nell’alchimia fin dalle origini; la gallina che cova ha un aggancio preciso e significativo nel testo, nella frase «quintus quod est pullus», che fa riferimento alla quinta essenza 177. • Un basilisco si guarda allo specchio che una donnola gli porge, sullo sfondo un serpente a pezzi. L’immagine si trova all’inizio del cap. XXIV, dove si dice fra l’altro che il basilisco «nutriri et cibari per diversum cibum et potum, donec magnus fiat et maturus; post hoc 175. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 70 e p. 73; Obrist, Les débuts, Ill. 61 e p. 225. Quest’immagine è stata esaminata, non in relazione al testo ma come espres-

sione simbolica del rapporto fra esterno/interno, manifesto/occulto, in M. Pereira, «Il cuore dell’alchimia», Micrologus, 11 (2003), 287-304: 293, 300 e fig. 1. Il capitolo 21 non ha titolo nei manoscritti illustrati, ma è intitolato Sequitur de homine salvatico in M (f. 85v), M1 (f. 21v), H (f. 82v). 176. Il tema del principio femminile nell’Aurora consurgens è segnalato, con riferimento esclusivamente al testo della prima parte, da Pereira, «Principio femminile»; più in generale cfr. Ead., «Mater Alchimia. Trasformazione della materia e cura del mondo», in Alchimia e medicina, IX-LXX. 177. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 71 e pp. 74-75, indica l’origine di questo motivo nelle due fonti più utilizzate nell’Aurora consurgens, la Turba philosophorum e la Tabula chemica, in part. nella parte intitolata Epistola solis ad lunam crescentem (cfr. Obrist, Les débuts, Ill. 62 e p. 224). A differenza delle altre immagini che accompagnano il testo, tutte costruite su fondo rettangolare, riquadrate e inserite nello specchio di scrittura, questa è riportata sul margine in tutti i manoscritti, tranne in B1. La derivazione alchemica dell’immagine della gallina che cova cinque uova, riportata sui volumi II-VI dell’edizione 1634 della Glossa ordinaria della Bibbia, è segnalata da A. Gentili, «Bibbia e Alchimia», in Rinnovamento e mistero, ed. Cicali et al., 114-20.

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moritur et occiditur». Il fatto che il basilisco si rifletta nello specchio sembra indicare un elemento non esplicitato nel testo ma comune nella teoria alchemica: la materia unica messa a morte viene infatti cibata di se stessa 178: se questa interpretazione è corretta, la visualizzazione aggiunge un importante elemento sottaciuto nel testo. • Sul lato sinistro dell’immagine un garzone che mescola la pasta, sulla destra un vaso che contiene ouroboro 179, aquila e corvo. Si trova all’interno del cap. XXV, e come molte delle immagini sembra avere la propria fonte nelle metafore della Tabula chemica 180; l’aggancio testuale è esplicito nel testo, che appena oltre il punto d’inserimento recita «O quam pretiosa est servi rubicundi natura» (e del resto il servus rubicundus rimanda anch’esso a Senior); ma non vi sono nominati i tre simboli animali, presenti peraltro nella tradizione araba e latina. Anche qui dunque un particolare dell’immagine amplifica il testo, sottolineandone il carattere alchemico. • Alcuni bambini nudi, raffigurazione tradizionale dell’anima, si levano sopra un mare di fiamme, mentre sul lato sinistro si vede un serpente nel fuoco. Inserita in corrispondenza di punti diversi del cap. XXVI, quest’immagine ha un duplice aggancio testuale («Oportet ergo corpus flamma ignis occupari, ut diruatur et debile fiat, hunc enim ignem oportet extrahere igne connaturali» in Rh e L; «Qui argentum vivum sciverit occidere et mortificare, magister et philosophus in hoc opere appellatur» negli altri manoscritti), ma in entrambi i casi viene chiaramente ricondotta al tema della mortificazione 181. 178. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 72 e pp. 75-76, dopo aver esposto il significato alchemico delle metafore del basilisco e del serpente, sostiene che «la donnola che rivolge lo specchio al basilisco per ingannarlo e vincerlo, non sia altro che una attenta trasposizione iconica, adattata per l’occasione, del cacciatore […] che (con lo specchio) sorprende e vince la terribile tigre», secondo una modalità di caccia illustrata in fonti tardo-antiche (Claudiano, S. Ambrogio). Obrist, Les débuts, Ill. 63 e p. 226 riferisce alla Turba philosophorum il serpente tagliato a pezzi e porta questa immagine come esempio del carattere narrativo delle illustrazioni dell’Aurora consurgens (49, 243), ma non ne spiega il significato complessivo. 179. L’ouroboro, il serpente che si avvolge su se stesso, è il motivo iconografico più antico collegato all’alchimia: la prima raffigurazione compare nella cosiddetta Crisopea di Cleopatra, con riferimento al sesto capitolo delle Memorie autentiche di Zosimo, nel ms. Marciano Gr. 299 (= 584), f. 188v. Cfr. Zosime de Panopolis, Mémoires authentiques, ed. M. Mertens (Les Alchimistes Grecs, IV, 1), Paris 1995, 22, 40, 175-84 (178). 180. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 73 e pp. 76-77; Obrist, Les débuts, Ill. 64 e p. 226, insiste maggiormente sui tre simboli alchemici contenuti nel vaso. 181. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 74 e p. 77 segnala Senior come fonte della triplice raffigurazione del mercurio, con riferimento al contenuto complessivo del capitolo; cfr. Obrist, Les débuts, Ill. 65 e p. 228.

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• A sinistra un uomo setaccia grani color oro e color argento, a destra la fenice in un nido di fuoco sulla cima di un monte. Questa immagine è collocata in prossimità della precedente in tutti i manoscritti, tranne in Rh che la pone all’inizio del cap. XXVII, «Comparatur etiam arsenico et auripigmento» 182. A parte i colori, che possono far riferimento al titolo di quest’ultimo capitolo (l’orpimento è giallo, l’arsenico bianco) non si trovano in questo caso agganci precisi né nel testo né nelle fonti; inoltre la fenice non è una delle metafore comunemente utilizzate nei testi arabi 183. • Due minatori che estraggono il minerale sono raffigurati sul lato sinistro; sull’altro lato un pellicano coi suoi piccoli. L’aggancio testuale sembra semplicemente la menzione iniziale dei metalli nel cap. XXIX, «Inde vero comparatur omnibus metallis», mentre il pellicano richiama probabilmente il vaso così chiamato, utilizzato nelle operazioni di sublimazione 184. • L’immagine mostra un’officina di fabbro ed è collocata all’inizio del cap. XXX, richiamando il tema della lavorazione dei metalli nel contesto propriamente alchemico della complementarietà di occulto e manifesto, «Nam illa quae sunt dura in manifesto, sicut ferrum et cuprum, sunt mollia in occulto» 185. • Un filosofo nell’atto di aprire la porta di un edificio con la chiave, un albero sullo sfondo. Questa immagine è collocata all’in182. E naturalmente B1 che, come si è segnalato supra, colloca tutte le immagini a partire dalla 13 alla fine dei relativi capitoli. 183. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 75 e p. 78 collega questa immagine alla ventiquattresima, scrivendo che «l’alchimista-fornaio vaglia dei simbolici granelli di arsenico e di orpimento sulla pasta-materia che sta lavorando», e sottolinea la valenza alchemica, da Senior e Ibn Umayl, della cima del monte su cui sta la fenice. Obrist, Les débuts, Ill. 66 e pp. 227, 243, considera la fenice un raddoppiamento del significato della pietra (forse l’arsenico). La fenice compare come titolo di un’opera alchemica scritta alla fine del ’300, attribuita in diversi manoscritti all’alchimista Jacme Lustrach (cfr. M. Pereira, «Per una història de l’alquímia a la Catalunya medieval», in La Ciència en la Història dels Països Catalans. I. Dels Àrabs al Renaixement, ed. J.Vernet i R. Parès, Barcelona-Valencia 2004, 471-72 e viene ripresa come metafora dagli alchimisti rinascimentali cfr. W. Hanegraaf, Pseudo-Lullian alchemy and the mercurial phoenix. Giovanni da Corregio’s De Quercu Iulii pontificis sive De lapide philosophico, in L. M. Principe, Chymists and Chymistry. Studies in the History of Alchemy and Early Modern Chemistry, Sagamora Beach 2007, 101-12. 184. Come segnala Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 76 e pp. 78-79, che tuttavia interpreta la figura dei minatori in termini simbolici; Obrist, Les débuts, Ill. 67 e p. 229 interpreta invece realisticamente la raffigurazione dei minatori e simbolicamente il pellicano («il s’agit, dans ce contexte, d’un symbole de la terre»). 185. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 77 e p. 79 riferisce al testo di Senior le indicazioni operative raffigurate nell’immagine, già individuate come motivo dell’immagine in Obrist, Les débuts, Ill. 68 e p. 228.

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terno del cap. XXXI, in corrispondenza della citazione dell’albero filosofico di Galeno, che «septem ramos habet». L’aggancio testuale è in apparenza solo parzialmente corrispondente al contenuto iconografico, per il quale sembra più importante il richiamo all’immagine 10; ma la «chiave», di cui nel testo non c’è traccia, potrebbe voler indicare l’attribuzione di centralità operativa alle sostanze vegetali nell’alchimia, confermando quanto già osservato a proposito dell’immagine 17. L’albero di Galeno nominato nel testo richiama un breve scritto attribuito ad Alberto Magno, l’Arbor Aristotelis, costruito attorno a una figura che, per quanto sappiamo, è conservata solo in due manoscritti degli anni Settanta del XV secolo 186. • Una figura azzurra, metà umana e metà serpente, tiene con la sinistra la scure appoggiata sulla stessa spalla (l’atteggiamento del corpo e la posizione della scure richiamano le raffigurazioni di Cristo che porta la croce), con l’altra indica due esseri umani decapitati; a destra un vaso sul fuoco, con fiori d’oro e d’argento. L’immagine si trova verso l’inizio del cap. XXXII, con cui prende avvio la trattazione delle operazioni alchemiche, e, dopo i motivi prevalentemente realistici delle immagini fin qui considerate (con poche eccezioni: 13, 18, 23), apre la serie delle quattro immagini conclusive, che presentano motivi più astrattamente simbolici. Non si riscontra un preciso aggancio testuale e la figura, nella sua articolata costruzione, sembra piuttosto costruita come sintesi visiva del contenuto del capitolo 187. 186. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana,VI.215, f. 262v (figura con scritte e cartigli, antistante l’inizio del testo: «Aristotelis spera octo figurarum de lapide physico liber incipit»); Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, BR 52, f. 112r (solo figura con scritte e cartigli). Il trattatello, attribuito ad Alberto Magno, privo della figura dell’albero, è stampato in Theatrum Chemicum II, Argentorati 1659, 456-58 (Albertus Magnus, Scriptus super arborem Aristotelis); nel breve testo, che descrive una raffigurazione ricca di motivi iconografici d’origine araba, viene nominato Galeno come redattore dei libri ermetici: «quae quidem scriptura continetur in ultimis libris, quos Galenus composuit, et invenit quandam arborem sitam ab extra intus tenentem viriditatem gloriosam …». Cfr. U. Szulakowska, «The Tree of Aristotle. Images of the philosophers’ stone and their transference in alchemy from the fifteenth to the twentieth century», Ambix, 35 (1988), 127-54. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 78 e pp. 80-81, analizza il paragone dell’alchimia col mondo vegetale e sottolinea anche qui, nella casa e nella chiave, una metafora di Senior. Obrist, Les débuts, Ill. 69 e p. 229, segnala che sia l’albero che il castello sono chiave dell’arte. Tanto L che P1, ma nessuno degli altri manoscritti, riportano poco sotto (dopo in Lunam perfectam, HI p. 225) un’immagine (P1 lo spazio per essa), raffigurante un fiorellino rosso col cuore giallo, che richiama il fiore menzionato in molti trattati alchemici e anche nell’Aurora consurgens, la lunaria o borissa (su cui V. Segre, «Le piante della Luna», in Florilegium. Scritti di storia dell’arte in onore di Carlo Bertelli, ed. L. Golay, Ph. Lüscher, P.-A. Mariaux, Milano 1995, 124-29). 187. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 79, analizza l’immagine mettendone in relazione le due parti, i fiori che «attestano la raggiunta perfezione della sublima-

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• All’interno dello stesso lungo capitolo XXXII, che tratta dei processi operativi, è raffigurata una donna dalla pelle scura, vestita di bianco, in piedi su una sfera dello stesso colore della sua pelle, con ali verdi aperte, circondata da raggi di sole; nel ventre aperto, una spada cui si intrecciano nastri o cartigli. Si trova in corrispondenza della frase «Deus reddit ei animam atque spiritum suum, infirmitate ablata» ed è stata variamente interpretata, anche con accostamenti all’iconografia mariana 188. In realtà le ali rendono incongruo tale richiamo, e il colore scuro della figura richiama piuttosto la sposa del Cantico e ancor più la terra nigra della prima parabola (ACI cap. 6), mostrandone la glorificazione. Infatti il testo – che a quest’altezza sta descrivendo l’operazione di inceratio, che si compie nello stadio finale della trasformazione – appena sopra il punto di inserzione dell’immagine nomina la virtus et forma metallica nella pietra, richiamando la Turba philosophorum, e subito sotto paragona questa operazione alla purgatio dell’essere umano nel giorno della resurrezione («purgatur illa res et post corruscationem emendatur, quemadmodum post resurrectionem generalem homo fortior et iunior fit, quam prius fuit in hoc mundo»). La figura alata e irradiante sembra riferirsi alla forza acquisita (la spada nel ventre) e alla giovanile bellezza, segni della glorificazione della materia 189. zione metallica» e i due corpi decapitati, che esemplificano la materia da cui i fiori (teste) si sono distaccati (82-83); ipotizza che la simbologia dell’Aurora consurgens echeggi motivi dell’alchimia di Zosimo (decapitazione), 84; e indica nel serpentedemonio dell’iconografia del peccato originale la fonte dell’immagine del «mostro mercuriale» per concludere che l’immagine è «un’articolata metafora sulla ‘morte’ della materia metallica», 87, mettendo infine a confronto questa immagine con una delle figure del Libro della Santa Trinità. Obrist, Les débuts, Ill. 70 e pp. 236-37, rileva invece una metafora cristologica accanto al richiamo alla calcinazione, affermando che «le programmateur du cycle semble pourtant s’être tourné vers le syncrétisme religieux pour illustrer la mortification». Fiori d’oro e d’argento sono raffigurati in una delle miniature del manoscritto Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, BR 52, f. 286r, in apertura del Rosarius attribuito ad Arnaldo da Villanova. 188. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 80, legge questa immagine come «terra gravida», considerandola una sintesi iconica della terra nutrice («terra lunata o dealbata», 89) e del vento nominati nella Tabula smaragdina, mentre Luna-madre sta sotto i suoi piedi e Sole-padre irraggia da dietro; pur non escludendo una simbologia dei quattro elementi, ritiene si tratti di «una palese derivazione dalla figura medievale della Virgo gravida», mentre l’oggetto nel ventre, che correttamente identifica come una spada (correggendo van Lennep e Obrist che vi vedevano un caduceo; la correzione è confermata dall’esame autoptico di R e L), viene ricondotto alla metafora del gladium denudatum della Turba philosophorum. Obrist, Les débuts, Ill. 71, torna a più riprese sull’immagine che denomina «Hermès enceint» (239) e rileva anch’essa la presenza di motivi dell’iconografia mariana, che considera un puro prestito formale, concludendo che «d’une manière générale, l’iconographie religieuse fournit peu de modèles par rapport à l’astrologie» (241). 189. Questo naturalmente non esclude che l’immagine possa richiamare anche

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• Una figura alata con corpo e testa azzurri, zampe di leone e coda di serpente, che tiene in mano una freccia; sulla destra della vignetta un vaso con l’uccello alato e l’uccello senz’ali che formano un circolo ouroborico. Questa immagine si trova in corrispondenza del penultimo capitolo, dove continua l’esposizione delle operazioni alchemiche, nella parte che descrive la rectificatio. Mino Gabriele segnala che i due uccelli nel vaso sono uguali a quelli raffigurati nella tavola fra le mani del vecchio dell’immagine 10, riferisce la figura al capitolo precedente e la collega al tema della calcinatio (che in realtà viene ripresa anche in questo cap. XXXIII), osservando che «la particolare relazione compositiva tra testo e figura non pare del tutto casuale» e indicando in dettaglio una serie di corrispondenze fra motivi iconici e nozioni alchemiche 190: affermazione con cui concordiamo e che anzi abbiamo cercato di verificare sistematicamente, trovando per lo più conferme, in questa rassegna analitica del ciclo di immagini interne al testo. Tuttavia questo è uno dei casi in cui non si trova un aggancio testuale preciso, per quanto siano chiaramente riconoscibili i molti aspetti che collegano quest’immagine al procedimento fondamentale della calcinazione – operazione che secondo molti autori alchemici dev’essere ripetuta a vari stadi dell’opera. • L’immagine che chiude il ciclo è inserita all’interno dell’ultimo capitolo, che si apre con la lode della quadruplice capacità perfezionatrice della tinctura; raffigura luna e sole personificati in atto di legare il drago sconfitto, ed è inserita in mezzo all’elenco di malattie curabili col prodotto dell’opera alchemica. Anche questa immagine offre una sintesi del contenuto del capitolo e, piuttosto che un preciso aggancio testuale, segnala la conclusione del processo operativo di cui la lotta degli opposti fra loro (Fig. 13) aveva segnalato l’inizio: passando dalla lotta alla cooperazione senza perdere le rispettive identità,

i quattro principi della Tabula smaragdina, come sostiene Gabriele: le raffigurazioni alchemiche sono spesso sovradeterminate. 190. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 81 e pp. 91-92. L’autore suggerisce poi che la fonte di questo secondo ‘mostro mercuriale’ (il primo è quello dell’immagine 30) sia una raffigurazione del pianeta Mercurio che si trova nei codici del De universo di Rabano Mauro (ivi, nota 257); in tal modo supporta l’affermazione di Obrist, Les débuts, Ill. 72 e p. 236, che «une figure astrologique, celle d’un décan, a probablement servi de source d’inspiration pour cette personnification du vifargent», che nel lavoro della studiosa era preceduta da alcune osservazioni sulla simbologia alchemica dell’immagine (la freccia come ignis philosophorum, 221, 242; la testa di scimmia o di cane del mostro e i suoi piedi di leone, 235) ma non giungeva a una precisa proposta di identificazione.

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i due principi (solare e lunare, maschile e femminile) hanno ottenuto la vittoria 191. 6.3. Quali indicazioni complessive si possono trarre dalla conside-

razione del ciclo iconografico in relazione al testo? In primo luogo si osserva che l’ordine in cui le immagini si presentano, rigorosamente rispettato in tutti i manoscritti, è collegato alla suddivisione del trattato in capitoli; la relazione fra immagine e capitolo è costante e generalmente biunivoca, tranne in pochi casi 192. Nessun elemento del testo però segnala la presenza o indica la necessità delle immagini, come invece si riscontra in altri trattati d’alchimia 193; questa osservazione, assieme alla constatazione che il programma del ciclo iconografico è stato evidentemente formulato prestando attenzione ai contenuti testuali, portano a concludere che l’inserimento delle immagini ha costituito l’ultimo stadio compositivo del trattato. 191. Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 82 e pp. 92-94, richiama, oltre alla tredicesima immagine, un detto attribuito a Ermete nel Rosarium philosophorum del 1550, «Draco non moritur nisi cum frate et sorore sua interficiatur», e sviluppa un’interpretazione operativa, che tuttavia non ha riscontro nel luogo testuale in cui l’immagine è inserita. Obrist, Les débuts, Ill. 73 e pp. 198 e 218, ritiene che l’immagine significhi che oro e argento sono stati liberati, ovvero riporta solo al piano metallurgico il successo dell’opera, che nel testo è caratterizzata da un quadruplice scopo: metallurgico, farmacologico, lapidifico e vetrario (produzione di pietre preziose artificiali e del vetro malleabile). 192. L’immagine 1 è collocata fra i capp. I e II; la 8 e la 9 si riferiscono entrambe al cap. IX; la 21, che nei due lati si riferisce a due capitoli consecutivi, XXI e XXII, è collocata in corrispondenza dell’uno o dell’altro nei diversi manoscritti; il cap. XXVIII non ha immagine corrispondente; la 30 e la 31 si riferiscono entrambe al cap. XXXII. Si noti che i capitoli caratterizzati dalla presenza di due immagini sono di particolare lunghezza e importanza; e che al contrario il cap. XXVIII è decisamente breve e strutturalmente simile a quello che lo precede. 193. Il richiamo a schemi concettuali si riscontra in due testi d’alchimia la cui tradizione manoscritta comprende anche diagrammi di carattere analogico, con valore di schemi cosmologici e/o operativi: Costantino Pisano (Obrist, Les débuts, 67-116) e il Testamentum pseudolulliano (Szulakowska, «The Tree of Aristotle»; M. Pereira, «Le figure alchemiche pseudolulliane: un indice oltre il testo?», in Fabula in tabula. Una storia degli indici dal manoscritto al testo elettronico, ed. C. Leonardi, M. Morelli, F. Santi, Spoleto 1995, 111-19; Ead., Cosmologie alchemiche, in corso di stampa negli atti del convegno Cosmologie medievali, Catania 2006). Vicino cronologicamente e forse come ambiente di composizione all’Aurora consurgens, il Libro della Santa Trinità fonde nei motivi araldici e religiosi che ne strutturano il ciclo iconografico i temi della ricerca alchemica e l’intervento politico-religioso nelle vicende del suo tempo (Obrist, Les débuts, 117-82). Una via di mezzo fra le due modalità di illustrazione caratterizza il testo di Gratheus, filius philosophi (cfr. supra, nota 143), dove l’autore fa frequenti riferimenti alle immagini, non però utilizzandole come supporto all’elaborazione delle teorie, bensì alla trasmissione e alla memorizzazione di un sapere ormai standardizzato (Obrist, «Visualization», 147).

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Si può certamente convenire con quanto osserva Barbara Obrist rispetto al carattere poco costrittivo del testo, che concede – anzi, si potrebbe dire, impone – un ampio margine d’invenzione all’illustratore 194; tuttavia, come abbiamo visto, in molti casi le immagini sono agganciate al testo come «citazioni visuali», cui aggiungono elementi non esplicitamente presenti nella pagina scritta, ma identificabili come traduzioni iconiche di metafore verbali presenti nelle fonti utilizzate dall’autore. Sono infatti prevalentemente le fonti testuali di origine araba (in primo luogo Senior e Turba philosophorum) che hanno fornito i motivi sviluppati da chi ha progettato l’illustrazione del trattato, anche se non si rilevano significative differenze di tipologia fra le immagini che si agganciano a parole dell’autore e quelle che trovano il punto di ancoraggio nelle citazioni di auctoritates alchemiche arabe. A partire da queste considerazioni, non si può certo escludere che sia stato l’autore stesso a stendere il programma del ciclo illustrativo, una volta terminata la stesura del trattato; finora però non abbiamo alcun elemento per poterlo affermare positivamente, tranne la mancanza di manoscritti dell’Aurora consurgens non illustrati più antichi di Rh, che, in quanto argomento ex silentio, non ha alcun valore di prova 195. Il programma iconografico non sovrappone al testo scritto una trama ulteriore e dunque non può essere considerato una traduzione o «transcreazione»196 iconica del testo; non costituisce una «narra194. Obrist, Les débuts, 241, con riferimento all’immagine 6: «Le caractère peu contraignant du texte permit une composition entièremente picturale des images, tandis que la composition des images, utilisant toutes les possibilités de la figuration picturale, contribua à son tour à l’indépendance des images par rapport au text. Ainsi, pour créer une illustration à partir de la maxime «prends-lui l’âme et rends-lui l’âme», il fallait donner un sujet à l’action et, le choix s’étant porté sur un chevalier, cette configuration impliquait de nouvelles significations alchimiques et de nouvelles allégorisations qui pouvaient mener loin du text. Cette illustration, qui donne à l’action un sujet et un objet, fut conçue comme une unité autonome». 195. Per di più non sono disponibili elementi certi di datazione per un manoscritto certamente fra i più antichi, P, genericamente datato «XV secolo» nel catalogo di Corbett (J. Corbett, Catalogue des manuscrits alchimiques latins, I, Bruxelles 1939, 178-84). In questo manoscritto manca, così come in M (a. 1475) e M1 (1570/90), la storia narrata nell’ultimo capitolo della seconda parte, proveniente da una non identificata Chronica antiqua Imperatorum; essa è presente invece in tutti i manoscritti illustrati (Rh, R, L, P1, W, B1) e in C che, come si è visto (supra, nota 124), avrebbe dovuto essere illustrato. 196. La nozione di «transcreazione» è stata proposta ed elaborata in ambito letterario per indicare il carattere creativo della traduzione letteraria e poetica, ovvero l’adattamento del testo alla cultura della lingua in cui viene tradotto, dal

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zione» visuale coerente, come lo sono, per esempio, quella celeberrima del Rosarium philosophorum o quella del poemetto Sol und Luna, bensì una serie di spunti e suggerimenti solo in parte correlati fra loro ma sempre connessi in maniera riconoscibile al testo. È verosimile dunque che all’origine le immagini avessero primariamente una funzione di supporto al lettore che volesse localizzare un determinato capitolo nel manoscritto e/o memorizzarne i contenuti. La funzione svolta dal ciclo standard nel suo complesso sarebbe allora quella di un «indice visuale» che, una volta compreso il significato della singola figura, permette di ritrovare l’argomento corrispondente nello scritto 197; funzione non secondaria, anche perché ulteriore conferma della struttura unitaria del testo, concordemente attestata dai manoscritti. Sul piano strettamente iconografico si osserva nel ciclo standard la prevalenza di motivi realistici tanto nella raffigurazione degli esseri umani che nei dettagli inanimati; elementi propriamente simbolici compaiono nelle figurine all’interno dei vasi, ma costituiscono il motivo principale solo in poche immagini, per lo più poste in corrispondenza con i capitoli finali più propriamente operativi, dove la necessità di rappresentare trasformazioni di difficile o impossibile comprensione concettuale si riflette nella composizione di quattro figure completamente elaborate con motivi non realistici. Non furono queste ultime, tuttavia, a imporsi come motivi principali nella codificazione dell’iconografia alchemica, che a partire dal XVI secolo si affermò rispetto alle varie modalità di visualizzazione sperimentate fra XIII e XV secolo, ma le immagini dei vasi con la raffigurazione simbolica dei vari stadi dell’opera e in particolare dell’unione degli opposti 198, che poeta brasiliano Haroldo de Campos, esponente del movimento denominato poesia concreta (Biennale d’Arte Paulista, Sao Paulo 1956). Suggeriamo la possibilità di utilizzarlo in questo contesto, perché il passaggio dal linguaggio verbale a quello iconico nell’alchimia avviene, come già abbiamo osservato, in relazione alla diffusione dei testi alchemici in ambienti geografici e sociali nuovi fra XV e XVI secolo, nel contesto di una profonda transizione e trasformazione culturale. 197. «L’une des fonctions majeures de l’image manuscrite: permettre au lecteur de se repérer dans le codex qu’il tient en main», annota Isabelle Marchesin a proposito dei commenti illustrati al Cantico dei cantici (cfr. supra, nota 158). E J. C. Santos Paz, a proposito delle miniature Liber Scivias di Ildegarda di Bingen nel Riesenkodex, scrive che «a la función clarificadora de las ilustraciones se asocia su valor memorístico o de compendio del texto: una vez atribuito un significado concreto a una figura, bastarà volver sobre ella para recordar ese mismo significado». (J. C. Santos Paz, «Modo de percepción y modo de representación: las Tabulae del Scivias», in Fabula in tabula, 79-98: 92-93). 198. U. Szulakowska, «Patronage in relation to alchemical illustration in the Early Italian Renaissance: three case studies», Acta Historiae Artium Hungariae

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erano già presenti in un testo precedente l’Aurora consurgens, il poema in lingua fiamminga redatto dal misterioso Gratheus filius philosophi 199. Le suggestioni che il lettore odierno riceve, con forza ben maggiore dalle miniature dell’Aurora consurgens che non dal quasi sconosciuto poemetto di Gratheus, sono dovute in parte ai valori estetici delle immagini, largamente note grazie agli studi sul manoscritto Rh (su questo piano, peraltro, occorrerebbe rivalutare adeguatamente il quasi gemello R, dove il ciclo iconografico è quasi integro). Per «valori estetici» si intende qui la capacità di attrarre l’attenzione dell’osservatore stimolandolo all’interpretazione, capacità che la considerazione del rapporto fra testo e immagine non annulla, ma anzi rafforza: le figure infatti già di per sé richiamano l’attenzione grazie agli elementi insoliti, oscuri o ambigui che contengono; ma, quando riconosciamo che esse hanno un preciso punto di riferimento testuale che però non ne esaurisce didascalicamente il contenuto, si apre uno spazio ulteriore alla riflessione sul modo e sulla regola secondo cui sono ad esso correlate 200. Tuttavia la valorizzazione di questo ciclo come codice simbolico sembra essere un dato recente, in gran parte legato al fatto che la qualità sapienziale del testo della prima parte, collegata alla tradizionale attribuzione a Tommaso d’Aquino, ha offerto ampio materiale all’interpretazione psicologico-archetipica di C. G. Jung e M. L. von Franz, portandoli a mettere in luce il nesso fra le tematiche alchemiche e il motivo della Sapienza, anche se con intento, modalità e sviluppi ben diversi da quelli della presente indagine. (Akadémiai Kiadó, Budapest), 35 (199-92), 169-80: 170: «The alchemical iconographical scenario remained unstable throughout the fifteenth century. New images were continually employed. Even the printed editions from the sixteenth century, which caused the repertoire to stabilize significantly, could extend visualizations to epic proportions of novel, imaginative excess»; Obrist, «Visualization», Conclusion; dove sottolinea anche che «literary documents with this type of visual forms increasingly divorced from practice». 199. Ibid., 147; nel manoscritto di Gratheus «depicted within glass vessels, the principal metaphorical motif became the union of opposite principles, male and female, in the form of a queen and a king and their subsequent procreation». Cfr. supra, note 143, 193. 200. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano 1985, 329-31. Dopo aver richiamato da R. Jakobson la definizione operativa della funzione poetica di un messaggio nel suo essere ambiguo e autoriflessivo, U. Eco prosegue: «Dal punto di vista semiotico l’ambiguità è definibile come violazione delle regole del codice […]. L’ambiguità è artificio molto importante, perché funziona da vestibolo all’esperienza estetica: quando, anziché produrre puro disordine, essa attira l’attenzione del destinatario e lo pone in situazione di «orgasmo interpretativo», il destinatario è stimolato a interrogare le flessibilità e le potenzialità del testo che interpreta come quelle del codice a cui fa riferimento». Sull’irriducibilità del visivo al verbale e viceversa v. J. J. Wunenberger, Filosofia delle immagini (1997), tr. it., Torino 1999, § 27.

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7. Obscura sapientum vera figura

L’accostamento fra alchimia e Sapienza, che come abbiamo visto emerge in diverse delle immagini interne al testo, è anche e soprattutto la trama e il punto d’arrivo del «prologo iconico» dell’Aurora consurgens, come abbiamo definito le quattro immagini a tutta pagina che precedono il trattato: si tratta delle due celeberrime figure dell’ermafrodito e della «scimmia musicante», e di due ulteriori immagini che – cadute in Rh – sono però tramandate da R, che le riporta alle pp. 3 e 4 201. Queste immagini preliminari, e non solo le prime due (le uniche fin qui prese davvero in considerazione dagli interpreti), sono di natura tale da richiedere, e anzi imporre, un’interpretazione simbolica. Ma la loro simbologia è stata finora esaminata senza dare particolare rilievo alle scritte poste attorno alle figure, che invece ne permettono un’interpretazione complessiva unitaria imperniata sul carattere oscuro, la difficoltà e la natura artificiale dell’opera alchemica. Per questa ragione riportiamo di seguito i testi, descrivendone la collocazione rispetto alle immagini quale risulta dal confronto fra i manoscritti R e Rh per le prime due, dal solo R per la terza e la quarta 202: • Un ermafrodito a tre gambe con aquila azzurra. La parte sinistra della figura ha tratti femminili ma è dotata di fallo (chiaramente raffigurato in R 203, cancellato malamente con tratti di penna in Rh) e tiene in mano un pipistrello; la parte destra ha tratti maschili, si intravedono i genitali femminili (un guasto provocato dai tarli nel ms ha colpito questo particolare, che in Rh è stato coperto con una specie di raddoppio della coda dell’aquila), e ha in mano una lepre 204. 201. Tutte e quattro le immagini si possono vedere anche nei mss L e W e, in posizione diversa, in G (1, stemma dell’arte; 2, allegoria della Sapienza; 28, ermafrodito; 29, scimmia musicante); B1 conserva solo l’immagine dell’ermafrodito; P1 riporta l’arma artis, l’ermafrodito e la scimmia musicante. 202. In L (e in P1 limitatamente alle immagini presenti) le scritte sono presenti in due versioni, latina e tedesca, ma il loro impagino è diverso, più semplice rispetto all’elaborato rapporto immagine-testo nei codici più antichi. Le immagini sono prive di scritte in B1 e W. 203. Anche in L l’ermafrodito mostra questo scambio di attributi sessuali. In W i genitali delle due figure sono illeggibili (almeno nella riproduzione fotografica: questo ms non è stato esaminato in loco). La riproduzione a colori da Rh si trova in Obrist, Les débuts, Ill. 36 e in Gabriele, Alchimia e Iconologia, fig. 57 (la stampa è speculare rispetto alla pagina del manoscritto). 204. Gabriele, Alchimia e Iconologia, 52, spiega la scelta dei due animali nelle mani dell’ermafrodito con la natura ambigua attribuita a entrambi nelle fonti tardo-antiche (Macrobio, Donato, Nonio) e, richiamando varie parti del testo del-

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(in alto): «Hec est obscura sapientum vera figura»; (sul margine interno/destro): «In qua profunda 205 stat philosophia fecunda / que fallit stultos sua per problemata multos»; (in basso) «Argentum vivum volucrem tu dic fugitivum» / «Solaris humor mas est sed femina luna»; (sul margine esterno/sinistro) «Si tria defendis tunc omne volatile prendis». Gli aspetti salienti di quest’immagine, che mediante i colori e i due animali prescelti denota in termini notturni e lunari la profunda philosophia fecunda, sono lo scambio di attributi sessuali fra maschio e femmina e l’allusione alla triplice umidità (che verrà richiamata esplicitamente anche nelle scritte della figura successiva): l’argento vivo, il solaris humor e la tradizionale umidità femminile della luna; mentre la posizione dell’aquila-argento vivo, che abbraccia entrambi gli altri principi, sembra un richiamo al mercurio come unica materia dell’opera alchemica. I problemata alludono allo stylus problematicus (cui è dedicato il sesto capitolo della seconda parte), che trae in inganno gli stolti. Occorre infine sottolineare che questo ermafrodito è molto diverso da quello del Libro della Santa Trinità sotto vari di vista: in particolare, in quest’ultimo è netta l’identità sessuale delle due parti (pudicamente ma non ambiguamente rappresentata attraverso il colore delle vesti e i tratti del volto), manca la terza gamba, l’elemento unificante è la corona e non l’aquila azzurra 206. • La seconda immagine raffigura una creatura composita antropoteriomorfa con una testa forse di scimmia 207 e una nera testa di corvo; il torso è un grosso pesce squamoso con la bocca posta in corrispondenza dei genitali; un braccio è umano, l’altro è una zampa di l’Aurora consurgens, ritiene l’immagine «una sintesi iconica in cui il lapis viene simbolicamente testimoniato nei suoi due principi (maschile/femminile), nelle tre componenti (corpo/spirito/anima) e nei due stati (fisso/volatile). 205. Un guasto provocato dai tarli ha eliminato la gran parte della parola in R. 206. Un vero e proprio pezzo virtuosistico è l’interpretazione che Obrist (Les débuts, 209-12) dà dell’ermafrodito dell’Aurora consurgens, mostrando come, qualora non si tenga conto del testo, un’immagine alchemica può essere liberamente e plausibilmente interpretata a partire da qualsiasi assunto: la studiosa dichiara che questa immagine è in stretto collegamento con la tavola di Senior e con la Tabula smaragdina e costruisce un ampio discorso sul tema dell’alto e del basso, centrato su un aspetto indubbiamente presente (l’aquila in alto, lo stormo di uccelli caduti in basso), ma sicuramente non unico e, dato il carattere volutamente ambiguo e perturbante della figura, forse non quello principale. 207. La testa, che per Obrist – seguita da Gabriele – è di scimmia e per Dvorˇák, Mate˘jka, Der Politische Bezirk Raudnitz è una testa di morto (Totenkopf), sembra in R avere tratti umani, che la caratterizzano comunque in modo diverso da un cranio (capelli, orecchie).

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aquila; due delle tre gambe sono di animali (cavallo e pesce), mentre la terza gamba posta in mezzo è un covone di grano. Lo strano essere, utilizzando un serpente come archetto, suona un grosso granchio tenuto come uno strumento ad arco; a destra una civetta suona uno strumento a fiato 208. Le scritte che circondano la figura sono le seguenti: (in alto a sinistra): Solubile corpus iunctum spiritui / «Unionem sentiunt virtute triplicis humiditatis» 209 Prima aerea combustibilis mercurialis / Secunda aquea scilicet vapor lunaris / Tertia ignea scilicet liquabilitas solaris; in entrambi i mss a destra di queste tre linee di testo unite da tratti di penna si legge: elementa humiditas; (sul margine esterno/destro): «Fidibus tu patulas si cancri gesseris nostri» / «tria tua corisando mea sibi bursa retentat»; (in basso): Perfectam formam fatuorum practica cuique / infatuas norma contra naturam 210 sensuum tibi quinque; (a sinistra): «Fistula dulce canit mihi si non crede kathoni» / «dum lira dulcissono carmine prodit aves». Mino Gabriele spiega dettagliatamente l’immagine come una raffigurazione dell’alchimia ingannatrice (simia naturae), a partire dalla suggestione primaria della testa di scimmia e legge nell’ultimo distico la spregiudicatezza dell’alchimista che rischia consapevolmente la dannazione seguendo il dolce suono della «lira». I testi che accompagnano questa immagine sono particolarmente oscuri (anche perché difficili da leggere per guasti materiali), ma non sembrano esservi dubbi sul ruolo centrale anche qui attribuito alle tre umidità. Sembra che la strana, artificiosissima composizione, alluda alla necessità di andare oltre i cinque sensi per cogliere il «problematico» sapere alchemico: ricordiamo che la civetta, emblema della visione notturna, compare nella terza immagine del ciclo standard, in compagnia del profeta Mosè 211. 208. In R sono state aggiunte alcune scritte sullo sfondo rosso; sopra la testa: sublimator; sopra l’uccello nero: caput corvi; sulla gamba di destra: Mars; fra la gamba di mezzo e quella di sinistra: equino iles (sic). 209. In R le due righe sono state unite a sinistra con due tratti di penna e la scritta: Ypocras. 210. R legge: normam naturam. 211. In R il verso del foglio contenente questa immagine riporta un breve testo in prosa e alcuni versi che non hanno riscontro in nessuno degli altri manoscritti: «Dictum Gratiani art. Incontinenti cum miscueritis has res, scilicet aquam permanentem cum nostro ere vel masculum cum femina vel regem cum regina et solem cum luna lucida, tunc apparebit vobis nigredo, ita quod totum erit nigrum. Custodite hanc rem vilem, quoniam ex ea est opus nobile. Cum ex me sole et sorore eius, scilicet luna, crescit gradus nostre prudencie et non cum aliquo alio

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• L’immagine successiva 212 raffigura lo stemma dell’alchimia (Arma artis): uno scudo azzurro su fondo rosso, con celata grigia con fregi azzurri sormontata da una corona d’oro e da un sole d’oro; lo scudo è duplice: sulla parte esterna, che si può sollevare come uno sportellino, sono raffigurati in oro tre piccoli volti rotondi (le fasi della luna ovvero le tre humiditates), mentre sulla parte interna, che si vede sollevando l’esterno, è raffigurato in oro il sole iraggiante 213. Le scritte che accompagnano la figura dell’arma artis sono: (in alto): «Ut ver dat florem, flos fructum, fructus odorem» / sic studium morem, mos sensum, sensusque honorem; (in basso): «Sunt artis arma que cernis philosophie». Il significato che si coglie nella raffigurazione dello stemma è il dinamismo di esterno-interno, visibile-nascosto, che rinvia alla strutex nostris filiis, scilicet metallis aliis. Ego enim, scilicet sol, sum sicut semen seminanti, quoniam quodlibet individuum multiplicat formam sue speciei et non alterius generis nec diversi etc. Et hoc est illud quod philosophi vocaverunt saturnum, idest plumbum nigrum». (I versi che seguono sono trascritti al centro del foglio in inchiostro molto chiaro, poi di nuovo in basso a sinistra in inchiostro normalmente scuro): «Ad bonam pastam utaris aqua que maria (agg. sopra: farina) / necnon fermentum modo simili lapide nostro / hec tria reperies fere duas consimiles / est in mercurio secretum reliquo nullo. / Mortificat sese saylac et vivificat se / nam metallorum cunctorum extat origo / ex quibus constant et resolventur metalla / vivis principium hoc constat et est mediator / extrahit, inducit, animam suo corpore figit, / putrescit leviter, tribuit bonum tibi pondus. / Efficitur tale cum permiscetur et ipse / qualis mercurius cum servias talia metads (corr. sopra: metram) / in quo dum moritur semen fructus dare fertur». 212. In L questa immagine è la prima della serie ed è accompagnata da tre testi, il primo dei quali in versi: «Hec ars est rara brevis atque levis quoque kara / Ars unam petit rem quam quivis bene noscet / Hanc optant plures rem res est tamen una / Illi (Illa?) (terre?) similis est / est precio quoque vilis / Ars contemnenda nam proficit illa stupenda / Terra dum calcatur tamen cinis […] adamatur / Tinctorea fundi querit ut pars incolita mundi / Iungit dumtaxat fundit purgatque decorat / Efficitur operatum proprio sudore renatum / Ars et natura linpham rebis extrahit extra / Hec sunt subiecta quis gaudebit sinere (nupta?) / Quatuor ex uno fiunt et quatuor unum / Et siquidem nostram linpham suam maris ostium / Hec si sint una non maioris mundi minora. Segue: Cinis a cinere extractus / ex quo lapis est factus / Semina(t) aurum in terram foliatam Alchimia». Segue infine il distico riportato anche in Lobk. 213. Obrist, Les débuts, Ill. 38 e p. 216. Questo stemma non ha nessuna relazione con quello tracciato a piena pagina a p. 178 di R (stemma del conte di Plavna o Plauen) né con quello incollato all’interno del piatto posteriore (stemma del conte di Törring), che rientrano fra le attestazioni di possesso del manoscritto; sullo stesso foglio la data 1507, aggiunta dalla mano di un lettore e/o possessore del manoscritto che ha vergato anche diverse note sui margini. Cogliamo qui l’occasione per ringraziare vivamente la responsabile dell’archivio della collezione Lobkowitz di Roudnice a Nelahozeves Zamek (CZ), Sona Cernocˇka, che ci ha offerto un notevole aiuto sia nella consultazione del manoscritto (effettuata da M. Pereira nel dicembre 2006) sia con indicazioni bibliografiche e successive verifiche.

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tura fondamentale dell’opera alchemica, mentre il distico in alto ne richiama le tappe: studium, ovvero la conoscenza teorica che introduce alla pratica, mos, che a sua volta produce la comprensione del sensus e, tramite questa, permette di ottenere il risultato che conferisce honorem. L’intreccio dinamico fra teoria e pratica che caratteristica l’epistemologia alchemica è reso con sintetica efficacia. • L’ultima delle immagini a tutta pagina è una vera e propria allegoria della Sapienza, raffigurata secondo una tipica iconografia mariana 214, mediante la quale il prologo visuale si collega all’inizio del trattato (cui rinviano le scritte nei cartigli) e, mostrandone la centralità di senso, alla settima parabola costruita sul testo del Cantico dei cantici, nella cui tradizione di commenti medievali era stato più volte operato l’accostamento della Sulamita alla Vergine Maria 215. La Sapienza alchemica personificata è rappresentata come una figura femminile su fondo rosso, vestita di verde con decorazioni dorate e manto blu all’esterno, bianco all’interno, sotto il quale trovano riparo quattro uomini a sinistra (tre in piedi e uno inginocchiato) e quattro a destra (in piedi). Regge diversi cartigli con scritte: quella nel cartiglio tenuto dalla mano destra è completamente illeggibile; nel cartiglio tenuto dalla mano sinistra si legge: gloria et diviciae 216. Il cartiglio sopra la spalla destra (proveniente, sembra, dalla bocca), è anch’esso quasi illeggibile ed è ripetuto sia in bianco sia da una mano diversa sul margine esterno del foglio: «Venite fili, audite me, scientiam domini docebo vobis» 217. Infine c’è un cartiglio in basso, tenuto dalla figurina di uomo inginocchiato, con la scritta in bianco nel cartiglio, anch’essa ripetuta sotto: Ave Maria Christi mater: quest’ultima scritta rende esplicita la convergenza fra la figura della Sapienza e la figura della Vergine Maria, che abbiamo già rilevato. 214. Vergine regina: cfr. M. Warner, Sola fra le donne. Mito e culto di Maria Vergine (1976), tr. it., Palermo 1980, 146.Vergine delle grazie: una raffigurazione tipologicamente e cronologicamente vicina (a. 1437) è la pala di Giovanni di Paolo, Siena, Chiesa dei Servi. 215. Matter, Il Cantico Materiale; Ead., The voice of my beloved.The ‘Song of songs’ in Western Medieval Christianity, Philadelphia 1990; A.W. Astell, The Song of Songs in the Middle Ages, Ithaca-London 1990. 216. Questa scritta è ripetuta parzialmente in bianco fuori dal cartiglio e riscritta sul margine interno del foglio dalla mano B (cfr. descrizione del manoscritto in appendice), che la completa: «Gloria et diviciae in domo eius». Cfr. Aurora consurgens cap. 1, ed. von Franz, 34, ll. 23-24: Longitudo dierum et sanitas in dextera illius, in sinistra vero eius gloria et divitiae infinitae. 217. Ibid., 32, ll. 10-11, «Venite (ergo) filii, audite me, scientiam Dei docebo vobis».

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Sul margine superiore del foglio si legge: «Qui saciari velint sapientie flumine miro» / «se michi 218 suffimbrient rogitantibus flumina 219 spiro» / «increata patent contenta machina giro» / «sum quoque virgo mater gño 220 castissimo viro». Come si può constatare, il rapporto fra testo e immagini in questo «prologo iconico» è rovesciato rispetto a quello che caratterizza le figure del ciclo standard: sono le immagini a prevalere, trasmettendo inequivocabilmente una richiesta di interpretazione, cui i brevi ed enigmatici aforismi in prosa e in versi rispondono, costituendo in un certo senso delle didascalie che tuttavia non svelano integralmente, ma offrono soltanto un primo approccio alla decifrazione del significato simbolico delle complesse e inusuali composizioni riguardanti l’ermafrodito e la «scimmia musicante», così come dello stemma manifesto e occulto e dell’ultima immagine di carattere sacrale, che solo in apparenza è più semplice delle altre ma, come e forse più di queste, risulta simbolicamente sovradeterminata. Il messaggio che la sequenza delle immagini trasmette è che la sapienza alchemica, per quanto oscura e ambigua (1), artificiale e dunque incomprensibile se affrontata a partire dai dati della conoscenza sensibile (2), sarà ottenibile soltanto da chi si disponga allo studio dell’arte (cui invita il distico che accompagna 3) e in tal modo riuscirà a comprenderne la valenza sacra (4). Un messaggio significativamente coerente con l’approccio che all’alchimia offre la maggior parte dei testi impegnati sul piano teorico ed epistemologico, dal Testamento di Morieno a quello pseudo-lulliano, dalla riflessione di Bacone e Alberto Magno a quella di Geber latino (il francescano Paolo di Taranto) e Pietro Bono; e gli esempi si potrebbero moltiplicare.

8. Un’ipotesi sulla committenza

La produzione di un manoscritto miniato era, nel XV secolo, un impegno molto costoso e poco compatibile sia con i tratti dell’alchimista pratico, dedito alla ricerca di laboratorio, sia con quelli dell’alchimista filosofo, chino sui testi della tradizione; l’emergere di cicli d’immagini alchemiche in quest’epoca si lega più verosimilmente,

218. L: demissi. 219. R: fulmina, sembra un errore di trascrizione. 220. L: «Dum quoque virgo mater iungitur».

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come abbiamo visto, con la diffusione delle ricerche sulla trasmutazione in ambienti nuovi, soprattutto in quelli di alto livello sociale come le corti, in cui una forte curiosità per l’alchimia poteva incontrarsi con la consuetudine alla fruizione di immagini, con la spregiudicatezza nel progettare una visualizzazione del discorso alchemico, e con la disponibilità economica per farlo 221. Se accostiamo queste considerazioni di ordine generale alla forte valorizzazione dell’elemento femminile nel ciclo iconografico dell’Aurora consurgens, che asseconda le caratteristiche sapienziali, materne e soccorrevoli attribuite all’alchimia nel trattato, e se consideriamo da vicino l’epoca di redazione dei manoscritti illustrati più antichi, possiamo arrivare a formulare un’ipotesi – nient’altro che un’ipotesi, per ora, ma che speriamo possa aprire la strada a più approfondite ricerche. È infatti nella prima metà del ’400, per l’esattezza dal 1409 al 1451, che Barbara di Çelje (o von Cilli, come la denomina la storiografia tedesca 222), nota per i suoi interessi astrologici e alchemici, 221. Sulla diffusione dell’alchimia nelle corti v. Ch. Crisciani, «Alchimia, alchimisti e corti nel tardo medioevo: documenti e racconti», Micrologus, 15 (in corso di stampa). Sulle condizioni e la rilevanza della committenza alchemica nel ’400 v. Szulakowska, «Patronage». L’autrice, una storica dell’arte, scrive (172): «Alchemical illustration may have been a very particular type of alchemy which was in demand by some patrons, but not by all … In that illustration would have been expensive, a text is unlikely often to have been illustrated as a random choice by the scribe of an earlier text. Financial sponsorship and fore-thought would have been more necessary in the case of an illustrated codex than in one consisting of text alone. In the examination of visual imagery it is essential to ask questions about patronage in order to determine its full meaning. Further, in that alchemical cycles are so irregular in their iconography in the fifteenth century, it would seem that an artist and patron would have an unusual degree of freedom in the choice of images, more so than with a religious commisiion, or even in one involving the antique revival of the early Renaissance». Dal suo specifico punto di vista, U. Szulakowska avanza una critica simile a quella da novi avanzata (cfr. sopra, nota 28) nei confronti dell’idea di B. Obrist, che l’iconografia alchemica nasca come volontà di occultamento dell’alchimia, affermando che invece, proprio dallo studio della Obrist, si può trarre la conclusione che «a new type of alchemy came into existence in the early fourteenth century which, through illustration, was especially closely related to the individual alchemist-patron» (ivi), concludendo che «it is not entirely possible to concur with Obrist in her argument about the defensive polemical strategy of alchemical illustration in the face of attacks from scholastic logic» (180). 222. Barbara di Çelje (ca. 1390-1451) proveniva dalla famiglia dei conti di Cilli (Çelje), cittadina della bassa Stiria prossima a fonti termali (Christian Wilhelm von Eyben, Chronica der Edlen Grafen von Cilli, in S. F. Hahn, Collectio monumentorum veterum et recentium ineditorum ad fidem manuscriptorum, 2 voll., Brunswick 17241726; cfr. F. X. Krones von Marchland, «Die Cillier Chronik. Kritische Untersuchungen ihres Textes und Gehaltes», Archiv für Kunde österreichischer GeschichtesQuellen (Vienna.-Oesterreichische Akademie der Wissenschaften) Bd. 50 (1848);

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giocò nell’Europa centrale un ruolo di primo piano – e non immune da controversie – come seconda moglie di Sigismondo IV, su cui esercitò una notevole influenza politica, e poi come sua influente vedova. L’interesse per l’alchimia, per quanto contribuisse a conferirle una pessima fama (sembra sia stata descritta dall’alchimista Jan von Laasz come malvagia, atea e falsaria 223), era ampiamente condiviso dalla C. S. Paltauf, Das Landshaftliche Mineralbad Neuhaus bei Cilli in Steiermark, Wien 1871). Figlia di Ermanno II e di Anna, contessa di Schaunberg, sposò il re d’Ungheria Sigismondo – figlio dell’imperatore Carlo IV – nel 1408, dopo la morte della prima moglie Maria d’Ungheria; la stessa Barbara era imparentata per linea paterna con Stefano V d’Ungheria e le seconde nozze rafforzarono l’instabile posizione dinastica di Sigismondo. Nel 1410 Sigismondo divenne imperatore, succedendo al fratellastro Venceslao; in questa veste esercitò un ruolo centrale nel concilio di Costanza (1414-1418) e nella lotta contro Jan Hus e i suoi seguaci.Venne incoronato nel 1433 dal papa Eugenio IV; nel viaggio verso Roma insieme a Barbara sostò alcuni mesi a Siena (alcune notizie su Barbara provengono da E. S. Piccolomini, cit. in J. K. Hoensch, Kaiser Sigismund. Herrscher an der Schwelle zur Neuzeit, 1368-1437, München 1996, 136, 464, 495-99). La figlia di Sigismondo e Barbara, Elisabetta, sposò Albrecht, primo imperatore della dinastia Asburgo (dal 14381439), la cui elezione al trono imperiale era stata tuttavia contrastata da Barbara che, alla morte di Sigismondo (1437), aveva sostenuto la candidatura del figlio del re di Polonia, Casimiro IV Jagellone. Cfr. H. Chilian, Barbara von Cilli, Diss., Leipzig 1908; H. Dopsch, «Die Grafen von Cilli. Ein Forschungsproblem?», Südostdeutsche Archiv, 17/18 (1974-1975). 223. Non è stato fin qui possibile trovare un preciso riscontro a questa notizia, riportata da Obrist (Les débuts, 125) sulla base di fonti secondarie (fra cui L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, IV, 341). Secondo Ferguson, Bibliotheca Chemica, II, 10-11, la notizia deriva da una fonte seicentesca, Petraeus editore di Basilio Valentino, Chymische Schriften, Hamburg 1677, che nel prologo sostiene che la storia dei rapporti fra von Laasz e Barbara è riportata in un manoscritto membranaceo del 1440 contenente la Via Universalis dello stesso von Laasz; nota ancora Ferguson che questo racconto non si trova nell’edizione a stampa della Via Universalis o Tractatus Aureus de Lapide Philosophorum, stampato nel Theatrum Chemicum di Zetzner, IV, 1659, 579-84, ma lo sintetizza così: «Petraeus is who is responsible for further account of Laaz. After having learned all he could from Antonius of Florence he travelled – as so many others did – to visit other alchemists, and in the course of his journeyings he came into contact with Barbara, second wife of the German emperor Sigismund, who died in 1437. She leaved a very scandalous life – people compared her with Messalina – and her favoured occupation was alchemy, in which she passed off juggling tricks as genuine cases of transmutation. De Lasnioro (von Laaz) neither deceived himself nor tried to cheat others into a belief in transmutations that were only shams, and he does not seem to have hesitated to say what he thought about Barbara’s prestidigitations. He says she made false gold which would not stand the tests, and cheated many merchants, and when he witnessed the deceptions he spoke out: ‘correxi eam verbis’. Then naturally: ‘Illa autem voluit me incarcerare, sed discessi ab ea cum pace, quia Deus iuvit me’». Nel testo edito in Theatrum Chemicum, in effetti, il racconto non c’è, ma vi si trova un piccolo indizio interessante in relazione alla presunta paternità tommasiana dell’Aurora consurgens (o meglio, di scritti alchemici in generale); infatti von Laasz, dopo aver rimproverato gli alchimisti che praticano

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nobiltà dell’impero: in particolare va sottolineato il suo legame con Federico di Brandeburgo, dedicatario del Libro della Santa Trinità e padre di Giovanni detto «l’alchimista». Ed è in singolare sintonia con la passione alchemica di Barbara il fatto che l’anno successivo alle loro nozze Sigismondo abbia fondato un ordine cavalleresco nuovo, l’Ordo equestris Draconis Hungariae che, ideato soprattutto in funzione della lotta contro gli hussiti e contro i turchi, ebbe come simbolo un motivo iconografico tipico dell’alchimia, l’ouroboro 224. La connessione fra il Libro della Santa Trinità e la corte boema è ampiamente documentata e si inserisce nel contesto di diffusione dell’alchimia nell’Europa centrale fra Tre e Quattrocento 225; e sicuramente l’Aurora consurgens presenta somiglianze e differenze rispetto al trattato attribuito al francescano spirituale anti-hussita Ulmannus, o Alamannus. Elementi non secondari segnalano infatti una vicinanza dei due scritti: innanzitutto la cronologia, dal momento che i manoscritti illustrati più antichi dell’Aurora consurgens, quello conservato a Zurigo (Rh) e quello della collezione Lobkowitz (R), risalgono alla stessa epoca del Libro della Santa Trinità o a un’epoca molto vicina 226; de aliis trufis, scrive: «O quam sanctum est sequi Hermetem, et Thomam de Aquino, et alios philosophos modernos» (582).V. Karpenko, Bohemiam nobility and alchemy, riporta la stessa indicazione di Ferguson, ma con la data di stampa Hamburg 1740 (forse una riedizione), senza segnalarne la pagina. Un controllo sulla rara edizione curata dal Petraeus, effettuato per noi da Gabriella Zuccolin sull’esemplare conservato alla British Library, non ha trovato quanto segnalato da Ferguson. Ringraziamo di cuore la nostra giovane amica per l’impegno profuso in questo compito arcano. 224. L’ordine fu sciolto nel 1437, alla morte di Sigismondo. Una raffigurazione del simbolo su una piastrella da stufa con tale simbolo è conservata nella collezione del castello di Cˇesky´ Krumlov (CZ) ed è visibile on-line (www.ckrumlov.cz/de/zamek/oinf/t_gotkac.htm). 225. Obrist, Les débuts, 122-26, con la constatazione conclusiva che «Les premiers manuscrits alchimiques enluminés apparurent en Allemagne au moment où des princes et des nobles commencèrent à pratiquer eux mêmes l’alchimie». Una conferma della vasta diffusione dell’alchimia in Germania e nei territori limitrofi nei primi decenni del ’400 viene da un manoscritto appartenuto a Nicola Cusano, lo Harley 5403, che riporta ricette attribuendole a personaggi tedeschi noti e ignoti (cfr. H. J. Hallauer, Kritisches Verzeichnis der Londoner Handschroftem aus dem Besitz des Nikolaus von Kues. Fünfte Fortsetzung, Cod. Harl. 5403. Sammlung alchemistischer Schriften, MFGH 15, 1982, 43-57). 226. Obrist, Les débuts, 188-89: «Alors que le style international de l’exemplaire de Zürich permet de dater ce document de la deuxième décennie, la copie de Prague est du deuxième quart, ou plutôt du milieu du XVe siècle». Un’ispezione autoptica di R mostra un’accentuata vicinanza con Rh: i due codici hanno lo stesso formato, la stessa paginazione molteplice, lo stesso stile di esecuzione delle immagini, quasi identiche; non tuttavia la stessa scrittura, tanto da suggerire un’esecuzione «in serie», ovvero per un’unica committenza.

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inoltre la prima parte dell’Aurora condivide con lo scritto di Ulmannus lo «stile parabolico», poiché anche nel Libro della Santa Trinità si riscontra una vera e propria fusione del discorso alchemico con quello religioso (di carattere profetico, però, e non sapienziale), imperniato sul motivo cristologico e mariologico, mediante cui viene «provata» la verità dell’alchimia 227. L’ultimo elemento di vicinanza concerne proprio l’iconografia: si tratta dell’immagine dell’ermafrodito, di cui nel Libro della Santa Trinità troviamo la prima attestazione in ambito alchemico 228 e che, per quanto con attributi mutati, ritroviamo nel «prologo iconico» che è presente in tutti i manoscritti illustrati dell’Aurora 229. Fra i due testi vi sono tuttavia molte differenze, due delle quali fondamentali: il motivo biblico centrale dell’Aurora consurgens non è infatti cristologico e mariologico come quello del Libro della Santa Trinità, ma sapienziale con sfumature mariologiche (e, come si è notato in relazione alle immagini 8 e 10, l’elemento cristologico compare soltanto attraverso il tema dell’Annunciazione); e mentre il Libro della Santa Trinità utilizza le immagini sacre in primo luogo per collegare l’alchimia al profetismo religioso anti-hussita, per quanto non disprezzi la possibilità di dimostrare per loro mezzo la validità delle dottrine o della pratica trasmutatoria 230, l’Aurora consurgens sembra piuttosto lavorare in base al principio ermeneutico di «equivalenza espressiva» fra alchimia e Sacra Scrittura. Questo induce a leggere soprattutto nella prima parte del testo una concezione teo227. Obrist, Les débuts, 140: «le langage prophético-politique, moral et mystique, devient le système métaphorique exprimant le contenu alchimique»; Junker, nell’introduzione all’edizione del testo, conferma questa interpretazione, dandone una connotazione negativa (Das ‘Buch der Heiligen Dreifältigkeit’, in part. 72-73, dove considera il testo opera di un Geisteskranken, che ha perso il senso della realtà). 228. Su questo l’analisi di B. Obrist (Les débuts, 152-58) è molto dettagliata, complessivamente convincente e, contrariamente a quanto avviene nel caso delle immagini dell’Aurora, condotta con attenzione al raccordo fra l’immagine e il testo che l’accompagna. Nella tradizione testuale alchemica la nozione di ermafrodito sembra giungere con una riflessione di Alberto Magno, derivata dal De plantis pseudoaristotelico e ripresa da Pietro Bono (ibid., 158). Sull’ermafrodito alchemico, ma senza significativi apporti sull’origine del motivo, v. A. Aurnhammer, «Zum Hermaphroditen in der Sinnbildkunst der Alchemisten», in Die Alchemie in der europäischen Kultur- und Wissenschaftsgeschichte, ed. C. Meinel, O. Harrassowitz, Wiesbaden 1986, 179-200. 229. Ibid., 156. Obrist sottolinea che, nella tradizione successiva, «c’est l’hermaphrodite du Livre de la Sainte Trinité qui a remporté le succès»: infatti è questo il modello che viene ripreso nel celebre ciclo del Rosarium philosophorum edito da Cyriacus Jakob nel 1550 e in diversi cicli successivi. 230. Cfr. per es. ibid., 167 «L’illustration du couronnement de la Vierge montre comment recomposer les quatre ou sept éléments isolés par la distillation».

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logica eterodossa centrata sul principio femminile divino che la Sapienza incarna, il che potrebbe spiegare perché Barbara fosse giudicata dal von Laasz addirittura «atea» 231.Vicinanza e differenze fra i due testi sono del tutto compatibili con l’ipotesi di committenze molto vicine sociologicamente, culturalmente e anche personalmente (il committente del Libro della Santa Trinità, Federico di Brandeburgo, ebbe rapporti molto stretti con Barbara di Çelie, suscitando i sospetti di Sigismondo), ma connotate dalla più basilare delle differenze, quella di genere.

9. Postilla. Interpretare l’iconografia alchemica

Dopo aver esaminato, sia pure sommariamente, il complesso delle immagini che accompagnano il testo dell’Aurora consurgens, occorre precisare come questa riflessione si collochi in rapporto alla questione generale dell’interpretazione delle immagini alchemiche. L’estrema libertà ermeneutica praticata negli studi d’impianto tradizionale, ripresa in diversi studi storico-artistici e nella letteratura di appartenenza o derivazione junghiana, ha offerto e continua a offrire una straordinaria gamma di suggestioni sfruttate in ambiti molto diversi, dall’arte contemporanea alla comunicazione visuale, fino alla ricerca psicologica e spirituale di molte persone (non necessariamente seguaci delle mitologie New Age) 232. La possibilità di leggere i cicli iconografici dell’alchimia medievale, rinascimentale e barocca come 231. Sul femminile divino v. Pereira, «Principio femminile». Sulla nozione di «equivalenza espressiva» v. R. Jakobson, On linguistic aspects of traslation, in On Traslatino, ed. R. Brower, Cambridge 1959, 232-39 (tr. it. in Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano 1966); Sulla traduzione intersemiotica, ed. N. Dusi, S. Nergaard, «Versus» (numero monografico) 85/86/87 (2000). 232. Per i lavori di G. Hartlaub, Der Stein der Weisen. Wesen und Bildwelt der Alchemie, München 1959, S. Klossowski De Rola, The Golden Game. Alchemical Entravings of the Seventeenth Century, New York 1988 e M. Calvesi, «Arte e alchimia», Art Dossier, 4 (1986) si veda la discussione in Gabriele, Alchimia e Iconologia, 146-63. Fra gli altri studi recenti e ampiamente recepiti che propongono questo tipo di interpretazione si possono ricordare il diffusissimo lavoro di A. Roob, Il museo ermetico: alchimia e mistica, Köln 1997; J. Fabricius, L’alchimia. L’arte regia nel simbolismo medievale (1976), tr. it., Roma 1997; L. S. Dixson, Alchemical Imagery in Bosch’s Garden of delights, Ann Arbor 1981. Il lavoro di L. Abraham, A Dictionary of Alchemical Imagery, Cambridge 1998, offre nella forma di un repertorio ben fatto «the rich storehouse of alchemical symbolism», la cui difficoltà risiede a suo avviso in «our unfamiliarity with the emblematic mode of perceiving and communicating information» (xix).

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repertori del linguaggio simbolico ha contribuito a rivitalizzare l’interesse per l’alchimia nella cultura contemporanea, soprattutto in collegamento con l’interpretazione junghiana, che ha raggiunto un pubblico vasto e spesso anche molto qualificato, proponendo una lettura complessiva del fenomeno alchemico di grande importanza per la sua comprensione di fondo, anche se non sempre condivisibile nel dettaglio e soprattutto nelle generalizzazioni acritiche 233. La critica di Barbara Obrist nei confronti dell’interpretazione junghiana delle immagini alchemiche, la ricerca di Giuseppina Bonerba – ispirata dal pensiero di Umberto Eco – sulla «semiosi ermetica» tradizionale, ma soprattutto l’ampio e approfondito lavoro di ricognizione compiuto da Mino Gabriele e alcuni sondaggi presentati in lavori molto recenti, mostrano nel loro insieme – con maggiore o minore successo – una diffusa volontà di ricondurre l’interpretazione dell’iconografia dell’alchimia entro limiti epistemologici definiti 234. L’analisi fin qui condotta delle immagini dell’Aurora consurgens, tesa a rintracciare elementi «oggettivi» che permettano di comprendere perché «queste» immagini accompagnano «questo» testo, condivide tale esigenza di chiarezza epistemologica, con l’esplicita consapevolezza tuttavia che nessun tentativo di spiegazione critica delle immagini alchemiche è in grado (né sarebbe auspicabile che lo fosse) di ridurre tali immagini a nient’altro che ciò che l’indagine critica riesce a spiegare. La ricerca di una precisa collocazione e contestualizzazione di raffigurazioni ambigue e oscure – tanto ai nostri occhi a esse disabituati quanto per volontà chi le ha prodotte – non esaurisce infatti il loro significato, né intende precludere l’ascolto delle risonanze che le figure come tali generano nell’immaginario di chi le osserva. La distinzione fra la domanda riguardante l’origine e le modalità di costruzione del ciclo dell’Aurora consurgens (che è la nostra in questo contesto), e quella riguardante la possibilità della lettura simbolica delle immagini che lo compongono, delimita ma non chiude lo spa233. Sull’interpretazione dell’alchimia nelle opere di Jung v. M. Pereira, «Il paradigma della trasformazione. L’alchimia nel Mysterium Coniunctionis», Aut Aut, 229-30 (1989), 197-217; Ead., «L’alchimia e la psicologia di Jung»; e, per una messa a punto complessiva cfr. Ead., «Mater Alchimia». 234. Come esempio di ricerche più recenti si vedano i volumi: Emblems and Alchemy, ed. A. Adams, S. J. Linden, Glasgow 1998; The Golden Egg. Alchemy in Art and Literature, ed. A. Lembert, E. Schenkel, Glienicke/Berlin-Cambridge (MA) 2002; Art and Alchemy (2006). Aggiornamenti bibliografici e recensioni si trovano, oltre che nelle riviste Ambix, Cauda Pavonis e Aries, nel sito di A. McLean, www.alchemywebsite.com.

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zio per le interpretazioni che, a partire dalla distanza che da quelle immagini ci separa e dalla suggestione che esse indubbiamente esercitano, risultino possibili. Letture diverse delle immagini dell’Aurora consurgens possono comunque darsi e talora costituire un arricchimento illuminante del loro senso, purché siano effettuate a partire dalla consapevolezza che nascono dallo sguardo di chi tali immagini fruisce, scegliendo di dare libero corso alla potenzialità ermeneutica riconducibile al «valore estetico» e all’autonomia che, una volta realizzata, l’immagine possiede rispetto al testo 235. Allo stesso tempo, questa distinzione si propone di evitare che tali interpretazioni interferiscano indebitamente con l’indagine storica, com’è accaduto spesso, producendo una lettura talora sovradeterminata, talora banale, talora decisamente fuorviante, delle immagini più antiche dell’alchimia, ricondotte acriticamente al simbolismo codificato a partire dal XVI secolo. Se, come ha scritto Jung, «l’oggettività scientifica è il manto con cui l’occidente vela a se stesso il proprio cuore», delineare con la maggiore nitidezza possibile la natura del «manto» non significa negare il cuore che batte al di sotto di esso, ma evitare di confonderli. L’eccesso di interpretazione simbolica non giova infatti alla comprensione del valore anche simbolico e spirituale che la ricerca alchemica porta in sé fin dalle origini, suscitando per contrasto reazioni polemiche che precludono la comprensione della peculiarità del progetto alchemico, in cui la ricerca sulla trasformazione della materia è, insieme e inscindibilmente, «scientifica» e «religiosa». Proprio di questa peculiarità costituisce una testimonianza esemplare l’Aurora consurgens: sia il testo, nelle due parti che lo costituiscono, sia le immagini, nella distinzione e nella diversa funzione del «prologo iconico» e del «ciclo standard» che abbiamo inteso mostrare.

10. Conclusione

Questa fin troppo ampia disamina non può concludersi che ritornando sul titolo che abbiamo voluto dare al nostro contributo: l’Aurora consurgens è davvero un dossier aperto, dove non solo il problema dell’attribuzione «tradizionale» – ma non poi tanto! – a Tommaso d’Aquino dev’essere riaffrontato dalla radice a partire anche, anzi prima di tutto, da un confronto con gli altri testi del piccolo ma denso 235. Supra, nota 201.

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corpus alchemico pseudo-tommasiano; ma tutti gli elementi del complesso trattato vanno riesaminati uno per uno. Dimostrato – come ci pare di aver fatto – il legame compositivo fra la prima e la seconda parte (o primo e secondo tractatus) dell’opera, occorrerebbe in primo luogo riprendere in mano l’edizione critica della prima parte data da Marie Luise von Franz e, rivedendola anche alla luce dei nuovi manoscritti individuati, specialmente R, completarla con la seconda parte nonché, possibilmente, con un’indagine tesa all’identificazione della silloge biblica su cui la prima parte è costruita. L’accertamento delle fonti alchemiche, la cui importanza è stata ampiamente rilevata dalla von Franz e, in relazione all’iconografia, soprattutto da Mino Gabriele, si scontra con alcuni limiti quali la mancanza di un’edizione del testo attribuito a Merlino cui si ispira il diciassettesimo capitolo della seconda parte, o la impossibile (a noi almeno risultata tale) identificazione della Chronica cui fa riferimento l’ultimo capitolo. Andrebbero indagate più a fondo le vicende dei manoscritti illustrati, in particolare i rapporti fra i due più antichi, Rh e R, e di questi con L; non sappiamo, inoltre, a quale parte della tradizione si connetta G, se le immagini siano state separate da un manoscritto completo, o se invece fossero volutamente riprodotte senza il testo, e infine se la serie secondo cui in esso si presentano sia il frutto di un ordinamento intenzionale o, al contrario, di un assemblaggio casuale di fogli o fascicoli. Andrebbe infine verificata con strumenti più precisi (indagini d’archivio, in primo luogo) l’ipotesi sulla committenza che, se accertata, costituirebbe una sorta di proto-radice della enorme diffusione dell’alchimia nelle corti tedesche durante i secoli XVI-XVIII e soprattutto nella casata degli Asburgo, che ebbe in dote l’impero con le nozze fra Albrecht e la figlia di Barbara, Elisabetta, e che avrebbe avuto in Rodolfo II il più grande e giustamente celebrato mecenate della ricerca alchemica in età moderna. Forse in una Festschrift si dovrebbe offrire una ricerca compiutamente elaborata, come un dono ben incartato per dire tutta la nostra gratitudine all’amico che si festeggia. Ma, conoscendone la grande e costante apertura a tutte le possibili vie della ricerca, e avendo progettato questo lavoro a partire anche da una sua proposta metodologica sul modo in cui affrontare i testi dall’attribuzione incerta o contesa riprendendone l’indagine a partire dai manoscritti, osiamo pensare che questo lavoro in fieri non gli sarà sgradito. 70

‘AURORA CONSURGENS’: UN DOSSIER APERTO

APPENDICI

AURORA

Appendice I CONSURGENS – FONTI

ALCHEMICHE

Citazioni di

ACI

ACII

Alphidius

7

4

Senior

12

23

Hermes

6 (di cui 4 Tabula smaragdina)

10 (di cui 4 Tabula smaragdina: 2 esplicite, 2 senza indicare il titolo)

Artistoteles

3 (di cui 1 De anima)

5

Morienes

5

6

Calet Minor

3

4

Turba philosophorum

5

30

Avicenna

1

12

Auctor trium verborum 1

2

Fonti alchemiche citate soltanto in ACI: Liber de quinta essentia, Rasis, Speculator. Fonti alchemiche citate soltanto in ACII:Albertus,Alexander,Arisleus,Artus, Elbo Interfector, Galenus de arbore philosophica, Liber sextus, Liber disiunctionum, Liber Sextarius, Plato.

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Appendice II TITOLO, INCIPIT

ED EXPLICIT DEL TESTO NEI MANOSCRITTI LATINI

B Bologna, Biblioteca Universitaria, ms 747 (a. 1492) f. 98v: Incipit Aurea mora que dicitur Aurora (add.: vel liber trinitatis compositus a sancto thoma de aquino; add. in marg. Aurora consurgens, segue una breve annotazione in francese) Incipit:Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa sapientia austri... Explicit, f. 119r: infirmitates curandi et lapides pretiosas et gemmas mutare. (ed. Waldkirch, 246) Explicit aurora que dicitur aurea mora. Add. alia manus: Finis C Copenhagen, Kongelige Bibliotheek, Gl. Kgl. Saml. 237 (XV sec.) (senza titolo) f. 44r, Incipit:Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa sapiencia austri … Explicit, f. 75r: hec medicina gloriosa quam omni investigatori fideli et pio prestare dignetur eus omnipotens unigenitusque filius Dei dominus noster Jhesu Christus qui cum patre et spiritu sancto vivit et regnat Deus per infinita secula seculorum amen. (in rosso) Aurore˛ glossa thesauraria finit. Segue l’annotazione: Est autem sublimacio quinte essencie a fecibus elementaribus extraccio et vaporum essencialium in alembico perfocacio et dicitur sublimacio idest sub alembico levacio. Et lambic ab imis lacio etc. E Edinburgh, Royal College of Physicians ms AB4/18 (XVII sec.) f. 269r: Aurora consurgens sive aurea hora liber secundus Incipit: Omisso priore quia plenus est blasphemiarum ... Explicit, f. 295v: ... quam omni investigare fideli et pio praestare dignetur. H Hannover, Niedersächsische Landesbibliothek, Hs IV 339 (XV sec.) (senza titolo) f. 62r, Incipit:Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa sapientia austri ... Explicit, f. 98v ... quod si datum fuerit de eo in aqua seu vino tepido paraliticis. (ed.Waldkirch, 242) L Leiden, Bibliotheek der Universiteit, Cod.Voss. Chym. F. 29 (520) (a. 1526) (senza titolo) f. 39r, Capitulum primum Incipit:Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa sapientia austri … Explicit, f. 71v: ... hec medicina gloriosa quam cum investigatore fideli et pio prestare dignetur Deus omnipotens unigenitusque filius Dei dominus noster Jesus 72

‘AURORA CONSURGENS’: UN DOSSIER APERTO

Cristus qui cum Patre et Sancto spiritu vivit et regnat Deus per infinita secula seculorum. Amen. Anno Domini MDXXVI die sabati vicesima mensis septembris que fuit dies sabati post Mauricy complevit et scripsit hunc tractatum Valentinus Hernworst civis Erffurdensis et est circa horam secundam post meridiem in domo zu dem gulden laden vulgariter nuncupata apud sanctam (Barsendem?) sita quod manu propria scriptum et probatum. Si quis hanc artem perficeret et mille millies annos semper viveret numquam sibi diebus vite suis deficeret. In anno eodem […] die prima novembris. M1 Modena, Biblioteca Estense, ms lat. 362 (αlpha. P. 4. 14) (ca. 1570/1590) f. 1r: Incipit tractatus Aurora consurgens f. 1v, Incipit:Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa sapientia austri ... Explicit, f. 38r … Nam hec medicina est convertibilis in omnes colores. Alia vero sunt experimenta artificii sagaci committenda. (ed.Waldkirch, 244) Explicit tractatus Aurora consurgens. P Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 14006 (XV sec.) f. 1r: Incipit tractatus Aurora consurgens intitulatus Incipit: Incipit prologus. Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa sapientia austri … Explicit f. 30r: … Alia vero sunt experimenta artifici sagaci commitenda. (ed. Waldkirch, 244) Explicit P1 Praha, (Capitolo metropolitano, ms. 1663), Archivio del Castello di Praga, O.LXXIX (post 1566, a. 1569?) (acefalo) f. 27r: et sanctuarium Dei atqui res divina quia maxime et diversimode (cfr. ed. von Franz, 42 ll. 9-10) Explicit, f. 71r ... hec medicina gloriosa quam cum investigatore fideli et pio prestare dignetur Deus omnipotens unigenitusque filius Dei dominus noster Jesus Cristus qui cum Patre et Sancto spiritu vivit et regnat Deus per infinita secula seculorum Amen Anno Domini XXII die sabati vicesima mensis septembris que fuit dies sabati post Mauricy complevit et scripsit hunc tractatum Valentinus Hernworst civis Erffurdensis et est circa horam secundam post meridiem in domo zu dem gulden laden vulgariter nuncupata apud sanctam Gothardem sita quod manu propria scriptum et probatum. Si quis hanc artem perficeret et mille millies annos semper viveret numquam sibi diebus vite suis deficeret. In anno eodem XXVI die prima novembris.

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CHIARA CRISCIANI – MICHELA PEREIRA

R Roudnice, Biblioteca Lobkowicz,VI Fd 26 (ca. 1450) p. 5: Incipit Aurora que dicitur mora. Incipit: F/venerunt michi omnia bona pariter cum illa sapiencia austri ... Explicit, 77: ... hec medicina gloriosa quam omni investigatre (sic) fideli et pio prestare dignetur deus omnipotens unigenitusque filius dei dominus noster iehsus cristus qui cum patre et spiritu sancto vivit et regnat deus per infinita secula seculorum amen. E DY W (aggiunta di altra mano): Explicit secundus tractatus huius libri. (mano del copista) Est autem sublimatio quinte essentie a fecibus elementaribus extinctio et vaporum essentialium in alembico provocatio et dicitur sublimatio quasi sub alembico levatio. Et lambic ab imis latio etc. M Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana,VI.215 (a. 1475) f. 65r: Incipit tractatus Aurora consurgens Incipit: (V)enerunt mihi omnia bona pariter cum illa sapientia austri Explicit, f. 100v: … Nam hec medicina est convertibilis in omnes colores.Alia vero sunt experimenta /f. 101r/ artificii sagaci committenda. (ed.Waldkirch, 244) Explicit tractatus Aurora consurgens. V Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs 5230 (ante 1465) f. 238v, sul fondo della pagina, dopo uno spazio bianco corrispondente a circa 10 righe di testo che segue l’explicit del Liber lapidarii ps.lulliano (Explicit lapidarius raymundi magici 1467 16 Junii), si trova questa annotazione: Scientia alquimie est donum dei dicit aurora consurgense in principio secundi tractatus. f. 239r: Incipit aurora consurgens Incipit:Venerunt mihi omnia bona partier cum illa sapientia austri … Explicit, f. 249v: … in xl die apparet in eo anima et a 40 die incipit nutriri sanguine menstruali per cursum eius. (ed.Waldkirch, 194) W Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Hs 11374 (XVII sec.) f. 1r: Incipit Aurora quae dicitur mora Capitulum 1 Incipit: Enarraverunt mihi omnia bona pariter cum illa sapientia austri... Explicit, f. 69r: ... hec medicina gloriosa quam omni investigare fideli et pio praestare dignetur Deus optimus unigenitus filius Dei Dominus noster Iesus Christus qui cum patre et Spiritu Sanctu vivit et regnat Deus per infinita saecula saeculorum Amen E DY W Explicit tractatus secundus huius libri. Est autem sublimatio quinte essentie a fecibus elementaribus extinctio et vaporum essentialium in alembico provocatio et dicitur sublimatio quasi sub alembico levatio. Et lambic ab imis latio etc.

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Rh Zürich, Zentralbibliothek, Codex Rhenoviensis 172 (ca. 1420/1430) (acefalo) f. 3r: sitates tollit de corpore de quo canitur ... (ed. von Franz, 90 l.75) Explicit, f. 36r: ... quam omni investigare fideli et pio prestare dignetur Deus omnipotens, unigenitusque filius Dei dominus noster Iesus Christus, qui cum Patre et Spiritu sancto vivit et regnat unus Deus per infinita secula seculorum Amen. Est autem sublimacio quinte essencie a fecibus elementaribus extraccio et vaporum essencialium in alembico perfocacio et dicitur sublimacio idest sub alembico levacio.

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CHIARA CRISCIANI – MICHELA PEREIRA

Appendice III LOCALIZZAZIONE

DELLE IMMAGINI NEI MANOSCRITTI

Nella prima colonna a sinistra il numero dell’immagine (cfr. la riproduzione dell’intero ciclo standard da L: Tavole b/n, 1-33); seguono sei colonne con l’indicazione dei luoghi in cui l’immagine si trova nei singoli manoscritti illustrati, più una colonna che mostra la corrispondenza con le immagini di G, secondo la numerazione ad esse attribuita da Adam McLean nella sommaria descrizione che ne dà nel sito www.alchemywebsite.com/aurorafi.html. Seguono, dall’edizione di Aurora consurgens nella raccolta Harmoniae Imperscrutabilis (1625) che contiene il testo integrale, le indicazioni di pagina corrispondenti al luogo d’inserimento dell’immagine nei manoscritti (talora le pagine sono più di una perché in qualche manoscritto il luogo d’inserimento di alcune immagini varia, per quanto sempre di poche righe); poi i corrispondenti numeri di pagina nell’edizione von Franz di ACI e nell’edizione Waldkirch di ACII. Rh

R

L

1

7

39v

2

9

40v

3

9

41r

4

11

41v

5

13

42v

6

14

7

15

8

18

9

B1

W

P1

G

2v

1r

27

177

42

3v

30

178

48

4r

31

179

50

6r

32

179 180

54 56 58

6r

7r

33

181

66

43r

7v

7v

34

182

66 68

43v

8v

8r

23

182

70

44v

9v

10v

24

185

84 86

19

45r

10v

12bis r

26

186

86

4r

29v

AC/HI AC/vF AC/W

10

3r

22

46r

13r

13v

14

188

100

11

5v

26

48r

16r

17r

9

192

120

12

7v

30

49r

18r

20v

20

196

134

13

10v

34

51r

22r

24r

15

200 201

186

14

11r

35

52r

13v

25r

16

201

189

15

12v

38

52v

24v

27r

7

203

192

16

13v

39

53r

25v

29r

8

205

194

17

14v

41

54v

27v

31r

11

207

195

18

16v

45

56r

28v

34v

10

209 210

200

76

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19

Rh

R

L

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AC/HI AC/vF AC/W

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CHIARA CRISCIANI – MICHELA PEREIRA

Appendice IV DESCRIZIONE DEL MANOSCRITTO R - ROUDNICE, THE ROUDNICE LOBKOWITZ LIBRARY, NELAHOZEVES CASTLE (CZ),VI FD 26 Sec. XV (la data 1507 a p. 177 è un’annotazione posteriore). Membr. Legatura in assi e pelle (lo strato di pelle è doppio: sotto rossa, sopra marrone), mm. 140  195, con tracce di fermagli sul piatto anteriore e costola ricavata da una pergamena di musica, con rubricato sulla costola il numero I, molto grande, e sul bordo anteriore della costola la scritta in nero: 1_2Sa. Ff. I+88, mm. 125ca. x 185ca.; specchio di scrittura tracciato a piombo, talora non visibile sul vello, mm. 70  120. Tre diverse numerazioni: una, di due mani diverse, l’una sul margine superiore sinistro sul verso dei fogli (numeri dispari fino a p. 57, cominciando da 1 che corrisponde al verso del foglio di guardia; successivamente solo l’ultimo foglio è numerato, 177), l’altra sul margine superiore destro sul recto, a partire da p. 58 fino alla fine (176): fra le pp. 46 e 47 si constata un’irregolarità nella fascicolazione e una vasta lacuna di testo; una terza numerazione in alto al centro da f. 1 a f. 88 (corretto da mano moderna in 89); infine una numerazione recente, a lapis, segna le pagine sul recto e sul verso (con un errore di numerazione, perché segna come verso di p. 77 la p. 80: sicuramente non è caduto alcun foglio, come si evince dalla fascicolazione e dal testo, che qui non presenta lacune). Fascicolazione irregolare, con richiami solo a partire dal sesto fascicolo ed esclusi gli ultimi due: 3+3, 5+4, 4+4, 3+4, 4+4, 4+4, 4+4 (richiamo a p. 94), 4+4 (richiamo a p. 110), 4+4 (richiamo a p. 126), 4+4 (richiamo a p. 142), 3+3 (richiamo a p. 154), 4+4, 2+2. Scrittura bastarda testuale di un’unica mano. Rubriche e letterine rilevate in rosso. Miniature a tutta pagina sul f. Iv e alle pp. 1, 3, 4 (cfr. inserto riproduzioni); miniature intercalate al testo alle pp. 7, 9 (due figure), 11, 13, 14, 15, 18, 19, 22, 26, 30, 34, 35, 38, 39, 41, 45, 46, 47, 48, 49, 51, 52, 53, 55, 57, 59, 60, 63, 70, 74. Annotazioni di cinque mani diverse, due delle quali compaiono soltanto sul verso del piatto anteriore e sul f. Ir (poco leggibili). Delle altre mani, la prima (A) aggiunge, oltre a molte note marginali su tutto il codice, i titoli correnti sulle pp. 5-47 (Tractatus primus, Primus, Tractatus secundus, Secundus: corrispondono a parte del primo testo in esso contenuto); la seconda (B), più tarda, piccola, leggera e minuta, ripete sui margini i titoli dei capitoli rubricati (talora con leggere modifiche), aggiunge altre annotazioni, alcune delle quali all’interno delle miniature o in stretta relazione con esse (p. 7, nell’immagine: Philosophicus Thesaurus; p. 11, sotto l’immagine: O rey salomon veni vider sapiencia; p. 41, nell’immagine: Herbarium e, a fianco all’immagine, Mater Alchimia), e alla p. 177 la data 1507 nella voluta conclusiva del testo; la terza mano (C), più grossolana e probabilmente posteriore, aggiunge alcune annotazioni al testo, per lo più in latino ma anche in tedesco (p. 149, sulle operazioni dello Spirito santo) e, a p. 59, in francese e italiano: maintien toy a la radice vegetabile d oro. Possessori: sul verso del piatto anteriore un foglio incollato, con la scritta: Handsch78

‘AURORA CONSURGENS’: UN DOSSIER APERTO

rift VI.F.d. 26 Versus alchymisticae XV s. im Besitz Fürst von Lobkowitz’sches Archiv u. Bibliothek in Raudnitz, ist nach den Grundsätzen der Königl. Preußischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin von Herrn W. Dolch im Sept. (sic) 1909 aufgenommen worden; sulla p. 177 è incollato l’ex-libris del principe Ferdinand August von Lobkowitz (1655-1715) 1; a p. 178, a piena pagina, stemma del conte di Plavna (Plauen) 2; all’interno del piatto posteriore, a piena pagina, stemma del conte di Törring 3. Miscellanea di testi d’alchimia, alternati a note ed estratti anch’essi tutti di argomento alchemico. Le miniature sono collegate al primo dei testi. (1) pp. 5-77 [Aurora consurgens] Rubr. Incipit Aurora que dicitur mora F/venerunt4 mihi omnia bona pariter cum illa sapiencia austri …-…hec medicina gloriosa quam omni investigare fideli et pio prestare dignetur deus omnipotens unigenitusque filius dei dominus noster iehsus cristus qui cum patre et spiritu sancto vivit et regnat deus per infinita secula seculorum amen. (il testo è lacunoso in corrispondenza delle pp. 46-47: mancano la parte finale del cap. 18 della seconda parte, l’intero cap. 19, l’inizio del cap. 20, e una figura). Rubr: E D Y W Agg. della mano A: explicit secundus tractatus huius libri (di mano del copista): Est autem sublimatio quinte essentie a fecibus elementaribus extinctio et vapor essencialium in alembico provocatio. Et dicitur sublimatio quasi sub alembico levatio. Et lambic ab imis latio etc. (2) p. 80 Annotazioni della mano A, contenenti simboli alchemici (3) pp. 81-98 [Ps. Alberto Magno, Alchimia minor] Rubr. K 5 alistenis unus de antiquioribus post hermetem …-… et humidum suum unctuosum fuerit consumptum. Et sic est finis huius.

1. La documentazione nota non permette di stabilire in quale momento e in che modo (acquisto, dono) il manoscritto sia entrato in possesso della famiglia Lobkowitz. Ringrazio Sona Cernocˇka, curatrice della biblioteca Lobkowitz a Nelahozeves zamek, per l’aiuto che mi ha cortesemente prestato nel corso della mia ricerca sul posto e, successivamente, ha accuratamente riveduto la presente descrizione. 2. Der Politische Bezirk Raudnitz.Teil II. Raudnitzer Schloss, verfaßt von Dr. Max Dvorˇák und Br. Boh. Mate˘jka, Topographie der Historische und Kunst Denkmale – Verlag der Archeologischen Commission Bei der Böhmischen Kaiser Franz-Josef Akademie für Wissenschaften, Litteratur und Kunst, Prag 1910, 312-14. 3. Ibid. 4. La lettera grande, rilevata in nero con tracce d’oro, è sicuramente una F, con all’interno una duplice indicazione (v in alto, u in basso); segue la scritta «Enerunt», ma il tutto può essere letto facilmente «fuerunt». 5. L’iniziale è di dimensioni maggiori (equivale in altezza a cinque righe di testo) ed è rubricata.

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CHIARA CRISCIANI – MICHELA PEREIRA

(4) pp. 98-99 [Note] Rubr.: De natura plumbi, Nota de caloribus, Nota (5) p. 100 [Versi] Lemniadem lapidem (la mano B aggiunge, sopra, il simbolo del sole e la parola auripigmentum) purga contunde simulque … (6) pp. 100-12 Rubr. Questio curiosa de natura solis et lune Queritur utrum secundum artem possit fieri verum aurum an non …-… aurum preparatum ut est supradictum. Et sic patet questionis determinatio cum sua responsione vera et determinata de natura solis et lune. Deo laus et gloria in sempiterna secula, amen. Non secreta tui cordis sciat omnis amicus / hic tibi forsan erit capitalis cras inimicus (7) pp. 113-14 Putrefactio est corruptio facta in humido a calore …-… et incineracionem vero non. (8) p. 114 Dicit Petrus de Crescentiis libro primo, ca. licet ubi loquitur de letamine et stercore et cibo plantarum, quod omnis corruptio que est secundum naturam sic fit: quod extrahitur humidum et remanet siccum decidens in cineres, sicut cito incineratur omne stercus animalium, propter quod animalibus creatus est venter, in quo cibus corrumpatur et extrahatur ab eo id quod nutrit animal, scilicet humidum nutrimentale. Ipsa enim extractio humidi ipsius, quod attrahitur in cibum, corruptio est eius, quod nutrit, quod in ventrem ingestum est per manducationem. Dicit etiam idem ibidem: Scimus autem quod similium in corpore facilior est imitatio, quam eterogeniorum. Hoc etiam ostendunt industrie alkimicorum, quod optimas quaslibet maturaciones in clibano letaminis precipiunt fieri, vocantes clibanum letaminis calorem humidum. (9) pp. 115-24 Rubr. Incipit liber proporcionum elementorum Septem sunt planete secundum quorum cursum omnia inferiora reguntur …-… promoventur remissiores secundum unita et retinent proprium gradum. Segue il quadrato degli elementi e, in fondo alla pagina, il titolo rubricato del trattato che inizia alla pagina seguente: Rubr. Incipit Ortulus super thelesim Hermetis (10) pp. 125-31 [Hortulanus, Commento alla Tabula smaragdina] Ego dictus Ortulanus, Martinus nuncupatus, jacobina pelle involutus, novissimum ymmo indignus vis philosophorum mereor vocari discipulus …-…unde plures vie sunt ad unum finem. Et hec sufficiunt in lapide philosophico componendo. 80

‘AURORA CONSURGENS’: UN DOSSIER APERTO

(11) pp. 131-32 Rubr. Dictum pulchrum nudam continens veritatem Qui scit mortificare et post mortem vivificare …-… solvit, mollit, animam de corpore tollit etc. Deo gratias (12) pp. 132-33 Rubr. Super principium libri Jebri de investigacione veritatis de condicionibus essencialibus tincture Consideravimus in nostris voluminibus diversis …-… quia alias non sint similia secundum Jebrum. (13) pp. 133-34 Rubr. Item alio modo exprimuntur elixiris proprietates Hys consideratis invenimus investigatione nostra septem proprietates …-… vel aurum cum omnibus suis differentiis certus et notis etc. Reliquum huius libelli volenter omisi. (14) pp. 134-38 Rubr. Sequuntur tria capitula recepta ex libro de perfectione magisterii primum de sublimacione markasite Markasite sublimaciones sunt due …-… sublimacio huius eodem ordine cum causis et experienciis suis. (15) p. 138 [Versi] Si quis nigrescat massetur sole calescat …-… aureus ut pridem modus est hinc practicus idem. (16) pp. 139-49 [Versi 6] Rubr. Incipit aurea massa Spiritus inspirans deus inquam rota rota gyrans …-… ex multis sassa nunc explicit aurea massa. [dopo alcune righe bianche, sempre nella p. 149] Finis origo rei liberalis amor requiei / te cognoscendum te des in amore fruendum / ynque yenardya fac psallere philosophia / quo cum pro pia duc celi cassia via. (17) pp. 150-69 Thesaurus philosophie reserat nobis eius salutaris cuius sunt omnia celum terra mare …-… cuius utilitas maior est quam possit percipere aliqua ratione. Explicit thesaurus philosophie.

6. Nel corso del testo vengono nominati diversi alchimisti, fra cui quelli della Turba philosophorum.

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CHIARA CRISCIANI – MICHELA PEREIRA

(seguono dopo uno stacco quattro versi, indicati sul lato come di Ovidio: Ovidius M.; e poi, dopo un altro stacco, altri due) Moribus edocto si quicquam credis canuto / vive tibi quarumcumque potes prelustria vita / vive tibi et longe nomina incigna (sic) fuisse / serum pre histri fulmen ab vivere venit Ignem preterea tribuere sciveris igni / mercurium cum mercurio tibi sufficiunt hec. (18) pp. 169-77 [Versi] Fili doctrinam sanam tibi porrigo unam …-… statim subsequitur in massa aurea. Nota massa rebus etc. (aggiunta della mano B: 1507) Riferimenti bibliografici: Dvorˇák M., Mate˘jka B., Der Politische Bezirk Raudnitz. Teil II. Raudnitzer Schloss (Topographie der Historische und Kunst Denkmale), Prag 1910 (traduzione tedesca ampliata di Politicky okres Roudnicky´. Díl II. Zámek Roudnicky´, Praha 1907). Bohatec M., A la recherche des trésors cachés, Praga 1970, 68 e ill. 35, 36 (tradotto in varie lingue). Obrist B., Les débuts de l’imagerie alchimique, Paris 1982, 183-245. Gabriele M., Alchimia e iconologia, Udine 1997, 49-96.

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2. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 40v 1. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 39v

3. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 41r

4. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 41v

6. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 43r

5. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 42v

8. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 44v

7. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 43v

9. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 45r 10. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 46r

11. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 48r

12. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 49v

13. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 51r

14. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 52r

15. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 52v

16. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 53r

18. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 56r

17. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 54v

19. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 56v 20. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 57r

22. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 58v 21. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 58v

23. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 59r

24. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 60r

25. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 60v

26. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 60v

28. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 63r 27. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 62r

30. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 64r 29. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 64r

32. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 69r

31. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 65v

33. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 70v

A. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 37r

B. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 37v

C. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 38r

D. Universiteitsbibliotheek Leiden, ms.VCF 29, f. 38v

A. The Roudnice Lobkowicz Library, Nelahozeves Castle, Czech Republic, ms VI Fd 26, f. 1v

B. The Roudnice Lobkowicz Library, Nelahozeves Castle, Czech Republic, ms VI Fd 26, p. 1

C. The Roudnice Lobkowicz Library, Nelahozeves Castle, Czech Republic, ms VI Fd 26, p. 3

D. The Roudnice Lobkowicz Library, Nelahozeves Castle, Czech Republic, ms VI Fd 26, p. 4