Ambigrammi: Un microcosmo ideale per lo studio della creatività   [1. ed]
 8877570067, 9788877570062 [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

DOUGLAS R. HOFSTADTER AMBIGRAMMI un microcosmo ideale per lo studio della creatività

hopefulmonster

Titolo originale AMBIGRAMS Traduzione di Fulvio Salvadori con la collaborazione dell'autore Prefazione di Scott Kim Progetto grafico di Giancarlo Bicocchi (Santa Teresa, 23 maggio 1987) Prima edizione: Hopeful Monster editore Firenze, 1987

© 1987. Hopeful Monster editore Firenze ISBN 88-7757-006-7

INDICE

PREFAZIONE I. INTRODUZIONE ALL'AMBIGRAMMATICA Che cos'è un ambigramma? La varietà degli ambigrammi L'evoluzione delPambigrammatica... ...e del nome "ambigramma" Ambigrammi stiracchiati, ambigrammi naturali Alcuni cugini degli ambigrammi II. LA CREAZIONE DI AMBIGRAMMI Tre abilità chiave nell'ambigrammatica Le cinque fasi della creazione La percezione e le nostre categorie mentali L'equilibratura: cuore del processo creativo Decisioni discrete e decisioni continue Domande preconfezionate e domande spontanee Modelli militari e modelli anarchici del pensiero Osserviamo da vicino la creazione di un ambigramma III. LA PROBABILITÀ DI SUCCESSO È difficile fare ambigrammi? Perché si può fare in pratica un ambigramma su ogni nome? Le sedici operazioni di simmetria La distorsione curata delle lettere: il segreto degli ambigrammi Il raggruppamento e la nozione di "entità indivisibili" IV. IL SOGNO DELLA MECCANIZZAZIONE DELL'AMBIGRAMMATICA La creazione meccanizzata e gli "ambialfabeti" Tristi ambigrammi, privi di magia Sette difficoltà per un approccio troppo meccanico

11 17 18 27 31 32 37 39 40 42 46 49 52 54 56 68 69 71 78 79 85 88 92

Esplosioni combinatorie e creature creative Il riconoscimento delle forme e la percezione umana Un'analogia tra numeri primi e entità indivisibili V. AMBIGRAMMI E ANALOGIE La distorsione curata delle categorie: il segreto delle analogie Tre tipi di analogie e di ambigrammi La selezione naturale e l'inesistenza di ambigrammi brutti Gli ambigrammi: creazioni oppure scoperte? Il ruolo della fortuna nell'ambigrammatica L'elasticità delle parole... ...mette in dubbio la validità delle analogie? Le operazioni di simmetria applicate alle analogie L'attrattiva irresistibile del superficiale Coincidenze, miracoli, e un detto di Enrico Fermi VI. LA LETTURA E LE LETTERE Lezioni apprese dagli ambigrammi favoriti Quattro principi religiosi La concorrenza tra pressioni mentali incommensurabili Quell'odioso puntino sulla "I" maiuscola Eppure si legge: il caso di "Johann Sebastian Bach" Orde di "ricognitori" microscopici al lavoro nel cervello Concetti diffusi e sovrapposti L'effetto di puntellamelo percettivo I ruoli e la struttura nascosta dei concetti L'influenza dell'accoglienza pubblica Cosa si aspetta l'ambigrammista dal pubblico Ambigrammi in altri sistemi di scrittura VII. CREAZIONE CONTRO SCOPERTA II paradosso del credito I romanzi e le sinfonie come mere scoperte Due miti simili: il libero arbitrio e la novità creativa Delitto e castigo scritto da Elio Vittorini? II ruolo del caso e dell'arbitrio Slittabilità e rivelazione Le ambimelodie Vili. LETTERA E SPIRITO La creatività modellata in micromondi Mini-analogie alfabetiche e grafiche Sempre aspettare l'inaspettato!

95 98 99 101 103 105 109 112 116 120 123 130 131 137 139 143 145 149 154 155 158 161 167 169 170 179 181 183 187 188 190 191 192 193 199

AMBIGRAMMI Le venti regioni d'Italia Città italiane Persone Musicisti Vari BIBLIOGRAFIA

201 211 239 257 265 271

Hopeful Monster ringrazia Adelina von Fürstenberg

PREFAZIONE

E benvenuta sia la Sala a Specchi di Douglas Hofstadter! Se questo fosse il mio libro Inversions, leggereste la prefazione di Doug Hofstadter, mentre quella che state leggendo è la mia prefazione al libro di Doug. Quando Doug scrisse la prefazione alla mia raccolta di scritte simmetriche, gli dissi che un giorno speravo di fare altrettanto per i suoi caratteri disegnati. Sono contento di poter dire che il ciclo è chiuso. Gli "ambigrammi", come li chiama Doug, hanno regole semplici: basta scrivere un nome, o una parola, allo stesso tempo leggibili e simmetrici. È ovvio che la leggibilità è nell'occhio di chi legge, e che si ottiene la simmetria in molti modi. Per ciascun nome ci sono perciò molte vie possibili da esplorare. Resto sempre affascinato dalla gamma di stili diversi adottata dagli "ambigrammisti" di mia conoscenza. Doug, ad esempio, preferisce lettere maiuscole disegnate con linee a larghezza costante, mentre io sono più propenso a usare minuscole con linee a spessore variabile. Con Doug amiamo sfidarci nel raggiungimento di nuove vette dell'assurdo. In questa raccolta, egli ha composto ambigrammi introducendo novità importanti: l'oscillazione (come in "Mozart Quartet" Fig. p. 259), la rotazione di 90 gradi (come in "David Moser", Fig. 12), l'interscambio di minuscole e maiuscole ("Don Byrd", Fig. 5), lettere che compaiono dal nulla (si noti come la " o " di "Tom" si nasconda all'interno di "Lehrer" nella Fig. p. 263). La " S " eccessiva di "Sondra" (Fig. 37) mi richiama alla mente l'amore di Doug per i pezzi per piano di George Gershwin. Gershwin dev'essere stato felice di aver immaginato accordi inimmaginabili, insensatezze armoniche, eppure avendo osato trovare ta-

li accordi, sempre era capace di inserirli in contesti in cui non solo risultavano accettabili ma anche gradevoli. Niente di diverso accade negli ambigrammi. Una figura che può dapprima apparire insensata dal punto di vista dell'alfabeto, come la "y" di "Nancy" (Fig. 3), acquista un senso nel contesto del nome. Come mi disse una volta il mio amico Jef Raskin, nell'improvvisazione musicale più importante che entrare nelle situazioni è saperne uscire. Lo stesso avviene negli ambigrammi: i principianti sanno benissimo come restare impigliati nelle complicazioni, ma solo gli esperti conoscono come sciogliere i nodi. Ma, al di là della frivolezza del gioco, qual'è il punto? A che scopo sottoporre le lettere a queste penose contorsioni? Forse Hofstadter non sa come si fanno le lettere? La risposta usuale sarebbe quella di dare un valore romantico ai giochi intrapresi dagli adulti: "È uno scienziato serio; non è sorprendente che trovi anche il tempo per questi giochi?". Ma così si emargina il gioco e lo si tratta come un lusso. Non è la mia opinione, e scrivere questa prefazione mi ha offerto l'opportunità di scorgere la connessione fra frivolezza e gravità. Doug, in effetti, pensa al funzionamento del pensiero. Crede che il pensare non si riduca a una catena di argomenti logici, ma che sia una nube di associazioni fuggitive, come le inattese interconnessioni di idee che emergono con particolare chiarezza nelle analogie, nelle battute, nei lapsus di lingua e di mano. Per Doug, i pensieri più gravi posseggono la stessa tessitura dei giochi di parole più leggeri. Pertanto il Gioco, nel senso più ampio, non è qualcosa che si fa a tempo perso, ma ciò che facciamo tutto il tempo. O, almeno, che noi facciamo tutto il tempo. Io e Doug amiamo gingillarci con le idee, distorcerle per poi ricombinarle in modi astrusi spingendole fino ai loro limiti, e anche al di là. Molti considerano il libro di Doug, Godei, Escher, Bach, come una grande sintesi, ed è vero che gl'interessi di Doug siano molto vasti. Per me, tuttavia, l'aspetto più significante e ispirante che colgo nei suoi scritti è la voglia, o piuttosto dovrei dire la brama, di giocare, di esplorare ie idee nelle loro associazioni a livelli molteplici (anche a rischio di apparire ridicolo a volte). In particola-

re, Doug si sente a suo agio con le stravaganze del paradosso e dell'autoreferenzialità. Anche la mia mente è affollata da tali associazioni, ma è soltanto dopo aver incontrato Doug che ho imparato a rispettarle. Detto ciò, quel che amo di più negli ambigrammi, non è la complessità, ma il fatto che siano personalizzati. Quando osservo un ambigramma di qualcuno che non conosco, attraverso di esso riesco a farmene una certa immagine. Spero perciò che anche voi possiate ricevere un'immagine di Doug per mezzo dei suoi ambigrammi e, scoprendone i trucchi e le strutture, trarne altrettanto piacere di quanto ne ebbe lui nel farli. Scott Kim

13

DIALOGO TRA GEBSTADTER E HOFSTADTER

I. INTRODUZIONE ALL'AMBIGRAMMATICA Nel saggio che segue, in forma di conversazione tra me e il mio alter ego, Egbert B. Gebstadter, sono esposte le mie vedute su un tipo di arte che esercito da molti anni. Certe domande poste nel prosieguo sono le più comuni tra quelle in cui mi sono imbattuto mostrando alla gente i miei ambigrammi; altre ancora toccano livelli profondi rispetto all'attività stessa della loro creazione — anzi della creazione in generale. Io penso alle mie ipotesi sulla creatività in questo campo come ipotesi sulla creatività in generale, perché sono convinto che questo campo curioso e divertente sia rappresentativo di qualsiasi altro in cui si esprima l'esercizio della creatività, come l'improvvisazione e la composizione musicale, l'arte visiva di ogni genere, i giochi di parole, la letteratura, e la scoperta matematica o scientifica. Geb :

Che cos'è un ambigramma? Bene, cominciamo dall'ovvio. Cos'è un ambigramma?

H o f : Un ambigramma è un gioco di parole visivo di tipo speciale: un disegno calligrafico che possiede due (o più) interpretazioni chiare come parole scritte. Si può saltare a volontà dall'una all'altra delle letture rivali, spostando di solito materialmente il punto di vista (muovendo in qualche modo il disegno), e più raramente alterando semplicemente qualche decisione percettiva (rovesciando internamente un commutatore mentale, per così dire). Talvolta le due letture diranno cose diverse, altre volte identiche. Un ambigramma le cui letture sono diverse si chiama eterogramma\ uno con letture identiche, omogramma. Nel tipo più comune di ambigramma, le due interpretazioni ruotano di 180 gradi l'una rispetto all'altra — cioè si ottiene una seconda lettura dalla prima semplicemente girando il foglio. Questo si chiamerà ambigramma mezzo-giro. Se ne può avere un esempio nella Fig. 1, che è un omogramma mezzo-giro sulla parola inglese "Ambigram".

G e b : Gli ambigrammi, almeno quelli di questo tipo, sono una varietà dei palindromi? H o f : Non esattamente, anche se questa è un'impressione comune. Un palindromo è una parola o una frase che letta dalla fine all'inizio dice la stessa cosa che letta dall'inizio alla fine. Questa proprietà non dipende in alcun modo dall'aspetto visivo della frase, ma soltanto dalla sequenza in cui sono disposte le lettere che la compongono. Un ambigramma invece è un fenomeno intrinsecamente visivo, quasi un'illusione ottica (benché non si tratti certamente di un'illusione). Tuttavia molta gente non può fare a meno di vedere negli ambigrammi mezzo-giro (e in altri tipi di ambigrammi) dei palindromi; in effetti sono cugini alla lontana, con una forte rassomiglianza di famiglia. Poiché gli ambigrammi di questo tipo sono i più facili da eseguire (e pertanto i più comuni), e di solito sono anche simmetrici (come nella prima Fig.), molte persone giungono alla conclusione che per un verso o per un altro ogni ambigramma debba essere di necessità simmetrico, mentre non è assolutamente così. La simmetria ha molto a che vedere con gli ambigrammi, ma non per questo tutti gli ambigrammi sono simmetrici! E nemmeno tutti gli omogrammi.

La varietà degli ambigrammi

G e b : Vedrei volentieri un omogramma asimmetrico, ma prima è bene stabilire quali altri tipi di ambigrammi ci sono. H o f : Bene, oltre alle rotazioni di 180 gradi vi sono quelle di 90 gradi — i quarti di giro, in cui una lettura interesserà la normale sequenza orizzontale, mentre l'altra riguarderà una striscia verticale di lettere. Un eterogramma quarto-di-giro che si legge "Fuga" nel senso verticale e "Bach" quando lo si ruota di 90 gradi in senso orario è mostrato nella Fig. 2. Come si vede, è tutto meno che simmetrico! Siamo partiti qui dalla lettura verticale, mentre di solito si parte da quella orizzontale. Per convenzione si dice che questo è un quarto-di-giro a senso antiorario, perché una ro-

1. Un mezzogiro omografico

ua 2. Un quarto-di-giro antiorario eterografico 3. Un quarto-di-giro orario eterografico

W O C v

4a. Una riflessione muro eterografica 4b. Una riflessione lago eterografica

tazione in senso antiorario ne trasporta la lettura orizzontale sulla verticale. Si noti come ciò trasformi la fine di "Bach" nell'inizio di "Fuga". Ciò vale per ogni quarto-di-giro a senso antiorario. Naturalmente sono ugualmente possibili quarti-di-giro a senso orario, che trasportano l'inizio sull'inizio. Ne é un esempio la Fig. 3, un eterogramma quarto-di-giro a senso orario su "Robert" e "Nancy". Gli ambigrammi quarto-di-giro sono un po' più difficili a farsi di quelli mezzo-giro, pertanto sono più rari. C'è un'altra possibilità importante: far sì che una lettura sia la riflessione dell'altra. Poiché la si può ottenere con uno specchio a muro (superficie verticale) o sullo specchio d'acqua di un lago (superficie orizzontale), ci si renderà conto come essa dia luogo a due tipi di ambigramma ben distinti. A visualizzare questo contrasto propongo la Fig. 4a, un ambigramma a riflessione muro, e la Fig. 4b, un ambigramma a riflessione lago-, in ambedue si legge "Siena" per un verso e "Palio" nell'altro (illustrando lo scritto famoso "Chi scrive Siena scrive Palio"). Se non si ha a portata di mano uno specchio, si possono osservare le figure dal retro della pagina. Una variazione minore ma curiosa su questo tema è la riflessione di una scritta verticale. La Fig. 5a mostra una riflessione-fogo verticale che si legge "Don Byrd" in ambedue i sensi, la Fig. 5b una riflessione-muro in cui si legge ancora "Don Byrd", una volta maiuscolo e una volta minuscolo! G e b : Che ne dici: quest'ultimo è un omogramma o un eterogramma? In un senso le due letture sono le medesime, mentre in un altro sono diverse. H o f : Per me è indifferente. Ma se lo pensi come un omogramma, allora hai trovato l'omogramma asimmetrico che cercavi. Di tanto in tanto si sono fatti degli ambigrammi che possiedono una simmetria più nascosta, combinazione di riflessione e quartodi-giro. Si chiamano ambigrammi giravolta. La Fig. 6 ne è un esempio: si legge "Perugia" sia in verticale che in orizzontale do-

po una riflessione muro e una rotazione a senso orario. Questa è un'altra situazione limite: si tratta di un omogramma asimmetrico o di un eterogramma? Geb :

Lo chiamerei piuttosto un omogramma asimmetrico.

H o f : Anch'io, credo. Se cominciamo dalla lettura orizzontale e prima lo giriamo in senso antiorario, e poi lo voltiamo (cioè lo riflettiamo a muro), ne otterremo la lettura verticale: sarà pertanto una giravolta a senso antiorario. Si noti la concordanza di questa terminologia con quella degli ambigrammi quarto-di-giro: "a senso orario" significa "inizio con inizio", e "a senso antiorario" significa "inizio con fine". Geb :

E se a un mezzo-giro combiniamo una riflessione?

H o f : Niente di nuovo: da una riflessione muro risulta una riflessione lago, e viceversa, come puoi accorgerti da solo. Infine, come ho già accennato prima, è perfino possibile che due letture diverse di un ambigramma oscillino tra loro, intervenendo solo uno spostamento percettivo del punto di vista, senza che tuttavia ve ne sia uno materiale — lo spostamento sta totalmente nella testa di chi guarda. Casi simili ricordano i disegni ambigui o biunivoci come il famigerato "cubo di Necker" della Fig. 7a, che può fluttuare tra avanti e dietro, spesso sfuggendo al controllo di chi guarda. La Fig. 7b è un esemplare di ambigramma a oscillazione che fluttua tra le due interpretazioni di "Scott" e "Kim". (Per ragioni che non capisco interamente, gli italiani tendono a leggere "Kim" facilmente ma "Scott" difficilmente, mentre per gli americani è quasi indifferente.) Per finire, è essenziale che un ambigramma sia un oggetto elegante da un punto di vista calligrafico perché possa essere considerato ben fatto: le sue linee saranno armoniose, la sua forma complessiva dimostrerà una uniformità di stile senza svolazzi inutili, e così via.

D E y

-A

Sa. Una riflessione lago, con gramma verticale

0

C! O n

y» p

rci

B

D

5b. Una riflessione muro, con gramma verticale 6. Una giravolta antioraria omografica

JCIH 10

W T7 XJ \W

7a. Il cubo di Necker, che oscilla tra due interpretazioni stabili 7b. Un ambigramma a oscillazione

10. L'alfabeto scritto da Scott Kim come una riflessione muro

G e b : In un certo senso, qualsiasi campione scritto è un omogramma a oscillazione che si sposta tra due letture identiche. Ma questo è un caso degenerato, proprio banale. Mi chiedo però se non esista da qualche parte un omogramma a oscillazione non banale. Hof :

Un indovinello molto grazioso! Ci penserò sopra.

G e b : Bene! Dimmi — perché gli ambigrammi si fanno di solito sui nomi delle persone, più che sulle parole? H o f : Perché prima di tutto gli ambigrammi sono apprezzati come regali ed è una gioia farli per gli amici. Ricevere qualcosa di esclusivamente personale è una piacevole esperienza per chiunque, specialmente se questo qualcosa ha il valore, come nel caso degli ambigrammi, di una sorpresa che si rinnova ogni volta che 10 si mostra — vi è come un senso di magia che viene evocato. Per una coppia, poi, può esser romantico vedere i propri nomi fusi insieme in un disegno armonioso. Una volta un mio amico, Randy Read, ha commentato: "Il più tenero atto d'amore è manipolare 11 nome dell'adorato" — un pensiero incantevole. Una seconda ragione è che molti nomi sono internazionali e pertanto restano leggibili anche se li sposta da un paese a un altro. Ciò vale soprattutto per i nomi di personaggi o luoghi famosi, ma anche per molti nomi più comuni. Non c'è tuttavia niente di sbagliato nel fare ambigrammi su parole ordinarie, come per esempio nella Figura 8, che sarebbe utile nei negozi.

L'evoluzione dell'ambigrammatica... Geb :

Chi ha inventato gli ambigrammi?

H o f : Non saprei dirlo con precisione. Martin Gardner presenta alcuni ambigrammi mezzo-giro nelle sue note al libro Oddities and Curiosities of Words and Literature di C.C. Bombaugh, che risalgono abbastanza indietro nel tempo. Uno degli esempi fu

pubblicato sullo Strand Magazine già nel 1908: pertanto l'idea è almeno altrettanto vecchia — ma con ogni probabilità è più antica. Per quanto mi riguarda, incontrai per la prima volta il concetto di ambigramma presso il mio vecchio amico Peter Jones, che l'aveva inventato per conto proprio, all'incirca nel 1964. (Vedere alla Fig. 9, un ambigramma quarto-di-giro a senso antiorario sul suo nome). Insieme ci mettemmo a giocare con i nostri nomi e con quelli degli amici. Alcuni di questi tentativi erano ingegnosi, ma per lo più erano buffi e brutti. Ho l'impressione che l'idea avesse conquistato più me di Peter, perché continuai il gioco più a lungo, benché probabilmente non ne abbia fatti più di una dozzina nel periodo di alcuni anni. Circa dieci anni dopo Peter Jones, Scott Kim, allora studente liceale, ebbe di nuovo e in maniera autonoma questa idea. Fu appena prima che c'incontrassimo (nella primavera del 1976). Passò poco tempo e scoprimmo di avere in comune questo strano gioco con le lettere; tutti eccitati ci scambiammo allora i nostri ambigrammi (benché allora non avessero ancora questo nome). Quelli di Scott erano migliori della maggior parte di quelli che Peter e io avevamo fatto, e da allora Scott perfezionò sempre di più il suo stile fluido e prodigioso. Direi che Scott è l'ambigrammista migliore che esista. Ha fatto migliaia di ambigrammi, e nel 1981 uscì un libro dal titolo Inversions, che riuniva i migliori. Io scrissi la prefazione. Come esempio della sua maestria si veda la Fig. 10, un bellissimo alfabeto a riflessione muro, eseguito da Scott nel 1980. Alcuni degli ambigrammi meglio riusciti di Scott vennero pubblicati nel 1979 nella rubrica "Games" della rivista mensile Omni come "designature". Fu anche aperta una gara tra i lettori per le migliori "designature", e alcuni numeri dopo Omni pubblicò i vincenti. Nello stesso periodo Martin Gardner mostrò alcuni dei migliori lavori di Scott Kim nella sua rubrica su Scientific American. Per questo molti associano gli ambigrammi a queste pubblicazioni.

8

8. Una riflessione muro che sarebbe utile ai negozianti

M S I Alt •



»

DIVISION 11

9. Un quarto-di-giro sul nome di un ambigrammista in pensione

11. Un ambigramma molto stiracchiato

... e del nome "ambigramma"

G e b : Si ha l'impressione che vi sia una certa indecisione sul nome. Hai detto che sono stati chiamati "designature" e "inversioni", oltre che "ambigrammi". Il primo termine è certamente goffo e suona male. "Inversioni" sembra migliore. Ma la parola "ambigramma", da dove è uscita? H o f : "Ambigramma" è una parola composta con un pedigree linguistico un po' dubbio. A dire il vero, non amavo il termine "inversioni" di Scott: mi sembrava troppo debole e non comunicava l'essenza del fenomeno. Dopo alcuni anni, perciò, mi misi a cercare un termine più vivace. Alcuni amici si unirono alla ricerca, e dallo sforzo comune uscì fuori "ambigramma", che consiste nel prefisso latino "ambi-" che significa "doppio" (come in "ambiguo"), e nel radicale greco "gram", che significa "campione di scrittura". Perciò la maniera più semplice per definire gli ambigrammi è "campioni ambigui di scrittura". Mi rendo conto ora che sarebbe stato più corretto, dal punto di vista della purezza etimologica, usare il prefisso greco "amphi-" (o "anfi", in italiano), che significa "a doppio senso", come in "anfibio", oppure come nella strana parola "anfisbena", che significa "un serpente che ha una testa a ciascuna estremità", invece dell'"ambi" latino. In questo caso il termine sarebbe stato "anfigramma", o forse perfino "anfonimo" ("nome a doppio senso"). Tuttavia quando trovammo il termine "ambigramma", eravamo convinti che "ambi-" fosse greco. Probabilmente è stato meglio così, poiché "anfigramma" o "anfonimo" suonano meno contagiosi di "ambigramma", e la nostra comunità è ormai assuefatta al termine. Geb :

Vuoi dire che esiste una comunità di ambigrammisti?

H o f : Ce n'è una, ma non troppo vasta. Conosco meno di dieci persone che praticano l'ambigrammatica regolarmente e con competenza. Ed è interessante notare come ciascuno di essi, senza

eccezione, abbia trovato per proprio conto un nome da dare alle sue creazioni. Scott Kim continua a chiamarle per lo più "inversioni", anche se talvolta passa ad "ambigrammi". Naturalmente, io uso solo "ambigrammi". Per i suoi lavori, Greg Huber ha inventato il nome spassoso " i f f y g l y p h " ("glifica dubbiosa"), mentre Roy Leban (gemello di Bruce) disegna solo "twinonyms" ("gemellonomi"). Un artista di New York, Robert Petrick, chiama ciò che fa "Symmetricks" — parola composta da "symmetry" ("simmetria") e "tricks" ("trucchi") e per di più rima col suo cognome. E, buon ultimo, Alejandro López, uno psicologo cileno recentemente infettato da questa mania, bolla ogni sua creatura con il nome di "abrapalabra" — che suona simile a "abracadabra" dove "palabra" ("parola" in spagnolo) è stato sostituito a "cadabra". Io uso la parola "ambigramma" come termine generale che comprende tutte le varietà, benché solleciti ogni nuovo ambigrammista a cercare un nome originale per le sue creazioni. Nell'inglese c'è spazio per molti altri, come per esempio "flip-'n-see" ("girae-guarda", ma che, pronunciato "flippancy", diviene "insolenza, monelleria"); oppure "see-saw" ("altalena", oppure "vedividi"), o anche "polygrok" (nei circoli fantascientifici, "grok" è usato nel significato di "capire"). Un termine ulteriore coniato da Greg Huber è "Looney Runes" (da "Looney Tunes", i famosi cartoni animati). A dire il vero, anche trovare nuovi nomi per gli ambigrammi è un'arte. Spero che i lettori italiani si divertano a trovare nomi alternativi in italiano. Geb : meno?

Ambigrammi stiracchiati, ambigrammi naturali

Come viene stabilito se un ambigramma è riuscito o

H o f : Una domanda terribile! I pochi accenni che ho fatti in precedenza sull'eleganza sono solo la punta dell'iceberg. Naturalmente non esiste alcun modo in cui io possa caratterizzare in assoluto i fattori che rendono qualcosa visivamente più o meno

elegante. Tuttavia vorrei aggiungere alcune osservazioni sull'argomento. Come ho detto prima, è importantissimo rendere minima la complessità dell'oggetto nel suo insieme, o "gramma". Ora, quasi ogni ambigramma contiene dei pezzetti estranei che devono essere ignorati nell'una o nell'altra lettura — ma fino a che punto? Perché la faccenda sia più chiara possibile, prendiamo come caso estremo l'ambigramma alquanto sospetto sulla parola "Bivisione", mostrato alla Fig. 11. Questo ambigramma (qualcuno rifiuterà di accettarlo come tale) è uno scherzo, ma uno scherzo che ha del serio. Tutti ignoriamo il "Bivisione" capovolto che si trova sopra quello normale finché non lo avremo girato, e dopo ignoreremo la forma che appena prima guardavamo, mentre fisseremo la nostra attenzione sulla forma che fino a un momento fa ignoravamo. Questo gramma è così carico di linee superflue che forse siamo troppo generosi a chiamarlo "ambigramma". Ma dove porre la linea di confine? Qual'è la quantità di svolazzi decorativi che è eccessiva? Dopotutto nei migliori ambigrammi si sfrutta il medesimo effetto — solo lo si fa con maggiore sottigliezza. I buoni ambigrammi si affidano alla disponibilità che ha la gente ad accettare senza protestare una certa quantità di ciò che appaia "decorazione innocente". È per questo che un senso intuitivo della selezione inconscia che l'osservatore opera su ciò che deve ignorare è un'abilità chiave che sottostà a ogni far ambigrammi. Per non affrontare la questione in modo esagerato, proporrò un caso più normale del precedente — quello mostrato nella Fig. 12 . Qui l'estroso contorno che circonda "David", benché superfluo, può essere "scusato" in quanto apporto di disegno elegante. Tuttavia ci si può chiedere perché la quarta parte a destra del contorno sia blu, mentre il resto è nero. Voltandolo di 90 gradi in senso antiorario si scoprirà perché: girata, questa parte del contorno diviene la lettera " M " in "Moser"! L'intero contorno è perciò un espediente che ha un solo scopo — "giustificare", in un certo senso, l'introduzione di una lettera in più nella lettura # 2. Tre quarti del contorno agiscono da "copertura" per la quarta parte — un esempio ottimo di come "nascondere le tracce". Ma trucco

o no, funziona — l'occhio non si ribella. Il "Bivisione" rovesciato invece si faceva notare come un pollice gonfio e non contribuiva certo al disegno; era perciò "senza scuse". Naturalmente la linea di confine tra "elementi di disegno elegante" e "stravaganze inescusabili e gratuite" è vaga e soggettiva. Non vi è dubbio tuttavia che i buoni ambigrammi cadono tutti nella prima definizione, mentre quelli cattivi stanno nell'altra. Virtualmente ogni ambigramma richiede da parte dell'artista una qualche distorsione delle forme letterali. Ma, naturalmente, vi sono le eccezioni. Un esempio semplice è la parola " N O O N " ("pomeriggio', Fig. 13) che, stampata in lettere maiuscole senza terminazioni (questo per gli esperti che sanno che una " N " maiuscola di solito ha la lineetta di terminazione al culmine e non sul margine basso della diagonale), forma un elegante ambigramma mezzo-giro senza alcuna distorsione. Un altro esempio è "tidbit" ("bocconcino", Fig. 13) che, stampato in minuscole, in caratteri austeri senza terminazioni (in cui le " t " in basso non si pieghino), è un buon omogramma a riflessione-muro. Vi è ancora "DEBBIE" (Fig. 13) che (prese ancora le opportune misure) è un buon omogramma a riflessione-lago. Un omogramma quarto-di-giro attraente e del tutto agevole è "OHIO" (Fig. 13) che funziona semplicemente allargando molto le terminazioni in alto e in basso alla "I". Per mostrare che non tutti gli ambigrammi "naturali" sono omogrammi, ho incluso il piccolo eterogramma su "eye" ("occhio") e "aha" per concludere la Fig. 13. Ma come ho detto prima, queste sono eccezioni. In generale per fare un ambigramma si devono distorcere in molti modi le lettere, talvolta facendo curve insolite, talvolta escludendo in tutto o in parte le lineette, talvolta aggiungendo qua e là tratti o arricciolature — elementi essenziali per una lettura, ma non per l'altra. L'arte degli ambigrammi consiste anche nel conoscere con quanta grazia — o meglio, invisibilità — possano essere inserite le distorsioni necessarie alla lettura # 1 nelle forme letterali che compongono la lettura # 2.

NOON l i p R tidbit DEBBIE O 12. Un ambigramma meno stiracchiato

13

13. Alcuni ambigrammi naturalissimi

15

KM

14. Un quarto-di-giro orario dove due lettere nella prima lettura ne fanno una nella seconda

15. Un'altra realizzazione concreta dello stesso scheletro concettuale che sottostà alla Fig. 7b

Alcuni cugini degli ambigrammi

G e b : Lo pseudo-ambigramma "Bivisione" mi riporta alla mente il modo con cui l'artista John James Audubon risparmiava carta scrivendo lettere agli amici. Riempiva una pagina nel modo usuale, poi la ruotava di 90 gradi e continuava a scrivere sopra alla scrittura precedente. In questo modo poteva mettere in una pagina il doppio di scrittura. Si può dire che ciò sia in qualche modo ambigrammatico? H o f : Lo direi una specie di caso limite. Si vede una cosa per un verso e qualcosa di diverso nell'altro, sempre ignorando l'altra faccenda. Ma non c'è senso del gioco e della magia, che sono essenziali. È per questo che non considero le lettere di Audubon come ambigrammi. D'altro canto, se si cercano strani casi limite, perché non prendere allora semplicemente la parola "MENSWEAR", che in America si vede in ogni supermercato? Si può leggere simultaneamente "Mens wear" ("Abbigliamento per uomo") e "Men swear" ("Uomini giurano"). Un altro dei miei favoriti è ' ' S UPERBO WL ' ' (una grande partita di football americano), che si può leggere anche "Superò owl" ("Gufo superbo"). Ambedue sono varianti sul tema degli ambigrammi oscillanti. La differenza consiste nel fatto che nessuno di questi dipende dalla presentazione visiva delle parole che ci sono coinvolte. Gli ambigrammi sono essenzialmente degli oggetti visivi, pertanto debbo ribadire che questi esempi, secondo la mia opinione, devono essere esclusi dalla categoria intesa in senso stretto. G e b : Cosa dire allora dei rovesciamenti tra figura e sfondo come nei bellissimi disegni di M.C. Escher che riempiono tutta una superficie? Può esser fatto qualcosa di simile con le parole? H o f : Certo. Scott Kim ne ha fatti alcuni, e perfino io uno o due. Però, non so per quale ragione, non sono stato preso da questo tipo particolare di ambigramma. Come sfida non mi sembra abbastanza attraente, ma non saprei indicare con chiarezza il perché.

Un'altra variazione marginale sul tema degli ambigrammi è il concetto familiare delle parole le cui lettere sono fatte a loro volta con lettere o parole più piccole. Un esempio estremo è la "figura-MU" che si trova nel mio libro Godei, Escher, Bach, in cui ho costruito le lettere della parola zen "MU" con molte versioni di "OLISMO" e "RIDUZIONISMO", e queste ancora con altre versioni di "RIDUZIONISMO" e "OLISMO" più piccole, che finalmente erano composte con numerosissimi minuscolissimi "MU". Questo "poligramma" poteva dunque esser letto a quattro livelli distinti! La figura-MU era senza dubbio un tentativo sulla strada della magia, e inoltre si trattava di qualcosa di intrinsecamente visivo: era pertanto vicina allo spirito degli ambigrammi. G e b : Ma le lettere in un ambigramma non devono essere all'incirca della stessa misura? H o f : Certo, è una delle premesse non espresse dell'ambigrammatica. D'altronde devo rinnovare la domanda: dove tracciare la linea di confine? La Fig. 14 mostra un quarto-di-giro a senso orario sul nome "Francisco Claro", in cui, salvo la "o", due lettere in una lettura ne fanno una nell'altra. Considero ciò del tutto accettabile. Bisogna convenire pertanto che i confini della nozione di "ambigramma" sono alquanto evanescenti. G e b : Poiché stiamo prendendo in considerazione tipi estremi di ambigramma — o mancati per poco — perché allora non le facce che rovesciate divengono altre facce, o i quadri di Salvador Dalì nei quali si nascondono crani, persone, e altre cose inaspettate? H o f : Abbandonando del tutto il campo della parola scritta, stai veramente forzando il concetto! Del resto non diversamente da come io forzo la parola "battuta" se definisco gli ambigrammi come "battute visive": normalmente, "battuta" ha un significato linguistico più che grafico. In una definizione del genere, "battuta" passa velocemente dall'uno all'altro di due significati — uno metaforico e uno letterale — e parte del piacere nello scrivere o

nel leggere una metafora come questa consiste nella tensione, ossia il senso del distacco e della distanza concettuale tra due sensi. Vi è una sorta di "strappo" subliminale che procura una piccola puntura eccitante, come il sapore dell'anidride carbonica in una bibita gassata. Negli ambigrammi, come nelle metafore, due interpretazioni sono in lotta tra loro, e in essi si ha realmente l'esperienza di questo strappo stimolante, come una tensione o un eccitamento. Senza questo piccolo strappo, senza questa sollecitazione di piaceredolore, gli ambigrammi non sarebbero di nessun interesse per la gente. Perciò sono d'accordo con la connessione da te accennata: gli ambigrammi sono parenti prossimi di tutti quei fenomeni dove interpretazioni rivali sono in competizione tra loro, e ognuna tenta di avere la meglio sull'altra, ciascuna col suo fascino da esercitare. Ma io credo che sia l'ora di discutere gli ambigrammi puri, per tornare poi, forse, a connessioni più astratte. II. LA CREAZIONE DI AMBIGRAMMI

Tre abilità chiave nell'ambigrammatica

G e b : Quali sono le abilità richieste per fare un buon ambigramma?

H o f : A mio avviso, nell'arte ambigrammatica si richiedono tre capacità principali: 1. Immaginazione: l'abilità di guardare una cosa e in essa vederne molte altre. 2. Autocensura: l'abilità di rendersi conto quando un'idea debba esser messa da parte perché le creazioni fondate su di essa sono troppo forzate. 3. Grazia: l'abilità manuale di disegnare curve eleganti, angoli, linee diritte, ecc.

Naturalmente, ognuna di queste è in sé un insieme di sottoabilità, che a loro volta possono essere divise, e così via. Credo però che questi tre siano i pilastri principali dell' ambigrammatica. Inoltre si tratta di tre abilità del tutto distinte, di cui una o due possono essere presenti in una singola persona senza che lo siano le altre. Per esempio, il difetto di gran lunga più comune nei principianti è una esuberanza di immaginazione combinata con una quasi totale mancanza di autocensura e di grazia. Probabilmente questo succede perché la maggior parte della gente che viene catturata dall'interesse per gli ambigrammi rimane eccitata daM'idea, ossia dalla magia della lettura doppia, che viene considerata niente più che il trucco di distoreere le lettere. Purtroppo, però, poche persone hanno studiato con serietà e nel dettaglio le forme letterali, e quindi un principiante tipico non ha molta pratica nel disegnarle con cura. Nonostante ciò, vi si tuffa dentro, crea "grammi" scadenti o goffi, per lo più illeggibili, ed è incapace di riconoscere i propri difetti. E ci vuole poi una buona dose di esercizio e di critica per portarlo ad accorgersi degli errori nei suoi primi tentativi. Geb :

Le cinque fasi della creazione Quale processo si segue per fare un ambigramma?

H o f : Esporrò qui di seguito quelli che considero i passaggi chiave. Naturalmente è mia impressione che questo schema, lungi dall'essere circoscritto nei limiti dell'ambigrammatica, rappresenti invece le fasi fondamentali di processi creativi più generali. Lo schema è questo: 1. Trovare uno "scheletro concettuale" (più uno progredisce e più uno riesce a farlo nella propria testa). 2. Fare un primo schizzo (sarà necessario tracciarlo su un pezzo di carta, in modo da vedere se l'ispirazione che lo sostiene ha qualche speranza di riuscita — in caso contrario, tornare da capo). 3. Equilibratura — il cuore del processo.

4. "Dare corpo" (cioè, aggiungere quello che chiamo "stile di superficie"). Questo stadio è facoltativo. 5. Rifinitura. Esaminiamo queste fasi una per una. Ciò che voglio dire con "scheletro concettuale" è un piano astratto per un ambigramma che preveda quali lettere saranno convertite in altre, insieme a idee grezze sui modi di farlo, ma senza dettagli grafici. Per esempio, parte di uno scheletro concettuale che rovesci "Keith" in "Kevin" può essere il semplice lampo intuitivo di u n ' " H " maiuscola che si trasforma in una " N " maiuscola, una volta opportunamente inclinata e portata nella posizione giusta la sbarra, e sottoposta a una riflessione-lago. Questa idea implica una conoscenza della " H " ità e della "N"-ità, ma non comporta uno stile particolare o una quantità di decisioni minuziose. Naturalmente uno scheletro concettuale per un intero ambigramma coinvolge altrettanti abbozzi mentali per tutte quante le lettere. Rispetto all'ambigramma, lo scheletro concettuale è come il piano di attacco di un generale per una battaglia: molte decisioni — la maggior parte, in effetti — o non sono state ancora prese, o sono lasciate ad operatori di minore livello. Sono stati decisi solo alcuni punti chiave: quale operazione di simmetria usare (rotazione, riflessione, ecc.); quali lettere di una lettura saranno "applicate su" quali lettere dell'altra lettura; la cassa di ciascuna lettera (alta o bassa); quali parti in ciascuna lettera siano più adatte ad essere allargate, ridotte, piegate, ecc. Perciò uno scheletro concettuale non è assolutamente un disegno; è "un barlume nell'occhio della mente" — un piccolo insieme di idee chiave che potrebbero realizzarsi in maniere diverse e che potrebbero quindi condurre a un ventaglio di disegni differenti, uniti però da un'affinità di famiglia. Per esempio, metti a confronto i due "cugini" delle Figg. 7b e 15 — essi partecipano dello stesso scheletro concettuale, ma sono del tutto diversi nei particolari. Uno scheletro concettuale è pertanto più simile a una corta frase verbale che a un'entità pittorica. Attenzione, però — questa attraente proposta ha un'aspetto che inganna: uno scheletro concet-

tuale è in realtà un'intuizione, e come tale non lo si può completamente catturare a parole, perché vi è sempre nell'intuizione un "gioco" che sfugge alla presa di qualsiasi insieme di parole si scelga per tentare di descriverlo esplicitamente. È come nelle leggi (che si esprimono sempre con parole): si deve riconoscere che è lo spirito e non la lettera della frase ciò che conta. Perciò si può dire che uno scheletro concettuale è "lo spirito che sottostà a una frase concisa che progetta un piano di battaglia in previsione di un atto creativo". La percezione e le nostre categorie mentali G e b : Non vi hai mescolato un po' troppe metafore? H o f : È probabile, ma mi sembra corretto. In ogni modo, per creare o scoprire uno scheletro concettuale, comincio di solito col buttar giù, scrivendola, una delle letture che ho preso di mira, una delle letture bersaglio, in lettere maiuscole, a stampatello. Poi posso girare il foglio, oppure scorrerlo semplicemente con lo sguardo da destra a sinistra. Sono alla ricerca di possibilità. Se la mia immaginazione, nell'osservare la parola da una prospettiva particolare, si accorge che vi è un potenziale da sfruttare, mi fermo e considero con cura ambedue le letture, per verificare che a ogni lettera della prima lettura ne corrisponda una della seconda, e viceversa. Per tutto questo tempo naturalmente la mente deve restare apertissima. Il fatto che vi sia una " A " maiuscola dinanzi ai miei occhi non mi deve impedire di immaginarla come una " a " minuscola oppure anche una " a " corsiva. La parola sulla carta serve soprattutto come ausilio mentale, per non dover tener presenti tutte insieme e contemporaneamente le lettere nei due sensi. A volte scrivo accanto l'altra lettura-bersaglio, con diversa orientazione. Ma se non ho carta a portata di mano, posso spesso anche farne a meno. Va da sé, però, che ci vuole una buona dose di pratica per arrivare a possedere l'abilità di visualizzare parole alla rovescia, o sottosopra, senza perdere la testa. Il primo schizzo è una prova critica dello scheletro concettuale. Come ho già detto, è necessario realizzarlo su carta. C'è una ra-

gione semplice: si vuole che i nostri occhi facciano per noi il lavoro che conta! Questa è la fase dove i giudizi sulla qualità dell'appartenenza categoriale sono critici. Voglio dire: questa forma in che misura è riconoscibile come una "A"? Quante possibilità ci sono che possa essere scambiata, diciamo, per una "S"? Si deve posare uno sguardo nuovo e obiettivo sul nostro disegno per realizzare questo genere di giudizi. Dopotutto si cerca di simulare la vista degli altri nella nostra mente. Il primo compito che ci si presenta è far sì che ambedue le letture abbiano solidità. Per ottenerlo dovremo combattere due insidiose tendenze, complementari tra loro: (1) la tentazione a dichiarare con precipitazione una forma che è solo un aspirante candidato, membro effettivo della categoria letterale che abbiamo prescelta, mentre in effetti questa categoria è una società esclusiva che richiede requisiti tali che non sono stati soddisfatti, e (2) la resistenza a riconoscere che una data forma è, nonostante tutti i nostri sforzi, un membro più forte presso un 'altra categoria, rivale di quella per cui l'avevamo preparata. Per combattere queste tendenze inconscie che affiorano quando ci mettiamo ad osservare gli schizzi, si deve fare al contrario uno sforzo cosciente per restringere i criteri di ammissione nelle categorie desiderate mentre si allenteranno i criteri di ammissione alle altre categorie. È semplice a dirsi, ma in realtà è difficilissimo imporre alla nostra mente inconscia il modo di comportarsi. Può accadere, ad esempio, che dopo aver delineato uno scheletro concettuale nella nostra testa, ci si renda conto che la pressione da esso esercitata su di una " R " particolare può volgere le cose in modo che questa si avvicini pericolosamente alla categoria "A"; restiamo così sul chi vive rispetto a questa possibilità mentre continuiamo il nostro lavoro sulla carta. Ma, nel corso di questo primo approccio, mentre stiamo attenti ad evitare la trappola della " A " , può darsi che si distorca la " R " in modo tale che ora questa venga attratta pericolosamente dal campo delle " H " o delle "K". È essenziale che il nostro scandaglio sappia cogliere con il nuovo sguardo tutto questo nelle forme che abbiamo disegnate! In altre parole, non è sufficiente evitare trappole (categorie rivali)

che siano state previste — bisogna anche essere abbastanza avvertiti da riconoscere trappole impreviste, e persino modi imprevisti di cadere nelle trappole previste. In effetti il pericolo più grande consiste nel cadervi e nemmeno accorgersene! Il sentiero in cui ci siamo addentrati è pieno di trabocchetti maligni, dove forse l'abilità maggiore sta nel sapere quando siamo stati presi in una trappola! G e b : Che incubo! Ma come posso, io ambigrammista, guardarmi da trappole di cui nemmeno sospetto l'esistenza? Non le vedo avvicinarsi, non so se vi sono caduto. Suona come un paradosso. H o f : In realtà si tratta tutt'altro che di un paradosso. Infatti noi possiediamo un sistema percettivo che agisce in modo simile tutto il tempo. Si va continuamente incontro, e li si riconosce, a oggetti di ogni genere che non avevamo minimamente anticipato. Il nostro sistema percettivo è fatto proprio per questo. È un sistema parallelo altamente specializzato nel combinare milioni di micro-segnali simultanei e indipendenti in un unico esito collettivo: il riconoscimento di un singolo membro categoriale. Vi è tuttavia una differenza tra le situazioni quotidiane e gli ambigrammi: per lo più il mondo reale è "ben disposto" con noi; fornisce membri forti di categorie familiari in modo che èssi siano "votati" quasi all'unanimità e non si debba rivolgere troppa attenzione alle frange minoritarie che chiedono l'inserimento in altre categorie (del resto non è un caso che il mondo offra membri solidi alle nostre categorie mentali, poiché possediamo, grazie alla evoluzione umana e alla nostra personale, un insieme di categorie esattamente in sintonia con il mondo). Gli ambigrammi invece mettono alla prova il nostro sistema percettivo in maniera insolita: essi contengono oggetti visivi che suscitano votazioni molto meno certe della maggior parte degli stimoli visivi che s'incontrano nella vita di tutti i giorni. Di conseguenza, da ambigrammisti, dovremo riporre maggiore attenzione a tutti i partiti che ricevono un numero significativo di suffragi,

persino in presenza di una forte pluralità o di una maggioranza. Molta gente, quando inizia a fare ambigrammi, non sa ascoltare ciò che tenta di dirgli il suo sistema percettivo. Ci sono troppe vocine che rumoreggiano tutte insieme: "È un' " A " ! " , "È un'"R"!", "È un"'A"!", "È un"'H"!", "È un' "R"!", "È una "K"!", "È un"'A"!", "È u n ' " H " ! " , ecc., ecc. — ed è difficile raccapezzarsi tra la folla, tanto che uno è portato ad ascoltare solo le voci più forti; va a finire che gli ambigrammi dei principianti sono spesso pieni di lettere che evocano molti sapori indesiderati. Quando si lega insieme una sequenza di forme, ciascuna delle quali suggerisce solo debolmente la categoria desiderata mentre emana aromi di altre categorie, la sequenza intera può sì o no raggrupparsi in un tutto riconoscibile. Vi è una specie di massa critica; se non se ne supera la soglia, il nostro ambigramma si affloscerà. Questo effetto di massa critica è una delle qualità magiche degli ambigrammi, per cui un'intera parola improvvisamente ci diviene evidente malgrado la presenza di alcune componenti letterali ancora deboli — ma ciò non avverrà a meno che non vi siano abbastanza lettere forti da compensare e rinforzare le parti deboli. G e b : Interrompo per un momento la tua presentazione delle cinque fasi. Vorrei sapere se tutto ciò è solo da prendersi come un commento filosofico, oppure se sono dei consigli pratici per futuri ambigrammisti. Voglio dire, credi che leggendo queste descrizioni, uno possa superare di slancio le fasi intermedie e arrivare senz'altro all'apice dell'ambigrammatica? H o f : Vorrei pensarlo, ma mi sembra senza speranza. Sfortunatamente, e ciò vale in ogni campo, non esistono scorciatoie per divenire esperti; la pratica è sempre indispensabile. Essere stati messi in guardia, però, su certi fatti, può abbreviare il tempo necessario all'acquisizione di questa abilità. Ma vi è un altro lato di questi commenti che deve essere preso in considerazione: essi sono anche un tentativo di delineare una teoria della creatività che possa essere provata su modelli per calcolatore. Perciò non è esat-

to dire che si tratta di un commentario filosofico. Ma ora lasciami tornare alle mie cinque fasi.

L'equilibratura: cuore del processo creativo

L'equilibratura è il cuore (o più prosaicamente il pernio) della creazione ambigrammatica. Entra in gioco quando siamo sufficientemente convinti che lo scheletro concettuale funzionerà, anche se permangono delle difficoltà da appianare. Metteremo allora alla prova prima una variante di una lettera e poi l'altra. Si esagererà qui una sbarra e là si diminuirà la coda ad una voluta. Si penderà di un pochino questa linea e metteremo un ricciolino a quest'altra. Faremo esperienze diverse con i puntini della "i" e le sbarrette della " E " . È ovvio che a ogni modifica sulla lettura # 1 corrisponde ipso facto una modifica sulla # 2, e ciò che su una dà forza, sull'altra indebolisce. Si continua ad andare avanti e indietro finché, dopo aver tentato molte varianti, non se ne troverà una che a nostro giudizio fa le due letture non solo forti, ma ugualmente forti. E se una lettura risulta più chiara dell'altra, sappiamo che dobbiamo ancora darci da fare. G e b : E se, nonostante i migliori sforzi, dal processo di equilibratura non esce un ambigramma soddisfacente? H o f : Allora bisogna proprio avere il coraggio di lasciarlo perdere e tornare al tavolo da disegno — ossia alla fase dello scheletro concettuale. Se però il processo di equilibratura raggiunge lo scopo, avremo lo schizzo (probabilmente ancora a lapis), in pratica già buono, di un ambigramma. Giunti a questo punto, si può decidere di mettere qualche abbellimento lieve ma inutile, oppure di lasciarlo in una forma più austera. Se scegliamo la prima possibilità, aggiungeremo allora quello che io chiamo stile di superf_̣̣_(dico "di superficie" perché la parte più profonda — lo scheletro concettuale — rimane inalterato). Un buon esempio del contrasto tra queste due possibilità lo si può avere alla Fig. 16, che mostra due am-

a

b 16

16a. Una realizzazione alquanto primitiva di uno scheletro concettuale dato

16b. Una realizzazione più sofisticata dello stesso scheletro concettuale, usando molto "stile di superficie"

bigrammi mezzo-giro su "Josh Bell". La versione più austera è senza dubbio gradevole, ma quella ad aree piene è forse più elegante. Ed è stile di superficie! Aggiunte simili si fanno più per la platea che per i puristi: in altre parole, si tratta di fronzoli. Ma, sfortunatamente, anche i puristi sono sensibili al fascino dei fronzoli, e se non facessimo queste aggiunte, convinti che non ne valga la pena, scopriremmo che i nostri ambigrammi sarebbero apprezzati meno di quello che speravamo. G e b : Sembra che questo stile di superficie non ti vada molto a genio. Anche il termine suona peggiorativo. H o f : Insomma, ho a proposito sentimenti contrastanti. Direi che lo stile di superficie è un po' come un cosmetico. Se lo si usa con parsimonia e giudizio, allora può darsi che dia dei risultati, ma se si esagera, l'esito sarà spaventoso! Per molto tempo ho resistito alla tentazione di aggiungere stile di superficie ai miei ambigrammi, ma da qualche tempo ne faccio un uso sempre più frequente. Tuttavia è necessario tener presente questa avvertenza: non si deve confondere l'aggiunta di uno stile superficiale con l'atto dell'equilibratura! Per quanta ornamentazione ad effetto si metta, questa non compenserà mai il fatto che sotto vi siano delle brutte idee; anzi, la sovrabbondanza di uno stile superficiale di solito fa in modo che gli ambigrammi appaiano molto "preziosi" — un risultato ovviamente non desiderabile. La fase finale delTambigrammatica è la rifinitura, che è il momento in cui il disegno viene tracciato con cura a inchiostro, facendo sì che ogni curva, ogni linea, ogni angolo, ogni spigolo, ecc. siano il più perfetti possibile. Eventualmente dovremo ripetere fino a quattro o cinque volte l'operazione, prima di essere soddisfatti del risultato finale.

Decisioni discrete e decisioni continue

G e b : Ci sono delle differenze qualitative fra le cinque fasi, o esse si confondono l'una nell'altra?

H o f : Una domanda interessante! La distinzione popolare tra "differenza qualitativa" e "differenza quantitativa" tocca proprio il cuore del problema. Si può dire grosso modo che la maggior parte delle decisioni qualitative in un ambigramma vengono prese nella fase dello scheletro concettuale, mentre per lo più le decisioni quantitative vengono prese invece nelle fasi posteriori. In questo senso, sì, vi è una differenza, almeno tra certe fasi. Ma vorrei essere più preciso, e per questo prenderò in prestito dalla matematica alcuni termini, in modo da chiarire meglio anche la distinzione che fa il senso comune tra "differenza qualitativa" e "differenza quantitativa". Per essere più precisi, la contrapposizione è tra "variabili continue" (si pensi al tasto del volume del televisore che scorre in modo uniforme) e "variabili discrete" (ad esempio il tasto che seleziona i canali e scatta quando si passa da un canale ad un altro). Un altro modello utile è la distinzione che intercorre a un esame tra la domanda a cui si debba rispondere per esteso, e la domanda che richieda una scelta tra vero e falso o fra alcune risposte già fatte. Le domande vero/falso o a risposte multiple ci costringono a prendere decisioni discrete, mentre le risposte per esteso permettono gradualità e sfumature, e pertanto hanno un maggiore grado di continuità. Nel linguaggio è possibile procedere destreggiandosi uniformemente nonostante la granulosità del medium (cioè a dispetto del fatto che mettere una parola al posto di un altra è un cambiamento discreto). Essendovi una gran quantità di sinonimi in prossimità di ogni parola, permette di mettere a registro un passaggio praticamente in modo continuo. In ambigrammatica, si può cogliere questa differenza nella seguente contrapposizione: "Questa lettera dovrà essere maiuscola o minuscola?" (che richiede una decisione discreta con due sole risposte possibili), e, per contro: "Fino a che punto oserò curvare questa linea verticale di norma diritta?" (che richiede una decisione di natura continua che può essere oggetto di una messa a punto accurata). Decisioni continue di solito coinvolgono variazioni molto piccole, ma in compenso saranno in gran numero, mentre decisio-

ni discrete che sono in numero minore generalmente avranno effetti più macroscopici. Uno scheletro concettuale tende ad essere composto da tutte le decisioni discrete più importanti, insieme ad alcune di quelle continue ma allo stato di abbozzo e suscettibili di essere messe a punto in uno stadio ulteriore. Una importante decisione discreta sarà, per esempio, fare "OHIO" con un quarto di giro a senso antiorario. Componente chiave in questa decisione sarà l'accorgimento che la " I " può scambiarsi con la " H " per mezzo di sbarrette abbastanza grandi. Pertanto una decisione continua, ma solo abbozzata, sarà quella che le sbarrette della " I " dovranno essere "molto larghe", ma tralasciando di determinarne le esatte dimensioni per una fase ulteriore. Poi, nella fase di equilibratura, che tende piuttosto ad essere connessa con variabili continue, si potrà "girare la manopola" che regola l'ampiezza delle sbarrette. Quest'operazione a grana fina farà un compromesso tra la "H-ità" e la "I-ità". Peraltro non sono escluse in questa fase decisioni discrete su piccola scala; un esempio lo abbiamo nella scelta tra l'aggiunta o meno di sbarrette all'apice e alla base delle due aste della " H " (che una volta ruotata diventano le sbarrette di una "I"). G e b : Sembra esserci una certa somiglianza tra la fase dello scheletro concettuale e quella dell'equilibratura. H o f : È vero. La differenza in gran parte è una questione di proporzioni. La fase scheletro concettuale è di gran lunga più discreta che continua, mentre la fase di equilibratura è l'inverso. Prima ho paragonato lo scheletro concettuale a una breve frase verbale. Ma forse una immagine più accurata sarebbe quella di un insieme di risposte a un esame, la maggior parte del tipo vero/falso o a scelta multipla (discrete), con inserite alcune risposte del tipo esteso (continue) ma redatte in modo succinto. Nella fase di equilibratura, invece, le risposte a domande discrete (almeno la maggior parte) fatte nello stadio precedente vengono rispettate, mentre sarà permesso soddisfare alle domande continue con maggiori dettagli, e anche porre nuove domande di minore importan-

za (e rispondere ad esse) rispetto al voto che si vuole raggiungere.

Domande preconfezionate e domande spontanee

G e b : Non si possono pensare le domande dell'esame come "confezionate" e estratte da "contenitori" che hanno per etichette le lettere nei nomi in questione? Se no, da dove provengono le domande? H o f : Naturalmente, le domande primarie, quelle assolutamente fondamentali, sono preconfezionate e risiedono dunque nella memoria, ma le domande successive che formano la vasta maggioranza, date soltanto le lettere dei nomi dell'ambigramma, non possono affatto esser previste. Queste domande si elaborano invece dinamicamente durante lo sviluppo. Una tipica domanda ad alto grado di confezionatura sarà: "Quale operazione di simmetria usare?" E un'altra, generica per ogni lettera: "Maiuscolo o minuscolo?". Ve ne sono poi altre, confezionate, in corrispondenza di ogni lettera particolare, come, riguardo alla " H " maiuscola, "Quanto dovrà essere alta la sbarra?". Ma, una volta che avremo preso questo genere di decisioni stereotipe, allora queste e i singoli impulsi provenienti dalla sfida che quell'ambigramma particolare rappresenta genereranno una schiera di domande supplementari che mai sarebbe stato possibile prevedere. Per esempio, non ha senso una domanda preconfezionata come questa, che scattasse ogni volta si ha a che fare con una " H " maiuscola: "Quanto deve essere grande lo svolazzo al di là del limite destro della sbarra?" Essa potrebbe assumere un senso, e pertanto esser costruita all'occorrenza, se stessimo tentando di convertire una " H " maiuscola corsiva in un'altrettanto maiuscola " F " corsiva, con una rotazione di 90 gradi — ma certamente non è una domanda valida per ogni circostanza! Mettere una domanda del genere nel repertorio prestabilito di domande significa fare una serie di illazioni gratuite sulle lettere — qualcosa di simile a "Quando hai smesso di picchiare tua moglie?". Questa domanda presuppone che sia un uomo la persona a cui viene rivolta, che abbia una moglie che era solito picchiare, e che adesso ha smesso!

Forse sono permesse presupposizioni in situazioni estremamente stereotipe, ma gli ambigrammi sono completamente all'opposto; in effetti si opera su situazioni categoriali limite, facendo alle lettere le cose più strane che si possano sognare! Nessun questionario prestabilito può sperare di anticipare le insolite possibilità che saltano in testa a una persona creativa sottoposta a un miscuglio imprevisto di pressioni mentali. Questi vedrà sempre le cose in modo peculiare, e il suo scheletro concettuale contemplerà pertanto delle domande che non avrebbero senso nello scheletro concettuale di un altro. Questa specie di "visione" comporta una continua interazione mentale tra lettere (cioè, categorie astratte) e forme letterali (cioè, figure geometriche). Nel corso di questo processo si fa la prova, nella propria testa, di un gran numero di realizzazioni concrete delle categorie, e molte di loro sono davvero strane, per non dire altro! In effetti, purché rimangano sicuramente nella testa, queste "forme virtuali di lettere" possono anche violare i sacrosanti confini categoriali! Tuttavia queste forme illegittime e fantasmagoriche che guizzano momentaneamente in mondi proibiti possono profondamente influenzare lo scheletro concettuale che alla fine sarà adottato. G e b : Tutto ciò richiama alla mente la strana nozione, in fisica, delle "particelle virtuali", intermediarie effimere nelle interazioni tra particelle reali, che — purché rimangano strettamente inosservate ("nella testa di Dio", per così dire) — possono anche violare il sacrosanto principio della conservazione dell'energia. Tuttavia queste particelle illegittime e fantasmagoriche che guizzano momentaneamente in mondi proibiti possono profondamente influenzare il risultato osservabile dell'interazione a cui partecipano. H o f : Mi hai preceduto di un soffio. Stavo per fare la stessa analogia. Ebbene, sono molte le idee più o meno ridicole, scartate velocemente, ma alcune di esse vengono trattenute più a lungo, e quelle che superano l'esame di una critica attenta diventano componenti

dello scheletro concettuale emergente. Benché in gran parte questo processo ci appaia cosciente, tuttavia nella gran maggioranza avviene a un livello inconscio, in quel vasto sciame di attività parallele che accadono nel nostro cervello. In pratica tutte le decisioni discrete iniziali — quelle chiave — affiorano dalla struttura profonda delle nostre categorie intuitive: il senso inesprimibile a parole delle loro zone sicure e quelle a rischio, del loro modo di sovrapporsi e di dividere il territorio mentale. Per costruire dei buoni scheletri concettuali, si dev'essere in possesso di un repertorio sofisticato e sottile di categorie letterali, e per acquistarlo ci vuole molta pratica. G e b : Queste cinque fasi rispettano sempre un medesimo ordine? Non ritornano mai su se stesse? H o f : Ho presentato le mie cinque fasi in sequenza cronologica, un'approssimazione molto grezza di ciò che avviene nella realtà; le cose naturalmente sono spesso molto più complicate. Non è insolito che eventi in uno stadio avanzato abbiano effetti retroattivi. Per esempio, un piccolo abbellimento, inteso solo come aggiunta di stile superficiale, talvolta può rivelare l'esistenza di un modo radicalmente diverso per realizzare una parte dell'ambigramma. In tal caso si fa ritorno, almeno per quanto riguarda quella parte, alla fase dello "scheletro concettuale". Anche un minimo ghirigoro aggiunto al momento dell'esecuzione finale a inchiostro può suggerire d'improvviso un intero concetto nuovo, trasportandoci indietro al primo stadio; e a questo punto si può innescare tutta una girandola di nuove intuizioni che possono condurre infine a un ambigramma completamente modificato.

Modelli militari e modelli anarchici del pensiero

G e b : Ma ciò manda in malora la tua metafora dello scheletro concettuale come "piano di battaglia", poiché gli "agenti di basso livello", che di solito si pensa abbiano solo responsabilità minori, stanno ora interferendo alla grande con il piano e forse ne suggeriscono perfino il completo ripensamento.

H o f : È vero. John McCarthy, una figura importante nel campo dell'intelligenza artificiale, disse una volta che uno degli aspetti chiave del comportamento intelligente è che "scopi subordinati non devono mai poter sfuggire agli scopi che li hanno prodotti". Intendeva dire che, in un sistema cognitivo, i comandi devono viaggiare solamente verso il basso; non vi deve essere insubordinazione, come, per dire, quando dita disubbidienti costringono un jazzista ad abbandonare la linea di improvvisazione — perché è questa invece che impone alle dita cosa fare! In breve, McCarthy e molti altri nell'intelligenza artificiale credono nella metafora della mente come una gerarchia militare strutturata rigidamente dall'alto verso il basso. Per quanto mi riguarda ho una visione diametricalmente opposta. Io resto deliziato quando gli scopi subordinati "sfuggono"! Adoro il reinserimento circolare di effetti di basso livello su piani di alto livello. Ciò produce spesso conseguenze deliziosamente inattese! Infatti è mia opinione che il cuore del processo creativo sia un continuo movimento avanti e indietro, in cui le idee astratte, che nella nostra mente interagiscono con le loro realizzazioni concrete "là fuori", generano ancora nuove idee astratte, e così via, in circolo. G e b : Pensi che una delle fasi comporti maggiore creatività delle altre? H o f : A prima vista sembra che la prima fase, quella dello scheletro concettuale, sia la più creativa. Ma non è del tutto esatto, poiché le idee brillanti non bastano a fare un ambigramma creativo. Anche nelle ultime fasi c'è ancora molto spazio per idee brillanti. Direi che tutte e tre le abilità critiche di cui ho parlato prima — immaginazione, autocensura, grazia — sono presenti, anche se in quantità differenti, in tutte e cinque le fasi. La fase dello scheletro concettuale ha un'alta intensità immaginativa; non si preoccupa molto perciò dell'autocensura ed è quasi del tutto indifferente alla grazia. Le due fasi successive — il primo schizzo e l'equilibratura — tendono a impiegare un po' meno immaginazio-

ne, ad accentuare l'autocensura, e vi è una buona quantità di grazia. Gli ultimi due stadi — il dar corpo e la rifinitura — mancano quasi completamente di voli di fantasia, e, specialmente nell'ultimo stadio, la grazia è tutto.

Osserviamo da vicino la creazione di un ambigramma

G e b : Perché non fai qualche esempio a sostegno di tutta questa astrazione teorica? H o f : È una buona idea. Mostrerò come sono arrivato a un ambigramma — forse non molto buono, ma che può tornare utile per una dimostrazione — sulla parola "wo//" ("muro": naturalmente mi sentivo obbligato a fare una riflessione-muro su "muro"!). Ho battuto qui la parola in minuscolo, ma non è che sia obbligato alle minuscole. Stò mirando a una riflessione-muro, devo voltare perciò fronte in dorso e viceversa, e mettere a confronto la "w" — con cosa? con la "1"? Appaiamento dubbiosissimo: la lettera più pasciuta dell'alfabeto con quella più magra! Considero allora se non sia il caso di non guardare solo all'ultima "1" come corrispettivo della "w" — e in effetti perché non le ultime due "1" prese come unità? Si noti però che, seguendo questa via, dovrò usare per forza una " W " maiuscola, poiché le "1" sono lettere alte. Ma funziona — le iniziali di solito sono scritte in maiuscolo. A proposito, per tutto questo tempo sono rimasto nella fase della riflessione: niente è sulla carta e tutto è ancora nella fase dello scheletro concettuale. G e b : Ho un problema — come possono due tratti verticali essere percepiti, una volta specchiati, come quattro tratti obliqui? H o f : Questa è la domanda giusta. Un suggerimento: incliniamo le "1" divaricandole leggermente in alto l'una dall'altra, e mettiamo due gancetti in basso: nessuna di queste operazioni comprometterà troppo la loro "P'-ità, ma ambedue contribuiranno alla

"w"-ità. Naturalmente il gancio in basso alla seconda "1" sarà rivolto a sinistra mentre quello sulla prima sarà a destra, il che non è proprio entusiasmante, ma aspettiamo a vedere cosa succede sulla carta. Geb :

E ciò che sta in mezzo alla parola?

H o f : Rimane la "a". Vogliamo adottare la minuscola? Sì, se è possibile: "Wall" è decisamente preferibile a "WA11". Ebbene, una " a " riflessa rimane ancora una "a"? Certo, se usiamo la forma alternativa, la " a " (che in fondo non è che una " o " con un gancio in basso a destra), poiché non è dannoso mettere un gancio anche in basso a sinistra. Così facendo rafforziamo l'apparenza corsiva: sembra che vogliamo congiungere la lettera con la precedente. Può darsi che a questo punto abbiamo a disposizione un buon scheletro: tutte le parti sono state considerate, e siamo pronti a passare allo stadio del primo schizzo (lo si può vedere alla Fig. 17a). Cosa ne pensiamo? Rammenta: dobbiamo guardarlo con una vista nuoval Dobbiamo tentare di ignorare che conosciamo già ciò che deve dire; fingiamo perciò di guardarlo per la prima volta. Secondo questa nuova prospettiva ci accorgiamo di un piccolo problema, che forse è importante. Le due "1" costituiscono insieme una forma identica rispetto alla " w " iniziale, di modo che con la nostra nuova vista sgombra potremo vedere l'ambigramma appena nato sia come "WaW" che "llall", e per niente "Wall". È un effetto molto forte? Se siamo onesti con noi stessi, dovremo ammettere di sì. Geb :

Che cosa si può fare?

H o f : Questa domanda introduce alla fase dell'equilibratura. Per cominciare non ci è vietato prendere alcune decisioni discrete. Cosa accade se aggiungiamo degli occhielli in cima alle due "1" in modo da rafforzarne l'aspetto corsivo che era stato già introdotto attraverso la " a " ?

Geb :

Va bene, ma ciò aiuterà o danfteggerà la "W"?

H o f : Non è chiaro: dobbiamo provare. Si tenga conto che abbiamo appena creato un mini scheletro concettuale, o mini-piano, e ora stiamo per metterlo alla prova mediante il primo schizzo; stiamo apportando cioè leggere modifiche su tutta la figura che abbiamo dinanzi disegnata sulla carta. Dopo passeremo ad equilibrare il mini-schizzo (gli occhielli), girando le sue mini-manopole. Ciò dimostra come la fase di equilibratura sia in sé un microcosmo rispetto all'intero processo di creazione degli ambigrammi. Non dovrebbe essere una sorpresa. È solo un aspetto di questa tesi intuitiva: "Ogni atto creativo è composto di altri piccoli, e piuttosto minori, atti creativi". Questa tesi, ripetuta, porta all'altra: "Ogni atto creativo è fatto di una miriade di minuti atti appena creativi". Viene favorita così l'idea di una possibile meccanizzazione della creatività, anche se solo in senso molto teorico e generale. In ogni modo il primo schizzo, che ha le "1" con gli occhielli, è mostrato alla Fig. 17b. Quasi per miracolo appare come gli occhielli aiutino, anche se di poco, sia le "1" che la "w". G e b : Come mai? Dopotutto, le due forme sono identiche come lo erano prima. Cos'è successo? H o f : Non si sa con precisione. Una cosa interessante negli ambigrammi è che non si può sempre essere esattamente sicuri del perché. Basta il sistema percettivo ad avvertirci se funzionano o meno; e saremo contenti quando la risposta è positiva! Non c'è bisogno di sottomettere ad analisi il nostro successo. Dobbiamo ancora chiederci: "Questo successo è veramente un successo? "Wall" si legge senza esitare? Oppure è possibile che "WaW" e "Hall" siano ancora dei rivali temibili?" Non è purtroppo possibile dare una risposta chiara, e se la lettura desiderata non risulta avere la meglio sulle concorrenti, allora vuol dire che il nostro ambigramma non è abbastanza forte. Perciò dovremo soppesarlo ancora un po', prima di abbordare lo stadio dello stile di superficie e passarlo a inchiostro.

17a. Il primo schizzo per una riflessione muro su "Wall"

17b. L'ambigramma che risulta dopo aicune modifiche dello schizzo precedente

^LlfVis V/AVv 18

muro 19

18a. Il primo schizzo per una riflessione muro su " W A L L " in maiuscole 18b. Due tentativi di schizzo creati allo stadio di equilibratura

I8c. Il risultato finale: una riflessione imro su " W A L L " 19. La Fig. 18c italianizzata: una riflessione muro su " m u r o "

a 28. Un mezzogiro creativo su " J o h n " , ottenuto utilizzando il raggruppamento

burbera 29

29. Una coppia felice combinata in cielo: "Barbara" e "Michael"

30. Una corrispondenza alquanto forzata sui nomi degli interlocutori

ste sì che sarebbero state delle imprese di cui portar vanto, perché non è facile "sposare" " O " con " H " o " J " con " N " . È probabile che non abbia mai preso in considerazione la simmetria sfruttata nel "John" della Fig. 27a, per la semplice ragione che gli omogrammi a riflessione-lago sono così banali che non sorprendono, non c'è magia. E questo non fa eccezione — è proprio blah! G e b : Allora qual'è stata infine, per fare un paragone, la tua soluzione non meccanica su "John"? H o f : È il mezzo-giro della Fig. 28. Non m'incanta, ma almeno è più interessante della meccanica riflessione-lago lettera-su-lettera. Geb :

Vi è almeno un pochino di magia?

H o f : Mi piace pensarlo. Il punto è che l'approccio attraverso ambialfabeti meccanici può fornire "soluzioni", ma queste sono nella quasi totalità esteticamente deboli, per lo più banali e prive di magia, tanto che non c'è da esserne certo orgogliosi. Non ripeterò mai abbastanza quanto la magia — cioè, idee inaspettate — sia importante nell'ambigrammatica. Un ambigramma imperfetto ma con della magia vale molto di più di uno perfetto ma banale. Questi ultimi sono una barba! Perché chi legge possa avere un'idea delle probabilità di successo con moduli prefabbricati lettera-su-lettera, suggerisco alcune sfide omogrammatiche sui seguenti nomi: Anna Irina

Erica Sandra

Juan Vicki

Frank Melody

Paolo Gonzalo

Quelli sulla prima linea non pongono particolari difficoltà, ma quelli della seconda si riveleranno compiti particolarmente difficili, e forse impossibili. Tuttavia possono esser risolti tutti, una volta rimossa la costrizione sull'uso di moduli a lettere singole.

Sette difficoltà per un approccio troppo meccanico

G e b : Sei stato chiaro. Ma scommetto che vi saranno esperti pronti ad obbiettare che si potrebbero avere programmi per calcolatore più sofisticati, basati su ambialfabeti molto più estesi. E a questi come risponderesti?

H o f : Che sono convinto dell'impossibilità dell'idea che un calcolatore riesca a produrre ambigrammi di alta qualità tramite una ricerca esauriente. La seguente serie di sette punti dimostrerà, spero, perché io sia così scettico in proposito: 1. Delle circa 300 e rotti ambilettere richieste per completare un ambialfabeto, molte danno soluzioni eleganti, ma molte altre — incluse combinazioni che si presentano molto spesso — ne danno di orrende; perciò basta che un ambigramma ne contenga soltanto una per risultare debole; due, poi, sono fatali. ("O" in " H " ad esempio, è una bella sfida.) Programmatori umani, quindi, non solo dovranno creare tutte le ambilettere, ma anche dar loro delle qualifiche — o "valori di rischio", per così dire — in modo da permettere che la qualità complessiva di un ambigramma (o almeno la sua leggibilità) sia valutata sulla base delle qualifiche delle sue componenti. Ne consegue il punto seguente... 2. Si presume che un ambialfabeto sia composto con le migliori ambilettere a conoscenza del suo disegnatore. Dunque, un ambigramma il cui valore-di-rischio ci disturbi perché supera un punto critico non potrà comunque esser perfezionato aggiungendo un'ambilettera migliore, perché se una tale ambilettera esistesse, avrebbe dovuto far parte dell'ambialfabeto fin dall'inizio! La sola via d'uscita è quindi quella di prendere in esame altre simmetrie o altre varianti nominali. Questo costringerebbe il calcolatore a contenere non solo 16 ambialfabeti (uno per ogni tipo di simmetria), ma altresì una lunga lista di varianti nominali come "Elizabeth", "Liz", "Bet-

ty", "Beth", ecc. (Ancora una possibilità: il calcolatore potrebbe chiedere in anticipo una lista di varianti accettabili del nome proposto, ma si ridurrebbe così il bello della cosa.) 3. Molti degli ambigrammi costruiti lettera-su-lettera (cioè con entità indivisibili costituite da una sola lettera) sono passabili, ma molti sono troppo "arrischiati". Ora, per un ambigrammista umano, la scappatoia più comune è tentare un qualche raggruppamento (cioè, entità indivisibili più lunghe). Ma il raggruppamento è molto di più di una semplice scappatoia; anzi, è la sola strada possibile per un ambigramma che coinvolga nomi con conteggi letterali disuguali. Quando siano nomi di diversa grandezza ad essere applicati l'uno sull'altro, anche 16 ambialfabeti completi di 351 irreprensibili ambilettere ciascuno risultano insufficienti. Vi sono 17.576 entità indivisibili per tre lettere, e moltissime di più per quattro, cinque, ecc. Chi può trovare — calcolarne il rischio — le centinaia di migliaia di entità indivisibili più lunghe, necessarie a un calcolatore per il suo repertorio permanente? 4. Se si prende in considerazione un nome al livello delle lettere, non vi saranno dubbi sulla sua composizione; se al contrario cerchiamo di spezzarlo in entità più estese, allora si presenteranno molti modi di farlo. Quali lettere combinare tra loro e quali lasciare da sole (ammesso ve ne sia qualcuna)? Quale estensione dare alle entità? Tutte queste domande sono relative sia all'uno che all'altro dei lati dell'ambigramma (o che è lo stesso, ad entrambi i nomi). Il numero delle possibilità ammonta a un totale formidabile, specialmente se si ha a che fare con nomi lunghi. 5. Nei punti precedenti ho avanzato la possibilità di assegnare "valori di rischio" fissi alle ambilettere o alle entità più estese. Anche qui vi è dell'ottimismo. Per quan-

to riguarda il riconoscimento, ogni nome contiene zone che sono più critiche di altre; e lettere in zone più critiche possono avere un grado di illeggibilità maggiore di quelle che sono in zone critiche — ma di quanto? Fin dove si può spingere una zona a cedere leggibilità in modo che un'altra zona aumenti la sua? Il calcolatore dovrà riconoscere quali zone sono critiche e quanto lo sono (dopotutto "critico/non critico" non è una distinzione binaria). Gli umani dovrebbero compilare un catalogo mostruoso in cui sia stabilita e annotata la lista completa dei nomi che possano presentarsi nelle sfide ambigrammatiche (e in quanto, ovviamente, è impossibile predire quali nomi si presenteranno, significa in realtà la lista di tutti i nomi della terra). E non dimentichiamo che essendo due i nomi coinvolti, ogni segmento presenta due valori critici! Cosa fare se nella lettura # 1 una data area è supercritica e non lo è invece nella lettura # 2? Non sarà indispensabile in tal caso per il calcolatore possedere un ventaglio di ambialfabeti sbilanciati ognuno dei quali contenga centinaia di ambilettere (e di conseguenza migliaia di ambientità) che appaiano più forti da un lato che dall'altro? Quanti di tali ambialfabeti, e con quanti livelli diversi di squilibratura, saranno necessari per ogni operazioni di simmetria? 6. I segmenti critici per il riconoscimento di un nome non sono determinati dal nome in astratto, ma dipendono in concreto dalla variante caratteriale usata. Qualcosa che nel corsivo è critico non lo è necessariamente nei caratteri maiuscoli a stampatello, per esempio. Pertanto, il catalogo annotato di tutti i nomi possibili sovramenzionato dovrà essere ancora, e di molto, allungato per permettere l'ingresso di tutte le varianti caratteriali possibili (ricordi, sopra, le 24 varianti di "Tina"?). Per di più, tra queste, alcune sono apprezzabili in sé (ad esempio "Tina"), mentre altre sono abbastanza sgradevoli (ad esempio "tiNA"); pertanto dovrà essere indicato per

ciascuna variante caratteriale il livello di gradevolezza, e se ne dovrà in qualche modo tener conto nel totalizzare il "punteggio" totale delPambigramma. Questa questione dello stile e della gradevolezza introduce all'ultimo dei miei sette punti, il colpo di grazia... 7. Oltre la leggibilità, gli ambigrammi devono possedere bellezza. Questo punto non è stato ancora discusso, perché la bellezza è una proprietà globale, e anche uno sprovveduto si accorgerebbe dell'incongruenza di assegnare un "valore di bellezza" fuori del contesto a ciascuna ambilettera presa da sola; non importa infatti quanto possono esser belle cinque lettere una per una, se queste appartengono a stili diversi: il loro accostamento risulterà una frittata. Un ambigramma che voglia attrarre l'attenzione di spettatori umani (che dopotutto si presume costituiscono il pubblico), deve possedere unità e grazia stilistiche. Sono qualità che possono essere sviluppate solo per stadi, e quando questi comprendano la ricerca di uno scheletro, lo schizzo, l'equilibratura, il dar corpo, e la rifinitura, cioè le cinque fasi contemplate sopra, e in più, naturalmente, l'inevitabile effetto di retroazione e le modifiche che risultino da un esame e da un giudizio percettivi. Solo a partire da un simile processo per tentativi ed errori — esattamente l'opposto di un programma che adoperi entità "preconfezionate" già pronte all'uso — potrà essere costruito un ambigramma attraente e leggibile.

Esplosioni combinatorie e creature creative

G e b : Sembri avercela con i calcolatori a proposito degli ambigrammi. Perché questa reazione viscerale? H o f : Perché è solo uno dei molteplici esempi dell'impressione oltremodo semplicistica che molte persone coinvolte con i calcolatori — e nel campo dell'intelligenza artificiale sono in mol-

ti a pensarla così — hanno del grado di sofisticazione della mente umana. C'è una forte tendenza a credere che il calcolatore possa fare tutto quello che una persona fa, e anche meglio, una volta trovate le "regole" giuste e si sia immessa abbastanza "conoscenza". I programmi che contengono sia queste regole che questa conoscenza si chiamano "sistemi esperti", e spesso li si spaccia per successori (persino più bravi) degli esperti umani nei settori tecnici più diversi, quali la diagnostica medica, l'esplorazione petrolifera, e in centinaia di altri campi limitati come questi. Credo che queste pretese siano non solo clamorosi nonsensi, ma anche insulti profondi allo spirito umano. Ho tentato, nei sette punti precedenti, di distruggere uno di questi miti sulla competenza del calcolatore, mostrando la incredibile quantità di informazioni che avrebbe dovuto immagazzinare. (Questo tipo di enormità moltiplicativa prende comunemente il nome di "esplosione combinatoria".) Tuttavia, non vorrei aver dato troppa importanza ai numeri, perché così darei l'impressione che, benché attualmente il problema si presenti come insolubile, una volta che i calcolatori diventassero abbastanza grandi e veloci, allora sarebbero capaci di fare ambigrammi al livello dei migliori ambigrammisti umani. In realtà, il problema è che tutta l'impostazione è priva di fondamento; in quanto fallisce a tanti livelli diversi l'essenza del problema, dubito che la velocità e la grandezza dei calcolatori abbiano la minima importanza. Questa non è, per carità, una polemica sulla possibilità di modellare il processo creativo nel calcolatore! Lo è invece contro la simulazione computerizzata di un tale processo senza tener conto assolutamente dell'essenza della creatività. Bisogna basarsi sulla percezione e il giudizio, tentando di fare un modello con tutte e cinque le fasi che ho sottolineato prima, incluso l'effetto di retroazione. Ecco ciò che credo sia giusto, ed è anche la via, ancora piccola in verità, che ho intrapreso nelle mie ricerche scientifiche. È per questo che la mia reazione verso un modo primitivo di affrontare il problema tende ad essere viscerale. Geb :

Hai messo bene in evidenza come, una volta che l'am-

bigrammatica la si affronti meccanicamente, si raggiungono cifre astronomiche. Per quanto mi riguarda non posso nemmeno tentare di immaginare quali dimensioni gigantesche raggiungerebbe un catalogo annotato che dovesse tener conto di tutti i nomi e di tutti gli ambialfabeti con tutti i possibili livelli di squilibratura. Perciò accetto le tue conclusioni basate sull'immensità dei numeri, sull'impossibilità di meccanizzare l'ambigrammatica seguendo questo metodo. Ma il tuo argomento non prova con eguale efficacia che anche per le persone è impossibile far ambigrammi? E dato che ciò è evidentemente assurdo, qualcosa, da qualche parte, non funziona. H o f : È vero — c'è qualcosa che non va. Farò un'analogia. Sia le persone che i calcolatori giocano a scacchi, e alcuni calcolatori ultimamente anche molto bene. Ma persone e calcolatori, se consideriamo bene la cosa, giocano in maniera diametricalmente opposta. I calcolatori scorrono ogni ramo dell'immenso albero biforcante delle possibilità — "io faccio questa mossa, tu rispondi con quella, poi io faccio quest'altra mossa, e tu..." — fino al completamento di ogni mossa immaginabile: ogni mossa legittima viene presa in considerazione, poi ogni contromossa legittima, e poi ogni contromossa di ogni contromossa legittima, e così via per un futuro remoto. Alla lettera, milioni di posizioni possibili sulla scacchiera, con il pericolo e l'attrazione che esercitano, vengono esaminate in pochi secondi, prima di scegliere quale mossa fare. Si tratta di un approccio al gioco per "forza bruta", che però funziona in maniera impressionante. Tuttavia, in molte esperienze di psicologia, si è riscontrato che le persone, nello scegliere che mossa fare, non si comportano assolutamente così. In effetti le persone — e anche quelle che sanno appena giocare — non si accorgono della maggior parte delle mosse legittime previste dalla situazione, anzi non le prendono nemmeno sul serio come possibilità. Individuano istintivamente, e si concentrano poi, su due o tre che sembrano funzionare. Tentando di immaginarsi le conseguenze, considerano solo quelle contromosse che per l'avversario apparirebbero "ragionevoli". A volte tut-

to questo lavorìo mentale può portarle a considerare una mossa non considerata all'inizio, ma è raro. In definitiva, le persone si distinguono dai calcolatori in quanto ignorano l'esplosione combinatoria dei mondi biforcanti. Ho fatto questa analogia perché penso la stessa cosa per quanto riguarda gli ambigrammi: le persone posseggono una abilità di eludere l'esplosione combinatoria che affiora quando si considera il problema dal punto di vista del calcolatore. Quando affronto una nuova sfida ambigrammatica, di solito mi rendo conto di non più di una o due vie di uscita, e non sono per niente schiacciato dal mostruoso numero di possibilità; anzi molto spesso sono disorientato per la loro mancanza! È molto curioso che le persone non avvertano alcun senso — almeno sul livello cosciente — delle innumerevoli strade di approccio a qualsiasi sfida ambigrammatica.

Il riconoscimento delle forme e la percezione umana G e b : E allora come fanno le persone a giocare a scacchi e a fare ambigrammi? Non può essere per magia! H o f : Giusto. È che le persone nascondono nel proprio cervello un asso che è il riconoscimento delle forme, ossia la possibilità di vedere proprietà astratte estraendo l'essenziale di una situazione da un mucchio di dettagli. Ciò avviene perché nella mente sono in funzione grandi quantità di attività simultanee in movimento. Questo si chiama parallelismo del cervello. In realtà non è chiaro come avvenga questa "estrazione di essenza", benché qualche scienziato che lavora nel campo della conoscenza abbia sviluppato modelli che propongono spiegazioni parziali. Succede che un approccio per "forza bruta" agli scacchi funzioni maledettamente bene, il che dimostra come l'esplosione combinatoria degli scacchi sia relativamente ristretta, abbastanza perché i calcolatori possano controllarla. Per questo fanno sì bella figura con le persone, anche giocando in maniera totalmente diversa. Sono convinto che il campo ambigrammatico, molto meno coin-

volto con la matematica, sia in compenso molto più difficile da espugnare, impiegando la forza bruta. Se si vuole automatizzare l'ambigrammatica, l'approccio dovrà seguire i modi delle persone piuttosto che tentare di combattere l'esplosione combinatoria con la velocità e con la quantità di memorizzazione. Come ho detto prima, la via che seguo è questa, benché al momento non stia affrontando l'ambigrammatica di petto, perché sarebbe troppo difficile. Per tirare le somme, non sono in definitiva contrario alla meccanizzazione dell'ambigrammatica, o a simili attività creative — anzi l'opposto. La mia avversione è diretta soltanto verso chi pensa che la sola cosa da fare sia l'impiego della forza bruta nella forma di mostruose catalogazioni di regole, cenni, soluzioni standard, e quant'altro mai! G e b : Se ho ben afferrato, sei favorevole a un modello in cui la percezione sia la chiave di tutto. H o f : Sì, perché la percezione — specialmente nella sua forma più astratta — trascende ogni campo particolare; è generica e flessibile, caratteristiche necessarie alla creazione. Creatività è l'abilità di trovare costantemente nuovi punti di vista sfruttabili. Mi è alieno il pensare che atti creativi siano solo il risultato dell'accostamento di un certo numero di soluzioni memorizzate, non importa quanto astute, tratte da una specie di catalogo prefissato, non importa quanto grande. Mi sembra che un simile accostamento preluda solo a produzioni sterili.

Un'analogia tra numeri primi e entità indivisibili

G e b : Questo mi riporta indietro all'idea di fare ambigrammi per mezzo di un repertorio fisso di entità indivisibili. Penso tu abbia formulato una buona analogia confrontando la scomposizione di un ambigramma in entità indivisibili con la scomposizione di un intero abbastanza grande in numeri primi. Ma i commenti ulteriori hanno invalidato questa analogia, o no?

H o f : Sì e no. In un senso l'analogia non regge, semplicemente perché non vi sono entità ad alta frequenza che continuino a saltar fuori nella "fattorizzazione" degli ambigrammi. D'altro lato, se si osserva tutta la faccenda da un punto di vista leggermente spostato, allora l'analogia si rafforza di nuovo. Uno degli aspetti più significativi, per quanto riguarda i numeri primi, è che essi sono in numero infinito. Pertanto: Nessun insieme finito di numeri primi permetterà di affrontare con successo qualsiasi sfida di fattorizzazione di interi; l'insieme requisito di primi è infinito. Questo fatto ha un equivalente stretto nella mia maniera di considerare le cose: Nessun ambialfabeto finito di entità indivisibili permetterà di affrontare con successo qualsiasi sfida ambigrammatica; l'insieme requisito di entità è infinito. (Ad essere esatti, devo dire che l'insieme richiesto di entità indivisibili è così grande che in pratica è effettivamente infinito.) Così, sottolineando certi aspetti di una singola analogia e minimizzandone altri, possiamo destreggiarci ed usare la medesima analogia per sostenere punti di vista opposti. A sostegno della nuova conclusione, mettiamo in evidenza l'eterna novità dei numeri primi, mentre non diamo importanza al fatto che un insieme relativamente piccolo di numeri primi può aver ragione della maggior parte delle "scomposizioni in fattori", in un raggio abbastanza vasto.

V. AMBIGRAMMI E ANALOGIE

La distorsione curata delle categorie: il segreto delle analogie

G e b : La tua analogia è provocatoria, così come lo è il tuo modo di cambiare di enfasi per non dover abbandonare l'analogia. Non tenti mica, tra le righe, di fare una connessione tra ambigrammi e analogie? H o f : Certo. È appunto la questione che voglio discutere. In che senso gli ambigrammi sono come analogie? Geb :

Ebbene, spiegalo, ti prego!

H o f : Sono contento che me lo abbia chiesto. Lascia che provi a spiegare prima cos'è un'analogia. È la messa in corrispondenza di due strutture (o due situazioni) l'una sull'altra in modo che aspetti salienti di ciascuna struttura abbiano controparti distinte nell'altra, mentre aspetti minori possono o meno non averne. Si deve sentire che l'essenza di ciascuna struttura è rispettata e la si ritrova, specchiata, nell'altra struttura. Se per esempio si trasporta lo scandalo americano del Watergate su quello francese più recente del Greenpeace, non ci si deve aspettare di trovare "il G. Gordon Liddy dell'affare Greenpeace" o, per contro, "la Nuova Zelanda dell'affare Watergate". G. Gordon Liddy è stato senza dubbio un personaggio pittoresco, ma non ha molto a che fare con l'essenza del Watergate. E il fatto che il Rainbow Warrior sia stato affondato al di fuori delle acque territoriali francesi è irrilevante per quanto riguarda lo scheletro concettuale dello scandalo. L'essenziale di ambedue le situazioni è che sia stato commesso un crimine, il quale fu in seguito messo in connessione con dei governi nazionali, che alti funzionari di questi governi abbiano manovrato per coprire il loro coinvolgimento, che queste manovre siano venute a galla dopo inchieste giornalistiche e ufficiali che portarono, infine, alle dimissioni di vari alti funzionari.

Alcune coppie di situazioni sembrano intrinsecamente andare più d'accordo di altre. Molti trovano che l'assassinio di Kennedy e quello di Lincoln si assomigliano in modo impressionante. L'Afganistan è stato spesso chiamato "il Vietnam sovietico", e poche persone trovano da ridire sul paragone. Il conflitto religioso interno al Libano ricorda da vicino quello dell'Irlanda del Nord. Ma altrettanto spesso, analogie che colpiscono nel segno appaiono comunque molto meno evidenti. Mi ha colpito una volta un titolo in un giornale che dichiarava l'insegnamento in America "la Beirut delle professioni", che ha richiamato subito alla mia mente l'immagine di una città una volta gloriosa e ora devastata — ma perché il trasferimento fosse effettuato, dovetti tralasciare allora il fatto "inessenziale" che Beirut è una città, e trasportarne l'immagine, molto astratta, su di una "professione". Era un'equazione ingegnosa, e andava diretta allo scopo. I vignettisti politici vivono di questo genere di intuizioni. Ma se ci si pensa su, Beirut e l'insegnamento non hanno niente a che fare tra di loro, e pochi li metterebbero in comune di primo acchito se, un giorno, il titolo di un giornale non le facesse uguali e noi non ci trovassimo volenti o nolenti ad assentire all'istante alla loro somiglianza. Un fulmine a ciel sereno! G e b : Ma se era vero tutto il tempo, perché non era evidente anche tutto il tempo? Era un fatto obbiettivo e palese che Beirut e l'insegnamento potevano essere applicati così bene l'uno sull'altro? O l'apparente somiglianza non è che un'illusione dovuta a qualche strana eccentricità del sistema categoriale umano? Le nostre menti sono così avide di somiglianze, oppure disposte ad accettar tutto, che qualsiasi coppia di situazioni può essere proiettata I'una sull'altra in modo analogico, tanto da farci credere che stia accadendo qualcosa di reale? H o f : Tutto questo meditar retorico può essere passato pari pari nel mondo degli ambigrammi. Si può rappresentare ogni coppia di parole l'una sull'altra? Alcune sembrano meglio disposte all'accoppiamento, e infatti alcuni ambigrammi ci colpiscono come mi-

racoli. Cose che sembravano non aver niente a che fare tra loro — due nomi come "Michael" e "Barbara", per esempio — improvvisamente si rivelano somiglianti in modo impressionante (vedi Figura 29). Geb :

Un fulmine a ciel sereno!

H o f : Ma se era vero tutto il tempo, perché non era evidente anche tutto il tempo? Era un fatto obiettivo e palese che "Michael" e "Barbara" potevano essere applicati così bene l'uno sull'altro? O l'apparente somiglianza non è che un'illusione dovuta a qualche strana eccentricità del sistema categoriale umano? Le nostre menti sono così avide di somiglianze, oppure disposte ad accettar tutto, che qualsiasi coppia di parole può essere proiettata l'una sull'altra in modo ambigrammatico, tanto da farci credere che stia accadendo qualcosa di reale?

Tre tipi di analogie e di ambigrammi Geb : analogie.

Sembra tu sia convinto del nesso tra ambigrammi e

H o f : Sì, per gran parte li vedo coincidere. È una delle ragioni per cui sono così interessato agli ambigrammi. Mi pare che vi siano due tipi di analogie (benché questa distinzione vada presa cum grano salis: le analogie possono disporsi in un punto qualsiasi dell'intervallo). Il primo tipo è l'analogia trasparente — per esempio quella tra gli assassinii di Lincoln e Kennedy, dove la connessione è così ovvia e agevole che chiamarla "analogia" sembra quasi un artificio. Per chiunque abbia familiarità con ambedue le situazioni, sarebbe offensivo far notare il parallelismo — dire, ad esempio, "Il ruolo di John Wilkes Booth è stato ricoperto da Lee Harvey Oswald". All'altro estremo rispetto all'analogia "trasparente" è la corrispondenza forzata, che costituisce i ferri del mestiere dei vignettisti politici e dei panfletisti satirici, i quali vivono individuando insolite rassomiglianze e portandole ad altezze inaspet-

tate. L'uno o l'altro degli eventi che entrano nella combinazione sarà "deformato concettualmente", ma si fa confidenza nella disponibilità dei lettori ad accettare ed essere influenzati da queste somiglianze. La connessione tra Beirut e l'insegnamento è di questo tipo. Agli ambigrammi si applica lo stesso genere di distinzione. Alcuni risultano trasparenti, come "tidbit" (Figura 13); altri forzati, come "Douglas R. Hofstadter/Egbert B. Gebstadter" (Figura 30). Niente in questi nomi sembra suggerire che essi funzioneranno una volta accoppiati — eppure funzionano (o meglio, si può fare in modo che funzionino). Molti degli ambigrammi più interessanti sono corrispondenze forzate, altrimenti non vi sarebbe magia. G e b : Non ti sembra che "corrispondenza forzata" abbia un suono un po' sgradevole? Non fa venire in mente un matrimonio combinato che risulta un disastro? H o f : Buona osservazione! Forse sarà bene trovare un altro termine. In effetti, il campo del sentimento che hai introdotto merita di essere sondato più in profondità. È pieno di vocaboli suggestivi che fanno al caso nostro. Alcune storie d'amore sembra che siano state combinate in cielo. Sono queste le coppie felici, rare come denti di gallina. Ci sono poi quelle che sembrano inferni in terra, eppure durano — spesso per ragioni sociali, di famiglia, o simili. Queste sono le coppie forzate. La maggioranza, tuttavia, ha le sue radici in una affinità all'inizio avvertita istintivamente, da cui emerge grado a grado un accordo complesso e sottile. Queste coppie non sono né forzate né felici, sono soltanto coppie funzionanti. Questi tre termini stanno a simbolizzare uno "spettro di affinità naturale" che può essere applicato indifferentemente alle storie d'amore, alle analogie, o agli ambigrammi. G e b : Se si continua questo paragone tra ambigrammi e storie d'amore, allora si può dire che un ambigrammista è come uno che combina matrimoni — uno che nota affinità tra dei suoi amici, e li mette insieme.

H o f : È così, ma c'è dell'altro. Un ambigrammista copre non solo il ruolo di quello che combina matrimoni, ma anche di quello che è prodigo di consigli — ossia dedica sforzi notevoli perché la storia vada avanti senza intoppi. Ma anche qui ci sono delle differenze notevoli. Per esempio se il matrimonio fallisce, il consigliere si sentirà in qualche modo responsabile, e persino colpevole o meschino. Te lo immagini un ambigrammista che si sente colpevole perché un ambigramma riesce male? Il fatto è che può sempre cercare un'altra simmetria o un'altra variante nominale o una caratteriale, e così via. Nelle storie d'amore invece non ci sono certo questi gradi di libertà! E poi gli ambigrammisti sono fieri dei loro lavori e li mostrano con piacere. I consiglieri matrimoniali per contro non possono certo esibire la documentazione delle storie d'amore che hanno tenuto a galla. G e b : Il fatto di possedere un campionario dà l'impressione che si abbiano solo meravigliosi successi, il che è ridicolo. H o f : Non del tutto. Potrei perfino pretendere che non esistano brutti ambigrammi perché i mostri sono uccisi alla nascita, o abortiti prima di nascere, oppure non sono nemmeno concepiti, il che succede più spesso. Perciò tutti quelli che si vedono saranno per definizione i sopravvissuti — individui robusti che sono i superstiti della spietata "selezione naturale" eseguita dall'ambigrammista stesso. E dunque, io pretendo che proprio come non esiste nessuna specie inadatta, così non vi saranno nemmeno cattivi ambigrammi.

La selezione naturale e l'inesistenza di ambigrammi tyutti

G e b : Aspetta un momentino! Prima gli ambigrammi erano analogie, poi storie d'amore, e ora bambini deformi e specie a diverso grado di adattamento. Una bella mescolanza di metafore!

H o f : Sono desolato per questa improvvisa proliferazione, ma ti faccio notare che anche tu hai contribuito con una. In ogni modo, tutte hanno la loro ragione di essere. Per esempio, gli ambigrammi esibiti sono come sopravvissuti, e altrettanto si può dire delle analogie pubblicate, perché quelle tra loro che sono veramente mostruose, se non sono uccise appena nate, allora sono abortite oppure nemmeno concepite. Qualsiasi analogia si tenti accostando il ponte Watergate e l'affare Golden Gate morirebbe in fasce. Naturalmente vorrei poter dire che il paragone si applica anche alle storie d'amore — vale a dire che non ve ne sono di brutte — ma sfortunatamente, circostanze complesse di ogni genere congiurano nell'iniziare una storia e nel farla continuare, come accade con un bambino tragicamente deforme tenuto in vita artificialmente da malintesi indirizzi sociali. G e b : E questo tipo di tragedia sociale, che corrispondenza avrebbe tra gli ambigrammi? H o f : Uno veramente squallido, conservato ed esibito con quelli buoni per qualche ragione estranea ma importante per il creatore. Ma è difficile immaginare una cosa del genere. Geb :

E il tuo "Bivisione"?

H o f : D'accordo, ma di solito, gli ambigrammi di bassa qualità retrocedono gradualmente sul fondo del campionario, finché non vengono tolti definitivamente. Accade così che il pubblico abbia l'impressione che ogni ambigramma tentato riesca bene! Ma è sbagliato, per la ragione che quelli che non vogliono saperne di funzionare non saranno mai portati a termine — in effetti la maggior parte di essi non è presa in considerazione, nemmeno allo stato embrionale. In altre parole, nozze veramente forzate, o non sono mai proposte, oppure sono subito disdette. E, per sottolineare ancora la connessione, ciò ha valore sia per le analogie che per gli ambigrammi.

31. Una proprietà nascosta del nome "Guth", scoperta da Greg Huber

Gli ambigrammi: creazioni oppure scoperte?

G e b : Dopo tutta questa discussione, c'è qualcosa che mi frulla in testa, che ha a che fare con l'obbiettività e l'esistenza a priori di oggetti così eterei come le analogie e gli ambigrammi. La metterò in questo modo: un buon ambigramma è una proprietà intrinseca alle parole che contiene, oppure è solo una proprietà della nostra piente? E se è obbiettivo o intrinseco, quale originalità sarà attribuita a chi lo disegni? H o f : La tua domanda mi fa venire in mente un bellissimo fatto accaduto a Greg Huber. Egli fece una specie di "iffoglifico" — anzi non proprio un "iffoglifico", ma un giroglifico — sul nome "Guth" (vedi Fig. 31). Qui ogni lettera è esattamente della stessa forma; semplicemente la si prende dal basso, la si fa ruotare 3 volte di 90 gradi in senso antiorario, e si ottiene il nome. È un'idea apprezzabile, inventiva, ma quando Greg la mostrò a Alan Guth per cui l'aveva realizzata, questi sembrò moderatamente interessato ma non particolarmente colpito. Disse: "Oh! non sapevo che il mio nome avesse in sé questa proprietà!" G e b : Che discorso è questo! È come se improvvisassi un bellissimo pezzo sul pianoforte di un amico e questi dicesse: "Oh! — non sapevo che questa musica fosse nel mio piano!". Mi riterrei offeso! H o f : Ed a ragione. Tuttavia l'osservazione di Guth, benché fatta senza pensare, sembra meno assurda e offensiva di quella del tuo ipotetico amico. Dopotutto, una volta che lo si è fatto notare, sembra esserci una effettiva rassomiglianza tra tutte e quattro le lettere che compongono il cognome "Guth". Quella rassomiglianza era lì per tutto il tempo, in attesa che qualcuno, guardando con abbastanza attenzione, la scoprisse. Presente, o no? Invenzione o mera scoperta? Creazione, o semplice osservazione? Molti ambigrammi e molte analogie sembrano porsi a metà strada tra queste possibilità. Altre cadono vicino all'uno o all'altro

degli estremi. Poco prima ho menzionato delle analogie che stanno alle due estremità dello spettro. E per gli ambigrammi? Ve ne sono alcuni (vedi Fig. 13) talmente evidenti che è fuori luogo parlare d'invenzione; altri sembrano più nuovi, prendono in contropiede l'intuizione, forse hanno anche della magia (a prima vista, almeno). Ma una cosa va messa in chiaro: alcuni ambigrammi sono obbiettivamente forti, altri obbiettivamente deboli. Non è proprio il caso di dire che "tutto va". Le menti umane — per esser precisi, i nostri sistemi categoriali — non sono disposte ad accettare ogni corrispondenza si voglia appioppare loro; non più, per lo meno, di quanto si possa imbastire una storia d'amore con una coppia qualsiasi. Sorprende tuttavia nell'uso dei concetti quanta flessibilità vi sia in essi — fino a che punto possano esser distorti — e nello stesso tempo come abbiano confini oltre i quali non è possibile andare, cosicché siano pronti ad opporre una strenua resistenza a una combinazione troppo stiracchiata. G e b : Ancora non riesco a mandar giù la frase di Guth. È un'osservazione stranissima. Come si può dire una cosa simile? H o f : In realtà c'è dell'altro a proposito di questa storia. Greg rispose all'osservazione di Guth, "Posso fare così con qualsiasi nome". E Guth non seppe opporre altro che "Hmmm...". 110

G e b : È divertente, ma cosa voleva dire Greg con "fare così"? È senza dubbio una pretesa curiosa. H o f : Sono d'accordo. Certamente non intendeva niente che fosse vicino al significato letterale (non è nemmeno chiaro quale fosse alla lettera il significato della millanteria di Greg!). Ma in sostanza Greg voleva dire: "Dammi un nome qualsiasi, e ti mostrerò una sua proprietà che non conoscevi". E questo è uno dei trucchi che sono a disposizione dell'ambigrammista: egli esplora molte strade per trovarne infine una che comporti una soluzione soddisfacente; rivela allora questo risultato ma senza menzionare

tutte le altre innumerevoli vie che sono risultate vicoli ciechi. Al destinatario rimane pertanto l'impressione che quella sia stata la sola via intrapresa (benché l'ambigrammista non l'abbia mai detto in modo esplicito). Certo sembra un colpo di fortuna. Da coppie cui avevo fatto ambigrammi sui due nomi, spesso ho avuto più o meno questa reazione: "Quanto sei stato fortunato che i nostri due nomi avessero lo stesso numero di lettere!". Tali esclamazioni mi divertono sempre. Mi ricordano la seguente affermazione ingenua, ma apparentemente scientifica: "La vita sulla terra esiste solo grazie al miracolo di un rapporto fortuito tra i livelli di energia del carbonio, senza il quale non vi sarebbe nessun ciclo del carbonio e dunque nessuna evoluzione della vita sulla terra". Bene, se si tenta di scalare una parete e non ci si fa per una via, si torna indietro e si tenta da un'altra parte. Quando si arriva in cima si potrà dire a noi stessi: "Sei stato proprio fortunato per quella cornice che era lì!". Ma sai dentro di te che vi erano migliaia di altre vie, e che ce l'avresti fatta prima o poi con qualcuna. Anche la vita, in una forma o l'altra, si sarebbe prima o poi evoluta, aiutata o bloccata che fosse dalla disposizione dei livelli di energia del carbonio — e come accade con la vita e lo scalare montagne, così accade anche per gli ambigrammi. Il fatto che Michael avesse sposato Ruth invece di Barbara, o che la sorella di Alejandra fosse stata Carmen invece di Magdalena, avrebbe influenzato di poco la fattibilità dei relativi ambigrammi. Per fare ambigrammi, nomi a lunghezza diseguale non sono meno adatti di quelli a lunghezza uguale. Talvolta è richiesto un raggruppamento astuto, un'altra un quarto-di-giro fa al caso nostro, e così via. Tutte le volte è diverso. Ma i possessori dei due nomi coinvolti, ignari della ricchezza del mondo degli ambigrammi e vedendo i loro nomi accoppiati, restano perplessi e non s'immaginano come "ciò" — ai loro occhi definito dalla particolare operazione di simmetria, dalla scelta particolare di lettere da capitalizzare, dallo stile particolare, ecc. nel gramma che osservano — possa essere applicato ad altro nome che sia. E in questo hanno ragione, perché "ciò", così strettamente definito, non può esser

fatto che con pochissimi nomi. Se mi fossero state date a priori tutte le restrizioni che definiscono "ciò" ai loro occhi, allora mi sarei sentito incredibilmente fortunato nel momento del successo — così come mi sarei sentito incredibilmente fortunato di arrivare in cima a una parete, se la strada da percorrere fosse stata arbitrariamente predisposta da qualcuno ignaro di scalate! Mi è successo un paio di volte di fare un ambigramma su un nome e di accorgermi solamente dopo di averlo trascritto male (le persone a cui erano dedicati gli ambigrammi erano troppo imbarazzate per farmelo presente, ma qualcuno me lo ha fatto notare). Ogni volta ho potuto riparare al fallo, o rifacendo tutto l'ambigramma, o addirittura inventandolo da capo e sul posto. Rimediare così velocemente e dinanzi a un pubblico mi ha fatto sentire proprio bravo, e, dal di fuori, dev'essere apparso agli altri un vero atto di magia.

Il ruolo della fortuna nell'ambigrammatica

G e b : Quale ruolo diresti gioca la fortuna, seppur ne gioca qualcuno, nella creazione degli ambigrammi? H o f : Una domanda stimolante. Gli ambigrammi hanno con la fortuna un curioso rapporto ambivalente. Ogni buon ambigramma è, per qualche aspetto, un esempio di buona fortuna; ma è anche, per qualche altro aspetto, un esempio di cattiva fortuna. Si prenda la riflessione-muro "Michael-Barbara" della Fig. 29. Quando la scoprii mi eccitai moltissimo nel vedere come i due nomi s'incastrassero bene insieme, ma nello stesso tempo, e proprio per questa ragione, avvertii con disappunto la concidenza della "i" in "Michael" con la " a " mediana in "Barbara"; senza questo conflitto, l'ambigramma sarebbe stato quasi perfetto, maledizione! Ma l'esempio di intreccio di buona e cattiva fortuna che preferisco è il mio ambigramma a oscillazione su "Scott Kim" (Fig. 7b). Ge b

Dove sta la buona fortuna?

H o f : Ebbene, non ti sembra una gran fortuna che con una " S " e una " C " , l'una accanto all'altra, si possa fare una elegante "K", e con due " T " morbide che si appoggino, una " M " del tutto credibile? Ma forse non si deve ricercare in questi due fatti la fortuna, perché si tratta delle basi stesse per cui l'ambigramma è possibile. Dopotutto, soltanto quando si trovano sufficienti rassomiglianze, si può tentare di fare uno scheletro concettuale; e in questo caso le due coincidenze ci forniscono una base adeguata per tentare. Geb : ne dici?

Fin qui tutto giusto. Ma, e della cattiva fortuna che

H o f : Non è un peccato che " O " e " I " debbano coincidere? Sono così diverse — " O " fondamentalmente un cerchio vuoto, " I " un'asta lunga e stretta — praticamente inconciliabili. Il solo compromesso che può esser tentato tra loro è diretto e primitivo: un'ellisse semivuoto, allungato, e accettabilmente sottile. Questa è la prima delle sfortune. La seconda è 1"'esplosione combinatoria", piccola ma che mantiene il suo potere distruttivo e che avviene in ogni ambigramma a oscillazione composto da più di una entità indivisibile. Il fatto è che tutte le entità indivisibili sono libere di oscillare indipendentemente l'una dall'altra, dando luogo a un vortice di letture indesiderate e potenzialmente rivali. Più entità indivisibili ci sono, e più grande risulta l'esplosione (un numero n di esse dà 2" letture), come si può osservare qui sotto: SC o

K

o o I

TT o

M

Poiché ci sono tre entità indivisibili, si avranno 2 x 2 x 2 = 8 vie distinte per attraversare questa "rete", ossia:

SCOTT KOTT

SCOM KOM

SCITT KITT

SCIM KIM

Il solo fatto che favorisca le due interpretazioni desiderate è che siano nomi familiari. La seconda sfortuna è quindi la molteplicità d'interpretazioni, conseguenza inevitabile in un ambigramma a oscillazione con più di una entità indivisibile. Ma ecco un po' di fortuna correre in nostro aiuto! E c'è anche un modo particolarmente elegante per vedere come. S'inclini l'ambigramma in modo da accostare gli occhi in basso alla pagina; guardando da questa posizione, "SCOTT" dovrà emergere chiaro e distinto. Al contrario, se lo si inclina in modo che gli occhi siano vicini al lato di destra della pagina o a quello di sinistra, allora sarà la volta di "KIM" ad apparire con forza. Geb :

114

Un effetto stupefacente! Cosa c'è dietro?

H o f : Lo stesso principio vale nell'arte anamórfica, dove, se si guarda da un'angolatura insolitamente obliqua, per effetto della prospettiva emerge qualcosa di inaspettato. Accade lo stesso qui, in quanto alcune delle lettere sono scritte sottili, altre larghe. La diversa inclinazione della pagina tende a cancellare ora l'uno ora l'altro degli stili di scrittura. In modo specifico, le lettere sottili sono la "S", la " O " e, fino a un certo punto, le "T", mentre le larghe sono "K", " I " e " M " . Perciò il nome "KIM" è fatto per intero con lettere k • he, e "SCOTT", al contrario, di lettere sottili (eccettuata la " C " che tuttavia ci è imposta dopo la visione della "S"). Si tenga presente che tutto ciò non è dipeso da me; i suoi genitori avrebbero potuto chiamare Scott "Scim Kott", e in tal caso l'ambigramma a oscillazione sarebbe stato debolissimo; e lo sarebbe stato perfino nel caso che "Scim" e "Kott" fossero stati nomi reali

(al posto di "Scott" e "Kim"), perché le lettere avrebbero sempre larghezze sbagliate. Così risulta che sono stato fortunato, e non sfortunato, che la " O " e la " I " coincidessero, perché così è stata eliminata quel poco di "sfortuna" che rimaneva. Ne è derivato infine un ambigramma simile al cubo di Necker, nel quale, nonostante le due interpretazioni ad ogni angolo (che, se ci pensi, fanno 2 o 256 modi diversi e possibili di vedere l'insieme), tutti gli angoli oscillano in modo sincronizzato, cosicché ci sono soltanto due modi distinti di vedere il tutto. È un bellissimo effetto, e la ragione principale per cui sono tanto orgoglioso di questo ambigramma. 8

G e b : Ma non hai detto proprio ora che era un caso? Allora che merito ne hai? Non è assurdo o presuntuoso esserne fiero? H o f : Assolutamente no. Un fotografo sempre pronto a scattare eventi inaspettati acquista a giusta ragione molto credito, appunto per la sua prontezza. È vero talento saper cogliere al volo ciò che d'interessante accade dinanzi a noi e così "sfruttare il momento". Alla fine la morale è: "Afferra la palla e scappa!". G e b : È una maniera divertente di vedere le cose, che sottolinea ancora una volta l'intrico della questione imbrogliatissima: "Invenzione oppure scoperta?". H o f : Sono d'accordo. In un certo senso, vi è in ogni ambigramma tanto la buona che la cattiva sorte, eppure, in un altro senso, la fortuna non vi ha niente a che fare. Si può mettere anche così: a ciascun nome corrisponde un numero inconcepibile di modi di scriverlo; questi formano una specie di "spazio" in cui si può circolare come meglio ci aggrada. Un buon ambigrammista ha il fiuto di "avvertire" le regioni più promettenti in questo spazio, e, dato un tempo sufficiente, pescherà senza dubbio qualche perla rara. Invece un dilettante che si muova con meno efficienza, impiegando lo stesso tempo, riuscirà a estrarre soltanto qualche esemplare grezzo. Ma se si vanno ad esaminare le perle abbastanza da

vicino, ci accorgeremo che anch'esse hanno dei difetti, e questi ci daranno quasi altrettanto fastidio degli esemplari grezzi. Nessun ambigramma è perfetto, benché alcuni siano senza dubbio migliori di altri. E altrettanto si potrebbe dire delle analogie. G e b : Qualcosa non mi va in questo accostamento di ambigrammi e analogie. Tenterò di spiegarlo a parole. Ogni ambigramma, così come ogni analogia, coinvolge una forte sottolineatura di certe parti delle due entità in questione, mentre ne minimizza altre. Non si ricorre allora a una specie di inganno? H o f : Purché i due nomi si leggano con facilità, dov'è l'inganno? Questo è un dato di fatto! L'elasticità delle parole... G e b : È giusto, ma c'è ancora qualcosa d'ingannevole. Con analogie apparentemente buone, si può paragonare una situazione data con un gran numero di altre situazioni. Certe di queste analogie sosterranno tesi del tutto opposte! In modo simile gli ambigrammi mostrano come le parole e i nomi posseggano una sorprendente elasticità, ossia la disponibilità ad essere accoppiati con molti partner diversi. 775

H o f : Certo. La famiglia Mather ci fornisce un insieme istruttivo di esempi (vedi Fig. 32). Si consideri come il cognome "Mather" sia disposto ad "accoppiarsi", per così dire, con tre diversi nomi: "Norman", "Mary" e "Tom" — ognuno a modo suo. E si noti anche, per inciso, come "Mather" si distenda per intero sia su "Norman" che su "Mary", mentre con "Tom" è tutt'altra faccenda. La Fig. 32a è un eterogramma solo perché non l'ho trascritto, ruotato sotto se stesso; altrimenti sarebbe stato un omogramma che si sarebbe letto "Norman Mather" da ambedue le parti. Qui era solo questione di scelta. Al contrario, per quanto riguarda la Fig. 32c, non avevo scelta, perché da come ho tracciato "Tom" e "Mather", è impossibile districarli.

Aaw

JOMJWTHQX 32 32a. Una superentità indivisibile ("superprimo") banale, dove ciascuna lettura consiste in una sola parola 32b. Un prodotto di tre superprimi banali

32c. Un superprimo non banale consistente in due parole inestricabilmente fuse; cioè, qualsiasi taglio dividerebbe una delle due parole o nella prima o nella seconda lettura

G e b : Non è un po' l'idea delle entità indivisibili, ma riproposta a un livello più grande? H o f : Esattamente. La nozione di "entità" è stata definita come un pezzetto di ambigramma che, sia nell'una che nell'altra lettura, non contiene frammenti di lettera che sporgono. Definiamo ora una superentità come un pezzo di ambigramma che non contiene frammenti di parola che sporgono. Come prima si può "scomporre" l'ambigramma nelle sue superentità indivisibili. Naturalmente gli ambigrammi hanno di solito solo una parola in ciascuna lettura, così che non è possibile dividerli in superentità più piccole. Sono dei "superprimi", ma in senso banale, poiché posseggono soltanto un nome in ogni lettura. È il caso della Fig. 32a. Ci sono poi degli omogrammi a due parole come "Josh Bell" (Fig. 16), che sono il prodotto di due identici eterogrammi superprimi — all'incirca come fare il quadrato di un numero primo. Tale è la Fig. 32b, se si considerano solo la riga in alto e quella in basso, ignorando l'"Adele" omografica che sta al centro. Se si aggiunge "Adele", la Fig. 32b diviene un prodotto di tre superprimi. Ma la Fig. 32c, pur contenendo due nomi in ciascuna lettura, non può essere scomposta — è un superprimo omografico non banale. (Per un superprimo eterografico non banale, vedere la Fig. 30.) G e b : Non è forse "superprimo non banale" solo un modo manierato per dire che i bordi dei nomi non coincidono nelle due letture? H o f : Sì — ma non è spassoso far sì che l'ambigrammatica suoni così tecnica? In effetti odio essere oscuro. Ma ho trovato a più riprese, quando mi sono presa l'incombenza di inventare termini precisi per fenomeni già intuiti e già descrivibili con facilità impiegando frasi lunghe, che qualcosa si cristallizzava nella mia mente e le idee acquistavano una flessibilità maggiore — e questo

solo perché erano state trasposte in termini tecnici. Ma è importantissimo non esagerare. Mi sono ripromesso di non subissarti di gergo. G e b : Grazie! Ora, c'è qualcosa che non mi torna nella Fig. 32c. Consiste di due nomi per lettura, ma poiché i tagli tra i nomi non si allineano, ci sono in realtà due tagli all'interno. Come succede allora che il taglio supplementare — quello tra "Mat" e "her" — resti invisibile? H o f : È uno dei miei trucchetti preferiti. Dipende dal fatto che in gran parte responsabile della " T " maiuscola sia la sbarra che, più lunga è, fino a un certo punto, più forte è la " T " . Anche, con una sbarra lunghissima sulla " T " , "Mather" continua a reggere senza essere tagliato. Ma nell'altra lettura, la sbarra è solo uno svolazzo decorativo che esce dalla " M " , e più lunga è e più separa la " M " da ciò che la precede. Così si crea un taglio. Allora, questa piccola simbiosi della " T " e della " M " porta beneficio a tutte e due le letture. Si noti anche, incidentalmente, che alcune particole "magiche" come queste fanno in modo che tendano a svanire i tagli indesiderati tra nome e cognome nella Fig. 30. ...mette in dubbio la validità delle analogie? G e b : C'è dell'eleganza! Vedo cosa intendi con "sfruttare il momento"! Ma vorrei tornare alle analogie, a quello che vi trovavo di sconcertante, e adesso mi pare così evidente anche negli ambigrammi. Il nome "Mather" appare tanto docile e flessibile che ci dà l'impressione di esser disposto ad accoppiarsi con tutto. E se così è, non si sta facendo un gran polverone? O forse, e mi riferisco alle analogie, non ci sentiremmo imbrogliati se scoprissimo che ogni coppia di concetti può essere applicata l'una sull'altra in modo convincente? In questo caso, che valore dare alle analogie? Non ci sarebbe più concesso di credere che in ciascuna di esse vi si una qualche verità, in quanto ne esisterebbero di altrettanto attraenti in grado di sostenere tesi rivali.

H o f : Sembra che il punto dove vai a mirare sia questo: può la quasi-universale fattibilità degli ambigrammi suscitare dubbi sulla validità delle analogie in generale? Geb :

Sì, credo sia proprio questo che mi preoccupa.

H o f : Ebbene, ammetto che anche a me ha dato da pensare. Ma dopo aver meditato il problema in lungo e in largo, sono giunto alla conclusione che le analogie non corrono alcun pericolo. Credo che per mezzo degli ambigrammi si possa dimostrare — o rivelare — come le vie "lì in attesa" per la percezione di qualsivoglia situazione siano sorprendentemente varie. Tuttavia — ed è questo l'importante — non tutti i punti di vista sono interessanti alla stessa misura, o almeno non del tutto. E pertanto neanche tutti gli ambigrammi sono ugualmente attraenti. Solo una piccola parte va a gonfie vele. Alcuni sono irresistibili, ma la maggioranza — anche se molti sono forti in apparenza — non raggiunge questo livello. Ne ho fatti un mucchio che non avrei incluso in questa raccolta, e un bel po' che sento estremamente deboli. E figurati tutti quegli ambigrammi che non mi sono neppure sognato di fare, tanto erano pietosi! Si deve in ogni modo andare cauti nel valutare sentenze vaghe come "Per ogni coppia di nomi, l'uno può essere applicato sull'altro in modo da fare un ambigramma forte", e "Per ogni coppia di situazioni, l'una può essere applicata sull'altra in modo da fare un'analogia forte". È possibile sia vero, ma anche se lo è, non per questo significa che, tramite analogie, sia possibile sostenere con ugual forza tutti i punti di vista di un dato argomento! Per rendere più persuasivo il mio punto di vista, farò ricorso (un po' circolarmente) a un'analogia! Spero che la troverai convincente (ma anche se così fosse, data la presente discussione, non dovresti prender tanto sul serio questi sentimenti...). Si pensi a due avvocati che discutono in tribunale, mettiamo, il caso del vecchio macinino che arrugginisce abbandonato nel cortile di un certo Maurizio. La questione è se esso ricada nei termini della legge che dice: "Tutte le auto devono essere assicurate", op-

pure no. L'avvocato di Maurizio afferma che la vecchia ferraglia altro non è che un pezzo di scultura nel giardino di casa. Aggiunge poi che il termine "auto" non è per niente adatto, in quanto mancano parti del motore; la si dovrebbe piuttosto chiamare "scultura", e naturalmente non è il caso di assicurare una scultura! L'altro avvocato paragona invece una vecchia auto priva di una parte qualsiasi del motore a una nuova e in perfette condizioni, ma senza chiave di accensione; sono due masse di metallo del tutto inerti, indifferenti al fatto del vecchio e del nuovo, finché vi s'infili un certo altro pezzo di metallo, la "chiave", nel luogo appropriato: ecco allora la cosa animarsi, impaziente di muoversi. Chi ha ragione dei due avvocati? Ebbene, nonostante l'opinione a favore dell'uno o dell'altro, si dovrà comunque convenire che gli argomenti di ambedue sono solidi, interessanti, e almeno in parte validi. Non avrebbe però la stessa validità la tesi di un terzo avvocato che sostenesse come in realtà il macinino altro non era che un grosso accendino a ruote, e con vari accessori extra. Potrei portare altri esempi di analogie ancora più deboli, ma non è il caso di annoiare. In breve: non tutte le analogie hanno lo stesso potere di convincimento. Gli avvocati passano molto tempo a ricercare somiglianze tra situazioni; non è che prendano le prime che passano loro per la testa e poi le sostengano costi quel che costi. Ogni data situazione ha dei "caratteri" che le sono naturali — dei tasti che è facile premere — di cui bisogna andare in cerca. Certo, niente impedisce che ci si possa sforzare a fare paragoni con qualsiasi cosa, e inoltre può accadere che le circostanze ci costringano ad usare una certa analogia. In questo caso, la possibilità di darla a bere alla gente dipende dall'abilità e dalla cura con cui si nascondono i difetti. In modo simile, possono darsi circostanze in cui un ambigrammista sia costretto all'applicazione, uno sull'altro, di due nomi, facendo uso di una operazione di simmetria prestabilita. E allora, sì che si tratta di una corrispondenza forzata, proprio come il tuo matrimonio arrangiato! In tal caso vi è necessità di un grande colpo di scena. Aggiungendo una quantità di stile superficiale, è possibile nascondere le debolezze dello scheletro concettuale, proprio

come può essere d'aiuto, quando non si ha niente da dire, una grande esibizione di stile oratorio. In ultima istanza, però, questi trucchi di solito non funzionano, e per la semplice ragione che non tutte le situazioni o tutti i nomi possono essere paragonati con uguale successo l'uno con l'altro. Gli ambigrammi riescono bene così spesso perché, come ho detto prima, vi sono molti gradi di libertà nascosti. Un ambigrammista esperto impara a lasciarsi guidare dai modi in cui le parole stanno insieme, piuttosto del contrario. Alla fine si scopre che soltanto queste varianti nominali, e solo queste, funzionano insieme, usando queste operazioni di simmetria, e solo queste, e comunque solo fino a un certo grado. Anche gli avvocati si lasciano piuttosto guidare dalle loro analogie, e così facendo trovano i migliori argomenti possibili a sostegno dei loro clienti. Non significa, però, che tutti gli argomenti siano ugualmente efficaci. La giuria sarà invece variamente influenzata a seconda degli argomenti portati. Le operazioni di simmetria applicate alle analogie G e b : Vuoi dire che esiste un equivalente, valido per gli avvocati e per ogni altro creatore di analogie, dei gradi di libertà nascosti che l'ambigrammista ha a disposizione? Per esempio, se si tenta un'analogia tra la situazione # 1 e la situazione # 2, e ci si accorge che non va, esiste un qualche modo corrispondente al far voltare su se stessa la situazione # 2, oppure a rovesciarla sottosopra? E esiste ancora qualcosa di simile alle varianti nominali o a quelle caratteriali? H o f : Certo! Spostare l'enfasi su certe parti dell'analogia — mettere a fuoco certi aspetti e abbassarne altri — è simile al tentare altre varianti nominali o caratteriali. Non si tratta di spostamenti enormi, globali, discreti, come potrebbe essere passare da una operazione di simmetria ad un'altra — è più simile alla ricerca di una sintonia fine. D'altronde, anche nella creazione di analogie vi sono gli equivalenti degli spostamenti globali e discreti.

Geb :

Puoi darne un esempio?

H o f : Con piacere. Paragonando la Polonia alla California, potrei sovrapporre Varsavia a San Francisco e Cracovia a Los Angeles, perché vi è fra loro una certa corrispondenza geografica. D'altro lato, la corrispondenza funziona molto meglio per aspetti diversi se Varsavia viene sovrapposta a Los Angeles e Cracovia a San Francisco. Dopotutto, Varsavia e Los Angeles sono più grandi, estese, ricche e famose di Cracovia e San Francisco, che dalla loro parte hanno invece una certa affinità che deriva dalla storia, dall'eleganza, e dalla raffinatezza. Qui non ho fatto altro che scambiare i ruoli all'interno dell'analogia. G e b : Come chiameresti quest'operazione di simmetria: "riflessione", "rotazione", o cosa? H o f : Direi piuttosto una riflessione-lago, perché si scambiano nord e sud. Se si fosse trattato di est e ovest, avrei detto una riflessione-muro, e una rotazione di 90 gradi se avessi avuto a che fare con uno scambio nord-sud, est-ovest. Geb :

Puoi spiegarti meglio?

H o f : Bene. Se cercassi una applicazione dell'India sugli Stati Uniti, dividendo i due paesi nelle loro due metà tradizionali, la settentrionale e la meridionale, e se tentassi poi un accoppiamento, forse lo troverei e forse no. Non ne so abbastanza dell'India per dirlo con sicurezza. Ma supponiamo di no. Potrei allora concludere che una migliore soluzione sarebbe quella di accoppiare l'India del nord con la parte occidentale, e l'India del sud con la parte orientale degli Stati Uniti. In tal caso non avrei solo scambiato le vecchie convenzioni che dividono gli Stati Uniti, ma ne avrei spezzato le parti, e operato una specie di raggruppamento concettuale.

G e b : È un buon esempio. Ma accade veramente qualcosa di simile anche quando si fa un ambigramma quarto-di-giro o una giravolta? H o f : Nei quarti-di-giro e nelle giravolte, questo tipo di raggruppamento accade spesso. Benché l'ambigramma in sé lasci piuttosto a desiderare, trovo che è un esempio particolarmente adatto quello mostrato nella Fig. 33, una giravolta in senso antiorario su "Fred Chiù". Il cognome è molto simile a "OHIO", e non presenta difficoltà. Considerandolo inevitabile, sono stato costretto a tentare la stessa operazione di simmetria anche sul nome. Ecco che si presenta uno degli accoppiamenti forzati. Nella mia soluzione, "FRED" contiene al suo interno un raggruppamento insolito: le metà in basso della " R " e della " E " si combinano a formare la " R " nella seconda lettura, mentre le metà in alto formano la " E " nella seconda lettura. Geb :

Non male!

H o f : È divertente andare alla ricerca di ciò che corrisponde nella creazione di analogie alla rotazione, alla riflessione, e così via; ma è anche un po' sciocco, perché è solo un caso che io abbia scelto un'analogia geografica, di per sé bidimensionale. In generale, le analogie sono operazioni concettuali e pertanto pluridimensionali; gli ambigrammi invece sono fondamentalmente bidimensionali. Significa che vi sono in potenza nelle analogie molti più tipi di scambio globale dei ruoli che negli ambigrammi, anche se non è facile classificarli in termini geometrici. C'è un caso speciale di scambio dei ruoli che trovo molto interessante e che ci permette di spingere il paragone tra ambigrammi e analogie su di una strada divertente. Si tratta dell'applicazione analogica di una situazione su se stessa. Geb :

Sembra un'operazione banale.

H o f : Come la intendo io, non è banale! Se Alessandro arriva sempre in ritardo nonostante sappia che sua moglie Giovanna è maniaca della puntualità, e se Giovana perde continuamente gli oggetti benché conosca come questo faccia saltare per aria Alessandro, allora esiste un senso per cui ciascuno sta facendo "la stessa cosa" all'altro. Non è come sovrapporre un matrimonio ad un'altro, ma lo si applica a se stesso invertendo i ruoli. Una tale analogia è come un omogramma, dato che si mettono in corrispondenza due cose identiche. Un'analogia più ordinaria, tra due diversi matrimoni nei quali i mariti sono sempre in ritardo, è invece come un eterogramma. G e b : Così siamo arrivati persino alle "omonalogie" e alle "eteronalogie"! La connessione tra analogie e ambigrammi si spinge più lontano di quanto pensassi! Posso accorgermi come interscambi di ruoli siano simili agli spostamenti globali che avvengono nella riflessione e nella rotazione — ma alla oscillazione, cosa mai può corrispondere? Esiste forse una "analogia bi-stabile" nella quale, mentre si osserva una situazione, questa balzi avanti e indietro tra due interpretazioni che sono distinte, ma anche analoghe? H o f : Nessun problema. Si supponga che due rivali in affari siano anche innamorati della stessa persona, e che questa a sua volta sia alla testa di una terza società con cui le altre due si vogliono fondere. Fino a questo punto abbiamo due triangoli distinti ma analoghi che coinvolgono i medesimi attori in ruoli simili. Come situazione è già abbastanza scabrosa, ma è possibile renderla anche più intricata. Se tutti e tre insieme escono a cena, avremo una situazione sovraccarica di significato. In effetti ogni mossa da parte di ciascuno potrà essere "letta" a due livelli, a seconda della "veste" in cui lo vediamo. I creatori di analogie godono quindi degli stessi gradi di libertà nascosti da cui dipendono gli ambigrammisti. Gli avvocati, e specialmente i buoni avvocati, sono soliti far uso della larga gamma di trasformazioni discrete o continue che esiste, per trasformare

CHIÙ

3AW MÙ . dmb (mmj^w 33

DAY 1 0

pnird "D^vrD |

TB FÄi? 34

33. Una giravolta antioraria ottenuta usando nelle lettere " R E " il principio di raggruppamento in un modo bidimensionale

34. Diversi abbozzi sul nome "David Moser"

mentalmente una data situazione in altre. Può darsi però che intervenga la sfortuna, e una trasformazione del tutto innocente riveli inaspettatamente un'analogia favorevole alla parte avversa! E allora si dovrà faticare per prendere le contromisure. È come negli scacchi: siamo molto più tranquilli quando si sono anticipate le mosse dell'avversario e siamo pronti con le contromosse. Insomma, la frase sensata: "Due situazioni qualsiasi possono essere applicate l'una sull'altra per produrre un'analogia forte" non deve significare: "Due situazioni qualsiasi possono essere applicate l'una sull'altra per produrre un'analogia forte tale da favorire un punto di vista prestabilito". Questo è insensato! Il punto di vista non può esser prestabilito; è, invece, una variabile che assume valore in funzione del risultato. È quello che voglio dire con "lasciarsi guidare dalle analogie". Un processo simile si verifica nella ricerca scientifiche o nella creazione letteraria. Dovunque ci accada di pensare a una analogia, ne siamo padroni solo fino a un certo punto, perché in un altro senso essa s'impadronisce di noi e ci conduce per sentieri imprevisti. G e b : Operando con due nomi che, nonostante ogni torsione e ogni rigiro, non ne vogliono sapere di stare insieme, non hai l'impressione che la coppia in questione — cioè le due persone — è male assortita? H o f : Lo confesso, a volte pensieri come questi, del tutto irrazionali, mi frullano per la testa. Un'altra forma di irrazionalità, ma più galante, è la sensazione che quando "scatta" l'accordo tra due nomi, sia di buon auspicio per la riuscita di una storia d'amore. Credo sia insito nella natura umana non poter fare a meno di leggere, in coincidenze banali contenute nelle parole, messaggi riguardo alla realtà. Ma, a proposito di nomi che sembrano resistere ad ogni tentativo di ambigrammazione, ho trovato che se lo si desidera sufficientemente (la persona coinvolta è, diciamo, un amico stretto), allora succede quasi sempre di trovare una soluzione — vi è solo bisogno del tempo necessario all'esplorazione di un numero sufficien-

te di vie bizzarre. Ripetutamente mi accade di tralasciare una ricerca in apparenza senza speranza, soltanto per riprenderla più tardi con rinnovata energia — e, quasi sempre, riesco a trovare una buona soluzione, il che sembrava del tutto improbabile, quando avevo la certezza che essa non avesse nessuna possibilità di esistere. Alcune delle mie ricerche più pietose sono state quelle richieste dal nome del mio amico David Moser (vedi Fig. 34, un dossier di tentativi penosi, che però danno l'idea come io esplori un certo numero di strade per rendermi conto se portano da qualche parte; in questo caso si trattava di strade senza sbocco). Ho tentato molte vie con disperazione crescente, finché non rinunciai. Eppure, alcune settimane dopo questi fiaschi avvilenti, ho tentato di nuovo, e sono giunto a un quarto di giro del tutto di mio gradimento (Fig. 12). Non sono ancora sicuro di potere combinare qualcosa di veramente buono in qualsiasi situazione, ma spesso, quando sono sotto pressione, riesco a stupire me stesso. L'attrattiva irresistibile del superficiale G e b : Per una debolezza umana, si legge nei simboli più di quanto vi sia in realtà — secondo te, questo effetto ha un'influenza sul grado di validità che le persone attribuiscono alle analogie? H o f : Certo. Si prenda di nuovo l'analogia WatergateGreenpeace. Se vi fosse stata una figura dal nome "Liddy" sullo sfondo dello scandalo francese, o un aggancio neozelandese in quello americano, 1'"impatto" o l'attrazione dell'analogia ne sarebbero risultati rafforzati, a scapito forse della validità oggettiva. Per quanto ne so, non vi fu niente di simile, ma accadde qualcosa di meno spiacevole per cui questa analogia si fece strada nella mia mente: qualche bello spirito fece notare come " Underwalergate" fosse un nome più appropriato per uno scandalo che contemplava una nave affondata. Per me fu come la ciliegina sulla torta: non era profondo, ma fece scattare l'analogia.(Anche alla caduta di Nixon si è dato talvolta l'appellativo di " Waterloogate" — mirabile allusione alla caduta di Napoleone, ambigrammaticamente ce-

lebrata nella Fig. 35). Connessioni come queste, superficiali ma orecchiabili, spesso fanno la differenza tra ciò di cui la gente non si accorge e ciò che invece ricorda. Trovando abbastanza di questi ingredienti, si potrebbe confezionare un"'analogia di successo", anche se a basso contenuto. Le migliori analogie sono naturalmente quelle che combinano la profondità del contenuto analogico con l'attrazione di una forma simbolica. Portando avanti la nostra giustapposizione tra analogie e ambigrammi, aggiungerò che i più memorabili tra questi ultimi sono quelli il cui contenuto (parole) è limpido e piacevole, e la cui forma (stile di superficie) rispecchia il contenuto in modo evidentemente simbolico. Un buon esempio è il "Josh Bell" della Fig. 16, con il gioco visivo sul nome "Bell". Se avessi messo il solito puntino sulla "j", me ne sarei trovato un'altro, indesiderato, sotto "Bell"; in questo modo, invece, il punto che sta sotto contribuisce a "far trillare il campanello". ("Bell" in inglese significa sia "campana" che "campanello"). Questa ciliegina, benché inutile e ininfluente rispetto allo scheletro concettuale, contribuisce a rendere appetibile l'ambigramma a un grado che non sarebbe stato certo raggiunto aggiungendo un semplice circoletto. G e b : Rigiriamo ancora la questione. Hai affermato di riuscire in un ambigramma accettabile su qualsiasi nome, soltanto desiderandolo abbastanza. Vale anche per le analogie?

Coincidenze, miracoli, e un detto di Enrico Fermi

H o f : Direi che si può quasi sempre trovare un modo interessante di applicare, l'una sull'altra, due situazioni. E, cercando seriamente, si possono trovare anche delle "ciliegine" che, attraendo le persone, le distraggano dai difetti importanti. Per molti, ad esempio, l'assassinio di Lincoln e quello di Kennedy sono senz'altro analoghi per grandi linee, ed è sufficiente; altri, invece, si sentono in qualche modo spinti ad andare alla ricerca di "risonanze cosmiche" tra i due eventi. Grazie agli sforzi di questi trafficoni

del misticismo, sono in grado di mostrare la lista seguente di parallelismi, alcuni stimolanti, altri meno: 1. Tra l'elezione di Lincoln e quella di Kennedy corrono 100 anni (1860, 1960); ad ambedue venne sparato alle spalle e vennero colpiti alla testa, di venerdì. 2. Tra le date di nascita dei due assassini (Booth, Oswald) correvano 100 anni (1839, 1939). 3. Sia a Lincoln che a Kennedy sono succeduti degli exsenatori a nome "Johnson", nati a 100 anni di distanza l'uno dall'altro (1809, 1909). 4. Il segretario personale di Lincoln si chiamava "Kennedy", il segretario personale di Kennedy si chiamava "Lincoln". 5. Booth sparò a Lincoln in un teatro e fuggì in un magazzino, Oswald sparò a Kennedy in un magazzino e fuggì in un teatro. 6. "Lincoln" e "Kennedy" contengono lo stesso numero di lettere. 7. "Andrew Johnson" e "Lyndon Johnson" contengono lo stesso numero di lettere. 8. "John Wilkes Booth" e "Lee Harvey Oswald" contengono lo stesso numero di lettere. 9. Ambedue i Johnson ebbero come oppositori alla rielezione candidati il cui nome cominciava con " G " . Non è una lista impressionante? Geb :

Non c'è dubbio. Come la si deve interpretare?

H o f : Ebbene, alcune coincidenze — quella dei nomi dei segretari, ad esempio — sono talmente insolite che persino un antimistico incallito come me prova un brivido di mistero. Ma per quanto riguarda la maggior parte di esse — specialmente le ultime — sembrano appartenere a quel genere di cose che è possibile scovare frugando abbastanza e usando le frasi appropriate. È certo che a prima vista i tre "100" sono impressionanti; ma se ci si pensa su, ci si rende conto che quando due eventi analoghi e abbastanza complessi accadono a circa 100 anni di distanza l'uno dall'altro, proprio per la loro complessità forniranno, a chi è in cerca di coincidenze secolari, fatti in abbondanza in cui andare a rovistare. E che dire poi di tutti i fatti non menzionati perché non contribuiscono all'analogia? Per esempio: quando erano nate le vedove? Quali erano i loro nomi? Quando erano nati Lincoln e Kennedy stessi? Quando furono assassinati? In quali mesi? In quali stati? Quali città? Con quali lettere iniziano i nomi delle città? E così via all'infinito. Tuttavia la "risonanza cosmica" tra Lincoln e Kennedy è stupefacente, e non c'è dubbio che ammette un numero sorprendente di coincidenze, statisticamente parlando. Ma è proprio ciò che statisticamente ci si aspetta: più o meno una volta su cento un evento con probabilità dell'un per cento dovrà accadere! E quando accade, se si è mistici, lo si farà notare e se si è anti-mistici, si faranno notare tutti gli altri eventi che non sono stati notati. Succede pressappoco la stessa cosa con gli ambigrammi; se si trova una rassomiglianza che ci colpisce nella fase dello scheletro concettuale, allora la si sfrutta per quanto è possibile! Si dedica poi molto più tempo del normale nelle fasi mediane, e si aggiunge infine una buona dose di stile superficiale per terminare il tutto. Se si giocano bene le carte che abbiamo in mano, ci ritroveremo un ambigramma tanto splendido e all'apparenza inevitabile che chiunque lo voglia mettere in discussione apparirà come un guastafeste! Inoltre, quando si metterà insieme una raccolta di ambigrammi, si evidenzieranno solo i migliori, mentre i malriusciti li sottrarremo alla vista. È naturale che, più ambigrammi si fanno, e più sarà facile imbattersi in una "risonanza cosmica" tra nomi,

del tipo "Lincoln-Kennedy" (come la mia scoperta di "MichaelBarbara"); essa rappresenterà allora una notevole acquisizione per il nostro repertorio. Per inciso, non c'è bisogno, per fare un ambigramma magnifico, di una percentuale così bassa come l'un per cento; infatti il fisico Enrico Fermi disse una volta: "È miracolo uno su dieci". Geb :

Che voleva dire con questa misteriosa affermazione?

H o f : Chissà. Io la prendo così: la gente si stupisce eccessivamente per eventi che hanno una probabilità su dieci. Questa idea, trasposta nell'ambigrammatica, significa che sfruttando coincidenze minime, si possono fare ambigrammi che sembrano miracolosi. G e b : Nei cognomi "Lincoln" e "Kennedy" ci sono abbastanza coincidenze minime per costruire su di essi un ambigramma che abbia del miracoloso? H o f : Sicuro! Ossia, non proprio miracoloso, ma almeno rispettabile — altrimenti dovrei mangiarmi il cappello dopo tutte queste fanfaronate. La mia soluzione è quella della Fig. 36. G e b : Leggibile. Ma "Lincoln" comincia con lettere corsive e termina con maiuscole a stampatello. La "i", poi, fa veramente pietà. H o f : Piuttosto direi comica. Dipende da come la si guarda. In un certo senso, dà carattere — aggiunge un po' di pepe. Talvolta nel fare un ambigramma ci si accorge come difetti vistosi o trucchi ridicoli risultino, curiosamente, affascinanti per la gente; si decide allora che, nonostante tutto, l'ambigramma ci piace così com'è. È il caso dell'omogramma mezzo-giro su "Sondra" (Fig. 37). All'inizio ebbi la seducente visione della " N " che, ruotando, diventava se stessa, e della " O " che si sovrapponeva alla " D " . Di conseguenza, fui costretto ad accettare la sfida della "S" su "RA", che mi apparve dapprima senza speranza. Ma arrivai

35. Una celebrazione ambigrammatica del "Waterloogate"

36. Un ambigramma presidenziale

37. Una corrispondenza forzata ma fortunata tra " S " e " R A " 38a. Un pietoso tentativo su "Policansky"

38b. Un tentativo più felice sullo stesso nome

in qualche modo intuitivo all'idea che, tra gli svolazzi di una " S " corsiva, avrei forse potuto scovare le arricciolature necessarie per una " R " e una " A " . Feci dunque un tentativo: presi qualche rischio nel disegno, lo giudicai del tutto senza senso, e comunque lo mostrai alla gente. Piaceva, con mia grande sorpresa. Ormai anch'io ne sono contento! E provo più o meno lo stesso sentimento per il "Lincoln-Kennedy". Non contento di aver fatto un ambigramma sui cognomi di questi due presidenti, sto meditando di farne uno sui cognomi dei due successori. Geb :

"Johnson" e "Johnson"?

H o f : Sì, un omogramma a oscillazione — che oscilla tra i cognomi di questi due presidenti. G e b : Non m'impressiona. Un'altra versione banale. Dovrai fare di meglio! Hof :

Vedremo.

VI. LA LETTURA E LE LETTERE

Lezioni apprese dagli ambigrammi favoriti

G e b : Bene, abbiamo toccato diversi punti di rilevanza filosofica; rifacciamoci a qualcosa di più pratico. Mi hanno divertito i tuoi rozzi abbozzi su "David Moser". Quali altri tuoi ambigrammi — brutti o no — trovi interessanti? H o f : È sempre uno spasso parlare degli ambigrammi mal riusciti, anche se sono nostri. Vi è però un piccolo problema da superare: getto sempre i peggiori! Non sempre, a dire il vero, perché conservo alcuni dei fallimenti più flagranti proprio per rispon-

dere a domande simili. Nella mia collezione ve ne sono miei e di altri, ma qui non voglio mettere nessuno in imbarazzo. Nella Fig. 38 mostro due ambigrammi contrastanti sul nome "Policansky". Non ricordo di aver fatto il primo, ma dallo stile sono pressoché sicuro che è mio. È atroce, penoso! Il secondo, al contrario, è uno dei miei favoriti. Nel fare ambigrammi mi piace quando si passa da un fiasco a un altro, finché scatta l'evento meraviglioso della scoperta per cui tutto combacia all'improvviso. Uno di questi eventi accadde nel caso di due amici chiamati Judith (e non "Judy"!) e Kenneth (o "Ken") De Woskin. Mi accinsi a lavorare con i due nomi, cercando se possibile di unirli. Ma non riuscivo a fare niente con "Kenneth" e "Judith" insieme, nonostante vi fosse un "th" in comune alla fine (ma questa allettante coincidenza era ingannevole, utile solo nel caso di una riflessionelago o in una oscillazione). Mi venne persino il dubbio che non avrebbero dovuto sposarsi! (Per scherzo, naturalmente.) Rinunciai a sperare in un ambigramma congiunto, e mi misi invece al lavoro su "Ken De Woskin". Non ci misi molto a confezionare una giravolta antioraria passabile ma non eccezionale. Soddisfatto, una sera la mostrai a Ken in presenza di Judith. Judith però, che aveva appena visto alcune soluzioni trovate per "DougCarol" (vedi Fig. 24 ), era affascinata dall'idea della combinazione di due nomi, che trovava molto romantica. Mi pregò pertanto di congiungere il suo nome con quello di Ken. Non le risposi che avevo già tentato ed avevo rinunciato; anzi la presi come una sfida difficilissima. Come se fossi di fronte alla scalata di una parete sulla quale avevo già subito una sconfitta, esaminai di nuovo tutte le strade più normali, alla ricerca di una illuminazione che mi fornisse una chiave che mi era sfuggita prima — ma tutte le strade sembravano svanire nel nulla. Gran parte, però, del piacere degli ambigrammi consiste proprio nello scoprire oscuri modi che siano efficaci, e uno di questi è quello di sfruttare insolite varianti dei nomi. In questo caso aggiunsi come variante "and" prima di "Ken" perché raggiungesse la lunghezza di "Judith". Improvvisamente scattò una riflessione-lago e ne risultò uno dei miei ambigrammi preferiti (Fig. 39).

G e b : Cosa pensi ne faccia un successo? Solo perché avevi fallito prima? O perché hai fatto una mossa furba che gli altri ambigrammisti non avrebbero pensata? H o f : Tutti e due questi fatti hanno avuto un impatto sulle mie emozioni, ne sono sicuro; ma c'è di più. Prima di tutto l'eleganza: le forme letterali sono in sé gradevoli e fluide, e per di più stanno benissimo insieme. È una qualità inafferrabile, ma non vi è dubbio che vi sia. Secondo, si legge bene: ogni lettore anglofono lo visualizza all'istante. Terzo: non viola uno dei miei Principi Cari, ossia l'imperativo: "Non mischiare a caso maiuscole e minuscole".

Quattro principi religiosi

G e b : Ma è un principio che spesso non rispetti! Sei persino arrivato a mostrare 24 varianti letterali di "Tina", dicendo che erano tutte usabili. Come puoi allora chiamarlo un "Principio Caro"? H o f : Ebbene, nel fare ambigrammi ci vuole flessibilità. Si deve imparare a piegarsi alle necessità, lasciar sì che un certo numero di forze ci suggeriscano come "cedere", o "slittare". E i Principi Cari (o come io li chiamo talvolta, i "Principi Religiosi") di tanto in tanto li si deve sacrificare — anzi, spesso. Rammenta quel che ho detto prima: non tutte le varianti caratteriali sono ugualmente gradevoli; alcune, come "tiNA", hanno associato a sé un "valore di rischio" considerevole, anche se la " t " e la "i" sono alte come la " N " e la "A". In queste varianti vi è semplicemente qualcosa di repellente. Ma talvolta, lo ripeto, bisogna fare delle concessioni. D'altronde negli ambigrammi il gioco è questo! Ci sono tante, ma tante forze che premono, che in qualche modo, da qualche parte, qualcosa deve essere concesso! In effetti, "Tina", a questo proposito, fa al caso nostro. Su questo nome ho tentato diversi scheletri concettuali, e alla fine ho trovato due varianti caratteriali che mi sembravano promettenti:

jjg

tiNA

TinA

Ambedue erano rischiose, nel senso che andavano contro le convenzioni ed apparivano un po' "stupide". Tuttavia, quando le ho adoperate (vedi Fig. 40), hanno dato due disegni finali che si leggono facilmente — e questo è ciò che conta negli ambigrammi. Geb :

Quali sono i tuoi Principi Cari (o "Principi Religiosi")?

Hof :

Di solito osservo questi quattro:

1. Ogni lettera deve essere chiaramente leggibile; 2. Le lettere devono essere separate in modo netto l'una dall'altra; 3. Minuscole e maiuscole non devono essere mischiate a caso; 4. Gli stili non si devono confondere. Ma se si guarda ai miei ambigrammi, allora si potrà vedere come io trasgredisca quasi ogni volta l'uno o l'altro di questi principi. 140

Geb :

Può succedere allora che si scontrino tra loro.

H o f : Sfortunatamente è così. Tracciando lettere senza altri vincoli, possiamo essere ligi a questi principi, ma nel fare un ambigramma, essi interagiscono tra loro in modi tanto diversi che è impossibile conservarli ovunque. È il dilemma che deve fronteggiare ogni fondazione che elargisca capitali: da tutte le parti provengono richieste che proclamano di essere le più bisognose e le più meritevoli, ma nonostante la credibilità e la simpatia di tutte, è giocoforza rispettare le priorità e fare una selezione, sacrificando qualcosa da qualche parte. Uno dei problemi che gli ambigrammi mettono bene in luce è lo

39. Un ambigramma favorito, ottenuto usando una variante nominale non ovvia

40 40a. Una soluzione creativa per "Tina", ottenuta usando il raggruppamento l a paragonare con la Fig. 27b)

40b. Un'altra soluzione creativa per "Tina", ottenuta usando il raggruppamento in un modo diverso (sempre da paragonare con la Fig. 27b)

scontro di forze che non possono essere direttamente paragonate tra loro — il paragone proverbiale tra arance e mele. Chi può dire se è peggio distoreere fino a un certo punto una lettera data, o usare invece una variante nominale un po' irritante? Oppure, un ambigramma non proprio speciale ma che si legga bene, è migliore di uno splendido per ingegnosità, ma non tanto leggibile? E chi può dire se una combinazione insolita di maiuscole e minuscole può essere adeguatamente compensata, ad un dato livello, dall'eleganza stilistica?

La concorrenza tra pressioni mentali incommensurabili

G e b : Non c'è modo di convertire tutte le forze in unità numeriche sul genere della valuta monetaria? Allora si potrebbero paragonare i "prezzi" tra loro. Abbiamo la moneta proprio per questa ragione: permette di confrontare tra loro oggetti differenti come lavatrici, viaggi aerei, o l'onorario dell'idraulico (e, naturalmente, arance e mele!), cose che in sé sono incommensurabili. H o f : Può essere un modo di abbordare il problema, ma non credo che funzioni. Per esempio, nella società umana non possiamo scambiare una vita con un controvalore in dollari. È comunque vero che implicitamente lo facciamo quando valutiamo, ad esempio, quanto investire in assicurazioni, pensioni, o dispositivi di sicurezza — ma non verrà mai, di certo, in mente a nessuno di dire: "La vita di mio figlio vale X dollari". Eppure prendiamo continuamente decisioni che comportano "valutazioni" in dollari, che riguardano bambini. Ma probabilmente, in ultima analisi, si rivelano inconsistenti, perché la nozione di valore monetario per ogni genere di cose è incoerente. Analogamente, credo che un approccio meccanico alla creazione ambigrammatica — un programma per fare ambigrammi — non avrebbe successo se si cercasse di convertire direttamente tutte le pressioni in "unità di valore-rischio" o "valore-ammenda", oppure, al contrario, "punti qualità", ecc. Il programma potrebbe agire alla stregua di un genitore in modo da simulare l'uso di tali

unità di rischio. Ma penso che il problema non sia riconducibile a una logica unidimensionale, e che invece il conflitto delle forze abbia luogo in uno spazio pluridimensionale. Inoltre, benché sembri che il risultato di tali conflitti possa esser sempre descritto come "La Forza X ha superato la Forza Y", non sarà possibile attribuire questo successo alla semplice superiorità numerica della Forza X sulla Forza Y. G e b : Il tuo scetticismo sui modelli "monetari" delle pressioni mentali, non riguarda forse il fatto che il maggior numero delle questioni da risolvere nel fare un ambigramma emergono nel corso della creazione, e non possono esser previste in anticipo? H o f : È proprio così. Questioni che compaiono spontaneamente risultano da moltissime pressioni mentali simultanee, un po' come le pressioni sotterranee che causano i terremoti. Per lo più, tali pressioni hanno per effetto lente e continue deformazioni della superficie terrestre, ma ogni tanto esse causano una scossa subitanea e violenta che fa apparire nuove e inattese trasformazioni. Queste, a loro volta, creano nuove pressioni che interagiscono con quelle più antiche (alcune delle quali molto più deboli, avendo esaurito la loro tensione nell'improvviso slittamento). Considero gli slittamenti discreti, nei quali nuove possibilità compaiono come se venissero dal nulla, come equivalenti mentali di repentini terremoti. Concetti inattesi possono sorgere ad ogni istante portando con sé nuovi gruppi di pressioni. È per questo che mi sembra inadeguato ogni modello monetario delle pressioni mentali interagenti. Geb :

Sono concetti duri da affrontare.

H o f : In realtà lo sono. Ma sono anche il punto cruciale di tutta la questione, quando si arrivi a pensare cosa accada nella mente di chi fa ambigrammi, o si cerchi di costruire un modello dell'atto creativo. La risposta che si darà a questa semplice domanda la dirà lunga sulla nostra filosofia: "Possono forze apparentemente

incommensurabili essere sempre convertite in una valuta universale?". G e b : Bene, più si cerca di sfuggire e più si va a cascare in questioni filosofiche. H o f : Trovo così affascinanti gli ambigrammi proprio per questa ragione. Ognuno di essi ha una sua storia che tocca rilevanti punti filosofici.

Quell'odioso puntino sulla "I" maiuscola

G e b : Presumo, allora, che se ti chiedo di continuare a parlare dei tuoi ambigrammi preferiti, porterai ancora argomenti interessanti. H o f : Lo spero! La Fig. 41 mostra un altro dei miei ambigrammi favoriti — sui nomi "Roy" e "Alice" — nel quale non ho potuto evitare di fare qualcosa che trovo odioso: mettere un puntino sulla " I " maiuscola! Questa convenzione, del tutto comune in Europa, appare negli Stati Uniti un'azione da analfabeta. Tuttavia l'autorevole e venerabile rivista americana Science, nella sua recente ristrutturazione, senza ragione apparente, ha adottato come stile nel titolo un guazzabuglio di maiuscole e minuscole — e vi è anche una " I " maiuscola col puntino! Lo trovo disgustoso. Comunque, se la causa è buona, può anche non essere così repellente. Nell'ambigramma "Roy-Alice", ho messo il puntino sulla " I " maiuscola in modo che risultassero ridotte le probabilità che la " I " fosse percepita, insieme alla " L " vicina, come facente parte di una " O " . Penso sia scusabile. Lo stesso argomento permette di illustrare magnificamente il concetto dello slittamento creativo. Ma prima che lo esponga, proporrò un problemino per i nostri lettori: Fare un eterogramma su "John"/"Liz".

IO"

Geb :

Puoi dare loro qualche suggerimento?

H o f : Dirò solo che esiste una soluzione elegante. È sufficiente. Dopo (e solo dopo) aver tentato, si potrà continuare a leggere... Per quanto mi riguarda, quando affrontando questi stessi nomi, mi sono accorto quasi all'istante.che "JOHN" prometteva molto quando lo si fosse ruotato di 90 gradi in senso orario. (Potete girare anche voi la pagina e controllare la mia affermazione). Lo " H N " alla fine diviene facilmente "IZ", e a questo punto rimane solo " J O " da trasformare in " L " . Sfortunatamente non è altrettanto facile, e mi ci volle un bel po' prima che mi accorgessi che vi è una via più naturale; ossia, pensare "OHN" più che " H N " da trasformare in "IZ", dove l'unità " O H " diventa una " p u n tata. Resta ora solo la " J " da trasformare nella "L", ed è facilissimo. La mia resistenza a questa versione elegante era dovuta alla mia ripugnanza verso il puntino sulla " I " maiuscola. Ma, sottoposto a una pressione sufficiente (la bellezza della trasformazione di " H N " in "IZ" insieme con la difficoltà che incontravo a convertire "JO" in "L"), subii un "térramente" (o, se si vuole, un "mentemoto") — uno slittamento creativo — per cui improvvisamente tutto apparve al posto giusto (Fig. 42). La pressione ingenera lo slittamento: è la vecchia storia della creatività! Per di più, penso che questo ambigramma possegga un'eleganza classica. Geb :

Non è male. Altri favoriti?

H o f : Ancora uno: un mezzo-giro su "Mary" e "Rudy" (Fig. 43). Amo la sua rarefazione: in "Mary" i vuoti nella " M " che però non ne distruggono la "M"-ità, il punto come sbarra della "A", l'asta appena accennata della "R", la "Y" così stretta; e poi in "Rudi": il modo con cui la "Y" e la " R " capovolte si fondono in una " R " rafforzata, e quello per cui la " M " messa sottosopra si scinde visivamente in una " D " e una "I", e l'apertura in basso alla "D". Anche la congiunzione al centro è scarsa. Que-

oH 42 Un eterogramma nel quale un puntino facilita il riconoscimento di una " I " maiuscola

42. Un quarto-di-giro orario che esiste solo grazie al puntino sulla " I " maiuscola nella seconda lettura

43. Un mezzogiro favorito, usando lettere assai sparse

sto è un esempio di come, al posto di decorazioni inattese ma scusabili, si abbiano invece dei vuoti altrettanto inattesi e altrettanto scusabili. Penso sia uno dei miei migliori ambigrammi. A proposito, è stato fatto per Rudolf e Mary Arnheim, che di recente sono divenuti miei amici. Rudi è uno dei più eminenti psicologi dell'arte al mondo, e si è formato nel campo della psicologia percettiva di tradizione gestaltica. Ho provato un grande piacere nell'essere stato capace di fargli come presente una mia creazione in cui erano coinvolti quei principi visuali che lo hanno affascinato durante tutta la sua carriera. G e b : Gli ambigrammi che fai vertono sempre su nomi reali? Non ti è mai capitato di scoprirne due che stiano magnificamente insieme benché tu non conosca nessuno che li porti? H o f : Come potrei? L'impulso deriva quasi sempre dalla conoscenza di persone che portano i nomi con cui sarà fatto l'ambigramma. Non penso di essermi mai dato da fare alla ricerca di nomi che abbiano una buona combinazione. Seguendo questo metodo, qualsiasi cosa trovassi sarebbe innaturale, artificiosa. In ogni caso, non esiste modo migliore, per esplorare il mondo degli ambigrammi, di accettare sfide a caso, e i nomi in cui ci s'imbatte procurano un materiale perfetto. Ogni ambigrammista affronta in fondo gli stessi problemi, solo in circostanze diverse: ciò fa parte del fascino della cosa.

Eppure si legge: il caso di "Johann Sebastian Bach"

Una delle persone reali il cui nome mi ha attratto di più è stato Johann Sebastian Bach. Ho fatto alcuni ambigrammi sul suo nome tentando idee diverse. Uno di questi si presentò in maniera strana. Avevo fatto ambigrammi per l'intera famiglia Claro — Francisco, Isabel, Alejandra, Magdalena, Sebastian. L'ultimo mi fornì un'ottima soluzione per il secondo nome di Bach. Mi accorsi che avrei potuto estenderne la simmetria — un quarto-di-giro a senso antiorario — a tutto quanto il nome di Bach.

È questo uno di quei casi di cui ho parlato prima, in cui circostanze esterne ci obbligano ad usare simmetrie prestabilite (che è come essere obbligati a scalare una parete per una strada già tracciata). Qualche volta riesce con facilità; ma in questo caso, una volta che mi fui messo all'opera, incontrai delle difficoltà, specialmente in "Johann". A proposito di "matrimoni forzati" — il quarto-digiro "Johann-Johann" ne era un esempio lampante! Mi destreggiai in modo da trovare una soluzione, che era senz'altro traballante: isolata, l'avrei certamente scartata come dono. Ma l'interesse sorge a questo punto: quando si fuse con gli altri due nomi, affinché il nome di Bach fosse completo (Fig. 44 ), improvvisamente i suoi difetti si affievolirono. Da isolato, "Johann" è poco leggibile da qualunque parte lo si guardi, ma nel contesto che gli è proprio, diventa del tutto leggibile. C'è come un effetto di rafforzamento; ogni parte del nome contribuisce a "puntellare" le altre e a diminuire l'evidenza della loro debolezza. G e b : Come può succedere? Sembra che intervenga della magia, o per lo meno è contrario ad ogni intuizione. H o f : È vero. Questo effetto di puntellamelo è un fenomeno generale che non dipende dal fatto che l'ambigramma possegga due o più componenti. L'essenza della cosa ha a che fare col modo in cui la lettura accade nella mente umana. Una teoria ingenua sosterrà che una frase si legge identificando una parola dopo l'altra, e che si riconosce ciascuna parola attraverso l'identificazione delle lettere che la compongono in una sequenza che va da sinistra verso destra. Si tratta di una teoria dal basso in alto; afferma che la percezione procede dai componenti più piccoli su verso i più grandi, e nel caso della lettura in un ordine sinistra-destra. La concezione diametralmente opposta — teoria dall'alto in basso della lettura — sosterrà che il contesto predispone nella nostra mente aspettative su ciascuna parola, in modo che si può quasi parlare di predizione su ciò che avverrà in seguito. In luogo di assumere che ciascuna parola (o lettera) prossima è in pratica casua-

Q n 44

44. Un quarto-di-giro antiorario sul nome del compositore dell'"Offerta Musicale"; nonostante la debolezza di molte lettere, il tutto si legge bene nelle due orientazioni

le, e che può quindi essere una qualsiasi delle migliaia di parole esistenti, ci si aspetta invece che la scelta sia ristretta solo a due o tre possibilità. Così tutto ciò che si deve fare è notare quale essa sia tra queste poche possibilità previste — e naturalmente le aspettative rispetto alle lettere seguono lo stesso corso. G e b : Non riesco a credere che il mondo possa essere previsto in modo così accurato da poter prendere sul serio una teoria alto-basso. Ma mi sembra altrettanto non plausibile la teoria bassoalto, in quanto la gente legge le parole mal scritte correggendole inconsciamente, oppure vede parole che non ci sono, ma che "desidera" vedere, e così via. H o f : Appunto. Una seria teoria della lettura dovrà tener presenti ambedue questi tipi di effetti. Non credo sia sostenibile che le frasi si leggano procedendo da sinistra a destra e lettera per lettera. Sappiamo che la lettura comporta la percezione di "entità" di varie grandezze — lettere, gruppi di lettere come "pre" o "zione", parole, espressioni. E d'altronde è inconcepibile che un'intera frase possa esser percepita come unità senza che non vi sia insieme una qualche percezione delle sue componenti! In qualche modo, però, piccole tracce contribuiscono a suggerire a una mente la totalità di ciò che le sta di fronte. Leggere comporta pertanto la sottile interazione di tre capacità: (1) quella di scorrere rapidamente una larga sezione del testo (e non necessariamente da sinistra a destra), e di cogliere in esso un sacco di piccole componenti familiari; (2) la capacità di ipotizzare, partendo spesso da un contesto scarso o incompleto, parole probabili e locuzioni probabili; e (3) la capacità di verificare rapidamente le parole e le frasi ipotizzate. Naturalmente, anche la lettura degli ambigrammi dipende dagli stessi meccanismi che regolano la lettura delle parole o delle frasi. Gli ambigrammi di una sola parola sono un po' come singole parole isolate, e gli ambigrammi a più parole, come locuzioni prefabbricate all'interno delle frasi (per esempio, "e così via", "per esempio", e così via).

G e b : Ben detto! Come si applica questa descrizione della lettura all'ambigramma in questione? H o f : Bene, una prima analisi ci rivela come il "gramma" si componga, in qualsiasi modo lo si orienti, di tre parti. Alcune lettere, poi — le " S " di "Sebastian", per esempio — hanno molta forza e saltano subito agli occhi. Altre lettere in "Sebastian" ne hanno un po' meno, ma sono abbastanza forti che il nome può esser suggerito da soltanto cinque o sei delle lettere che lo compongono. Anche in "Bach" vi sono delle lettere forti tanto da far intuire la parola intera. Pur non essendo possibile dire quale sia il meccanismo responsabile, tuttavia sembra plausibile che una volta suggeriti o "Sebastian" o "Bach" separatamente, l'altro nome diverrà subito evidente — soprattutto se il nome completo è familiare. Rimane tuttavia un vero mistero come possa succedere che, presi questi tre nomi, improvvisamente da dei semplici frammenti divengano evidenti un nome, due nomi, oppure l'intero nome composto. La nostra sensazione di mistero deriva dal fatto che il nostro cervello opera in parallelo (cioè, coinvolgendo contemporaneamente moltissimioni), mentre non ci lascia affatto avvertire il parallelismo; da qui nasce l'illusione che l'attività mentale sia una specie di "flusso coscenziale" strettamente seriale o una "concatenazione di pensieri", o quanto possa esser suggerito da metafore simili. Ma metafora migliore mi sembra invece il motto nazionale americano "Epluribus unum".

Orde di "ricognitori" microscopici al lavoro nel cervello

Per dare un'idea di come il parallelismo nascosto nel nostro cervello funzioni in modo che "Sebastian" e "Bach" saltino agli occhi sorgendo apparentemente dal nulla, s'immagini un'orda di minuscoli "ricognitori" che compiano, a nostra insaputa, scorrerie simultanee nelle regioni del nostro vocabolario suggerite da frammenti preidentificati. (Il cervello può agire così perché, composto da qualche miliardo di cellule, ha a sua disposizione una quantità di operatori che agiscono indipendentemente l'uno dall'altro —

forse milioni.) Frammenti di singole parole possono indirizzare le scorrerie di tutti i ricognitori, che per la maggior parte restano senza conseguenze — "svaniscono", per così d,ire. Ma non è un problema: questi tentativi che finiscono in nulla possono essere sopportati in gran numero perché un solo successo è sufficiente! In nessun caso succede che questi brevi e repentini sondaggi siano coscienti; accadono automaticamente, essendo insiti nel funzionamento cerebrale. G e b : È un'immagine forte, ma vorrei capire meglio come fanno frammenti di parole — "tracce" — a influenzare o deviare le orde dei ricognitori. H o f : Se lo sapessi dettagliatamente, sarei il più grande esperto mondiale in fatto di pensiero. Posso solo avanzare delle ipotesi e tentare di tratteggiare una teoria. Si supponga di esser certi del "Seb" all'inizio di "Sebastian". Per un non germanofono questo frammento ha un "sapore" speciale, qualcosa di leggermente alieno. Cioè, nessun nome comune comincia in questo modo. Questo è un fatto capace di deviare i ricognitori verso regioni più "esotiche" del vocabolario (con questo non voglio dire che tutti si dirigeranno in questa direzione, ma che solo una parte notevole di essi lo farà; è come avere una moneta squilibrata incline a darci più teste che croci, ma non tutte teste). Negli ambigrammi, per di più, le attese sono sempre indirizzate sui nomi invece che sulle parole: i ricognitori allora saranno più propensi a compiere le loro scorrerie nei territori ricchi di nomi.

Concetti diffusi e sovrapposti

G e b : Ma questi piccoli ricognitori sono davvero così intelligenti? Come fanno a conoscere dove sono immagazzinati i nomi, distinti dalle altre parole? E quali nomi sono "esotici", e dove i nomi esotici sono immagazzinati? E poi, si è certi che i nomi esotici siano raggruppati insieme?

H o f : Non penso affatto che i piccoli ricognitori siano intelligenti. In definitiva, la risposta a tutte queste domande dipende dal metodo dell'immagazzinamento delle varie voci nelle regioni del cervello. Articoli che abbiano molto in comune dovranno risiedere, per quanto è possibile, in regioni vicine. Di solito si ha l'impressione che il cervello sia organizzato in accordo alle associazioni concettuali. Pertanto i nomi tenderanno a stare in un vicinato dove alcuni residenti — nomi comuni come "Mario" — riceveranno più visite degli altri. Ma un'immagine geografica come questa deve essere usata con cautela. Prenderla troppo alla lettera ci può portare completamente fuori strada, così come succede con i modelli che vorrebbero farci visualizzare l'atomo. È probabile che ciascuna voce sia immagazzinata in modo sparso, come un gruppo etnico tende a sparpagliarsi in una grande città. E in effetti, qualsiasi minoranza si possa citare — infermiere, proprietari di ferramenta, bambini, persone dai capelli rossi, mancini, tifosi di calcio, ecc. — la troveremo con ogni probabilità distribuita inegualmente nella città. Naturalmente, vi saranno in ciascuna area alcune infermiere e alcuni tifosi di calcio, ma in certi isolati la concentrazione sarà molto più densa o molto più sparsa. Un gruppo può essere così sia diffuso che localizzato — associato a un'area particolare (quella di maggiore concentrazione), e pertanto si potrà dire, anche se non è esatto, che due gruppi sono tra loro "vicini". G e b : Mi vengono in mente Little Italy e Chinatown, che si fronteggiano, nella bassa Manhattan, divise da Canal Street, dove anche si sovrappongono e si mischiano. H o f : Sto dicendo proprio questo. Ora, se si immagina che un qualche nome — o più genericamente un concetto — sia rappresentato nel cervello da una distribuzione alquanto diffusa ma anche vagamente localizzata, all'incirca come una minoranza lo è da individui sparsi inegualmente in una città, si può intravedere la ricchezza di sovrapposizioni e interazioni che i concetti esibiscono, senza sacrificare del tutto l'immagine di "prossimità" di

concetti — benché la nozione sia in sé approssimativa. Se si accetta questa immagine dell'organizzazione cerebrale, allora si può presumere che vi siano aree particolarmente ricche di nomi (benché questi risiedano anche in altri luoghi), e che in queste aree specifiche vi siano a loro volta sezioni "ricche di nomi esotici". Pertanto i ricognitori non hanno bisogno di possedere strategie elaborate per la ricerca dei "nomi esotici"; tutto quello che devono fare è portarsi in promettenti aree e pescare a caso. Per inciso, ci devono essere tipi diversi di ricognitori. Ricognitori di parole tentano di azzeccare una parola intera, mentre ricognitori di lettere sono indirizzati invece verso una lettera particolare. Alcuni poi sono ancora più miopi, e cercano di identificare parti di lettere. Ve ne sono naturalmente anche altri, ma questa è un'indicazione sufficiente. Miriadi di ricognitori che sciamano tutti insieme, come formiche in un formicaio. G e b : Tutto quanto molto poetico, ma non è che tu stia spazzando sotto il tappeto molti punti importanti? H o f : Non c'è dubbio: questa descrizione è fatta apposta come metafora utile per fornire all'immaginazione un'idea di come si possa spiegare ciò che di magico appare nelle operazioni del cervello, senza ricorrere al soprannaturale. Geb :

Ho capito.

H o f : Torniamo ora alla questione di come un intero ambigramma possa saltare agli occhi dopo che alcune lettere siano state ravvisate. L'idea era che il riconoscimento forte di alcune lettere induceva delle tendenze nella ricerca dei ricognitori. Parti della parola che sono considerate del tutto certe sono chiamate di solito "isole di certezza". Cerchiamo — cioè, i nostri eserciti di ricognitori di lettere cercano — di allargare ciascuna di queste isole di certezza, così come nelle campagne militari, gli eserciti cercano di estendere il loro territorio. Per fortuna, però, le isole di certezza non sono in competizione, anzi tentano di collaborare per stabili-

157

re un riconoscimento collettivo del "gramma" a cui siamo interessati. Può darsi, tuttavia, che nascano dei conflitti tra di esse, soprattutto nel caso degli ambigrammi a oscillazione. Si prenda la Fig. 45, che consiste di quattro entità indivisibili. Se si percepisce l'entità più a sinistra come "Fui" e quella più a destra come "e", si resterà delusi in qualsiasi modo si interpretino le due interne — né "Fulice", o "Fultce", "Fulioe", "Fultoe" sono nomi o parole riconoscibili. Eppure ambedue le entità sono corrette in diverse letture. "Fui" è il principio di "Fulton", " e " il finale di "Alice". L'una o l'altra delle isole di certezza, se vogliamo giungere a una soluzione pacifica del conflitto, dovrà cedere terreno.

L'effetto di puntellamento percettivo

G e b : Solo negli ambigrammi a oscillazione hanno luogo questi scontri tra isole di certezza? H o f : Per niente. Un ambigramma mal fatto non a oscillazione rischia di contenere forme ingannevoli che possono divenire false isole di certezza. In un ambigramma ben fatto non a oscillazione, vi saranno invece una serie di intese cordiali fra i vari eserciti che scorrazzano per il territorio sconosciuto, si scontrano, e si fondono, formando così unioni più larghe e più forti. Nel caso di "Johann Sebastian Bach", un certo numero di attese vengono stabilite simultaneamente per mezzo di lettere che in sé non sono del tutto certe. (Isole di quasi-certezza: un raffinamento dell'idea sovramenzionata. Naturalmente nel campo della percezione niente è certo, e in special modo per quanto riguarda gli ambigrammi; pertanto un raffinamento del genere è essenziale.) Pezzi di tutti e tre i nomi lanciano ricognitori di parole a compiere scorrerie principalmente in aree privilegiate, anche se la maggior parte delle ricerche svanirà nel nulla. Nel frattempo, i ricognitori di lettere si danno da fare per allargare un po' il territorio delle isole di quasicertezza, finché prima o poi uno dei ricognitori di parole s'imbatterà nella risoluzione trionfale di una parola intera. Quando acca-

de, un'enorme isola di certezza emerge improvvisamente ed esercita un'influenza fortissima sulle direzioni delle scorrerie che le orde di ricognitori intraprenderanno nel nostro cervello. Si supponga che "Johann" sia il primo nome ipotizzato (anche se sono propenso a crederlo il più flebile dei tre). Poiché alcune delle sue lettere sono molto deboli, lo si può considerare solo quasicerto. Ma, benché equivoco, il fatto che si tratti di un nome maschile tedesco produce un insieme di influenze forti sui ricognitori di parole. Supponiamo che, grazie a ciò, uno dei ricognitori raggiunga il territorio di "Sebastian". Allora, una volta che "Sebastian" è stato ipotizzato, s'instaura una specie di risonanza con "Johann" — una stretta di mano metaforica che stabilisce un forte e mutuo sostegno, cioè un puntellamento. Nonostante che ciascun nome sia per conto suo piuttosto zoppicante, la loro alleanza acquista una stabilità molto più forte. Ora resta da identificare solo una parte dell'ambigramma. "Bach" dovrebbe apparire senza sforzo alcuno, specialmente se si conosce il nome del famoso compositore. C'è una divertente metafora per questo effetto di mutuo sostegno. In viaggio a Beijing, si pensa di aver scorto la vecchia amica Joanna sull'altro lato della strada, ma ne siamo tanto stupiti che non crediamo ai nostri occhi. Passa del tempo e nello stesso giorno un amico ci racconta di aver visto qualcuno che somigliava stranamente a Sebastian, il marito di Joanna. Allora la nostra convinzione di aver visto Joanna diverrà subito certezza, così come quella del nostro amico di aver visto Sebastian. I due incontri, di per sé incerti, si rafforzeranno appoggiandosi l'uno all'altro. Questo genere di analisi riguardo alla percezione degli ambigrammi dipende strettamente da una concezione generale della percezione come combinazione parallela di processi basso-alti e altobassi, concezione su cui fortunamente esiste un accordo in tutti i settori rilevanti della scienza (psicologia, neurologia, intelligenza artificiale). Non vale solo per gli ambigrammi, ma questi la evidenziano in modo particolare.

G e b : Gli ambigrammi dimostrano a meraviglia come nella percezione un tutto possa esser più forte delle parti. H o f : Sono ottimi in questo. L'effetto può essere osservato negli ambigrammi almeno a tre livelli: 1. Un nome proprio può esser più forte di tutte le parole che lo compongono. 2. Una parola può esser più forte di tutte le lettere che la compongono. 3. Una lettera può esser più forte di tutte le parti che la compongono. Pertanto, gli ambigrammi forniscono un esempio particolarmente chiaro degli effetti alto-bassi che si hanno nella percezione. Naturalmente, per ciascun livello, a volte è vero il contrario: mentre certe parti possono risultare forti, il tutto resta nondimeno indecifrabile. Ma questo non deve sorprenderci, in quanto corrisponde più o meno a un'ingenua teoria basso-alto. G e b : Gli ambigrammi possono essere una buona base per lo studio della percezione? H o f : Sì e no. Sono affascinanti, ma può darsi che nella loro percezione siano coinvolti troppi effetti simultanei. Sarebbe un po' come cercare di scoprire le leggi fondamentali del moto osservando delle uova che rotolano su di un tavolo pieno di gobbe. D'altra parte, però, alcuni degli argomenti più interessanti sulla percezione hanno a che fare con l'effetto "saltare agli occhi", che accade solo quando siamo in presenza di un tutto composto di parti traballanti. Ma succede non solo con gli ambigrammi — un altro esempio potrebbe essere quello di una cartolina scritta con una grafia incerta. E ancora a maggior ragione se si tratta di una lingua straniera. Il fenomeno di interi percettivamente forti, ma composti da parti deboli, è molto comune. Gli ambigrammi, anche se

sono esempi magnifici della sofisticazione percettiva, non per questo sono unici a questo riguardo.

I ruoli e la struttura nascosta dei concetti G e b : Allora possono aprire una finestra in un certo modo particolare sulla percezione, o no? H o f : Assolutamente. Penso che questa finestra particolare abbia a che fare più col modo con cui l'artista percepisce gli ambigrammi mentre li fa, che con la visione di uno spettatore che li sta decifrando. Ossia, voglio dire quel luogo specifico dove percezione e creatività si fondono. La creazione di una forma perfettamente in equilibrio, a metà strada tra una categoria e l'altra, richiede un'abilità profonda, anche se per lo più inconscia, nel giudicare l'appartenenza categoriale. E poiché tali forme stanno in tensione tra due (o più) forze, spesso giocano sulle frange estreme delle categorie. Io sono convinto che nelle categorie, le frange siano le regioni più interessanti — "dov'è l'azione", per così dire, almeno per quanto riguarda la creatività. In un certo senso, la mente creativa è sempre indaffarata a frugare in tutti gli angoli, operando alle frange, alla ricerca di cantucci inesplorati. A volte scopre miniere d'oro (che naturalmente si rivelano spesso di similoro). Le pazze combinazioni di pressioni in cui ci s'imbatte facendo ambigrammi sui nomi personali ci trasportano in territori di frontiera del mondo delle lettere di cui mai avremmo sospettato l'esistenza. Dopo un po', mettiamo insieme una collezione di lettere tanto bizzarre che nessuno avrebbe mai potuto sognare, se non fosse stato sottoposto a queste pressioni. Queste lettere rappresentano modalità molto insolite di appartenenza a una data categoria, e sono pertanto rivelatrici della struttura interna complessa, ma nascosta, delle categorie letterali. Credo per di più che ogni lezione si possa trarre da queste categorie visibili sia non meno valida per le categorie invisibili. Si tratta di lezioni generali su come le categorie si strutturano nella mente, siano esse concrete o astratte.

Geb :

Che genere di lezioni?

H o f : Forse è possibile apprendere da queste strane lettere quali tipi di componenti e di interconnessioni siano richiesti perché un oggetto possa essere considerato come membro di una data categoria. Ad esempio, per avere la conferma che un oggetto sia una " A " , attendiamo che certi ruoli siano pienamente "coperti"? Cerchiamo, sempre, tre linee a "coprire" i tre ruoli evidenti dell'asta destra, della sinistra, e della sbarra? Oppure a volte ne cerchiamo solo due o anche quattro? È ovvio che a volte vediamo due linee o quattro, o persino a volte diciassette — ma, esiste lì dentro, nella mente, un processo di messa in corrispondenza oppure di filtro, che tenta di forzare le linee concrete davanti ai nostri occhi in un insieme di ruoli astratti prestabiliti? O sono questi ruoli astratti in sé flessibili — capaci, cioè, di scissione e di fusione? Ma, allora, fin dove arriva questa flessibilità? E che dire del culmine di una "A" che si forma nella congiunzione di questi ruoli? Come concepiamo (a livello inconscio, naturalmente) tali relazioni tra ruoli? Fino a che punto sono flessibili? Sono le relazioni tra ruoli in numero preciso, o possono anche scindersi o fondersi tra loro? Credo che queste domande che affrontano dall'interno le categorie mentali vadano a toccare le radici profonde della percezione e della creatività e credo che la creazione di ambigrammi sia un luogo possibile per osservare, come al rallentatore, in che modo i ruoli si scindano e si fondano tra loro, quando un artista medita l'uno o l'altro scheletro concettuale e prende una serie di decisioni riguardo all'equilibrio. Naturalmente i ruoli non appaiono mai sulla carta, così come uno scheletro concettuale non è un disegno — ma ogni effetto visibile rivela qualcosa sulla loro natura nascosta e sulle loro relazioni interne alle categorie. G e b : Credi che le risposte a queste domande fondamentali sui concetti e sui ruoli dovranno emergere dalle ricerche sul cervello?

H o f : No, assolutamente. Benché le ricerche neurologiche ci possano aiutare a escogitare metafore utili a descrivere la mente, credo vi sia un altro livello, intermedio, più appropriato a rappresentare la struttura interna delle categorie. La ricerca sul cervello è situata a un livello troppo basso per questo genere di faccende, un po' terra terra. La ricerca necessaria dev'essere condotta invece al livello delle categorie. Geb :

Ma come sondare le categorie?

H o f : Paragonerei le categorie a particelle con una composizione complessa, come i nuclei atomici composti da neutroni e protoni, o anche come i protoni e i neutroni a loro volta composti di quark. Prendiamo, per esempio, un protone. Al suo interno ci sono tre quark che ronzano qua e là tra loro continuamente, tenuti insieme dai cosiddetti "gluoni". Come potremmo mai osservare questi tre puntini infinitesimi e le loro migrazioni ultraveloci? Ebbene, facciamo rimbalzare altre particelle dal protone e vediamo cosa combinano. Elaboriamo poi statistiche che descrivono un gran numero di queste diffusioni sperimentali, e da esse cerchiamo di dedurre dati sulle componenti invisibili e sulle relazioni che intercorrono tra loro. Ora, un insieme di ambigrammi ci offre qualcosa di simile ai dati non ancora elaborati, forniti da tali esperimenti. Le categorie rappresentano il bersaglio, e i loro ruoli interni sono i quark. Le interrelazioni tra i ruoli, i "gluoni". G e b : Così, le categorie sono come particelle subatomiche che tentiamo di sondare, e gli ambigrammi come esperimenti di diffusione? H o f : Sì. Le analogie sono un altro strumento estremamente potente per sondare la struttura interna delle categorie — e ciò non ti deve sorprendere, dato il mio paragone ricorrente tra ambigrammi e analogie. Credo che tutto quanto ho detto sulla percezione visiva alla base dell'ambigrammatica praticamente si applichi altrettanto bene alla percezione astratta che è alla base delle analogie.

La comprensione che abbiamo di situazioni complesse (la corsa agli armamenti, lo scandalo Watergate, la professione d'insegnante, una fiera d'arte, i litigi familiari, la creazione di ambigrammi, oppure la struttura di un protone) viene elaborata da vasti contingenti di ricognitori, operanti in parallelo e in una combinazione finemente sintonizzata di processi basso-alti e alto-bassi. Questi ricognitori localizzano le categorie adatte e accordano i ruoli con i loro contenuti. Per costruire una analogia, bisogna naturalmente combinare due apprensioni separate in una struttura comune, coinvolgendo tutte e cinque le fasi della creazione degli ambigrammi: la costruzione dello scheletro concettuale, il primo schizzo, l'equilibratura, il dar corpo, e la rifinitura. Geb :

Puoi essere più esplicito?

H o f : Volentieri. La costruzione dello scheletro concettuale di una analogia è come il barlume mentale che ci rivela che due concetti posseggono, in qualche misura, una somiglianza profonda. Non è, come alcuni vorrebbero, la proverbiale definizione dell'atto creativo, "l'accendersi di una lampadina"; anzi è il risultato del vagare di ricognitori che di tanto in tanto scoprono sorprese piacevoli. In ogni caso il primo schizzo è il tentativo di dare una forma concreta all'analogia, in parole parlate o scritte. Ciò permette di osservarla con maggiore obbiettività. Vi è poi l'equilibratura, o sintonizzazione, che avviene con lo scegliere ciò che va enfatizzato e ciò che va minimizzato. Dare corpo significa aggiungere decorazione elegante ma per lo più ininfluente — scelte astute di parole, descrizione degli oggetti in un linguaggio parallelo, e così via — strumenti adatti a che l'analogia sembri più appropriata di quanto non lo sia in realtà. La rifinitura è l'ultima fase della scrittura, quando ogni parola è scelta con cura e l'analogia è messa in risalto al suo meglio. Sì, sono convinto che gli ambigrammi siano proprio come le analogie.

s m m / s



46

45. Un ambigramma a oscillazione, che illustra come tutte le entità indivisibili fluttuano indipendentemente l'una dall'altra tra due interpretazioni

46a. La prima versione di un ambigramma che la gente tende a leggere scorrettamente 46b. Una versione alterata dello stesso ambigramma, che ha avuto più successo

L'influenza dell'accoglienza pubblica

G e b : Un'analogia, detta o scritta, è seggetta alla critica degli altri; l'autore può allora tornare a correggerla o addirittura decidere se è il caso di conservarla o meno. Si deve presumere dunque che per gli ambigrammi la reazione pubblica sia altrettanto importante nell'elaborazione della forma definitiva. H o f : È vero. Posso portare una piccola storia a sostegno. Uno degli ambigrammi che in assoluto mi sono più cari è stato fatto sul cognome di Lee Sallows. Il primo impulso mi dettava di farne una rotazione mezzo-giro in quanto le " S " ai due estremi spingevano in questa direzione. Anche l'interno sembrava trattabile allo stesso modo, poiché " L L " poteva essere facilmente ruotato di un mezzo giro — ciò era una ricetta del mio repertorio (o, se vuoi, un'entità del mio ambialfabeto personale). C'era ora la " A " da girare sottosopra in " O W " — al che non mi restava che rispondere con una "Oh!" di delusione. Feci qualche timido tentativo (oppure valoroso, secondo i punti di vista!), ma alla fine rinunciai. Nessun'altra simmetria — e le passai in rassegna tutte — sembrava adatta. Tornavo sempre alla rotazione di 180 gradi per trovarmi bloccato di nuovo. Ma finalmente un qualche ricognitore s'imbattè nell'idea che forse era possibile abbandonare l'applicazione di "LL" su se stesso per sostituirla con un'altra autoapplicazione: quella della " O " . Voleva dire sovrapporre sottosopra "ALL" alla " W " . Sembrava promettere bene, perciò l'esaminai con cura. Non entrerò in particolari: sarà sufficiente sapere che considerazioni simili a quelle prese a suo tempo per la riflessione muro su " WALL", descritte più avanti, condussero a quella che ritenevo una soluzione solida e ingegnosa (Fig. 46a). Ma quando la mostrai agli amici, questa fu la reazione: "E' " S M O W S " , vero?" Invariabilmente vi era da parte mia una reazione indignata, che suonava all'incirca così: "Ma dai! Se avessi voluto convertire una " M " in una " W " , perché avrei fatto ricorso a tutti questi svolazzi e a tutti questi vuoti? Convertire una " M " in una " W " è un gioco da bambini!".

Tutto vero, ma non tiene conto del fatto che la percezione non è un atto intellettuale, un atto logico che segua un ragionamento. Senza dubbio, i miei amici sapevano perfettamente che è banalissimo ruotare la " M " e la " W " maiuscole l'una nell'altra — ma questo fatto intellettuale non veniva loro in mente al momento in cui provavano a leggere l'ambigramma. Se qualcosa possiede la "M"-ità in quantità sufficiente, allora la gente pensa senz'altro di aver a che fare con una " M " ! È chiaro che gli amici avrebbero potuto fare un ragionamento simile: "Questa " M " è un po' dubbia, e poiché abbiamo a che fare con un ambigramma, probabilmente allora non si tratta di una " M " ! " Ma, nonostante ciò, la "M"-ità era comunque prevalente. Anche dopo aver saputo che il nome dell'ambigramma era "Sallows", gli amici continuavano ad essere attratti da "Smows". E succedeva lo stesso anche a me — solo che non volevo ammetterlo. H o f : Ciò riporta all'attenzione il tema della nostra discussione precedente, su come gli ambigrammisti, per garantire la qualità del prodotto, debbano combattere i loro pregiudizi e tentare di scrutare i loro lavori con una visione nuova e superoggettiva — usando cioè altissimi criteri di ammissione per tutte le categorie letterali volute, e bassi criteri invece per quelle indesiderate. H o f : È giusto. Ebbene, mi misi daccapo e con riluttanza al lavoro e mi accorsi con sollievo che vi era posto per tutta una serie di piccoli spostamenti che avrebbero messo in evidenza "ALL" e scacciata la " M " indesiderata. Il trucco principale consisteva nel rafforzare la " A " abbassando la sbarra di un buon tratto. Una volta garantita la percezione della " A " , non restava agli spettatori altra scelta che vedere una coppia di " L " seguire la "A". A questo punto l'orco "Smows" era stato annientato! Naturalmente, dopo tanta fatica, non seppi resistere e quindi aggiunsi dello stile superficiale perché l'ambigramma apparisse ancora più elegante. Il risultato finale fa mostra di sé nella Fig. 46b. Si noti che vi sono solo tre entità indivisibili coinvolte, in quanto la "S" e la " A " sono inseparabili.

Questo è un esempio di come, sottoposta alla pressione del pubblico, ne sia risultata affinata la mia percezione dei difetti. In generale, ho delle indecisioni prima di mostrare un ambigramma in pubblico. Sono capace di anticipare di solito molti dei fraintendimenti, ma non sono certo della loro frequenza. Una falsa lettura molto temuta può anche non verificarsi mai. Ma può succedere il contrario: una falsa lettura creduta improbabile può invece avvenire più spesso di quanto non mi aspetti (è ciò che è successo con "Sallows"). Si può dire che un ambigramma è un successo solo quando funziona con la grande maggioranza della gente. È per questo che, una volta prodotto un ambigramma, non posso essere sicuro, da solo, se è degno di esser posto tra i primi della mia collezione; devo invece farlo vedere per accertarmi che sia ben recepito. Avviene lo stesso, ovviamente, per la musica, la letteratura, e altri tipi di arte, e anche per le scoperte scientifiche. Il successo è un fenomeno sociale.

Cosa si aspetta l'ambigrammista dal pubblico

G e b : Scommetto che se avessi mostrato il "Sallows" originale a Lee Sallows, quasi sicuramente egli non lo avrebbe letto come "Smows". Cosa ne pensi? H o f : Probabile, ma non sicuro. Tuttavia è una buona osservazione: ogni individuo possiede un particolare insieme di aspettative che influenza fortemente come percepirà un ambigramma. A sua volta l'ambigrammista ne possiede un altro riguardo al pubblico. Le principali di queste aspettative sono: 1. Per prima cosa si darà per scontato che il pubblico abbia una profonda familiarità con l'alfabeto che si usa, perché se così non fosse, vedrebbe solo una confusione di linee. (Un ambigramma a caratteri cinesi sarà, per ovvie ragioni, difficilmente leggibile per la maggior parte delle persone di lingua europea.)

759

2. Si spera anche che vi sia familiarità con la lingua usata. (Un ambigramma su "Przybylewski" sarà per molti italiani più difficoltoso che uno di pari qualità su "Poggibonsi".) 3. Risulta certamente utile se il nome in questione è familiare agli osservatori — più lo è, meglio è. (Un ambigramma su "Einstein" salterà agli occhi prima di uno di pari qualità su "Pontecorvo".) 4. Abbiamo infine l'effetto di auto-sensibilità: ognuno risponde con particolare facilità al proprio nome. (Probabilmente nessun altro nome al mondo se non "Lee Sallows" sarà visualizzato più rapidamente da Lee Sallows. La controparte di questa osservazione è che non esiste altra persona se non Lee Sallows che visualizzera più rapidamente "Lee Sallows".) Il punto 4 dice in pratica che possono riuscire doni graditi anche ambigrammi mediocri. D'altro canto, se ci si rivolge a un pubblico sconosciuto di cui non si sanno bene i nomi più frequenti, la lingua, o l'alfabeto, anche i migliori ambigrammi che riusciremo a fare resteranno probabilmente senza effetto.

Ambigrammi in altri sistemi di scrittura

G e b : Un momento fa hai accennato all'idea di ambigrammi in caratteri cinesi. Ne hai fatto qualcuno? H o f : È curioso che tu me lo chieda. Mi è accaduto di farne uno non molto tempo fa. Dico "fare" e non "tentare", perché, con mia sorpresa, è stato un vero successo. È sul nome mostrato nella Fig. 47a (che si trascrive "Wu Yunzeng"). Wu, un professore d'informatica a Beijing, è alla testa del gruppo che lavora alla traduzione in cinese del mio libro Godei, Escher, Bach (che è un'operazione maledettamente più difficile che fare ambigrammi in cinese!). Non avrei affrontato l'impresa di un ambigramma cinese compie-

tamente alla cieca — sarebbe stato folle. Avevo alle spalle uno studio di un paio d'anni della lingua cinese, ed ero arrivato a conoscere qualche centinaio di caratteri, lontanissimo dalle svariate migliaia a disposizione di ogni cinese istruito. Data l'attrazione esercitata su di me dalle lingue scritte, avevo tentato di acquisire un senso della "slittabilità" di questi caratteri — gli elementi che si possono far slittare senza che l'identità del carattere venga compromessa, in confronto agli elementi in cui anche uno slittamento minore distruggerebbe l'identità del carattere. Ma ciò richiede un bel po' di familiarità con molti testi scritti in centinaia di stili visivi — a stampa, a mano, in corsivo — prima di essere capaci di saltare come una capra su per le asperità scivolose del cinese. Pertanto l'imperfetta conoscenza faceva della mia sfida un vero rischio. Una distorsione apparentemente insignificante di un carattere può portarlo a sconfinare in territorio rivale, oppure rendere la sua forma del tutto irriconoscibile come un qualsiasi carattere. Ci vuole fegato ad affrontare l'ambigrammatica in un sistema di scrittura diverso dal nostro, specialmente se si tratta del cinese, dato il numero mostruoso di categorie in competizione. Sarebbe stato agevole scrivere in verticale il nome di Wu, approfittando della simmetria a specchio intrinseca del primo e dell'ultimo carattere, e poi ritoccare leggermente il centro per renderlo ugualmente riflesso: un tale ambigramma è mostrato nella riflessione-muro verticale della Fig. 47b; sfortunatamente è del tutto privo d'interesse, a causa, fra l'altro, della quantità di caratteri cinesi altrettanto specchianti. Sarò più preciso: molti caratteri cinesi sono concettualmente simmetrici così come lo sono molte delle nostre lettere, benché rimangano raramente simmetrici in modo perfetto, una volta stampati; si tocca qui la differenza tra scheletro concettuale e una forma che invece ha preso corpo. Nel nostro sistema di scrittura, un equivalente potrebbe essere "TEX" tracciato verticalmente con una " E " a due facce (vedi Fig. 47c) — che è carino, ma non un colpo di genio! Decisi allora di tentare qualcosa di più audace. Una cosa mi colpì immediatamente: le "gambe" del primo carattere avevano una risonanza nelle "antenne" dell'ultimo, invitan-

do a una rotazione di 180 gradi; e inoltre le forme squadrate contenute in ambedue i caratteri incoraggiavano questo tentativo — così procedetti. Tuttavia, nonostante l'inizio favorevole, incontrai delle difficoltà quando tentai di convincere il primo e l'ultimo carattere ad andare d'accordo. Difficoltà anche maggiori presentava il carattere di mezzo, che dapprima avevo giudicato facile. Il risultato finale è l'ambigramma della Fig. 47d, che trovavo soddisfacente, ma su cui all'inizio avevo nutrito dubbi. Lo sottoposi quindi a una prima prova non certo severa, mostrandolo allo stesso Wu Yunzeng! (Era in visita per qualche giorno.) Lo misi senz'altro di fronte al fatto compiuto e gli chiesi con tono innocente: "Lei sa cos'è questo?". La sua reazione fu inaspettata: "Uhmmm... somiglia al mio nome... ma non esattamente". Allora lo girai, e lui, preso alla sprovvista, sembrò interessato e compiaciuto. Le prove ulteriori le condusse per me David Moser (si veda ancora la Fig. 12), che si trovava a Beijing a lavorare con la troupe di traduttori. Lo fece vedere a due conoscenti cinesi, uno dei quali era amico di Wu, mentre l'altro non ne aveva mai sentito parlare. Nessuno dei due ebbe difficoltà a leggerlo, e ambedue rimasero sorpresi quando si accorsero della simmetria che non avevano notata prima. Lietissimo della notizia, conclusi che, in questo caso, la scommessa aveva pagato. Fortuna di principiante, credo! Devo aggiungere che lo stesso David Moser ha cominciato recentemente a fare i suoi ambigrammi, combinando caratteri cinesi con lettere romane. Un bell'esempio sulla parola "China" e il rapporto tra caratteri cinesi e romani è mostrato nella Fig. 48. Geb :

E David come chiama le sue creazioni?

Hof :

"Sinosegni".

G e b : Naturalmente. Hai mai fatto tentativi con altri sistemi di scrittura?

Zi

7